Voltaire: Religione e politica 8820729547

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Voltaire: Religione e politica
 8820729547

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Istituto Universitario Orientale

Dipartimento di Filosofia e Politica

Voltaire: religione e politica a cura di Lorenzo Bianchi e Alberto Postigliola

Liguori Editore

Quaderni del Dipartimento di Filosofia e Politica Istituto Universitario Orientale Comitato di direzione: Mario Agrimi, Luigi Cortesi, Roberto Esposito, Paolo Lucentini Coordinamento editoriale: Matia Donzelli

19

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Istituto Universitario Orientale Dipartimento di Filosofia e Politica

Voltaire: religione e politica Seminario

di studi in occasione

del Terzo

nascita organizzato dal Dipartimento dell’Istituto

Universitario

Orientale

Studi sul Secolo XVII

Centenario

e dalla Società Italiana di

(Napoli, 25 novembre 1994)

a cura di Lorenzo

della

di Filosofia e Politica

Bianchi e Alberto

Liguori Editore

Postigliola

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere tradotta, riprodotta, copiata o trasmessa senza l’autorizzazione scritta dell’editore. L’AIDRO

(Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’Ingegno), via delle Erbe 2, 20121 Milano, potrà concedere una licenza di riproduzione a pagamento per una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Prima edizione italiana Ottobre 1999 Liguori Editore, Srl

via Posillipo 394 I 80123 Napoli http:www.liguori.it

Copyright © Liguori Editore, S.r.l. 1999 Bianchi, Lorenzo : Voltaîre: religione e politica/Lorenzo Bianchi, Alberto Postigliola Napoli : Liguori, 1999

ISBN 88 - 207 - 2954 - 7 1. Filosofia 2. Tolleranza politica 3. Titolo Ristampe:

De

0

e

2004 2003 2002 2001 2000

Questo volume è stampato in Italia dalle Officine Grafiche Liguori - Napoli su carta inalterabile, priva di acidi,

a PH neutro, conforme

alle norme

Iso 9706 co

Indice

Premessa di Lorenzo Bianchi e Alberto Postigliola Voltaire e Paolo Alatri: un ricordo

di Eugenio Di Rienzo

Voltaire: religione, impostura, politica di Eugenio Di Rienzo

20)

La religione di Voltaire e il Collège Louis-le-Grand di Letizia Nord Cagiano

41

«Puissent tous les hommes la religione ‘umana’

se souvenir qu’ils sont frères»:

di Voltaire nel Trazté sur la tolérance

di Lorenzo Bianchi

TA!

L'*Occidente?

di Voltaire

di Silvio Suppa

99

Voltaire critico dell’Espr des lois di Montesquieu di Domenico Felice

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Premessa di Lorenzo Bianchi e Alberto Postigliola

Questo volume raccoglie gli atti di un seminario di studi svoltosi a Napoli presso il Dipartimento di Filosofia e Politica dell’Istituto Universitario Orientale il giorno 25 novembre 1994 sul tema «Voltaire: religione e politica». Il seminario, organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Politica della nostra università in collaborazione con la Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII, ha inteso

ricordare la figura di Voltaire in occasione del terzo centenario della sua nascita (1694). Una celebrazione doverosa e per più versi simbolica, di certo ben lontana dagli sforzi scientifici e organizzativi che

hanno

caratterizzato

altri incontri

come

l'importante,

e

imponente, convegno internazionale svoltosi a Parigi e a Oxford dal 29 settembre

al 5 ottobre

1994’, ma

una

testimonianza

co-

munque significativa dell'attenzione riservata in Italia a questo autore. Le due sessioni di lavoro sono state presiedute rispettivamente da Mario Agrimi e da Paolo Alatri, allora presidente della Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII. Sempre a Paolo Alatti si deve la relazione di apertura del seminario dal titolo «Voltaire e la Chiesa: lotta o compromesso?» Purtroppo questo testo manca nel volume degli atti. La morte di Alatri sopravvenuta l’anno successivo ha ' Cfr. gli atti di questo convegno: Oxford-Paris 1994, soug la direction Oxford, Voltaire Foundation, 1997.

Voltaire et ses combats. Actes du congrès international de

Ulla

Kélving

et Christiane

Mervaud,

2 vol.,

2

Voltaire: religione e politica

impedito di recuperare l'intervento stesso, né è stato possibile rinvenire tali pagine tra le sue carte. Per questa ragione si è pensato di chiedere a Eugenio Di Rienzo, che per amicizia e frequentazione è stato particolarmente vicino allo studioso negli ultimi anni, una testimonianza sul lungo sodalizio intercorso tra Paolo Alatri e Voltaire. Il seminario ha visto la partecipazione — e l’intervento attento e critico — di amici e colleghi di università campane (Napoli e Salerno) e romane, che qui si ringraziano.

Il volume è dedicato alla memoria di Paolo Alatri.

Voltaire e Paolo Alatri: un ricordo di Eugenio Di Rienzo

Gli atti di questo’ seminario escono purtroppo privi di un’importante contributo,

quello di Paolo

Alatri, il cui titolo avrebbe

do-

vuto essere: Voltaire e la Chiesa: lotta 0 compromesso? La lunga malattia e poi la morte che lo ha stroncato ad appena un anno dallo svolgimento di quell’incontto, di cui qui si possono leggere i risultati, hanno malignamente impedito ad Alatri, a quest'uomo così rigoroso in tutte le sue incombenze e le scadenze della vita e dello studio, di arrivare puntuale all’ultimo appuntamento con uno dei personaggi della storia da lui più amati e frequentati. I rapporti di Alatri con il Patriarca di Ferney risalgono al clima ideologico dell’immediato dopoguerra, quando anche altri studiosi (Venturi e Diaz naturalmente) si rivolgevano all’età dell’Illuminismo in cetca di un potente antidoto contro il ripetersi delle barbarie che avevano segnato l’ultimo decennio della vita europea e della loro personale esistenza. Nell’intervista che Alatri mi concesse,

in occasione

dell’uscita

dei due

volumi

di studi in suo

onore, si potevano leggere infatti le ragioni che collegavano la sua precedente, precoce esperienza di storico del liberalismo (ticotdiamo la sua importante biografia su Silvio Spaventa del 1942, pubblicata sotto lo pseudonimo di Paolo Romano a causa della legislazione razziale) a quella di storico delle Luzzières. 14

' Cfr. Silvio Spaventa. Biografia politica, Bari, Laterza, 1942.

4

Voltaire: religione e politica

È nel ’700, nell’Illuminismo, che si trovano le radici essenziali della civiltà liberale. L’Illuminismo afferma principi e valori perenni, che

travalicano le ragioni specifiche, storiche di quel periodo: i principi della libertà di pensiero, della libera critica, della ragione che deve dominare la vita pubblica, la vita sociale, la vita civile, la legislazione. Sono principi e valori che possono e devono costituire motivo d'ispirazione per ogni epoca: possiamo arrivare fino a Gorbaciov, che parla di valori umani, che sono appunto quelli dell’Illuminismo. E non è un caso che nell’ultimo trentennio il ’700 sia diventato un secolo privilegiato negli studi storici. Ma nel mio interessamento per quel secolo, c’è stato anche un elemento casuale, come spesso avviene nella vita e anche negli studi. Si tratta del fatto che nel 1954, come giornalista, fui inviato a Ginevra a ‘coprire’ l’incontro dei quattro Grandi, che si teneva in quella città. Ora, Ginevra vuol dire Voltaire, vuol dire Rousseau, vuol dire, pet

le DR in cui fu implicato a causa del suo articolo nell'’Evgclopédie, d'Alembert. In quell'occasione era naturale che mi avvicinassi a queste grandi figure del ‘700 francese”.

E se il tipico understatement di Alatri faceva passare, in questa dichiarazione, la sua scelta di studio quasi come una semplice fortunata casualità, ben altti e più radicati erano i motivi di questa profonda affinità elettiva, di @uesta vera e propria ‘chiamata’, in senso tutto laico naturalmente, che produrrà nel tempo alcuni importanti contributi scientifici. Penso al saggio Voltaire e l'arcivescovo di Lione, pubblicato su «Belfagon» nel 1958, al volume Voltaire, Diderot e il “partito filosofico” del 1965 (Messina, D'Anna) all’essenziale e compendiosa Introduzione a Voltaire del 1989 (Roma-Bari, Laterza), ad un altro studio dedicato a Voltaire e alla «Questione ebraica» in cui Alatri confrontava coraggiosamente le sue radici etniche con l’insegnamento dell’autore del Trailé sur la tolerance', e ° Cfe. Conversazione con Paolo Alatri, a cura di E. Di Rienzo in L'Europa nel XVIII secolo. Studi in onore di Paolo Alatri, a cura di V.I. Comparato, E. Di Rienzo, S. Grassi, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1991, 2 voll., I, p. 452.

° Lo

si legga ora in P. Alatri, Intellettuali e politica, Messina, Rubbettino,

1993, pp. 7

$88 Pefeni philosophes furono antisemiti? in La questione ebraica dall’Illuminismo

all'Impero (1700-1815), a cura di P. Alatri e S. Grassi, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, 1994,

pp. 63 sgg.

Voltaire

e Paolo Alatri: un ricordo

5

infine al contributo che avrebbe dovuto aprire questo volume e di cui purtroppo solo i partecipanti di quell'incontro conservano ricordo, in ogni caso difficile da dimenticare, tenace, umile, paziente di questo maestro.

come

un

tutta l’opera

Voltaire: religione, impostura, politica di Fugrnio Di Rienzo

Surimum autem prazsidium regni est Vustitia ob apertos tumultos: et V.eligio, oh vccultos. Cardano, De Sapientia

Je lis veillent sur ls crimes connus, 4 la

religion sur bs crimes serds. Voltaire, Yraiti sur la tolbrane,

Paolo

Alatri

riporta, con

sostanziale

esattezza,

il mio

parere,

quando ripete, all’inizio del suo intervento, che io avrei sostenuto che «malgrado la sua lotta contro l’infame Voltaire aveva finito oggettivamente col porre le basi di un compromesso con la Chiesa cattolica». Ma dato che il nostro amichevole dissenso ha ormai assunto una dimensione dichiaratamente pubblica, mi sembra giusto ricostruire il contesto in cui esso nasceva. Spunto della nostra discussione era infatti la comparsa dell’edizione italiana del Traitt des Trois Imposteurs del 1719, curata da Silvia Berti e la recensione che di questo lavoro Alatri aveva fatto sulle colonne del «Corriere della sera». In quell’articolo, Alatri aveva ! Cfr. Trattato di Yre Impastori La Vita e lo Spirito del Signor Benedetto de Spinoza. A cura

di $. Berti. Prefazionedi RH. Popkin, Torino 1994. Ma sempre per quello che riguarda l'edizione di quest'opera occorre citare anche il lavoro di W. Schroder Traktat iiber dré Betriigern. Vraité des trois impostenrs (1’Esprit de Mr. Bencit de Spinoza), Hamburg 1992, dove

8

Voltaire: religione e politica

fatto sua un’affermazione

contenuta

nell’introduzione

della Berti,

dove si parlava, a proposito del Traité, di «una consapevolezza già pienamente illuministica» e si concludeva affermando che proprio questa consapevolezza poteva far comprendere a pieno «il senso politico e intellettuale, e la pericolosità della straordinaria impresa editoriale del 1719: creare e mandare per il mondo il primo Die tionnaire philosophique portatif (€ ben mezzo secolo prima del celebre volume volterriano) del libero pensiero, anticristiano e antiassolutistico che, mettendo insieme più antichi e recenti maestri, indicasse

un'eredità spirituale e ne assicurasse la continuità». Quello che non

mi convinceva

allora e ancora

non

mi con-

vince oggi, in questa posizione, è proprio la sottolineatura di questa presunta conzinuità tra il testo del 1719 e la battaglia volterriana e più in generale illuministica contro la religione rivelata, soprattutto per quello che concerne i suoi risvolti politicoistituzionali. Non vorrei, in questa sede, allargare troppo i margini del discorso, ma

mi sembra veramente

fuorviante l’uso di alcune

categorie interpretative davvero eccessivamente elastiche, quali «lluminismo radicale» o «pre-illuminismo» attraverso le quali, in Italia e fuori d’Italia, si fa a gara, otmaitda molto tempo, nell’iscrivere

d’autorità nel filone dei cosiddetti «predecessori dei Lumi» personalità intellettuali e movimenti culturali della prima metà del secolo XVII (in questo caso il presunto autore del Tr4//)°, provenienti, si pubblica il testo dell’edizione del 1768, segnalando le varianti dei testi precedenti, compreso quello del Trazté del 1719, con una ricca introduzione che ricostruisce integralmente la storia editoriale dell’opera. Per la recensione di Alatri del lavoro della Berti cfr. Quei divini impostori in «Corriere della Sera», 6 luglio, 1994.

° Cfr. Berti, op. cit, pp. XIX-XX ° Secondo la Berti (op. cit, pp. XL-LVI), l’autore del Trailé sarebbe individuabile in Jan Vroesen,

Consigliere della Corte di Brabante

a L’Aia, che ne avrebbe

fornito la prima

stesura tra il 1702 e il 1711. Ma dubbi consistenti sulla validità di questa attribuzione, sulla datazione del Traité e sulla storia della sua composizione sono contenuti nell’intervento di M. Benitez, ancora in corso di stampa, che ho potuto leggere in dattiloscritto grazie alla

cortesia dell’autore, Une histoire interminabile: origines et développement du «Traité des Trois Impo-

steurs» e in quello di F. Charles-Daubert, Les Traités des Troîs Imposteurs au XVII et au XVIII siècles pubblicato nella raccolta di studi Filosofia e Religione nella Letteratura clandestina. Secoli XVII e XVIII, a cura di G. Canziani, Milano

1994, pp. 291-336.

Voltaire: religione, impostura, politica

9

invece, da esperienze intellettuali dotate di una loro precisa peculiarità, come

quelle del tardo Libertinismo, della Riforma

cattolica,

del Giansenismo e del ricchissimo e per molti versi ancora inesplorato mondo della ricerca erudita sei-settecentesca. Per quello che poi riguarda, più da vicino, il nostro

discorso,

l’ipostatizzazione di un rapporto di parentela genetica tra i contenuti della propaganda volterriana e quelli del Traité mi sembra davvero poco proponibile. Non solo e non tanto per il fatto che lo stesso Voltaire prenderà violentemente la distanza dal Tra, in occasione della ristampa del 1768 di questo opuscolo, definendone

tout court l’autore come il «quarto, impostore»'. Qualunque lettore del Signore di Ferney conosce infatti il suo eclettismo ideologico e sa che nelle sue pagine è sempre possibile ritrovare, sui più svariati argomenti, tutto e il contrario di tutto. Un dato di fatto inconte-

stabile, questo, e con cui bisognerà sempre fare i conti, ogni volta che si voglia tentare di isolare, a patto di riuscirci, nella sua non contraddittorietà una qualsiasi posizione di Voltaire, passando da un testo ad un’altro della sua vastissima produzione, da un anno all’altro della sua lunghissima vita. Quello che mi sembra, invece, veramente importante da sottolineare, per l'economia del nostro discorso, è che, nella sua globalità e proprio sul piano dei contenuti, la posizione di Voltaire sul problema religioso si pone indiscutibilmente su una linea diversa da quella dell’autore del Tra, collocandosi allo stesso tempo, paradossalmente, 4/ di lè e al di qua del filone di pensiero rappresentato dal «diabolico» opuscolo. Nonostante

i tentativi fatti dalla Berti nella sua introduzione, il

Traîté del 1719 non mi sembra davvero aprire una nuova stagione culturale (quella dell’Illuminismo), ma piuttosto chiuderne una antica e gloriosa: quella del pensiero eterodosso cinquecentesco legata al tema dell’ «impostura religiosa», sviluppata da Pomponazzi, sulla falsariga dell’apocrifo dictum averroistico sui tre «deceptores mundi»,

'* Cfr. A l'Auteur du Lore des Trois Imposteurs in Oeuvres de Voltaire, par M. Palissot, Paris

1792-1805, affermazione

55 voll, XII, p. 298. In questo

testo era ripetuta la famosa

di Voltaire: «Si Dieu n’existait pas, il faudrait l’inventer».

e ambigua

10°

Voltaire: religione è politica

e ripresa da Cardano, Bruno, Campanella, ma anche da ambienti della Riforma radicale, all’interno della deriva ideologica, successiva

allo scisma religioso del secolo XVI. Questa tradizione sarà, poi, rielaborata e sistematizzata dal Libertinismo erudito dei Vanini, degli Charron, dei Naudé e, infine, ulteriormente arricchita e diffusa nel

fenomeno della letteratura clandestina sei-settecentesca”. Il cuore ideologico del Trai è, infatti, composto di due parti ben distinte, che appaiono separate da una vistosa soluzione di continuità dal punto di vista ideologico, tanto da sembrare in definitiva semplicemente giustapposte: l’una, che costituisce il contenuto dei capitoli I-IV, nasce da una lettura dell’Ez%ica, di Spinoza, con importanti aggiunte estratte dal Tyractazus Theologico-Politicus e dal Leviatano di Hobbes; la seconda, quantitativamente di gran lunga più estesa, che riprende, seppure con importanti aggiunte e aggiornamenti provenienti da Vanini, Charron, Naudé, La Mothe

le Vayer, sostanzial-

mente anche se non testualmente gli argomenti di un trattatello della prima metà del Seicento: il Liber de tribus impostoribus. ° A questo proposito, in particolare per la genesi dell’ipotesi dell’«impostura» di Cristo in Bruno, si veda A. Ingegno, Regia pazzia. Bruno lettore di Calvino, Urbino 1987, p. 56, dove si afferma: «Anche qui, come accade spesso nei momenti in cui Bruno sembra sviluppare in

modo gratuito e svagato le sue posizioni più empie ed anticristiane (parlare in questo momento di eterodossia e libertinismo sarebbe solo un debole eufemismo), il tessuto fitto del discorso non fa altro che ripensare in forma originale suggestioni che gli venivano dal dibattito teologico contemporaneo per piegarle in una direzione filosofica». ° Su questo punto si veda l’articolato panorama offerto dal già citato volume Filosofia € Religione nella Letteratura clandestina. Secoli XVI e XVIII. Ma, sempre su questo argomento, cfr. anche A. Ch. Kors, Azheisw in France: 1650-1729. I. The Orthodox Sources of Disbelief,

Princeton 1990. ° Di parere opposto è naturalmente la Berti (op. ci p. XVII, che afferma: «La tradizione latina del mitico trattato De zribus impostoribus, che rielaborava l’antico detto averroistico, e quella francese del 172%, sono del tutto indipendenti tra loro e non vanno confuse (anche se in un senso culturale più ampio, è evidente che il Traé/é si innesta sul tronco averroistico e pomponazziano, riattualizzato dal Theophrastus redivivus e dal libertinismo». Al contrario la Charles-Daubert sostiene, in misura convincente, l’influenza di un testo seicentesco sull’impostura politica dei fondatori delle tre religioni monoteistiche, che avrebbe costituito il

nocciolo tematico delle pagine dedicate nel Traé a questo argomento. Cfr. op. cit, pp. 304-307. Sul seicentesco Liber de tribus impostoribus, anche per quello che riguarda una rassegna della letteratura critica sull'argomento, si veda poi il mio, La zz0rte del Camevale.

Religione e Impostura nella Francia del Cinquecento, Roma 1989, cp. IMI.

Voltaire: religione, impostura, politica

11

In quest’ultima sezione, quella che in ogni caso assicurerà il vero «successo di pubblico» del libello, campeggia con forza l’immagine del Cristo « impostore», la cui subiilitas è tutta funzionale ai bisogni di una lotta politica intenzionata a fare della religione un mero

«instrumentum

imperi»,

che

appare

tratta

di peso,

certo

grazie al tramite del De adyirandis di Vanini, dal III libro del De Sapientia di Cardano".

Un'immagine,

questa, del tutto dissimile da

quella del Servator, che prende invece forma nel Tractatus TheologicoPoliticus, dove Spinoza affermerà che i contenuti del messaggio evangelico — quella fides catholica che in molti punti sembra precorrere i tratti più significativi della legge morale

dell’Ezhica,

fornen-

done una versione semplificata e «popolare» — si distaccano con nettezza da ogni tematica immediatamente politica, per dare luogo ad una predicazione squisitamente spirituale rivolta a individui privati, che proprio tramite la loro fede si alienano, almeno interiotmente, da ogni rapporto istituzionale di vita associata". Lo scarto tra queste due rappresentazioni della figura storica di Cristo è quindi assoluto. E proprio questo scarto mi sembra molto significativo per evidenziare le difficoltà dell’autore del Traifé di inaugurare, con reale consapevolezza, la nuova stagione della riflessione intellettuale sul problema religioso, che si svilupperà dalle pagine del Tractatus di Spinoza nella fondazione sistematica di un ateismo logicamente articolato che sembra non avere più bisogno del tradizionale armamentario ideologico libertino. La sottolineatura esclusiva dei contenuti etici e spirituali del messaggio evange-

* Su questo punto cfr. il mio La fortuna di Cardano in Francia tra Libertinismo erudito e Illuminismo radicale in L'Aquila e lo Scarabeo. Culture e conflitti nella Francia del Rinascimento e

del Barocco, Roma

1988, pp. 204-206 e pp. 217-218.

ou questo punto si veda A. Matheron, Le Christ et le salut des ignorants chez Spinoza, Paris 1971. !° Sulla differenza tra il significato della predicazione di Cristo in Spinoza e nel Trazfé cfr. La fortuna di Cardano in Francia tra Libertinismo erudito e Illuminismo radicale, cit., pp.

248-251. "! Sulla «modernità»ydell’ateismo

di Spinoza cfr. rispettivamente

R. Caillois, Spiroza et

l’athéisme e E. Giancotti, Il Dio di Spinoza in Spinoza nel 350 anniversario della nascita. Atti del Congresso di Urbino: 4-8 ottobre 1982, a cura di E. Giancotti, Napoli 1985.

12.

Voltaire: religione e politica

lico, con l’esclusione di quelli di carattere politico-mondano attuata

da Spinoza almeno nel capitolo V del Tractatus”, non segnerà soltanto,

in un

futuro

molto

prossimo,

l’almeno

temporaneo

«tra-

monto» della tematica dell’ «mpostura religiosa», per usare qui la suggestiva espressione di Giorgio Spini. Essa, infatti, verrà significativamente ripresa dai nuovi protagonisti del dibattito culturale settecentesco, a partire dal Radicati di Passerano del Nazarenus et Lycurgos mis en parallèle del 1736, pet arrivare fino a Voltaire, dove l’immagine spinoziana del Cristo né profeta, né legislatore, né fondatore di una nuova religione, ma semplicemente uomo e filosofo, che aveva fatto già la sua comparsa nelle Questions de Zapata del 1767 , riappare, su di un piano di aperta apologia dell’operato del Servator, nell’opuscolo Diex et les hommes del 1769". Da questo punto di vista, appare indubbio allora come Voltaire si ponga decisamente 4/ di lè delle posizioni tardo libertine del Traité, abbandonandone

le tradizionali

tesi dell’argomentazione

anti-religiosa, che consistevano soprattutto nell’attacco 44 personaze contro

i fondatori

delle tre grandi religioni monoteistiche,

e ridi-

mensionandone sul piano più generale il valore ideologico, in un testo sempre del 1767, le Lèzres è Son Altesse Mgr. le Prince de Brunscwick. Sur Rabelais et sur d'autres auteurs accusés d’avoir mal parlé de la Religion chrétienne, che finiscono per porre sullo stesso piano, come due facce di un egualmente riprovevole fenomeno di «fanatiNel capitolo XIV del Tractatus rispunta, infatti, l’immagine «libertina» di Cristo, alla cui predicazione non sono estranee considerazioni di carattere pratico-politico, necessarie a disciplinare quelle masse popolari che appaiono assolutamente refrattarie a recepire gli insegnamenti di carattere morale, che costituiscono il legato più autentico del messaggio

evangelico.

Su questo

punto

cfr. Tra IMuzinismo, Anti-Iluminismo

radicale: il tema dell'«impostura delle leggi» nella Francia

e Illuminismo

del Settecento in Ragioni dell’Anti-

Iluminismo, a cura di L. Sozzi, Alessandria 1992, pp. 132-134. Sul problema delle masse nella teorizzazione politica spinoziana, si veda ora E. Balibar, Spinoza et la crainte des masses in Spinoza nel 350 anniversario della nascita, cit., pp. 299-320.

© Cfr. G. Spini, Ricerca dei Libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Firenze 1983, pp. 369 e sgg. "“ Sulla fortuna dell’interpretazione spinoziana della predicazione di Cristo nel XVIII secolo cfr. Tra Illuminismo, Anti-Illuminismo

e Illuminismo radicale: il tema dell'«impostura delle

leggi» nella Francia del Settecento, cit., pp. 129 e sgg.

Voltatre: religione, impostura, politica

13

smo» i più retrivi apologeti dell’ortodossia cattolica come Garasse e gli esponenti della tradizione eterodossa europea da Pomponazzi a Cardano,

fino a Toland, Boulanger, Meslier, Dumatsais,

con la

significativa eccezione del solo Spinoza". Certo,

mi

si potrà

obiettare,

e giustamente,

come

Voltaire,

prima e dopo di queste date, non abbia minimamente esitato ad utilizzare nella sua opera proprio quegli stessi argomenti, così duramente contestati nelle Lezres dà Son Altesse Mgr. le Prince de Brunsowick, in molte voci del Dictionnaire philosophique, in opere importanti come il Diner du Comte de Boulanvilliers, VExamen important de Mlord Bolingbroke (dove Cristo, ad esempio, viene definito testualmente come un piccolo avventuriero intenzionato ad usare le ragioni del sacro per edificare un proprio potere personale)” e da ultimo nell’Hystoire de l'établissement du Christianisme, facendosi inoltre

editore di alcuni tra i più radicali scritti della letteratura clandestina, tra i quali il Testazzent di Meslier. Ma proprio questo oscillare di Voltaire tra un tentativo di conciliazione,

se non,

certo, con

i dogmi

della religione rivelata, al-

meno con la sensibilità dei suoi fedeli nei confronti del fondatore del loro credo, e il ritorno alle punte più polemiche della propaganda anti-cristiana del passato, mi sembra dirla lunga sull’attardarsi del Signore di Ferney in un atteggiamento di doppiezza ideologica, che lo pone decisamente 4/ di qua delle tendenze manifestatesi in una vasta parte della letteratura eterodossa del XVIII

secolo.

Questa,

infatti,

era

ormai

passata

dalla denuncia

della mancanza di verità dell'idea di Dio a quella di qualunque tentativo di servirsi strumentalmente di questa idea per finalità politiche,

unendo

in un’unica

violenta

condanna

fanatismo

reli-

gioso e dispotismo, e rompendo con decisione, solo parzialmente e tra non poche contraddizioni già nel Traz/é des Trois Imposteurs del °° Cfr. @uvres de Voltaire, cit., XXXI, pp. 121-127, dove Voltaire, edificando una vera

e propria apologia di Spinoza contro il giudizio espresso da Bayle nell'omonima voce del Dictionnaire, afferma, tra l’altro, a proposito del Tractatus: «Ce livre est si lontain de

l’athéisme, qu'il y est souvent parlé de Jésus-Christ comme Cfr tivi, XICXIII, ‘p. 208

de l’envoyé de Diew.

14.

Voltaire: religione e politica

9

poi, con maggiore coerenza teorica, a partite dalle Recher-

ches sur l'origine du despotisme oriental di Boulanger'*, con quell’atteggiamento di ambiguità che, proprio sul piano politico, permaneva nella vecchia tradizione libertina. Tale atteggiamento di ambiguità continua ad essere presente, invece, in Voltaire. Ed esso affonda le sue radici in un convincimento culturale sistematico, che vede nello strumento della «doppia verità», nell’utilizzazione, magari contemporanea, di due

linguaggi l’uno riservato al «sapiente», al potente di questa terra, o magari

ad una

ristretta

éfe da «déniasem»,

e l’altro

destinato

al

«popolo», al di là di ogni precisa connotazione socio-economica di questo termine, l’arma più adatta per condurre le proprie battaglie ideologiche. Tale pratica culturale, poi, è pienamente comprensibile nelle sue motivazioni più profonde non tanto, ormai, con il timore

di una possibile persecuzione dei poteri politici e religiosi, ma piuttosto con un’intima e spontanea adesione al dogma politico che si riassume «nella necessità di mentire al popolo in materia di religione», tante volte predicato nel passato dai Cremonini, dai

Naudé e dall’autore del Theoprastus redivivus”. Di

d

Il carattere ancora contraddittorio del Trzifé su questo punto mi sembra essere stato colto anche

dalla Berti, che scrive: «La denuncia

della mancanza

di consapevolezza

e

conseguente assenza di verità [della religione] assume nell’Espri? un significato politico radicale a difesa del popolo oppresso dal gioco di quelle Azzes vénales che lo asservono e lo mantengono nell’ignoranza per esclusivo interesse personale. Ed è proprio in queste pagine che prende corpo una nozione di popolo molto distante da quella, dispregiativa e sdegnosa, presente nell’idea libertina di pexple e di vulgaire, tanto spesso ricorrente, ad esempio, nelle pagine di Charron e di Naudé, le cui invettive, tuttavia, senza eccessivi riguardi per la logica, sono riportate nella prima edizione dell’Esprid. Cfr. op. cit, p. LX.

"Sulla polemica religiosa e politica di questo autore, ancora insostituibile è il volume di Franco Venturi, L'Anzichità svelata e l’idea di progresso in NA. Boulanger (1722-1759), Bari 1947. ‘Nonostante la tante volta conclamata volontà di Voltaire di opporsi a questa prassi,

che sarà programmaticamente espressa nel libello Jusgu'à quel point on doit tromper le peuple in (Euvres de Voltaire, cit., XXX, pp. 48-51.

°° Cfr. Theoprastus redivivus. Edizione prima e critica, a cura di G. Canziani e G. Paga1981-1982, 2 voll., II, p. 363, dove, riprendendo l’ipotesi di Machiavelli,

nini, Firenze

sulla religione come « instrumentum imperi», si afferma: «Sic Principes religiosos ac devotos facile reddent populos, et consequenter bonos, humiles ac unitos. Cunctis etiam

Voltaire: religione, impostura, politica

15

Esempi espliciti di questa posizione intellettuale, che sostiene l’imprescrittibile necessità politica della religione, non sono certo rari, come si sa, e anzi abbondano nel corpus volterriano. Nella Voix du Sage et du Peuple del 1750, ad esempio, uno dei primi e più radicali manifesti

della battaglia anticurialista

di Voltaire, dove in

ogni caso si afferma che il tanto agognato «prince philosophe», al cui avvento il Signore di Ferney rimanderà sempre ogni progetto di riforma politica, dovrà, pur cercando di preservare il suo dominio da ogni conflitto di carattere dogmatico, «encourager la religion qui enseigne toujours une morale pure et très-utile aux hommesy!.

Ne Les Questions de Zapata, poi, dove, misconoscendo

assolutamente la lezione di Bayle sulla possibilità della sopravvivenza di una società politica composta da atei, si affermava che il destino

di ogni

consorzio

umano,

privato

dei vincoli

sociali

assicurati dalla religione, era quello di conflagrare in preda a lotte intestine inestinguibili”. Ancora, nella ventisettesima sezione delle Honnétetés littératres, in cui si parlava dell’assurdità di un’atteggiamento apertamente anti-feligioso, per quell'uomo politico che avesse anche soltanto «une peuplade de six cents personnes à gouvernen”. Infine, in un passo delle già ricordate Leztres è Son Altesse Mgr. le Prince de Brunsovick, dove Voltaire faceva del ministro inglese Bolingbroke, il suo vero e proprio alter ego intellettuale, sostenendo che costui, pur avendo fornito nei suoi manoscritti inediti le prove

di un violento

e sistematico

ateismo, si era ben

guardato dall’attaccare pubblicamente la religione cristiana, «dont

rebus, quae religionis gratia fiunt, favere debent Principes, quamvis falsas confictasque illas esse perspiciant, imo illas augere debent [...]». ?" Cfr. QEuvres de Voltaire, cit., XXX, p. 41. 2 Cfr. ivi, XXXVIII, p. 91. Molto diversa da questa posizione di Voltaire, quella di un pensatore, pur decisamente moderato come Formey, che, partendo dal riconosci-

mento dell’esistenza di una «vertu philosophique» indipendente da ogni religione, ammetteva la possibilità del mantenimento in vita di una società di atei. Ma su questo punto si veda R. Geissler, Forzey critique des philosophes francais: observations sur le rapports entre wolfianisme et Lumidres francaises in Transactions of the Eight International Congress on the Enlightenment: Bristol 21-27 July 1991, Oxford 1992, 3 voll., I, pp. 507-510. ? Cfr. Cuvres de Voltaire, XXXI, p. 204.

16

Voltaire: religione e politica

tout homme d’Ftat peut tirer de très-grands avantages pour le genre humain, en la resserant dans ses bornes, si elle les a franchies»*. Ma anche questo progetto minimale di mantenere in vita la religione cristiana, vista la necessità squisitamente politica della sua esistenza, a patto, però, di purificarne l'essenza costitutiva dall’assurdità dei suoi dogmi, dall’intolleranza e dal fanatismo che aveva

contraddistinto

tanta parte della sua storia, proprio questo pro-

getto, dico, che in più di un momento della biografia di Voltaire sembra sostituirsi a quello di edificare, con il Teismo, un nuovo e interamente razionale credo metafisico, verrà meno in un molto

meno noto testo degli anni 1770: il Fragzzent d'une Lettre sous le nom du Lord Bolingbroke”. Qui, Voltaire, infatti, ancora una volta sotto la

trasparente copertura fornitagli dalla personalità del /eader tory, sosteneva decisamente l'impossibilità, almeno

nei tempi brevi, di g0-

vernare con successo una grande nazione «sans le secours de la supetstition», fosse pure quella che allignava fortemente nelle tradizionali Chiese istituzionali delle nazioni europee e in quella cattolica in particolare. Il proposito di far inginòcchiare i sudditi di

quegli stati dinanzi alla raziohialè essenza del Dio dei filosofi del Teismo, invece che ai piedi di «un natif de Betlem», appare, infatti,

in questo scritto, un'impresa veramente disperata, a meno di non disporre dell'appoggio militare di un esercito di «cent mille guerriers victorieux». E tanto vale quindi, questo il messaggio ultimo della Lezfre, continuare

a «fouler l’etreur à nos

pieds», esclusiva-

mente nel foro riservato della propria coscienza, e rassegnarsi definitivamente all’idea di «laisser les imbéciles tomber à genoux devant elle». È un testo, questo, tra i tanti dello stesso segno, scritto nei primi anni del decennio 1770, nel momento quindi in cui si fa più

violenta la contrapposizione tra Voltaire e il gruppo di d’Holbach sul problema

dell’ateismo

(N Cla.liviip.A01. ° Cfr. ivi, XXX, pp. 436-438.

e in cui, parallelamente,

il Signore

di

Voltaire: religione, impostura, politica

17

Ferney si rende ormai pienamente conto dell’inanità di ogni sforzo destinato a sradicare il culto cattolico dal tessuto della società francese. Se infatti nella sconsolata conclusione dell’ Exazen important de Milord Bolingbroke del 1761, uno degli scritti più violenti contro i misfatti della Chiesa di Roma, Voltaire, posto di fronte alla neces-

sità di valutare il Cristianesimo

non

solo con la «balance de la

vérité» ma anche con quella della «politique», finiva per ammettere

l'impossibilità di concepirne la distruzione e ipotizzava, invece, la possibilità di accettarne l’esistenza, almeno per quello che riguardava le espressioni meno corrotte e più perfettibili di questo credo come l’Anglicanesimo, escludendo in ogni caso da questa « entente cordiale» il papismo”, altrove, questa tolleranza di fatto sembrerà estendersi allo stesso culto cattolico. Il problema cruciale, posto da Voltaire, relativo non solo all’in-

capacità della phe/osophie di estirpare i pregiudizi religiosi delle masse, ma anche alla non convenienza politica tentativo, ritornerà in molti punti della sua sterminata denza, per essere, proprio in quella sede, spinto alle

dall’animo di questo corrisponsue conse-

guenze ultime. Nella lettera a Damilaville del 19 marzo 1766, si affermava, infatti, che la nuova evangelizzazione dei Lumi doveva

proporsi come traguardo massimo quello di convertire integralmente alla ragione solo quella piccolissima minoranza della nazione francese, che avrebbe dovuto costituire la nuova élite dirigente, «car il est à propos que le peuple soit guidé, et non pas qu'il soit instruit. Il n’est pas digne de l’étrey”. Una visione delle masse popolari, questa, in tutto e per tutto omologa a quella offerta dalla vecchia letteratura libertina di un Naudé*, ad esempio, che ritor-

nerà ancora

nella lettera indirizzata a Condotcet,

1776°. Qui, Voltaire, dopo aver stigmatizzato

il 27 gennaio

duramente

il com-

SECHEMIVINSOXXILI xp:3324

” Cfr. Voltaire, Correspondance, Edition Th. Besterman, Paris 1983, VIII, n.9356. * Cfr. G. Naudé, Considérations politiques sur les coups d'Etat, Rome 1639, p. 142, dove si parla del popolo comedi «une Bète à plusieurs tètes, vagabonde, errante, folle, étourdie, sans conduite, sans esprit, sans jugement». °° Cfr. Voltaire, Correspondance, Edition Th. Bestermann, Paris 1988, XII, n.14465.

18.

Voltaire: religione e politica

portamento delle « trois canailles» (il clero, i ferzziers généraux, i Parlamenti), che ostacolavano l’attività riformatrice del ministero Turgot, scriveva che a queste bisognava aggiungerne una quarta: il popolo. E a causa di quest’ultimo che anche le menti migliori del secolo continuano a sopportare le bizzarre superstizioni della Chiesa cattolica — dal sacrificio della messa al grottesco miracolo della guarigione dei lebbrosi, eseguito dal re di Francia nel giorno

della sua consacrazione — i suoi eccessi di fanatismo, l’esistenza di tanti oziosi ordini religiosi che divorano il reddito prodotto dalla parte attiva della nazione. È l’esistenza stessa del popolo, in altre parole, che fa apparire ineliminabili questi stessi abusi, che la mag-

gior parte dei governanti d’Europa hanno «le malheur de considérer nécessaires au maintien des Etats», tanto da continuare a dar loro vigore alla stregua delle «leggi fondamentali» che forniscono legalità e legittimità ai loro regni” Ma questa stessa «elio di considerare perfino l’esistenza del credo cattolico indispensabile alla salute del consorzio civile sembra non aver risparmiato lo stesso Voltaire, che in un’altra missiva del 1776, indirizzata questa volta a Paul-Claude Moltou?,

tranquillizzava il suo corrispondente sul radicale ridimensionamento della sua passata lotta contro l’«nfàme», parafrasando in questo modo il linguaggio evangelico: «On ne veut point du tout détruire ce que vous savez, ce qui est fondé sur beaucoup d’argent et sur beaucoup d’honneurs est fondé sur le roc. On prétend seulement adoucir l’esprit de ceux qui jouissent de ces honneurs et de cet argento. E nulla da stupirsi, allora, se questo deciso cambiamento di rotta verrà precocemente recepito dalla nuova apologetica cattolica dell’ultimo trentennio

del Settecento.

Questa, infatti,

inizierà ad utilizzare sistematicamente gli argomenti del Signore di

" La lettera a Condorcet si concludeva, ribadendo il programma volterriano di questo periodo, teso soprattutto ad un’opera di illuminazione della futura classe dirigente: «Tout

ce qu’on poutra faire sera d’éclairer peu è peu la jeunesse qui peut avoir un jour quelque part au gouvernement, et de lui inspirer insensiblement des maximes plus saines et plus tolérantes. Ne nous refroidissons point, mais ne nous È ef Correspondance, cit., XII, n. 14622.

exposons

pas».

Voltaire: religione, impostura, politica

Ferney nella sua lotta contro

il propagarsi della propaganda

19

atei-

stica, già a partire dal pronunciamento ufficiale dell’Assemblea del Clero di Francia del maggio 1770, senza ricevere nessuna sorta di sconfessione, né pubblica né privata da parte di Voltaire”. Non è certo qui in questione una presunta adesione fideistica di Voltaire al credo cattolico, che potrebbe soltanto essere testimo-

niata da alcuni episodi della sua biografia (l’obbligo di andare a Messa per i contadini di Ferney, imposto dal loro signore feudale o l’assoluzione in artico mortis del 1778)”, che sono prova piuttosto di un’inguaribile irriverenza libertina, accompagnata semmai ad una certa dose di cattivo gusto. Quello su cui però mi sembra giusto insistere è che a partire dagli anni 1770 si assiste ad una decisa modificazione nella riflessione di Voltaire sul problema religioso. Posto di fronte ai progressi della propaganda ateistica e dopo aver visto tramontato definitivamente il progetto di edificare in Francia

un

ragionevole

Teismo,

capace

di sostituirsi

alla reli-

gione rivelata, Voltaire ha finito infatti, s/ piano oggettivo naturalmente, e non certo sperimentando soggettivamente concrete ipotesi di collaborazione

rivolte all’istituzione

ecclesiastica, col porre le basi

di un compromesso con la Chiesa cattolica e più in generale con il Cristianesimo, ritenendo, in ogni caso, essenziale al proseguimento della vita politica e sociale l’esistenza di un credo religioso qualunque esso fosse”. E riprova, non trascurabile, di questa mia ipotesi può essere, forse, la violenta reazione d’insopportazione contro queste posizioni che insorgerà dagli ambienti più radicali del partito filosofico È Sm questo punto cfr. Tra IMumzinismo, Anti-Iluminismo e Illuminismo radicale: il tema dell

«impostura delle leggi» nella Francia del Settecento, cit., pp. 144-147.

” Cfr. R. Pomeau, La Religion de Voltaire, Patis 1969, p. 452-453. * Significativamente, a questa data, l’ier di Voltaire si incontra con quello di Federico II di Prussia che, a partire dall’offensiva ateistica di d’Holbach,

rivaluterà nettamente

il

ruolo «politico» della religione nel suo Exazen critique du Système de la nature del 1770 e soprattutto nel Dia/ogue des morts entre le prince Eugène, lord Malborough et le prince de Lichtenstein del 1773. Su questo punto cfr. U. Van Runset, Siècle de l'ignorance-siècle des Lumières? Frèderic II et l'Enoyclopédie in Transactions of the Eight International Congress on the Enlightenment, cit., I, pp. 485-489.

20.

Voltatre: religione e politica

a partire da Diderot, che, già nella sua prefazione del 1761 all’edizione delle Recberches sur l'origine du despotisme oriental di Boulanger, annoverava Voltaire tra quelli «apostati volontari della verità», il cui

tatticismo politico entrava in stridente contraddizione con i propri più intimi convincimenti”, e da Grimm

che, nel 1767, accusava il

Patriarca di Ferney di aver ridotto, con il suo dogma sulla necessità di un Dio «rémunérateur et punisseum, la propria meditazione

sui fatti metafisici alla «foi d’un capucin»”. Una

reazione,

questa,

destinata

a toccare

il suo

culmine

con

Naigeon, la cui Adresse à l’Assemblée nationale sur la liberté des opinions del 1790 portava alle ultime conseguenze le finalità della letteratura anti-assolutistica e anti-religiosa del XVIII secolo, proponendo una

separazione assoluta tra istituzioni politiche e credo metafisico, che occorreva ridurre ad un fatto esclusivamente privato, la cui esistenza non doveva essere neppure ricordata nella costituzione del nuovo Stato rivoluzionario. Il messaggio dell’Adresse, che conteneva violenti strali contro l’ala moderata del partito filosofico”, vertà poi ribadito dallo stesso Naigeon, che, nell’articolo «Mesliem della sua Philosophie ancienne et moderne del 1791, dopo aver accusato Voltaire di aver letteralmente “castrato» il Testazzent del curato d’Etrépigny nel suo Exzrazt del 1762, eliminandone ogni riferimento ateistico, stenderà in questo modo il suo atto d’accusa contro l’uso

strumentale della doppia verità, utilizzato dal Signore di Ferney in tutta la sua esistenza. A légard de Voltaire, je sais que le dogme de l’existence de Dicu, pour le maintien duquel il a combattu toute sa vie avec le mème

zèle, ne se lie pas bien avec d’autres opinions qu’il a constamment

® Cfr. Venturi, L’Anfichità svelata e l’idea di progresso in NA. Boulanger, cit., pp. 67-69. CR Correspondance littéraire, philosophique et critique, par M. Tourneux, Paris 1877-1892,

VII, p. 345. L’articolo di Grimm è del 15 giugno 1767. ° Cfr. Adresse à l’Assemblée nationale sur la liberté des opinions, sur celle de la presse, ete., Paris 1790, pp. 26-29. In queste pagine era duramente recensito il «moderatismo» intellettuale di Montesquieu, di d’Alembert, di Buffon, di Morellet e, paradossalmente, dello stesso Helvétius, accusati di non aver attaccato frontalmente il dogma religioso «pour un reste

de respect, puremente machinale, pour de vieux préjugés».

