Verità e fede. Riflessioni sul rapporto tra il pensiero di Emanuele Severino e la cultura cattolica italiana 888220023X, 9788882200237

Introduzione di Emanuele Severino L'indagine del volume verte sul rapporto fede-ragione in relazione ai rilievi teo

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Italian Pages 142 [141] Year 1990

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Verità e fede. Riflessioni sul rapporto tra il pensiero di Emanuele Severino e la cultura cattolica italiana
 888220023X, 9788882200237

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Le provocazioni di Emanuele Severino,

le cure sul testo di Romano e di Paolo, il sostegno di Armando e di Livio hanno reso possibile questo lavoro: perciò ad essi è dedicato.

CAMILLO BARBISAN

VERITA' E FEDE. RIFLESSIONI SUL RAPPORTO TRA IL PENSIERO DI EMANUELE SEVERINO E LA CULTURA CATTOLICA ITALIANA lntroduzione

di Emanuele Severino

PROV\ETHEUS PROMETHEUS EDITRICE

INTRODUZIONE di Emanuele Severino

L'uomo dà senso al mondo ; vuole che abbia un senso . Questa volontà può esistere anche quando l'uomo non la riconosce come tale e crede che il senso del mondo che gli sta dinanzi esista indipendentemente da lui. Ma il senso del mondo è unicamente quello voluto e prodotto dall'uomo, oppure il mondo ha un senso di per se stesso, indipendente dall'uomo, un senso che possa manifestarsi all 'interno di un sapere non smentibile e immutabile ? Questa domanda può essere espressa anche cosi: "Esiste la verità? " . La cultura contemporanea, nel suo complesso, risponde negativa­ mente. Oppure oscilla tra la negazione dell'esistenza e la negazione della co­ noscibilità della verità. In questa situazione, tutte le forme di conoscenza si trovano in qualche modo agevolate: non debbono confrontarsi con la verità; non debbono attendere da essa il giudizio su/ loro valore. A ccade lo stesso per /a fede cristiana, che non è mai stata libera come oggi, e mai come oggi le è stato estraneo ogni complesso di inferiorità rispetto alle altre forme del sapere. Tuttavia, se la verità non esiste -o non è conoscibile-, anche la fede cristiana diventa una pura volontà : la volontà che il mondo abbia un certo senso piuttosto che un altro. E accanto e in opposizione alla volontà cristiana si accampano le altre volontà, gli altri modi di dar senso al mondo. Lo scontro tra le volontà diverse è deciso unicamente dalla loro forza, che è anche forza di persuasione. La fede cristiana non può pretendere di porsi al di sopra delle altre in quanto "rivelata da Dio", perché Dio appartiene al senso che /a fede cristiana, e non le altre o certe altre, vuoi dare al mondo. Appunto per queste conseguenze la Chiesa cattolica è rimasta l'unica istituzione (l'altra, l'Unione Sovietica, sembra che ormai non lo sia più) a so­ stenere l'esistenza e la conoscibilità della verità. Accadrà ancora per qualche tempo (che potrebbe anche non esser breve) , perché il cristianesimo, oggi, crede di non essere coinvolto nel processo che conduce al tramonto del comunismo marxista e che è appunto il processo in cui la verità muore definitivamente, insieme a tutte le fedi che, come quella cristiana, si attribuiscono il carattere di incontrovertibilità e definitività che nella tradizione occidentale la filosofia ha sempre attribuito a se stessa . Poi, anche il cattolicesimo si troverà ad essere una forma di volontà accanto alle altre; e non -

si vede come la potenza della volontà cristiana potrà tener testa alla volontà (ossia alla fede) scientifico-tecnologica. Nel frattempo, però, il tema del rapporto tra la fede e la verità può ri­ guadagnare il centro della cultura cattolica e cristiana. Non mancano segnali in questa direzione. Ad esempio, il recentissimo Documento della Commissione Teologia Internazionale sulla "Interpretazione dei Dogmi". Appunto in questa atmosfera si muove il saggio di Camillo Barbisan, che sono lieto di presentare e che dà un contributo pregevole, intelligente ed onesto al problema del rap­ porto tra fede e verità. Non è la prima volta che giovani sacerdoti cattolici di valore si interessano a quel tema, prendendo le mosse dai miei scritti. Barbi­ san è convinto che, all'interno della fede cattolica, non si possa evitare il ri­ pensamento della categoria della verità, e quindi della totalità, che la teologia e la cultura cattolica più recente sembra aver dimenticato . In questo senso, Barbisan riconverge verso la posizione di Tommaso d'Aquino . Ma -e questo è un altro aspetto istruttivo del suo discorso- rendendo esplicito quello che nel tomismo tende a restare implicito: Barbisan dichiara di porsi dal punto di vista del credente. Nel suo aspetto formale, il problema è proprio questo : se ci si pone originariamente nella fede, non ci si è preclusa la possibilità di scorgere l'originario ? Non si è già compiuto il passo decisivo che volta le spalle alla manifestazione della verità originaria? E lasciar apparire la verità non significa mettere in questione ogni fede ? Nella terminologia della tradizione, la "ragione n aturale " è ciò "a cui tutti sono costretti a dare il proprio assen so (Tommaso), perché vede incontrovertibilmente il senso che il mondo possiede per se stesso. Ma se, considerando il rapporto tra fede e ragione, ci si pone originariamente dal punto di vista della fede, la fede avrà l'ultima parola. La verità è daccapo dimenticata. Se la verità è ciò che la tradizione occidentale intende con questa pa­ rola (e la tomistica "ragione naturale" è un modo di cogliere la verità così in­ tesa), la "verità " è destinata al tramonto. La sua morte è la conseguenza inevi­ tabile del modo in cui essa è nata. Si tratta di comprendere che la storia della verità nella civiltà occidentale non esaurisce il senso della verità. No n perché il decisivo sia reperibile in altre civiltà, ma perché ogni civiltà ha distolto lo sguardo dalla propria anima più profonda, in cui la verità brilla da sempre, nascosta. Essa può attendere che la civiltà della tecnica spinga al tramonto tutte le "verità" dell'Occidente e tutte le fedi che risultano impotenti rispetto allafede della scienza e della tecnica. Può attendere lo stesso tramonto della civiltà della tecnica. In quanto volontà di senso, la fede (ogni fede) è volontà di potenza; e le stesse "verità" dell'Occidente sono il prevaricare che presenta la propria imposizione di senso al mondo come manifestazione incontrovertibile del senso del mondo. La verità nascosta, che peraltro è da sempre presente nell'anima di ogni civiltà, attende invece il tramonto della volontà di potenza. Alla verità nascosta tentano di rivolgersi i miei scritti . Non intendono portarla alla luce -giacché essa è la luce- , ma farle spazio nel linguaggio. La meraviglia, si dice, è che l'essere sia . Si pensa cioè che all'essere si addica il "

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non essere, ossia l'esser niente. Si pensa che l'essere è niente . Pensando che l'essere sporge provvisoriamente dal niente, accadendo, si pensa che l'essere è niente . E' il pensiero che guida la storia dell'Occidente. Al centro della verità nascosta appare invece l'impossibilità che l'essere sia niente, cioè che esca dal niente e vi ritorni: appare l'eternità dell'essere in quanto essere, l'eternità di ogni essere . Soprattutto questo centro i miei scritti tentano di condurre ne/ linguaggio. Poiché il libro di Barbisan è dedicato ai rapporti tra la cultura cattolica e il mio discorso filosofico, non posso chiudere questa presentazione senza ricordare Gustavo Bontadini, una delle intelligenze filosofiche più lucide e forti del nostro tempo. Ci ha lasciati nella settimana di Pasqua. Per me il rim­ pianto è duplice: non solo per l'uomo, il maestro, l'amico; ma anche perché, più di ogni altro, egli ha visto che quel centro del mio discorso non può essere negato (anche se poi ha tentato di esorcizzarlo) . Certo, "non dando ascolto a me, ma al logos" (Eraclito, fr. 50). Ma il centro dice che tutto è eterno: anche il rimpianto assume un 'intonazione diversa.

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PROLOGO

l. Prologo . Sono ormai trascorsi venticinque anni da quando Gustavo Bontadini esprimeva una non lusinghiera profezia riguardo il futuro della prospettiva filosofica di Emanuele Severino: . . . aggiungerò che anche per ragioni contingenti non sembra che la tua predicazione possa trovare credito: giacché se i tempi (il tempo!) sono mal disposti verso la metafisica in genere, possiamo immaginare come accoglieranno la tua, la quale, mentre l'wnanità è accanita dietro la conquista del cosmo e la trasformazione delle strutture sociali, annuncia che tutto è già perfettamente a posto nella beata casa dell'essere" 1 . Poche righe oltre -quasi a mitigare la crudezza dell' affermazione precedente- lo stesso Bontadini affermava: "Ma è chiaro che l'augurio che formulo, di tutto cuore, è appunto, un altro : poiché la metafisica ha bisogno di te, non può rinunciare ad un operaio come te . . . l'augurio è, pertanto, che, rinunciando alla originale, ma invalida Destruktion della metafisica classica, tu inserisca il tuo poderoso contributo . . . nel solco tracciato da quei sommi, cui si ispira il pensiero e l'insegnamento di quella Università, dove ci troviamo a collaborare"2. La profezia e l'augurio del maestro nei confronti del prestigioso discepolo non sembrano essersi assolutamente realizzati. Per quanto attiene alla prima. La proposta filosofica di Severino non solo è ampiamente presente nel dibattito attuale, ma anzi si va imponendo sempre più insistentemente. L'introduzione ad una recente ed autorevole interpretazione esprime infatti tale valutazione: "S everino è qui inteso come una delle manifestazioni più significative e una delle conclusioni estreme del pensiero classico e del­ l'idealismo moderno"3. Ma neppure l'augurio si è realizzato: la critica alla "cittadella" della metafisica si è fatta sempre più radicale fino a giungere alla condanna -da "

1 G. BONTADINI , Sozein ta Fainomena, In "Rivista di filosofia neoscolastica" , LVI ( 1 964), p. 46 1 . 2 Ibidem. 3 C. SCILIRONI , Ontologia e storia nel pensiero di Emanuele Severino, Abano Terme Padova, 1 980, p. 7. Non diversamente, come avremo ampiamente modo di rilevare nel procedere della nostra ricognizione, si esprimono, pur nella diversità di accenti e collocazioni, C. Fabro, L. Messinese ... riguardo alla central ità di E. Severino nel dibattito filosofico attuale.

parte della Congregazione per la dottrina della fede (ex S . Uffizio)- delle tesi del nostro e al conseguente allontanamento dall'Università Cattolica di Milano. Nostro proposito è dunque quello di gettare dei colpi di scandaglio in questo arco di tempo per cogliere, in particolare, le reazioni che il pensiero di Severino provocava nel suo progressivo "srotolamento". Precisiamo immediatamente che oggetto del presente lavoro saranno le reazioni dell'ambiente del "pensiero cristiano" giustificando tale scelta con il fatto che entro tale terreno avvenne la formazione, nell'Università Cattolica il nostro tenne cattedra, con l'istituzione ecclesiastica "centrale" vi fu quel significativo conflitto - ma soprattutto per quanto attiene la vicenda della metafisica particolarmente dibattuta in quegli anni all'interno del cattolicesimo. Ciò trova ampio riscontro -così come successivamente vedremo in modo maggiormente analitico- nei testi di E. Severino: il tema della fede, l'incontro/scontro con il cristianesimo, il rapporto filosofia-teologia . . . sono altrettanti, consistenti segmenti attraverso i quali si precisa -e si specifica nella forma della differenziazione e del congedo- il pensiero in questione. Il presente lavoro ci fornirà pertanto una duplice opportunità. Da un lato focalizzare ulteriormente il senso e il peso della proposta severiniana nell'ambito del panorama filosofico italiano. Ma non solo di questo visto il rilievo che vanno assumendo le provocazioni di E. Severino all'interno del più vasto orizzonte della cultura contemporanea. Di recente pure E. Berti -da un' altra " sponda" - riconosceva la positività del dibattito con S everino: "a cui i sostenitori della metafisica classica devono essere particolarmente grati, perché la sua negazione della metafisica è uno degli ormai rarissimi casi di negazione autenticamente filosofica, cioè pertinente, argomentata, dettata da autentico desiderio di co­ noscere la verità, costituente quindi uno degli esempi più alti di quella tradizione di "pensiero fondativo " (non meramente "rappresentativo ", o "evocativo ", o "narrativo ") che ha preso le mosse dall'antologia greca e che forma -perché non dirlo ?- il merito principale dell'Occidente . . . Con Severino, finalmente, si può discutere di filosofia non con parole in libertà, cioè dicendo qualunque cosa passi per la testa, ma argomentando, obiettando, doman­ dando e rispondendo" 4 . Dall'altro lato ci è data l'occasione per cogliere la vicenda della metafisica nell' ambito del pensiero e del pensare cristiano di questi ultimi venticinque anni. Un arco di tempo nel quale la struttura ritenuta per secoli portante l'intero edificio cristiano per alcuni vacilla mentre per altri è definitivamente rovinata e quindi oltrepassata. In ogni caso il tema "fine della metafisica" è ormai riconosciuto come un luogo comune. La questione non è però chiusa in quanto "Le alterna tive proposte , benché parzialmente giustificate, non appaiono in grado di sostenere il peso della funzione che 4 E. BERTI, Le vie della ragione, Bologna, 1987, pp. 225-226.

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sono chiamate a svolgere, in altre parole di coprire il posto lasciato libero dalla figura contestata . . . ''fine della metafisica " non significa la fine del problema metafisica e il superamento, la semplice cancellazione della questione. Essa significa piuttosto la necessità di un riesame de lla . questzone . . . " 5 . n plesso di questioni sollevate da E. Severino costituiscono una valida provocazione -rivolta anche alla teologia- in vista di effettuare un "riesame". Il seguito dell'esplorazione mirerà a verificare se effettivamente la teologia abbia raccolto questa sfida.

5 A. BERTULETTI, "Fine della metafisica " nella teologia contemporanea, Teologia IV

( 1 979), pp.38-39. Tutto i l fascicolo succ itato riporta gli atti dell'incontro interdisciplinare La '1ine della metafisica " nella teologia contemporanea tenutosi alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano nel maggio 1987. La questione del "riesarne" è inoltre lucidarnente posta da: C. COLOMBO, La vicenda della teologia cattolica nel sec. XX. In "Dizionario Teologico Interdisciplinare" , Torino, 1 977, pp. 5 8 5-5 86.

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Sezione Prima - Parte Prima

EMANUELE SEVERINO

2.1. Lineamenti generali della filosofia di Emanuele Severino . Il "fenomeno"

Severino -così possiamo definirlo dopo la recezione che di questo pensatore è stata effettuata all'infuori dell'ambito filosofico ma anche al di fuori del mondo accademico- è generalmente, se non anche talvolta genericamente, as­ similata alla contestazione più radicale dell'attuale assetto politico-economico­ tecnico-scientifico . . E' il filosofo che legge onnicomprensivamente "tutto l'occidente" (et eo idem tutto il mondo, dato l'imporsi " dell'Occidente" su tutta la superficie terrestre) all'interno della categoria "alienazione" , oppure "follia". Se tale è l'esito estremo -intorno al quale parecchi si mostrano affac­ cendati- importa però conoscere la genesi, comprendere le radici che lo so­ stengono: operazione questa che, data la maggior complessità ed impegno ri­ chiesti, sovente è evitata6 . E' nostro scopo -in questo primo capitolo- delineare le coordinate fondamentali del pensiero di E. Severino per coglierne, successivamente, un aspetto specifico: la riflessione intorno alla fede e al sacro. La problematica all'interno della quale il nostro si muove fin dagli inizi del suo filosofare è quella denominata metafisica classica professata con rigore all'Università Cattolica di Milano tra gli altri da G. Bontadini. E' so.

6 Nota in modo puntuale L. Messinese: "Per chi conosce Severino solo superficialmente ,

egli è il filosofo che nullifica ogni filosofia e ideologia in nome di una pretesa " essenza nichilistica dell'occidente", una sorta di ripetitore di Nietzsche e di Heidegger. In realtà, è al­ tamente significativo il fatto che gli interlocutori principali del nostro filosofo siano tutti esponenti della "metafisica classica ", i quali poi sono parimenti di matrice cattolica . . . i pro­ blemi essenziali di Severino sono quegli stessi della filosofia classica " , in L. MESS INESE, Essere e divenire nel pensiero di E. Severino. Nichilismo tecnologico e do­ manda metafisica, Roma, 1985, pp. 1 5-16. . . .

prattutto sulla scia dei problemi -anzi del problema, come subito vedremo- la­ sciato aperto da quest'ultimo che si muove il discepolo. La rigorizzazione della metafisica classica operata dal maestro portava ad un conflitto tra "logo", da un lato, ed "esperienza", dall'altro; una situa­ zione contraddittoria data dal presentarsi -entro l'esperienza, il divenire­ dell'annullarsi dell'essere che è, e quindi (ed in ciò risiede la contraddizione) alla prospettazione di una identità fra essere e non essere. Da ciò si esce -data l'esigita incontraddittorietà del reale richiesta dal "logo "- introducendo il Principio di Creazione. In questo "Denken von oben" la contraddizione intrin­ seca al divenire è tolta. Fin qui Bontadini7 . Prima di contestare questo esito e di prospettare un'altra -ben più radicale- soluzione il nostro si cimenta con la questione del "cominciamento" : dopo la prima opera su Heidegger e la metafisica8 nella Struttura Originaria9 è infatti messo a tema il "fondamento" nel duplice orizzonte "esperienziale" e "metafisico" per giungere a mostrarne l'automanifestazione incontrovertibile. Data l'ampiezza di quest'opera risulta difficile -per rimanere nei limiti di quest'introduzione- operarne una sintesi. Ci sembrano sufficienti brevi allusioni che in questa sede denominiamo "livelli". Il primo livello è dato dalla "presenza dell'es sere " che è "immediatamente" : l'essere e la presenza non sono separabili : la presenza è " l'è" dell'affermazione "l'essere è". Evitando, con ciò, ogni rivendicazione affermativa-negativa della coscienza in ordine a che l'essere sia: non necessita mediazione o dimostrazione alcuna. Tale è definita "immediatezza fenomeno­ logica". n secondo livello -"immediatezza logica"- afferma l'incontradditorietà della posizione dell'essere: è il momento nel quale è tolta la negazione dell'essere. Questo è l'ambito nel quale il nostro sottopone ad attenta analisi i principi aristotelici di identità e di non contraddizione evidenziandone "l'astrattezza" rispetto alla "concretezza del principio" attraverso la semantiz­ zazione del rapporto essere-nulla. Nell'ulteriore avanzamento si affronta la " si ntesi originaria" : l'esposizione dei rapporti tra i vari significati o giudizi per superarne l'astrattezza (che li pone irrelatamente) e porli, invece, concretamente. Momento determinante in questo ambito è la dialettica presente ogniqualvolta è posto un significato: la parte non può apparire senza il tutto (pena il ricadere nell'astrattezza); ma anche, ed è la seconda affermazione rilevante, la conse­ guenza che il fondamento si configuri come una complessità semantica di cui sono parte essenziale le sue stesse negazioni. Con ciò Severino converge sulla linea di Hegel (soprattutto nei tre momenti costitutivi il toglimento della 7 In sede di ricostruzione del pensiero cristiano contemporaneo appofondiremo maggior­

mente la questione. 8 E. SEVERINO, Heidegger e la metafisica, Brescia, 1 950. 9 E. SEVERINO, La struttura Originaria, Brescia, 1 958. Nuova edizione ampliata, Milano, 198 1 .

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contraddizione: l) dell'intelletto astratto, 2) dialettico o negativo razionale, 3) speculativo o positivo razionale) ma nello stesso tempo ne diverge (fondamentale il fatto che ciò che per Hegel è mediazione, per Severino sia immediatezza logica). L'ultimo stadio della riflessione e dello sviluppo del processo dialet­ tico è la posizione dell'intero. Se la parte, non vista nella sua relazione origi­ naria ed essenziale al tutto, è una manifestazione astratta dell'astratto, il con­ creto -il superamento della contraddizione- è la posizione della totalità. Questo però non si manifesta nella sua concretezza (bensì formaliter) : la sua rivelazione (la rivelazione dell'essere) può definirsi "processuale". Con ciò è posta quella contraddizione che "innesca" il compito originario: "Il compito ­ ciò che si deve portare a compimento- è la manifestazione dell'immutabile. Non si dovrà forse dire che si tratta di un compito infinito, e che precisamente in "ciò è l'impronta della nostra destinazione per l'eternità" (come diceva Fichte . . )"1o. n successivo sviluppo del pensiero di Severino muove dalle premesse poste nel saggio teorico testé annunciato per risolvere -diversamente dal suo maestro- l'aporia essere-divenire. L'incipit del Ritornare a Parmenide l l è nello stesso tempo il filo conduttore che guida questa seconda fase severiniana: "La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell'alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell'essere, inizialmente intravvisto dal più antico pensiero dei greci" 1 2 . Il senso autentico -appena intravvisto e poi subito abbandonato- è nell'opera pannenidea la quale "espelle" le differenze (il divenire) dall'essere per afferrare l'unità dando luogo però -ed in questo consiste l'ambivalenza di Parmenide l3 - alla posizione del non-essere che sono le differenze medesime (i nomi). L'approfondimento platonico-aristotelico di questa soluzione aporetica occa­ siona la "rigorizzazione" della dimenticanza/alterazione del senso autentico dell'essere: le differenze irrompono nell'essere. "D iciamo che l'irruzione delle differenze del molteplice nell'area dell'essere porta a concepire l'intero del po­ sitivo . . . sulla traccia del positivo empirico . . . non già perché dopo Parmenide il pensiero metajisico non sappia tenersi innanzi, ed esplicitamente, l'intero, ma perché l'idea dell'essere, che dopo Parmenide viene a formarsi, vede l'essere appunto come ciò che è, quando è, e che non è, quando non è . ..; un 'idea dunque che lascia libero l'essere di essere e di non essere; un'idea dunque che proietta su tutto l'essere quanto si constata a proposito delle differenze che .

1 0 Ibidem, p. 555. 1 1 E. SEVERINO, Ritornare a Parmenide, Rivista di filosofia neoscolastica, 1964 (II); ora in Essenza del nichilismo, Milano, 1 982, pp. 19-6 1 . 1 2 Ibidem, p. 1 9 . 1 3 "Parmenide è i l seminatore tragico che getta insieme la semina nella verità e l a semina nella follia". In E. SEVERINO, Il parricidio mancato, Milano, 1985, p. 77 .

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hanno fatto irruzione nell'essere; le quali, appunto, ora sono, ma prima non erano, e poi, daccapo, non sono" 14 . Se tutto ciò costituisce la pars destruens della filosofia severiniana, ben presto si profila la pars costruens nell'affermazione della verità dell'essere sulla scorta di un ripensamento di Parmenide : "Dunque l'essere non esce dal nulla e non ritorna nel nulla, non nasce e non muore, non c'è un tempo, una situa­ zione in cui l'essere non sia. Se era nel nulla, non era; se ritornasse nel nulla, non sarebbe . . . il che significa per noi che ogni cosa, per quanto spregevole, se è una cosa, è eterna" 1 5 . Con ciò sono posti i due momenti fondamentali dell'opera la cui "esecuzione" altro non sarà che ulteriore rigorizzazione dei temi (eternità-necessità-immuta­ bilità dell'essere) da un lato, ed in sonne lettura delle variazioni (rapporto parte/tutto, apparire trascendentale/apparire esperienziale) dall'altro lato. Ancora una volta travalicherebbe gli obiettivi del presente capitolo introdutto­ rio l'esposizione completa di questa trama di pensiero dalla quale trascegliamo invece alcune linee direttrici. L'inveramento delle proprie tesi è colto da Severino nel senso che l'Occidente attribuisce alla "cosa" (alla cui radice sta la struttura metafisica dei greci) come disponibilità all'essere e al nulla. Il divenire -che è poi quanto dire il "gioco" del nascere e del perire, tutta la superficie dell'Occidente­ inteso quale venire dal nulla, apparire nell'essere, ritornare nel nulla non può non "terrorizzare": il divenire necessita una forza di dominazione tale da securizzare, da mettere al riparo. L'identica risposta si è formulata in due momenti distinti ma -appunto- sostanzialmente comuni : da un lato -ed è il primo tempo- l'evocazione degli immutabili (Dio, in primo luogo, nella tradizione giudaico-cristiana) a regolamentare il divenire, il nascere ed il perire. Determinazioni divenienti caricate di valenza indiveniente: eternizzati appunto. Dall'altro lato -ed è (storicamente) il secondo tempo di cui il presente è l'estrema realizzazione- la sostituzione di questi immutabili teologici con la scienza e la tecnica: ovverosia il dominio scientifico-tecnologico inteso quale forma radicale di controllabilità-progettabilità intorno alla "disponibilità" delle cose. Ma anche qui -pure se non appare (ed in questo consiste la critica radi­ cale all'assetto attuale del mondo)- siamo all'interno di una fede: ad un volere che le cose stiano così e non altrimenti. Esiti diversificati di un'esigenza posta una volta per tutte dalla filosofia greca alla ricerca di un dire incontrovertibile tale da avere la capacità di imporsi su ogni negazione : il sapere epistemico quale "stare " capace di imporsi su tutto ciò che appare. Ecco cosa sono gli immutabili, la legge naturale, gli assetti ideologici, le leggi economiche e, da ultimo, il dominio scientifico tecnologico 16 . Questo nella sua volontà di porsi 14 E. SEVERINO, Rito rnare a Parmenide , cit.,p. 25.

1 5 Ibidem , p.28. 16 Densa e significativa riproposizione di tutto ciò nel recenti ssimo E. S EVERINO, La

tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, 1 988, soprattutto dalle pp. 1 65- 185.

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come un radicale superamento di quanto lo ha preceduto (e che trova riassun­ zione nel termine fede) in realtà altro non produce che la realizzazione piena della volontà di potenza e quindi della fede. Al punto che -paradossalmente­ l'Occidente si presenta come il "luogo" dello scontro delle fedi nel quale la fede scientifico-tecnologica sembra sortime vincitrice. Tutta questa "superficie" appare nel suo omniavvolgente nichilismo se, ap­ pena, se ne discende al "sottosuolo" (ancora una volta si profila lo stretto le­ game fra ontologia ed antropologia) diversificato in una sorta di tre livelli. n primo è rappresentato dal PRECONSCIO ovverosia dal senso greco della "cosa" che la intende quale "non niente" (oscillazione fra l'essere e il niente) ed evoca categorie quali tempo-storia-divenire-produzione-distru­ zione. Tale è il nichilismo come fenomeno, la fede esplicita dell'Occidente. Eppure tutto ciò, questo primo livello, è legato da una sequenza necessaria, da un transito ineliminabile al secondo livello denominato INCONSCIO dell'Occidente: la persuasione che l'ente è niente. Tale è "l'in sé" del nichilismo ed è perciò la fede nascosta, implicita dell'Occidente. Il terzo livello -che se ne sta fuori del nichilismo e che perciò lo fa apparire appunto tale- è detto INCONSCIO DELL'INCON SCIO: è l'apertura che si schiude a partire dall'affermazione dell'eternità del tutto !ad­ dove il terrore, angoscia dell'Occidente, è tolto perché ne è "rimossa" la causa: la fede nel divenire. L'apparire di queste tesi provocava di volta in volta lo scatenarsi di vivacissime reazioni provenienti soprattutto dal versante dei "difensori" di ciò che è inteso quale "evidenza originaria" : il divenire delle determinazioni. Altrettanto pronte e decisive le "controrepliche" di Severino tese a mostrare il rapporto tra il (supposto) divenire e lo stare eterno della totalità 1 7. Fondamentale in questo contesto è la riflessione intorno all'apparire quale modalit à esprimente l'incominciare/finire ad/di es sere. "Nella verità, l'accadere non è l'incominciare ad essere, ma l'incominciare ad apparire. Che l'ente incominci ad apparire significa che esso, eterno, esce dall'ombra del non apparire ed entra nella luce dell'apparire. Cade in questa luce" l&. L' apparire è dunque l'orizzonte trascendentale, lo sfondo entro il quale eternamente se ne sta raccolta la verità dell'essere: lo stare eterno della totalità delle determinazioni; ciò che a noi appare come diveniente è la manifestazione processuale della verità dell'essere che si offre appunto come "apparire dell'apparire dell'apparire" oppure, come "apparire dell'apparire dello scom­ parire", laddove è esclusa ogni possibilità di intendere l'apparire sulla linea essere/niente. " . . . questo non apparire ancora, che precede l'incominciare ad apparire, non è la nientità dell'apparire incominciante . . . tutto ciò che soprag­ giunge è già eterno " l 9. 1 7 Alludiamo al poderoso saggio E. SEVERINO, Destino delle necessità, Milano, 1 980. 18 Ibidem , p. 97. 19 Ibidem, p. 1 0 1 .

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La lettura alienata -fuori della verità- si produce proprio in quanto si opera un "isolamento" delle determinazioni dallo sfondo, dall'orizzonte trascendentale. Noi viviamo all'interno di quello che il nostro denomina "isolamento della terra" e che ci porta a ritenere come evidenza originaria il nascere ed il perire intesi quali venire dal niente e tornare al niente di ogni essere che è. Ci rendiamo conto che queste note non possono pretendere di ritenere esaurita l'esposizione del campo di indagine offerto da Severino: è solamente l'evocazione di alcuni luoghi fondamentali tale da consentirci la rilevazione di una specifica questione nella quale però ritroveremo ancora la totalità della fi­ losofia severiniana. Tale è infatti il filosofare del nostro: in ogni frammento ritroviamo il tutto; il che -fuor di metafora- equivale a dire che quando il no­ stro si impegna a scandagliare aspetti specifici e qualificanti la " superficie dell'Occidente" tutta la sua radicale posizione è posta in movimento e chiamata in causa. E' proprio nella direzione del disvelamento del senso autentico di questi "frammenti" dell'Occidente (che equivale ad intero pianeta) che il pensiero di Severino da qualche anno sta procedendo nella chiara coscienza che ruolo del filosofo non è tanto quello di trasformare il mondo quanto piuttosto di offrirne l'interpretazione, di evocarne le radici profonde che -in quanto tali­ sono dimenticate. "Lo spirito critico del nostro tempo crede di non aver più nulla da imparare. E invece il suo continuo affinarsi e perfezionarsi si sviluppa rimanendo all'interno del più indiscusso, inconsapevole e intoccabile dei dogmi. Sino a che non si mette in questione e si rende trasparente la fede dominante che ha avvolto e guidato l'intero corso della civiltà europea, e che ormai avvolge e guida l'intero corso del mondo, il mondo procede alla cieca. Le luci che in esso si accendono non dissipano l'oscurità. La "pace ", la "salvezza ", la "dignità dell'uomo ", la "buona volontà" e la "ragione " messe in atto per migliorare la condizione wnana sono luci che restano oscure ne/loro significato più profondo" 20. 2.2. L"'attrito " con la fede. Dopo aver delineato le coordinate fondamentali

del pensiero di E.S everino procediamo nel nostro lavoro evidenziando il rap­ porto che questa prospettiva filosofica intrattiene con la fede (generaliter) e con il credere cristiano (specialiter) . Ciò che prima era espresso in actu si­ gnato ora abbiamo l'opportunità di coglierlo in actu esercito 2 1 .

20 E. SE VERINO, La tendenza fondamentale . ,cit., p. 19. 2 1 Diamo un elenco dei testi della produzione severiniana nei quali è consistentemente tematizzata la "questione fede": Implicazioni pragmatiche della verità (1967); Il sentie ro de l giorno ( 1 967); Sul significato della morte di Dio (1969); Alienazione e salvezza della verità ( 1 970); Risposte alla chiesa (1971); Cristianesimo, rivoluzione , tradizio ne (197 2); La fede , il dubbio (1975); Impossibilità della fe de (197 6); Le contraddizioni del crist ianesimo (1979); Il sign ificato della vio lenza (1979); Prefazione e Postille alla nuo va e dizione di S.F.P. (1982); Pregare , carpire (198 3 ); La medicina come malattia (1983); Due anime abitano nel nostro petto (1983); Il peccato e la mo rte (1983); La cruna dell'ago (1983 ); La ..

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2.2 .1. /ntorno alla "struttura originaria ". La prima cospicua occasione per ar­ ticolare una compiuta riflessione sul tema in parola è offerta in Studi di filosofia della prassi22 che si pone come conseguenza della grande esposi­ zione del sistema intitolata appunto La struttura originaria. Il rapporto tra le due opere è tematizzato dallo stesso Severino nella Prefazione del 1 96 1 : "Dei tre studi che compongono questo volume, il primo ed il terzo hanno il compito di determinare il rapporto tra le indagini sviluppate nel mio saggio "La struttura originaria" e il problema della prassi; e quindi il rapporto tra la situazione consistente nel possesso della verità e il vivere pratico dell'uomo " (p.37). Tutto ciò sarà ribadito nella Prefazione ( 1982) alla nuova edizione: "L'aspetto esterno de/ libro è indicato dal tenn.ine "Studi": si tratta del prolungamento di­ retto delle tematiche esposte ne "La struttura originaria " . . . , mediante un tipo di linguaggio che non mira alla completezza e alla rifinitura, ma alla rapida prospettazione dei molti temi verso cui si dirige "La struttura originaria". Un prolungamento che, nelle prime righe dell"'Avvertenza " di tale libro, viene esplicitamente preannunciato"(p. 17). In effetti troviamo scritto nella summenzionata "Avvertenza" : "Compare, in questo primo volume, un gruppo di indagini sulla struttura originaria (con le quali si intende appunto pervenire a una significazione concreta di questo ter­ mine) . /l discorso resta cioè aperto a un prolungamento e a un approfondi­ mento " 23 . I testi che più direttamente ci interessano sono quattro capitoli che costitui­ scono la seconda parte24 del primo "blocco" di Studi. Dopo aver richiamato il significato del termine "verità" "sintesi di ciò che è detto e del valore assoluto di ciò che è detto"(p. 97), si definisce la fede (qualsivoglia fede) come "la certezza in un contenuto che non si costituisce come verità"(p. 98), ed è quindi un trovarsi "in contraddizione senza possibi­ lità di uscirne"(p. 98), "ciò che non è verità (è) assunto come verità"(p. 99). La conseguenza che ne deriva è tale che "Al di fuori della struttura originaria tutto è fede"(p. 99) . Tuttavia -e questo sarà l'elemento dominante sottoposto ad analisi in questa parte degli "Studi"- se il trovarsi nella fede equivale ad essere nella contraddi­ zione "l 'asserto che è contenuto della fede non è sempre autocontraddi­ zione"(p. 99). metafora della "dettatura dello Spirito Santo " ( 1 983); L'Apocalisse ( 1 983); A Cesare e a Dio ( 1 983); Una discesa nel Maelstrom ( 1 983); Dialogo de/filosofo e del buon Dio ( 1 983); Il male, Socrate e Gesù ( 1 985). 22 Prima edizione 1 962; Ristampa 1 967; ultima edizione 1 984 con una Prefazione ( 1 982, pp. 1 7-32), una serie di postille (pp. 29 1-364) e un'appendice (pp. 365-405). Le nostre cita­ zioni faranno riferimento all'edizione Adelphi 1 984. 23 E. SEVERINO, La struttura originaria, cit. , p . 1 05. 24 Ovvero Implicazioni pragmatiche della verità, pp. 95-63 . All'interno del "blocco" indi­ cato col titolo Verità e prassi.

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Rispetto alla struttura originaria un asserto può trovarsi nella condizione di "falsità" ma anche di " problematicità " : essere cioè né vero né falso: tale è la situazione della fede la quale richiede un " supplemento di indagine" per verifi­ care il suo porsi o come vero o come falso rispetto "all'originario". L'orizzonte della fede permane fino a quando si rimane o nel falso o in ciò che non è né vero né falso; non può sussistere "nel" vero. Si esclude cioè che possa darsi fede nella verità: tutt'al più: "nella materia astrattamente posta della verità"(p. 105). Una prima conclusione già si profila: "A ccade pertanto che, nel problema, il vero sia assunto come ciò che ha la possibilità di essere falso, e il falso come ciò che ha la possibilità di essere vero"(p. 1 00), e ad entrambi deve essere conferito lo stesso valore. Il passaggio ulteriore consiste nel mostrare che "La verità è necessariamente nella fede "(p. 1 09). L uomo che è nella contraddizione e che vuole uscirne, che vuole vivere nella verità, paradossalmente si troverà nella situazione nella quale: "sono nella fede anche quando decido con radicale fermezza di non stare che nella verità . . . Se dunque mi persuado di avere liberato la verità da ogni fede, non vivo più nella verità: vivo nella verità solo in qULlnto so di do ­ ver vivere nella fede. E' proprio perché la fede esiste, che son costretto ad es­ sere nella fede; è proprio perché il dovere si presenta come problema che, vi­ vendo, non posso non risolvere praticamente il problema. E il risolvimento pratico del problema è appunto unafede"(p. 1 1 3). L'orizzonte della scelta, della decisione è inoltrepassabile anche per chi voglia stare nella verità: "l'organismo attULlle della verità include il dovere come pro­ blema"(p. 1 1 8). La verità è cioè -secondo l'espressione del nostro filosofo­ "imbarcata", è "prassi". Il terzo capitolo segna l'entrata nella struttura intrinseca della fede. Dal punto di vista dell'originario il dover credere prospettato dalla fede rappre­ senta: "il dover uscire da una contraddizione: doverne uscire appunto cre­ dendo, "avendo fede "(p. 123) . Il risultato è però l'ingresso in una nuova contraddizione. Purtuttavia il "gioco" non è completo in quanto deve essere introdotto un ulteriore ele­ mento: "la qULlntificazione della contraddizione"(p. 1 24) , tale per cui: "L'aver fede (l'avere una certa fede) è un dovere, nel senso che la contraddizione, dalla quale ci si libera entrando in quella certa contraddizione in cui consiste l'aver fede, è maggiore della contraddizione da cui ci si libera evitando di aver fede : ci si libera di più dalla contraddizione entrando nella contraddizione dell'aver fede che rifiutando l'aver fede"(p. 1 26- 1 27). Stante il fatto che la verità è immersa nella contraddizione non riesce ad elimi­ nare la questione relativa al sospetto che da essa ci si liberi entrandovi o evi­ tandola. La situazione che si prospetta è tale per cui : "la fede . . . dice : 'Devi aver fede (in questo certo contenuto) '; la verità interpreta: 'Avendo fede (in questo certo contenuto) ti liberi, in una certa misura, dalla contraddizione"'(p. 128 ) . Una risoluzione, assimilabile ad una totale fuoriu scita dalla contraddizione, non è prospettabile; anzi: "In quanto la verità è nella fede -e non può non es'

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serci- la verità è nel rischio, nell'avventura, nella scommessa . Essere nella verità significa diventare consapevoli della inevitabilità del rischio. Cioè sol­ tanto in quanto si è fuori della verità ci si può illudere di essere al sicuro . "Sicuro" è certamente tutto ciò che è vero; ma la verità originaria non è la totalità della verità, e ciò determina l'insecuritas dello stesso essere nella ve­ rità"(p. 1 3 1 ). In quanto credo (fides qua creditur) perciò stesso sono sicuro di essere protet­ to da ogni "infirmitas". Ciò che credo (fides quae creditur) rimane però -se­ condo la verità- un problema. A questo punto Severino prospetta una situa­ zione aporetica: " . . . se la verità decide di aver fede, lo stesso contenuto viene insieme affermato e negato : affermato, in quanto se ne ha fede, negato in quanto è un problema: lo stesso contenuto è un insieme oggetto di certezza e di dubbio " (p. 1 32). Prima di procedere a una soluzione siamo avvertiti del fatto che quanto pre­ sentato non è una questione del soggetto, dell'io: tale che come credente potrei aver fede in un dato contenuto e come filosofo reputare il medesimo come problema "bensì è la verità -in cui mi trovo e che mi include come momento del suo contenuto- è la verità che, come sappiamo, in relazione alla problematicità del dover fare qualcosa è necessariamente nella fede . . . " (p . 1 34) . La soluzione richiama quanto già anticipato all'inizio di questo terzo capitolo: "per quanto ampio possa essere l'organismo di contraddizione, nelle quali si avvolge la verità decidendo di aver fede, è sempre possibile (= non è imme­ diatamente autocontraddittorio) supporre che la verità, avendo fede, si liberi dalla contraddizione in misura incommensurabilmente maggiore di quella da cui si libera evitando quell'organismo di contraddizione"(p. 1 34). Nell'ultimo capitolo -il quarto- si opera uno stringente confronto tra la teoria generale sulla fede "in actu signato" e una specifica fede "in acto eser­ cito": per l'appunto quella cristiana . . Dopo aver ricapitolato che "Aver fede è un modo di essere nella contraddizione . . . Essere nella fede significa risolvere praticamente il problema, fasciandolo teoreticamente irrisolto. "(p. 1 39), si prospetta il problema della compatibilità tra l'imperativo dell'amore (sintesi della proposta evangelica) e la pura contemplazione, l'otium del filosofo, la cura per la verità. L'uomo "Se ama non sa amare in verità; se è nella verità non sa amare appunto perché l'amore distrae dalla verità . . . "(p. 1 43). Ben diversa è la condizione di Cristo : " . . . se Cristo ama, e quindi soffre e muore, in verità (se cioè devo pensare che in Lui l 'amore non distoglie dalla verità - se D io, divenendo uomo , non si dimentica di sé), l'uomo non è capace di fare altrettanto : se ama, non sa amare in verità; se è nella verità non sa amareappunto perché l'amore distrae dalla verità . . . . "(p . 1 43 ) . Nella fase conclusiva di questo giro di considerazioni si giunge nei pressi di una svolta estremamente interessante: la verità è in una situazione di rischio, di audacia. E' lo stesso Severino ad evidenziare (anche formalmente) questo particolare "clima" : . . . se l'imperativo categorico, il fine ultimo della verità è di liberarsi totalmente dalla contraddizione dalla quale le è consentito di libe"

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rarsi, non è immediatamente autocontraddittorio progettare (supporre) che questa totale liberazione possa essere guadagnata solo realizzando quell'agire (ossia l'amore prescritto dal paradigma), solo vivendo in quel modo che, se non essenzialmente o di diritto, tuttavia produce di fatto l'oblio della verità . Non è cioè immediatamente autocontraddittorio progettare che solo rinun­ ciando (in un certo modo!) alla verità, la verità sia salva"(p . 1 46). ll paragone Cristo-verità si spinge ulteriormente sino a dire che "La verità può dire di sé ciò che Cristo dice di sé" (p . 146) e si fa seguire per intero la cita­ zione di Mc. 8,34 allorquando il Cristo afferma che chi lo vuole seguire deve prendere la propria croce. Quindi: "Per seguire la verità, per seguirla nella sua totale liberazione dalla contraddizione, è necessario rinnegare se stessi, ossia è necessario rinnegare l'attaccamento al volto attuale della verità (ossia alla verità come otium)" (p. 1 46). Quasi a rafforzare ulteriormente questa configurazione vi è pure un richiamo alla teologia e al linguaggio paolino: "La struttura originaria della verità im­ plica dunque il progetto che la sapientia verace (la liberazione totale dalla con­ traddizione da parte della verità) sia conseguita attraverso una stultitia appa­ rente, che è sapienza nascosta: la stultitia dell'abbandono della verità per ren­ dere operante la fede (per amare secondo l'amore prescritto dal paradigma), ossia per rendere operante ciò che libera la verità dalla contraddizione " (p . 148 ) . I n conclusione la verità è presentata come un "rischio". Quanto fino ad ora af­ fermato equivale ad un "progetto" : " . . . il metter/o in pratica abbandonando la verità reale per una verità supposta, è il rischio mortale della ragione, è l'azzardo supremo . Giacché qui la verità non è abbandonata suo malgrado, ma è proprio la verità a farsi abbandonare"(p. 148). Una volta che essa -fede- sia resa operante avviene che è data certezza ad "un contenuto che non è verità"(p. 1 49). La stessa certezza, il valore, assoluto si dissolvono "Anche se, operando, mi ricordo di quella scelta, il ricordo non è più garantito dalla verità, e diventa anch'esso una fede : quando opero secondo la fede, la certezza che questo mio operare è determinato dalla verità stessa, è essa stessa una fede"(p. 1 49). Nel procedere dell'operare la struttura precaria può ripresentarsi: "ricomincia la tentazione della verità . . . che non mi consente la prosecuzione dell'operare. Se questa awentura ha esito felice, la verità si riapre"(p. 1 49). Tale riapertura può ripresentarsi sia mantenendo la problematicità, sia nella eliminazione della totalità della contraddizione. "Ma oltre ai possibili esiti felici ci può essere l'esito infelice di quell'avventura: è possibile cioè che la verità sia stata perduta definitivamente, sì che la coscienza non sia più in grado di recuperarla"(p. 149). L'esame della fede dal punto di vista della verità conduce ad un gua­ dagno fondamentale: la fede -rispetto all'originario- è intesa come problema autentico. L'incontro con il cristianesimo può equivalere all'avvicinamento di un tratto o del volto definitivo della verità.

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2.2.2. La ripresa dopo il saggio sul "ritorno " a Parmenide. Facciamo ruotare questa seconda parte intorno al Ritornare a Parmenide 15 in quanto a partire da questo poderoso saggio avviene una significativa coerentizzazione del pen­ siero di Severino intorno alla verità dell'essere. Le considerazioni quivi elaborate2 6 si riversano a cascata su ogni ordine di questioni e non ultimo quindi, anche, su tutto il contenzioso relativo alla fede. Già fin dalle prime battute risultano chiare le conseguenze per il tema in ana­ lisi: "Se a questo punto continuiamo a seguire la verità dell'essere, è ben que­ sto il momento in cui la voce della filosofia si leva su tutte le altre voci e si fa la più solenne e la più sacra. E la più ferma, . . . Solo il filosofare autentico è un imporsi di questo genere. Tutto il resto (scienza, fede, senso comune) ne è incapace"(p. 28-29) . Di qui la contestazione ad ogni ricerca tesa a dimostrare "l'essere necessario" che nella metafisica medioevale diventerà quel consistente capitolo denomi­ nato "prove intorno all'esistenza di Dio"; critica che è svolta successivamente intorno alla "neoscolastica contemporanea" pure accusata di dimenticanza di senso dell'essere (p. 3 6) soprattutto in uno dei suoi più rilevanti esponenti : G. Bontadini27 . L'ultimo paragrafo2 8 è decisivo per la questione su Dio: "In quanto questo albero . . è e non può accadere che non sia, già questo albero è tJéiov, se Ò .

