Aby Warburg e la cultura italiana. Fra sopravvivenze e prospettive di ricerca

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Aby Warburg e la cultura italiana. Fra sopravvivenze e prospettive di ricerca

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Claudia Cieri Via e Micol Forti (a cura di)

Aby Warburg e la cultura italiana Fra sopravvivenze e prospettive di ricerca

MONDADORI UNIVERSITÀ

SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA

Claudia Cieri Via e Micol Forti (a cura di)

Aby Warburg e la cultura italiana Fra sopravvivenze e prospettive di ricerca

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© 2009 Mondadori Education S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati

Prima edizione Mondadori Università —- Sapienza Università di Roma, maggio 2009

Edizioni

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Stampa Consorzio Artigiano LVG (Azzate - Varese) Riguardo ai diritti di riproduzione, l'editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze derivanti dall’utilizzo di testi e immagini per le quali non è stato possibile reperire la fonte

In copertina: B. Peruzzi, Perseo e Medusa, 1511 ca., Villa Farnesina, Roma, particolare.

Indice

Introduzione. Claudia Cieri Via

VII

PARTE PRIMA. ABY WARBURG E L’ITALIA

1

Aby Warburg a Roma. Claudia Cieri Via

3

Aby Warburg e Benedetto Croce. Paolo D'Angelo

15

Aby Warburg e gli intellettuali italiani attraverso la corrispondenza (1893-1929). Romana Agostinelli

27

Aby Warburg e Roberto Longhi. Andreas Beyer

41

Warburg, l’antagonismo Italia-Germania e la Guerra. Analisi di un cortocircuito politico e interiore. Paolo Sanvito

S1

Mussolini e il leone. Aby Warburg ideatore dell’«iconografia politica». Jost Philipp Klenner

63

Perseo o l’«estetica energetica»: il tema dell’ascesa da Alessandro Magno a Giordano Bruno. Claudia Cieri Via

dal

Commiato dall’Italia. Diario di viaggio (1928-1929). Charlotte Schoell-Glass

91

PARTE SECONDA. ABY WARBURG E LA SUA SOPRAVVIVENZA

101

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane.

Un caso esemplare: Giorgio Pasquali. Tiziana Villani Appendice. Corrispondenza

103 1415

Warburg e l’archeologia orientale. Paolo Matthiae

123

Warburg e l’archeologia classica. Giuseppe Pucci

139

Indice

Dopo Warburg. La Scienza della Cultura e l'Italia 1929-1933. Riccardo Di Donato Appendice 1. La scienza descrittiva della coltura nel secolo decimo nono Appendice 2. «Fritz Saxl» di Arnaldo Momigliano

149 159 165

La forma del rito: Aby Warburg e le ricerche di storia delle religioni in Italia (1920-1950). Benedetta Cestelli Guidi Appendice. «Bilychnis» a cura di Tiziana Villani

169 188

Gertrud Bing e l’Italia. L'aggiornamento italiano durante gli anni 203 della sua direzione al Warburg Institute (1954-1959). Elisa Del Prete Appendice 1. «Il Warburg Institute e gli studi umanistici» di Gertrud Bing 722] Appendice 2. Bibliografia di Gertrud Bing 234

VI

I percorsi della memoria. Mario Praz e il Warburg Institute. Micol Forti

PAN

L’attimo fuggente che s’arresta. Paola Colaiacomo

257

Documento e ermeneutica: Warburg, de Martino, Castelli. Corrado Bologna

275

Indice dei nomi

295

Aby Warburg e la cultura italiana

Introduzione

Il libro, che raccoglie una serie di saggi di studiosi italiani e tedeschi, vuole dare un contributo al rapporto di Aby Warburg con l’Italia, in particolare nella ricezione del suo pensiero e della sua eredità da parte della cultura italiana nella prima metà del Novecento. Esso nasce da un convegno di studi dedicato ad «Aby Warburg e l’Italia» ed è strutturato in due parti. La prima si concentra sui rapporti con gli storici dell’arte e della cultura italiani e all’impatto con la situazione politica e ideologica della fine degli anni Venti. Attraverso il suo Diario romano (1928-1929) si percepiscono alcune suggestioni che lo storico amburghese colse attraverso gli incontri con studiosi dell'ambiente culturale italiano,

a Roma in particolare, ma anche in occasione di

viaggi che fece, in compagnia di Gertrud Bing, in alcune località della penisola, come Rimini, Orvieto, Perugia, Bologna, Napoli. In quest’ultimo soggiorno italiano Warburg andava maturando le riflessioni che avevano caratterizzato il suo percor-

so intellettuale, incominciando a dare delle risposte ai suoi numerosi interrogativi nell’ambito delle ampie tematiche legate al mito e all’antichità. Alla luce dei monumenti antichi, osservati a Roma, eletta in quegli anni a culla dell’eredità classica, i to-

poi del trionfo e dell’apoteosi interagivano con i miti di ascesa e di caduta, da Perseo a Fetonte, con il tema del Giudizio Universale, in particolare ammirato nell’affresco

di Michelangelo alla cappella Sistina, e con la lettura dello Spaccio della bestia trionfante di Giordano Bruno. Tali riflessioni venivano vissute a contatto con la realtà storica contemporanea segnata dalla firma dei Patti Lateranensi e dalla processione eucaristica del 25 luglio 1929 di Pio XI in piazza San Pietro; episodi documentati dalle immagini fotografiche composte con grande originalità sulle ultime tavole dell’Atlante della memoria. È ancora a Roma che, a proposito dell’Atlante della memoria, Aby Warburg appunta nel Diario: «Mnemosyne: il risveglio degli dèi pagani nell’epoca del Rinascimento europeo come valore espressivo energetico». Sulla formulazione di una «estetica energetica» Warburg riflette negli ultimi anni della sua vita, come emerge in particolare, ma non solo, dalle sue notazioni sull’oroscopo di Agostino Chigi, affrescato nella Villa Farnesina alla Lungara, e dallo studio sul Déjeuner sur l’herbe di Manet,

letto in rapporto al rilievo antico del Giudizio di Paride osservato sulla facciata di Villa Medici al Pincio: «[...] l'essenziale dell’inversione energetica in Manet: risulta energeticamente invertito il significato del gruppo di figure che si trasforma da simbo-

lo del fatalismo passivo in un Cinico, rinfrancato interiormente dall’ottimismo».

Introduzione

VII

Proprio a Villa Medici è stata ospitata una sessione del convegno su «Aby Warburg e l’Italia», promosso dalla Sapienza Università di Roma insieme all'Accademia di Francia, al Centro Warburg Italia e inaugurato nel febbraio 2006 all'Accademia Nazionale dei Lincei. Qui, a Palazzo Corsini, il 16 ottobre 1912 si era aperto il Congresso Internazionale di Storia dell’Arte che fra i suoi promotori annoverava Adolfo Venturi e Aby Warburg, insieme ad Adolph Goldschmidt, grande amico di Aby Warburg, a Max Dvorak, a Henry Thode — già insegnante, quest’ultimo, di Aby Warburg a Bonn — e a Heinrich Wòlfflin, vale a dire l’intellighenzia della storia dell’arte europea fra Ottocento e Novecento. La seconda parte del libro è dedicata al Nachleben, vale a dire alla «sopravvivenza» del pensiero di Aby Warburg e dell’Istituto da lui fondato nella cultura italiana fino alla metà del Novecento, quando fu piuttosto il Warburg Institute a entrare in contatto con le Istituzioni e gli studiosi italiani soprattutto attraverso Fritz Saxl, Gertrud Bing, Edgar Wind e poi Henri Frankfort, e la pubblicazione di un numero monografico del «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» nel 1946 con contributi di studiosi italiani: da Ranuccio Bianchi Bandinelli a Giulio Carlo Argan, da Augusto Campana ad Arnaldo Momigliano ad Arturo Farinelli. La fortuna, o piuttosto la sfortuna, di Aby Warburg nella prima metà del Novecento fornisce in parte il quadro o ci illumina su alcune linee di ricerca della cultura italiana di quegli anni che si orientavano fra un metodo storico e un metodo scientifico attraversati dall’estetica di Benedetto Croce e dall’estetisimo dannunziano. Attraverso lo spoglio della corrispondenza e la risonanza degli studi di Aby Warburg e del suo Istituto presso gli intellettuali italiani, non solo e non tanto storici dell’arte, quanto piuttosto archeologi, storici della letteratura, delle religioni, eru-

diti e filologi, s’intende, in questo libro, dare un contributo al rapporto fra Aby Warburg e l’Italia prima della grande esplosione della fortuna critica degli studi sul Nostro a partire dagli anni Sessanta del Novecento, subito dopo la prima edizione dei suoi scritti in italiano, pubblicati per i tipi della Nuova Italia nel 1966, con il titolo La rinascita del paganesimo antico, e una introduzione di Gertrud Bing. Tale fortuna di Aby Warburg, non solo in Italia, oltre a concentrarsi sul recupero filologico e storiografico del suo lavoro e del suo pensiero, ha contribuito alla formazione delle più recenti tendenze degli studi teorici e critici che hanno chiamato in causa altre discipline, dalla storia della cultura, alla storia delle immagini, alla storia delle reli-

gioni, all’antropologia, all’estetica; discipline che già dialogavano con l’eredità warburghiana nella cultura italiana del secondo dopoguerra. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla ricerca per questo libro: dai miei allievi, studenti e collaboratori, ai colleghi con i quali, in occasione

di seminari e di incontri, abbiamo discusso molti aspetti dei rapporti fra Aby Warburg e la cultura italiana, sia nei fenomeni di ricezione che di fondazione per le

attuali posizioni teoriche e critiche; in particolare Benedetta Cestelli Guidi e Micol

Forti per l’elaborazione del progetto scientifico; Pino Pucci, per l‘impostazione del

convegno del 2006 su «Warburg e l’Italia»; Gioacchino Chiarini e il Centro Warburg Italia, per la generosa disponibilità e partecipazione; Marc Bayard, per la

VII

Aby Warburg e la cultura italiana

collaborazione e l’ospitalità a Villa Medici; Nicolette Mandarano, per la preziosa organizzazione del convegno. L’archivio del Warburg Institute è stato una miniera inesauribile in particolare per la corrispondenza ivi raccolta e resa consultabile grazie alla generosa e sapiente collaborazione di Dorothea McEwan e di Claudia Wedepohl. Un particolare ringraziamento va infine a Paolo Matthiae per la fiducia e l’interesse mostrati per questa ricerca, per aver reso possibile l’inaugurazione del convegno nella sede storica dell’Accademia Nazionale dei Lincei e per aver proposto la pubblicazione di questo volume nella nuova collana editoriale «Minerva» (Mondadori Università — Sapienza Università di Roma). Londra, agosto 2008 Claudia Cieri Via

Introduzione

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Commiato dall’Italia.

Diario di viaggio (1928-1929) Charlotte Schoell-Glass

Che gli scritti biografici siano di moda, che le biografie si vendano così bene, lo si può interpretare anche come sintomo. Dal punto di vista storico, i tempi della biografia sono tempi in cui vengono poste troppe poche domande. Tempi, che trovano la loro salvezza nelle risposte.

Barbara Hahn

Sappiamo molto dello storico dell’arte amburghese Aby Warburg e soprattutto conosciamo la sua vita privata molto più dettagliatamente di quella di altri rappresentanti della nostra disciplina, la storia dell’arte. L’impulso biografico, che sempre viene visto anche criticamente, ha prodotto nel caso di Warburg una letteratura di ricerca ricca e significativa dal punto di vista storico-scientifico.A questo corpus non vorrei aggiungere altro. Riferisco, piuttosto, sul Diario di viaggio (pubblicato nel 2001) in cui viene documentato, giorno per giorno, e per molti mesi, l’ultimo Viaggio in Italia di Warburg, che questi intraprese insieme a Gertrud Bing. È ovvio che altro materiale, presente nell’archivio del Warburg Institute, è a nostra

disposizione a conferma, praticamente, di tutto ciò che viene menzionato nel Diario: soprattutto lettere, materiale per conferenze e materiale per l’atlante per immagini, Mnemosyne (pubblicato nel 2000). È vero che il Diario della Biblioteca Warburg, che dal 1926 accompagnò gli ultimi anni di vita dello storico dell’arte, mette a disposizione dei biografi ulteriore materiale, ma è un caso fortuito che questo Diario non rappresenti solo un protocollo del soggetto intento a riflettere su se stesso e la sua vita nel mondo (anche diari del genere sono conservati nell’archivio del Warburg Institute), ma offra, piuttosto, una testimonianza del dialogo tra Warburg e i suoi più stretti collaboratori, Gertrud Bing e Fritz Saxl. Per motivi esterni e interni, Gertrud Bing diviene,

col tempo, l’unica interlocutrice in questa conversazione. Fritz Saxl, spesso assente da Amburgo, e durante il viaggio in Italia di Warburg suo sostituto nella Biblioteca, diviene addirittura oggetto, di tanto in tanto, delle discussioni presenti

nel Diario. Per questo Warburg decide, dal sesto volume, nel luglio del 1928: «Da

ora in poi [...] per la lettura dei diari si deve chiedere il mio permesso speciale» !. Mentre il Diario, su desiderio di Warburg, doveva essere il resoconto di una colla-

borazione oggettiva — ricorrono parole come «al di sopra del personale», «al di là di ogni suscettibilità» e «implacabile ma puramente oggettivo» 2 — fu Warburg stesso che confuse l’oggettivo con il privato; e fu Gertrud Bing che, riguardo a ciò, tro-

Commiato dall'Italia. Diario di viaggio (1928-1929)

9I

vò un atteggiamento positivo che rese possibile la comunicazione per iscritto tra i due fino all’ultimo giorno di vita di Warburg. Già la partenza di Warburg per il suo ultimo viaggio in Italia alla fine di settembre del 1928 presenta alcune peculiarità. Prima di tutto, Warburg sarebbe voluto andare più volentieri in America: il tergiversare riguardo a questo progetto, in cui era coinvolto anche Fritz Saxl, il quale per primo aveva redatto e proposto un piano di viaggio per se stesso, occupa dal luglio del 1927 un ampio spazio nel Diario: viene annotato che questo o quello parla a favore o contro il «viaggio americano» e il progetto di un viaggio negli Stati Uniti nell’anno 1928, appare a Warburg, sempre più incalzante. Ancora nell’agosto del 1928, già rassegnato, Warburg scrive: «Rinunciare definitivamente al viaggio americano, significa darsi per vinto. Può succedere. Deve succedere?» 3. Sono i parenti, soprattutto quelli americani che si oppongono, con successo, ad un’ultima avventura negli Stati Uniti, mentre il viaggio in Italia appare, per chiari motivi, meno pericoloso. La partenza ebbe luogo da Baden-Baden, dove Warburg dal 7 settembre si trattenne per due settimane di riposo e di cure. L’11 settembre annota: «è arrivata la valigiabiblioteca di Walther Hertz: un incubo per formato e peso, questa, come sostrato dell’omissione, costituisce una nuova arma di difesa, molto pratica, nella mobilita-

zione della concentrazione» 4. Un motivo importante che spinse Warburg ad intraprendere il viaggio, dal quale tutti, e soprattutto la famiglia, tentarono di dissuaderlo a causa della sua salute cagionevole, diventa chiaro se lo si legge come fuga dalla vita quotidiana ad Amburgo e dal numero sempre crescente di immagini che si accumulavano nel labirinto di innumerevoli tavole dalle quali doveva prendere forma l’Atlante. Un viaggio costringe a scegliere tra ciò che è necessario e ciò che non lo è — e questo non era un punto forte di Warburg, Il fatto, tuttavia, che Mary Warburg approvasse il viaggio dello studioso dalla salute precaria in compagnia dell’assistente, rese il commiato più leggero: «Telefonata che Mary così gentile ha scritto alla Bing e davvero come solo Mary sa fare», «Previsti due mesi di soggiorno» 5: con questo piano Warburg partì il 27 settembre per Milano, passando da Basilea, in compagnia del suo segretario e factotum Franz Alber. Da Milano proseguì, il 28 settembre, insieme alla Bing per Bologna. Già durante il viaggio per Milano, piccole agitazioni avevano causato a Warburg «attacchi di cuore» e pericolose «condizioni cardiache» °. «Il viaggio a Bologna con la collega Bing è stato nonostante tutto ‘l’inizio della vacanza» e, scrive ancora Warburg, «abbiamo deciso di

prendercela comoda e di rilassarci» 7. E a questo punto cade davvero una cesura: la realtà tedesca e quella di Amburgo scompaiono sempre di più dalla vita di Warburg e quindi anche dal Diario che diviene, non per due, ma per otto mesi, il suo taccuino di viaggio. Il mese di ottobre lo trascorsero a Bologna, dove si trattennero per dieci giorni, e a Rimini. Il viaggio continuò in treno il 31 ottobre e, passando per Ancona e Foligno, Warburg e la sua collaboratrice arrivarono a Perugia, da dove visitarono

due volte Assisi e San Marino. Il 10 novembre raggiunsero infine Roma e presero

92

Aby Warburg e l'Italia

alloggio al Palace Hotel (chiamato da Warburg anche LOS ). È solo Lai maggio ssipartirono per Napoli dove rimasero fino alla fine del mese. Arrivati poi il 31 maggio a Firenze, iniziò, dopo un breve soggiorno, il viaggio di ritorno che attraverso

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Arezzo, Verona e Mantova li

condusse a Lucerna e infine a Baden-Baden. Alla metà di luglio, dopo più di nove mesi quindi,

Warburg

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I viaggiatori si proposero soprattutto la realizzazione di tre progetti scientifici: una

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Fig. | Aby Warburg, pagina manoscritta . del 10 febbraio 1929 con lo schema della disposizione dei mobili nello studio

al Palace Hotel (Tagebuch, p. 405).

voro sull’opera di Giordano Bruno?. Una stanza della suite al Palace Hotel a Roma fu adibita a studio, in cui

Warburg leggeva, dettava e scriveva. Non è la prima volta che Warburg si rifugiava in una stanza d’albergo per poter lavorare. Quando questi nel 1904 scrisse il suo saggio su Le ultime volontà di Francesco Sassetti, si trasferì in un albergo berlinese in cui sperava di trovare finalmente la concentrazione necessaria per scrivere. Via dalla famiglia e dagli impegni di Amburgo, Warburg si ritirò in una stanza di albergo, che fungeva da studiolo e da casa in cui regnava un maggiore ordine, come mostra questo piano dettagliatamente disegnato (Fig. 1). Gertrud Bing, in questo periodo, fu per Warburg una collaboratrice indispensabile. Questa, che non era una storica dell’arte, scopriva per la prima volta la grande arte italiana, e Warburg nel farle da maestro e da guida poteva assicurarsi delle proprie capacità. In questa sua sicurezza, rafforzata quotidianamente, gli era possibile accettare dalla Bing l’aiuto, l’incoraggiamento e lo stimolo necessari per il proprio lavoro. Un’introduzione ad ognuna delle sette tavole rimanenti (oggi di nuovo migliorate nei dettagli) costituirebbe una gran parte del testo dell’ Az/ante, e io sarei del parere di scriverlo adesso, che le immagini sono appese e la grande sala della Hertziana ci

Commiato dall'Italia. Diario di viaggio (1928-1929)

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viene messa a disposizione per studiare, a costo di correre il pericolo di dover rinunciare per questa volta alla Sicilia Warburg: dopo le conversazioni del 29, l’intensificazione del lavoro rappresenterebbe, con la sua unilateralità, un carico troppo pesante per il collega Bing, [nominata qui da Warburg al maschile, N.d. T.], che vorrebbe avere del tempo libero per le sue impressioni personali !0.

In questo scambio si percepisce anche come la Bing diventi sempre più sicura di sé. Nelle annotazioni dei due compagni di viaggio si avverte sempre una sorta di euforia per la familiarità che avevano raggiunto nel lavorare insieme. Dalle annotazioni romane si deduce che, dopo un periodo di attività piena di tensione ad Amburgo, sia Warburg che Gertrud Bing si sentono, adesso, sollevati e vivono entrambi un periodo di rinnovata fiducia in loro stessi. Come prima, però, a Warburg risulta difficile anche adesso il ‘selezionare’, l’analizzare e il prendere distanza dagli oggetti della sua ricerca. Tuttavia, l'appropriazione identificatrice e il ciclo di «abbandono e controllo», al quale due volte si fa riferimento nel Diario, cessano, a

Roma, di incutere timore. Questo sottotesto si ritrova in un commento della Bing ad una lettura che si riferisce agli Eroici furori di Giordano Bruno: La lettura Arcadia — scrive la Bing — promette, già dopo due pagine, di divenire interessante: per Giordano Bruno, per il quale io ho visto — in un modo, per il momento inutilizzabile, ma tuttavia molto promettente — una somiglianza di ragionamenti, per esempio la trasformazione dell’amante nell’amato, rappresentata da un cavaliere che sotto l’immagine di Ercole con il fuso e il motto Never more valiant, Mai più eroico, per amore si trasforma in un’amazzone. Anche nel tono romantico-ironico del motto, per cui l’eroe è never more valiant proprio nel momento in cui pare rinunciare al suo valore per atteggiarsi in modo assai femminile, mi sembra che vi sia un’inversione tra Essere e Apparire, come si trova in Giordano Bruno per il quale il furor eroico — il vero eroismo — consiste proprio nel rinunciare alla difesa e affermazione di se stesso e — animato dall’entusiasmo — di rivolgerla nel suo contrario 1!.

Ciò che qui produce una tale trasformazione, l’inversione di Essere e Apparire, acquista, in altro contesto, la funzione di «creazione di simboli per immagini». All’«essenza del simbolo» sono dedicate, anche dopo il ritorno ad Amburgo, importanti annotazioni e diagrammi nel Diario. Partendo dalle annotazioni nel Diario, Nicholas Mann, in una conferenza tenuta nel 1998 e nel 2002, pubblicata nel 2003 con il titolo Denkenergetische Inversion: Aby Warburg and Giordano Bruno !2 ha sviluppato uno dei temi dominanti del

soggiorno italiano dalla sua prima menzione nel Diario fino all’ultima annotazione, la mattina della morte di Warburg. Come ci è già noto dal metodo di lavoro dello studioso, la lettura su Giordano Bruno (Lo spaccio della bestia trionfante del 1584 e De gli eroici furori del 1585) genera una quantità ancora più vasta di materiale: un taccuino di appunti, uno schedario pieno di documenti, innumerevoli lettere in cui si raccontano le esperienze legate alla lettura e all’acquisto, presso L.S. Olschki, di un’intera biblioteca di 350 volumi su Giordano

Bruno, che, come

Warburg venne a sapere più tardi, era appartenuta al bibliografo di Bruno, Virgilio Salvestrini 13, e che ancora oggi, naturalmente, si trova nella biblioteca del 94

Aby Warburg e l'Italia

Warburg Institute. Dalle suddette fonti, Nicholas Mann mostra che l’incontro di

Warburg con Bruno, menzionato per la prima volta nel Diario nell’autunno del 1928, ebbe sullo storico dell’arte un effetto elettrizzante e divenne un Leitmotiv che ricorse fino alla sua improvvisa morte. Il viaggio in Italia, che, dopo la tappa di Rimini, dovuta soprattutto alla visita del Tempio Malatestiano prosegue per Roma e da lì per il Sud Italia, dove la visita alla Cappella Carafa in San Domenico a Napoli e il Mithraeum a Capua gli manifesta un nuovo modo di interpretare la funzione delle immagini nel pensiero, può essere Interpretato, come sostiene a ragione Mann, come un viaggio allegorico 14. To e Gertrud Bing funzioniamo, a guardare indietro, come una bacchetta da rabdo-

mante; ci pieghiamo, ubbidienti, come questa, quando nella sfera delle immagini percepiamo un impulso inevitabile a scendere nel profondo, ‘ad inferos’, oppure veniamo rapiti in cielo, ‘raptus in coelum’. Il nostro ermetico comando, da decifrare solo in alto mare, io leggo: il ciclo di abbandono e di controllo è da esplorarsi nella sua relazione con la creazione icastica di simboli 15.

Se mai c’è uno scritto di Warburg in cui si possa comprendere come il suo metodo di lavoro ponga in stretto contatto l’esperienza vissuta (fino all’identificazione con l’oggetto della ricerca) e la sua visione storica e teoretica, questo è proprio il protocollo del viaggio in Italia. Quanto fosse importante il dialogo (in questo periodo con Gertrud Bing) per un lavoro intellettuale che richiedeva tutte le sue forze, si deduce dall’annotazione nel Diario dell’agosto del 1929: «Sebbene scritto di

notte, sotto pressione, dopo una consultazione chiarificatrice (con la Bing), giunge quello stato di trance che porta alla luce la più chiara e nitida capacità di una visione d’insieme» 16, Il lavoro su Bruno, si può definire come una delle esperienze più private ed intense che il viaggio in Italia abbia regalato a Warburg. Parallelamente vi sono, tuttavia, anche quegli avvenimenti che, in particolare a Roma, uniscono un’attiva vita sociale con il lavoro all’Aflante, che veniva portato avanti con grande energia. I frutti di questo lavoro sono, da una parte, il dettato e la prima stesura dell’introdu-

zione all’Atlante — una copia finalmente affidabile fu pubblicata nel 2000 dall’Akademie Verlag 17 — e, dall’altra, la conferenza del 19 febbraio 1929 alla

Biblioteca Hertziana, di cui siamo dettagliatamente informati dai saggi di Ernst Gombrich, Intellectual Biography, e di Kenneth Clark, A Lecture That Changed My Life 18. Alcune annotazioni della Bing, come quella del 23 gennaio del 1929, mostrano quanto fosse importante che gli studi dovessero essere presentati davanti a un pubblico di specialisti: «Il lavoro molto intenso per la conferenza nella Biblioteca Hertziana del 19. I. 1919, si è risolto nella [...] piacevole consapevolezza che l'Atlante ha veramente fatto grossi progressi». E ancora: «Il progredire del testo dell'Atlante è stato aiutato dall’introduzione della conferenza, la quale però, se deve divenire una introduzione metodologica dell’intera opera, necessita di importanti ampliamenti». Oppure: «L’introduzione alla prima tavola mi sembra però una spiegazione quasi completa del concetto di ‘inversione energetica”, alla quale

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Commiato dall'Italia. Diario di viaggio (1928-1929)

95

tuttavia desidererei che venisse annesso anche il significato del pensiero tipologico» 19. La figura di pensiero centrale della ‘inversione energetica’ rappresentata, nella conferenza alla Hertziana, prendendo come esempio l’incisione di Raimondi e il Déjeuner sur l’herbe di Manet è presente sotto diverse forme in tutto il Diario. Ancora in aprile, Warburg annota: «Nonostante la stanchezza: l’essenziale dell’inversione energetica in Manet: l’inversione energetica dell’interpretazione del gruppo di figure, il quale gruppo da simbolo di passivo fatalismo diviene un Cinico rinfrancato, nell’intimo, dall’ottimismo» 20.

Warburg era consapevole del pericolo che il lavoro a questi progetti, «il lavoro quotidiano, ostinato e caparbio sull’ Atlante e su Bruno assumesse il carattere di un opprimente filisteismo che si muove nella semioscurità» 21. Con ciò intendeva dire che Roma e la sua arte, forse, potevano far apparire il lavoro quotidiano privo di significato, soprattutto per la Bing. E anche a lui stesso sembrava importante prendere contatti con le comunità tedesche e internazionali di Roma. Il 18 novembre 1928 scrive: «L'altro ieri sera da Steinmann, c’erano circa sessanta uomini. Persone capa-

ci, dotate di una attiva forza intellettuale, appartenenti alla comunità tedesca. [...] Steinmann tiene appesa una foto autografata di Mussolini. [...] C'erano tipi in gamba tra i tedeschi: Baetgen (successore di Kehr) il giovane Harnack (Istituto Archeologico), Bormann (legazione bavarese) e come ospite il romano Ernst Robert Curtius (Narciso)» 22. E dopo la conferenza Warburg annota: «Il contatto con colleghi capaci e attivi, giovani e meno giovani, ha il suo fascino [...]. Finora solo il giudizio di Monsignor Kirsch mi ha incoraggiato» 23. La Bing dopo la conferenza nota: «Ernst Robert Curtius e [Paul Ortwin] Rave asseriscono entrambi, nei giorni successivi, che ‘per tutta la loro vita non dimenticheranno mai questa conferenza’» 24. Non ci si libera però dall’impressione che questi incontri, anche quando era Warburg stesso a cercarli, fossero sentiti come qualcosa di faticoso. Al contrario, la corrispondenza viene portata avanti, come ad Amburgo, con una forza che non ac-

cenna a diminuire. Il 4 aprile egli scrive tuttavia: «circa 47 lettere e 23 lettere (dolore)» 25. Resoconti degli incontri con Benedetto Croce a Roma e a Napoli mostrano, nel Diario, quanto poco Warburg ne fosse rimasto impressionato; mentre invece l’incontro con il cardinale Franz Ehrle, a cui Warburg fece visita in Vaticano, fu descritto dettagliatamente e con ricchezza di particolari. Sebbene il gran numero di incontri durante il soggiorno in Italia sembra non cessare mai, si ha la sensazione che Warburg prenda coscienza che non gli rimanga più tanto tempo. Col suo potere, l’Atlante attira tutto, anche i temi più attuali. Il contratto tra lo Stato italiano e il Vaticano del febbraio del 1929, il Concordato, colpisce così pro-

fondamente Warburg che verrà annesso all’ Atlante come Tavola numero 78 e 79. Un bronzo proveniente dal Benin al Museo Etnografico deve essere incluso

nell’Atlante, e dopo un viaggio ad Orvieto nel 1929 (Fig. 2), Warburg annota: «la collega Bing richiama alla mia attenzione un sarcofago etrusco con la rappresentazione del Sacrificio di Polissena: un unicum che sembra fatto apposta per l’Atlante» 26. Warburg va addirittura al cinema, per assistere ad un film sul Concordato: «un magico ausilio all’esperienza» 7 (Fig. 3). Se non ci fosse un ap96

Aby Warburg e l'Italia

punto nel Diario, sarebbe difficile supporre che Warburg avesse visto, al cinema, uno dei primi film sonori, intitolato The Jazz Singer del 1927 28. Il film narra l’ascesa di un povero cantante ebreo Jakie Rabinowitz fino ai successi di Broadway, e di come questi dovette imporre la sua scelta contro il volere del padre cantore. Warburg non apprezzò il film, che non conobbe così alcuna successiva utilizzazione. Una predilezione per l’arte del mosaico o per il suo corrispondente contemporaneo, il collage, potrebbe essere d’aiuto al lettore che volesse comprendere e giudicare il Diario

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di viaggio nel suo insieme: vi si può

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leggere ad esempio come cambia il

14 marzo 1929 (Tagebuch, p. 419, part.).