Voltaire: religione, impostura, politica

21

soutenues, telles la matérialité de l’àme, la nécessité des actions humaines, l’éternité de la matière, etc., etc. Il est certain que en Voltaire ces principes sont contradictoires et s’éxcluent réciproquement: mais Voltaire n’en est pas moins d’accord avec lui-méme; cat il ne faut pas croire que, lorsqu’il plaide avec tant d’intérèt oc

cause

de Dieu, ce soit sa propre

opinion qu'il défend; il suffit

méme de bien prendre l’esprit de tout ce qu ’il a écrit sur cette matière, pour se convaincre qu'il parle bien moins de l’existence de

Dieu comme

d’un dogme dont la vérité lui est démontrée,

que

comme un dogme utile et nécessaire. Rien ne le prouve mieux que ce vers si souvent cité et si peu entendu: S7 Dieu n’existoit pas, il

faudrait l’inventer. Ce n'est pas ainsi que s’exprime un homme persuadé; c’est le langage d’un politique et d’un politique athée”

Certo, anche questa testimonianza può non bastare forse pet iscrivere, senza

mediazioni,

Voltaire

nel filone cinque-seicentesco

dell’«ampostura religiosa», come ammoniva René Pomeau, in un libro ancora oggi per molti versi insuperato come La Religion de Voltair®®. E ciò non tanto per quegli intimi convincimenti religiosi volterriani, che lo stesso Pomeau si è sforzato di rintracciare con mediocre successo, mi sembra, nell'opera del Signore di Ferney, ma piuttosto per il fatto che, accanto alla difficilmente confutabile

immagine del Voltaire spregiudicato e a volte cinico apologeta della «religio instrumentum regni», si accampa con forza, dinnanzi ai nostri occhi, quella del Voltaire grande combattente delle battaglie civili contro gli effetti perversi dell’integralismo religioso, ancora così densi di conseguenze terribili nella Francia del Settecento. Eppure, anche nell’opera, dove si farà più forte la sua battaglia contro gli eccessi del fanatismo — quel Trazté sur la tolérance del * Cfr. A. Naigeon, Philosophie ancienne et moderne, Paris 1791, 3 voll., II, p. 239. La prima edizione di quest'opera, che faceva parte della Ereyeopédie Methodigue di Panckoucke, era del 1784. L’edizione della precedente, che, come

del 1791

conteneva

numerose

aggiunte, nei confronti

nell'articolo «Mesliem», radicalizzavano

zioni della polemica politica e anti-religiosa. Cfr. S. Tucoo-Chala,

ulteriormente le posi-

C-.J. Panckoucke et la

Librairie francaise: 1736-1798, Paris 1977, p. 164 e p. 168. ANO op. cit., pp. 398 e sgg. Egualmente dedicato al problema religioso in Voltaire è il più recente volume di R. Pomeau, «Ecraser l'Infime, Oxford 1994.

22

Voltaire: religione e politica

1763, scritto per riscattare la memoria dell’ugonotto Jean Calas, suppliziato l’anno precedente a Tolosa sotto false accuse, ma in realtà per la fedeltà al credo in cui era nato — Voltaire non rinnega,

davvero,

i suoi

convincimenti

sulla necessità

politica della

religione. In questo testo, certo, non solo si auspica che un prossimo rischiaramento delle coscienze possa spingere l’umanità ad abbandonare l’antica «superstition», grondante di sangue e di pregiudizi, per abbracciare « une religion pure et sainte», una sorta di

«ragionevole cattolicesimo», che appare, ai suoi occhi, guadagnare sempre più ampi spazi nella stessa società francese del tempo, paradossalmente, proprio grazie agli effetti della predicazione giansenista". Ma nell’attesa che questo cambiamento, davvero epocale, arrivi a maturazione, il Signore di Ferney non sembra proprio voler rinunciare al ruolo cardinale della supersizzio nell’assicurare il governo degli Stati, la «police» di questi, la stessa tranquillità pubblica. Nel capitolo XX dell’apologia di Calas — dove ci si interroga sull’utilità «d’entretenit le peuple dans la superstitiom»» — Voltaire afferma infatti che, di fronte alla debolezza e alla perversità del genere umano, «il vaut mieux, sans doute, pour lui d’ètre subjugé

par toutes les possibles superstitions, pourvu qu’elles ne soient pas meurtrières, que de vivre sans religion». In ogni società organizzata, continua

essa sia, connus», secrets», rigorose

il testo, una

religione

è indispensabile,

qualunque

dato che le «lois» possono vegliare solo «sur les crimes mentre la «religion» può vigilare e reprimere quei «crimes che restano incoercibili anche da parte delle forme più e raffinate di disciplinamento civile”. Un’affermazione,

quest’ultima, che costituisce un motivo

“ Cfr. CEuvres de Voltaire, cit., XXXIV,

ricorrente della letteratura

p. 201: «Ceux

qu'on appelait jansénistes

ne

contribuèrent pas peu à déracinet insensiblement dans l’esprit de la nation la plupart de fausses idées qui déshonoraient

la religion chrétienne.

On cessa de croire qu'il suffisait

de réciter l’oraison de trente jours à la vierge Marie pour obtenir tout ce qu'on voulait et pour pécher inpunénement.

n’était pas Sainte

Geneviève

Enfin la bourgeoisie

qui donnait

lui-mème qui disposait des éléments».

li

sp:1200;

a commencé

a soupconner

ou arrétait la pluie, mais

que ce

que c’était. Dieu

Voltaire: religione, impostura, politica

23

libertina, a partire da quel passo del III libro del De Sapientia di Cardano, non sconosciuto a Voltaire, mi sembra, dove si affermava: « Summum autem praesidium regni est Iustitia ob apertos tumultos: et Religio, ob occultos»” È un necessario confronto testuale, questo, che non appanna davvero l’immagine di Voltaire strenuo sostenitore, già a partire dalle Lestres philosophiques, di un principio di tolleranza, capace di secolarizzare profondamente la società europea, che mi pare essere il contributo più importante e più durevole della sua riflessione sul problema metafisico. Un contributo di cui si potrebbe esser paghi, cercando di non rimuovere capziosamente le ambiguità ideologiche di un personaggio, che rimarrà per tutta la sua esistenza indissolu-

bilmente

legato all'eredità libertina della società del Tezgple della

Parigi della Reggenza, e soprattutto sforzandosi di non ritagliarne un immagine, apparentemente più attuale, ma forse soltanto più vicina ai nostri personali convincimenti ideologici, come è già accaduto una volta, in occasione di un altro centenario della sua

nascita, nella Francia di Anatole France e della Terza Repubblica. E questo raffreddamento delle emozioni e delle passioni che potrebbero condizionare la ricostruzione di una delle, certo, più coinvol-

genti personalità del secolo XVIII, dovrebbe anche farci allargare il panorama della ricerca storiografica ad altri personaggi, ad altri movimenti che affrontarono, nella Francia del tempo, il problema-

tico nodo dei rapporti tra religione e politica, cercando di risolverne le contraddizioni con un proposta originale e diversa, ad un tempo, dal calcolato tatticismo volterriano come dall’elitario radicalismo del gruppo di d’Holbach, non sempre esente, anch’esso, dal considerare non adatte al «vulgaire» le punte più eversive del proprio messaggio”

© Su quest’ultimo punto cfr. La fortuna di Cardano in Francia tra Libertinismo erudito e Illuminismo radicale, cit., p. 204. ’ Ricordiamo, a questo proposito,

questo

passo,

dal significato

programmatico,

di

d’Holbach: «L’athéismey ainsi que la philosophie et toutes les sciences profondes et abstraites, n’est point fait pour le vulgaire». Cfr. Systèzze de la Nature, Leipsick 1780, 3 voll. in 6 tomi, III, 6, p. 143.

24

Voltatre: religione e politica

Intendo parlare qui di quel gruppo politico, che prenderà origine, intorno al 1750, dalla comune

frequentazione giovanile della

«Maison de Sorbonne», di cui Morellet ci ha lasciato una vivida testimonianza nel primo capitolo dei suoi Mémoires”. Tra le fila di questo gruppo, legato da una forte solidarietà e da un comune programma d’azione, ritroveremo il nome di intellettuali altamente significativi pet la storia del culturale del secolo, come Morellet appunto, ma soprattutto quello di alcuni uomini politici, destinati a raggiungere i vertici dell’amministrazione statale, come Loménie de Brienne, Boisgelin, Turgot, la cui attività troverà una corrispon-

denza organica, sul piano delle concrete istanze di riforma, con quel globale progetto di modernizzazione dello Stato ipotizzato da Vincent de Gournay e poi portato avanti da alcuni dei suoi allievi, come Malesherbes”. Anche se sarà proprio Turgot, nel 1750, a tracciare precocemente e compiutamente il manifesto ideologico di questo sodalizio politico-intellettuale, almeno per quello che riguardava i nuovi rapporti da instaurare tra Stato e religione, nel suo Discours sur les avantages UL l'établissement du Christianisme a procurés au genre humaine”. Un testo, questo, dove, l'opposizione decisa a ogni tentazione di fanatismo e di intolleranza — che un altro «sorboniano» Loménie de Brienne riprenderà nel suo Coneliateur del 1754, con forti riecheggiamenti degli argomenti di Voltaire” — ma soprattutto il superamento coerente della vecchia tematica dell’impostura religiosa e dell’organica unione tra mantenimento in vita del credo metafisico e conservazione dello sta/45 quo politico e sociale offrivano il terreno di coltura più appropriato dove innestare concrete ipotesi di riforma destinate a incidere profondamente sul tessuto

“ Cf. A. Morellet, Méyoires inédits de l’abbé Morellet sur les Dix-huitième siècle et la Révolution, Deuxième édition considérablement augmenté, Paris 1822, 2 voll., pp. 7-21.

* All’attività di questo gruppo di riformatori è in buona parte dedicato il mio volume Alle origini della Francia contemporanea. Economia, politica e società nel pensiero di André Morellet: 1756-1819, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994. ‘ Cfr. uvres de Turgot, pat G. Schelle, Paris 1913, 5 voll., I, pp. 194-214. ‘Cfr. A. Morellet, Mémoires, cit., I, Pelo:

Voltatre: religione, impostura, politica

25

religioso, economico, politico e istituzionale della società francese e a determinare,

di conseguenza,

un’effettiva

laicizzazione

dello

Stato. Tra queste: il progetto di una integrazione completa delle minoranze religiose, in primo luogo nella vita economica e poi in quella civile e politica, proposto con decisione da Turgot e Morellet, già alla metà del decennio

1750%, che troverà alla fine del

secolo dignità legislativa nell’editto del 19 novembre da Malesherbes,

dove

si riconosceva

1787 redatto

lo stato civile ai protestanti,

che avrebbe dovuto nelle intenzioni del suo estensore preludere ad uno analogo in favore degli ebrei”; il tentativo, già preconizzato da Gournay, di eliminare l’ingerenza della Chiesa nella sfera della vita economica nazionale, che prenderà corpo nella campagna a favore

‘ Tale ipotesi, d'impianto ancora pienamente mercantilistico, relativa alla concessione di una larga tolleranza a tutti i culti religiosi, per inserire, senza discriminazioni, i loro appartenenti nello sforzo produttivo della nazione che si trovava ad ospitarli, era riproposta con vigore, per l'Inghilterra, da Josiah Tucker nelle sue Re/leczions on the expedienoy of a Law for the naturalisation offoreign protestants, edite a Londra tra il 1751 e il 1752. L’opera di Tucker verrà parzialmente tradotta in francese nel 1755, con l’aggiunta di vaste e numerose note di commento che ne allargano gli assunti originali, da Turgot e da

Morellet, con il titolo di Questions sur le commerce, à l occasion des oppositions au dernier bill de naturalisation. Ma sul significato che poteva assumere la pubblicazione dell’opera di Tucker, nella Francia della metà del XVIII

Morellet dont vous

nella lettera a Antoine-Alexandre me

parlez, intitulé Questions

secolo, si veda la più tarda testimonianza di

Barbier del 12 dicembre

1804: «L’ouvrage

sur la tolérance, n’est ni de Mr. Turgot ni de

moi. Ce qui peut avoir trompé votre bibliographie est un ouvrage traduit de l’anglois, intitulé Questions sur le commerce, à l'occasion des oppositions au dernier bill de naturalisation, pat Tucker, alors chapelain de l’évéque de Bristol et depuis doyen du chapitre de Gloucester, que nous avons connu Mr. Turgot et moi et avec lequel nous avons été en correspondance. Son ouvrage, dont une petite partie seulement est traduite, est beau-

coup plus considérable et son véritable but est la tolérance que demande l’auteur pour les étrangers, qu'il veut qu'on naturalise, quoique catholiques et dissidents. L’avertissement et les notes du traducteur ont pour objet d’établir, à cette occasion, que la religion catholique, elle-méme, bien entendue, n’est pas persecutrice. C’est une doctrine que Mr. Turgot et moi avons constamment defendu, en Sorbonne méme, où nous avons vecu

trois ans ensemble

[...]». Cfr. Lezzres d’André Morellet, publiées et annotées par Dorothy

Medlin et Jean Claude David, II, Oxford

1994, n. 440.

* Cfr. il mio Tra discriminazione, assimilazione ed emancipazione: la questione ebraica in Francia tra Rivoluzione e Impero, iv La questione ebraica dall'Illuminismo all'Impero (1700-1815). Atti del Convegno della Società Italiana di Studi sul secolo XVIII (Roma, 25-26 maggio 1992), a cura di P. Alatri e S. Grassi, Napoli 1994, in particolare alle pp. 90-91.

26

Voltaire: religione e politica

della liberalizzazione del mercato del denaro e della decriminalizzazione legislativa dell’usura, di cui un inedito manoscritto, anche in

questo caso di Malesherbes, ci fornisce un documento d’importanza davvero eccezionale per la coerenza e la forza degli assunti”; la programmatica intenzione, formulata da de Brienne nel 1774, di ridimensionare, a favore dello Stato, il monopolio dell’assistenza

pubblica, fino a quel momento detenuto dall’istituto ecclesiastico”. Un

ventaglio

di riforme,

queste,

che

delineano

un

radicale

cambiamento dei rapporti tra istituzioni politiche e religiose, destinato a riverberarsi persino nella vita privata dei sudditi del regno e che appare molto diverso e molto più denso di conseguenze per il futuro del sorpassato regalismo volterriano, intenzionato a infeudare la Chiesa allo Stato sull'esempio del « dispotismo illuminato» prussiano e russo”, dell’estremismo ideologico di un Naigeon, che conoscerà un suo effimero successo solo nell’episodio rivoluzionario

della

« scristianizzazione»”’,

come,

infine,

del ritorno

alla

«dévotion politique» che si verificherà in Francia dopo il Concordato napoleonico. Anche in questo caso, mi sembra che il lavoro storiografico si debba sforzare di valorizzare l’attività del gruppo riformatore dei burocrati di antico regime, così come

è stato autorevolmente

pro-

posto da Robert Darnton per altri settori della vita pubblica fran50

Mi riferisco all’inedito manoscritto stilato alla fine del decennio 1760, ora

di Malesherbes, Mézoire sur l'intérét de l’argent, conservato tra le carte di Morellet depositate

presso la Biblioteca Nazionale di Lione. In questo testo, a proposito del progetto di decriminalizzazione della pratica del prestito ad interesse, si discriminava molto bene tra

« peccato» di usura, di competenza per le sue conseguenze spirituali della Chiesa, e un preteso «delitto» di usura, che, in quanto tale, doveva essere cancellato dal futuro ordi-

namento giuridico, per essere assimilato, di caso in caso, al più generale regime di reato contro il patrimonio. Ma per un’analisi più ampia del Mézoîre di Malesherbes cfr. A/le origini della Francia contemporanea, cit., pp. 281-284. ni Cfr ‘ivi, pi.508; SI GREG Religion de Voltaire, cit., pp. 446 e segg. SAS questo episodio si veda ora, da ultima, la messa a punto di S. Desan, The Fazzily

and the Cultural Background: Religion vs. Republic under Terror in The French Revolution and the Creation of Modern Political Culture. York, Tokio 1994, pp. 177-193.

IV: The Terror, edited by K. M. Baker, Oxford, New

Voltaire: religione, impostura, politica

27

cese del Settecento”. Le proposte provenienti dagli ambienti più avanzati dell’amministrazione

sembrano, infatti, fornire, per quello

che riguarda la risoluzione del cruciale problema religioso, una risposta maggiormente rispondente alla necessità dei tempi, individuando nella prassi di separazione e di reciproco rispetto tra Chiesa e Stato quel cammino che sarà poi imboccato con decisione dal liberalismo europeo del XIX secolo, ma che appare già nettamente

ipotizzato in un’inedito

scritto di Morellet, Auzorité di-

vine. Elle n'est pas la source de l’autorité du gouvernement,

composto

all’inizio del 1800. Un testo, questo, dove non solo, e finalmente

senza equivoci, si assisteva al ripudio definitivo dell’utilità politica dell’ «impostura religiosa», ma dove veniva addirittura ribaltato il vecchio adagio della Ragion di Stato seicentesca, condiviso come sappiamo anche da Voltaire, relativo alla necessità della religione per assicurare stabilità e durata al potere civile. In questo manoscritto, invece, la commistione

tra politica e credenze

metafisiche

era considerata come una fonte di instabilità, di perturbazione, di crisi che ogni governo doveva sforzarsi di evitare, con tutte le sue forze, pena il suo stesso dissolvimento. Ceux qui font venir du ciel l’autorité du gouvernement s’appuyent d’une assertion sans preuve et de fictions dont se sont contentés des peuples ignorans. Lycurgue, Numa, Mahomet et quelques autres s’attribuerent à cux-mèmes, au nom de Dieu, le pouvoir costi-

tuant et se sont dispensé de prouver que ce pouvoir leur appartenoit. On ne doit pas avoir plus de respect pour l’opinion théologique des publicistes chrétiens que pour établit cette origine de l’ autorité du gouvernement alleguent les passages de 1° Ecriture: toute puissance vient de Dieu et soyez sujets au Prince, parce qu'il est /e

ministre de Dieu, etc. [...| Cette opinion religieuse sur l’ origine de l’autorité ne peut d’ ailleurs ètre d’ aucune utilité, parce qu'on peut l’alléguer également dans les systèmes les plus opposés. Les partisans des gouvernements les plus excessivement populaires ou de

l’oligarchie la plus tyrannique ou du despotisme le plus dur et à

* Così come

254-255.

7

ricordava Robert Darnton nel suo I/ baco di Lamzourette, Milano 1994, pp.

28

Voltaire: religione e politica

plus forte raison les defenseurs d’une autorité mitigée, d’une aristo-

cratie raisonnable, d’une monarchie

limitée diront également ‘sans

compromettre leur doctrine que l’autorité du gouvernement, ò . 55 defendent, vient de Dieu”.

so

questo testo cfr. A/e origini della Francia contemporanea, cit., pp. 554-55.

qu'ils

La religione di Voltaire e il Collège Louis-le-Grand di Lezizia Norci Cagiano

Abbiamo visto dalle relazioni precedenti quanto sia difficile definire il rapporto di Voltaire con la religione. Si tratta infatti di un rapporto complesso che certo risente dell'educazione ricevuta durante sette anni dai gesuiti di Louis-le-Grand. Il Collegio era all’epoca uno dei più avanzati, attento alle più recenti istanze sociali e filosofiche e soprattutto all’avanguatdia per quanto riguarda il processo di conoscenza e di accettazione del diverso che mi sembra alla base di qualsiasi principio di tolleranza. I gesuiti dunque, che si sono mostrati così violentemente intolleranti verso alcuni dei loro nemici — basti pensare ai giansenisti — hanno contribuito in modo determinante alla formazione dell’idea voltairiana di tolleranza, senza parlare dell’influsso che hanno

avuto più in generale

sul rapporto del patriarca di Ferney con ‘tutti gli altri problemi legati alla religione. Per quanto riguarda la conoscenza del mondo esterno — il Medio oriente, le Americhe e in seguito i paesi asiatici fino alla Cina e al Giappone — conoscenza che si diffonde in Francia a partire dalla prima metà del Seicento, è noto come questa sia dovuta in gran parte ai racconti e alle relazioni dei missionari gesuiti. A partire dal 1638 il Collège de Clermont è sede delle rappresentanze delle missioni del Canada e dell'Oriente. Gli chargés d'af faires, veri e propri ambasciatori presso il governo francese, sono ex missionari, reduci da lunghi soggiorni in America o in Estremo

30.

Voltaire: religione e politica

Oriente. Molto prima dunque che il padre Le Gobien intraprendesse la pubblicazione delle Leztres édifiantes, il collegio aveva ricevuto, trascritto, stampato e fatto circolare numerose relazioni di missionari, senza contare gli appassionanti racconti a viva voce di cui i giovani allievi potevano beneficiare a volontà'. Nel collegio si respirava un’aria internazionale, c'erano tutti i mezzi per conoscere paesi lontani e diversissimi, e anche campioni di svariate razze: non era raro infatti che i missionari portassero in Francia e facessero alloggiare a Clermont qualche indiano o qualche cinesino”. La dimensione della conoscenza del diverso era dunque tra le caratteristiche dell’insegnamento dei gesuiti. Nel 1703, quando Voltaire entra nel collegio chiamato ormai Louis-le-Grand, l’attenzione

verso i paesi esotici è al suo culmine, con una netta preferenza pet l'Oriente e in particolare per la\Cina. Siamo alla vigilia della querelle des rites chinois e i gesuiti hanno tutto l'interesse a presentare gli aspetti positivi di quel popolo, la tolleranza del loro imperatore, la compatibilità del confucianesimo coi principi cristiani, l’irrilevanza di certe superstizioni; le*loro descrizioni sono quindi parziali, nondimeno forniscono una quantità impressionante di informazioni di carattere storico, geografico, scientifico e culturale. Le Lestres édifiantes (pubblicate a partire dal 1702) costituiscono una produzione abbondantissima, ricca di notizie curiose e di avventure appassionanti. Molte sono scritte con uno stile semplice, scorrevole, moderno, adattissimo per dei giovani lettori. Prendiamo

' Quando nel 1684 Luigi XIV inviò la prima missione ufficiale all'imperatore cinese Kang-Hi, fu scelto per dirigerla il padre Jean de Fontenay, da molti anni professore di matematica

al Collège de Clermont, e piu della metà degli altri membri

appartenevano

allo stesso collegio. Cf. Les établissements des Jésuites en France depuis quatre siècles, sous la direction de Pierre Delattre, Enghien-Wetteren, vol. II, 1953, p. 1219-1221.

° Lo stesso Voltaire racconta di aver visto a Louis-le-Grand sei cinesi che imparavano il francese a meraviglia. E probabile, anche se non certo, che durante il suo soggiorno

in collegio Voltaire abbia letto i resoconti dei padri Lecomte e Le Gobien e le Lezzres édifiantes. Certamente fu influenzato dalla propaganda orale in favore delle missioni e dai racconti del padre Souciet, serjptor a Louis-le-Grand dal 1705 al 1708 e dal 1710 al 1711,

che era in fitta corrispondenza

coi missionari d’Estremo

religion de Voltaire, Paris, Nizet, 1969, p. 58).

Oriente

(cf. R. Pomeau,

La

La religione di Voltaire e il Collège Lowis-le-Grand

31

ad esempio la lettera da Canton del 17 dicembre 1701 in cui il padre De Tartre racconta il suo lungo e periglioso viaggio dalla Francia: avventure di ogni genere sono narrate in modo avvincente, il missionario mostra molto coraggio e spirito d’osservazione, descrive fenomeni curiosi, luoghi, uomini, animali e abitu-

dini strane e prende spunto dai vari avvenimenti per lodare la bontà del Signore, senza mai cadere nella pedanteria”. La modernità e l'essenziale eleganza del padre De Tartre non sono forse estranee alla formazione dello stile di Voltaire. Certo non tutte le Lezres édifiantes hanno lo stesso livello letterario, ma hanno

un’impostazione

comune:

devono

essere

interessanti,

con-

vincenti, pervase dall’ottimismo dei gesuiti che si traduce in un grande spirito di adattamento; i padri devono tener conto delle grandi differenze di costumi tra un popolo e l’altro e devono saperle interpretare ed accettare. Il fatto poi che il loro scopo sia il proselitismo non toglie nulla al loro sforzo di conoscenza e spesso di conciliazione di culture diverse. Omnibus omnia fit. il missionario deve adattarsi a tutti i caratteri e a tutte le abitudini, non soltanto per convertire popolazioni esotiche, ma anche per volgere a Dio gli animi dei suoi connazionali. La Compagnia si impregna dello spirito dei tempi e cerca in ogni * Così il padre De Tartre descrive la fauna di Capoverde: «Le bestail qu’on pourroit tirer du continent ne vaut rien, parce qu'il n°y a point de pasturages. L’air y est toujours embrasé et la terre stérile. Dans la campagne on voit des éléphans, des cerfs et des singes. Les habitations ne sont que de méchantes tants vont presque

cases couvertes

de roseaux, les habi-

nuds, et tout leur habit consiste dans une toile de coton

dont ils se

couvrent depuis la ceinture jusqu’à la moitié de la cuisse; c'est tout ce que la chaleur du pays leur permet de potter sur eux. Ils n’ont pour nourriture que du millet, point de vin, point de bled, point de fruits. Ce qui est admirable, c'est que ces malheureux

ne

laissent pas de croire que leur pays est le paradis de la terre. On leur feroit une espèce d’injure de paroistre

leur porter compassion;

aussi

les voit-on

toujours

avec

un

visage

guay et riant, et sans la crainte des coups de baston que les Furopéens ne leur épatgnent guère, ils ne changeroient pas de condition contre qui que ce fust. Ils sont de ces peuples qui croyent que le blanc est la couleur des diables, et qui comptent parmi les prérogatives de leur Nation d’estre les peuples les plus noirs de lAffrique. Il est certain que cette couleur ne rend point desagréable, quand c’est un noir d’ébène bien profond et bien éclatant, comme ils l’ont effectivement presque tous» (Lezzres de quelques missionaires de la Compagnie de Jésus, IMème recueil, Paris, J. Barbou, 1713, pp. 47-49).

32.

Voltaire: religione e politica

modo di adattarsi alle tendenze del nuovo secolo. René Pomeau ha analizzato a fondo le soluzioni cercate dai gesuiti per conciliarsi un’élite esigente dal punto di vista sociale e da quello intellettuale. Contro i severi giansenisti predicano la legittimità dei piaceri onesti e contro

l’intolleranza sostengono

l’idea di una religione naturale,

originariamente comune a tutti gli uomini e superiormente sviluppata dal cristianesimo. Questo concetto, che permette da una parte di accettare il confucianesimo come dottrina che ha saputo consetvare i principi della religione naturale, si riallaccia dall’altra ad alcune

teorie di Fénelon

e, attraverso

queste, al pensiero dei primi

philosophes. Fu proprio un professore di teologia del collegio gesuita dei Godrans, l’abbé Meunier, a proporre, in una tesi pubblica del 1686, la distinzione tra il peccato filosofico, che viola la legge naturale, e il peccato

teologico, che viola la legge divina. Distin-

zione che tendeva a laicizzare la morale e a mostrare che gli infedeli non possono violare una legge religiosa che non conoscono, quindi non commettono il peccato teologico; in questo modo tra gli antichi o anche tra i cinesi o gli indiani gli uomini virtuosi possono essere salvati. * * La contaminazione tra l’utopia cinese e le istanze religiose che

si opponevano in Francia al dogmatismo tradizionale è evidente già nei Nouveaux Mémoires del padre Le Comte', documento mediocre per quanto riguarda la religione cinese, ma significativo dal punto di vista della sensibilità religiosa in Francia alla fine del XVII secolo. La Cina del padre Le Comte somiglia infatti ai regni chimerici del Tééyaque. Durante

il soggiorno

di Voltaire a Louis-le-Grand,

Fénelon

è

in auge presso i gesuiti: l’umanesimo e la spiritualità sorridente del vescovo di Cambrai e l'ottimismo tollerante che si manifesta nella sua teoria del pur amour si adattano alle tendenze e alla politica

* Louis Le Comte, Nouveaux bordes, 3 vol., 1698-1700.

° R. Pomeau, op. cit, p. 62.

mémoires sur l'état présent de la Chine, Amsterdam,

Des-

La religione di Voltaire e il Collège Lowis-le-Grand

33

sostenuta in quegli anni dalla Compagnia. Sappiamo quanto i philosophes siano debitori di Fénelon, anche per quanto riguarda la teoria del deismo, ma

certo

fu attraverso

i gesuiti che le idee di

Fénelon influenzarono il giovanissimo Voltaire”. I primi anni del Settecento segnano un momento molto particolare nell’atteggiamento della Compagnia: lo spirito critico, il razionalismo religioso, l'ironia nei confronti di ogni specie di superstizione fanno parte di uno sforzo per aggiornarsi alle tendenze più avanzate e più trascinanti del momento. Pomeau individua uno spirito prevoltairiano nell’eleganza ironica di certe satire dei gesuiti nei confronti di nobili pieni di sé ‘o di eruditi ampollosi e giunge fino a chiedersi se l’esprif philosophigue non sia nato, oltre che nei circoli libertini, anche in certi ambienti ecclesiastici”.

La reazione

dei gesuiti nei confronti

dei p/ilosophes avvertà

dopo che Voltaire avrà lasciato il collegio, e sarà violenta. Altret-

tanto violenta, e più avanti negli anni, sarà la reazione di Voltaire contro i gesuiti, anche se egli resterà grato all’insegnamento dei migliori tra i suoi maestri: i padri Porée, Thoulier (divenuto poi l’abbé d’Olivet), Brumoi, Tournemine".

Ciò non esclude che il gio-

° Senza essere deista Fénelon elabora una dottrina che può portare al deismo e di questo si accorse Bossuet. René Pomeau osserva come i tre precursori dello spirito voltairiano, Saint-Evremond, Bayle e Fontenelle siano allievi dei gesuiti (R. Pomeau, op. cit., p. 61-66).

CROCI

A

* In una lettera del 1739, così esprime la sua riconoscenza verso i vecchi maestri: «Ces pères, mes anciens maîtres, qui ne doivent jamais ètrè mes ennemis...Plùt à Dieu

que je méritasse leurs éloges! Assurez-les

[le père Brumoi

et le père Tournemine]

de

mon attachement inviolable pou eux; je leur dois, ils m’ont élevé; c'est ètre monstre que de ne pas aimer ceux qui ont cultivé notre àme». E ancora, nel 1746, scrive: «Jai été

élevé, pendant sept ans chez des hommes qui se donnent des peines gratuites et infatigables à former l’esprit et les moeurs de la jeunesse. Depuis quand veut-on qu’on soit sans reconnaissance pour ses maîtres? [...] Rien n’effacera dans mon coeur la mémoire du P. Porée, qui est également chère à tous ceux qui ont étudié sous lui» (Correspondance générale, lettere a Thieriot del 9 gennaio 1739 e al P. de la Tour del 7 febbraio 1746). Sul rapporto di Voltaire con i suoi maestri gesuiti vedi, oltre all’opera citata di Pomeau, anche

Henri

Beaume,

Voltaire au Collège, Paris, Amyot,

1867.

Sull’insegnamento

dei ge-

suiti più in generale Francois de Dainville, L'éducazion des jésuites (XVIème-XVIIème sitcles), Paris, Les Editions de Minuit, 1978.

34

Voltaire: religione e politica

vane Arouet, fin dall’inizio, abbia potuto intuire il fanatismo

sub-

dolo impiegato dai suoi maestri nei confronti dei loro nemici, e in particolar modo dei giansenisti, nonché il metodo intrigante con cui sapevano circuire le anime.

Non si può comunque negare che i padri abbiano comunicato ai loro allievi il senso dell’universale, dell’uguaglianza fra uomini di

paesi, razze e religioni diverse, del valore di un’unica religione originaria che unisce tutti gli uomini. E qui giungiamo alla seconda condizione

della tolleranza:

alla conoscenza

del diverso

deve af-

fiancarsi la ricerca di elementi comuni, accettabili e comprensibili per tutti. Questi elementi fanno parte della natura originaria dell’uomo, ma

si sono

alterati, corrotti e trasformati in modi diversi

attraverso il tempo e lo spazio. Per ricondurre le differenze ad un’origine comune non basta allora conoscere usanze e civiltà diverse, ma bisogna anche viaggiare a rittoso nel tempo, riconducendo i miti e le credenze degli uomini alla religione incontaminata

che fu all’inizio patrimonio indifferenziato di ogni essere razionale. Nell’insegnamento dei gesuiti, accanto alle lettere classiche e al teatro, c'è un terzo elemento di grande efficacia: l’uso dell’allegoria, del mito e della favola, che*consentono di trasmettere in modo piacevole molte nozioni ed ammaestramenti. Verso la fine del Seicento il repertorio mitologico classico viene arricchito dalle storie

meravigliose che giungono dall’oriente: non solo le Mz/le e una notte, ma una varietà ricchissima di antiche fiabe indiane, turche, cinesi per la delizia dei lettori curiosi, ma anche degli esegeti che si affrettano ad analizzarle e a confrontarle con i miti occidentali e condlcioacre Scritture!

Il padre Tournemine è fra i primi ad elaborare un Projet d’un ouvrage sur l'origine des fables in cui si afferma che ogni popolo ha ° Projet d'un ouvrage sur l'origine des fables par le P. Tournemine jésuite in Mémoires pour l’histoire des Sciences et des beaux Arts, Trévoux, novembre 1702, p. 84-111 e dicembre 1702, p. 1-22. All’inizio del suo lavoro il padre Tournemine cita le opere a cui si è ispirato: «Depuis qu'on s'est attaché è l’étude des langues Orientales, on a fait de plus

grandes découvertes dans ce pays inconnu des fables. Je serois trop long si je voulois parler de tous ceux qui s°y sont signalez par des conjectures heureuses. Guichard dans son

harmonie

etymologique,

Heinsius

dans la Préface

sur Nonnus,

Vossius,

Bochard,

La religione di Voltaire e il Collège Lomis-le-Grand

35

avuto all'origine una religione molto semplice, in cui si adora un’unica divinità sotto due aspetti: un Dio invisibile e nascosto e un Dio manifesto e visibile. La corruzione progressiva del mistero religioso ha generato le favole e le superstizioni. Le favole hanno quindi preceduto e causato l’idolatria: «On a cru les Astres animés, avant que de les adorer: On a rendu aux Morts un culte excessif, avant que de les croire des Dicux»; ma l’idolatria a sua volta ha generato altre favole. Affermazioni di questo genere si inseriscono in un dibattito ampio e articolato, di dimensione europea, ma non può sfuggire la portata che esse ebbero nella formazione delle teorie deistiche di Voltaire e nella sua concezione di una tolleranza universale: «Les peuples dont l’histoire nous a donné quelques faibles connaissances ont tous regardé leurs différentes religions comme des nceuds qui les unissaient tous ensemble: c’était une association du genre humain. Il y avait une espèce de droit d’hospitalité entre les dieux comme entre les hommes. [|...] Tous avaient une religion; mais il me semble qu’ils en usaient avec les hommes comme avec leurs dieux: ils reconnaissaient tous un dieu suprème, mais ils lui associaient une quantité prodigieuse de divinités inférieures; ils n’avaient qu’un culte, mais il permettaient une foule de systèmes particuliers» . L’abbinamento dell’etimologia con la ricerca sulle origini delle religioni che troviamo in questa opera del padre Tournemine (le radici comuni di certe parole corrispondono ai principi di una religione universale) rientra nelle teorie del razionalismo classico Blacu (qui a pris le nom de Css) dans son livre de l’Astronomie poétique; Monseigneur Huet, Messicurs le Clerc, Bianchini et le Docteur Hyde Auteur de l’Histozre de la Religion des Perses, sont ceux à qui ce genre d’étude doit davantage, et des écrits desquels Jay plus profit& (p. 84-85). Alla fine del suo progetto Tournemine annuncia un’opera dell’abbé Bignon sull’origine dei popoli antichi e un’altra di Fontenelle sull'origine delle favole. ‘ «Un Dieu invisible et caché, et un Dieu manifeste et visible: une Divinité engendrée par l’autre, ct env6yée par cette Divinité invisible pour gouverner le monde et

soulager les hommes dans leurs maux», 0). 4, p. 90. " Voltaire, Traité sur la tolérance, cap. VII.

36

Voltaire: religione e politica

caro

ai gesuiti e in particolare in quella concezione

della religione che è comune,

razionalista

nella prima metà del Settecento,

ai

deisti e agli apologisti: «La religion serait fondée sur la connaissance d’une vérité qui s’imposerait à la raison. D’où il suit que, la raison dès l’origine ayant été le partage de l'homme, les primitifs ont dù reconnaître d’emblée la vérité de la religion naturelle.[...] On a vu qu’au début du XVIIIe siècle, les apologistes supposaient l’existence primordiale de la religion naturelle, oblitérée par l’idolà-

trie, puis ravivée par les révélations mosaique et chrétienne. Cette notion d’une religion générale allait de pair avec celle d’une grammaire générale. [...|] Grammaire générale et religion naturelle supposent que toute démarche de l’esprit humain est, en son principe, rationnelle; et que c'est l’irrationnel qui est postérieur et surajoute”.

Il deismo di Voltaire aderisce a queste teorie con qualche leggera riserva: egli deve infatti ammettere che esiste nella storia dell'umanità un periodo prerazionale'’; ciò non toglie che nelle sue osservazioni sulle varie religioni del mondo — documentate in gran parte dai ragguagli dei missionari gesuiti! — egli ritorni con insistenza sul principio di un Essere Supremo presente all'origine di ogni culto, anche apparentemente idolatra. Sono le conclusioni di Zadig al convivio di Bassora: «“N°est-il pas vrai, dit-il au Celte, que vous n’adorez pas ce gui, mais celui qui a fait le gui et le chéne? — Assurément, répondit le Celte. — Et vous, monsieur lE-

gyptien, vous révérez apparemment dans un certain boeuf celui qui vous a donné les boeufs? — Qui, dit l’Egyptien. — Le poisson Oannès, continua-t-il, doit céder è celui qui a fait la mer et les poissons. — D’accord, dit le Chaldéen. — L’Indien, ajouta-t-il, et le

Cathayen reconnaissent comme

vous un premier principe; je nai

" R. Pomeau, op. cit., p. 159-160. ° «Je remarque d’abord qu'il y a des peuples qui n’ont aucune connaissance d’un Dieu créateur; ces peuples è la vérité sont barbares, et en très-petit nombre: mais enfin ce sont des hommes», Iraité de métaphysique, ed. Patterson, Manchester, University Press, 1937, pp. 6-7; vedi anche (Euvres inédites, 1, Paris, Champion, 1914, pp. 126-127. “ Cf. R. Pomeau, op. cit., pp. 160-161.

La religione di Voltaire e il Collège Lowis-le-Grand

37

pas trop bien compris les choses admirables que le Grec a dites, mais je suis sùr qu'il admet aussi un Étre supérieur de qui la forme et la matière dépendent.”? Le Grec, qu'on admirait, dit que Zadig avait très bien pris sa pensée. “Vous étes donc tous de méme avis, répliqua Zadig, et il n°y a pas là de quoi se quereller.” Tout le monde Pembrassa» Il deismo voltairiano, ispirato in buona parte da fonti cattoliche, nega, talvolta con violenza, gli aspetti oscuri e passionali

dell'animo umano

contemplati dal cattolicesimo: «L’amour bràlant

de Dieu, que Voltaire

flétrit sous

le nom

de fanatisme, — cette

dévorante passion apparaît dans la perspective de l’histoire comme l’exception scandaleuse», osserva Pomeau, aggiungendo che sarà proprio questo dilemma a indurre Voltaire ad approfondire gli

studi biblici”.

In una magistrale analisi dell’Edpe di Voltaire Pomeau affronta il problema dell’angoscia e del rifiuto di un Dio terribile, la cui vendetta sembra abbattersi ciecamente sugli uomini, risolto solo in parte dalla rivendicazione di un dio clemente, propria dei deisti, e da alcuni atteggiamenti molinisti: nella tragedia si trova infatti il concetto antigiansenista dell'innocenza congenita dell’uomo e della non imputabilità degli atti involontari o incoscienti: Edipo non è colpevole perché il destino lo conduce al crimine contro la sua volontà”. In generale Voltaire preferisce ignorare o condannare qualsiasi forma istintiva che non scaturisca da un principio razionale. La scienza delle religioni primitive rivaluterà l’importanza storica di una nozione del sacro anteriore e contraria a qualsiasi logica, e da questo punto di vista un altro ex allievo dei gesuiti, il presidente de Brosses, sulla scia di Diderot, Hume

e Helvétius, si mostra più

moderno di Voltaire". ° Zadig, cap. XII, fine (ed. Folio, pp. 122-123). " R. Pomeau, op. cit, p. 162.

Ibid., p. 85-91.

p

'* L’argomento è trattato nelle Pensées sur l'interprétation de la Nature di Diderot, nell’Histoire naturelle de la religion di Hume e in De l’esprit di Helvétius, poi ripreso e elaborato

38.

Voltaire: religione e politica

L’interesse dei gesuiti per i paesi stranieri e lontani presenta dunque due aspetti: il primo, sociologico, geografico, demografico, si manifesta nelle relazioni di viaggio, nelle descrizioni documentate di luoghi e popoli, nel confronto e nel dibattito con i contemporanei; l’altro, storico, fiabesco e letterario, si esplica attraverso lo

studio e l'utilizzazione delle favole e del teatro. Entrambi questi aspetti sono funzionali all'educazione dei giovani e più in generale

alla formazione e alla conversione, ed entrambi sono ampiamente utilizzati da Voltaire, nella sua costante preoccupazione didascalica, nel suo intento di insegnare in modo piacevole ed elegante. La Princesse de Babylone, favola orientale dove non mancano palazzi meravigliosi,

giardini lussureggianti

e uccelli incantati,

ma

neppure elementi della mitologia classica e della tradizione fiabesca occidentale, è forse l’esempio più suggestivo del gusto di Voltaire per tempi e paesaggi lontani.

La vicenda

si svolge in un’epoca

antichissima, che sfugge a qualsiasi computo cronologico («Les jatdins de Sémiramis,

qui étonnèrent

l’Asie plusieurs

siècles

après,

n’étaient qu’une faible imitation de ces antiques merveilles»", in un paese già corrotto da tutti i.vizi moderni, cui viene opposto un regno primitivo, dove gli uomini si comportano ancora secondo il buon senso dettato dalla natura. La ricerca di Amazan, «e plus parfait des hommes», e del paese dei Gangaridi, «la seule contrée

où les hommes soient justes», è all’origine del lungo viaggio di Formosante. Viaggio interiore alla ricerca di una verità profonda, ma anche viaggio di conoscenza, che permette alla principessa di confrontare mondi e civiltà diverse. Le nozioni apprese dai gesuiti vengono utilizzate a più riprese in questo racconto, così come nelle tragedie di argomento

esotico,

la cui ambientazione si ispira alle descrizioni lette o ascoltate fin dall'epoca del collegio; fra tutte l’Orpheln de la Chine è la più stretda de Brosses nel Dx culte des dieux fétiches ou Parallele de l’ancienne religion de l’Egypte avec la religion actuelle de Nigritie, Ginevra, Cramer,

1760 e nel Traité de la formation mécanique des

langues et des principes physiques de l'étymologie, Paris, Saillant, 2 vol., 1765 19 Capi

La religione di Voltaire e il Collège Iowis-le-Grand

tamente

collegata,

almeno

pet quanto

riguarda

l’argomento,

39

alla

tradizione gesuita. L’intrigo si ispira direttamente al Tehao Chi Couell, riportato in versione francese nel III volume della Desceriprion de l'Empire de la Chine del padre Du Halde, e i motivi della scelta sono significativi. La tragedia originale infatti unisce all’esaltazione della virtù e della tolleranza dell’imperatore cinese, ritmi e forme caratteristici delle favole, il cui fascino non dovette certo sfuggire a

Voltaire. Tornando alla Princesse de Babylone si può notare in che modo perfidamente sottile Voltaire riprenda l’interpretazione gesuita della tolleranza dell’imperatore cinese: «C’était le monarque de la terre le plus juste, le plus poli et le plus sage [...] il établit, le premier, des prix pour la vertu. Les lois, partout ailleurs, étaient honteusement bornées à punir les crimes. Cet empereur venait de chasser de ses Etats une troupe de bonzes étrangers qui étaient venus du fond de l’Occident dans l’espoir insensé de forcer toute la Chine è penser comme eux [...] Il leur avait dit, en les chassant, ces propres paroles, enregistrées dans les annales de l’empite: Vous pour riez faire ici autant de mal que vous en avez fait ailleurs: vous étes venus précher des dogmes d'intolérance chez la nation la plus tolérante de la terre. Je vous renvoie pour ne pas étre forcé de vous punim”. Il fatto che Voltaire ritorca perfidamente, ma forse torto, queste nozioni contro i suoi maestri non esclude

non a che la

ricerca di Formosante si svolga lungo le due direttive, temporale e spaziale, suggerite dai gesuiti e legate al loro concetto universale dell’uomo.

° Ibid, cap. V.

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ro

«Puissent tous les hommes se souvenir qu’ils sont frères»:

la religione ‘umana’ di Voltaire nel Traité sur la tolérance di Lorenzo Bianchi

I. Scritto con l’intento di ottenere la revisione del processo contro Jean Calas e la riabilitazione di questo mercante di tessuti ugonotto, messo a morte a Tolosa il 10 marzo 1762 in quanto ritenuto colpevole dell’uccisione del figlio Marc-Antoine, il Traité sur la tolérance affronta in una prospettiva stotica e teorica il tema della tolleranza e ridefinisce il senso e il ruolo della religione nel pensiero voltairiano degli anni sessanta’.

' Sul Traité sur la tolérance e sul caso Calas, si vedano: F.H. Maugham, The case ofJean Calas, London 1928; M. Chassaigne, L'affaire Calas, Paris 1929; F. Diaz, Voltaire storico, Torino 1958, pp. 254-261; P. Gay, Vo/taîre's politics: the poet as realist, Princeton 1959, cap.

6, pp. 273-308; D.D. Bien, The Calas affair: persecution, toleration and heresy in eighteentb-century Toulouse, Princeton 1960; E. Nixon, Voltaire and the Calas case, London 1961; J. Van den Heuvel, Préface a Voltaire, L'Affaire Calas et autres affaires, Paris 1975, pp. 7-26; P. Rossi,

Voltaire e la tolleranza, « Rivista di Filosofia», LXX

(1979), pp. 176-197;

R. Pomeau,

Voltaire et Rousseau devant l’affaire Calas, in Voltaire, Rousseau et la tolérance. Actes du colloque

franco-néerlandais des 16 et 17 novembre 1978, Amsterdam 1980, pp. 61-76; C. Lauriol, La Beaumelle, P. Rabant, Court de Gébelin et l'affaire Calas, in La tolérance, ripublique de l'esprit, Paris 1988, pp. 83-95; R. Pomeau, Introduction à Voltaire, Traité sur la tolérance, Patis 1989,

pp. 7-28; G. Adams, The Huguenots and French opinion, 1685-1787: the Enlightenment debate on toleration, Waterloo, Ontario 1991; J. Cubero, L'affaire Calas: Voltaire contre Toulouse, Paris 1993; R. Pomeau, La religion de Voltaire. Nouvelle édition revue et mise à jour, Paris 1994, pp. 322-335; R. Pomeau (sous la direction de), Voltaire en son temps, vol. IV, « Ecraser l'Infame, 1759-1770, Oxford 1994, cap. IX «Le défenseur des Calas», pp. 131-159; L. Bianchi, Introduzione a Voltaire, Trattato sulla tolleranza, traduzione, cura e introduzione di L. Bianchi, prefazione di S. Veca, Milano, Feltrinelli, 1995; L. Bianchi, Religion ef supersti-

42.

