Vivere nella Storia [Vol. 3]
 9788842110927

Table of contents :
Modulo 1. L’Italia tra Ottocento e Novecento
1. Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra
Percorso breve
1.1. Nasce l’industria italiana. La Sinistra al governo
I modi della storia. Unificare l’Italia anche in cucina
1.2. Le riforme innovative del governo Depretis
Le vie della cittadinanza. La scuola pubblica dichiara guerra all’ignoranza
1.3. Una politica per proteggere l’industria
I luoghi della storia. Le campagne italiane nell’inchiesta Jacini
1.4. L’emigrazione. Gli scioperi nelle campagne
Documenti. Il Sud colonia del Nord?
1.5. Organizzazioni socialiste e associazioni cattoliche
Documenti. La Rerum Novarum e la politica sociale della Chiesa
Sintesi
Esercizi
2. Il rovesciamento delle alleanze e la politica coloniale
Percorso breve
2.1. La Triplice Alleanza e la colonizzazione dell’Etiopia
2.2. Il governo Crispi
2.3. La rivolta della fame
Documenti. È arrivato un nemico…
Documenti. La protesta dello stomaco
Sintesi
Esercizi
3. L’età giolittiana
Percorso breve
3.1. Giolitti e il riformismo liberale
I modi della storia. Le lotte sociali e la “neutralità” di Giolitti: i telegrammi ai prefetti
3.2. Libertà di associazione e di sciopero
3.3. La riforma elettorale
Le vie della cittadinanza. Battaglie femminili per la parità dei diritti politici
3.4. Il patto di Giolitti con i cattolici
3.5. Il decollo industriale
3.6. Il divario tra Nord e Sud
3.7. L’occupazione della Libia
Documenti. Pregiudizi contro gli immigrati
I tempi della storia. Giudizi su Giolitti
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Effetti economici e culturali dell’emigrazione italiana
L’emigrazione come “moto di indipendenza popolare”. Gioacchino Volpe
L’emigrazione come conquista di libertà. Piero Bevilacqua
Modulo 2. La Grande guerra e la Rivoluzione russa
4. La Prima guerra mondiale
Percorso breve
4.1. Contrasti e alleanze tra le potenze europee
4.2. Alla vigilia della Grande guerra
4.3. L’inizio del conflitto mondiale
Documenti. Italia in guerra? Un acceso dibattito
4.4. L’Italia tra neutralità e interventismo
4.5. Battaglie estenuanti e sanguinose
4.6 Mobilitazione totale
I luoghi della storia. Vivere e combattere in trincea
4.7. Stanchezza della guerra, desiderio di pace
I modi della storia. Sulle opposte trincee i soldati fraternizzano
Sintesi
Esercizi
5. La fine della guerra. L’Europa ridisegnata
Percorso breve
5.1. 1917, l’Intesa in difficoltà
5.2. L’intervento degli Stati Uniti e la fine della guerra (1918)
5.3. Un tragico bilancio
5.4. La Conferenza per la pace
Le vie della cittadinanza. L’obiezione di coscienza e il rifiuto della guerra
Documenti. I “quattordici punti” di Wilson
5.5. I trattati di pace e le loro conseguenze
I modi della storia. Una guerra incomprensibile
5.6. La dissoluzione dell’Impero ottomano
Sintesi
Esercizi
6. La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS
Percorso breve
6.1. Un paese arretrato
6.2. Dalle proteste alle rivolte
6.3. La rivoluzione del febbraio 1917
6.4. La rivoluzione di ottobre
I tempi della storia. Febbraio o marzo? Ottobre o novembre?
