Yde et Olive e la figura della donna guerriera nella letteratura oitanica 9788834179871

Analisi approfondita della figura della donna guerriera nella letteratura francese medievale di lingua d’oïl. Il testo i

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Yde et Olive e la figura della donna guerriera nella letteratura oitanica
 9788834179871

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PAOLO SPAGGIARI Yde et Olive e la figura della donna guerriera nella letteratura oitanica

Questo e-book è estratto da: TITOLO: Yde et Olive e la figura della donna guerriera nella letteratura oitanica AUTORE: Paolo Spaggiari EDITORE: LUX VICTRIX EDIZIONI Copyright © 2019 by Paolo Spaggiari

NOTE SULL'EDITORE: LUX VICTRIX EDIZIONI (editore non commerciale) sezione editoriale dell’associazione LUX VICTRIX APS sede legale in via F.lli Cervi, 3 – Quattro Castella (RE)

NOTE SULL'EDIZIONE: Yde et Olive e la figura della donna guerriera nella letteratura oitanica, P. Spaggiari, LUX VICTRIX EDIZIONI, Reggio Emilia, 2019. Edizione digitale – agosto 2019 Tutti i diritti sono riservati. L’autore concede a titolo gratuito, ma non esclusivo, il permesso di pubblicare e diffondere l’opera a LUX VICTRIX APS che ne cura la presente edizione. Sono permessi: la copia parziale, il riassunto, la citazione e la riproduzione per scopi di studio, di critica, di discussione o di insegnamento, purché siano menzionati opera e autore.

FRONTESPIZIO: Florine de Bourgogne – Gustave Doré (1877)

CONTATTI: Mail editore: [email protected] Mail autore: [email protected] Facebook: luxvictrix

INDICE

Introduzione I) La femme-guerrière 1. Il contesto storico 1.1 Donne e guerra 1.2 I modelli: eroine bibliche e classiche 1.3 Matilde di Canossa 1.4 Le crociate 1.5 Florine de Bourgogne

pag. 7

2. Le eroine della letteratura oitanica 2.1 Le origini 2.2 Da Pentesilea alla femme-chevalier 2.3 La Chanson de Guillaume 2.4 Damigelle in armi

pag. 11

II) Yde et Olive 3. Il ciclo di Huon de Bordeaux 3.1 Da Huon a Yde

pag. 18

4. La chanson di Yde et Olive 4.1 Analisi dell’opera 4.2 Yde et Olive nella letteratura italiana

pag. 20

III) Studi di genere 5. Letteratura e identità 5.1 Dall’androgino alla metamorfosi 5.2 Travestitismo e transgenderismo

pag. 30

6. Medioevo al femminile 6.1 L’esaltazione della donna 6.2 Christine de Pizan

pag. 37

Conclusioni

pag. 41

Bibliografia

pag. 43

Introduzione La presente edizione, risultato dello sviluppo e ampliamento di un precedente lavoro, si configura come un’analisi approfondita della figura della femme-guerrière nella letteratura francese medievale di lingua d’oïl; con un interesse particolare per la chanson di Yde et Olive. L’obiettivo è osservare gli elementi che hanno dato origine a protagoniste femminili dal ruolo attivo presenti nel contesto epico-cavalleresco del medioevo oitanico. L’analisi sottolinea come questi personaggi siano stati contestualizzati per conformarsi all’epoca degli autori lasciando le ambientazioni classiche e attuando un processo di cristianizzazione, sviluppo che ha consentito loro di entrare a pieno titolo negli schemi della letteratura cortese. L’opera è strutturata in tre sezioni: - la prima parte traccia il contesto storico-culturale in cui sono stati scritti i componimenti, in particolare si sofferma sui personaggi storici che possono aver influenzato l’elaborazione letteraria della donna guerriera, ed esplora la figura delle Amazzoni come punto di partenza di un probabile modello classico trapiantato nell’epica cristiana; - la seconda parte è composta da un’analisi più approfondita di Yde et Olive, canzone della fine del XIII secolo finora mai tradotta in italiano, preceduta da un’introduzione del ciclo in cui è inserita e seguita dall’analisi di una riscrittura dell’opera nell’Italia del Trecento; - la terza parte si presenta come una breve analisi relativa agli studi di genere, approfondendo le tematiche relative al travestitismo e al transgenderismo nel contesto letterario medievale, mostrando infine un tentativo di esaltazione del genere femminile tramite la figura della donna guerriera. Nota sulle traduzioni: il testo riporta numerose citazioni in antico francese le cui traduzioni, tutte inedite, sono state interamente curate dall’autore del presente elaborato. Ferma restando la restituzione del senso, le versioni non seguono un adattamento libero in modo da consentire una lettura più orientata al testo fonte. Inoltre, laddove possibile, si è cercato di mantenere l’effetto sonoro delle lasse assonanzate. Le traduzioni sono state eseguite utilizzando come riferimento i dizionari di Godefroy e il Dictionnaire Étymologique de l'Ancien Français.

I) La femme-guerrière 1. Il contesto storico-culturale 1.1 Donne e guerra In ogni epoca, in ogni parte del mondo, troviamo un elemento che accomuna le varie civiltà, ovvero la guerra. L’arte militare sembra essere quel fil rouge che unisce i popoli in un sistema che varca i confini geografici e culturali. Tuttavia, se uomo e disciplina marziale risultano un binomio costante, questa vocazione guerriera non è solamente appannaggio maschile, la donna non è infatti esclusa dal processo di formazione militare. Già a partire dal mondo classico e proseguendo fino all’epoca medievale, come vedremo, si possono trovare riferimenti a donne combattenti. L’antichità, ad esempio, ci offre diverse figure guerriere, quali Boadicea, regina della tribù degli Iceni, che guidò la ribellione contro i romani nel I secolo; Zenobia regina di Palmira, che combatteva a cavallo conducendo il suo esercito in battaglia; Telesilla, poetessa ed eroina greca, che difese la città di Argo dall’assedio degli spartani; e infine le matrone romane che accompagnavano i mariti durante le campagne militari, talvolta impugnando le armi. Per comprendere l’universo che ispirò una letteratura guerriera popolata da donne esploreremo la figura femminile nel contesto in cui nasce la chanson de geste, analizzando sia figure letterarie che storiche. 1.2 I modelli: eroine bibliche e classiche La Bibbia contiene delle figure femminili dotate di grande forza e coraggio, che ispirarono poeti, artisti e donne guerriere. Le gesta di Deborah, Giaele, Giuditta ed Ester erano molto famose nel contesto culturale evidenziato da questo elaborato e insieme alle Amazzoni, tramandate dalla letteratura classica, diventeranno un modello per le potenti signore medievali. Per quanto riguarda i testi sacri l’eroina più celebre è senz’altro Giuditta, la cui storia è tratta dall’omonimo libro: Nabucodonosor, re degli Assiri, vuole conquistare tutte le terre ad occidente, compresa la Palestina; invia dunque Oloferne, il suo più grande generale, a compiere la missione. L’esercito inizia ad occupare sempre più territori, depredando le città e distruggendo tutti i templi e i luoghi sacri, poiché solo il re-dio assiro era degno di essere venerato. Molti popoli si arrendono al nuovo signore, ma non gli israeliti, nonostante abbiano pochi soldati. La città di Betulia viene assediata, Oloferne controlla gli acquedotti e il popolo muore di sete, così il grande sacerdote decide di arrendersi al nemico entro cinque giorni, ma viene fermato da Giuditta, una donna ricca e bellissima, rimasta vedova. Ella rifiuta la resa e prepara una tremenda vendetta per salvare il suo popolo. Si orna delle vesti migliori e si presenta nel campo di Oloferne, il quale, sedotto dalla sua bellezza, invita la

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donna ad un ricco banchetto. Il generale, rapito dal fascino della donna, beve una grande quantità di vino e si ubriaca. Rimase solo Giuditta nella tenda e Oloferne buttato sul divano, ubriaco fradicio. Allora Giuditta ordinò all'ancella di stare fuori della sua tenda e di aspettare che uscisse [...] Giuditta, fermatasi presso il divano di lui, disse in cuor suo: «Signore, Dio d'ogni potenza, guarda propizio in quest'ora all'opera delle mie mani per l'esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio piano per la rovina dei nemici che sono insorti contro di noi». Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: «Dammi forza, Signore Dio d'Israele, in questo momento». E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua ancella. (Gdt 13:2-9) 1

Infine Giuditta ritorna in città e solleva gli uomini per l’assalto decisivo, le truppe assire fuggono e l’eroina diviene il simbolo della vittoria di Israele. Riguardo le eroine classiche, di cui parleremo più diffusamente nel secondo capitolo, la più famosa resta sicuramente Pentesilea, regina delle Amazzoni, ovvero le mitiche combattenti audaci e virili che cavalcavano armate ed erano abilissime con l’arco. Nel mito la donna guerriera per antonomasia raggiunge Troia e prende parte agli scontri morendo in battaglia per mano di Achille. Nell’Eneide di Virgilio viene descritta come un’ardita vergine guerriera. Pentesilèa con le lunate targhe le squadre de le Amazzoni e, succinta di cinghio d'oro la mammella ignuda, in mezzo a' mille e mille arde guerriera né paventa sfidar vergine i prodi. 2

Tra gli epiteti più famosi legati a donne di guerra e di potere nel medioevo troviamo quelli relativi a Matilde di Canossa, di cui parleremo nel prossimo paragrafo, definita maschia Giaele dal vescovo Bonizone da Sutri e paragonata nel suo epitaffio alla sopracitata Pentesilea. Questa prode guerriera schierò le sue truppe come suole fare l’amazzone Pentesilea. Grazie a lei, in tanto furor di orribil guerra, l’uomo non è mai riuscito a conquistare i diritti di Dio. 3

Infine, tra le altre donne guerriere passate alla storia potremmo menzionare Sichelgaita di Salerno, che combatté a Durazzo nel 1081, descritta come un’altra Pallade dalla principessa bizantina Anna Comnena; oppure Isabel de Conches, l’amazzone normanna, associata a Camilla dallo storico Ordericus Vitalis.

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La sacra Bibbia, ed. ufficiale C.E.I., Cooperativa Promozione Culturale, Roma, 2001, p.438-439. L’Eneide, di Publio Virgilio Marone, trad. a c. di G. Albini, Zanichelli, Bologna, 1963, p. 16. Parte dell’antico epitaffio presente sulla tomba nell’abbazia di San Benedetto in Polirone (Mantova), luogo di sepoltura di Matilde prima di essere traslata nella basilica di San Pietro a Roma.

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1.3 Matilde di Canossa Tra i personaggi femminili più importanti che abitano le pagine della storia, c’è sicuramente la figura della grancontessa Matilde (1046-1115). Figlia di Bonifacio, discendente da una nobile famiglia longobarda, fulcro nella lotta tra papato e impero, potente feudataria e ovviamente guerriera. Le cronache la descrivono come una fanciulla dal temperamento virile, disinteressata alle occupazioni femminili e dedita agli studi marziali. Arduino della Palude, uno dei più importanti generali matildici, ne fu il tutore; l’addestrò nell’arte della guerra, insegnandole a cavalcare, ad usare la lancia, la picca, la spada e l’azza. Matilde era abituata a sostenere il peso dell’armatura, non solo in senso fisico, ma anche strategico-militare; sin da giovane la vediamo impegnata nella difesa degli interessi pontifici, tanto da essere definita da papa Gregorio VII “figlia di Pietro e serva fedele di Cristo”. Durante gli anni di guerra, oltre a ricoprire ruoli di comando, Matilde partecipa attivamente agli scontri armati; un episodio in particolare è ben documentato, si tratta della battaglia di Sorbara, località situata poche miglia a nord di Modena, combattuta la notte del 2 luglio 1084. Le truppe imperiali di Enrico IV furono sbaragliate dall’esercito matildico, conferendo imperitura gloria alla contessa. Di notte infatti la contessa uscì dalle mura e con un esercito silenzioso si avvicinò al campo nemico dove i soldati, spossati per le tappe forzate e per la dura battaglia, dormivano profondamente. Alla riuscita del piano, la sorpresa era indispensabile. Matilde, infatti, poteva contare solo su duemila uomini che dovevano sconfiggerne circa quindicimila. […] Quando tutto fu pronto e i corpi dei soldati eccitati furono tesi all’attacco, dal silenzio della notte, limpida, forte e femminile si levò la voce di Matilde nel grido di guerra dei Canossa: « San Pietro! A noi! ». In un frastuono d’inferno mentre già spade e lance venivano sfoderate, duemila gridarono in risposta: « A noi! San Pietro! ». Era un grido che i soldati scismatici di stanza in Padania avevano imparato a temere. […] La più furente era lei, Matilde. In groppa al suo cavallo menava fendenti tutti mortali. La gran dama di corte, l’elegante fanciulla, era rimasta sui monti di Canossa. Ora, sul campo di Sorbara, c’era un capo guerriero. Alla testa dei canossiani sembrava tornato Bonifacio il terribile, l’uomo che in guerra non conosceva prigionieri o moderazione. Era tornato il tempo in cui dove passava un Canossa non un nemico restava vivo. « San Pietro, San Pietro » urlava Matilde, mentre dal suo cavallo tagliava teste, inseguiva e infilzava uomini nascosti nei cespugli. 4

Nel 1111, pochi anni prima della sua scomparsa, il nuovo imperatore Enrico V la incoronò viceregina d’Italia, confermando una volta e per sempre il valore di una donna, di una guerriera, che seppe tenere in mano le sorti dell’Europa.

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Matilde di Canossa, a c. di P. D. Ori e G. Perich, Rusconi, Milano, 1982, p. 140-142.