1Je6ç è l'essere nella sua immutabile pienezza. L'essere, tutto l'essere, visto come ciò che è e non può non essere, è Dio . E quando l'essere parla di sé, dice appunto : Ego sum qui sum . . . che è la più alta espressione speculativa del testo sacro"(p. 58-59). Da ciò segue che: "A Dio non si arriva; non si giunge a guadagnarlo dopo un esilio o una cecità iniziali: appunto perché Dio è l'essere, di cui il logo originario dice che è e non può non essere; ossia è il contenuto della verità originaria, nella misura in cui questa si costituisce come affermazione che l'essere è"(p. 59) . Dio è perciò ritenuto quale "intero po sitivo" affermato nella sua "immutabilità" e nella sua "trascendenza" nei confronti di ciò che diviene. Rispetto al diveniente l Sv � bv": "D a un lato è l 'essere, nella sua assoluta pienezza e intensità . . . Dall'altro lato, ciò che è trasceso non è nulla; è anch'esso essere, positività . . . tutta posseduta dalla totalità immutabile dell'essere"(p.59). Perciò: " . . . se tutto ciò che è nel mondo è eternamente in Dio, non per questo il mondo è nulla : è nulla come novità e incremento rispetto a Dio"(p. 60). "'

25 D'ora in avanti RP. Pubblicato per la prima volta in "Rivista di Filosofia neoscola­ stica" , 1 964 (Il) ed ora in Essenza del Nichilismo, Milano, 1 982, pp. 1 9-6 1 . 26 Abbiamo già considerato tutto questo nella prima parte di questo capitolo (2. 1 ). 27 RP pp. 36-40. Soprattutto 39-40. 28 RP § Ancora sulla verità dell'essere, pp.58-6 1 . 7

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Il rapporto Dio-mondo si configura pertanto in questo senso: " . . . il mondo è un 'immagine di Dio, o, meglio, è l'esito di una comprensione astratta della totalità immutabile"(p. 60). Prendiamo ora in considerazione alcuni passaggi del Poscritto 29 . Vi è -innanzitutto- una considerazione del De ente et essentia di Tommaso d'Aquino30 che permette di giungere a tale conclusione: "Si sente . . . il biso ­ gno di dimostrare che esiste un ente cui conviene necessariamente l'esistenza, appunto perché il pensiero soggiace ad una così fatale metatesi, che non gli consente di avvertire l'originarietà dell'affermazione che ogni determinazione non è un nulla, e cioè che ad ogni determinazione conviene di necessità l'esistere" (p.79). Dio è perciò l'immutabile evocato per salvare il divenire dall'assurdo. Severino non può che concludere in modo radicale: " . . . l'identità tomistica di essenza e di esistenza in Dio è la più radicale mistificazione della verità dell'essere . . " (p.79). Un'ultima questione ci interessa far emergere da questo testo e riguar­ da il rapporto tra lo "sfondo" (la verità dell'essere) e le "varianti " (il divenire). La seconda rispetto al primo è nello stato della libertà o della necessità? Posto che: "L'interpretazione filosofico -teologica del significato sacra/e della "creazione", sviluppata dall'intera cultura occidentale, si trova radicalmente immersa nella dimenticanza della verità dell'essere "(p . / 15) , si profilano due possibili esiti: "Se la creazione viene interpretata in termini di essere e di non essere . . . allora il concetto di creazione è l 'esplicita negazione della verità dell'essere"(p. 1 1 5) oppure " . . . se la creazione viene interpretata come una determinazione che riguarda l'apparire e lo sparire dell'essere, la creazione è allora un'autentica possibilità della verità dell'essere. Una possibilità -e cioè un problema . . . "(p. 1 1 5) . Una possibilità certamente, m a -per riprendere una serie di considerazioni già espressa nel trattare gli Studi di filosofia della prassi- anche una non-possibi­ lità, una possibilità opposta. L'accusa di nichilismo che viene imputata all'Occidente non tarda a "distendersi" puntualmente sulle sue strutture costi­ tutive. Gli scritti successivi a Ritornare a Parmenide costituiscono per l'appunto un'analisi dell'oblio della verità dell'essere. Incominciamo con il Sentiero del giorno3 1 • Anche qui ritorna la questione del "S acro" del quale la metafisica si è impadronita: "la metafisica si è definitivamente impadronita del modo in cui l'Occidente si è posto in ascolto del Sacro"(p . 1 54). Evidenza estrema di tutto ciò è il fatto che tale incontro diviene una questione della " soggettività " , dell' " aver fede " , tagliando fuori dell'orizzonte !"'oggettività" quale senso autentico del Sacro. In questo modo allora: "La storia del cristianesimo è la storia della dominazione della metafisica sul Sacro "(p. 1 56). E' naturale quindi -se si vuole l'autentico incontro con il .

29 In "Rivista di filosofia neoscolastica" , 1 965 , V; ora in Essenza del nichilismo, pp. 63 -

1 3 3. D'ora in avanti P. 3 0 P. , p. 74.

3 1 In "Giornale critico della filosofia italiana" , 1 967, I; ora in EN, pp. 145- 193.

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Sacro- che tale dominazione venga tolta: "Perché ciò accada, lo si deve strap­ pare alla metafisica, cioè lo si deve intendere come un dire che parla la lingua della verità dell'essere"(p. 1 60). Solo così il S acro può tornare in quella situazione -rispetto alla verità dell'essere- di equilibrio tra affermazione e negazione per poi imboccare o la via dell'alienazione o quella del diventare problema (per la verità). Il punto ora in questione riguarda la possibilità che il Sacro parli la "lingua del Giorno". Tale che, per esempio, la creazione sia, in prima istanza, intesa qua­ le "teofania" (l'apparire delle cose nell'orizzonte dell'apparire) e, in seconda istanza, il diventar problema; ovverosia: "il problema della libertà nell'apparire dell 'essere "(p. 1 64) . Lo stesso viene detto per tutto ciò che riguarda !"'abitare" di Dio tra gli uomini ed il suo diventare problema. Richiamando quanto già precedentemente espresso, il S acro può es sere "funzionale" alla liberazione dalle contraddizioni e quindi condurre al disve­ lamento della verità; oppure può essere -della verità- un ulteriore occulta­ mento. Punto cardine dell'indagine sulla valenza del Sacro è perciò " . . . il rap­ portarsi al Sacro da parte della verità. /l problema della salvezza riguarda, in­ nanzitutto, la salvezza della verità"(p. 1 69). E' la verità, quindi, che -legandosi al Sacro- può "dannarsi" o "salvarsi" così come accade ogniqualvolta la verità si leghi a ogni non-verità che si costituisca come problema. Con un linguaggio che richiama note pagine hegeliane 3 2 , il nostro sintetizza: "E' possibile che l'aver fede nell'annuncio del Sacro salvi la verità: che essa si salvi come verità legandosi a questafede e che quindi si liberi dal peso totale delle contraddizioni da cui le è consentito liberarsi, passando attraverso il venerdi santo della contraddizione dell'aver fede. Giacché quando la verità si lega alla fede (cioè si lascia accompagnare dalla fede), accade che, nell'apparire, lo stesso contenuto sia oggetto di certezza e di dubbio, appaia come affermato e come non affermato, e che quindi l'apparire sia contraddizione"(p. 170). L'ulteriore passaggio di questa fase è rappresentato da La terra e l'essenza dell'uomo 33 . Anche in questo testo ritroviamo elementi significativi per la nostra indagine intorno alla fede. La si definisce come "la certezza in quanto ha come contenuto il controvertibile . La fede toglie al proprio conte­ nuto ogni carattere di possibilità e di ipoteticità, tratta il controvertibile come incontrovertibile, ossia è la certezza di ciò che alla verità appare come in­ certo"(pp. 207-208) . Il "filo" della riflessione prosegue , successivamente, nella denuncia­ smascheramento della "solitudine della terra", del suo "isolamento", della sua "alienazione" della verità. ..

32 G. W. F. HEGEL, Glauben und Wissen, in Werke, II, p. 432. 33 In Giornale critico della filosofia italiana, 1 968, III; ora in EN, pp. 1 95-25 1 . D'ora in poi TEU.

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Prima di passare alla poderosa Risposta alla chiesa consideriamo, an­ cora, due testi quasi paralleli 3 4. Il primo è intitolato Sul significato della "morte di Dio". Inizialmente si richiama il significato profondo del termine greco 't}eoç per individuare i tratti "premetafisici ". Anche se un'impresa di tal fatta appare impossibile dato il condizionamento metafisica omniavvolgente; anzi: " . . . è una violenza nella quale si vuole che il linguaggio premetafisico parli la lingua dell'i; tJoç dell'Occidente. Così il cristianesimo è stato oggetto di questa volontà, non solo perché ci è stato offerto nella lingua greca, già catturata dal mondo, ma anche perché la successiva riflessione metafisico ­ teologica ha esplicitamente interpretato, e cioè voluto, il Messaggio alla luce del mondo"(p . 256). 'i}eoç diviene l'Ente immutabile che deve essere postulato per salvaguardare l'esistenza, la possibilità, il darsi degli enti divenienti altrimenti preda del niente. Ma "Come ente immutabile, tJe6ç diviene l'espressione più radicale del nichilismo : appunto in quanto è pensato come il fondamento supremo della nientità dell'ente"(p. 258). Si capisce perciò che: "Il carattere ambiguo e misterioso della parola premetafisica tJe6ç è completamente lasciato da parte nella chiarezza razionale del nichilismo" (p. 25 8). Per quanto riguarda il tema in questione -la "morte di Dio"- ampiamente di­ battuto in quegli anni in ambito teologico 3 5 si afferma: "L 'annuncio di Nietzsche che Dio è morto significa appunto che il mondo si è accorto non solo di non aver bisogno di un ente immutabile trascendente, ma che tale ente renderebbe impossibile la creatività dell'uomo "(p. 25 8). Se tutto ciò viene as­ sunto, la conseguenza consiste nel fatto che: "R imane . . . nel superuomo, il tratto fondamentale secondo cui il nichilismo pensa tJeo ç (p . 2 5 8) . Severino non teme nel dare un volto storico a tali affermazioni di carattere speculativo. Ciò che emerge è una operazione di rinvenimento delle radici dell'attuale civiltà occidentale: "Nell'apertura del mondo e in quanto dominati da tale apertura, la cultura tecnologica è la naturale e legittimafigliazione della cultura umanistica, il cristianesimo e la teologia tradizionale generano natu­ ralmente e legittimamente l'ateismo, l'immoralismo e l'anticristianesimo del nostro tempo, il mito del/a forza è l'inevitabile prodotto del mito della cultura, la tecnica è l'erede naturale e legittima di Dio" (p. 260-26 1 ). Le ultime battute di questa Comunicazione raggiungono una radicalità tale da sconcertare chiunque, tradizionalisti e innovatori . : "La storia del cristianesimo riflette questo processo di rigorizzazione e progressiva dominazione del nichilismo. "

34 Rispettivamente: Sul significato della morte di Dio (d'ora in poi SMD) in AA.VV. , Analisi del linguaggio teologico. Il nome di Dio, Roma, 1969; ora i n EN, pp. 254-263 . E Alienazione e salvezza della verità (d'ora in poi ASV) in AA.VV., L'infallibilità. L 'aspetto filosofico e teologico, Roma, 1 970; ora in EN,pp. 265-283 . 3 5 Cfr. le relative teologie, denominate per l'appunto della morte di Dio, della secolarizza­ zione.

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Tale storia è infatti la storia dell'alleanza del cristianesimo con le forze emer­ genti del dominio nichilistico . . . : alleanza con la metafisica greca, con la scienza moderna e, ora, con la civiltà tecnologica"(p. 262). Proprio negli anni del "disgelo " conciliare, dell'apertura della chiesa al mondo, il nostro -quasi profeta solitario- lancia la sua accusa: "L'apertura al mondo da parte della Chiesa Cattolica è l'episodio più significativo di questa terza alleanza . Esso è estremamente solidale con og ni sforzo di "demitizzazione " del cristianesimo . Ogni demitizzazione rimane infatti com­ pletamente all'interno del mito fondamentale e dominante dell'occidente: il mondo. E insieme lo rafforza, perché diffonde la persuasione che ci si trova ormai sulla strada, ove il messaggio cristiano potrà infine essere liberato da ogni sovrastruttura "(p. 262).

Il secondo saggio reca come titolo Alienazione e salvezza della verità e si inserisce nell'ambito di un altro consistente capitolo del dibattito teologico di quegli anni3 6 . Fin dall'inizio si mette a tema la "volontà interpretante" che è alla radice dell'interpretazione; naturalmente l'enfasi è intorno alla "volontà" ! Il " senso dato al mondo" è perciò un " senso voluto " ! Se tale è la situazione dell'Occidente può applicarsi anche a quel consistente fenomeno che è il Cristianesimo e ad una sua fondamentale (proprio nel senso di stare al fonda­ mento) struttura: la Parola creduta come rivelazione: "Originariamente non c'è ascolto della Parola, ma volontà che la Parola sia . . . Porsi in ascolto della Parola significa quindi, innanzitutto, ascoltare la volontà, cioè la fede origina­ ria in cui la Parola resta suscitata"(p. 268). E noi sappiamo bene quali siano i tratti di questa volontà e che cosa sia ciò che questa volontà vuole e che sta alla radice di tutta la costellazione di fenomeni denominati Occidente. Con ciò Severino ha facile gioco anche su un'altra delle "quaestiones disputatae" di quella stagione : il problema della ellenizzazione del cristianesimo e della necessaria operazione di bonifica; appunto la deellenizzazione del Kerygma da qualsivoglia elemento spurio, primo fra tutti l'elemento filosofico e la cultura greca: "quando si accusa il pensiero greco di aver soffocato lo spirito del cristianesimo, non ci si rende conto che il terreno nuovo sul quale si vuoi condurre il "popolo di Dio ", si stende pur sempre all'interno del "mondo ", e cioè all'interno della dimensione in cui gli enti sono pensati e vissuti come un niente e dove sia Dio, sia l'assenza di Dio sono invocati come condizione di possibilità della nientità dell'ente "(p . 273). In modo quasi lapidario il nostro afferma: "Sopraggiungendo, la Parola non ha generato la malattia dell'ascolto, ma ne è rimasta contagiata"(p. 274). Tale contagio la rende ancora capace di salvare? La risposta precede una ripresa di considerazioni che oramai ci sono familiari: solo incominciando ad "uscire" dal "mondo" la Parola può diventare problema: " . . . un dire, che alla verità non 36 Alludiamo alla questione generale della "interpretazione" e allo specifico tema della "demitizzazione" per la quale -in ambito teologico- è sufficiente l'evocazione della figura e dell'opera di R. Bultmann.

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appare ancora né come legato alla verità, né come negazione della verità"(p. 274), deve cioè essere portato al tramonto "l'isolamento della terra" , perché "Anche la "Parola di Dio" appartiene alla terra"(p. 277). Paradossalmente può accadere che "ciò che è stato catturato dalla solitudine della terra abbia la capacità di liberare dalla solitudine"(p. 278). La Parola, di­ venendo problema, offre la possibilità di appartenere alla verità dell'essere. A questo livello Severino legge e introduce la questione della "infallibilità della Parola": "In quanto aperto all'accadimento della terra, l'eterno apparire della verità dell'essere non è la manifestazione della concreta ricchezza del tutto, ma è l'orizzonte finito in cui questa ricchezza si manifesta nella sua forma astratta; è cioè la struttura originaria della verità, aperta al disvelamento possibile della propria compiutezza"(p. 27 8). A questo punto del nostro itinerario tra i testi severiniani possiamo sostare su un saggio decisivo sotto molteplici aspetti, non ultimo quello biografico. Si tratta di Risposta alla Chiesa3 7 inteso quale replica alle deliberazioni della Congregazione per la dottrina della fede in occasione del procedimento a ca­ rico del nostro autore. Posto che scienza e tecnica 38 dominano incontrastate l'Occidente quale espressione estrema della "volontà di potenza" le cui radici affondano nel pensiero metafisico, Severino legge un atteggiamento di accondiscendenza della Chiesa a questo assetto: " . . . come ogni altra istituzione politica e sociale, anch 'essa ha definitivamente abbandonato l'atteggiamento in cui viene con­ templata la possibilità di dichiarare incompatibile con l'indagine scientifica il proprio apparato categoriale, ed anzi innesta sempre più decisamente l'elemento soprannaturale, di cui si ritiene depositaria, su una "natura" che non è altro che il "mondo", quale resta determinato all'interno della ragione scientifica"(p. 322 ) . Un atto di accusa pesante che non può assolutamente prestarsi -come a prima vista sembrerebbe- al gioco della "conservazione e tradizione" dato che sono le stesse radici ad essere "infette". TI cristianesimo sembra perciò dissolversi in quanto realizzato: (per il cristia­ nesimo) "L'unico pericolo e l'unica critica è che l'uomo riesca a produrre in terra il "Regno di Dio", cioè un regno che liberi definitivamente l'uomo dalla nostalgia e dal desiderio di ogni altro regno"(p. 323). Se la fede cristiana si fa cosciente di tutto ciò, può contrastare il "pensiero dominante" , altrimenti la rovina sarà totale. (Ciò è detto dal "punto di vista" del Dio della fede cristiana; non certamente della verità che "attende" il tramonto dell'isolamento della terra).

37 In "Giornale critico della filosofia italiana" , 1 97 1 , III; ora in EN, pp. 3 1 7-387. D'ora in avanti RC. Lo s fondo di questo testo sarà considerato dettagliatamente più oltre nel corso del nostro lavoro. 3 8 All"'apparato scientifico-tecnologico" è dedicato uno dei più recenti saggi del nostro filosofo, E. SEVERINO, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, 1 988.

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Il passaggio successivo (paragrafo Il) è dedicato al rapporto fede-ra­ gione e alla volontà "concordistica" espressa dalla dottrina ufficiale cattolica sulla scia del tomismo, che pone la presenza della verità e nella ragione e nella fede. Severino evidenzia il fatto che queste venerande argomentazioni circa il rapporto ratio-fides siano effettuate secondo la prospettiva della fides con la conseguenza che, alla ratio, è concessa "solo quella autonomia che può es­ serle consentita all'interno dei limiti della fede"(p. 328) 39. In ogni caso, affinché l'analisi risulti completa, è detto: "Oggi la Chiesa ha poco da temere dalla ragione, giacché anche la ragione è divenuta consapevole di essere una fede, e la considerazione del rapporto fede-ragione dal punto di vista della ragione laica ha lo stesso peso della considerazione di quel rap­ porto condotta dal punto di vista della dottrina cattolica (o delle confessioni protestanti)"(p. 328). L'analisi dei testi di Tommaso porta a concludere che: "Il contenuto della fede . . . non è razionalmente evidente; ma si lascia intendere che sia razional­ mente evidente che quel contenuto sia verità rivelata da Dio, e cioè sia razio­ nalmente evidente che la dimensione lasciata vuota dalla ragione naturale è riempita dalla rivelazione divina presente nella fede cristiana" (p. 330) 40 . Appunto "si lascia intendere" che tutto ciò rivesta l'aspetto di una verità razio­ nale, mentre -in realtà- si tratta di un atto di fede che "potrebbe" ricevere una smentita dalla manifestazione della "verità filosofica". Se la Chiesa volesse assumere questa prospettiva, porre l' armonia fede-ragione, entro l'ambito della verità filosofica, tutto ciò che risultasse in contrasto con la fede sarebbe tutt'al più "errore filosofico "(p. 332)4 1 . Severino afferma che ciò è impossibile stante il fatto che la Chiesa " . . . non in­ tende restare timore et tremore multo difronte alla verità . . "(p. 322), la quale è " ... l'estremo pericolo in cui resta misurata la dignità di ognifede" (p. 333). Il passaggio successivo intende mostrare che proprio in questi "testi canonici" della tradizione cristiana vi sono elementi di problematizzazione: ca­ paci cioè di porre il rapporto -preteso come armonico- tra fede e ragione come problema42. Severino -testi di Tommaso alla mano- mostra che l'intelletto dopo aver "prestato l'assen so" rimane "irrequieto" quanto all'esito cui è per­ venuto. Questi (intelletto-ragione naturale) : " . . . misurando i propri confini vede la problematicità di ciò che la trascende"(p. 334) e quindi la possibilità che il cristianesimo sia "errore" (anche se questo non è poi -dalla Chiesa.

39 Ci sia consentita una brevissima citazione a margine. Affermava L. Wittgenstein: "A fondamento della credenza fondata sta la credenza infondata" , in L. WITIGENSTEIN, Della certezza, Torino, 1 978, p. 4 1 . 4 0 Tutto ciò troverà stringata formulazione in uno dei principi guida della riflessione teologica sistematica: "Gratia non destruit natura, sed perficit. .. 41 Ricordiamo che Severino sta discutendo con chi -o coloro- che hanno ufficialmente dichiarato incompatibili i suoi testi con la Rivelazione cristiana. 42 Noi ben sappiamo -secondo l'apertura della verità dell'essere- il significato del diventar problema della fede. ".

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ammesso, pena l'ingresso della " gnosi" entro il corpo della fede43 ) . L'atteggiamento della Chiesa è così espresso: " . . . una doppia incoerenza: l) si lascia che di fatto funzioni come "verità naturale" ciò che in realtà è soltanto un atto di fede; 2) si evita di qualificare come "verità naturale" ciò che di fatto si lascia funzionare come "verità naturale". in questo modo, la dottrina della Chiesa è, insieme, ''fideismo " e "gnosi"' '(p. 336)44 La Chiesa, nel contenzioso con Severino, mostra di rivendicare a sé -partendo dalla sua fede- la possibilità di giudicare la filosofia e, nello stesso tempo, di tracciare la strada verso la verità. Ora Severino sottopone a critica la rivendicata pretesa di infallibilità da parte della Chiesa in funzione della "retta conservazione" della Parola di Dio. Anche su questo il nostro ha facile presa assimilandola alle precedenti riven­ dicazioni interne al contenuto della fede. A questo punto Severino inizia la replica a C. Fabro45 per mostrare come il suo pensiero non sia assimilabile a ciò che domina il "moderno" e che trova le sue più compiute espressioni nel "contemporaneo" : ovverosia il "principio di immanenza" che separa e rimuove la coscienza dall'essere e pone il pensiero come "finitezza intrinseca" . Replica il nostro: "Non è il "princip io di immanenza" del pensiero moderno a porre la ''finitezza dell'orizzonte umano" come fondamento dell 'apparire e del darsi e farsi dell'essere, ma è l'intera antropologia dominante nella civiltà occidentale a partire dalla metafisica greca " (p. 350), riconducendo così la riflessione all'omne punctum! E ribadendo -a conclusione del V paragrafo- come non sia in questione il "mio" (di Severino) pen sare la verità, bensì ben altra prospettiva: quella dell'essere pensati dalla verità dell'essere, oltrepassando così ogni forma di soggettività/soggettivismo. Nel VI paragrafo è considerata l'unità degli opposti, e nella lunga Nota che segue è ripresa l'accusa che " . . . se ogni ente fosse eterno, allora i contrari inerirebbero contradditoriamente allo stesso individuo"(p. 359). •

In fase finale è ripreso il tema della salvezza della fede cristiana a con­ dizione del suo "diventare problema" e dello stesso statuto della Parola di Dio per essere vera di fronte alla verità dell'essere: "Per essere una Parola che parla dalla nascosta luminosità del Tutto, essa deve essere Parola vera, che per essenza si rifiuta di mostrarsi come una parola vera . Non nel senso che debba mostrarsi come parola falsa, ma nel senso che deve rifiutarsi di mo-

43 Non è superfluo ricordare che Tommaso riflette all'interno di un "mondo" per il quale la fede è un dato certo: per i medievali il filosofare e il teologare avvengono all'interno di una

fede già data e riconosciuta. 44 La più recente apologia del fideismo ci sembra quella di D. ANTISERI, Gloria o miseria della metafisica cattolica italiana?, Roma, 1987. 4 5 Uno dei tre commissari della Congregazione Vaticana incaricato di esaminare i testi di Severino e del quale ci occuperemo più oltre.

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strare la propria verità (cioè il legame che la unisce alla verità dell'essere . Questo significa essere "Parola di Dio ") "(pp. 37 8-379). Nel particolare clima del cattolicesimo di quel tempo la conclusione non po­ teva non apparire estremamente provocatoria46 : "Ma tutte le parole che si fanno innanzi si presentano ormai avvolte e accompagnate dal "mondo ". In quanto così avvolte, sono tutte parole dell'alienazione . Anche la parola di Cristo "(p. 379) . Anzi è la Chiesa che impedisce alla parola di Cristo di essere "Parola di Dio" in quanto: "da un lato . . . trattiene nel "mondo " la parola di Cristo; dall'altro lato perché, come gnosi, la Chiesa lega quella parola alla ragione naturale e di fatto la intende come verità naturale "(p. 379). Il diventar problema sembra perciò una ipotesi tramontata. L'ultimo "attacco" viene portato ad un altro dei capisaldi della rinascita conci­ liare e post-conciliare: il tema espresso dal sintagma "Storia della salvezza" . A questo viene riservato il medesimo "trattamento" dei precedenti ambiti. La conclusione di questo lungo saggio non lascia dubbio alcuno riguardo il destino della fede cristiana: "Perché il cristianesimo . . . abbia la possibilità di diventare "Parola di Dio" e preparare l'accadimento della salvezza, è necessa­ rio che tramontino il suo esser fede e la sua appartenenza al "mondo " e che dinanzi alla verità dell'essere per la prima volta si apra, col tramonto della ''fede cristiana", il problema del cristianesimo"(p. 384).

Seguendo la cronologia della produzione severiniana ci imbattiamo ora in tre testi raccolti in un unico volume47 e direttamente riguardanti la questione in esame. Il primo è intitolato L'impossibilità della fede4 8 e prende spunto da un' affermazione di Paolo nell'Epistola ai Romani (X, 9- 1 0) sulla "fede che salva", per affermare che: "la fede non esiste, nel senso che non può esistere; la sua esistenza è un 'impossibilità. E quindi è un 'impossibilità l'esistenza stessa dei fedeli e della loro È K"ICÀ1] ma"(p. 1 45). Tutto ciò il nostro vuole che sia a partire dall'intimo stesso della fede, del Kerygma: "Essa (fede) è controvertib�le, negabile proprio perché parla dell'invisibile. L'invisibile come tale, infatti non è in grado di farsi tener fermo allontanando la propria negazione: in quanto invisibile è oscuro . . . e non

46 Erano gli anni nei quali il cattolicesimo riscopriva la "centralità" della Parola rivelata quale criterio della propria edificazione. Tempi nei quali erano riprese (dopo secoli di sonnolenza) le dispute teologiche proprio intorno al rapporto esistente tra la Scrittura e la Tradizione. L'enfatizzazione su questo secondo polo venne smorzata e la concentrazione sulla prima venne accentuata. (Al punto che i "con servatori " gridarono allo scandalo notando la "protestantizzazione" della Chiesa di Roma!). 47 Si tratta del capitolo IV: Nichilismo e fede , in E. SEVERINO, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Roma, 1 978,( 1 9 8 1 ) . D'ora in poi ADT. 48 D'ora in poi IDF. Presentato al Convegno indetto dal Centro internazionale di studi umanistici, Roma, 1 976. Ora in ADT, pp. 145- 1 52. 33

può quindi mostrare l'impossibilità della propria negazione, la propria appar­ tenenza al destino e alla necessità"(p. 1 47). Tutto ciò non può non evocare la figura del dubbio: "Ciò significa che il dub­ bio è i/ fare dominato dallafede, ossia che la fede si fonda sulla propria nega­ zione"(p. 147). Di fronte a tale precarietà, instabilità, fragilità, la fede: "dando argomentum al K7JPVJ1.la, rompe questo equilibrio e caccia via il rifiuto degli invisibili . . . la fede rifiuta il rifiuto degli invisibili non perché riesca a penetrare la loro oscu­ rità, ma per una prevaricazione che preferisce l'affermazione alla negazione degli invisibili" (p. 148). Dal dubbio la fede non può perciò liberarsi e risulta pertanto impossibile: "Il cristiano che dice: "io credo " è colui che ha trovato parole solo per esprimere la fede, cioè uno solo dei due contendenti e si illude che la limitatezza del pro­ prio linguaggio coincida con la purezza della propria fede e con la sua libera­ zione dal dubbio . Anche chi dice "io credo " è senza fede; ma non sa di es­ serlo . . . il dubbio è (perciò) l'inconscio trascendentale del credente "(p . 149). Naturalmente ciò che è detto in recto per la fede cristiana vale -in verso- per tutto l'Occidente dato che in esso tutto è ormai diventato fede. L'ultima rifles­ sione è dedicata al tema della secolarizzazione, individuandone la sua appar­ tenenza-provenienza dalla stessa fede, "espressione storicofenomenologica di una secolarizzazione trascendentale che rende profana la fede sin da che essa esiste"(p. 15 1 ) per le motivazioni su esposte. La radicalità di questo testo è totale: il tema del "diventar problema della fede" non compare minimamente. ;

Il secondo saggio è intitolato La fede, il dubbio49 ed è un dibattito con G. Bontadini occasionato da una raccolta di scritti in suo onore. Le figure in discussione sono quelle del "credere" e del "filosofare" per le quali il nostro, in contrasto con Bontadini, non ammette compatibilità: "Filosofare è infatti "interrogare fino infondo ", mentre il credente possiede già la risposta essen­ ziale (ossia quella che per lui è tale). Sì che, possedendo/a, quando vuoi fare filosofia si comporta in realtà "come se " la facesse. Il suo è un filosofare di­ pinto "(p . 155). La conclusione è "O filosofi, o credenti" (p. 1 55) tertium non datur!50 Ma è una conclusione provvisoria in quanto se l'esercizio filosofico comporta la fuoriuscita dall'orizzonte della fede, della evidenza, "si tratta poi di verifi­ care se è possibile cessare di credere . . . e possibile non è"(p. 1 57) nel senso che "il filosofare non può mai sciogliersi dalla dimensione del credere e che quindi non è possibile uscire dalla contraddizione tra il filosofare e il credere, dando vita ad una filosofia che sia soltanto filosofia e non anche fede" (p . 157 ) . 4 9 D'ora in poi FD . Presentato come contributo i n AA. VV., Studi di filosofia in onore di G. Bontadini, Milano, vol. II, 1 975. Ora in ADT, pp. 1 52- 1 72. 5 0 Questa tesi si in serisce in modo dirompente nel dibattito circa la possibilità di una filosofia religiosa in genere e di una filosofia cristiana in specie.

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E con ciò, ancora una volta, sono evocate le radici dell'Occidente. Tanto che estremamente- il nostro afferma: "Si che affermare che non è possibile auten­ ticamente interrogare senza cessare di credere significa che non è possibile fi­ losofare senza cessare di vivere"(p. 1 5 8). Questo per quanto riguarda il filosofo. Ma anche per il credente vi sono "problemi" proprio a partire dalla sua stessa fede, al punto che Severino af­ ferma che nel Regno di Dio non entra nessuno : né i filosofi credenti: in quanto essi sono privi della fede purificata dal dubbio, come richiesto dall'imperativo evangelico; né i semplici: in quanto anch'essi dubitano: infatti se in essi non c'è scientia vi è purtuttavia intellectus, il quale "ex voluntate" crede, "ex se ipso" dubita. Prima di concludere questo saggio con una replica ad un intervento di Bontadini intorno a Risposta alla Chiesa, Severino si impegna in una singo­ lare investigazione esegetica intorno a Mt. 25 , 3 1 (il giudizio finale) mettendo a fuoco l'obiettivo intorno alla trasformazione della folla dei dubbiosi in po­ polo di veggenti che vedono appunto il "Figlio dell'uomo" nell'atto di pro­ nunciare il giudizio. Nell'ultimo saggio di questo gruppo - Cristianesimo, tradizione, rivo­ luzione5 1 -Severino mostra come ciò che sembra in netta contrapposizione "il contemplativismo metafisico" da un lato, e il prassismo antimetafisico dall'altro lato, in realtà vivono lo stesso rapporto che intercorre tra "il seme e il frutto" . Ben altra è l'autentica rivoluzione: "Il superamento dell' rytJoç dell'Occidente costituisce l'autentica rivoluzione umana. La civiltà Occidentale è ben lontana dal rendersene conto"(p. 177). In ordine alla completezza della ricognizione intorno agli scritti severi­ niani riguardanti la figura della fede dobbiamo considerare la "revisione", il nuovo criterio interpretativo che nel 1 9 82 il Severino offre agli Studi di filosofia della prassi a partire dalla pubblicazione di Ritornare a Parmenide e del Poscritto. Si tratta della Prefazione e delle Postille alla seconda edizione52 . Del senso globale di questa operazione abbiamo già trattato53, in questa sede interessa verificare le conseguenze che inevitabilmente si riversano sulla vi­ cenda del Sacro. In modo estremamente preciso il nostro afferma: "pertanto, mentre in "Studi di filosofia della prassi" si ritiene che quella forma del "sacro", che è il messaggio cristiano, possa essere (e quindi possa anche non essere) un tratto del volto definitivo o senz'altro il volto definitivo della verità in quanto liberatasi, nella misura consentita, dalla alienazione originaria, a partire invece da Essenza del nichilismo ci si rende conto che il cristianesimo 5 1 D'ora in poi CTR. Comunicazione al XXVII Convegno del "Centro di studi filosofici" di Gallarate, 1 972. 5 2 SFP, Milano, 1 982, rispettivamente: pp. 1 7-32; pp. 29 1 -364 (per la parte da noi considerata valgono le postille riportate alle pp. 309-339). 53 Cfr. 2. 1 .

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storico, il cristianesimo cioè che viene alla luce e cresce all'interno delle cate­ gorie fondamentali del pensiero greco, non può essere un tratto del volto, e tanto meno il volto definitivo della verità"(p. 21 ). Nella prima edizione di Studi della filosofia della prassi la conditio sine qua non perché il cristianesimo assumesse rilevanza nei confronti della verità dell'essere dipendeva dal suo diventar problema; ed effettivamente come tale era considerato: " . . .in "Studi di filosofia della prassi " il cristianesimo sto­ rico . . . è inteso come un problema autentico "(p. 2 1 ) mentre ora " . . . è invece presente la consapevolezza che il cristianesimo storico non può essere un problema autentico, perché è anzi una delle forme emergenti nell'alienazione che accade con l'isolamento della terra e col nichilismo "(p. 2 1 ) . La fede è presentata in quegli scritti -secondo la lettura critica che s e n e effet­ tua- "ancora" secondo il criterio della soggettività, dell'io: la salvezza è opera dell'uomo, della coscienza . . . Non è presente "l'occhio" della verità. Le Postille accompagnano puntualmente la rilettura del testo. Per quanto riguarda la questione centrale del diventar problema è detto: "Se dunque il cristianesimo, in questi Studi, è "problema ", dopo Essenza del Nichilismo si deve dire in relazione al cristianesimo, che il problema autentico è se il "cristianesimo ", una volta che si mostri al di fuori delle categorie del ni­ chilismo e dell'isolamento della terra, riesca a presentarsi come problema autentico (cioè problema che è tale rispetto alla verità), oppure non abbia più nulla da presentare"(p. 31 0). Ove si nota l'introduzione di una distinzione precisa fra il cristianesimo e sua realizzazione storica con l'effettuazione di un rinvio a giudizio circa il primo e di condanna ormai passata in giudicato riguardo al secondo.

La questione non sembra risolta, mentre appare chiaro che ciò che precedentemente era "problema" si presenta ora sotto i tratti "dell'errore" : dell'erramento globale che involge l'intero Occidente.

2.2 .3 . Saggi e questioni successive. Possiamo attribuire ai saggi e studi fino

ad ora considerati il valore di discorso fondamentale intorno alla struttura, possibilità, legittimità di quel p lesso di fatti e significati globalmente denomi­ nato 'fede' ed ulteriormente specificato nella connotazione 'religiosa' e, ancor più internamente, 'cristiana'. In questo - come anche in altri aspetti - la riflessione di Severino non s'arre sta all'indagine intorno al fondamento. Questo può essere considerato alla stregua di un punto posseduto dal quale si parte verso sempre nuove direzioni, ed al quale continuamente si fa ritorno. Abbiamo la possibilità di verificare tutto ciò in una lunga serie di riflessioni su questioni specifiche, particolari, della fede cristiana, le quali, però, richia­ mano sempre il punto di partenza, la prospettiva specifica del pensiero di Severino.

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Seguendo l'ordine cronologico ci imbattiamo in due lunghi capitoli del sag­ gio TECHNE5 4. Nel primo si cercano dei collegamenti tra la 'violenza' e la 'fede', evidenziando in quest'ultima - dopo averne rievocate le consuete defi­ nizioni - la radice stessa del deprecato fenomeno 'violenza' : "in nome del contenuto della sua fede, la nostra civiltà condanna la violenza. Ma la fede, in quanto tale, non è forse la forma originaria della violenza? " (p. 77). Ciò che a prima vista sembra paradossale -tanto da attirare severe critiche (ed ire) da parte dei recensori in occasione della pubblicazione- tale non è se n­ collegato 'all'imporsi' che è l'atteggiamento tipico di ogni credere. Lo stesso comandamento del 'non uccidere' tale è per forza: "Il comandamento 'non uc­ cidere' non è divenuto una legge suprema della civiltà per l'evidenza del suo contenuto, ma perché un poco alla volta coloro che l'hanno accettato sono diventati più forti di quelli che lo rifiutavano. L'omicidio è diventato un male da quando l'omicida è diventato più debole dei suoi persecutori" (p. 86). La pretesa ed inconcussa assolutezza rivendicata da tali imperativi in realtà, secondo il nostro, è esclusivamente causa di una forza 'maggiore' rispetto alla parte 'debole' e quindi soccombente. E' lo smascheramento più radicale dei più venerandi simulacri della civiltà occidentale. "Nella storia dell'Occidente la progressiva dominazione della violenza è la stessa progressiva dominazione della fede" (p. 96). Nel secondo capitolo si riprendono le usuali prospettive per leggere una serie di questioni 'dell'attualià' ecclesiale: il problema demografico, la validità del pensiero di Tommaso, la questione dibattuta del divorzismo/antidivorzismo, il rapporto cristianesimo-marxismo. Gli esiti sono sempre inediti, al limite dell'impopolarità in quanto superano sempre le prospettive anguste degli op­ posti schieramenti che si fronteggiano. La finale di questo saggio55 pronuncia una parola che diventerà poi frequente nella rifles sione del nostro: l'uomo è diventato l'erede dell'onnipotenza di Dio, il contemporaneo non ha più bisogno di confutare l'esistenza di Dio: ora egli lo 'costruisce' . Aggiungendo però, immediata­ mente, che la liberazione dall'incantesimo di questi immutabili ha alla radice un tratto comune: la follia della fede nel divenire. Esaminiamo ora alcune parti di un gruppo di riflessioni 'composite' raccolte in due volumi5 6 . Lo spunto, l'avvio a queste considerazioni è offerto da fatti e avvenimenti appartenenti al 'mondo della cronaca'. Tale può consi54 D'ora in poi T. E. SEVERINO, Techne , le radici della violenza, MI, 1988. I capitoli in questione: II. Il significato della violenza, pp. 7 1 - 1 04; V. Le contraddizioni del cristianesimo, pp. 2 1 3-260. 55 Si tratta del par. 8°, La montagna e il viandante (e altro) pp. 369-379 all'interno del cap. 7°, La caduta degli immutabili. 56 Si tratta di una raccolta di articoli che il nostro pubblica periodicamente sul Corriere della sera con l'aggiunta finale di una serie di Postille esplicative (inedite). E. SEVERINO, A Cesare e a Dio, MI, 1983 (D'ora in avanti CD). E. S EVERINO, La strada, MI, 1 983 (D'ora in avanti S). ·

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derarsi la superfice della situazione, di cui però il nostro cerca senz'altro il fondo (o lo sfondo) che la sostiene e che ne permette la collocazione all'interno di una più globale visione. I motivi di 'superfice' del primo testo sono: il rapporto fra la questione della povertà e quella del controllo delle nascite57 , la riapertura del 'caso Galileo•5 8 , l'impegno della Chiesa Cattolica nella situazione polacca59, la vi­ sita del Papa alla città di Brescia60, la questione del divorzio 6 1 , dell'aborto 62 , dell'insegnamento della religione nella scuola63. Come si può ben notare rap­ presentano le questioni dibattute all'interno della Chiesa, oppure 'materiale' di dibattito-scontro tra la Chiesa e altre visioni della vita, dei valori . . . Il 'fondo' riconnette tali fatti alla già presentata valutazione severiniana intorno alla figura della fede; al rapporto tra la fede e la ragione; al legarne che unisce la fede religiosa alla fede come orizzonte omniavvolgente la realtà definita Occidente; alla parentela fede-dubbio. Vi sono poi delle questioni inedite o che presentano delle soluzioni meritevoli di particolare considerazione. La prima riguarda l'istituzione di una analogia tra il termine APOKALYPSIS e il termine ALETHEJA 64 che si inscrive all'interno della delineazione dei rapporti tra pensiero greco e la fede ebraico­ cristiana. Il linguaggio e l'intero corpus degli scritti giovannei sembrano con­ dividere la dimenticanza dell'autentico senso di 'verità'. Il rinnovamento fi­ nale del tempo ultimo è pensato sul paradigma essere-niente: "Il nuovo cielo e la nuova terra sono nuovi, inauditi, insospettati, perché erano un niente ed ora sono usciti dall'oscurità del niente. Solo perché erano niente essi sono fatti nuovi da Dio. Altrimenti la loro novità sarebbe un inganno" 65 . La critica all'escatologia condivide perciò -nel pensiero di Severino- la mede­ sima sorte riservata alla protologi a: una critica radicale: "Gli abitatori dell'Occidente non sospettano neppure che la storia dell'apocalisse sia la vi­ cenda della fedeltà sempre più rigorosa all'alienazione essenziale. Cioè all'aletheia " 66 . Queste riflessioni sul rapporto cristianesimo-grecità ritroviamo ancora in una breve, ma estremamente interessante, Postilla 6 7 . Sullo sfondo si agita ancora la questione della 'deellenizzazione' della fede cristiana dopo che questa si è

57 CD pp. 76-8 1 . 5 8 CD pp. 87-90. 59 CD pp. 95- 100. 60 CD pp 101- 106. 61 CD pp. 193- 1 96; 209-2 1 1 . 62 CD pp. 2 1 2-214. 6 3 CD pp. 2 1 5-2 1 9 . 64 C D pp. 9 1 -94.

6 5 CD p. 93. 66 CD p. 94. 67 CD pp. 234-238. 38

'imbastardita' con le categorie proprie della speculazione greca 6 8 . Contro la tendenza che vuole far riprendere vigore al credo cristiano previa 'depurazione' delle categorie dell'ontologia greca, Severino ribalta la que­ stione evidenziando come il proseguire in questa linea equivalga ad una azione suicida. Seguiamo il suo ragionamento. Giudaismo e cristianesimo sono stati dominati dall'ontologia greca nel momento stesso in cui tematizza­ rono l'unità/unicità di Dio tale da avere capacità di 'unificare la totalità delle cose' escludendo la presenza e l' azione di 'altri dèi produttori'. Questa se­ conda parte del discorso -l'esclusione, appunto- non è esplicitata dal testo bi­ blico: " Ciò che rende monoteismo il monoteismo biblico è il suo essere as­ sunto all'intenw dell'ontologia greca, perché la filosofia -il tentativo di uscire la mito- nasce appunto mettendo in luce ciò che vi è di identico nella totalità delle cose, ossia ciò che . . . ciò nonostante le raccoglie tutte all'interno di una dimensione unitaria" 69 . L'ontologia greca 'esplicitando' l'inconscio biblico ne colma la frattura che verrebbe a crearsi se il discorso si arrestasse al puro livello del mito o della metafora. Se tutto questo -come taluni vorrebbero- fosse tolto, accadrebbe che: "Sprovvisto del proprio fondamento ontologico, il monoteismo torna ad essere un monoteismo di fatto, cioè un politeismo possibile" 7 0 . Così si chiarisce il senso della morte del cristianesimo per 'suicidio' poc'anzi espressa. Avremo comunque modo di riprendere ulteriormente la questione. Un altro passaggio riguarda il rapporto tra la fede e la filosofia all'interno della 'storia generale dell'umanità' 7 1 . Nella lunga linea rappre­ sentata dal mito-alla fede, accade un fatto: "Poi, ad un certo punto di questa sterminata processio ne di miti, sei secoli prima di Cristo , si forma un'increspatura, una parabola breve. Entro la quale però è raccolta tutta la no­ stra storia" 72 . Schematizzando si può perciò affermare che: all'interno del mito, la Bibbia rappresenta un segmento deci sivo e significativo; l'aurora filosofica è l'increspatura; ora stiamo tornando al mito denominato scienza. Un articolo che, in occasione della sua uscita fece molto discutere, è quello relativo alla preghiera73 del quale, già il titolo, suona provocatorio. Anche qui Severino intendeva connetere questa veneranda e fondamentale esperienza dell'uomo religioso -la preghiera in genere, e la preghiera del 6 8 Un saggio significativo -che verrà ripreso in seguito nel corso del nostro studio- è offerto da S . QUINZIO, La croce e il nulla, MI, 1 984 (soprattutto alle pp. 208-226). 69 CD p. 237. 70 CD p. 238. 7 l CD pp. 23 0-23 1 . 7 2 CD p . 23 1 . 73 Alludiamo a Pregare , carpire i n S pp. 4 1 -4 7 . Dello scatenamento di reazioni che ne seguirono si farà menzione altrove. 39

'Padre nostro' in particolare- all'interno di una VISIOne globale del­ l'Occidente. "La preghiera è una delle forme fondamentali di questa follia e alienazione " 74 in quanto in essa -che aspira ad essere il massimo di abban­ dono verso l'assoluto- si manifesta, in realtà, una radicale volontà di potenza: sia che l'orante si chiami Gesù , sia che si tratti di 'qualsivoglia' persona. In fondo chi prega 'non vuole ciò che il Padre vuole' ben sì 'ciò che noi vo­ gliamo che sia voluto dalla volontà del Padre' . Fuoriuscire da questo oriz­ zonte equivale, perciò, ad abbandonare la preghiera che invoca per entrare nella dimensione dell'orazione: " . . . che nomina ciò che da sempre sta, mai raggiunto dalla volontà di dominio degli uomini e degli dèi - il destino" 75 . Perciò preghiera "All'indicativo . . . lasciando apparire il destino : 'viene il tuo regno, è fatta la tua volontà; ci dai il pane quotidiano; rimetti i nostri debiti; ci liberi dal male. Così è" 76. L'ultimo testo che esaminiamo si inscrive sempre all'interno del con­ tenzioso filosofia greca-fede cristiana77. Quale differenza fra il conoscere dell'episteme ed il conoscere delle pistis? Mentre il primo modello conosce incontrovertibilmente, e quindi il male commesso è con seguenza dell'ignoranza, nel secondo modello mancando l'incontrovertibilità: "Senti solo certe voci che ti ammoniscono di desistere, ti minacciano e ti promettono, chiedono che si dia loro ascolto e in loro si abbia fiducia. Ti possono anche salvare, ma ti possono anche perdere" 7 8 . E' assente la luce dell'episteme: siamo all'interno dell'orizzonte della fede che è 'non vedere veramente' , bensì 'per speculum in enigmate' : " Voci . . . che parlano nell'oscurità e di cose che nell'oscuro rimangono" 79 . Secondo l'inespresso evangelico, la volontà dell'uomo -mancando di cono­ scenza- rimane libera e quindi nella condizione di dover decidere "l'oscurità, l'enigma della fede non sa impadronirsi irrevocabilmente della volontà, che quindi può lasciarsi guidare dalle passioni e dagli istinti" 8 ° . Le risposte di Socrate appaiono nella loro diametrale diversità ed opposi­ zione. Tuttavia questa "si apre all'interno di un terreno comune: la persua­ sione che l'uomo sia dominabile, padroneggiabile. Attraverso la sua volontà i padroni sono di volta in volta gli istinti e le passioni, !"episteme ', la fede di Gesù e le altre fedi che riempiono il mondo" 8 1 . 7 4 s p. 42. 75 s p. 47. 7 6 s p. 47. 77 E. SEVERINO , Il parricidio mancato, MI, 1 985. Alle pp . 1 1 1 - 1 1 6 Il male , Socrate e Gesù. (D'ora in poi PM). 7 8 PM p. 1 1 3 . 79 PM p. 1 14. 80 PM p. 1 1 5. 8 1 PM p . 1 1 5 .