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tono tra i due compagni di viaggio, come l’Italia acquista sempre più importanza come esperienza e non solo come fornitrice di fatti storico-artistici, come Warburg elabora le sue teorie a partire sia dalla propria esperienza sia dall’incontro con gli oggetti della sua ridoble cerca. Vi si legge inoltre, la lotta per

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1, comprensione del concetto di ‘in-

versione energetica’, questo capovolgimento improvviso di una condizione

nel suo contrario, il rico-

noscere che è impossibile eludere l’ambivalenza nelle formule di pathos e nella personale esperienza, ad esempio, di «abbandono e controllo»: il Diario è un protocollo di questi contraddittori processi della conoscenza. Quando introduciamo tali testi negli studi storico-artistici e in quelli su Warburg, introduciamo «l’impuro», come è stato defini-

i; Fig. 3 Pagina del Diario con scatti fotografici

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to da Georges Didi-Huberman, nelle nostre domande e risposte.

Quindi: al di là del contributo

biografico che ci fornisce in ogni

Commiato dall'Italia. Diario di viaggio (1928-1929)

97

caso il Diario, questo ci pone anche delle domande. Come valutiamo, in Warburg,

il ruolo dell’identificazione con gli argomenti della sua ricerca? Quale è il ruolo dell’/dea, per dirla con Warburg «Idea Vincit», nel suo e nel nostro lavoro? Come motto al secondo volume del Diario romano, Warburg scelse la riflessione del più famoso viaggiatore tedesco in Italia: «Ogni idea appare come un ospite estraneo, e non appena comincia a realizzarsi, è quasi impossibile distinguerla dalla fantasia e dalla fantasticheria». In questa affermazione, Warburg vide una conferma del suo lavoro e della condizione originaria di questo, il desperadotum, il suo coraggio della disperazione. Possiamo trovarne noi un’applicazione?

[Traduzione di Patrizia Dell’Ernia e Lorenzo Gori]

98

Aby Warburg e l'Italia

EB Note 1 Tagebuch der Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, a cura di K. Michels e C. SchoellGlass, Akademie Verlag, Berlin, 2001, p. 302 (da ora in poi Tagebuch). 2 Tagebuch, p. 2, annotazione del 3 gennaio 1926. 3 Tagebuch, p. 324. 4 Tagebuch, p.341. 5 Tagebuch, p. 345, annotazione del 26 settembre 1928. 6 Ibidem. ? Ibidem. 8 E. GOMBRICH, Aby Warburg: eine intellektuelle Biographie, Europàische Verlagsanstalt, Frankfurt am Main, 1981, p. 360 ss.

9 Al riguardo le annotazioni a partire dal 14 ottobre 1928, Tagebuch, p. 350 ss. 10 Tagebuch, p. 400. 11 Tagebuch, p. 533.

12 N. MANN, Denkenergetische Inversion: Aby Warburg and Giordano Bruno, in «Publications of the English Goethe Society», 72, (2003), pp. 25-37. 13 Tagebuch, p. 394. 14 N. MANN, Denkenergetische Inversion..., cit., p.33.

15 Tagebuch, p. 457. 16 Tagebuch, p. 502. 17 A. WARBURG, Gesammelte Schriften, vol. II, 1: Mnemosyne, Der Bilderatlas, a cura di M. Warnke, in collaborazione con C. Brink, Akademie, Berlin, 2000. 18 In Mnemosyne, saggi di K. BERGER, K. CLARK, E. CASSIRER e altri, Gratia-Verlag, Gòttingen, 1979; vd. anche K. CLARK, Another Part of the Wood:A Selfportrait, Murray, London,

1974, York, 19 20 21

pp. 180-190, e M. SECREST - K. CLARK, A Biography, Holt, Rinehart and Winston, New 1984. i Tagebuch, p. 399. Tagebuch, p. 430. Tagebuch, p. 400.

22 Tagebuch, p. 370. 23 Tagebuch, p. 401.

24 25 26 27 28

Ibidem. Tagebuch, Tagebuch, Tagebuch, Tagebuch,

p. 430. p.419. p.410. p. 446.

Commiato dall'Italia. Diario di viaggio (1928-1929)

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Parte seconda

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane. Un caso esemplare: Giorgio Pasquali Tiziana Villani

L'interesse della cultura italiana per Aby Warburg e poi per l’Istituto da lui fondato si fa risalire tradizionalmente agli anni Sessanta con la pubblicazione dell’edizione italiana di una selezione dei suoi scritti, dal significativo titolo La rinascita del paganesimo antico 1. Seguirà all’inizio degli anni Ottanta l’edizione della Biografia intellettuale? di Ernst H. Gombrich e del numero monografico della rivista «AUT-AUT» 3, a testimonianza del crescente interesse da parte della cultura italiana per il nostro autore. In realtà un significativo interesse per Aby Warburg e per i suoi studi è riscontrabile già a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento. Un lungo lavoro di spoglio svolto sulle pubblicazioni periodiche ha infatti rivelato che gli intellettuali italiani, persuasi del valore dell’opera d’arte come documento storico, garantirono una ricezione continuativa del lavoro dello studioso già dall’ultimo decennio dell’Ottocento. Testimonianza ne è la cospicua presenza, nei periodici esaminati, di recensioni

e note bibliografiche 4 dedicate agli scritti warburghiani è alle pubblicazioni collettive dell’Istituto.

I. Il bisogno di aggiornamento della cultura italiana sul modello tedesco La situazione culturale italiana a partire dall’unità del nostro Paese si era velocemente modificata. Si era infatti passati da studi ancora turbati dalle passioni poli-

tiche e basati su materiali di epoca muratoriana, a studi che avrebbero permesso all’Italia di inserirsi nel dibattito intellettuale europeo. Numerosi gli scritti teorici che tra gli anni Sessanta e Novanta dell’Ottocento avevano guidato questo rinnovamento degli studi storico-letterari. Si pensi ad esempio all’importante scritto di Pasquale Villari del 1866 La filosofia positiva e il metodo storico 5, allo scritto di

Arturo Graf del 1877 intitolato Di una trattazione scientifica della storia letteraria 6, o ancora di Villari al capitale saggio pubblicato in «Nuova Antologia» nel 1891 intitolato La Storia è una scienza? 7. In breve, tutti questi scritti sostenevano la possibilità che le discipline umanistiche potessero innalzarsi alla dignità delle discipline scientifiche. Ciò sarebbe stato possibile attenendosi ai fatti, perché come scriveva Villari «Accertare un fatto desta più interesse che stabilire una legge» 8.

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

103

Questa prescrizione, in ambito umanistico, non aveva altro significato che svolgere una ricerca sistematica negli archivi e nelle biblioteche, creare ampli repertori bibliografici e ricostruire filologicamente i testi antichi. Oltre a questo aspirare a una metodologia scientifica, questi intellettuali concepirono la vita e di conseguenza la ricerca come unità. Nasceva da ciò l’importanza della restituzione del contesto in cui l’opera era stata creata, ma anche la possibilità di utilizzarla come documento per la storia delle civiltà. Questa metodologia di studio fu presto etichettata come ‘metodo storico’? ed ebbe numerosi focolai di diffusione arrivando a influenzare diverse generazioni di studiosi italiani. Tra questi anche Giorgio Pasquali, principale mediatore italiano delle ricerche warburghiane. I maggiori centri di diffusione del metodo storico furono sicuramente Firenze, con l’Istituto

di Studi Superiori e intellettuali del calibro di Pasquale Villari, Isidoro Del Lungo e Pio Rajna; Torino, con i docenti della sua Facoltà di Lettere: Arturo Graf, Rodolfo Renier e Vittorio Rossi; e infine Pisa, con Alessandro D’Ancona e

Francesco Flamini. Agli esponenti della scuola storica si deve la prima ricezione del lavoro di Warburg e del suo Istituto. Ben presto infatti i saggi warburghiani basati su una metodologia rigorosa e con voluminose appendici documentali divennero un esempio da seguire. Significativo è il caso di Vittorio Rossi 19, docente di letteratura italiana a Torino, e autore di un importante trattato sulla letteratura del Quattrocento 11. Egli fu un lettore attento del lavoro dello studioso amburghese. Recensì!2 tra i primi in Italia il saggio sulla cappella Sassetti, e per la prima metà del Novecento la ‘sua’ rivista, il «Giornale storico della Letteratura Italiana», si

occupò di Warburg e del suo Istituto. Rossi, considerava la metodologia warburghiana ‘scientifica’ non solo perché volta alla ricostruzione del contesto storicoculturale nel quale l’opera d’arte aveva preso vita, ma soprattutto perché basata su ricerche d’archivio e preziosi documenti inediti. Così egli scriveva a Warburg in una lettera del 1907 ragionando sul saggio dedicato a Francesco Sassetti: «Lumeggiando il documento con il confronto delle opere d’arte e queste con confronto del documento Ella riesce a caratterizzare e a spiegare egregiamente lo spirito del Rinascimento nel periodo in cui la tradizione medievale vive ancora [...]. Questa sua monografia mostra ancora una volta la bontà dei criteri e del metodo che Ella segue» 13, Di contro Warburg non potè che condividere l’approccio scientifico di questi studiosi essendo anche egli convinto che ci fosse bisogno di una preparazione attenta e approfondita per potersi occupare di arte... «così come è necessario essere medici per occuparsi di medicina» 14. In alcuni dei suoi scritti giovanili lo studioso rimanda in nota !5 così frequentemente ai lavori di Isidoro Del Lungo 46, Alessandro D’ Ancona !7, Rodolfo Renier 18 e Vittorio Rossi 19, che forse bisogne-

rebbe riflettere sul ruolo avuto da questi intellettuali nella sua formazione. Va ricordato inoltre che Warburg figura nella lista dei partecipanti al III Congresso Internazionale di Scienze Storiche tenutosi a Roma nell’aprile del 1903 20, Congresso voluto da Pasquale Villari e di conseguenza all’insegna della scientifici104

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

tà, come del resto documentano i dodici volumi degli atti. Interessante notare quanta parte abbia avuto in questo convegno la discussione dedicata alla realizzazione di bibliografie, biobibliografie ma soprattutto di atlanti.

Ma torniamo all’interesse destato in Italia da Warburg nella prima metà del Novecento. In molti intervennero nel dibattito sullo studioso e sul suo Istituto. Si tratta di intellettuali oggi più o meno noti. Tra questi Alceste Giorgetti, Giovanni Costa, Arnaldo Momigliano, Nicola Festa, Guglielmo Volpi, Egidio Calzini, Rodolfo Renier, Mario Praz, Antonino Pagliaro, Adolfo Venturi, e molti altri an-

cora. Grazie ad essi ebbero larga diffusione i primi saggi warburghiani dedicati alla cappella Sassetti e al suo committente, quelli di Panofsky sull’Ercole al Bivio e sul Signum Triciput, il saggio di Saxl incentrato sulla decodifica degli affreschi della Farnesina o ancora /ndividuo e cosmo di Cassirer e l’edizione del Fu/gentius Metaforalis curata da Hans Liebeschiitz. Non passarono inoltre inosservati gli interventi di Warburg al Kunsthistorisches Institut di Firenze, e l’intervento di un

nostro intellettuale al Warburg Institute: la conferenza di Arturo Farinelli 21 poi pubblicata nei «Vortrige» del 1928-1929 22. Ebbe molta fortuna anche la Bibliography of the Survivals of the Classics, tanto attesa dai nostri intellettuali. A tale proposito Saxl in una lettera datata 1 agosto 1934 (lettera n. 1) 23 ne prometteva una copia a Praz non appena questa fosse stata pubblicata, e Fortunato Pintor nel 1937 24 la presentava al pubblico italiano come un’opera alla quale sarebbe rimasto imperituramente legato il nome di Warburg. Non si possono non menzionare inoltre i tanti nomi di intellettuali italiani che compaiono nel Diario romano di Warburg 25. Per citarne soltanto alcuni Giovanni Gentile, Benedetto Croce, Giuseppe Gabetti, Corrado Ricci e Gino Fogolari. Anch’essi costituiscono ulteriori voci di mediazione tra l’Italia e l’Istituto. Così a Gabetti 26, docente di filologia germanica e letterature nordiche nonché fondatore dell’Istituto Germanico a Roma si deve la voce Amburgo 27 per l’Enciclopedia Treccani. In essa alla sottosezione Istituzioni culturali vi è un importante accenno alla Biblioteca Warburg, anche se alcune riviste come «L'Arte» 28, «La Cultura» 29

e «Bilychinis» 30 ne avevano già dato notizia tra il 1923 e il 1924. A Ricci e Fogolari si devono due recensioni dello scritto warburghiano del 1902 sulla cappella Sassetti. Ma ancora più interessante è il fatto che a Gentile si deve una delle prime collaborazioni fino ad ora accertate di un intellettuale italiano con l’Istituto Warburg. Collaborazione difficile vista la fede politica gentiliana e il cuore ebraico dell’Istituto, ma che dopo lunghe trattative porterà il filosofo ad accettare la proposta di scrivere un saggio 31 da inserire nel volume Philosophy and History ?2, pubblicato nel 1936 in onore di Ernst Cassirer. Una curiosità in proposito: Archivio Gentile conserva 33 l’elenco dei partecipanti all’iniziativa, inviato da Klibansky al filosofo il 26 giugno 1934, a garanzia del fatto che non tutti i parteci-

panti fossero semiti. Infine a Croce si deve non solo la ben nota recensione 34 del saggio di Seznec La sopravvivenza degli antichi dèi 35, ma anche una recensione 39 dedicata a Philosophy and History.

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

105

2. Giorgio Pasquali: lo studioso ‘senza occhi’ Questa carrellata sull’interesse dei nostri intellettuali per Warburg e il suo Istituto, nonché la ricostruzione delle vicende della cosiddetta scuola storica, non hanno al-

tro scopo se non di contestualizzare quello che può essere considerato il saggio 37 più maturo dedicato allo studioso amburghese in Italia prima della traduzione dei suoi scritti. Mi riferisco naturalmente al ricordo intellettuale dedicatogli da uno dei nostri più illustri filologi, Giorgio Pasquali 38. Riletto dopo tanti nomi e dopo tante relazioni ritessute lo scritto perde quel suo carattere di ‘cattedrale nel deserto”, mantenendo però il primato di saggio che maggiormente contribuì alla diffusione delle tematiche warburghiane, almeno per il numero di ristampe di cui è stato 0ggetto. Ci sono più chiare inoltre sia l'affermazione con la quale il saggio si apre sia le scelte terminologiche effettuate. Pasquali ricorda infatti che nel momento in cui le riviste ‘scientifiche’ diedero al‘mondo dotto’ la notizia della morte di Warburg, la biblioteca con la sua intensa attività era più famosa del suo fondatore. Il saggio nasce nel 1930 nell’ambito di una rassegna dedicata ai grandi intellettuali del Novecento proposta dalla rivista «Pegaso» 39. La vita privata e intellettuale dello studioso amburghese vengono sapientemente ricostruite e il lettore viene immerso in un percorso in cui si mescolano vicende personali e influenze intellettuali, risultati scientifici concreti e visioni di ampio respiro. Così si passa dagli anni giovanili a Firenze con la fondazione del Kunsthistorisches Institut, agli scritti sugli affreschi del Ghirlandaio e sulla personalità del Sassetti; dal viaggio tra gli Indiani Pueblo, agli intellettuali che oltre a Usener influenzarono gli studi di Warburg e quindi, Nietzsche e Burckhardt; dal ricorso all’antichità da parte degli artisti rinascimentali per esprimere movimento, all’arte antica come erma bifronte; dalla scoperta di Picatrix all’importanza per Warburg delle ricerche di Franz Boll; dal convegno del 1912 con la decifrazione degli affreschi di Schifanoia alla ricostruzione del cammino percorso dall’astrologia nei secoli; ed infine dalla dura lotta contro la malattia mentale, all’ultimo lavoro dello studioso: Mnemosyne. È interessante no-

tare che prima del 1930 l’Atlante della memoria era stato presentato in pubblico soltanto una volta, alla Biblioteca Hertziana di Roma nel 1929. Esiste però un’importante testimonianza che potrebbe forse rivelarci in quale occasione Pasquali ebbe modo di vedere le tavole warburghiane. Si tratta di una lettera (lettera n. 2) 40 del filologo italiano alla moglie, nella quale descrive un pranzo molto piacevole a casa Warburg, lettera datata giugno 1928. Così scriveva Pasquali: «Fui anche a pranzo dal milionario Warburg, lo studioso amburghese di medioevo italiano che ha regalato alla sua patria una splendida biblioteca di roba specie religiosa e specie italiana. È quello da cui dovevo andare il giorno che poi andai a Signa con te dai Gigliotti. Narrò come nell’ottobre aveva sostituito dinanzi a Or S. Michele il vendi-

tore di biglietti di lotteria, mentre era andato a spicciolare, e come un contadino non si era accorto ch’era uno straniero» 41. Ma veniamo alle vicende editoriali dello scritto. Nell’ Archivio fiorentino dell’Accademia della Crusca si conserva una lettera che testimonia un lavoro reda-

106

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

zionale sull’articolo da parte della Bing. Si tratta della lettera del 25 febbraio 1930 (lettera n.3) 42 nella quale la Bing si congratula con Pasquali a suo nome e a nome dell’Istituto per lo scritto, al quale, sottolinea non aggiungerebbe nulla. Alle lodi, la custode della memoria warburghiana fa seguire il rammarico per quanto è avvenuto invece in Germania dove scrive la Bing «non è stato detto nulla di serio ed esatto sul lavoro del professore». Soltanto tre anni dopo il saggio veniva ripubblicato in Pagine stravaganti di un filologo 4, sembrerebbe 44 grazie all’intervento di Bruno Lavagnini 45 curatore della collana «Biblioteca di cultura antica» per l’editore Carabba. L’elenco degli scritti da inserire non fu da subito quello definitivo, e il saggio dedicato a Warburg fece il suo ingresso nel progetto editoriale soltanto a partire dalla lettera del 6 marzo 1931 nella quale Lavagnini scriveva a Pasquali di aver selezionato il materiale che gli aveva inviato e sottoponeva al maestro un elenco di scritti che avrebbe voluto ripubblicare. Prima di essere inserito nell’antologia, il ‘ricordo’ dedicato all’amburghese subiva quelle che Pasquali avrebbe definito ‘varianti d’autore’, ossia veniva qua e là modificato. In particolare il filologo vi inseriva un capoverso in cui motivava la sua scelta di occuparsi di un esperto del Rinascimento fiorentino, lui così lontano da questo ambito di studi. Scriveva Pasquali: «Parrà strano che parli qui di Warburg non uno storico dell’arte, di quelli che gli furono amici sin dalla giovinezza prima, ma uno che di conoscenza di arte figurata e di Rinascimento non fa professione, un filologo scrio serio, uno studioso senza occhi» 4. La stranezza rivelata da Pasquali, che fosse un

filologo a ricostruire una biografia intellettuale di uno studioso del Rinascimento è poi rimbalzata, in tutti gli scritti che in qualche modo si sono occupati di accertare la diffusione del pensiero warburghiano in Italia, anche se è significativo il fatto che la giustificazione data dallo stesso Pasquali per questa ‘stravaganza’ sia passata completamente sotto silenzio. Riportiamo le parole del filologo: «Ma forse non è male che sia così. Warburg che in quel primo lavoro era partito da considerazioni stilistiche, non si era già allora acquietato, e non mostrò poi mai che io sappia tenerezze per problemi o tecnici o estetici puri, egli indagò sin da allora l’arte quale espressione di cultura» 47. La sua spiegazione non lascia dubbi. La

scelta di ricordare Warburg è dettata dal modus operandi dell’amburghese, dal suo considerare l’opera d’arte un documento storico. Non dobbiamo dimenticare che in quegli anni era ancora viva la polemica tra i difensori del cosiddetto ‘metodo storico’ e i sostenitori del cosidetto ‘metodo estetico’ e che Pasquali vi intervenne con molto impegno. La polemica era nata ad inizio Novecento con la pubblicazione dell’Estetica 4 di Benedetto Croce. Egli vi ridimensionava il valore

delle ricerche volte a ricostruire l’ambito storico culturale nel quale le opere erano nate. Escludeva inoltre categoricamente che l’opera d’arte potesse costituire un documento storico essendo frutto non della ragione ma della fantasia. A suo avviso questa tipologia di ricerche che di volta in volta definiva erudite, filologiche, storiche o anche storico-erudite avrebbe dovuto costituire soltanto la base,

seppur imprescindibile, su cui fondare il giudizio estetico. Compito ultimo del cri-

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

107

tico d’arte era però elevarsi alla genialità dell’artista al fine di poterne valutare la fantasia creatrice. La polemica era poi degenerata nel corso degli anni sino a spingersi alla strumentalizzazione fattane da Ettore Romagnoli in ambito filologico. Nel 1917 nel suo Minerva e lo scimmione 49 egli spostava sapientemente la disputa dal piano scientifico a quello politico, accusando i sostenitori del metodo filologico di germanofilia. Proprio contro questa tendenza estetizzante reagiva Pasquali combattendo sia una guerra pubblica che una battaglia privata. Nel 1920 veniva infatti pubblicato il suo scritto Filologia e Storia 50. In esso ribadiva con forza che l’uomo moderno non cerca nello studio dell’antichità soltanto un appagamento del senso estetico, il vero motivo è invece che l’uomo ha bisogno di sapere, di ricostruire storicamente il passato. In questo compito ci si può naturalmente servire delle opere d’arte. Scriveva Pasquali: L’uomo moderno, lo studioso moderno [...] tenta di rappresentarsi nel modo più adeguato possibile le condizioni sociali, giuridiche, economiche, religiose, la lingua, le consuetudini, la vita privata di età passate. E anche l’esteta in quanto uomo moderno, dovrà rassegnarsi al pensiero che i testi classici [...] siano studiati non solo quanto opere d’arte ma quali monumenti e documenti, quali fonti di informazioni sulle età passate 51.

Si è detto che Pasquali condusse inoltre una battaglia privata. Testimonianza ne è ad esempio la lettera del 18 maggio 1926 52 indirizzata a Giovanni Gentile nella quale il filologo esprimeva il disagio di lavorare alla stesura di alcune voci dell’Enciclopedia Italiana con studiosi così lontani da lui come Ettore Romagnoli. Così scrive: «Caro Prof. Gentile, a me pare che se nell’Enciclopedia non ci sarà all’interno dei singoli gruppi, una certa unità d’intenti, si corre pericolo che il tutto diventi un cesto, un vestito d’ Arlecchino; e mi domando come se io assumerò [...] l’articolo su Esiodo, io potrò rimandare all’articolo su Omero, se questo sarà scritto da Ettore Romagnoli. E mentre non avevo nulla in contrario a collaborare con il Calderini e il Taccone [...], mi sembrava assurdo lavorare insieme con il Romagnoli il quale dichiara candidamente che il solo ufficio della filologia è il tradurre...».

Il disagio è così forte che Pasquali cercherà anche di lasciare il nostro Paese. In una lettera durissima di Pasquali ad Ojetti, il filologo sosteneva di dover lasciare

l’Italia perché qui non erano in molti a comprendere il suo lavoro. La lettera rispondeva a una provocazione lanciata da Ojetti dalla pagina culturale del «Corriere della Sera» soltanto pochissimi giorni prima 53. Non sorprende che come meta del suo trasferimento Pasquali scegliesse Amburgo tra l’altro aiutato da un intellettuale legato all'Istituto Warburg: Erwin Panofsky. Così Panofsky nella lettera del primo dicembre del 1930 (lettera n. 4) 54 immaginava la permanenza di Pasquali ad Amburgo: «La Sua lettera mi fa sperare che presto potrò accoglierla ad Amburgo e non dubito che, se accetterà la chiamata, ci appresteremo a svolgere insieme un bel periodo di lavoro comune».

108

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Il trasferimento di Pasquali ad Amburgo non avenne mai, però l’opera di penetrazione delle tematiche warburghiane per mezzo del suo saggio troverà ancora una spinta grazie alla ripubblicazione delle Pagine stravaganti nel 1952. Anche in questa occasione la corrispondenza tra Pasquali e la Bing è preziosa. Scrivendogli per poterne avere una copia, la Bing riporta un giudizio che avvalora infatti quanto sin qui sostenuto: ossia che Warburg riscosse successo ben prima degli anni Sessanta tra gli intellettuali di ambito storico-erudito. Scriveva (lettera n. 5) 55 infatti la Bing: «Ho sentito dire che le sue Pagine stravaganti sono state pubblicate e come si dice hanno ‘trovato consenso tra gli eruditi’ poiché esse contengono il ritratto di Warburg». Un mese più tardi, avendo ricevuto il volume, la Bing scriveva al filologo per ringraziarlo. Nella lettera sottolineava il ruolo svolto da Pasquali nella penetrazione in Italia del lavoro warburghiano (lettera n. 6) 56: Gentile Professor Pasquali, l’aver ricevuto le sue Pagine stravaganti mi ha resa particolarmente felice, e la sua attraente testimonianza tedesca sulla vecchia biblioteca Warburg mi ha molto agitata. Mi ha resa piuttosto nostalgica, ciononostante è bene dire, che purtroppo ad Amburgo, come a Londra, ci sarebbe dovuto essere un centro culturale. Spero solo che anche qui, in un posto ben più modesto, non abbiamo fatto disonore a Warburg. Trovo molto bello che lei abbia illustrato nel suo libro, così tanti ritratti di uomini im-

portanti e che Warburg sia tra essi. Il nostro amico Giuseppe Billanovich il quale come lei sa, la stima molto, mi ha già detto nel suo modo gentile, che trova che lei ab-

bia dato tanto a tutta la sua generazione, in quanto ha ampiamente mostrato la visione di Warburg. i La ringrazio ancora e resto nella speranza Di rivederla ancora in occasione della mia prossima visita a Firenze

3. Arte allusiva, un’allusione a Warburg? Sino ad ora ci siamo limitati ad affrontare soltanto uno degli aspetti del fenomeno ricezione: la mediazione. Ne esiste un altro, altrettanto importante, ma più difficilmente verificabile, il processo di rielaborazione. È infatti lecito porsi questa domanda, quanta influenza esercitarono le tematiche affrontate da Warburg sul lavoro di Giorgio Pasquali? Proporrò nell’ottica di una possibile influenza una nuova lettura di un famoso scritto pasqualiano Arte allusiva 57 del 1942 pubblicato in L’/talia che scrive. In esso Pasquali introduceva l’originale concetto di'arte allusiva indicando con questa espressione il bisogno degli scrittori di tutti tempi di richiamarsi esplicitamente all’arte del passato. Si ribaltavano quindi i termini della lunga polemica sulle fonti. Se reminescenze e imitazioni su cui si era puntato il dito fino a quel momento potevano essere inconsapevoli o si desiderava sfuggissero al lettore, con le allusioni il poeta ‘ammiccava’ apertamente al passato. Scriveva Pasquali dopo nume-

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

109

rosi esempi tratti dalla letteratura contemporanea: «La poesia augustea è altrettanto e più letteraria che la poesia moderna. Quel procedimento (ossia l’allusione) è in essa non soltanto diffuso ma direi, essenziale. Anche se gli avvocati, medici,

preti che per secoli hanno letto a scuola Virgilio e Orazio [...], non se ne sono accorti, quei due poeti, per tacere dei minori, presuppongono che il lettore abbia in mente, anche

in particolari minuti, Omero

ed Esiodo, Apollonio

e Arato

e

Callimaco e chissà quanti altri alessandrini, dei Romani per lo meno Ennio e Lucrezio, ma anche i propri contemporanei» 58. I poeti alludendo agli scrittori antichi facevano quindi leva su una ‘memoria dotta’ 59 presupposta nel lettore. Nel corso dei secoli questo rifarsi all’antico sarebbe stato determinato secondo Pasquali dalla possibilità di dare movimento all’opera. Così scriveva: «Nelle arti figurative salta forse ancor meglio agli occhi quella che è caratteristica dell’allusione e la distingue da ogni riproduzione o imitazione povera di spiriti: la presenza del moderno in contrasto con l’antico o dentro l’antico, e quindi una certa tensione che dà movimento all’opera senza spezzarne l’unità» 0. Naturalmente il procedimento dell’allusione non era una prerogativa della letteratura ma era comune a tutte le arti. Interessante uno degli esempi proposti da Pasquali per dimostrarne l’esistenza anche in ambito figurativo. Scriveva il filologo: «allude il pittore quando su uno sfondo di gusto moderno dipinge una figura che arieggia i Veneti» 61. Pasquali si riferiva forse al celebre dipinto di Manet di cui si era occupato anche Warburg e a proposito del quale lo studioso amburghese aveva detto che i nuovi valori espressivi derivano non dalla rimozione, ma dalla sfumatura che apportano alla rielaborazione delle antiche forme? In quest'ottica diviene particolarmente significativo l’ultimo spunto teorico offerto da Pasquali in Arte Allusiva. Egli riflette sulla capacità degli scrittori di utilizzare forme poetiche antiche per esprimere contenuti nuovi. Notava per esempio

«che Orazio versa nell’otre vecchio (contenuti nuovi) senza che questo scoppi» 92. È forse azzardato riconoscere in queste considerazioni pasqualiane sul rapporto opera d’arte/tradizione un qualche debito nei confronti delle innovazioni introdotte dallo storico della cultura Aby Warburg? Non sarebbe difficile del resto rintracciare negli scritti warburghiani la radice del concetto di allusione formulato da Pasquali. Alludeva il Ghirlandaio quando «tra le imponenti dame della famiglia Tornabuoni» 63 inseriva una giovane fanciulla chiaramente ispirata ad una Nike antica, alludeva probabilmente il Botticelli quando realizzava la fanciulla spargente fiori così somigliante nel trattamento delle vesti alla Pomona degli Uffizi. Come non sarebbe difficile associare il concetto di inversione energetica delle Pathosformeln se pur semplificandolo e impoverendolo, al versare un contenuto nuovo in un otre vecchio.