Voltaire: religione e politica

La tragica vicenda che condiziona quest'opera è nota. MarcAntoine Calas è trovato morto, impiccato, la sera del 13 ottobre 1761 nella sua casa di Tolosa. I Calas, ugonotti, avevano a cena un giovane amico di famiglia, tale Gaubert Lavaisse, anch’egli protestante. Quando il fratello minore di Marc-Antoine, Pierre, accom-

pagna alla porta il giovane ospite che se ne sta andando, trova nella bottega attigua all’abitazione il corpo di Marc-Antoine, morto per impiccagione. Ci sono grida e si cerca aiuto: arrivano un chirurgo, che constata il decesso, e la polizia. Ma tra la folla che si raccoglie per strada si diffonde una voce: Marc-Antoine si sarebbe voluto convertire al cattolicesimo, come già aveva fatto qualche anno prima suo fratello minore Louis, e l’intera famiglia Calas, aiutata da Gaubert Lavaisse, lo avrebbe ucciso. Non si tratta più, solamente, di un suicidio o di un omicidio,

ma di un assassinio commesso per motivi religiosi e perpetrato da calvinisti contro uno di loro che voleva farsi cattolico. Un delitto tanto più mostruoso in quanto commesso da un padre contro il proprio figlio, da un fratello contro il proprio fratello e con l’assenso e l’aiuto dell'intera famiglia. Vengono così arrestati Jean &

tion dans le «Traîté sur la tolérance»: notes en marge du chapitre XX, in Voltaire et ses combats. Actes du congrès international Oxford-Paris 1994, sous la direction de U. Kélving et Ch. Mervaud, Oxford 1997, pp. 519-526; R. Granderoute, De /a source au texte: les mémoires voltairiens de l'affare Calas, in Voltaire et ses combats, cit., pp. 567-579; J. Renwick,

Theory

becomes action: toleration from Calas (1762) to «Les Guèbres» (1768), in Voltaire et ses combats, cit., pp. 581-591; A.-M. Mercier Faivre, Les Zrastés sur la tolérance: Voltaire et les protestants francais, une confrontation, in Voltaire et ses combats, cit., pp. 613-630; F.A. Kafker, Were the

Enoyclopedists allies of Voltaire in the Calas affair?, in Voltaire et ses combats, cit., pp. 849-856. Per l’edizione italiana del testo di Voltaite ci si riferisce a: Voltaire, Trattato sulla tolleranza, traduzione, cura e introduzione di L. Bianchi, prefazione di S. Veca, cit. (d’ora

in poi citato come

Tra/tato, seguito dal numero

di pagina). Al riferimento

all’edizione

italiana fa seguito, fra parentesi, l'indicazione corrispondente nell’edizione Moland: Voltaire, Trazté sur la tolérance, in Oeuvres complètes, nouvelle édition, p.p. Louis Moland, Paris, Garnier frères, 1877-1882, L vol. (più 2 di «tables»), vol. XXV, 1879, pp. 13-118 (citato

come M., XXV, seguito dal numero di pagina). Per le altre citazioni da testi di Voltaire, qualora per comodità non si sia utilizzata l'edizione Moland edizioni, sia italiane sia francesi, si è sempre fatta seguire

e ci si sia riferiti a altre l’indicazione corrispettiva

nell’edizione Moland (M., seguito dall’indicazione quella della pagina in cifre arabe).

in numeri

del tomo

romani, e da

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères»

43

Calas e sua moglie, loro figlio Pierre, l’amico Gaubert Lavaisse e Jeanne Viguère, la vecchia cameriera, cattolica, come

imponeva la

legge per le famiglie protestanti. Marc-Antoine viene sepolto in chiesa con una cerimonia in pompa magna che raccoglie l’intera città di Tolosa: è un martire della fede ucciso dalla propria famiglia perchè voleva convertirsi. A nulla varranno le proteste di innocenza dei Calas. Arrestati devono subire un processo che si conclude tragicamente, il 9 marzo 1762, con la condanna di Jean Calas. La sentenza viene eseguita il giorno seguente: l’uomo, trasci-

nato pet le strade di Tolosa fino al patibolo, viene messo alla ruota, dove gli vengono spezzate gambe e braccia; dopo due ore di agonia viene strangolato e il suo corpo bruciato. Ora, Voltaire prende lo spunto da questo tragico avvenimento, frutto del fanatismo religioso e del clima di intolleranza prodotti in Francia dalla legislazione antiprotestante, per operare in una duplice direzione. Così, se per un verso il Trazfé mostra l’esigenza di

un intervento politico immediato, capace di utilizzare un fatto di cronaca a favore di una battaglia per la tolleranza, dall’altro esso esprime un'istanza più ampia, un'idea di universalità e di libertà intese come frutto di una lotta incessante della ragione contro ogni forma di oscurantismo. Si tratta di un’ipotesi ideale e insieme concreta che bene incarna quelle esigenze etiche e filosofiche proprie dello spirito dei lumi e che fa di questo testo una delle opere più significative non solo della produzione di Voltaire, ma di tutto quanto il XVIII secolo. Composto nel 1762, il Trazé è pubblicato anonimo a Ginevra dai Cramer nel 1763 e le prime copie sono distribuite nel mese di novembre di quell’anno. L’opera ottiene subito un buon successo attestato da una seconda edizione nel dicembre di quello stesso anno e da altre quattro edizioni, tra Francia e Paesi Bassi, nel 1764. Tra il 1764 e il 1765, inoltre, il Traifé conosce due traduzioni

in inglese, la prima pubblicata a Londra e la seconda a Glasgow”. ° Cfr, G. Bengesco, A oltaire. Bibliographie de ses oeuvres, t. II, Paris 1885, n. 1693, pp.

124-126 e Th. Besterman, Soze esghteenth-centun Voltaire editions unknonn to Bengesco, in «Studies on Voltaire and the eighteenth century», CXI (1973), n. 292, p. 190. Per le

44.

Voltatre: religione e politica

Gli intenti pratici di questo testo sono evidenti: esso è scritto per un pubblico cattolico e intende fare opera di pressione e di persuasione sulla corte e sull'ambiente giudiziario. Inoltre Voltaire si fa difensore

dei Calas e della giustizia, in nome

della ragione,

presso i grandi d’Europa e invia copie del suo volume a M.me de Pompadour

e ai ministri

di stato, a principi tedeschi

e al re di

Prussia. E la campagna produce i suoi effetti: il caso Calas arriva fino a corte e la sentenza dei giudici di Tolosa viene annullata dal consiglio del re nel giugno del 1764, mentre nel marzo del 1765 —

tre anni dopo l'esecuzione — la memoria di Jean Calas viene completamente riabilitata. Certo, il Trazté risente delle cautele di un testo la cui composizione è inizialmente dettata da motivi di ordine pratico e dall’esigenza di intervenire su di un caso giudiziario particolarmente tragico e tristemente emblematico della situazione illiberale della Francia di quegli anni. Ma Voltaire prende lo spunto da questo episodio per ampliare il proprio discorso tracciando una ricostruzione dell’intolleranza religiosa a cui si lega la storia del cristianesimo e delineando la propria e personale idea di religione. E non casualmente

il Trazfé viene messoall’indice

nel febbraio del 1766.

È pur vero che Voltaire affronta con molta prudenza la situazione dei protestanti in Francia, pet i quali chiede — al capitolo V — una libertà simile a quella di cui godono i cattolici in Inghilterra, che non contempla l’esistenza di templi pubblici e il diritto di accedere alle cariche municipali e agli onori; ma egli richiede, anche, che i loto matrimoni vengano considerati validi, con il con-

seguente riconoscimento dei figli e delle eredità, diritti tutti, questi, che la revoca dell’editto di Nantes aveva cancellato nel 1685 e che saranno formalmente ristabiliti solamente nel 1787 con l’editto di tolleranza promulgato da Luigi XVI. due traduzioni

in inglese, cfr. Voltaire, A

zreatise on religious toleration.

Occasioned by the

execution of the infortunate John Calas, unjustly condemned and broken upon the wheal at Toulouse, for the supposed murder of his own son. Translated from the French [...] by the translator of Eloise, T. Becket and P.A. de Hondt, London 1764, e A zreatise upon toleration [...] carefully corrected, R. Urie, Glasgow 1765.

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères».

45

Ma questa estrema circospezione sul tema della legislazione antiprotestante è controbilanciata dalla prospettiva più generale in cui si colloca l’analisi della tolleranza. La sfida lanciata coinvolge infatti tutta quanta la tradizione occidentale e mira e un’ideale religioso basato sull’accettazione di un’ipotesi pluriconfessionale e sul rifiuto della superstizione e del fanatismo. Tale progetto si basa inoltre su un modello “umanitario” di religione, ovvero su di una religione che rinuncia a dogmi e a discussioni teologiche e che si ridefinisce piuttosto all’interno di una nozione di fratellanza e di umanità; in altri termini su di una religione che è riconducibile, in ultima analisi, alla sola morale.

II. Ma seguiamo l'indagine di Voltaire. La descrizione del caso Calas permette al nostro autore di condannare non solo i giudici di Tolosa, ma anche la superstizione di un popolo che preferisce «odiare e perseguitare» che non «amare e soccorrere» (cap. Il) e offre insieme l'opportunità di ricordare le dispute nate nel mondo cristiano e acuitesi con la Riforma (cap. III). Ma la condanna di Jean Calas è anche lo spunto per un’analisi della categoria di tolleranza: Voltaire si chiede se questa possa risultare pericolosa, presso quali popoli essa sia accettata (cap. IV) e come possa venire ammessa (cap. V) e giunge alla conclusione che il diritto all’intolleranza è assurdo e barbaro (cap. VI). La distanza che ormai separa lepoca attuale da quella delle guerre di religione e i progressi compiuti dalla ragione e dai costumi fanno ipotizzare che la pluralità di confessioni non sia nociva per lo stato e non produca guerre o disordini. Del resto al momento

in Germania,

in Inghilterra e in Olanda

«la differenza

delle confessioni non causa alcun torbido in questi stati; l'ebreo, il cattolico, l’ortodosso, il luterano, il calvinista, l’anabattista, il sociniano, il mennonita, il moravo e tanti altri vivono come fratelli in

questi paesi, e contribuiscono #

? Trattato, p. 43 (M., XXV, p. 27). * Trattato, p. 51 (M., XXV, p. 32).

egualmente al bene della società».

46

Voltaire: religione e politica

Inoltre la filosofia, che con

una

indubbia

cautela viene

chiamata

«sorella della religione», «ha disarmato mani che la superstizione aveva così a lungo insanguinate».

Ma cerchia» mondo l’impero

Voltaire allarga il suo sguardo dei paesi europei più prossimi nel quale il pluralismo religioso ottomano annovera tra i suoi

al di fuori della «piccola alla Francia e scopre un è un dato di fatto. Così sudditi musulmani e cri-

stiani greci e latini, ebrei e copti, ghebri e baniani. Una simile tolleranza si trova anche in India, in Persia e nella stessa Russia dopo Pietro il grande. La Cina di Confucio tollera «le superstizioni di Fo», ovvero il buddismo, e se essa ha scacciato i gesuiti è

perché questi ultimi sono stati intolleranti. Del resto, appoggiandosi sulle relazioni del Kimpfer — il medico e viaggiatore tedesco autore

di una

fortunata

storia del Giappone

-—°. Voltaire

ricorda

come i giapponesi, che ammettevano diverse sette e religioni, furono

costretti

disordini somma,

a bandire

il cristianesimo

che questi ha provocato una

visione

sufficientemente

con

dal loto

la sua

ampia

impero

intolleranza.

e cosmopolita

per i

Innon

può che giungere alla conclusione che «la tolleranza non ha mai provocato una guerra civile», mentre «l'intolleranza ha coperto la terra di carneficine»..

Voltaire è convinto, rifacendosi in questo all’esempio dell’Inghilterra, che «quante più sono le sette, tanto meno ognuna di esse è pericolosa; la molteplicità le indebolisce»; ed è questo il motivo per il quale la Francia dovrebbe essere pronta a riaccettare gli ugonotti emigrati e a concedere a tutti i calvinisti un trattamento simile a quello di cui godono i cattolici in Inghilterra. Il progres-

°° Trattato, p. 52 (M., XXV, pi 33): ° Voltaire rimanda direttamente al Kimpfer in una sua nota, cfr. Trattato, p. 55 M., XXV, p. 35): «Si vedano Kempfer e tutte le relazioni sul Giappone». Il. medico e viaggiatore tedesco Engelbert Kimpfer (1651-1716) è autore di una storia del Giappone apparsa postuma e in inglese (Ie History of Japan, London 1727), che ha circolato ampiamente anche in traduzione francese.

° Trattato, p. 56 M., XXV, p. 36). Trattato, PST MIXXV, p. 37):

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères».

sivo abbandono

del fanatismo

e delle controversie

47

teologiche

e

l’esempio storico dei popoli extraeuropei devono allora condurre alla conclusione fo».

che il diritto di intolleranza è «assurdo

e barba-

Dopo avere definito la tolleranza come una categoria centrale e irrinunciabile sia del pensiero sia dell’esperienza civile e politica, che sola permette una convivenza pacifica tra uomini appartenenti a differenti confessioni religiose, il Traité ripercorre la storia occidentale e la tradizione giudaico-cristiana, ritrovando nei greci e nei

romani

un’ampia accettazione

di sette e culti religiosi differenti.

Anzi, proprio la tolleranza mostrata dai romani nei confronti di tutte le religioni, compresa l’egiziana e l’ebraica, porta a smentire il

fatto che i primi cristiani furono perseguitati; e quando più tardi «sotto

i primi Cesari»

ci furono

dei martiri

cristiani,

questi non

furono tali per la «sola religione» e si deve ammettere «che la persecuzione abbia avuto altre cause, e che gli odi particolari, sostenuti dalla ragione di stato, abbiano fatto spargere il sangue dei cristiani». Così la strenua avversione di molti cristiani nei con-

fronti dell’impero romano

e il loro «zelo sconsiderato, |...] che fu

anche condannato da parecchi Padri della Chiesa, è stato probabilmente la fonte di tutte le persecuzioni»! Anzi, Voltaire rivolta contro i cristiani le accuse da questi

avanzate nei confronti dei pagani e si chiede «con quale sfacciataggine possiamo rimproverare i pagani di aver fatto dei màrtiri, quando nelle stesse circostanze ci siamo resi colpevoli della stessa crudeltà». È la storia stessa del cristianesimo, con le sue eresie, la

riforma, le persecuzioni e le guerre, a porre questa religione in una tradizione di violenza, di superstizione e di crudeltà inaudite. Vol-

taire non dimentica che «i valdesi, gli albigesi, gli ussiti» e «le varie sette protestanti» sono stati «sgozzati» e «bruciati in massa senza distinzione né d’età né di sesso». Anzi, negli stessi «racconti accer° Trattato, p. 62 (M., XXV, p. 40). "° Trattato, p: 71 M., XXV, p. 47).

Trattato, p. 72 (M., XXV, p. 48). °° Trattato, p. 85 (M., XXV, p. 60).

48

Voltatre: religione è politica

tati delle antiche persecuzioni» non si trova nulla di così barbaro e incivile che assomigli alla notte di san Bartolomeo, agli eccidi dell'Irlanda, o « alla festa annuale che ancora si celebra a Tolosa,

festa crudele, festa da abolire per sempre, nella quale un popolo intero ringrazia Dio in processione e si rallegra di avere sgozzato, duecento anni fa, quattromila concittadini»'’. In tal modo il cristianesimo, una religione che doveva

prensione,

si è trasformato

basarsi sull'amore

nel suo

opposto

e sulla com-

e ha seminato

violenza e sangue: «Lo dico con orrore, ma è cosa vera: siamo noi, cristiani, noi che siamo stati persecutori, carnefici, assassini! E di chi? Dei nostri fratelli. Siamo noi che abbiamo distrutto cento città, con in mano il crocifisso o la Bibbia, e che non abbiamo

smesso di spargare sangue e di accendere roghi, dal regno di Costantino fino ai furori dei cannibali che abitavano le Cevenne»'.

Come si vede, Voltaire colpisce in queste righe il cristianesimo stesso, la sua storia e la sua ‘continua

zione persecutoria, anche mane

e mai abbandonata

se l’obiettivo polemico

l'intolleranza e la chiesa, l’«infàme», vero

tenta-

più diretto ri-

e proprio motivo

privilegiato della battaglia culturale e politica di quegli anni. Ed è all’interno dî questo attacco alla religione cristiana che vanno letti i capitoli sull’ebtaismo (cap. XII e XIII). Malgrado l’arretratezza e persino la barbarie di cui il popolo ebraico fornisce continui

tollerante,

esempi,

dalle narrazioni

scritturali

emerge

una

religione

e un popolo che — anche quando nel deserto o nella

prigionia egiziana adora altre divinità come il dio Api oppure «Moloc, Remfam e Chium» — mostra un atteggiamento di indulgenza per i culti stranieri e nel quale «non si vede alcuna costrizione in ambito religioso». È pur vero, si aggiunge, «che la maggior parte dei re ebrei si sterminarono, si assassinarono gli uni gli

altri», ma ciò avvenne sempre «per ragioni di interesse e non per la loro fede».

Così «sotto

Mosè,

° Trattato, p. 84 M., XXV, pp. 58-59). "Trattato, pp. 84-85 (M., XXV, p. 59). ‘Trattato, p. 99 (M., XXV, p. 71).

sotto

i giudici, sotto

i re» si

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères>

49

trovano sempre «esempi di tolleranza», e le stesse minacce di Mosè di punire i malvagi «fino alla quarta generazione» vengono giustificate come storicamente necessarie per «un popolo al quale Dio non aveva rivelato né l’immortalità dell'anima né le pene e le ricompense in un’altra vita». Inoltre, se risultano enormi le distanze dottrinarie tra le diverse sette, come testimoniano i sadducei, che negano l’immortalità del-

l’anima e una vita dopo la morte, si deve concludere che le differenze all’interno dell'ebraismo dovevano essere anche maggiori di quelle che dividono i protestanti dai cattolici, con la conseguenza che chiunque esamini da vicino il giudaismo troverà esempi della «più grande tolleranza in mezzo agli otrori più barbari». Certo tali passaggi — corredati da lunghe note di carattere storico che mostrano una approfondita conoscenza dell’antico testamento — possono nella loro equivocità cssere letti anche in maniera opposta, se è vero che questi capitoli, con il pretesto di mostrare la tolleranza degli ebrei, ne denunciano anche la compromissione con il politeismo e con i culti egizi, la negazione dell’immortalità dell'anima, le superstizioni e le crudeltà assurde e talune pratiche abominevoli. Ma l'ambiguità di questi capitoli rientra in un progetto polemico di più ampio respito: se infatti da un lato l’«estrema tolleranza degli ebre» — come suona il titolo del capitolo XIII — permette di accentuare l’intolleranza e il fanatismo dei cristiani, dall’altro le accuse

contro

la religione ebraica, che pure

sono evidenti tra le righe, servono ad apparentare ebraismo e cristianesimo e a denunciare l’intolleranza come uno degli elementi fondanti e costitutivi delle religioni storiche, qui contrapposte alla tolleranza di cui ha dato prova l'impero romano nei confronti di

tutti i culti".

'‘° Trattato, p. 107 (M., XXV, p. 77). "Trattato, p. 113 (M., XXV, p. 83). '* Sui rapporti tra Voltaire e il mondo ebraico e, più specificamente, sul problema dell’antiebraismo di Voltaire, si ritrovano posizioni differenziate, che non negano comunque in nessun caso la presenza di affermazioni antiebraiche, talvolta anche accese, nelle pagine dell’autore del Candide. Punto di riferimento inevitabile in questa polemica è il volume

di A. HertzBerg, che delinea

un

illuminismo

francese

essenzialmente

antie-

50.

Voltaire: religione e politica

Anche l’analisi della figura del Cristo (cap. XIV) si conclude con una difesa della tolleranza e con Pesortazione che chiunque voglia assomigliare a Gesù sia martire e non carnefice. Inoltre Voltaire — che riavvicina Gesù a Socrate --' colloca il Cristo all’in-

braico, entro il quale Voltaire svolgerebbe una funzione centrale per costruire un nuovo

modello di antisemitismo basato non sulla religione ma sulla cultura (cfr. A. Hertzberg, The French enlightenment and the Jews. The origins of modern anti-semitism, New Yotk 1968, in particolare pp. 280-313). Ci si limita a ricordare, comunque, come da più parti la critica

voltairiana è stata letta come rivolta alla religione ebraica piuttosto che al popolo ebreo, e come si è parlato, quindi, di antigiudaismo di Voltaire più che di antisemitismo. Cfr. in proposito D. Levy, Voltaire et son exégèse du Pentatenque: critique et polimique, in «Studies on Voltaire and the eighteenth century,

CXXX

(1975), in particolare le conclusioni,

p.

343 e P. Alatri, I «pbélosophes» furono antisemiti?, in La questione ebraica dall'Illuminismo all'Impero (1700-1815),

a cura

di P. Alatri e S. Grassi, Napoli

1994, pp. 63-85, dove

nelle

affermazioni finali così si legge: «Con la loro battaglia per l’esegesi biblica, la laicizzazione della storia, la tolleranza e la libertà religiosa, i philosophes avevano dato un contributo fondamentale alla stessa emancipazione degli ebrei. [...] La grande affermazione dell’illumismo, che sarà esplicitata dalla Rivoluzione

cese, che gli uomini nascono

americana

e dalla Rivoluzione

fran-

uguali, trova nello stesso Voltaire un paladino convinto e

tenace. Soltanto alla luce di ciò si può intendere come le sue sarcastiche frecciate contro la religione ebraica, come contro la religione cristiana, come contro tutte le religioni rivelate, nulla abbiano a che fare con un volgare antisemitismo. Il contributo essenziale che, sia pure indirettamente, Voltaire.\diede alla causa dell’emancipazione degli ebrei, consiste nella battaglia per la separazione tra Stato e Chiesa, poiché l’unione tra il trono e l’altare gli appariva — com’egli non si stancò mai di affermare — una mostruosità, causa di oppressione e di persecuzioni» (p. 85). Sul positivo contributo di Voltaire alla critica testamentaria

cfr. poi B.E. Schwartzbach,

Woltaire's Old Testament criticism, Genève

1971.

Sul nesso Voltaire-ebraismo cfr. anche: P. Aubery, Vo/tatre et les Juifs: ironie et démystification, in «Studies on Voltaire and the eighteenth century», XXIV (1963), pp. 67-79 e A. Ages, Voltaire, Calmet and the Old Testament, in «Studies on Voltaire and the cighteenth

century», XLI (1966), pp. 87-187. ‘°° Cfr. Trattato, p. 120 (M., XXV, p. 89): «Domando ora se sia la tolleranza o l’intolleranza di diritto divino. Se volete assomigliare a Gesù Cristo, siate martiti e non carne-

fici». ® Cfr. Trattato, p. 118 (M., XXV, pp. 86-87): «Se si può paragonare il sacro con il profano, e un Dio con un uomo, la sua morte, umanamente parlando, ha molto in

comune con quella di Socrate. [...] Socrate poteva evitare la morte, e non lo volle: Gesù Cristo si offrì volontariamente [...] Socrate aveva trattato i sofisti da ignoranti e li aveva convinti di malafede: Gesù, usando i suoi diritti divini, trattò gli scribi e i farisei da ipocriti, da insensati, da ciechi, da cattivi, da serpenti, da razza di vipere. Socrate non fu

accusato di volere fondare una setta nuova: non si accusò Gesù Cristo di averne voluto introdurre una». Ma il riavvicinamento tra Socrate e Cristo è già presente nel De /a very des Payens (1642) di La Mothe le Vayer. Cfr. La Mothe le Vayer, De /a vertu des Payens, in

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères»

terno dell’ebraismo — «nato israelita, visse costantemente

51

da israe-

lita» — e individua le ragioni della sua condanna nel fatto che «fu accusato di un delitto politico». Comunque, dopo Bayle — che aveva dedicato all’argomento un’intera opera quale il Corzzentaire philosophigue — Voltaire considera a sua volta la parabola del banchetto di nozze (Luca, XIV, 16-24) per contestare che le parole «costringili a entrare» possano servire da giustificazione per operare conversioni forzate, come invece è stato fatto da parte cattolica in Francia dopo la revoca dell’editto di Nantes. E in effetti,

Oeuvres de La Mothe le Vayer, troisiìme édition revue, corrigée et augmentée, A Paris, chez Augustin Courbé, 1662, t. I, pp. 553-744, «Seconde partie», «De Socrate», pp.

587-595, pp. 588-589: «Il semble qu'on puisse en quelque facon nommer Socrate le premier Martyre du Messie è venir, comme nous scavons que Saint Estienne l'a glorieusement esté du mesme Messie déja venu». In questa stessa opera La Mothe le Vayer riavvicina poi, in ambito filosofico e morale, due grandi autori “pagani” come Socrate e Confucio.

Cfr.

ivi, «Seconde

partie»,

«De

Confutius,

le Socrate

de

la Chine»,

pp.

667-672. °" Trattato, pp. 119-120 (M., XXV, pp. 87-88). © P. Bayle nel suo Corzzentaire philosophique sur ces paroles de Jésus-Christ: «Contrains-les d'entrer» (1686) interviene contro la lettura agostiniana della parabola del banchetto di nozze

(Luca, XIV, 15-24) che, nel combattere

lo scisma donatista, giustificava il ricorso

alla forza. Bayle giunge in tal modo nel Comzentaire a criticare ogni conversione ottenuta per effetto della costrizione e avanza nel contempo una compiuta e innovativa teoria della tolleranza religiosa. Sul tema Bayle-tolleranza e sul Corzzenzatre philosophique ci si limita a ricordare: E. Labrousse, Note à propos de la conception de la tolérance au XVIII siècle, «Studies on Voltaire and the eighteenth century», LVI (1967), pp. 799-811 (ora in E. Labrousse, Nozes sur Bayle, Paris 1987, pp. 111-123); O. Abel, De /'obligation de croîre.

Les objections de Bayle au commentaire

augustinien du «contrains-les d'entre» (Luc 14/16-23), «Etudes théologiques et religieuses», 61 (1986), pp. 35-42; J.M. Gros, Essai sur la tolérance. Lecture du «Commentaire philosophique» de Bayle de 1686, «Cahiers Philosophiques», 27 (1986), pp. 81-102; S. O° Cathasaigh, Bay/e's «Commentaire philosophique»,

1686, «Studies

on Vol-

taire and the eighteenth century, CCLX (1989), pp. 159-182; L. Bianchi, Piere Bayle e la revoca dell’Editto di Nantes. Note sul tema della tolleranza, «Studi Filosofici», XVII (1994) [ma 1995], pp. 147-168; M. Marilli, Carzesianesimo e tolleranza: il «Commentaire philosophique» di Pierre Bayle, «Rivista di storia della filosofia», LI (1996), pp. 555-579. Ma il Corzzentaire philosophique influenza direttamente Voltaire. Questi infatti, quando sta terminando la stesura del Trattato sulla tolleranza, si procura una copia del Corzzentatre philosophique — come risulta da una lettera del 5 gennaio 1763 — e il giudizio che ne dà — seppure controbilanciato da quei limiti di eccessiva prolissità e lunghezza che egli costantemente ritrova in Bayle — è certamente illuminante. Cfr. Wo/tazre's Correspondence, edited by Th. Besterman, Genéve 1953-1965, vol. LI, Genève 1959, lettera n. 10115 a Jacob Vernes

52

Voltaire: religione e politica

se Gesù ha predicato la dolcezza e l’indulgenza, nessuna chiesa può in suo nome fare ricorso alla violenza e alla costrizione. III. Già da questa prima analisi dei giudizi voltaitiani sulla storia e sulla tradizione religiosa occidentale si profila con chiarezza il programma del Traité, che muovendo dalla contrapposizione tra tolleranza della religione pagana e intolleranza delle religioni storiche — e in particolare del cristianesimo — approda all’idea di una religione senza dogmi e capace di rifiutare ogni forma di superstizione e di fanatismo.

Si tratta di una religione razionale

e priva di riti, una

sorta di cristianesimo purificato e destoricizzato, che coincide di fatto con il deismo. Così, se per un verso Voltaire vuole privare di ogni fondamento la possibilità di basare sul testo sacro il diritto di ricorrere alla violenza nelle polemiche confessionali, per altro verso egli è convinto — e ne trova continua conferma nelle vicende di stati e popoli — che le religioni storiche nella loro erronea persuasione di incarnare il vero e di essere le uniche rappresentanti della parola di Dio, riproducono costantemente tra gli uomini intolleranza, superstizione e violenza. »

x

NI

del 20 gennaio 1763, p. 68: «Au reste il y a dans le conzrains les d’entrer de Bayle des choses beaucoup plus hardies. A peine s’en est on apetcu parce que l’ouvrage est long et abstrus». E cfr. la lettera del 5 gennaio 1763 a Paul Claude Moultou nella quale Voltaire chiede che gli venga spedito il Corzzentatre philosophique di Bayle: Voltaire's Correspondence, cit., vol. LI, cit., lettera n. 10071, p. 22: «Je vous supplie, Monsieur, de vouloit

bien envoyer chez mess.rs Souchay et Lefont le Commentaire de Bayle, sur le conzraîns les d’entrer, et la lettre de l’Evéque d’Agen, par laquelle cet animal veut contraindre d’entrem. Voltaire allude qui alla Leztre de m. l'iveque d'Agen à m. le controleur général, contre la tolérance des huguenots dans le royaume, volume apparso anonimo senza indicazione di luogo e di data, ma opera di Joseph Gaspard Gilbert de Chabannes (1751). Voltaire nel suo Trattato recupera — seppure in un quadro differente, che è quello deista che gli è proprio — i tre punti che costituivano il nucleo programmatico del Commentaire bayliano, ovvero la critica al «costringili a entrare», la necessità di ricondurre

la religione alla morale e l’ipotesi di una tolleranza generale valida anche al di fuori dell’universo cristiano. Per l’influenza di Bayle su Voltaire in relazione al tema della tolleranza, cfr. H.T. Mason, Pierre Bayle and Voltaire, Oxford 1963, pp. 133-139. Ma su questi temi relativi alla tolleranza in Bayle e Voltaire rimando a L. Bianchi, Introduzione a Trattato, par. III, pp. 4-8.

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères»

53

All’indagine prevalentemente storica dei primi capitoli del Tyaz/é fa poi seguito, nella seconda parte dell’opera, un’attenzione più precisa alla definizione di quella religione razionale a cui pensa Voltaire e insieme una esplicita teorizzazione della tolleranza in quanto categoria universale che sola permette una convivenza civile tra gli uomini. Il procedere voltaitiano è scandito all’interno di alcuni capitoli particolarmente significativi: il XV «Testimonianze contro l'intolleranza», il XX «Se sia utile mantenere il popolo nella

superstizione» e infine il XXII e il XXIII «Della tolleranza universale» e «Preghiera a Dio», che costituiscono il momento conclusivo e idealmente centrale di tutto quanto il Traié. Nelle brevi e lapidarie testimonianze raccolte contro l’intolleranza si avvicinano tra di loro citazioni tratte da màrtiri (san Giustino), da padri e dottori della chiesa (Lattanzio) o dagli stessi concili (quarto concilio di Toledo) ad altre prese da autori moderni quali Fenelon, De Thou, Boulainvilliers, Amelot de la Houssaye 0

Montesquieu, al fine di mostrare una vera e propria linea “liberale” che percorre la tradizione cristiana. Anzi, si potrebbe fare «un libro enorme, interamente composto di passi simili» e in effetti «le nostre storie, i nostri discorsi, i nostri sermoni, le nostre opere di morale, i nostri catechismi, respirano tutti, insegnano tutti oggi

questo dovere sacro dell’indulgenza»”. Il capitolo XX — «Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione» — espone invece l’idea voltaitiana di religione, ovvero la necessità che hanno tutti i popoli di un qualche culto. Anzi, la «debolezza del genere umano» è tale che sarebbe meglio per esso «esser preda di tutte le superstizioni possibili, a condizione che non siano causa di delitti, che vivere senza religione». La religione esercita quindi una funzione sociale insostituibile: «dovunque esiste una società organizzata, una religione è necessaria; le leggi vegliano sui delitti conosciuti, e la religione sui delitti segreti». Ma una ? Trattato, p: 122 M., XXV, p. 90). “Su questo capitolo rimando a L. Bianchi, Re/igion et superstition dans le «Traité sur la tolérance»: notes en marge du chapitre XX, cit.

°° Trattato, p. 137 (M., XXV, p. 100).

54.

Voltaire: religione e politica

volta che gli uomini hanno accolto «una religione pura e santa, la superstizione diventa non solamente inutile, ma pericolosissima»,

se è vero che «la superstizione sta alla religione come l’astrologia sta all’astronomia, è la figlia totalmente folle di una madre molto saggia. Queste due figlie Ton a lungo soggiogato tutta la terra» i Con questa efficace immagine Voltaze definisce lo stretto rapporto che stringe tra di loro progresso scientifico e umano e mostra insieme quell’ideale di una religione razionale, priva di dogmi e di riti, che caratterizza il proprio deismo. Anzi, a partire dai secoli barbari, la superstizione è stata progressivamente abbandonata e la religione è venuta purificandosi, grazie anche al contributo offerto

dai giansenisti che hanno concorso «a sradicare impercettibilmente dall’animo della nazione la maggior parte delle false idee che disonoravano la religione cristiana». Ma vi è, più in generale, un movimento della ragione che. cambia e trasforma la società come la scienza, i costumi e la cultura come la religione. E tale processo,

che attesta il continuo diffondersi dei lumi nella società, produce cambiamenti e richiede una maniera nuova e inedita di governare: «Ogni giorno in Francia la ragione penetra nelle botteghe dei mercanti come nei palazzi dei signori. Bisogna quindi coltivare i frutti di questa ragione, tanto più che è impossibile impedire loro di maturare. Non si può governare la Francia, dopo che è stata illuminata dai Pascal, i Nicole, gli Arnauld, i Bossuet, i Descartes, i Gassendi, i Bayle, i Fontenelle, ecc., come la si governava ai tempi dei Garasse e dei Menoty®. Certo la superstizione non è ancora sradicata, mentre

essa, allontanando

l’uomo

dalla ragione naturale,

produce dogmi e credenze inutili ed è causa diretta dell’intolleranza, se è vero che «di tutte le superstizioni, la più pericolosa [...] è quella di odiare il prossimo per le sue opinioni Ma l’obiettivo di tali progressi e cambiamenti non può che essere una tolleranza che sia la più ampia possibile, una vera e °° Trattato, pp. 137-138 (M., XXV, p. 100). © Trattato, p. 138 (M., XXV, p. 101).

°° Trattato, p. 139 (M., XXV, p. 102). °° Trattato, p. 140 M., XXV, p. 102).

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères».

55

propria tolleranza univerale che valga non solo per le diverse confessioni cristiane ma per tutte le religioni. I due capitoli tra di loro contigui «Della tolleranza univerale» e «Preghiera a Dio» rimandano vicendevolmente luno all’altro e sono strettamente interdipendenti. Né potrebbe essere altrimenti, in quanto l’ipotesi di una tolleranza universale poggia su di un’idea di Dio necessariamente non dogmatica e lontana da ogni commistione superstiziosa o peggio fanatica. È un concetto di Dio — questo di Voltaire — estremamente astratto, di un Dio perfetto geometra che nel considerare e nell'osservare quelle creature deboli e sperdute, e quegli «atomi chiamati “uomini”»" pare stupito all’idea che in suo nome si compiano guerre, omicidi e torture. Ma proprio nell'essere lontano e inattingibile, ordinatore del mondo

e non persona 0 uomo

simile a noi uomini, questo Dio pare caricarsi di una profonda pietà. Il pessimismo di chi come Voltaire sa che i grandi problemi filosofici e metafisici sono irrisolvibili, di chi vede le dannose conseguenze delle dispute teologiche e la loro inutilità, di chi coglie —

anche in altri testi come Myeromegas” — il narcisismo e la superbia di uomini che sono atomi nell’universo e che pensano invece di abitarne il centro, si traduce in un sentimento di compassione e di commiserazione nei confronti dei propri simili. Il Dio clemente di Voltaire, il Dio lontano che si può pregare ma non conoscere è allora pienamente

umano

non

in senso

antropomorfico

— ché, al

contrario, egli è certamente privo di tale caratterizzazione — ma in quanto produttore, tra gli uomini, di umanità. Se l’uomo, sperduto

nelle immensità degli spazi e «alto all’incitca cinque piedi, è certamente

poca cosa nella creazione», è fuor di dubbio che egli dovrà

tollerare tutti gli altri uomini. E non solo «i cristiani devono tollerarsi gli uni gli altri», ma «bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli» compresi i turchi, i cinesi, gli ebrei o i sia* Trattato, p. 147 (M., XXV, p. 107). "Cfr. Voltaire, Micromegas. Storia filosofica, in Voltaire, Zadig e altri racconti filosofici, tr. it. di L. Bianchi e G. Paganini, a cura di L. Bianchi, prefazione di P. Flores d’Arcais, Milano 1994, pp. 129-154, in particolare capp. 6 e 7, pp. 147-154 (M., XXI, pp. 105-123, in particolare pp. 117-123).

56

Voltaire: religione e politica

mesi, in quanto «siamo tutti figli dello stesso padre e creature dello stesso Dio”. È in difesa di questa tolleranza universale che Voltaire si rivolge direttamente a Dio, a un Dio clemente che già ha ordinato il

mondo e che ora può essere invocato come garante di un ideale di pace e di dignità continuamente vilipeso e violato. Queste parole del Traité possono a tratti suonare retoriche, ma esprimono la profonda umanità di chi vede, nel proprio secolo, violenze e guerre commesse in nome di una qualsivoglia teologia e di chi ha in odio «la tirannide esercitata sugli animi» e ogni sorta di persecuzione. Voltaire non sa se è lecito a «deboli creature» quali sono gli uomini chiedere qualcosa a Dio «i cui decreti sono immutabili

quanto eterni» e gli domanda solamente di degnarsi «di guardare con pietà gli errori legati alla nostra natura». E le parole che seguono, seppure rivolte a Dio, parlano in realtà agli uomini: «che questi errori non generino le nostre calamità. Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiamo e mani perché ci sgozziamo; fa’ che ci aiutiamo lun l’altro a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera; che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue insufficienti, tra tutti i

nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni così diseguali ai nostri occhi, e così eguali davanti a te; che tutte queste piccole sfumature che distinguono questi atomi chiamati “uomini”,

non siano segnali di odio e di persecuzione». E non meno accorata appare la conclusione dove l’invito alla fratellanza e alla pari dignità di tutte le religioni si esprime in una visione pacata e irenica: «Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Che essi abbiano in orrore la tirannia esercitata sugli animi, così come hanno in esecrazione il brigantaggio che strappa a forza il frutto del lavoro e dell'industria pacifica! Se i flagelli

© Trattato, p. 143 M., XXV, p. 104). ° Trattato, p. 147 (M., XXV, p. 107).

* Trattato, p. 147 M., XXV, p. 107).

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères»

57

della guerra sono inevitabili, non odiamoci, non dilaniamoci gli uni

gli altri quando regna la pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza per benedire egualmente in mille lingue diverse, dal Siam fino alla California, la tua bontà che ci ha dato questo istante». Questa lezione di universalità e di tolleranza suona come un appello alla libertà e un invito a lottare per essa contro ogni riemergere di ipotesi illiberali. E l’artificio retorico di rivolgersi a Dio serve in realtà per parlare agli uomini e degli uomini. Voltaire enfatizza la solitudine e la piccolezza dell’uomo

nel cosmo,

il suo

essere “atomo” in un «piccolo mucchio di fango», ma trasforma questo isolamento in una capacità «di aggregazione e di pacifica convivenza. L’insistenza sull'idea di fratellanza — «mio fratello» deve essere il turco, il cinese, l’ebreo, il siamese, «possano

tutti gli

uomini ricordarsi che sono fratelli» — è qualcosa di più di un semplice invito, è un vero e proprio richiamo alla ragione in un’epoca che si vuole illuminata. Inoltre se «la religione è istituita pet renderci

felici in questa vita e nell’altra», essa

richiede

che si sia

«giusti» e «indulgenti»®, e che si rinunci a credere che tutti gli uomini possano pensare in maniera uniforme”. Ecco allora che la tolleranza, la quale deve essere universale e basarsi su di una religione

pura,

ha una

valenza

immediatamente

sociale.

Questo.

aspetto pratico e ideale della tolleranza — che va ben al di là del singolo e tragico caso di Jean Calas — ci parla di una religione che deve servire agli uomini per ispirare loro il rifiuto della violenza e della guerra. È una religione «umana», che rinuncia a ogni teologia, a dogmi prestabiliti e a ogni sorta di ritualità, e che a buon diritto si può ricondurre a una morale, ed è una religione che, in quanto morale, chiede agli uomini di essere tra di loro fratelli.

® Trattato, p. 148 (M., XXV, p. 108). * Trattato, p. 141 (M., XXV, p. 103). ” Cfr. Trattato, p. 141 (M., XXV, p. 103): « Sarebbe il colmo della follia pretendere di condurre tutti gli uomini a pensare in una maniera uniforme in metafisica. Si potrebbe molto più facilmente soggiogare il mondo intero con le armi che soggiogare tutti gli

spiriti di una sola città».

58

Voltaire: religione e politica

IV. Ma questo deismo

di Voltaire che corre parallelo all’idea di

tolleranza ha anche, nel Traifé, caratteristiche peculiari e che meri-

tano una più attenta disamina. In queste pagine infatti si polemizza — al capitolo XX — con l’ateismo e si sottolinea il ruolo sociale di freno che ogni religione costantemente svolge”. Già si è ricordato il passaggio in cui Voltaire afferma che una religione è necessaria ovunque vi sia una società organizzata e come la religione vigili sui delitti segreti allo stesso modo di come le leggi vigilano sui delitti conosciuti. Non si è precisato, invece, l’obiettivo polemico di Voltaire, che critica in queste righe, pur senza citarlo, il paradosso

sugli atei di P. Bayle — esposto nelle pagine delle Pensées diverses sur la comète — secondo cui non solamente sarebbe possibile una società di atei, che

non

si distinguerebbe

in nulla

da una

società

cristiana, ma sarebbe meglio essere atei che idolatri”. Questa reazione polemica al Bayle, che trova in Europa risposte e opposizioni in differenti autori, da Voltaire a Montesquieu fino a Vico”, ha una sua ideale e corrispondente istanza nell’idea che la religione svolga una funzione sociale e che eserciti un utile freno all’interno dei conflitti umani. E che l’obiettivo polemico di Voltaire sia proprio «Bayle ci è confermato, in quegli stessi * Su questi temi cfr. L. Bianchi, Religion et superstition dans le «Traité sur la tolérance»: notes en marge du chapitre XX, cit. ST Cf Dì Bayle, Pensées diverses sur la comète (par. CXIV-CXXXII) e Continuation des pensées diverses (par. LXXX-CLVI), in P. Bayle, Oevres diverses, La Haye, 1727-1731, t. III,

pp. 75-86 e 306-417. ‘Sulla Scienza Nuova di Vico come

reazione al Bayle della repubblica degli atei ha

posto l’accento fin dal 1959 E. Garin in un suo importante contributo, cfr. E. Garin, Per

una storia dei rapporti fra Bayle e l’Italia, «Atti e Memorie dell’Accademia toscana di Scienze e Lettere La Colombaria», N.S. IX, 1958-1959, pp. 207-221, ora in E. Garin, Da/ Rirasd-

mento all'Illuminismo. Studi e ricerche, Seconda edizione rivista e accresciuta, Firenze 1993, pp. 157-172, dove alla p. 160 così si legge: «Ma l’idea della città degli atei, ossia della

possibilità di uno Stato al di fuori di ogni religione, suscitò le reazioni crude di pensatori d’ogni genere: e verrebbe voglia di dire che suscitò la Scienza Nuova. Quale stimolo sia stata per il pensiero vichiano

la tesi del Bayle di una

repubblica

di atei, non

è stato,

forse, sottolineato a sufficienza». Per i rapporti tra Bayle e l’Italia — e per la sua presenza non

solo in Vico, ma

più in generale nella cultura italiana tra la fine del XVII

secolo e tutto il XVIII — cfr. ora il volume Pierre Bayle e l’Italia, a cura di L. Bianchi, Napoli 1996.

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frereso

anni,

dalla

voce

«Athée,

Athéisme»

del

59

Dictionnaire philosophique,

nella quale Voltaire critica il filosofo di Rotterdam facendo ricorso a queste stesse argomentazioni che vedono nella religione un “freno” e insieme un elemento capace di offrire garanzie contro i «delitti segreti» («crimes secrets»). Contestando l’ipotesi di Bayle, Voltaire afferma: «Perché sembra impossibile una società di atei? Perché

si pensa

che gli uomini

che non

abbiano

un

freno, non

possano vivere insieme; che le leggi non possano nulla contro i delitti segreti; che è necessario un Dio vendicatore il quale punisca, in

questo mondo

o nell’altro, i malvagi sfuggiti alla giustizia uma-

nav. Anzi, in queste pagine del Dictionnaire philosophique si approfondisce il confronto con Bayle, il quale aveva considerato se l’idolatria fosse più pericolosa dell’ateismo, mentre invece «avrebbe dovuto piuttosto esaminare che cosa sia più pericoloso: il fanatismo o l’ateismo». E la conclusione è che «l fanatismo è certamente mille volte più funesto; perché l’ateismo non ispira passioni

sanguinarie, ma il fanatismo ne ispira; l’ateismo non serve da freno ai delitti, ma il fanatismo spinge a commetterli»!”. Ma questa condanna del fanatismo come peggiore dell’ateismo non è certo una giustificazione di quest’ultimo. Voltaire è piuttosto

convinto che l’ateismo produca minori mali perché meno diffuso del fanatismo e perché circoscritto a un ristretto numero di filosofi, «per lo più studiosi audaci e fuorviati, che ragionano male e

che, non potendo comprendere la creazione, l'origine del male e altre difficoltà, ricorrono all’ipotesi dell’eternità delle cose e della necessità». Ma la supposizione che vi siano principi o sovrani atei appare certamente pericolosa per ogni società: «è dunque assolutamente necessario, per i principi e pet i popoli, che l’idea di un essere supremo, creatore, reggitore, remuneratore e vendicatore, sia

profondamente radicata negli animi». E poco importa che Bayle ‘Voltaire, Dizionario filosofico, a cura di M. Bonfantini, con uno scritto di G. Lanson, Torino 1971, «Ateo, ateismo», p. 46 (M., XVII, p. 473).