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Ancora una volta, come sempre è avvenuto nei testi considerati, la materia trattata è ricondotta all'omne punctum della speculazione severiniana. 2.3. Conclusioni intorno al pensiero di Emanuele Severino. Prima di iniziare l'istruzione della seconda figura del dibattito -o più precisamente ciò che di se stessa essa afferma- delineiamo una sintesi della fede quale emerge dai testi fino ad ora esaminati. Posto che la filosofia è ascolto della verità dell'essere e che la sua voce oltre­ passa tutte le voci che pure rivendicano pretese veritative -fede, scienza, senso comune- emerge una duplice serie di considerazioni.

La prima tende a 'salvare' la fede davanti al tribunale della verità unicamente se questa si configura come 'problematicità': l) La fede -in rapporto alla verità- può definirsi come la certezza in un contenuto che non si costituisce veritativamente. I tre possibili esiti saranno: - l'essere falsa; - l'essere problematica; - il non essere mai vera. 2) Aver fede equivale perciò a stare nella contraddizione. Il volerne uscire è un entrare in una ben più consistente contraddi zione: la fede cristiana, per l'appunto. 3) Dal punto di vista della verità, il più alto valore attribuito alla fede è il suo costituirsi come problema autentico. 4) Dio è lo sfondo, l'intero, la totalità cui non si perviene, l'esilio cui non si giunge dopo qualsivoglia 'itinerarium' : esso è evidenza originaria 5) Di tale evidenza originaria noi operiamo un 'ascolto malato'. Infatti la me­ tafisica si è impadronita completamente del modo in cui l'Occidente (giudaico-cristiano) si è posto in ascolto del Sacro. Tale è il 'sentiero della Notte' . E' possibile introdursi nel 'sentiero del Giorno' (e quindi operare un ascolto sano) intendendo la fede come problema: in tal modo il Sacro può portare alla 'salvezza' della verità. La seconda serie di considerazioni sottopone ad analisi la fede cri­ stiana per verificare se essa si costituisce -o meno- come problema. 6) Il cristianesimo non può diventare problema autentico in quanto è la stessa Chiesa ad impedire che la Parola confessata come rivelata si costituisca pro­ blematicamente. Ciò perché la Chiesa 'trattiene' la Parola nel mondo e lega questa Parola alla ragione naturale. 7) Il cristianesimo, perciò, non può presentarsi né come un tratto né come il volto definitivo della verità: esso è anzi una delle forme maggiormente emer­ genti dell'alienazione e dell'isolamento. Solo l'accadimento del tramonto della fede cristiana 'stabilita' può render problema la fede. 8) La conseguenza rilevante è il presentarsi della fede cristiana secondo il volto della volontà di potenza, anzi una delle forme cospicue di questa moda­ lità omniavvolgente l'Occidente. 41

L'esame dei testi ha evidenziato la successione cronologica di questi due momenti nella 'evoluzione' del pensiero di E. Severino. Il discrimine tra i due -come il nostro esplicitamente afferma- è segnato da Essenza del nichili ­ smo : a partire dai testi raccolti in questo saggio risulta impossibile il costituirsi problematicamente della fede. Da quanto rilevato facciamo emergere un unico interrogativo: la figura della fede cristiana istruita da Severino esaurisce la costellazione di significati implicati nella stessa, oppure ne rileva un aspetto particolare -sia p ure rile­ vante dal punto di vista della storia della teologia e delle confessioni cristiane­ attribuendogli v alenza totalizzante ? Insinuiamo cioè il sospetto che l' attenzione sia stata posta prevalentemente sull'oggettività delle fede : sul 'credere Deum', sulla fede come conoscenza, sull'oggettività dei contenuti da credere. La questione non è di semplice soluzione stante il fatto che le due grandi con­ cezioni intorno alla fede -quella cattolico-romana e quella evangelico-prote­ stante-, il versante della sottolineatura oggettivistica e quello della sotto­ lineatura soggettivistica, l'ambito della fede come credenza e quello della fede come fiducia, hanno dismesso il confronto- scontro polemico per procedere sulla linea di una più forte integrazione. La conseguenza è una situazione nella quale -della fede- non emergono visioni 'definitivistiche', conclusive, se non per ciò che riguarda una tendenza unitaria: il ricorso ad un referente dominante: il testo biblico. Una messa a punto più precisa intorno al dubbio qui sollevato e antici­ pato potrà essere condotta solo in sede conclusiva.

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Sezione Prima - Parte Seconda

IL PENSIERO C RISTIANO

A conclusione della prima sezione intendiamo delineare alcuni tratti della seconda figura che entra nel nostro campo di indagine: in via provvisoria la definiamo globalmente come "pensiero cristiano". E' 'contro' questa infatti che vanno a confliggere molti aspetti del pensiero di E. Severino; ed è a partire da questo terreno che si sono levate potenti conte­ stazioni e censure alle proposizioni del filosofo bresciano . Prima di entrare nel merito della questione sarà preliminarmente utile far emergere un notevole scoglio sotteso alla stessa denominazione 'pensiero cri­ stiano' (et idem cultura cristiana, filosofia cristiana . . . ). Tutta la questione può ridursi ad un interrogativo: può la fede cristiana produrre una sua cultura, una sua filosofia? O, ancora, può il Kerygma assumere e legarsi ad un pensiero al punto da ritenerlo il (l'unico) veicolo espressivo? O non è forse -come altri affermano- il fatto cristiano una realtà che travalica le culture e le filosofie, un fatto trasversale che può 'toccare' culture e filosofie senza mai identificarsi­ legarsi ad alcuna? Sono questi interrogativi di carattere teologico (e quindi le­ gati alla concettualizzazione della fede cristiana) i quali hanno però una indubitabile valenza sul piano della prassi, del vissuto cristiano 82 . Quest'ultimo -per ciò che attiene all'area italiana- è stato spesso attraversato dal fronteggiarsi di due 'estreme tendenze': quella appunto di coloro i quali optano per l'identificazione-forte con un apparato concettuale ben definito ed 8 2 La semplice evocazione di alcune terminologie può richi amare altrettante vicende intraecclesiali significative di questa problematicità: le teologie del genitivo (della secolarizzazione, della rivoluzione, della politica, della liberazione) ; i cristiani per il socialismo; il pluralismo delle opzioni politiche dei cristiani; l'inculturazione della fede nei paesi di 'missione'. Ritroviamo una notevole messa a punto della questione per l 'area culturale italiana in I . MANCINI-G. RUGGER I , Fede e cultura, TO, 1 979. E. CHIAVACCI, Cultura , in Dizionario Teologico lnterdisciplinare, TO, 1 977, vol . I, pp. 667-674.

irrinunciabile; e quella di coloro i quali stanno nell' unica 'compagnia' del Kerygma e nell'atteggiamento del disponibile discernimento di quant'altro si propone 'al di fuori' della fede; il cosiddetto 'integrismo' dei primi e la 'scelta religiosa' dei secondi; la scelta della 'presenza' dei primi, l'opzione per la 'mediazione' dei secondi. La questione teorico-pratica appare quindi tutt'altro che conclusa. Ma è tempo di addentrarci ad esplorare le grandi linee di questo 'precario' plesso di signi­ ficati denominato 'pensiero cristiano'. Ci occuperemo pertanto -in questa sede- di due aspetti salienti: - la questione della metafisica e, più precisamente, della crisi o fine della metafisica nel pensiero cristiano; - le ripercussioni di questa vicenda, le linee di tendenza della teologia cattolica italiana di questi ultimi anni. 3.1. Le vicende della metafisica cristiana. Ci sembra che tra le quaestiones di­

sputatae all'interno del pensiero cristiano contemporaneo il segmento più ri­ levante appartenga alla metafisica o, più precisamente, alla discussione in­ torno alla fungibilità di quest'ultima in ordine alla espressione della fede. Assumiamo questa definizione di metafisica: " Un sapere capace di offrire ri­ sposte ultime e incontrovertibili alle questioni relative alla totalità del reale e ai suoi fondamenti, istituendo anche un processo di mediazione dell'esperienza per affermare eventualmente una realtà metaempirica; un sapere, il quale pre­ tende di offrire conoscenze nuove ed ulteriori rispetto a quelle rese possibili dalle scienze naturali e umane; un sapere, infine, dotato di un proprio metodo rigoroso, anche se diverso da quello delle scienze empiriche . La metafisica intende quindi affrontare il problema del senso ultimo del reale, servendosi dei mezzi raziona!i" 8 3 . Contro questa poderosa pretesa che ha affascinato (o ubriacato -secondo i cri­ tici-) la fede cristiana, si sono via via infranti i flutti della filosofia contempo­ ranea. O, più precisamente, nella critica alle rivendicazioni della metafisica possiamo rilevare il denominatore comune delle svariate tendenze che sono apparse. Evochiamo solo alcuni momenti chiave: il positivismo, la filosofia di Nietzsche, la psicoanalisi freudiana, il marxismo, la fenomenologia husser­ liana, l'esistenzialismo, soprattutto il neopositivismo con la tematica non più della contestazione della metafisica, bensì del suo " superamento" data l' "insensatezza" delle questioni alla cui base starebbero "errori linguistici" 84. Dato il particolare carattere attribuito alla metafisica in ordine alla razionalizza­ zione del credere, gli attacchi che essa subiva non potevano trovare indiffe­ rente il pensiero cristiano. Diamo a queste reazioni una triplice connotazione corrispondente a tre ben precisi filoni di riflessione. .

.

8 3 M. LENOCI , La crisi della metafisica nella filosofia contemporanea, in "Teologia" 1979/1 , p. 48.

84 R. CARNAP, Uberwindung der Metaphysik durk logische Analyse der Sprache, 1933. (Tr. it. TO, 1 978)

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La neoscolastica (nelle due versioni: milanese da un lato, patavina dall'altro); la ripresa della metafisica classica; lo spiritualismo cristiano8 5.

3 .l . l .La neoscolastica.

Le

radici della neoscolastica affondano alla prima metà del sec. XIX in tre aree geografiche precise (Italia, Germania, Spagna) e a partire da una ben cospicua provocazione: la pregiudiziale della cultura posi­ tivistica nei confronti della metafisica e della teologia. La risposta cattolica intendeva proporre un recupero del pensiero di Tommaso (evidenziandolo rispetto agli altri medioevali) in modo da mostrare la piena legittimità della fede per l'uomo moderno. Affermava, a questo proposito, un fautore di questo orientamento filosofico ­ rispetto alle provocazioni soggettivistiche ed agnostiche- che il neotomismo rappresenta: "La via ad una ricostruzione del sapere universale, ad una sintesi che abbraccia un unico tutto ed accordi insieme il pensiero teoretico colle dot­ trine pratiche, la filosofia colla morale e colla religione, la scienza colla fede " 8 6 . Tre fatti salienti caratterizzarono questa reazione cattolica: il ruolo giocato dalla Compagnia di Gesù attraverso la nuova rivista "La Civiltà Cattolica" ( 1 849) ; l'Enciclica di papa Leone XIII Aeterni Patris ( 1 879); il sorgere di nuove Università Cattoliche in Italia (Milano), Canada (Quebec), Stati Uniti (Indiana, Washington), Svizzera (Friburgo) . In questo clima ed in questo ambito nasce nel 1 909 la " Rivi sta di Filosofia Neoscolastica" quale espressione di questa nuova tendenza e della Università Cattolica di Milano8 7. I caratteri salienti di questa riproposta della filosofia di Tommaso possono così riassumersi : la fede non costituisce una premessa, o la pre­ messa del filosofare: questa si elabora autonomamente. I caratteri di tale auto­ nomia sono meglio precisati in questo senso: "Resta in ogni modo che quella filosofia . . . procedeva disinteressandosi della teologia (non dico della rivela­ zione, della fede, del "catechismo "), quale campo di non competenza, da la­ sciare ai teologi. In tal modo la filosofia non provocava culturalmente la teo-

8 5 Utilizzeremo a proposito di questa ricostruzione storiografica S . V ANNI ROVIGHI, Storia della filosofia contemporanea , dall'Ottocento ai giorni nostri, BS, 1 980; in particolare le pp. 729-744 . A. BAUSOLA, Neoscolastica e spiritualismo. In: AA.VV . , La filosofia italiana dal dopoguerra ad oggi, BA, 1985, pp. 273-352. I. BIFFI, Filosofia neutra e teologia separata nella neoscolastica milanese. In AA.VV., La teologia italiana oggi, BS, 1 979, pp. 27 1 -306. G. FERRETTI , Tematiche teologiche emergenti in alcuni autori rappresentativi del cosiddetto "spiritualismo cristiano" italiano (Carlini, Sciacca, Guzzo). In AA.VV., La teologia. . . , op. cit., pp. 307-355. 8 6 A. GEMELLI, Il nostro programma, in "Rivista di filosofia neoscolastica" , l, ( 1 909), p. 1 1 . 87 Ateneo fondato nel 1921 da Agostino Gemelli per fare in modo che la neoscolastica ­ professata fino ad allora internamente ai Seminari ed alle Facoltà Ecclesiastiche- entrasse nel più vasto circuito del dibattito filosofico del panorama italiano.

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logia; né d'altra parte ne era provocata. Si potrebbe parlare di parallelismo e di reciproco rispetto " 88 . n problema sorge, tuttavia, allorquando questa filosofia "neutra" rivendica un accordo con la fede8 9. Ritorna - in una nuova edizione - la questione del rap­ porto fede-ragione . La vertenza è risolta affermando che la ragione (filosofica) non può andare contro il dogma (fede) per il semplice fatto che la verità non contraddice la verità. Leggiamo ancora, a questo proposito, alcune affermazioni di A. Gemelli: "La teologia esercita . . . una specie di co ntrollo negativo e positivo sulla filosofia, in quanto in certe questioni essa l'avverte di non arrivare a contraddizioni contraddicenti le sue . . . Una coordinazione esiste inoltre là dove la filosofia serve alla teologia, dimostrando razionalmente verità già affennate dogmaticamente" 90 . In questo modo è reintrodotta la figura 'ancillare' della filosofia rispetto alla teologia (alla fede e alle sua espressione concettuale) . Si afferma l'autonomia della prima la quale però non può contraddire la seconda che sembra rivendi­ care una veritatività di più alto grado. L'intentio profonda -in reazione alle critiche dell'idealismo italiano- era quella di istituire uno schema di razionalità di natura tale da poter essere 'utilizzato' in entrambi i versanti : quello filoso­ fico e quello teologico. Una philosophia perennis per l'appunto. Anche qui s'annida però una non secondaria critica: se l'intendimento in sé poteva essere legittimo, arbitrario invece poteva apparire il richiamo alla tradi­ zione e a Tommaso in par�icolare. Arbitrarietà consistente in un unico fatto: i medioevali filosofano da credenti, nell'orizzonte della fede pienamente rico­ nosciuto e accolto. Riconosciuto dallo stesso 'in sipientes' di An selmo che ben ci fa comprendere il ' gravame' , !'"ipoteca" teologica che sovrasta la filosofia. Ben altro è il quadro della neoscolastica: qui si evita deliberatamente il piano teologico per stabilire una sorta di terreno-base nel quale poi innestare il dato teologico. Si istituiscono -finalmente- due campi : quello del naturale e quello del sopr�nnaturale sul quale faremo qualche considerazione nel paragrafo suc­ cessivo. Quali conclusioni trarre dalla vicenda della neoscolastica proprio nel suo momento sorgivo? G. Colombo si esprime nei termini di 'inattualità'9 1 in quanto la proposta si mostra incapace di incontrare le due grandi questioni chiave: quella del sog­ getto e quella della storia. Considerando l'Enciclica Aeterni Patris nota che manca una "analisi soddisfacente della nozione di 'filosofia cristiana', che co-

88 I. BIFFI, Filosofia . . . , op. cit., p. 3 0 1 . 8 9 Proprio su questa vicenda, su questa prospettazione dell'accordo fede-ragione esploderà violentemente la questione del modemismo.

9 0 I. BIFFI, Filosofia . . , op. cit. , p . 276. 9 1 G. COLOMBO, L'emergenza del problema metodologico all'inizio del sec. .

XX, Facoltà

teologica dell'Italia S ettentrionale, MI, AA 1 980/1 98 1 , p. 1 5 . (pro manuscripto) .

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stituisce il perno della proposta di rinnovamento formulato dall'enciclica "92 ; questa categoria "si risolve in realtà nella filosofia tout-court, in quanto coin­ cide ultimamente con la filosofia elaborata dalla ragione naturale retta ... , con­ segue che la proposta dell'enciclica se da un lato sembra corrispondere all'intenzione del recupero della identità cristiana e quindi dell'affermazione della Chiesa, proprio della teologia di fine secolo; d'altro lato però intende ri­ spondervi non accentuando, ma riassorbendo la co ntrapposizione al mo ndo " 93 . Infine " . . . si deve concludere che . . . al di là della intenzione soggettiva di ri­ proporre la filosofia di S. Tommaso, riproporre in sostanza la filosofia elabo­ rata dai commentatori di Tommaso del sec. XV/l (Gaetano, Suarez, ecc .), precisamente secondo la loro intenzione,che non fu quella di differenziare il pensiero cristiano da quello del mondo, ma al contrario, quello di mantenere l'unità fra i due pensieri, elaborando una filosofia della 'natura', ormai svin­ colata e 'separata ' dalla fede, in armonia però e quindi funzionale allafede" 94 . 3 . 1 .2. La metafisica classica. All'interno del grande filone rappresentato dal neotomismo vi fu chi -pur nel riconoscimento del valore dei medioevali e di Tommaso in particolare- pose al centro dell' atten zione i classici greci ed in particolare le loro opere di 'filosofia prima' . Seguendo la ricostruzione di A. Bausola denominiamo questa linea col nome di "metafisica classica"95 . Da un punto di vista storiografico la questione si impose -in area cattolica­ all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, in una situazione di di­ struzione e di miseria materiale e culturale che invocava una globale rico­ struzione96. "Il problema del 'fondamento di ogni ricostruzione' spingeva, anzitutto, a cercare il fondamento della ricostruzione (o riproposizione) meta­ fisica, vista come radicale premessa di ogni altra ricostruzione"91 . Centro propulsore fu la Facoltà Filosofica dei Gesuiti di Gallarate: a partire dal 1945 incominciarono i convegni di Studi Filosofici Cristiani su "Filosofia e cristianesimo" , "Ricostruzione metafisica" , "Fondazione della morale" , "Persona e società" . . . Accanto al movimento di Gallarate vi fu l'opera di singoli studiosi dell'area della Cattolica di Milano quali S . Vanni Rovighi, F. Olgiati ed inoltre C. Gia­ con. Comincia ad emergere già fin da questa prima ora la figura di G. Bonta92 Ibidem , p. 1 3 . 93 Ibidem , pp. 1 2- 1 3 . 94 Ibidem , p . 14.

95 A. BAUSOLA, op. cit. , p. 293; 320 ss. 9 6 Può essere utile a questo proposito richiamare la situazione -ben più grave- dell'ambiente tedesco. Paradigmatico può essere l'atteggiamento biografico-cul turale di K. Barth : strenuo oppositore del nazismo, costretto all'esilio già nel 1 933; a guerra finita uno dei primi a recarsi nella vinta Germania per riprendere -in condizioni avventurose- l'insegnamento accademico e la produzione teologica. 97 A. BAUSOLA, op. cit. , p. 277.

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dini il quale già nel 1 946 proponeva una interpretazione globale di quanto stava avvenendo: "Per il moderno la metafisica, in senso classico, non ci può essere; per il contemporaneo non c'è, semplicemente. La scomparsa della pregiudiziale antimetafisica, che era di carattere gnoseologistico, lascia rien­ trare nello spirito l'esigenza nativa della metafisica. In questo senso il clas­ sico, in quanto si sia riconosciuto che dalla critica moderna non era stato preso in considerazione secondo la sua genuina natura, ritorna come aspira­ zione del contemporaneo, o almeno come una proposta, che deve essere ri­ presa in considerazione" 9 8 . E' quivi sotteso un senso di 'epoca nuova' , della chiusura di un ciclo e della fermentazione di novità peraltro derivanti da un processo di evoluzione del ' moderno'. Del citato testo di G. Bontadini, A. Bausola propone una attenta e significa­ tiva operazione di esegesi-ampliamento: "Il pensiero moderno (da Cartesio a Kant), con il suo dualismo tra certezza e verità, tra apparenza e realtà (con il suo gnoseologismo), aveva bloccato la strada della metafisica (e, di conse ­ guenza, a un 'etica con valore assoluto) ; ma esso, attraverso l'idealismo, aveva compiuto un'autocritica, che lo aveva portato a recuperare l 'intimità, l'unità dell'essere col pensiero, dissolvendo l'antitesi fenomeno-noumeno, e aveva quindi riaperto la possibilità della metafisica, intesa come discorso as­ soluto sull'essere . Il pensiero contemporaneo veniva perciò di diritto a tro­ varsi, dopo l'idealismo, nella situazione di apertura, di disponibilità oggettiva verso la metafisica, che ora si trattava di spingere verso l'attuazione . . . " 99 . Ci sembra opportuno, a questo punto della nostra ricostruzione, so­ stare sull'opera di G. Bontadini che tanta parte ebbe nella vicenda che stiamo delineando. Il suo recupero della tematica metafisica risale agli albori della storia del pensiero filosofico: a Parmenide riletto in modo da giungere alla formulazione del "Principio di Parmenide", del quale parleremo più oltre. Ma come intendere il rapporto tra questa 'metafisica dell'essere canonica' e il cri­ stianesimo? l OO. Leggiamo lo stesso Bontadini : " La metafisica . . . richiama so­ prattutto gli spiriti religiosi. Essa, infatti, fonda, secondo ragione, il piano stesso della religiosità, con la distinzione elementare di originario e di parteci­ pato. Questi termini sono aridi. Altri preferirebbero sentir nominare il Dio di Abramo di /sacco di Giacobbe. Senonché, capire che questa denominazione ha lo stesso denotatum dell'altra, più arida, è proprio dell'intelligenza specu­ lativa. Chi si sdegna della identificazione del Motore Immobile aristotelico col Dio Padre del cristianesimo si comporta, in fondo, come quel bel tipo inven­ tato da Hegei, il quale rifiutava delle mele, perché aveva chiesto della frutta. /l 98 G. BONTADINI, Incontro della filosofia scolastica con la filosofia moderna (1 946). In Dal problematicismo alla metafisica, MI, 1 952, p. 1 20. 99 A. BAUSOLA, op. cit. , pp. 279-280. l OO In tempi nei quali era viva la polemica tra metafisici classici da un lato, e spiritualisti e problematicisti dall'altro. Se ne tratterà nel prossimo paragrafo. ,

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cosiddetto anti-intellettualismo del cristianesimo non è che una denuncia della falsa sufficenza della sapienza mondana, e perciò de/filosofismo, e sia pure del metafisicismo; non ha nulla a che vedere con la sconfessione della ra­ gione. La Chiesa è sempre stata per la ragione . . . ed oggi . . . è rimasta sola a difenderla . . . . E la ragione ripaga onestamente la religione: e questo, si, è nuovo titolo di nobiltà; anzi, il massimo e veramente insuperabile. Altra volta si chiamava ancillaggio, e l'appellazione non contrasterebbe neppure oggi con la massima nobiltà" l 01 .

Abbiamo riportato questa lunga citazione perché essa costituisce una 'nota stonata' nel coro degli atteggiamenti che oscillano dall'a-metafisicismo all'anti-metafisicismo e che trovano espressione in un progetto (sembra anzi il progetto) di quei tempi: la 'deellenizzazione del cristianesimo' . La posizione di Bontadini non può essere più chiara a tal proposito: il punto non è tanto la deellenizzazione della fede, quanto piuttosto di ripresa dei classici greci in vi­ sta di una cristianizzazione dell'ellenismo. Perché questa concentrazione sulla dottrina dell'essere? Anzi sulla radicale formulazione datane da Parmenide ed espressa come 'immutabilità dell'essere'? Per il semplice fatto -a detta del no­ stro- che la filosofia cristiana è la sola che ritenga il Principio di Parmenide: ovverosia predichi che Dio non è un essere, ben sì la totalità dell'essere. In caso contrario, la fuoriuscita da questo orizzonte di comprensione darà luogo ad una riduzione del messaggio della salvezza cristiana ad una sorta di 'autosoteria' storica dell'uomo. Segnaliamo a questo punto le tappe che consentono a Bontadini la costruzione di questo orizzonte. Vi fu, in prima istanza, l'affermazione della 'significanza dell'essere' (di contro agli attacchi del neopositivismo) non riducibile alle sin­ gole determinazioni e perciò opposto al non-essere. L'essere dunque da un lato e il non-essere, il divenire dall'altro. La questione che si prospettava ri­ guardava, a questo punto, la coordinazione fra il divenire e l'originario . Nota A . Bausola: "In altre parole: ciò che ancora resta da dimostrare è che ciò che diviene sia mosso, che il divenire non sia originario . Bontadini interpre­ tava il divenire come l'annullarsi dell'essere che è (come il non esserci più di Socrate in piedi, quando Socrate si è seduto), epperciò come l'identificarsi dell'essere con il non essere. Nel divenire ciò che è si annulla, cioè non è : questo contraddice il principio di non contraddizione. Ma nella contraddizione non si può stare, il logo esige l'incontradditorietà del reale (poiché il principio di non contraddizione è principio logico e ontologico)" 102 . Il conflitto tra logo ed esperienza è ciò che genera il superamento dell'esperienza stessa verso il principio di Creazione. Qui entra il cosiddetto Principio di Parmenide attestante l'originarietà assoluta dell'essere rispetto al non essere. "La contraddizione del divenire è tolta, ove non si consideri il di1 0 1 G. BONTADINI, L 'attualità della metafisica. In Conversazioni di metafisica, I , MI, 1 97 1 ' p. 1 07 .

1 02 A. B AUSOLA,

op. cit. , p. 32 1 .

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venire per sé solo, ma lo si riguardi alla luce dell 'idea dell'Originario, dell'Assoluto : se il divenire fosse originario, il non essere, in esso, limite­ rebbe l'essere, avrebbe una potenza su di esso, cosa impossibile, visto che si tratta appunto di non essere. La limitazione dell'essere che è non può quindi, sotto pena di contraddizione, essere originaria, ma deve essere posta da un Essere che, a sua volta, non divenga: dall'A ssoluto indiveniente" 103 .

Su tutto questo si inserì -'prepotentemente'- E. Severino: possiamo anzi affermare che le sue reazioni nei confronti del maestro 'costrinsero' quest'ultimo a riprese, puntualizzazioni, avanzamenti. Del dialogo tra i due ci si occuperà nella seconda parte di questo lavoro. Ai fini della ricostruzione di cui ci si sta occupando è doveroso segnalare che a queste posizioni (globalmente denominate 'Scuola milanese') vi furono altrettanto vivaci rea­ zioni (che si condensarono intorno alla 'Scuola patavina') . Da un lato il riferi­ mento a Parmenide, dall'altro la sottolineatura delle tesi aristotelico-tomiste. Scriveva di recente E. Berti a proposito di queste due scuole: "E' noto che in Italia il richiamo alla metafisica classica ha assunto, al di fuori del neotomismo più tradizionale, due formulazioni particolarmente incisive ad opera rispettivamente di Gustavo Bontadini e di Marino Gentile : a questi due pensatori fanno capo, infatti, le due 'scuole ' di metafisica più vigorose e rigorose che si possono incontrare nel panorama odierno della filosofia italiana: quella 'milanese ' (sviluppatasi soprattutto nell'ambito dell'Università Catto lica di Milano) e quella 'padovana' (sviluppatasi nell'ambito dell'Università di Padova)" 1 04 . S e a Milano dominava il magistero di G. Bontadini, a Padova la scuola metafisica si raccoglieva intorno all'insegnamento di M. Gentile per il quale la filosofia è ' un domandare tutto che è un tutto domandare' 10 5 . La questione fondamentale è il 'perché' del 'che' attestato dall'esperienza (ci si interroga perciò intorno alla sua causa) . Appare così il motivo di divergenza fra i due metafisici: "Nella molteplicità dell'esperienza sta la spinta alla sua mediazione in un principio che la tra­ scende, e non già nella -pretesa, per Gentile- contradditorietà del divenire attestato dall'esperienza stessa. Il divenire, per Gentile, non è il divenire dell'essere in quanto tale, ma dei molteplici, differenti enti" 106 . La via alla trascendenza non è per questo preclusa, anzi : "Se il divenire non è di per sé contradditorio, e non richiede per questa ragione di essere trasceso, non è per questo preclusa la strada della trascendenza: è proprio analizzando 103 Ibidem , p. 322. 1 04 E. BERTI, La "scuola " padovana di metafisica. La metafisica classica nel 'Trattato di

filosfia ' di Marino Gentile. In "Studia Patavina" XXXV ( 1 988) l , p. 1 39 . 1 05 Una sintesi del suo pensiero troviamo nel recentissimo M. GENTILE , Trattato di filosofia, NA, 1 987. 1 0 6 A. B AUSOLA, op. cit. , p. 328.

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il tema della problematicità, come originaria apertura al perché (epperciò alla causa), e il rapporto potenzialità-attualità nel problema, che si individua la via alla trascendenza" 107 . Autorevoli discepoli, quali E. Berti ed A. Poppi, si sono assunti l'onere di sviluppare questo nucleo tematico utilizzando il corpus platonico-aristotelico.

Alla fine di questo paragrafo dedicato alla metafisica cattolica contem­ poranea non ci sembra fuori luogo raccogliere una cospicua provocazione di questi ultimi tempi. Recentissimamente D. Antiseri si chiedeva se la vicenda della metafisica cattolica italiana sia storia gloriosa o storia di miserial 08 . In­ terrogativo retorico dato che gi à si conosce la risposta che l'Antiseri va pro­ ponendo da qualche anno: una sorta di totale messa in stato di 'liquidazione fallimentare' di tutta la metafisica classica, rea di voler stabilire delle condi­ zioni necesarie affinché la parola della rivelazione cristiana trovi una sorta di punto fermo. Secondo il nostro: "Ecco, quindi, il compito di questi nostri contemporanei 'metafisici classici': salvare il Salvatore" 1 09 . La sua missione, una sorta di sforzo prometeico, si vuole perciò assumere un gravoso onere: "Il mio 'impossibile ' compito è, pertanto, quello di salvare i salvatori del Salvatore, magari convincendoli ad abbreviare ancor di più il già breve, 'sempre più breve ', loro discorso, fino a farlo scomparire" l i O. Le conclusioni di questo filosofo più che renderei convinti della miseria della metafisica ci fanno edotti ancor di più sulla crisi, sulla estenua­ zione, sull'indebolimento di tanta parte della filosofia del giorno d'oggi che ricusa di pensare il fondamento appiattendosi ad una sorta di funzione 'marginalistica' di altri aspetti delle configurazioni del sapere contemporaneo. Una filosofia che smette l'interrogazione radicale sul tutto può ancora dirsi tale? 1 1 1 . Infine sembra che le figure di metafisici classici siano enfatizzate: caricate di una valenza funzionale all'obiettivo generale del saggio: la demoli­ zione (quando non sia anche la demonizzazione, dato che l'operazione è condotta in nome di una non meglio definita figura di 'fideismo razionale') .

10 7 Ibidem , p. 329.

108 D. ANTISERI, Gloria o miseria della metafisica cattolica italiana ?, Roma, 1 987. Dello stesso autore ricordiamo, inoltre , sempre su questi temi , D. ANTISERI, Perchè la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la fede, BS, 1980. 1 09 D. ANTISERI, Gloria .. , p. 8. 1 1 0 Ibidem, p. 8. 1 1 1 Vi è poi una questione 'per addetti ai lavori': resta da dimostrare l'appartenenza di don L. Giussani alla categoria dei teologi, a meno che egli non sia teologo nella stessa misura in cui lo è ogni credente che si interroga sulla propria fede; così come ogni persona può dirsi filosofo. Ma altra questione è il suo essere 'sistematico': ci sembra che ben più cospicue figure italiane contemporanee potevano essere prese in considerazione. .

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3 .1 .3. Lo spiritualismo cristiano. L'ultimo segmento del quale ci occupiamo è

lo spiritualismo cristiano. Una corrente sorta in Italia nella prima metà del '900 con due c aratteristiche ben definite : da un lato l'opposizione all'idealismo neohegeliano ed al suo immanentismo; dall'altro versante l'intenzion alit à di differen ziarsi dalla fiorente neoscolastica. E' su quest'ultimo aspetto che spenderemo qualche parola. In prima istanza possiamo delineare il carattere emergente da questa scuola (rappresentata da A. Carlini, A. Guzzo, L. Stefanini, F. Battaglia, M. F. Sciacca, R. Lazzarini) che , se condivide con i neotomisti l'ispirazione cri­ stiana e il riconoscimento della trascendenza di Dio, se ne discosta per quanto riguarda il riferimento all'atto dello spirito soggettivo, anziché alla nozione oggettiva dell'essere quale punto di partenza del filosofare. Inoltre, al metodo della deduzione razionale dei neoscolastici, è preferita l'analisi della interio­ rit à 1 1 2 . Per quanto attiene a questa esplicita differenziazione dalla neoscolastica è interessante riportare quanto affermava uno degli esponenti di spicco di que­ sta corrente di pensiero: "E' strano come i miei colleghi neoscolastici non si preoccupino minimamente, anzi, a quanto sembra, hanno una profonda diffi­ denza per il problema della spiritualità . . . Il loro Dio è un Dio che ha il mero scopo di spiegare il mondo, come quello aristotelico . . . In ogni modo il D io del cristianesimo non sembra interessar/i (in quanto filosofi s 'intende) . Di qui, anche, il /oro quasi assoluto disinteresse per il problema religioso . La tomistica 'teologia razionale' degrada verso una 'teologia razionalistica "' 1 1 3 • Questo riferimento ad Aristotele non era -a detta del nostro- funzionalizzabile ad un discorso cristiano, in quanto . . . l'essere di Aristotele (e degli scola­ stici) era l'essere che non ritornava su se stesso, che non si sa, che non è au­ tocoscienza, autocreatività, che non può essere libertà; era un essere che è natura, meccanismo, epperciò non è predicabile di Dio" 1 1 4 . Quindi: "Solo con il cristianesimo compare l'idea della interiorità di sé a sé, dello spirito" 1 1 5 . Se tale può considerarsi la pars destruen s, il ricorso al pensiero di Agostino costituiva l'ossatura relativa alla pars costruens. Fu soprattutto M. F. Sciacca a delineare i rapporti fra queste due riprese di Tommaso e di Agostino ripor­ tando anche, però, il pensiero di A. Rosmini che fu strenuo sostenitore della convergenza del pensiero di questi due grandi filosofi cristiani. I neoscolastici non tardarono a levare le loro contestazioni e accuse di fidei­ smo rivolte al pensiero spiritualista. Esse possono così essere sintetizzate: "

1 1 2 Altrettanto significativa ricostruzione del fenomeno può ritenersi G . FERRETTI ,

Tematiche teologiche emergenti . . , op. cit, p. 3 1 1 . 1 1 3 A . CARLINI, Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano. I n "Logos " , 14 ( 1 94 1 ) 3 4 , (in nota) . 1 1 4 A . BAUSOLA, op . cit. , p. 282. 1 1 5 Ibidem, pp. 282-283. .

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" . . . inadeguatezza dell'impegno dimostrativo razionale, in rapporto alla ma­ gna quaestio della trascendenza teistica, sostituita ... da una opzione volontari­ stica, da un abbandono fideistico o da una pura analisi delle aspirazioni all 'infinità propria dell'uomo" 1 1 6 . Inoltre riscontravano la presenza di: " . . . residuati fenomenistici nell'insistenza spiritualistica a voler partire dall'io, dalla persona, dall'interiorità, per arrivare a D io" 1 1 1 . Infine: "Essi cercavano ... di far vedere che la metafisica dell'essere non era affatto cosmologica, o naturalistica, e non escludeva il motivo dell'interiorità, o le esigenze religiose dell'uomo" 1 1 & . Dall'altro versante c'era il dito puntato contro una considerazione ec­ cessiva delle potenzialità della metafisica dell'essere 1 1 9 : questa sembrava co­ stituire una sorta di piattaforma naturale-razionale della religione nella quale si potevano annidare elementi di pericolosità per quanto riguardava il rapporto con la religione rivelata. "C'era la preoccupazione di non cadere in una pro­ spettiva che, non sottolineando l'originaria aspirazione umana alla infinitizza­ zione, alla divinizzazione . . . ammettesse anche uno stato di 'natura pura ', in cui l'uomo razionale, capace con la ragione di dimostrare il Motore Immobile, l'Essere senza non essere, e via dicendo potesse contentarsi di questa cono­ scenza rarefatta, tutta concettuale di Dio, progettando la propria esistenza solo in termini di 'religione naturale " ' 120 . Riconosciamo una sorta di simmetrico scambio di accuse: "i 'neotomisti' ac­ cusano gli 'spiritualisti ' di non poter giungere filosoficamente al Dio trascen­ dente partendo dall'interiorità o trascendentalità idealista, senza presupporre la fede, e così cadere nelfideismo " 1 2 1 . Dall'altro versante: "Gli 'spiritualisti ' accusano i 'neotomisti ' di non poter giungere al Dio cristiano sulle esclusive basi della metafisica dell'essere, es­ senzialmente naturalistica e cosmologica, e quindi incapace come tale di con­ durre al Dio personale e provvidente del cristianesimo. Solo se essi accettano di trasformare radicalmente la metafisica greca dell'essere alla luce del con­ cetto cristiano di spiritualità (che di fatto sta alle radici della moderna conce­ zione idealistica dello spirito), sarà loro possibile strutturare un itinerario che giunga al Dio cristiano . " 122 .

Nel successivo paragrafo evidenzieremo le conseguenze sul piano te­ ologico di queste provocazioni. Ci interssa, a questo punto, verificare il de­ stino dello spiritualismo nel panorama filosofico italiano. Si può affermare 1 1 6 Ibidem , pp. 286-287. 1 1 7 Ibidem , p. 287. 1 1 8 Ibidem , p. 288 .

1 1 9 Ibidem , p. 286. 120 Ibidem , p. 296. 1 2 1 G. FERRETTI, op. cit. , p. 3 1 1 . 122 Ibidem , pp. 3 1 1 - 3 1 2.

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che certamente non poté godere di grande fortuna: " . . . proprio il fatto che lo 'spiritualismo cristiano ' rimase, almeno prevalentemente, nell'ambito della cultura idealistica, facendone propri alcuni presupposti 1 23 , sta all'origine dei limiti teorici più vistosi della corrente stessa. La matrice idealistica infatti poté favorire l'assunzione in proprio di tutta una serie di valide esigenze del pen­ siero che l'idealismo aveva di fatto inglobato in sè (come la nuova sensibilità per l'uomo e per l 'originalità del suo essere spirituale . . . )" l 24. Ma proprio in questo vi è la ragione della crisi: "Questa stessa matrice, tutta­ via, fece sì che gran parte della problematica risultasse superata non appena, dopo la seconda guerra mondiale, l'egemonia idealistica verrà a cessare in Ita­ lia: e ciò non solo per motivi storico-contingenti (come il tema della intra­ scendibilità del pensiero . . .) mostrerà chiaramente i limiti alla luce della nuova impostazione teorica, sia della fenomenologia sia dell'esistenzialismo (che fin dall'inizio sanno vedere il pensiero come intenzionante l'essere o rivelativo dell'essere . . ) . " 1 2 5 . .

Dai lineamenti tratteggiati si comprende come non emerga il volto di una filo­ sofia 'verso la religione', quanto piuttosto di una 'filosofia religiosa' 1 2 6 che corre continuamente il rischio di operare una identificazione/commistione tra il trascendentale ed il soprannaturale1 27. Abbiamo rilevato all'interno del cosiddetto pensiero cristiano tre so­ stanziosi filoni: il neotomismo, la metafisica classica, lo spiritualismo . La loro emergenza non significa però che il campo sia così esaurito: vi sono alcuni fi­ gure non facilmente incasellabili nello schema delineato (pensiamo a C. Fa­ bro, ad A. Del Noce); vi sono ancora questioni che hanno 'riempito' il dibat­ tito fra il pensiero cristiano ed altre impostazioni: si pensi -a titolo di esempio­ al rapporto cristianesimo-marxismo. Vi sono infine nodi teorici che hanno trovato nuovo spazio e attenzione: pensiamo all' atten zione rivolta al 'reli­ gioso' secondo un metodo di indagine pluriforme, il problema dell'er­ meneutica e della storiografia, infine quello legato alla fondazione della teologia e dell'etica teologica. Segnaliamo, però, una generale impressione (che non osiamo neppure pre­ sentare come ipotesi: ciò esulerebbe infatti dagli obiettivi del presente lavoro) : agli stenti e alle fatiche riscontrabili nell'area del la filosofia cri stiana o del pensiero cristiano, corrisponde una sorta di sospensione -quando non anche 1 23 Essenzialmente l'istanza dell'interiorità, della trascendentalità del soggetto umano pensante. 1 24 G. FERREITI, op. cit., p. 354. 1 25 Ibidem , p. 354. 1 26 Per questa categoria si veda I. MANCINI, Filosofia della religione, Roma (Il" ed. , senza data), p. V ss. 127 La questione sarà ampiamente trattata nel prossimo paragrafo. Si veda comunque G. OLGIATI , A chiusa di una discussione. In "Rivista di filosofia neoscolastica" , 25 (I 933), pp. 97- 1 08.

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di diffidenza- nei confronti della razionalità. V'è un continuo richiamo alla Rivelazione (che corre però il rischio di scivolare lungo il crinale del biblici­ smo) ; alla teologia (la quale senza una adeguata riflessione sui propri fonda­ menti -teologia fondamentale o epistemologia teologica- si tramuta in fonda­ mentalismo); ed infine all'etica, alla morale (trasformando la fede in pura prassi) . Se, dal punto di vista storico-genetico tutto ciò trova spiegazione sul piano di una forte reazione ad un 'impianto tradizionale' avvertito come non più significante, dal punto di vista teorico si ha l'impressione di assenza di fondamento: più precisamente, di scarso valore attribuito alle questioni fondative, con il conseguente generarsi e prodursi di 'sfondamenti' nei sum­ menzionati campi 12 8 . 3 .2. La teologia contemporanea. L'obiettivo di questa seconda parte non è

quello di ricostruire le vicende della teologia italiana contemporanea 1 29 quanto piuttosto e, soprattutto, quello di registrare le ripercussioni in questo versante delle provocazioni emergenti dal dibattito filosofico preso in considerazione nel precedente paragrafo . E' purtuttavia necessario tratteggiare , per sommi capi, lo sfondo nel quale questi elementi trovano una loro precisa collocazione. Il punto fondamentale verte intorno alla crisi della teologia manualistica . Un modo di fare teologia ­ anzi il modo unico nello spazio e nel tempo- che ri sale al sec . XVII per giun­ gere inalterato fino alla prima metà del sec. XIX . Un procedere che, una delle più rilevanti figure teologiche di questo secolo, non esita a descrivere così ne­ gativamente : "Si trattava di una scienza strettamente ecclesiale, parlante di preferenza latino; una scienza che in linea di massima aveva dappertutto nel mondo un suo canone ben saldo e ben preciso di temi e problemi, di cui -se si eccettua il fatto di non aver mai riflettuto sulla loro problematicità metodolo­ gica- era venuta a capo in maniera abbastanza risoluta; una scienza che aveva con la teologia protestante e col mondo culturale moderno (fatte naturalmente le debite eccezioni) soprattutto rapporti difensivi e polemici, che ci teneva a prendere le distanze e lo faceva in un modo ch 'era un misto singolare di fede coraggiosa e genuina e di rimozione timorosa, due atteggiamenti che finirono così per essere ritenuti lo spirito veramente ecclesiale; una scienza che cercava il più possibile di vivere in un'autarchia ecclesiale" l3° . 12 8 Da questo punto di vista si possono intendere le incomprensioni subite dalla Facoltà Teologica Interregionale di Milano nel suo progetto di rigorizzazione del metodo teologico. Paradossalmente queste fatiche provengono più dall'ambiente intrateologico che da quello filosofico. 12 9 Per questo si rinvia a due imprescindibili strumenti G. ANGELINI, La vicenda della teologia cattolica del seco lo XX. In Dizionario . . . , op. cit., vol. II, pp. 585-648. Inoltre, speci fico per il contesto italiano AA.VV . , La teologia italiana oggi, B S , 1 979. In particolare le prime due sezioni, rispettivamente La vicenda storica (pp. 25- 1 28). L e tematiche fondamentali (pp. 1 29-270). 1 3 0 K. RAHNER, Sulla situazione attuale della teologia cattolica. In K. RAHNER , Scienza e fede cristiana, Roma, 1 984, pp. 1 04- 1 05.