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

SM Note 1 A. WARBURG, La rinascita del paganesimo antico, La Nuova Italia, Firenze, 1966.

2 E.H. GOMBRICH, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano, 1983, ristampata nel 2003 (ed. or. Aby Warburg. An Intellectual Biography,The Warburg Institute, London, 1970). 3 AA.VV. Storie di fantasmi per adulti,in «AUT-AUT», 199-200, gennaio-aprile 1984. 4 Ordinate cronologicamente (ammontano a oltre 150 unità) esse si collocano in un arco temporale compreso tra il 1893 e il 1966, date significative per chi si occupi di res warburghianae. La prima corrisponde alla data di pubblicazione dello scritto di argomento botticelliano dell’amburghese, la seconda è invece l’anno di edizione della traduzione italiana dei suoi scritti. Non sarà

difficile comprendere l’importanza di questa raccolta di recensioni per chi abbia familiarità con gli espistolari degli intellettuali del secolo scorso e conosca quindi il valore del ‘recensire’. Come sottolineava Benedetto Croce in Critica storica e critica estetica: «[...] l’uomo di studi sa che una recensione ben condotta vale meglio di una dissertazione o di un libro di grosse pretese». A cavallo tra Ottocento e Novecento la recensione si era trasformata da semplice elogio o riassunto del testo, in momento di discussione. La figura del recensore era diventata fondamentale nell’ambito di ogni rivista, al punto che spesso proprio i direttori delle testate si dedicavano alla rubrica bibliografica e al faticosissimo lavoro di spoglio dei periodici. Del resto, come sottolinea Giuseppe Giarizzo la recensione costruisce consapevolmente consenso attorno alle tesi del recensito, e soprattutto contribuisce a individuarlo come membro di una ‘scuola’, di uno schiera-

mento, di un partito. Di contro «non poche delle ‘stroncature’ rinviano a pratiche o decisioni uguali, seppur di segno contrario: scelte o espressioni di avversioni o antagonismi di scuola o di partito». In proposito si veda: La recensione. Origini, splendori e declino della critica storiografica, a cura di M. Mastrogregori, in «Storiografia», 1997; M. SANTORO — A. ORLANDI, Avviamento

alla bibliografia, Editrice Bibliografica, Milano, 2006, pp. 227-231. S P. VILLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, in Saggi di storia, di critica e di politica, Tipografia Cabour, Firenze, 1868. i 6 A. GRAF, Di una trattazione scientifica della storia letteraria. Prolusione al corso di letteratura italiana, letta nella R. Università di Torino addì 28 novembre 1877, Ermanno Loescher, Torino,

1877. 7P.VILLARI, La storia è una scienza?,in Scritti vari, Zanichelli, Bologna, 1912.

8 IDEM, La filosofia positiva..., cit. 9 F. MONTEROSSO, La critica letteraria nell’epoca del metodo storico, in «Cultura e scuola», XV, n. 57, 1976, pp. 5-14; D. ConsoLI, La Scuola Storica, La Scuola, Brescia, 1979; N. BOBBIO, Il

«Giornale Storico» e la cultura positivistica, in Cent'anni di Giornale Storico della Letteratura Italiana: Atti del Convegno (Torino 5-7 dicembre), a cura di E. Biagi, Loescher, Torino, 1985, pp. 6-8; C. DIoNISOTTI, Scuola Storica, in Dizionario critico della Letteratura Italiana, a cura di V. Branca, vol. IV, UTET, Torino, 1986, pp. 139-148. 10 Per una sua ‘biografia intellettuale’ si vedano: U. Bosco, Nota introduttiva, in Un cinquan-

tennio di studi sulla letteratura italiana (1886-1936), a cura della Società Filologica Italiana, vol. I, Sansoni, Firenze, 1937, pp.IX-XVI; G. TOFFANIN, La religione degli umanisti, Zanichelli, Bologna,

1950, pp. 229-256; AnoNIMO, Dizionario universale della letteratura contemporanea, vol. IV, s.l.

1962, ad vocem Rossi Vittorio, p. 216; A. ACCAME BOBBIO, Vittorio Rossi, in Letteratura Italiana. Critici, a cura di G. Grana, vol. III, Marzorati, Milano, 1969, p. 1717-1744; M. CHIESA, Vittorio Rossi e il «Giornale storico», in Cent'anni di Giornale Storico della Letteratura Italiana: Atti del Convegno (Torino 5-7 dicembre 1983), a cura di E. Biagi, Loescher, Torino 1985, pp. 214-236. 11 V. Rossi, Jl Quattrocento, Vallardi, Milano, 1898. 12 ANONIMO, Notizie, in «Archivio Storico Italiano», serie V, vol. 21, 1898, p.459;A.G., Notizie, | in«Archivio Storico Italiano», serie V, vol. 28, 1901, p. 432; C. RICCI, A. Warburg: Bildniskunst und

Florentinische Biirgertum. -I. Domenico Ghirlandaio in Santa Trinita; i ritratti di Lorenzo de’ Medici e dei suoi seguaci (Hermann Seeman, Leipzig), in «Rassegna d’arte», II, n. 5, 1902, p. 80;

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

G. FOGOLARI, A. Warburg: Bildniskunst und florentinische Biirgertum. Leipzig, Hermann Seemann, 1902, in «L'Arte», V, fasc. V-VI, 1902, p. 176; A. GIORGETTI, Notizie, in «Archivio Storico Italiano», serie V, vol. 29, 1902, pp. 424-425; V. Rossi, A. Warburg-Bildniskunst und florentisches Biirgertum .-I. Domenico Ghirlandaio in Santa Trinita. Die Bildinisse des Lorenzo de’ Medici und seiner Angehòrigen. -Leipzig, Verla von Hermann Seemann Nachfolger [1902], (4°, pp. 37, con cinque fototipie e sei figure nel testo), in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», XXI, vol. XLII, 1903, pp. 414-417; G. VoLPI, A. Warburg-Bildniskunst und florentisches Biirgertum. -I. Domenico Ghirlandaio in Santa Trinita. Die Bildinisse des Lorenzo de’ Medici und seiner Angehòrigen. Mit fiinf Lichtdrucken und sechs Textbilden. - Leipzig, Seemann, 1902-4°, p. 40, in «Archivio Storico Italiano», XXXII, 1903, pp. 214-217; E. CALZINI, Bibliografia (Toscana), in «Rassegna bibliografica dell’arte italiana», VII, n. 4-6, p. 109; ANONIMO, Aby

Warburg: Francesco Sassettis letzwillige Verfugung (Kunstwissenschaftliche Beitriige August Schmarsow gewidmet, pp. 129-152; Hiesermann, Leipzig, 1907), in «L'Arte», XI, 1908, pp. 159-160; R. RENIER, Cronaca, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», XXVI, vol. LI, 1908, p. 470; ANONIMO, Letture d’arte all’Istituto Germanico, in «La Nazione», 8 maggio 1914, p.4.

13 Lettera di Vittorio Rossi ad Aby Warburg del 14 settembre 1907, WIA, GC. 14 Lettera di Aby Warburg al padre, 3 agosto 1888, riportata da E.H. GOMBRICH, Aby Warburg..., cit., p.43. 15 A. WARBURG, La rinascita... cit., pp.8 n.1,35 n.3, 40 n.4,42 n.3,43 n. 5,44 n. 1,49 n. 3,124

n.3,188 n.2. 16 Ivi, pp. 133 n. 2,150 n.1.

17 Ivi, pp. 34 n. 2,37 n. 2,94 n.2,96 n.1,244 n.1; e in più si vedano le pp. 38 e 101. 18 Ivi, pp. 63 n. 1,94 n.2,270n.1.

19 Ivi, pp. 133 n. 2,150 n.1. 20 Atti del Congresso di Scienze Storiche (Roma 1-9 aprile 1903), Tipografia della R. Accademia dei Lincei, Roma, 1906. 21 G. RAVEGNANI, Arturo Farinelli, o della erudizione, in I contemporanei. Dal tramonto dell’Ottocento all’alba del Novecento, Bocca, Torino, 1930, pp. 243-251; A. MONTEVERDI, Ricordo di Arturo Farinelli, in «Cultura neolatina», VIII, 1948, pp. 265-266; F. SIMONE, Arturo Farinelli,in La letteratura italiana. I critici, vol. 2, Marzorati, Milano, 1969, pp. 1247-1256.

22 A. FARINELLI, Der Aufstieg der Seele bei Dante, in «Vortràge der Bibliothek Warburg», VIII, 1928-1929, pp. 191-213; trad. it. (con alcune modifiche) in «Nuova Antologia», serie VII, vol.

368, 1933, pp. 321-333; poi ripubblicato in A. FARINELLI, Attraverso la poesia e la vita. Saggi e discorsi, Nicola Zanichelli, Bologna, 1935, pp. 71-89. 23 Lettera di Fritz Saxl a Mario Praz, 1° agosto 1934, Archivio Praz, Roma. 24 E. PINTOR, Opere generali, sussidi bibliografici, riviste, in Un cinquantennio di studi di storia letteraria italiana (1886-1936). Saggi dedicati a Vittorio Rossi, G.C. Sansoni, Firenze, 1937, vol. I, p.34. 25 A. WARBURG — G. BING, Diario romano (1928-1929), Nino Aragno Editore, Torino, 2005.

26 Giuseppe Gabetti. Civico Museo archeologico Giuseppe Gabetti, Dogliani, 1998. 27 G. GABETTI, ad vocem Amburgo, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, vol. II, Roma 1929, p. 821.

28 Mos., Vortrige der Bibliothek Warburg herausgegeben von Fritz Saxl-II. «Vortràge», 19221923, I. Teil. Berlin, Leipzig, B. G. Teubner, 1924, p. 239, tav. 16, in «L'Arte», XXVIII, fasc. IV-V,

1925, p. 229. 29 V. M., Notiziario, in «La Cultura», n. s., III, fasc. I, 1923-1924, p.88. 30 ANONIMO, Recensioni, in «Bilychnis», XIII, tomo I, fasc. V, 1924, p. 387.

3! G. GENTILE, The Trascending of Time in History, in Philosophy and History. Essay Presented to Ernst Cassirer, a cura di R. Klibansky e H.J. Paton, Claredon Press, Oxford, 1936, pp. 91-105. 32 Ibidem. 33 Lettera di Klibansky a Gentile del 26/06/1934, Università «La Sapienza» di Roma, Fondazione Giovanni Gentile.

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

34 B. CROCE, Gli dèi antichi nella tradizione mitologica del Medio Evo del Rinascimento, in

«La Parola del Passato», I, fasc. III, 1946, pp. 273-285.

35 J SEZNEC, La survivance des dieux antiques. Essai sur le réle de la tradition mythologique dans l’humanisme et dans l’art de la Reinassance, in «Studies of the Warburg Institute», XI, 1940. 36 B. CROCE, Philosophy and History, in «La Critica», XXXVI, fasc. III, 1938, pp. 204-209. 37 G. PASQUALI, Ricordo di Aby Warburg,in «Pegaso», II, n. 4, 1930, pp. 484-495. 38 A. LA PENNA, Lo scrittore stravagante, in «Atene e Roma», IV, fasc. 2 (1952), pp. 225-236; E DELLA CORTE, Uomini del nostro tempo. Giorgio Pasquali, in «Giornale Italiano di Filologia», I, n. 2, 1948;T.BOLELLI, Umanità e storicismo di un maestro, in «Atene e Roma», II, fasc. 6 (1952),

pp. 201-211; G. DEVOTO, Ritratti critici di contemporanei, in «Belfagor», II, n. 2, 1953, pp. 172-184, pp. 150-158; Giorgio Pasquali, a cura di D. Pieraccioni, in «Quaderni dell’ Antologia Vieusseux», 3, 1986; L. CARRETTI, Per Giorgio Pasquali, in E. Montale (e altri), Morano, Napoli, 1987, pp. 203212; E. CINELLA, Pasquali e l’Enciclopedia Italiana, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie III, vol. XXI, fasc. 2, 1991, pp. 655-680; Giorgio Pasquali e la filologia classica del Novecento. Atti del Convegno

(Firenze-Pisa, 2-3 dicembre 1985), a cura di F Bornamm, Leo

Olschki, Firenze, 1998. Interessante l’esame svolto direttamente sui volumi posseduti da Giorgio Pasquali, oggi confluiti nelle collezioni della Biblioteca della Scuola Normale di Pisa. Nella raccolta libraria del filologo trovarono infatti posto oltre all’edizione degli scritti warburghiani del 1932 anche tre volumi degli «Studien» (i voll. IV, VII, VIII) e lo scritto di F. SAXL, Mithras: Typengeschichiliche Untersuchungen del 1931. Sfortunatamente i volumi non presentano dediche autografe. 39 G. PULLINI, Pegaso e Pan, Canova, Treviso, 1976.

40 Lettera di Giorgio Pasquali alla moglie del 2/06/1928, Firenze, Accademia della Crusca, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali.

41 Il reperimento e la trascrizione di questa lettera si legano al lavoro preparatorio per la pubblicazione a cura del dott.re Domenico De Martino delle lettere che Pasquali scrisse alla moglie nel corso del soggiorno a Kiel del 1928. 42 Lettera di Gertrud Bing a Giorgio Pasquali del 25/02/1930, Accademia della Crusca di Firenze, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali. 43 G. PASQUALI, Pagine stravaganti di un filologo, Carabba, Lanciano, 1933, pp. 67-92.

4 D. DE MARTINO, Preistoria editoriale delle ‘stravaganze’ di Giorgio Pasquali, in «Rivista di Filologia e di istruzione classica», vol. 123, fasc. 2, 1995, pp. 236-249. 45 L'Accademia Selinuntea di Scienze, Lettere, Arti di Mazzara del Vallo ed il Premio Selinon, Accademia Selinuntina editrice, Mazzara del Vallo, 1982; Byzantino-Sicula 3. Miscellanea di scrit-

ti in memoria di Bruno Lavagnini, Istituto di studi bizantini e neollenici Bruno Lavagnini, Palermo, 2000. 46 G. PASQUALI — A. WARBURG, in IDEM, Pagine stravaganti (Pagine stravaganti vecchie e nuove; Pagine meno stravaganti), a cura di C.F. Russo, Le Lettere, Firenze, 1994, vol. I, p.41. 47 Ibidem.

48 B. CROCE, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale: teoria e storia,

Laterza, Bari, 1902. 49 E. ROMAGNOLI, Minerva e lo scimmione, Zanichelli, Bologna, 1917.

50 G. PASQUALI, Filologia e storia, Felice Le Monnier, Firenze, 1998 (prima edizione 1920). 51 Ivi, p. 46. i 52 Lettera di Giorgio Pasquali a Giovanni Gentile 18 maggio 1926, Roma, Archivio storico l dell’Enciclopedia Italiana Treccani. 53 U. OJETTI, Un italiano all’Università di Amburgo, in «Corriere della Sera» del 9 gennaio 1931, p.3. 54 Tea di Erwin Panofsky a Giorgio Pasquali del 1/12/1930, Firenze, Accademia della Crusca, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali. 55 Lettera di Gertrud Bing a Giorgio Pasquali del 25/04/1952, Firenze, Accademia Crusca, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali. -

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

della

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S6 Lettera di Gertrud Bing a Giorgio Pasquali del 30/05/1952, Firenze, Accademia della Crusca, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali. 57 G. PASQUALI, Arte Allusiva, in «L'Italia che scrive», XXV, 1942, pp. 185-187; ripubblicato in G. PASQUALI, Pagine stravaganti..., cit., vol. II, pp. 275-282. 58 G. PASQUALI, Arte allusiva..., cit., p.275. 59 G.B. CONTE, Memoria dei poeti e arte allusiva, in IDEM, Memoria dei poeti e sistema lettera-

rio. Catullo, Virgilio, Ovidio, Lucano, Einaudi, Torino, 1974, pp. 5-14. 60 G. PASQUALI, Arte allusiva..., cit., p. 276. 61 Ivi, p.277. 62 Ibidem. 63 A. WARBURG, L'ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del primo Rinascimento, IDEM, La rinascita..., cit., p.299.

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Appendice Lettera "1 Fritz Saxl — Mario Praz; lettera dattiloscritta e firmata Archivio Praz di Roma, cartella Fritz Sax]

The Warburg Institute 3 Thames House Millbank London, S.W. I. Victoria 8786

1 Agosto 1934 Egregio Signor Praz, mille grazie per la sua cortese lettera e per la recensione degli scritti del nostro Warburg. Oggi una grande parte dei Tedeschi vedono già che grandissimo danno sia fatto alla loro reputazione nel estero, ma, ahimè, troppo tardi. La bibliografia è stampata ma non ancora pubblicata. Spero che nel autunno posso mandarle una copia. Con saluti cordiali Sono suo Saxl JI] mo Profre Praz, Palazzo Ricci, Via Giulia, Roma

Lettera 2 Il reperimento e la trascrizione di questa lettera si legano al lavoro preparatorio per la pubblicazione a cura del dott.re Domenico De Martino delle lettere che Pasquali scrisse alla moglie nel corso del soggiorno a Kiel del 1928. Accademia della Crusca di Firenze, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali

(5282) K[iel] 2 giugno 1928 Cara Maria,

sono di ritorno dal mio viaggio [a Amburgo, cioè Altona, ospite di Klingner] da ieri sera alle otto. Sarei stato senza preoccupazioni, se avessi ricevuto prima di partire da Kiel la tua lettera, che per una serie di contrattempi ebbi invece solo ieri l’altro a Weimar mandatami dalla attivisima signora Fraenkel, o almeno mi avessi inviato a [...] quel [...] del quale ti avevo pregato caldamente. Ma poco male, perché proprio in pena non sono stato mai, [...] la lett[era] mi abbia proprio levato la ultima spina dall’animo. Il viaggio fu [...], dal tempo sempre caldo e luminoso e che ha avuto la cortesia di aspettare, per ridiventare freddo e nuvoloso, il mio ritorno a Kiel [...] avrei forse veduto più di Amburgo [se non?] avessi dovuto accettare l’ospitalità di un collega, Klingner, che abita in un villaggio bellissimo [ma lontano?) tutto ville e parchi sull'estuario dell’Elba largo chilometri e chilometri e solcato continuamente dai trans-

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#IS

atlantici. Ma anche così ho veduto bene il vecchio centro, il porto, qualche quartiere signorile. La parte intorno ai [...] è ricchissimo [...] il giro in vapore per il porto, il terzo del mondo dopo New York e Londra, avrebbe fatto impressione a te più ancora che a me, come pensai subito. Nel centro accanto a vecchie case tedesche [: 8 ci sono ora i nuovi grattacieli, ma in forme architettoniche molto meditate e molto piacevoli. Credo che quando [...], t'interesseranno molto. I quartieri signorili [...] che le protegge, che non si vedono e pare di essere in aperta campagna. Credo che nessuna città nostra o straniera abbia tanti giardini. E l’insieme è molto, ma molto più piacevole che a Berlino. Che [...] in una città di più di un milione, [...] non tanto al movimento delle strade, minore che a Francoforte, quanto all’organizzazione dei trasporti; aerea, sotterranea come a Berlino, di più un tunnel sotto il porto. Passai una mattina con Snell, quello che pare un Inglese, che è assistente e privato docente, e con Sieveking, che insegna in una cittadina vicina ma era lì per le va-

canze, e da Snell mangiai dopo a mezzogiorno. Ha una bambina, Barbara. Una sera fui a sentire una conferenza di Vossler, sai? quello di Monaco che parla romanesco e tenne a Firenze una conferenza in italiano e dice ‘Basilea c’è da morì de pizzichi’ cognato dei Gnoli (mamma li conosce); fu molto sorpreso di trovarmi. Fui anche a pranzo dal milionario Warburg, lo studioso amburghese di medioevo italiano che ha regalato alla sua patria una splendida biblioteca di roba specie religiosa e specie italiana. È quello da cui dovevo andare il giorno che poi andai a Signa con te dai Gigliotti. Narrò come nell’ottobre aveva sostituito dinanzi a Or S. Michele il venditore di biglietti di lotteria, mentre era andato a spicciolare, e come un contadino non si era accorto ch’era uno straniero. Accanto a me avevo una bellissima signora, Viennese, con occhi meravigliosi [...], giudea, [...] bellezza, [...] età [...] di una grazia meravigliosa. A Weimar andai con i colleghi di Amburgo per la ‘Fachtagung’ che avviene ogni due anni, la riunione degli specialisti di filologia classica, una specie di Gottinga, ma più piccola: solo filologi classici, e solo gli universitari e pochissimi [medi] che si occupano per davvero di scienza. È per invito. E c'erano quasi tutti gli amici, e [null'altro che gli amici?]. Ho saputo là che ad Amburgo mi avevano due anni fa bell’e chiamato, ma che la Facoltà fu avvertita che il Ministero non voleva

far avere guai con l’Italia. Delle quattro conferenze che servivano di base alla discussioni le migliori furono quelle di Schadewaldt, sai? quello giovane giovane che ti tenne compagnia sul balcone mentre tu tenevi le gambe nascoste perché non avevi le scarpe, e di Curtius, venuto apposta da Roma. Curtius è intelligentissimo e sa di molte cose oltre che l’archeologia; ma anche lì si vide che voleva far figura. Pur troppo mancava Schwartz, che avrei volentieri ringraziato personalmente dell’accademia di Monaco. Il viaggio, salvo il treno, è stato a buon mercato perché ad Amburgo ho mangiato e alloggiato sempre gratis. Il mio ospite, Klingner mi faceva trovare persino i biglietti per la sotterranea, cosicché, quando sarà a Firenze, bisognerà fare lo stesso (Dimenticavo di dirti che con la moglie, giovane e carina [...] ma senza figli [...] e facevano cucina da sé. Così sa rifare il siciliano benissimo, racconta di un ‘professore di quinta e sesta elementare’ e rifà il verso al caffettiere: ‘Professore egreggio’), a Weimar per la camera, non bella, in un alberguccio ch’era un grande albergo al tempo di Goethe, spendevo tre marchi. Dunque sto [...] a denari. Anche dimenticavo di dirti che ad Amburgo fui, insieme con un italiano che è lì lettore, Meriggi,

amico di Devoto, a far visita [...] al console [...] Tammaro [...] filologo [...] e pei giornalisti; che sapeva [...] che voleva perfino invitarmi a [Cologna?], ciò che non potei accettare per mancanza di tempo, e che mi disse che subito dopo il [...] mi avrebbe mandato lo stipendio. [...] tra l’altro anche una lett[era] [...]

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Lettera 3 Gertrud Bing — Giorgio Pasquali; lettera dattiloscritta e firmata Accademia della Crusca di Firenze, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali KULTURWISSENSCHAFTLICHE

BIBLIOTHEK WARBURG

HAMBURG 20 HEIL WIGSTRABE 114/116 TELEPHONE: VULCAN 9239

Sehr verehrter Herr Professor! Haben Sie vielen Dank auch in Namen von Professor Saxl und Familie Warburg fiir Ihren sehr schònen Nachruf auf Warburg. Wir freuen uns, dass an offizieller Stelle in Italien etwas iiber ihn gesagt wird und nach Lektiire Ihres Aufsatzes bin ich auch fest iiberzeugt, dass sich kein Geeigneterer dazu finden kònnte als Sie und dass auch in Deutschland nichts Ernsthafteres und Feineres iber Wesen und Arbeit des Professor hitte gesagt werden kénnen. Ich habe auf Dr. Kriegbaums Wunsch an den Rand geschrieben, was mir bei der Lektiire eingefallen ist und bitte Sie, erstens das schlechte Italienisch zu entschuldigen und zweitens sich, wenn Sie keine Lust haben, in keiner Weise darum zu kiimmern.

Ich finde nicht, dass ich dem Aufsatz irgend etwas Wesentliches hàtte hinzufiigen kOnnen. Ich schicke Ihnen, etwas verspàtet, die Gedachtnisreden

und Nachrufe

auf

Warburg und griisse Sie in der Hoffnung, Sie im Frihjahr in Florenz wiederzusehen, einstweilen herzlich und nochmals danken

Ihre Herrn Professor G. Pasquali, Università,

Florenz

AMBURGO 20 HEIL WIGSTRASSE 114/116 TELEFONO: VULCAN 9239

Stimatissimo Professore! Riceva le mie congratulazioni anche a Nome del Professor Saxl e della famiglia Warburg per il suo bellissimo elogio funebre di Warburg. Siamo felici di sentire che in Italia si parli di lui in via ufficiale, e dopo aver letto il suo saggio mi stupisco che non abbia trovato lì alcun altro seguace come lei e che anche in Germania non sia stato detto nulla di serio ed esatto sull’essenza e sul lavoro del professore.

Ho

scritto in calce, dando

seguito

al desiderio

del Dottor

Kriegbaum, cosa mi ha colpito di più e la prego innanzitutto di perdonare il mio cattivo italiano e poi di non curarsi affatto di tali note, qualora non avesse voglia di leggerle. Penso che non ci sia alcuna necessità di aggiungere nulla di essenziale al suo saggio.