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1.4 Le crociate Tra le cronache arabe giunte fino a noi, troviamo tre storici che citano donne combattenti durante l’assedio di Acri (1189-1191), episodio che si inserisce all’interno della terza crociata. ‘Izz ad-din Ibn al-Athìr (1160-1233) narra nella sua Somma delle storie (Kamil at-tawarìkh) come il Patriarca di Gerusalemme sollevò i cristiani, invitandoli a combattere per riconquistare la città santa, facendo leva sull’immagine del Cristo percosso da un musulmano. Il sermone riscosse un tale successo da chiamare alle armi anche le donne, le quali parteciparono agli scontri: tra di esse vi erano delle autentiche guerriere armate di tutto punto. Ciò fece grande impressione ai Franchi, che si raccolsero in gran numero, fino alle donne: c’era infatti con loro ad Acri un certo numero di donne che sfidavano a singolar tenzone i campioni nemici, come diremo. […] La gran massa degli uccisi era tutta composta di cavalieri franchi, non avendoli i fanti raggiunti; e tra i prigionieri ci furono tre donne franche, che combattevano a cavallo, e catturate e tolta loro l’armatura furono riconosciute per donne. 5

Imàd ad-din al-Isfahani (1125-1201) segretario di Noradino e in seguito di Saladino, descrive l’arrivo ad Acri di numerose donne franche ben armate e dedite alla guerra. Arrivò anche per mare una donna di alto affare, di ampia ricchezza; era essa sovrana nel suo paese, e giunse accompagnata da cinquecento cavalieri con i lor cavalli e scudieri, paggi e valletti, assumendo a suo carico ogni spesa loro occorrente, largamente provvedendoli col suo denaro. Essi cavalcavano quando essa cavalcava, caricavano quando essa caricava, balzavano all’assalto quando essa balzava, e le sue schiere tenevan fermo quando essa teneva. Tra i Franchi vi sono infatti delle donne cavaliere, con corazze ed elmi, vestite in abito virile, che uscivano a battaglia nel fitto della mischia, e agivano come gli uomini d’intelletto, di tenere donne che erano, ritenendo tutto ciò un’opera pia, pensando assicurarsi cosi la beatitudine, e facendosene un’abitudine. […] Il giorno della battaglia spuntò di loro più di una donna, che si modellava sui cavalieri, e aveva (virile) durezza nonostante la debolezza (del sesso): di null’altro rivestite che di cotte di maglia, non furon riconosciute finché non furono spogliate delle armi e denudate. Di esse alcune furono scoperte e vendute (schiave) e delle vecchie fu ripieno ogni luogo. 6

Possiamo notare, dalle due cronache, come le donne indossassero dotazioni personali e fossero addestrate a cavalcare e combattere, ma il fatto più evidente ed interessante resta quello di non essere riconosciute come appartenenti all’altro sesso se non una volta catturate o uccise. Tuttavia, troviamo anche delle femmes-guerrières che in battaglia non rinunciano alla loro ben visibile femminilità, come avviene nel seguente passaggio di Bahà’ ad-din Ibn Shaddàd (1145-1234), cronista al servizio di Saladino. L’autore narra lo spettacolo visto da uno dei soldati arabi sulle mura di Acri durante l’attacco finale, prima della caduta della città. Un altro soldato anziano e intelligente che penetrò quel giorno nei loro trinceramenti, mi raccontò che di là dal parapetto del nemico c’era una donna vestita di un manto verde, che non cessò dal saettarci con un arco di legno, sì da ferire molti di noi, finché fu sopraffatta e uccisa. Le fu preso l’arco, e portato al Sultano, che mostrò profonda meraviglia del fatto. 7 5 6 7

Storici arabi delle crociate, a c. di F. Gabrieli, Einaudi, Torino, 1957, p. 172-177. Ibidem, (Imàd Ad-Din) p. 194. Ibidem, (Bahà’ Ad-Din) p. 204.

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1.5 Florine de Bourgogne In questo paragrafo vorrei soffermarmi su di una figura a metà tra storia e mito, una donna il cui valore ha ispirato scrittori e artisti, la giovanissima Florine. Nobildonna figlia del duca di Borgogna, promessa sposa di Sven principe di Danimarca, detto il crociato. Nel 1097 la coppia partì per raggiungere la Terra Santa durante la prima crociata, guidando l’esercito danese, ma cadde vittima di un’imboscata notturna in Cappadocia. Malgrado l’inferiorità numerica, Sven si difese con grande valore, al suo fianco l’amata Florine, che nonostante fosse stata colpita da sei frecce durante lo scontro, non venne disarcionata e continuò eroicamente a lottare per aprire una via di fuga verso le montagne. Dopo una strenua resistenza, i due amanti caddero sotto la pioggia di frecce dei turchi. Conclusa la parte storica si apre quella relativa alla leggenda, infatti diversi autori, tra cui Régine Pernoud, nelle loro biografie relative a Eleonora d’Aquitania, fanno comparire il nome di Florine tra le guerriere che accompagneranno la regina di Francia durante la seconda crociata (1147-1150). les autres femmes faisant partie de l’expédition, la comtesse de Blois, Sybille d’Anjou, comtesse de Flandre, Faydide de Toulouse, Florine de Bourgogne. 8

Eleonora, sposa di Luigi VII, effettivamente accompagnò il marito durante la campagna militare, prendendo talvolta il comando delle truppe; tuttavia, le nobildonne menzionate come scorta sono anacronistiche in quanto vissute nel secolo precedente. Questo dato anche se a livello storico conferma un’evidente manipolazione, a livello letterario dimostra come alcune donne siano entrate nell’immaginario guerriero del XII secolo, dunque la presenza di un mito relativo alle femmesguerrières nell’epoca delle crociate.

2. Le eroine della letteratura oitanica 2.1 Le origini L’apparizione della donna in armi non è un episodio immediatamente connesso alla nascita della chanson de geste, genere che si sviluppa nel XII secolo a seguito della prima crociata e che vede impegnati arditi cavalieri in lotta contro i nemici della cristianità. Tuttavia, la sua entrata in scena non è nemmeno troppo tardiva. Il primo elemento da indagare è sicuramente la figura delle Amazzoni, le celebri donne guerriere provenienti dalla Scitia, tramandateci dalla mitologia greca. Il passaggio di testimone dal mondo classico a quello del basso medioevo ci è offerto dai romans d’antiquité, testi romanzeschi che rivisitano personaggi e ambientazioni dell’antichità grecoromana. Emblema della donna in armi, punto di partenza per le eroine successive, è Pentesilea, la 8

Aliénor d’Aquitaine, R. Pernaud, Albin Michel, Paris, 1965, p. 51.

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mitica regina di Femenie, ossia il regno delle Amazzoni, che troviamo subito presente in un testo del XII secolo, il Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure. La regina, innamorata dell’eroe troiano Ettore, raggiunge Troia per soccorrerla dall’attacco dei greci, accompagnata da mille guerriere, forti, audaci e ben armate. La reine Panthesilee. Proz e hardie e bele e sage, De grant valor, de grant parage, Mout ert preisiee e honoree; De il esteit grant renomee. Por Hector, que voleit veeir, E por pris conquerre e aveir, S'esmut a venir al socors. Mout furent riches ses ators. Mout amena riche compaigne E fiere e hardie e grifaigne: Mil dameiseles adurees, Forz, aïdanz e bien armees.

La regina Pentesilea Prode, ardita, bella e saggia, Di gran valore, di gran lignaggio, Molto era apprezzata e onorata; Di lei era grande la fama. Per Ettore, che voleva vedere, E per guadagnar conquiste e averi, Si mosse per venir in soccorso. Molto ricche erano le sue scorte, portò ricca compagnia E fiere, ardite e selvagge: mille damigelle temprate, Forti, aitanti e ben armate. 9

Pentesilea apprende della morte dell’amato per mano di Achille, folle di dolore scende in battaglia per vendicarlo, ma sarà uccisa da Pirro in un climax di efferata violenza. Panthesilee mout les grieve: Mout destruit Greus, mout les mahaigne Par la force de sa compaigne; Sovent repert de ses puceles, Des mieuz vaillanz e des plus beles. Mout se heent, ele e Pirrus: Por ça lor est sovent en us D'eus combatre, d'eus envaïr E d'eus sovent entreferir. […] Granz cous morteus il meist e done Bel braut d'acier, qui cler resone; Sor l'erbe vert, frescbe e novele Li espant tote la cervele; Toz les membres il a trenchiez.

Pentesilea molto fa loro danni Distrugge molti greci, molti ne ferisce Con la forza della sua armata; Spesso perde alcune sue pulzelle, Delle più valenti e delle più belle. Molto si odiano ella e Pirro: Per questo spesso capita Di combattersi, di attaccarsi E spesso a vicenda di ferirsi. […] Grandi colpi mortali egli porta Bel brando d’acciaio, che chiaro risuona; Sull’erba verde, fresca e novella Le sparge tutte le cervella; Tutte le membra egli [le] ha tranciato. 10

2.2 Da Pentesilea alla femme-chevalier Un primo aspetto da evidenziare, rispetto ai miti greci, è il processo di cristianizzazione dei valori che porta la donna guerriera a caricarsi di elementi cortesi. Le Amazzoni nell’antichità sono 9

Le roman de Troie par Benoit de Sainte-Maure publié d'après tous les manuscrits connus par Léopold Constans, a c. di F. Didot, Société des anciens textes français, Paris, 1904-1912, vv. 23360-23372 (traduzione mia). 10 Ibidem vv. 24272-24280; 24321-24325 (trad. mia).

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descritte come donne che rinunciano alla loro femminilità, mutilandosi addirittura il seno per poter tendere più agevolmente l’arco in battaglia. Il mito sottolinea la loro pretesa superiorità nei confronti degli uomini e di conseguenza la loro avversità; i nati maschi sono infatti allontanati dal regno. La Pentesilea medievale è differente: si innamora, è disposta a combattere e morire per amore, la società dell’epoca infine è disposta a vedere una donna perire in battaglia, elevandone le qualità morali oltre che guerresche. Qualità che tuttavia verranno maggiormente esaltate nel Roman d’Énéas da Camille: principessa di singolare bellezza, ma dal carattere maschile, la quale rifiuta le attività femminili, impara sin dall’infanzia a maneggiare le armi e fa della cavalleria lo scopo della sua esistenza. Et fu toz tens norrie en guerre et molt ama chevalerie et maintint la tote sa vie. Onc d’oevre a femme nen ot cure, ne de filer ne de costure; mielz prisot armes a porter, a torneier et a joster, ferir d’espeë o de lance: ne fu femme de sa vaillance.

E fu tutto il tempo istruita alla guerra e molto amò la cavalleria che seguì per tutta la vita. D’opera femminile non ebbe mai cura, né di filare né di cucire; dava più valore a portare le armi, fare tornei e giostrare, [nel] ferir di spada o di lancia: non vi fu donna di pari valore. 11

Camille al contrario della regina delle Amazzoni è immune all’amore, elemento catalizzante di una moralizzazione più profonda. Il punto di forza di questa eroina è infatti la castità, la sua verginità: il roman la pone in contrasto con la lussuriosa Didone; la sua vittoria sugli istinti, la sua purezza, segnano il mutamento dell’amazzone in femme-chevalier. CAMILLE ne la nuit nuls oem n’i entrast dedenz la chambre o ele esteit; tant sagement se conteneit et en derrier et en devant, que ne en fait ne en senblant n’i peüst on noter folie, ja tant n’eüst vers li envie.

nella notte nessun uomo entrava nella camera ove ella stava; tanto saggiamente si comportava sia in privato e in pubblico, che né in realtà né in apparenza le si poteva notar follia, per quanto ci fosse invidia nei suoi confronti. 12

DIDONE Par Libe nonce ceste fame la felonie de la dame, dit que de Troie esteit venu uns oem, Dido l’a retenu ensembe sei enz en Cartage; or la maintient cil en putage. En luxure andui se demeinent […] et cil en a guerpi sa veie et l’uns et l’altre s’i foleie.

Per la terra di Libia la fama annuncia la fellonia della dama, disse che da Troia era venuto un uomo, Didone lo trattene con sé a Cartagine; ora questi la tiene come prostituta. Nella lussuria entrambi si mantengono […] e costui ha abbandonato il suo cammino e l’uno e l’altra si danno alle follie. 13

11 Eneas, a c. di J. Salverda de Grave, Niemeyer, Halle, 1891, vv. 3968-3976 (trad. mia). 12 Ibidem vv. 3980-3986 (trad. mia). 13 Ibidem vv. 1567-1573; 1577-1578 (trad. mia).

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2.3 La Chanson de Guillaume Una volta concluso il processo di conversione dell’amazzone, possiamo parlare del primo caso di un’eroina inserita in un contesto medievale e non più classico. Si tratta di Guibourc, una cristiana convertita moglie del nobile Guillaume d’Orange, personaggio della Chanson de Guillaume (1125 ca.) e successivamente di Aliscans (fine del XII sec.). La nobildonna, in assenza del marito, è costretta ad indossare l’armatura e difendere la città dall’invasione dei saraceni, accompagnata da altre donne che dalle mura scagliano lance e pietre contro gli assedianti. Qui me defenderat le terrail e les murs? — Sire, dist ele, Jhesu e ses vertuz, E set cenz dames que ai ça enz e plus. As dos avront les blancs halbercs vestuz, E en lur chefz verz healmes aguz, Si esterrunt as batailles la sus, Lancerunt lances, peres, e pels aguz.

Chi mi difenderà il fossato e le mura? “Sire”, disse lei, “Gesù e la sua potenza, e settecento dame che porto con me. Indosseranno i bianchi usberghi e sul loro capo verdi elmi aguzzi, così faranno battaglia da lassù, lanceranno lance, pietre e paletti aguzzi. 14

Guibourc tuttavia non è la sola donna combattente che ci offre il racconto, in Aliscans troviamo Hermenjart madre di Guillaume che valorosamente scende in battaglia in difesa del figlio. Ormai anziana, dai capelli canuti, nonostante le risa del marito con cuore di leonessa sceglie di combattere per la Francia. Et je meïsmes i seré chevauchant, L'auberc vestu, lacié l'iaume luisant, L'escu au col et au costé le brant. Por ce se j'ai le poil chenu et blanc, S'ai le cuer hardi et combatant; Si aideré, se Deu plest, mon enfant.

E io stessa sarò presente cavalcando, Con l'usbergo indossato, l'elmo lucente allacciato, Lo scudo al collo e al fianco la spada. Anche se ho il pelo canuto e bianco, Ho il cuore ardito e combattente; Così aiuterò, a Dio piacendo, mio figlio. 15

Infine troviamo Flohart (anche detta Florechaux) una vecchia combattente saracena dai tratti surreali: le sue fattezze sono enormi, quasi fosse una gigantessa, dalla sua bocca esce un fumo fetido che appesta l’esercito nemico e combatte armata di una grossa falce. La sua furia vendicativa si scatena contro Rainouart, un gigante saraceno ora convertito e al servizio di Guillaume, colpevole di averle ucciso il fratello. Il possente nemico, armato di un grosso randello di legno, disarma Flohart e malgrado il fetore della donna l’afferra, ma tanta è la furia di quest’ultima che riesce a strappare con i denti l’usbergo di Rainouart. Infine, nonostante lo sforzo, la saracena soccombe. De sa bouche ist une si grant fumee Trestote l'ost en fu empullentee. [...] Et Renoars a la veille guenchie Qui plus puoit. que charoigne porrie. Et Flohart a la ventaille saisie,

Dalla sua bocca uscì un così gran fumo [che] ben presto l'esercito ne fu appestato. [...] E Rainouart alla vecchia sfuggì Che puzzava più di una carogna marcita. E Flohart ha afferrato la visiera [dell'elmo],

14 La Chanson de Guillaume, a c. di D. McMillan, SATF, Paris, 1949-50, vv. 2443-2449 (trad. mia). 15 Aliscans, Tome I, a c. di C. Régnier, Champion, Paris, 1990, versi 3105-3110 (trad. mia).