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Questo complesso edificio inizia a manifestare segni di cedimento allorquando -per tramite di quel plesso di contestazioni globalmente denominate 'modernismo'- le grandi questioni dibattute in ambito extrateologico -e pre­ valentemente filosofico- fecero il loro ingresso nella costruzione teologica. Due soli termini evocano l'effetto dirompente prodottosi : l'emergere della co­ scienza storica, l'istanza della soggettività. Nonostante le grandi arginature erette dalla teologia del magistero (e/o teologia romana) tutto questo crebbe fino a causare l'interna esplosione della manualistica intorno alla stagione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Appariva perciò -con sempre maggiore evi­ denza- il limite, l'angustia di questa pur veneranda prospettiva: "Il vizio radi­ cale della teologia manualistica sta nella giustapposizione, e conseguente este­ riorità rispettiva dell'auctoritas, e quindi della fede e della ratio . Estrinseca alla ratio, la fede non può che apparire autoritaria e quindi destinata al rifiuto pre­ giudiziale da parte di tutto il movimento, confuso ma determinato, in ascesa verso l'emancipazione; mentre correlativamente la ratio non può che alienarsi dallafede 1 3 1 • Tutta questa sommovimentazione ha fatto entrare in una nuova fase, definita appunto post-manualistica, nella quale il 'post' non ha ancora assunto ben definiti contorni. Infatti da un lato si è prodotta una sorta di 'regio­ nalizzazione' della teologia in varie teologie continentali non sempre tra loro omogenee l 3 2 . Dall'altro lato si è costituito un processo di confronto-coin­ volgimento nell'ambito della scientificizzazione di tutti i settori dell'umana esistenza che ha dato luogo ad una variegata diversificazione della teologia in tante singolari discipline 1 33 . "

La prospettiva di una nuova sintesi e prospettiva che segni il supera­ mento della fase post-manualistica non appare ancora presente. Sempre lo stesso K. Rahner annotava: "A motivo di questi nuovi impulsi la nuova teolo­ gia si differenzia in misura maggiore in varie correnti e tendenze, diventa necessariamente più frammentaria di prima, è incapace di offrire un sistema completo e perfettamente elaborato" 1 34 . All'interno di questo quadro vogliamo considerare tre elementi porta­ tori di instabilità: le 'fatiche' della neoscolastica; la 'crisi' della metafisica; le 'influenze' del personalismo. 1 3 1 G. COLOMBO, La teologia manualistica. In AA.VV., La teologia italiana .. , op. cit. , p. 53 . l 3 2 E' sufficiente richiamare la teologia della liberazione del Sud America (o meglio le teologie della liberazione, date le diverse accentuazioni presenti); la teologia nera dell'Africa (e il relativo problema della incul turazione); per finire poi con le varie teologie 'del genitivo' europee: della politica, della rivoluzione, della secolarizzazione. 1 33 Pensiamo alla fil osofia del linguaggio, all'epistemologia scientifica, alla filosofia sociale, alla filologia, alle scienze storiche . . . 1 34 K . RAHNER, op. c it. , p. 1 07. .

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3.2.1 . Le "influenze " del personalismo. Un primo elemento da evidenziare è

la qualifica di 'cristiano' fatta seguire al termine 'spiritualismo'. Con ciò sono sottesi due ben precisi orientamenti. n primo: " . . . ifilosofi spiritualisti intendevano giungere ad una trascendenza teistica cristiana (al Dio, cioè, proprio della coscienza religiosa cristiana)" l35 . Il secondo: "a tale trascendenza essi . . . riuscivano di fatto a giungere non con il solo procedimento filosofico razionale, bensi con l'apporto determinante della fede cristiana" l3 6 . Se intorno alla prima questione il dialogo con il neotomismo poteva essere fe­ condo, le cose divenivano più complesse per il secondo versante, stante l'accusa di una sorta di pregiudiziale fideistica: ovverosia l'introduzione della fede all'inizio del filosofare, decidendone (sequestrandone) così le sorti fin dalle prime battute. Tale elemento -che abbiamo definito come rischioso- nasconde in sé una po­ sitiva valenza teoretica: "la convinzione di fede cristiana entra non solo di fatto ma anche di diritto come elemento determinante della loro riflessione teoretica circa la struttura dei rapporti tra ragione efede" 1 37 . Questo punto segna il passaggio al versante teologico, o, più precisamente, all'ambito dell'apologetica (teologia fondamentale secondo la nuova topono­ mastica teologica) : l'obiettivo professato è quello di individuare -all'interno della cultura contemporanea- percorsi significativi per 'ricondurre' l'uomo dell'oggi alla fede (quest'ultima tradizionalmente intesa: è infatti tematizzato l'initium fidei e, non tanto il depositum fidei). In questo inoltrarsi nei territori della teologia intervengono due precise istanze: la ' separazione' in due ambiti distinti rispettivamente del dogma da un lato, della filosofia dall'altro; secondariamente mostrare la capacità della fede cristiana di offrire orientamenti ai 'bisogni' del soggetto contemporaneo. n risultato: "In questo modo i nostri autori compiono -senza saper/o- un pre­ zioso ed autentico lavoro teologico: la messa in luce, cioè, delle potenzialità di senso che la fede cristiana possiede per incarnarsi nella vita culturale del no­ stro tempo. Di fatto i due tipi di riflessione, quella 'filosofica ' esplicita e quella 'teologica' per lo più implicita, finiscono per intrecciarsi, convergendo nell'abbozzo di quella originale sintesi teologico-culturale di matrice cristiana che costituisce l'oggetto specifico della nostra ricerca e forse il significato culturalmente più importante dello spiritualismo cristiano contemporaneo" 1 3 8 . Se questa era l'offerta che il movimento portava alla teologia, dobbiamo pur­ troppo registrare l'indifferenza -quando non anche la diffidenza- di quest'ul­ tima. Antico vizio della riflessione teologica italiana fortemente segnata da una sorta di provincialismo, di complesso di stato d'assedio che la vede estre-

1 35 l36 l3? 138

G. FERRETTI, op. cit. , p. 3 1 2. Ibidem , p. 3 1 2. Ibidem , p. 3 1 3 . Ibidem , p. 3 14.

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mamente chiusa nei confronti delle problematiche culturali 1 39. Se il vizio rappresenta la causa formale di questa mancata recezione, possiamo ipotizzare anche una causa sostanziale. Il 'matrimonio' fra teologia e metafisica classica era talmente funzionante da far reagire negativamente nei confronti di ogni istanza critica di detta metafisica: "Preferi quindi (la teologia italiana) non lasciarsi coinvolgere dalle nuove proposte filosofiche, lasciando ai filosofi neotomisti il compito di essere difesa da quello che ritenevano un attacco mortale, senza avvertire quanto di nuovo e fecondo vi fosse nella filosofia spiritualista italiana, ben al di là e indipendentemente ... dalla critica che essa muoveva alla cosiddetta metafisica classica. La posta in gioco twn era tanto o solo -come allora sembrò- la saldezza della metafisica classica dell'essere, ma un modo nuovo, non razionalistico e più antropologicamente integrale, sia di riflettere filosoficamente sulla religione, sia di fare teologia" 1 40 . La vicenda non può però ritenersi conclusa a questo punto: se infatti le tesi spiritualiste furono 'espulse' dalla teologia degli anni '40-'50 esse sono prepotentemente entrate in tempi successivi, al punto da costituire oggi patrimonio pacificamente acquisito. Alludiamo a temi quali il rapporto 'fede­ cultura', alla 'svolta antropologica' , all'ingresso 'della coscienza storica' in teologia, al 'ricentramento' sui temi della persona e della comunità, ad una 'intonazione trinitaria' del procedere teologico.

3.2 .2. Le "fatiche " della neoscolastica. L'affermazione dell'autonomia degli

ambiti portò la neoscolastica ad una sorta di disinteresse nei confronti della teologia riconoscendo questo campo non di sua pertinenza. "/n tal modo la filosofia non provocava culturalmente la teologia; né d'altra parte ne era pro­ vocata. Si potrebbe parlare di paralielismo e di reciproco rispetto " 1 4 1 . Anche qui, come nel caso precedente, importa rilevare l'assenza di insegna­ menti teologici nel luogo stesso ove era maggiormente professata la filosofia neoscolastica: l'Università Cattolica di Milano. Questa separazione risultava inoltre funzionale alla immunizzazione rispetto alle critiche rivolte alla neoscolastica dal suo più importante interlocutore cri­ tico: il neoidealismo italiano. Problematico risulta però il richiamo a Tommaso per legittimare questo rapporto di autonomia tra filosofia e teologia: nella Scolastica la distinzione dei piani era di natura formale: si filosofava all'interno dell'orizzonte dell a fede ampi amente riconosci uto. Nel 1 39 E' questa la sede per mettere in luce la deprecabile assenza di cattedre di teologia nell'ambito delle Università statali (ma anche della stessa Un iversità Cattolica di Milano) fin dai tempi della loro soppressione avvenuta con la famosa legge 'Corrente' del 1 872. Se a ciò possono concorrere ipoteche di stampo laic ista, non sono meno consistenti le precomprensioni ecclesiastiche motivate unicamente dal timore di una possibile "perdita di controllo" della teologia. S ignificativo per la ricostruzione di tu tta la vicenda G . COLOMBO, Situazione e prospettive della teologia italiana. I n G. COLOMBO, Perché la teologia, B S , 1 980, pp. 98- 1 10. 140 G. FERRETTI, op. cit. , p. 355. 14 1 I. BIFFI , op. cit. , p . 30 1 .

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neotomismo sembra si voglia attribuire valenza sostanziale all'operazione condotta dai medioevali : se ciò può essere pertinente, in un mutato contesto socio-culturale, precario sembra essere però il riferimento fondativo a ben altro orizzonte. Altro cespite cospicuo in questa vicenda -tanto da costituirne lo sfondo- è il tema del soprannaturale: più precisamente del rapporto tra il naturale ed il soprannaturale. Tale può ritenersi lo schema che la teologia del tempo forni­ sce, e 'dentro' al quale il neotomismo filosofico ricerca una sua precisa collo­ cazione. Trattandosi di una questione ormai 'tramontata' nella teologia attuale, non sarà fuori luogo richiamarne alcuni elementi 1 42. Il 'moderno' impone la separazione tra fede e ragione e perciò la reazione della teologia sarà tale da modularsi a partire dai 'nuovi campi' emergenti: una teologia della natura (indipendente dalla prospettiva della fede); un insegna­ mento su Dio in funzione 'deistica' (con la 'dimenticanza' del procedere trini­ tario). Questa sorta di concentrazione antropo-mondana portò al relativo oblio del piano 'soprannaturale'. I primi segni di crisi di tutto questo assetto si ma­ nifesteranno nell' '800 con il generarsi della teologia romantica e liberale (in area protestante : il più cospicuo rappresentante è senza dubbio D. F. Schleiermacher); della teologia del 'mistero' (in area cattolica soprattutto J . M. Scheeben) . La questione del soprannaturale ritorna verso l a metà del nostro secolo quando per la fondazione dell'antropologia (teologica) non erano più utilizzabili le categorie di 'ragione' e di 'natura' bensì, soprattutto, urgeva il ricorso alla Parola rivelata 1 43 . Si trattava di operare una sorta di 'ribaltamento' delle prospettive in tutto l'edificio teologico congedando defi­ nitivamente l'obiettivo di costruire un'antropologia teologica a partire dall' 'uomo naturale' I44. "Essa infatti (teologia naturale), a prescindere dalla pro­ blematicità di darle una definizione, si riferisce ad una situazione antropolo­ gica puramente ipotetica e in quanto tale è fuori della realtà storica. Sotto que­ sto profilo l'Enciclica Humani Generis sembra segnare, più che l'autorevole conferma, il congedo per l'antropologia costruita a partire dall 'uomo 'naturale '. Al suo posto si è arrivati a costruire un'antropologia più comprensiva del so­ prannaturale, e in ultima analisi un 'antropologia che parte dalla cristolo ­ gia I 45. "

1 42 Fondamentale a questo proposito H. DE LUBAC, Surnaturel, Paris, 1 946. Inoltre G . COLOMBO, Sopprannaturale, i n Dizionario .. , op. cit., vol . III, pp.293-301 . 1 4 3 E' di questi tempi il passaggio lento ma progressivo dalla teologia del magistero alla teologia della rivelazione che avrà un momento estremamente significativo nella teologia conciliare. 1 44 Pionieri in questa nuova linea possono considerarsi i due pi ù significativi teologi contemporanei : K. Rahner, H. U. von Balthasar. 1 45 G. COLOMBO, Soprannaturale . , op. cit., p. 298. .

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Questo lungo richiamo mette in evidenza come il proposito della neoscolastica di inserire la sua autonomia (rispetto alla fede) al livello del naturale non col­ pisce nel segno perché la teologia è sintonizzata su altre frequen ze 146. Infatti: "Se si inclina verso l'identificazione di filosofia naturale come mondo in sè definito, autonomo e giustapposto rispetto al 'soprannaturale ', si va verso una concezione della razionalità che non è 'reale', ma astratta e ipotetica almeno nella linea del metodo e della prospettiva, anche se a doverlo sapere è soltanto i/ filosofo in quanto cristiano" 1 47 . Secondo la prospettiva teologica è dunque da pronunciarsi un giudizio nega­ tivo? "E' merito della neoscolastica milanese l'aver tenuto vivo il senso e di­ mostrato il valore dell'intellegibilità, della razionalità, anche della fede, rispettivamente di fronte al neoidealismo italiano , al problematicismo, allo spiritualismo" 1 4 8 . E tale è un compito insuperabile, una questione non liquidabile: "Ora si assi­ cura che la teologia non offre più un tale schema (natura!soprannatura); non permette di iniziare dal 'naturale ', neutro, separato da un successivo sopran­ naturale" 1 49 . Il rapporto vecchio/nuovo in teologia è così sintetizzato da K. Rahner: "Quando diciamo che questa nuova teologia ha preso il posto della neoscola­ stica imperante tra la metà del secolo XIX e la metà del secolo XX, consta­ tiamo un semplice dato di fatto e non diamo una valutazione. Cosi, la nuova teologia non può semplicemente vedere nella neoscolastica la sua precorritrice vinta, da lasciarsi in maniera pura e semplice alle spalle; pure questo passato è sempre una realtà, i cui valori bisogna recuperare in modo nuovo e che ha una funzione critica da svolgere nei confronti del presente, perché pure in codesto passato era vivo il vero e pieno cristianesimo, cui an­ che la nuova teologia deve servire. Viceversa, nonostante alcuni tentativi fatti qua e là, non è possibile tornare alla neoscolastica" 1 5 0. I rilievi critici lasciano intendere - in recto - anche quale può essere il compito della 'filosofia cristiana' : far emergere la razionalità dall'antropologia e dalla teologia cristiana così come queste si esibiscono. La questione è tutt'altro che ri solta: possiamo dire che ne è stato appena enunciato il com­ pito, il quale consiste non nello spiegare " . . . il soprannaturale a partire dal 1 4 6 S intonizzazione radicale in quanto coinvolge tutti gli ambiti della teologia: recupero delle fonti biblico-patristiche; recupero della liturgia; ricentramento cristologico trinitario . . . V'era i n quegli anni '50 la senzazione d i una sorta di "epoca nuova" ! 1 47 Una grade ricognizione critico-interpretativa del fenomeno neotomista è operata da B .WELTE, Zum Strkturwandel der Katholischen Theologie im 1 9. Jahrundert, in Auf der Spur des Ewigen, Freiburg i. B . , 1 965, pp. 380-409 . (tr. it. : Sulla traccia dell'eterno, MI, 1 976, pp. 1 1 7- 1 5 1 .) 1 4 8 I . BIFFI , op. cit., p. 3 04 . 1 49 Ibidem, p. 3 04 . 1 5 0 K. RAHNER, o p . cit. , p. 1 07.

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naturale, ma si cerca la consistenza del naturale entro la considerazione del soprannaturale" 1 5 1 . 3.2 .3. La "crisi" della metafisica. L'ambito teologico nel quale 'controllare' le vicende della metafisica è quello definito della 'teologia fondamentale' l 52 ; di­

sciplina sorta sulle ceneri di quell' apologetica che si proponeva -fino ad un ventennio fa- come fondamento stabile di tutto l'edificio della teologia dog­ matica. L'impressione generale che se ne ricava è di una sorta di disinteresse per la vicenda. Teologi e Facoltà Teologiche italiane (escludendo da questa considerazione -data la loro atipicità- le Facoltà Pontificie Romane) sembrano 'saltare' velocemente' ai 'capitoli' riguardanti la teologia biblica, la teologia dogmatica, la teologia morale : il danno che ne segue, per ciò che attiene al momento fondativo/fondamentale, è notevole. Ci sembra tuttavia doveroso segnalare una significativa eccezione rappresentata dalla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano che si contraddistingue proprio per l'insistenza con cui vuole indagare ed istituire il metodo teologico. Per tale motivo faremo riferimento alle produzioni di questa che, oramai, possiamo definire scuola teologica a pieno diritto l 53. Posto che -in sede filosofica- 'crisi' della metafisica si riconduce a: "L'idea che il sapere ... sia radicato in una decisione ermeneutica di natura es­ senzialmente extra-teoretica si presenta di fatto come una delle forme nelle quali si è concretata la coscienza propriamente contemporanea della 'fine ' della metafisica. L'idea del sapere come articolazione teorica di un determi­ nato conferimento di senso che esclude di poter essere giudicato dal punto di vista incondizionato della verità attesta in effetti l'abbandono di quella dimen­ sione dell'intenzionalità metafisica che era rimasta viva . . . entro l 'orizzonte filosofico della modernità . . . interesse per la struttura originaria del sapere nel quale prendefonna la domanda radicale intorno alla verità" l54 . 1 5 1 L. SERENTHA', Uomo, II/Antropologia dal punto di vista teologico, in Dizionario . . ,



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o . cit. , vol. III, p. 3 34. l 2 Segnaliamo -per l'area italiana- quattro recen ti produzioni: G. BAGET-BOZZO, E . BENVENUTO , L a conoscenza di Dio, Roma, 1 978. G . RUGGERI, L a compagnia della fe de , TO , 1 980. B . FORTE , La teologia come compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia , MI, 1 987 . Fino al recentissimo e sign ificativo per il nostro contesto culturale AA.VV., Enciclopedia di Teologia Fondamentale. S toria Progetto Autori Categorie, voi I, GE, 1 987. (A questo già poderoso volume di oltre 750 pagine ne farà seguito un secondo già annunciato). 1 53 Il riferimento specifico va soprattutto a due Convegni organizzati dalla Facoltà rispettivamente nel Maggio 1 978 e nell'Aprile del 1 9 8 1 su questi tem i: "La fine della metafisica nella teologia con temporanea"; "L'appello all"'esperienza" nella teologia contemporanea" . Gli strumenti preparatori, gli atti e le successive reazioni sono apparse sulla rivista della Facoltà Teologica (soprattutto i nn. 1 979/1 e 1980/2). 1 54 P. A. SEQUERI, "Fine della metafisica" e ragione teologica, in "Teologia" , 1 979/1 , p. 53.

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L'atteggiamento della teologia può essere così espresso: "La teologia moderna ha rifiutato praticamente in blocco il programma di radicale revisione critica del sapere metafisica tradizionale, respingendo perciò anche il motivo ... di quell'istanza radicalmente critica che ne rappresentava l'orizzonte formale. Essa ha sviluppato la sua difesa della metafisica essenzialmente come riaffermazione dottrinale di quel sistema determinato di conoscenze che si era assestato come funzionale alla credibilità e alla intelligibilità della fede ecclesiastica" l 55 . Le conseguenze sul piano teologico si sono perciò manifestate in modo con­ sistente: "Il modo di quella difesa . . . ha rivelato contraddizioni che l'evoluzione teorica della teologia medesima ha progressivamente reso mani­ feste, imponendo un processo di revisione critica ancora completamente aperto" 1 5 6 . Tutto questo ha ridotto in cenere l'apologetica ed il suo obiettivo di connettere -sulla base del sapere metafisica- il credere con il sapere. La divaricazione quando non anche l'opposizione- fra questi due modelli era di natura tale da rendere impossibile 'l'utilizzazione' del sapere extrateologicamente elaborato per articolare l'intellegibilità della fede. Di qui una 'caduta' all'interno della 'risoluzione ermeneutica' della questione fondati va del sapere teologico: " . . . appunto il principio totalizzante dell'ermeneutica . . . sospinge inevitabilmente la teologia verso un 'immagine ad un tempo retorica e dogmatica" l 5 1 . Ove appare la contraddizione tra la pretesa rivendicata dalla teologia in quanto essa è " . strutturalmente intenzionata all'affermazione della verità di Dio, che si rivela come verità assoluta la quale trascende e giudica la storia nella sua totalità" 1 5 8 e l'esito, una volta assunto siffatto modello, "Nella misura in cui accettasse l'epistemologia del fondamento ermeneutico del sapere, la teo­ logia sarebbe costretta a rinunciare al proprio oggetto oppure ad assolutizzare come verità di D io la determinazione storica che la costituisce come sapere relativo ad un punto di vista particolare" 159 . Il nostro autore imputa la responsabilità di tutto ciò alla teologia in quanto è stata essa a 'distaccarsi' da un sapere filosofico ancora orientato ad articolare un discorso intorno alla istanza assoluta della verità e alla sua evidenza. La grave accusa è così perentoriamente formulata: "In altri termini, nella vicenda della progressiva emarginazione dell'istanza critica assoluta della verità dall'area del sapere proprio della fede, la teologia non ha semplicemente il ruolo passivo di chi è sopraffatto dall'evolversi di una dinamica culturale che rwn è in grado di dominare, ma anche dal ruolo attivo di chi in qualche modo, ..

15 5 l5 6 1 57 15 8 1 59 62

Ibidem, Ibidem, Ibidem , Ibidem, Ibidem,

p. 5 3 . p. 53. pp. 53-54. p. 54. p. 54.

più o meno consapevolmente, ha portato un attivo contributo al suo svilup­ parsi" 1 60 . Risulta così sfatato una sorta di 'mito' sovente evocato : quello -appunto- di una teologia 'vittima' della filosofia. Ma è già tempo di verificare in modo ravvicinato come la 'crisi' della metafi­ sica ha progressivamente investito la teologia determinandone una sorta di mutamento di paradigma. Dal punto di vista della storia delle idee, la rece­ zione -in sede teologica- avviene nell'opera di K. Barth l 6 1 . Qui è messo a tema il 'topo' crisi della metafisica. "// pensiero metafisico, e più precisa­ mente la teologia naturale, che del pensiero metafisica costituisce il corona­ mento, vi è considerato come una delle mediazioni con cui l'uomo pretende di appropriarsi della verità di Dio indipenden temente dalla sua parola e dall'assoluto della fede " l 62 . Ma sentiamo lo stesso Barth: "A lla luce della rivelazione appare chiaramente che la religione è il tentativo umano di prevenire quel che Dio vuole fare e fa nella sua rivelazione, è il tentativo di mettere al posto dell'opera di Dio una costruzione umana, sostituendo alla realtà divina che si dà e si manifesta per noi nella rivelazione, un 'immagine di D io prodotta dalla fantasia e dall'arbitrio degli uomini" 16 3 . Contemporaneamente (perché sempre nell'opera banhiana -pur con toni più pacati- apparirà la contestazione di ogni 'umana pretesa') e, successivamente, si produrrà una 'nuova teologia' il cui incipit è già di per sé significativo: la Dogmatik non prende il via -come avveniva tradizionalmente in opere di que­ sto genere- con una dottrina su Dio e sulla fede, bensì immediatamente con la dottrina sulla Parola di Dio e sul Dio trinitario. Una teologia 'esclusivamente' cristiana fin dalle sue prime battute. Se Banh dà il segnale di partenza del no­ vum, altri si assumeranno l'onere di formalizzare compiutamente questa svolta. Da un lato nella teologia entra l'istanza critica della soggettività: "La critica de­ rivante dall'istanza della soggettività è rivolta alla metafisica come sapere og­ gettivante, individuata immediatamente nella metafisica razionalistica con la 1 60 Ibidem, p. 54 1 6 1 Segnaliamo questo 'gigante' della teologia contemporanea il cui pensiero viene sovente paragonato ad una sorta di cardine intorno al quale ruota tutta la teologia (cattolica ed evangelica) dei nostri tempi . Con una significativa immagine qualcuno ha paragonato la teologia contemporanea ad una navigazione di piccolo cabotaggio intorno all'arcipelago­ Barth. Questa segnalazione è fatta anche perché avanziamo il sospetto che nell'ambiente culturale italiano la prima recezione del pensiero barthiano sia avvenuta in sede filosofica anziché teologica. 1 62 A. BERTULEITI , "Fine della metafisica " . , op. cit., p. 8. 1 6 3 K. BARTH , Die Kirchliche Dogmatik, I/2, p. 329 (tr. it. : Dogmatica Ecclesiale, BO, 1 968 , p. 47). Il tema aveva ricevuto la sua più radicale fonn ulazione nel comm ento all'Epistola ai Romani, aveva trovato una sistemazione teoretica nell'opera dedicata alle prove sull'esistenza di Dio di Anselmo e, finalmente, una sorta di attuazione-applicazione nella poderosa Dogmatik. . .

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sua concettualità teorico-scientifica è più remotamente nella metafisica greca di tipo naturalistico-cosmologico" 1 64 . Ritroviamo in quest'area la teologia esistenzialistica di R. Bultmann e la teo­ logia trascendentale di K. Rahner: entrambe -pur nel diverso procedere- mi­ rano ad integrare la soggettività nella comprensione della rivelazione. Dove chiara emerge la critica 'all'aggettivazione' propria del procedere rigorosa­ mente metafisica. Dall'altro lato notiamo il secondo ingresso: l'istanza definita storico-pratica: "La critica derivante dall'istanza storico-pratica è rivolta alla metafisica come forma del pensiero teorico caratterizzato fin dalle sue origini greche dal duali­ smo fra il concetto e la storia e di cui denuncia l'incapacità a comprendere il significato essenzialmente storico della rivelazione e ad articolarlo con l'esperienza della storia come prassi e con il tipo di ragione che questa espe­ rienza postula" 16 5 . Ritroviamo in quest' altro ambito la teologia di W. Pannemberg , J . Moltmann, J . B . Metz. Questa feconda stagione -qui appena evocata- ha lasciato non risolte notevoli questioni soprattutto nel versante fondativo. Per esempio non è sufficente " . . . opporre lo 'storico ' al 'metafisica ', ma ( . . . bisogna) porre di nuovo in questione la metafisica, per raggiungere una concezio ne dell 'essere che radichi lo storico nel suo fo ndamento antologico " 1 66 . Infatti: . . . se la soggettività e la storia rappresentano due dimensioni della stessa esperienza, esse rinviano ad un 'identica radice, alla quale si rapporta originariamente la questione della metafisica considerata nella sua base antro­ pologica " 1 6 7 . Lo sguardo sul recente passato e sul presente permette di affermare che " . .. le alternative proposte, benché parzialmente giustificate, non appaiono in grado di sostenere il peso della funzione che sono chiamate a svolgere, in altre parole di coprire il posto lasciato libero dalla figura contestata" 1 68 . Per quanto riguarda invece i comp i ti futuri che attendono la teologia: "Fine della metafisica non significa la fine del problema metafisica e il suo supera­ mento, la semplice cancellazione della questione. Essa significa piuttosto la necessità di un riesame della questione, della sua genesi teorico-storica, allo scopo di ricomprenderne più profondamente la natura e valutarne infunzione di questa le deviazioni" 1 6 9 . L'auspicio è perciò quello di una ripresa della questione della verità all'interno della teologia fondamentale tale da prospettare " . . . una filosofia "

16 4 A . BERTULETTI, op. cit., p. 40. 1 6 5 Ibidem, p. 40. 1 6 6 Ibidem, p. 42. 1 67 Ibidem, p. 4 1 . 1 6 8 Ibidem , p. 38. 1 6 9 Ibidem, p. 39.

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della fede teologica come forma del sapere che attinge alla verità incondizionata del tutto" 1 1 0 . In sede conclusiva è da dire che -al di là dell'operare sul registro delle traduzioni, delle imitazioni- questo potrebbe essere il compito originale della teologia italiana rispetto ad altre tendenze teolo giche17I.

1 7 0 Ibidem, p. 56. 1 7 1 Positiva in questo senso appare la pubbl icazione di una nuova rivista nella cui Presentazione si affermava un orientamento determinato "non più dalla ricerca classica di mediazioni al servizio di questo o quell'interesse di verità ma, al contrario, dall'indagine sulle più originarie condizioni di pensiero cui entrambe, filosofia e teologia, appartengono per ragioni storiche ma anche per ragioni antropologiche e metafisiche". In "Filosofia e Teologia, figure e questioni", 1/1 987, p.S.

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Sezione Seconda - Parte Prima

LE REAZIONI

4.1. La critica teologica. In questo primo capitolo della parte riservata al­ l'esposizione delle prese di posizione verificatesi nei confronti della proposta filosofica di E. Severino, consideriamo più attentamente 'la critica teologica' . Già abbiamo rilevato le istanze generali dell'impianto severiniano e da questo sfondo abbiamo fatto emergere le precise e puntuali contestazioni che il no­ stro addebita alle fedi religiose in generale e alla visione giudaico-cristiana in particolare. Se certamente le prime hanno dato e continuano a fornire materiale di discus­ sione per i filosofi, non è meno vero che esse, ma anche le conseguenze che ne derivano -e che non sono qui in esame- dovrebbero contribuire a tenere ben vivo il contenzioso sul piano propriamente teologico. La radicalità della proposta severiniana è apparsa nella sua chiarezza a tal punto da far tornare alla mente -nell'introdurre questo segmento S eve­ rino/teologi- le parole di M. Heidegger: " Vorrà la teologia cristiana rideci­ dersi a prendere sul serio la parola dell'Apostolo e quindi la filosofia come unafollia ? " 1 7 2 . La filosofia di Severino è ben l ungi dal presentarsi come precaria o provviso­ ri a. Il suo carattere tetragono, il suo procedere 'a martello' giustifica l'allusione alla follia: filosofia come follia, appunto perché scardina il senso comune generale e quel particolare -ed oramai venerando nella nostra cultura­ senso della fede religiosa presente -quasi come una sorta di inconscio collet­ tivo- anche in coloro che non la praticano o non la condividono. Come e quando la teologia ha prestato attenzione e reagito a questa radicale contestazione?

l7 2 M . HEIDEGGER, Introduzione a Che cos'è metafisica? Ora in Segnavia, MI, 1 987, p. 33 1 .

4.1.1. Il primo "scontro " con la teologia. Nel tentativo di ricostruire lo svol­

gimento del dibattito tra la proposta filosofica di E. Severino ed il pensiero cristiano ne individuiamo il primo cospicuo segmento nella vicenda che in­ dusse le autorità ecclesiastiche cattoliche a dichiarare "l'incompatibilità " di questa posizione filosofica con la Rivelazione cristiana 173 . Questo conten­ zioso si sviluppò nell'arco di quattro anni proprio all'indomani -per quanto riguarda la Chiesa Cattolica- della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II174 . Può risultare utile ai fini di questo lavoro una rapida delineazione dei tratti sa­ lienti della situazione interna alla Chiesa Cattolica in quegli anni così signifi­ cativi tanto da costituire, ai fini della periodizzazione, una sorta di spartiac­ que. La convocazione di un Concilio Ecumenico giunse inaspettata all'interno di una chiesa dimentica dello stile sinodale e maggiormente propensa al cen­ trali smo c uriale . Gli stessi obiettivi messi a tema nell'assise erano significativi di una nuova tendenza. Un ripensamento della strutturazione dei rapporti intraecclesiali; l'apertura di un nuovo capitolo relativo ai rapporti tra la chiesa e le realtà da lei 'diverse' omnicomprensivamente denominate 'mondo' ; u n ricentramento sulla parola biblica all'interno del vis suto ecclesiale; infine la riforma degli stessi organismi della Curia romana (tra i quali spiccava il Sant'Uffizio) dei quali ci si occuperà in queste pagine dati i loro interventi nei confronti delle tesi filosofiche del prof. Severino175. Tutto ciò costituiva il materiale del dibattito dell'assise ecumenica ma travali­ cava la stessa ufficialità al punto da mettere in sommovimento la stessa "chiesa di base". In effetti, in quegli anni si può rilevare l'esistenza di una sorta di diversa, nuova, autocoscienza della Chiesa Cattolica comunemente denominata "rinnovamento conciliare e post-conciliare" che portò da un lato, alla rapida scomparsa delle strutture ed istituzioni che per secoli avevano co­ stituito il tessuto connettivo dell'esisten za ecclesiale e, dall'altro lato, alla faticosa elaborazione di nuovi criteri ed orientamenti. Inevitabili furono -e per certi versi ancora oggi perduran ti- gli scontri e le fatiche tra le tendenze

1 7 3 Per la verità tale confronto si era già aperto parecchio tempo innanzi. Resta significativa, a tal proposito la nota a pié pagina con la quale la "Rivista di filosofia neoscolastica" accompagnava la pubblicazione del famoso Ritornare a Parmenide 1 964/11. Vi era già la percezione delle opposizioni alla neoscolastica (ma anche a tutto ciò che è stato detto dopo Parmenide). Purtuttavia si voleva comprendere quel testo ancora come interno a quella tradizione ma, soprattutto, si intendeva -come poi effettivamente avvenne­ dar vita ad una discussione. Di questa ci occuperemo in seguito considerando i singoli interventi. 174 Precisamente il giorno 8 Dicembre 1 965. 1 75 Il Decreto "Christus Dominus" afferma al n° 9: " Ora i padri del sacrosanto Concilio esprimono il desiderio che a questi dicasteri . . . sia dato un nuovo ordinamento, maggiormente conforme alle necessità dei tempi, delle regioni e dei riti, specialmente per quanto riguarda il loro numero, la loro denominazione, le loro competenze, la loro prassi e il coordinamento del loro lavoro" . Cfr. Enchiridion Vaticanum, voi I, p. 337, BO, 1 976. 68

'frenanti' e quelle 'acceleranti' questo processo di ricostituzione dell'intera compagine ecclesiale. 4 . 1 . 1 . 1 . La presa di posizione della Congregazione per la dottrina della fede. La vicenda che portò E. Severino davanti alla Congregazione per la dottrina della fede (il nuovo nome del secolare e potente organismo della curia romana detto Tribunale del Sant'Uffizio) si svolse all'interno del particolare clima di fermentazione testé rilevato. Già nel 2 Aprile 1 966 il nostro (nella sua posizione di docente dell'Università Cattolica del S. Cuore di Milano) veniva messo in guardia da una lettera di Mons. Carlo Colombo 1 76. Il primo intervento ufficiale fu però un "monito" trasmesso il 21 Marzo 1 968 da parte della Congregazione per l'Educazione Cattolica 1 77. Si presero in considerazione tre specifiche questioni riguardanti: - le prove dell'esistenza di Dio; - la dottrina della "crearlo ex nihilo" ; - il rapporto fede-ragione. La Congregazione Vaticana desunse dagli scritti di E. Severino le seguenti posizioni riguardanti le tre summenzionate questioni: - Il primo è un "pseudoproblema" che si pone all'interno della dimenticanza del senso dell'essere; - quanto alla seconda, si parla di inconcepibilità e di assurdità, in quanto si dovrebbe postulare la presenza del non-essere; - infme ogni armonia nel rapporto in questione è impossibile. La conclusione suona perciò: "Il pensiero del prof. Severino si pre­ senta, pertanto, come una 'super-comprensione ' speculativa della verità cri­ stiana al di là e al di sopra della distinzione di ragione e fede" . La replica del nostro consistette nel chiedere -data la natura squisitamente teoretica della questione- un coinvolgimento della Congregazione per la dottrina della fede. La commissione incaricata dell'esame doveva in origine essere composta da K. Rahner (richiesto da E. Severino) , J. Lotz e De Waehlens. Il primo ed il terzo ricusarono l'incarico e la commissione venne ricostituita nelle persone di C. Fabro, J. Lotz, E. Nicoletti.

1 7 6 Vescovo titolare di Vittoriana, Presidente dell'Istituto G . Toniolo dell'Universi tà Cattolica di Milano, responsabile dell'organizzazione per la creazione della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano (della quale fu a lungo Preside) , nonché teologo e consigliere personale di Papa Montini. (cfr. AA.VV. , La teologia Italiana oggi. Ricerca dedicata a Carlo Colombo nel 70 compleanno, a cura della Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale, MI, 1 979). 1 77 Riportata in EN, pp. 384-385. D'ora in avanti si farà riferimento a quella che a nostro avviso sembra essere la più precisa ricostruzione dei fatti D. O' GRADY, Heresy hunting continues, but the style changes. In Italy, theology prof is taget of the Vatican. Un lungo e circostanziato articolo apparso in "National Catholic Reporter", J uly 10, 1 970, vol . 6, number 35 Kansas City, M isso uri. o

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Questa redasse tre rapporti (''voti ") che il Prefetto della Congregazione tra­ smise al prof. Severino il 1 6 Dicembre 1 969 in vista dell'incontro finale tra la Commissione e "l'inquisito" 17 8 . Tale colloquio si svolse nel Palazzo Vaticano il 1 2 Gennaio 1 970. All'ultimo momento C. Fabro fu sostituito da V. Miano e, ad una buona parte della ses­ sione, fu p ure presente J. Tomko. Prima di esaminare le deliberazioni vaticane è interessante evidenziare il fatto che di tutta la vicenda si occupò ampiamente tutta la stampa nazionale (e non solo questa come già si è detto nella nota 6). Segn aliamo gli interventi del quotidiano locale Brescia oggi, del Corriere della Sera 1 7 9 , del Giorno 1 8 0 . Inoltre scendono in campo P a n o ra m a 1 8 1 , Il Mondo 1 8 2 ed infi ne Settegiorni 1 8 3 . Le osservazioni conclusive vengono notificate dalla Congregazione al prof. Severino i1 1 2 Febbraio dello stesso anno. n nichilismo dell'Occidente "non ha lasciato indenne il cristianesimo e le sue formulazioni dogmatiche" ; mentre non sembra essere compromessa radical­ mente "la verità della Rivelazione . . . e può pertanto essere riscoperta". Il punto critico è dunque relativo al dogma "infetto da una metafisica as­ surda"; conseguentemente e riassuntivamente -come all'inizio della notifica­ zione affermavano i tre incaricati- "il punto essenziale da valutare seriamente è il suo modo di porsi rispetto all'infallibilità della Chiesa". La contestazione di questa prerogativa trascina inevitabilmente con sé "punti essenziali" della fede, quali: la creazione, la personalità di Dio, la libertà del Creatore e dell'uomo, il rapporto fede-ragione. Per finire è contestato ad E . Severino il fatto di non "sospettare che il suo discorso filosofico non si iden­ tifichi con la Ragione tout court" . In tal modo la questione si sposta dal piano strettamente filosofico a quello propriamente teologico1 84 rendendo necessario un 'supplemento di indagine'

17 8 Di quei tre testi disponiamo solo di quello preparato da C. Fabro intitolato allora: Sulla posizione filosofica di E. Severino e pubblicato solo nel 1 980 inizialmente nella forma di articolo nella rivista "Renovatio" e successivamente raccolto in unico volume C. FABRO, L'alienazione dell'Occidente, GE, 1 98 1 . Di questa posizione ci occuperemo in seguito. 1 7 9 I l 9 Maggio 1 970. 1 80 Il 24 Maggio 1 97 1 . 1 8 1 Un primo articolo nel n° 2 1 2 del 7 Maggio 1 970, R. BALDINI, Un filosofo in attesa di condanna . Un articolo compare anche nel successivo n° 2 1 3 del 14 Maggio 1 970, C. CALOGERO, Teologo in diffi coltà. 1 82 Nel n° 922 del 1 7 Maggio 1 970 un articolo di P. SANAVIO, L 'eretico della Cattolica di Milano. Non fate di me un martire. 1 8 3 Due articoli, rispettivamente: sul N° 1 52 del 10 Maggio 1 970 S. MAGISTER, Il cristianesimo è alienato ? e successivamente sul n° 1 92 del 1 7 Maggio 1 97 1 S . M AG IS TER , Quando il Sant'Offizio si difende. 1 84 Di questo avviso è la rilettura di L. MESSINESE, Essere e divenire nel pensiero di E. Severino. Nichilismo tecnologico e domanda metafisica, Roma 1 985. Soprattutto alle pp.

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in questa direzione. Può essere interessante rilevare il fatto che tale 'spostamento di piano' è sintonizzato su una delle questioni capitali che ha investito la teologia contemporanea: l'interpretazione in generale e, specifica­ mente, l'interpretazione del testo biblico e delle formulazioni dogmatiche. Un dibattito le cui radici affondano in area culturale tedesca [ è sufficente il solo accenno alla questione del "Gesù storico " 1 8 5 per finire con la contestazione all'impianto metafisico -espresso dalla scuola tubinghese- riconosciuto colpevole, a detta di A. V. Hamack , di avere "ellenizzato" il cristianesimo delle origini] ma che penetrava -attraverso la ricerca condotta in modo parti­ colare dalla Facoltà Teologica di Milano- anche nell'area italiana attraverso l'emergenza della questione relativa al metodo teologico, all'epistemologia te­ ologica1 8 6. Ponendosi in questa prospettiva teologica si giunse all 'Elenco delle proposizioni riguardanti la dottrina filosofica del prof. Severino" messe in questione i 87 . Si rivendica per la Chiesa il diritto di dichiarare "una posizione filosofica come incompatibile con la Rivelazione"; le formule dogmatiche non possono contrastare il "messaggio rivelato"; la creazione non è da intendersi "come semplice apparire" bensì "ex nihilo"; è ricusato il definire Dio quale "intero dell'essere" ; si contesta l'affermazione relativa alla vanità delle prove dell'esi stenza di Dio; si rigettano le proposizioni relative all a libertà e all'immortalità person ale; e, finalmente, si avverte come le tesi del prof. Se­ verino nullifichino "l'evento storico dell'Incarnazione e Redenzione e per conseguenza anche gli atti sacramentali mediante i quali il fedele partecipa all'evento salvifico". "

L'impressione che si ricava dall'immediata recezione dell' "Elenco" è che "non solo non sia possibile accettare la metafisica di Severino, ma nep­ pure accettare le critiche da questi rivolte alla metafisica classica, in vista di un ripensamento di quest'ultima" l 88 . Questo binomio non è tuttavia così tranquillamente sostenibile proprio a par­ tire dalla stessa prospettiva teologica che sembra esibirlo. Si è infatti sempre più insediata nella coscienza teologica la distinzione tra la formulazione del 3 1 -35. Troviamo a p. 3 5 : "Analizzando il testo delle Osservazioni citate, appare chiaramente che il tema dei colloqui di Severino con i tre incaricati dalla Sac ra Congregazione non è di natura filosofica, ma è formalmente teologico". 1 8 5 Una vicenda che si diparte dal 1 778 con l'opera principale di H. S . Reimarus, che vede nel 1 835 un altro momento significativo nel saggio di F. Strauss e che trova una prima sintesi nel 1906- 1 9 1 3 in A. Schweitzer. La ripresa agli inizi del '900 vedrà imporsi la grande opera di R. Bultmann. 1 8 6 L. S ERENTHA', La teologia italiana post-manualistica. In AA.VV ., La teologia italiana . . , op. cit. , pp. 57- 1 0 1 . Inoltre G. ANGELINI, La vicenda della teologia cattolica nel sec. XX. In Dizionario . , op. cit. , vol. III, pp. 586-648. 1 8 7 Queste furono inviate da C. Colombo ad E. Severino il 28 Marzo 1 970. 1 88 L. MESSINESE, op. cit., p. 3 3 . .