‘ Ivi, p. 48 (M., XVII, p. 479). © Ivi, p. 48 (M., XVII, p. 474). * Ivi, p. 49 (M., XVII, p. 475).

60.

Voltaire: religione e politica

nelle sue Pensées diverses sur la comète citi alcuni popoli o alcune piccole nazioni — come i Cafri, gli Ottentotti o i Tupinamba sii che non ammettono

nessuna divinità; per Voltaire infatti il ricono-

scimento di un essere supremo è unito all’esercizio della ragione e non a caso nel secolo della scienza e di Newton è ampiamente diffuso. Presumere invece che popolazioni primitive che non accolgono

alcuna

divinità neghino

Dio

è assurdo;

«essi non

lo ne-

gano né lo affermano, non ne hanno mai sentito parlare» e «pretendere che siano atei è come imputarli di essere anticartesiani: non sono né pro né contro Descartes». La conclusione

a cui giunge Voltaire è allora significativa; egli

afferma «che l’ateismo è un mostro assai pericoloso in coloro che governano; che lo è anche nelle persone di studio, anche se la loro vita è innocente, perché dal loro studio esso può arrivare fino a quelli che vivono in piazza; e che, se non è certo funesto quanto il fanatismo, è tuttavia quasi sempre

fatale alla virtù.

Ora, è evidente da queste parole che la religione svolge un indubbio ruolo di disciplinamento e di contenimento sociale e che la maggiore o minore pericolosità dell’ateismo oscilla in rapporto al ruolo politico che esso può, svolgere: certamente dannoso in coloro

che governano,

lo è meno

nelle

persone

di studio,

che

possono comunque diffonderlo tra il popolo con conseguenze altrettanto nefaste. E un identico ricorso alla religione come freno nei confronti dei delitti segreti riappare, sempre nel Dictionnaire philosophique, alla voce «Enfem, dove si legge: «Da quando gli uomini vissero in società, dovettero accorgersi che parecchi colpevoli sfuggivano alla severità delle leggi. Essi punivano i crimini pubblici: fu necessario stabilire un freno per i crimini segreti («crimes secrets»); la sola religione poteva essere questo freno. I Persiani, i Caldei, gli

Egiziani, i Greci immaginarono punizioni dopo la vita; e fra tutti

GRCHICD: Bayle, Conzinuation des pensées diverses (par. CXVIII), in P. Bayle, diverses, cit., t. III, pp. 352-353. ‘ Voltaire, Dizionario filosofico, cit., «Ateo, ateismo», p. 49 (M., XVII, p. 475).

‘7 Ivi, p. 49 M., XVII, pp. 475-476).

Oeuvres

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frère»

61

gli antichi popoli che conosciamo, gli Ebrei furono i soli che non ammisero se non castighi temporali». Come

si può

osservare,

la posizione

di Voltaire,

critica nei

confronti dell’ateismo e legata a una religione che agisce come momento repressivo socialmente utile, è sostanzialmente identica sia nel Trazté sur la tolérance, sia nel Dictionnaire philosophique (che appare in prima edizione nel 1764 e nell’edizione definitiva nel 1769). E sempre negli anni sessanta in un altro testo, pubblicato nel 1767, si torna a parlare, a proposito della religione, di «freno» e di «delitti segreti». Si tratta delle Lettres à S. A. Mgr le Prince de 9 sur Rabelais, et sur d'autres auteurs qui ont mal parlé de la religion chrétienne, dove,

a proposito

dell’abate

Meslier,

questo

«mélanco-

lique prétre» che «voulait délivrer ses paroissiens du joug d’une religion prèchée vingt ans par lui-mème», così ci si esprime: «Poutr quoi adresser ce testament à des hommes agrestes qui ne savaient pas lire? Et, s’ils avaient pu lire, pourquoi leur òter un joug salutaire, une crainte nécessaite qui seule peut prévenit les crimes secrets? La croyance des peines et des récompenses après la mort est un frein dont le peuple a besoin»®.

* Voltaire, Dizionario filosofico, cit., Inferno», p. 185 (M., XVIII, p. 544).

* Voltaire, Lettres à S.A. Mgr le Prince de *** sur Rabelais d’avoir mal parlé de la religion chrétienne, in Voltaire, Mélanges, établi et annoté par J. van den Heuvel, Paris 1961, p. 1260 Ma sulla necessità sociale di un Dio vendicatore cfr. anche apparso

nel 1767:

Homélies prononctes

ct sur d'autres auteurs accusés préface par E. Berl, texte (M., XXVI, pp. 511-512). un altro scritto voltairiano

è Londres en 1765, in Voltaire, Mé/anges, cit., «Pre-

mière homélie sur l’athéisme», pp. 1101-1116 (M., XXVI, pp. 315-329), dove così si legge alla p. 1109 (M., XXVI, p. 323): «Ces principes [la persuasion de l’existence d’un Dieu et de sa Justice miséricordieuse] sont nécessaires à la conservation de l’espèce humaine. Otez aux hommes l’opinion d’un Dieu vengeur et rémunérateur, Sylla et Marius se baignent alors avec délices dans le sang de leurs concitoyens; Auguste, Antoine et Lépide surpassent les fureurs de Sylla; Néron ordonne de sang-froid le meurtre de sa mère. Il est certain que la doctrine d’un Dieu vengeur était éteinte alors chez les Romains; l’athéisme dominait, et il ne serait pas difficile de prouver par l’histoire que l’athéisme peut causer quelquefois autant de mal que les superstitions plus barbares». E ancora cfr. le affermazioni che negano qualsiasi ateismo convinto o «filosofico» tra i diversi popoli, p. 1113 (M., XXVI, pp. 326-327): «Ainsi vous voyez que tous les peuples policés, Indiens, Chinofs, Egyptiens, Persans, Chaldéens, Phéniciens, reconnurent un

Dieu suprème.

[...] Il y a eu des athées chez tous les peuples connus; mais je doute

62.

Voltaire: religione e politica

Ma il rifiuto di Voltaire — già espresso nel Trazté sur la tolérance — dell’ipotesi bayliana di una società di atei permette di riavvicinare queste pagine ad alcuni passi di Montesquieu, che nel libro XXIV (2, 6) de l’Esprit des lois critica i paradossi sugli atei di Bayle e riafferma la necessità che ogni società abbia una religione. Anche per il Presidente, infatti, la supposizione di Bayle suona come un «sofisma» e la credenza in Dio appare «le seul frein que ceux qui ne craignent point les lois humaines puissent avoim’. E non a caso la Li si presenta — a partire da un testo giovanile quale la Dissertation sur la politique des Romains dans la religion (1716) pet giungere fino all’Esprif des lois — come uno degli elementi costitutivi beaucoup que cet athéisme ait été une persuasion pleine, une conviction lumineuse, dans laquelle l’esprit se repose sans aucun doute, comme dans une démonstration géométrique». E si vedano le conclusioni, pp. 1115-1116 (M., XXVI, p. 329): «Il est donc démontré que l’athéisme peut tout au plus laisser subsister les vertus sociales dans la tranquille apathie de la vie privée; mais qu'il doit porter à tous les crimes dans les orages de la vie publique. Une société particulière d’athées, qui ne se disputent rien, et qui perdent doucement leurs jours dans les amusements de la volupté, peut durer quelque temps

sans trouble; mais si le monde

était gouverné

autant ètre sous l’empire immeédiat de ces ètres infernaux contre

leurs victimes.

par des athées, il vaudrait

qu'on nous

peint acharnés

En un mot, dessàthées qui ont en main le pouvoir seraient aussi

funestes au genre humain que des supetrstitieux. Entre ces deux monstres la raison nous tend le bras». Sull’utilità di un Dio elargitore di premi e di pene, cfr. anche la lettera di Voltaire a Louis

Francois Armand

Du Plessis, duca di Richelieu, del primo novembre

1770: «Aureste, je pense qu'il est toujours très bon de soutenit la doctrine de l’éxistence d’un Dieu rémunérateur et vengeur, la société a besoin de cette opinion. Je ne sais si vous connaissez ce vers, “Si dieu n’existait pas, il faudrait l’inventer”» (Ioltazre's Corre spondence, edited by Th. Besterman, cit., vol. LXXVII, Genève 1962, lettera n. 15714, p. 62). Sulla credenza di Voltaire in un Dio remuneratore e vendicatore, cfr. S. Letoux, Un

Dieu rémunérateur et vengeur comme fondament-garantie de la morale: de la philosophie de Nemton è la morale de Voltaire, in Voltaire et ses combats, cit., pp. 739-750. i Montesquieu, De /'Esprit des Lots, XXIV, 2, in Montesquieu, Oeuvres complètes, texte présenté et annoté par R. Caillois, 2 vol., Paris 1949, vol. II, p. 715. E si veda l’inizio di

questo capitolo 2 («Paradoxe de Bayle»): «Monsieur Bayle a prétendu prouver qu'il valoit mieux

étre athée qu’idolatre: c’est-à-dire, en d’autres

termes, qu'il est moins

dangereux

de n’avoir point du tout de religion, que d’en avoir une mauvaise. [...] Ce n'est qu’un sophisme [...] Dire que la religion n’est pas un motif réprimant, parce qu'elle ne réprime pas toujours, c'est dire que les lois civiles ne sont pas un motif réprimant non plus. [...] Quand il seroit inutile que les sujets eussent une religion, il ne le seroit pas que les princes en eussent, et qu’ils blanchissent d’écume le seul frein que ceux qui ne craignent

point les lois humaines puissent avoim.

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frere»

63

e necessari della società e risulta una delle cause che contribuiscono a formare quello «spirito generale» che governa gli uomini”. Ma oltre che per una simile valutazione della religione come «freno», è possibile riavvicinare Voltaire a Montesquieu anche in rapporto al tema della tolleranza. Il Trailé si rifà a Montesquieu un’unica volta, al capitolo XV («Testimonianze contro l’intolleranza), dove si citano pochissime righe riprese dal XXV libro, cap. 13, de l’Esprit des lois («Très humble remonstrance aux inquisiteurs d’Espagne et de Portugal»); si tratta di una lettera che Montesquieu immagina scritta da un ebreo agli inquisitori e nella quale si testimonia l’inumanità di ogni violenza e assassinio commessi in nome della religione. E pare significativo il recupero di queste righe montesquieuiane che sono parte di un capitolo fra i più lucidi e appassionati dell’intera opera del Presidente e che possono a buon diritto affiancarsi a pagine altrettanto famose della letteratura

filosofica del secolo, come

quelle — nel Tra

voltairiano



della «Preghiera a Dio»”. Ma, ritornando

va ricordato ricorso,

alla categoria di tolleranza espressa nel Tra,

come,

malgrado

la teorizzazione

le cautele a cui il suo

di una

tolleranza

universale

autore

fa

procede

di

pari passo con la condanna delle religioni storiche e in particolare ' Cfr. il noto passo su l’«esprit général», Montesquieu, De /Esprit des Lois, XIV, 4, in Montesquieu, Oexvres completes, cit., t. II, p. 558: «Plusieurs choses gouvernent les bommes: le climat, la religion, les lois, les maximes du gouvernement, les exemples des choses passées, les moceurs, les manières: d’où il se forme un esprit général qui en

résulte». Sul tema della religione in Montesquieu rimando a L. Bianchi, Nécessité de la religion et de la tolérance chez Montesquiea. La «Dissertation sur la politique des Romains dans la religione, in Lectures de Montesquieu. Actes du Colloque de Wolfenbiittel (26-28 octobre 1989) réunis par E. Mass et A. Postigliola, Napoli, Paris, Oxford 1993, pp. 25-39; Id., Religione e tolleranza in Montesquica, «Rivista di storia della filosofia», XLIX (1994), pp.

49-71; Id., La funzione della religione in Europa e nei paesi orientali secondo Montesquieu, in L’Europe de Montesquieu. Actes du Colloque de Génes (26-29 mai 1993) réunis par A. Postigliola

et M.G.

Bottaro

Palumbo,

Napoli,

Paris, Oxford

1995, pp. 375-387;

Id.,

Histoire et nature: la religion dans l'«Esprit des loiso, in Ie temps de Montesquien, éd. par M. Porret et C. Volpilhac-Auger, Genève (in corso di stampa). ? Su questi

temi

particolare pp. 69-71.

rimando

a L. Bianchi,

Re/gione e tolleranza in Montesquieu,

cit., in

64

Voltaire: religione e politica

del cristianesimo. Una identica ipotesi, del resto, emerge anche dalla voce Tolérance del Dictionnaire philosophique, dove si afferma che «fra tutte le religioni, la cristiana è senza dubbio quella che deve ispirare maggiore tolleranza, sebbene fin qui i cristiani siano stati i più intolleranti fra tutti gli uomini». In effetti l’affare Calas e la lotta per la tolleranza diventano pet il Voltaire degli anni sessanta parte di una strategia più generale che mira a combattere l’«infàme». Il grido di battaglia di Voltaire «écrasez l’infìme» che, come ci ricorda Pomeau, «apparaît pour la première fois sous la plume de Voltaire dans une lettre è d’Alembert, datée “7 ou 8 mai” 1761», ricompare spesso nella corrispondenza con una cerchia ristretta di amici e mostra come, al di là

della difesa dei Calas e dei protestanti francesi, sia questo il vero bersaglio polemico del periodo. Del resto nel giro di tre anni — tra il 1762 e il 1764 — vengono pubblicati Exa du sentiment de Jean Meslier — che riconduce a puro deismo ateismo anarchico del curato di Etrépigny —, il Trazté sur la tolérance e il Dictionnatre philosophique. Dall’insieme di questi testi emerge una vera e propria battaglia culturale e una strategia di propaganda religiosa contro la chiesa e contro ogni tipo di superstizione, che ha nel deismo la sua teologia razionale, e nei «philosophes» e negli intellettuali dell'epoca i suoi interlocutori. Una propaganda, inoltre, che trova in uno stile chiaro e asciutto e in una forma breve e compatta — si pensi non solo ai concisi capitoli del Jr47/, ma anche alla stringatezza delle voci del Diczonnatre — un insostituibile aiuto e un alleato irrinunciabile. V. Questo prioritario obiettivo polemico non si collochi in una tradizione critica interno anche testi di diretta ispirazione sia attento a tutta una produzione di

non significa che Voltaire e civile che allinea al suo protestante e che egli non scritti riformati — spesso

° Voltaire, Dizionario filosofico, cit., «Tolleranza», p. 416 (M., XX, p. 521). “ R. Pomeau (sous la direction de), Wo/taire en son temps, t. IV, «Ecraser l'Infime» 1759-1770, cit., p. 230; ma sulla lotta all’«infàme» si veda tutto il cap. 14 «Ecrlinf (juillet

1765-novembre

1767)», pp. 230-260.

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères»

65

violentemente anticattolici — che fiorisce prima e in parallelo al caso Calas”. Basti pensare, per por mente a uno scritto particolarmente significativo, a un’opera quale L’asiatique tolérant di La Beau-

melle — pubblicata anonima a Amsterdam nel 1748 da quel Marc Michel Rey che darà alle stampe anche testi di Voltaire, di d’Holbach e scritti clandestini e antireligiosi” — dove si critica l’uso della violenza nelle conversioni, capace solo di produrre indifferenza religiosa, si combatte l’ateismo come

contrario ai fondamenti

della società, si chiede che ogni stato si opponga al fanatismo e si porta l'esempio dell'Olanda per mostrare come l'esercizio della tolleranza produca pace e prosperità tra i cittadini. E si pensi anche alla campagna condotta da parte protestante intorno al caso Calas sia dalla Francia — con scritti di La Beaumelle o del padre Paul Rabaut — sia dalla vicina Svizzera — ed è il caso di Antoine Court de Gébelin”. Questi pubblica nel 1763 un’opera intitolata Les Tow/ousaines, che si presenta come una raccolta di lettere scritte da un protestante di Tolosa a un cotrispondente immaginario che si trova in un paese del «refuge», e dove si

° Sull’« alleanza» che di fatto si viene a instaurare, in relazione al caso Calas, tra Voltaire e alcuni esponenti del mondo protestante della Francia e della Svizzera, cfr. R. Pomeau, Voltaire et Rousseau devant l'affaire Calas, in Voltaire, Rousseau et la tolérance: actes du colloque franco-néerlandais des 16 et 17 novembre 1978, cit., pp. 64-66 e G. Gargett, Voltaire and Protestantism, «Studies on Voltaire and the eighteenth century», CLXXXVIII (1980),

cap. 7 «Voltaire and the églises du desert. contemporary French Protestantism and the struggle for toleration», pp. 250-398, in particolare pp. 285-309. ° Cfr. L’Asiatique tolérant, traité è l'usage de Zéokinizul roi des Kofirans, sumomme le chéri, ouvrage traduit de l’arabe du Woiageur Berkrinoll, è Paris, chez Durand,

rue Saint-Jacques

à

Saint-Landry et au Griffon, s.d. [ma Amsterdam, Marc Michel Rey 1748]. Su la Beaumelle e su L'Asiazique tolérant cfr. C. Lauriol, La Beaumelle. Un protestant céveno! entre Montesquien et Voltaire, Genève 1978 e Id., «L'Asiatique tolérant» ou le «Traîté sur la tolérance» de La Beaumelle (1748), «Dix-huitiéme siècle», 17 (1985), pp. 75-81. Su Marc Michel Rey,

sulla sua opera di editore di testi filosofici e sulle sue relazioni con Voltaire, cfr. J. Vercruysse,

Voltaire et Marc Michel Rey, «Studies on Voltaire and the eighteenth centuty», LVII (1967), pp. 1707-1763 e Id., Marc Michel Rey et le livre philosophique, in Literaturgeschichte als geschichtlicher Auftrag. In memoriam Werner Krauss, Berlin 1978, pp. 149-156. MG.

Mercier (ele

Lauriol, La Beauzelle, P. Rabaut, Court de Gebelin et l'affaire Calas, cit.

Faivre, Les traités sur la tolérance:

e A.-M.

Voltaire et les protestants francais, une confrontation,

66

Voltaire: religione e politica

affronta non

solo il caso Calas, ma

anche il caso Rochette — dal

nome del pastore ugonotto messo a morte con altri tre suoi correligionari a Tolosa

nel febbraio

1762 — e il caso

Sirvain, simile a

quello Calas, in quanto il suicidio della figlia di un protestante permette di accusare il padre del delitto”. Comunque,

malgrado il comune

obiettivo polemico, la lotta di

Voltaire per una tolleranza universale, put utilizzando il caso Calas e l’iniqua situazione degli ugonotti in Francia, si muove

al di fuori

di una qualsiasi istanza confessionale e trova al più una convergenza di ordine tattico con le dispute di parte protestante. E infatti il Trazé giunge a formulare l'ipotesi di una tolleranza univetsale all’interno di una prospettiva deista che critica tutte le religioni rivelate. Certo, queste pagine sulla tolleranza utilizzano una tradizione che ha i suoi antecedenti più famosi in J. Locke — e in particolare nell’Epistola de tolerantia (1689), che si cita nel cap. IV e in una nota del cap. XI —" e in P. Bayle — e qui Voltaire ha presenti sia il Commentatre philosophique (1686), sia il Dictionnaire historique et critique (1697). Ma ora Pequazione che viene stabilita tra religioni storiche e intolleranza si distacca vuoi dalle argomentazioni del pensatore inglese, vuoi

da quelle del filosofo

di Rotterdam.

Infatti Locke

esclude i cattolici e gli atei dalla tolleranza, in quanto i primi si sono legati a un principe straniero (il papa) e non possono comportarsi da sudditi fedeli, e i secondi con le loro teorie si rendono

® Cfr. Les Toulousaines, ou Lettres apologétiques en faveur de la religion réformée, et de divers protestans condamnés dans ces derniers tems par le Parlement de Toulouse, ou dans le haut Languedoc,

Edimbourg [ma Lausanne] 1763 e C. Lauriol, Autour du «Traité sur la tolérance»: les «Toulousaines» de Court de Gebelin, in Naissance et affirmation de l'idée de tolérance. XVle et XVIIIe siècles, actes

du

vi colloque

Jean

Boisset,

Université

de

Montpellier

III, 1988,

pp.

335-358. ° Cfr. Trattato, p. 88 (M., XXV, p. 61): «Si veda l’ottima Lerfera di Locke sulla tolleranza». Si veda anche il cap. 4, dove si mette in relazione Locke con la legislazione della Carolina. Cfr. Trattato, p. 55 (M., XXV, p. 36): «Gettate ora lo sguardo sull’altro emisfero; guardate la Carolina, il cui legislatore fu il saggio Locke: bastano sette padri di

famiglia per stabilire un culto pubblico approvato dalla legge; questa libertà non ha fatto nascere nessun disordine».

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frères»

67

pericolosi per la sicurezza e la stabilità dello stato. Bayle invece giunge a un'idea latitudinaria e estesa della tolleranza basandosi sull'ipotesi che tutti gli uomini abbiano in ambito religioso un diritto all'errore che è loro proprio, in quanto devono seguire in materia di fede ciò che la coscienza detta loro. Così, se Voltaite si può riavvicinare a Locke per il giudizio sulla pericolosità degli atei per la pace e l'ordine dello stato e per l’idea che è necessaria una tolleranza civile — le manifestazioni religiose devono quindi venire subordinate all’autorità dei magistrati —, egli è anche riavvicinabile a Bayle in quanto per entrambi ogni uomo ha il diritto di pensare in ambito religioso tutto quanto la ragione gli detta e la tolleranza si' basa su questo diritto naturale che è proprio di tutti gli individui. Ma Voltaire nel Trazté sur la tolérance, anche se ricorre talvolta a

un tono moderato, giunge a una soluzione per alcuni versi più radicale rispetto a quelle di Locke e di Bayle e arriva fino ad accusare di intolleranza il cristianesimo e la sua storia. Infatti il Traité critica l’intera tradizione dogmatica del cristianesimo e petviene a una religione naturale — il “teismo” — che è essenzialmente una morale e che si oppone al fanatismo e all’intolleranza che sarebbero propri delle religioni storiche. Molto è già stato detto su questo termine “teismo”, che Voltaire sostituisce a quello di “deismo” a partire dagli anni cinquanta, quando si impegna in una azione di propaganda antireligiosa. Non sembra che Voltaire attribuisca un significato differente a queste due espressioni, ed egli pare preferire quella di etimologia greca — teismo — più per motivi di ordine letterario che non concettuale. Ciononostante — come ha sottolineato R. Pomeau — il nuovo termine “teismo”

parrebbe caratterizzarsi, in relazione alla divinità, in una

maniera più concreta e positiva”. Comunque, “ In relazione

al termine

“teismo”,

che sostituisce

per tutto il XVIII

in Voltaire

quello di “deismo”,

Pomeau ha individuato taluni elementi e sfumature che indicherebbero un'attitudine più “positiva” nel nuovo vocabolo. Cfr. R. Pomeau, La religion de Voltaire, cit., pp. 428-430, in

particolare p. 428: «Théiswe, et non plus déisme, dit Voltaire depuis les Mélanges de 1751. Le mot de véismze était plus neuf et plus noble. Il désignait une conviction plus positive: le

68

Voltaire: religione e politica

secolo i due termini furono sovente utilizzati come sinonimi e per trovare teorizzata una effettiva differenza tra deista e teista, ovvero tra colui che vede in Dio la causa del mondo, e colui che vede in Dio

il creatore e l’autore del mondo, bisogna aspettare la Crizzea della ragion pura di Kant (1781), dove questa distinzione viene proposta nelle pagine dedicate alla «Dialettica trascendentale)”. In Voltaire si ritrova una precisa definizione di teismo nella Profession de foi des thbéistes scritto nel 1768, dove i teisti vengono indicati come «adorateurs d’un Dieu ami des hommes» e dove si sostiene che tutte le religioni non deriverebbero che dalla corruzione di una originaria religione semplice e razionale. Esiste allora théiste professe un credo plus étoffé que le déiste; il accepte qu’un culte soit rendu è la Divinité. C’est le mot par lequel Voltaire définit son évangile; c'est celui qu'il arbore dans cette Profession de fois des théistes qui, rédigée après la communion de 1768, fait dans l’oeuvre de Voltaire pendant à la Profession de foi du vicaire savoyard. Pomeau ritorna sulla questione del “deismo” o “teismo” di Voltaire nella «Postface» del suo libro (ivi, pp. 473-483) dove afferma che i due termini in Voltaire sono sinonimi e si dichiara a questo proposito d’accordo con Th. Besterman: «Je suis d’accord avec Th. Besterman, Studies on Voltaire, t. LV, Genève 1967, p. 30 [il riferimento è qui all’articolo di Besterman, Wo/taire's g0d, pp.

23-41]: sous la plume de Voltaite, dé2sze et éisze sont synonymes. Il est cependant curicux de constater sur cet exemple, le prestige dans la langue francaise de l’étymologie grecque. Voltaire préfère comme plus noble, et moins galvaudé, le mot de formation plus savante, à

partir de l’époque où il s'engage dans une action de propagande» (ivi, p. 476 n.). " Cfr. I Kant, Critica della ragion pura, traduzione di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, edizione riveduta e con una « Introduzione» di V. Mathieu, Roma-Bari 1977, «Dialettica trascendentale», libro II, capitolo III, sezione VII, pp. 493-494: «Se per teologia intendo la

conoscenza dell’Essere originario, essa è fondata o sulla pura ragione (#eo/ogia rationalis) © su una rivelazione (revelata). La prima concepisce il suo oggetto o semplicemente con la ragione pura, mediante meri concetti trascendentali (es origguarium realissimum, ens entinni), e dicesi teologia zrascendentale, ovvero, mediante un concetto, che essa ricava dalla natura (della nostra anima), con la suprema intelligenza, e dovrebbe dirsi teologia nazurale. Chi ammette

soltanto una teologia trascendentale è detto deista: chi ammette anche una teologia naturale, teista. Il primo ammette che in ogni caso noi possiamo conoscere con la semplice ragione l’esistenza di un Essere originario, di cui per altro il nostro concetto è semplicemente trascendentale, cioè solo di un essere, che ha ogni realtà, ma che non si può determinare di

più. Il secondo afferma, che la ragione è in grado di poter determinare di più l'oggetto secondo l’analogia con la natura, ossia come un essere che per intelletto e libertà contenga

in sé il primo principio di tutte le altre cose. Quello si rappresenta, dunque, in tale essere solo una causa del mondo (senza dire se mediante la necessità della sua natura, o mediante la libertà); questo, un creatore del mondo. “ Voltaire, Profession de foi des théistes, M., XXVII, p. 68.

«Puissent tous les hommes se souvenir qu'ils sont frereso

una religione universale, che si nasconde sioni, e chi la riconosce

fa anche

69

dietro tutte le confes-

professione

di teismo.

Il teista

non chiede al proprio fratello che di adorare Dio in cuor suo e di essere giusto”, e i teisti saranno necessariamente tolleranti, infatti «sont les frères ainés du genre humain, et ils chérissent leurs frè-

res». Un'altra e simile definizione viene fornita alla voce Théisze del Dictionnaire philosophigue dove si afferma che «il teista è un uomo fermamente persuaso dell’esistenza di un Essere supremo tanto buono quanto potente» ma che, proprio per questo, «non abbraccia alcuna setta, perché tutte si contraddicono». E ancora: «la sua religione è la più antica e la più estesa; perché la semplice adorazione di un Dio ha preceduto’ tutti i sistemi del mondo. [...] Egli ha fratelli da Pechino alla Cajenna, e considera tutti i saggi propri fratelli. Egli crede che la religione non consista né nelle opinioni di una metafisica incomprensibile, né in vani apparati, ma nell’adorazione e nella giustizia». Ora, proprio queste righe rimandano ai capitoli finali del Traz/é sur la tolérance, dove

il rifiuto di ogni religione

storica

e di ogni

teologia, e il ricondurre la religione alla giustizia e alla fratellanza, emergono come i temi conclusivi dell’opera. Si tratta di un'istanza per più versi pratica, propria di chi ha composto questo scritto «con il solo intento di rendere gli uomini più comprensivi e più miti» e di chi, nel portare a compimento questo programma, non può non confrontarsi con i grandi temi della storia dell’uomo, ripercorrendo le ferite che l’intolleranza ha prodotto e ridefinendo un’idea di religione

SCR Divinité

M XXVII p. 56: «Nous adorons depuis le commencement des choses la unique, éternelle, rémunératrice de la vertu et vengeresse du crime; jusque-là

tous les hommes

sont d’accord, tous répètent après nous

cette confession de foi. Le

centre où tous les hommes se réunissent dans tous les temps et dans tous les lieux est donc la vérité, et les écarts de ce centre sont donc la mensonge». del ME XXVII p. 74. E Voltaire continua: «Ne les haîssez donc pas; supportez

ceux qui vous supportent; ne faites point de mal à ceux qui ne vous en ont jamais fait; ne violez point l’antique précepte de toutes les religions du monde, qui est celui d’aimer Dieu et les hommes».

°° Voltaire, Dizionario falosofico, cit., «Teista», p. 412 (M., XX, pp. 507-508).

°° Trattato, p. 149 (M., XXV, p. 108).

70.

Voltaire: religione e politica

capace, in un’epoca di persecuzioni, di venire in aiuto ai cittadini di qualsiasi culto o credenza. Se la tolleranza a cui Voltaire pensa è qualcosa di concreto, che ha come suo modello paesi quali l’Inghilterra o l'Olanda”, la religione che sola può garantire una SE È civile convivenza appare quel deismo — o teismo — che si definisce in opposizione a ogni superstizione e fanatismo. È una religione pura e priva di dogmi, di rivelazioni e di teologie, e che si carica di una

concreta istanza morale. Essa è infatti capace di rendere visibile e necessaria la fratellanza, che sola può unire gli uomini di fronte a

Dio, e di aiutare i cittadini a cercare ogni possibile forma di convivenza basata sulla comprensione reciproca. Ma il Traité è anche, e soprattutto, un esempio di quell’impegno militante di Voltaire e di quell’attitudine alla lotta e alla polemica che l’autore del Digionnatre philosophique mostra in ogni campo. Pensare la tolleranza per Voltaire significa innanzitutto impegnarsi in un programma, civile e filosofico. Significa rifiutare la tradizione metafisica e le dispute teologiche e ingaggiare, come nel caso Calas, una lotta impari contro un processo e una sentenza frutto degli odi religiosi e della superstizione. E in questa battaglia contro la metafisica e la teologia del suo tempo e contro le ingiustizie delle leggi e dei tribunali non vi è dubbio che lo spirito polemico di Voltaire si trovi perfettamente a suo agio.

‘Cfr. Voltaire, Dizionario filosofico, cit., «Tolleranza», p. 414 (M., XX, pp. 518-519): «Alla borsa di Amsterdam, di Londra, di Surat, o di Bassora, il ghebro, il baniano, l’ebreo, il maomettano, il deicola cinese, il brahmino, il cristiano greco, il cristiano romano, il cristiano

protestante, il cristiano quacchero trafficano tutti insieme: non alzeranno mai il pugnale uno sull’altro per guadagnare anime alla loro religione. Perché allora noi ci siamo scannati

quasi senza interruzione, a partite dal primo concilio di Nicea?». E si vedano le affermazioni simili delle Lezere philosophiques, cfr. Voltaire, Lettres philosophiques, in Voltaire, Mdlanges,

cit., « Sixièéme Lettre. Sur les presbytériens», pp. 17-18 (M., XXII, pp. 99-100): «Entrez dans la Bourse de Londres, cette place plus respectable que bien des cours, vous y voyez rassemblés les députés de toutes les nations pour l’utilité des hommes; là le juif, le mahométan et le chrétien traitent l’un avec l’autre comme

s’ils étaient de la méme religion,

et ne donnent le nom d’infidèles qu’ ceux qui font banqueroute; [...] Sil n°y avait en Angleterre qu’une religion, le despotisme

serait è craindre; s’il y en avait deux, elles se

couperaient la gorge; mais il y en a trente, et elles vivent en paix heureuses».

L*Occidente’

di Voltaire

di Sivio Suppa

1. Orcente e Occidente: continuità e trasformazione attraverso il filtro

della religione Nella variegatissima produzione di Voltaire, l’idea di Occidente non occupa un vero e autonomo spazio tematico , e tuttavia essa .

' Intenzione

di questo

breve

studio,

è di ricostruire,

.

1

attraverso

.

alcuni

passaggi

del

pensiero di Voltaire, il profilo di una cultura civile che prende coscienza della propria identità, e della propria specificità, seguendo percorsi diversi dalla ‘grande’ categoria della

politica. Il riferimento alla politica è di tutta evidenza, e anche di eccezionale importanza, nella prima fase del moderno, a partire da Machiavelli, da Botero e da Bodin. Di questi autori, infatti, sarebbe assolutamente impossibile trattare qualsiasi aspetto, prescin-

dendo o anche solo trascurando l’intensità dello spessore della politica, della storia, della geografia (soprattutto in Botero e Bodin), e del loro coagularsi in teoria dello Stato, Ragion di Stato, teoria della Sovranità. Dopo il XVII secolo, all’indomani della dramma-

tizzazione hobbesiana della politica, dei grandi progressi nel campo delle scienze sperimentali, all'indomani

del cartesianismo,

alla centralità della politica, che non

muore,

si

affianca una coscienza civile dell'ordine sociale, più complessa, più radicata in campi teorici connessi alla dimensione dello Stato, ma autonomi, quanto al loro processo di definizione. Oltre la politica, ma non senza, o contro, la politica in generale: questa sembra essere una possibile lettura della sottile esperienza di Voltaire, e l’idea di Occidente, non certo lontana dal problema delle forme del potere per come egli la descrive, viene qui proposta come un modo di accostarsi alla coscienza moderna, senza subire

l’assillante peso della tradizione

rinascimentale

del pensiero

‘iper-politico’.

spirito di ‘prova’ di un itinerario possibile di studio, mi sia concesso

In questo

di avvertire che le

considerazioni che seguiranno, vengono qui rese quasi nell’identica forma in cui sono state pronunciate, con $carsissime varianti marginali, e senza la pretesa di esaurire un tema — quello dell’Occidente — su cui molto ancora resta da analizzare e ricostruire

72.

Voltaire: religione e politica

rappresenta un crocevia di notevole spessore e intensità: è, infatti, un’idea diffusa in tutta l’opera del nostro filosofo, attraverso una serie di efficaci metafore, che vanno

dall’importante nesso fra reli-

gione e politica, al ruolo che ciascuna delle due esperienze singolarmente svolge nella società moderna; dal problema delle grandi trasformazioni

istituzionali, al mutamento

dei costumi, all’elabora-

zione di nuovi valori. Ma, per indicare una coppia particolarmente ‘forte’ del pensiero voltaitriano, conviene partire dal rapporto fra religione e politica, superando quella tradizionale immagine, che vuole nel nostro

filosofo un irriducibile detrattore di qualsiasi tipo di atteggiamento religioso; il problema, infatti, è decisamente più complesso e atticolato. Religione e politica, dunque: nessuna delle due si costituisce in Voltaire per effetto di una definizione astrattamente nomotetica; nessuna delle due è del tutto autonoma dall’altra; nessuna è identificabile fuori dall’idea di civiltà, intesa come svolgimento contra-

stato e discontinuo di un tempo lungo di crisi e di trasformazione. Sotto questo profilo, l'Occidente e tutta la civilizzazione occidentale, derivano in Voltaire da un susseguirsi di crisi e nuova civilizzazione, di innovazione e distruzione, di ambivalenza, o alternanza, è

IN

nell’onda maestosa del Secolo dei Lumi. Anche i rinvii in nota si limiteranno, pertanto, alla sola ‘economia’ del discorso, senza penetrare nella bibliografia, letteralmente ‘monu-

mentale’, sulle trasformazioni della coscienza borghese in Europa, su Voltaire e sull’Illuminismo in Europa e in Francia. Su Voltaire, tuttavia, è utile tener conto di alcuni riferimenti essenziali. Si vedano, pertanto, di: Paolo Alatri, Introduzione a Voltaire, Laterza,

Roma-Bari

1989, (con la ricca bibliografia a corredo); Furio Diaz,

Wo/taire storico, Ei-

naudi, Torino 1958, dello stesso, Fuosofia e politica nel Settecento francese, Einaudi, Torino 1962; dello stesso, Da/ zuovimento dei Lumi al movimento dei popoli, I Mulino, Bologna 1986;

Riccardo Fubini (a cura di e con Introduzione di), Scritti politici di Voltaire, Utet, Torino 1964; Cesare Luporini, Voltaire e le “Lettres philosophiques”. Il concetto della storia e l’illuminismo, Binaudi, Torino 1977; Giovanni Macchia, Vo/taîre. Le idee contro gli idoli, in Voltaire, I/ secolo di Luigi XIV, con Introduzione di Ernesto Sestan, Einaudi, Torino 1994, (si veda

anche la bibliografia articolata per temi, a cura di Marina Sozzi); Alberto Postigliola, La città della ragione, Bulzoni, Roma 1992; Franco Venturi, Seztecento riformatore, voll. 5, Einaudi, Torino 1969-87; dello stesso, Utopia e riforma nell'Illuminismo, Binaudi, Torino 1970. Vorrei infine avvertire che, nella densità di un testo necessariamente concentrato, ho

preferito riportare nella versione italiana gli scritti di Voltaire, per evitare il rischio di una lettura appesantita da salti di espressioni e di modalità lessicali e linguistiche.

L'Occidente di Voltaire

73

fra fede e ragione, fra progresso e negatività. Suggestivo è, a riguardo, il richiamo di una sorta di contraddizione fra la storia, ridotta quasi a ‘fantasia’ didascalica, e l’ergersi della forza critica della filosofia: «Presso tutte le nazioni — dice Voltaire — la storia è

stravolta (défiguré) dalla favola, sinchè alla fine la filosofia giunge a fare luce agli uomini; e quando finalmente la filosofia arriva al cuore di queste tenebre, trova gli spiriti così accecati da secoli di errori, che essa può a fatica sottrarli all’inganno (/es detromper)..>. In questa stessa tensione, L'Europa, l'Occidente europeo, anzi, viene già rappresentato nella sua peculiarità, distinto, cioè, dall’Oriente e caratterizzato da un’autonoma formazione di tipo quasi

strutturale: «Ci si può chiedere — leggiamo ancora

in Saggio sui

costumi — come, in mezzo a così grande quantità di lacerazioni (secousses), guerre intestine, cospirazioni, crimini e follie, ci siano stati tanti uomini che abbiano coltivato le arti utili e le arti gentili

in Italia, e in seguito negli altri Stati cristiani. È ciò che non si vede affatto sotto la dominazione dei Turchi. La nostra parte dell'Europa, deve aver avuto carattere che non si trova

nei suoi costumi e nel suo genio un né nella Tracia, dove i Turchi hanno

stabilito la loro sede, né nella Tattaria, da cui essi uscirono anticamente»). L’originalità dell’Occidente non impedisce, tuttavia, la

stretta influenza che religione e governo politico hanno sulla storia del mondo e sulla sua spiegazione, in quanto «Tre fattori influiscono

continuamente

sullo

spirito degli uomini:

il clima,

il go-

verno, e la religione; è il solo modo di spiegare l'enigma di questo mondo».

Inoltre, la storia dell’Occidente è ancora più leggibile, se

ricollegata all’interpretazione

‘filosofica’ che la sostiene.

Il suo

corso, infatti, si ispira al valore del ‘progresso’, dentro il quale l'alternanza fra produzione di forme nuove di civiltà e loro muta-

si Francois Marie Arouet, detto Voltaire, (da ora in poi Voltaire), Essai sur les meurs et

‘ésprit des nations et sur les principaux faits de l’histoire depuis Charle magne jusqu'à Louis XIV, (da ora in poi Essa), tome I et II, Garnier, Paris, 1963, t. II, p. 801; traduzione anche di tutte le citazioni successive di questa opera.

° Ivi, t. II, p. 806. ‘ Ibidem.

di

mia,

74.

Voltaire: religione e politica

mento,

è contraddistinta

dalla continua

rottura

della schiavitù,

e

dall’affrancamento dell’uomo dal rapporto semplice di dipendenza. «Presso gli Asiatici — dice ancora Voltaire — non vi è che una servitù domestica, e presso i cristiani non vi è che una servitù civile. Il contadino polacco è servo sulla terra, e non schiavo nella casa del suo signore. Noi compriamo degli schiavi destinati alle mura domestiche (des ésclaves domestiques) solo presso le popolazioni negre». Infine, sempre nel Saggio sui costumi, Vestinguersi della schiavitù coincide, tramite sanguinosi conflitti, con l'avvio progressivo di una società occidentale, divisa fra sovranità politica e autonomia molecolare dei soggetti individuali, fra autorità e soggettività, in generale”. Si può dunque sostenere una prima, importante, differenza fra Occidente e Oriente in Voltaire, lungo il diverso effetto che nei due versanti produce l’evolvere della crisi: essa è sterile e meramente

riproduttiva,

per così dire, nell’Oriente,

dell’opera di Voltaire senza

studi, senza

sottolineano

università,

senza

dove

molti

passi

l’esiguità della società civile, tribunali,

ecc.. Viceversa,

la

o Ivi ta 1,p. 805. ° Molto significativo è il giudizio che Voltaire formula sull’Italia di fine ’500: qui il contrasto lessicale fra «disordine» e «fiorire» della civiltà fissa, in un’espressione brevissima ed efficacissima, la possibilità storica, ormai tutta dispiegata, che il corso della civiltà e l'andamento dell’ordine civile, possano divergere, fino alla convivenza fra arricchimento delle forme filosofiche e culturali della civiltà medesima, e smarrimento della

forza degli istituti giuridico-politici: «Mancò — scrive Voltaire — all’Italia una forma generale di controllo (/a police généra: questo fu il suo vero flagello. Essa fu infestata a lungo da briganti, nel vivo delle sue arti (au z2//ex des arts) e nella sua pace (dans le sein de la paix), come eta già avvenuto pet la Grecia in tempi selvaggi... Malgrado questi disordini troppo diffusi (corzzzuns), l’Italia era il paese più fiorente d’Europa, se non era il più potente». (op. e, t. II, pp. 700-701, passiz). Un’analoga rappresentazione della storia come sviluppo parallelo fra violenza beluina e civilizzazione, fra esito sanguinario del settarismo religioso, e funzione ordinatrice della stessa autorità religiosa, è ancora nell’intreccio che Voltaire richiama fra scenari apocalittici delle guerre di religione, dal XIII secolo «all’inizio del XVIII», e meriti del «Papa Alessandro III. Fu lui che, in un Concilio, nel XII secolo, abolì finché potette, la servitù»; (op. cit, t. II, p. 804, passi). " Una breve, ma dura, conclusione sui Tartari, ancora in Essai, cit. (t. I, p. 616), divide

nettamente l’Oriente dall’Occidente, proprio lungo la linea di demarcazione

fra le leggi

civili, e quelle religiose, fra l’autorità di governo politico, e quella di indirizzo spirituale,

L'Occidente’ di Voltaire

75

crisi è drastica e quasi catastrofica in Occidente, ma pronta a riaccendere il corso della vita e della storia ad un livello più elevato dell’organizzazione sociale. Inoltre, se l’Oriente colpisce ancora pet il fascino e l'ampiezza dell’opera di civilizzazione che lo accompagna nel tempo antico, l'Occidente si distingue per la dimensione sempre meno ‘macroscopico-imperiale’ della sua costruzione civile, sempre più atomizzata della sua struttura politica, dalla dissoluzione dell’Impero romano, alla fine del modello di teocrazia universale, alla costituzione degli Stati, alla molteplicità, infine, dei cittadini. Lo ‘spaccato’ della società inglese, a riguardo, è

il caleidoscopio di una ricca varietà, di forme e soggetti della politica, dell'economia,

del pensiero

e delle scienze’; viceversa,

il ri-

chiamo ricorrente in Voltaire delle mode in Francia, ripropone, sì, una certa frivolezza, ma anche la acuta sensibilità e fantasia cultuè

9

rale di quel Paese.

Il racconto

5

storico

»

»,

=

n

.

delle grandi religioni orien-

tali e della società arcaica, di tipo biblico-eroico, accompagna nel

fra la presenza di sedi universitarie di studi e ricerca scientifica, e prevalenza delle tradizioni e dei costumi consuetudinari. Con maggiori particolari, e rispetto ad altre e più estese epoche storiche, l’argomento ritorna nel t. II della stessa opera, alle pp. 806-807. * È nota la forte predilezione di Voltaire per il modello inglese di società e per la vivacità e l'ampiezza del dibattito culturale d’Oltremanica, al punto che non sarebbe necessario soffermarsi puntualmente su questo vero e proprio pos dell’opera del nostro filosofo. Tuttavia un cenno assai significativo ricorre in Leztere filosofiche, quando, con una

lettura decisamente en politique, Voltaire differenzia le lotte civili dell’antica Roma da quelle della storia d’Inghilterra, proprio in funzione della qualità del loro esito e del contributo di libertà offerto dalla tradizione inglese: «Tra Roma e l'Inghilterra — egli scrive — c'è poi una differenza più essenziale, del tutto a favore della seconda: a Roma, il frutto delle guerre civili fu la schiavitù; in Inghilterra, la libertà. La mazione inglese è la

sola che sia riuscita a regolare il potere dei re resistendo loro e che, con successivi sforzi, abbia finalmente istituito quel saggio governo in cui il principe, onnipotente pet fare il bene, ha le mani legate per fare il male». Voltaire, Leztere filosofiche, in Paolo Serini (a cura di), Voltaire, Sort filosofici, Laterza, Bari 1972 (voll. I e II), vol. IL p. 23. È

appena il caso di sottolineare che nella sua Prefazione, molto opportunamente Serini pone in evidenza il carattere non speculativo della ‘filosofia’ di Voltaire, decisamente debitrice verso una concezione prevalentemente pratica della vita, e dunque verso una veduta della politica non esasperata, ma nemmeno ingenua e neutrale.