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As denz li a del hauberc esrachie, Ausi ['l'anglote] que ce fust formagie.

Con i denti l'usbergo gli strappò, Così l'inghiottì come fosse formaggio.

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Il testo ci offre tre donne attive, dal forte temperamento, benché il loro ruolo in battaglia sia marginale. Questo interesse per le donne armate e dai comportamenti virili è un segnale importante, poiché indica l’accendersi nella mente di autori e lettori di un nuovo immaginario nonostante i limiti imposti dalla società dell’epoca. L’idea di una fanciulla guerriera, seppur con qualche resistenza, si sta facendo strada nella fantasia medievale.

2.4 Damigelle in armi Elemento che separa definitivamente la femme-guerrière dall’amazzone è la mancanza di una innata matrice guerresca e di un ruolo maschile presenti fin dalla nascita: infatti, Pentesilea e le sue compagne sono guerriere per natura, non hanno bisogno di un travestimento, non devono celare il proprio sesso e comportarsi come uomini per ottenere un preciso scopo; al contrario le nostre eroine vestiranno indumenti maschili e prenderanno le armi per far fronte a situazioni di necessità. Di fatto, la causa del travestimento non è la stessa per gli uomini e per le donne: si può notare come gli uomini si travestano per avere più facile accesso alla donna desiderata, mentre le donne lo facciano talvolta per fuggire da un uomo, e in ogni caso per beneficiare dei privilegi maschili: diritto di ereditare, di viaggiare sole… 17

Prenderemo in esame alcune eroine dell’epica oitanica, tralasciando il personaggio di Yde che sarà ampiamente discusso nella seconda parte di questo elaborato. - Anseÿs de Mes: chanson de geste del XII secolo facente parte del Cycle des Lorrains che narra il conflitto tra i lorenesi e l’esercito fiammingo-guascone, avente come protagonista il giovane Anseÿs. Nel testo è presente un episodio in cui ventimila donne, rifiutando il ruolo passivo imposto dal gentil sesso, decidono di impugnare le armi e scendere in battaglia a Santerre, vendicandosi dei mariti e dei figli uccisi, decretando così la vittoria della fazione fiamminga. Tra queste spicca Ludie figlia di nobili guasconi e sposa di Hernaut signore di Lorena; la donna sfidando il casato del marito si schiera con le Fiandre, ciò le costerà una condanna al rogo sventata solo dall’intervento di truppe alleate. Non solo guerriera, ma fine stratega, Ludie partecipa insieme ai generali alla stesura della tattica di battaglia, prima di scendere in campo come comandante di una parte dell’esercito.

16 Aliscans, Tome II, a c. di C. Régnier, Champion, Paris, 1999, versi 6731-32; 6565-69 (trad. mia). 17 Travesties et transsexuelles: Yde, Silence, Grisandole, Blanchandine, M. Perret, Romance Notes, vol. 25, 1985, pp. 329 (trad. mia).

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Se je fusse hons, par Dieu le criator Enz en ma terre ne enz en ma contor Ne remenroit chevalier ne signor Que ne feisse perdre toute s’onor Et avec moi ne n’issent a l’estor.

Se fossi uomo, per Dio creatore Nella mia terra e dentro i miei confini Non resterebbe cavaliere né signore Cui non farei perdere il suo onore [Se] con me non uscisse in battaglia. 18

- Doon de la Roche: chanson della fine del XII secolo, narra le vicende di Olive sorella del re di Parigi e moglie di Doon, potente signore germanico che eredita l’intera Lorena. Accusata ingiustamente di adulterio, la duchessa viene cacciata dalla corte insieme al figlio; il racconto prosegue con una serie di intrighi e scontri finché la donna, aiutata da alcuni padri pellegrini e da cavalieri fedeli, non riuscirà a difendere il proprio diritto e le proprie terre minacciate dal traditore Tomile. Nella seconda parte del testo Olive accompagna in battaglia il vescovo Auberi e l’esercito che questi è riuscito a sollevare. A cavallo di un mulo l’eroina parteciperà allo scontro ferendo gravemente Malingre, figlio di Tomile, con un colpo di bastone così violento da infrangergli l’elmo con nasale sfregiandogli il volto e i denti. Et Olive seoit sus .j. mul de Sulie, En sa main .j. perche dont la han[s]te est fresnine: Sor l’iaume de son chief ala ferir Malingre, Que le nasel d’acier en mi le front li brise, Que les denz li esclate et froisse les gencives. Li sanc[s] vermoilz en raie et a val en defile; Moillie[z] en a les pans et du haubert les lices.

Olive sedeva su di un mulo di Siria, Con in mano una pertica dal manico in frassino: Ferisce Malingre sull’elmo [che aveva] in testa, Rompendogli il nasale d’acciaio in mezzo alla fronte, Tanto che i denti si infrangono e le gengive si rompono. Il sangue vermiglio gocciola e cola; Bagnando le parti dell’usbergo e gli anelli. 19

- Floovant: chanson che narra le gesta dell’omonimo primogenito di re Clodoveo, esiliato per sette anni dalla Francia dopo aver osato rasare la barba del suo tutore, dal momento che la barba rasata era giudicato segno di infamia presso i merovingi. Lungo il cammino egli salva una fanciulla di nome Florette, figlia del re Flore che lo prende a corte e lo invia in battaglia contro il re saraceno Galien. Durante l’assedio del castello nemico Floovant rapisce Maugalie, figlia del re, che si innamora del giovane cavaliere. In seguito il principe e dodici baroni francesi cadono nelle mani dei saraceni, e sarà Maugalie a salvarli, promettendo di convertirsi e sposare Floovant. In fuga insieme ai cristiani la giovane principessa indossa abiti maschili, si dipinge il volto e monta a cavallo armata di lancia e scudo. Mult bien resamblai home à la grant forchaüre. La pucelle iert mult prouz et si fut mout vailant. Blainche chemise et braies a vestu metenant, Qui furent à Richier, lou ardi combatant, […] Puis montai en la sale dou destrié auferan, Et ai pris une lance et I. escu pesant.

Somigliava molto a un uomo dalla potente struttura. La pulzella era molto prode e fu molto valorosa. Con camicia bianca e braghe si è ora vestita, Che furono di Richier, l’ardito combattente, […] Poi montò in sella allo stallone da guerra, E prese una lancia e uno scudo possente. 20

18 Anseys de Mes: According to Ms. N (Bibliotheque de l'Arsenel 3143), a c. di H. J. Green, Paris, 1939, vv. 4594-8 (trad. mia). 19 Doon de la Roche, chanson de geste, a c. di P. Meyer e G. Huet, Paris, 1921, vv. 3002-8 (trad. mia).

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- Lion de Bourges: testo tardivo del XIV secolo, una delle ultime chansons francesi, ambientata in nord Italia, in cui viene narrato l’esilio del barone Herpin e di sua moglie Alis. La donna incinta partorirà in una foresta in Lombardia un figlio che avrà nome Lion, poiché allevato da una leonessa subito dopo il rapimento della madre ad opera di tre briganti. La duchessa assiste alla morte dei tre malfattori che si uccidono a vicenda per contendersi il corpo della sventurata. L’eroina approfitta della situazione appropriandosi degli abiti maschili di uno dei briganti, cinge la spada al fianco e si imbarca per la Terra Santa al porto più vicino. A ung dez laron vint qui la estoit fenis, Ces drap li devestit dont il estoit polis; La damme s’an parait et si lez ait vestis. En droit habit d’un homme est adont cez cors mis, L’espee a son costez dont li brans est forbis.

Andò da uno dei briganti che giaceva morto, Gli levò i vestiti che erano ben fatti; La dama se ne adornò e li vestì, Nei panni di vero uomo è ora il suo corpo, Al suo fianco la spada con la lama ben curata. 21

Nonostante lo slancio ardito la fortuna non assiste la donna, che si trova in Spagna sotto il dominio saraceno. Prende il nome maschile di Ballian d'Aragonne, impara l’arabo e lavora per l’emiro di Toledo, finché la città non viene assediata da Marsilie e dal suo campione, il gigante Lucien, che nessuno osa sfidare. Un sogno epifanico invita la duchessa a combattere contro il possente nemico, che sarà sconfitto per grazia divina. La dame prist le brant qui a la terre estoit Et pués vint au joiant et de prez l’approchoit. De l’espee a doulx main sus le corpz le fraippoit; Per teilt devision ou corpz li anbaitoit, Per la vertu de Dieu qui miraicle y moustroit, Hauber ne armure, nulle rien n’y valloit

La dama prese la spada che era in terra Poi andò dal gigante e gli si avvicinò. Con la spada a due mani sul corpo lo colpì; In quel modo il corpo gli batté, Per la virtù di Dio miracolosa, Usbergo e armatura a nulla gli valsero 22

Ballian/Alis porta con sé la lingua del gigante come prova della sua vittoria, ma un cavaliere si presenta a corte con la testa di Lucien reclamando all’emiro la ricompensa promessa. La damigella, sempre travestita, sfida a singolar tenzone l’impostore in un duello giudiziario. “Et s’i dit le contraire, mes corpz le provera: Contre lui corpz a corps combaitre me farait.”

E se dico il contrario, il mio corpo lo proverà: Contro di lui combatterò corpo a corpo. 23

De si tres grant randon chescun s’i ansoingnie, Que lance n’y remaint qui ne soit deffroissie. Pués saisirent lez espee dont l’aicier reflambie; […] Dont vet ver le paien l’espee tout entoisés; Amont sur le hialme li ait grant cop donnér, Si que tout le cervel tout li ait estonnés.

Con grande impeto ciascuno si muove, Che non rimare lancia che non fosse frantumata. Poi presero le spade il cui acciaio risplendeva; quindi va a cercare il pagano, con la spada levata; In alto sull’elmo gli diede un gran colpo, Sicché tutto il cervello ebbe scosso. 24

20 Les anciens poètes de la France, Gui de Bourgogne, Otinel, Floovant, a c. di F. Guessard, Kraus Reprint, Nendeln, 1966, p. 55, vv. 1780-87 (trad. mia). 21 Lion de Bourges: Poème épique du XIVe siècle, a c. di Kibler, Picherit e Fenster, Droz, Genève, 1980, vv. 667-671 (trad. mia). 22 Ibidem vv. 1738-43 (trad. mia). 23 Ibidem vv. 1976-7 (trad. mia). 24 Ibidem vv. 2093-5 ; 2110-2 (trad. mia).

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II) Yde et Olive 3. Il ciclo di Huon de Bordeaux 3.1 Da Huon a Yde Huon de Bordeaux è una chanson de geste composta da un autore ignoto tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo; viene rimaneggiata nei secoli successivi e ampliata da un prologo e da diversi seguiti che ne compongono il cycle. Dei tre testimoni giunti fino a noi il più completo risulta essere il ms. L. II. 14 della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, l’unico a contenere il ciclo completo e a presentare la chanson di Yde et Olive per intero. Di sotto l’elenco dei testi contenuti nel manoscritto seguito da un breve sunto delle canzoni. - Romant d’Auberon - Huon de Bordeaux - Esclarmonde - Clarisse et Florent - Yde et Olive - La chanson de Godin - Romant d’Auberon: il testo si presenta come un prequel di Huon de Bordeaux; l’omonimo protagonista è un nano figlio di Giulio Cesare e di Morgana, elementi che insieme alla presenza di Carlomagno sembrano rappresentare la fusione delle tre matières stabilite da Jean Bodel: Roma, Bretagna e Francia. Nonostante ciò il tema dominante resta il meraviglioso, Auberon è il re delle fate il testo infatti non è altro che un conte de fées che introduce il personaggio che aiuterà Huon nelle successive avventure. - Huon de Bordeaux: la chanson si apre presso la corte di Carlomagno; l’imperatore ormai divenuto molto vecchio decide di abdicare cedendo la corona al figlio Charlot malgrado lo consideri un giovane che “ne vaut pas un denier”. Entra in scena l’antagonista Amaury, il quale, mosso da antico rancore, aizza il sovrano contro Huon e Gérard, figli del defunto duca di Bordeaux. Accusati di ribellione i due si dovranno presentare a Parigi per chiarire la loro posizione, ma arrivati a pochi passi dalla città sono vittima di un imboscata ordita da Amaury in combutta con Charlot. Il figlio dell’imperatore, la cui identità è celata dall’armatura, si scaglia con violenza contro Gérard ferendolo gravemente, a quel punto Huon estrae la spada e con grande furore uccide l’erede al trono. Carlomagno non riuscendo a discernere la verità sull’omicidio lascia la contesa al giudizio divino tramite un duello tra il barone di Bordeaux e il malvagio Amaury. Il protagonista abbatte il traditore tranciandogli la testa, tuttavia il nemico non ha il tempo di confessare le sue colpe e così la vittoria viene vanificata. Huon in segno di pace si offre di compiere qualsiasi servigio per la corona, 18