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dogma (enunciatio) ed il contenuto veritativo (res) implicato 1 8 9 : possono quindi risultare fecondi per l'avanzamento della stessa riflessione teologica tutti gli aspetti tesi a fornire interpretazioni ed ipotesi di lettura del contesto culturale nel quale e dal quale trassero vita le formulazioni dogmatiche. La te­ ologia dovrebbe, infatti, avere la coscienza del divario sempre incolmabile tra la realtà che essa vuole esprimere e le sue espressioni intorno a questa stessa realtà. Sul piano formale la rilevazione severiniana del nichilismo di cui sarebbe inficiato il dogma cristiano potrebbe risultare utile alla stessa ermeneutica del dogma, nella misura in cui questa intende ricomprenderlo nel terreno germi­ nante : la storia. Una delle conseguenze dell'ingresso di questa categoria in teologia potrebbe essere, per l'appunto, quella della "reistoricizzazione" del dogma1 90: comprensione del dogma nel suo generarsi, nella trama dei condi­ zionamenti teologici ed extrateologici. Solo a questo punto può essere posto l'altro versante della questione relativo alla compatibilità/incompatibilità tra le premesse e gli esiti della riflessione del nostro filosofo e il dato cristiano. 4 .1.1.2. La questione del dogma e della sua interpretazione. Può risultare si­ gnificativo ai fini di questa ricostruzione critica la delineazione di alcuni aspetti relativi all'autocoscienza della teologia cattolica post-conciliare intorno alla formulazione dogmatica ed al rilievo che essa assume per la stessa teolo­ gia e per la pastorale1 9 1 .

l 89 Tutto c iò ha trovato accoglienza anche al livello elevato del magistero ecclesiastico: nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II papa Roncalli - l' l l Ottobre 1 965 - affermava: "Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui vengono enunciate . . . . Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione" . (cfr. En chiridion .. op. ci t., p. [45]) . Tutto ciò sarà ripreso in uno dei documenti conclusivi -fondamentali- di questo Concilio: la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes al n° 62. 1 9 0 Il problema è stato recentemente affrontato in area teologica italiana da B. FORTE , La teologia come compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia, Roma, 1 987. (Ai nostri fini interessa il par. 7 della parte Il). 1 9 1 Il testo cui principalmente facciamo riferimento è un saggio di C. COLOMBO, La problematica del dogma nella teologia post-conciliare. I. Dogma e verità . Il Dogma e linguaggi o . In Teologia 3/1978, pp. 203 -224; 4/1 978, pp. 301 -33 1 . Inoltre possono risultare utili , per quanto riguarda la ricostruzione storica della questione, G . COLOMBO, La teologia come espressione del/a fede. Facoltà Teologica di M ilano, pro manuscripto. Raccoglie i corsi tenuti negli AA 1 976/77; 1 977/78; 1 978/79. Per quanto riguarda l'aspetto speculativo K. RAHNER, Che cos'è un asserto dogmatico? In Saggi Teologici, Roma, 1 965 , pp. 1 14- 1 65. K. RAHNER, Sul problema dell'evoluzione del dogma. In Saggi . . . , op. cit. pp. 26 1 -325. K. RAHNER, Riflessione sull'evoluzione dei dogmi. In Saggi . . , op. cit., pp. 327-3 89. W. KASPER, Il dogma sotto la Parola di Dio, BS, 1 968. .

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Come precedentemente affermato l'approccio 'critico' al dogma fa emergere prepotentemente la questione della 'storicità', di contro all'autocomprensione emergente dal Concilio Vaticano 1: "Nella prospettiva del Vaticano I . . . il dogma afferma la propria immutabilità in intima relazione teoretica con l'immutabilità della rivelazione (e più precisamente della comprensione della rivelazione propria del tempo), e in perfetta continuità storica con la posizione tenuta durante la controversia con la Riforma protestante. Cosi nel momento in cui la cultura generale suggerisce la 'reductio in historiam ' e, . . . propone di introdurre la categoria storia nel pensiero della fede, il Concilio Vaticano I sembra avanzare una preclusione, ponendo la incompatibilità fra il dogma e la storia" 1 9 2 . Tutto ciò non poteva non far continuare il conflitto tra dogma e critica filoso­ fica da un lato; ma non poteva ulteriormente non dar vita ad una conflittualità intrinseca alla teologia : propriamente fra la posizione magisteriale ed il mo­ vimento modemista che assumeva le istanze del criticismo moderno in ambito teologico. Una situazione di attrito che è continuata allorquando altre istanze hanno sottoposto a 'verifica' il dogma: alludiamo all'ermeneutica e alla filosofia del linguaggio. Le con seguenze derivanti dalla prima provocazione sono oramai ben definite: "Di fatto l'ermeneutica, che impone la 'fusione degli orizzonti', e quindi esige il superamento della 'distanza', ma perciò stesso la mette in evidenza, ha messo in risalto la diversità dell'orizzonte culturale della posizione dogmatica, prima rispetto al dato evangelico, e più in generale biblico (si pensi al problema della ellenizzazione del cristianesimo); ma oggi, a cultura in trasformazione, in particolare per il passaggio dalla cultura cosmocentrica a quella antropocentrica, anche rispetto all'interprete/credente attuale . E ' emersa cosi dai due lati la 'storicità ' del linguagg io dogmatico, e quindi l'esigenza di staccar/o e sottrar/o ad ogni 'mitizzazione ' precritica, o più semplicemente ad ogni precomprensione astorica" 193 . In questo modo l'ermeneutica -superando il modernismo nel suo porre la netta separazione tra fede e storia- ripropone la questione della continuità 'della fede nella storia' : essa infatti oltreché portarsi dal testo al senso del te­ sto, chiama a coinvolgimento l'interprete ed il suo ambiente. Un' altra cospicu a provoc azione -che si ri solverà poi in un ulteriore 'guadagno' in ambito teologico- è portata dalla filosofia analitica o del lin­ guaggio che solleva la questione del 'sen so' non preteribile immediatamente : "In sostanza l'interrogativo che la filosofia del linguagg io . . . ha posto al dogma, e più in generale al linguaggio teologico, è questo: a che 'serve ' il linguaggio dogmatico ?" 1 94 .

1 92 G. COLOMBO, La problematica .. , op. cit. , l/p. 204. 1 93 Ibidem, l/p. 206. 1 9 4 Ibidem, 1/p. 208. .

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L'esito immediato di questa operazione 'sembrava' essere distruttivo: " . . . il primo, quello più radicale, conclude col verdetto del 'non senso ' de/ linguag­ gio dogmatico; il secondo col verdetto della sua 'non scientificità '" 1 95 . L'ermeneutica e la filosofia del linguaggio riaprono perciò il contenzioso fra due aspetti fondamentali "la sua verità, precisamente la verità della rivelazione esibita dal dogma, e il suo linguaggio, precisamente il linguaggio della Chiesa usato nella formula dogmatica" 1 96 . La teologia dogmatica è così costretta a precisare il rapporto fra il dogma e la verità. In senso formale : "Esso [dogma] intende esprimere una ben precisa realtà di fatto, che sta realmente di fronte a colui che parla: non è soltanto l'enunciazione di un particolare stato soggettivo di colui che parla; in fondo, non mira ad oggettivare la soggettività di chi parla, bensì a porgere la realtà oggettiva all'orecchio di chi ascolta, e quindi in questo senso a soggettiviz­ zarla" 1 97 . Dal punto di vista sostanziale possiamo cogliere il senso ultimo, lo sfondo comune che ha accompagnato il procedere della teologia contemporanea: lo sforzo, la concentrazione -per dirla barthianamen te-, sul suo oggetto speci­ fico. La sequenza può essere così delineata: dalla questione della verità - alla questione della verità rivelata in Gesù Cristo. Nota a questo punto -in modo sintetico- C. Colombo: "In particolare l'identificazione della verità rivelata nella 'verità salvifica ' e coerentemente nell'automanifestazione di Dio in Gesù Cristo, 'distacca ' la questione della verità, cui il dogma fa riferimento strutturale, dallo sfondo culturale filosofico razionalista sul quale aveva operato il Concilio Vaticano I, per collocarla di­ rettamente e immediatamente sullo sfondo 'storico ' della mentalità semitico­ biblica, dove la verità significa direttamente e immediatamente la fedeltà a D io, e più compiutamente la fedeltà a Dio nell'autorivelazione in Gesù Cristo, che è precisamente la verità salvifica" 1 9 8. La correzione di rotta effettuata porta, perciò, il dogma ad un confronto con un concetto di verità che non è più prevalentemente filosofico bensì relativo alla teologia biblica e, più in particolare, alla cri stologia: sarà quest'ultima, infatti, a costituire la misura, il criterio di verificazione del dogma in ordine alla 'comprensione' della fede. Anche le contestazioni mosse dalla filosofia analitica saranno raccolte - soprattutto in area tedesca- dai teologi si stematici. Il dogma esibisce un "suo" specifico senso, funzionale all'espressione della fede, ma non ad essa identificabile: il linguaggio del dogma non è sovrapponibile a quello della fede in quanto lo spazio di quest'ultima risulta molto più esteso. Tutto ciò, però, senza giungere ad esiti di carattere estrinsecista. "Bisogna concludere, 1 95 Ibidem, 1/p. 208. 1 9 6 Ibidem , 1/p. 208 . 1 9 7 K . RAHNER, Che cos'è un asserto ... , op. cit. , pp. 1 22- 1 23 . 1 9 8 G . COLOMBO, La problematica , op. cit., 1/2 1 0. . . .

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in questa prospettiva, che la 'funzionalità ' de/ linguaggio/asserto dogmatico rispetto alla fede, non è solo 'estrinseca ', come intendeva il modernismo . . . , ma è 'intrinseca ': senza il linguaggio infatti la fede non solo non può essere praticata . . . ma neppure può essere pensata, cioè non può avere il suo 'se n so "' 1 99 . Si giunge così alla enucleazione di una sorta di stratificazione, di gerarchizza­ zione veritativa, all'interno di quel plesso di significati denominato fede: la totalità della fede, la sua espressione (lingui stica) , l'asserto dogmatico. Le conseguenze emergenti da questa seconda provocazione sono bene messe in luce da C. Colombo: "Poiché l'appartenenza de/ linguaggio (asserto) dog ­ matico alla natura della fede -in quanto ne determina il 'senso ', così che senza di esso (linguaggio) la fede risulta 'impensata'- lascia sussistere la distinzione tra lafede ed il suo linguaggio -compreso in panico/are il linguaggio (asseno) dogmatico- in quanto il linguaggio dogmatico esprime un'oggettiva possibi­ lità della fede, ma senza totalizzar/a e quindi esaurirla, consegue che il dogma resta scoperto nella sua genesi storica. Più profondamente emerge l'esigenza di identificare il criterio generale che presiede alla 'dogmatizzazione ', deter­ minata coerentemente come l'operazione intesa ad enucleare dalla totalità delle possibilità oggettivamente incluse nella fede, quella 'fissata ' ed espressa nell'asserto dogmatico " 200 . La teologia non può non raccogliere le sfide -bene mirate- che E. Severino 'lancia' contro questi due aspetti emergenti del dogma: - il dogma come verità, o -più precisamente- la sua funzionalità a cogliere la verità; - il dogma come fatto linguistico: posto che il linguaggio dell'Occidente sia 'inficiato' dall'alienazione che colpisce ormai tutta la terra, ne risulta pure contaminato il linguaggio che esprime la fede. Nel successivo paragrafo verificheremo se questa recezione sia o meno avvenuta in area teologica. Prima di concludere questo primo segmento della nostra indagine è opportuno ricordare la cospicua precisazione che E. Severino formulò in reazione alla di lui 'condanna' : di lì a poco apparve, in­ fatti, la Risposta alla Chiesa20 l . 4 . 1 .2 .Successivi interventi teologici. Si aprono a questo punto della nostra ricerca alcune pagine destinate -purtroppo- ad essere brevi: significative di un notevole disagio dell'ambiente teologico italiano nell'interloquire con la cul­ tura extrateologica in genere e filosofica in specie. Abbiamo sistematicamente setacciato le rivi ste specializzate ed i saggi più significativi di questi ultimi l 99 Ibidem , 11/3 1 1 . 200 Ibidem , 11/p. 3 1 1 .

201 In "Giornale critico della filosofia italiana" L ( 1 97 1 ), pp. 379-45 1 . Esamineremo le reazioni a questo nuovo intervento in ordine al problema del rapporto fede-ragione attraverso le interpretazioni che di questo scritto diedero G. Bontadini, C. Scilironi , L. Messinese.

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trent'anni per trovarvi poco o nulla: talvolta neppure la segnalazione dell'esistenza di un autore che intorno alla fede cristiana va facendo da anni così radicali affermazioni. Diamo conto del 'poco' che abbiamo reperito evidenziando immedia­ tamente quello che può considerarsi il te sto più significativo. Si tratta di un articolo di A. Bertuletti della Facoltà Teologica di Milano2°2. E' subito percepito l'alto valore del contenzioso aperto da Severino : "Il pro­

blema in gioco è quello della verità assoluta. Interpella direttamente la teologia perché è proprio della teologia sostenere la possibilità di una 'rivelazione ' di Dio che in quanto tale si pone come la manifestazione del senso assoluto della verità". Ma nello stesso tempo anche il limite: "Per la teologia, l'accusa mossa dal prof. Severino suona paradossale perché viene pronunciata non in nome della storicità dell'uomo, ma della stesa verità assoluta, cui la fede religiosa o pro­ fana sarebbe rimasta irrimediabilmente estranea . . . " . Da un punto di vista sostanziale appare che : "La questione riguarda . . . la pos­ sibilità della fede in quanto comportamento che affermi come vere delle pro­ posizioni non evidenti. Essa sarebbe contradditoria perché la decisione di ri­ tenere per vero un asserto non evidente, non può, in quanto decisione pratica, eliminare l'inevidenza che caratterizza quell'asserto sotto il profilo teorico " . Nella fede cristiana letta da Severino, a detta di Bertuletti, agisce un pregiudi­ zio che ... consiste nel ritenere che la decisione di credere sia connessa solo in modo estrinseco alla conoscenza razionale della verità" e che ha sullo "

sfondo -come fatto acquisito- la distinzione fra pensare e volere. Pronta è la replica del teologo: "In realtà ragione e volontà non sono due fa­

coltà autonome, distinte, di cui ciascuna avrebbe un rapporto immediato alla verità; esse invece sono due modalità insieme distinte ed indipendenti, di quel rapporto alla verità realizzato dalla intenzionalità sintetica della coscienza". Conseguentemente: "Rimanendo su un piano formale, la possibilità del cre­ dere nasce dal fatto che la verità obiettivamente 'intesa' (cioè voluta e in que­ sto senso colta) dalla coscienza è la verità assoluta, e tuttavia questa intenzio­ nalità sintetica della coscienza eccede l'evidenza razionale della verità di cui l'uomo è capace. Ciò che rende possibile la fede è precisamente l'attitudine dell'asserto non evidente a dischiudere il senso di quell'intenzionalità". Secondo i l Bertuletti s i darebbe contradditorietà solo nel caso che l a decisione di credere intende sse portare all'evidenza l'inevidente. Il dubbio teorico in­ torno all'inevidente diviene -all'interno della fede- certezza teorico-pratica; più precisamente definita 'verosomiglianza teorica'. Vi è però, nelle tesi seve­ riniane, un argomento che distrugge in radice ogni di scorso intorno alla fede: "Nella concezione del prof. Severino l'impossibilità della fede non significa l'inseparabilità del dubbio, ma l'onnipresenza dell'evidenza della verità". 2 0 2 A. B ERTULETTI, Risposta a Severino sul problema della fede. In " Avvenire" , 27 Febbraio 1 983.

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La controversia si sposta -a que sto punto- sul terreno dell'evidenza:

" Un'evidenza che coincide con la verità assume necessariamente per l'uomo la figura del puro immediato, il quale rigorosamente parlando non può essere né pensato né detto, giacché il pensiero ed il linguaggio vivono della diffe­ renza fra l'immediato e il suo senso , fra il dato e il possibile. La conseguenza di ciò è la negazione del soggetto, la scomparsa dell'uomo". Anche s u questo ambito è pronta e secca la replica del teologo, i l quale af­ ferma essere la fede " ... l'unica forma adeguata al senso assoluto della verità" stante il fatto che " ... il criterio della verità della fede non è la fede stessa, ma l'evento della verità assoluta che la rende possibile". Tutto ciò " ... comporta che l'uomo non si può appropriare del senso ultimo della verità in una evidenza apodittica che prescinde dalla presa di posizione nei confronti della verità" Ora Bertuletti si chiede se la verità assoluta operi con efficacia all'interno del progetto umano realizzandone e manifestandone il senso ultimo (ciò che nel linguaggio teologico è denominato ' salvezza'); altrettanto chiara è anche la ri­ sposta del teologo. Interessante è la conclusione nella quale si au spica che la teologia -non es­ sendo essa stessa verità assoluta- si apra al dialogo con le forme della co­ scienza storica. Il dialogo con Severino ri sulta però disagevole in quanto il nostro avanza pretese inammissibili per la teologia: "quella di insediarsi

nell'evidenza della verità assoluta, che la teologia non riconosce a nessuna forma dell'evidenza umana, neppure a quella della fede, ma solo alla parola di Dio".

Abbiamo a lungo indugiato s u que st'articolo d i Bertuletti - c h e pur­ troppo non ha trovato successivi approfondimen ti e si stematizzazioni più adeguate alla materia del contendere- in quanto esso è significativo del du­ plice sforzo teso ad individuare , da un lato, le 'ragioni' della fede e, dall' altro lato, di cogliere e trascegliere dalla cu ltura contemporanea quelle 'inter­ pretazioni forti' tali da riproporre la questione della totalità del senso. Già ora potremmo chiudere questa sezione perché tutto il 'resto' non è che recezione critica delle 'zone attu ative' del nucleo forte del pensiero del nostro filosofo. Per dovere di completezza diamo, tuttavi a, conto anche di tutto ciò. U n primo gruppo di scritti fanno ri feri mento al binomio sacro/violenza (evocato da Severino soprattutto in Techne . Le radici della violenza). Furono le reazioni di D. M. Turoldo2 03 , V . Possenti2 0 4, G . Mattai2° 5 , S . Quin zio206 .

203 Un articolo in "Tribuna aperta" sul Corriere della sera del 20 Dicembre 1 979. 204 Un articolo sull"'Avvenire" del 27 Gennaio 1 980. 205 G. MATIAI, Fede e violenza: un ipotizzato ma discutibile collegamento. In "Rassegna di teologia" XXI ( 1980) 3, pp. 2 1 9-232.(35) 206 S . QUINZIO, La croce e il nulla, MI, 1 984, pp. 1 66- 1 68. (Ed inoltre l'ultima parte).

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L'articolo di G. Mattai ci sembra il più impegnativo all'interno di questo di­ battito sviluppatosi negli anni più foschi della violenza terroristica in Italia. Dopo aver richiamato il fondo -o lo sfondo- della identificazione severiniana fede-violenza che consiste unicamente nel rifiuto della verità assoluta e defi­ nitiva e al costituirsi di tutto in uno scontro di forze dove ragione e verità stanno dalla parte che emerge e che domina, Mattai attribuisce a tali afferma­ zioni la valenza di 'tesi ideologica' . "Non si tratta però di evidenze, ma di 'precomprensioni' discutibili: un'adeguata analisi teologica dell'oggetto della fede (jides quae) e del motivo per cui si crede (jides qua) porta a conclusioni molto diverse; l'esame poi della natura simbolica de/ linguaggio della fede e del suo rapportarsi alla parola della filosofia apre una visione che supera il contrasto teorizzato da Severino" 207 . L'articolo, però, non sviluppa questi temi che pertanto risultano puramente evocati. Un altro aspetto del dibattito concerne il problema della morale sul quale segnaliamo due intere ssanti apporti di A. Poppi2° 8 e di T. La Rocca209. Per quanto riguarda il primo. All'inizio dell'opera in esame egli istruisce una ricostruzione del pensiero severiniano per coglierne, nella seconda, le impli­ cazioni di carattere morale. Fin dall'inizio di questa afferma: . . . se è vero che ovunque l'etica è strettamente agganciata alla metafisica, ciò vale in modo ancor più cogente per quei sistemi di tipo parmenideo-spinoziano nei quali l'essere, l'intelligere, l'operari a livello divino e a livello umano vengono univocamente massificati nell'indistinzione dell'assoluto . Ma collocato in questa eccelsa sede il discorso morale necessariamente muore, poiché a chi si reputa insediato e salvato nel cuore dell'essere assoluto non può non apparire inutile e illusorio gioco ogni tensione del dover essere, così come sterili e in­ concludenti si rivelano i conati della 'imag inatio ' e della 'ratio ' verso l'intelligenza della sostanza spinoziana . Nell'Essere e nella Sostanza, come non ha più senso parlare di 'ricerca' della verità, così non v 'è alcun problema di identificazione e di 'aspirazione ' al valore, poiché l'etica si celebra ormai nella vita di Dio" 210. Dopo aver rilevato il tema dell'isolamento della terra dalla verità dell'essere, e dopo aver richiamato ancora la visione ottimistica del destino dell'uomo che prende coscienza della sua essenza di epifania dell'essere (ambito nel quale Poppi accomuna Severino allo Spinoza dell'Ethica), sono richiamati -in posi­ tivo- i compiti di una filosofia morale i quali non consisteranno tanto "

207 G .

MATI AI, Fede . . . , op. cit., p. 230. 208 A. POPPI, Il dissolvimento del problema morale nel neoparmenidismo di E. Severino. In A. POPPI, Il problema della morale nella civiltà tecnologica, PD, 1 973 , pp. 1 35- 1 66. 209 T. LA ROCCA, Libertà, necessità, morale e salvezza nella filosofia di Emanuele Severino . In "Rivista di teologia morale" , BO, XII ( 1 980) 47, pp. 455-463. T. LA ROCCA, Il sacro in Emanuele Severino (ipotesi di lettura) . In "Rivista di teologia morale " , B O , XII ( 1 980) 4 8 , pp. 626-638.

2 1 0 A. 78

POPPI, Il dissolvimento . .. , op. cit. , p. 147.

nell'intessere . . . una pedante e scrupolosa rete normativa, quanto piuttosto in una funzione puramente negativa di rimozione di ostacoli, perché l'uomo che vive distratto nei problemi e nelle attività della terra alienata si risollevi all 'ascolto dell'essere e torni a vivere secondo la sua più profonda natura, fungendo quale organo dell'apparizione dell'essere" 21 1 . L'aporia che si apre riguarda il rapporto che si istituisce tra lo sfondo neces­ sario dell'app arire (totalità dell'essere) e la successione dell' apparire all'interno delle singole determinazioni che appaiono e scompaiono. Poppi si chiede -riguardo al problema formalizzato da Severino- se la storia sia ne­ cessità o libertà. Secondo Poppi il nostro non prende partito di fronte a questa alternativa. Di fronte ad una svolta monistica " . . . egli sembra ritrarsi per motivi non di ordine teoretico , sui q uali esercitano un forte condizionamento psicologico la preparazione culturale e la formazione teologica da cui proviene" 212. A quest'ultimo proposito la questione si riporta al livello fondativo: il rap­ porto tra la fede e Severino. Lo scontro tra la Chiesa e Severino appare chiaramente come l'incrociarsi di due opposte concezioni dogmatiche di ve­ rità" 2 1 3 . La prima s'appoggia alla Parola rivelata, la seconda si riferisce all'in­ controvertibilità della verità dell'essere. Le differenze tra i due poli con­ sistono nel fatto che per la Chiesa vi è coscienza che la natura del suo dire si modula secondo la fede e non secondo eviden ze razionali " . . . Severino in­ vece esige per sé la stessa forza veritativa di un logo divino come quella che egli combatte nella Chiesa, ma in realtà il suo non è che l'indebita assolutizza­ zione di una ragione strutturalmente protesa alla ricerca, e non dogma­ ticamente detentrice della verità" 21 4 . Nella parte finale è ripresa la que stione etico-morale. La concezione dell'essere severiniana pregiudica ogni antropologia; vi è " . . . l'incapacità di incontro con l'esperienza e con l'effettiva dimensione dei problemi a livello umano " 2 1 5 . La conseguenza è tale che "la deflagrazione che ne è seguita (alla individua­ zione della struttura originaria della verità dell'essere) , nonostante il gioco delle apparizioni e delle scomparizioni, ha polverizzato l'esperienza, e perciò reso impossibile e del tutto insignificante la stessa posizione del problema morale" 21 6 . Sarà solo al livello del pensiero che ci si "salverà" : la decisiva perfezione etica (e gnoseologica congiuntamente) risiederà nel riconoscere la propria identità con la totalità dell'essere. Ultimamente Poppi afferma: "ci sembra che Seve"

"

21 1 212 21 3 2l 4 215 21 6

Ibidem , p. 1 54 . Ibidem , p. 1 56. Ibidem , p. 1 59.

Ibidem , p. 1 59.

Ibidem , p. 1 62.

Ibidem , p. 1 63 .

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rino non possa sfuggire all'interna confutazione che gli viene dalla impossi­ bilità di mordere l'esperienza umana a tutti i livelli: gnoseologico-ontologico­ etico . Simile autoconfutazione è certamente l'attacco maggiore cui possa ri­ manere esposta una dottrina, poiché una filosofia che non incon tra l'esperienza è una filosofia che funziona a vuoto e quindi come tale, cioè come filosofia, non ha diritto ad un serio ascolto" 2 l7 .

Queste ultime espressioni non lasciano ombra di dubbio alcuno circa la valutazione che l'autore in p arola dà del pen siero severiniano. Ci c hiediamo, unicamente, se sia compito di una filosofi a andare oltre l'interpretazione, oltrepassare la soglia del rinvenimento delle strutture sotto­ stanti la cultura, l'autocoscienza umana per farsi portavoce di istanze trasfor­ matrici, per diventare alfiere di visioni politico-sociali-ideologiche specifiche. Filosofia che interpreta o filosofia che trasforma e che guida le trasfor­ mazioni?

Esaminiamo qui i due saggi di T. La Rocca. L'interesse per il primo dei citati articoli è suscitato dallo schema utilizzato per effettuare la ricogni­ zione intorno al pensiero di Severino. Si tratta del paradigma cristiano com­ prendente la situazione paradisiaca delle origini , la caduta, il desiderio della salvezza, la ricostruzione della originaria collocazione.

"La filosofia di Severino trascrive la storia biblica della salvezza seguendo, grosso modo, lo stesso schema: il peccato orig inale è il nichilismo, cioè l'alienazione e la contraddizione metafisica della nientità dell'ente; ciò che è perduto e deve essere salvato è la verità dell'essere: il senso autentico della salvezza, e cioè la verità della salvezza, è ormai affidato alla salvezza della verità . . . il consummatum est di Cristo sulla croce è il 'tramonto ' del nichili­ smo " 2 1 8 .

La Rocca cerca di esplicitare -all'interno del pen siero del nostro filosofo- la causa determinante la caduta. Inizialmente questa sembra doversi imputare al pensiero di Platone "Poi, man mano, da questa posizione idealistica, Seve­

rino pare che scivoli verso una concezione realistica, dove la caduta non è ri­ posta più nel pensiero . . . . Prima di essere una teoria, il nichilismo è una re­ altà, una condizione reale che l'uomo vive prima di ogni sistemazione filoso­ fica" 2 1 9 . Il mondo è testimonianza eloquente di tale 'distretta'. La salvezza -intesa qua­

le toglimento dell'isolamente della terra- si configurerà come possibilità o necessità? "Non esiterei ad affermare che questo della libertà e necessità sia

uno dei momenti cruciali di verifica dello stesso sistema filosofico di Seve­ rino. Il suo ragionamento, che di solito si svolge con rigore logico inoppu-

21 7 Ibidem , p. 1 65. 2 1 8 T. LA ROCCA, Libertà . , op. cit. , p. 2 1 9 Ibidem , p. 458. . .

80

456.

gnabile . . . ad un certo punto quasi s'arresta d'improvviso difronte ad un bi­ vio e non sa più per quale strada proseguire . . . " 220. Secondo il criterio in parola l'opzione però è fortemente pregiudic ata dal­

l' impianto filosofico che sta a monte e perciò non può che sciogliere l'indugio e indirizzarsi verso il crinale dell a necessità221 . I l secondo articolo di T. La Rocca considera il testo sacro mettendo in luce come la rifle ssione severiniana non sia configurabile nelle consuete sistema­ tizzazioni : panteismo immanentistico, atei smo, teologia della secolarizza­ zione. Si profila, invece, quale schema interpretativo globale, un 'ridu zione razionalistica del sacro' . I motivi addotti sono essenzialmente riconducibili a tre. Inizialmente si rileva che la 'fede religiosa' è una pretesa ingiustificata ed in quanto tale è 'impossibile' mentre la 'fede in generale' data la sua proble­ maticità può rapportarsi alla ragione come un grado di conoscenza inferiore. La promessa di salvezza offerta dalla religione è appunto una possibilità priva di garan zia. La realizzazione certa è invece attribuita alla ragione, all'attività filosofica. Infine la trascrizione dei temi propri della tradizione biblica in tennini di verità indica la volontà di emanciparli dal dominio della fede per leggerli alla luce della ragione. Operazione non nuova nella stori a del pen siero moderno, la quale però non si riduce "a una nuova forma di demitizzazione del cristiane­

simo . . . poiché la liberazione severiniana del sacro è operata mediante la fon­ dazione della 'verità del sacro ' su una nuova ontologia che segna la differenza radicale tra la riduzione razionalistica del sacro di Severino, della quale si sta parlando in queste pagine, e le riduzioni razionalistiche od etico­ razionalistiche classiche (Kant, Hegel, ecc . . . ) fondate, invece, tutte sulla ontologia metafisica" 222 . La specificità appare nel fatto che "A lla luce dell'ontologia severiniana . . . , il senso della rivelazione biblica è la rivelazione della verità dell'essere . E la ve­ rità dell'essere non è un contenuto che se ne sta relegato in cielo, che ha rap­ porti puramente gratuiti con la terra e i popoli della terra. Essa appartiene alla terra, vive nelle contraddizioni della terra, nel pensiero e nelle opere degli uomini" 223 . Poco più avanti La Rocca afferma ancora: "Il Sacro, allora, diventa anche il concetto sintetico che esprime il contenuto, il modo, la destinazione di questa rivelazione: a) la verità è l'oggetto che si rivela; b) la parola di Dio diventa il 220 Ibidem p. 460.

22 1 T . La Rocca pronuncia, a questo proposito, parole molto aspre nei confronti della già rilevata 'distrazione' cattolica: " Sono evidenziabili immediatamente, per esempio, le gravi insufficenze che la dottrina antologica di Severino presenta sul piano delle spiegazioni del comportamento morale e della pratica politica. Ed è strano che la critica cattolica, generalmente attenta alle implicazioni morali di una dottrina non le abbia rilevate ... " (op. cit., p. 46 1). 222 T . LA ROCCA, Il sacro . . , op. cit., p. 632. 223 Ibidem , p. 632. .

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linguaggio secondo il quale la verità si esprime; c) il popolo di Dio sta a rap­ presentare la giusta recezione della verità"224 . La conclusione mette in evidenza come la contestata ermeneutica del Sacro severiniana sia anche elemento di novità in quanto si tratta " . . . di un nuovo tentativo di riduzione razionalistica del sacro, che, però, data la nuova fondazione antologica sulla quale è basato, conduce oltre l'ateismo ed oltre i tentativi demitizzanti e secolarizzanti e si presenta come una negazione, ben più radicale di quelle stesse forme di critica, della religione e del cristianesimo " 225 . L'ultimo gruppo di saggi cui facciamo riferimento in questo paragrafo sono quanto meno singolari. Ruotano tutti intorno ad una provocazione di Severino sulla preghiera in genere, ed in specie sulla preghiera cristiana del 'Padre nostro' . L'articolo del nostro apparve nel novembre 1 9 80 con il titolo Pregare, Carpire. 226 Nei confronti di que sto venerando aspetto della fede cristiana leggiamo affermazioni che mirano ad evidenziarne il legame alla volontà di dominio. "La preghiera è una delle forme fondamentali di questa follia e alienazione" (pag. 42). Ciò è scorto nel fatto che "Si prega per ottenere. 'Chiedete e vi sarà dato '. Nelle lingue indoeuropee anche il modo verbale della preghiera, oltre a quello del comando, è all'imperativo " (pag. 42). Il 'Padre nostro' è un paradigma solido di questo procedere. Eppure: " . . . la convinzione di ottenere da Dio ciò che si vuole nella preghiera (la convinzione che è la stessa decisione di ottenerlo) è il contrario del rimettersi alla sua volontà" (pag. 45). Nella finale Severino prospetta l'oltrepassamento, evoca e allude al possibile nuovo senso -oltre la 'nebbia' della follia della volontà di potenza- della pre­ ghiera del 'Pater' . Non più preghiera all' 'imperativo ma all'indicativo' : "Non più preghiera, dunque, non più decisione - invocazione all'onnipotenza del 'Padre '. Ma parola che nomina ciò che da sempre e per sempre sta mai raggiunto dalla volontà di dominio degli uomini e degli dèi - il destino . . . . All'indicativo, dunque, lasciando apparire il destino: 'viene il tuo regno , è fatta la tua volontà, ci dai il pane quotidiano, rimetti i nostri debiti, ci liberi dal male. Cosi è ' " (pag . 47) . A questa 'finissima' provocazione seguì -immediatamente- u n coro di reazioni critiche227. 224 Ibidem, p. 633. 22 5 Ibidem. , p. 634. 22 6 E. SEVERINO, Pregare, carpire. Ora in E. SEVERINO, La strada, MI, 1983, pp. 4 1 47; 1 65- 1 67. 227 Segnaliamo, in ordine cronologico: G. BAGET-BOZZO, Ma chi prega è arrogante, in "La Repubblica" 1 8/1 1 / 1 980. E . FILIPPINI , Che lo Spirito Santo si rimbocchi le maniche, in "La Repubblica" 20/1 1 /1 980. I. MAGLI, In Chiesa , recitando la formula m ag i c a , in "La Repubbl ica " , 22/ 1 1/1 980. B. MARZULLO, Un filosofo che ama

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Secondo G. Baget Bozzo, Severino, coglie -paradossalmente- il bersaglio: la preghiera è infatti " . . . azione al massimo grado, quella che situa se stessa in­ nanzi alla totalità del reale e ritiene che, proprio a questo livello assoluto dell'orizzonte, l'azione wnana, portata al massimo livello della sua purezza, alla sua essenza, che è desiderio e domanda, possa 'causare "'. Questa è autentica espressione dell'antropologia biblica secondo la quale le relazioni Dio -uomo- mondo non sono modulate secondo un legame di ne­ cessità, destino, fato, bensì danno vita ad un intreccio di 'dialogo-relazione­ libertà' . Su questo si fonda la respon sabilità che compete all'uomo nel 'condurre a compimento la realtà' . L'accettazione del discorso di S everino significa giustificare e consolidare i poteri, le signorie, piegandosi così ad una sorta di funzionalità politico- sociale. L'articolo di E. Filippini contesta al precedente di G. Baget Bozzo due questioni : prima di tutto l'orizzonte della fede se non esclude totalmente la libertà, quanto meno ne limita lo spettro di azione (pena l'autoposizione della fede medesima); in secondo luogo il predicato della necesità è -a detta dei teologi- un 'predicato fondamentale dell'essere stesso di Dio' . Il quale poi nella storia dell'Occidente è stato utilizzato per la legittimazione dell'auto­ ritarismo ecclesiastico. I. Magli mette in evidenza come non solo la parola della preghiera, ma molte altre parole siano 'potenti', 'agiscano'. Il problema " . . . nasce invece da una lettura antropologico -culturale dei Vangeli. Perché nei Vangeli l'uomo Gesù parla e si comporta in modo tale da farci escludere che una proposta di 'preghiera ' sia potuta venire da lui ( e se cosi fosse, il 'Padre nostro ' sarebbe un 'interpolazione) . " Gesù, insomma, non in segnò né a pregare né formule di preghiera : il suo fu invece un atteggiamento trasgressore, atipico, tanto che: " . . . lo stesso cristia­ nesimo si è affrettato a ripristinare tutti i meccanismi della 'p arola potente ' che il comportamento di Gesù sembrava diretto ad eliminare". Nella sua lettera G. Bontadini vuole mettere in evidenza il non-fon­ damento della tesi severiniana, mostrando che la contraddizione non esiste "La contraddizione della proposizione 'sia fatta la tua volontà ' è 'non sia fatta l 'indicativo , i n " Paese Sera" 24/1 1/1 980. G . BONTADINI, Il vizietto del filosofo , in "Corriere della sera" 1 0/ 1 2/1 980. F. TRONCARELLI , Così sia. Anzi, così è, o sarà, in "L'Europeo" , n° 5 1 , 1 5/12/1 980. A. TODISCO, Che cos'è la preghiera? , in "Corriere della sera " 1 9/1 2/1 980. TODISCO-BARB IELLINI-TESTORI-SEVERINO, Sia fatta la tua volontà. O la nostra ?, in "Corriere illustrato" , 20/12/1 980. G. GENNARI, Un 'annosa disputa seminata d 'insu lti, in " Paese sera" 23/ 1 2/ 1 980. S. QUINZIO, La cinica rassegnazione e lo storicismo giulivo , in " Guerra e pace" Dicembre 1 980. G. CARAMORE-M. CIAMPA, Pregare non è soltanto "insignorirsi del mondo ", in Guerra e pace, Dicembre 1 980. G. GRAMPA , Speranza , non superbia, quando diciamo "Padre nostro . ". In "Famiglia Cristiana" 1 8/l/1 98 1 . N. DE MICHELIS , Punti di vista, in "La Luce", 23/1/1 98 1 . F. PIZZOLATO , Indicativo e imperativo nella preghiera. La critica di Emanuele Severino al "Padre nostro ", in "Vita e Pensiero" LXIV ( 198 1 ) 3 , p. 1 1 - 1 4. Intervengono inoltre -in altre sedi- U. Eco, E. Balducci, A. Heller (di questi articoli dà sintesi F. Troncarelli nel testo sopracitato). . .

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la tua volontà'; mentre la proposizione 'sia fatta la nostra volontà ' è sempli­ cemente diversa". Il 'vi zietto' di Severino -a detta di quello che fu il suo maestro­ consisterebbe, adunque, nel rinvenire contraddizioni ovunque, anche dove non ve ne sono. S . Quinzio nota come sullo sfondo si agiti una errata concezione di Dio e della preghiera nella devoti o cattolica: " ... la quale intende la volontà di Dio non come volontà salvifica, ma come una inscrutabile volontà alla quale bisogna comunque sottostare, in tutto simile al fato che stava sopra agli dèi pagani". Il Padre nostro contiene, invece, un'unica invocazione propria a Dio e agli uomini : 'che il Regno venga!'. Tale è il paradosso presente in tutta la Bibbia che troverà risoluzione 'nel settimo giorno' , nel tempo escatologico. Solo all'interno dell'orizzonte del tempo finale può trovare soluzione l'enigma della preghiera cristiana. Da queste brevi note di sintesi si vede come il dibattito sulla preghiera nasconda, in realtà, una più complessa questione : quella della natura di Dio quale intende Severino e quale intende la Bibbia su cui già abbiamo avuto modo di riflettere. A questo ampliamento di orizzonte invita il citato articolo di F. Pizzolato. 4.2 . La critica filosofica. Ci addentriamo ora nella parte più rilevante del no­ stro lavoro che mira a cogliere il senso e l'orientamento delle reazioni dei filosofi cattolici nei confronti del pensiero di E. Severino. Va subito eviden­ ziata la consistente mole di materiale a disposi zione: segno chiaro di un cospicuo dibattito che da più di vent'anni si va svolgendo ininterrottamente. Possiamo -già fin d'ora- rilevare che, se la teologia italiana s'è dimostrata ­ come abbiamo provato nelle pagine precedenti- scarsamente presente e attenta a questo contenzioso, in modo molto diverso si sono svolte le vicende per ciò che attiene la filosofia cattolica. Sembra anzi che essa si sia assunta l'onere di occupare gli spazi vuoti, di riempire i silenzi della teologia. Chi, se non i vari Bontadini, Berti, Fabro . . . presero a 'difendere i diritti di Dio' e della fede, nei confronti di una progressiva Destruktion? E in quali riviste, se non in quelle filosofiche -ed in primo la Rivista di Filosofia Neoscolastica- prese corpo il dibattito? Le pur serie ed apprezzate riviste teologiche italiane nulla registrano di quanto avviene nei 'vicini territori' . A questi rilievi di carattere formale -che avremo modo di provare ampiamente nelle prossime pagine- ne facciamo seguire, immediatamente, uno di carattere maggiormente sostanziale. Ci sembra di non essere lontani dal vero se affer­ miamo che il dibattito in corso concorra a produrre un duplice guadagno: - Al versante della filosofia cattolica giunge la stimolazione a 'giustificare', a produrre una rigorizzazione intorno ad alcune figure 'ineliminabili' del credo cristiano: la fede, Dio, la possibilità-effettualità di (una) rivelazione; ma, ad un livello ancor più profondo, la provocazione a delineare una struttura della ratio tale da non entrare in rotta di collisione con la fides. 84

- Possiamo anche alludere alle conseguenze positive che si riversano sullo ste sso piano del filosofo bresciano: intendiamo con ciò le necessarie esplicitazioni -a partire dalla struttura originaria del suo pensiero- intorno ai filoni dell'esistenza di Dio, al diventar problema della fede, al rapporto fra ni­ chilismo e fede. Ma pure -e qui la nostra cautela è più che necessaria- le sti­ molazioni che il pensiero cristiano offrì al Severino nel mentre questi elabo­ rava i lineamenti fondamentali della sua architettura. Saranno soprattutto que­ sti ultimi aspetti quelli sui quali ci soffermeremo in sede conclusiva. D alla grande quantità di materiale a di sposizione operiamo una duplice selezione. La prima riguarda la provenienza: operiamo infatti sulla 'recezione' dell'ambiente cattolico (che a noi sembra la più rilevante rispetto alla totalità) . La seconda scelta è interna al settore individuato: risulterebbe impossibile dar conto di tutte le 'reazioni' e, pertanto, optiamo per la rappresentazione degli autori o delle scuole di pensiero più significative, rinviando in Appendice la bibliografia completa sulla qu ale si è operata la 'selezione ' . 4.2 . 1 . Gustavo Bontadini. Intorno alla collocazione di questa significativa fi­ gura nel contesto della filosofia italiana e, soprattutto, all'interno della vicenda della metafisica, già s'è detto precedentemente. A noi preme eviden ziare, ora, i principali addebiti che questi muove nei confronti di Severino del quale, peraltro, fu maestro ascoltato228 . L'incipit delle reazioni in grande stile all'articolo-manifesto di E. Severino del 1 964 è dato prontamente nello stesso anno e nella stessa rivista dal filosofo milanese229. Le tesi filosofiche espresse nel Ritornare a Parmenide sono paragonate ad una poderosa Destruktion della storia della filosofia, della metafisica ed anche delle precedenti distruzioni (operate sulla filosofia e sulla metafisica). La rea­ zione non può non essere chiara e precisa paragonando queste tesi ad . . . er­ rore e null'altro che errore: splendido errore, se vogliamo, come splendida vitia erano le virtù pagane: ma verità, punta. Non posso qui accettare nulla, a rigore, . . . di quanto in questo saggio, Tu proponi, né sotto l'aspetto sto ­ rico . . . , n é sotto quello teoretico" 230 . "

Del fecondo dialogo tra i due 'maestri' di filosofia è testimonianza eloquente questa sorta di sinossi degli interventi e delle repliche: Ritornare a Parmenide (1964) Sozein ta phainomena ( I 964) Postilla (I 965) Poscritto ( 1 965) Risposta ai critici ( 1 968) Dialogo di metafisica ( 1 968) Risposta alla Chiesa ( 1 97 1 ) Fuochi incrorciati sopra la Chiesa ( 1 972) L'annientamento e l'apparire (1980) Per continuare un dialogo (1 983 Appunti per Gustavo Bontadini Postilla (1 984) 229 G. BONTADINI , Sozein ta phainomena. In "Rivista di filosofia neoscolastica" , LVI ( 1 964) V, pp. 439-468. 23 0 Ibidem , p. 44 1 .

228

85

E per quanto riguarda l'occultamento della verità: " . . . la mia tesi è diametral­ mente opposta alla Tua: in quanto, nell'ambito che ci accomuna, dell'assunto metafisica, la verità e l'errore vengono da noi due distribuiti, nell'arco storico nelle guise più diverse, più distanziate, (verità dominante e permanente, con errori marginali, per me; errore dilagante con verità marginali, per te)" 23 1 • S uccessivamente l'argomentazione severiniana viene 'distesa' in tre scan­ sioni: la dimenticanza del senso autentico dell'essere (presente anche nel prin­ cipio di non contraddizione) ; le 'occasioni' di questo tramonto la cui principale è quella platonica (conseguenza immediata è la seguente: la teologia razionale -metafisica- si fonderebbe su una ontologia viziata ab initio) ; infine il presentarsi dell'aporia: 'esperienza contro ragione' , 'divenire contro es­ sere'. Già ci è nota la soluzione che Severino prospetta ma, ora, conosciamo anche la fedeltà di Bontadini al divenire negato. Il critico indica ora la strada che intende percorrere: "Si tratta ora, invece, di restaurare la storia della metafisica classica, di recuperarne la validità: di di­ struggere, cioè, la Tua distruzione, in quanto tale" 232 . Non resta che andare alla "radice delle questioni. Se l'esperienza si presenta contradditoria, non può darsi eliminazione dell'esperienza, bensì della con ­ traddizione "Giacché, se l'esperienza è ineliminabile, la contraddizione, al contrario, è ciò che, in generale, deve essere eliminato. In forza dello stesso principio" 233 . Ulteriormente: "Dato che l'esperienza è reale, essa deve essere incontraddito­ ria. E poiché appare contradditoria, si deve cercare di introdurre ciò che sani la contraddizione: si dovrà, cioè, concepire, al limite, l'Intero in guisa che l'esperienza risulti non-contradditoria. Con questo è messa in moto la mac­ china della metafisica, è dato lo strappo al motore. Come si scorge, il presup­ posto di questo avvio è dato dall'avvistamento operato da Parmenide; ma su­ bito dopo si rende manifesta la necessità di abbandonare Parmenide. Senza di lui, punto metafisica; ma con lui la metafisica è subito inceppata. Ne c tecum, neque sine te" 2 34 . I passi da compiere consi steranno perciò nell'introdurre l'affermazione dell'immobile come trascendente il mobile e, successivamente, riconoscere la realtà incontradditoria 'fuori e sopra' la contradditorietà che presenta l'immediato per poi eliminarla grazie a quanto sopraddetto. Bontadini denomina tutto questo "Teorema della Creazione" rinvenendolo nella metafisica patristico-scolastica. "La contraddizione del divenire è supe­ rata con la dottrina della creazione, in quanto quella identificazione dell'essere e del non-essere, che riscontriamo nell'esperienza, è ora vista come il .