Mezzi e mediatori della diffusione-in Italia delle ricerche warburghiane

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Le invio, con un pò di ritardo, i discorsi commemorativi e gli elogi di Warburg e la saluto, sperando di rivederla a Firenze in primavera, intanto la ringrazio nuovamente e di cuore Sua Professor G. Pasquali, Università, Firenze

Lettera 4 Erwin Panofsky - Giorgio Pasquali; lettera dattiloscritta e firmata Accademia della Crusca di Firenze, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali KUNSTHISTORISCHES SEMINAR DER HAMBURGISCHEN UNIVERSITAT

HAMBURG, DEN. 1.12.1930

KUNSTALLE, GLOCKENGIESSERWALL TEL C 2,7500

Lieber Herr Pasquali! Nehmen Sie meinen herzlichsten Dank fiir Ihren freundlichen Brief vom 26. November, der leider etwas verspàtet in meine Hinde gekommen ist. Wie Sie sich denken k©nnen, freue ich mich ganz ausserordentlich, dass die Hochschulbehòrde Sie berufen hat, und mehr noch, dass Sie nicht abgeneigt zu

sein scheinen, diesem Rufe Folge zu geben. Ich gratuliere von Herzen Ihnen. Und uns. Ihr Schreiben gibt mir die Hoffnung, dass ich Sie in nàchster Zeit in Hamburg werde begriissen kònnen (hoffentlich finden Sie einen Abend Zeit, uns in unserer Behausung aufzusuchen), und ich zweifle nicht, dass uns, wenn Sie dem Hamburger Rufe folgen, eine Zeit schòner gemeinsamer Arbeit bevorsteht. Nur Ihren freundlichen Dank muss ich ehrlicherweise bis zu einem gewissen Grade ablehnen: Sie haben den Ruf durchaus nicht der Initiative irgendwelcher Einzelmitglieder der Fakultàt zu verdanken sondern durchaus Ihrer eigener Leistung und Ihrer eigenen Persònlichkeit! Mit nochmaligen herzlichen Gliickwiinschen (auch im Namen der Gesamtfakultàt, deren Dekan ich leider augenblicklich bin) und in der Hoffnung auf ein baldiges Wiedersehen bin ich Ihr stets ganz ergebener

SEMINARIO DI STORIA DELL'ARTE DELL'UNIVERSITÀ DI AMBURGO

AMBURGO 01/12/1930 . KUNSTHALLE, GLOCKENGIESSERWALL TEL C 2, 7500

Gentile Signor Pasquali! La ringrazio di cuore per la sua piacevole lettera del 26 novembre, che purtroppo mi è stata recapitata con un po” di ritardo. Come può ben immaginare, sono particolarmente felice che l’autorità accademica abbia scelto lei e lo sono ancor più

118

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

del fatto che penso che lei non si rifiuterà di dar seguito a questo invito. Mi congratulo con lei di vero cuore. E con noi. La Sua lettera mi fa sperare che presto potrò accoglierla ad Amburgo (magari troverà tempo una sera per venirci a trovare nella nostra dimora) e non dubito che, se accetterà la chiamata, ci appresteremo a svolgere insieme un bel periodo di lavoro comune. Devo però onestamente rifiutare in parte i Suoi ringraziamenti in quanto Lei è stato scelto non grazie all’iniziativa di un singolo membro della facoltà ma grazie al Suo ingegno e alla Sua personalità! Le porgo nuovamente le mie fervide congratulazioni (anche a nome di tutta la facoltà, della quale purtroppo al momento sono il decano) e resto nella speranza di rivederla presto,

a Lei devoto

Lettera 5 Gertrud Bing — Giorgio Pasquali; lettera dattiloscritta e firmata Accademia della Crusca di Firenze, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali UNIVERSITY OF LONDON THE WARBURG INSTITUTE IMPERIAL INSTITUTE BUILDINGS SOUTH KENSINGTON LONDON S. W. 7 TELEPHONE: KENSINGTON 9077 25. APRIL. 1952 Lieber, sehr verehrter Herr Professor Pasquali, Ich habe von Billanovich gehòrt, dass Ihre Pagine stravaganti nun erschienen sind und, wie er sich ausdriickte, sich dadurch ‘Allen Gelehrten verdient Gemacht? hattén, dass sie das Portrait von Warburg enthalten.

Darf ich die Bitte 4ussern, dass Sie dem Institut ein Exemplar Ihres Buches stiften? Wir wiirden uns sehr damit freuen. Wie ich Innen damals wohl schon schrieb,

habe ich mir das Bild von Warburg ausleihen miissen. Ich ware Ihnen daher sehr

dankbar, wenn.

Sie es von Ihrem Verleger zuriickfordern und an mich schicken wiirden.

Mit herzlichen Griissen Ihre

Professor Giorgio Pasquali, Lungarno Vespucci 4, Florenz

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

119

UNIVERSITÀ DI LONDRA

ISTITUTO WARBURG IMPERIAL INSTITUTE BUILDINGS SOUTH KENSINGTON LONDRA S. W. 7 TELEFONO: KENSINGTON 9077 25 APRILE 1952 Caro, stimatissimo Professor Pasquali,

Ho sentito dire da Billanovich che le sue Pagine stravaganti sono state pubblicate e, come si dice, hanno ‘trovato consenso tra gli eruditi’ poichè esse contengono il ritratto di Warburg. Le posso chiedere la cortesia di donare all’Istituto un esemplare del suo libro? Ne saremmo molto lieti. Come le ho già scritto in passato, ho dovuto dare in prestito il profilo di Warburg e le sarei molto grato se lei volesse richiederlo al suo editore e inviarmelo. La saluto di cuore Sua

Professor Giorgio Pasquali, Lungarno Vespucci 4, Florenz

Lettera 6 Gertrud Bing — Giorgio Pasquali; lettera dattiloscritta e firmata Accademia della Crusca di Firenze, Archivio Contemporaneo, Fondo Pasquali UNIVERSITY OF LONDON THE WARBURG INSTITUTE IMPERIAL INSTITUTE BUILDINGS SOUTH KENSINGTON LONDON S.W.7 TELEPHONE: KENSINGTON-9077 30.MAI.1952 Lieber Herr Professor Pasquali,

Ich habe mich ausserordentlich gefreut, Ihre Pagine stravaganti zu bekommen und war sehr geriihrt iiber Ihre reizende deutsche Widmung an die alte Bibliothek Warburg. Sie hat mich ganz sehnsichtig gemacht, aber immer Hin muss man ja sagen, dass es in Hamburg leichter war ein geistiges Zentrum zu sein als in London. Ich muss also hoffen, dass wir auf bescheidenerem Platz Warburg hier auch keine Unehre machen. Ich finde es sehr sch©n, dass Sie Ihr Buch mit so vielen Portraits bedeutender

Màinner illustriert haben und dass Warburg darunter ist. Unser Freund Giuseppe

120

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Billanovich der, wie Sie wissen, auch Sie sehr verehrt, hat in seiner netten Weise

mir schon gesagt, dass er fàinde, Sie hitten sich um seine ganze Generation ein grosses Verdienst erworben indem Sie ihnen gezeigt hitten wie Warburg aussah. Mit nochmaligem herlichen Dank wird in der Hoffnung. Sie bei meinem nàchsten Besuch in Florenz wiederzusehen Ihre

Professor Giorgio Pasquali, Lungarno Vespucci 4, Florenz

UNIVERSITÀ DI LONDRA

ISTITUTO WARBURG IMPERIAL ISTITUTE BUILDINGS SOUTH KENSINGTON LONDRA S.W.7 TELEFONO: KENSINGTON-9077 30 MAGGIO 1952

Gentile Professor Pasquali, l’aver ricevuto le sue Pagine stravaganti mi ha reso particolarmente felice, e la sua attraente testimonianza tedesca sulla vecchia biblioteca Warburg mi ha molto agitato. Mi ha reso piuttosto nostalgica, ciononostante è bene dire, che purtroppo ad Amburgo, come a Londra, ci sarebbe dovuto essere un centro culturale. Spero

solo che anche qui, in un posto ben più modesto, non abbiamo fatto disonore a Warburg. Trovo molto bello che lei abbia illustrato nel suo libro, così tanti ritratti di uo-

mini importanti e che Warburg sia tra essi. Il nostro amico Giuseppe Billanovich il quale come lei sa, la stima molto, mi ha già detto nel suo modo gentile, che trova

che lei abbia dato tanto a tutta la sua generazione, in quanto ha ampiamente mostrato la visione di Warburg. La ringrazio ancora e resto nella speranza Di rivederla ancora in occazione della mia prossima visita a Firenze Sua

Professor Giorgio Pasquali, Lungarno Vespucci 4, Florenz

Mezzi e mediatori della diffusione in Italia delle ricerche warburghiane

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Warburg e l’archeologia orientale Paolo Matthiae

Le valutazioni che qui si presentano su Aby Warburg e l’archeologia orientale sono considerazioni marginali su aspetti assai marginali da parte di uno studioso estremamente marginale. Le culture artistiche delle civiltà preclassiche dell'Oriente antico non entrarono, si può certo affermare, negli interessi e nelle attenzioni primarie di Warburg, se non per alcuni particolari aspetti culturali di quel millennio compreso tra Ciro il Grande e il Profeta Mohammed, a lungo trascurato dagli orientalisti, e per alcuni elementi marginali che, per riprendere ed estendere un’espressione di Fritz Saxl, si potrebbero definire di preistoria delle immagini !. Né questa marginalità è attenuata dai pochi appunti autografi di Warburg, del settembre 1928, poco prima della morte, in cui sono ricordati, ricalcando l’itinerario ideale delle peregrinazioni degli Ebrei dall’Oriente e dalla Terrasanta all’Europa centrale, attraverso la Spagna e l’Italia, i luoghi centrali della sua vita e dei suoi studi, che si addensano comprensibilmente, tra l’altro, su Amburgo, Bruges, Firenze,

Roma, ma includono Baghdad, probabilmente segnalata come atemporale e simbolico luogo di origine dell’astrologia 2. Così come in un altro foglio, forse stilato negli stessi giorni, in un suo personale percorso topografico-culturale, che aveva inizio ad Amsterdam, città d’origine della sua famiglia, le due puntate eccentriche

ed estreme sono l’una l’Arizona, ovviamente spiegabile per il noto viaggio di studio del 1896, e l'Oriente, meta singolare, indicata oltre Firenze, forse ancora con il pensiero rivolto alla remota origine dell’astrologia 3. È probabile che queste due superficiali annotazioni lascino trapelare la sensazione, più che la certezza, che un ruolo non secondario fosse stato svolto dall'Oriente più antico come origine lontanissima di non poche migrazioni di immagini. E, in effetti, l’unico contatto tematico forte che Warburg sembra aver avuto

con materiali figurativi delle civiltà dell'Oriente preclassico, e in particolare della Mesopotamia, è quello, iniziato nel 1903 per il tramite della monografia di Franz

Boll sulle conoscenze astrologiche ellenistiche e arabe medioevali, che riguarda l’astrologia da lui definita, in una lettera del 1928, assai significativamente «la psicologia dell’orientamento umano nel cosmo» 4. Questo contatto avrebbe avuto, come è ben noto, due successive tappe importanti, la prima nel 1912 in occasione

della famosa comunicazione sulle migrazioni e le reinterpretazioni delle figurazioni astrologiche al X Congresso Internazionale di Storia dell’ Arte di Roma, e la seconda a partire dal 1925, quando allestì il pannello 1 dell’ Atlante Mnemosyne sulla Proiezione del cosmo su una parte del corpo a scopo di pratiche profetiche

Warburg e l'archeologia orientale

123

(Fig. 1), in cui sono ricordate la Fede babilonese di Stato negli astri e la Pratica originaria orientale come premessa alla Rinascita delle antiche forme S. In questo pannello erano riprodotte una stele di Assurbanipal, il grande re assiro del VII secolo a.C. come edificatore con un paniere di mattoni sul capo, e due kKudurru, i cippi confinari votivi con iscrizioni di donazioni regali, dei re babilonesi Melishikhu II e Mardukzakirshumi

I,

con le ben note rappresentazioni astrali delle divinità della Babilonia, derivanti dall’identificazione di ogni divinità, tipica della cultura sacerdotale e scribale babilonese, da un lato, con un numero sacro e, dall’altro, con un cor-

Fig. | Aby Warburg, Mnemosyne, Atlante

Sinai

LA:

po celeste o una costellazione 9.

La difficoltà estrema di accesso alle fonti accadiche, le cui liste di divinità

con le equivalenze numerali e astrali, per non fare che un esempio, erano ancora edite in modo assai parziale, e la problematicità, a quei tempi, di una contestualizzazione storica di quel patrimonio di immagini preclassiche tennero certamente lontano Warburg dall’avventurarsi in un territorio culturale che doveva percepire, del tutto a ragione, come troppo incolto e impreparato alla possibilità di quegli impieghi critici incrociati, ripetuti e insistiti di documenti scritti e opere figurative, anche e soprattutto in generi distanti dalle realizzazioni della grande arte ufficiale, che gli erano ormai così familiari. È così che nell’Atlante le immagini preclassiche sono rimaste confinate in una sorta di preistoria senza tempo e senza contesto reali. Né ciò può veramente destare meraviglia, perché, ancora diversi decenni più tardi, questo rimaneva l’atteggiamento verso le espressioni artistiche delle civiltà dell'Oriente antico, anche delle maggiori personalità europee della stessa archeologia classica, che più erano impegnate in quegli stessi anni proprio nella storicizzazione appunto dell’arte classica, come Guido Kaschnitz Weinberg e Ranuccio Bianchi Bandinelli. Ciò nonostante, si può forse proporre che in quella definizione di una «fede di

Stato» della Babilonia, collegata alla «pratica originaria orientale» del vaticinio e della mantica Warburg presentisse, da indizi dispersi e scoordinati, in virtù della sua sensibilità acutissima agli indizi sotterranei e frammentari, quel circuito di comunicazione simbolica tra mondo umano e mondo divino, mediato dalla regalità come unico committente — «di Stato» dice infatti Warburg — per il tramite dei monumenti votivi regali appunto, così caratteristica della Mesopotamia antica, 124

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

ricostruito nelle sue forme dialettiche tra committenza, produzione e fruizione, divina ed umana, solo ben sette decenni più tardi7.

Proprio queste ricerche recenti, in particolare di chi parla, sulle intenzionalità della committenza e sulla cultura dei committenti stessi in rapporto alle opere e sulle finalità loro, non tanto singole ma sociali nel senso di un meccanismo, per dir

così, pienamente funzionante ed efficace di una cultura lontana, quella della Babilonia sumerica protodinastica e storica dapprima e paleobabilonese del grande Hammurabi e dei suoi successori più tardi, hanno seguito, senza dubbio, uno dei filoni innovativi degli studi warburghiani, ma non solo, sulla cultura delle com-

mittenze borghesi fiorentine 8. In estrema sintesi; il tema di questo tipo di indagine è la ricostruzione della ragione dell’erezione delle statue e delle stele votive nel mondo mesopotamico dell’età del Bronzo, prima dei rivoluzionari mutamenti dell’Assiria dell’Età del Ferro, quando statue e stele non venivano dedicate nei templi per commemorare, come spesso si dice oggi, bensì, come dicono più o meno esplicitamente le stesse iscrizioni votive regali sui monumenti, «per parlare agli dèi», per riferire cioè al mondo divino per quali ispirazioni il sovrano aveva operato, secondo quali modalità aveva realizzato i suoi progetti, quali risultati aveva conseguito con i suoi interventi nella sfera sociale, giuridica, militare, edile. In questo circuito di comunicazione particolarissimo, il mondo divino, se acco-

glieva la stele o la statua votiva nel suo tempio e la sua presenza veniva perpetuata dai successori con il consenso del tempio stesso, confermava e autenticava le pa-

role del re, se le respingeva, disapprovava, condannava e sconfessava quanto il re aveva affermato. I fedeli erano il polo silenzioso, di spettatore preoccupato e attento, di un vero sistema di comunicazione del mondo babilonese che si riteneva

solidamente efficace proprio per la fede di Stato negli astri e per le diffusissime, e oggi ben note, pratiche mantiche di comunicazione tra mondo divino e mondo umano dell’intuizione warburghiana9. Questa corrente di studi, che intende potenziare radicalmente la contestualizzazione e, di conseguenza, la storicizzazione delle opere artistiche nella Babilonia e ancor di più nella più tarda Assiria, che ha lasciato documentazione privilegiata per ampiezza sia figurativa che testuale, proprio sulla scia di Warburg rivolge la

più grande attenzione, da un lato, nell’ambito delle committenze, alle individualità fin nelle psicologie singole dei responsabili della creazione delle opere in relazione ai quadri istituzionali delle successive forme di regalità 10 e, dall’altro, nell’ambito delle produzioni, considera luoghi cruciali delle realizzazioni dove massimo era il rapporto con la committenza le sale del trono, così come altari e cappelle lo erano, particolarmente per Warburg, nella Firenze del primo Rinascimento !!. Ma se questi sono sviluppi indiretti, recenti e distanti dell’archeologia orientale, determinati, in parte almeno, dalle metodologie di Warburg, un’influenza diret-

ta e forte, che pure è rimasta singolarmente assai circoscritta nelle pratiche critiche della stessa archeologia orientale, è derivata ad essa appunto dal contatto intenso, ma troppo breve, della maggiore personalità dell’archeologia orientale del

Warburg e l'archeologia orientale

125

XX secolo con la grande istituzione accademica dell’Istituto Warburg di Londra. Dopo un efficace magistero accademico negli Stati Uniti e dopo una pluriennale, impegnata quanto fruttuosa, attività di archeologo militante nella Mesopotamia

orientale alla testa della memorabile Iraq Expedition dell’Oriental Institute di Chicago !2, infatti, Henri Frankfort, olandese, nato ad Amsterdam e ansioso di tor-

nare in Europa, fu chiamato nel 1951 ad assumere, ad un tempo, la cattedra di «Storia dell’antichità preclassica» all’Università di Londra e la successione di Fritz Saxl alla direzione dell’Istituto Warburg, negli stessi anni in cui Nikolaus Pevsner gli affidava i due volumi sull’Oriente antico e sull’Egitto antico nella prestigiosa «Pelikan History of Art» 13. Nell’intensa operosità scientifica di Frankfort degli ultimi anni della sua vita troppo precocemente interrotta, l’influenza più evidente da Warburg si ritrova in una conferenza, tenuta a Londra e rimasta a lungo inedita fino a quando pochi anni fa non è stata pubblicata in Italia, dal significativo titolo La sopravvivenza delle immagini preclassiche 14. Qui il grande studioso olandese affronta un tema che aveva già considerato in forma preliminare e succinta fin dal 1939 in uno dei suoi più classici saggi, quello tutt'oggi fondamentale e insuperato sulla glittica orientale antica, che potrebbe esser stato lo scritto che abbia attirato l’attenzione di Sax] su di lui 15. Benché con i ritmi concisi e rapidi di una conferenza Frankfort riusciva assai lucidamente a mettere in luce i tre periodi in cui dovevano essersi prodotte, a suo avviso, le migrazioni delle immagini, per lo più dalla Mesopotamia ma anche dalla Siria e dall’ Anatolia, al mondo greco-romano e al Medioevo europeo: dapprima, al passaggio dalla fase geometrica alla fase orientalizzante dello sviluppo artistico dell’Ellade con forte diffusione anche nel mondo etrusco e quindi nel Mediterraneo centrale, soprattutto agli inizi del VII secolo a.C.; quindi, nei secoli finali e immediatamente dopo la caduta dell’Impero romano, tra IV e VI secolo d.C., quando una «forma esagerata

di ornamentazione di origine animale» pervase lo stile decorativo barbarico nutrito delle rielaborazioni prevalentemente scitiche di motivi originari delle regioni soprattutto iraniche confinanti con la Mesopotamia, permettendo loro così di raggiungere l'Occidente; infine, nell’ Alto Medioevo, quando, particolarmente dal IX secolo d.C.,

la «tradizione orientale» degli ornati di antichissima creazione mesopotamica si sarebbe trasmessa al Medioevo europeo, per un lato nell’arte di Bisanzio attraverso elementi già fortemente ellenizzati e per un altro direttamente dalla Siria e dall’Egitto, per il tramite soprattutto di vasi persiani di metallo, di opere minori in avorio e di tessuti di seta 16. È questa una tematica che a più riprese aveva impegnato già, frammentariamente ed episodicamente, autorevoli storici dell’arte medioevale europea soprat-

tutto nel secondo quarto del Novecento e che aveva innescato dibattiti accesi per la definizione delle epoche dei passaggi, per l’identificazione dei tramiti, per l’interpretazione dei mutamenti dei significati. Ovviamente, le tesi avanzate con equilibrio ma con nettezza da Frankfort non reggono tutte ad un esame analitico dopo oltre mezzo secolo di studi, che peraltro non hanno raggiunto in alcun modo cer-

tezze d’assieme in nessuno dei tre periodi considerati.

126

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Ma ciò su cui si deve richiamare l’attenzione è l’impostazione del problema dichiarata da Frankfort e il tipo di argomentazione stilistica e culturale che viene messo in campo per superare lo stadio semplicemente iconografico in cui usualmente lo studio di quella tematica si era precedentemente arenato. La premessa di Impostazione viene così espressa: Il contributo del Vicino Oriente antico al patrimonio comune dell’arte occidentale si può riassumere, senza troppo discostarsi dalla verità, nella formula seguente: mentre l’Egitto ha inventato i motivi vegetali, la Mesopotamia ha assoggettato all’arte il regno animale. E questa conquista fu di duplice natura, l’una decorativa, l’altra immaginativa. In Mesopotamia per la prima volta le forme animali furono usate non per quello che rappresentavano, ma come pura ornamentazione. In secondo luogo, vennero creati esseri che non esistevano, ma che erano immaginati con tanto realismo da poter occupare un posto tra le immagini della natura, i quali hanno convinto generazioni di persone che non avevano nulla in comune con i loro creatori, se non l’accettazione di questi esseri mostruosi 17.

D'altro lato, per limitarsi al caso più antico di migrazione delle immagini, quello dell’orientalizzante, l’analisi di Frankfort è netta, quando afferma che «in luogo

delle scene concettuali astratte racchiuse in pannelli sui vasi geometrici troviamo fregi decorativi e gruppi antitetici», quando, come egli dice, «ben presto i vasi brulicarono di sfingi fenicie, tritoni, sirene, grifoni, chimere, centauri e ogni tipo di creature alate» e, più oltre, dove afferma che «i risultati non si limitarono all’ag-

giunta di alcune creature favolose al repertorio europeo, ma determinarono un rinnovamento della base formale dell’arte decorativa occidentale» 18. È chiaro che all’origine di queste pur concise considerazioni deve esser stata una non esplicitata riflessione sulla formula warburghiana dell’idea della convergenza tra materiale figurativo e definizione concettuale e ancora più una rielaborazione

degli elementi di teoria della ricezione che costellano gli scritti warburghiani. Il percorso seguito da Frankfort sembra che sia stato quello di trasferire i termini della problematica aperta da Warburg per il rapporto, per lo più diretto anche se talora tortuoso, tra immagini dell’antichità classica e immagini del primo Rinascimento ad una varietà di situazioni storiche, non solo complesse, ma anche documentariamen-

te oscure: come quelle dell’Età Orientalizzante, largamente sprovvista di pertinenti fonti scritte, della Tarda Antichità barbarica, già erede, nella sua concezione, di forme mesopotamiche e perimesopotamiche assai più antiche, e dell'Alto Medioevo,

quando pure le trasmissioni di immagini al Romanico europeo non potevano non scalarsi attraverso addirittura più di un passaggio storico dalle originarie produzioni di quella Mesopotamia creatrice di forme fantastiche straordinariamente naturali. Nell’articolazione delle ricostruzioni frankfortiane non v’è dubbio che abbia avuto una funzione importante la mediazione di alcuni studi di Saxl, con particolare riguardo a Continuità e variazione nel significato delle immagini del 1947, che a sua volta, e per così dire circolarmente, per l'Oriente antico, non a caso, è ispira-

to profondamente dal già citato brillantissimo e sistematico saggio di Frankfort sulla glittica orientale antica !9.

Warburg e l'archeologia orientale

127

Tuttavia, in tre ambiti almeno l’influsso o la suggestione di Warburg su Frankfort sembra diretta: in primo luogo, il settore della ricerca, scelto là dove i rapporti tra le culture figurative coinvolte sono sempre prolungatamente oscuri e

sotterranei, marcati da lunghe pause e da apparentemente incolmabili iati, nello spazio e nel tempo, con riemergenze inattese eppure indubitabili; in secondo luo-

go, le modalità della ricerca, selezionate là dove sono di necessità privilegiati generi artistici convenzionalmente considerati minori, usualmente trascurati dalla pratica critica accademica più tradizionale, con particolare riguardo significativamente proprio ai manufatti tessili, tra i quali arazzi e tappeti, ma anche apparati cerimoniali, hanno un ruolo privilegiato; in terzo luogo, l’approdo della ricerca, individuato là dove gli aspetti non formali e piuttosto di psicologia della percezione, in senso culturale e non puramente psicologico ovviamente, sono individuati come motivazioni per l’assunzione di certe immagini 20, Su quest’ultimo aspetto è illuminante quanto concisamente afferma Frankfort riguardo agli esseri mostruosi e alle composizioni fantastiche del mondo romanico di origine orientale: «Gli esseri creati dall’immaginazione orientale sono stati apprezzati nel Medioevo anche per ragioni non estetiche. Il tormentoso senso del peccato, il torbido immaginario sui poteri del male trovavano sollievo nell’impiego di forme già predisposte» 21. Un altro campo di indagini che nel finale periodo londinese della sua vita Frankfort sembra aver affrontato sotto l’influenza dell’apertura warburghiana alla psicologia e all’etnologia nella storia dell’arte è quello indicato dal suo breve studio su // concetto di archetipo nella psicologia analitica e nella storia delle religioni 2. Qui, dopo aver magistralmente tratteggiato caratteri della religiosità mesopotamica ed egiziana secondo la sua classica formula critica contrastiva tra le due grandi civiltà della Valle dei Due Fiumi e della Valle del Nilo, che era stata il fondamento di un suo recente e penetrante saggio sulla regalità e gli dèi, si pone il problema della validità del concetto stesso di archetipo in Jung e in Neumann, con, in questo caso, riferimenti espliciti, anche se apparentemente marginali, al Warburg dell’indagine etnologica del 1895 presso i Pueblo, al concetto di «memoria sociale» elaborato da Warburg e, riguardo al tema di Venere e Adone come erede del tema di Ishtar e Tammuz, al mondo rinascimentale che, egli dice, lo «co-

nobbe solo nella versione edulcorata di Ovidio». Le conclusioni dell’indagine sono, certo positivamente, condizionate da una prospettiva che è arricchita dall’accettazione dei contributi della psicologia e dell’etnologia, ma in chiave di storia della cultura e delle tradizioni culturali, in cui,

appunto, è la «memoria sociale» delle culture che è privilegiata sulla «memoria individuale» vincolata agli archetipi. I punti delle conclusioni sono ribaditi con lucidità: il repertorio delle immagini della mitologia è connesso ai problemi della comunità e non a quelli dei singoli individui; queste immagini divenivano operative in particolari momenti dell’anno considerati cruciali per la vita della comunità e non certo in relazione ad esigenze individuali intrapsichiche; il significato delle immagini della mitologia risiede nel loro contenuto manifesto, in quanto esse non.