e Carlomagno detta dunque come condizione un ardua impresa: il giovane dovrà recarsi a Babilonia presso il re Gaudisse, entrare nel suo palazzo, uccidere il primo che gli verrà incontro, dare tre baci alla figlia Esclarmonde, infine forzare il re a tagliarsi la barba e levarsi quattro denti per consegnarli all’imperatore. Huon parte per la missione insieme a undici cavalieri, si reca a Roma per chiedere la benedizione del Papa, poi si imbarca con il cugino Garin de Saint-Omer, per raggiungere il Santo Sepolcro. Entra in scena Auberon che offre aiuto all’eroe donandogli degli oggetti magici tra cui un corno capace di evocare un potente esercito. Il racconto continua costellato da audaci imprese finché Huon non raggiunge Babilonia dove riesce a compiere la missione, ma viene catturato e imprigionato, e riuscirà a fuggire solo grazie all’intervento della principessa, innamoratasi del giovane. Tornato a Bordeaux l’eroe viene tradito da Gérard che gli sottrae tutte le prove dell’impresa; in suo soccorso arriva Auberon che con prodigi ristabilirà la situazione, garantendo il perdono dell’imperatore e la morte dei traditori. La chanson si conclude con il nano che promette a Huon di lasciargli in eredità il magico regno di Féérie. - Esclarmonde: Huon si trova a Bordeaux assediato dalle truppe imperiali; data l’inferiorità numerica tenta una sortita per cercare altrove un appoggio militare. Per l’eroe si apre uno scenario avventuroso fatto di saraceni, creature mostruose e magici pomi della giovinezza. Intanto, a sua insaputa la città cade in mano al nemico, Esclarmonde viene fatta prigioniera e condannata al rogo, e solo l’intervento di Auberon la salverà. Sul finale Huon rientra in Francia, riesce a riconciliarsi con l’imperatore e va a vivere nel regno delle fate. - Clarisse et Florent: Clarisse, la bella figlia di Huon, viene rapita e trasportata via mare lontana dal suo regno: verrà salvata da Pierre d’Aragon, che ignorando l’identità della principessa, la conduce presso il proprio re. Il giovane principe Florent subito si innamora della fanciulla e ne chiede la mano al padre, tuttavia il sovrano acconsentirà le nozze solo se il figlio sconfiggerà il re di Navarra. Nonostante la riuscita dell’impresa il re tenterà di far uccidere la giovane ritenendola di basso rango; Clarisse verrà così imprigionata in una torre da cui riuscirà a fuggire solo grazie al salvataggio di Florent. Infine arriverà un messaggio di Huon, dal regno di Féérie, che riconoscendo i nobili natali della fanciulla aprirà la strada al matrimonio dei due innamorati. - La chanson de Godin: canzone che segue Yde et Olive e narra le vicende del figlio di Huon de Bordeaux. Tradito dai suoi vassalli e spodestato da un aumaçor (dignitario saraceno) Godin lotta coraggiosamente per riprendersi la corona. In suo aiuto troviamo il buon re Bondifer, ma gli sforzi congiunti non bastano a ristabilire l’ordine, dovrà intervenire Huon. L’eroe lascia il regno di Féérie per soccorrere il figlio, vince su tutti i nemici e salva il trono. 19

4. La chanson di Yde et Olive 4.1 Analisi dell’opera Il racconto si apre riallacciandosi alla precedente avventura: Clarisse e Florent hanno fatto ritorno in Aragona dove li attendono i festeggiamenti per le nozze. Il re è felice di rivedere il figlio, ma poco dopo si ammala gravemente e lascia il regno al principe prima di spirare. I novelli sovrani hanno una figlia battezzata con il nome di Yde, purtroppo però la regina muore di parto e il marito si chiude nel suo dolore. Li rois retourne en sa grant sale antie Dont rest li dels doublés de la roïne. “Que devenrai,” fait il, “pour vous, amie?” Sorbarrés fait lués aporter sa fille. Quant li le voit, a haute vois s’escrie, “Amie douce, or es tu orphenine!” Si home ont dit, “Vous faites vilonnie. Pour duel mener ne le rarés vous mie. Laissiés le duel si ferés courtoisie. De li avés une molt bele fille; Si bele n’a dusc’a la mer de Grisse. Pour tel restor soit la noize laissie.”

Il re ritorna nella sua grande sala antica, dove dimora, raddoppiato, il dolore per la regina. “Che ne sarà di me,” dice “a causa vostra, amica ?” Sorbarré gli fa portare sua figlia. Quando [il re] la vede ad alta voce grida: “dolce amica, ora sei orfana.” Così l’uomo (Sorbarré) disse: “vi fate villania, serbando il dolore non la riavrete, lasciate il dolore così farete cortesia. Da lei avete [avuto] una bellissima figlia, così bella non ce n’è da qui al mare di Grecia, per tal conforto sia abbandonato il tormento.” 25

Yde raggiunti i quattordici anni è ormai diventata una bellissima damigella, corteggiata da nobili di tutta Europa. Il padre però è follemente geloso, tanto da rifiutare la mano della figlia a duchi e principi, volendola conservare tutta per sé. A .xiiii. ans fu si bele meschine, Pour sa biauté toute gent s’esjoïssent. Au pere l’ont rouvee duc et prince, Et conte et roi volentiers le presissent. N’en n’i vient nul que on ne l’escondisse. Requize l’ont de dela Rommenie. Li rois respont marïer n’en voel mie; Ains l’avera pour lui a compaignie. Ne voel de li encor eslongier mie. C’est ses deduis, n’autre amor il ne prise. Molt souvent l’a accollee et baisie Pour s’espouzee a cui ele fu fille.

A quattordici anni era una così bella ragazza, per la sua bellezza tutti gioivano. Al padre l’hanno chiesta duchi e principi, e conti e re volentieri la prenderebbero, [ma] non ve n’è nessuno che non sia rifiutato. L’hanno chiesta da più lontano di Roma, [ma] il re risponde [che] maritarla non vuole al contrario l’avrà per sua compagnia, ne vuole [che] da lui si allontani. È la sua gioia, null’altro amor egli apprezza. Molto spesso l’ha abbracciata e baciata per la sposa di cui ella fu figlia. 26

Florent riunisce i suoi baroni per un importante annuncio: dopo quattordici anni di vedovanza ha finalmente deciso di risposarsi. I nobili a corte si interrogano felici chiedendosi da quale paese arriverà la loro nuova regina, la risposta non tarda ad arrivare creando non poco scompiglio. Il sovrano, rapito dalla somiglianza di Yde con la madre, intende sposare sua figlia.

25 Testo stabilito nella recente edizione di M. Abbouchi: Yde et Olive, edition and translation of the text in Ms. Turin L. II. 14, University of Georgia, 2015, vv. 112-123 (traduzione mia). 26 Ibidem, vv. 137-148 (trad. mia).

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Lo sdegno scende sul regno d’Aragona, ma Florent è determinato a eliminare ogni ostacolo pur di appagare il proprio desiderio. Que j’ai perdue Clarisse la roïne, La bele dame cui Jhesus beneïe. De bone amor l’amoie sans faintize; Onques puis jour n’och femme a compaignie. Ore est bien drois que a vous tous le die: Pour femme avoir iert ma joie essaucie. Une en arai, n’iert hom [qui] m’en desdie.” La gent au roi ont grant [joie] menee De chou qu’il a a femme s[e pen]see. “Sire,” font il, “pour la vert[u nome]e, Dont sera elle et de quele contree? Si m’aït Dix, molt iert bone eüree Quant d’Arragone iert roïne clamee.” Et dist Florens, “Par l’ame de mon pere, Maint haut homme ont ma fille demandee. Jou ne sai homme u mix fust marïee. Dedens .i. mois l’averai espouzee;

Da quando ho perduto Clarisse, la regina, la bella dama, che Gesù benedica, Di vero amore l’amai senza finzione, mai più ebbi donna per compagna. [ma] ora è bene che a voi tutti lo dica: “avendo una donna sarà la mia gioia esaltata, una ne avrò, non ci sarà uomo che mi si opponga.” Il popolo al re gran gioia ha donato a colei che avrà in moglie pensava “Sire” dicono “in nome della virtù, da dove verrà e da quale contrada? Che Dio mi aiuti, sarà molto fortunata quando d’Aragona regina sarà chiamata.” Disse Florent “per l’anima di mio padre, molti valenti uomini hanno chiesto mia figlia, non conosco uomo che meglio la mariterebbe, entro un mese l’avrò sposata,

Jou le prendrai pour l’amour de sa mere.” Dist Sorbarrés, “Qu’est ce que tu dis, leres? Doit dont ta fille estre a toi marïee? A ceste loi que Dix nous a donnee, Dedens infer sera t’ame dampnee.” Et dist Florens, “Mar i ara pensee! S’il est nus hom qui le m’ait deslöee, Lués li arai l’ame du cors sevree.”

la sposerò per l’amore di sua madre.” Disse Sorbarré “cosa dici canaglia, deve dunque tua figlia essere a te maritata ? Secondo la legge che Dio ci ha donato, dentro l’inferno sarà la tua anima dannata.” Florent disse “mal avrà pensato se c’è uomo che ella mi voglia dissuadere allora gli separerò l’anima dal corpo.” 27

La principessa affranta piange giorno e notte angosciata per il suo crudele destino, timorosa di vedere la sua anima dannata. Terrificata dalle intenzioni del padre, che l’ha fatta portare nella sua stanza in modo da poterla sorvegliare, progetta di scappare. Provvidenzialmente entra in città il nobile Désiier de Pavie, il re è dunque costretto a lasciare Yde per rendere omaggio all’ospite. La giovane non perde l’occasione: indossati abiti maschili raggiunge le stalle e monta su di un cavallo da guerra fuggendo nella notte. Dras d’omme vest, de riens ne s’i detrie; En guize d’omme s’est bien aparillie. Vient a l’estable, au destrier est lancie, Puis est montee que ne s’atarga mie. Par nului n’est veüe ne coisie. Fors d’Arragonne en va, Dix li aïe. Florens revint en sa cambre, l’a quize; Bien s’aperchiut que s’en estoit fuïe. Molt fu dolans, je ne vous en [ment] mie. Pour la pucelle amene grant martyre, Et la commune entour lui brait et crie. Dïent au roi, “Vo destrier n’avés mie. Dessus s’en va fuiant Yde vo fille.”

Vesti d’uomo indossa, per nulla esita, in guisa d’uomo s’è ben camuffata, va nella stalla, sul destriero si lancia, poi una volta montata non s’attarda da nessuno è vista né notata, fuori d’Aragona se ne va, Dio l’aiuti. Florent ritorna nella sua camera, la cerca ben s’accorse che se n’era fuggita. Ne fu molto dolente, non vi mento, per la pulzella porta gran tormento, e il popolo intorno sbraita e grida, dicono al re “il vostro destriero non avete [più] sopra esso se ne va fuggendo Yde vostra figlia.” 28

27 Ibidem, vv. 160-184 (trad. mia). 28 Ibidem, vv. 341-353 (trad. mia).

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Yde cavalca fino alle prime luci del giorno poi si nasconde nella foresta e riprende il cammino di notte per non essere trovata. Venduto il cavallo per sostentarsi compra nuovi abiti e si cinge una spada al fianco, infine preso il bastone da viandante s’incammina verso la Germania raggiungendo Barsillon. Qui incontra una compagnia militare tedesca diretta a Roma, che sosterà qualche notte in città in attesa di rinforzi. I soldati sono impegnati in una campagna contro un re spagnolo e Yde vorrebbe fare parte della spedizione, così si presenta come uomo d’arme in cerca d’ingaggio. La principessa riesce nel suo intento, cambia nome in Ydé ed entra a far parte dell’esercito diventando uno scudiero, ruolo tradizionalmente ricoperto dagli aspiranti cavalieri durante l’adolescenza. Uns Alemans belement l’apella, “A cui iés tu? Di moi, nel celés ja.” Dist a Ydain, “Biax frere, or enten cha.” “Sire,” dist ele, “a celui cui plaira. Service kier plus de .xv. jours a. En A[rrag]onne ai servi grant piecha; Or est cis mors qui ici m’amena. Bien sai servir, ne sai qui moi prendra, Mener sommier u garder .i. ceval, Et s’il avient qu’en bataille on alast, Pïour de moi je croi i avera.” Dist l’Alemans, “Molt grans biens t’en venra. Comment as non? A moi n’en choile ja.” “J’ai non Ydés,” cele respondu a. “Freres,” dist il, “tu menras mon ceval. Je te retieng; nus maus ne t’en venra.”

Un alemanno cortesemente l’interroga: “di chi sei [a servizio] ? Dimmi, non nasconderlo.” Disse Yde: “bel fratello, ora ascolta”. “Sire”, disse, “di colui che [mi] vorrà.” “Cerco ingaggio da più di quindici giorni, in Aragona ho servito lungamente, ora è morto colui che mi portò qui. Ben so servire, sappia chi mi prende, menare bestie da soma o badare a un cavallo e se bisogna che in battaglia si vada peggiori di me credo ci saranno.” Disse l’alemanno: “gran fortuna te ne verrà, come ti chiami ? Non nascondermelo.” “Mi chiamo Ydé, rispose ella”. “Fratello”, disse lui, “tu condurrai il mio cavallo.” “Ti recluto, nessun male te ne verrà.” 29

L’esercito intercetta una compagnia di spagnoli sulla via di Roma, e la giovanissima Yde/Ydé si trova così ad affrontare la sua prima battaglia. Malgrado la mancanza di preparazione armi in pugno l’eroina si getta nella mischia uccidendo numerosi nemici e mostrando il proprio valore ai commilitoni. N’ot point d’escu, mais sa lance empoigna. .I. Espaignot feri qu’ele encontra Que son escu li rompi et quassa, Et de son dos le hauberc li faussa. Parmi le cors la lance li bouta, Si l’abati, ains puis n’en releva. Yde la bele sa lance resaca; Ains mais sor home a nul jour ne hurta; Petit sot d’armes. Arriere retourna. Uns Alemans arriere resgarda, Se li a dit, “Bien ait qui t’engenra!”

Non aveva scudo, ma la sua lancia impugnò, uno spagnolo ferì che ella attaccò, il suo scudo ruppe e spaccò e sulla schiena l’usbergo gli incrinò, in mezzo al corpo la lancia gli gettò così l’abbatté che più non si levò. Yde la bella la sua lancia recuperò, prima d’allora mai uomo urtò, poco abituata alle armi indietro ritornò. Un alemanno si rigirò e le disse “fortuna a chi ti generò.” 30

Nonostante lo sforzo ardito la compagnia tedesca viene sconfitta e dispersa, Yde/Ydé è costretta alla fuga e si allontana a cavallo. Giunta in una foresta incontra una banda di trenta briganti, 29 Ibidem, vv. 389-404 (trad. mia). 30 Ibidem, vv. 432-442 (trad. mia).