° Anche il riferimento”alle mode e ad una certa mutevolezza dello spitito dei Francesi, è abbastanza frequente nell’opera di Voltaire, e non è pertanto il caso di dilungarsi in

76

Voltaire: religione e politica

nostro autore, come del resto in Vico, tutto il carattere della storia antica. Sono così enfatizzate le figure di Mosè o di Maometto; ma ciò avviene solo nel senso del dischiudersi e, insieme, del conclu-

dersi definitivo di una vicenda politico-civile destinata a riproporsi esclusivamente sul piano della fede e, spesso, anche del fanatismo.

In questo senso, la cultura orientale conferma una nozione del tempo ancorata esclusivamente alla memoria e alla continuità conservativa. Anche la ragione, in questa logica, deriva da uno sviluppo lineare dell’autorità e del mito conservato. Di contro, il fatto storico della dissoluzione dell’Impero Romano di Occidente, e

tutte le vicende che ne seguirono, rappresentano altrettante rotture epocali. Entrambe le civiltà, in Oriente e in Occidente, passano, per Voltaire, attraverso un irriducibile fanatismo religioso e attra-

verso l'abbreviazione confessionale della politica e della forza. Le religioni orientali si affidano, però, al mito e al dommatismo, e si

rivelano incapaci di un rapporto con il mutamento; quelle occidentali, viceversa, si propongono in un volto militante, sino alla prepotente adozione del messaggio religioso che alimenta l’emblematica soluzione della notte di S. Bartolomeo,

spessissimo richiamata

da Voltaire. Il carattere rigido*della lettura orientale della religione, citazioni

e brani,

per

altro

molto

conosciuti.

Mi

limiterò

a ricordare

che

lo stesso

argomento ritorna sovente in Montesquieu, anche se in Voltaire assume una coloritura critica e ifonica assai pungente. Basterà pensare, a tale proposito, al giudizio reso nelle pagine del celebre Anzi-Machiavelli, — difficile accettare se per mano di Federico di Prussia, o per la revisione voltaitriana del testo — dove si afferma: «Il genio della nazione Francese, così diverso da quello dei mussulmani, è stato in misura determinante,

o perlomeno relativa, la causa delle sue frequenti rivoluzioni: la leggerezza e l’incostanza hanno informato il carattere di quest’amabile nazione. I Francesi sono irrequicti, libertini, e molto

inclini a prender noia di tutto; il loro amore

per le novità

si manifesta

perfino nelle cose più serie». Sull’Anz-Machiavelli, si veda la successiva nota n. 36. Qui mi limiterò a ricordare che l’opera in questione viene raccolta fra gli scritti voltairriani da Riccardo

Fubini in So

politici di Voltaire, cit.; il brano riportato è alla p. 1064, del

medesimo volume. Molto più vivace nel tono, anche se meno incisivo dal punto di vista della critica politica, è il contenuto di un’altra opera di Voltaire, Vita di Federico II, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1988. Questo libretto è utile sia come ‘diario intellettuale’ del nostro filosofo, sia come strumento di critica ironica, assai più prossimo all’autenticità dei sentimenti, per lo stile di racconto che adotta, rispetto a testi e occa-

sioni in cui il discorso viene più formalizzato.

L'Occidente di Voltaire

T7

la esclude da un rapporto positivo con la storia e con la civiltà. Il carattere parimenti rigido, ed anzi tragico, della recezione occidentale del dogma religioso, favorisce invece un processo drammatico di scissione, che è anche produzione di nuova storia e di nuovi valori, a cominciare dal valore stesso della critica e della coscienza.

2. Religione e politica: comncidenza e differenza fra Occidente e Oriente Sulla base degli elementi fin qui indicati, si può individuare nel rapporto fra religione e politica una visione incrociata in Voltaire: né l’una si risolve

esclusivamente nell’ambito

della coscienza,



l’altra si esaurisce solamente nella produzione di uno specialismo del governo, del potere e della sua auto-legittimazione.

procedono influenzandosi

reciprocamente

Entrambe

sul piano della produ-

zione dei valori e dell’organizzazione della società. Per altro verso,

anche i singoli concetti di politica e di religione, non corrispondono in Voltaire a definizioni univoche e definitive. Coerentemente con lo spirito di attenzione e di critica proprio della cultura dell’Enceyclopédie”, sia la politica viene riletta dentro un'istanza con“ Il rapporto fra politica e religione nell’Enodopédie di Diderot e D’Alembert, meriterebbe un discorso puntuale e molto articolato, che ci porterebbe anche un po’ lontani dal nostro itinerario. Pertanto qui mi limiterò a porre in evidenza un aspetto particolare, ma importante, di questo rapporto: quello che attiene alla produzione di precisi criteri di orientamento

dell’azione,

elevati a valori ordinamentali,

e contemporaneamente

ispirati

sia dalla ‘buona’ politica, sia dalla religione. Le due ‘voci’ più significative, a riguardo, sono appunto Polizigue e Réligion, firrmate da Le Chevalier de Jaucourt. Nella prima si illustra una concezione della politica nettamente influenzata dalla morale e ispirata ad un sistema di limiti del tutto contrario all’equazione ‘potere-arbitrio’. Un’incisiva riflessione critica su Machiavelli, caratterizza in modo marcato articolo in questione: essa rappresenta un vistoso esempio di persistente antimachiavellismo, suggerito da esigenze di moderazione e di ricerca, nella morale, di uno strumento di contenimento dell’esclusività

della Ragion di Stato e del primato del mantenimento

del potere.

(Si veda Diderot-

D’Alembert, Enodopédie, ou Dictionnaire Raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers..., atticolo Politique, T. XII, à Lucque, 1769, p. 738 B). In pari misura, il lungo articolo Ré/gior (Enodopédie, cit., T. XIV, à Lucque, 1770, p. 66 B), non a caso sottolinea l'evoluzione e

il contenuto delle grandi religioni occidentali, preferendo, per il Maborzétisze, un rinvio alla voce

specifica. Una

sorta di unità morale

e civile, infatti, tiene insieme

nel testo

78.

Voltaire: religione e politica

sapevole e non ingenua dell’ordine, sia la religione viene ripercorsa senza condanne di tipo assoluto, prive di qualsiasi possibilità di reinterpretazioni e revisioni. Questo atteggiamento, è per altro confermato anche dal modo in cui in Voltaire, così come in tutta l'estensione del celebre Dictionnaire! di Diderot e D’Alembert, la

medesima civiltà orientale e quella occidentale vengono descritte: per relazione, per confronto, e sempre cariche di un senso del diverso. Attento dunque ad un mondo in trasformazione e, pertanto, mai omogeneo al suo interno, Voltaire non scade, tuttavia, né nel dubbio integrale e paralizzante, né nel versante opposto, della cettezza totale ed incontrovertibile. L'immagine della diversità fra le specie animali, così come fra le forme storiche di civiltà, com-

pendia l’incertezza dei giudizi definitivi, con l'acquisizione del ca-

dell’Enoeopédie, evoluzione

della fede dall’antica Grecia fino al Cristianesimo, in quanto

religione rivelata. Tale unità è così vigorosa, da costituire addirittura un punto di contatto fra il concetto di «rligion naturello e quello di «religion revélto. L'una e l’altra si ispirano al senso del dovere e del rispetto.\dei vincoli verso gli altri, al punto che della prima, la «religione naturale», si afferma che «La si definisce anche zor4le o etica, perché riguarda immediatamente i costumi e i doveri degli uomini, gli uni verso gli altri...» (op.

cit., p. 66 B, traduzione mia). Della religione revÉée, si dice che «è quella che ci istruisce circa i nostri doveri verso Dio, verso gli altri uomini, e verso noi stessi, attraverso

qualche mezzo sovranaturale, come un’espressa dichiarazione di Dio medesimo...» (ibidem, traduzione mia). Infine, la stessa voce Maborzetisme, pure a firma di De Jaucourt, critica la religione orientale e l’islamismo in generale, per le loro affermazioni ritenute incoerenti, richiama alcuni luoghi del Corano, filtrandolo attraverso una tipica sedimenta-

zione cristiano-borghese, ma non può fare a meno di fermare la sostanza di «una idea del Maorzettismo, intorno al fatto che esso «ha dato una nuova forma (Eneyclopédie, cit., T. IX, à Lucque, 1767, p. 700 A, traduzione mia).

a tanti imperi»

" L'attenzione alle forme orientali di civiltà è intensissima in una grande quantità di ‘voci’ di argomento geografico, scientifico, religioso, dell’Eyeyelopédie; darne conto in una

breve nota non è certamente possibile, anche perché ciò aprirebbe percorsi di indagine abbastanza lontani dallo spirito e dalle intenzioni del presente contributo. Va sottoli neato,

in ogni caso,

che tutti i riferimenti

all’Oriente,

agli Arabi

e alla loro cultura,

tendono a descrivere le differenze fondamentali rispetto agli usi, alle leggi e alle filosofie occidentali;

ma

il fatto

che

l'Oriente

costituisca

la culla

di grandi

civiltà

e consegni

l’esperienza storica di organizzazioni politico-militari di estensione territoriale vastissima, non è mai messo in discussione.

L'Occidente di Voltaire

rattere molteplice del mondo storia degli uomini

presenta

79

e della vita‘. In questo ambito, la poche

costanti,

ma

certamente

non

smentisce mai il ruolo della politica e della religione. Voltaire le riassume entrambe, secondo un’idea relativa, talvolta anche un po’ bifronte, e ne rivela continuamente le molteplici direzioni, ora verso l’edificazione, ora verso il dommatismo, ora verso entrambi

gli esiti. In ogni caso, precisando due indirizzi fondamentali suo

conoscere

per differenza, Voltaire ricorre al metro

del

delle reli-

gioni e delle sette, per analizzare le forme di vita e di ordinamento in Oriente. In Occidente, al contrario, l'osservatorio più adeguato

è quello della molecolarizzazione politica che gli è propria, dalla lunga e sofferta ‘gestazione’ romano-barbarica, al diritto e alla filosofia moderni, alle potenzialità laiche e civilizzattici di una serena educazione religiosa. La crisi della coscienza europea, specialmente attraverso quel formidabile filtro che è il Saggio sui costumi, mostra

ga luoghi in cui Voltaire sottolinea le differenze che contribuiscono a definire Vinsieme dell’umanità, sono veramente assai numerosi, sia nei racconti immaginari, come Candido ovvero l'ottimismo (Rizzoli, Milano 1992, con Introduzione di Italo Calvino), sia nelle opere storiche e filosofiche. Con particolare efficacia, il principio della molteplicità della vita e delle forme di civiltà, il progressivo allargamento e la differenziazione dei saperi

che scandisce le grandi epoche storiche, ricorre sicuramente in apertura del celebre // secolo di Luigi XIV,

quando

il nostro

autore

colloca

nell’Italia, prima, e nella Francia,

dopo, i due grandi contesti occidentali capaci di rappresentare il progressivo ampliamento e la diversificazione delle arti e dei saperi. La differenza che, con notevole acutezza, Voltaire assegna ai due Paesi citati, sembra infine consistere nel carattere originale e innovativo della cultura italiana sul piano delle scienze e della civiltà, rispetto

al valore di sintesi fra affinamento dello spirito e concentrazione politico-statuale, della Francia di Luigi XIV: «Le arti, — scrive Voltaire — che furono sempre trapiantate di Grecia in Italia, trovarono ivi terreno favorevole, dove riuscivano a fruttificare di colpo: Francia, Inghilterra, Germania e Spagna vollero alla lor volta di quei frutti, ma essi o

non crebbero nei loro climi oppure degenerarono assai presto...Insomma, solo gl'italiani possedevano tutto, se se ne eccettua la musica, non ancora giunta a perfezione, e la filosofia sperimentale, per ogni dove ugualmente ignota, che Galileo doveva rivelare poco tempo dopo. La quarta età è quella che vien detta di Luigi XIV, di tutte è forse quella che più dappresso tocca la perfezione...; si può dir senz’altro che, a contare dagli ultimi anni del cardinale di Richelieu fino a quelli seguenti alla morte di Luigi XIV, nelle nostre arti, nel nostro spirito, nel nostro costume s’è compiuta, come nel nostro governo, una rivoluzione generale che sarà eterno segnacolo di vera gloria per la nostra

patria». (Voltaire, // secolo di Luigi XIV, cit., pp. 11-12, pass).

80.

Voltaire: religione e politica

in più luoghi i benefici sedimenti di un rapporto fra fede e politica, influenzato dalla sfida del governo ordinato e del controllo politico efficiente. La religione si propone, insomma, a nomencla-

tura di due diverse concezioni dell'ordine, sistema, se separate dal sentimento della religiosa originaria, di ispirazione orientale, bile per Voltaire, e per il suo spirito laico, storico-mitico

ma entrambe incapaci di fede. Anche l’esperienza sembra infatti recuperase sottratta al ‘romanzo’

delle scritture sacre, e ‘occidentalizzata’, cioè ricon-

dotta ad una genesi antropologica, ad una concreta storia di popoli, alla ricerca di un codice di valori. In Storia dell'affermazione del Cristianesimo, durissima è la sua posizione contro le «superstizioni ebraiche» (è il titolo di un intero capitolo) e più in generale contro l'adozione ebraica del messaggio religioso, giudicata troppo riduttiva’. Ma nella stessa opera, (ed anche in altre) dietro la religione, Voltaire

scorge,

nella storia orientale,

un

linguaggio

semplice

ed

essenziale, utile però a distinguere fra giusto e ingiusto, fra egoismo e solidarietà. Un’interpretazione ‘disciplinare’ e pregiuridica del mistero religioso, in questa logica è già il risultato di un filtro, tutt'altro che neutrale, nell'impianto voltairriano: il nostro

filosofo, infatti, superando l’aspetto dottrinario e metafisico della religione, assume persino il paradigma orientale dentro la prospettiva di una

reintegrazione

dell’ordine

e del giusto;

egli ‘riparte’,

cioè, dalla concezione orientale della religione, avendola riletta secondo la più autentica storia occidentale della civilizzazione. Difficile accertare se esista in Voltaire, sia pure in modo ancora implicito e parziale, una nozione coerente di società cristiano-borghese; più facile è, invece, constatare che nelle sue pagine si introduce,

nel fondamento stesso dalla storia e dell'assunzione non mitica del messaggio religioso, un principio di potesse, di massima evidenza. Si tratta, per questo filosofo ‘mondanissimo’, se così si può dire, di

affermare nella religione non già il rapporto con l'assoluto, e nemmeno

13

la dottrina dei misteri, ma la dimensione storico-umana della

i,

h

à

ie

7

3

Voltaire, Storia dell'affermazione del Cristianesimo, a cura di Francesco

Bastogi, Foggia 1987, p. 32 e ss.

RIOT

Capriglione,

L'Occidente’ di Voltaire

socializzazione

in generale, e del sostegno

al governo

81

politico, in

particolare. Alla domanda «A che cosa poteva essere utile il cristianesimo», risponde un capitolo della già menzionata Storia dell'affermazione del Cristianesimo, alla luce di una sorta di inveramento civile della religione e di una sua giustificazione solo grazie ad un’osservazione occidentale e societaria. Una prima critica della religione, pertanto, è in effetti di carattere, diciamo pure materialistico; ma essa non mira alla banale

distruzione del fatto storico della fede. In moltissimi luoghi della sua opera, dalle Lezzere filosofiche, al Dizionario filosofico, ad altre ancora, Voltaire insiste sempre su di una rivisitazione ‘tenue’ 0, meglio, mondana, della sacra scrittura e sulla facile riducibilità del

Nuovo Testamento alle sue circostanze storiche più materiali, cioè più umane,

e meno

dogmatiche. Una seconda critica, per così dire,

introduce il principio della civilizzazione, accompagnato dalla possibilità concreta di un’etica societaria congiunta al senso dell’ordine e del dovere,

e a quello della sanzione:

«Nessuna

setta, —

dice

Voltaire — nessuna scuola potranno essere utili per i loro dogmi puramente filosofici; gli uomini, infatti, saranno migliori, se Dio avrà un logos o se ne avrà due o se non ne avrà affatto? Che cosa importa al benessere sociale che Dio si sia incarnato quindici volte... o centocinquanta volte...» Gli uomini non potevano fare niente di meglio che ammettere una religione, che somigliasse al miglior governo politico. Orbene, questo miglior governo umano consiste nella giusta distribuzione delle ricompense e delle punizioni; tale doveva

giusti, sarete norma

essere,

quindi, la religione più razionale.

favoriti da Dio, siate ingiusti, sarete

suprema

in tutte le società, che non

Siate

puniti. È la

siano completamente

selvagge» . Un principio di ordine, persino di deontologia, affida alla religione, ridisegnata con un suo volto razionale e perciò più

legato al presente e alla già collaudata cultura occidentale, un compito non esplicabile al di fuori del senso della politica e del ‘contatto”

con

vigp:1100:

il fattore

costrittivo,

con

la ‘forza’

della

disciplina.

82.

Voltaire: religione e politica

Questa ridefinizione della religione, questa sua versione occidentale in quanto razionale, ne determina la definitiva fuoriuscita dalla

dimensione isolata della coscienza; la quale, in quanto libera e neutralizzata nello spazio della tolleranza, è irrilevante per la specificità della fede, ma in quanto congiunta ai suoi effetti sociali, è attesa alla verifica della conservazione della civiltà. Ogni tentativo di scindere il nesso della religione con la politica, ne cancella contemporaneamente l’utilità, ma anche il novero dentro la nozione della civiltà'’: «La legge ebraica, — leggiamo ancora in Voltaire — che prometteva come ricompensa solo vino e olio e minacciava solo rogna e ulcere alle ginocchia, eta, quindi, una legge di barbari e rozzi». Viceversa, guardando alla funzione di educazione e mi-

‘’ È il caso di richiamare le efficaci espressioni di Voltaire a proposito della possibile sintesi fra religione e politica, ancora più facilitata dal progresso in materia di tolleranza, raggiunto dai grandi Stati europei. La misura di tale progresso vede due precisi riferi menti; il primo, di carattere

dalla mentalità

radicale

storico, segna un allontanamento

della Riforma

dell'Europa dal tempo

e dei suoi effetti civili, giudicati disastrosi

e

da

Voltaire. A tale proposito, infatti, dopo aver avvertito che «Si abusa della distinzione fra

potere spirituale e potere temporale» (Voltaire, La voce del saggio e del popolo, in Scritti politici, cit., p. 433), egli dice: «Se Lutere, e Calvino tornassero

a vivere non

desterebbero

maggior interesse degli scotisti e dei tomisti. Perché? Perché capiterebbero in tempi, in cui gli uomini cominciano a essere illuminati. È soltanto in tempi di barbarie che si vedono

stregoni, invasati, re scomunicati,

sudditi svincolati

dai dottori

dal loro giura-

mento di fedeltà» (op. «4, p. 434). Il secondo riferimento, di carattere decisamente filosofico, consiste nel principio di ragione. Quest'ultima, già capace di attenuare ogni radicalismo religioso evitando la confusione fra passione e religione, non solo non si contrappone in modo semplice alla fede, ma finisce anche con il salvaguardare un margine positivo di presenza e forza moderattice della religione medesima: «La ragione,

- afferma Voltaire — progredendo distrugge il seme delle guerre di religione. È lo spirito filosofico che ha bandito dal mondo questo flagello... La ragione ci insegna che un principe può lasciare sussistere qualche antico abuso, come quello di lasciar decidere dalla corte di Roma di certi affari che potrebbero benissimo decidersi nel suo consiglio» (op. cit, pp. 434-435 passim). Sulla base di questi due importanti riferimenti — tempo e ragione — il nostro filosofo può ben sostenere l’importanza di un esito tutto politico della sintesi governo-religione,

fino a concludere,

dopo

aver

riservato

alla figura del

«principe» il compito della conservazione mondana e del mantenimento della vita: «Un principe filosofo incoraggerà la religione che insegna sempre agli uomini una limpida e utilissima morale: impedirà che si mettano in discussione i dogmi, perché tali discussioni hanno fatto soltanto del male» (op. cit, p. 437). ‘°° Voltaire, Storia dell'affermazione del Cristianesimo, cit., p. 100.

L'Occidente di Voltaire

83

glioramento dei costumi che lo stesso islamismo ha realizzato servendosi dello strumento della fede e della rigida regola che ne è seguita, il nostro autore rivaluta la figura di Maometto. E si tratta di quella stessa figura che più e più volte nella sua stessa opera (e anche in alcuni brani dell’Enogedopédie di Diderot e D’Alembert), ha riscosso assai frequentemente il pesante attributo di «ipostezm» e «fanatiquo. Il sacro tempio a La Mecca, dove sono esposti pensieri e composizioni attribuiti

a Maometto,

nella sua sacralità, per Vol-

taire indica contemporaneamente un principio di fede e di acrisia: «Non si deve dubitare; — leggiamo nel Saggio sui costumi — è qui la scienza dei giusti, di coloro che credono ai misteri, che pregano quando bisogna farlo, che danno con generosità, ecco”. AI di là della curiosa coincidenza fra scienza e assenza di critica, propria di

un modo di leggere il connubio fra civilizzazione e mentalità di stampo religioso nella tradizione orientale, colpisce in Voltaire il secco apprezzamento per l’ordine civile che da quella mentalità è derivato. Maometto — ricorda il filosofo — moralizzò infatti e ridimensionò il costume della poligamia, e contemporaneamente persuase i popoli vinti al rispetto rigido delle leggi, li condusse a cogliere il vantaggio di una vita regolamentata grazie ad una condotta stringente ed esemplare e grazie al vincolo religioso”. Appare evidente un certo recupero di valore delle confessioni orientali, — che per Voltaite non sono religioni di verità — proprio quando esse si trasferiscono sul piano civile della produzione o conservazione di valori, e dunque proprio quando si accostano alla tradizione occidentale e all’utilità per l’ordine'”. Un modello inter7 Voltaire, Essai, cit., t. I, p. 259. Si noti che proprio nella stessa pagina, ricorre uno

dei molti casi di attribuzione a Maometto

dell’appellativo di «poste4».

5 Ivi, pp. 269-272. ” Non a caso Voltaire, in una breve sua massima, indica nel primato del diritto il criterio universale di convivenza umana e di ordine, attraverso il nesso libertà-

obbligazione. In questa prospettiva, ben si comprende anche il significato degli apprezzamenti

su Maometto,

riesaminato, in chiave mondana,

dentro la storia progressiva del

divenire dell’ordine universale: «La libertà — leggiamo in Pensieri sul governo — consiste nel non dipendere che dalle leggi. In ragione di ciò, ogni uomo è oggi libero in Svezia, in Inghilterra, in Olanda, in Svizzera, a Ginevra, ad Amburgo;

lo è anche

a Venezia

e a

84

Voltaire: religione e politica

pretativo abbastanza regolare e costante, si dispone petciò in Vol taire nell’idea di religione e di politica. In fondo a questo modello,

rinveniamo l’adozione di significati e fini sostanzialmente omologati, tanto dell’Oriente, quanto dell'Occidente, e rappresi dentro la

misura della produttività civile delle due diverse tradizioni di fede. Il paradigma morale della società, già prossimo ad una sintesi cristiano-borghese, arricchita da una consapevole ricerca delle condizioni per l’ordine, porta il nostro filosofo a riesaminare l’uso della religione nell’Occidente, cioè nella cristianità, come

storia di

un’incoerenza rispetto al messaggio originario e alla funzione morale e civile della stessa fede religiosa. Quasi un corso inverso, un incrocio di percorsi, segna pertanto i due scenari di Oriente e Occidente: qui la religione, perdendo progressivamente i suoi contenuti di solidarietà e di pietà, ha visto accrescere il suo potenziale di distruttivo dommatismo fino all’estremo del fanatismo e dell’assassinio. In Oriente, invece, la durezza del patrimonio religioso ha

generato livelli sempre più elevati di affinamento e di rigore dei costumi. «Atteniamoci (bornons-n0us) sempre a questa verità storica: — dice Voltaire — il legislatore dei musulmani, uomo potente e terribile, stabili i suoi dogmi con il suo coraggio, e con le sue armi; eppure la sua religione divenne indulgente e tollerante. Il divino maesto

del cristianesimo, vivendo

secondo

umiltà e nel ri-

spetto della pace, predicò il perdono degli oltraggi; e la sua santa e dolce religione è diventata, pet i nostri furori, la più intollerante di tutte, e la più barbara»”. Non è certo di poco conto la critica che Voltaire rivolge alla religione dell’Occidente, la stessa che egli in più luoghi non esita a definire «la vera», di contro «a quelle di Maometto, dei pagani e tutte le altre», che «sono false». E evidente una specie di chiasma,

sul piano della tolleranza e del rapporto fra tolleranza e civilizzaGenova, benchè chi non rientri nel corpo dei dirigenti vi sia avvilito; ma vi sono ancora regioni e vasti regni cristiani dove la maggior parte degli uomini è schiava» (Voltaire, Pensieri sul governo, in Scritti politici, cit., p. 444). °° Voltaire, Essai, cit., PAID: ©" Voltaire, Lettere filosofiche, in Scritti filosofici, cit., vol. I, pp. 88-89.

L'Occidente’ di Voltaire

85

zione: la religione più adottata e condivisa nell’Occidente, ha progressivamente perso le sue caratteristiche più occidentali. Essa ha vissuto il tempo della crisi rimettendo progressivamente il suo ruolo ad altre esperienze, e alla politica in primo luogo; anzi, di

fronte alla politica, la religione si è limitata ad una completa e acritica subalternità al dominio, all’ambizione arbitraria e arrogante in generale. Viceversa, il principio di valore introdotto dai musulmani in modo politico-militare, senza altre mediazioni e per il tramite del fanatismo rozzo, ha trovato uno strumento

formidabile

di penetrazione proprio nelle forme della morale e del costume, cioè su di un piano pre-politico. Il discorso vale contemporaneamente in due direzioni. Da una parte, si rendono visibili una logica ed un modo

occidentale di leggere la stessa crisi dell'Occidente

europeo:

tutto

per

Voltaire la sua storia consiste, in fondo, in un lento avvicinamento, passando per le Crociate, verso il Moderno e verso la drammatica relazione fra Ragion di Stato, e processo di costituzione storica delle grandi monarchie nazionali. Da un altro lato,

quel discorso critica il divenire della stessa civiltà sulla quale esso è costruito; quel discorso pone, insomma, un criterio di discussione acuta della forma della secolarizzazione dell'Occidente e della sintesi stretta,

quasi soffocante,

fra fede e politica,

fra religione

e

affermazione della potenza. Contemporaneamente, il sottile gioco di specchi a cui si affida il ragionamento di Voltaire, propone una doppia veduta del rapporto fra fede e civiltà, fra fede e arricchimento ideale dell’organizzazione sociale: pur quasi rigettando le forme in cui questo processo ha avuto luogo in Occidente, egli in realtà riconferma l'opzione per una concezione fortemente occidentalizzata della religione. Essa, infatti, assieme con l’intera nozione della scienza e della filosofia, è informata al principio, ancora tutto occidentale, della rottura delle grandi aggregazioni, della modernizzazione, come effetto di una progressiva e dirompente

espansione della molteplicità e della irriducibilità dei luoghi e dei soggetti della civilizzazione. 4

86

Voltaire: religione e politica

3. I caratteri dell'Occidente. Modernità, diversificazione, tolleranza Trasferendo su altro piano la sua veduta del progresso e della storia, Voltaire, in frequenti occasioni, sottolinea fra le condizioni del progresso, il fattore dell’intraprendenza e dell’emulazione all’interno delle relazioni sociali e individuali. Questa rappresentazione, esaltata in modo particolare nell’analisi della società inglese, si atticola sul piano della politica, così come su quello dell'economia; ma

ad essa corrisponde una disposizione morale di più ampia portata, ed una vera deontologia della vita, che si ispira ad un individualismo razionalizzato e moderato: «Una repubblica non si fonda affatto sulla virtù: — afferma categoricamente Voltaire — si fonda sopra l'ambizione di ogni cittadino, che trattiene l'ambizione degli altri; sull’orgoglio che reprime l'orgoglio, sul desiderio di dominare che non tollera che un altro domini. Di qui si formano le leggi che conservano per quanto è possibile l’uguaglianza...»°. Il valore relativo dell’eguaglianza, è tuttavia sufficiente a revocarne ogni significato livellante, fino a ricondurre al principio del corpo singolo, della dimensione individuale-molecolare, l’impercettibile gioco dei difficili equilibri fra opzioni,.potenze particolari e ordine complessivo. Riprendendo in altro linguaggio l’attenzione al ruolo del soggetto individuale, al suo significato civile come centro di imputazione giuridica, morale e di interessi materiali, (a cui si ispira, per

altro, tutta la cultura giuridico-civile dell’Eneyd/opédie di Diderot e D’Alembert), Voltaire dichiara esplicitamente la sua scelta per una valorizzazione convinta e benefica dei presupposti individualborghesi della civiltà occidentale e delle sue capacità autopromozionali: «Quando

l'emulazione

non li eccita, — egli dice — gli uo-

mini sono allora degli asini che vanno pian piano per la loro strada, che si fermano al primo ostacolo...; ma... allo stimolo di un pungolo che li sveglia, sono dei corsieti che volano e saltano al di là dell'ostacolo». La qualità deontologica, innovativa, dei grandi

° Voltaire, Pensieri sul governo, in Scritti politici, cit., p. 451. © Voltaire, Lasciare andare il mondo come va?, in Scritti politici, cit., p. 381.

L'Occidente’ di Voltaire

pensatori, del loro spirito civile e del loro apporto

perciò frequentemente

sottolineata attraverso

87

di scienza, è

riferimenti all’Abbé

de St. Pierre, all'importanza di Locke, alla filosofia di Newton

e, in

genere, al ruolo di tutta la filosofia occidentale. L'insieme di questa cultura, ripercorso nelle Lezzere filosofiche, nel Dizionario filosofico, nel Saggio sui costumi in modo particolare, offre a Voltaire il fondamento di una riproblematizzazione della politica e del governo. Politica e governo: si tratta di due esperienze che al nostro autore non

sembrano

più, ormai, riassumibili dentro la stretta lo-

gica della ragion di Stato. Ciò vale sicuramente per quanto riguarda la ridefinizione dei presupposti morali del principio di autorità e dei suoi effetti nella conservazione

dell’ordine

e della vita;

ma vale anche in quella sottile inclinazione voltairriana, contraria all'idea di una nuova stagione di identificazione categorica e automatica fra Stato e cittadino, fra ordine politico, e vita materiale. A

questo livello, la complessità del moderno si rivela a Voltaire come fine di ogni certezza filosofica, di ogni progresso al riparo dalla critica, di ogni illusione intellettuale, compresa quella di un riutilizzo autoritario della sintesi fra politica e religione. L’idea di Occidente, in sostanza, vive essa stessa una sorta di aggiornamento:

quest’ultimo

muove

proprio dal principio del mutamento

e del

progresso, che il nostro filosofo cerca di ridefinire in un’accezione non di ‘fede’, e nemmeno di ‘intollerante’ automatismo. ‘Progresso’

e ‘diversificazione’ intervengono riproblematizzazione,

come

fattori di spinta pet una

ormai necessaria, della filosofia e della poli-

tica. Di tale riproblematizzazione Voltaire avverte tutta la difficoltà, ma anche la potenziale dirompenza: la. ricerca di un nuovo equilibrio fra teoria e processo, pet lui comporta, infatti, un rinnovato confronto, non dommatico e nemmeno banalmente ottimistico, fra governo e religione, così come, più in generale, fra politica e ragione. Si tratta in sostanza, per Voltaire, di recuperare e contemporaneamente riclassificare il binomio fondamentale — politica e religione — su cui l’intera civiltà occidentale si è retta, e di

condurre ad una sua piena evidenza, ma anche ad una conclusione non catastrofica, il rapporto fra sviluppo e crisi cui quel binomio rinvia. Così, l’effetto innovativo della ‘pia’ morale cartesiana e del-

88

Voltaire: religione e politica

l’innatismo

razionalistico

che la sostiene,

non

apparte

a Voltaire

immune dal rischio di nuove occasioni di dommatismo e di ripristinate, quanto inattuali, polemiche sull’immortalità dell’anima. L’opzione per Locke e per Newton”, pur nel rispetto del pensiero e dell'umanità del grande René, rappresenta soltanto un lato della revisione critica di un’intera cultura filosofica — quella del mentalismo cartesiano — condizionata, per Voltaire, dalle sue radici metafisiche

e dalla

dilatazione

del metodo

geometrico.

L'altro

lato,

lungo il quale procede un ulteriore aggiornamento critico, è appunto quello della politica, alla quale soccorre una notevole riaffermazione

dell’etica, ma

anche

una vigile ricerca di equilibrio e di

moderazione. Movimento ed equilibrio sono i due aspetti congiunti della forma della politica che Voltaire elabora, e della sua enigmatica, quanto celebre, sintesi di assolutismo e illuminismo. Che questa sintesi e il suo stesso valore di sfida etico-politica, quasi di ossimoro fra ordine e tolleranza, segni una vera frontiera dei termini nuovi della politica nell'orizzonte occidentale, è detto con chiarezza dal nostro autore. Egli, da un lato, riaddebita ancora

agli Ebrei una scarsa attendibilità nell’interpretazione della parola sacra e soprattutto nella sua traduzione in termini di tolleranza: «Dio ordinò loro [agli Ebrei] — egli scrive — qualche volta di M\

“Fra i molti riferimenti sull'argomento, credo particolarmente significativi due capitoli di Lezzere filosofiche: il primo, Locke, e Paltro, Descartes e Newton (rispettivamente alle p.

41 e 51 del vol. I degli Seri? filosofici, cit.), rendono con particolare chiarezza il senso della ‘svolta’

filosofica

cui è rivolto

l’interesse

di Voltaire.

Un

suo

breve

passo,

poi,

rende bene le ragioni della critica rivolta a Descartes e della ricerca di un fondamento non più metafisico e geometrico della conoscenza: «Il nostro Descartes, — leggiamo — nato a scoprire gli errori dell’antichità, ma per sostiturvi i propri, trascinato da quello

spirito sistematico che acceca gli uomini più grandi, s'immaginò di aver dimostrato che l’anima fa tutt'uno con il pensiero, nello stesso modo che la materia, secondo lui, fa tutt'uno con lestensione; sostenne che si pensa sempre e che l’anima giunge nel corpo già provvista di tutte le nozioni metafisiche, della cognizione di Dio, dello spazio, dell’infinito

e di tutte le idee astratte, piena insomma

di mirabili

conoscenze,

ch’essa

malauguratamente dimentica quand’esce dal ventre materno... Dopo che tanti raziocinatori ebbero composto il romanzo dell’anima, venne un saggio che ne fece modestamente la storia. Locke ha spiegato all’uomo la ragione umana, come un valente anatomista spiega la struttura del nostro corpo» (Voltaire, Leztere filosofiche, in Scritti filosofici, cit., vol. I, pp. 43-44, passi).

L'Occidente di Voltaire

89

uccidere gli idolatti e di risparmiare soltanto le ragazze nubili: essi ci considerano

come

idolatri

e anche

se noi oggi li tolleriamo,

potrebbero bene, se fossero i padroni, non lasciare al mondo che le nostre figlie... Se gli Ebrei ragionassero così anche oggi, è chiaro che non potremmo rispondere diversamente che mettendoli alle galere». La fermezza di questa posizione, ben si congiunge con il richiamo di un’ascendenza asiatica dell’intolleranza, trasmessa poi all’Occidente e quindi sovrapposta alla sua precedente esperienza di tolleranza”. Costantino fu debole e incostante nel contenimento

° Voltaire, Trattato sulla tolleranza in occasione della morte di Giovanni Calas (da ora in poi Trattato sulla tolleranza), in Scritti politici, cit., pp. 552-553, passi. °° Sull’origine dell’intolleranza, Voltaire assume una posizione molto chiara, escludendola sia dal mondo antico occidentale, sia dalla tradizione romana. Anche a tale proposito, considerazioni storiche si mescolano con un'importante riflessione politica, che nel

nostro autore rappresenta una vera e propria innovazione teorica. I precedenti dell’intolleranza vengono infatti negati, in sede storica, già a partire dalla tradizione greca. Questa, pur contrassegnata da guerre, da antagonismi e dalla motivazione bellica fondata sulla nozione

di ‘nemico’,

si caratterizza, per Voltaire, pet l’assenza

di estremizzazioni

religiose dell’intolleranza: «C’era una specie di diritto di ospitalità fra gli dèi come fra gli uomini. — leggiamo nel celebre 1raztaro sull'intolleranza — Quando uno straniero arrivava in una città, cominciava

a venerare gli dèi del paese; non

si trascurava

mai di venerare

perfino gli dèi degli stessi nemici. I Troiani rivolgevano preghiere agli dèi che combattevano per i Grec» (in Scritti politici, cit., p. 485). Ancora sul piano storico, anche la grande forza di Roma non si fondò mai su pratiche di intolleranza. Il principio dell’Urbanité romaine, cui VEnoyclopédie di Diderot e D’Alembert riserva una ‘voce’ ricca e puntuale, si ritrova in Voltaire con particolare vigore, riferito a fonti letterarie dell’antica Roma e a narrazioni storiche precise: «Questo popolo sovrano [il «popolo romano] + egli scrive — pensava soltanto a conquistare, a governare e a incivilire l’universo. Sono stati nostri legislatori e nostri vincitori: mai Cesare, che ci dette catene, leggi e giuochi,

ci costrinse ad abbandonare i nostri druidi per lui, per gran pontefice che egli fosse di una nazione nostra sovrana. I Romani non professavano tutti i culti, né a tutti davano pubblica sanzione; ma li permisero tutti... Gli Ebrei vi [a Roma] commerciavano fin dal tempo delle guerre puniche; avevano delle sinagoghe al tempo di Augusto, e le conservarono quasi sempre, così come nella Roma moderna. Vi può essere un esempio maggiore che la tolleranza era considerata dai Romani come la legge più sacra del diritto delle genti?» (Traztato sulla tolleranza, in Scritti politici, cit., p. 488, passim). Le successive persecuzioni religiose, sostiene Voltaire, trovano

fondamento

nell’interpretazione settaria

e rigida della sacra scrittura, ad opera dei giudei (op. ci, pp. 488-490). Infine, soffermandosi

più puntualmente

sul tema

delle persecuzioni

anticristiane

in età imperiale,

egli

introduce una motivazione tutta politica, dedotta dalla proiezione nel tempo antico di una categoria analitica decisamente moderna, quale è, nel suo linguaggio, la ragion di

90

Voltaire: religione e politica

della disputa dottrinaria

fra «l vescovo

Artios o Arius»; la sua sostanziale

Alessandro»

e il «prete

colpa fu «..tuttavia il fatto che

aprì la via a tutti quei flagelli che vennero dall'Asia per inondare l'occidente. Da ogni versetto contestato uscì la furia armata d’un sofisma e d’un pugnale, che rese tutti gli uomini insensati e crudeliv. Persino le successive invasioni barbariche, per Voltaire, risul-

tarono in Occidente «infinitamente» meno dannose del morbo dell’intolleranza contratto dall’Oriente. Il giudizio sulle due aree del mondo non poteva essere più categorico, e la ripresa di uno schema ‘virtuoso’ del pensiero senza pregiudizi, in grado di anteporsi persino alla scienza, richiama il valore della pratica e della vita di relazione,

di contro

alla facile tentazione

di gabellare

di-

spute sterili e scolastiche, inutili bizantinismi, pet scienza e filosofia”. Lo schema teorico-conservativo della tolleranza si presenta così come il recupero dell’antica tradizione greco-romana, poi interrotta; ma quello schema è anche il rinnovato strumento della funzione civilizzatrice dell'Occidente. La sopravvivenza di questo significato di progresso della civiltà occidentale, dipende in Voltaire dall’affermazione di un metodo di analisi della storia, che cortrisponde anche ad un’esclusioge di valori, o almeno ad una scelta di

valore asimmetrica: il fatto stesso di proporre un patrimonio occidentale restaurato e reso alla sua positività, se ricondotto alla sua migliore flessibilità morale, rivela in Voltaire un vero e proprio esercizio

di prelazione, inconfessato,

Stato. L'alternativa tolleranza-intolleranza,

a favore

di un

sottratta alle sue motivazioni

codice

occi-

più evidenti e

radicali, ma meno autentiche nel giudizio di Voltaire, è resa a quelle meno dichiarate, ma assai più determinanti sul piano della decisione politica e delle forme della convivenza: «Uomini come Tito, Traiano, gli Antonini, Decio, scrive ancora il nostro autore —

non erano dei barbari; si può pensare che abbiano privato soltanto i Cristiani di una libertà di cui tutti godevano? Sarebbe stato possibile anche solo accusarli di avere dei misteri segreti, mentre i misteri di Iside, quelli di Mitra, quelli della dea di Siria, tutti

estranei al culto romano,

erano permessi senza limiti? Bisogna pure ammettere

che la

persecuzione abbia avuto altre cause e che gli odii particolari, alimentati dalla ragion di

Stato, abbiano spinto a versare sangue cristiano» (0). cit, p. 493). ? Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cit., p. 560.

° Ibidem. Avi tpal550;

L'Occidente’ di Voltaire

91

dentale dei valori, la cui portata viene allargata in chiave universale.

Specialmente nelle pagine del Saggio sui costumi, la continuità di tale codice, risulta in fondo

interrotta

solo dalle degenerazioni

barba-

riche e dalla disumanizzazione delle guerre di religione: ciò gli consente di ergersi a metro universale di giudizio, valido anche per la storia di quell’area di mondo che classifica, e definisce altra e diversa da sè. L’Occidente è perciò il soggetto; l'Oriente è invece l’oggetto. Il primo, dopo aver coniugato il razionalismo geometrico con la sagesse, si propone ora di fare della tolleranza un progetto politico, e di condurla all’interno dello Stato. Il secondo, cioè POriente, vive invece già appagato e concluso in una molteplicità di razze e religioni, in cui la convivenza, assistita da un ordine stagnante e del quale non è consentita la critica, ripieghi soltanto sul

costume specularmente riprodotto e reiterato. Nel primo caso, in Occidente,

progresso,

deontologia

e convivenza

cercano

il loro

equilibrio come soluzione positiva della crisi e come realizzazione di un prodotto storico-umano nella densità della politica. Nel secondo caso, in Oriente, la religione, i costumi e il buon senso,

hanno rarefatto la politica fino a confonderla con il rispetto e la conservazione inalterata delle tradizioni. Ciò spiega le grandi e inerti aggregazioni dell’Oriente e la caratteristica che lo accompagna, di un tempo della storia più lungo e più lento. La formula di questo scenario

statico dell'Oriente, è raccolta da Voltaire nel-

l’investitura lineare del mandato di governo, gerarchica e pacificamente supina ad un equilibrio di identità fra /ezzpora e zores. «To gli ordino — fa dite Voltaire al sultano, a proposito del suo rappresentante — di andare a risiedere come vescovo nell’isola di Chio, secondo il loro antico costume e le loro vane cerimonie”. Questo

impero è pieno di giacobiti, di nestoriani, di monoteliti; vi sono copti, cristiani

di S. Giovanni,

ebrei, ghebri, baniani.

Gli annali

turchi non ricordano nessuna rivolta suscitata da qualcuna di queste religioni”. Non è casuale che l'osservazione dell'Oriente nell'immaginario

VigprATT.

92

Voltaire: religione e politica

viaggio delle Leztres persanes, faccia emergere anche in Montesquieu la vivissima separazione di tempi e abitudini fra quella parte del mondo e l'Occidente. I Persiani adottano un paradigma conservativo affidato a rapporti gerarchici, discriminatori

mente

consuetudinari

e ridotti

a canone.

e tuttavia solida-

I Parigini sono

invece

protesi nel vortice della loro città occidentale; essi ricercano livelli

continuamente nuovi, più ardui e socialmente più rischiosi di compensazione culturale e politica delle differenze di ruolo in cui sono immessi”. Questo stesso scenario occidentale si profila anche in Voltaire, spingendo ancora oltre i confini nazionali lo sguardo, letteralmente catturato dalla dinamica dei valori, della scienza e

della politica, nella loro sintesi d’Oltremanica.

4. I caratteri dell'Occidente. Per una ridefinizione della politica Grande è la portata innovativa dell'idea di Occidente che Voltaire ci fornisce, quando egli affida all’Inghilterra il significato simbolico di un nuovo contenuto della politica, così come di una nuova scansione del tempo: «Il governò dell'Inghilterra — egli dice — non è fatto né per una così grande potenza [quella dell’antica Roma |] né per una fine tanto funesta; il suo scopo non è la brillante pazzia di fare conquiste, ma d’impedite che i suoi vicini ne facciano. Quel popolo non è geloso solo della propria libertà, ma anche di quella degli altri. Gl’Inglesi si accanitono contro Luigi XIV unicamente perché gli attribuivano una certa ambizione. Gli fecero la guerra di gran cuore, sicuramente senza nessun interes-

‘Non è il caso di richiamare in questa sede la vastissima messe di studi su Montesquieu. Vorrei solo ricordare la bella lettura che ne propone Jean Starobinski, soffermandosi

anche

sulle

Lezzres persanes,

in Montesquieu,

Marietti,

Genova

1989;

importante

è,

inoltre, la recente pubblicazione di AA. VV., L'Europe de Montesquieu, pat Alberto Postigliola et Maria Grazia Bottaro Palumbo, préface de Anna Maria Lazzarino Del Grosso, Liguori-Napoli, Universitas-Paris, Voltaire Foundation-Oxford

1995; mi permetto, infine,

di rimandare al mio Imagini dell'Europa e dell'Oriente nelle “Lettres persanes”, ricompreso nel volume appena citato.