128

Aby Warburg e la sua soprawivenza

esprimono contenuti dell’inconscio repressi o compensatori; le immagini della mitologia non possono essere considerate né universali né necessarie. Da ultimo, v’è una rivendicazione decisa della diversità e della specificità delle culture, al di là dei contributi unificanti forniti dal concetto di archetipo, la cui po-

sitività non sarebbe in un presunto, e in realtà negato, aiuto a comprendere il con-

tenuto di immagini e simboli, quanto piuttosto nel chiarimento della varietà dei sentimenti che li producono 23. Questa rivendicazione viene proclamata presentandola sotto antiche, o per meglio dire remote, spoglie, rievocando il celebre aneddoto di Ruth Benedict, allieva di Boas e di Cassirer, sulla saggezza di un capo indiano che le aveva raccontato che «agli inizi Dio diede a ciascun popolo la sua coppa d’argilla e da questa coppa essi bevvero la vita». Conclude poi Frankfort: «Molte coppe si somigliano tra loro, ma solo se arriveremo a conoscere le particolarità di ognuna potremo capire quanto fiele e quanto miele contengano» 24. Negli anni in cui approdava all’Istituto Warburg di Londra, orientando i suoi interessi di ricerca in una direzione che non è difficile intuire sarebbe divenuta con ogni probabilità prevalente se non fosse prematuramente scomparso nel 1954, Frankfort affrontava anche il tema del dio che muore, sotto le forme storiche di

Osiride in Egitto e di Tammuz in Mesopotamia, in un breve studio in cui menziona esplicitamente Warburg e Saxl a proposito del problema della «sopravvivenza delle forme culturali», come lui stesso lo definisce 25. Proprio questo stesso tema, in una prospettiva particolare, nei medesimi mesi veniva trattato dall’altra maggiore personalità dell’archeologia orientale del Novecento, Anton Moortgat, che sarebbe divenuto nei seguenti due decenni, dalla sua cattedra della Freie Universitàt di Berlino, l’indiscusso maestro della scuola archeologica tedesca. In questo saggio, intitolato appunto Tammuz e che ha per sottotitolo La fede nell’immortalità nell’arte figurativa orientale antica, una serie di elementi figurativi antichissimi del mondo mesopotamico sumerico, dall’albero della vita tra i capridi all’eroe che doma le fiere, dalla lotta del leone e del toro al banchetto e all’orche-

stra degli animali musicanti, sono seguiti nei loro contesti storici e nelle loro migrazioni nell’antichità preclassica, tra Mesopotamia, Siria ed Anatolia, seguendo il filo conduttore di quello che è definito appunto il «concetto figurativo» dell’immortalità 26. Anche se questo saggio è condotto, piuttosto singolarmente, senza alcun riferimento metodologico ad opere estranee agli studi sul Vicino Oriente antico, è indubbio che il motivo ispiratore del saggio è quello della trasmissione e della sopravvivenza delle immagini tra culture assai distanti temporalmente e spa-

zialmente, come la Mesopotamia protodinastica del III millennio a.C. e la Siria dei

principati luvii ed aramaici dell’Età del Ferro agliinizi del I millennio a.C., cui, tuttavia, si attribuisce un persistente significato ideologico che sarebbe rimasto sostanzialmente immutato 27. Malgrado questo silenzio, che in effetti potrebbe essere significativo, l’ipotesi che si presenta è che il saggio di Moortgat sia stato ispirato proprio dagli studi di

Warburg sulla sopravvivenza delle immagini, ma con una sorta di rovesciamento concettuale, che potrebbe esser stato — sembra difficile decidere in assenza di do-

Warburg e l'archeologia orientale

129

cumenti — tanto una rielaborazione di fondo di carattere teorico generale, quanto un adattamento pratico alle condizioni storiche della tematica prescelta. Nella tesi di Moortgat, infatti, contro la norma dei casi più classici di sopravvivenze indagati da Warburg, alla persistenza delle immagini, che vengono definite «transtemporali», corrisponde una persistenza di significato simbolico, che sembra potersi arricchire nel corso del tempo, ma sempre senza che venga abbandonato il nucleo concettuale di base. Quanto la concezione di fondo di Moortgat rappresenti un singolare ribaltamento della visione di Warburg si può percepire ancor meglio quando egli afferma, davvero bizzarramente, che i segni simbolici, come definisce queste immagini,

sopravvivono anche oltre la caduta di Ninive e la caduta di Babilonia, poco dopo la metà del VI secolo a.C., in quanto le «immagini simboliche della vita che si rinnova dalla morte» persistono anche in ambienti dichiaratamente segnati da nuove ed estranee

religiosità, come

la Persia achemenide, partica e sasanide, l'Asia

Minore frigia, la Corinto greca e, infine, la Palmira partico-araba. Gli esempi che si sono addotti degli studi, peraltro tutti ormai classici dell’archeologia orientale, di Frankfort e di Moortgat, che si collocano ambedue in breve lasso di tempo negli anni Quaranta, sembrano caratteristici di atteggiamenti, varii e perfino contrastanti, attraverso cui l’archeologia dell’Oriente antico reagì non tanto all’impostazione warburghiana della storia dell’arte, quanto piuttosto ad alcuni aspetti non secondari di quell’impostazione nell’ambito centrale della sopravvivenza delle immagini. Da un lato, da parte di Frankfort, una rielaborazione pragmatica in quella che definirei una linea ortodossa, che utilizzava criticamente anche gli

strumenti tipici della psicologia e dell’etnologia, e, dall’altro, da parte di Moortgat, una revisione sovversiva e idealistica che di fatto rovesciava i presupposti stessi dell’impostazione originaria, non tuttavia lungo percorsi influenzati da tendenze critiche formalistiche, bensì sul piano stesso del rapporto tra immagine e significato. Da ultimo, l’esigenza, autonoma sempre più forte, di contestualizzazione del patrimonio delle immagini nelle culture figurative del mondo della Mesopotamia antica e più particolarmente dell’ Assiria imperiale del I millennio a.C., si sta muovendo da alcuni anni, pur in studi ancora rari, su una linea di ricerca molto feconda, che si rivolge alla decifrazione dell’immagine figurativa e dei suoi movimenti

ed atteggiamenti espressivi come materia di studio non fondata su dubbi principi universali di carattere intuitivo dipendenti da generalizzazioni, ma incardinata

sull’identificazione, spesso ardua, della definizione testuale antica di quella determinata immagine in quel determinato momento storico 28, L'individuazione nel lessico e nella sintassi espressiva delle cancellerie soprattutto dei grandi sovrani d’Assiria di particolari immagini del re in uno o nell’altro particolare movimento svela spesso il significato, per nulla trasparente, delle immagini, che è strutturato nel linguaggio degli atteggiamenti, che, come è noto, non è universale, ma particolare, vincolato cioè alle singole culture.

Mi sembra si possa affermare che, da un lato, questo sofisticato impiego delle fonti scritte in vista di una ricerca di livello iconologico sulla struttura profonda

130

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

dell’immagine nelle culture figurative dell'Oriente antico, che si sta estendendo da

ultimo positivamente alle altre aree esterne al mondo mesopotamico, rispecchi proprio quell’intenso lavorio sugli strati più arcani e meno evidenti delle docu-

mentazioni scritte tipico del metodo di Warburg e che, dall’altro,

questo svelamen-

to di perduti significati e valori delle immagini predefinite, anche al di là di pur possibili, e in qualche caso sicure, loro sopravvivenze e migrazioni, non sia distante dalla problematica delle warburghiane Pathosformeln soprattutto per la rigorosa esigenza di un radicamento forte e solido dei significati delle immagini nel loro originario contesto culturale. Infine, per concludere, una considerazione marginale, come avevo premesso, e forse eccentrica, come non mi sarei aspettato di poter fare all’inizio di queste brevi riflessioni. Warburg ha sempre prediletto nelle sue fascinose indagini gli itinerari tortuosi, sotterranei, nascosti, certo inesplorati. Ho la sensazione che anche la

sua influenza sull’archeologia orientale abbia seguito, alla metà del Novecento, inaspettatamente nelle maggiori personalità della storia dell’arte dell’Oriente antico e, dopo qualche decennio, in pur ancora rari studi dei tempi più recenti, percorsi altrettanto tortuosi, sotterranei, nascosti. Ma, non per questo, poco effi-

caci e produttivi.

Warburg e l'archeologia orientale

131

B Note 1 Riguardo alle relativamente rare opere orientalistiche di rilevanza scientifica di cui, dalle ri-

costruzioni rese possibili dall’analisi della Biblioteca Warburg, Aby Warburg poteva avere conoscenza o familiarità, probabilmente agevolate dal rapporto personale con l’assiriologo Carl Bezold, si vedano F. SAXL, Die Bibliothek Warburg und ihr Ziel, in «Vortràge der Bibliothek

Warburg», I (1921), pp. 1-10 e soprattutto S. SETTIS, Warburg continuatus: descrizione di una biblioteca, in «Quaderni Storici», LVIII (1985), pp. 5-38. Sulle caratteristiche pratiche e sulla man-

canza di sistematicità nell’acquisizione di opere dell’iniziale Biblioteca Warburg e sulle sue vicissitudini fino all’acquisizione da parte dalla London University è utile la rapida memoria del 1943 di F.SAXL, La storia della Biblioteca Warburg (1886-1944), in E.H. GOMBRICH, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano, 1983 (ed. originale Warburg Institute, University of London, London, 1970), pp. 276-290. 2 G. Bing, Introduzione (ed. originale Aby M. Warburg, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» XXVIII [1965]), in A. WARBURG, La rinascita del paganesimo antico, La Nuova Italia, Firenze, 1966, pp. IX-XXXI. Si veda anche P. van HUIssTEDE, Der Mnemosyne-

Atlas. Ein Laboratorium der Bildgeschichte, in Aby M. Warburg. «Ekstatische Nymphe... trauender Flussgott». Portrait eines Gelehrten, a cura di R. Galitz, B. Reimers, Délling und Galitz, Hamburg, 1995, pp. 130-171. 3F.SAXL, La visita di Warburg nel Nuovo Messico (ed. originale Warburg's Visit to New Mexico, in Lectures, I,The Warburg Institute, London, 1957, pp. 325-333), in «AUT-AUT», CIC-CC (1984), pp. 10-16: il valore fondante dell’esperienza di Warburg nel New Mexico è delineato in maniera sinteticamente efficace da Saxl come la scoperta che l’esperienza razionale e quella magica sono due «ambiti di fatti» presenti nella coscienza sia degli uomini del Rinascimento toscano che degli Indiani Pueblo, mentre, più in generale, come ha precisato R. BARTHES, Giovani ricercatori, in

Il brusio della lingua, Einaudi, Torino, 1988, p.35, un più ampio valore ebbe quell’esperienza nella cultura europea per mettere a punto un’interdisciplinarietà sostanziale consistente «nel creare un nuovo oggetto che non appartiene a nessuno» (cioè a nessuna delle discipline tradizionali). 4 F. BOLL, Sphaera. Neue griechische Texte und Untersuchungen zur Geschichte der Sternbilder, Teubner, Leipzig, 1903. M. GHELARDI, Aby Warburg e Franz Boll: un’amicizia stella-

re,in Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dèi, a cura di M. Bertozzi, Panini, Ferrara, 2002, pp. 141-152. Un momento importante nell’incontro di Warburg con l’orientalismo accademico tedesco, al di là dello stretto rapporto largamente documentato dagli scambi epistolari con F. Boll (per i quali si veda D. MCEwWAN, Ausreiten der Ecken. Die Aby Warburg — Fritz Saxl Korrespondenz 1910 bis 1919, Dòlling und Galitz, Hamburg, 1998), e in particolare con gli assiriologi impegnati nello studio delle fonti originali accadiche e sumeriche della Mesopotamia più antica sui testi astronomici e astrologici del mondo preclassico, deve esser stato l’invito rivolto dallo stesso Warburg a F. Boll e a C. Bezold a tenere ad Amburgo nell’estate del 1913 una conferenza sulla storia, intesa chiaramente come le origini, dell’astrologia: C. Bezold è l’autore di un autorevole, e per i tempi (1926), esauriente, dizionario della lingua accadica. Per una ricostruzione parziale di questi rapporti si veda anche M. GHELARDI, Introduzione, in F BOLL — C. BEZOLD, Interpretazione e fede negli astri. Storia e carattere dell’astrologia (trad. it. di Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen der Astrologie, Leipzig-Berlin, 1917 [vedi edizione aggiornata da W. Gundel, 1966]), Sillabe, Livorno, 1999, pp. 7-23. Oggi sull’astrologia mesopotamica si veda F. ROCHBERG, The Heavenly Writing. Divination, Horoscopy, and Astronomy in Mesopotamian Culture, University Press, Cambridge, 2004.

° K. Mazzucco, II Introduzione all’Atlante della memoria, 3. / pannelli di Mnemosyne, in K.W. FORSTER — K. Mazzucco, Introduzione ad Aby Warburg e all’Atlante della memoria,

Bruno Mondadori, Milano, 2002, pp. 89-90. 6 Nella didascalia del pannello la stele rappresentata di Assurbanipal del British Museum è

attribuita, abbastanza inspiegabilmente, ad Assurnasirpal II, un altro grande sovrano assiro della

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

prima metà del IX secolo a.C., di cui non si conosce alcuna rappresentazione con la tipica iconografia del VII secolo a.C. del re costruttore con il paniere dei mattoni sul capo, nota solo per Asarhaddon e per suo figlio Assurbanipal. I cosiddetti kudurru d’età cassita e neobabilonese, categoria monumentale cui appartengono sia il cippo del re cassita Melishikhu II vissuto agli inizi del XII secolo a.C., sia quello del neobabilonese Mardukzakirshumi I del terzo yuarto del IX secolo a.C. sono l’oggetto di una recente monografia importante: K.F SLANSKI, The Babylonian Entitlement narùs (kudurrus). A Study in Their Form and Function, American Schools of Oriental Research, Boston, 2003.

? E questa la tematica, in una visione di sistema, affrontata in vari aspetti da P. MATTHIAE, Il sovrano e l’opera. Arte e potere nella Mesopotamia antica, Laterza, Roma-Bari, 1994; tutta la

produzione artistica di committenza regale della Mesopotamia tardo-protodinastica, neosumerica e paleobabilonese tra la metà del III e la metà del IT millennio a.C. è l’espressione di una co-

municazione simbolica particolarissima tra il sovrano, vicario del dio, e il mondo divino, che di-

pende proprio, al livello di «fede di Stato» appunto come si esprimeva Warburg, dalla precedente e fondante comunicazione mantica o onirica tra dio e sovrano: il dio ordinava, attraverso il sogno o il vaticinio, l'esecuzione di imprese nella sfera sociale, edile, militare per la conservazione del-

l'ordine cosmico fondato all’origine dei tempi e, compiute queste opere — editti, costruzioni, guerre — il sovrano presentava le opere stesse, attraverso stele o statue votive dedicate nei templi, agli dèi, che potevano accettarle o respingerle. Alcuni elementi di questo genere di comunicazione erano stati intuiti da H. FRANKFORT, Kingship and the Gods. A Study of Ancient Near Eastern Religion as the Integration of Society and Nature, The University of Chicago Press, Chicago, 1948. 8 A. WARBURG, Arte del ritratto e borghesia fiorentina: Domenico Ghirlandaio in Santa Trinita: I ritratti di Lorenzo de’ Medici e dei suoi famigliari (ed. originale Bildniskunst und Florentinische Biirgertum. Domenico Ghirlandaio in Santa Trinita: Die Bildnisse des Lorenzo de’ Medici und seiner Angehòrigen, H.Seemann, Leipzig, 1902), in La rinascita..., cit., pp.109-156. Le impostazioni recenti sulla dialettica tra committenza e produzione artistica e tra immagini e programmi politici e ideologici, in particolare, di FE HASKELL, History and Its Images: Art and the Interpretation of the Past, Yale University Press, New Haven-London, 1993 hanno poi avuto par-

ticolare influenza sulla concezione del saggio di chi scrive citato alla nota precedente. 9 L’organicità e l’equilibrio del rapporto tra mondo divino ed umano, mediato e interpretato dal sovrano nell’ambito pressoché esclusivamente templare, si rompe nella seconda metà del II millennio a.C. nell’area mesopotamica, in particolare in Assiria, preparando la rivoluzionaria innovazione del rilievo storico (P. MATTHIAE, L’arte degli Assiri. Cultura e forma del rilievo storico, Laterza, Roma-Bari, 1996) realizzato esclusivamente nei palazzi regali d’Assiria, che, attraverso la raffigurazione delle gesta, prevalentemente ma non soltanto belliche, del sovrano esprimono con straordinaria efficacia le posizioni ideologiche e politiche dei singoli re: P. MATTHIAE, Ideologia e politica della regalità nell’Assiria da Sargon II a Assurbanipal: l'evidenza dell’arte monumentale,in Regalità e forme di potere nel Mediterraneo antico, a cura P.Scarpi, M. Tago, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Padova, 6-7 febbraio 2004, S.A.R.G.O.N., Padova, 2007, pp.

49-90. Questa problematica sarà affrontata nel saggio di prossima pubblicazione di P.MATTHIAE, La rappresentazione del dominio. Arte e pubblico nell’impero assiro, in preparazione. 10 In questa prospettiva un particolare interesse riveste la personalità del sargonide Asarhaddon (680-668 a.C.), figlio di Sennacherib e nipote di Sargon II, di cui si sono ripetutamente ipotizzate sofferenze psichiche che potrebbero esser state all’origine della sua ansiosa e convulsa pratica di consultazioni oracolari, apparentemente nettamente superiore alla norma, certo in connessione con le assolutamente eccezionali morti violente, del tutto insolite, del padre, ucciso in

una congiura di palazzo, e del nonno, morto in battaglia senza che il suo corpo fosse recuperato per un’onorata sepoltura, da lui molto probabilmente messe in relazione alla presumibile ira divina per la radicale e spietata distruzione di Babilonia da parte del primo e per l’arbitraria costruzione della sua nuova capitale di Dur Sharrukin ad opera del secondo: J. ARO, Remarks on the Practice of Extispicy in the Time of Esarhaddon and Assurbanipal, in La divination en Mésopotamie ancienne et dans les régions voisines, XIV* Rencontre Assyriologique Internazionale, Strasbourg, 2-6 juillet

Warburg e l'archeologia orientale

133

1965, Presses Universitaires de France, Paris, 1966, pp. 109-117; A.L. OPPENHEIM, Divination and Celestial Observation in the Last Assyrian Empire, in «Centaurus» XIV (1969), PP: 97-115. In particolare sulla personalità di Asarhaddon si veda W. von SODEN, Assarhaddon. Uberblichkeit und Angst, in Herrscher im Alten Orient, Springer, Berlin, 1954, pp. 118-126 e le considerazioni di

P.MATTHIAE, Il sovrano e l’opera..., cit., pp. 151-154. 11 IJ. WINTER, The Program of the Throne Room of Assurnasirpal II, in Essays on Near The Eastern Art and Archaeology in Honor of Ch.K. Wilkinson, a cura di P.O. Harper, H. Pittman, Metropolitan Museum of Art, New York, 1983, pp. 15-31; JM. RUSSELL, Bulls for the Palace and

Order in the Empire: The Sculptural Program of Sennacherib'’s Court VI at Nineveh, in «The Art Bulletin», LIX (1987), pp. 520-539; P. MATTHIAE, Realtà storica e livelli di lettura nei rilievi narrativi di Assurnasirpal II a Nimrud, in «Scienze dell’Antichità», II (1988), pp. 347-376; H. PITTMAN, The White Obelisk and the Problem of Historical Narrative in the Art of Assyria, in «The Art Bulletin», LKXVIII (1996), pp. 334-355; JM. RussELL, The Program of the Palace of Assurnasirpal II: Issues in the Research and Presentation of Assyrian Art,in «American Journal of Archaeology», CII (1998), pp. 655-715. 12 La personalità di Frankfort, malgrado il non lungo magistero accademico, è stata incisiva e influente come quella di nessun altro archeologo orientale nel Novecento, anche per l’indubbia e sensibile incidenza su di lui della filosofia delle forme simboliche di Ernst Cassirer, in almeno

quattro direttrici fondamentali di ricerca: in primo luogo, la definizione della cronologia del Periodo Protodinastico della Mesopotamia sulla base dei risultati della Iraq Expedition nei siti della valle del fiume Diyalah elaborata nei seminari di Chicago; in secondo luogo, l’interpretazione storica dei dati archeologici, realizzata con straordinaria maestria sia nelle analisi puntuali, sia

nelle sintesi (si veda H. FRANKFORT — H. GROENEWEGEN-FRANKFORT — JA.WILSON — TH. JACOBSEN — W.A. IRWIN, La filosofia prima dei Greci. Concezioni del mondo in Mesopotamia, nell’antico Egitto e presso gli Ebrei [ed. originale The Intellectual Adventure ofAncient Man. An Essay on Speculative Thought in the Ancient Near East, The University of Chicago Press, Chicago, 1946], Einaudi, Torino, 1963); in terzo luogo, la classificazione storico-culturale e l’interpretazione reli-

gioso-ideologica della glittica cilindrica dell’Oriente antico, che dalla sua opera fondamentale del 1939 (vedi nota 16), ha subito relativamente poche revisioni rispetto all’ampiezza della visione frankfortiana; da ultimo, l’analisi, sulla scia di Warburg ma forse soprattutto di Saxl, della storia delle immagini e del rapporto tra culture figurative dell'Oriente antico e mondo medioevale occidentale. Su vari aspetti della storia dell’archeologia orientale e sulle problematiche della disciplina si veda ora P.MATTHIAE, Prima lezione di archeologia orientale, Laterza, Roma-Bari, 2006.

13 Di grande interesse sono i documenti epistolari giovanili di Frankfort, per lo più appartenenti al suo soggiorno iniziale a Chicago della peraltro non breve e assai fruttuosa permanenza negli Stati Uniti, raccolti in «Hans» Frankfort's Earlier Years, Based on His Letters to «Braun»

van Regteren Altena, a cura di M.N. van Loon, Nederlands Instituut voor het Nabije Oosten, Leiden, 1995, che illuminano in particolare, da un lato, sulla precocissima sensibilità alle problematiche storiche dello studioso in formazione e, dall’altro, sul singolare, ma comprensibile, impatto della cultura americana su un giovane intellettuale di radicata tradizione europea. Un profilo dell’itinerario scientifico ed accademico di Frankfort è delineato da P. MATTHIAE, Introduzione, in H. FRANKFORT,

Il dio che muore.

Mito e cultura nel mondo

preclassico

(Lezioni 3), La Nuova Italia, Firenze, 1992, pp. VI-XXI. Dei due volumi della «Pelikan History of Art» Frankfort riuscì a scrivere solo The Art and Architecture of the Ancient Orient, Penguin Books, Harmondsworth, 1954, apparso postumo (e successivamente ripubblicato in molte ristampe della Yale University Press) con un breve e commosso ricordo di N. Pevsner, mentre la

sintesi sull’arte dell’antico Egitto fu poi affidata a W. Stevenson Smith. 14 H. FRANKFORT, // dio che muore..., cit., pp. 91-102. Che la linea di ricerca seguita da Frankfort sia essenzialmente quella dei saggi esemplificati dalla raccolta di saggi, tradotti in ita-

liano nell’edizione laterziana, di F SAXL, La storia delle immagini, Laterza, Roma-Bari, 1983 è

reso chiaro da una citazione di Warburg e di Saxl dello stesso Autore nella conferenza su 7/ concetto di archetipo nella psicologia analitica e nella storia delle religioni, pubblicata in

134

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

H. FRANKFORT, // dio che muore..., cit., pp. 47-49. È possibile, ma il tema dovrebbe essere approfondito, che Frankfort, nello studio di quella che potrebbe definirsi la «preistoria» orientale delle immagini, abbia partecipato (adattandole a caratteristiche che infatti riteneva strutturali delle culture figurative egiziana, mesopotamia e centroasiatica) di posizioni tipicamente warburghiane, come la considerazione che il potenziale energetico delle immagini e il loro spessore simbolico siano stati il patrimonio che ha consentito la revitalizzazione di certe immagini nel Rinascimento, secondo le valutazioni recentemente espresse in dettaglio da E. TAVANI, Profilo di un Atlante: il cerchio e l’ellissi. Note sul «Bilderatlas» di Aby Warburg, in C. CIERI VIA — P. MONTANI, Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, Nino Aragno Editore, Torino, 2004, pp. 147-199. 15 H. FRANKFORT, Cylinder Seals. A Documentary Essay on the Art and Religion of the Ancient Near East, Macmillan and Co., London, 1939. L’eccezionale importanza negli studi d’archeologia orientale di questo saggio di Frankfort non è soltanto nell’assai valida classificazione cronologica di un materiale archeologico sterminato e disperso, dominato con una conoscenza approfondita quasi in ogni settore areale, che resiste con necessari aggiustamenti minori, con l’eccezione delle produzioni dell’area siriana, a distanza di oltre sessanta anni, ma soprattutto nella capacità di utilizzare questa amplissima documentazione per la ricostruzione ideologica e religiosa di intere fasi della storia culturale della Mesopotamia. In questo senso è impressionante la distanza dall’altra, quasi contemporanea e anch'essa assai importante, opera critica fondante per lo studio scientifico della glittica orientale antica, basata principalmente sulle collezioni del Vorderasiatisches Museum di Berlino, di A. MOORTGAT, Vorderasiatische Rollsiegel, Gebr. Mann

Verlag, Berlin, 1940. 16 Rispetto a opere

classiche

su questa

tematica,

quali il pionieristico

saggio di

J. BALTRUSAITIS, Art sumérien, art roman, Leroux, Paris, 1934, l'impostazione di Frankfort, pur

nello spazio ridotto di una conferenza, è segnata da un forte senso storico per cui ogni fenomeno, per enigmatico che possa apparire, è razionalizzato e storicizzato entro un quadro ricostruttivo sempre lucido e definito. 17 H. FRANKFORT, // dio che muore... cit., p.91.Il richiamo insistente di Frankfort, che pure in

questi casi non cita mai Warburg, alla tensione delle forme naturali che sarebbe tipica delle immagini mesopotamiche accolte nel mondo medioevale europeo sembra riecheggiare, in un ambito diverso ma concettualmente in una prospettiva parallela, l’idea del modello antico ripreso in quanto gesto e movimento eloquente elaborato in felici formulazioni stilistiche e formali, che sono all’origine di quella «corrente patetica» che ha consentito la rinascenza «anticheggiante» del primo Rinascimento fiorentino: S. SETTIS, Pathos und Ethos. Morphologie und Funktion, in Vortrige aus dem Warburg-Haus, a cura di W. Kemp et alii, I, Akademie-Verlag, Berlin, 1997, pp. 31-73. Ancora una volta oggetto di approfondimento dovrebbe essere questa intuizione di Frankfort che potrebbe essere connessa alla famosa esigenza di «distanza» delle immagini simboliche che fin dagli inizi (1896) delle sue riflessioni Warburg pose come condizione della trasmissione delle Parhosformeln tra dinamismo della realtà e staticità della regola: C. CIERI VIA, Aby Warburg. Il concetto di Pathosformel fra religione, arte e scienza, in Aby Warburg e le metamorfosi..., cit., pp. 114-133. 18 H. FRANKFORT, Il dio che muore..., cit., pp. 94-95. Le considerazioni finali (p.102), di una sinteticità in qualche modo apodittica, sono esemplari della sicurezza di giudizio che l'Autore mostrava ricorrendo a formule interpretative sempre piuttosto perentorie, che erano caratterizzate dall’inserirsi in una visione storica priva di incertezze: è così quando all’arte mesopotamica viene attribuita una posizione di equilibrio tra il «naturalismo egiziano» e l’«astrazione centroasiatica», posizione che si caratterizza per gli elementi di tensione e di equilibrio presenti nelle creazioni zoomorfe proprie di quel mondo, nei quali sarebbe il segreto della vitalità dell’ornamentazione mesopotamica che avrebbe permesso «ringiovanimenti nelle tecniche ornamentali europee». 19 F. SAXL, Continuity and Variation in the Meaning of Images, in Lectures, I, The Warburg Institute, London, 1957, pp. 1-12. Una fondata critica di questo peraltro importante contributo di Saxl a un’interpretazione, ritenuta giustamente semplicistica, delle problematiche elaborazioni di Warburg sulle sopravvivenze e le rinascenze, rivisitate alla luce degli archetipi junghiani si tro-

Warburg e l'archeologia orientale

135

va in G. DIDI-HUBERMAN, L’image survivante. Histoire de l’art et temps des fantòmes, Les Editions de Minuit, Paris, 2002, pp. 275-277: secondo questo Autore, nella ricostruzione, apparentemente sistematica, di Saxl, l’estrema varietà delle «poliritmie, impurità, discontinuità» warburghiane darebbe luogo a un giuoco di «continuità e variazione» in cui le «inversioni dinamiche», che com-

portavano ovviamente discontinuità di significato, si semplificano riducendo le sopravvivenze all’archetipo, che diverrebbe il versante atemporale della «continuità», e le rinascite a versante storico della «variazione». Di contro al rilievo dato da Saxl alle teorie junghiane, considerato peraltro criticamente da H. FRANKFORT, // dio che muore...,cit., pp.67-69, è stato osservato giustamente da E.H. GOMBRICH, Aby Warburg..., cit., p. 244, che Jung non è mai citato, anche negli scritti inediti, da Warburg, che, inoltre, non voleva neppure sentire parlare di Freud, mentre assai dub-

bia appare l’affermazione dello stesso Gombrich, ibidem, che «il punto di vista di Jung non era certo molto lontano dal suo [di Warburg]». 20 Benché, per quanto mi consti, non risulti in alcuna opera di Frankfort alcuna citazione di E. Panofsky, mentre appare indubbia una sua non episodica familiarità almeno con non poche opere pubblicate di Warburg e forse anche con non pochi significativi suoi inediti soprattutto per la mediazione a Londra di G. Bing, sembra che, verosimilmente per l’influenza teorica dell’unità

della forma simbolica sostenuta da Cassirer, Frankfort, tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta, sia stato più vicino alla classica impostazione iconologica di Panofsky di definire i significati delle immagini piuttosto che di limitarsi a seguire la loro vita e le loro sopravvivenze, malgrado le maggiori difficoltà frapposte dalla limitata documentazione, soprattutto scritta, dell’Oriente antico: interpretare i contenuti e i temi figurativi al di là della loro espressione piuttosto che cercare di comprenderne, warburghianamente, il «valore espressivo». Tuttavia, è possibile che in Frankfort, forse con una non piena coscienza critica del problema, si debba avvertire un’oscillazione tra quella che è stata definita la riduzione panofskyana dei «sintomi particolari» a simboli e l’impegno di Warburg a rivelare nell’unità apparente dei simboli la loro strutturale polisemia: G. DIDI-HUBERMAN, L’image survivante..., cit., pp. 492-494. 21 H. FRANKFORT, // dio che muore..., cit., p. 100. Tuttavia, poco oltre, nella conclusione della

stessa conferenza Frankfort sostiene esplicitamente che argomenti di carattere non estetico per l’assunzione da parte degli artisti romanici di motivi orientali sono del tutto inadeguati, mentre individua, su un piano tecnico-stilistico, nella necessità di un tipo di ornamentazione adattabile al trattamento scultoreo e nell’efficacia di una tradizione, quella mesopotamica appunto, che valorizzava la realtà fisica soggiacente ai temi usati per fini decorativi, gli elementi che sarebbero stati all’origine della trasposizione dei motivi orientali nel Medioevo europeo. 22 Ivi, pp.47-69: è interessante che Frankfort all’inizio di questa conferenza tenuta, nel gennaio 1954, ad Amburgo, città natale di Warburg, introduca l’argomento rifacendosi, come afferma

concisamente, all’attenzione costante di Warburg alla «ricerca della matrice di ogni mitologia» e a una sintetica definizione di Saxl delle finalità dell’Istituto Warburg, identificate nella ricerca di che cosa conferisca alle immagini create per esprimere le emozioni degli uomini, tanto intense da cessare di essere puramente personali per divenire patrimonio della memoria sociale, il potere di sopravvivere assumendo una durevole validità: aggiunge Saxl, è questo che ha fatto dell’Istituto Warburg un'istituzione ad un tempo «poliforme e unitaria». 23 Il saldo senso storico di Frankfort appare nell’affermazione netta e definitiva che se ci si attende dall’opera di Freud e di Jung «un’interpretazione bella e pronta dei miti, il risultato è solo confusione» (ivi, p. 68), mentre ammette, genericamente, che dalle loro elaborazioni è scaturita «una più profonda comprensione dell’esperienza umana». L’allusione finale alle «variazioni continuamente mutanti» nelle quali i sentimenti, nel mondo delle idee, trovano espressione da un popolo all’altro, sembra derivare direttamente dall’influenza dell’analisi di Saxl del 1947, citata alla nota 19. 24 Pur molto rapidamente si vuole comunque sottolineare che questa allusione di Frankfort all’esigenza di comprendere la specificità delle culture e al rifiuto di ingannevoli generalizzazioni preannuncia e precede di diversi decenni uno dei dibattiti più accesi, appassionati e stimolanti promossi dalla critica rivolta ai peraltro positivi metodi innovativi della New Archaeology di ispi-

136

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

razione antropologica e sociologica soprattutto americana, prepotentemente venuti alla ribalta alla fine degli anni Sessanta a seguito dell’introduzione nella disciplina archeologica dei modelli della sociologia, dell’antropologia, della storia economica per la comprensione delle frammentarie realtà antiche, che possono indurre appunto generalizzazioni le quali, se non attente alle specificità delle culture studiate, le livellano e le banalizzano annullandone le caratteristiche peculiari, storicamente significative, in favore di una generica definizione di stadi e fasi culturali generali. Su questi temi si vedano ora le considerazioni di P.MATTHIAE, Prima lezione..., cit., pp. 22-27. 25 Ivi, pp.3-21. È certo significativo che Frankfort abbia scelto questo tema come soggetto della conferenza inaugurale tenuta il 10 novembre 1949, in qualità di direttore dell’Istituto Warburg e di professore di Storia dell’antichità preclassica all’Università di Londra, pubblicata poi, dopo la sua prematura scomparsa, insieme ai testi di altre due conferenze (Three Lectures), nel «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XXII (1958). Nelle conclusioni della conferenza l'Autore, che poco prima aveva richiamato l’attenzione sull’estrema suggestione del tema per un’esperienza religiosa rielaborata dal Cristianesimo per cui il significato del fanciullo divino, della madre che soffre, del dio che passa dalla morte alla resurrezione appare familiare, afferma che, qualora si redigano lunghi elenchi di somiglianze che ignorino il carattere essenziale delle credenze paragonate, il «mistero della sopravvivenza» si riduce al problema, banale, dell’inserimento di parti antiche in un quadro nuovo, mentre un’altra via interpretativa che sottolinei il significato nuovo di forme antiche, adottate da un popolo diverso, farebbe sì che l’apparente sopravvivenza si ponga come un atto creativo completamente originale. La sua conclusione, che sembra mediare posizioni warburghiane e panofskyane, è la proposta di accettare il paradosso, come egli si esprime, che alcune «forme simboliche» possano essere «singolari fino all’idiosincrasia, ma possano rivestire un fascino così forte da conservarsi in ambienti diversi o da stimolare nuovi modi di integrazione». Rimane non del tutto chiaro il significato reale, al di là della formu-

la retorica, della conclusione per cui questa «sopravvivenza come rinascita», come egli dice, implichi che «le forme culturali, benché transeunti, riescano a superare la propria scomparsa». 26 A. MooRTGAT,

Tammuz.