23 1 23 2 233 23 4 86

Ibidem , p. Ibidem , p . Ibidem , p. Ibidem , p.

44 1 . 445 . 446. 447 .

risultato dell 'azione dell 'Essere (azione indive niente dell 'Essere indiveniente)" 235 . Il caposaldo teologico della creatio trova qui una trascrizione secondo il regi stro filosofico; il che implica perciò 'visione' di Dio che Bontadini esplicita -di contro Severino- in una nota di estremo rilievo: "Al contrario, col Teorema della creazione, Dio appare, non come la pura trascrizione del mondo sul registro dell'immobilità, ma come Colui che ha, appunto la potenza di suscitare l'essere (un certo essere, l'essere del mondo) dal nulla, e di ricondurlo al nulla" 23 6 . Ne segue che Parmenide "Ha torto nel porre assolutamente o simpliciter la contradditorietà del divenire; perché quella contradditorietà può essere posta solo come ciò che deve esere tolto . E questo resta ancora il Tuo torto " 23 1 . Quale allora il 'ruolo' di Parmenide all'interno di un recupero della metafisica classica? Nei suoi confronti bisogna procedere ad " . un radicalizzato parrici­ dio . . . . Che la neoclassica sia, innanzitutto, neoparmenidismo, Tu sai che io lo ritengo da un pezzo; ma soltanto nel senso, appunto, che Parmenide corri­ sponde a quella spinta iniziale, che subito deve esere rettificata. Il contributo, insostituibile, di Parmen ide, sta dunque soltanto , giova insistere, nell"avvistamento' di quella contraddizione, che si tratta di togliere attraverso una costruttiva interpretazione dell'Intero" 238 . In entrambi -Severino e Bontadini- si prospetta un "ritornare a Parmenide" ma con intenzionalità diametralmente opposte : per il primo si tratta di rendere il ritorno funzionale alla distruzione della metafisica; per il secondo è in gioco l'operazione inversa. Per questo Bontadini afferma: "In questa lettera rilevo ciò che ci divide, per­ ché è questo che è a tema ; ma c'è poi tutto ciò che ci unisce, che è molto, e che si estende assai al di là di quel che qui traspare" 239 . Dopo aver sottoposto a critica l'orientamento globale delle tesi severiniane, Bontadini inizia un attento esame di alcuni aspetti specifici emergenti dal Ri­ tornare a Parmenide. Il primo punto riguarda la questione delle prove dell'esistenza di Dio che la metafisica vuole 'dimostrare' mentre, per S everino, -Dio- è !"immediato' . Per il filosofo cattolico si tratta invece di 'processualità' non di coglimento immediato: "Per la coscienza religiosa Dio è una certezza di fede, di cui poi si cerca . . . una conferma razionale, domandando, appunto, se si può dare .

235 Ibidem , p. 448. 23 6 Ibidem , p. 448 nota 4. 237 Ibidem , p. 450. 23 8 Ibidem , p. 450. 239 Ibidem, p. 45 1 . Poco più oltre il Bontadini redige una sorta di elenco delle proposizioni condivise con Severino: l'identi tà speculativa di antologia e teologia razionale, il concetto dell'Intero e della sua funzione speculativa, la semantizzazione dell'essere mediante la sua contrapposizione originaria al negativo, lo stesso concetto dell'esperienza o del phainestai , la stessa esigenza di rifarsi a Parmenide.

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'dimostrazione '. Ma per la filosofia -per la metafisica- Dio è l'essere alla cui affermazione si sbocca con quel processo . . . " 240 . Qui Bontadini apre una sorta di lunga parentesi per rispondere alle critiche mossegli dal S everino circ a una vi sione del divenire come non­ contradditorio. "Il divenire si presenta, bensi, contradditorio, ma noi sappiamo originariamente che esso contradditorio non può essere, proprio perché sappiamo che il reale è incontradditorio . . . La contraddizione si dirime se il divenire si pensa come derivato, come non-originario; la contraddizione resta insoluta se il divenire si pensa come la totalità del reale, e resta ancora insoluta se il divenire è lasciato sussistere accanto all'immutabile cooriginario a questo (la situazione greca)" 24I . Il secondo aspetto considerato riguarda le 'deficienze' della neoscolastica contemporanea. Qui il Bontadini riprende una distinzione del filosofo bre­ sciano per poi 'sferrare' un duro attacco. Egli rileva la distinzione di due si­ gnificati dell'essere in quanto essere . . . quello per cui esso corrisponde all'intero immutabile del positivo, l'intero immutabile che trascende il mondo del divenire "242 . ed in questo senso si dovrebbe affermare l'immutabilità dell'essere; " . . . e quello per cui esso [essere in quanto essere] comprende an­ che questo mondo" 243 e quindi che l'immutabile è contenuto (dell'essere in quanto essere). S i danno -con ciò- due tesi radicalmente 'distanti' l'una rispetto all'altra; una vera ed una falsa. "La tesi, erronea, che suona: l'essere (come tale) è immuta­ bile; e quella che dice: l'essere (come tale) contiene, come suoi 'inferiori' (ed 'analogati ') l'immutabile e il diveniente. La prima proposizione, è falsa, e implica . . . un assurdo: che il trascendentale (l 'essere) risulti trascendente trascendente il mondo dell'esperienza il quale cosi verrebbe a cadere nel nulla (cioè fuori dell'essere)" 244 . Qui -secondo la ricognizione di Bontadini- avviene una sorta di 'cambiamento di livello'. "Poiché riconosci ... che 'dall'altro lato ciò che è trasceso non è il nulla ', al­ lora porti avanti la seconda tesi. Che è poi quella vera; ma che è in contraddi­ zione con la prima. Giacché occorre decidersi: l'essere come tale fa posto o non fa posto al divenire . E se, rifiutando la prima tesi, accedi alla seconda, e vera, Ti resta però l'obbligo di sanare la contraddizione di quel divenire, cui .

"

. . .

. .

.

24 0 Ibidem , p. 45 1 . 24 1 Ibidem, pp. 455-456. L'insistenza su questo punto è tale che nella nota a pié pagina si afferma che: "Se non si riuscisse a dirimere la contraddizione, non per questo noi dovremmo riconoscere la realtà dell'assurdo . . . . Dovremmo semplicemente prender atto che la nostra mente non è riusc ita a trovare la soluzione dell'aporia: dovremmo prender atto della limitatezza della mente umana" . (p. 456) 24 2 Ibidem , p. 457. 243 Ibidem , p. 457. 244 Ibidem , pp. 457-458.

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in tal modo hai concesso ospitalità. Obbligo cui, invece, non assolvi; a cui as­ solvere non potresti se non rinnegando il Tuo splendido errore" 245 . Il terzo -ed ultimo- aspetto considerato riguarda gli argomenti dell'Elenchos della cui utilizzazione S everino chiede ragione a Bontadini. Quest' ultimo dopo aver esposto la propria interpretazione -che definisce come 'logica'- fa avvertiti del fatto che il nostro ne operi una radicale lettura in chiave 'ontologica' : questa -appunto- è discussa: "l/ motivo, per cui direi che la Tua istituzione della formula antologica non regge, è, come si scorge, in ciò : che non si può equiparare la coppia essere-non essere (ovvero: positivo-negativo) alla coppia affermazione-negazione, perché la negazione non è non-essere (non è un negativo! non è il nulla). Ciò ribadisce che è alla struttura del logo, ossia precisamente alla opposizione logica di affermazione e negazione, . . . che ci si deve rifare per trovare ilfondamento " 246 . La non facile sintesi operata su questo saggio di Bontadini dovrebbe aver messo in luce due istanze fondamentali che devono risultare 'compossibili' (e non 'incompossibili' come afferma il Severino) : salv are l'incontradditorietà dell'essere, e, insieme, salvare i fenomeni. Pertanto ciò che Bontadini denomina il suo Principio di Parmenide risulta es­ sere il presupposto di salvare sia il principio parmenideo in senso stretto (definito anche parmenideo-severiniano) come l'i nnegabile divenire. Al Poscritto di Severino ( 1 965) fa seguito -nello stesso anno- la Po­ stilla di Bontadini che mira a criticare il 'congelamento del divenire' operato dal primo. Dato -e non concesso- l'esi stere eternamente (fuori dell'esperienza) di ciò che dall'esperien za ha preso con gedo, resta ineliminabi le il diven ire 'interno' all'apparire " . . . ossia il divenire -epperò il non-essere- dell'apparire della carta (di quella variante che è la carta)" 241 . Infatti "Se . . . io posso disgiungere, in un senso determinato , la carta dal suo apparire -in quanto affermo che esiste anche fuori dell'apparire- non posso disgiungere l'apparire dall 'apparire, ossia da se stesso, affermando che l'apparire (della carta) esiste anche fuori dell 'apparire (cioè fuori di se stesso!) " 24 8 . L'apparire è apparire della determinazione e, quindi, in quanto tale è soggetto al divenire. D alla 'rigida' concettualizzazione severi niana emerge una ' s trana' e 'deformante' concezione del reale mondano: "Un mondo, quello risultante, in cui non c'è posto, come per il poter essere, neppure, a quanto sembra, per il dover essere, e dove, come abbiamo letto, anche la scienza è contrastata" 249 . 245 Ibidem . , p. 458. 24 6 Ibidem , p. 466. 247 G. BONTADINI, Postilla. In "Rivista di filosofia ncoscolastica" LVII ( 1 965), p. 6 1 9 . 248 Ibidem , p. 6 1 9. 249 Ibidem , p. 62 1 . 89

Bontadini infine difende -con piglio umoristico- il contrattacco di Severino alle sue prime critiche relativamente alla tesi creazionistica e alla 'faccenda' dell'Elenchos. Nel 1 968 Severino rispose a tutti gli addebiti che vennero mossi alla sua 'uscita ufficiale' del 1964250. Anche in questo caso pronta è la controre­ plica di B ontadini 25 1 che ha il pregio di costringerlo a focalizzare ulte­ riormente le proprie tesi ed in particolare il suo Principio di Parmenide. Due sono le contestazioni assunte: di aver 'mutato rotta' assumendo dallo stesso Severino il vero principio ontologico (senza poi averlo svolto), di aver 'sbagliato bersaglio' nelle sue critiche. Circa la prima. Bisogna distinguere, all'interno del Principio di Parmenide: in effetti è ben vero che la sua 'formulazione autentica' sopprime la possibilità del divenire e, perciò, viene accantonato; anche se poi risulta evidente che 'non può esser messo da parte' in quanto contiene 'l'i stanza che porta al vero principio' della metafisica. La struttura dialettica è perciò già 'presagita' nella 'prima' formulazione. Tra la prima tesi (Principio di Parmenide autentico) l'essere non può non essere; l'essere non può essere limitato dal non essere; il divenire è contradditorio- e la seconda (Principio di Parmenide ad honorem) -l'es sere non può essere ori ginariamente limitato dal non essere- c'è un rapporto di esplicitazione. Intorno alla seconda. Bontadini raccoglie succintamente la replica severiniana che lo accusa di creare 'confusione' tra l'apparire trascendentale e l' apparire empirico, ma non entra nell'argomento rinviando piuttosto a precedenti scritti ed affermando di restare " . . . con la pazzia dell'Occidente e del senso co ­ mune" 2 5 2 . Tuttavia " . . . mi corre l'obbligo di aggiungere che lo sforzo compiuto da Se­ verino per negare le attestazioni del divenire da parte dell'esperienza è, tutta­ via, uno sforzo che si doveva compiere. Appunto perché esso è, a sua volta, l'attestazione della massima fedeltà al Principio di Parmenide. E' solo dopo la non riuscita di questo sforzo che si entra nella dialettica" 25 3 . Bontadini rileva poi che, inevitabilmente, la 'concezione immobilistica' di Severino produce una 'p roliferazione di enti' . Infatti gli enti che il senso co­ mune ritiene in divenire si reduplicano esponenzialmente in infiniti (ed eterni) enti. E con ciò si cade nella contraddizione254.

250 E. SEVERINO, Risposta ai critici. In "Rivista di filosofia neoscolastica" LX ( 1 968) IV-V, pp. 349-376.

25 l G. B ONTADINI , Dialogo di metafisica. In "Rivista di filosofia neoscolastica" , LXI

( 1 968) I, pp. 1 -8.

252 Ibidem, p. 4. 253 Ibidem, p. 4 . 25 4 Tutto ciò è espresso a p . 5 e nella nota 6 . 90

Affrontiamo ora uno scritto del 1 972 che fa seguito alla ben nota vi­ cenda intercorsa tra Severino ed il Sant'Uffizio e alla altrettanto nota Risposta alla Chiesa di quest'ultimo255 . Il primo aspetto considerato è quello relativo al 'faticoso' rapporto tra fede e ragione il cui esito, nella dottrina cattolica, è secondo Severino, fideistico. A questo proposito osserva Bontadini : " . . . è poi chiaro che, nella professione di fede (di qualunque fede, si badi), è inclusa la convinzione che la ragione -e cosi qualunque altra istanza, di qualunque genere- non potrà contraddire, ne­ gare il contenuto della fede. Credere in qualcosa, e credere che questo qual­ cosa non possa essere smentito si equivalgono. Se no, non si tratta di fede, ma di ipotesi e di dubbio! Ciò non toglie che la fede, proprio perché è tale, e non evidenza razionale o fenomenica, sia in timore et tremore, come ricorda Severino, sia 'agonica ', e comporti l'intervento della volontà . . . " 256 . All'obiezione della inconciliabilità tra credere e filosofare, in quanto la 'prima figura' sa già come stanno le cose, si fa rilevare che questo 'sapere già' è tale per la fede ma ciò non vieta appunto di 'quaerere intellectum' . Confidando -il credente- che la ratio non smentirà la fides. A tal proposito si individua una triplice scansione: - rigetto degli argomenti contro la fede; - solidificazione ulteriore della fede attraverso il convincimento che le sue (della fede) verità sono anche razionali (esistenza di Dio, creazione); - recupero dei 'preambula fidei ' . Ciò è bastante a mostrare che l a 'tenaglia fideismo- gnosticismo' d i Severino non riesce a 'mordere' . L'attacco si rivela privo di consistenza. Il 'resto' del saggio riprende le già note questioni intorno al divenire, alla proliferazione degli enti , al rapporto es senza/esi stenza, al nichili smo dell'Occidente. In sede conclu siva riprendiamo proprio quest'ultima fac­ cenda. Da un lato Severino, il quale definisce nichilismo la concezione secondo cui 'l'ente in quanto tale può non essere' (vicenda all'interno della quale sta tutto l'Occidente) ; dall'altro lato il Bontadini secondo il quale : " . . . nella storia del pensiero occidentale si riscontra tutta una tradizione, quella della metafisica classica, la quale sostiene che c'è un essere che non può non essere . Questa tradizione non cade sotto la definizione severiniana, per la semplice ragione che se è l'essere in quanto tale a poter non essere, allora chi ammette che an­ che un solo ente (il 'dio creatore ' o che altro) non può non essere, sfugge alla definizione stessa" 25 1 . Infine viene fatto cenno ad una difesa dell 'Occidente dall'accusa di essere 'perduto tra le nebbie' del nichili smo. 2 55 G . B ONTADINI, Discussioni e postille . Fuochi incrociati sopra la Chiesa. Lettera aperta di Gustavo Bontadini a Ugo Spirito. In "Giornale cri tico della filosofia italiana" , LII (LIV) IV, pp. 1 1 4- 1 30. La parte riguardante E. Severino è alle pp. 12 1 - 1 30. 256 I bi dem , p. 1 24. 25 7 I bi dem , p. 1 28.

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"Questa mi sembra la convinzione di qualche filosofo (per es. Nietzsche, Heidegger . . . ), sennonché la filosofia, oggi, oltre ad essere assai differenziata (differenze antropologiche!) non ha funzione determinante, come l'aveva in­ vece in Grecia, ma solo riflettente . . . all'uomo tecnocrate, in quanto tale, poco importa di sapere se, al di là dell'orizzonte del suo interesse, c 'è o non c'è un immodificabile. Egli modifica quello che gli riesce di modificare; e per questa via procede . . . )" 25 8 . Ci occupiamo ora dell'ultimo intervento circostanziato del Bontadi­ ni259 che fa riferimento ad un saggio di E. Severino260. Inizialmente è operata una difesa della propria visione intorno al Principio di Parmenide: su questo non vi sono mutazioni sostanziali (eventualmente solo di 'articolazione'). Il 'maestro' cerca anzi di ' scavare' all'interno del Seve­ rino-pensiero per coglierne la genesi : . . . la novità di Severino, l'Ereigns del suo messaggio, non è costituito dalla utilizzazione di Parmenide . . . , ma, ap ­ punto, dalla negazione del 'mondo ' e del divenire, come implicante il non essere di un certo essere (negazione che si produrrà col R itornare a Parmenide, che è del 1 964) " 2 6 1 e per mettere in luce l'unica differenza, la quale consiste non tanto nel ritenere il principio eleatico, bensì nella lettura del divenire. La discussione si riapre, pertanto, intorno ad un unico punto: il divenire dell' apparire . S econdo Bon tadini il 'punto' " . . . è ciò che l'esperienza, -l'apparire- adduce contro la totalitaria asserzione del logo l'immobilità del tutto- è che almeno quel tenue essere che è l 'essere dell'apparire è venuto meno, è andato nel niente. /l logo pretende -non può non pretendere! - che non solo l'ente che scompare continui ad essere, ma che continui ad essere anche il suo apparire. E' contro quest'ultima, d'altronde legittima!, pretesa che l'esperienza si pronuncia" 262 . Se questo scomparire continua ad apparire, tale apparire non sarebbe, in ogni caso, quello che l'esperienza attesta essere venuto meno. Se fosse il mede­ simo non potrebbe aver luogo l'esperienza dello scomparire. La riflessione prosegue intorno a questo minimum che scompare attraverso due argomenti: a) di una determinazione che 'esca' dall'esperienza si deve affermare che è venuto meno il suo essere 'dentro' : solo l'essere del 'dentro' è venuto meno, e non è l'essere dell'eterno che se ne sia uscito; b) si deve affermare un 'movimento' del conoscere : se questi fosse immobile affissamento dell'immobile non si potrebbe dare esperienza -anche non nichi"

258 Ibidem , p. 1 29. 259 G . B ONTADINI, Per continuare un dialogo. In "Rivista di filosofia neoscolastica" ,

LXX ( 1 983) I, pp. 1 10- 1 1 6. 260 E. SEVERINO, Poscritto . In Gli abitatori del tempo. Cristianesimo , marxismo , tecnica , Roma, 1 978, pp. 1 78- 1 97. La parte che riguarda G. Bontadini s i trova alle pp. 1 80 - 1 92. 2 6 1 G. B ONTADINI, Per continuare ... , op. cit. , p. 1 1 1 . 262 Ibidem , p. 1 1 2.

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listica- del comparire e dello scomparire delle determinazioni sulla cui mobilità il logo interviene per ricondurle all'immobilità. Ora Bontadini rileva una questione sollecitata da Severino che gli chiede, ap­ punto, se l' affermazione del divenire dell' apparire sia dovuta ad un'affer­ mazione o ad una constatazione. La risposta è immediata: " . . . l'affermazione del divenire -e dell'annientamento- è opera non solo del logo, né della sola esperienza, ma di entrambi questifattori della struttura originaria: è opera del logo che legge l'esperienza, e non può non legger/a al modo che s 'è detto " 26 3 . Verso la finale dell'articolo sono ripresi anche i punti di contatto: prima di tutto il fondamento parmenideo (sul quale meglio del maestro ha lavorato il discepolo -a detta del primo! -) . Inoltre "Nell'esperienza del divenire compare comunque un negativo, un non: la negazione di un positivo, il non essere di un certo essere. Da cui emerge che la positività, che viene negata, è propria­ mente quell'actus essendi, che si può chiamare esistenza . . . Ciò che nel dive­ nire va di mezzo è appunto l'esistenza, in contraddistinzione dall'essenza 11 2 6 4 Bontadini richiama ora un'altra sua nota tesi : "La conclusione . . . è che l 'incon tradditorietà de l reale -nella fattispecie l'incontradditorietà dell'innegabile divenire- è tutelata dal Teorema di Creazione. La creazione è condizione sufficente e necessaria di tale tutela" 265 intorno alla quale nota una 'debole' recezione da parte di Severino : la discute in forma 'generica ed estrinseca' , ma, soprattutto, ne 'pre senterebbe un'immagine deformata' (soprattutto quella relativa alla definizione di Dio quale ente 'privilegiato'). Concludendo il suo intervento Bontadini afferma: "Nella prospettiva metafi­ sica -creazionistica- quell'andare nel nulla (e similmente il venire dal nulla!) che risulta sul piano fenomenologico è un positivo metafisica. Sia che si tratti del porre o sia che si tratti del togliere, la concezione creazionistica risolve il negativo nel positivo, e sopprime perciò stesso la contraddizione" 2 66 . L"' ultima" parola di Bontadini in questo dialogo riprende il 'punto radicale e semplice del dissenso' : "utrum l'esperienza (l 'apparire) attesti o meno il divenire, un qualche, sia pur minimo divenire nel senso che Severino chiama nichilistico di questo termine (il divenire come implicante il non es­ sere, un tanto di non essere . . .)" 26 7 . La risposta: la determinazione " . . . può essere scissa dal suo apparire, ma l'apparire non può essere scisso da se stesso (lo vieta il principio di identità, 26 3 Ibidem , p. 1 14. 26 4 Ibidem , p. 1 1 5. 26 5 Ibidem , p. 1 1 5 . 266 Ibidem , p. 1 1 6. 26 7 G. BONTADINI , Postilla, in "Rivista di filosofia neoscolastica" LXXVI ( 1 984) IV, p. 623 . Questa breve nota segue un articolo di E. SEVERINO, Appunti per Gustavo Bontadini, ivi , pp. 6 1 6-622. 93

che è momento del principio di non contraddizione) . ll che non toglie che [la determinazione] continui ad apparire, ma di un apparire diverso da quello che è cessato; cessazione in cui consiste lo scomparire, attestato dall 'espe­ rienza" 26 8 . Infine, per ciò che attiene il rapporto lego-esperienza: "Il logo non può non prender atto di questa cessazione, anche se nessuno gli vieta di integrare, ol­ trepassare l'esperienza, affermando la persistenza di un apparire, che però, proprio perché persistente non è identico a quello che, sullo specchio dell'esperienza, non persiste" 269 . Numerosi altri sono i luoghi nei quali negli scritti di Bontadini si ri­ chiamano e si discutono le posizioni di E. Severino. Come, d' altro canto lo stesso deve dirsi per quanto riguarda il filosofo bresciano. Ci sembra però che quanto è stato qui riassunto possa esprimere il punto critico del conten­ dere: la contradditorietà o l'incontradditorietà del divenire.

4.2 .2 . Le reazioni della scuola padovana: C. Giacon, E. Berti Dall'ambiente

aristotelico-tomista della metafisica patavina abbiamo trascelto una delle prime reazioni ed una recentissima. L'intervento di C. Giacon2 7 0 è -accanto a quello di G. Bontadini- tra quelli che inaugurano il 'contrattacco' dopo l'uscita del Ritornare a Parme­ nide . In fase preliminare è preso in considerazione il concetto di essere quale si ri­ cava delle tesi di Severino per giungere ad una prima conclusione: si tratta qui non dell'essere 'determinato e particolare' , bensì dell'essere 'in generale' , e "Quando si tratta dell'essere in generale, si fa una questione di essenza, non di esistenza; non si tratta, appunto, di un ente esistente, ma dell'ente o essere, in quanto ente o essere, di ciò per cui ogni ente è ente ed è tutto ciò che è 27 1 . Purtuttavia "Se è cosi, come mi sembra che sia dopo l'esposizione fatta, è vero che mentre, da un lato, gran parte dell'articolo di Severino è intelligibile e coerente, da un altro, si deve dire che, essendo facile, trattando intorno all'essere, passare dalla considerazione dell'essenza dell'essere a quella dell'essere come esistenza, lo slittamento sia avvenuto in Severino (come è avvenuto in Parmenide)" 21 2 . A detta di Giacon dell'essere determinato, particolare, esistente di fatto, dob­ biamo dire che esiste necessariamente, incontrovertibilmente: tale è definibile 'necessità esistenziale' da ritenere però distinta rispetto alla 'necessità essen­ ziale', ovverosia quella che 'lega l'essere a essere "essere"'. Sulla scia di "

26 8 Ibidem , p. 623. 26 9 Ibidem , p. 623 27 ° C. GIACON, Ritornare a Parmenide ? In "Rivista di filosofia neo scolastica" , L VI .

( 1 964) V, pp. 469-485.

27 1 C. GIACON, Ritornare . . , op. cit., p. 27 2 Ibidem , p. 473. .

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472.

Aristotele si afferma perciò che la necessità incontradditoria attiene l'essere in generale , non l'essere determinato. Lo ' slittamento' -per riprendere un termine che costituisce il filo conduttore delle pagine in questione- avviene quando si opera uno ' scambio' fra necessità delle essenze e necessità dell'esistenza di fatto. Ciò è provocato dall'introduzione del 'tempo' . "Quando Parmenide trasferi la necessità e l'irrunutabilità dell'essere concepito come un 'esistenza di fatto, la necessità e l'immutabilità diventò eternità, di­ ventò eternità nell'esistenza di fatto; era invece un 'eternità nell'essenza" 273 . La conseguenza che immediatamente ne segue è che il divenire sia conside­ rato una contraddizione : "l'essere o è o non è; se è, non occorre che divenga, se non è non viene dal nulla; l'essere, tutto l'essere, è, ed è da sempre e per sempre. Platone ed Aristotele invece . . . " 274 . La contraddizione è sciolta nella misura in cui l'essere in generale sia, da un lato, concepito come 'l'intero del positivo' contenente tutti i modi della sua attuazione e sia, dall'altro, con sentita la possibilità dell'esistenza di fatto al­ meno di alcuni di tali modi. La filosofia occidentale -contro cui s'avventa Se­ verino- 'non è che' l'instaurazione, esplicitazione, deduzione del rapporto tra l'intero del positivo e le differenze che appaiono. La verità dell'essere testimoniata da Pann enide è ineliminabile per affermare l'incontradditorietà dell'essere : es sa si riferi sce al l'intero del positivo, all'essenza dell'essere : infatti unicamente di 'un' essere , di un 'modo' dell'essere si dice che nasce e si corrompe. "Il modo generabile e corruttibile dell'essere, presente da sempre e per sempre nell'intero del positivo, se, in virtù di chi sa mai quale energia, sia attuato, dovrà essere attuato secondo la sua essenza, e cioè in quanto modo generabile e corruttibile: rimanendo esso, nella condizione di essenza intelligibile e universale, nell'intero del positivo, si verifica che un individuo concreto, costituito da un 'essenza particolare del tipo dell'essenza in generale, diverrà esistente di fatto passando dal non-es­ sere all'essere appunto perché generabile, disposto a ricadere nel nulla se, per attuare la sua essenza (che non è contradditoria, perché è una 'differenza dell'essere e non un 'opposto ' all'essere) , in virtù di un 'altra energia, vi dovrà cadere. Non facciamo scherzi: la concezione classica dell 'incon­ tradditorietà dell'essere non è contradditoria! " 215 . Con questo Giacon 'risolve' il rapporto tra essere e divenire. Più oltre af­ fronta la questione dell'essere necessario -definita dal Severino un 'non senso'- invitando ad operare alcune distinzioni. Prima fra tutte quella che in­ tercorre fra l'affermazione 'che è necessario che l'essere sia essere e non non-es sere' e l'altra che afferma 'l'essere necessario esi stente di fatto' . "L'Essere necessario è un essere; /''essere' invece, di cui si dice che non può non essere, è 'l'essere in generale '. Che se si confonde e si dice che l'Essere necessario è l'unico essere, si presuppone che non ci siano 'differenze 273 Ibidem , 27 4 Ibidem , 275 Ibidem,

p. 474. p. 475. p. 478.

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dell'essere', si sottintende che esso sia l'unico modo intelligibile di esistere, e non sia possibile nessun altro modo, contro la definizione dell'essere come !''intero del positivo': il positivo rimarrebbe soltanto l'essere necessario, e non .. casa, rosso, albero . . . 11 276 . Tutto ciò non fu ritenuto da Parmenide et, idem, da Severino: "Se Parmenide ha sostanzializzato [ipostatizzato] il concetto dell'essere privo delle diffe­ renze, Severino ha sostanzializzato il concetto di essere contenente tutte le differenze: tutto ciò che vi è di positività nelle differenze, è essere, e, poiché, allora, l'intero del positivo è l'essere totale, necessario, eterno, avendo esso gli attributi di Dio, è Dio ... " 277 A detta di Giacon, quindi, l'operazione Severino consiste nel 'parme­ nidizzare' Platone ed Aristotele: nel raccogliere le differenze affermate da Platone ed Aristotele e nel riportarle all'interno della verità dell'essere te­ stimoniata radicalmente dalla dottrina dell'eleate. L'ultima questione considerata riguarda il rapporto fra l'intero del positivo e Dio. Giacon induce ad una certa cautela nel porre -come fa Severino- un rap­ porto di identificazione. L'interrogativo suona dunque: "Si può forse ritenere che l'essere, l'intero del positivo sul piano esistenziale, sia l 'attuazione dell'intero del positivo sul piano essenziale? " 27 8 . Al fine di reperire una risposta si fa necessario richiamare la già nota distin­ zione tra 'piano dell'essenza' e 'piano dell'esistenza' . Stando al primo livello affermiamo la incontradditorietà e l'intellegibilità dell'es sere. Riguardo quest'ultima ci si chiede ora quale rapporto sussiste fra l'intero e le differenze nella comprensione dell'essenza dell'essere? "sul piano dell 'intellegibilità queste differenze o parti stanno veramente insieme, e, come è stato detto, una non esclude l'altra, e siccome sono intellegibili, se esistesse di fatto una mente o intelligenza capace di intender/e tutte, tutte sarebbero insieme egual­ mente presenti in tale intelligenza: avrebbero un'esistenza intelligibile, esiste­ rebbero di fatto intellegibilmente nell 'esistenza di fatto di quella intelli­ genza" 279 . Ciò posto rimane da chiarire il rapporto fra questo 'orizzonte ' e Dio. Anche qui si procede per tappe. Posto che questa intelligenza sia identificata con quell'essere determinato che è 'l'Essere in modo assoluto dell'essere', questo (Essere) avrebbe in sé presenti tutte le differenze dell'essere, la totalità del positivo, appunto. "Quell 'essere, essenzialmente, . . . sarebbe l'essere nel modo assoluto di essere dell''essere', e, intelligibilmente, sarebbe l'insieme di tutte le differenze, modi, perfezioni dell'essere, allo stato di intelligibili. Se al modo assoluto di essere dell'essere si dà il nome di Dio, Dio è 'l'intero del positivo ' nel senso predetto" 280 . 27 6 277 27 8 27 9 280 96

Ibidem , p. 480. Ibidem , p. 48 1 . Ibidem , p. 482.

Ibidem , p. 482.

Ibidem , p. 483.

Riprendendo l'interrogativo iniziale di quest'ultima sezione circa il rapporto fra l'intero e Dio ed introducendo un terzo elemento rappresentato dalle diffe­ renze (esistenti di fatto), Giacon conclude : "Dio, nel senso predetto è, nella sua intelligenza, tutti i mondi possibili e immaginabili . . . Questo mondo . . . ha un duplice modo di essere o di esistere : uno intelligibilmente in Dio, e uno antologicamente in se stesso" 28 l . Dio, perciò, può dirsi l'intero del positivo contenente tutte le differenze senza che sia inficiata la coerenza col principio parmenideo. Distinto da Dio si dà il 'mondo del divenire' nel quale le differenze -alcune almeno- si escludono vi­ cendevolmente; ma che esiste di fatto -senza cadere nella contraddizione- in un modo di essere diverso rispetto al modo permanente di essere. La finale: " .. . gli argomenti portati da Parmenide e da Severino per dimostrare che /''essere ' non può esistere di fatto che da sempre e per sempre, immobil­ mente e necessariamente, riguardano 'l'essenza ' dell'essere, non 'l'esistenza ' dell'essere: essi stessi hanno detto che: 'l'essere è e non può non essere ' si­ gnifica : 'l'essere non è il nulla ', che è affermazione appartenente al piano dell 'essenza e non dell 'esistenza, e perciò riguarda l'incontradditorietà dell'essere e non la sua esistenza difatto" 282 . L'esito con si sterà nel tenere fermamente insieme , da un lato l'incon­ tradditorietà dell'essere, e, dall'altro lato, l'esistenza del divenire. A completamento della ricognizione intorno alle critiche mosse dalla scuola metafisica dell'Università di Padova al pensiero di E. Severino, pren­ diamo in considerazione la posizione di E. Berti. Il dialogo Severino-Berti ri­ sale ai tempi del Ritornare a Parmenide283 ed ha trovato -per quanto riguarda quest'ultimo- una formul azione sintetica in un recentissimo saggio284 che prenderemo in esame in questa sede. Dopo aver affermato la caratura 'autenticamente filosofica' propria del pen­ siero di S everino, il Berti fa avvertiti che gli apprezzamenti di questa con siderevole proposta si formulano sovente intorno alle 'conseguenze' piuttosto che attestarsi sulle 'premesse ed argomentazioni' da cui le prime de­ rivano. Da queste sarà pertanto necessario muovere, mettendo in primo luogo in evidenza gli 'aspetti validi': .. . l'intuizione fondamentale su cui si regge "

28 1 Ibidem , p . 483. 282 Ibidem , p. 484. 28 3 Tra i vari saggi nei quali è direttamente im plicato il pensiero di Severino segnaliamo: E. BERTI , La metafisica classica come unità di esperienza e ragione, in "Bollettino filosofico", I ( 1 968) 7, pp. 97- 1 03. E. BERTI, Sul/a formulazione aristotelica del principio di non contraddizione. Discussione con Emanuele Se verino , in "Rivista di filosofia neoscolastica" , LXI ( 1 969) I , pp. 9 - 1 6 . E. BERTI, Contradditorietà , apparenza o problematicità del divenire ? , in S tudium, LXXIV ( 1 978) VI, pp . 809-8 19. E. BERTI , Il nichilismo dell'occidente secondo Nietzsche, Heidegger e Severino, in "Filosofia oggi ", III ( 1 980), pp. 50 1 -5 1 0. 284 E. BERTI, Critica al/'interprezazione neoparmenidea dell'Occidente, in: E. BERTI, Le vie della ragione, BO, 1987, pp. 209-226.

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l'interpretazione severiniana dell'Occidente, cioè la dipendenza delle varie espressioni di questa dall'antologia greca, è valida" 28 5 . Le categorie fondamentali evocate dai Greci sono (quelle di essere, non-es­ sere, divenire) entrate nella tragedia greca, nei grandi sistemi di Platone e di Aristotele, nel giudaismo e nel cri stianesimo, nell'islamismo, nella cultura moderna nelle sue due poderose variabili quali sono la filosofia ed il 'fatto' scientifico-filosofico-ideologico, ed infine nella stessa critica alla cultura mo­ derna "Perciò essa [antologia greca] è divenuta una specie di linguaggio men­ tale, di alfabeto concettuale, al di fuori del quale è ormai impossibile espri­ mersi ed a cui si deve inevitabilmente ricorrere anche quando si intende criti­ carlo " 286 . Immediatamente però Berti passa ad evidenziare gli aspetti limite che, anzi, denomina 'Il presupposto inaccettabile di tale interpretazione' 28 ? . L'interpretazione riguarda la valutazione che Severino dà dell'intero Occi­ dente preda della follia, consi stente nell'equazione di essere e nulla, di risoluzione dell'essere nel nulla: nichilismo omniavvolgente dunque. La critica vuole mostrare che il giudizio di nichili smo " . . . applicato da Seve­ rino all'intera cultura occidentale a causa del suo condizionamento ad opera dell'antologia greca, è appropriato nei confronti di quest'ultima se, e solo se, le categorie di essa vengono intese secondo un particolare presupposto che sta alla base dell'intero pensiero di Severino e che è precisamente il presup­ posto parmenideo dell'unicità dell'essere" 288 . Il punto critico riguarda perciò l'univocità dell'essere che Berti afferma es­ sere il 'presupposto falso' . Tale dottrina è lo ' sviluppo coeren te' del 'Principio di Parmenide' che pertanto deve essere discusso perlomeno in due aspetti. Per quanto riguarda il primo: . . . il 'Principio di Parmenide ', dicendo che 'l'essere è ', fa del predicato 'essere ' (tale è infatti ogni verbo, sia pure al modo infinito) il soggetto dell'azione che esso stesso indica, come chi dicesse 'il camminare cammina ' o 'il mangiare mangia '. . . Ciò equivale ad ipostatizzare, a sostanzializzare l'essere, cioè a ridur/o a ousia" 289 . Tale scoglio è tuttavia superabile ' sostituendo' l'essere con l'ente, affer­ mando perciò che 'gli enti sono' , o 'le cose sono' e significando -invece- con essere l'essere nella sua pienezza: Dio. Così il Principio di Parmenide diviene verità accettabile. Se tale sostituzione non avviene -come non avviene in Par­ menide e in Severino- ne consegue, non solo che enti e cose sono (e ciò è ac­ cettabile), ma che - soprattutto, ed in questo la critica si fa attenta- essi enti, le cose non possono non essere. E così siamo già entrati nel secondo aspetto limite. " . . . affermando non solo che l'essere (o l'ente) è, ma anche che esso non può non essere, considera il "

285 286

Ibidem , p. 2 1 1 . Ibidem , p. 2 12.

28 7 E' il titolo del seondo paragrafo (p. 2 1 3). 288 E. BERTI, Critica . . , op. cit. , p. 2 1 4 . 28 9 Ibidem , pp. 2 14-2 1 5 . .

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predicato 'essere ' come identico al soggetto ( 'essere ' o 'ente ') , cioè considera questa predicazione una predicazione di identità, non di attribuzione, o almeno una predicazione essenziale, non accidentale, ovvero ­ per dirla in termini kantiani- un giudizio analitico, non sintetico, come appare da/fatto che esso la colloca nella modalità della necessità ('non può non ') , la quale è la modalità propria delle predicazioni di identità, e dei giudizi analitici" 29 0. Berti espone qui le sue obiezioni mettendo in evidenza come: "Chi dice 'l'essere (o l'ente) non può non essere ', fa dell'essere (predicato) l'essenza stessa (o un predicato essenziale, cioè una parte dell 'essenza) dell 'ente (soggetto) , ovvero tutto ciò che è, il che è vero solo se l'essere costituisce ef­ fettivamente l'essenza di tutto ciò che è " 2 9 1 ma è soprattutto evidente la 'falsità ' di siffatta presupposizione " . . . quando si rileva che, se l'essere è l'essenza di ciò che è, allora l'essere è un 'essenza, cioè una determinazione precisa, inequivocabile, unica" 29 2. Tutto ciò è 'catalogato' dai greci come 'discorso sull'essenza' il quale circo­ scrive, determina, isola, distingue eliminando perciò ogni pluralità di signifi­ cati. "Ecco perché, se l'essere è un 'essenza, esso è univoco, cioè ha un unico significato, vuole dire solo una cosa e nient'altro che quella" 293 . La 'falsità' del presupposto è mostrata dall'esistenza delle differenze fra gli enti posta in evidenza teoretica da Platone e Aristotele. A detta di Berti queste differenze " . . Severino ha più volte ammesso, e non poteva non ammettere, perché esse sono innegabili (chi le nega, infatti, istituisce già con la sua stessa negazione, una differenza)" 294 . Perciò affermando la verità delle differen ze, ne segue che anch'esse sono es­ sere e quindi l'essere non viene ad esprimere solo ciò che è comune ma anche ciò che vi è di diverso tra gli enti. L'univocità è dunque rigettata a favore della multivocità, della pluridimensio­ nalità, della polisemanticità. Si apre -dopo questa opzione di fondo- la que­ stione degli enti ai quali l'essere apparterrà necessariamente e di quelli ai quali l'essere non appartiene secondo necessità ( i quali -pertanto- potranno non­ essere senza che si crei alcuna contraddizione). Nella 'Nota teoretica' conclu siva del paragrafo, Berti affronta la soluzione che Severino dà a quanto attestato dall'esperienza riguardo al divenire nei termini di apparire-scomparire del tutto eterno entro l'orizzonte trascendentale dell'apparire. Ma "Mi sembra che questa risposta riveli ancora una volta il presupposto dell'univocità dell'essere. Dire, infatti, che l'apparire è un ente come qualsiasi altro, il quale semplicemente scompare come qualsiasi altro e pertanto non si annulla, significa presupporre che non ci sia alcuna differenza .

29 0 Ibidem , pp. 2 1 6-2 17. 29 1 Ibidem , p. 2 1 7 . 29 2 Ibidem , p. 2 1 7 . 293 Ibidem , p. 2 1 7. 294 Ibidem , pp. 2 1 7-218. 99

tra l'essere dell'apparire e l'essere di qualsiasi altro ente che appare. In realtà l'essere dell'apparire è tutto e solo nel suo apparire -quale altro essere po­ trebbe infatti avere l'apparire, il quale non apparisse ?-, perciò, una volta scomparso tale apparire, di esso non resta nulla di cui si possa dire che è an­ cora, anche se non appare, cioè dire che è semplicemente scomparso. Per l'apparire, lo scomparire equivale ad annientarsi"295 . Secondo Berti la critica che Bontadini rivolge a Severino su questo aspetto specifico, non è sufficente in quanto non mette in discussione la concezione univoca dell'essere. L'ultimo paragrafo del saggio propone un'alternativa tale da superare il pre­ supposto dell'univocità. Posto che il divenire non costituisca una contraddi­ zione -sulla base di quanto sopra affermato e cioè che l'essere non compete necessariamente a ciascun ente- ciò non può significare una ovvietà "al con­ trario, esso fa meraviglia, e questa meraviglia, come hanno affermato Platone e Aristotele, è la fonte della filosofia, anzi di quella determinata filosofia che professarono per primi Platone e Aristotele, cioè la metafisica " 296 • Sull'esperienza fondamentale del 'thauma' quale origine della filosofia si sposta ora la riflessione del Berti per evidenziare come, di fronte alle determinazioni che appaiono, la meraviglia si presenterà sotto forma di interrogazione: 'da dove viene?' , 'perché? ' . E' la domanda intorno al fondamento, è la riconduzione dell'i gnoto che si offre al noto. La ri sposta della metafisica classica orienta la ricerca del fondamento verso l'Immutabile, inoltrepassabile e intrascendibile. La specificità del filosofare -ri spetto all'arte, alla poesia- con siste nella capacità di rigettare le confutazioni che vengono mosse al fondamento di continuo: in questo consiste la storicità del filosofare et, idem, della metafi sica intese quali realtà che di continuo 'debbono fare i conti' con l'insorgere di nuove istanze negatrici. A detta di Berti -in conclu sione del suo saggio- la negazione di Severino è autentica, 'autenticamente filosofica' e quindi estremamente importante per la vitalità della stessa metafisica classica.

4 .2 .3 . Cornelio Fabro . Già s'è detto della collocazione del Fabro nella

'geografia' della filosofia italiana e già s'è fatta menzione del suo ruolo cen­ trale nella vicenda che portò E. Severino davanti al Sant'Uffizio. In questa sezione della nostra indagine ci proponiamo di cogliere il senso della sua cri­ tica espressa in un lungo ed articolato saggio297 che fu accolto con molta at­ tenzione dallo stesso Severino29 8.

295 Ibidem, pp. 22 1 -222. 29 6 Ibidem , pp. 222-223 . 297 C. FABRO, L 'alienazione dell'Occidente (Osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino). In "Renovatio" , XV ( 1 980) , pp. 1 70-230; 329-37 1 ; 489-543. A questa edizione faremo riferimento nelle nostre citazioni. 298 L'occasione del saggio in esame risale al tempo nel quale il prof. Fabro fu incaricato dal S . Uffizio di stendere un 'rapporto' sul pensiero del filosofo 'inquisito'. Già nel 1 970 il prof. Severino -dopo aver preso in esame questo materiale- così si esprimeva in una lettera

1 00

In fase introduttiva il pensiero di Severino è colto sullo sfondo della vicenda che contraddistingue la filosofia italiana: 'il neoidealismo special­ mente nella versione dell'attualismo gentiliano', la coerentizzazione massima del 'principio moderno dell'immanen za' : "Il cammino del Severino si pre­ senta più radicale, più sconcertante, più inatteso, ed a mio avviso esso è an­ che il più coerente nell'andare a fondo del principio moderno ed insieme è il più paradossale come quello che all'origine nasce (e si professa) dentro l'istanza dell'Assoluto e del mistero cristiano della salvezza" 299 . La meraviglia di Fabro è grande per il fatto che tale pensiero nasce e si svi­ luppa all' interno dell'Università Cattolica nella quale, anziché difendere l'ortodossia, prende corpo un indirizzo teorico 'equivoco' . Dopo aver deline­ ato alcuni tratti salienti del pensiero filosofico di Severino -quali la ripresa del principio di identità di pen sare ed essere, del rapporto fra essere e divenire, della comprensione del significato autentico del divenire, della conseguente critica ad ogni metafisica e ad ogni concetto di causa- Fabro conclude la sua introduzione affermando: "Per me l'opera del Severino è una cosa molto seria e più che di critica, sull'uno o sull'altro punto, o (meno ancora!) di richiamo alla coerenza (su questo egli batte in anticipo tutti i suoi critici!), essa ha biso­ gno di comprensione e di collocazione . Per me . . . essa si colloca, tanto per il principio come per il metodo, sulla linea del maestro Gustavo Bontadini come la conclusione, inevitabile e inconfutabile (malgrado le reazioni ed impazienze dello steso Bontadini), di quel cerchio intenzionale ch'è l'identità gentiliana di essere e pensiero come atto puro" 3 00 . Nel primo capitolo - Urgenza della 'Destructio theologiae universae '- si prende in considerazione il 'trattamento' che Severino riserva -e che già conosciamo- alle prove dell'esistenza di Dio, all'identità dell'Essere e di Dio immediata, alla concezione della 'creati o ex nihilo' , all' idea di libertà, al modo di pensare il Sacro. Nel secondo capitolo -Le tappe della 'destructio methaphysicae '- si vuoi mo­ strare la struttura speculativa del pensiero di Severino. Fabro perciò riprende le argomentazioni intorno all'ente in quanto ente, alla dialettica dell'apparire­ scomparire sullo sfondo dell'apparire trascendentale, all'apparire dell'essere nel divenire, al toglimento del nulla, al senso autentico dell'esistere, alla sop­ pressione della distinzione essenza-esistenza, per finire col tema del S acro e della fede. All'interno di questa esposizione il Fabro, pur privilegiando il ta­ glio espositivo, introduce alcuni elementi di critica circostanziata. La più con­ sistente riguarda 'il trattamento riservato al nulla' : con la dottrina del divenire iscritta all'interno dell'orizzonte trascendentale dell'apparire -nel quale ap­ punto le determinazioni appaiono, scompaiono ma non si annientano, né dal indirizzata allo stesso Fabro e da questi pubblicata come preliminare al suo saggio: " . . . ho letto il più approfondito e i l più ampio dei tre 'Voti' con estremo interesse e mi sono trovato di fronte alla comprensione più penetrante e più 'concreta' del mio lavoro" (lettera del 23/1/1 970). (Ora al la p. 169).