L'Occdente’ di Voltaire

93

se. L'affermazione del contenuto della libertà propone un nuovo progetto della politica, in ragione del quale il nostro filosofo riesce ad accettare anche il fatto delle guerre che hanno attraversato tutta la storia del continente europeo. Potenza antica, imperiale, e potenza moderna, solo nazionale, differiscono profondamente fra loro: la prima è avvolgente, dominante, ispirata ad un'etica del macro-ordinamento, sebbene tollerante, come si è visto; la seconda è, non casualmente, ‘insulare’, riflesso di una crisi epocale di scis-

sione e di contrapposta auto-costituzione dei valori, eticamente rivolta alla ridefinizione dei confini geografici e filosofici della politica e del potere. In questa logica di una storia dis-continua, si spezza l’uniformità ‘orientale’ della politica, sostenuta dalla sapiente e variopinta miscela di poteri e confessioni religiose. Ad essa, POccidente di Voltaire sostituisce un ‘appassionata evoluzione di conflitti, una lezione positiva della crisi, una ricerca consapevole della difficile ma necessaria congiunzione fra Stato e libertà: «Per fortuna, — egli dice — grazie alle scosse date agl’imperi dalle contese dei re e dei grandi,

le catene

dei popoli

si sono

più o meno

allentate: la libertà è nata in Inghilterra dai contrasti tra i tiranni” Il principio della libertà, che er fa risalire direttamente alla Magna Charta", appare così l’unica possibilità per una nuova universalizzazione

della politica, accanto

alla quale resta, sebbene

in

una portata abbastanza ridotta, la funzione sociale della religione. In quanto ordine, quest’ultima è demandata solo alla coscienza individuale e alla morale societaria; in quanto verità, essa è frammentata nella pluralità dei riti e delle fedi, reciprocamente relativizzate e recuperate solo grazie alla tolleranza: «Una buona onesta religione, ben convalidata

per atto del parlamento, — dice ancora

Voltaire in A.B.C. — ben dipendente dal sovrano, ecco ciò di cui abbiamo bisogno, e tolleriamo tutte le altre. Noi siamo felici soltanto da quando siamo liberi e tolleranti» ° Voltaire, Lettere filosofiche, in Scritti filosofici, cit., vol. I, p. 24.

alli 1pa29: * Ibidem.

4

® Voltaire, A.B.C., in Scritti politici, cit., p. 889.

94

Voltaire: religione e politica

Ma qui comincia a profilarsi il vero punto d’approdo del pensiero politico di Voltaire, e il suo lascito di riclassificazione e, insieme, anche di scetticismo, verso la politica. Il futuro della poli-

tica, ancora troppo compromessa dal 726/ange di passioni e interessi, di teologia e di ragione, di rapimento spirituale e vocazione al dominio,

domanda

un

aggiornamento

che, in Occidente,

dipende

sempre di più dalle lettere e dalle arti, e sempre di meno

dalla

autonomizzazione della ragione di Stato. Il messaggio, chiaramente antimachiavelliano, dischiude una nuova pagina, l’ennesima, di ri-

getto della distinzione fra politica e morale e, inoltre, denuncia una condizione di profondo disagio del nostro filosofo, lungo i percorsi della politica. Se l’idea della libertà, di derivazione inglese, alimenta un processo di scomposizione che è anche di emancipazione, l’idea della morale

è in Voltaire

il riflesso

diretto

di una

relazione difficile fra Stato e cittadino, e della sola saldatura possibile, sia pure

problematica

e critica,

fra coscienza

individuale

e

‘mestiere’. del Principe. Machiavelli si ripropone pertanto, nella contorta questione del celebre Saggio critico sul Principe di Machiavelli e del difficile ‘condominio’ intellettuale da cui è ispirato”, come il

* È da tempo nota la quantità e la qualità della ‘revisione’, per mano di Voltaire, dell’Anzi-Machiavelli, di Federico di Prussia. Già Riccardo Fubini si è soffermato a lungo

sulla genesi e sulle modalità di un lavoro forse un po’ più che solo redazionale, da parte del nostro filosofo (si veda la sua fine Noza introduttiva con cui, in Appendice, correda gli Scritti politici, più volte citati, di Voltaire, oltre alla ampia esposizione di riferimenti

epistolari e di ‘fonti’ utili sull'argomento). Senza dilungarsi troppo su un problema che non nasce certo oggi, basterà qui sottolineare le giuste osservazioni di Fubini, a propo-

sito delle «idee per le quali il progetto antimachiavellico aveva preso corpo» (o. ct, p. 1007). Si tratta infatti di una sorta di saldatura fra tradizione antimachiavelliana, risalente a Gentillet, e tentativo di offrire uno sbocco positivo e di libertà, alla sintesi del ‘dispotismo illuminato’; «E questo precisamente il punto dinanzi a cui Federico arretra», ricorda Fubini nella stessa pagina prima richiamata. Egli, di conseguenza, attribuisce a Voltaire una sorta di ruolo autonomo non solo nella redazione e correzione dello scritto — il che non è poco, circa la definizione del suo contenuto — ma anche e soprattutto

nella spinta a trasformare in opera tipografica, un lavoro che altrimenti sarebbe forse rimasto nelle tenebre. In questo senso, le scarne citazioni dell’ Anz-Macbiavelli che qui si utilizzano in materia di antimachiavellismo voltairriano, pur partendo da un caso che ho intenzionalmente definito di ‘condominio’ intellettuale, intendono documentare l’esistenza di una fonte e di un’occasione editoriale, che oggi ci vengono rese in tutta la loro

L'Occidente” di Voltaire

simbolo

sia di una

teoria della sovranità, destinata a soffocare

95

la

politica a causa dei suoi stessi eccessi, sia dell’esasperazione di uno specialismo senza morale. Leggiamo infatti nel testo: «Secondo Machiavelli non c'è mezzo migliore per conservare uno Stato libero, dopo averlo conquistato, che di distruggerlo: ... Ecco il caso di un principe che rovina uno Stato per non perderlo. Io non parlo affatto di umanità con Machiavelli, sarebbe profanare la virtù. Si può confutare Machiavelli con lui stesso, con quello stesso interesse, anima del suo libro, dio della politica e del delittoy”. Non siamo di fronte ad un visibile rifiuto di una vera e Bropria teologia politica, ancorché basata su un’interpretazione certamente

forzata, o non sufficientemente distinta dalla tradizione di

diffidenza verso l’opera del Fiorentino? Ma la condanna è ancora più consapevole e riflessa di quanto un atteggiamento di rivolta intellettuale possa far pensare, giacche Machiavelli, come del resto avviene anche nelle colonne dell’Eneyedopédie, è affiancato nella sua collocazione distruttiva e totalmente negativa, dalla sempre scomoda figura di Spinoza: «Il Prinepe di Machiavelli — recita il celebre inapit dello scritto in esame — è in fatto di morale quello che l’opera di Spinoza è in fatto di fede. Spinoza smantellava le fondamenta della fede e non aspitava a nient’altro che a rovesciare l’edificio della religione; Machiavelli corruppe la politica e si diede a distruggere i precetti della sana morale». È ancora un riferievidenza, forse solo grazie alla accertata e consapevole volontà di Voltaire; è quanto basta, in sede di studio, per adottare quel testo nella sua portata di strumento rivelatore del pensiero

e della critica

di Voltaire

medesimo.

Infine,

se si vuole

dare

credito

a

qualcosa di più che un indizio circa la cauta attenzione che il nostro filosofo riserva al Fiorentino, non si deve dimenticare che i richiami frequenti delle opere di quest’ultimo nel Saggio sui costumi, lo assumono sempre come grande storico e arguto commediografo, ma non lo riprendono mai in chiave di esplicito pensiero politico: forti sono gli apprezzamenti per gli scritti di Machiavelli e per il suo contributo di ‘letteratura storica’, pet così dire, ma

restano

assenti i giudizi più propriamente

inerenti al suo

significato poli-

tico. Rimane così viva la grande figura dell’autore di I/ Principe, nel Saggio citato, ma assolutamente dimidiata e ‘sublimata’ in ciò che di lui sembra più accettabile e positivo. ° Voltaire, Anti-Machiavelli o saggio critico sul Principe di Machiavelli, in Scritti politici, cit., p. 1045. di

bip

1031

96

Voltatre: religione e politica

mento

fortissimo alla morale, la formula in cui si esprime ansiosa,

quanto incerta ricerca di una forma nuova della politica. A_ questa ricerca è affidata, da Voltaire, la possibilità di un’autonomizzazione

pre-rivoluzionaria

fra Stato

dell’autorità

e intellettuale-illuminista

europeo; in sostanza, egli rappresenta nella sintesi finale della crisi della politica, l’esito di una più vasta crisi della coscienza europea,

a sua volta radicata nella stessa civilizzazione preceduta: «Se oggi tra i cristiani ci sono meno Voltaire — lo si deve al fatto che cominciano ad princìpi di una sana morale: gli uomini hanno loto spirito, sono meno crudeli e questo forse

spirituale che l’ha rivoluzioni, — dice essere più diffusi i affinato di più il è un obbligo che

abbiamo verso gli uomini di lettere, che hanno incivilito l’Europa”. Evocare lo spitito umanistico, le Be/les Lettres, ci lascia aperta

una domanda, alla quale si può rispondere compiutamente solo allargando di notevole misura ambito di questo contributo, che vuole essere più circoscritto. Dobbiamo però segnalare una certa difficoltà nella quale Voltaire viene a ritrovarsi: inseguendo un nuovo statuto della politica, oltre i ristretti confini dello spirito di crociata e dell’interesse volgare, egli mette in campo la morale e la deontologia. Si tratta ancora di rèferenti propri della grande cultura occidentale. Essi continuano ad essere divisi fra l’estro individuale, cioè lo spirito di libertà, l’auto-affermazione del pensiero, e la ri-

cerca di un mondo simbolico fungibile, in grado cioè di non trasformare la stessa libertà, in conflitto irriducibile. Questa ansia di valori fungibili, che a me sembra il punto più profondo di penetrazione di Voltaire dentro una società ancora da costruire, riceve

in lui una risposta diciamo pure quasi metodologica, nel paradigma della tolleranza. Tale risposta, affiora infatti piuttosto incerta, vorrei dire provvisoria, sotto il profilo istituzionale, se confrontata

al ‘sistema’ dei poterti organizzato nel pensiero di Montesquieu, o alla cultura dell’emancipazione politica e della convenzione contrat-

° Ivi, p. 1040.

L'Occidente di Voltaire

tuale tentata confermata

e riscritta da Rousseau”. in Voltaire

la saldatura

97

Resta tuttavia largamente

fra libertà, nell’Occidente,

e

costituzione della persona-valore individuale, sia attraverso l’importanza che egli riconnette al lavoro e alla proprietà privata, (l’eco di Locke non può sfuggire), sia attraverso l’affermazione della nuova funzione

delle leggi, ma

soprattutto dell'economia

e degli scambi.

Ancora l’Inghilterra è la patria di questa inedita e capillare esperienza di fungibilità. Qui la Borsa si erge a moderno teatro della tolleranza e della costituzione dell’equivalente specifico dei valoti; qui la circolazione delle merci e della moneta alimenta insieme con la felicità delle nazioni anche la più facile comunicazione fra confessioni diverse e la più spontanea materializzazione della libertà. Assolutamente occidentale è la dinamica sociale che Voltaire descrive sotto questo profilo; assolutamente moderna è la qualità laica della civilizzazione degli scambi, in una celebre descrizione di

umanità viva e ‘materializzata’, con cui mi piace concludere l’intero percorso

fin qui seguito: «Entrate nella Borsa di Londra, — scrive

Voltaire in un passo di grande effetto — quel luogo più rispettabile di tante Corti: vi troverete riuniti i deputati di tutte le nazioni pet l’utilità degli uomini. Là PEbreo, il musulmano, e il cristiano nego-

ziano tra loro come se fossero della stessa religione e dànno il nome di ‘infedeli’ solo a coloro che fanno bancarotta; là il presbiteriano si fida dell’anabbattista e l’anglicano accetta la promessa del quacquero. Uscendo da quelle pacifiche e libere assemblee, gli uni si recano alla sinagoga, gli altri a bere; ... altri ancora si recano nella loro chiesa ad attendere, con tanto di cappello in testa, l’ispirazione di Dio; e tutti sono contenti. Se in Inghilterra ci fosse una

Sela figura di Rousseau, anche in ordine al solo problema dell’emancipazione e del contratto sociale, ha alimentato un dibattito troppo ricco e complesso, perché se ne possano qui riprendere, sia pute per sommi capi, i termini. Ho cercato di sviluppare in

altra occasione uno studio più puntuale, al quale ora rinvio (Silvio Suppa, L'ezzanepazione politica fra Roussean e Maf&x, in Eluggero Pii, a cura di, I linguaggi politici delle rivoluzioni in Europa. XVIU-XIX secolo, Olschki, Firenze 1992).

98

Voltaire: religione e politica

sola religione, ci sarebbe da temere il despotismo; se ce ne fossero due, si taglierebbero la gola; ma . 41 tente e in pace» .

ce ne sono

trenta, e vivono con-

"' Voltaire, Lewere filosofiche, in Scritti filosofici, cit., vol. I, pp. 16-17.

Voltaire critico dell’Espri? des los di Montesquieu di Domenico Felice

I. Tra le grandi opere politiche del Settecento, l’Esprif des /ois è forse quella più attentamente meditata da Voltaire' e con cui egli si è confrontato in maniera più serrata e continua. Infatti, in quasi tutti i suoi più importanti scritti di carattere storiografico o politico — pubblicati dopo l’apparizione del capolavoro montesquicuiano (1748) — si incontrano riferimenti, espliciti o impliciti e più o meno ampi, all'insieme di quest'opera o a sue singole teorie e affermazioni. Opinioni di Montesquieu sono inoltre riferite o discusse in varie voci del Dvcttonnatre philosophigue (stampato pet la prima volta nel 1764)° e delle Questions sur l’Enoyelopédie (iniziate nel 1770), nelle quali figura anche una voce — e tra le più lunghe — specificamente dedicata all’Esprit des los. Nel 1777, infine, ad un

fe:

Corpus des notes marginales de Voltaire, t. V, Berlin, Akademie

706-759, da cui risulta che del trattato

montesquieuiano

margine,

tre esemplari,

com’era

sua

abitudine,

dell’edizione stampata a Lione

almeno

(ma con

dell’edizione pubblicata a Ginevra

Verlag,

1994, pp.

egli ha letto e annotato e segnatamente

un

in

esemplare

falsa indicazione di Leida) nel 1749, un altro

nel 1753, un terzo, infine, incluso nell’edizione delle

(Euvres edita ad Amsterdam e Lipsia nel 1759. Il più annotato e utilizzato dal patriarca di Ferney è l’esemplare con la falsa indicazione di Leida: vedi in proposito le osservazioni di L. Albina, /0/4., pp. 891-892. 2 In particolare nelle voci «Amour

nommé

socratique», «Guerre»,

ments. Quel est le meilleur?», «Lois (des)». ° «Lois (Esprit des)», in CEwvres complètes de Voltaire, Paris,

Garnier,

abbreviata

1877-1885,

vol.

XX,

pp.

1-15

(d’ora

con la sigla Mol., seguita dall'indicazione

«Ftats, Gouverne-

a cura di L. Moland, in avanti

questa

del volume).

52 voll.,

edizione

verrà

Le altre voci delle

100.

Vo/taire: religione e politica

anno soltanto dalla sua morte, Voltaire ritorna ancora una volta su

Montesquieu, scrivendo e pubblicando il Corzzzentazre sur Esprit des lois, in cui riprende e sistematizza un po’ tutte le sue precedenti osservazioni e valutazioni”. Un confronto intenso e continuo, dunque, con il pensiero po-

litico del filosofo di La Brède, durato circa un trentennio (dalla stesura delle Persées sur le gouvernement nel 1750-51 al Cormzzentaire del 1777 appunto), e originato oltre che dalla grande risonanza che subito ebbe, in Francia e fuori, l'Esprif des lis, anche e soprattutto

dalle particolari teorie che vi vengono proposte, teorie che — penso ad esempio a quelle sul dispotismo o sui poterti intermedi — non potevano non suscitare reazioni di consenso o di dissenso da parte di chi come Voltaire era continuamente, e in prima fila, impegnato nel dibattito filosofico, politico e ideologico del suo tempo.

Fare i

conti con l’Esprz des lois era quindi per lui inevitabile, dato ap-

Questions sur l’Eneyclopédie in cui si menzionano o discutono affermazioni dell’Espri? des lois (d’ora in poi: EL) sono: «Argent, «Clima», «Bsclaves», «Esséniens», polygamie)», «Gouvernement», «Honneum, «Inceste», «ntéréb».

«Femme

(De la

* Sulle circostanze della stesura e sulscarattere di quest'opera, cfr. R. Pomeau (sotto la direzione

di), Voltaire

en son

temps,

vol.

V:

On

a voulu Penterrer (1770-1778),

Oxford,

Voltaire Foundation-Taylor Institution, 1994, pp. 233-236; e H. Lagrave, Wo/taîre juge de Montesquieu: le «Commentaire sur Esprit des lois», in La fortune de Montesquieu/Montesquieu éerivain. Actes du colloque international de Bordeaux (18-21 janvier 1989), Ville de Bordeaux, Bibliothèque Municipale,

1995, pp. 107-118.

° Anche la corrispondenza testimonia assai bene questo vivo e persistente interesse di Voltaire per EL:

cfr. Correspondance, a cura di Th. Besterman,

13 voll., Paris, Gallimard

(«Bibliothèque de la Pléiade»), 1977-1993, in particolare vol. II, pp. 61, 481-482; vol. IV, pp. 397, 442, 556; vol. V, pp. 247, 916, 1003, 1118-1119; vol. VI, p. 220; vol. VII, pp. 544-545, 577; vol. VIII, pp. 135, 371, 823, 1016-1018; vol. IX, pp. 726 e 856; vol. X, p. 915; vol. XII, pp. 763, 823, 824, 827-28; vol. XII, pp.135 e 42 (d’ora in pot Corri). ° Risonanza attestata, tra l’altro, dalle numerose edizioni dell’opera che videro la luce tra il 1748 e il 1749 (in una sua lettera del 26 gennaio 1750, Montesquieu ne elenca addirittura ventidue: cfr. Ciuvres complètes de Montesquieu, publées sous la direction de A. Masson, 3 voli., Paris, Nagel, 1950-1955, vol. IIL p. 1279 [d'ora in poi: OG). Ma il successo dell’EL fu enorme, com'è noto, in tutta la seconda metà del Settecento: pet quanto concerne la sua diffusione in Francia e in Italia in tale periodo, cfr. il mio Moderation et justice. Lectures de Montesquieu en Italie, Bologna, fuoriThema, 1995, pp. 15-30,

185-208.

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquien

101

punto il grande impatto che subito ebbe l’opera negli ambienti eruditi e sull’opinione pubblica contemporanei e dato il ruolo di primo piano da Voltaire stesso assunto — soprattutto negli anni sessanta e settanta del Settecento — nella battaglia per il progresso dei lumi all’interno e fuori del suo Paese. Prima di entrare nel merito delle varie osservazioni voltairiane sull’Espr? des lois, è opportuno fare qualche rapida considerazione di carattere generale. Innanzitutto, dei 31 libri di cui si compone il trattato montesquieuiano, ad attrarre l’attenzione del patriarca di Ferney sono soprattutto — come documentano assai bene anche le note marginali sugli esemplari dell’Esprif des /ois in suo possesso, note quasi sempre riprese e sviluppate nei testi a stampa — quelli dal secondo al quinto sulla «natura» e i «princìpi» dei governi e sulle leggi ad essi relative, e quelli dal quattordicesimo al diciassettesimo dedicati al clima e alla sua influenza sul carattere dei popoli e sui loro sistemi giuridico-politici. Scarso interesse destano, invece, in lui gli altri libri, come ad esempio il primo, il cui capitolo 1 viene bollato come «métaphysique»’, l’ottavo dedicato alla corruzione dei principi dei governi, in cui più esplicita è la polemica di Montesquieu contro l’assolutismo di Luigi XIV, e il libro diciannovesimo incentrato sulla teoria dell’esprif général, ciò che non può non stupire nell’autore del Sèle de Louis XIV (1751) e dell’Essaz sur les maurs et l’esprit des nations (1756). In secondo luogo, Voltaire legge l’Espr des los in modo affatto particolare, un po’ all'opposto di come dovrebbe essere letto. Com'è noto, nell’esposizione del suo pensiero, Montesquieu procede per tappe e aggiunte successive, per cui si può avere un’idea sufficientemente adeguata di una nozione, di un concetto o di una

teoria solo tenendo presenti tutti o la maggior parte dei luoghi in cui se ne parla. Voltaire ignora completamente questo peculiare metodo espositivo del filosofo di La Brède e prende in esame Esprit des lois a spezzoni ovvero isolando singole frasi o afferma#

® Commentaire sur l'Esprit des lois, Mol., XXX, p. 408 (d’ora in poi: Commentair).

102

Voltaire: religione e politica

zioni e su quelle costruendo le sue osservazioni. Questo tipo di lettura, se da un lato gli consente di essere più efficace nei suoi rilievi e di mettere in luce più agevolmente il suo talento cortrosivo, dall’altro lo fa ‘scivolare’, per così dire, più facilmente in interpretazioni tendenziose e in forzature o giudizi riduttivi dei testi”. In terzo luogo, le osservazioni di Voltaire — molte delle quali spesso riprese alla lettera o con modeste variazioni da un’opera all’altra” — non contengono solo delle critiche, come si ritiene di solito, ma anche degli importanti apprezzamenti, nonché approvazioni di fondamentali prese di posizione e concezioni montesquieuiane, che nell’insieme testimoniano come egli abbia saputo riconoscere e comprendere il valore, la grandezza, dell’autore delV'Esprit des lois — assai più di quanto per la verità quest’ultimo non sia riuscito a fare nei suoi confronti’ Le critiche, comunque, sono di gran lunga più numerose e sono quelle che hanno avuto più ‘incidenza’ nel dibattito politicoideologico della seconda metà del Settecento e goduto maggior fortuna, nella letteratura sia voltairiana che montesquieuiana, fino ai nostri giorni.

gui

Nelle pagine che seguono mi occuperò prima delle critiche negative; successivamente dei giudizi più favorevoli. Al riguardo va osservato,

in via preliminare,

che si tratta di

critiche non sempre originali, ma riprese sovente, più o meno integralmente, da altri scritti polemici settecenteschi contro lEspri? des lois, in particolare — come Voltaire stesso ci tiene ad informarci

* Cfr. infra. ° In particolare dalle Idées ripublicaines (1765) ad A.B.C. (1768-69) e dalla voce «Lois (Uspre des)» (1771) (d’ora in poi: «Lois») al Corzzentaire del 1777. Com'è noto, i giudizi di Montesquieu su Voltaire, formulati quasi tutti nelle Persées o nella E sono pet lo più assai negativi sia sull'uomo che sulla sua multiforme attività di scrittore. Di essi si sono occupati in particolare R. Shackleton, A/les and enemies: Voltaire and Montesquieu, in Id., Essays on Montesquieu and on the Enlightenment, Oxford, The Voltaire Foundation at the Taylor Institution, 1988, pp. 153-169, e, più recentemente, |. Ehrard, L'esprit des mots. Montesquieu en lui-méme et parmi les siens, Genève, Droz, 1998, pp. 195-211.

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

103

nell’«Avant-propos» del Corzzentaire'! — dalle Observations sur un livre intitulé De l'Esprit des loix del fermier général C. Dupin, un’opera aspramente avversata da Montesquieu'” e che invece il patriarca di Ferney, che la lesse tra il 1760 e il 1761", giudica assai favorevolmente

— «sage et bien faite», come

lettera a Mme riscontrare

dice ad esempio

in una

sua

Dupin del 1761". Inoltre, non poche volte è dato

nei rilievi critici di Voltaire evidenti esagerazioni’, una

"" Mol., XXX, pp. 406-407. " Cfr. ad es. Pensées, n. 2239 (96): «On me parlait de la critique idiote de M. Dupin, fermier général, de l’Esprif des lois; je dis: “Je ne dispute jamais contre les fermiers généraux quand il est question d’argent, ni quand il est question d’esprit”». ” È quanto si desume da una sua lettera a Mme Dupin del 22 maggio [1760], in cui la prega di inviargli un esemplare dell’opera del marito e da un’altra del 19 gennaio [1761], indirizzata sempre

a Mme

Dupin, in cui la ringrazia pet l’invio e aggiunge: «Pai

profité du temps où je voyais un peu clair pour lire le premier volume» (Cor., V, p. 916 e VI, p. 220).

Voltaire,

in effetti,

ha

letto

e annotato

un

esemplare

della

seconda

edizione del libro di Dupin pubblicata a Parigi in tre volumi tra il 1757 e il 1758 (cfr. Corpus des notes marginales, cit., pp. 304-309); sembra, tuttavia, che fosse al corrente anche della prima edizione dell’opera apparsa, sempre a Parigi, ma col titolo Réflexzons sur quelques parties d'un livre intitulé De l’Esprit des loix, in soli 8 esemplari, nell’estate del 1749

e subito ritirata dalla circolazione: cfr. al riguardo la sua lettera a Mme Dupin del 15 giugno 1749, Corr., III, p. 61. Sulle vicende editoriali e sul valore di quest'opera di Dupin, alla cui stesura collaborarono, com’è risaputo, a vario titolo, anche sua moglie e i

gesuiti G.-F. Berthier e P.-J. Plesse, vedi in particolare È. Carcassonne, Montesquien et le problème de constitution francaise au X VIII siècle [1927], Genève, Slatkine Reprints, 1978, pp. 129-138; R. Shackleton, Monzesquieu. A critical biography, Oxford, Oxford Univ. Press,

1961, pp. 358-359; Id., Monzesquieu, Dupin and the early writings of Rousseau, in Essays on Montesquieu and on the Enlightenment, cit., pp. 183-196; e C. Rosso, Montesquieu et Dupin (un éreintement avorté), in Id., Montesquieu moraliste. Des lois au bonheur, Bordeaux, Ducros, 1971,

pp. 283-316; circa l'influenza del ferzzier général su Voltaire, cfr. il saggio citato più sopra di H. Lagrave e la breve nota — alquanto discutibile per la verità nella tesi interpretative di fondo — di R. Villers, Monzesquiea, le fermier ginéral Dupin et Voltaire, Revue

historique

de droit francais et étrangem, 1970, p. 183

" 19 gennaio [1761], Com., VI, p. 220. "Come que

ad es. quando afferma che «presque tout VEL «est fondé sur des suppositions

la moindre

attention

détruirait)

(«Lois»,

Mol., XX,

p. 10; corsivo

mio), oppure

quando dichiara che in tante citazioni e «axiomes» che vi si incontrano «e conttraire [...] [est] presque toujours le vrai» (ibid., p. 4; corsivo mio); 0, infine, laddove

osserva

che gli

esempi che vi si adducono di leggi o costumi esistenti presso piccoli e allora poco noti popoli asiatici sono «totis copiés d’après des voyageurs très mal instruits, et tous falsifiés, sans en excepter un seub (ibid., p. 8; corsivo mio).

104

Voltaire: religione è politica

certa superficialità", la ricerca ad ogni costo della battuta ad effetto. un tono eccessivamente aspro o un intento fortemente denigratorio'. Tuttavia, per la maggior parte si tratta di critiche serie e sincere. che nascono da effettive divergenze di vedute in campo teoretico e politico-ideologico e costituiscono, nell'insieme, uno dei più lucidi e radicali attacchi settecenteschi contro il trattato montesquieuiano. Ma vediamo nel dettaglio il contenuto di queste critiche, distin-

guendo, per comodità, quelle di carattere generale, rivolte cioè all'insieme dell’Esprà des /ois, da quelle specifiche concernenti sue singole teorie © affermazioni”.

Il. Per quanto concerne le prime, Voltaire imputa in generale al capolavoro montesquieuiano di essere un’opera carente, difettosa sul piano scientifico ed inutile, priva di efficacia su quello pratico. Carente dal punto di vista scientifico: al pari di altri suoi contemporanei e malgrado le difese che ne aveva fatto al riguardo Ca

° Basti pensare alle innumerevoli vàltevin cui si compiace di ripetere la «boutade» di Mme

du Deffand

secondo

la quale EL

sarebbe dell'’«Esprit sur des doi» (cfr. infra).

" Come ad es. quando finge di prendere alla lettera l’espressione «trouvé dans les bois» adoperata da Montesquieu nel cap. 6 del libro XI dell’EL per designare l'origine storica del sistema costituzionale inglese dal soverno dei Germani, ed esclama: «La chambre des pairs et celle des communes, la cour d’équité, trouvées dans les bois! On ne l’aurait pas deviné! [...|» «Lois», Mol., XX, p. 5) (cfr. inftà. “ Vedi ad es. /bid., p. 4, dove bolla come «charlatanerie misérable» il ricorso da parte di Montesquieu — nel cap. 1 del libro VII dell’EL — alla progressione aritmetica per spiegare l'accrescimento del lusso in una determinata società; oppure Comzientaità, Mol., XXX,

p. 419, in cui, stupito per l'elogio montesquieuiano

dell’opera colonizzatrice

dei

Gesuiti nel Paraguay (EL, IV, 6, cpv. 5-7), osserva ad un certo punto con palese cattiveria: «Mais les Jésuites étaient encore puissants quand Montesquieu écrivait». " Cfr. È. Carcassonne, Monzesquien et le problème de constitution Francaise, cit., p. 162. °° Va da sé che sia per le prime che per le seconde non sì aspira qui affatto all’esaustività. Ci si limita soltanto ad enucleare quelle che delle une e delle altre sembrano essere le più significative. "Come ad es. l’abate J. de La Porte, Obsemazione sur l’«Esprit des loix», ou l'art de lire @ livre, de l’entendre et d'en juger, Amsterdam, Mortier, 1751, pp. 3 e 13-15; oppure P. Clément,

«Les

cinq années

littéraires»,

1 febbraio

1751, t. II, pp. 4-5; o lo stesso fermier

général C. Dupin, Observazions sur un livre, cit, «Avertissement».

Voltaire critico dell'Esprit des Lois di Montesquiey.

105

d’Alembert”, Voltaire accusa VEsprit des lis di mancanza di metodo, di ordine, di unità: è deplorevole, scrive ad esempio nelle

Idées ripublicaines, che Montesquieu non sia riuscito ad «asservir son génie è l’ordre et è la méthode nécessaires»”’; e in A.B.C.: Je suis faché que ce livre [Esprit des luis] soit un labyrinthe sans fil, et qu'il n’y ait aucune méthode»”. Voltaire sostiene, inoltre, che il trattato montesquicuiano è pieno di inesattezze, di citazioni sbagliate o male interpretate’; che vi si fa ricorso a fonti scarsamente o per nulla attendibili” e che ci ,

7 Nel suo ÉJoge di Montesquicu pubblicato in apertura del V volume dell’Exgdspédie nel 1775, un Ely di cui peraltro Voltaire ha un'opinione altamente positiva: cfr. ad es. Ja sua lettera a AC. Briasson del 13 febbraio 1756, dove lo definisce un «ouvrage admirable» (Corr, IV, p. 694). ?° Idées ripublicaines, in Voltaire, Mélanges, a cura di J. van den Heuvel, Paris, Gallimard («Bibliotheque de la Pléiader}, 1961, p. 519. # Mol., XXVII, p. 314. Cfr. anche «Lois», Mol., XX, p. 13: 4...] tout le monde est

convenu que ce livre [EL] manque de méthode, qu'il n°y a nul plan, nul ordre [...)». ? Montesquieu — scrive ad es. in A.B.C.— « beaucoup d’imagination sur un sujet qui semblait n'exiger que du jugement: il se trompe trop souvent sur les faits; mais je crois qu'il se trompe aussi quelguefois quand il raisonne [...]. C'est qui est encore révoltant pour un lecteur un peu instruit, c'est que presque partout [nell’EI) les citations sont fausses; il [Montesquicu] prend presque toujours son imagnation pour sa mémoire [...] fet] fait souvent dire [agli autori antichi e moderni che cita] le contraire de ce qu'ils ont dit» (Mol.,, XXVII, pp. 312 e 316-317). * 4Est4l possible qu'un homme séricux [Montesquicu]p — si legge ad es. nel Corzzentaire — udaigne nous parler si souvent des lois de Bantam, de Macassar, de Borméo, d’Achem; qu'il répéte tant de contes de voyageurs, ou plutot d'hommes errants, qui ont débité tant de fables, qui ont pris tant d’abus pour des lois, qui, sans sortir d’un comptoir d’un marchand hollandais, ont pénétré dans les palais de tant de princes de l'Asie?» (Mol., XXX, p. 424). Sull’utilizzazione delle fonti da parte di Montesquicu e sulle critiche voltairiane al riguardo, cfr. il libro ancora utile di M. Dodds, Les récits de voyages sources de l'uEsprit des luis» de Montesquiey (1929), Genève, Slatkine Reprints, 1980, in particolare pp. 24, 29-30, 33-37, 75-76, 78-81, 111-112, 128-129 e 173, Tra le fonti montesquicuiane che Voltaire giudica negativamente figurano, tra l’altro, The present state of the Ottoman Empire (1669) di P. Rycaut, definito un «mauvais livre» {Corpus des notes matrzinales, cit., p. 756); il Voyage round the world in the years 174044 (1748) di G. Anson, severamente criticato soprattutto nel Précis du Sitde de Louis XIV, in (Eures historiques, cit., p. 1459, e nell’Essai VA les maurs et l'esprit des nations, a cura di R. Pomeau, 2 voll, Paris, Garnier, 1963, vol. I, p. 217 (d’ora in poi: EM); F. Pyrard de Laval, qualificato come un «auteur suspecto nelle Questions sur l'Engepédie, voce «Femme, Mol., XIX, p.

106

Vo/taire: religione e politica

si perde talora in digressioni erronee o estranee al soggetto; in una parola, che vi si trattano i vari argomenti con scarsa competenza: «On a dit que la lettre tuait, et que l’esprit vivifiait; mais dans le livre de Montesquieu l’esprit égare, et la lettre n’apprend rien [....| Montesquicu a presque toujours tort avec les savants, parce qu'il ne l’était pas” Voltaire, infine, rimprovera

il Presidente

di occupatsi

di una

materia seria in modo frivolo. Nella Prefazione all’Esprif des /ots si dice che nell’opera non vi si troveranno «saillies», ma il libro non è altro che «un recueil de sailliesy”’. Nessuno l’ha definito meglio di Mme du Deffand quando ha detto che era stato fatto dell’«esprz sur les loi”. In effetti da esso emerge piuttosto l’«esprit> di Montesquieu che non quello delle leggi: «Jai trouv& — si legge nelle 102; e, infine, il missionario

gesuita Bouchet,

bollato come

«imbécile»

nel Comzzenzazre,

Mol., XXX, p. 443. ” «Il ne faut, dans un ouvrage de législation» — si legge ad es. nelle Idées républicaines —, «ni conjectures hasardées, ni exemples tités de peuples inconnus, ni saillies d’esprit, ni

digressions étrangères au sujet. Qu’'importe à nos lois, à notre administration, “qu'il n'y a point de fleuve navigable en Perse que le Cirus [Kur]?? [EL, XXIV, 26, cpv. 1] [...] Porquoi perdre son temps à se trompet sur les prétendus flottes de Salomon envoyées d’Asiongaber en Afrique, et sur les chimériques voyages depuis la mer Rouge jusquà celle de Bayonne, et sur les richesses encore plus chimériques de Sofala? [EL, XX, 6 e 9]. Quel rapport avaient toutes ces digressions erronées avec l’Esprit des loise» (Mélanges, CItSSpr929)Ì * «Lois»,

«savants»

Mol.,

XX,

o «sages»

pp.

Dupin

1 e 14. Da

notare

che

Voltaire

e gli altri che collaborarono

con

invece,

come

lui alla redazione

qualifica,

delle

Observations ecc., cit.: cfr. Commentaire, Mol., XXX, pp. 413, 420, 436 e 439. MAR: G9iMol XXVII p. 314. Montesquieu — aggiunge ancora Voltaire — è «Michel

Montaigne législateur: aussi était-il du pays de Michel Montaigne. Je ne puis m’empècher de rire en parcourant plus de cent chapittes qui ne contiennent pas douze lignes, et plusieurs qui n°en contiennent que deux. Il semble que l’auteur ait toujours voulu jouer avec son lecteur dans la matière la plus grave. On ne croit pas lire un ouvrage sérieux lorsque, après avoir cité les lois grecques et romaines, il parle de celles de Bantam, de Cochin, de Tunquin, d’Achem, de Bornéo, de Jacatra, de Formose, comme s’il avait des

mémoires fidèles du gouvernment de tous ces pays. Il méle trop souvent vrai, en physique, en morale, en histoire [...)» (7244, pp. 314-315). ° Come si è già accennato, Voltaire ripete innumerevoli volte questa ad es. le sue lettere al duca di Uzès del 14 settembre 1751, a Mme gennaio [1761], a B.-J. Saurin del 28 dicembre 1768 e del 5 aprile 1769 del 20 settembre

le faux avec le «boutade»: cfr. Dupin del 19 e a Condorcet

1777 (Com, III, p. 482; VI, p. 220; IX, pp. 726 e 856; XIII, p. 42);

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

107

Idées républicaines — «l’esprit de l’auteur, qui en a beaucoup, et ratement l’esprit des lois. Il sautille plus qu'il ne marche; il amuse plus qu'il n’'éclaire; il satirise quelquefois plus qu’il ne juge; et il faut souhaiter qu’un si beau génie cùt toujours plus cherché à instruire qu’à étonnem". Opera

carente

sul piano

metodologico

e scientifico-erudito,

l’Esprit des loîs è privo di efficacia, inutile — come si accennava — su quello pratico. Vi si menzionano continuamente i Turchi, i Cinesi, i Giapponesi o i Tartari, ma non vi si parla affatto della giurisprudenza civile e penale francese. E invece: «C’était à corriger mos /ois que Montesquieu devait consacrer son ouvrage, et non è railler l’empereur d’Orient, le grand-vizit,

et le divam», sottolinea Voltaire

nel

Commentaire® e nelle battute iniziali della voce «Lois (Esprit des)» coinvolge nella stessa accusa — di inefficacia pratica, di mancanza di utilità — un po’ tutte le grandi opere politiche moderne: «Il eùt été à désirer que de tous les livres faits sur les lois, par Bodin, Hobbes, Grotius, Puffendorf, Montesquieu, Barbeyrac, Burlamaqui, il en eùt résulté quelque /o ul, adoptée dans tous le

tribunaux de l’Europe, soit sur les successions, soit sur les coninoltre, «Lois», Mol., XX, p. 14, e Corzzentatre, Mol., XXX, pp. 420 e 427. Anche Dupin la menziona nel suo libro sullEL, cit., p. IV. * Mélanges, cit., pp. 523-524. Cfr. anche, tra l’altro, Voltaire all’abate P.-J. Thouliet d’Olivet, 5 gennaio 1767: «C’est un grand malheur, il faut Pavouer, que; dans un livre

[PEL] rempli d’idées profondes, ingénieuses, et neuves, on ait traité du fondement des lois en épigrammes. La gravité d’une étude si importante devait avertir l’auteur de respecter davantage son sujet |... Il faut toujours conformer son style è son sujet» (Corr., VIII, p. 823); oppure, Voltaire a B.-]J. Saurin, 28 dicembre

1768: «Il est ridicule de

faire le goguenard dans un livre [l'/EL] de jurisprudence universelle. Je ne peux souffrit qu'on soit plaisant si hors de propos» (Com., IX, p. 726); 0, infine, Corzzentatre, Mol., XXX, p. 432, dove si osserva che nell’EL la verità è «trop souvent sacrifiée è ce qu'on

appelle bel espri». È interessante notare che Montesquieu rivolge al patriarca di Ferney un rimprovero sostanzialmente analogo: vedi ad es. la sua lettera a Guasco dell’8 agosto 1752: «Quant à Voltaire, il a trop d’esprit pour m'entendre: tous les livres qu'il lit, il les fait; après quoi il approuve ou critique ce qu'il a fait (OC, II, p. 1435); oppure Persées,

n. 2175 (932): «Quelqu’un racontait tous les vices de Voltaire. On répondait toujours: “Il a bien de l’esprit!” Impftienté, quelqu’un dit: “Eh bien! c'est un vice de plus”.

® Mol., XXX, p. 428 (corsivo mio). Cfr. anche ibid., pp. 430-431.

108°

Vo/taire: religione e politica

trats, sur les finances, sur les délits, etc. Mais ni les citations de Grotius, ni celles de Puffendorf, ni celle de l’Esprif des los, n’ont

jamais produit une sentence du Chàtelet de Paris, ou de 1°0/ Bailey de Londres. On s’appesantit avec Grotius, on passe quelques moments agréablement avec Montesquieu; ef sî 07 4 un procès, on court chez son avocado”. Con questa brillante battuta conclusiva, Voltaire esprime icasticamente

tutta la sua vocazione alla concretezza, ad un sapere im-

mediatamente fruibile, al primato del fare sul pensare e, al tempo stesso, tutta la sua insofferenza (che è anche incomprensione) pet le costruzioni

sistematiche, le teorie generali, gli schemi

astratti —

nella fattispecie, tutta la sua avversione (e incomprensione) pet l'intento prioritariamente teorico dell’Esprt des los, pet il suo carattere prevalentemente scientifico, ‘sociologico”*. III. Passiamo alle critiche concernenti del trattato montesquieuiano.

Sono

33

assai numerose

singole teorie o affermazioni

(specialmente

nella voce

«Lois

[Esprit

Mol., XX, p. 1 (corsivo mio). Cfr. anche la lettera di Voltaire a C. Ferret del 28

dicembre

1771, in cui si afferma che VEL «n’a remédié

et ne remédiera

jamais à rien»

(Cai 5, a VID “ Su questo carattere del capolavoro montesquieuiano, cfr. il mio Francia, Spagna € Portogallo: le monarchie europee «qui vont au despotisme» secondo Montesquieu, «Giornale critico della filosofia italiana», 1995, p. 37-38. Sull’incomprensione da parte di Voltaire, come del resto di altri phi/osophes, dell’intento prioritariamente ‘sociologico’ di Montesquieu, vedi in particolare S. Cotta, Montesquien e la scienza della società, Torino, Ramella, 1953, pp. 339-341 e 376; Id., L'IVuminismo e la scienza politica: Montesquieu, Diderot e Caterina II di Russia, «Quaderni di cultura e storia sociale», 1954, pp. 339-341; e P. Gay, Voltaire politico. Il poeta come realista, trad. it. di G. Scatasta, Bologna, il Mulino, 1991, p. 32. È del

tutto superfluo rilevare come l’accusa di Voltaire circa l’inefficacia pratica dell’EL sia largamente infondata. Basti pensare al frequente ricorso che ad esso fecero, come a fonte autorevole e indiscussa, i Parlamenti francesi nella loro battaglia contro l’assolutismo regio o alla grande fortuna goduta dall’opera durante la seconda metà del Settecento ed oltre in paesi come la Francia, l’Italia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti d’America. È esagerato, comunque, contrapporre radicalmente, come fa ad es. S. Cotta nei suoi

scritti appena citati, Montesquieu e Voltaire come

«scienza politica» e «ideologia poli-

tica»; per parte mia direi, più semplicemente, che nel primo prevale nettamente teorico su quello pratico, nel secondo, invece, il fine pratico su quello teorico.

il fine

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

109

des] » e nel Commentaire), talune critiche piuttosto puntigliose ed erudite”, altre invece — come si è già accennato — alquanto esagerate e superficiali, per la maggior parte tuttavia fondate, nel senso che colgono effettive inesattezze, imprecisioni e veri e propri etrori presenti nell’Esprz des lois, come ad esempio quello che affida al «popolo» anziché alla nobiltà l’amministrazione del celebre Banco genovese di San Giorgio o l’altro che attribuisce alle leggi anziché ai costumi il fatto che i nobili veneziani non si dedicassero al commercio”;

0, ancora,

quello —

ricordato

continuamente

da

Voltaire” — in cui si afferma che Francesco I (che non era ancora nato quando Cristoforo Colombo scoprì l'America) aveva rifiutato le proposte al riguardo del navigatore genovese *; o infine, quello che considera l'avvento dell’ordine feudale’ in Furopa un evento

unico nel suo genere”, mentre invece si tratta — come ha confermato anche la critica storica successiva" — di una condizione universale dello sviluppo storico dell’umanità associata”. Quattro comunque sono i temi montesquieuiani, e tutti fonda° Come ad es. quelle al cap. 8 del libro IV dell’EL in cui Montesquieu esamina il rapporto tra musica e costumi dei Greci (Corzzentaire, Mol., XXX, pp. 420-422); oppure quelle all’affermazione — contenuta nel cap. 14 del libro XII — secondo la quale l’imperatore Tiberio, per conservate le «coutumes», aveva escogitato l’espediente di far violare

dal carnefice 437-438);

le fanciulle

ancora

o, infine, le critiche

vergini

concernenti

prima

di mandarle

le presunte

al patibolo

origini feudali

(bid., pp.

della monarchia

francese (ibid., pp. 447-454). mal Ian;

cpv. 4 e V, 8, cpv. 14; «Lois», Mol., XX, pp. 2 e 4; Comzentaire, MOL.,

XXX, p. 439. Su questi due errori di Montesquieu, il primo dei quali rilevato anche da Dupin nelle sue Observazions ecc., cit., vedi il mio Imagini dell'Italia politica moderna nel l«Esprit des loîs» di Montesquieu, «Il pensiero politico», 1995, p. 273, in nota.

° Cfr. ad es. Idées républicaines, in Mélanges, cit., p. 522; Catalogue de la plupart des écrivains francais ecc., voce «Montesquieu», in CEuvres historiques, cit., p. 1188; Voltaire a S.-N-H. Linguet, 14 [o 15] marzo 1767, Cor, VIII, p. 1017; A.B.C., Mol., XXVII, p. 318; «Lois», Mol., XX, p. 7; Questions sur l'Enocdopédie, voce «Argento, Mol., XVII, p. 354; e Corzzzentatre, Mol., XXX, p. 432.

BE

DEIN22iecpisls:

MISSA i Chase

cpr Bloch, La società feudale, trad. it. di B. M. Cremonesi, Torino, Einaudi

Reprints, 19820 53% GIL

270157 %Lolby Mol., XX, p. 10; Fragments historigues sur l'Inde (1773), Mol., XXIX, p. 91; e Commentaire, Moi XXX, pp. 440-441.