Der Unsterblichkeitsglaube in der Altorientalische Bildkunst,

Walter de Gruyter Verlag, Berlin, 1949. 27 Nella concezione di Moortgat i Bildgedanken legati alla fede nell’immortalità, piuttosto arditamente se non arbitrariamente individuati, hanno una fissità e un’invarianza sia figurativa che concettuale che si tramandano in culture orientali antiche distanti nello spazio e nel tempo, finendo per rappresentare una costante culturale che diviene un motivo unificante e che trascende le distanze sia temporali che spaziali. La posizione di Moortgat sembra una rielaborazione, per dir così unilaterale e rigida, di aperture metodologiche di Warburg: l’interesse dell’impostazione di Moortgat è nella percezione e nella considerazione, ricca certamente in prospettiva di spunti fecondi, anche se non chiaramente enunciata, ma certo presupposta con evidenza, delle culture dell’Oriente antico in una sorta di parallelo storico con gli sviluppi delle culture dell’Occidente tra antichità e Rinascimento: le originali elaborazioni figurative del mondo sumerico protostorico e protodinastico tra seconda metà del IV millennio a.C. e terzo quarto del III millennio a.C., su cui lo stesso Moortgat aveva compiuto studi pionieristici (Frùhe Bildkunst in Sumer, J.C. Hinrichs’sche Buchhandlung, Leipzig, 1935) si pongono come il patrimonio «classico» da cui trarranno ispirazione culture storiche di età assai più recenti e da cui emergeranno sopravvivenze e rinascenze, oltre un millennio più tardi nella cultura figurativa d’Anatolia (A. MOORTGAT, Bildwerk und Volkstum Vorderasiens zur Hethiterzeit, Hinrichs Verlag, Leipzig, 1934) ma soprattutto di Siria, attraverso percorsi in larga parte oscuri, fin nei primi secoli del I millennio a.C. in quegli ambiti culturali spesso impropriamente definiti «siro-anatolici» 0 «siro-hitttiti» e che potrebbero più propriamente essere definiti di «rinascenza» neosiriana: P. MATTHIAE, Syrische Kunst, in Der Alte Orient, a cura di W. Orthmann, Propylàen-Kunstgeschichte, vol. XIV, Berlin, 1975, pp. 466-493. Di recente la documentazione figurativa funeraria neosiriana è stata riconsiderata criticamente da D. BONATZ, Das syro-hethitische Grabdenkmal. Untersuchungen zur Entstehung einer neuen Bildgattung in der Eisenzeit im nordsyrisch-sidanatolischen Raum, Verlag

Philipp von Zabern, Mainz am Rhein, 2000.

.

Warburg e l'archeologia orientale

137

28 In questa prospettiva sembra di particolare care atteggiamenti e movimenti delle figure regali e VII secolo a.C. con espressioni linguistiche note atto da U. MAGEN, Assyrische Kònigsdartsellungen.

interesse il tentativo sistematico di identifinei rilievi storici dei palazzi d’ Assiria tra IX nei testi di cancelleria dell'impero messo in Aspekte der Herrschaft. Eine Typologie, Ph.

von Zabern, Mainz am Rhein, 1986. Più di recente, in una ricerca essenzialmente filologica,

contributi importanti alla ricostruzione della Festa del Nuovo Anno nella Babilonia e nell’Assiria della prima metà del I millennio a.C., che era la festività fondamentale per il rinnovamento della natura nel mondo mesopotamico, strettamente connessa e dipendente dall’antichissimo culto di Dumuzi/Tammuz sono stati apportati, in un’analoga prospettiva metodologica, da B. PONGRATZ-LEISTEN, Ina Sulmi îrub. Die kulttopographische und ideologische Programmatik der Akitu-Prozessionen in Babylonien und Assyrien im I. Jahrtausend v. Chr., Ph. von Zabern, Mainz am Rhein, 1994.

138

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Warburg e l’archeologia classica Giuseppe Pucci

Un discorso sulla ricezione di Warburg da parte dell’archeologia classica italiana entro la prima metà del Novecento potrebbe terminare ancor prima di cominciare: chi dicesse che, semplicemente, una ricezione non c’è correrebbe pochi rischi di essere smentito. Per il periodo in questione esistono almeno tre bilanci ‘ufficiali’ della nostra disciplina ad opera di addetti ai lavori. Il primo fu fatto nel 1911 da Gherardo Ghirardini presso la Società Italiana per il Progresso delle Scienze 1; il secondo, di Silvio Ferri, fu esposto nel 1939 presso la stessa istituzione che festeggiava il suo centenario 2; il terzo è di Giovanni Becatti, e fu redatto per un volume celebrativo degli ottant'anni di Benedetto Croce 3. Non è forse superfluo aggiungere che la stesura di questo saggio fu affidata a Becatti solo dopo che Ranuccio Bianchi Bandinelli declinò l’invito, «per non dover — come come ebbe a raccontare egli stesso dieci anni dopo 4— dire e precisare [...] cose spiacevoli», come il fatto che la ricerca archeologica italiana gli appariva «vecchia e superata nel metodo e carente di prospettive culturali [...] invecchiata e priva di ogni valore». Orbene, in nessuna di queste panoramiche si fa mai il nome di Warburg. È vero che questo di per sé non vorrebbe dire molto; ma certo è significativo che non vi si prenda in considerazione nessuno di quei filoni di ricerca riconducibili a Warburg stesso e in seguito all’Istituto da lui creato: per esempio gli studi di iconologia e di tradizione dell’antico nell’arte moderna, per non parlare degli aspetti antropologici e psicologici delle immagini. E non si deve pensare a una dimenticanza da parte di studiosi di interessi limitati, concentrati sul proprio specifico. Ghirardini era stato allievo a Bologna di Giosuè Carducci, veniva dagli studi danteschi e aveva ottime conoscenze in fatto di letteratura e storia dell’arte. Ferri è stato un archeologo aperto all’etnografia e al confronto tra classico e non classico, con una discreta sensibilità per i problemi iconologici, come dirò meglio più avanti. Becatti (di cui sono stato allievo) era bene informato in fatto di storiografia storico-artistica, e non alieno dall’affrontare problemi teorici in prospettiva diacronica, come dimostra la sua garbatissima polemica con Bianchi Bandinelli su Organicità e astrazione $. Se nessuno di questi studiosi riporta nella propria panoramica alcunché di riferibile a tematiche warburghiane è perché, oggettivamente, non c’era nulla da dire.

Warburg e l'archeologia classica

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Fino alla metà del Novecento gli archeologi italiani, intesi come storici dell’arte greca e romana, si sono tenuti sostanzialmente lontani da Warburg e dal tipo di ricerche da lui ispirate, muovendosi in pratica dapprima nel solco del positivismo di impronta furtwingleriana o in quello della scuola di Vienna (grazie soprattutto a Emanuele Loewy, chiamato da Vienna nel 1889 a ricoprire la cattedra di Archeologia dell’arte a Roma) e più tardi in quello dell’idealismo crociano. Un paio di esempi aiuteranno a capire meglio. Quando nei primi anni Trenta Giulio Emanuele Rizzo — che resta comunque uno dei migliori archeologi classici italiani del Novecento — scrisse una monografia sui rilievi con menadi danzanti 6, non si occupò minimanente della sopravvivenza delle formule di pathos che tanto avevano interessato Warburg. Altro esempio di occasione mancata: nel 1954 Vergara Caffarelli dimostrò la pertinenza del braccio marmoreo trovato cinquant’anni prima dal Pollack al gruppo del Laocoonte, e ristudiò con grande acume la celebre scultura 7. Ma pur rendendosi perfettamente conto di come la nuova ricomposizione accentuasse la «drammaticità altissima» (sono parole sue) dell’opera, non entrò nel merito dell’impatto emotivo di essa sul giudizio estetico. Invano si cercherebbe nel suo pur ampio studio un’allusione a quel paradigma patetico dell’arte antica di cui aveva parlato Warburg in relazione all’intuizione degli artisti del secondo Quattrocento, intuizione poi inverata da una scoperta, ai primi del Cinquecento, che Warburg definì piuttosto una «invenzione», in senso etimologico. Il fatto è che - Warburg o non Warburg - per lungo tempo il Nachleben e le rinascite dell’antico non hanno interessato più di tanto gli archeologi italiani. Lo stesso Becatti darà un significativo contributo alla fortuna dell’antico soltanto nel 1969 con un saggio su Raffaello 8: bello, ma certo assai poco warburghiano. Tutto questo però non vuol dire che Warburg fosse un perfetto sconosciuto per gli archeologi italiani, e neppure è vero il contrario. Giovanni Agosti? ha reso nota la circostanza che nell’inverno precedente la sua morte, e precisamente il 18 gennaio 1929, Warburg mandò in dono da Roma un volume dei «Vortràge» della sua Biblioteca 10 a Goffredo Bendinelli. Nato nel 1888, dunque di 12 anni più giovane di Warburg, Bendinelli, dopo avere iniziato la carriera di archeologo nella Soprintendenza, dal 1925 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Archeologia a Torino, che tenne fino al 1958, salvo un periodo di epurazione nel dopoguerra. Agosti bolla il Bendinelli con l’epiteto di ‘pedestre’, e Marcello Barbanera non

è più tenero: lo definisce «una delle figure più discutibili nel panorama della nostra archeologia del Novecento [...] incapace di superare una visione antiquaria» e rappresentante di un’«archeologia del pasticcio» 11. Forse pesa nella severità di tali giudizi anche la convinta adesione al fascismo di questo studioso. Ma se si prescinde da questo aspetto, il Bendinelli non fu poi così malvagio studioso. Del resto, l’omaggio di Warburg fu accompagnato da una dedica personale, il che fa presupporre una qualche stima da parte dello studioso tedesco per il collega italiano.

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Il libro più noto del Bendinelli 12 ha un capitolo conclusivo sulla storia dell’arte come sintesi che magari non contiene nulla di geniale, ma ha il merito di prendere in esame, accanto alla letteratura più propriamente archeologica, le opere di studiosi come Fiedler, Wòlfflin, Fromentin, che non si può dire fossero moneta corrente tra la maggioranza degli archeologi italiani dell’epoca. Warburg era morto da tempo quando quest’opera uscì; però durante la vita dello studioso amburghese Bendinelli aveva pubblicato due lavori piuttosto notevoli: uno sull’ipogeo degli Aurelii 13, l’altro sulla cosiddetta basilica sotterranea di Porta Maggiore a Roma !4. Erano due studi di iconografia, che per varie ragioni avrebbero potuto interessare Warburg. La decorazione della tomba degli Aurelii, infatti,

databile verso la metà del III secolo, è improntata a un simbolismo iniziatico molto complesso, e presenta un singolare miscuglio di iconografie cristiane e pagane, tanto che al momento della scoperta si parlò di una setta cristiana eretica. Bendinelli vi leggeva lo sforzo di artigiani cristiani di creare un nuovo linguaggio a partire dalla tradizione iconografica classica, e certo è affascinante il processo di risemantizzazione di certe formule nella transizione da un sistema di valori ad un altro. L’edificio sotto Porta Maggiore non è meno intrigante. La ricchissima decorazione a stucco delle pareti e delle volte, databile alla prima età imperiale, è un vero atlante di mitologia, che comprende tra l’altro figure di menadi estatiche e scene di sacrificio al serpente, due temi warburghiani par excellence. La chiave di lettura — benché certamente misterica — non è facilmente afferrabile. Alcuni vi videro — e continuano a vedervi — il luogo di riunione di una setta orfica o neopitagorica (il salto di Saffo dalla rupe di Leucade alluderebbe alla metempsicosi). Bendinelli propendeva invece per un sepolcro a carattere familiare. Interessante è anche l’ipotesi del Bendinelli relativa a una scoperta del monumento in data anteriore al suo ritrovamento, ufficiale, avvenuto fortuitamente nel 1917.

Notando come esistano evidenti tracce di asportazione intenzionale di parte della decorazione — asportazione in seguito interrotta probabilmente per difficoltà pratiche — il Bendinelli si spinge a immaginare che il monumento fosse stato individuato già nel Quattro-Cinquecento da qualche artista-archeologo del genere del Brunelleschi e di Donatello, e che gli stucchi prelevati possano essere finiti reimpiegati in qualche palazzo del Rinascimento: un’idea, questa, che poteva ben attrarre la curiosità di Warburg. Comunque, non c’è prova che Warburg abbia letto questi lavori. Né l’uno né l’altro sono presenti oggi nella biblioteca di Warburg. È presente invece un estratto di Bendinelli, relativo alla recensione di un saggio di Robert Eisler sui misteri orfico-dionisiaci nell’antichità cristiana che era apparso nei «Vortràge» della Biblioteca Warburg 15. La tematica trattata da Eisler coincideva conn gli interessi scientifici di Bendinelli in quegli stessi anni, e si capisce facilmente perché questi abbia voluto re-

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censire l’opera 16. Mi parrebbe probabile ipotizzare che l’autore abbia fatto avere una copia del suo scritto a Warburg, e che questi si sia PE

di ricambiare con un altro vo-

lume dei «Vortrige».

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141

È, come si vede, un rapporto abbastanza esile, che collega l'archeologo italiano non tanto a Warburg stesso quanto all’Istituto da lui fondato. Se dietro questo scambio di cortesie ci sia un rapporto di conoscenza più profondo non sono in grado di dire. Non risulta che Bendinelli abbia mai citato Warburg in un proprio lavoro, né tantomeno Warburg Bendinelli. Ma, lo dicevo fin dall’inizio, la situazione è tale per cui bisogna fare tesoro anche delle briciole. Veniamo ora all’unico archeologo italiano — almeno a mia conoscenza — che nella prima metà del Novecento cita Warburg. Si tratta — e non poteva essere altrimenti — di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Nel 1931 Bianchi Bandinelli fu in Olanda, per ricoprire una cattedra appositamente creata per lui a Groningen dalla vedova di. un magnate. La prolusione che vi tenne 17 fu davvero, come la definisce Barbanera !8, il manifesto di una nuova ar-

cheologia. Lo stesso Bianchi Bandinelli la considerò sempre il punto di partenza delle sue ricerche più mature. Il poco più che trentenne archeologo senese lanciava con essa il suo Sch/achtruf contro l’archeologia filologica e positivista, preconizzando una nuova disciplina finalmente capace di indagare storicamente l’essenza dell’arte dell’antichità, e non più solo di catalogare monumenti. È un testo di grande spessore, ma a noi in questa sede interessano in modo particolare alcuni enunciati. Per esempio questo: «se poi andiamo a guardare nelle opere degli artisti del Rinascimento per vedere che cosa essi abbiano soprattutto tratto dall’antichità, che cosa soprattutto li abbia esaltati, troviamo che l’armonia

e il disegno passano assolutamente in secondo ordine dinanzi agli elementi essenziali di movimento, libertà ed energia. [...] con questa concezione del resto essi giungevano assai prossimi all’intima natura dell’arte classica, perché proprio la tendenza al movimento e all’interna energia vitale caratterizzò l’arte greca nei suoi momenti essenziali» 19. Non è necessario essere un warburghiano di lungo corso per riconoscere la paternità di questi concetti. E infatti nelle note che accompagnano queste asserzioni troviamo puntualmente il rimando al famoso saggio di Warburg del 1893 su Botticelli e l’immagine dell’antichità nel primo Rinascimento italiano. Bianchi Bandinelli aveva dunque letto Warburg, e ne aveva assimilato alcuni concetti chiave, certamente quelli che riteneva più funzionali all’elaborazione di una propria visione dell’arte antica. È molto significativo che a Warburg Bianchi Bandinelli si sia rivolto proprio nella fase in cui si andavano delineando con precisione le direttrici su cui si sarebbe mossa tutta la sua ricerca futura. Giovanni Agosti, nell’articolo che ho ricordato in precedenza, accredita la no-

tizia che Bianchi Bandinelli avrebbe incontrato personalmente Warburg ad Amburgo. Va detto però che nella recente documentatissima biografia intellettuale di Barbanera 20 non si trova alcun accenno a questo episodio. Se l’incontro ci fu davvero, esso dovette avvenire quando Bianchi Bandinelli era un giovane che aveva scritto quasi solo di topografia e arte etrusca, e non c’era motivo per cui Warburg ne dovesse restare impressionato. D’altra parte, dell’uomo Warburg

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

non c’è traccia negli scritti di Bianchi Bandinelli, neanche più tardi, quando la figura di Warburg era divenuta universalmente nota grazie anche all’attività dell’istituto londinese. Le attività dell’Istituto Bianchi Bandinelli le seguiva. Ma tra seguire e apprezzare corre una bella differenza. Basta leggere quello che scrisse dieci anni dopo, nel 1941, all’interno di una recensione comparsa su «La Critica d’Arte», la rivista fondata dallo stesso Bianchi Bandinelli nel 1935, e codiretta da lui e da Carlo

Ludovico Ragghianti 2!. Qui viene reso manifesto un dissenso evidentemente maturato nel frattempo, nei confronti di «tutto il genere di lavori della biblioteca Warburg [...] perché su queste basi non si contribuisce alla storia dell’arte; ma si prendono opere d’arte a pretesto e a documentazione per un’alquanto esoterica descrizione che può avere interesse per la demopsicologia e, limitatamente ad alcuni aspetti, per la storia della cultura, ma che non ha nulla a che fare con la storia dell’arte» 22.

È - come si vede — una presa di distanza netta, un discorso duro come Bianchi Bandinelli sapeva fare quando lo riteneva necessario. E non si tratta, si badi bene, di un malumore del momento. Che questo dissen-

so, diciamo pure fastidio, non si sia attenuato in lui col tempo lo provano le parole scritte nel 1973, solo due anni prima della sua morte, nella prefazione alla terza

edizione di Storicità dell’arte classica: «le interpretazioni psicologiche, simboliche o fenomenologiche, così brillantemente applicate all’indagine sull’arte europea dell’età del Rinascimento e del Barocco, mi sono sempre apparse come geniali divertimenti intellettuali ai quali le opere d’arte servivano da pretesto» 23. Con chi ce l’ha Bianchi Bandinelli? Il bersaglio polemico non è tanto — direi — l’iniziatore quanto gli epigoni. I maggiori indiziati mi sembrerebbero Panofsky e Wittkower. Ma perché — non possiamo non chiederci — una presa di posizione tanto recisa? Il tono liquidatorio e caustico con cui sono espresse queste riserve (chi ha conosciuto Bianchi Bandinelli sa che il gusto della battuta non gli venne meno fino alla fine) non riesce a mio avviso a dissimulare una preoccupazione profonda. Lo studioso avvertiva che qui erano in gioco i valori più importanti sui quali aveva impostato tutto il suo lavoro. L'esplorazione dell’elemento mitico, magico e all’irrazionale rappresentava l’opposto del suo credo, tutto impostato su ragio-

ne e storicismo. La difesa di questi valori è continua negli scritti di Bianchi Bandinelli, e l’esemplificazione porrebbe solo l’imbarazzo della scelta. Nella citata rassegna di Silvio

Ferri del 193924

cronologicamente vicina alla tirata bianchibandinelliana del °41

contro la scuola warburghiana — a un certo punto l’autore riporta «a prevenire

ogni possibile [...] interpretazione degenerativa [...] alcuni pensieri che il Bianchi

Bandinelli stesso ha voluto gentilmente riassumermi». Seguono alcune frasi virgoJettate in cui Bianchi Bandinelli in prima persona riafferma la necessità dell’approccio storicistico nell’analisi dell’opera d’arte, terminando con questa sentenza lapidaria: «Non vorrei altro che una migliore storiografia».

Warburg e l'archeologia classica

143

Bianchi Bandinelli approfittò dunque dell’amico Ferri, studioso di cui aveva stima e che collaborava alla «Critica d’Arte», per far passare, in una rassegna che

probabilmente anche stavolta si era rifiutato di scrivere personalmente, l’interpretazione autentica di alcune personali convinzioni a cui evidentemente teneva molto, e che reputava messe in pericolo da certe tendenze contemporanee. A conferma di ciò va anche registrato che la «Critica d'Arte» non diede mai spazio a studi in qualche modo riferibili ad ambito warburghiano, neanche per la parte di più stretta competenza del condirettore Ragghianti. Tra i due i rapporti furono sempre molto conflittuali, ma almeno su questo si trovavano d’accordo. E tuttavia dobbiamo registrare un paradosso: lo studioso così scettico sulla validità delle ricerche dell'ambiente warburghiano fu il solo archeologo classico italiano a collaborare nella prima metà del Novecento alla rivista del Warburg and Courtauld Institutes 25. Certo, non si trattò per lui di un’altra discesa agli inferi, come quando nel 1938 aveva fatto da guida a Hitler in visita a Roma 6, e l'apparente paradosso si spiega con l’eccezionalità del momento. Si trattava di riaffermare, nell’immediato dopo-

guerra, il valore transnazionale della ricerca, e l'archeologo antifascista e da poco iscritto al Partito comunista non poteva ignorare il significato politico di un numero della prestigiosa rivista interamente firmato da studiosi italiani. Ancora nel 1960, pubblicando l’originale versione italiana del suo contributo in Archeologia e Cultura, Bianchi Bandinelli ringrazia l’Istituto che volle «primo fra tutti, riallacciare i contatti con gli studiosi italiani dopo la guerra e il fascismo». Inoltre, l’invito gli era venuto per il tramite di Guido Calogero, con il quale aveva saldi legami di amicizia e di militanza. Bianchi Bandinelli aderì dunque al progetto inviando un articolo su una testa antica del Camposanto di Pisa rilavorata in età moderna. Per la rivista del Warburg egli optò perciò per un tema warbughiano, che scelse di svolgere con puntigliosa acribia filologica, quasi a dare una dimostrazione di metodo contro le tentazioni di costruire frettolosi castelli di ipotesi. Dopo essere giunto alla conclusione che si tratta di una testa di Antinoo, eseguita intorno al 130 d.C. e successivamente rilavorata ai pri-

mi del Quattrocento in ambiente fiorentino, forse nella bottega di Nanni di Banco, così conclude didascalicamente: «la favola insegna che, anche per approdare a una scheda di quattro righe, occorre lungo decorso, nel nostro singolare mestiere». Con il che potremmo considerare detto tutto quel poco che c’era da dire sull’argomento. È vero che ci sarebbe qualche altra pista da seguire, come quella della presenza di estratti di archeologi classici italiani nella biblioteca del Warburg. A questo proposito ho fatto delle ricerche nel catalogo online, trovando un estratto di Ghirardini del 1879, uno di Doro Levi del 1924, un altro di Rizzo del 1926. Ma oc-

correrebbe accertare che si tratta di estratti effettivamente dati dagli autori a Warburg (il che non è detto: tutti noi sappiamo per esperienza come può essere complicato il Leben e il Nachleben di un estratto). E quand’anche così fosse, il quadro non ne risulterebbe sostanzialmente modificato.

144

Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Piuttosto vorrei tornare brevemente su Silvio Ferri, ordinario a Pisa dal 1946 al 1961, ma attivo fino a tutti gli anni Settanta, e richiamare l’attenzione su un suo lavoro del 1937. Si tratta di uno studio dell’iconografia della Peliade Maggiore 28, ossia della figlia di Pelia che si duole per aver ucciso involontariamente il padre, dopo essere caduta nell’inganno di Medea. Ora, lo schema gestuale della Peliade è in realtà assai simile a quello della stessa Medea che medita l’uccisione dei figli, e questa somiglianza era stata in precedenza causa di fraintendimenti esegetici. Ferri, che come ho già detto fu studioso di grande acume, non vede contraddizione nel ricorso a una medesima Pathosformel (anche se lui non usa propriamente questa parola) per le due eroine. Si tratta in entrambi i casi, dice giustamente, dello schema della donna in angoscia, a cui l’arte greca e romana ricorre tutte le volte che si verifichi un’analoga situazione psicologica, e del quale il Ferri fa la storia, osservando come il motivo non solo

può adattarsi a differenti valenze affettive (le opposte polarità di Warburg) ma può anche avere, secondo il contesto, differente valore semantico, adattandosi a

rappresentare tanto una defunta quanto una prigioniera barbara. Insomma, ferma restando l’impossibilità di affermare che nella prima metà del Novecento ci sia stata una consapevole, significativa ricezione di Warburg da parte dell’archeologia classica italiana, questo scritto di Ferri dimostra che si può essere warburghiani anche senza volerlo. Il che, tutto sommato, mi sembra una

buona notizia.

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E Note 1 G. GHIRARDINI, L'archeologia nel primo cinquantennio della Nuova Italia, Tipografia Sertero & C., Roma, 1912. 2 S. FERRI, Gli indirizzi teorici dell’archeologia italiana negli ultimi cento anni, in Un secolo di

progresso scientifico italiano: 1839-1939, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Roma, 1939, pp. 61-80. 3 G. BECATTI, Archeologia, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana (1896-1946). Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, II, Edizioni Scientifiche Italiane,

Napoli, 1950, pp. 193-221. 4Vedi R. BIANCHI BANDINELLI, Archeologia e cultura, Editori Riuniti, Roma, 1979 (prima edizione Ricciardi, Firenze, 1960), p. 10.