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affamata si avvicina per chiedere del cibo, ma questi hanno intenzione di rubarle il prezioso destriero. La giovane, con cuore saldo e animo cavalleresco, sfida a duello il capobanda: se vincerà potrà andarsene, altrimenti dovrà lasciare tutti i suoi averi. Ovviamente l’eroina si aggiudica la tenzone e riparte con fierezza verso Roma. Damoiselle Yde tint par grant hardement Entre ses bras le fort larron pullent. A terre l’a jeté si durement, Sor .i. perron si dolerousement, Ens en sa bouce n’a il remés nul dent Qui ne li duelle molt dolerousement, Et que la teste en .ii. moitiés li fent. Yde n’ot plus del arrester talent; Vint au destrier, s’i monte isnelement. L’espee traist, si crie hautement, “Fil a putain! Mauvais larron pullent! Vo traïsons ne vous vorra noient. Vers moi avés pensé vilainement; Cis a luitiét, je croi qu’il s’en repent. Je ne vous dout se n’estiés plus de .c.!” Dont dist em bas que nus hom nel entent, “Bien doi avoir prouece et hardement Quant je sui fille au rice roi Florent.”

Damigella Yde tenne arditamente tra le braccia il forte ladro puzzolente, a terra lo gettò così duramente sopra una pietra così dolorosamente, che nella bocca non gli rimase un dente che non gli dolesse molto dolorosamente, e la testa in due metà gli divise [con un fendente]. Yde d’aspettare non più paziente corse al destriero e ci montò agilmente, [e] a spada tratta gridava fortemente: “figlio di puttana, brutto ladro puzzolente ! I vostri tradimenti non vi varranno a niente, contro di me avete ordito vilmente, chi mi ha affrontato ora se ne pente, non vi temo anche foste più di cento !” Poi a bassa voce, che nessuno la sentisse: “devo aver gran prodezza e ardimento poiché son figlia del potente re Florent” si disse. 31

Yde/Ydé giunge infine a Roma e si presenta al re Oton; il sovrano domanda allo scudiero da dove proviene, la giovane risponde di aver militato per lungo tempo in Germania, di aver incontrato l’esercito del re di Spagna e che quest’ultimo ha giurato la morte al buon re che ha davanti. L’eroina vede entrare nella sala del consiglio la principessa Olive, la più bella dama del regno, che guarda con ammirazione il giovane guerriero. Oton, data la prodezza e la nobiltà d’animo di Yde/Ydé decide di affidargli la protezione della figlia, mansione che lo scudiero accetta di buon grado. Je te retieng; en toi cuit grant fierté. Olive, fille, avés vous escouté? Pour vous retieng cel escuier löé. Servira vous a vostre volenté.” “Sire,” dist ele, “.v. mercis et grés. Mais n’en och nul tant me venist a gré.” Rommain l’otrient par bone volenté. Molt volentiers ont resgardé Ydé. Li rois l’apelle et l’a arraisonné, “Amis,” dist il, “or me servés a gré. J’ai une fille qui molt a de biauté. Cele tenra ma terre et mon regné. Or gardés bien comment vous maintenés; Se bien le sers, il t’est bien encontré.”

“Ti prendo a servizio, confido nella tua gran fierezza, Olive, figlia, avete udito ? Per voi ingaggio questo valente scudiero, vi servirà secondo la vostra volontà.” “Sire”, disse, “cinquecento volte grazie, mai nulla mi fu tanto gradito.” I romani l’accettarono con benevolenza, molto volentieri guardarono Ydé. Il re lo chiamò e lo interpellò: “Amico”, disse, “ora servitemi secondo la mia volontà, ho una figlia molto bella, ella avrà la mia terra e il mio regno. Ora fate attenzione a come vi comportate, se ben la servite ne ricaverete fortuna.” 32

31 Ibidem, vv. 563-580 (trad. mia). 32 Ibidem, vv. 643-656 (trad. mia).

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Intanto il feroce re di Spagna avanza verso Roma bruciando le terre del regno, minacciando di violentare Olive e di mozzare la testa all’imperatore. Oton fa subito chiamare Yde/Ydé che armata di tutto punto si prepara alla battaglia. Raggiunto il Tevere lo scudiero si scontra con i cavalieri nemici e vittorioso invoca la protezione della Vergine Maria, ricordando di essere diventata uomo per salvare il suo onore. Fiert Embronchart sor sa targe florie, Ens u plus fort l’a rompue et percie, Et le hauberc li derront et descire; Parmi le cors li met sa lance [entire], Du bon destrier l’abat mort et souvine. Caïr le voit, et puis li prent a dire, “Outré, cuivers! Li cors Diu te maudie! Mar i venis tel coze as commencie Dont plus de mil en perderont la vie. Je vous calenc les plains de Rommenie!” Puis dist em bas la pucelle eschavie, “Vrais Dix, sekeur ceste lasse caitive Qui pour honor est com uns hom cangie. Pour le pecié m’en sui ci afuïe, Et ai mon pere et sa terre laissie. Or me gardés, douce Virge Marie.”

Ferisce Embronchart sullo scudo fiorito, che con forza ha rotto e forato. L’usbergo gli rompe e strappa, in mezzo al corpo gli infila la lancia intera, dal buon destriero l’abbatte; morto e supino cader lo vede, e poi comincia a dirgli: “infame sconfitto, il cuor Dio ti maledica ! Mal venisti tal cose a cominciare, per le quali più di mille perderanno la vita. Io vi sfido [per] le piane di Roma !” Poi disse, a bassa voce, l’esile pulzella: “vero Dio soccorri questa povera prigioniera che per [salvar] onore si è in un uomo trasformata per [evitare] il peccato me ne son qui fuggita e mio padre e la mia terra ho lasciato ora proteggimi dolce vergine Maria.” 33

Yde/Ydé rientra trionfante a Roma: il valore dimostrato in guerra gli fa conquistare le grazie del re e soprattutto il cuore di Olive, che osservava il suo eroe dalle mura della città. Yde fu molt resgardee et coisie, Car des crestiax l’avoit veüe Olive. Trestous li cors de joie li fourmie, Et dist em bas c’on nel e[n]tendi mie, “Mes amis iert; ains demain li voel dire. Ains mais ne fui d’omme si entreprise; S’est bien raisons et drois que je le die.”

Yde fu molto ammirata e guardata, poiché dalle mura l’aveva vista Olive, tutto il corpo di gioia le fremeva, e disse a bassa voce che nessuno la sentisse: “il mio amato sarà, prima di domani glielo voglio dire. Prima d’ora mai fui d’uomo tanto presa, a ragione e a buon diritto glielo dirò.” 34

Dopo un anno di servizio alla corte di Oton e dopo la grande vittoria contro gli spagnoli Yde/Ydé ha completato la sua formazione militare diventando a tutti gli effetti un cavaliere. Il suo prestigio a Roma e l’amore di Olive portano il sovrano a eleggere l’eroe come suo successore, a dargli in eredità il regno e in sposa la principessa. .I. jour avoit rois Otes assamblé Les pers de Romme, et les postaus mandés. “Baron,” dist il, “or oiés mon penser. J’ai une fille qui molt fait a loër. Ains que je muire le vorrai marïer. Si le donrai mon chevalier Ydé; Romme ait avoec et ma grant roiauté, Car jou ne sai nul tel baron qu’Idé.”

Un giorno re Oton aveva riunito i pari di Roma e chiamato i podestà. “Baroni”, disse, “ascoltate il mio pensiero: ho una figlia molto lodata, prima che io muoia la voglio maritare, così la darò [al] mio cavaliere Ydé, Roma abbia con essa e il mio grande reame, poiché non conosco barone al pari di Ydé.”

33 Ibidem, vv. 763-778 (trad. mia). 34 Ibidem, vv. 803-809 (trad. mia).

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Romain s’i sont volentiers acordé, Dont l’accolla par molt grant amisté. Dist li rois Otes “Or m’entendés, Ydé. Vous m’avés tout mon païs aquité. Le guerredon vous en voel ci donner: J’ai une fille qui tant a de biauté; Vous l’averés a moullier et a per, Et mon roiaume quant jou ere finés.”

I romani furono volentieri d’accordo, dunque [il re] l’abbracciò con grande amicizia. Disse il re Oton: “ora ascoltatemi Ydé, tutta la mia terra avete liberato, la ricompensa vi voglio donare: ho una figlia molto bella, voi l’avrete come moglie e sposa e [con essa] il mio regno, quando il mio tempo sarà finito. 35

Yde/Ydé conscia del suo terribile segreto tenta invano di rifiutare la mano di Olive e timorosa per il suo destino prega Dio per la sua salvezza. Mix me laissasse en .i. fu embrase[r]. Jou m’en fuï, pour la honte eskiver, De ton païs, par ton pecié mortel. En maint peril a puis mes cors esté. Or me cuidai dedens Romme garder, Mais jou voi bien mes cors ert encusés. La fille au roi a mon cors enamé; Or ne sai jou comment puisse escaper. Se jou lor di femme sui [en ve]rté, Tantost m’aront ochis et decopé, U a mon pere diront la verité. Il me rara molt tost se ci me set, U il m’estuet fuïr outre la mer.

Meglio se mi fossi lasciata ardere in un fuoco, me ne fuggii, per evitare l’onta, dalla mia terra, per il tuo peccato mortale [padre]. A molti pericoli sono stata esposta, credevo di essere protetta a Roma, ma il mio corpo verrà accusato. La figlia del re si è innamorata di me, ora non so come potrei salvarmi. Se dico loro che in realtà sono [una] donna ben presto mi uccideranno e faranno a pezzi, o a mio padre diranno la verità [ed] egli mi riavrà molto presto, se ciò mi accade dovrò fuggire al di là del mare. 36

Arrivato il giorno delle nozze Olive chiede al marito di aspettare prima di consumare il matrimonio e Yde/Ydé accetta ovviamente di buon grado. La giovane sa che presto o tardi il suo segreto verrà svelato e per lei sarà la fine così decide di rivelare tutto alla moglie, che per amor suo l’aiuterà. Et Yde jut avoecques s’espousee. Ne l’a nient plus que soloit aparlee; Devers les rains pointe ne adesee. Olive s’est durement mespensee; Sa compaignie a sacie et boutee, Et Yde set molt bien u elle bee. Vers li tourna, plus ne li fist celee. De cief en cief li a l’uevre contee.

Yde giacque con la sua sposa, [e] non fece nulla di più che rivolgerle parola. Verso i fianchi la punta non approcciò, Olive molto si insospettì, il compagno afferrò e spinse [sul letto]; Yde sapeva bene quello che ella voleva. Verso di lei si girò e più non nascose [il suo segreto], da capo a capo la storia le raccontò. 37

Un ragazzo ascolta la conversazione dei due amanti e giurando vendetta contro Yde/Ydé corre a riferire il tutto al sovrano, che si infuria e pretende di conoscere la verità. Così il re fa preparare un bagno e fa chiamare il genero perché si spogli con la scusa di lavarsi insieme a lui. La protagonista tenta di sottrarsi, ma Oton le ordina di spogliarsi e giura che se si rivelerà essere una donna brucerà lei e la figlia sul rogo. Quando tutto sembra perduto ecco l’intervento divino e la metamorfosi.

35 Ibidem, vv. 827-843 (trad. mia). 36 Ibidem, vv. 891-903 (trad. mia). 37 Ibidem, vv. 984-991 (trad. mia).

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Yde trambla, Olive a souspiré; A genoullions a Diu merci crïé. Li rois a tout son barnage mandé. Devant aus tous ceste cose a conté. Tout em plourant a cascun escrïé, “Seignour,” dist il, “quel conseil me donrés?” “Fai les ardoir!” cascuns li a crïé. Ensi com Yde a de paour tramblé, Devers le ciel descent une clartés. Ce fu uns angles; Dix le fist avaler. Au roi Oton a dit, “Tout cois estés. Jhesus te mande, li rois de maïsté, Que tu te baignes, et si lai chou ester, Car jou te di en bonne verité, Bon chevalier a u vassal Ydé. Dix li envoie et donne par bonté Tout chou c’uns hom a de s’umanité. Lai le garchon,” dist li angles, “aller; Il vous avoit dit voir, mais c’est passé. Hui main iert feme, or est uns hom carnés.

Yde tremò e Olive sospirò, in ginocchio a Dio pietà chiese gridando. Il re tutta la corte chiamò, davanti a tutti questi fatti raccontò, [e] piangendo ad ciascuno gridò: “signore”, disse, “che consiglio mi darete?” “Falle ardere!” ognuno protestò. Mentre Yde di paura tremava dal cielo discese una luce, era un angelo, Dio lo fece scendere, al re Oton disse: “state tutti in silenzio, Gesù ti comanda, il re di grandezza, che tu ti bagni e lasci le cose come stanno. Poiché io ti dico in verità: hai un buon cavaliere, il valoroso Ydé, Dio gli invia e dona per bontà tutte le cose che un uomo possiede per natura. Lascia andare il ragazzo (la spia)”, disse l’angelo, “vi ha detto il vero, ma ciò è passato stamattina era donna ora è un uomo in carne ed ossa.” 38

La chanson si conclude bruscamente in appena undici versi: l’angelo annuncia l’imminente morte del re Oton, ordina che Yde/Ydé sia il legittimo sposo di Olive e predice che la coppia avrà un figlio di nome Croissans. Il percorso della nostra eroina pare quello di un romanzo di formazione ante litteram, Yde è un personaggio che compie una grande evoluzione, nonché una delle pochissime femme-guerrière a diventare un vero e proprio cavaliere. L’eroina all’inizio del racconto si presenta come una timorosa fanciulla braccata dalle brame incestuose del padre, in seguito fugge e si traveste da uomo, diventa un mercenario, poi uno scudiero e infine arriva a servire il potente re di Roma; qui la sua carriera militare raggiunge l’apice, ma la fase più saliente resta ovviamente l’ultima, ovvero il cambio di sesso: Yde è ora a tutti gli effetti Ydé, un uomo, un marito, un re.

4.2 Yde et Olive nella letteratura italiana La fama della chanson varca i confini di Francia, valica le Alpi e arriva nella Toscana del Trecento, raccolta da un poeta di nome Pietro Corsellini, conosciuto anche come Piero da Siena. Il componimento più importante di questo scrittore sono gli otto cantari della Bella Camilla (indicati nel Laurenziano LXXVIII, 23 con il titolo Otto cantari di Amodio), opera che ricalca in modo evidente la trama di Yde et Olive spostando l’ambientazione nel nord Italia. Amideo re di Valenza ha per moglie la bellissima Idilia, i due si amano molto e hanno una figlia di nome Camilla. La principessina, al contrario di Yde, mostra già dai primi versi evidenti segni di un carattere mascolino, dedicandosi alla scherma, all’equitazione e giostrando nei tornei.