299 C. FABRO , L'alienazione 3 00 Ibidem , p. 1 79.

.

.. , op. cit. , p. 1 75 .

101

niente provengono- scompare il ruolo del nulla in ordine alla semantizzazione dell'essere. "Giacché, se l'essere non è il nulla . . . allora pensare l'essere senza pensare il nulla equivale a non pensare l'essere : appunto perché l'essere, di necessità, è la negazione del nulla, e non pensar/o come questa negazione significa non pensar/o ajfatto" 30 l . Successivamente si attacca un aspetto definito 'punto ri solutivo cruciale' "dopo aver eliminato, col 'principio di appartenenza ' che pone l'identità dia­ lettica di essere e apparire (nel divenire e nel molteplice), ogni dipendenza causale, ora Severino toglie anche (logicamente!) ogni distinzione reale di es­ senza e di esistenza nel finito" 302 . Infine, per quanto riguarda il Sacro e la fede, dopo aver rilevato come il Severino non spieghi l'essenza del Sacro303 a detta di Fabro vi è una radicale ripulsa di ogni religione che non si 'gnosticizzi', ma vi è soprattutto un atto di accusa verso " ... il cristianesimo nella sua caratteristica di evento storico irre­ peribile (ed ora sempre presente), e la 'storia della salvezza ' . . . dell 'Incar­ nazione. A questo modo Severino ritorna alla posizione deisti ca illuministica di Reimarus e Lessing sul Cristianesimo" 3D4 . Nel terzo c apitolo -/ momen ti del panenteismo trascendentale- si ripercorrono, in un primo paragrafo, le varie tappe del filosofare severiniano a partire dagli albori e compiendo una lunga sosta sulla Struttura originaria in quanto, tra questa ed il tanto discusso ciclo parmenideo, vi è un rapporto di continuità. Si riesumano dalla opera sistematica i filoni-guida quali l'identità degli opposti, l'appartenenza dell'essere e dell' apparire, l'appartenenza di parte e tutto, l'identità necessaria di essenza e di esistenza. Successivamente si affronta la questione relativa al rapporto Bontadini-Severino il quale è decisamente letto nella linea della coerentizzazione, della esplicitazione­ radicalizzazione del discepolo rispetto al maestro, ma anche -e su questo molto insiste Fabro- il fatto che successivamente il maestro abbia finito per ripiegare sulla posizione del discepolo (stante l' attenzione che quest'ultimo richiama sul fatto che nella presentazione bontadiniana del Principio di Parmenide si afferma una contraddizione la quale consiste, non tanto, nel fatto che l'essere non sia, bensì che il non-essere, in quanto originariamente limitante l'essere, sia un positivo) anche se detto maestro non è disposto a riconoscere tutto ciò. A detta di Fabro Bontadini deve quindi 'decidersi' : se accetta Parmenide (il 'parmenidismo attualistico') deve anche accettare l'unico senso possibile di intendimento del divenire. Si apre a questo proposito una lunga parentesiJOS per e sporre le linee direttrici del dettato bontadiniano 'inficiato' di attualismo fin dagli albori : 'vizio capitale' esteso però a tutta la linea professata alla Cattolica di Milano. 3 0 l Ibidem , p. 220. 3 02 Ibidem , p. 223 . 3 0 3 Ibidem , p. 227 . 3 04 Ibidem , p. 230. 3 05 Ibidem , da p. 344 a p. 1 02

358.

Gli ultimi due paragrafi di questo capitolo attengono al 'Senso del problema di D io' e alla 'contestazione globale del Cristianesimo'. Sul primo aspetto si vuole evidenziare il tratto che unisce -attraverso uno sviluppo coerente- il cre­ azionismo all'ateismo, il pensiero classico e il pensiero contemporaneo: "Conclusioni opposte, ma derivanti ambedue da una piattaforma comune, quella di separare il mondo (l'apparire) dall'Essere e di concepire perciò il mondo come 'qualcosa da salvare ': là (teismo) per opera di D io , qui (atesimo) per opera dell'uomo " 306 . Lo sviluppo coerente , il tratto che unisce è colto nella (alienazione) metafisica. Fabro enfati zza questo aspetto del pen siero severiniano per cogliere le analogie con la 'teologia della secolarizzazione, della morte di Dio', le quali, come già detto, per altre vie sembrano giungere alle medesime, estreme conclusioni. Per quanto riguarda il mondo si evidenzia innanzi tutto come il Cristianesimo sia 'vittima del travisamento originario dell'essere' e come la Parola non possa diventare salvifica causa 'l'ascolto malato' dell'Occidente. In sede con­ clusiva Fabro evince dal pen siero di Severino un rifiuto radicale del pensiero cri stiano: della creatio ex nihilo, della contingenza del mondo, dell'im­ mortalità dell' anima, della trascendenza di Dio, della libertà dell'uomo. Per cui " . . . se Dio è la processualità dell'essere nell'apparire e l 'uomo è lo stesso apparire eterno, si deve dire che l'uomo è il luogo proprio ed unico -nel senso di 'mediante ' trascendentale cioè come soggetto dell'apparire trascendentale­ del 'processo divino' nell'identità dell'attuarsi di trascendentale e trascendente che non patisce distinzione reale. Quest'identità reale funzionale della trinità di mondo-uomo-Dio nell'Essere mi sembra appartenga alla coerenza, prima e ultima, di tutto il discorso severiniano " 307 . Se con Severino ci si può accordare in ordine alla 'demolizione' di quella scolastica fondata sulla distinzione formale di essenza e di esistenza; se si può inoltre consentire nel rifiuto della 'filosofia neoclassica di B ontadini' (miscuglio di idealismo e di vuota volontà di realismo) , ed infine nell'accusa di nichilismo rivolta all'Occidente . . . c'è, però, 'dell' altro' e, per esempio, che Dio-mondo-creature siano certamente dei distinti ma non dei separati . . . In questo modo allusivo, Fabro, conclude il capitolo. Si passa ora a considerare "L 'esito inevitabile in Severino della 'Destructio veritatis atque libertatis '. ( 'Seu explicit tragoedia hominis moderni')" . Qui l'allusività della critica precedente si fa chiara, esplicita e diretta nel contestare l'errore di fondo che -a suo dire- inficia tutto l'edificio severiniano. Lo spunto è dato dalla interpretazione di un pas so-chiave dell'Organon aristotelico30 8 che il Fabro reputa . . . un 'abile presa in giro def lettore od "

3 0 6 Ibidem , p. 358. 3 07 Ibidem, p. 370. 3 08 AR ISTOTELE , De interpretatione,

1 9a, 23-27 .

103

anche, a voler esser più benevoli, è il sofisma che in gergo comune si dice un 'qui pro quo ' e più tecnicamente ignoratio elenchi" 3f1.J . Da dove nasce tale polemicità? Dalla 'equiparazione', anzi 'identificazione' di due semantemi : 'quando la casa non è' - 'quando l'ente non è' che porterebbe alla conclusione 'l'ente è un niente ! ' E tale è la persuasione -nichilistica ap­ punto- dell'Occidente. Il testo di Aristotele invece " . . . si muove in un campo strettamente semantico, non fisico o metafisico " 3 I O . Aristotele non lega universalmente -come vuole Severino- l'essere al tempo. Nel filosofo greco la determinazione temporale dell'es sere è relegata all'ultimo posto "Severino invece, in conformità all'identificazione essere­ presenza di coscienza, la presenta al primo posto e fa dello OTAN HE del Pe­ rihermeneias ( 19 a 23) il capo di accusa unico e decisivo per dichiarare l'esecuzione capitale cioè la condanna di nichilismo della metafisica, non solo di quella aristotelica, ma in generale e questo, come si è detto, perché essa fa­ rebbe dell'essere unafunzione o variabile del tempo . . . "3 I I . Ciò che Severino rinviene i n Aristotele per poi derivarne quanto già noto, al­ tro non è che" . . . una necessità del linguaggio umano che per esprimersi e comunicare deve appellarsi cioè riferirsi a contenuti e atteggiamenti dell'esperienza sensibile, anche se i contenuti ed i rapporti sono e restano in­ telligibili cioè spirituali"3 12, qui infatti è in gioco il rapporto fra logica e meta­ fisica; ancora, della dipendenza fra 'modo di predicare' e 'modo di essere' e non tanto il problema del tempo inteso quale 'qualificatore' dell'essere. "L'errore consiste precisamente nell'identificare prima logica e metafisica, poi la metafisica (ch 'è mediazione di ragione) e la realtà ch'è immediatezza di esperienza" 3 1 3 . Ancora una volta appare la derivazione bontadiniana di questo errore nella specifica concezione di essere-ente-niente. In un altro modo dovrebbe essere letto l'Aristotele in questione, evitando di 'violentare' il testo. Infatti quivi "E' ribadita la conclusione che nella sfera della contingenza le due parti dell'alternativa [quando è - quando non è] hanno eguale probabilità di essere ciascuna o vera o falsa" 3 1 4 . In sostanza ritornano le usuali obiezioni e contestazioni intorno al fon­ damento, all'orizzonte trascendentale dell'apparire per il quale -a detta di Fabro- sembra diventare 'inafferrabile' anche lo spazio, dopo che già è stato dissolto l'orizzonte temporale. L'ultimo capitolo mira a'tirare le somme' dell'intera operazione. S i apre con una ripresa critica su Bontadini e soprattutto intorno ad una 'certa svolta' del

309 C. FABRO , L'alienazione . , op. 3 1 0 Ibidem , p. 490. 3 1 1 Ibidem , p. 492. 3 1 2 Ibidem , p . 493 . 3 1 3 Ibidem , p. 496. 3 1 4 Ibidem , p. 499. . .

1 04

cit. , p. 489.

suo pensiero tesa a recuperare il divenire -pur presentandolo sempre come contradditorio- ed 'evocando' il Dio creatore per saldare/sanare tale aporia. Il titolo del secondo paragrafo è già di per sé significativo della direzione verso la quale muove Fabro: "Congedo di Severino dall'Occidente e congedo dal pensiero di Severino " . Si prendono qui in considerazione le tesi fonda­ mentali di Destino della necessità per controbatterie su un piano che , l ungi dall'essere sostanziale, è addirittura minimamente formale : cede infatti allo humor quando non anche, addirittura, al sarcasmo. Solo verso la finale Fabro pone quesiti precisi : "Il mio congedo è sempre e ancora di attesa : in questi ul­ timi scritti ho visto trapelare incertezze, oscillazioni (epanphoterizein), tra il detto e quello che va ancora detto - o non piuttosto tra quello che è stato pos­ sibile dire e quello che non lo è ? " 3 1 5 . Tali precisazioni riguardano un supplemento di indagine intorno a 'ente' , al 'da dove incominciare?', all'identificazione di essere e pen siero, alla neces­ sità3 1 6 . Prima di passare a stringati ssime conclusioni, Fabro espone una serie di 'Domande sen za ri sposta' : essenzialmente intorno all"ambiguità' dell'ope­ razione 'ritorno ai presocratici' ; per riguardo alla 'tensione insolubile d'imme­ diatezza-mediazione' (il problema -cioè- del rapporto tra fenomenologia e logica) . Finalmente la 'Conclusione' : "Posso ripetere, a distanza di quasi tre lustri . . . che il fondo del pensiero non è mutato perché il fondamento è rimasto il me­ desimo : antimetafisico sotto l'aspetto teoretico, anticristiano anzi amorale e ateo . . . sotto l'aspetto etico-religioso " 3 1 7 . Le ultime pubblicazioni, l ungi dal cambiar direzione, intensificano quella già intrapresa che può qualificarsi come 'immanentismo radicale' : Pertanto . . . una volta che si riconosca come si deve, e lo riconosce a suo modo anche Severino, la deviazione essenzialistica in cui è finita non solo la metafisica occidentale ma la stessa filosofia moderna dell'immanenza, il compito del pensiero nel futuro deve essere quello di penetrare l'esigenza autentica di quella proclamata immanenza traendo/a dentro il problema essenziale del pensiero , ché la fondazione dell'ente nell'atto di essere . . . e del finito ne /l'lnJ.rz m· to . . . " 3 1 8 . "

L'orientamento di Fabro consisterà pertanto in un ripen samento - rin­ novamento del 'tomismo essenziale' da con trapporre al compromesso della neoscolastica milanese di realismo-idealismo. 3 1 5 Ibidem , p. 527 . 3 1 6 In queste pagine (529, nota 30), C. Fabro istituisce addirittura una analogia tra la vicenda Bontadini-Severino e quella relativa a Rahner-Kung chiedendosi come in entrambe, pur condannando i rispettivi 'discepoli' l'autorità magisteriale -sorprendentemente- non abbia proceduto anche (ma dovrebbe dirsi'soprattutto' data l'insistenza del Fabro) alla condanna dei due 'maestri'. 3 1 7 C. FABRO, L 'alienazione ... , op. cit. , p. 542. 3 18 Ibidem , p. 542-543.

1 05

S u questa linea si muove un altro metafisico a cui facciamo rapido ri­ ferimento. Trattasi di A . Dalledonne3 1 9 il quale afferma che " . . . l'allo n ­ tanarsi, i n filosofia, persino di u n passo da S. Tommaso, non può causare che rovine teoretiche e teologiche. Ma molti, e lunghissimi, sono i passi che la cosiddetta filosofia neoscolastica o neoclassica ha compiuto e fatto comp iere fuori, ossia contro il tomismo essenziale che è se stesso all'esclusiva condizione di 'cominciare ' con e dal/'ens come reale e concreto p/esso meta.fisico di esse partecipato e di essenza" 3 20 . S tante questo schema interpretativo, la critica verso il filosofo bresciano non può che essere radicale: "Ex opposito, il primo passo decisivo compiuto dal bontadiniano Severino è l'affermazione di un 'essere ' immanentisticamente interpretato come non-nulla, in sostanziale accordo con l'idealismo moderno (oltreché con l'esistenzialismo hiedeggeriano-sartriano) e in sostanziale con­ trasto con Parmenide. Per colpa di questo accordo sparisce la 'differenza on­ tologica ' tra l'ente e l'essere, come pure tra l'essere e il fenomeno, e l'essere precipita . . . nell'insignificanza radicale del nulla radicale" 321 . Secondo A. Dalledonne le con seguenze derivanti da questa prospettiva im­ mediatamente si manifestano nella loro integralità "Che cosa possa sopravvi­ vere, del Cristianesimo, in una disfatta di tanta portata, lo si è visto; ed è fa­ cile capire a/tresi che tutte le empietà immanentistiche della cosiddetta 'morte di D io ' nonché di ogni altro antimetafisicismo contemporaneo laicista e, peggio ancora, pseudo-teologico, ricevono conferma ed incoraggiamento dal nichilismo costitutivo del pensiero del Severino" 3 22 . 4 .2 .4 . Leonardo Messinese. Questo filosofo dell'Università Lateranen se ap­ partiene all'ultima generazione di critici cattolici del pensiero di E . Seve­ rin o323. Concentri amo ora la nostra attenzione prevalentemente intorno all'opera più consistente di Messinese nella quale è affrontata la 'questione capitale' del rapporto essere-divenire letto soprattutto nel testo teoretico fon­ damentale di Severino quale è la Struttura originaria. Se questo può conside­ rarsi l'aspetto specifico, sullo sfondo stanno -e gettano la loro luce- questioni fondamentali, quali principalmente i rapporti tra fede cristiana, metafisica classica e filosofia severiniana. 3 1 9 A. DALLEDONNE, Problematica metafisica nel tomismo essenziale , Roma 1 980. (Per la problematica in esame vedi il cap 7°: L 'essenza del nichilismo nella critica di Emanuele Severino). 3 20 Ibidem, p. 1 08. 3 2 1 Ibidem , p. 1 08. 3 22 Ibidem , pp. 1 08- 1 09. 3 2 3 La sua produzione intorno al pensiero di S everino segue un ritmo crescente. Segnaliamo: L. MESSINESE, Severino e la metafisica classica. Rilievi critici sull'attuale stato della questione, in Aquinas, XXV ( 1 982), pp. 225-268 .L. MES S INESE, Recensione a E. SEVERINO, Destino della necessità, in " Aquinas" , XXV ( 1 982) , pp. 203 -206. L. MES S INESE, Per far continuare un dialogo, In "Rivista di filosofia neoscolastica" , LXXVII ( 1 985) IV, pp. 645-650. L . MESSINESE, Essere e divenire . . op. cit. .

.

1 06

Nella prima parte del saggio in esame -La metafisica e la fede- si vuole " . . . considerare l'opera di Severino all'interno della problematica propria della filosofia cristiana" 3 24 per accogliere il contributo che questo filosofo può offrire in ordine ad un processo di 'rigorizzazione' della metafi sica classica. Quale senso può avere un'operazione così intenzionata quando, nel rapporto tra Severino, la fede cristiana e la metafi sica sono state fatte pun­ tualizzazioni e sono state prese quelle decisioni radicali che ben conosciamo? Messinese stesso avverte la 'pericolosità' dell'operazione e s'affretta subito a fornire elementi di chiarificazione: "Ora, se consideriamo che è proprio l'affermazione della concreta struttura dell'essere a costituire l'essenza della metafisica classica, il discorso severiniano può, e deve, essere inteso come una rigorizzazione di quest'ultima, rigorizzazione che tende ad eliminare quanto, nella formulazione storica della medesima, offusca la purezza dell'affermazione dell'essere" 3 25 . Non solo quindi Severino si muove all'interno della metafisica dell'essere ma, a detta di Messinese, la sua opera è una metafisica dell'essere che non entra in contraddizione con l'esperienza attestata e non trapassa a posizioni immanentistiche. Tutto questo non è certo di poco conto in quanto rappre­ senta il sovvertimento di uno schema -oramai canonico- di leggere Severino in ambito cristiano. E perciò Messinese inizia subito a rendere ragione del suo schema interpretativo ripensando, innanzi tutto, la vicenda della condanna, da parte del Sant'Uffizio, delle tesi di Severino. Invita a considerare la distin­ zione tra res ed enuntiabilia all'interno delle formulazioni della fede questione sulla quale già precedentemente ci siamo soffermati- per concludere -in modo salutarmente provocatorio- che "Sulla base della mai perfetta adeguazione tra res ed enunciatio . . . dal punto di vista teologico, non è esclusa -come esito-limite- la possibilità stessa di revisione del giudizio di non compatibilità tra la filosofia severiniana e il dogma cattolico" 326 . Ed altrettanto deve dirsi sul piano filosofico. Restano aperte ancora due que­ stioni fondamentali -la trascendenza divina e la creazione del mondo- sulle quali, la posizione di Severino risu lta 'ambigua' ma di una ambiguità tale da renderlo irriducibile ad ogni caduta 'panteistica' o 'panenteistica' ; anzi -ed ancora provocatoriamen te- : " . . . se si assume come definizione della 'trascendenza ' che Dio non è mondo e come definizione della 'creazione' che l'ente dipende integralmente nel suo essere da Dio, la filosofia severiniana potrebbe essere addirittura considerata una riproposizione originale di tale ca­ tegorizzazione tradizionale" 321 . Prima di procedere ulteriormente Messinese istruisce il rapporto fede-ragione che -come già annotato- costituisce lo sfondo ultimo delle questioni in esame. 3 24 325 3 26 327

L. MESSINESE, Essere . , op. cit. , p. 25. Ibidem, p. 29. Ibidem, p. 34. Ibidem, p. 35. . .

1 07

Secondo Severino il rapporto armonico tra le due grandezze è 'detto' dalla fede, è un atto di fede; a ciò Messinese replica notando che " . . . la fede, e solo essa, dice certe cose -ad esempio l'armonia tra fede e ragione- ma alcune tra le cose che essa dice hanno un valore che si impone alla ragione naturale libera da presupposti" 3 28 specificando ulteriormente "Ora, il motivo per cui il contenuto affermato dell'atto di fede preso qui in considerazione (= 'la verità filosofica, se è verità, non può essere in contrasto con la verità di fede') non è un mero contenuto 'di fede', ma è anche di 'ragione ', risiede nel rilievo che il Dio che si rivela nella fede è lo stesso Dio affermato dalla ragione naturale, lo stesso Dio che Severino, per suo conto, 'afferma ' senza aver bisogno di un p ro cesso 'dimostrativo ' " 3 2 9 . Per questo la Chiesa non è -da un lato­ depositaria esclusiva della verità filosofica (autonomia della filosofia) ; pur­ tuttavia -dall'altro lato- essa ha il diritto di discutere circa la compatibi­ lità/incompatibilità di una posizione filosofica con la Rivelazione (qui la filo­ sofia 'perde' la sua autonomia in qu anto la fede manifesta la Ragione nella sua totalità). Eviden ziando una terza figura si può uscire dall'empasse : se­ condo Messinese vi è un " . . . 'tertium quid' tra la 'ratio filosofica ' e la pura Jides'; diremmo che sono {quelle in esame] affermazioni dell' 'intellectus !i­ dei', cioè affermazioni 'teologiche ' nel senso tomista, la cui posizione accade solo nell'orizzonte della Jides ', ma la cui struttura è una elaborazione dell' 'intellectus "' 33 0 . Nel gioco tra queste due figure individuate -intellectus fidei, puro intellectus­ la seconda può affermare la sua superiorità in caso di con trasto " . solo se, discutendo esclusivamente sulla Jorma ' della affermazione teologica (= la fi­ des qua), dimentica che /"astrattezza' attuale del suo contenuto lascia aperta la strada per un superamento della verità originaria, ad esempio da parte di al­ cune strutture concettuali 'teologiche ' che procedono dalla 'scientia Dei " ' 33l . La conseguenza che appare presenta la possibilità che il filosofo credente possa stare nella non-contraddizione sia per quanto riguarda il suo aderire alla verità naturale, sia per ciò che ne è del suo accogliere la verità rivelata. Ultimamente il rapporto fede-ragione può così configurarsi: primo caso: "Se la filosofia accetta la fede . . . l'orizzonte che le si contrappone . . . non è tale da essere depotenziato a non-filosofico simpliciter e, quindi, a non vero . . "33 2 ; secondo caso : " . . . se la fede accetta la filosofia, nel senso specifico dell'apparire della verità (razionale), l'orizzonte che le si contrappone costitui­ sce il punto di partenza per la riflessione sulla fede (= la teologia). " La filosofia allarga l 'orizzonte della riflessione sino alla totalità, cioè impedi­ sce di fermarsi nel pensare lafede" 333 . . .

.

"

3 28 Ibidem, p. 3 2 9 Ibidem, p. 33 0 Ibidem, p. 33 l Ibidem, p. 33 2 Ibidem, p. 333 Ibidem, p. 108

40. 40. 42. 43. 44. 44.

Perciò il contrasto -fede ragione- non si dà 'dal di dentro' della fede (possono bensì darsi tesi opposte) in quanto " . . . da un lato la fede salva teoreticamente la verità, immettendola nel circuito della 'totalità' della verità e, dall'altro lato, la ragione salva teoreticamente la fede, impedendole di sclerotizzarsi . . . " 334 anche se -dal punto di vista del filosofo credente- non si può accettare come definitivo alcun sistema filosofico: la totalità della verità 'attualmente' non è data. In conclusione di questa prima parte della sua opera, Messinese dice: "In questo spazio [del sopra delineato rapporto fede-ragione] si inserisce l'indagine sulla metafisica di Severino, sviluppata nelle due parti che seguono su un piano puramente razionale - inteso, però, come 'distinto ' e non 'separato ' da quell'orizzonte ultimo costituito dal p/esso ragione-fede che è, per il filosofo credente, il piano dell'autentica 'considerazione pensante degli oggetti "' 335 . L'inizio della seconda parte - 'L'essere: il fondamento e il sistema'­ segna il passaggio all'esposizione dell'ontologia severiniana colta in modo particolare nella Struttura originaria. Il concetto chiave che guida l'indagine è quello di 'fondamento' che è come dire il 'cominciamento' che niente presup­ pone (e che distingue il metodo della filosofia rispetto a quello delle scienze o del senso comune) . Il primo ambito di esame è l'orizzonte esperienziale nel quale gioca un ruolo centrale il tema dell'immediatezza. " . . . crediamo di poter definire la 'verità ' come l'affermazione del 'ciò che è' o, anche della 'realtà '. Se, poi, ci si chie­ desse cos'è la realtà (= il suo contenuto), risponderemmo che è proprio que­ sta la pretesa della filosofia: rispondere a tale domanda. E la risposta alla do­ manda in questione è possibile solo se quel contenuto appare immediatamente vale a dire 'per sé' e, dunque, se è la realtà stessa a manifestarsi: il dire della filosofia è vero (e, viceversa, la verità è), solo se esso è il dire che la realtà dice di se stessa . La filosofia, il sapere assoluto, se è, non può essere che l'automanifestazione della realtà (questo genitivo è oggettivo e soggettivo) e insieme, automanifestazione incontrovertibile" 33 6 . L'argomento è istruito organizzando il materiale severiniano in sette tesi che di seguito riportiamo: l . L'immediatezza dello speculativo: la verità è l'immediato e l'immediato è la struttura33 7• 2. Il piano metafisico appartiene alla struttura dell'immediato338.

33 4 Ibidem , pp. 44-45. 335 Ibidem, p. 45. 33 6 Ibidem , pp. 52-53 . 33 7 Ibidem , p. 55 (svolta alle pp. 55 -56). 33 8 Ibidem , p. 56 (svolta alle pp. 56-60). 1 09

3 . L'immediatezza del soggetto del giudizio originario (qui è considerato nella sola valenza fenomenologica) è il superamento del presupposto gnoseologi­ stico33 9 . 4. L'immediatezza del logo è la posizione del piano semantico dell" essere' e il superamento concreto della negazione della sua obiettivabilità340. 5 . L'immediatezza del logo concreto è l' autentico superamento dell'aporia parmenidea circa il molteplice: a) a livello di singoli enti341 ; 6 . b ) a livello d i 'struttura' degli enti342. 7 . La 'struttura originaria' è una sintesi di 'immediatezza' e di 'progetto'343 . Il secondo ambito -centrale- (l/ fondamento e la contraddizione) costituisce " . . . il necessario sviluppo logico che consente di passare dal piano dell'esperienza -dove questo termine, si ribadisce, si riferisce all'autentica immediatezza- a quello metafisica e 'teologico "' 344 . Precedentemente era stato indagato il piano -originario- dell'immediatezza fe­ nomenologica (P-immediatezza) la quale però entra ora, in contraddizione con l'altro piano - originario- della immediatezza logic a (L-immediatezza) . L' analisi mira a far emergere come tale contraddizione è ' astratta' (opera dell'intelletto astratto, per dirla hegelianamente) : il toglimento della contraddi­ zione avviene attraverso la 'concreta' considerazione che P-immediato non può essere colto al di fuori, isolatamente da L-immediato (immediatamente immutabile). Su di un'unica tesi si costruisce il capitolo: l . L'autoposizione del piano me­ tafisico è il contenuto di cui la dialettica è forma345 . Il risultato che s'ottiene è . . . l'originarietà . . . del sapere metafisica, proprio perché, come s 'è visto, è L-immediato l'oltrepassamento della 'proble­ maticità' della struttura originaria"346 . Il titolo del terzo capitolo -conclusivo della seconda parte- è già di per sé si­ gnificativo dell'ambito del procedere: 'Il fondamento e la metafisica' , laddove è tematizzata "l'affermazione dell'Essere nella sua pienezza" 341 . Anche qui il procedere avviene per tesi: l . La negazione dell'essere P-immediato è L-immediatamente contraddito­ ria348 . "

339 Ibidem, p. 6 1 (svolta alle pp. 6 1 -73). 340 Ibidem, p. 73 (svolta alle pp. 73-90). 341 Ibidem , p. 90 (svolta al le pp. 90-99) . 342 Ibidem , p. 99 (svolta alle pp. 99- 1 07). 343 Ibidem, p. 107 (svolta alle pp. 1 07- 1 1 1 ). 344 Ibidem, p. 1 1 3. 345 Ibidem, p. 1 14. 346 Ibidem, p. 143. 347 Ibidem , p. 147. 348 Ibidem , p. 147 (svolta alle pp. 1 47- 1 49). 1 10

2. La negazione della presenza dell'essere P-immediato è intrinsecamente contradditoria349 . 3 . La contradditorietà della negazione della presenza dell'essere P-immediato ha valore sintetico e non analitico350. 4. Il principio di non contraddizione ha una valenza ontologica35 1 . 5. La proposizione: 'l'essere (l'intero) è immutabile' , è L-immediata352. 6. La concreta assunzione del principio di non contraddizione è la L-imme­ diatezza dell'affermazione teologica353. 7 . La distinzione tra l'Essere (=Dio) e l'esserci (=mondo) è L-immediata3 54. 8. Il divenire dell'essere non consiste nel suo uscire dal (o entrare nel) nulla, ma nel suo comparire e scomparire355. Nella terza parte - 'Il divenire: il sistema e il problema '- attraverso l'indagine condotta su Essenza del nichilismo, Gli abitatori del tempo, Legge e caso si intende mettere a fuoco i seguenti aspetti : - la tradizione filo sofica occidentale sottoposta a critica i n base al­ l'affermazione costante del divenire inteso in modo nichilistico; - la rigorizzazione speculativa della problematica del divenire; - la rigorizzazione dell' 'apparire' conduce ad una riformulazione del rapporto Dio-mondo. Il primo capitolo - 'La verità e la metafisica come teoria del divenire'- mira ad eviden ziare la 'dimenticanza' del senso dell'essere propria della metafisica, attraverso due tesi: l . L'attualismo è la teoria più rigorosa del divenire dell'essere3 56 . 2. La metafisica greca è una teoria (non rigorosa) del divenire dell'essere357. Con ciò, affermare la metafisica, equivale a porre il suo autotoglimento. Nel secondo capitolo è operata una ricostruzione del dibattito Bontadini-Seve­ rino. Il terzo -ed ultimo- capitolo mira ad una sorta di bilancio critico con la enu­ cleazione delle 'questioni insolute' e la prospettazione di itinerari solutori a partire 'dall'implicito severiniano' . Un primo punto riguarda il 'possibile' esito immanentistico. In Severino non si dà una differenza antologica, stante il fatto che tutto l'essere è eterno; ma . . . esaminando la questione nei termini della tradizionale metafisica che ri­ chiede la giustificazione 'antologica ' dell'ente, la posizione di Severino può essere chiamata a ragione immanentistica . La verità dell 'essere afferma "

349 Ibidem, p. 1 50 (svolta al l e pp. 1 50- 1 5 1 ). 350 Ibidem , p. 1 5 1 (svolta alle pp. 1 5 1 - 1 65). 35 1 Ibidem , p. 1 56 (svolta alle pp. 1 56- 1 7 1 ). 352 Ibidem , p. 1 7 1 (svolta alle pp. 1 7 1 - 1 73). 353 Ibidem , p. 1 73 (svolta alle pp. 1 73- 1 79) . 354 Ibidem , p. 1 79 (svolta alle pp. 1 79- 1 8 1 ). 355 Ibidem , p. 1 8 1 (svolta alle pp. 1 8 1 - 1 85). 35 6 Ibidem , p. 205 (svolta alle pp. 205-208). 357 Ibidem , p. 209 (svolta alle pp. 209-2 1 5). 111

l'eternità di ogni ente, ma tale ammissione sembra condurre ad un esito im­ manentistico, sia pure sui generis" 35 8 . Come può essere superabile l'identificazione di finito/infinito? Si profilano due ipotesi: "l. o in un approfondimento della verità dell'essere tale che non possa essere ammessa l'eternità di ogni ente . . . ; 2 . oppure in un approfondimento dei rapporti tra ente ed Essere, mondo e Dio, ambedue eterni, tale che sia superato l'esito immanentistico" 3 59 . La risposta di Severino è nell'affermazione che la totalità degli enti che ap­ paiono sono -determinatamente- 'l'esito astratto del tutto che si manifesta' . Di contro Messinese, 'con Severino andando oltre Severino' : "Si può affer­ mare . . . che il contenuto dell'apparire, la totalità degli enti, il 'mondo ', pur es­ sendo reale, non ha una consistenza assoluta in senso 'antologico', cioè non è un 'in sé', ma è, per così dire, 'in Dio'. Si tratta in altri termini, di operare una distinzione tra 'antolog ia astratta ' e 'antologia concreta ', dove con la prima intendiamo il mero superamento dell'aporia parmenidea circa la molte­ plicità dell'ente e con la seconda intendiamo l'affermazione L-immmediata dell'astrattezza di quella posizione antologica, astrattezza che deriva dall'assolutizzazione dell'ente mondano . . . come il tutto dell'ente" 3 60 . Per quanto riguarda il rapporto Dio-mondo ne seguirebbe che " . . . la realtà di quel contenuto autentico dell 'apparire che chiamiamo 'mondo ' è tutta nell'essere un insieme di 'particolari ' manifestazioni di Dio" 3 6 1 evitando -con ciò- due esigenze: da un lato - stando al versante della filosofia greca- la po­ stulazione di una materia prima a Dio stesso indipendente; dall'altro lato -il versante della filosofia cristiana- la necessità di una produ zione integrale dell'essere da parte di Dio. Il secondo punto evidenzia le modalità di appartenenza del divenire all'intero. Mentre per la Struttura originaria " . . . che l'essere sia e non possa non essere non significa che il mondo è e non può non essere, ma solo che il mondo non può essere inteso come il luogo del nascere e del perire dell'essere" 3 62 ; nel Poscritto del Ritornare a Parmenide l'affermazione è 'ribaltata' in quanto "D ire che è necessario negare la supposizione che sarebbe potuto non apparire nulla (e che potrebbe non apparire più nulla) significa dire che l'apparire dell'immutabile è necessario, e quindi che è necessario . . . che il mondo esista " 3 6 3 . Tra le due tesi -che appaione contradditorie- non vi è contraddizione, in quan­ to " . . con tale necessità non si vuole dire che Dio, senza il mondo, non sa .

35 8 Ibidem, p. 249. 359 Ibidem, p. 250. 3 60 Ibidem , pp. 25 1 -252. 3 6 l Ibidem, p. 252. 3 6 2 Ibidem, p. 254. 3 6 3 Ibidem, p. 255. 1 12

rebbe più Dio, ma piuttosto che Dio, concretamente pensato, è il Dio-che-si­ manifesta" 364 . Il divenire -perciò- nulla aggiunge all'Immutabile ma, anzi, l'Immutabile stesso è il Tutto dell'essere -et idem- il suo manifestarsi. Il terzo, ed ultimo, punto raccoglie interrogativi che emergono dalla conside­ razione della realtà mondana : "Come si passa dall'Apparire trascendentale all'apparire attuale, che è una coscienzafinita? "3 65 che equivale a domandarsi il perché, accanto alla verità assoluta (autocoscienza divina), vi sia la verità parziale (autocoscienza umana) e quindi "Perché l'apparire attuale non è l'apparire della totalità dell'essere ? Perché la mia esperienza non ha come contenuto Dio, ma il mondo ? " 3 66 . A detta di Messinese, Severino al più istruisce che l'essere debba apparire ma non che l'esito dell'apparire debba essere il mondo. Nell' 'Epilogo' Messinese delinea ulteriormente la 'sfruttabilità' del pensiero severiniano all'interno del pensare la fede . Per Severino " . . . il filo­ sofo è l'apparire della 'struttura originaria' della verità, ma allora, proprio per questo, egli è anche l'apparire della 'fede' in ciò che supera l'originario . Da questo punto di vista non sembra azzardato un parallelismo tra la filosofia in­ tesa dalla tradizione come 'p raeambulum fidei' e la filosofia intesa da Severino come 'struttura originaria ', e non totale, della verità" 3 67 . L'incompatibilità fra i due piani (religioso-filosofico) non potrà -perciò- insi­ stere sulla rivendicazione veritativa che Severino applica al suo filosofare "Infatti, se della verità fosse unica depositaria la filosofia (anzi, la sua filoso­ fia), è chiaro che ogni discorso di natura religiosa sarebbe escluso in partenza. Ma la filosofia, s'è detto, è per Severino soltanto la struttura originaria della verità, non la sua manifestazione totale. La filosofia, in quanto filo-so­ fia, giudica ciò che si oppone alla struttura originaria della verità, ma non ri­ vela quest'ultima nella sua concretezza" 3 6 8 . Formaliter, la filosofia severiniana non si oppone al piano religioso. Messi­ nese avverte, successivamente, la positività delle provocazioni del nostro in ordine alla rigorizzazione e non alla ripetizione delle tesi metafisiche. Infine i limiti: "Essa [filosofia di Severino], però, dopo aver criticato le cate­ gorie fondamentali della filosofia classica lsoprattutto la contradditoria posi­ zione della nientificazione dell'essere], non fornisce una valida categorizza­ zione dei contenuti 'fenomenologici', in particolare di quelli che abbiamo esaminato più approfonditamente (io, mondo, divenire)" 3 69 .

3 64 365 3 66 367 368 3 69

Ibidem , Ibidem , Ibidem, Ibidem , Ibidem , Ibidem ,

p. 256.

p. 258. p. 258. p. 262. p. 262. p. 264.

1 13

Il compito inevaso resta perciò quello di assicurare un nuovo fondamento 'al soggetto finito', alla 'coscienza finita' alla luce di una compren sione di essa effettuata al di fuori dell'alienazione dell'Occidente. 4 .2 .5. Carlo Scilironi. L'attenzione che Scilironi ha dedicato al pensiero di Severino è stata continua nell'arco di quasi un decennio370. Oltre a contributi di esposizione globale e di critica, il filosofo padovano si è impegnato in di­ scussioni su aspetti specifici delle tesi severiniane. Intendiamo qui alludere ad un notevole saggio sul tema della 'Possibilità e del fondamento della fede' con il quale intendiamo iniziare que sto paragrafo, non fosse altro per l'originalità del procedere: Scilironi istruisce il confronto tra le proposizioni severiniane e quelle di colui che ha tutti i titoli per essere considerato il più grande teologo di questo secolo: K. Barth 37 1 . Di questa articolata esposizione ci interessano -ai fini della nostra ricerca- i due ultimi paragrafi: la Sintesi cri­ tica e la Teoria de/fondamento della fede. Il pensiero sulla fede di Barth viene sintetizzato in cinque tesi: "l . la fede cristiana come apriori divino: è la fede come puro inizio, creazione origi­ naria, radicale miracolo, che ha Dio solo come causa e movente; 2 . la fede come evento: è la centralità del kerygma, ovvero l'essenzialità del momento oggettivo della fede rispetto a quello soggettivo; 3. la fede come conoscenza: è il significato più propriamente umano della fede . . . ; 4. la fede come storia: è il senso pratico della fede . . . ; 5. la fede come autodimostratività, autosuffi­ cenza ed autofondazione, per cui non la si può dedurre né inferire, perché la Parola di Dio ha in se stessa la propria forza, quella ragion d'essere cioè e quella persuasività che non dipendono dalle disposizioni psicologiche dell'uomo, ma solo dall'inappellabile giudizio divino" 37 2. La novità radicale rispetto alla 'teologia preambolare' -mirante cioè ad istruire uno schema di plausibilità del credere per poi, qui vi, impiantare il credere cri-

370 Segnaliamo, in ordine cronologico: C. SCILIRONI, Ontologia e storia nel pensiero di Emanuele Severino, Abano Terme, PD, 1 980. C. SCILIRONI, Coerenza sintattica e insignijicanza semantica nel pensiero di Emanuele Severino, in "Verifiche" IX ( 1 980) , pp. 253-289. C. SCILIRONI, Necessità del significato e destino de/ linguaggio in E. Severino, in "Sapienza", XXXVII ( 1 984) , pp. 4 1 5 -432. C. SCILIRONI , Possibilità e fondamento della fede: K. Barth e E. Severino l/11 , in "Sapienza" , XXXIV ( 1 984) , pp. 339-353; 45648 1 . C. S CILIRONI, Tra destino e simulacro in cammino verso il pensiero, in "Studia Patavina" , XXXII ( 1 985), II, pp. 29 1 -329. C. SCILIRONI, Atto , destino e storia. Studi su Emanuele Severino, PD, 1988. 3 7 1 E' lo stesso S everino a testimoniare il rilievo di K . B arth nella teologia contemporanea. Scrive il nostro: ... è senz'altro equilibrato il giudizio che vede in Barth una delle più grandi opere del pensiero moderno e forse la produzione sistematica più importante del secolo ventesimo . . . Barth ha compiuto uno dei tentativi maggiori per prendere formalm ente commiato da ogni sorta di teologia naturale , per aderire esclusivamente al Dio che si è rivelato in Gesù Cristo... " Così recensendo sul Corriere della Sera del 1 8/4/1 984 la traduzione italiana della Dottrina dell'elezione divina. 37 2 C. SCILIRONI, Possibilità . . . , op. cit. , p. 469. "

1 14

stiano- è del tutto evidente " . . . per Barth il problema della 'possibilità ' della fede si traduce in quello del suo 'fondamento "' 3 13 . Anche il pensiero di Severino intorno alla fede viene contratto in quattro tesi fondamentali: "1 . 'fede ' nel suo significato originario e generale indica ciò che è falso o ciò che non si sa attualmente se sia vero o falso, e dunque costituisce problema; 2 . tra fede e ragione vi è opposizione: l'una è assenza di dubbio, l'altra ne è applicazione metodica . La contraddizione tra il credere ed il filosofare è implicitamente contenuta, pur non essendo riconosciuta come tale, nei testi di S. Tommaso, ai quali si rifà la Chiesa; 3. lafede cristiana (la fede disciolta dal dubbio) non esiste e non può esistere: è un 'impossibilità simpliciter; 4 . ciò che esiste è la violenza e la intolleranza della fede, ovvero il suo porsi come ciò che essa non è, come verità. In questo senso oggi tutto èfede" 314 . Prima di passare all'ultimo paragrafo, Scilironi, muove alcuni addebiti nei confronti delle due posizioni poste a confronto. Innanzitutto si chiede a Barth quali motivazioni debbano inerire all' 'oggetto kerygmatico' affinché si dia incontrovertibilmente- il riconoscimento del suo essere apriori divino. La so­ luzione barthiana nella linea della evocazione della dottrina teologica della predestinazione non soddisfa il 'come' del kerygma. Per quanto riguarda Se­ verino è posta in discussione l'interpretazione che è fornita dei concetti di ve­ rità e ragione. Quest'ultima ha un uso 'univoco' tale da produrre un 'riduzionismo' che " . .. finisce col legare arbitrariamente il vero alla costritti­ vità logica" 3 15 . Inoltre si vuoi controbattere la soluzione severiniana del rapporto fede ragione che -secondo la prospettiva tomista- è pensato dal punto di vista della fede. "Ora, questa considerazione, senz 'altro legittima in un determinato senso, non lo è poi in tutto e per tutto, perché il concetto di fede che Severino adotta non corrisponde a quello usato da Tommaso, per il quale la fede, l ungi dall'indicare ciò che è falso, ha per oggetto la verità prima, abbisogna della ragione perché il credere è 'cum assensione cogitare ', e non è solo del so ­ prannaturale, ma anche del naturale" 316 . Scilironi si chiede -infine- perché Severino non abbia ancora mostrato perché la verità sia prerogativa della ragione e non anche della fede. Finalmente l'attenzione è puntata su alcune interpretazioni di brani biblici (affermazioni sulla fede da parte di Gesù) definite 'p iuttosto strane' . Ora Scilironi passa a costruire una teoria del fondamento della fede (cristiana, ma anche ' generale' ) usufruendo proprio della già di scusse tesi barthiane e severiniane. Gli asserti fondamentali intorno ai quali si articola la proposta sono: 37 3 3 74 375 37 6

Ibidem , Ibidem , Ibidem , Ibidem ,

p. 469. p. 470. p. 47 1 .

p. 472.

1 15

"1. la 'fede in generale' è una necessità inalienabile per l'uomo; 2. la sua struttura originaria è la problematicità;

3 . essafonda (anche) la possibilità dellafede cristiana; 4. il fondamento di quest'ultima è di carattere ermeneutico" 371 .