5 G. BECATTI, Dell’organicità e dell’astrazione, in «La Parola del Passato» 12 (1957), pp. 281-279, ristampato in Kosmos. Studi sul mondo classico, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 1987, pp. 749-765. 6 G.E. Rizzo, Thiasos. Bassorilievi greci di soggetto dionisiaco, a cura dell’autore, Roma, 1934. 7 E. VERGARA CAFFARELLI, Studio per la restituzione del Laocoonte, in «Rivista dell’Istituto

Nazionale di Archeologia e Storia dell’ Arte», n.s. 3, 1954, pp. 28-69. 8 G. BECATTI, // classico in Raffaello, Accademia nazionale dei Lincei, Roma, 1996. 9 G. AGOSTI, Qualche voce italiana della fortuna storica di Aby Warburg,in «Quaderni Storici»

58, 1 (aprile 1985), pp. 39-50. 10 Si trattava del volume relativo all’annata 1925-1926, stampato nel 1928. Il volume è poi confluito nella biblioteca della Scuola Normale di Pisa. 11 M. BARBANERA, L'archeologia degli Italiani. Storia, metodi e orientamenti dell’archeologia classica in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1998, pp. 134-135. 12 G. BENDINELLI, Dottrina dell’archeologia e della storia dell’arte (storia, metodo, bibliografia), Società Anonima Editrice Dante Alighieri, Milano-Genova-Roma-Napoli, 1938.

13 IDEM, Il monumento sepolcrale degli Aureli al Viale Manzoni in Roma, in «Monumenti antichi dell’ Accademia dei Lincei», 28 (1922), pp. 289-520. 14 IDEM, JI monumento sotterraneo di Porta Maggiore in Roma. Contributo alla storia dell’arte decorativa augustea, Bardi, Roma, 1927 (estratto da «Monumenti antichi dell’Accademia dei Lincei», 31).

15 R. EISLER, Orphisch-dionysische Mysteriengedanken in der christlichen Antike («Vortràge der Bibliothek Warburg», 1922-1923), Leipzig, 1925. 16 La recensione apparve nella «Rivista di Filologia e di Istruzione Classica», n.s., 5,4 (1927).

17 Subito pubblicata in tedesco e poi ripubblicata in italiano, con il titolo Arte antica e critica moderna, in R. BIANCHI BANDINELLI, Storicità dell’arte classica, Sansoni, Firenze, 1943, pp. 295-312.

18 M. BARBANERA, Ranuccio Bianchi Bandinelli. Biografia ed epistolario di un grande archeologo, Skira, Milano, 2003, p. 108 ss. ' 19 Cito dalla terza edizione di R. BIANCHI BANDINELLI, Storicità dell’arte classica, De Donato Editore, Bari, 1973, p.419.

20 M. BARBANERA, Ranuccio Bianchi Bandinelli..., cit. 21 Recensione a W. HAFTMANN, Das italienische Siulenmonument, Leipzig-Berlin, 1939, in «La Critica d’Arte», n.s. 1, 1941, p. II. 22 Ibidem. 23 Cfr. R. BIANCHI BANDINELLI, Storicità dell’arte classica..., cit., nota 19, p. 10.

24 Cfr. nota 2. 25 An ‘Antique’ Reworking of an Antique Head, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 9 (1946), pp. 1-9. 26 Intermezzo agli Inferi si intitolano le pagine autobiografiche in cui Bianchi Bandinelli ricordò l’episodio in Dal diario di un borghese, Il Saggiatore, Milano, 1962, poi in Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 170-187.

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27 Col titolo Antico non antico. Cfr. R. BIANCHI BANDINELLI, Archeologia e cultura..., cit., nota 4, pp. 264-276. 28 S. FERRI, Su/ motivo della ‘Peliade maggiore’ nel rilievo lateranense, in «Bollettino d’ Arte» 7 (1937), pp. 296-306.

Warburg e l'archeologia classica

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

36 Ivi, p. 42. Sul rapporto tra Warburg e i due antropologi mi permetto di rimandare al mio saggio La politica culturale oltre i confini disciplinari. La corrispondenza tra Aby Warburg e Franz Boas durante gli anni Venti del Novecento, in «Quaderni Warburg Italia», 2-3 (2004-2005), pp.31-62. 37 Le conferenze di Macchioro alla Columbia University erano pubblicizzate nel «Journal of Philosophy», 26, 21, 1929, p. 588. La prima recensione appare sul «Burlington Magazine for Connoisseurs», LVII (1931), p. 105 e la seconda su «The Journal of Hellenistic Studies», L (1930) pp. 352-353. 38 I. CAPILUPPI, Un ‘inviato speciale’ di Mussolini in India. La missione culturale di Vittorio Macchioro (1933-1935),in «Storiografia», VII (2003), pp. 117-137. 39 Orfismo, ad vocem, a cura di G. Calogero, in Enciclopedia Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1935, pp. 508-509. 40 R. DI DONATO, / Greci selvaggi..., cit., p.41. 41 A. WARBURG, Direr..., cit.

42 Sull’influsso di questo testo anche in Warburg vedi G. DIipI-HUBERMAN, L’immagine insepolta. Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, pp. 189-2007. 43 S. REINACH, Orpheus. Histoire de Religions, s.1.1924. 44 R. PETTAZZONI,

Obituario

di Salomon

Reinach, in «Storia e Materiali di Storia delle

Religioni», VIII (1932), pp. 265-266. 45 S. REINACH, Orpheus. A History of Religions, Liveright Inc Publisher, New York, 1930. 4 R. EISLER, Orphisch-dionysische Mysteriengedanken in der christlichen Antike, in «Vortrage der KBW», II (1925). 47 Vd. Appendice, pp. 195-199. 48 La sottolineatura è mia; vd. Appendice, pp. 190-191. 49 A. WARBURG, Burckhardt e Nietzsche, in «AUT-AUT», 199-200, 1984, pp. 46-49.

50 Vd. Appendice, pp. 195-199. 51 Sul rapporto tra de Martino e Pettazzoni si è soffermato sempre R. DI DONATO, Preistoria di Ernesto de Martino...,cit. 52 R. PETTAZZONI, /l metodo comparativo, in «Numen», VI (1959) e M. ELIADE, The History

of Religion in Retrospect: 1912-1962, in «Journal of Bible and Religion», 31,2 (1963), pp. 98-109. 53 IDEM, I Misteri, saggio di una teoria storico-religiosa, Zanichelli, Bologna, 1924. 54 IDEM, The Pagan Origin of the Three-Headed Representation of the Christian Trinità, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», IX (1946), pp. 135-151. 55 Su questo tema vedi l’ormai classico studio di D. FREEDBERG, // potere delle immagini, Einaudi, Torino, 1993. 56 Vd. C. CIERI VIA, Nei dettagli nascosto..., cit. ST R. DI DONATO, Preistoria di Ernesto de Martino..., cit.

58 E.H. GOMBRICH, Aby Warburg e l’evoluzionismo ottocentesco, Giuseppe Laterza, Bari, 1998.

La forma del rito: Aby Warburg e le ricerche di storia delle religioni in Italia (1920-1950)

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Appendice a cura di Tiziana Villani

La seguente appendice si compone di due diverse sezioni: una critica, l’altra documentaria. La prima parte fornisce alcuni dati contestuali sulla rivista di studi storico-religiosi «Bilychnis» 1. La seconda è invece interamente occupata dalla trascrizione di alcune recensioni estratte dalla rivista stessa e dedicate a due delle serie di pubblicazioni periodiche del Warburg Institute, gli «Studien» (1922-1932) e i «Vortràge» (1921-1931).

Nel 1920 Fritz Saxl aveva dato il via al processo di trasformazione della KBW in una istituzione culturale semipubblica. Due gli impegni principali: innanzitutto creare un nuovo sistema di classificazione dei testi in modo da renderne più semplice l’utilizzo, in secondo luogo fondare delle pubblicazioni che dessero corpo ai risultati delle attività dell’Istituto. Nascevano così gli «Studien» e i «Vortrige», dove trovarono spazio i primi studi di Fritz Saxl, Erwin Panofsky, Edgar Wind, Ernst Cassirer oltre che di una pletora di studiosi di eterogenea appartenenza disciplinare. Tra le riviste italiane sarà «Bilychnis», edita a cadenza mensile tra il 1912 ed il 1931, quella che darà notizia puntuale delle pubblicazioni della biblioteca amburghese. L’ambito di ricerca della rivista era la storia delle religioni e questo ha dunque indotto gli studiosi che si sono occupati di Warburg e della ricezione della sua opera a trascurarla; tuttavia è nella rubrica bibliografica che vengono pubblicate sistematicamente note e recensioni dei volumi editi in questi stessi anni dalla biblioteca amburghese. Concordando con Benedetto Croce laddove sosteneva che «[...] l’uomo di studi sa che una recensione ben condotta vale meglio di una dissertazione 0 di un libro di grosse pretese» 2, presentiamo la trascrizione di tutte le recensioni pubblicate sulla rivista, in modo da fornire un panorama completo dell’operazione di divulgazione del progetto warburghiano nell’ambito specifico della storia delle religioni nel fortunato momento di parziale apertura confessionale. * **

Il missionario americano Dexter G. Whittinghill arrivava a Roma all’inizio del 1900 con il compito di fondare una Scuola teologica battista 3, dopo che la breccia di Porta Pia e la conseguente caduta del potere temporale del Papa avevano riacceso la speranza di un risveglio spirituale in Italia. La Chiesa battista sperava così

di potersi insediare anche nel cuore del cattolicesimo romano e di riuscire a formare un corpo pastorale italiano; già nel 1932 però la Scuola fu costretta a sospendere la sua attività. Nei tre decenni in cui rimase attiva la Scuola riuscì tuttavia a rivestire un ruolo importante nel dibattito culturale italiano grazie alla propria collana di studi religiosi e alle sue riviste. Whittinghill fondò infatti la collana «Biblioteca di studi religiosi» (in cui si pubblicavano gli scritti dei docenti della scuola) e le riviste «Bilychnis» (1912-1931) e «Conscientia» (1922-1927). Era attraverso la pubblicistica e l’editoria che i Battisti intendevano contrastare il potere della chiesa cattolica e aprire a nuovi possibili orizzonti di fede. Nel gennaio del 1912 veniva fondata a Roma «Bilychnis»; la rivista usciva a cadenza

mensile

e rimase

attiva,

senza

alcuna

interruzione,

fino

al 1931.

Nell’Introduzione 4 al primo fascicolo, la redazione spiegava la scelta dell’insolito titolo: la parola greca alludeva alla lucerna a due fiammelle utilizzata dai primi cristiani per illuminare le catacombe. Secondo i redattori le due fiammelle rappresen-

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

tavano la scienza e la fede, sorelle ancestrali nel percorso religioso, che sarebbero

state alimentate proprio dalla rivista. La xilografia con la lucerna, stampata sul frontespizio di ogni fascicolo, fu disegnata dal direttore responsabile Paolo Paschetto al quale si deve l’elegante veste editoriale di «Bilychnis» (vedi fig. 1 nel saggio di Benedetta Cestelli Guidi). Sempre nell’introduzione venivano chiariti gli intenti della rivista: diventare il punto di incontro tra gli studiosi di scienze religiose, una disciplina che proprio in quegli anni andava acquisendo una precisa definizione disciplinare. E così erano accettate le collaborazioni di studiosi «agnostici e credenti e cattolici e protestanti» 5. D’altro canto la redazione non nascondeva l'adesione alia fede battista. Così «Bilychnis» si impose nella cultura italiana dell’epoca ed ebbe tra i suoi collaboratori grandi studiosi, quali ad esempio: Luigi Salvatorelli, Carlo Formichi, Vittorio Macchioro, Alessandro Chiappelli e infine Raffaele Pettazzoni il quale, nel 1924, ottenne il primo insegnamento di storia delle religioni in una università italiana. Durante il terzo decennio di vita «Bilychnis» contribuì in maniera determinante alla diffusione delle tematiche warburghiane in Italia: tra il 1924 e il 1930, la rivista ospitò infatti ben 10 recensioni dedicate ai volumi degli «Studien» e dei «Vortrige». Ad eccezione della nota dedicata al testo cassireriano Filosofia delle forme simboliche$, tutte le altre recensioni, la gran parte anonime, possono essere attribuite, senza alcun dubbio, allo storico delle religioni Giovanni Costa. Siamo certi di tale attribuzione poiché il Costa, di per sé uno studioso stimato, scrive in maniera particolare 7. Qualora poi Vittorio Macchioro, parente dell’allora direttore Paschetto, nonché attivo collaboratore della rivista e fervente ammiratore di Warburg8, avesse rivisto queste note anonime non ci è dato dirlo; tuttavia il comune interesse per le fonti figurative dell’antichità e il loro utilizzo come testimonianze di riti e costumi dimenticati, sulla scia del più famoso De Jorio, sarebbe stato uno dei punti di in-

contro tra Macchioro e Warburg?. È Costa stesso, nella dettagliata recensione del 1929, a svelarci che l’interesse

per le due collane editoriali della KBW, gli «Studien» e i «Vortràge», era iniziato già nel 1923 dietro suggerimento di Franz Cumont (vedi più avanti). Tra il 1923 ed il 1929 le recensioni di Costa si succedettero a ritmo serrato; in alcuni

casi si tratta soltanto di brevissime note informative mentre sono molte le volte in cui Costa realizzava uno spoglio critico serio dei contenuti delle pubblicazioni della biblioteca Warburg; tuttavia l’intento di approfondire la lettura dei singoli saggi contenuti nei volumi amburghesi vengono spesso traditi e così spesso abbiamo una lista di nomi e temi e non una lettura critica. Malgrado dunque gli intenti non corrispondano interamente ai risultati, alla rivista spetta il ruolo di aver colto l’importanza delle pubblicazioni della biblioteca amburghese; definite ‘la collezione Warburg” le opere erano consigliate ad ogni «studioso serio che si dedichi all’antichità o al Rinascimento, soprattutto dal punto di vista religioso e culturale» 10, Sin dal 1924 la posizione di Warburg rispetto ai suoi predecessori negli studi sul Rinascimento è colta con correttezza: viene cioè riconosciuto il doppio influsso di Burckhardt e di Nietzsche — influsso che Warburg definirà in maniera compiuta solo anni più tardi — nella formazione del suo modello di indagine !!. Oltre ai due importanti predecessori è anche indicato un terzo astro che avrebbe influenzato in maniera determinante Warburg, Hermann Usener «con il quale [...] entrò nel campo della storia religiosa e trovò modo di allargare la visione fondamentale del problema che lo preoccupava, concependo una storia dello spirito in cui storia dell’ar-

La forma del rito: Aby Warburg e le ricerche di storia delle religioni in Italia (1920-| 950)

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uuÙ

SRO li

di

te e storia della religione concorrevano a dare una forma completa all’indagine del modo e della sostanza in cui la civiltà antica si trasfuse ora nelle forme ed ora negli spiriti della civiltà nostra» 12. Ecco dunque motivato l’interesse per Warburg da parte dei lettori della rivista, interessati a comprendere le radici antiche del moderci no attraverso forme e temi. Nel 1926 la rivista, a firma di R. Nazzari, pubblica una recensione ai due primi

volumi della Filosofia delle forme simboliche di E. Cassirer in cui si riassume la posizione dell’autore rispetto al linguaggio, al mito e al pensiero scientifico e si sottolineano, con un malcelato campanilismo, le lodi del filosofo tedesco per l’opera del Vico e la sua conoscenza e divergenza da quella del Croce. Nel 1929 infine la ‘collezione Warburg” merita una recensione completa in cui la geneaologia dello studioso viene ribadita; è infatti definito il continuatore degli studi sul Rinascimento di Jacob Burckhardt, ma «non nella medesima forma, sib-

bene in quella completata, per così dire, dalla visione nietzschiana» !3. Vengono menzionati gli studi di Panosfky e di Saxl nonché la ricerca a due mani sulla rappresentazione della melanconia. Una lunga parte è infine dedicata ai saggi di tematica religiosa, dalla cui sostanziosa lista si comprende bene l’interesse della redazione per le ricerche warburghiane. L’anno successivo, l’ultimo in cui la rivista dedica recensioni alle pubblicazioni amburghesi, escono due brevi note in cui si sottolinea l’importanza dell’ Ercole al bivio di E. Panofsky.

Anonimo (Giovanni Costa?), Recensioni, in «Bilychnis», XIII, tomo I, fasc. V, 1924, pp. 387-388. La pubblicazione dell’ultimo volume di E. Norden sulla famosa egloga virgiliana (Die Geburt des Kindes, Leipzig, B. C. Teubner, 1924, p. 127) richiama l’attenzione degli studiosi sulla collezione di cui fa parte: Studien der Bibliothek Warburg diretta da Fritz Saxl e della quale ci vengono mandati gentilmente i fascicoli finora usciti, oltre il volume delle Comunicazioni («Vortràge» del 1921-22). Un interessante articolo del Saxl per l’appunto in quest’ultimo volume informa i lettori sugli scopi della Biblioteca che si riassumono in quello capitale di studiare l'estensione e la forma dell’efficacia che l’antichità à esercitato sulla cultura, dei

tempi successivi. Il Warburg, preoccupato soprattutto, come studioso dell’arte della Rinascenza, dal primo suo apparire al suo massimo sviluppo, dell’influsso che l’antichità esercitò sui secoli posteriori, pose nella sua concezione critica i metodi talvolta contrari e tal altra concordi del Burckhardt, del Nietzsche, dell’Usener, col quale in modo speciale entrò nel campo della storia religiosa e trovò modo di allargare la visione fondamentale del problema che lo preoccupava, concependo una storia dello spirito in cui storia dell’arte e storia della religione concorrevano a dare una forma completa all'indagine del modo e della sostanza in cui la civiltà antica si trasfuse ora nelle forme ed ora negli spiriti della civiltà nostra. Il Saxl à esemplificato questo metodo del Warburg con degli esempi convincentissimi, suffragati da docu-

menti artistici, resi in belle illustrazioni, dai quali si rileva chiaramente come il

pensiero antico si è riflesso in opere di M. E. e della Rinascenza con differenti aspetti e diverso valore. La Rinascenza così acquista un significato quasi religioso, dominata com'è dalla religiosità del tardo paganesimo e dalla sua concezione astrologica matematico-

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

mitologica che fa di essa una «rinascita dello spirito» (renasci: cfr. Rienzi e Petrarca) nel senso che l’antichità classica tardiva e la stessa liturgia cristiana volevano. Uno degli scopi che ebbe la prima rinascenza fu il ritorno all’antica religiosità, il ritrovamento della «bellezza classica», mentre l’altro ebbe per base il ritorno al sentimento nazionale degl’italiani. Il Saxl conclude il suo articolo con un accenno al piano di ricerche cui la Biblioteca Warburg è dedicata, piano che comprende soprattutto la religione e l’arte, la filosofia e la letteratura e pur le scienze e la medicina per quello che possono illuminarci sulla sopravvivenza dell’antico nella nostra civiltà. Il bel volume è completato da altri saggi interessanti, illustrati da nitide figure. E. Cassirer — che à scritto il primo fascicolo degli Studi, di cui or ora parleremo, sulla logica del pensiero mitico (Die Begriffsform in mythischen Denken, 1922, p.62) — à studiato all’incirca lo stesso argomento esaminando il concetto della forma simbolica nella costruzione delle scienze dello spirito. A.Goldschmidt ha ricercato La sopravvivenza delle antiche forme nel M. E.; G. Pauli, Diirer, l’Italia e gli

antichi, E. Wechssler, Eros e l’amor platonico; H. Ritter, Picatrix un manuale arabo di magia ellenistica; H. Junker, Sopra le fonti iraniche della rappresentazione ellenistica del tempo. Degli Studi della Biblioteca di Warburg sono usciti sinora tre fascicoli: primo quello del Cassirer ora citato, terzo quello del Norden che ci ha dato occasione di ricordare questa raccolta importante di studi, secondo quello di Panofsky-Saxl sulla Melencolia I di Diirer (1923, p. XV-160 con 45 tavole). Su quest’ampio studio che sotto la forma di ricerca della storia delle fonti e dei tipi artistici cela tutta un’ampia indagine sulle credenze astrologiche (Saturno) dall’antichità alla Rinascenza ed a Diirer, ci proponiamo di ritornare nella nostra rassegna di Arte e religione. Lo studio dei due autori è per così dire la conclusione e l’elaborazione di quello di C. Giehlow; essi in parte prima ed in parte dopo la morte del Giehlow (3 marzo 1913) completarono ed allargarono la pubblicazione del primo autore, già noto per gli studi sulla «geroglifica» dell’umanesimo. Il nuovo lavoro presenta però dei lati

così importanti e dei risultati così interessanti per i nostri lettori che ci riserviamo di riparlarne, se non interamente, per lo meno non così brevemente come ce lo impongono i limiti di questo cenno. Naturalmente parleremo poi, e come l'argomento merita, nel nostro bollettino delle religioni classiche del bel lavoro del Norden sulla famosa egloga virgiliana che tanti fiumi di inchiostro à fatto correre, ma sulla quale uno studio completo come quello che sembra anche da una rapida scorsa aver fatto, il Norden, profondo conoscitore dell’argomento e noto a tutti gli studiosi per le sue opere letterarie, storiche e religiose, non può non essere il benvenuto. Tutte le pubblicazioni della Biblioteca di Warburg sono edite dalla benemerita casa B. G. Teubner di Lipsia con la consueta eleganza di tipi e di illustrazioni.

Anonimo (Giovanni Costa?), Letture ed appunti, in «Bilychnis», XIII, tomo II, fasc. XII, 1924, p. 466. Ci riserviamo di parlare più ampiamente della prima parte dei «Vortrige» 1922-23 della Biblioteca Warburg edita da Fritz Saxl, contenenti, come sempre, studi inte-

ressanti i problemi spirituali della civiltà nel suo passaggio dall’antico a noi. Sul problema del Bello e dell’ Arte in Platone scrive Ernesto Cassirer; R. Reitzenstein si occupa di Agostino come uomo antico e medioevale: in questi ultimi tempi quanti studi su quest’argomento concernente una figura così affascinante come

La forma del rito: Aby Warburg e le ricerche di storia delle religioni in Italia (1920-| 950)

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di S. Agostino! H. Lietzman fa alcune buone osservazioni sul tempio sotterraneo la a Rinascenz nella e E. M. nel trasmise si come ricerca Doren A. e; Maggior Porta arnell Principe del figura della Fortuna e Percy Ernst Schramm esamina la figura te del primo M. E. Su alcune di queste ricerche o su parti di esse saremo più espliciti in una prossima rassegna.

Anonimo, Letture ed appunti, in «Bilychnis», XV, tomo I, fasc. Ti 1926, p. 72. Nei «Vortrige» della Biblioteca Warburg (1922-23, II parte), della cui attività facemmo più volte cenno in queste pagine, si è pubblicato un grosso quanto interessante lavoro di R. Eisler sul pensiero orfico-Dionisiaco nell’antichità cristiana (Orphisch-Dionysische Misteriengedanken in der Christlichen Antike, Leipzig, B. G. Teubner, 1925, p. XX-424). L'importanza dell’argomento e l'ampiezza con cui esso appare, anche da un primo sguardo, svolto nell’opera dell’Eisler, ci induce a rimandare un ampio rendiconto su di esso nella rassegna che ci riserviamo di fare quanto prima sulle religioni misteriosofiche quali appaiono nelle recenti pubblicazioni italiane e straniere. Intanto diamo l’annuncio della notevole pubblicazione perché norma dei lettori.

Nazzari R., Ernest Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Berlin, 1923-25, 2 voll., pp. VIII, XIV, 613, in «Bilychnis», XV, tomo II, fasc. VIII-IX, 1926, pp. 156-157. Se la rivista Bilychnis non avesse un campo di studi e d’informazioni bibliografiche circoscritto a’ problemi d’indole religiosa, pur non trascurando le forme culturali a quelli particolarmente attinenti, noi dovremmo intrattenere ben più a lungo i lettori intorno all’opera del Cassirer che abbiamo dinnanzi. Il nome dell’illustre filosofo tedesco suona autorevolmente anche fra noi, dove è noto per altre opere non meno importanti di gnoseologia e di storia della filosofia: onde può dirsi che questi due volumi, cui un terzo farà seguito nel corrente anno, coronano degnamente un vasto e organico sistema d’idee. I tre volumi debbono svolgere il piano dell’opera corrispondentemente ai tre momenti fondamentali del processo conoscitivo simbolico: quello del linguaggio come espressione figurata, quello delle forme del mito e del pensiero religioso, e, infine, delle forme del pensiero scientifico. In attesa che quest’ultima parte sia edita, per un giudizio completo, dei risultati ottenuti, vogliamo accennare ai principi da cui muove l’autore nella sua indagine, e al metodo seguito. Intanto, premettiamo, a soddisfazione nostra di italiani e a lode dell’au-

tore, che egli non ignora o finge di ignorare, come tanti scrittori stranieri contemporanei le produzioni dell’ingegno italiano. Il Cassirer conosce l’estetica del Croce e ne tien conto pur dissentendone in molti punti; il Cassirer parla con grande ammirazione e reverenza del genio del Vico, la cui opera (Principi di una nuova scienza), chiama: eine hòchst merkwiirdige, nach Form und Begriindung gleich originelle Erneuerung. (I). L'introduzione storica delle posizioni e dello sviluppo successivo del problema è in quest’opera del C., altamente importante e significativa, e riesce prezioso apporto alla cultura in genere e allo studioso teoretico della quistione in ispecie. Può dirsi che finora nulla di simile comparativamente era stato fatto in questo campo.

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Che la parola in sé come fonetica o espressione mimica non sia che un’astrazione dotta, e che invece essa tragga il suo valore dal senso (positivo e negativo e contraddittorio), è qui dimostrato con pienezza di mezzi dottrinali e validità di argomentazioni. D'altronde, come determinare i confini tra vocabolo e cosa significata? Ogni dottrina combinatoria di fattori primi delle parole, ogni alfabeto del pensiero (Leibniz) non possono prescindere da quella inscindibile fusione di parola e di senso, a costo di ridursi ad un gioco aritmetico. Una lingua Adamica, che abbia

cioè obiettività e universale validità, è da considerarsi, non come un fatto (passato o futuro), bensì come un ideale concettuale del pensiero.

Studiato il problema linguistico nella storia della filosofia (perché non dire della coltura?), il Cassirer ne segue gli sviluppi concreti come espressione sensibile, come espressione intuitiva, e come forma significativa del pensiero concettuale. Ma, il punto peculiare d’arrivo per ogni processo formativo del sapere scientifico non sta tanto nell’espressione sensibile quanto nella sfera dell’intuizione mitica: ecco la necessità di indagare a fondo la formazione storica e psicologica dei miti. Il secondo volume è quasi tutto dedicato a quest’altro e più arduo compito. Un compito che l’autore assolve, naturalmente, da par suo, ma di cui noi non possiamo seguire la vasta orditura, che s’estende dalla considerazione del mito come forma

d’intuizione al mito come forma di vita, per conchiudersi con l’elaborazione della personalità, quale concetto derivato dal sentimento dell’unità di entrambe. Seguono forti tocchi alla formazione degli Dei personali, del culto ecc.: ma di questa parte, che è secondaria nell’economia dell’opera, e che, invece, ha speciale importanza per la nostra Rivista, ci riserviamo di parlare in altra occasione; altrimenti . dovremmo diffonderci più di quanto sia consentito in una recensione sommaria. L’ultimo capitolo del secondo volume tratta della dialettica della coscienza mitica, e ci trasporta nelle alte sfere della metafisica e della gnoseologia: qui l’opera perde il suo carattere specifico d’indagine del problema per assurgere a visione comprensiva e sistematica della vita e del mondo. Però, in questo capitolo, che ha pur tanti pregi di vigore argomentativo, non ci è sembrato di rilevare nulla di veramente nuovo e importante teoreticamente; perciò ci limitiamo a rimandare i lettori, che volessero averne miglior cognizione, a resoconti analitici di riviste competenti, e allo studio diretto dell’opera.