110

Voltaire: religione e politica

mentali, sui quali Voltaire ritorna con più insistenza e che critica con più forza — come attestano anche le note marginali redatte sugli esemplari dell’Espr? des loîs in suo possesso —, e segnatamente: (a) la tesi secondo cui la virtù e l’onore sono i «principi» o moventi, rispettivamente, della repubblica e della monarchia; (b) la considerazione del dispotismo come forma autonoma di governo, radicalmente antitetica alla monarchia; (c) la teoria dell’influenza dei climi; (d) la dottrina, infine, dei poteri intermedi

e la difesa

della venalità delle cariche. (a) Per quanto concerne che l’idea secondo

l’onore e la virtù, Voltaire sostiene

cui l’uno è il principio della monarchia,

l’altra

della repubblica è un’idea «chimérique»”, astratta, priva di fondamento storico” e che è vero piuttosto il contrario. Se è nella natura dell’onore, infatti, «de demander des préférences et des dis-

tinctions», come si legge nell’Espri des /is*, allora il suo posto — osserva Voltaire in 4.B.C. — è piuttosto nelle repubbliche che nelle monarchie, come dimostra il caso della Repubblica romana, dove per lo stesso movente, «on demandait [...] la préture, le consulat, l’ovation, le triomphe»”. Analogamente, se per virtù s’intende la i AD:CMOLEXZVIN

p. 323; Questions sur l’Eneyclopédie, voce «Honneum,

Mol., XIX,

p. 387. * «On n’a jamais assurément formé des républiques par vertu — scrive A4.B.C. —. «L’intérèt public s’est opposé à la domination d’un seul; l’esprit de l’ambition de chaque particulier, ont été un frein è l’ambition et è l’esprit L’orgueil de chaque citoyen a veillé sur l’orgueil de son voisin. Personne n’a l’esclave de la fantaisie d’un autre. Voilà ce qui établit une république, et conserve. Il est ridicule d’imaginer qu'il faille plus de vertu è un Grison qu’ gnol» (Mol., XXVII,

p. 322); e nel Corzzentatre, rivolgendosi

a Montesquieu,

ad es. in propriété, de rapine. voulu étre ce qui la un Esparibadisce:

«Je vous dis que la vertu n’a cu nulle part è l’établissement ni d’Athènes, ni de Rome, ni de Saint-Marin, ni de Raguse, ni de Genève. On se met en république quand on le peut [...]. Je ne congois pas méme qu’un Grison, cu un bourgeois de Zug, doive avoir plus

de vertu qu’un homme domicilié è Paris ou à Madrid» (Mol. XXX, pp. 426-427).

WELT

prole

FRABIGSNMOL SAVI p. 323. Un’osservazione sostanzialmente analoga la si trova anche, tra l’altro, nelle Idées républicaines, in Mélanges, cit., p. 519: «“La nature de l’hon-

neur, dit Montesquieu, est de demander des préférences et des distinctions. L’honneur est donc, par la chose mème, placé dans le gouvernement monarchique”. L’auteur ou-

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquiey

111

«probit©&, l’«intégrit&, allora «il y en a toujours beaucoup sous un

prince honnète homme. Les Romains furent plus vertueux du temps de Trajan que du temps des Sylla et des Marius. Les Francais le furent plus sous Louis XIV que sous Henri III, parce qu’ils furent plus tranquillesy” Per provare la sua tesi che la virtù non è il movente delle monarchie, Montesquieu ricorre all’autorità di Richelieu, ma gli fa dire nel Testazzent politique (peraltro a lui «faussement attribu&, secondo Voltaire") cose che non. dice affatto e che sono «assez peu dignes» di un «grand ministre». Inoltre, per mostrare il disprezzo blie que dans la république romaine on demandait le consulat, le triomphe, des ovations,

des couronnes, des statues. Il n’y a si petite république où l’on ne recherche les honneurs»; e nel Corzzzentaîre, Mol., XXX, p. 416: «La nature de l’honneur est de demander

des préférences et des distinctions [...]”?. Il est clair [...] que ces préférences, ces distinctions, ces honneurs, cet honneur, étaient dans la république romaine tout autant pour le

moins que dans les débris de cette république, qui forment aujourd’hui tant de royauMes». ‘ Suppliment au Siècle de Louis XIV (1753), in CEuvres bistoriques, cit., p. 1271. 7 Idées républicaines, in Mélanges, cit., p. 519; A4.B.C., Mol., XXVII, p. 316. Com'è noto,

gli storici contemporanei hanno dato invece ragione a Montesquieu che ritiene autentico il Testament.

cfr. in proposito

la sua lunga persée n. 1962

(564), in cui controbatte

le

principali argomentazioni addotte da Voltaire a sostegno della sua erronea convinzione nell’opuscolo Des yensonges imprimées et du Testament politique du cardinal de Richelieu, pubblicato a Parigi nel 1749-50. Sulla questione vedi l’«Introduction» di L. André alla sua edizione critica del Testament politique (Paris, 1947, pp. 47-57), nonché le relative note di ]. Brethe de La Gressaye e di R. Derathé nelle loro edizioni critiche ue (Paris, Société Les Belles Lettres, 1950, t. I, pp. 253-256 e Paris, Garnier, 1990°, t. I, pp. 435-436). Sull’atteggiamento di Voltaire e di Montesquieu verso Richelieu, cf ; saggio, piuttosto mediocre pet la verità, di F. Loirette, Monzesquiea, Voltaire et Richelieu, «Archives des lettres modernes», n. 197, 1981 («Archives Montesquieu», n. 9), pp. 3-30. È Suppliment au Siècle de Louis XIV, in CEuvres historiques, cit., p. 1272. «On veut donc

en vain» — conclude il signore di Ferney — «s’autoriser du témoignage d’un ministre de France pour prouver qu'il ne faut point de vertu en France. Le cardinal de Richelieu, tyran quand

on

lui résistait, et méchant

parce

qu’il avait des méchants

à combattre,

pouvait bien dans un ministère qui ne fut qu’une guerre intestine de la grandeur contre l’envie, détester la vertu qui aurait combattu

ses violences; mais il était impossible qu'il

l’écrivît; et celui [Amable de Bourzeis] qui a pris son nom ne pouvait (tout malavisé qu'il est quelquefois) l’ètre assez pour lui faire dire que la vertu n’est bonne à rien» (ibid). Il luogo dell’EL che Voltaire critica — in numerosi altri scritti peraltro, come ad es. nella voce «Montesquieu» del Caza/ogue de la plupart des écrivans francais ecc., in CEwres historiques, cit., p. 1188, oppure nel Corzzenzaire, Mol. XXX, p. 415 — è l’ultimo cpv. del

112.

Voltaire: religione e politica

che i cortigiani avrebbero per la virtù, fornisce — nel capitolo 5 del libro II dell’Espri? des lois — delle descrizioni assai poco lusinghiere del loro carattere, ma si tratta soltanto — si legge nel Cormzzenzazre — di «anciens lieux communs»,

di «déclamations», la cui sorte non è

diversa da quella toccata alla satira delle Fezzzzes di Boileau, la quale non impediva che ci fossero delle donne molto rispettabili ed oneste. Analogamente, per quanto male si sia potuto dire della corte di Luigi XIV, ciò non ha impedito che, «dans le temps de ses plus grands revers, ceux qui avaient part è sa confiance, les Beauvilliers, les Torcy, les Villars, les Villeroi, les Pontchartrain, les

Chamillart, ne fussent les hommes

les plus vertueux

de l’Euro-

per”.

L’esperienza e la storia, dunque, smentiscono, ‘falsificano’, secondo Voltaire, le tesi di Montesquieu, anzi mostrano che le cose stanno — come si è già accennato — esattamente all’opposto, ov-

vero che c’è più onore in una repubblica che in una monarchia e più virtù in una monarchia che in una repubblica”. È da osservare, tuttavia, che in questa sua critica delle posi-

cap. 5 del libro III, in cui Montesquieu

sintetizza un passo del Testazent di Richelieu

secondo il quale un monarca deve ben guardarsi dal servirsi di persone virtuose di bassa estrazione sociale: vedi al riguardo la nota di J. Brethe de La Gressaye nella sua edizione critica dell’EL, cit., pp. 255-256. #Molj XX5G pp. 414-415. Cfr. anche Le Siècle de Louis XIV e Supplément, in uvres historiques, cit., pp. 862-863, 1270-1271, dove vengono già menzionati più o meno questi

stessi personaggi a riprova del fatto che nella corte di Luigi XIV verano degli uomini virtuosi. Vedi, inoltre, Corpus des notes marginales, cit., pp. 733 e 756, dove si criticano vati passaggi del cap. 2 del libro IV dell’EL dedicato all'educazione nelle monarchie, e Commentaire, cit., p. 418, in cui dopo aver riportato il seguente brano di questo stesso capitolo: «Dans une monarchie, il faut mettre dans les vertus une certaine noblesse, dans les moeurs une certaine franchise, dans les manières une certaine politesse», Voltaire osserva con durezza: «De telles maximes nous paraîtraient convenables dans Ar de se

rendre agréable dans la conversation, pat l’abbé de Bellegarde, ou dans les Moyens de plaire, de Moncrif: nos diseurs de riens auraient pu s’étendre merveilleusement sur ces #rivialit6s, qui sont de tous les pays, et qui ne tiennent en rien aux lois» (corsivo mio). °° Cfr. oltre ai testi già citati in proposito, Corpus des notes marginales, cit., pp. 728, 730, 753 e 755; Le siècle de Louis XIV, in CEuvres bistoriques, cit., pp. 862-863; Voltaire al cavaliere di R...X, 20 settembre 1760, Com., V, p. 1118; e Dictionnaire philosophique, voce «Etats, Governements. Quel est le meilleur?», Mol., XIX, p. 33.

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu.

113

zioni montesquieuiane, Voltaire — anche sfruttando abilmente, col suo peculiare modo di leggere dell’Espri? des lois cui si è fatto cenno più sopra, alcuni varchi lasciati aperti da Montesquieu” — reinterpreta le nozioni di onore e vittà in un senso eminentemente morale anziché politico (l’onore — dice ad esempio nel Side de Louis XIV — «est le désir d’ètre honoré, d’étre estimé: de là vient

l’habitude de ne rien faire dont on puisse rougim; la virtù, a sua volta, «est l’accomplissement des devoirs, indépendamment du désir de l’estime»”,

e ignora completamente,

stampa”, alcune connotazioni des lois come,

nel

caso

almeno

essenziali loro conferite

dell’onore,

il suo

aspetto

nei testi a

nell’Espri/ feudale-

corporativo, e nel caso della virtù, il suo inscindibile nesso con il concetto di uguaglianza, un nesso su cui il Presidente insiste molto, com'è noto, anche nel famoso Avertissezent de l'auteur pub-

blicato in apertura dell’Esprit des /loîs a partire dall'edizione postuma

"Come

libro

nel caso,

II dell’EL

ad es., dell’estrapolazione

dove

si afferma

che

da parte

«la nature

sua

del brano

de l’honneur

del cap.

7 del

est de demander

des

préférences et des distinctions» (cfr. 4979), oppure in quello dell’identificazione che egli opera tra virtù e «probité» (cfr. sura), avendo in mente molto probabilmente i luoghi del trattato montesquieuiano in cui viene adoperato questo stesso termine in riferimento alle repubbliche (ad es. in III, 3, cpv. 1 e V, 15, cpv. 3) o in cui si sottolinea il nesso tra virtù e integrità dei costumi (ad es. in V, 2, 7). °° Le siècle de Louis XIV, in CEuvres historiques, cit. p. 862. Cfr. anche, per quanto concerne l’onore, Pensées sur le gouvernement, Mol., XXIII, pp. 530-531: «L’honneur est le désir d’ètre honoré; avoir de l’honneur, c'est ne rien faire qui soit indigne des honneurs. On ne dira point qu’un solitaire a de l’honneur. Cela est réservé pour ce degré d’estime que dans la société chacun veut attacher à sa personne. Il est bon de convenir des

termes,

sans

quoi bientòt

on ne

s’entendra

plus». Su questa reinterpretazione

in un

senso essenzialmente morale delle nozioni montesquieuiane di virtù e di onore da parte di Voltaire, vedi in particolare E. H. Price, Voltaire and Montesquiew's three principles of gonvernment, «Publications of the modern language Association of America», 1942, pp. 1046-1052. ° Nelle sue note marginali sull’esemplare dell’EL dell'edizione stampata a Lione nel 1749 non mancano, infatti, alcune osservazioni sul concetto di uguaglianza nelle repub-

bliche democratiche e su altri ad esso strettamente collegati: cfr. Corpus des notes marginales, cit., pp. 737-740 e, per una loro analisi, R. Galliani, Quelgues notes inédites de Voltaire à l'«Esprit des lois», «Studies on Voltaire and the eighteenth century», vol. CLXII,

pp. 7-18.

1976,

114.

Voltaire: religione e politica

del 1757". È da rilevare, inoltre, il carattere almeno in parte strumentale della critica di Voltaire, come del resto lui stesso sembra

riconoscere quando afferma — nel Suppliment au Stècle de Louis XIV (1753) — che, confutando l’«erreum secondo cui la virtù non è il movente della monarchia, si è proposto non di «décriem» l'Esprz? des lois, quanto invece di far vedere che, in una «monatchie tempérée par les lois et surtout par les moeurs» — e tale è per lui la monarchia assoluta francese della seconda metà del XVII secolo —, «il y a plus de vertu que l’auteur [Montesquieu] ne croit et plus d’hommes qui lui ressemblenty”. È quindi anche per difendere l’immagine della monarchia di Luigi XIV che andava proponendo nei primi anni cinquanta del Settecento (il S7ède de Louis XIV, si ricordi, esce in prima edizione nel 1751) che Voltaire critica Montesquieu riguardo ai principi della virtù e dell’onore, oltre che, ovviamente, pet la sua avversione agli schemi generali e, al contempo, per la sua propensione alla concretezza, alle quali si è già fatto cenno più sopra.

(b) Ancora più dure, ma sostanzialmente analoghe, le critiche che il patriarca di Ferney rivolge‘ alla nozione montesquicuiana di dispotismo. Da un lato, infatti, egli contesta anche qui — ma in modo assai più esplicito — il significato che Montesquieu attribuisce al temine (o ai suoi derivati) e l’uso che ne fa, dall’altro insiste sul fatto che l’esperienza e la storia rivelano che, così com'è raffigurato nell’Espr des /ois, il dispotismo non esiste in nessuna parte del mondo, né in Europa né in Asia.

Circa il primo punto, Voltaire sostiene che il potere dispotico inteso come potere illegale o arbitrario è solo la forma corrotta della monarchia

e non

“ Apvertissement che Voltaire non

una

forma

menziona

autonoma,

«naturale»

mai nei suoi scritti, anche

se non

di go-

poteva

non conoscerlo essendo riprodotto nell’edizione delle (Euvres di Montesquieu stampata ad Amsterdam e Lipsia nel 1759, della quale possedeva — come si è già accennato — un esemplare. ° Ewres historiques, cit., pp. 1272-1273.

Voltatre critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

115

verno, come ritiene Montesquieu”: «le despotisme est l’abus de la royauté, comme l’anarchie est l’abus de la république», si legge ad esempio nelle Pensées sur le gouvernement’. Osserva, inoltre, che l’uso del termine despota per designare i sovrani dei grandi imperi asiatici, eta un uso recente e ingiustificato. Recente, perché mai prima del XVIII secolo il termine era stato adoperato, a suo avviso, per designare un monarca, bensì solo, come accadeva presso i Greci, 4/

padrone di casa, il padre di famiglia”. Ingiustificato — e così veniamo

“ «Dans un livre [l’EL] rempli d’idées profondes et de saillies ingénicuses, on a compté le despotisme parmi les forzzes naturelles de gouvernement. L’auteur, qui est fort bon plaisant, a voulu railler. Il n°y a point d’État despotique par sa nature (Pensées sur le gouvernement,

second

Mol.,

XXIII,

livre (chap.

p. 530;

corsivi

miei); «Montesquieu

1) [dell'EL], définit ainsi le gouvernement

au

commencement

despotique:

“Un

du

seul

homme, sans loi et sans règle, entraîne tout par sa volonté et par ses caprices”. Or il est

très faux qu’un tel gouvernement existe, et il me paraît très faux qu’il puisse existem» (A4.B.C., Mol., XXVII, p. 323). Cfr. anche Corpus des notes marginales, cit., pp. 727, 730, IP, N E N ” Mol., XXIII, p. 230. Voltaire respinge dunque la tripartizione montesquieuiana delle forme di governo (repubblica, monarchia e dispotismo) e ripropone la bipartizione di origine machiavellica

(repubblica

e monarchia),

come

risulta anche,

tra l’altro, dal se-

guente brano del Suppliment au Sièele de Louis XIV: «On est parvenu è imaginer une troisiéme forme d’administration naturelle è laquelle on a donné le nom d’État despotique, dans laquelle il n’y a d’autre loi, d’autre justice que le caprice d’un seul homme. On ne s'est pas apercu que le despotisme, dans ce sens abominable,

n’est autre chose

que l’abus de la monarchie, de méme que dans les États libres l’anarchie est l’abus de la république» (CEuvres bistoriques, cit., p. 1246); inoltre assimila il dispotismo alla tirannide, ossia alla forma

come

di governo

tradizionalmente

ritenuta

la corruzione

appare evidente, oltre che dai testi già citati, anche dalla voce

della monarchia,

«Tyrannie» del

Dictionnaire philosophique, Mol., XX, p. 544.

* «Il a plu è nos auteurs (je ne sais pourquoi)», scrive in A.B.C., «d’appeler despores les souverains de l’Asie et de l’Afrique [..... Ce mot despote, dans son origine, avait signifié, chez les Grecs, yzaître de maison, père de famille. Nous donnons aujourd’hui libéralement ce titre à l’empereur du Maroc, au Grand Turc, au pape, à l’empereur de la Chine»

(Mol.,

XXVII, p. 323; corsivo nel testo); e nel Corzzzenztaîre precisa ulteriormente: «Il me semble qu’aucun Grec, qu’aucun Romain ne se servit du mot despote, ou d’un dérivé de i pour signifier un roi. Despoticus ne futjjamais un mot latin. Les Grecs du Moyen Àge s'avisèrent vers le commencement du XV° siècle d’appeler despotes des seigneurs très faibles, dépendants de la puissance des Tures, despotes de Servie, de Valachie, qu’on ne regardaient que comme, des maîtres de maison» (Mol., XXX, p. 409; corsivo nel testo). Come ha messo assai Bene in luce R. Koebner nel suo importante saggio su Despot and despotism: vicissitudes of a political term, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes»,

116

Voltaire: religione e politica

al secondo punto — perché nessun sovrano dell’Asia esercitava, secondo Voltaire, il proprio potere in modo illegale o arbitrario. Montesquieu ha «imaginé”, sulla base di «fausses relations» sull'Impero ottomano”, che il sultano governi secondo le sue volontà e i suoi capricci e che nessun cittadino possegga qualcosa in proprietà in questo vasto Stato, ma un’analisi più attenta dei fatti storici e il ricorso a fonti più attendibili” rivelano che tutto ciò è falso, che si tratta anzi — come

si legge nell’Essai sur les maurs — di

un «préjug&”. In realtà — insiste Voltaire dalle Pensées sur le gouvernement al Commentaire — il sovrano ottomano giura sul Corano di rispettare le leggi e non è affatto il proprietario assoluto delle terre e dei beni dei suoi sudditi”. Analogamente, Montesquieu «a osé prétendre»” che il dispotismo regni nel vasto impero della Cina, ma è una pretesa altret-

1951, pp. 275-277, questa tesi voltairiana è destituita di qualsiasi fondamento, in quanto già in Aristotele

(Po/zica, III, 1285a-b

e IV, 1295a) il termine

dispotiszzo è legato da un

lato al rapporto tra il padrone e lo schiavo e dall’altro a forme orientali di organizzazione politica. Vedi al riguardo anche R. Derathé, Les phélosophes et le despotisme, in Utopie et institutions au XVIII siùcle. Le pragmatisme des Lumières. Textes recueillis par P. Francastel, Paris-La Haye, Mouton, 1963, pp. 58-59, e, più in generale, M. Richter, voce «Despotism», in Dictionary of the history of ideas, New York, Ch. Scribner’'s Sons, 1973, pp. 2-3, e N. Bobbio, voce «Dispotismo», in Dizionario di politica, diretto da N. Bobbio, N. Matteucci e G. Pasquino, Torino, Utet, 1983", p. 343.

° Supplément au Siècle de Louis XIV, in Eures historiques, cit., p. 1246. °° Ibid. Molto probabilmente Voltaire ha qui in mente la principle fonte di informazione di Montesquieu per la Turchia, vale a dire The present state of the Ottoman Empire di P. Rycaut, un libro che altrove — come

abbiamo

già avuto

modo

di segnalare — egli

giudica «mauvais». °" Tale è per Voltaire l’opera di L. F. Marsigli Lo stato militare dell'Impero ottomano (La Haye-Amsterdam, 1732), che egli cita sovente a sostegno delle sue tesi sullo Stato ottomano: cfr. ad es. EM, I, p. 835 e IL p. 753; Idées républicaines, in Mélanges, cit., p. 521; 4.B.C., Mol., XXVII, p. 318; e Corzzentaire, Mol., XXX, p. 417. Vedi in proposito R.

Minuti, Mito e realtà del dispotismo ottomano: note in margine ad una discussione settecentesca, «Studi settecenteschi», I, 1981, pp. 43-46.

di EMalopa832 °° Cfr. Pensées sur le gouvernement, Mol., XXIII, p. 530; EM, I, pp. 832-836; Idées républicaines, in Mélanges, cit., pp. 520-521; A.B.C., Mol., XXVII, pp. 317-318 e 323-324; Cor mentaire, Mol., XXX, pp. 416-417 e 424. na Suppliment au Siècle de Louix XIV, in CEuvres historiques, cit., p. 1247.

Voltaire critico dell'Esprit des lois dî Montesquiea

117

tanto infondata: «Je n’ai jamais été à la Chine, mais j'ai vu plus de vingt personnes»

— scrive Voltaire in A.B.C.

voyage, et Je crois avoir lu tous les auteurs pays; je sais, beaucoup plus certainement que toire ancienne; je sais, dis-je, par le rapport sionnaires de sectes différentes, que la Chine lois, et non

par une

— «qui ont fait ce

qui ont parlé de ce Rollin ne savait l’hisunanime de nos misest gouvernée par les

seule volonté atbitraire»”. Circa la proprietà,

poi, «toutes les relations qui nous sont venues» da quest’immenso paese, «nous ont appris que chacun y jouit de son bien [...]»®” L'immagine del dispotismo asiatico proposta da Montesquieu non corrisponde dunque a verità; è una pura creazione della sua fantasia, il cui scopo — come Voltaire lascia palesemente intendere in un’importante pagina del Supplement au Stiècle de Louis XIV, in i 4B:CMol XXVII p..324, °° Commentaire, Mol., XXX, p. 444. Cfr. anche EM, I, p. 216, dove si qualificano come «imputations vagues» le prese di posizione sull’Impero cinese che si incontrano nell’EL, nella fattispecie nel cap. 21 del libro VIII, che è il solo — tra tutti quelli, non pochi per la verità e piuttosto complessi, dedicati alla Cina — ad essere preso in considerazione da Voltaire; nonché Corzzentaire sur le livre des délits et des peines (1766), in Mélanges, cit., p. 1445, in cui si osserva che Montesquieu si è «cruellement tromp& nell’asserire che ai Cinesi non si riesce a far fare nulla se non «a coups de bàton» (EL, VIII, 21, cpv. 3); e Commentaire, Mol., XXX, p. 431, dove, a proposito di questa stessa affermazione, si legge

tra l’altro: «Les écrits motaux de Confucius, publiés six cents ans avant notre ère [...]; les ordonnances de tant d’empereurs, qui sont des exhortations à la vertu; des pièces de théàtre mème qui l’enseignent, et dont les héros se dévouent à la mort pour sauver la vie à un orphelin; tant de chefs-d’ceuvre

de morale

traduits en notre langue: tout cela

n’a point été fait è coups de bàton. L’auteur [Montesquieu] s’imagine ou veut faire croire qu'il n°y a dans la Chine qu’un despote, et cent cinquante millions d’esclaves qu’on gouverne comme des animaux de basse-cour. Il oublie ce grand nombre de tribunaux subordonnés les uns aux autres; il oublie que quand l’empereur Kang-hi voulut faire obtenir aux jésuites la permission d’enseigner leur Christianisme, il dressa lui-méme leur requète à un tribunal [...). Il est à croire que les lois des Chinois sont assez bonnes, puisqu’elles ont été toujours adoptées par leurs vainqueurs, et qu’elles ont duré si longtemps». Su Voltaire, Montesquieu e la Cina, cfr. tra gli altri: W. Watson,

Interpretation of China in the Enlightenment: Montesquieu and Voltaire, in Actes du IT colloque international de sinologie: les rapports entre la Chine et l'Europe au temps des Lumières, Paris, Les Belles Lettres, 1980, pp. 15-37; S. Zoli, Europa Ubertina tra Controriforma e Illuminismo. L'«Oreente»

dei libertini e le origini dell'Illuminismo, Bologna,

Cappelli,

1989, pp. 235-250; e

M. Fatica, La distopia”di Voltaire tra sinofilia e sinolatria in «Le siècle de Louis XIV» «Essai sur les maurs et l’esprit des nation», in corso di stampa.

e in

118.

Voltaire: religione e politica

cui pur senza nominarlo si rivolge chiaramente al Presidente — è piuttosto quello di fare la satira della monarchia assoluta di Luigi XIV: «Voilà comme on s’est formé un fantome hideux pour le combattre; et en faisant la satire de ce gouvernement despotique qui n'est que le droit des brigands, on a fait celle du monarchique qui est celui des pères de famille». Ma anche qui Montesquieu manca completamente il suo obiettivo, secondo Voltaire, perché se è vero

che Luigi XIV

ha talora abusato

del suo potere, è altret-

tanto vero che la sua monarchia è stata la migliore fra tutte quelle conosciute: «[...] je défie qu'on me montre aucune monarchie sur la terre» — scrive infatti sempre nella pagina in questione del Supplément — «dans laquelle les lois, la justice distributive, les droits de l’humanité, aient été moins foulés aux pieds et où lon ait fait de plus grandes choses pour le bien public que pendant les cinquante-cinq années que Louis, XIV régna lui-mèéme»”. Sia come categoria scientifica che come categoria polemica, sia come criterio interpretativo dei governi dell'Oriente che come strumento per ridicolizzare o rendere odiosa, ‘demonizzare’ la monarchia assoluta francese della seconda metà del XVII secolo, la

nozione di dispotismo proposta nell’Esprif des /ois è quindi una nozione ‘mancata’: in entrambi i casi uno studio più attento dei fatti storici, il ricorso a fonti più attendibili, ne rivelano tutta la falsità e astrattezza libresca: i paesi orientali non sono governati dall’arbitrio, ma dalle leggi: «il y a partout [in Asia)» — scrive Voltaire nel «Résum& finale dell’Essaz sur les m@urs — «un frein imposé au PERLE arbitraire, par la loi, par les usages, ou par les moeurs»; la monarchia di Luigi XIV, a sua volta, non è un assolutismo

AS

bensì

‘legale’,

è una

monarchia



come

ab-

9 (Euvres historiques, cit., p. 1247. Cfr. sul punto S. Stelling-Michaud, Le meytbe du despotisme oriental, «Schweizer Beitrige zur Allgemeinen Geschichte», 1960-61, pp. 340

$85 ° Ibid. Voltaire cita di nuovo questa frase nel suo Fragzent sur l’histoire générale (1773) e aggiunge: «Cette assertion était vraie; elle était d’un citoyen et non d’un flatteum (Mol., XXIX, p. 262). ° EM,II, p. 809. Cfr. anche la sua lettera al cavaliere di R...X del 20 settembre 1760,

in cui afferma tra l’altro: «ai vu beaucoup de voyageurs qui ont parcouru l’Asie, tous

Voltatre critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

119

biamo già avuto modo di segnalare — «temperata», limitata dalle «leggi» e dai «costumi». Ritorna anche qui, come

si vede, la difesa da parte di Voltaire

del regno del Re Sole. Inoltre, c'è in più la proposta — che è uno degli obiettivi, se non l’obiettivo polemico principale, a mio parere, dell’Essai sur les maurs — di un totale ribaltamento del discorso montesquieuiano sul rapporto Occidente/Oriente: laddove infatti l’autore dell’Espr des loîs — portando al massimo livello di sviluppo uno dei zopoi fondamentali della cultura occidentale — contrappone radicalmente Europa e Asia come regno della legge/regno dell’arbitrio, libertà/schiavità”, Voltaire assimila, omologa

le due realtà,

sostenendo che in entrambe il potere è limitato dalle leggi, in entrambe vige il governo delle leggi e non l’arbitrio. Inoltre, laddove Montesquieu rivendica, più o meno esplicitamente, il primato dell'Occidente sull’Oriente”, Voltaire oppone polemicamente — e sarà seguito su questa strada da Linguet e, con molto più equilibrio e competenza, da Anquetil-Duperron, vale a dire dagli altri due maggiori critici settecenteschi della teoria montesquieuiana del

levaient les épaules quand on leur parlait de ce prétendu despotisme indépendant de toutes les lois» (Corr., V, p. 1118). ” Cfr. anche, a questo proposito, il tardo dramma Les /is de Minos (1773), dove Voltaire traccia una netta distinzione tra esercizio legale ed esercizio illegale o arbitrario del potere regio: per potere supremo — scrive infatti — non intendo un’«autorité arbitraire», bensì un’«autorité raisonnable, fondée sur les lois mèmes, et tempérées par elles»;

un’«autorité juste et modérée, qui ne peut sacrifier la liberté et la vie d’un citoyen è la méchanceté d’un flatteur, qui se soumet elle-mème è la justice [...], qui fait d’un royaume une grande famille gouvernée par un père. Celui qui donnerait une autre idée de la monarchie serait coupable envers le genre humain» (Mol., VII, p. 232). Vedi su questo delicato aspetto del pensiero politico voltaitiano, oltre al libro già citato di P. Gay che dedica un intero capitolo a quello che egli chiama l’«assolutismo costituzionale» del filosofo di Ferney (pp. 307-337), Th. Besterman, Vo/tatre, trad. it. di R. Petrillo, Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 266-267.

" Vedi al riguardo D. Felice, Una forma naturale e mostruosa di governo: il dispotismo nell'«Esprit des lois», in D. Felice (a cura di), Leggere «Esprit des lois». Stato, società e storia nel pensiero di Montesquieu, Napoli, Liguori, 1998, pp. 57-59 e passi. ? Cfr., a questo proposito, S. Rotta, Quattro temi dell’«Esprit des lois», «Miscellanea

storia ligure», n. 1, 1988 dell’Europa»).

(Studi in onore di Luigi Bulferett), pp. 1358-1371

di

(«Il primato

120.

Voltaire: religione e politica

dispotismo” — la superiorità dell'Oriente sull’Occidente: «’Orient, berceau de tous les arts, et qui a tout donné à l’Occident», scrive

nell’«Avant-propos» dell’FEssai sur les meurs'; e a proposito dei Cinesi osserva che se è vero che sono rimasti più indietro rispetto agli Europei in campo scientifico e tecnologico, hanno però «perfectionné la morale, qui est la première des sciences» e godono di una costituzione politica che è la migliore del mondo”; circa l'Impero ottomano,

poi — l’altra grande realtà socio-politica orientale,

accanto a quella cinese, da cui Montesquieu soprattutto attinge i materiali per l'elaborazione del suo modello o tipo di governo dispotico —, il patriarca di Ferney bolla come una «plaisanterie» da «Comédie italienne» l’immagine montesquieuiana del pascià che distribuisce la giustizia a colpi di bastone” e sostiene polemicamente che la giurisprudenza

turca

è fondata «sur le sens

commun,

l'é-

quité, et la promptitude» ed è da preferire alla procedura civile e criminale

francese,

caratterizzata

da una

snervante

lentezza

e da

meccanismi ingarbugliati e pesanti”. Totale rovesciamento, dunque, della prospettiva eurocentrica di Montesquieu, un rovesciamento che Voltaire prosegue e approfon-

disce, come vedremo subito, nelle sùe critiche alla teoria — esposta soprattutto nella terza parte dell’Esprz des /ois — dell'influenza dei climi sulle leggi, i costumi

e le credenze

religiose dei vari popoli

della terra. (c) Riguardo a questa teoria, il filosofo di Ferney concentra la Ta DIS-NSFL

Linguet cfr., in particolare, Du plus heureux gouvernement,

ou parallèle des

constitutions politiques de l’Asîe avec celles de l'Europe; servant d’introduction à la Théorie des loix civiles, in S.-N.-H. Linguet, Ceuvres, Londres, 1774, tt. I e II (rist. anastatica: Paris, 1970); di A.-H. Anquetil-Duperron, invece, la sua celebre Législazion orientale, Amsterdam, 1778. Vedi su entrambi R. Minuti, Mito e realtà del dispotismo ottomano, cit., pp. 50 sgg.

GARA L porb0t ° Ibid., p. 68. ° Cfr.

ibid., II, pp.

785-786

e Dictionnaire philosophique,

XVIII, p. 158. CRI ATA Cpvas: * Commentaire, Mol., XXX, p. 428.

voce

«De

la Chine»,

Mol.,

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu.

121

sua attenzione, per la verità non senza forzature e schematismi (non dice nulla, ad esempio, sul fatto che il clima, per quanto

importante, è per Montesquieu solo uno dei fattori che costituiscono l’esprit général di un popolo”) soprattutto su due connessioni presenti nell’Espr des /ois: quella, invero alquanto sfumata, tra clima e tipo di religione” e quella tra clima ed altri fattori fisici, da un lato, e forme di governo, dall’altro”'.

Circa la prima connessione, Voltaire contesta che una religione sia adatta ad un determinato clima piuttosto che ad un altro: la religione maomettana

— scrive ad esempio in A4.B.C. —, «née dans

le terrain aride et bràlant de la Mecque, fleurit aujourd’hui dans les belles contrées de l’Asie Mineure, de la Syrie, de l’Egypte, de la Thrace, de la Mysie, de PAfrique septentrionale, de la Servie, de la Bosnie, de la Dalmatie, de l’Epire, de la Grèce»; la religione cristiana, a sua volta, «née dans le terrein pierreux de Jérusalem, et

dans un pays de lépreux, où le cochon est un aliment presque mortel, et défendu par loi [...|, domine aujourd’hui dans des pays fangeux où l’on ne se nourrit que de cochons, comme dans la Vestphalie»”. Certamente le cerimonie, le pratiche o i riti religiosi dipendono in gran parte dal clima («On se baigne dans le Gange aux nouvelles lunes: s’il fallait se baigner en janvier dans la Vistule, cet acte de religion ne serait pas longtemps en vigueum), ma non ne GELA.

® EL, XIV, 4-5 e 10; XXIV, 24-26; XXV, 15; Défense de l'«Esprit des loi (1750), II° partie: «Clima», in OC, I, pp. 465-467. * EL, XIV-XVIII. * Mol., XXVII, p. 316. Pensées sur le gouvernement, Mol., XXIII, p. 533. Cfr. anche Questions sur l'Eneydopédie, voce «Clima, Mol., XVIII, p. 200: «Un législateur n’aura pas eu de peine è faire

baigner des Indiens dans le Gange à certains temps de la lune: c'est un grand plaisir pour eux. On l’aurait lapidé s’îl eùt proposé le mème bain aux peuples qui abitent les bordes de la Duina, vers Archangel. Défendez le porc à un Arabe [...], il vous obéira avec

joie. Faites

la méme

défense

è un Westphalien,

il sera tenté de vous

battre»; e

Commentaire, Mol., XXX, p. 444: «L’illustre auteur [Montesquieu] croit que les religions dépendent du climat. Jé pense avec lui que les rites en dépendent entièrement. Mahomet n’aurait défendu le vin et les jambons ni à Bayonne ni à Mayence [...]. Une religion dont

122

‘oltaire: religione e politica

dipende affatto la «croyance», che è ciò che costituisce propriamente la religione”: «On fera tout aussi bien recevoir un dogme» — si legge nella voce «Clima» delle Questions sur l'Enoyelopédie — «sous l’équateur et sous le cercle polaire. Il sera ensuite également rejeté à Batavia et aux Orcades, tandis qu’il sera soutenu unguibus et rostro à Salamanque. Cela ne dépend point du sol et de l’atmosphère, mais uniquement de l’opinion, cette reine inconstante du monde». Per quanto

concerne

l’altra connessione,

Voltaire

confuta

un

po’ tutte le principali spiegazioni di carattere fisico-geografico addotte nell’Espri? des los per giustificare la libertà dell'Europa e il dispotismo dell’Asia, la superiorità dell’Occidente sull’Oriente, dei popoli del Nord su quelli del Sud del mondo. Indubbiamente — scrive nel Corzzentaire — il clima «étend son pouvoir [...] sur la force et la beauté du corps, sur le génie, sur les inclinations. Nous

n’avons jamais entendu parler ni d’une Phryné samoyède ou négresse, ni d’un Hercule

lapon, ni d’un Newton

topinambow,

ma

Montesquieu ha torto quando afferma che i popoli del Nord, fotti e coraggiosi a causa del clima freddo, abbiano «toujours vaincu» quelli del Mezzogiorno, debolie vili a causa del clima caldo, «car

les Arabes acquirent pat les armes, en très peu de temps, au nome de leur patrie, un empire aussi étendu que celui des Romains; et les Romains eux-mèmes avaient subjugué les bords de la mer Noire, qui sont presque aussi froids que ceux de la mer Balti-

les cérimonies les plus essentielles se feront avec du pain et du vin, quelque sublime, quelque divine qu'elle soit, ne réussira pas d’abord dans un pays où le vin et le froment sont inconnus». Cfr. Commentaire, Mol., XXX, p. 444. * Mol., XVIII, p. 200 (corsivo nel testo). «On a cru au polythéisme» — osserva ancora Voltaire — «dans

tous les climats; et il est aussi aisé à un Tartare

de Crimée

qu’è un

habitant de la Mecque de reconnaître un Dieu unique, incommunicable, non engendré et non engendreur. C’est par le dogme encore plus que par les rites qu’une religion s’étend d’un climat à un autre. Le dogme de l’unité de Dieu passe bientòt de Médine au mont Caucase; alors le climat cède è l’opinion» (ibid. p. 201).

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

123

que». Parimenti ha torto quando sostiene che le leggi, i costumi e le usanze dei popoli orientali, a causa della loro debolezza di organi e pigrizia dello spirito conseguenti al clima caldo, siano oggi le stesse di mille anni fa”, perché in realtà sono radicalmente mutate, prima con l'avvento del Cristianesimo, poi con l’espansione dell’Islam, infine con la formazione dell’Impero ottomano”. La ragione, poi, che il Presidente — in aggiunta a quella basata sul clima — adduce per spiegare l'istituzione dei grandi imperi dispotici in Asia, cioè la presenza in questo continente di «grandes plaines», è del tutto falsa: evidentemente — ironizza Voltaire — «l n’a pas songé que la Perse est entrecoupée de montagnes; il ne s’est pas souvenu du Caucase, du Taurus, de l’Ararat, de l’Immats, du Saron, dont les branches couvrent l’Asie. Il ne faut ni donner des

raisons des choses qui n’existent point, ni en donner de fausses des choses qui existent”. Ancora: Montesquieu «prétend»” che la

“ Commentaire, Mol., XXX, p. 444. Voltaire non indica qui il luogo preciso dell’EL in cui Montesquieu farebbe l'affermazione che gli attribuisce, ma è molto probabile che abbia in mente il cap. 2 del libro XIV e/o il 3 e il 4 del libro XVII, le cui tesi fondamentali però

sono Mol., ceux II). —

alquanto più sfumate e complesse di quanto egli lasci intendere. Cfr. anche «Lois», XX, pp. 6-7: «“Les peuples des pays chauds sont timides comme les vieillards le sont; des pays froids sont courageux comme le sont les jeunes gens” ([EL], Liv. XIV, chap. Il faut bien se garder de laisser échapper de ces propositions générales. Jamais on n°a

pu faire aller à la guerre un Lapon, un Samoyède; et les Arabes conquirent en quatre-vingts

ans plus de pays que n’en possédait l’Empire romain. Les Espagnols en petit nombre battirent à la bataille de Mulberg les soldats du nord de l’Allemagne. Cet axiome de l’auteur [Montesquieu] est aussi faux que tous ceux du climat».

Cfr

BL XIV; 4.

® Cfr. Commentaire, Mol., XXX,

p. 445.

* A.B.C., Mol., XXVIII, pp. 315-316. Cfr. anche Corpus des notes marginales, cit., p. 748 e «Lois»,

Mol.,

XX,

p. 11. L’ironia

di Voltaire

è qui alquanto

fuori luogo, giacché

Montesquieu parla solo di «plus grandes plaines» presenti in Asia rispetto all'Europa e non ignora affatto che in Oriente vi siano montagne; scrive infatti esattamente: «En Asie, on a toujours vu de grands empires; en Europe, ils n’ont jamais pu subsister. C’est que l’Asie que nous connaissons a de plus grandes plaines; elle est coupée en plus grands morceaux par les mers [par les montagnes et les mers, nelle edizioni dell’EL anteriori al 1757];

et, comme elle est plus au midi, les sources y sont plus aisément taries, les zzontagnes y sont moins couvertes de neiges, et les fleuves moins grossis y forment de moindres barrières» (EL, XVII,6, cpv. 1) (corsivi miei).

° EM, II, p. 807.

124

Voltaire: religione e politica

libertà si trovi più nelle zone di montagna che nelle pianure”, ma in Asia — si legge nell’Essai sur les maurs — «il y a bien autant de pays montueux [...] qu’en Europe”. Infine, afferma che i popoli barbari del nord dell'Europa erano liberi e nelle loro conquiste portarono ovunque la libertà, mentre i popoli barbari del nord dell’Asia erano schiavi e stabilirono dappertutto nei paesi conquistati la schiavitù e il dispotismo”, ma la storia mostra che «le goùt pour la libert& ha caratterizzato indiscriminatamente i popoli nomadi: «les Alains, les Huns, les Gépides, les Turques, les Goths, les Francs, furent tous les corgpagnons, et non les esclaves, de leurs

barbares chefs» Come si vede — appellandosi sempre all’esperienza, alla storia, ai fatti — Voltaire sostiene l’infondatezza dell'argomento delle ‘diversità’ di carattere climatico-geografico addotto nell’Esprif des /ois per legittimare il primato dell’Europa sull’Asia e sottolinea la sostanziale omogeneità tra i due continenti a questo riguardo. In ogni caso, nel Corzzzentaire — dove se ne occupa più diffusamente — il patriarca di Ferney nega recisamente che il clima e gli altri fattori fisici giochino un qualche ruolo nelle vicende umane. Una lingua di montone — osserva sarcasticamente alludendo all'esperimento su

questo organo addotto da Montesquieu a riprova del potere del

CA

EISEXV192:

°° EM, II, 807. «Il est bien délicat» — aggiunge ancora Voltaire — «de cherchert les raisons physiques des gouvernements; mais surtout il ne faut pas chercher la raison de ce qui n’est point» (ibid).

Cfr. WELXVIL»5: “ EM, I, p. 613 (corsivo mio). Cfr. anche ibid, p. 342 e t. II, p. 807, dove la polemica con Montesquieu porta Voltaire ad attribuire all’organizzazione sociale e politica dei Tartari e degli Arabi pre-mussulmani i caratteri propri di un tipo particolare di repubblica: «L’auteur de l’Esprit des /ois dit qu'il n°y a point de républiques en Asie. Cependant cent hordes de Tartares, et des peuplades d’Arabes, forment des républiques

errantes». Sull’omologazione, per lo più in funzione antimontesquieuiana, da parte del filosofo di Ferney tra i popoli barbari del nord dell’Europa e i popoli barbari dell’Asia, vedi R. Minuti, Oriente barbarico e storiografia settecentesca. Rappresentazioni della storia dei Tartari nella cultura francese del

102 e 128-129.

XVIII secolo, Venezia, Marsilio, 1994, in particolare pp. 81-82,

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquien.

125

clima” — non spiegherà mai perché «la querelle de l’empire et du sacerdoce» abbia scandalizzato e insanguinato l'Europa per oltre seicento anni, né renderà ragione «des horreurs de la rose rouge et de la rose blanche, et de cette foule de tètes couronnées qui sont tombées en Angleterre sur les échafauds»”. Ben altri sono i fattori che hanno influito e influiscono sul mondo umano e sociale e che consentono di spiegare gli eventi della storia, e segnatamente «e gouvernement,

la religion et l’éducation»:

sono

essi — scrive Vol-

taire nelle battute conclusive del Corzzentaire — che «produisent tout chez

les malheureux

mottels

qui rampent,

qui souffrent,

et qui

raisonnent sur ce globe». (d) Veniamo, infine, alle critiche rivolte alla teoria dei poteri intermedi e alla venalità delle cariche. Com'è noto, Montesquieu delinea nell’Esprz des los due modelli fondamentali di monarchia moderna: la monarchia di tipo francese, basata sui poteri intermedi dell’aristocrazia, del clero e della nobiltà di toga, e la monarchia di tipo inglese, fondata sul sistema rappresentativo e su un complesso e sofisticato meccanismo di ‘spartizione’ e di controllo reciproco dei poteri fondamentali dello Stato. Pur essendo stato per tutta la vita un ammiratore del governo inglese, Voltaire non

dice molto

su

questo secondo

modello.

Os-

serva genericamente di essere «plein» di tutto ciò che nell’Esprif des lois si dice intorno alla libertà politica, ma del celebre capitolo 6 del libro XI prende in considerazione soltanto, più che altro per Gre

XIV02; cpwalSt

°° Commentaire, Mol., XXX, p. 456-457. ” Ibid., p. 457 (corsivo mio). Negli scritti anteriori al Corzzzentaire Voltaire riconosce, invece, una certa influenza sulle vicende umane e sociali anche al clima: cfr. ad es. EM, II, p. 806 e Questions sur l'Eneyclopédie, voce «Clima, Mol., XVIII, p. 200. Da notare, inoltre, a proposito del fattore «gouvernementy, una nuova apologia da parte sua di

Luigi XIV: «[...] un véritablement bon roi» — scrive tra l’altro alludendo appunto a questo re — «est le plus beau présent que le ciel puisse faire à la terre» (Corzzenzazre, Mol., XXX, p. 455).