38 Ibidem, vv. 1032-1051 (trad. mia).

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Camilla bella fu oltre misura per grazia di Dio parve chavesse […] in tanto pregio Camilla salita. Ella regendosi con atto maschile di femina ogni cosa aveva a vile. […] Tre scermidori cominciò a ttenere a llei insegnare e a certi damigelli di gran legnaggi e di gran podere. La sera cavalcava e lla mattina, di questo diventò maestra fina. […] a giostra andava come uomo armato; di natura era forte e poderosa. Perseverando questo modo usato, delle giostre portava onore e pregio, così d’arme montò inn alto pregio. 39

Idilia si ammala e prima di morire fa giurare al marito di non sposarsi se non con una donna più bella di lei, il re acconsente, ma non riesce a trovare una dama al pari della defunta regina, così il suo desiderio si rivolge verso la figlia. Disse lo re: «Da po’ che Dio m’ha tolto cole’ che mi toglie ogni tormento, la figlia mia, che pare un giglio d’orto, vo’ tôrre, e ssarà salvo il saramento che fé’ al corpo ch’è di vita sciolto». Mandò per leï sanza tardamento. Com’ella giunse, disse alla primiera: «Bella figliuola, i’ ti vo’ per mogliera». 40

Camilla rifiuta con sdegno di commettere un simile peccato, il padre allora alza la spada su di lei volendola percuotere, ma ecco che un angelo interviene e suggerisce alla fanciulla le parole da usare. La principessa fa credere al re di accettare il matrimonio, ma intanto con l’aiuto di un fratello di latte di nome Manbriano progetta la fuga. La protagonista prima delle nozze chiede di visitare Rocca della Spina, il re accetta di buon grado, ma con questo inganno Camilla insieme a Manbriano fugge via mare sulla nave di un marinaio di nome Ricciardo. La fanciulla indossa abiti maschili e cambia nome in Amodio. Dopo alcune sfortunate e stravaganti avventure l’eroina si trova a Leanza, nel regno di Aquileia governato dal re Felice, si presenta a corte offrendo i suoi servigi al sovrano e qui incontra la bellissima principessa Cambragia, che subito s’invaghisce del “giovanotto”. Il re ha già scelto per lei come marito il duca di Baviera, ma la figlia con astuzia convince il padre a farsi dare in sposa ad un nobile del suo reame. Il sovrano organizza dunque un torneo e al vincitore darà in premio la mano della figlia.

39 Cantare di Camilla di Pietro Canterino da Siena: storia della tradizione e testi, a c. di R. Galbiati, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2015, c. I, 34-37, p. 161-162. 40 Ibidem, c. I, 46, p. 165.

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Padre mio diletto, caro e umano, la voglia di mio cor ti vo dicendo: lo mio reame per un altro strano non vo’ lasciar per l’altrui gir cercando, ché n un bello proverbio si truova ch’egli è me’ la via vecchia che lla nuova. 41

Vincitrice del torneo risulta ovviamente Camilla/Amodio, che ora si trova costretta a sposare Cambragia e teme per il suo segreto che presto o tardi sarà svelato. O padre, questa arà le crude doglie, quando saprà che suo marito è moglie. 42

Intanto i baroni gelosi e pieni di sospetto vorrebbero conoscere le vere origini dello straniero, così il marchese di Brandeburgo escogita un piano: manderà un nano sotto il letto nuziale per origliare ciò che si diranno i novelli sposi. Infatti quella notte la protagonista confessa i suoi segreti alla moglie, la spia va dunque a riferire al suo signore, che informa il re. Infuriato il sovrano ordina che tutti i cavalieri si presentino per fare il bagno insieme a lui, in questo modo metterà alla prova il genero. Camilla/Amodio sente la fine vicina e pietrificata dal terrore rifiuta di spogliarsi, il re ordina dunque alle guardie di svestirla con la forza, ma proprio quando tutto sembra perduto appare una leonessa che mette in fuga gli uomini e insegue la protagonista fin dentro la foresta. La fiera si rivela essere un angelo del Signore inviato a salvare la giovane trasformandola in vero uomo e così Camilla bella trovossi garzone. ed ella allor levò la ritta zampa e cominciò a parlar dolcemente e disse: «Tu ch’ha’ dentro mortal vampa, sappi per verità, figlia piacente, ch’i’ son l’angel di Dio a tte mandata per la pazienza ch’hai in te portata. P lo gran mal che del padre fugisti e per la pazïenza de’ tormenti, vole Iddio Padre che ttu grazia acquisti: che ttu femina sè, maschio diventi». 43

Il poemetto si conclude con un lieto fine: il re vedendo il corpo virile del genero scioglie ogni dubbio, placa la sua ira e rientra a corte con i suoi cavalieri. Cambragia può infine riabbracciare il suo amato, ora salvo da ogni pericolo. Camilla, diventata Amodio, rivela le sue nobili origini al sovrano che folle di gioia allestisce una gran festa in suo onore. Gli ultimi versi sono dedicati all’esaltazione dell’amore tra la coppia e ad una breve descrizione delle vicende che seguiranno: gli sposi avranno cinque figli ed erediteranno il regno di Aquileia assieme a quello di Valenza, 41 Ibidem, c. V, 41, p. 231. 42 Ibidem, c. VI, 51, p. 254. 43 Ibidem, c. VIII, 16-17, p. 282.

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reclamato dal protagonista. Come in Yde et Olive troviamo una fanciulla in pericolo che compie il suo percorso di formazione: conquista uno status sociale elevato e viene salvata dall’intervento divino con una metamorfosi che le permette di sopravvivere alle difficoltà che si è trovata ad affrontare più per necessità che per scelta. Nonostante gli ostacoli iniziali Camilla riesce a trovare la sua felicità; il messaggio volutamente morale di Corsellini pare potersi dunque compendiare nel classico per aspera ad astra un invito al lettore a lottare e a non arrendersi di fronte alle avversità.

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III) Studi di genere 5. Letteratura e identità 5.1 Dall’androgino alla metamorfosi Analizzando le componenti sociologiche relative alla femme-guerrière non si possono eludere dal discorso gli elementi legati all’identità di genere. Come mostrato in precedenza diverse eroine rinunciano alla loro natura femminile, trasformandosi in personaggi maschili, ricorrendo al travestitismo e in alcuni casi arrivando addirittura al cambio di sesso. Le prossime pagine tenteranno di individuare le origini di una tale catarsi, in primo luogo analizzando il mito dell’androgino, ossia l’essere unisce i due poli, maschile e femminile, emblema di quell’equilibrio primigenio che una volta infranto darà vita all’eterna ricerca dell’altro sé. Nel mondo classico tale frattura interiore all’uomo viene presentata da Platone nel Simposio tramite la bocca di Aristofane; nel brano Zeus, timoroso della forza di questi esseri così perfetti e potenti, decide di colpire l’androgino dividendolo in due metà. « Ho un mezzo, credo, perché gli uomini possano esistere, eppure abbandonino la sfrenatezza, una volta divenuti più deboli. Ora infatti » disse « taglierò ciascuno di loro in due, ed essi da un lato saranno più deboli, e dall’altro lato saranno al tempo stesso più utili a noi » 44

Tale mito tuttavia non è legato solo al mondo greco anche la Torah e i relativi commenti rabbinici definisco Adam haRishon (lett. il primo uomo) un essere completo, ossia unione dei due elementi ‫[ נֶ֥ פֶ ׁש‬nèfesh] e ‫[ ַחָּיה‬chayà], rispettivamente principio maschile e femminile. Ricordiamo anche che diversi Midrashim presentarono Adamo come androgino. Secondo il Bereshit rabba, «Adamo ed Eva erano stati creati schiena contro schiena, uniti per le spalle: poi Dio li separò con un colpo di ascia dividendoli in due. Altri sono di diverso parere: il primo uomo (Adamo) era maschio nella parte destra e femmina nella parte sinistra; ma Dio lo divise in due metà » 45

Lo stesso racconto biblico evidenzia la separazione da un solo essere per formarne due distinti. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta». Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. (Gn 2:21-24) 46

Il vocabolo usato nella versione italiana per costola nel testo originale è ‫[ ֵצלע‬tzelà], un termine che, sebbene possa indicare anche un osso del costato, si traduce più precisamente con lato o fianco, così come evidenziato nel già citato Bereshit rabba47. Potremmo facilmente desumere che da Adamo fu 44 45 46 47

Simposio, Platone, a c. di G. Colli, Adelphi, Milano, 2002, p. 44. Mefistofele e l’androgine, M. Eliade, Mediterranee, Roma, 1995, p. 95. La sacra Bibbia, ed. ufficiale C.E.I., Cooperativa Promozione Culturale, Roma, 2001, p. 3. Commento alla Genesi (Berešit Rabbâ), a c. di T. Federici, UTET, Torino, 1978, p. 70.

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tolta la propria metà per potersi poi congiungere nuovamente ad essa, rinnovando allegoricamente l’unione tra i due sessi in un tutt’uno. L’androgino simboleggia la coincidentia oppositorum, ovvero la coesistenza interiore all’essere umano di due poli contrapposti definiti da Jung Anima e Animus. Si potrebbe sostenere che in antichità questi archetipi fossero già noti, ovviamente non a livello della moderna psicologia, ma nella loro essenza antropologicamente innata. Jung ci insegna che ogni essere umano è una combinazione di elementi maschili e femminili, nell’inconscio l’Anima rappresenta la parte femminile all’interno dell’uomo, mentre l’Animus la parte maschile all’interno della donna. L’identità di genere non è altro che il risultato di un equilibrio tra forze contrapposte, tale equilibrio tuttavia può essere compromesso a causa di uno scompenso tra la percezione del proprio sé e quella del proprio corpo; oppure, come nel caso delle eroine oitaniche, da fattori esterni. Nelle chansons de geste analizzate le protagoniste subiscono una trasformazione: la parte femminile cede alla prevalenza dell’Animus, così la donna assume un ruolo maschile. In letteratura un primo esempio legato al travestitismo e al cambio di sesso è presente già in epoca classica e ci arriva dalle Metamorfosi di Ovidio, in particolare nel Libro IX con il Mito di Ifide. Un uomo povero di nome Ligdo ammonisce la moglie dicendole che se partorirà una femmina saranno costretti ad ucciderla, poiché non hanno i mezzi per sostentarla. La stessa notte la dea Iside, mossa a compassione appare alla donna confortandola, ella potrà tenere l’infante qualsiasi sia il sesso. Nasce una bambina e la madre per salvarla ordina che venga vestita e allevata come se fosse un maschio. Nessuno sospettò nulla, e l’unica a sapere della bugia era la nutrice. Il padre ringraziò gli dèi e le dette il nome del nonno: Ifide […] E la madre si rallegrò di quel nome che andava bene per un maschio come per una femmina, per cui lì non c’era inganno. E nessuno si accorgeva della pia frode. L’abbigliamento, era da fanciullo; i lineamenti, sia che li attribuissi a una fanciulla, sia che li attribuissi a un fanciullo, erano belli, in entrambi i casi. 48

Passati tredici anni Ligdo combina un matrimonio tra il figlio e la bella Iante. I due giovani si innamorano e la ragazza non vede l’ora di sposare colui che crede un uomo, mentre Ifide è affranta poiché nonostante arda di passione per la compagna è consapevole di non poterla appagare. Donna sei nata: prendine atto, se proprio non vuoi ingannare te stessa, e aspira a ciò che è lecito, ama quel che deve amare una donna. È la speranza ad affascinare, è la speranza a nutrire l'amore. Ma a te, la realtà non concede speranza. 49

48 Metamorfosi, Publio Ovidio Nasone, a c. di P. Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino, 2015, p. 379. 49 Ibidem, p. 381.

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Si avvicina la data delle nozze e Ifide cerca di temporeggiare presa dall’angoscia di vedere svelato il proprio segreto. Impaurite madre e figlia si recano nel tempio di Iside e in lacrime pregano di essere aiutate; la dea si manifesta, accoglie le loro preghiere e dà luogo alla miracolosa metamorfosi. Ifide potrà finalmente sposare la sua amata Iante. Non proprio ancora tranquilla del tutto, ma comunque lieta di quei segni di buon augurio, la madre esce dal tempio. Ifide fa altrettanto e le vien dietro, ma con passo più lungo del solito; e il suo viso non ha più il colore candido di prima, il corpo si è irrobustito, e anche i lineamenti sono più duri e più corta è la misura dei capelli, privi di ornamenti. C'è più vigore, nella sua persona, di quando era femmina. E infatti, tu che un momento fa eri femmina, ora sei un maschio. 50

Il brano di Ovidio getta quelle che saranno le fondamenta della trama di Yde et Olive e più in generale apre la strada ai temi legati alla sessualità e all’identità che, approfonditi in epoca cristiana, svilupperanno il modello della femme-guerrière medievale.

5.2 Travestitismo e transgenderismo nella letteratura oitanica La femme-guerrière non è il solo motivo letterario a presentare elementi legati al travestitismo e al transgenderismo, tali tematiche coinvolgono personaggi femminili e maschili anche al di fuori del contesto guerresco. Prendendo in esame alcuni testi francesi si potranno evidenziare caratteristiche proprie degli studi di genere, in particolare il binomio sesso biologico e identità di genere. - Tristan de Nanteuil: chanson de geste del XIV secolo il cui protagonista non va confuso con il famoso Tristano sorto dai romans di Béroul e Thomas, ovvero il giovane cavaliere amante della bella Isotta. La canzone, oltre al travestitismo, sottolinea in maniera alquanto singolare il rovesciamento dei ruoli così come idealizzati nel medioevo; i personaggi femminili saranno caricati di tratti tipicamente maschili e viceversa. Lo scenario si apre con una nave abbandonata alla deriva dove il piccolo protagonista, ancora in fasce, viene quotidianamente allattato da una sirena. Trascinato a terra da un pescatore il fanciullo viene trovato da una cerva che, dopo aver inavvertitamente bevuto un po’ di latte di sirena, si trasforma in una belva feroce affamata di carne umana. Fino all’età di sedici anni Tristano sarà allevato dalla mostruosa creatura in una fitta foresta, diventando un enfant sauvage senza alcun contatto con altri esseri umani. Il testo introduce Blanchandine, principessa figlia del sultano di Armenia, la cui carovana viene attaccata dalla cerva che uccide tutti i suoi servi; la fanciulla, unica superstite, cade tra le braccia di Tristano il quale, colpito dalla sua bellezza, se ne innamora. La coppia avrà un figlio chiamato Ramond e continuerà a vivere nel bucolico microcosmo della foresta, dove Blanchandine istruirà il protagonista agli usi e costumi della società civile. Qui la donna funge da faro della civiltà, elevando le qualità morali 50 Ibidem, p. 383.