Anonimo (Giovanni Costa?), Recensioni, in «Bilychnis», XV,

tomo II, fasc. X, 1926, pp. 244-245. Abbiamo ricevuto in questi giorni un gruppo di pubblicazioni religiose tedesche, delle quali ci riserviamo di parlare più estesamente, data la loro importanza, ma di cui intanto vogliamo informare i nostri lettori. ...-Nella ormai benemerita degli studi religiosi collezione Warburg dobbiamo pure segnalare la pubblicazione dei nn. 4 e 7, di una notevole importanza. Il primo dovuto a H. Liebeschiitz, Fu/gentius Metaforalis (Lipsia, B. G. Teubner, 1926,

p. 140), costituisce un contributo straordinario alla storia dell’antica mitologia sul M. E., passata dal dominio strettamente religioso, a quello allegorico-filosofico e confortata dall’opuscolo medioevale, che lA. pubblica e che costituisce, commentato, la prova più efficace di tutto il trapasso di idee e di credenze che si effettuò dall’Evo antico al M. attraverso forme nuove che però mal nascondevano l’antico substrato. Più importante ancora è il volume in due parti che pubblicano R. Reitzenstein e H. H. Schaeder, Studien zum Antiken Synkretismus aus Iran u. Griechenland (Leipzig, G. B. Teubner, 1926, p. 355) nella stessa collezione. Qui e

La forma del rito: Aby Warburg e le ricerche di storia delle religioni in Italia (1920-1950)

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per l'argomento e per i nomi degli AA. la curiosità degli studiosi è ancora maggio-

re. Il R. si è riserbato lo studio della dottrina greca, mentre lo Sch. à avuto quello

della dottrina iranica, ed ambedue non si sono naturalmente limitati al ciclo proprio, ma hanno esaminato quali relazioni esso avessecon il ciclo cristiano che successe loro. Di tutto ciò ci riserviamo di parlare più a lungo, come dicemmo, nella rassegna sulle pubblicazioni Warburg che più volte abbiamo promesso e che ci si accumulano sul tavolo per l’alacrità con cui la collezione si pubblica e per l'enorme materiale di cui disponiamo e che non possiamo smaltire nello spazio consentitoci. Ambedue i fascicoli sono editi con la consueta cura ed eleganza dalla Casa Teubner di Lipsia ed illustrati con nitide tavole riproducenti monumenti e documenti di straordinario interesse.

Anonimo (Giovanni Costa?), Letture ed appunti, in «Bilychnis», XVI, tomo II, fasc. XII, 1927, p. 390. Nell’articolo che dedicheremo quanto prima a tutte le pubblicazioni finora uscite della Biblioteca Warburg parleremo anche del recentissimo volume di E. Cassirer Individuum u. Kosmos in der Philosophie der Reinassance (p. 458), pubblicato in quella collezione diretta da F. Saxl e del lavoro di costui Antike Gòther in der Spditreinassance, ein freskenzyklus u. ein discorso des J. Zucchi (p. VIII-138) e dei «Vortrige» 1924-1925 della stessa Biblioteca, editi testé (p. VIII-371). Tutte e tre le pubblicazioni sono edite con la solita signorilità, nota a tutti gli studiosi, della casa B. G. Teubner di Lipsia e illustrati da tavole e incisioni. La collezione Warburg forma ormai un insieme di opere di notevole valore non solo per le conclusioni, ma per l’ampio materiale raccoltovi; di essa non potrà fare a meno nessuno studioso serio che si dedichi all’antichità o al Rinascimento, soprattutto

dal punto di vista religioso e culturale.

Anonimo (Giovanni Costa?), Letture ed appunti, in «Bilychnis», XVI, tomo II, fasc. II, 1927, p. 138. Diamo notizia riservandoci di parlarne più estesamente come abbiamo più volte promesso, dei «Vortràge» 1923-24, della Biblioteca Warburg, editi da Fr. Saxl (B. G. Teubner, Leipzig, 1926, p.278). La ricchezza del contenuto apparirà anche dal semplice sommario che diamo in italiano: Zeus (U. Wilamowits-Méllendorff), Platonismo e Medio Evo (E. Hoffmann), Motivi cosmologici nel mondo culturale della scolastica primitiva (H. Liebeschitz), Le rappresentazioni nordiche, persiane e cristiane della distruzione del mondo (R. Reitzenstein), Il cambiamento delle re-

ligioni orientali sotto l’influsso dello spirito ellenico (H. Gressmann), Sangue di gladiatori e sangue di martiri, Una scena della Passio Perpetuae alla luce della storia, della cultura e delle religioni (Fr. J. Délger), Enciclopedie illustrate del primo medioevo (A. Goldschmidt), Simbolismo giuridico nel diritto romano e germanico (C. Borchling). Un ampio indice alfabetico dei nomi e degli argomenti contenutivi chiude il volume, che è illustrato da numerose illustrazioni in ricche tavole fuori testo.

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Aby Warburg e la sua sopravvivenza

Giovanni Costa, La collezione Warburg, in «Bilychnis», XVIII, tomo II, fasc. XII, 1929, pp. 357-361. Avevo da poco pubblicato il mio lavoro sulla Religione e politica nell’Impero romano (Torino, Bocca, 1923) quando in una simpatica conversazione con Fr. Cumont, in cui rivedemmo le principali e più recenti pubblicazioni sui nostri studi, ebbi da lui la notizia della «Biblioteca Warburg» in quel torno di tempo appena iniziata. Da allora con una puntualità regale e con una signorilità che amerei chiamare tedesca in opposizione alla piccineria di certi editori mie connazionali la Casa B. G. Teubner di Lipsia invia a questa rivista le pubblicazioni di quella collezione, che è costituita ormai, in appena otto anni di attività, da circa una ventina di volu-

mi in -8° grande, stampati nitidamente e lussuosamente illustrati e, quel che più

conta, di interesse scientifico straordinario.

Ho fatto già altra volta parola dei primi volumi di questa collezione, ma di fronte al loro valore collettivo e di fronte al loro contributo perspicuo credo dovere ai lettori, all’editore e al fondatore dell’iniziativa un’informazione di carattere generale che non pregiudicherà per nulla le singole mie o altrui recensioni particolari in occasione dei nostri periodici bollettini o delle nostre rassegne di studi. > *

Quella che io chiamo la collezione W., ma che il suo fondatore ha denominato

Bibliothek consta di due serie di pubblicazioni: una di Comunicazioni («Vortràge»), l’altra di saggi («Studien») di differente mole e formato. I primi furono iniziati nel 1923 con gli atti 1921-1922, di cui già parlai e nel primo volume dei quali Fritz Sax, il direttore della collezione ne spiegò gli scopi e ne fece, per dir così, la filosofia. A. Warburg è uno studioso in età ancora giovane — à passato da poco i 60 anni — che si collega a quel filone della coltura tedesca che faceva capo a Jacopo Burckhardt, di cui è nota la personalità in Italia e di cui è stato fatto in queste pagine, più volte parola a proposito della reimpressione recente di molte sue opere. Per quel che riguarda lo studio del Rinascimento, egli ne è il continuatore, ma, come avviene, non nella medesima forma, sibbene in quella completata, per dir

così, dalla visione nietzschiana. Ché se il B. à visto nell’antichità proseguita dal Rinascimento l’apollinico. N. vi à visto il dionisiaco ed a questo dionisiaco, nella espressione della lotta che il primo Rinascimento sopporta tra la libertà della nuova affermazione dell’individuo e la costruzione classica, si è dedicato il Warburg. Da questo stato psicologico-intellettuale è scaturita l’opera del W. concentrata in un trentennio ormai di studi, di cui la collezione in parola è l’espressione più recente e più definitiva. Il fine, quindi, cui essa tende è evidente: offrire materiali, studi, ricerche per approfondire l’estensione e l’intensità dell’influsso che l’antichità à esercitato sulle civiltà che la seguirono, in tutti icampi, ma soprattutto in quello artistico e religioso, in quello letterario e filosofico. Ne è venuta perciò una magnifica collezione di studi e di materiali di ogni genere in cui uomini di indiscusso valore ànno portato il loro contributo ad un’opera di interesse capitale in quanto che rende veramente utili gli studi dell’antichità, non concependoli filologicamente staccati dal nostro tronco, ma sentendoli e vedendoli strettamente collegati, attraverso il crogiuolo instabile e tormentato del M. E. — a torto dai suoi feticisti cattolici concepito in una ieratica immobilità di adorazione — alla nostra civiltà che trova la sua prima affermazione nel Rinascimento.

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Se non che l’opera non si è limitata ad esaminare l’antichità ne’ suoi rapporti con il nostro mondo, ma è risalita, dove era possibile e necessario, alle forme primordiali da essa assunte e quindi agli influssi orientali che ànno agito sia sulla civiltà classica che sulla cristiana ed à coinvolto, naturalmente, pur le fonti germaniche, dove era necessario. * * *

Per dare una più compiuta idea della materia raccolta in questa collezione, non intendo fare un semplice elenco delle comunicazioni e degli studi in essa pubblicati, ma, fondendoli sotto un punto di vista possibilmente scientifico, vorrei offrire ai lettori un saggio, fino ad un certo punto critico e determinato dell’opera svolta nella poderosa serie dei volumi finora pubblicati. E comincerò dalle questioni generali: tale. mi sembra il bello studio che E. Panofsky à destinato sotto il titolo /dea a esaminare quale concetto si ebbe della teoria dell’arte dagli antichi al Risorgimento con una ricerca storica (1924, p. 145 con 7 ill. Mk. 10) molto accurata ed interessante che per confessione stessa dell’A. è strettamente collegata con la Comunicazione di carattere sistematico di E. Cassirer pubblicata nel vol. dei «Vortràge» 1922-1923 I, p. 1-28 e che mi pare possa trovare il suo contrapposto nelio studio Panofsky-Saxl sulla Melancolia I del Diirer, studiata nello sviluppo storico del tipo da Aristotele al Diirer non solo come forma artistica, ma pur come contributo filosofico alla formazione della relativa rappresentazione (1923, p. XVI-160 e XLV tav. Mk. 12). Affine, ma di carattere più filosofico benché molto sagacemente, se non vittorio-

samente esemplificato con docuemnti artistici è la comunicazione dello stesso Panofsky sulla prospettiva come «forma simbolica» (V. 1924-1925, p.238-330, con 24 figure nel testo e 22 tav.), la quale in un certo qual modo dipende da poche, ma vive pagine dedicate da Cassirer ne’ Vortr., 1921-22 (p. II-40) al concetto della forma simbolica nella costruzione delle scienze dello spirito, che non è se non una pagina dell’opera acuta, e starei per dire insistente, con cui quello studioso à persegiuto e persegue — ciò che è stato anche fatto notare a proposito di altre sue opere in queste pagine — la sua indagine del pensiero mistico e della sua espressione come parte di quella sua indagine sulla teoria della conoscenza cui à destinato lodati lavori.

Un’attenta riflessione merita per la sua novità non tanto di concezione, quanto di connessione e di espressione la comunicazione di A. Doren (V. 1924-25, p. 58-

205) destinata a studiare il regno dell’Utopia nelle sue forme spaziali e temporali (Wunschràume u. Wunschzeiten). Trovo felicissima pure in un senso quasi correlativo la comunicazione di Fr. Dornseiff (V. 1924-25, p. 206-229) che studia con molta finezza l’impiego dell’esempio nella letteratura, valutandone il carattere illustrativo e aggiungendo un’interessante documentazione fraseologica che si impernia su di esso ed è utilissima a stabilire confronti con il nostro moderno modo di esprimersi che tende per differente impiego di mezzi, a diversi fini. L'efficacia esercitata dall’antichità attraverso alcuni scrittori, è bene messa in evidenza da E. Fraenkel colla sua comunica-

zione su Lucano (V. 1924-25, p. 229-257) rappresentante dell’antico pathos e per

mezzo della letteratura del primo rinascimento, non esclusi Dante e Petrarca, tra-

smesso a noi. E non minore interesse può destare la comunicazione di P. Hensel (V. 1925-26, p.67-94) che studia quell’inesauribile miniera di trasformazione che va sotto il simpatico nome di Montaigne. Particolari atteggiamenti artistici vengono invece studiati da G. Pauli nella sua comunicazione (V.I, p. 51-68) sull’azione che attraverso l’Italia esercitò l’antichità sul Diirer, esemplificata con largo corredo di documentazione artistica in 7 tav. Così R. Kautzsch (V. 1924-25, p.331-344) col sus-

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sidio di 22 illustrazioni su 13 tav. studia il problema del gotico e dell’antico nell’architettura burgundica del XII sec. mentre J. Mesnil (V. 1925-26, p. 122-146 con 13 tav.) esamina se in Masaccio si possa trovare l’esistenza di una dottrina artistica di carattere prospettivo propria del primo Rinascimento, che secondo alcuni sarebbe indiscutibilmente esistita. Lo studio di F. Schmidt-Degener (1928, p. 54 con 16 tav. Mk. 5) tradotto dall’olandese da A. Pauli, ci pone a contatto con Rembrandt e con il barocco olandese, e quello di Fr. Saxl (1927, p. 138 e 4 tav. Mk. 8) ci dà traverso a Jacopo Zucchi, al suo ciclo mitologico di affreschi del palazzo Rucellai poi Caetani (ora Ruspoli) sul Corso e ad una sua dissertazione sugli «dei dei gentili e le loro imprese» un’interessante documentazione sulla trasformazione che nel Rinascimento superiore, subi-

vano le concezioni religiose degli antichi. Monografia questa che si legge con piacere anche perché l’esistenza di questi affreschi è dai più dimenticata come il «discorso» del loro A., tanto che neppur la recente guida del Touring ne segnala l’esistenza, limitandosi a parlare del...caffè nuovo che vi esistè nell’800!

E poiché parliamo di riesumazione segnaliamo ancora un ampio studio del Cassirer sulla filosofia del Rinascimento (1927, p. 458 Mk. 24) nella cui appendice costituita dalla metà del volume, il C. pubblica il testo curato da J. Ritter e la tradu-

zione tedesca fatta da lui del libro de mente di Nicolò da Cusa (a cui sono nel testo dedicati i due primi capitoli, uno dei quali sui suoi rapporti con l’Italia) e il testo di quello de sapiente di C. Boville, a cura di R. Klibansky, con le riproduzioni dei disegni della edizione principe e con indici alfabetici speciali per ambedue. E tutto ciò a corredo di quella ricerca sull’individuo e il cosmo nella filososfia del Rinascimento, alla quale sono dedicati, oltre i cap. segnalati, altri due cap. sulla libertà e la necessità e sul problema del soggetto e dell’oggetto in quel pensiero filosofico, sondato nei suoi uomini più rappresentativi. ** RK

Ma come si sia svolto ed affermato in un intenso ed esteso movimento di idee, che

m'ha fatto testé dire tormentato quel M. E. che sedicenti suoi ammiratori considerano scioccamente statico, tutto questo affioramento di vecchio e nuovo, di vissuto e vitale, di inquieto e di fisso che nel Rinascimento spezzò la superficie solidificata, in apparenza, della vita dello spirito dimostra tutta una serie di comunicazioni e di studi che affronta il problema nelle forme più semplici ed in quelle più complesse. P.Lehmann (1927, p. 108 con 6 tav. Mk. 5) servendosi di testi poco e nulla conosciuti si avvince con un’esposizione vastissima di tutta un’antica pseudo letteratura fatta vivere nel M. E. (Ovidio, Marziale, Apuleio, Fulgenzio e minori); A. Goldschmidt (V. 1921-22, p.40-51 e 3 tav.) vi mostra la sopravvivenza delle antiche forme nel M. E. e le prime enciclopedie illustrate (V. 1923-24, p. 215-226 con 12 tav. che copiano goffamente l’antichità letteraria e artistica; H. Liebeschiitz (1926, p. 140 con 32 tav. Mk. 8.60) vi riproduce il testo di Fulgenzio Metaforale, illustrandolo con un commento ricco di notizie e di dati, per documentare lo svolgimento storico della mitologia nel M. E. e ricerca nella scolastica primitiva (V.193-24, p. 83148) i motivi cosmologici che ne costituiscono il substrato culturale. Non meno interessanti appaiono lo studio di E. Hoffmann (V. 1923-24, p. 17-82) sul platonismo nel M. E., e, affine a questo, quello di E. Wechssler che (V. 1921-22,

p. 69-93) rintraccia lo sviluppo dell’amore medievale dalla provenzale galanteria (Minne) come quello dell’amore platonico dall’amore per i fanciulli (Eros). P. E. Schramm da un’acuta comunicazione sullo svolgimento nell’arte medievale del tipo del dominatore (V. 1922-23, I, p. 146-224 con 20 ill. su 10 tav.)

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passa ad una impressionante raccolta di materiali — egli non crede ancor giunto il momento

per scrivere

una

monografia

sull'argomento

— sull Imperatore,

Roma e il Rinascimento nel periodo che va dalla fine dell'impero carolingio alla lotta per le investiture (1929, I, «Studien», p. XIV-305, II Exkurse u. Texte, p. VI 186 Mk. 24), di cui parleremo in seguito inseme con il lavoro di E. Pfeil, Die

Frinkische a. Deutsche Romidee des Friihen M. A., Minchen (V. d. Miinchner Dr. 1929, p. 238), per l’interesse che ci destano questi studi sull’influsso che l’idea di Roma è esercitato direttamente o indirettamente sulla civiltà europea i specialmente occidentale. Affini a questi per il loro carattere politico giuridico ricorderemo le comunicazioni di K. Brandl su Cola di Rienzo ed i suoi rapporti con il Rinascimento e l’umanismo (V. 1925-26, p. 95-129) e di C. Borchling sul simbolismo giuridico nel diritto romano e germanico (V. 1923-24, p. 227-251). >» * E

Ma più di questi studi che, pur direttamente o indirettamente, interessano il campo spirituale e religioso della storia della civiltà che va dall’antichità a noi,inostri lettori saranno curiosi di quelli che riflettono in modo speciale la storia delle religioni ed il cristianesimo. Vediamo perciò con piacere U. Wilamovitz-Méllendorf parlare di Zeus (V. 1923-24, pp. 1-16); R. Reitzenstein discorrere della teologia greca e delle sue fonti (V. 1924-25, pp. 1-19); H. Lietzmann ritornare sul tempio sotterraneo di Porta Maggiore (V. 1922-23, I, p. 66-70); A. Doren illustrarci con vantaggio anche degli studiosi di storia e letteratura la concezione della Fortuna nel M. E. e nel Rinascimento (V. 1922-23, I, pp. 71-144 con 20 ill. su 7 tav.) ed F. Noack ritornare

sull’interessante problema del trionfo degli archi di trionfo (V. 1925-26, pp. 147-202 con 37 tav.). Uno studio di E.Cassirer sul problema dei nomi degli dei (1925, p. 87, Mk. 4) se ci porta nel dominio già prospettato di quel pensatore, nondimeno ci chiarisce questioni di mitologia che tutti sovente ci proponiamo e ci apre il campo ad un più vasto campo di studi religiosi, soprattutto di carattere orientale, che ci permettono di chiarire non solo l’antichità, ma pure il Cristianesimo.

Tale è indubbiamente l’interessante lavoro del Norden sulla IV egloga virgiliana che ci connette in un’unica visione il mondo greco-orientale con quello evangelico e ce ne mostra la ripercussione nel mondo latino augusteo e ci apre la via agli studi degli Reitzenstein-Schaeder sull’antico sincretismo nell’Iran ed in Grecia (1926, p. 356, Mk. 18), di H. Junker sulle fonti iraniche della rappresentazione dell’Eone ellenistico (V. 1921-22, p. 125-178) e, meglio ancora, di H. Gressmann (V. 1923-24, p.170-195) che à acutamente indagato il problema che, in un altro senso ò esaminato io nel vo-

lume sopra citato, dell’influsso dallo spirito ellenistico esercitato sulla trasformazione delle religioni orientali, come ebbi, ripeto, io stesso a indagare la reazione che provocò nello spirito latino la loro importazione in Roma. Da questi saggi il passaggio al bel volume di R. Eisler sull’antico e sempre nuovo problema del pensiero misteriosofico orfico-dionisiaco nell’ambiente cristiano (V. 1922-23, II, p. XX-424 con 31 ill. su 24 tav.) è breve il passo: la raccolta di materiale è tale in questa «comunicazione» di vaste proporzioni che il lavoro resterà indubbiamente classico. E gli porremo accanto H. H. Schaeder con l’interessante saggio sulle forme e sullo sviluppo del sistema manicheo (V. 1924-25, p. 65-157) e per associazione d’idee, R. Reitzenstein che guarda S. Agostino come uomo antico e come uomo medievale (V. 1922-23, I, p. 28-65).

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Quali relazioni si possano vedere tra S. Paolo e l’antichità ci à additato K. L. Schmidt (V. 1924-25, p.38-65) e tra Platone e Zaratustra, naturalmente R. Reitzenstein (V. 1924-25, p. 20-38). Lavori speciali di antichità cristiana ci ànno dato H. Lietzmann sulla formazione della liturgia cristiana secondo le fonti più antiche (V. 1925-26, p. 45-66) e R. Reitzenstein sulla rappresentazione della fine del mondo secondo le fonti nordiche, persiane e cristiane (V. 1923-24, p. 149-169 con 16 figure su 6 tav.), mentre Fr. J. Déòlger, che i nostri lettori ben conoscono, ci à illustrato una scena della Passione di S. Perpetua alla luce di una comparazione di carattere storico-religioso tra il sangue dei martiri e quello dei gladiatori, ritenuto mezzo di salvazione e guarigione. H. Ritter ha fatto, in fine, una comunicazione su un manuale arabo di magia ellenistica, pseudo-ippocrateo (V. 1921-22, p.94-124), di cui egli ci darà tra breve il testo e la traduzione ed O. Franke à esaminato il pensiero cosmico nella filosofia e nello Stato dei Cinesi (V. 1925-26, p. 1-44) confortandolo con qualche dottrina occidentale simile.

La semplice rassegna di quest’insieme di lavori, dopo quello che si è detto, può essere sufficente a dimostrare al lettore l’importanza di questa collezione. A prescindere dalle idee degli autori, tutti di indiscutibile valore, come si è visto, a prescindere dalle conclusioni che non sono mai affrettate, del resto, la raccolta di materiali in

questa «biblioteca» è tale che essa segna una reale tappa nello svolgimento degli studi non solo tedeschi — perché molti riassumono e riportano a galla, come si è visto, studi e dati e notizie o ignoti o dimenticati anche di altre nazioni ma pur generali. Di essa non potrà fare a meno nessun studioso serio e coscienzioso. Noi italiani poi dobbiamo essere in modo speciale grati al suo fondatore ed ai suoi collaoratori in quanto che un’opera tale lumeggia, approfondisce, documenta periodi storici che si collegano fortemente con la nostra storia e con la nostra civiltà e che rimangono, nello svolgimento spirituale e religioso dell’umanità, fondamentali: l’antichità e il Rinascimento.

Anonimo (Giovanni Costa?), Letture ed appunti, in «Bilychnis», XIX, tomo II, fasc. VITI-IX, 1930, pp. 151-152. Si è pubblicato il volume delle «Comunicazioni» («Vortràge») della «Biblioteca Warburg» edita da Fritz Saxl e riguardante gli anni 1926-1927. Il grosso volume (p. XII-248 e numerose tavole) contiene sei comunicazioni di notevole valore ed interesse. La prima di J. von Schlosser studia la moderna monumentolatria con acute comparazioni e induzioni di carattere culturale e psicologico, accompagnate da buone illustrazioni. La seconda di G. Swarzenski ricerca chi fosse il «maestro nell’arte statuaria molto perito» che sarebbe stato di Colonia e si sarebbe chiamato Gusmin, secondo il Ghiberti. Un terzo saggio di Hans Tietze esamina l’arte romanica in rapporto con quella della Rinascenza e con l’antichità nelle sue varie espressioni regionali. Interessante artisticamente e culturalmente il saggio che segue di M. D. Henkel largamente illustrato sulle edizioni illustrate delle Metamorfosi ovidiane nei secoli XV, XVI e XVII. Importante pure lo studio di R. Salomon su Opicino de Canistris un «chierico» avignonese di cui si è occupato contemporaneamente all’ A. un nostro studioso, il prof. Gianani di Pavia; il S. ne studia la raffigurazione cosmica e le sue idee accompagnandola colla sua autobiografia. Infine H. Sieveking presenta i risul-

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tati culturali che in un novantennio di vita ha dato l'Accademia di Ham, uno degli istituti di Amburgo più fiorenti e più vitali che in un certo qual modo può dirsi un i xi precursore spirituale della Biblioteca Warburg. il prezioso più rende cose delle e persone delle indice Un ampio e minuzioso volume per la consultazione. *

Un altro magnifico volume è venuto ad accrescere la serie di studi della Biblioteca Warburg: E. Panofsky, Hercules am Scheidewege u. andere antike Bildstoffe in der neueren Kunst (Lipsia, B. G. Teubner, 1930, p. XX-216 e 77 tavole). L’A. esamina in esso la fortuna, soprattutto artistica di due traduzioni classiche: il simbolo culturale ellenistico del tempo — Serapide e l’Ercole di Prodico, 0 come abitualmente si dice, Ercole al bivio. Ci riserviamo di dare più ampie informazioni su questi studi: diciamo però fin d’ora che è interessante la copia di raffronti artistici e di dati originali che raccoglie per dimostrarne la trasmissione nel nostro umanesimo, in quello tedesco e nelle relative riproduzioni artistiche dei maggiori pittori o disegnatori del Rinascimento. Anche questo è un volume che contribuisce magnificamente a indagare lo spirito classico della nostra cultura, ereditato dallo studio e dalla trasformazione che del classicismo hanno fatto i nostri padri.

Anonimo (Giovanni Costa?), Letture ed appunti, in «Bilychnis», XIX, tomo II, fasc. X, 1930, pp. 251-252. Si è pubblicato in questi giorni un nuovo volume di Comunicazioni («Vortrige») della Biblioteca Warburg: quello dell’anno 1927-1928 (Leipzig, B. G. Teubner, 1930, p. X-342 e 42 tav., Mk. 20). Contiene cinque saggi, tutti destinati a chiarire le origini e lo sviluppo dell’arte teatrale. K. TH. Preuss studia il substrato del dramma nelle cerimonie religiose, negli usi e nei bisogni delle società primitive e nella tendenza umana alla mimesi. L’interessante studio è ampiamente illustrato da documenti etnografici di notevole valore. J. Geffcken apporta un notevole contributo alla storia dell’estetica antica ricercando il concetto del «tragico» nell’antichità. O. Regenbogen si occupa del dolore e della morte nelle tragedie di Seneca. K. Vossler ricerca quale efficacia esercitò l’antichità sulla poesia drammatica dei popoli neolatini. Infine J. Kroll, che ci promette, per il vol. 20° della collezione degli studi della stessa Biblioteca Warburg, un volume sulla discesa all’inferno di Cristo, ci offre qui un saggio per la storia della rappresentazione della discesa stessa. Un ampio indice delle persone e delle cose chiude il bel volume, su alcuni saggi del quale ci proponiamo di ritornare.

MB Note 1! L. DEMOFONTI, Rinascita spirituale e rinnovamento religioso nelle riviste «Coenobium» (1906-1919), «Bilychnis» (1912-1931) e «Conscientia» (1922-1927). La riforma nell’Italia del primo Novecento, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2003, pp. 89-144; D. MASELLI, Storia dei Battisti italiani, 1873-1923, Claudiana, Torino, 2003, pp.106-111,143-148.

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2 B. CROCE, Critica storica e critica estetica, in Conversazioni critiche, Giuseppe Laterza e Figli, Bari, 1924, p. 263. 3 L. RONCHI DE MICHELIS, Una pagina dell’evangelismo italiano: la Scuola teologica battista di Roma (1901-32), in Chiesa, Laicità e vita civile. Studi in onore di Guido Verucci, a cura di L. Ceci e L. Demofonti, Carocci, Roma, 2005, pp. 247-262.

4 ANONIMO, Introduzione, in «Bilychnis», I, fasc. 1, 1912, pp. 3-5. S Ivi, p.S. 6 E. CASSIRER, Filosofia delle forme simboliche, La Nuova Italia, Firenze, 1966-1967,

(tit. or. Philosophie der symbolischen Formen, 1923-1929). ? Costa era solito scrivere “à” invece di “ha” e “ò” invece di “ho”. 8 R. DI DONATO, / Greci selvaggi. Antropologia storica di Ernesto de Martino, Il Manifesto Libri, Roma, 1999. Cfr. Cestelli Guidi in questo volume. 9 Sul rapproto con De Jorio vedi G. DIDI-HUBERMAN, L’image survivante: histoire

de l’art et temps des fantòmes selon Aby Warburg, Edition du Minuit, Parigi, 2002. 10 ANONIMO, Letture e Appunti, in «Bilychnis», XVI, fasc. 12, 1927, p. 390. G. COSTA, La collezione Warburg, in «Bilychnis», XVIII, fasc. 12, 1929, pp. 357-361.

11 A. WARBURG, Seminariibungen iiber Jacob Burckhardt, in «Idea. Jahrbuch der Hamburger Kunsthalle», X, 1991, pp. 86-89 (1927). 12 G. COSTA, Recensioni, in «Bilychnis», XIII, I, 1924, pp. 387-388. Su Usener e

Warburg vedi H. GOMBRICH, Aby Warburg.

Una biografia intellettuale, Feltrinelli,

Milano, 1980. 13 IDEM, La collezione Warburg, in «Bilychnis», XVIII, tomo II, fasc. XIII, 1912,

p.358.

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