* Commentaire, Mol., XXX, p. 439.

126.

Voltaire: religione e politica

fare sfoggio del suo spirito corrosivo, l'affermazione sulla presunta origine della costituzione inglese dai «boschi dei Germani» Elogia, invece, a più riprese, l’altro importante capitolo ‘inglese’ dell’Esprit des lois, il 27 del libro XIX, definendolo — ad esempio in

A4.B.C. — un ritratto dell’Inghilterra «dessiné dans le goùt de Paul Véronèse»"”, e — nella sesta sezione («Tableau du gouvernement anglais») della voce «Gouvernement» delle Questions sur l'Encydlopédie — un capitolo ammirevole per i suoi «traits d’espri», la «finesse», la «profondeum'. Ma non va oltre gli elogi. Neppure qui, cioè, Voltaire entra minimamente nel merito del sistema di governo inglese ideato da Montesquieu, un sistema che peraltro egli sembra considerare — com'è stato giustamente sottolineato" — una semplice proposta politica piuttosto che un ideale costituzionale. D’altra parte, se è vero che il patriarca di Ferney individua come caratteristica della monarchia d’oltremanica il «mélange heureux» tra ca-

” Cfr. «Lois», Mol., XX, p. 5, in cui, dopo aver riportato il passo del cap. 6 del libro

XI che si conclude con la famosa affermazione: «Ce beau système [il sistema costituzionale inglese] a été trouvé dans les bois», esclama: «La chambre des pairs et celle des communes,

la cour

d’équité, trouvées

dans

les bois!

On

ne

l’aurait pas deviné.

Sans

doute les Anglais doivent aussi leurs escadres et leur commerce aux moeurs des Germains, et les sermons de Tillotson è ces pieuses sorcières germaines qui sacrifiaient les prisonniets, et qui jugeaient du succès d’une campagne par la manière dont leur sang coulait. Il faut croire aussi qu’ils doivent leurs belles manufactures à la louable coutume des Germains, qui aimaient mieux vivre de rapine que de travailler, comme le dit Tacite»; e Corzzentaire, Mol., XXX, p. 435, dove ripete in termini pressoché analoghi

questa canzonatura e conclude: «Pourquoi n’avoir pas trouvé plutòt la diète de Ratisbonne que le parlement d’Angleterre dans les forèts d’Allemagne? Ratisbonne doit avoir profité, plutòt que Londres, d’un système trouvé en Germanie». Vedi in proposito L. Landi, L'Inghilterra e il pensiero politico di Montesquieu, Padova, Cedam, 1981, pp. 274 e 375.

e Moll XXVII p.1314. "" Mol., XIX, p. 296. "° Da R. Fubini, «Introduzione» a Voltaire, Scritti politici, Torino, Utet, 19787, palio: nota n. 3, e da P. Alatri, Introduzione a Voltaire, Bari, Laterza, 1989, p. 23, soprattutto

sulla base dell’affermazione — contenuta

nella voce «Montesquieu»

del Cazalogue de la

plupart des écrivains francais ecc., in (Euvres historiques, cit., p. 1188 — secondo

la quale «ce

qu'il y a de plus singulier [nell'EL], c'est que l’éloge qu'il fait du gouvernement anglais est ce qui a plu davantage en France».

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu.

127

mera dei Comuni, camera dei Lords e re", è altrettanto vero che

non si sofferma mai ad indagare come concretamente questo «mélange» si produca, attraverso quali meccanismi o congegni costituzionali venga ottenuto e conservato. In tutti gli scritti in cui più diffusamente si occupa del governo inglese — penso in particolare all’ottava e alla nona delle sue Lezzres philosophiques e al «Tableau du gouvernement anglais» appena citato — lo fa più da storico che da politico, più per mettere in luce il processo di progressivo indebolimento, a partire dal XIV secolo, della nobiltà inglese a vantaggio

soprattutto della ‘borghese’ camera dei Comuni che per decifrare i meccanismi costituzionali che stavano dietro quel processo", più per elencare ed esaltare i numerosi e fondamentali diritti politici e civili assicurati da tale governo che per scoprire attraverso quali vie, quali mezzi o strumenti concreti quei dititti venissero garantiti. È assente, insomma, nelle varie prese di posizione di Voltaire sul sistema politico inglese, un vero

interesse

per le questioni di or-

dine strettamente costituzionale’ Di gran lunga maggiore, invece, è l'attenzione che il filosofo di Ferney dedica al nOn di monarchia francese, e a ragione, essendo quello che più direttamente lo riguardava e perché radicalmente antitetico all’ideale politico in cui egli credeva e per il quale combatteva,

vale a dire la monarchia

assoluta

così come

si era

venuta configurando in Francia a partire soprattutto dal regno di Luigi XIV.

103

Lettres philosophiques, cit., p. 38. Cfr. anche

i0d., p. 34 e ALEC,

Nlok,, SONDE,

PE

349. 104

Un processo che peraltro Voltaire, diversamente da Montesquieu, registra con evidente soddisfazione, anche per quanto concerne la Francia: cfr. ad es. la sua nona /elzre

philosophique dove afferma che era stata una fortuna per il genere umano

che l'autorità

dei nobili, bollati come «petits brigands», fosse stata «éteinte», in Francia, dal potere dei re, e in Inghilterra, da quello dei re e della camera dei Comuni (Leztres philosophiques, cit.,

p. 41). Vedi sul punto P. Gay, Vo/tare politico, cit., pp. 61-62. ° Cfr. in proposito R. Fubini, «Introduzione», cit., p. 13;J. Brethe de La Gressaye, Politique comparte de V oltaîre, Rousseau et ‘a

Ne

de l’Académie

nationale

des

sciences, belles-lettres et‘arts de Bordeaux», 5° s., t. IV, 1979, p. 65; e P. Alatri, Inzroduzione a Voltaire, cit., p. 23.

128.

Voltaire: religione e politica

Di quest’altro modello montesquieuiano, Voltaire rifiuta o con-

testa con durezza un po’ tutti i capisaldi, a partite da quello concernente

le sue presunte

origini feudali", alla tesi secondo

cui la

nobiltà costituisce l’essenza della monarchia!” e all’altra secondo la quale il potere del clero rappresenta sempre e dappertutto un freno all’autorità dei principi”: «e ne conseillerais pas à un homme qui se mélerait d’instruire» — osserva a questo proposito nel Comzentaire alludendo a Montesquieu — «de poser ainsi des règles générales. A peine a-t-il établi un principe, l’histoire s’ouvre devant lui, et lui montre cent exemples contraires» Ancora,

Voltaire

deplora il modo

vago,

generico

con

cui il

Presidente tratta delle leggi fondamentali!” e critica la sua affermazione secondo cui il «dépòt des lois» non può essere che nelle mani della nobiltà di toga". 106

Fautore, all'opposto di Montesquicu, della %èse royal, il patriarca di Ferney respinge, a più riprese, l’appellativo di ros pères conferito nell’EL ai Franchi (VI, 18, cpv. 1; X, 3, cpv. 11; ecc.): «Mais qui étaient ces Francs, que Montesquieu de Bordeaux» —

scrive ad es. nel Comzentaire — «appelle mos pères C'étaient, comme tous les autres barbares du Nord, des bétes féroces qui cherchaient de la pàture, un gite, et quelques vètements contre la neige» (Mol., XXX, pi 448); bolla, inoltre, la monarchia francese delle origini come «chaos», «barbarie», «anarchie», un susseguirsi «d’atrocités et d’hotreurs» (04., pp. 441 e 454); difende, infine, l’abate J.-B. Dubos, giudicato «très-savant et très-circonspect», dalle critiche che gli vengono mosse nel libro XXX dell’EL, soste-

nendo in particolare che Montesquieu «lui fait dire ce qu'il n’a jamais dit, et cela selon sa coutume de citer au hasard et de citer faux» («Lois», Mol., XX, p. 11). FE TRIaA: cpv. 2. «J’aurais désiré» — scrive a questo proposito nel Comzentaire —

«que l’auteur [Montesquiecu], ou quelque autre écrivain de sa force, nous eùt appris clairement pourquoi la noblesse est l’essence du gouvernement monarchique. On serait portait è croire qu’elle est l’essence du gouvernement

de l’aristocratie, comme

UA

féodal, comme à Venise» (Mol., XXX, p. 410).

en Allemagne, et

ccprsib

‘°° Commentaire, Mol., XXX, p. 411. Cfr. anche /bid., p. 413, dove Voltaire ironizza sul paragone montesquieuiano tra il mare che viene arrestato dalle erbe e dalle ghiaiette sparse sulla riva e il potere dei monarchi che è frenato dalla religione (EL, II, 4, cpv. 7). !° Cfr. Commentaire, Mol., XXX, p. 414. Vedi inoltre 0/4., pp. 457-464 e Questions sur l'Enoclopédie, voce «Lois salique», Mol., XIX, pp. 607-613, dove viene criticata la legge salica. Serao Led; cpv. 10. «Cependant — scrive al riguardo in A.B.C. — «le dépòt des lois

de l’empire est è la diète de Ratisbonne entre les mains des princes; ce dépòt est en Angleterre dans la chambre

haute; en Suède, dans le sénat composé

de nobles; et, en

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

129

Si scaglia, infine, violentemente, ogni volta che gliene capita l'occasione,

contro

la venalità

delle

cariche,

accusando

Montes-

quieu di ergersene a difensore per meri interessi di ceto, per gretti motivi egoistici: Montesquieu — si legge in A.B.C. — «a la faiblesse de dire que la vénalité des charges est bonne dans les États monarchiques”. Que voulez-vous? il était président è mortier en province. Je n'ai jamais vu de mortier, mais je m’imagine que c'est un superbe ornement. Il est bien difficile à Pesprit le plus philosophique de ne pas payer son tribut è l’amour-propre. Si un épicier parlait de législation, il voudrait que tout le monde achetàt de la cannelle et la muscade»' E in modo altrettanto duro Voltaire si esprime nella voce «Lois (Esprit des)» e nel Corzzzentaîre: la venalità delle cariche non è che

un

«opprobre»,

un’«infamie»,

un

«abus»,

e la sua

difesa

da

parte di Montesquieu è «indigne de lui» e «déshonore son ouvrage». Sarebbe stato mille volte meglio — non manca di aggiungere col suo consueto anticlericalismo — «vendre les trésors de tous les couvents et l’argenterie de toutes les églises que de vendre la justice»! Si tratta evidentemente di un’accusa in larga parte ingiusta, che fa il paio peraltro con quella analoga, ma forse altrettanto in buona parte iniqua, rivolta da Montesquieu a Voltaire quando gli rimprovera di scrivere storie solo pet il suo «convento», ovvero

dernier lieu, l’impératrice Catherine

II, dans son nouveau

code, le meilleur de tous les

codes, remet ce dépòt au sénat composé des grands de l’empire. Ne faut-il pas distinguer entre les lois politiques et les lois de la justice distributive? Les lois politiques ne doivent-elles pas avoir pour gardiens les principaux membres de l’État? Les lois du zier et du zen, l’ordonnance criminelle, n’ont besoin que d’ètre bien faites et d’ètre imprimées; le dépòt en doit ètre chez les libraires. Les juges doivent s°y conformer; et quand elles sont mauvaises,

comme

il arrive fort souvent,

alors ils doivent

faire des remon-

trances à la puissance suprème pour les faire change» (Mol., XXVII, p. 320). Cfr. pure Commentaire, Mol., XXX, pp. 413-414. RrRBANas19) cpr: 13, (corsivo nel testo).

5 Mol., XXVII, p. 325. ci dito Mol., XX, pp. 2-3; Cormzzentaire, Mol. , XXVII, p. 425.

130.

Voltaire: religione e politica

orientate alla dimostrazione di tesi precostituite'’’. In ogni caso è un’accusa

meramente

ideologica,

che

ignora

completamente

la

preoccupazione fondamentale che sta alla base della presa di posizione montesquicuiana — una preoccupazione che fu colta, invece, assai bene, com’è noto, da Hume! —, vale a dire l’assicurare ai giudici, tramite l'istituto della venalità delle cariche, autonomia, indipendenza dall’assolutismo regio. Anche riguardo al modello di monarchia francese, Voltaire non

sembra quindi interessato alla problematica costituzionale che sta al centro

del discorso

di Montesquieu

— vale a dire alla ricerca

delle vie concrete attraverso cui impedire al monarca di abusare del suo potere ovvero di trasformarsi in despota!” — quanto invece a

'° Cfr. Pensées, n. 1446 (929): «Voltaite n’écrira jamais une bonne histoire; il est comme

les moines, qui n’écrivent pas pour le sujet qu’ils traitent, mais pour la gloire de

leur ordre; Voltaire écrit pour son couvent».

"° Cfr. la sua lettera a Montesquieu del 10 aprile 1749: «Tous les déclamateurs qui sont en France» — vi si legge tra l’altro — «exercent leur rhétorique contre la vénalité des charges [...]; mais vous en jugez. sur des principes plus vrais & plus profonds. Puis-je hasarder d’ajouter encore ceci? La considération d’un léger profit a engagé la Cour à multiplier prodigieusement les offices dafis vos ‘présidianx & dans vos parlemens, ce qui rend vos courts de judicature plus populaires & les fait ressembler è nos jurés. Comme il seroit plus odieux & plus tyrannique de dépouiller un homme d’un office qu'il a acheté à un haut prix que sil l’avoit recu gratuitement de la Cour, ces sortes de dépouillemens sont très rares et donnent à vos juges /a liberté & l'indipendance. La créature d’un grand seigneur qui tiendroit sa charge du crédit de son patron, comptant sur cette protection,

pourroit commettre de grandes vexations; mais les liaisons de vos juges avec les gens de la Cour sont très rares & cela vient principalement de la vénalité des offices» (OC, III, pp. 1218-1219; corsivo mio).

'” È vero che Voltaire insiste in più di un’occasione — lo si accennava più sopra — sulla distinzione tra assolutismo arbitrario e assolutismo ‘costituzionale’ o sottoposto alle leggi, ma è altrettanto vero che egli non si preoccupa affatto — come rileva anche P. Gay, Voltaire politico, cit., p. 322 — di fornire per la Francia del suo tempo istituzioni formali in grado di impedire al monarca, qualora lo avesse voluto, di abusare del suo potere, confidando esclusivamente sulla forza dell’opinione pubblica, ovvero sulla pro-

gressiva diffusione dei lumi tra il «popolo». Anche Montesquieu ha fiducia in questa diffusione dei lumi («Il n’est pas indifférent que le peuple soit éclairé, scrive ad es. nella «Préface» dell’EL:

OC, I, p. lx), ma

questo non

basta; occorrono

anche per lui precisi

meccanismi ‘oggettivi’, precise istituzioni formali capaci di ‘ostacolare’ concretamente il monarca che fosse tentato di trasformarsi in despota. Certo le forze politico-sociali che egli individua come baluardi contro il potere arbitrario sono delle forze politico-sociali

Voltatre critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

131

denunziare il suo pregiudizio nobiliare, il carattere retrogrado, ‘feu-

dale’, di questo suo tipo di monarchia, e a sferrare attacchi contro i ceti privilegiati, in particolare contro la nobiltà di toga dei Parlamenti, da lui considerata il baluardo dell’intolleranza e del fanatiSIMONE IV. Concludiamo. Sia sull’insieme dell’Espri? des lois che su sue singole teorie e affermazioni, Voltaire rivolge dunque critiche assai severe a Montesquieu. Si tratta di critiche dovute non tanto (o non solo) a ragioni di scarsa simpatia personale (che certamente ci furono'), quanto e soprattutto — come si è già accennato e come dovrebbe risultare evidente dalle cose che siamo venuti fin qui enucleando — a reali divergenze di vedute a livello teorico e a livello politico-ideologico. Ma — come si diceva all’inizio — la posizione di Voltaire verso

di stampo feudale-corporativo — che Voltaire giustamente combatte —, ma ciò che conta soprattutto è la funzione che a queste forze egli assegna, ovvero è il modello costituzionale che costruisce, un modello basato sulla ‘spartizione’ e limitazione reciproca dei poteri ossia sul pluralismo, e cioè su quanto di più antitetico vi potesse essere con l’assolutismo, entro i cui schemi il patriarca di Ferney — al di là di alcune sue contingenti aperture in senso democratico durante gli anni ‘60 del Settecento e al di là del carattere più o meno

‘progressivo’ dei suoi modelli di monarchia

‘illuminata’, su cui vedi

F. Diaz, Montesquieu e Voltaire, in L'Europe de Montesquieu. Actes du Colloque de Gènes (26-29 mai 1993), réunis par A. Postigliola et M.G. Bottaro Palumbo, Napoli-ParisOxford, Liguori-Universitas-Voltaire

Foundation,

dai quali non sa o non vuole uscire. "* Cfr. al riguardo soprattutto la sua

1995, pp. 243-255 — resta racchiuso o

Histoire du parlement de Paris (1769), Mol.,

XV-XVI, e le sue Questions sur l’Enoyclopédie, voce «Parlement de France», Mol., XX, pp. 169-178. La denuncia voltairiana del carattere retrogrado, ‘arretrato’ del modello monte-

squieuiano di monarchia dei poteri intermedi è, insieme a quella della natura ‘mitica’ dell'immagine del dispotismo asiatico disegnata nell’EL (cfr. supra), uno dei motivi che hanno avuto maggior fortuna nella storia della letteratura critica di questo secolo: la riprendono e amplificano da ultimi L. Landi, L’Inghà/ferra, cit., pp. 578-611, 633-637; F. Diaz, Montesquieu e Voltaire, cit.:; e A. Burgio, Con Montesquieu, tra «ancien régime» e modernizzazione, in Id., Rousseau, la politica e la storia. Tra Montesquieu e Robespierre, Milano, Guerini e Associati, 1996, pp. 112-141. Sull’atteggiamento di Voltaire verso i poteri intermedi, cfr. M. L. Lanzillo, Tra Bruto e Cesare. Forme della tirannide in Voltaire, «Filosofia politica»,

1996, pp. 452 ss.

7

ni @ftvin proposito R. Shackleton, A/les and enemies, cit., passim.

132.

Voltaire: religione e politica

il Presidente non si esaurisce in queste critiche. Egli ha anche apprezzato Montesquieu e la sua opera, nonché ripreso e approvato vari suoi punti di vista, teorie e concezioni particolari. Montesquieu è un autore che «pense toujours, et fait penset; c'est un roide jouteun, si legge ad esempio in una sua lettera del 1751°, mentre in un’altra di qualche anno dopo lo si definisce «un génie heureux et profond»”. Ancora: Montesquieu è uno spi rito «libre» ed ha un cuore «plein des droits du genre humainy'%; è stato «le plus modéré et le plus fin des philosophes» Le opere dei Grozio e dei Pufendorf sono solo delle compilazioni; l'Esprit des lois, invece, è l’opera «d’un homme d’Etat, d’un philosophe, d’un bel esprit, d’un citoyen»'*; è un’opera che, malgrado i suoi difetti, deve essere «toujours cher aux hommes», perché l’autore vi ha detto «sincèrement ce qu'il pense», «a partout

fait souvenir les hommes qu’ils sont libres» e «présente à la nature humain ses titres, qu’elle a perdus dans la plus grande partie de la terre»; è un ’opera che dovrebbe

essere «le bréviaire de ceux qui

sont appelés à gouverner les autres» ‘°; è «le code de la raison et de la liberty” Come

si vede, siamo

di fronte ‘ad alcuni dei più belli e pro-

fondi giudizi che siano mai stati formulati su Montesquieu e sulla sua opera (è stato «le plus modéré et le plus fin des philosophes»; Esprit des lois è de code la raison et la liberté»), che testimoniano come, al di là della scarsa simpatia personale e dei contrasti anche radicali, Voltaire ne abbia riconosciuto e compreso — lo si diceva all’inizio — il valore, la grandezza”

Voltaire al duca di Uzès, 14 settembre 1751, Cor., III, p. 482 (corsivo nel testo). ‘" Voltaire a È. Bertrand, 5 gennaio 1759, Cor, V, p. 323. Suppliment au Siècle de Louis XIV,uu

CEuvres historiques, cit., p. 1272.

Lettres à S. A. Mgr. le prince de sur Rabelais et sur Da, auteurs accusés d'avoir mal parlé de la religion chrétienne (1767), in Mélanges, cit., p. 1206. “ Commentaire, Mol., XXX, p. 406. ° Idées ripublicaines, in Mélanges, cit., p. 524; A.B.C., Mol., XXVII, pp. 321-322. Voltaire a E. Bertrand, 5 gennaio 1759, Corr, V, p. 323. !” Commentaire, Mol., XXX, p. 406. E anche, in qualche rara occasione e solo in privato, le propensioni/opzioni

non

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

133

D'altra parte, il filosofo di Ferney — come si accennava poc'anzi — riprende anche e approva o condivide varie prese di posizione, teorie e concezioni particolari di Montesquieu, in numero certamente inferiore a quelle che rifiuta o contesta, ma altrettanto

se non più importanti, in quanto attinenti per lo più ai valori fondamentali del secolo XVII e alla vera sostanza dell’Illuminismo”. Riprende, ad esempio, soprattutto nel campo del diritto penale — direttamente o tramite la mediazione dell’opera Dei delitti e delle pene di Cesare

Beccaria,

su cui scrisse, com’è

noto,

un

fortunato

Commentaire (1766) — teorie come quelle sulla moderazione delle pene, sulla proporzionalità tra pena e delitto e sulla separazione tra giustizia divina e giustizia umana" Accetta o condivide, poi, prese di posizione e concezioni come: l’opposizione alla schiavitù dei negri ((Montesquieu m’a fort téjoui dans son chapitre des nègres» — scrive in A4.B.C. a proposito del celebre capitolo 5 del libro XV dell’Espr des /oîs —. «Il est bien comique; il triomphe en s’égayant sur notre injustice»’) e alla schiavitù in generale («Si quelqu’un a jamais combattu pour rendre

necessariamente o non esclusivamente filonobiliari: vedi in proposito la sua lettera a Condorcet del 20 settembre 1777, dove da un lato definisce ancora una volta il capolavoro montesquicuiano dell’«Esprit sur les lois», dall’altro però afferma che esso avrebbe

dovuto

essere intitolato «L’Esprit républicain» e che questo spirito gli assicura un «éternel succès» (Corr, XIII, p. 42). ‘° Cfr. R. Shackleton, A/lies and enemies, cit., p. 169. ; Cfr. al riguardo R. Derathé, Le drott de punir chez Montesquieu, Beccaria et Voltaire, in

130

Atti del convengo internazionale su Cesare Beccaria (Torino, 4-6 ottobre

1964), «Memorie

dell’Accademia delle scienze di Torino — Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», s. IV, n. 9, Torino, 1966, pp. 85 sgg.; e C. Larrère, Droz de punir et qualification des crimes

de Montesquieu è Beccaria, in Beccaria et la culture juridique des lumières (Actes du colloque européen de Genève, 25-26 novembre 1994), a cura di M. Porret, Genève, Droz, 1997, pp. 90-91, 94 e

passim. Del Commentaire sur le livre des délits et des peines, riprodotto in Manges, cit., vedi in particolare pp. 796-798,

805-806,

809-810

e 815, nelle quali esplicitamente

o implicita-

mente si riprendono concezioni penalistiche montesquieuiane. FAM bBXVII p. 355. Cfr. anche zbid., p. 314 e Questions sur l’Enoyclopédie, voce «Esclaves», Mol., XVIII, p. 604, dove afferma — sempre a proposito del cap. XV, 5

dell’EL — che Montesquieu Molière».

vi ha dipinto la schiavitù dei negri «avec le pinceau de

134

Voltaire: religione e politica

aux esclaves de toute espèce le droit de la nature, la liberté, c'est

assurément Montesquieu» *); l’umanitarismo («Le principal mérite de l’Esprit des lois est l'amour des lois qui règne dans cet ouvrage», un «amour fondé sur l’amour du gente humainy'); la condanna dell’Inquisizione («La vive et piquante ironie» del Presidente contro questa istituzione, «a charmé tout le monde, hors les inquisiteurs» ‘); la battaglia, infine, contro il potere arbitrario, la superstizione, le ingiustizie fiscali ('Esprif des /ois «attaque la tyrannie, la superstition et le maltòte, trois choses que les hommes détestend) ). Antischiavismo, umanitarismo, denuncia di istituzioni inique, lotta contro l’arbitrio, l'ingiustizia, la superstizione: sono le idee-

guida delle grandi battaglie condotte da Voltaire soprattutto durante

l’ultimo

trentennio

della. sua

vita, idee

che

egli ritrova

come si vede — anche nell’Espr des lois che da questo vista non gli appare più evidentemente come l’opera di sario, ma di un alleato, di un compagno di lotta (da anche, quando è il caso, contro nemici comuni °% e non



punto di un avverdifendere più come

° Commentaire, Mol., XXX, p. 445. ° Catalogue de la plupart des écrivains francais ecc., voce «Montesquieu», in (Euvres historiques, cit., p. 1188. Cfr. anche Supplement au Siècle de Louis XIV, in Qiuvres historiques, cit. p. 1272, e Commentatre, Mol., XXX, p. 446, in cui si qualifica Montesquieu come «défen-

seur de la nature humaine». '“ Ibid. Molto probabilmente Voltaire ha qui in mente il celebre cap. 13 («Très humble remontrance aux inquisiteurs d’Espagne et de Portugal») del libro XXV dell’EL. Cfr. anche A.B.C., Mol., XXVII, p. 314, dove si dice che questo cap. è «fort au-dessus de Callot», e Trazté sur la tolérance, in Mélanges, cit., p. 620, in cui se ne cita un brano nel

cap. XV dedicato ai «Témoignages contro l’intolérance». '° «Lois», Mol., XX, p. 14. Voltaire ripete spesso questa sua asserzione, sostituendo talora «superstition» con «prétres) o «moines»: cfr. ad es. A.B.C., Mol., XXVII, p. 314, e

le sue lettere del 19 gennaio [1761] a Mme @15, XE

Dupin e del 5 aprile 1769 a B.-J. Saurin,

2010 ABS 1 IA

‘° Cfr. in proposito soprattutto il suo Rezzerciezzent sincàre è un homme charitable del 1750 (Mol., XXIII, pp. 457-461), in cui difende Montesquieu dalle accuse di deismo e di spinozismo che gli erano state rivolte dall’abate giansenista J. Fontaine de La Roche sulle «Nouvelles ecclésiastiques» del 9 e 16 ottobre 1749, nonché i duri giudizi che egli esprime, in più di un’occasione, contro le Observations sur le livre «De l’Esprit des lois» di )-B.-L. Crevier (Paris, Desaint & Saillant, 1764): vedi ad es. Les chevaux et les dnes ou étrennes aux sots (1761), Mol., X, p. 134 in nota, e Cor., VII, pp. 544, 559, 568, 570, 577

Voltaire critico dell'Esprit des lois di Montesquieu

un

libro inutile, bensì

utile, militante, in grado di contribuire

135

al

progresso del genere umano. È con libri come Esprit des lots, che combattono la «supetstition» e ispirano la «morale», che si giungerà a rendere migliori gli uomini — suggerisce infatti al termine delle Idées r@ublicaines, com-

poste appena due anni dopo il suo celebre Traité sur la tolérance (1763) —; se i giovani leggeranno con attenzione libri come questo,

«ls seront préservés de toute espèce de fanatisme: ils sentiront que la paix est le fruit de la tolérance,

et le véritable

but de toute

société». L’Esprit des lois, dunque, come antidoto contro la superstizione e il fanatismo. Da parte di un pensatore come Voltaire che pone al centro di tutta la sua opera l’ideale della tolleranza — da parte dell’uomo di Calas» — è certamente questo il miglior apprezzamento che si potesse esprimere sul capolavoro montesquieuiano.

e 796. Sul Rezzerciezet, cfr. gli equilibrati giudizi di R. Shackleton, Montesquiey, cit., p. 363, e Allies and enerzies, cit., p. 166.

7 Idées républicaines, in Mélanges, cit., p. 524.



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al

Indice dei nomi

Abel, O. 51n. Adams, G. 41n.

| Beauvilliers,

Ages, A. 50n. Agrimi, M. 1 ENT GRIP

RZ

P. de, duca

di Saint-Agnan

Mi2 Beccaria Gaglo5

Bellegarde vedi Morvan de Bellegarde FA

n 250850n®

7205 126n., 1270. Albina, L. 99n. Alembert, J.-B. Le

Rond

Tag, To 63 00 Alessandro, vescovo

d’ 4, 20n., 64,

05

di Alessandria 90

Alessandro III, papa 74n. Amelot de la Houssaye, A.-N. 53

Bengesco, G. 43n. Benitez, M. 8n. Berl, E. 61n. Berthier, G.-F. 103n. Ber ASA78c ins Stern 904° Bertrand, E. 132n. Besterman, Th. 17n., 43n., 51n.,

André, L. 111n.

Anquetil-Duperron, A.-H. 119, 120n.

Rodi lb il eda OSANO SASSONE

Anson, G. 105n.

Bianchini, F. 35n.

Antonino Pio, imperatore di Roma 90n.

Bien, D.D. 41n. Bignon, J.-P. 35n.

Antonio, M. 61n. Api, divinità egizia 48

Za,

Dil,

a,

Blaeu, |. 35n.

Ario 90 Aristotele 116n. Arnauld, A. 54 Arouet, F.-M. vedi Voltaire

Bloch, M. 109n.

Bobbio, N. 116n. Bochard, S. 34n. Bodin, J. 71n., 107 Boileau, N. 112

Aubery, P. 50n. Augusto, Giulio Cesare Ottaviano, ratore di Roma 6in., 89n.

62n.,

68n., 100n., 119n.

impe-

Baker, K.M. 26n. Balibar, E. 12n.

Barbeyrac, ]. 107 Barbier, A.-A. 25n. Barile WR nFal5 733 nt to1Mebn: 45203894, 58 e_n., 59, 60, 62' e n., 66, 67 Beaume, H. 33n.

Boisgelin, J. 24 Boisset, J. 66n. Bolingbroke, H. S.-]., visconte di 15 Bonfantini, M. 59n. Bossuet, ].-B. 33n., 54 Botero, G. 71n. Bottaro Palumbo, M.G. 63n., 92n., 131n. Bouchet, padre gesuita 106n. Boulainvilliers, H. de 53 Boulanger, N.-A. 13, 14, 20

138.

Indice dei nomi

Bourzeis, A. de 111n. Brethe de la Gressaye, J. 111n., 276a, Briasson, A.-C. 105n. Brienne, L. de 24, 26 BrossestCh#det37M98n Brumoi, P. 33 e n. Bruno, G. 10 e n. Buffon, G.-L. Leclerc de 20n. Burgio, A. 131n.

Cremonini, 112n.,

Cristo vedi Gesù Cristo Cubero, ]. 41n. DainvilleF. de 330 Damilaville, E.N. 17 Darnton, R. 26, 27

David, J.C. 25n. Decio, imperatore di Roma 90n. Deffand, M. de Chamrond de Vichy, mar-

Burlamaqui, J.-J. 107 Caillois, R. 11n., 62n. Calas, Jean 22, 41 e n., 42, 43, 44, 45, 57,

CAMODECENEI COMO Calas, Louis 42 Calas, Matc-Antoine

C. 14

Crevier, ].-B.-L. 134n.

chesa du 104n., 106 ID'elattie MB NS0n Daeziné RG ita, H6a, 1551 IDesantiiSA2.0nì Descartes, R. 54, 60, 88n.

De Tartre, padre gesuita 31 e n.

41, 42, 43

Calas, Pierre 42, 43 Callot, J. 134n. Calvin, J. 82n.

Die; 8 5, dia, 7Zfn,, 151ha Dear DI 20 S7 e 1a, ibn, 78,83, 66, 89n.

Calvino, Giovanni vedi Calvin Calvino, Italo 79n. Campanella, T. 10 Canziani, G. 8n., 14n.

Di Ns: 6 do, 7 Dodds, M. 105n.

Dubos, ]J.-B. 128n. Du Halde, ]J.-B. 39

Capriglione, F. 80n.

Dumarsais, C.Ch. 13 i Dupin, Claude 103 e n.,

Carcassonne, E. 103n., 104n. Caremo, GG. 7 10, I, 15, 23 Cartesio vedi Descartes Chabannes, J.G.G. de 52n. Chamillart, M. de 112 Charles-Daubert, F. 8n., 10n. Charron, P. 10, 14n. Chassaigne, M. 41n. Clément, P. 104n. Colombo, C. 109

Costantino, imperatore di Roma Cotta NS ill08n Court de Gébelin, A. 65 Cramer, G. 43 Cremonesi, B.M. 109n.

106n.,

Dupin, Louise-Marie-Madeleine 103 e n., 106n., 134n. Du Plessis, L.F.A., duca di Richelieu 62n.

Caterina II, imperatrice di Russia 129n.

Comparato, V.I. 4 n. Condorcet, M.-J.-A.-N. Caritat 18n., 106n., 133n. Confucio 46, 51n., 117n. Cornelio Silla, L. 61n., 111

104n.,

107n., 109n.

Edipo 37 Ehrard, Emilio Enrico Ercole

de

48, 89

17,

]. 102n. Lepido, M. 61n. III, re di Francia 111 122

anca, ME Ila, Federico II di Hohenzollern, re di Prussia 19n., 76n., 9n. Irelitoe, ID), 99, 19, Fénelon, F. Salignac de La Motte 32, 33 e MEMO Ferre t@M08n

Flores d’Atcais, P. 55n. Fontaine de La Roche, J. 134n.

Indice dei nomi

Fontenay, ]J. de 30n.

Iside 90n.

Fontenelle, B. Le Bovier de 33n., 35n., 54 Fotmey, ].-H.-S. 15n. Francastel, P. 116n. france rtA.25 Francesco I, re di Francia 109 Frine, cortigiana greca 122 Fubini, R. 72n., 76n., 9n., 126n., 127n. (GaliletGa79n Galliani, R. 113n. Gatasse, F. 13, 54

Gargett, G. 65n. Garin, E. 58n. Gassendi, P. 54 Gay, P. 41n., 108n., 119n., 127n., 130n. Geissler, R. 15n. Genoveffa, santa 22n. Gentile, G. 68n. Gentillet, I. 94n. GesulCristoni0ne Rie 2A MO Ao O eEnS2: Giancotti, E. 11n. Giustino, santo 53 Gorbaciov, M. 4 Gournay, V. de 24, 25 Granderoute, R. 42n. Grassi, S. 4n., 25n., 50n. Grimm, F.-M. 20 e n.

Jaucourt, E. de 77n., 78n. Kafker, F.A. 42n.

Kimpfer, E. 46 e n. Kang-Hi, Kant, I. Koebner, Kélving, Kors, A.

imperatore cinese 30n., 117n. 68 e n. R. 115n. U. 1n., 42n. Ch. 10n.

[aNBcaumelleMIeARidetonralini : Labrousse, E. 51n. Lagrave, H. 100n., 103n. La Mothe le Vayer, F. 10, 50n., 51n. Landi WIM. Lanson, G. 59n. Lanzillo, M.L. 131n.

La Porte, J. de 104n. [arrereMCAMions La Tour S. de 33n. Trattanzio MIE @RE5I Lauriol, C. 41n., 65n., 66n. Lavaisse, G. 42, 43 Lazzarino Del Grosso, A.M. 92n.

Ie Cs,

San

Leagoianie; IL: Ita I

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Le Gobien, Ch. 30 e n.

Gros, ].M. 51n.

Lepido vedi Emilio Lepido

Grotius vedi Grozio Grozio, U. 107, 108, 132 Guasco, O. di 107n.

Leroux, S. 62n.

Levy, D. 50n. Liber de tribus impostoribus 10 e n.

Guichard, E. 34n.

Licurgo 27

Heinsius, D. 34n. Helvétius, C.-A. 20n., 37 e n. Hertzberg, A. 49n., 50n. Hobbes, Th. 10, 107 Holbach, P.H.D., barone d’ 16, 19n., 23 e O (09 Huet, P.-D. 35n. Hume DNS te n 130

Hyde, Th. 35n. Ingegno, A. 10n.

139

7

Linguet, S.-N.-H. 109n., 119, 120n. JPockexi] A60xcan MO (8 TARE Ioltette, Ri dda

Lombardo-Radice, G. 68n. Luca, evangelista 51 e n. Luigi XIV, re di Francia 30n., 44, 79n., SA OL bb ea, dee. 2998 127 Luporini, C. 72n. Lutero, M. 82n. Macchia, G. 72n.

140.

Indice dei nomi

Machiavelli, N. 14n., 71n., 77n., 94, 95 e n. Malesherbes, Ch.-G. de Lamoignon de 24, DEMZOrENÌ Maometto 27, 76, 83 e n., 84, 121n. Matia, madre di Gesù 22n.

Marilli, M. 51n. Mario, G. 61n., 111

Nicole, P. 54 Nixon, E. 41n.

Nonnus Panopolita 34n. Norci Cagiano, L. 29 Numa Pompilio 27 O? Cathasaigh, S. 51n. Olivet, abate di vedi Thoulier

Marsigli, L.F. 116n. Mason, H.T. 52n. Mass, E. 63n. Masson, A. 100n. Matheron, A. 11n. Mathieu, V. 68n. Matteucci, N. 116n.

Paganini, G. 14n., 55n. Palissot, M. 9n.

Panckoucke, Ch.-J. 21n. Pascal, B. 54

Pasquino, G. 116n.

Maugham, F.H. 4ln.

Patterson, H.T. 36n.

Medlin, D. 25n. Menot, M. 54 Mercier Faivre, A.-M. 42n., 65n. Mervaud, Ch. 1n., 42n. Meslier, J. 13, 20, 61, 64 Meunier, padre gesuita 32

Petrillo RAMO ns

Minuti, R. 116n., 120n., 124 n. Mitra 90n. Moland, L. 42n., 99n. Molière, J.B. Poquelin, detto 133n. Moncrif, F.-A. Paradis de 112n. Montaigne, M. de 106n.

Montesquieu, Ch.-L. de Secondat, barone dila8BicdelleidiN0nEd59 MSI MOI (69 Gud, Mu, 9 e 1a, 8 100

101, 102n., 103, 104n., 105 e n., 106 e TEMO 08 Ter dun Neca,

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IO cin DI es i 9a a 2223 24 AM 52 0 i, 27, 128 my 29, 60 ta, NS 1625514 kn: IMOotelleEEA820nN24Tekn25tenie2. 69227

Morvan de Bellegarde, ].-B. 112n. Mosé 48, 49, 76 Moultou, P.C. 18, 52n. Naigeon, J.-A. 20, 21n., 26

IiNpela, (Gi 10, te n dl en Nerone, imperatore di Roma 61n. Newton, I. 60, 87, 88 e n., 122

Pietro I, imperatore Grande 46

di Russia,

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Plesse, P.-J. 103n. Manas Ie ilo ZI e im Un, SI E a Sb, E ia VE. 65n., 67 e n., 68n., 100n., 105n.

Pompadour, ].-A. Poisson, marchesa di 44 Pomponazzi, P. 9, 13 Pontchartrain, L. Phelypeaux,

conte

di

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Popkin, R.H. 7n. Porée, padre gesuita 33 e n. Potret, M. 63n., 133n. Postigliola, A. 1, 63n., 72n., 92n., 131n. PriccaRzHiaziti nt Pufendorf, S. 107, 108, 132 Pyrard de Laval, F. 105n. Rabaut, P. 65 Radicati di Passerano, A. 12 Renwick, ]. 42n Rey, M.M. 65 e n. Richelieu, A. Du Plessis de, cardinale

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ba,

Richter, M. 116n. Rochette, F. 66 Rollin, Ch. 117 Romano, P. pseudonimo Rossi, P. 41n.

di Alatri, P. 3

Indice dei nomi Rosso, C. 103n. Rotta, S. 119n.

medie | 25a,

Rousseau, ].-]. 4, 97 e n.

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Tucoo-Chala,

141

S. 21n.

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Rycaut, P. 105n., 116n.

Saint-Evremond, Ch. Marguetel de 33n. Saint-Pierre, Ch. Castel, abate di 87 Salomone, re d'Israele 106n. Saurin, B.-J. 106n., 107n., 134n. Scatasta, G. 108n. Schelle, G. 24n. Schròder, W. 7n. Schwartzbach, B.E. 50n. Ss i, 7519, Sestan, E. 72n. Shackleton, R. 102n., 103n., 131n., 133n., 135n. Silla vedi Cornelio Silla Sirvain, P.-P. 66 Sociatelo0tein on.

Souciet, padre gesuita 30n. Sozzi, Lionello 12n. Sozzi, Marina 72n. Spaventa, S. 3

Spini; G12 Sono,

1

e n. 10h

e asl)

03) ein, 95

Starobinski, J. 92n. Stefano, santo 51n. Stelling-Michaud, S. 118n. Suppa, S. 71, 97n. Tacito, C. 126n.

Theophrastus redivivus 10n., 14 e n. Thieriot, N.C. 33n.

Thou, J.-A. de 53 Thoulier, P.-J. abate d’Olivet 33, 107n. Tiberio, imperatore di Roma 109n.

Tito, imperatore di Roma 90n.

Toland, J. 13 Torcy, J.-B. Colbert, marchese di 112 lioufmemineWR*] 99 st94tein: N95 Ten: Tourneux, M. 20n. Traiano, imperatore di Roma 90n., 111 Traité des trois impostens 7 e n., 8 e n., 9,

lOe n., 10n., dl ew,

12, 13; 14n. cbi

Trattato dei tre impostori vedi Traité des trois

impostenrs

Uzès, C.E. 132n.

de

Crussol,

duca

di 106n.,

Van den Heuvel, ]. 41n., 61n., 105n. Vanini, G.C. 10, 11 Van Runset, U. 19n. Veca, S. 41n., 42n. Venturi, F. 3, 14n., 20n., 72n.

Vercruysse, ]J. 65n. Mernes®]Woln® ‘ Veronese, P. 126 VICOMGROSTCEARMO

Viguère, J. 43 Villars, L.-H 112 Villeroi, F. de Neuville, duca di 112 Villers, R. 103n. Volpilhac-Auger, C. 63n. Voltaire, Arouet, F.-M., detto 1, 2, 3, 4,7,9 cit 13 nen ie, 1617 rali o tea 2082: im 22209211 DIPI.IWE TDI 2,59 1,39 3, 37, 38, 39, 41 e n., 42n., 43, 44 e n., 45, 46 e n., 47, 48, 49n., 50 e n., 51 e n., 52 e RO eni de n., 61 e n., 62e n., 63, 64e n., 65 e n., 66, ONieinRosteinM09 n.0 ine ZI i oe zero, MI NOTE S0 Ten 8 1828 STIANO ye io O 1890, 90 1, UR, Ya II, Vem MMerzd0L 102 es 106 5 104, 105 e n., 106 e n., 107e n., 108 e n., 100 ei, 2 esi es, lie Wie ala IS es WMO Ten 20 2181221123924: Ciorai2.5Teia 812 Teen 2 2:87 IR 90152 Sn 135 Voss, I. 34n.

Vtoesen, ]J. 8n. Watson, W. 117n.

Zoli, S. 117n.

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Lear da See Me

Quaderni del Dipartimento di Filosofia e Politica Istituto Universitario Orientale

Storia e ragione. Le Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence di Montesquieu nel 250° della pubblicazione (a cura di A. Postigliola) Francois La Mothe le Vayer, Piccolo trattato scettico sul senso comune (a cura di D. Taranto) G. Raio, Lezzoni su Kant di Felice Tia Studio ed edizione C. Vargas, Vita e miracoli di S. Gregorio Arcivescovo e Primate di Armenia del P.M.F. Domenico Gravina. Napoli 1630 (1655). Ristampa e commento critico Democrazia, rischio nucleare, movimenti per la pace (a cura di L. Cortesi) M. Bréal, Saggio di semantica (a cura di A. Martone) V.F. Malinovskij, Ragionamento sulla pace e sulla guerra (a cura di P. Ferretti) LI 2a RIT G. Palumbo, Speculum Peccatorum. Frammenti di storia nello specchio delle immagini fra ‘500 e 600 Gabriel Naudé, Consigli per la formazione di una biblioteca (a cura di M. Bray) C. Campani, Pianificazione e teoria critica. L'opera di Friedrich Pollock dal 1923 al 1942 Peirce in Italia (a cuta di M.A. Bonfantini e A. Martone) M. Fatica, I/ problema della mendicità nell'Europa moderna (secoli XVI-XVII) Folla e politica. Cultura filosofica, ideologia, scienze sociali in Italia e Francia a fine Ottocento (a cura di M. Donzelli) A. Borrelli, D'Andrea atomista. L’Apologia e altri inediti nella polemica filosofica della Napoli difine Seicento A. Gramsci, Disgregazione sociale e rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno (a cura di F. M. Biscione) Pierre Bayle e l’Italia (a cura di L. Bianchi) Editoria e cultura a Napoli ne! XVIII secolo (a cura di A. M. Rao) Editer Montesquieu/Pubblicare Montesquieu (a cura di A. Postigliola) Voltaire: religione e politica (a cura di L. Bianchi e A. Postigliola)

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Il volume affronta alcuni momenti centrali legati alla critica religiosa e alla polemica politica dell'autore di Candide. Si individuano così taluni nodi problematici della speculazione voltairiana quali la critica a Montesquiceu, il complicarsi delle relazioni tra religione e politica e i rapporti con la Chiesa e i gesuiti. Emerge inoltre quel tema della tolleranza — religiosa e civile — elaborato da Voltaire, che è il lascito forse più importante che il pensatore francese ha affidato al suo secolo e al nostro.

Saggi di: Lorenzo Bianchi, Eugenio Di Rienzo, Domenico Felice, Letizia Norci Cagiano, Silvio Suppa.

COD.T ISBN 88-207-2954-7

L. 20.000 € 10,33

|| 9 788820"72954