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dell’uomo. La quiete viene infranta dall’arrivo di un potente esercito, che rapisce Blanchandine e il suo bambino senza che Tristano tenti di salvarla. Ramond, all’insaputa della madre, finisce tra le mani della nonna, Blanchandin lo rivedrà solo una volta prima di perderlo per sempre. Siamo lontani dall’eroe temerario a cui siamo soliti pensare, Tristano è un codardo, perde la sua amata perché ha paura di battersi; in seguito lascerà che siano altri a cimentarsi in torneo al posto suo, pur prendendosene il merito, infine si mostrerà vigliaccamente restio ad ogni iniziativa di salvare Blanchandine. La catarsi dell’eroe, sebbene incompleta, avverrà sempre per mezzo di una donna o meglio di una fata. Un fanciulla minacciata da un mostruoso serpente supplica Tristano di salvarla, la sua insistenza e l’imminente pericolo a cui è soggetta catalizzeranno la conversione del protagonista, che sconfitto l’avversario giurerà di non fuggire mai più di fronte alle avversità. L’eroe corre a liberare l’amata dalla prigionia e la sposa in fretta e furia nelle prigioni del castello in cui era rinchiusa; infine per fuggire dalla città senza destare sospetto Blanchandine si traveste da cavaliere assumendo l’identità di Blanchandin. Qui l’inversione dei ruoli si fa più evidente: Clarinde, figlia del sultano presso il quale la principessa travestita ha trovato rifugio, si invaghisce di quello che crede essere un bel giovanotto e contro ogni convenzione fa una dichiarazione d’amore ad un “uomo” dandogli in pegno un anello come promessa di matrimonio. Intanto Tristano parte in battaglia e non fa più ritorno, Blanchandin/e credendolo morto giura di vendicarlo. Clarinde, diventata regina di Babilonia, continua a fare pressioni sul “giovane cavaliere” finché non lo convince a sposarla. Un traditore avverte la regina che il suo sposo è in realtà una fanciulla, così Clarinde per fugare ogni dubbio invita il marito a fare un bagno con lei nella sua camera, ma ecco apparire un grande cervo fatato che irrompe miracolosamente nel palazzo creando un diversivo per la fuga dell’eroina. Blanchandin/e segue l’animale in una foresta impenetrabile dove prega Dio di darle la possibilità di vendicare l’amato Tristano, quand’ecco che un angelo appare e le offre una scelta: restare donna o diventare uomo. Come ultimo elemento si aggiunge il cambio di sesso, la timida principessa diventerà un uomo valoroso con il conseguente e ulteriore scambio di ruoli tra lei e la moglie Clarinde. Or te mande Jhesus, qui le monde estora, Lequel tu aimes mieulx, or ne me cellés jà, Ou adès estre femme ainsi que te créa, Ou devenir un home; à ton vouloir sera… Quant Blanchandine l’ot, tout le sanc li mua: Dieu, dist ele, me fist et si me defera, Dieu scet lequel des deus plus me pourfitera... Dame, ce dist li anges, dire vous convendra Lequel vous amés mieulx, et il le vous donra. Quant Blanchandine l’ot, à genoulx se geta... Ungs homs veus devenir, par moy vengié sera Le damoiseaulx Tristan qu’à honneur m’espousa...

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Or ti domanda Gesù, che il mondo creò, Ciò che ami di più non mi celare, restar per sempre donna così come ti creò, o divenir uomo; sarà secondo il tuo volere… Quando Blanchandine l’udì tutto il sangue le si scosse: Dio, disse, mi fece e così mi sottometterà alla sua volontà, Dio sa ciò che dei due più mi sarà di vantaggio... Madama, disse l’angelo, dirlo vi converràciò che voi amate maggiormente, ed egli ve lo donerà. Quando Blanchandine l’udì in ginocchio si gettò… Un uomo diventerò, per me vendetta sarà [per] il nobile Tristano che con onore mi sposò... 51

La fanciulla si trasforma sicura così di aumentare le possibilità di vendicare il marito, ma come se fosse uno scherzo del destino subito dopo la metamorfosi giunge la notizia che Tristano è ancora vivo. Il protagonista vedendo la moglie mutata in uomo perde ogni interesse nei suoi confronti e sposa un’altra principessa. Sul finale Clarinde recupera il ruolo femminile mentre la nostra eroina si conforma al ruolo maschile; la vita di Blanchandin/e infatti prosegue serena, sarà un marito devoto, innamorato della sua bella regina, che gli darà un figlio destinato a diventare Saint Gilles de Provence. - L’Estoire de Merlin: roman anonimo d’inizio XIII secolo attribuito a Robert de Boron, testo che fa parte del famoso ciclo Lancelot-Graal. Il romanzo racconta la vita e le gesta di Merlino, nato dall’unione fra un essere demoniaco e una vergine. Mago che subisce l’influenza contrapposta tra forze celesti e infernali, indovino di re Uther Pendragon, ideatore della Tavola Rotonda, consigliere di re Artù e amante di Viviana la fata custode di Excalibur. La sezione del roman di maggior interesse per il presente studio mostra elementi di travestitismo sia femminile che maschile, illustra inoltre la dicotomia tra la donna lussuriosa e la donna virtuosa52, elevando le qualità morali di quest’ultima con un evidente elogio al gentil sesso. Merlino lascia la corte di Camelot per recarsi nella foresta di Romenie dove in quel tempo risiedeva l’imperatore Giulio Cesare, il quale aveva una moglie di gran lignaggio e grande beltà. L’imperatrice tuttavia era la più lussuriosa delle donne, si faceva accompagnare da dodici giovanotti travestiti da damigelle con i quali si coricava tutte le notti in cui il marito era assente. Cele dame ot auoec lui XII damoisiaus atorne a guise de demoiseles as quels ele se couchoit toutes les nuis que li empereres estoit fors de sa compaignie car moult estoit luxurieuse plus que toutes cheles de la terre de romme.

Quella dama aveva dodici damigelli attorno in guisa di damigelle con i quali ella si coricava tutte le notti in cui l’imperatore non era in sua compagnia, poiché era molto lussuriosa più di tutte le donne della terra di Roma. 53

Il testo prosegue con una minuziosa descrizione di come la moglie di Cesare truccava i suoi concubini in modo da rendere i loro tratti femminei. Si preoccupava che sui loro volti non crescesse barba ungendoli con la calce, li truccava con pigmento d’oro, faceva loro portare capelli lunghi e acconciati come era in uso tra le fanciulle; infine li abbigliava con lunghe vesti e avvolgeva il loro capo con un soggólo54. A far da contrasto al travestitismo maschile ecco apparire la controparte 51 Tristan de Nanteuil, a c. di P. Paris, in ‘Histoire littéraire de la France’, t. 26, Kraus Reprint, Nendeln, 1971, p. 256 (trad. mia). 52 Motivo ricorrente nel medioevo, rappresentazione della donna perfetta dalle elevate qualità morali, presente nella Bibbia (Proverbi 31). 53 The vulgate version of the Arthurian romances volume II – Lestoire de Merlin, a c. di H. Oskar Sommer, Carnegie Institution of Washington, Washington, 1908, p. 281 (trad. mia). 54 Velo caratteristico dell’abbigliamento femminile medievale che fasciava la testa e il collo circondando il viso.

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femminile, giunge a corte la giovane Avenable, figlia di Mathem duca d’Alemannia che l’aveva diseredata e cacciata dalle sue terre. La fanciulla, vestita come uno scudiero e dai comportamenti virili, viene subito scambiata per un uomo e presa a servizio dall’imperatore con il nome di Grisandole. La nostra eroina assume un ruolo totalmente maschile, nulla lascia trapelare la sua vera natura, solo il potente mago saprà riconoscerla facendosi beffe di Cesare e di tutta la sua corte. L’imperatore comincia a fare uno strano sogno che nessuno è in grado di interpretare: vede una scrofa coronata d’oro uscire dalla stanza nuziale accompagnata da dodici lupacchiotti. Merlino fa il suo ingresso in scena assumendo le sembianze di un meraviglioso cervo dalle corna fatte di rami, l’animale si reca alla corte di Giulio Cesare e annuncia che solo un misterioso uomo selvaggio potrà dare giusto responso alle sue domande. Nella foresta il mago appare ad Avenable/Grisandole presentandosi come un bruto dal pelo nero e irsuto, barbuto, scalzo e vestito di stracci, che senza opporre resistenza si fa catturare e portare a corte. Giunto davanti all’imperatore Merlino, con toni di scherno e chiassose risate, interpreta il sogno e ristabilisce l’ordine dei generi smascherando ogni travestimento. Rivela che le dodici ancelle dell’imperatrice sono in realtà degli uomini e che dietro al prode Grisandole si cela una bellissima principessa. Il testo prosegue con un tono più morale: il mago mostra come la lussuriosa regina che aveva per marito il migliore degli uomini non sapesse apprezzarlo e si comportasse come se fosse sposata al peggiore; elevando invece le qualità di altre donne, come Avenable, degne per valore e lealtà di diventare regine. L’imperatrice viene arsa sul rogo insieme ai suoi concubini, mentre Merlino spinge Cesare a prendere in sposa la bella principessa, in questo modo l’imperatore guadagnerà più di quanto ha perduto. In questo caso l’eroina travestitasi per necessità ritorna infine al suo ruolo d’origine, concludendo il testo con un lieto fine.

- Roman de Silence: romanzo della seconda metà del XIII secolo del cui autore, che si firma Heldris de Cornuälle, si conosce solo il nome. Forse il più significativo dei testi, si presenta con tratti fortemente allegorici che mettono in scena gli elementi alla base degli studi di genere, calcando sul conflitto interiore legato all’identità. Narra le vicende di Silence figlia di Cador conte di Cornovaglia; in quel tempo il re d’Inghilterra aveva proibito alle donne di ereditare, così i genitori della piccola decidono di allevarla come se fosse un maschio. Cador e sua moglie Eufemie nel contesto medievale rappresentano la coppia perfetta, il maschile ed il femminile ideali: il prode cavaliere e la già citata donna virtuosa. Silence viene allevata in una casa nella foresta, qui crescendo vedrà emergere nella sua coscienza due poli contrapposti che saranno personificati in Nature (natura) e Norreture (cultura), ciò che potremmo definire oggi con sesso biologico e identità di genere. Nature spinge la protagonista ad abbandonare il suo travestimento maschile per vivere 35

pienamente il suo sesso d’appartenenza, mentre Norreture illustra a Silence i vantaggi derivati dall’essere uomo. Silences a bien veü Que fol consel avoit creü Quant onques pensa desuser Son bon viel us et refuser, Por us de feme maintenir. Donques li prent a sovenir Des jus c’on siolt es cambres faire Dont a oï sovent retraire, Et poise dont en son corage Tolt l’us de feme a son usage, Et voit que miols li us d’ome Que l’us de feme, c’est la some.

Silence ha ben compreso qual folle idea aveva seguito quando pensò di smettere i suoi buoni vecchi usi e rifiutarli, per conservare gli usi femminili. Dunque comincia a ricordare dei giochi che si e soliti fare in camera di cui ha udito spesso la descrizione, e confronta dentro di sé gli usi femminili con le sue abitudini, e comprende che gli usi maschili sono preferibili agli usi femminili, sono i migliori. 55

All’apice della sua crisi esistenziale Silence incontra due menestrelli intenti a fare il tour dell’Inghilterra, decide così di seguirli abbandonando il rifugio nella foresta; si presenta loro come un ragazzo e cambia nome in Malduit (mal erudito). L’autore nella prima parte del romanzo è volutamente attento a mantenere un linguaggio che eluda una caratterizzazione di genere, in modo da caricare la protagonista di un’apparente androginia; il nome Silence ad esempio è neutro al contrario del maschile Silencius e del femminile Silencia. Il nome Malduit sottolinea infine il conflitto interiore di Silence che non ha ancora trovato la propria identità. Dopo quattro anni passati a fare il giocoliere la protagonista si presenta alla corte del re d’Inghilterra che, credendola un uomo, la prende a palazzo come valletto. La regina Eufeme, emblema della donna lussuriosa, accende subito le sue brame sul “giovanotto” cercando di sedurlo. Il tema qui evidenziato, ricorrente nella letteratura medievale, è quello della “moglie di Potifarre” 56. Silence rifiuta più volte le avances della regina, quest’ultima indignata definisce il ragazzo un erite57 e lo accusa di averla stuprata. Il re, forse poco convinto del fatto, decide semplicemente di allontanare il valletto mandandolo alla corte di Francia. Qui la nostra eroina si ricopre di onore affascinando i nobili francesi e primo fra tutti il re, che pare addirittura rapito dalla bellezza del giovane inglese. La regina Eufeme, firmandosi a nome del marito, chiede al re di Francia di giustiziare Silence, ma la corte francese si rifiuta; la notizia della falsa lettera giunge al re d’Inghilterra che, anche in questo caso, benché amareggiato decide di lasciar correre. Intanto scoppia una guerra e Silence è chiamato alle armi in patria, Eufeme vedendolo ritornare comprende che il suo piano è fallito e tenta un’ultima volta di sedurlo; nuovamente rifiutata la regina decide di affidare al giovane una missione impossibile. Chiede al marito di inviare Silence a catturare Merlino, ben sapendo che il mago può 55 Il romanzo di Silence, di Heldris di Cornovaglia, a c. di A. Airò, Carocci, Roma, 2005, p. 148 (trad. mia). 56 In Genesi cap. 39 moglie del consigliere del faraone che si invaghisce di Giuseppe tentando di sedurlo e una volta rifiutata accusa il giovane di tradimento. 57 Termine dispregiativo che definisce un sodomita e più in generale un pervertito.

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essere preso solo grazie all’inganno di una donna; la protagonista tuttavia grazie alla sua nature riesce a compiere l’impresa. Merlino si presenta a palazzo e svela al re la vera identità di Silence, già tradita dal fatto di aver compiuto la missione; la ragazza giustifica il suo travestimento a causa delle leggi sulla successione. Il sovrano comprende la malafede e la lussuria della moglie, essa infatti non solo ha tentato di sedurre e poi accusato un’innocente, ma nasconde un amante travestito da monaca. Il re condannata a morte la regina e prende in sposa la fanciulla dandole nome Silencia. Il roman si conclude con una nota morale a favore dell’universo femminile: il re d’Inghilterra riconoscendo quanto può essere alto il valore di una donna decide di abolire la legge che vieta loro di ereditare.