Immediatamente si evidenzia il 'debito' severiniano delle prime tre tesi e quello barthiano dell'ultima. Le riprendiamo seguendo la sequenza offerta da Scilironi. In prima istanza si afferma che il carattere generale della fede è strutturalmente legato all'esperienza umana: persuasione, certezza, credenza, convinzione, fiducia, costituiscono un ben determinato p lesso che non s'oppone alla verità ma ne è una specifica determinazione. A conferma di quanto appena detto vi è, innanzitutto, una prova fenomenologica ed, anche, il ritenere che la 'condizione' dell'uomo non possa essere altrimenti che questa: "La ragione di ciò è duplice: da una parte è dovuta al carattere discorsivo [processuale] del conoscere umano, dall'altra a/fatto che la totalità non appare e non può appa­ rire" 3 1 8 . S u questa 'disequazione' tra essere ed apparire si fonda la possibilità della fede. Ciò trova riprova ontologica nello stesso Severino: "Ma se, come ha ef­ ficacemente mostrato Severino nei suoi studi teoretici, qualsiasi cosa si verifi­ casse, noi sappiamo che il 'tutto non potrebbe mai entrare nell'apparire', per ilfatto che, se il tutto già da sempre appare in un apparire che non è l'apparire attuale, quest'ultimo, l'apparire attuale, finito, non può diventare l'apparire infinito del tutto, allora, essendo la relazione della pane al tutto necessaria ma non comparendo, ne viene che l'apparire della parte come in un mancamento, ossia priva di qualcosa che le è essenziale, la relazione al tutto appunto, non è già più quel vedere originario ed esaustivo che solo è il venir meno della fede, ma il radicamento più profondo della fede stessa, ovvero il suo fondamento antologico. Di qui la necessità dellafede" 3 19 . Per quanto attiene alla struttura problematica della fede: stante la mancanza di prova 'logico-costrittiva' in ordine alla realtà cui è prestato l'assenso, la fede è radicale problematicità; il credere è perciò strettamente legato al dubitare, il credere inoltre non è un dato originario ma un significato, un'interpretazione; il credere, infine, è costruito su un'architettura di domandare e rispondere mai pienamente adeguati. Ne segue che : "Come l'apparire finito {l'orizzonte fe­ nomenologico di cui al punto 1 .] costituisce il fondamento antologico della fede, così il dubbio e la problematicità radicale ne costituiscono il fondamento epistemologico" 3 80 . Il terzo passaggio era contrassegnato dalla 'possibilità della fede cristiana' . Dalla necessità della fede in generale si deduce, immediatamente, la pos sibilità delle varie fedi particolari , evitando così il ricorso a 'tesi 37 ? Ibidem , p. 473. 3? 8 Ibidem , p. 474. 379 Ibidem , p. 475. 3 80 Ibidem , p. 476. 1 16

preambolari'. In questo modo: " . . . è escluso dall'ambito della fede cristiana qualsiasi tentativo di esaurire il significato dell'evento negli angusti limiti del segno che lo indica" 3 8 1 evitando così la soluzione razionalistica, da un lato, e l'esito soggettivistico dall'altro. L'ultimo aspetto riguarda il 'fondamento ermeneutico'. La questione verte intorno al fatto "se ci si debba decidere per la fede, e per la fede cristiana . . . Si tratta in altre parole di giustificare il passaggio dal possibile all'esistenziale nell'ambito della fede" 3 82 per arrivare a mostrare -appunto- che il fondamento specifico della fede cristiana è di carattere ermeneutico. Tutto ciò è svolto in due momenti: l ) Dal dato al significato: non vi sono dati 'puri' , il dato è già sempre un interpretato; di qui la struttura circolare del conoscere. "Orbene, anche il dato di fede diventa significativo all'interno di questa generale strut­ tura ermeneutica, ma con delle sue caratteristiche peculiari, riconducibili ad un 'eccedenza di significato, che costituisce l'omne punctum del problema della fede " 3 8 3 . Nella fede l'eccedenza sta a dire che -rispetto alla struttura ermeneutica gene­ rale- la distanza dato- significato è maggiore "Il dubbio e la perplessità, che sono in proporzione alla distanza che separa il dato dal significato, risultano cosi notevolmente superiori nel caso del problema della fede religiosa che non nel caso de/ linguaggio ordinario . . . " 3 84 . Il secondo momento riguarda il passaggio 2) dal riconoscimento alla deci­ sione. Ci troviamo qui nell'area lasciata 'aperta' da Barth e relativa all' 'autotrasparenza' del dato. Orbene: " . l'autofondazione del nesso tra il segno e il designato non s 'aggancia direttamente alla ragione antologica, che costi­ tuisce, come si è visto, il fondamento metafisica della fede in generale, ma alla ragione storica, cioè alla prassi" 385 . Ne segue che solo la prassi può rendere significativo il segno della fede "In sostanza, dire che la struttura ermeneutica generale si radica nell'ermeneutica della storia, significa riconoscere che l'autofondazione che lega il dato al si­ gnificato e lo fa riconoscere, non è la logica deduttiva, ma la logica della te­ stimonianza. Storia, prassi, testimonianza dunque mediano la fede nel pas­ saggio dalla sua semplice possibilità alla sua realtà effettuale"3 8 6 . .

.

Siamo già in grado -a questo punto della nostra analisi- di evidenziare un fatto di estrema importanza: una sorta di inversione della tendenza nell'approccio alle tesi severiniane. Ancorché l'attacco ai fondamenti in nome di un'altra prospettiva, si predilige l'utilizzazione di quegli stessi fondamenti per costruire il sapere della fede. L'incipit dell'operazione ci sembra sia ve3 8 1 Ibidem , pp. 476-477. 3 8 2 Ibidem , p. 477. 3 8 3 Ibidem , p. 479. 3 84 Ibidem , pp. 479-480. 3 8 5 Ibidem , p. 480. 3 86 Ibidem , p. 48 1 . 1 17

nuto dalle proposte di L. Messinese, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto teoretico (in particolare la Struttura originaria); con C. Scilironi ci troviamo nella linea di un approfondimento, di una applicazione della metodologia pro­ prio in quel versante che vide la polemica molto rovente soprattutto intorno agli anni '7()3 8 7. Su tutto questo ritorneremo in sede conclusiva. Prima di congedarci dalle rifles sioni di Scilironi prendiamo in considerazione la prima parte del suo recentissimo saggio3 88 nella quale è operata un'esplorazione dei 'Motivi teorici essenziali del/a formazione e della prima filosofia di Severino ' individu ata negli anni 1 948- 1 9 5 8 . Tutta l'indagine è racchiusa sotto un titolo di per sé significativo: 'Dalla rilevanza dell'Atto alla centralità del Destino'. E' proprio intorno all'attualismo gentiliano che si muove il primo filosofare severiniano : "Che storicamente il riferimento primo vada a Gentile è fuori dubbio : è da lui, e dalle varie riproposizioni operate dalla cultura del Nove­ cento, che Severino ha tratto il motivo della centralità dell'Atto, riuscendo poi a scandagliare con rara competenza la profondità teoretica" 3 89 . In questa sede è ripreso il teorema idealistico della 'riduzione' dell'e ssere nel pensiero e ne è operata una risoluzione definitiva il cui esito è l'affermazione dell'unità di pensante e pensato con l'inevitabile e con seguente superamento di ogni dualismo. Il tramite attraverso cui Severino incontra l' attualismo fu G. Bontadini3 9 °: "Nella neoscolastica il primo a porsi in questa linea è stato senz 'altro Bonta­ dini, del quale il Severino dei primi studi può essere considerato una filia­ zione, senza che con questo gli sia tolto nulla quanto a merito e origina­ lità" 39 1 . In questa prima fase il nostro aderisce alla posizione neoclassica la quale opera il recupero della tradizione aristotelico-tomista, ma all'interno della specificità propria della modernità: l'unità dell'esperienza; l'unità originaria di pensante e pensato in atto. Nei saggi di questa fase che Scilironi prende in considerazione3 9 2 rileva la 'posizione dell'Atto', la 'fenomenologia dell'Atto' per giungere ad esplicitare 3 8 7 S u questa vicenda sofferma la sua attenzione in un'altra parte delle sue opere. Se natamente C. SCILIRONI, O nto /ogia . . . , op. cit., soprattutto alla pp. 76-82. 3 8 C. SCILIRONI, Atto . . , op. ci t. 389 Ibidem, p. 7. 39 0 Cfr. la ricostruzione delle vicende della recente filosofia italiana in E. GARIN , Agonia e morte nell 'idealismo italiano. In AA.VV. , La filosofia italiana . . , op. cit. , pp. 3-29 (ma soprattutto alla p. 27) . 39 1 C. SCILIRONI, Atto . . . , op. cit., p. 9. 39 2 I riferimenti vanno a: E. SEVERINO, Note sul problematicismo italiano, BS, 1 950; E. SEVERINO , Note sulla filosofia di U. Spirito, in "Rivista rosminiana" , 1 948; E. SEVERINO, Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, in "Rivista rosminiana" , 1950; E. SEVERINO, Heidegger e la metafisica, BS, 1950; E . SEVERINO, La struttura dell'essere , in "Rivista di filosofia neoscolastica" , XLII ( 1 950), pp. 385-4 1 1 .

f

.

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1 18

una serie di considerazioni sul rapporto 'trascendenza-immanenza' che ben si collocano nel quadro dell'esame che andiamo compiendo. Il rapporto in questione genera antinomie: " . . . alterità dell'essere al pensiero da una parte, risoluzione dell'essere nel pensiero dall 'altra "393 la cui soluzione può essere data solamente ponendosi alla ricerca di un ' senso ulteriore' che superi l'identità e l'al terità: "questo senso ulteriore consiste

nella risoluzione definita dell'identità data di essere e pensiero, che si costituisce come posizione dell'identità tra l'Atto e l'Assoluto. L'immanenza è cioè il passaggio dal significato fenomenolog ico al significato teologico dell'A tto" 394•

Con ciò si sono superate due difficoltà: quella proveniente dalla filosofia classica che non ha tematizzato la base della propria indagine e quella prove­ niente dalla filosofia moderna che ha assolutizzato (arre standosi) l'inesplorato della posizione classica. L'Atto viene perciò ad essere il punto di partenza del problema dell'Assoluto. Un inizio 'necessario' : "Un inizio per essere necessariamente tale non deve

presupporre nulla a sé, ossia deve essere presenza immediata; ma presenza immediata è proprio l'originario fenomenologico, il dato originario . . . , quindi, in una parola l'A tto"395 .

I successivi passaggi con sequenziali vengono così evocati : nella presenza dell'ente è la presenza della totalità; la necessità della totalità comporta quella del fondamento, il quale -essendo necessario- si pone come eterno. Esclu­ dendo perciò ogni potenza e divenire. Col che appare chiaramente che i temi della successiva speculazione severi­ niana se ne stanno -in nuce- tutti qui raccolti.

4.2.6. Italo Mancini. Ci interssano le reazioniJ96 del filosofo urbinate perché

consideriamo singolare la sua presen za nel contesto della cultura italiana: l'in sonne tentativo di portare la filosofi a all'interno del dibattito teologico e, viceversa, di introdurre la teologia all'interno della ricerca filosofica. Due sono gli addebiti mossi alle tesi severi niane : intorno alla 'neutralità' della parola; riguardo al modo di pen sare la metafisica. Circa il primo aspetto Mancini risale alla proposizione della presunta possibilità dello stare della parola nella 'radura ' che precede il 'sentiero del Giorno ' e quello della 'Notte '. Una parola 'neutra ' e quindi , appunto, di sponibile ad entrambe le prospettive. Una parola che diventa 'problema autentico' a condizione di essere letta fuoriuscendo dalla comprensione metafi sica ( e dalla stessa erme­ neutica, nel quadro della cui istituzione Mancini sta riflettendo).

393 394 39 5 396

C. SCILIRONI, A tto ... , op. cit. , p. 1 4 . Ibidem , pp. 14- 1 5 . Ibidem, p . 1 5 . Per il tema i n esame consideriamo: I. MANCINI, Filosofia della religione, Roma (senza data) , soprattutto alle pp. 325; 364-369 ; I. MANCINI, Teologia Ideologia Utopia , B S , 1 974, soprattutto alle pp. 1 69- 1 70; 1 86; 404.

1 19

La reazione dell'urbinate è chiara nell'affermare che la parola intenziona real­ mente. Si chiede infatti : "Non esiste una sequenza intenzionale tra parola

pensiero e cosa, per cui ogni parola è espressiva in modo profondo e natu­ rale ? A me sembra di sì. Per Severino invece ... "397 . La critica è spinta al fondo, alla ricerca di che cosa -di quale condizione- stia

alla radice di siffatta considerazione dell' 'essenziale ambiguità' della parola. Essa è reperita nel ritenere il linguaggio convenzionalisticamente alla stregua dei neopositivisti, al di fuori quindi di qualsivoglia prospettiva veritativa. Ne segue il ben noto risultato severiniano che viene da Mancini così sintetizzato: "Le parole del sacro, sono per sé, 'in equilibrio dell'ambiguità '; se, come fin

qui s'è fatto nella fallimentare cultura dell'Occidente e nella strutturazione oc­ cidentale del cristianesimo, diventano 'preda ' dell'interpretazione metafisica, finiscono in assurdo; se, invece, sono lette dentro il sentiero del Giorno, che è la via della verità dell'essere, allora, pur restando escluse dall'area della ve­ rità, danno luogo a problemi autentici, a possibili interrogativi"398 .

La seconda questione disputata riguarda la metafisica. Vi è una prima asser­ zione di carattere storico: è ricusata l'interpretazione severiniana tendente a dimostrare che l'attuale civiltà scientifico-tecnologica sia l'esito del dominio metafisico. Tale ricusazione è fatta nel nome di Marcuse. Vi è però una se­ conda -e maggiormente decisiva- obiezione: "Anche Severino non sfugge alla

situazione metafisica. In quanto afferma che l'essere non coincide col suo ap­ parire. L'apparire è allora diverso dall'essere tanto è vero che l'apparire non è mai di tutto l'essere. L'essere non coincide con ciò che appare e ciò che ap ­ pare non coincide con l'essere. Cos 'è allora il diverso dall'essere ? A lmeno sulla linea dell'apparire, è certo qualcosa di altro da ciò che è e che non ap­ pare"399. Dal che Mancini conclude che l'apparire è l' 'antagonista ', 'limitazione ' alla manifestazione dell'essere nella sua totalità: "Al dualismo dunque non si sfugge; a quello anzitutto che mette capo all'essere che appare e a quello che non appare; e soprattutto a quel dualismo, che lo radica, fra l'essere che ap­ pare e ciò che non gli permette di apparire . . . "400.

E' lo stesso filosofo urbinate a sintetizzare lo status quaestionis del suo dia­ logo con Severino: " Quello che ci divide da Severino non è il rapporto tra

Kerygma e verità, perché anche noi abbiamo teorizzato la metafisica come schema della possibilità; quello che ci divide è la metafisica, o la delineazione non metafisica del sentiero del Giorno, per cui vengono detti assurdi i termini cherigmatici metafisicamente interpretati. E ci divide, in radice, l'enneneutica o la tesi neopositivistica della neutralità de/ linguaggio; contro cui facciamo

397 I. MANCINI, Filosofia . . , op. cit., 39 8 Ibidem , p. 367. 399 Ibidem , p. 365. 400 Ibidem , p. 365 . .

1 20

p. 366.

valere la tesi della naturale intenzionalità della parola. La parola implica una sequenza intenzionale con il logo e con la cosa"40 I .

L'ultima questione sulla quale vogliamo attirare l'attenzione riguarda il modo di concepire la fede: mentre già conosciamo la tesi severiniana che intende la fede come lo stare dentro la contraddizione, Mancini oppone il suo pensare la fede quale: "non poter dimostrare di star fuori dalla contraddizione. Nella

fede non si può escludere la contradditorietà del contrario"402.

4.3. La divulgazione cattolica. A completamento della ricognizione delle rea­ zioni dell'ambiente cattolico al pensiero di E. Severino, ci occupiamo dell' area della 'divulgazione' per esaminare quanto e come le tesi del nostro filosofo siano entrate nella più vasta circolazione. Già abbiamo visto come in particolari occasioni -la vicenda romana, la querelle intorno alla preghiera- il cattolicesimo italiano, attraverso la sua stampa, abbia dato notevole spazio al dibattito cercando , anche, di andare u n po' ol tre i l ' senzazionale' . L'attenzione è rimasta pur tuttavia costante al di fuori di questi fatti specifici, e di questa noi vogliamo dare prova. Innanzitutto è da segnalare la frequenza con la quale il quotidiano cat­ tolico italiano "Avvenire" segue, sia l'uscita delle opere di Severino, come pure la sua partecipazione al dibattito socio-culturale attraverso i convegni, gli articoli, le prese di posizione. Già nel 1983 il quotidiano in questione diede ampio spazio al 'processo alla filosofia' e al contradditorio tra Severino e Bontadini403. Ma è soprattutto in occasione di articoli nei quali si mira a focalizzare le grandi questioni dibattute all'interno del panorama filosofico italiano (ed internazionale) che puntual­ mente compare un riferimento esplicito -e sovente anche articolato- ad E. Severino. Segnaliamo a questo riguardo due articoli del 1 985404. Di diverso tenore è la presenza severiniana all'interno di un altro 'atipico' quotidiano italiano. Alludiamo all"'Osservatore Romano ". La specificità di questi riferimenti consiste nella caratteristica di una maggiore rigorosità e pre­ cisione. Si tratta soprattutto di recensioni -molto puntuali e affidate a noti fi­ losofi italiani- delle opere severiniane più recenti405. 40 1 Ibidem , p. 369.

402 Ibidem , pp. 364-365.

403 In "Avvenire", 30/3/1983, art. di A. Bongiomo, Il processo alla cultura ha condannato

Severino. 404 In "Avvenire" , 1 6/4/1985, art. di A. Giacobino, Nuovi linguaggi dell'essere. Inoltre il 7/4/1985, lo stesso scrive: "E l'Italia torna a ragionare" . L'attenzione di questo quotidiano alle tesi del nostro è stata costante in questi anni. Segnaliamo a questo proposito gli ultimi articoli apparsi: 28/6/1 988, R. Righetto, E qui sbagli, Severino; 1 / 1 2/1988, C. Dignola, Ma per i filosofi il sociale crea angoscia. 405 In "Osservatore Romano" , 25/1 1/1 979, C. Allegro, Legge e caso . Inoltre il 5/l l/1 980 interviene V. Vettori, La Techne'. Con essa e per essa verso il nulla. Mentre la prima è una recensione dell'omonimo saggio di Severino, la seconda è una presa di posizione su Destino della necessità.

121

S egnaliamo infine -per quanto riguarda i quotidiani- articoli-recensioni apparsi sul "Popolo" a firma di B. Mondin. Un altro livello riguarda i periodici cattolici che possiamo considerare un intermedio fra la grande divulgazione e le riviste culturali406. Ebbene an­ che in questo ambito possiamo registrare espliciti riferimenti alle tesi soste­ nute dal nostro filosofo407. Ci interessa -purtuttavia- sostare ad un più alto livello che abbiamo de­ nominato delle riviste culturali e che vanta una lunga presenza ed incidenza nel più vasto panorama della cultura italiana408. Apriamo questo settore se­ gnalando un grave silenzio in quella che viene considerata la più prestigiosa rivista cattolica italiana La Civiltà Cattolica . Mai questa si è occupata esplici­ tamente e direttamente del nostro se non con una nota409 e una recensione di un saggio su Severino4 1 0. Il silenzio è tanto più grave alla luce del fatto che tra gli obiettivi di questa rivista vi è, appunto, la presentazione critica di tutti gli aspetti della vita italiana: al di là della condivisibilità o meno delle tesi severiniane, ci sembra oramai acquisita la sua appartenenza a pieno titolo all'interno di questo contesto. Di contro, estremamente ampia e circostanziata è la presenza in un'altra 'tradizionale' rivista: ci riferiamo ora ai quaderni di Humanitas. Segnaliamo i diversi interventi di G. Penati41 1 il quale, peraltro, già fece sentire la sua voce proprio agli inizi del dibattito apertosi col 'R itornare a Parmenide' sulla rivista dell'Università Cattolica di Milano41 2. La stessa rivista produce una vivace reazione all'indomani dell'uscita di Te­ chne41 3 per indurre ad una sorta di maggior cautela all'interno di una critica 406 Alludiamo particolann ente a "Il Regno" , "Rocca" che nel panorama attuale hanno maggiore diffusione.

è aperto un dibattito sul pensiero di E. Severino nel periodico "Il Sabato". Segnaliamo: R. B onacina, La verità non è un cachet, 29 Ottobre 1 988, no 44. Editoriale, I giudizi di Severino, 5 Novembre 1 988, n° 45. 408 Ci riferiamo a: "Civiltà Cattolica", "Humanitas", "Studium" , "Vita e pensiero" . 409 A. CARUSO, Interrogativi e risposte sulle radici della violenza, 1 986, q. 3089 ( 1 979) , p. 497. 4 1 0 Recensione di A. Blandino al saggio di L. Messinese nel q. 3276 ( 1 986) , pp. 6 1 9-620. 4 1 1 Alcune allusioni in G. PENA TI, Il primo Bontadini e il problema metaftsico-teologico, in "Humanitas", ( 1 980) 3, pp. 405-4 17. Ma soprattutto in G. PENATI, La ragione e la fede in alcune prospettive attuali., in " Humanitas" ( 1 98 1 ) 3 , pp. 402-4 10. (Il riferimento è soprattutto a Gli abitatori del tempo). Si propone -all'interno del dibattito sul nichilismo­ una recensione di Essenza del nichilismo: G. PENATI , Essenza del nichilismo . Essere e divenire in Severino, in "Humanitas" ( 1 983) l , pp. 1 1 6- 1 2 1 . Infine segnaliamo una recensione dell'ultimo volume della trilogia sulla storia della fi losofia apparsa in "Humanitas" ( 1 986) l , pp. 954-956. 4 1 2 G. PENATI, Appunti metodo logico-critici circa il contenuto del senso dell'essere, in "Rivista di filosofia neoscolastica", LVII (1 965) pp. 278-283. 4 1 3 M . FORNARO, Tecnica e nichilismo. A proposito di un nuovo saggio di Emanuele Severino, in "Humanitas" ( 1 979) 6, pp. 733-738.

407 Proprio in questi ultimi tempi si

1 22

radicale della civiltà della tecnica, per difendere il fatto cristiano e per contra­ stare la tesi della 'matrice' greca del nichilismo. Ci sembra doveroso segnalare un interessante 'mappa' delle varie forme di nichilismo circolanti4 I4 nella quale il nostro è istruito all'interno della catego­ rizzazione che presenta i superamenti del nichilismo medesimo: 'Oltre il nichilismo' recita il titolo del paragrafo in questione. Infine una radicale -e negativa- presa di posizione occasionata dagli articoli di Severino sulla violenza degli anni '8()41 5 . Data l'imponenza del materiale a disposizione consideriamo le presenti note sufficenti a giustificare due affermazioni conclusive: - Da un punto di vista formale possiamo riscontrare, con sufficente tranquil­ lità,una recezione avvenuta: prima di effettuare qualsivoglia apprezzamento ci sembra di poter dire che le tesi severiniane sono entrate pienamente nel pen­ siero cattolico contemporaneo sia (come abbiamo già visto) a livello teoretico (anche se poi poco riflettute) , come pure a livello di quello che 'provvi­ soriamente' vorremmo definire pensiero cattolico diffuso. - Ciò detto siamo introdotti alla seconda affermazione di carattere maggior­ mente sostanziale. L'interrogativo sintetico potrebbe essere così formulato: Cosa è stato recepito in questo ambito? Anche qui possiamo procedere age­ volmente alla risposta: ci si è occupati principalmente dell'ultimo Severino, di quello cioè che -a partire dalle premesse poste nei grandi saggi teoretici-fon­ dativi- formula delle letture molto precise del 'contemporaneo' : certamente dei fatti relativi al credere cristiano organizzato, ma anche e soprattutto del domi­ nio scientifico-tecnologico, del tramonto dei grandi sistemi ideologici, della pace e della guerra . . . Tutto ciò può costituire significativa testimonianza d i u n diverso atteggia­ mento del cattolicesimo italiano di fronte al 'secolo' : la lezione conciliare della imprescindibilità della lettura dei 'segni del tempo' sembra procedere nella li­ nea di un atteggiamento diffuso. Interessante potrebbe risultare -a questo proposito- l'analisi di due testi 'contemporanei' per datazione ed argomento: da un lato il recentissimo saggio del nostro sulla Tendenza fondamentale del nostro tempo4 1 6 e, dall'altro, la recente Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis.

Tuttavia -in sede di conclusioni- ci sembra di dover avanzare un so­ spetto: non è forse grande la tentazione di leggere questo 'secondo Severino' senza tenere in alcuna con siderazione il 'primo' . Ci chiediamo, cioè, se sono comprensibili le 'conclu sioni' disancorate dalle 'premesse'. Cosa rimane dei 'corollari' se si perde di vista il 'nucleo' da cui sono originati?

4 1 4 C. BERTO, Il problema del nichilismo in alcuni interpreti italiani di Nietzsche, in "Humanitas " , ( 1 982) l , pp. 8 1 -96.

415 G. CRISTINI, L 'orgia della ragione. In margine a un articolo di Emanuele Severino, in "Humanitas " , ( 1 980) 2, pp. 266-272.

41 6 E. SEVERINO, La tendenza fondamentale del nostro tempo, MI, 1988.

1 23

Sezione Seconda - Parte Seconda

BILANCIO CRITICO DELLE REA ZIONI

Ci sembra che -per il primo versante- gli addebiti mossi alle tesi seve­ riniane si concentrino prevalentemente intorno al tema della 'riduzione razio­ nalistica' della fede. Dalla proposta del nostro filosofo si evince un fatto fon­ damentale: la fede è istruita sull' unico orizzonte della verità ed il giudizio che su di essa viene esperito è condotto a partire dalla verifica di un'unica ipotesi: la fungibilità o meno della fede cristiana in ordine al cogli mento della verità. Già conosciamo i risultati dell'indagine sia per ciò che attiene la fede come pure per ciò che rigu arda l'espressione linguistica (la formulazione dogma­ tica) della fede: la prima non può sostenere il confronto, non può esibirsi come apertura all a verità; la seconda -stante la radi cale contaminazione nichilistica del linguaggio- condivide la sorte 'malata' di tutto l'occidente. La teologia non contesta solo gli esiti radicali, ma sottopone a critica la pre­ messa dell'operazione svolta da Severino. La questione si riduce all'accesso alla verità: a quali condizioni la verità può essere colta? Più precisamente: se ne può effettuare una comprensione immediata? Oppure essa è sempre me­ diata? Inoltre è la verità l'unico orizzonte a partire dal quale istruire la fede? Al primo plesso di interrogativi si antepone una preci sazione fondamentale circa la verità : di essa non si può predicare l'evidenza immediata. La verità non è l'immediato. Ciò posto si afferma ulteriormente che, né la ragione né la volontà rappresentano un accesso immediato alla verità. In modo conciso ab­ biamo udito la tesi di Bertuletti : entrambe -ragione e volontà- si esibiscono come modalità di un rapporto alla verità realizzato dall'intenzionalità sintetica della coscienza. Non solo, ma alla stessa fede (atto di) è preclusa la possibi­ lità di insediarsi nell'evidenza della verità assoluta. L'atto di fede non sorge in base all'evidenza percepita del suo contenuto pena il ridursi della fede a sa­ pere. Non l'evidenza intrinseca dei contenuti apre al 'credere in' , bensì l'aderire ad una testimonianza (fides ex audi tu). Il problema della ragionevo­ lezza della fede si pone a questo livello: come può essere la fede né ex ratione

né sine ratione? Ciò al fine di evitare due estremi paralizzanti : da un lato, se mancano le ragioni per credere, l'atto di fede viene a collocarsi nello spazio volontaristico producendo una caduta fideistica; dall'altro lato, la testimo­ nianza non deve esibire una dimostrazione evidente altrimenti la fede si pro­ duce come logica conclusione di un procedimento dimostrativo. Non ci interessa conoscere le risposte fomite dalla teologia alla questione fin qui evocata4 1 7 ; importa, invece, ai fini del nostro procedere, evidenziare come la questione della ragionevolezza sia stata decentrata a 'fatto secondo' che interviene ad indagare il 'già creduto' e non intende invece porsi in modo 'preambolare'. La ragione di questo spostamento di piano introduce una que­ stione rimasta in sospeso e riguardante l'altra modalità, l'altro orizzonte sul quale istruire la fede. Se al Severino viene imputata una sorta di riduzione ra­ zionalistica della fede, il ritenere solo il rapporto della fede alla verità, i teologi prospettano anche la costruzione di un di scorso sulla fede nell'orizzonte della storia in quanto quest'ultima modalità è avvertita come più confacente alla prospettiva biblica. Tutto ciò è stato provocato dalla reciproca integrazione tra teologia della fede cattolica e teologia della fede protestante intorno alle quali s'è fatta parola concludendo -nella prima sezione- l'esposizione del pensiero severiniano sulla fede. Per comprendere la novità dell'impostazione è bene richiamare ciò che è stato superato e che ha guidato la teologia fin dal sec . XVII: " . . . nella

teoria moderna: a) il giudizio di credibilità procura l'evidenza del fatto della rivelazione, ritenuta necessaria prima di emettere l'atto difede; b) la credibi­ lità è stabilita in base a procedimenti rigorosamente razionali e dimostrativi, facenti leva innanzitutto sui segni esterni (miracoli e profezie) percepiti tramite metodi storici, scientifici, ecc. ; c) l'oggetto formale della fede, distinto dal fatto della rivelazione, viene attinto indipendentemente dal motivo di credibi­ lità. Per dirla in breve: il fatto della rivelazione si dimostra, il contenuto della rivelazione si crede "41 8 .

Il nuovo schema che guida la teologia della fede ha alle sue radici la ripresa della teoria antica formalizzata intorno al sec. XIII e così sintetizzata: "a) vi è

semplice credibilità e non evidenza del fatto della rivelazione; b) la certezza del giudizio di credibilità è di tipo morale e prudenziale, e nel processo che vi conduce il soggetto vi è fortemente implicato con le sue disposizioni e i suoi atteggiamenti di fondo; c) l'indagine sulla credibilità viene condo tta sotto l'influsso illuminante della grazia; d) l'oggetto formale viene identificato col fatto della rivelazione"419 .

La credibilità della parola divina è qui cercata all'interno della stessa parola rivelata. E con ciò è operato un avvicinamento alle posizioni della Ri-

417 Se ne può trovare un bilancio critico i n F. ARDUSSO, Fede (l'atto di) , Dizionario Teologico , op . cit., vol. II , pp. 1 76- 1 92. ...

41 8 Ibidem, p. 1 88 . 41 9 Ibidem , p. 1 88.

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forma420 e comunemente riassunta nella espressione sintetica "fede fidu­ ciale". Nell'ambito della teologia contemporanea forse nessuno al pari di K. B arth h a rigori zzato con radicalità questa posizione. Dopo l ' iniziale 'esplosione' nell'opera giovanile sull'Epistola ai Romani421 ed il successivo e forse meno conosciuto- saggio su Anselmo422 è nella Die Kirchliche Dog­ matik che la teologia della fede barthiana si dispiega in tutte le sue virtualità (ed in atteggiamento di notevole reazione nei confronti della teologia liberale soprattutto nella versione schleiermacheriana della dottrina del sentimento) : "Ma come la fede ha il suo cominciamento assoluto e incondizionato nella pa­

rola di Dio, indipendentemente dalle proprietà e possibilità innate o acquisite dell'uomo , e come la fede in quanto tale, mai e per nulla trae la sua vita da una fonte diversa dalla Parola, cosi in ogni senso awiene ciò anche per quella conoscibilità della Parola di Dio di cui qui si discute. Non possiamo determinarla voltando le spalle alla parola di Dio, per parlare di noi stessi e per scoprire in noi stessi un 'apertura, un punto positivo o almeno negativo, in cui si possa innestare la parola di Dio. Possiamo determinarla solo mantenendocifermi nella fede e nella sua cono­ scenza, cioè in quanto ci allontaniamo da noi stessi e voltiamo il nostro sguardo , o meglio il nostro udito, verso la Parola di Dio . Abbiamo la possibilità di ascoltarla solo in quanto l'ascoltiamo. Quindi la determinazione di essa non è una nostra possibilità, ma è la sua re­ altà; una determinazione che si volesse fare diversamente, cioè poggiando/a su di noi, è impossibile"423.

I temi della teologia barthiana -intesa quale ripresa dell'ortodossia protestantica- sono quivi racchiusi ed evocati nella loro completezza. Nota a tal proposito un grande conoscitore del teologo basilen se : "La possibilità di

una intelligenza della fede dipende dunque dalla fede stessa che, non solo presenta come creduta la res significata nelle voces del Credo, ma, in quanto Dio è causa veritatis, permette che questa cosa sia anche saputa. Dentro lo spazio di questi due accertamenti si consuma l'intera vicenda teologica"424.

Abbiamo indugiato sull'impostazione barthiana perché -a nostro av­ viso- essa rappresenta il punto nel quale sta oggi la teologia della fede ( al di là e al di sopra delle differenziazioni confessionali) dopo aver abbandonato le posizioni preambolari stiche moderne. Certamente essa è ancora ben lungi dall'aver trovato definitiva sistematizzazione nella stessa sede teologica; resta

420 Per quanto riguarda M. Lutero una notevole esposizione interpretativa troviamo in W. VON LOEWENICH, Theologia crucis, Visione teologica di Lutero in una prospettiva ecumenica, BO, 1975. Soprattutto il cap. II, pp . 67- 146. 42 1 K. BARTH , Der Romerbrief, (tr. it MI, 1 962). 42 2 K . BARTH , Fides quaerens intellectum. Anselms Beweis der Existenz Gottes, (tr. it. MI, 165). 423 K. BARTH, Die Kirchliche Dogmatik, l/1 , Zurich, 1 952, p. 249. (tr. it. nell'Antologia curata da E. Riverso, MI, 1 983, p. 165). 424 I. MANCINI, Novecento teologico, FI, 1 977, p. 77.

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purtuttavia il fatto che la concezione severiniana di fede non sembra includere o annettere attenzione a questa nuova configurazione. Leggiamo infatti -an­ cora- nell'opera più recente del nostro filosofo: "E' vero che la fede cristiana non intende mostrare in modo epistemico (ossia mediante il 'lume naturale ' della ragione) l'incontrovertibilità del proprio contenuto, ma la fede cristiana intende essere pur sempre un sapere incontrovertibile e definitivo, e anzi la forma suprema dell'incontrovertibilità e definitività, che si pone al di sopra della stessa episteme e ne misura il valore e le pretese"425 . Passiamo ora a presentare un bilancio della critica proveniente dalla filosofia cattolica italiana. Un primo elemento sembra immediatamente emer­ gere: più che di 'critica' dovremmo esprimere questa reazione al plurale -'cri­ tiche'- in quanto ci sembra di aver individuato posizioni talvolta estremamen­ te diversificate anche se accomunate dal medesimo intento di 'reagire' al pensiero di E. Severino. Appare immediatamente una duplice categorizzazione entro la quale vi è la posizione di coloro che contestano la posizione severiniana in nome di altri assetti del pensiero riconducibili alle scuole tradizionali; e vi sono quelli che prospettano una più complessa -ed a nostro avvi so estremamente interessante- operazione : d'accordo con i primi nel rilevare la 'diversità' severiniana rispetto ai filoni tradizionali del pensiero cattolico ma -ed in questo si manifesta la novità- preoccupati di 'sfruttare' questa diversità proprio all'interno della specificità della propria collocazione (filosofica e confessionale). Più esplicitamente : se le posizioni di Giacon , Berti, Mancini, ma soprattutto Fabro non lasciano dubbi circa la 'condanna' del pen siero di Severino (stante l'inaccettabilità delle premesse da cui prende le mosse e che vengono, perciò, completamente rigettate), circa la non fungibilità di questo pensiero all'interno dell'orizzonte della fede cristiana (stante la critica radicale che su questa è in­ dirizzata in modo oramai definitivo) ; le posizioni di Bontadini, Messinese, Scilironi, innanzitutto considerano il pensiero di Severino un'operazione con­ dotta all'interno di una radicale rigorizzazione della metafi sica dell'essere ; secondariamente -dopo aver espresso le diversità e le specificità del­ l'approccio al S acro proprio della filosofia e della teologia- utilizzano alcune tesi centrali del pensiero di Severino per istruire una struttura di possibilità della fede cristiana, per mostrare che essa non è aliena alla ragione filosofica. Riprendiamo ora con maggiore puntualità le tesi di queste due posizioni. Circa la prima: una prima serie di osservazioni riguarda il rapporto fra l'affermazione dell'essere e l'attestazione del divenire. l. ll divenire è colto nella (supposta) contradditorietà solo per il fatto che agi­ sce un presupposto falso : l'univocità dell'essere (frutto della centralità attri­ buita al Principio di Parmenide) che non ritiene la differenza fra essere (nella

42 5 E. S EVERINO, La tendenza , op. cit., p. 1 7 5 . ...

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sua 'pienezza' ) ed enti e conduce, perciò, ad una sostanzializzazione-iposta­ tizzazione dell'essere. 2. Il pen siero di Severino opera una parmenidizzazione delle differenze non tenendo conto di una distinzione fra: - necessità e sitenziale (la quale compete alle determinazioni le quali sono/esistono necessariamente, incontrovertibilmente ); - neces sità essenziale (la quale compete all'intero del positivo ed esprime ciò che lega l'essere ad essere tale) . La necessità incontradditoria -cercata da Severino- riguarda solo la necessità essenziale e non quella esistenziale; attiene solo all'essenza dell'essere e non ai modi di essere dell'essere. 3 . Non si può semantizzare l'essere se non nella sua opposizione e negazione al nulla, pena il non pensarlo affatto. L'altro gruppo di osservazioni riguardano Dio e la fede cristiana: 4. Di Dio si può dire che è 'l'intero del positivo' , (che in sé contiene tutte le differen ze); che è essenzialmente (l'Essere che è nel modo as soluto di essere) . Da lui distinto si dà il 'mondo del divenire' nel quale le differenze si escludono vicendevolmente e che esiste diversamente ri spetto al modo permanente di essere dell'Essere. I due livelli -Dio/mondo- devono essere tenuti fermamente distinti: il piano dell'essenza e quello dell'esistenza non possono essere 'confusi'. 5. La Parola non può stare in una 'zona neutra' : disponibile alla perdizione (metafisica) o alla salvezza (verità) . Tale è un modo di intendere convenzio­ nalisticamente il linguaggio così come fanno i neopositivisti. Di contro è op­ posta la tesi della reale intenzionalità della Parola. Per quanto riguarda il secondo modo di collocarsi di fronte al pensiero di Severino facciamo emergere le seguenti tesi conclusive: l . L'esperienza si presenta contradditoriamente : a questa lettura ci introduce il 'Principio di Parmenide' (incontradditorietà del l'essere'). Il logo esige l'eliminazione della contraddizione (non dei fenomeni ! ) la quale si produce in due movimenti: - abbandonando il parmenidismo dopo che lo si è utilizzato per effettuare 'l'avvistamento' della contraddizione intrinseca al reale (avviando con ciò la metafisica); - introducendo il Principio di Creazione quale 'sanatoria' definitiva della con­ traddizione essere/divenire. 2. Se lo sfondo comune -del filosofo credente e del filosofo Severino- è il rapporto fede-ragione ne segue che l'opera severiniana percorre la via pura­ men te razionale, la quale però si pone come 'distinta' e non come 'separata' rispetto a quello che il filosofo credente considera l'orizzonte ultimo. Con ciò si intende affermare che: - la fede salva la verità riproponendo la questione della totalità della verità; - la ragione salva la fede per il fatto che provoca il credente a ricusare ogni passività nei confronti delle proposizioni che esprimono la fede. 1 29

3 . L'orizzonte della fede è necessità inalienabile per l'autocoscienza umana (data la processualità del conoscere umano da un lato, e dal non apparire della totalità concreta dall'altro) : si fonda sulla disequazione tra essere ed apparire. Tutto ciò vive nella e della problematicità: il credere è connesso al dubitare stante il fatto che l'apparire attuale è l'apparire della parte che -rispetto al tutto necessario che non appare attualmente- si costituisce come privazione, come vedere in modo non originario ed esau stivo. 4. Lo sfondo, l'orizzonte trascendentale, l'immutabile da un lato; l'apparire e lo scomparire delle determinazioni che appaiono dall'altro: Dio da un lato; il mondo come Dio-che-si-manifesta-necessariamente dall'altro (mondo 'in' Dio) : manifestazione della struttura originaria della verità e non manifesta­ zione totale (escludendo in tal modo ogni affrettata conclu sione i n chiave panteistica). La filosofia e la fede non accedono alla concretezza della manifestazione to­ tale: la prima giudica ciò che si oppone, la seconda allude e ne offre le tracce.

1 30

EPILOG O

Con ged andoci dal pensiero d i Severino vorremmo esprimere un'impressione che ha trovato conferma puntuale nel corso di questa inda­ gine: l'utilità che il pensiero cristiano (teologico, filosofico, ma, anche, della 'ragione media', 'pensare comune') riceve dal confronto-scontro con tesi così radicali. Quali forme sostanziano questa utilità? Innazitutto -ed in positvo- la provocazione a pensare la totalità, ad inscrivere la fede nell'orizzonte della totalità che si disvela processualmente. L'apparire trascendentale, lo sfondo di cui parla Severino, se da un lato costringono il credente a riprendere il discorso su Dio, sul rendere ragione dell' 'oggetto' in cui crede , dall'altro lato costringono chi se ne sta 'appoggiato' unicamente al 'divenire', a ciò che 'oscilla', alla 'terra isolata' , a ripensare la questione della verità come fondamento e del fondamento come verità. Se nella prospettiva del nostro, tutto se ne sta eterno nell'orizzonte della verità -e si rivela processualmente- nella prospettiva del credo cristiano la precarietà del credere (assimilabile alla processu alità dello svelamento della verità) at­ tende la manifestazione definitiva (che nel linguaggio teologico è defi nito tempo delle 'cose ultime e definitive', tempo escatologico). Ma, poi, in negativo e simultaneamente, la provocazione a differenziare la te­ ologia dallo schema della totalità ché altrimen ti il Dio cri stiano ri sulta ' catturato' dalla sapienza di questo mondo. Sentiamo ancora forte l' ammonimento di M. Lutero nelle tesi XIX e XX redatte nel 1 5 1 8 per la "Disputatio di Heidelberg" : "XIX. E' degno di essere chiamato teologo non colui che considera comprensibili, mediante il ricorso alle realtà creaturali, le invisibili proprietà di Dio; XX. ma colui che sa comprendere, nella prospet­ tiva della passione e della croce (per passiones et crucem), le espressioni visi­ bili ed indirettamente verificabili (visibilia et posteriora Dei) di Dio". (W. l ,

354; 36 1 -3 64). Laddove nelle 'Prove delle tesi discusse al capitolo di Heidelberg', lo stesso Lutero spiega es sere le 'espressioni visibili' 'l' umanità, la debolezza, l'in sipienza .. . . Ancora una volta si riproduce la tensione insopprimibile tra teologia positiva, catafatica da un lato e, teologia negativa, apofatica dall'altro: tensione irresol­ vibile perché ogni esito unilaterale si costituirebbe come 'caricatura defor­ mante' la fede cristiana. Il congedo da Severino non si configura perciò quale abbandono definitivo in vista di un tran sitare ( o ritornare) alla 'tranquillità' del credere, bensì, assun­ zione della sua criticità al l'interno della fede affinché questa risulti ciò che solo essa può essere (a partire da se stessa nel suo stesso percepirsi 'altra' ri­ spetto allo stare 'nella visione') : possibilità dell'uomo e per l'uomo. '

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Ben s'adatta al nostro quanto narra una novella dei racconti chassidici: "Il Magghid di Mesritsh diceva: 'Ogni serratura ha la chiave adatta che la apre. Ma ci sono dei ladri forti che sanno aprire senza chiave: sforzano la ser­ ratura. Così ogni segreto del mondo si può aprire con la particolare medita­ zione adatta. Ma Dio ama il ladro che sforza la serratura: costui è l'uomo che si rompe il cuore per Dio"426 . Porte e serrature -il nostro- ne ha sfondate e ne va sfondando molte: nuova e forte luce ha sovente illuminato il grigiore di antiche e venerande stanze o contrastato i bagliori che talvolta vengono da nuove e più consuete dimore.

426

M. BUBER,

1 32

I racconti dei Chassidim, MI, 1 985, p. 147.

APPENDICE

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1 39

INDICE

Introduzione di Emanuele Severino

p.

7

Prologo

11

SEZIONE PRIMA-PARlE PRIMA: EMANUELE SEVERINO

15

Lineamenti genemli della filosofia di Severino

15

L'attrito con la fede

20

- Intorno alla Struttura Originaria

21

- La ripresa dopo il saggio sul ritorno a Parmenide

25

- Saggi e questioni successive

36

Conclusioni intorno al pensiero di Severino

41

SEZIONE PRIMA-PARlE SECONDA: IL PENSIERO CRISTIANO

43

Le vicende della metafisica cristiana

44

- La neoscolastica

45

- La metafisica classica

47

- Lo spiritualismo cristiano

52

La teologia contempomnea

55

- Le "influenze" del personalismo

57

- Le "fatiche" della neoscolastica

58

- La "crisi" della metafisica

61

SEZIONE SECONDA-PARlE PRIMA: LE REAZIONI

67

La critica teologica

67

- Il primo " scontro" con la teologia

68

- Successivi interventi teologici

75

La critica filosofica

84

- G. Bontadini

85

- La scuola padovana: C. Giacon, E. Berti

94

- C. Fabro

1 00

- L. Messinese

1 06

- C . S cilironi

1 14

- I. Mancini

1 19

La divulgazione cattolica

121

SEZIONE SECONDA-PARTE SECONDA: BILANCIO CRITICO DELLE REAZIONI

1 25

Epilogo

131

APPENDICE. Bibliografia completa delle reazioni del pensiero cristiano

1 33

BIBLIOTECA VERDE di Saggi, Ricerche e Studi

l . Camillo Barbisan, Verità e fede. Riflessioni sul rapporto tra il pensiero di Emanuele Severino e la cultura cattolica italiana.

Di prossima pubblicazione: Paolo Alvino, La politica fascista dei lavori pubblici in Etiopia (1936 - 1 940).

In preparazione: Antonella Paglicci, Arezzo. La riforma comunitativa di Pietro Leopoldo .

Finito di stampare nel mese di dicembre 1 990 dalla Litografia Solari Peschiera Borromeo (Milano)