6. Medioevo al femminile 6.1 L’esaltazione della donna L’universo misogino a cui siamo soliti pensare quando parliamo di medioevo, sembra infrangersi sotto i colpi della letteratura oitanica, una letteratura maschile che esalta la figura della donna. Se la condizione reale del genere femminile pare all’epoca subordinata al patriarcato, sebbene con i dovuti accorgimenti, il disegno tracciato dagli autori e forse, com’è auspicabile, la ricezione da parte dei lettori, sembrano muoversi verso un ottica più egualitaria. Figure femminili forti e intraprendenti come la femme-guerrière, oppure moralmente elevate come la donna virtuosa, non sarebbero emerse in un humus culturale totalmente avverso. Si potrebbe pensare che sia stato proprio il domino maschile a innescare un processo di elevazione della donna in senso parodico, seguendo il topos del mondo alla rovescia, schiacciando così ogni reale spinta di emancipazione femminile; ciò tuttavia non trova giustificazione in testi che appaiono, come abbiamo visto, ben lontani dall’ironia e dalla satira tipica dei fabliaux. Anche se l’epoca delle chansons de geste non conosce ancora la parità dei sessi, nella sua letteratura possiamo trovate uno slancio verso quell’uguaglianza che, purtroppo, dovrà attendere diversi secoli prima di realizzarsi.

Cosa succede quando la donna guerriera si rivela essere un uomo? La risposta ci è presentata dalla letteratura tedesca tramite un testo del XIII secolo chiamato Frauendienst (Il servizio delle dame) scritto da Ulrich von Liechtenstein, poeta e nobile della Stiria. Si tratta di un poemetto autobiografico in cui l’autore/protagonista innamorato follemente della sua dama si prodiga nel corteggiarla e onorarla nei modi più disparati. Ulrich è un prode cavaliere che decide in onore della dea dell’amore, delle donne e della sua amata, di indossare abiti femminili e battersi 37

impersonando la dea Venere. Qui comincia il suo Venusfahrt (viaggio di Venere) che lo porterà di torneo in torneo da Venezia a Vienna. Il cavaliere manterrà il travestimento durante tutte le cinque settimane di viaggio, sia negli ambiti civili che in quelli militari; scenderà infatti in combattimento presentandosi come donna. Ulrich giunto a Venezia affitta una stanza dove si rinchiude per iniziare la sua trasformazione in lady Venere. I’ll stop in Venice and shall stay in hiding till the first of May. I’ll carefully remain unseen but deck myself out like a queen; it should be easy to acquire some lovely feminine attire

Mi fermerò a Venezia e dovrei stare nascosto fino al primo maggio. Resterò saggiamente inosservato ma mi ornerò come una regina; dovrebbe essere facile ottenere alcuni graziosi abiti femminili 58

Una volta travestito invia una lettera a tutti i cavalieri di Lombardia, Friuli, Carinzia, Stiria, Austria e Boemia annunciando la sua disponibilità a battersi in torneo; firmandosi come Venere. My cloak was velvet and was white as was my hat, but this was bright with many pearls on every side. […]

Il mio mantello di velluto era bianco come il mio cappello, ma più chiaro con molte perle su ogni lato. […]

The braids l had were thick and brown and were so long that they hung down below my sash, just like a girl's. They too were richly decked with pearls and in a most artistic way. My heart has seldom been so gay. Nobody ever owned before a fairer skirt than that I wore.

Le trecce che portavo erano spesse e castane ed erano così lunghe da pendere sotto la fascia, come quelle di una ragazza. Anch’esse erano riccamente ornate con perle e nel modo più artistico. Il mio cuore raramente fu più gaio. Nessuno mai possedette prima una gonna più splendida di quella che portavo.

I had a white and glossy shirt which was as long as was the skirt with woman's sleeves of quality that made me proud as I could be.

Avevo una camicia bianca e luccicante lunga tanto quanto la gonna con maniche femminili di qualità che mi rendevano più fiero di quanto potessi. 59

La vera identità di Ulrich resterà celata dal travestimento e dai modi femminei del protagonista. Lady Venere sarà vista con grande ammirazione dagli altri cavalieri e dai nobili incontrati di città in città; apprezzata da un lato per il coraggio dimostrato in torneo e dall’altro per il fascino e l’eleganza. Tralasciando i chiari riferimenti legati al travestitismo e all’identità di genere, possiamo notare come la figura di Ulrich/Venere miri ad elevare la donna paragonandola ad un essere quasi divino; sottolineando inoltre il dovere dell’uomo a mostrare rispetto e gentilezza nei confronti del genere femminile.

58 Ulrich von Liechtenstein's Service of ladies, trad. da J.W. Thomas, Boydell, Woodbridge, 2004, p. 46 (trad. mia). 59 Ibidem p. 52 (trad. mia).

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Gli elementi femminili presenti nei testi analizzati sembrerebbero potersi inserire nell’ampio spettro dell’amor cortese, se non fosse per una sostanziale differenza: la fin’amor vede nella donna solo l’oggetto del desiderio, che una volta appagato pone fine all’amore stesso. La bella amante risulta dunque un personaggio poco caratterizzato che esiste solo in funzione dell’uomo. La femme-guerrière, al contrario, è protagonista del proprio destino, forgia la propria identità, si forma come individuo e viene apprezzata per le sue doti. Il dominio maschile sull’amore e sull’idea di femminilità raggiunge il suo apice con il celebre Roman de la Rose, poema allegorico del XIII secolo, in cui il narratore descrive la conquista dell’amata in un universo totalmente androcentrico, dove a far da protagoniste troviamo le brame erotiche dell’uomo volte ad impossessarsi della donna desiderata. Il testo vede due padri: il primo, Guillaume de Lorris, dà al roman un’impostazione di stampo cavalleresco dove lealtà e servizio alla dama sono ideali fondanti; mentre il continuatore dell’opera, Jean de Meun, sposta l’ago della bilancia verso le leggi della natura e la sessualità. La rosa da casta rappresentazione del desiderio amoroso diventa oggetto del desiderio sessuale, stravolgendo completamente l’idea iniziale. L’opera presenta riferimenti maschilisti che, come vedremo nel prossimo capitolo, saranno fronteggiati a spada tratta da Christine de Pizan.

6.2 Christine de Pizan Christine de Pizan nata a Venezia, figlia di un medico bolognese trasferitosi con la famiglia alla corte di re Carlo V di Francia. La giovane riceve un’ottima istruzione, avendo tra l’altro libero accesso alla Biblioteca Reale del Louvre, e da adulta diventerà una scrittrice di professione. Tuttavia Christine non avrà una vita facile, a venticinque anni, dopo la morte del padre, perde il marito Étienne e resta sola, senza sostegno economico e con tre figli a carico. In quel periodo scrive un opera dal titolo eloquente Livre de la mutacion de Fortune, una sorta di autobiografia allegorica in cui descrive la perdita del suo amato durante una tempesta in mare e l’intervento di Fortuna che, mossa a compassione, la trasforma in un uomo. La metamorfosi da donna a uomo, il cui racconto è preceduto dagli esempi ovidiani di Tiresia e di Ifi, è metafora del cambiamento, da un’identità femminile, passiva, a una maschile, attiva, di chi guida senza difficoltà la propria vita. 60

Il Roman de la Rose, il De mulieribus claris di Boccaccio e le Lamentations de Matheolus mostrano tematiche misogine volte a dipingere la donna come un essere volubile e venale. Questi testi evidenziano come, nonostante lo slancio egualitario dimostrato da diversi autori, 60 Christine de Pizan e «La Città delle dame», di P. Caraffi, in ‘Lo spazio letterario del Medioevo, 2: Il Medioevo volgare, IV: L’attualizzazione del testo’, Roma, 2004, p. 581.

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nell’humus culturale della società medievale restassero ancora delle resistenze. Libri che innescheranno una reazione da parte di Christine; da alcuni considerata un’antesignana del femminismo. Nel 1405 l’audace scrittrice risponde ai propri avversari ideologici con un racconto allegorico di forte critica intellettuale intitolato Cité des Dames (Città delle Dame). L’opera si apre con la costruzione di una città ideale: Ragione, Rettitudine e Giustizia si presentano a Christine sotto forma di dame e la istruiscono sull’edificazione di una società dove la donna verrà apprezzata per le sue qualità morali. Le dame sono state abbandonate per molto tempo, allo scoperto come un campo senza siepe, senza trovare nessun campione che le difendesse adeguatamente; questo nonostante il fatto che secondo giustizia gli uomini nobili dovrebbero prendere le loro difese, ma per negligenza o indifferenza essi hanno tollerato che venissero maltrattate. […] Dov’è la città, anche molto forte, che non cadrebbe se rimanesse senza difesa e la causa più ingiusta che non sarebbe vinta in contumacia da chi la muovesse senza trovare opposizione? […] Ma è venuto il tempo che la loro giusta causa sia tolta dalle mani del faraone, e per questa ragione noi tre dame che vedi qui, mosse dalla pietà, siamo venute da te per annunciarti la realizzazione di un edificio particolare, costruito come una cittadella fortificata con buone fondamenta, che tu sei scelta e predestinata a costruire con il nostro consiglio e aiuto, e nella quale abiteranno tutte le dame nobili e le donne degne di lode, poiché le mura della nostra città saranno chiuse a tutte quelle prive di virtù. 61

Il testo presenta le grandi donne del passato come fondamento simbolico della città, la quale offrirà loro rifugio tra le sue mura. Nelle tre parti del libro Christine narra la storia di centinaia di donne, tra di esse ci sono personaggi storici, letterari, mitologici, sante e la Vergine Maria come regina. L’opera è ricchissima di simbolismo e di temi morali, la Pizan attraverso il testo raggiunge sicuramente l’apice dell’esaltazione femminile e della difesa del principio di parità dei sessi, dando uno schiaffo all’opposizione maschilista. In ultima analisi potremmo considerare Christine come una femme-guerrière appartenente al mondo reale, una donna che come arma usava la penna al posto della spada.

61 La città delle dame, di C. de Pizan, a c. di P. Caraffi, Carocci, Roma, 2007, p. 43.

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Conclusioni La letteratura, da sempre forza evolutiva e rivoluzionaria della società e del pensiero, è riuscita a sviluppare una figura femminile forte, indipendente ed eroica, la femme-guerrière. Senza stravolgere i ruoli sociali, gli scrittori hanno creato un nuovo modello di donna attraverso la fusione tra le potenti signore emerse dalle pagine di storia e quelle illustrate nella Bibbia e nei romanzi antichi. Analizzando la figura dell’eroina oitanica si è cercato di dimostrare un progressivo interesse per narrazioni aventi come protagoniste delle donne; introducendo l’idea di esaltazione del genere femminile in un contesto, quello medievale, ancora lontano da una parità dei sessi, sebbene di maggior respiro rispetto all’epoca tardo moderna e ottocentesca. In campo letterario è stata analizzata la contestualizzazione messa in atto dagli autori, attuata spostando l’ambientazione della trama dall’antichità classica al medioevo, e applicando un processo di cristianizzazione della bellatrix per inserirla a pieno titolo negli schemi della letteratura cortese. Si è osservato come le origini della femme-guerrière siano da ricercare nei romans d’antiquité che parlano delle Amazzoni, le combattenti provenienti dalla mitologia greca che rappresentano il topos del mondo alla rovescia. La regina Pentesilea e l’audace Camilla sono figure che rinunciano alla loro femminilità per vivere di guerra, elemento visto come estremo stereotipo della virilità. Tra le Amazzoni la frattura con il sesso d’appartenenza è talmente forte da essere ritualizzata tramite la mutilazione del seno destro, pratica che permette di tendere meglio l’arco in battaglia, ma che al tempo stesso sottolinea simbolicamente il rifiuto di Venere in favore di Marte. Per quanto riguarda l’ambientazione si è osservato come spesso lo scenario non sia più il campo di battaglia epico legato al contesto classico, come Troia o Roma, ma si avvicini maggiormente all’immaginario di un uomo medievale con castelli, torrioni, foreste incantate e l’Outremer. Altro elemento che muta è il nemico che, nella maggior parte dei casi, si conforma con ciò che era considerata la principale minaccia dell’Europa ai tempi delle chansons de geste, ovvero il saraceno. I due macro-elementi rappresentati dalla storiografia e dalla letteratura classica formano il nucleo culturale nel quale s’inserisce la figura della femme-guerrière oitanica, ma questo processo non poteva essere completo senza un’evoluzione morale dei personaggi. Se è vero che il medioevo è stata la più cristiana delle epoche un’eroina che combatteva contro gli infedeli non poteva che essere un’eroina cristiana. Gli scrittori hanno arricchito le donne di valori cortesi, sottolineando la necessità di adottare un ruolo maschile al contrario di possedere una vocazione guerriera innata. Le dame potevano così mantenere il loro aspetto angelico di vergini caste e pure, obbligate a prendere le armi solamente per difendere il proprio onore.

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La tappa successiva del percorso di formazione della virgo bellatrix cristiana mira a raggiungere uno dei più alti status sociali, il più celebre nella letteratura medievale: divenire cavaliere. La quintessenza di questo sviluppo è rappresentata nella Chanson de Yde et Olive; l’eroina protagonista è una fanciulla con un ruolo iniziale totalmente femminile forzata dal destino a travestirsi da uomo e combattere per la propria salvezza. Il testo contiene tutti gli elementi propri della donna guerriera e descrive l’evoluzione dell’eroina, dalla carriera militare, all’amore, alla sessualità, fino alla metamorfosi. La sua storia si presenta come un romanzo di formazione: Yde, da timida fanciulla che era, diventa un vero e proprio cavaliere, un marito, un padre, un sovrano; percorso che fa di lei la femme-guerrière per antonomasia. Ulteriori studi potrebbe portare a considerare le eroine dell’epica cavalleresca italiana del cinquecento come dirette discendenti della femme-guerrière oitanica. Pensando a grandi autori come Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso balzano alla mente figure come Bradamante, presente sia nell’Orlando innamorato che nell’Orlando furioso, e Clorinda personaggio della Gerusalemme liberata. Altro argomento degno di approfondimenti potrebbe essere uno studio comparativo tra le varie letterature europee, alla ricerca di elementi femminili legati agli studi di genere, con particolare interesse per il travestitismo e il transgenderismo.

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Sitografia: Dizionario Godefroy: https://micmap.org/dicfro/introduction/dictionnaire-godefroy Dictionnaire Étymologique de l'Ancien Français: www.deaf-page.de/fr

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