Documenti. Le “Tesi di aprile”
6.5. Nasce la Russia sovietica
6.6. Nasce l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche)
I modi della storia. La Nuova Politica Economica
6.7. Da Lenin a Stalin
Sintesi
Esercizi
7. La crisi degli imperi coloniali
Percorso breve
7.1. Potenze in crisi
7.2. L’India, Gandhi e la strategia della non violenza
I modi della storia. La non violenza è più forte della violenza
7.3. L’indipendenza della Cina e la formazione della repubblica
7.4. La guerra civile in Cina. La vittoria dei comunisti
7.5. Il Giappone e il programma della “grande Asia”
7.6. L’imperialismo statunitense e gli sviluppi politici dell’America Latina
7.7. Governi populisti in America Latina
7.8. Africa e Medio Oriente: il controllo europeo
I tempi della storia. I Protocolli degli Anziani di Sion
Sintesi
Esercizi
8. Il declino europeo e il primato americano
Percorso breve
8.1. L’età delle masse
8.2. L’Europa non è più il centro del mondo
8.3. Il difficile dopoguerra britannico
I modi della storia. Una tragedia mondiale: la “spagnola”
8.4. La Repubblica tedesca di Weimar
Le vie della cittadinanza. Inflazione e debito pubblico. La politica monetaria dell’Unione Europea
8.5. Gli “anni ruggenti” dell’America
I luoghi della storia. Taylor, Ford e la catena di montaggio
8.6. Dall’isolazionismo al piano Dawes: dollari americani per l’Europa
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
La società di massa come nuovo soggetto storico
L’anima collettiva e la psicologia delle folle. Gustave Le Bon
La società di massa come rischio e come opportunità. Bronislaw Geremek
Modulo 3. I regimi totalitari europei
9. L’ascesa del fascismo in Italia
Percorso breve
9.1. L’Italia nel dopoguerra
9.2. Lo sviluppo e l’affermazione dei partiti popolari
Le vie della cittadinanza. I partiti politici
9.3. Il governo Nitti
9.4. La nascita del fascismo
9.5. Il nuovo governo Giolitti
I tempi della storia. 1920-21: la protesta operaia e i finanziatori del fascismo
9.6. Mussolini al governo (1922)
9.7. La vittoria elettorale fascista. L’assassinio di Giacomo Matteotti
Sintesi
Esercizi
10. La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa
Percorso breve
10.1. L’industria americana dal boom alla crisi
I modi della storia. Speculazioni e mercati finanziari
10.2. La crisi dagli Stati Uniti all’Europa
10.3. Una risposta alla crisi: il New Deal di Roosevelt
Documenti. «Cari amici, è il presidente che vi parla»
10.4. Gli effetti della crisi in Gran Bretagna
10.5. Gli effetti della crisi in Francia
Sintesi
Esercizi
11. La dittatura fascista in Italia
Percorso breve
11.1. L’Italia nelle mani del “Duce”
11.2. La politica sociale ed economica
I modi della storia. Il linguaggio di Mussolini: un’oratoria a effetto per suscitare emozioni
11.3. L’autarchia produttiva e alimentare
11.4. La fabbrica del consenso
11.5. Le altre forze in gioco: il Vaticano e gli antifascisti
Documenti. Un solo testo di storia per la scuola di regime
Le vie della cittadinanza. I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica
11.6. Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa dell’Ovest
11.7. Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa Centrale e Orientale
Sintesi
Esercizi
12. La Germania dalla crisi al nazismo
Percorso breve
12.1. Origini del nazismo
I tempi della storia. La svastica, un antico simbolo solare
12.2. La crisi del 1929 dagli Stati Uniti alla Germania
Documenti. Propaganda di massa
I modi della storia. La cultura non serve. Anzi, è dannosa
12.3. La costruzione di uno Stato totalitario
12.4. Il mito della razza ariana
Le vie della cittadinanza. Dare ad altri la colpa serve a rassicurarci. Le radici storiche dell’antisemitismo
12.5. La persecuzione degli ebrei
12.6. Hitler e Mussolini alleati
I modi della storia. La guerra d’Etiopia e i contadini della Basilicata
12.7. La dittatura fascista di Franco in Spagna
I luoghi della storia. Guernica bombardata: Picasso e gli orrori della guerra di Spagna
Sintesi
Esercizi
13. L’URSS di Stalin
Percorso breve
13.1. L’URSS diventa una potenza industriale
13.2. La distruzione dell’agricoltura privata
I luoghi della storia. «Non vogliamo abbandonare la nostra casa»: i kolchoz e la collettivizzazione forzata
13.3. La dittatura di Stalin
Documenti. «Un mediocre burocrate»: il giudizio di Trotzkij su Stalin
I modi della storia. La macchina del terrore
13.4. Arcipelago Gulag
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Aspetti sociali e culturali dei totalitarismi
Totalitarismo e società di massa. Hannah Arendt
Il totalitarismo come promessa di felicità e utopia di salvezza. Tzvetan Todorov
Modulo 4. La Seconda guerra mondiale
14. Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale
Percorso breve
14.1. I progetti imperialistici della Germania nazista
14.2. L’espansione nazista e il rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino
Documenti. 1938: il fascismo vuole italiani «di razza pura»
14.3. L’occupazione della Polonia e lo scoppio della guerra
14.4. La guerra-lampo e la disfatta francese
14.5 L’Italia e il Giappone a fianco di Hitler. La battaglia d’Inghilterra
I tempi della storia. La strana disfatta
14.6. La guerra si estende nei Balcani, in Grecia, in Africa
I modi della storia. L’Italia entra in guerra
Sintesi
Esercizi
15. Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto
Percorso breve
15.1. I tedeschi invadono l’Unione Sovietica
15.2. I giapponesi dichiarano guerra agli Stati Uniti
15.3. L’Europa sotto il tallone nazista: il “nuovo ordine” e i campi di sterminio
Documenti. Nei campi di sterminio della Germania nazista
15.4. La fame
Le vie della cittadinanza. La Shoah e la persecuzione razziale
15.5. La battaglia di Stalingrado. Si invertono le sorti della guerra
I luoghi della storia. Lungo la strada verso casa: morte bianca e umanità
Sintesi
Esercizi
16. La fine della guerra
Percorso breve
16.1. Italia 1943: l’illusione di un armistizio
16.2. Hitler invade l’Italia
16.3. La Resistenza
Documenti. Lettere di un condannato a morte
16.4. La Germania assediata
I luoghi della storia. Le zone di influenza in Europa
16.5. La liberazione dell’Italia
16.6. La bomba atomica e la resa del Giappone
16.7. Trattati di pace e cambiamenti territoriali
I tempi della storia. Un’arma terribile segna la fine della guerra
I modi della storia. Il “Progetto Manhattan” e le tecnologie della distruzione
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Fascisti e antifascisti
La morte della patria. Ernesto Galli della Loggia
Guerra civile: una definizione controversa. Claudio Pavone
Modulo 5. Il mondo bipolare
17. Il mondo diviso
Percorso breve
17.1. USA e URSS padroni del mondo
I modi della storia. Un sistema monetario mondiale, basato sul dollaro
17.2. Una speranza di pace: l’ONU
17.3. La guerra fredda
Le vie della cittadinanza. Nazioni Unite
Documenti. La “caccia alle streghe” tra isteria e guerra fredda
17.4. La politica di armamento nucleare e la guerra di Corea
Sintesi
Esercizi
18. Le due Europe
Percorso breve
18.1. L’Europa divisa e le alleanze economiche e militari
18.2. Le democrazie occidentali
I luoghi della storia. New Towns
Documenti. Patto Atlantico e Patto di Varsavia
18.3. I regimi comunisti dell’Est
18.4. Le due Germanie e il Muro di Berlino
I modi della storia. «Ich bin ein Berliner»
Sintesi
Esercizi
19. L’Italia ricostruita
Percorso breve
19.1. La ricostruzione materiale e politica
I modi della storia. Un nuovo cinema per descrivere la realtà
19.2. L’Italia diventa una repubblica e si dà una nuova Costituzione
I tempi della storia. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia
19.3. I partiti di sinistra esclusi dal governo
Le vie della cittadinanza. Referendum e Costituzione: l’Italia repubblicana e democratica
19.4. Il “miracolo economico”
19.5. L’emigrazione dal Sud verso il Nord
19.6. Aldo Moro e i socialisti al governo
I luoghi della storia. Città deturpate, campagne abbandonate. L’Italia del boom
Sintesi
Esercizi
20. Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica
Percorso breve
20.1. L’Unione Sovietica e la svolta di Kruscev
Documenti. Kruscev e la “destalinizzazione”
I modi della storia. E0= mc2. La scoperta dell’energia atomica
20.2. Gli Stati Uniti e la presidenza Kennedy
20.3. La società americana in cambiamento
20.4. Il papa della pace: Giovanni XXIII
Documenti. Pace in Terra: «al bando le armi nucleari»
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
La società dei consumi
Mercanti di scontentezza. Vance Packard
Anche i detersivi hanno un’anima. Roland Barthes
Modulo 6. Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali
21. Le trasformazioni in Asia e in America Latina
Percorso breve
21.1. L’emancipazione dei popoli coloniali dopo la Seconda guerra mondiale
21.2. L’India conquista l’indipendenza
21.3. Nasce la Repubblica popolare cinese
I tempi della storia. Come Yu-kung rimosse le montagne
21.4. La Cina tra crisi economica e rivoluzione culturale
21.5. L’indipendenza dell’Asia Sud-orientale
21.6. La guerra del Viet Nam
Le vie della cittadinanza. La forza del dissenso
21.7. Populismo e dittature in America Latina
Documenti. Ernesto Che Guevara e la teoria della guerriglia
21.8. 1970-80: l’America Latina dai regimi militari alla democrazia
Sintesi
Esercizi
22. L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente
Percorso breve
22.1. Autodeterminazione e “non allineamento” dei paesi del Terzo Mondo
22.2. Gli Stati africani del Mediterraneo
I modi della storia. Autosufficienza economica: l’Egitto nazionalizza il canale di Suez
22.3. I paesi dell’Africa centrale
I luoghi della storia. Ricchezze depredate: l’esempio del Congo
22.4. L’Africa australe
22.5. Il nodo medio-orientale: la Palestina, Israele e gli Stati arabi
22.6. La questione palestinese fra guerre e terrorismo
22.7. L’Iran dell’ayatollah Khomeini
22.8. L’Iraq di Saddam Hussein
I luoghi della storia. Il sogno di uno Stato: il Curdistan
Sintesi
Esercizi
23. Nuove tensioni nel mondo
Percorso breve
23.1. Il Sessantotto negli Stati Uniti e in Europa
23.2. La crisi petrolifera e la recessione economica (1973-83)
Documenti. La Cecoslovacchia comunista chiede libertà e democrazia
23.3. Neoliberismo e crisi dello Stato sociale
23.4. Gli USA di Reagan: deregulation e politica di potenza
23.5. L’URSS di Breznev: militarismo e arretratezza economica
I modi della storia. Star Wars
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Decolonizzazione e “occidentalismo” delle ex colonie
Una rivolta contro l’Occidente. Geoffrey Barraclough
Stati e nazioni nell’Africa indipendente. Gian Paolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi
Modulo 7. Le grandi potenze tra XX e XXI secolo
24. Lo sviluppo dell’Occidente europeo
Percorso breve
24.1. Dalla Comunità Economica all’Unione Europea
Le vie della cittadinanza. Una doppia cittadinanza
24.2. Una nuova identità per la Germania
Documenti. La Ostpolitik di Willy Brandt
24.3. La Francia si sviluppa nella democrazia
24.4. L’Inghilterra tra conservatori e laburisti
I luoghi della storia. L’Irlanda
24.5. Spagna, Portogallo e Grecia: dal crollo delle ultime dittature alla democrazia
I tempi della storia. Tra recessione economica e speculazione finanziaria
Sintesi
Esercizi
25. 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista
Percorso breve
25.1. La trasformazione dell’URSS
25.2. Successi e difficoltà nell’URSS di Gorbacëv
25.3. Il mondo comunista verso la democrazia: l’esempio della Polonia
I tempi della storia. Il papa venuto dall’Est
25.4. La libertà in Ungheria e Cecoslovacchia
Documenti. «Li abbiamo lasciati alla loro gente»
25.5. Il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania
I luoghi della storia. Crolla il Muro, la diga è scoppiata
25.6. La fine dell’Impero sovietico e la crisi jugoslava
25.7. La dissoluzione della Jugoslavia
Le vie della cittadinanza. L’Unione Europea si allarga a Est
Sintesi
Esercizi
26. La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo
Percorso breve
26.1. Lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la nascita della CSI
I tempi della storia. La Russia e l’Europa
26.2. Il risorgere dei nazionalismi nell’ex URSS
I modi della storia. Dall’economia di Stato all’economia di mercato
26.3. Conflitti nel Caucaso
26.4. L’Asia centrale fra comunismo, democrazia e islam
26.5. Una nuova collaborazione tra Russia e Stati Uniti
26.6. La crisi del bipolarismo
Sintesi
Esercizi
27. L’Italia che cambia
Percorso breve
27.1. Lotte sindacali e movimento studentesco
27.2. Riforme amministrative e civili. Il movimento femminista
Le vie della cittadinanza. Unità e decentramento: Stato e regioni
27.3. La “strategia della tensione”
I tempi della storia. Conquiste femminili in Italia
27.4. Il terrorismo brigatista
27.5. La lotta contro la criminalità organizzata
27.6. L’Italia post industriale
27.7. Tangentopoli e la crisi dei partiti storici
I modi della storia. L’economia italiana e l’Unione Europea
27.8. Il quindicennio berlusconiano
I tempi della storia. La democrazia imperfetta
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Democrazia e libertà
Allarme democratico? Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky
Se il “governo del popolo” diventa “consumo di politica”. Massimo L. Salvadori
Modulo 8. Nuovi scenari mondiali
28. Villaggio globale, economia mondiale
Percorso breve
28.1. Comunicazioni e collegamenti: il mondo come un villaggio
Documenti. Globalizzazione, consumismo, TV
28.2. La globalizzazione
Le vie della cittadinanza. Verso una società “glo-cale”
28.3. L’era informatica
28.4. La terza rivoluzione industriale: globalizzazione e decentramento
I modi della storia. Da Arpanet a Internet
I modi della storia. Dall’elaboratore elettronico al PC
Sintesi
Esercizi
29. Gli sviluppi in Asia e America Latina
Percorso breve
29.1. Il “miracolo giapponese”
29.2. Le tigri asiatiche
29.3. La costruzione della nuova India
I tempi della storia. L’India tra modernità e tradizione
29.4. La Cina di Deng Xiao-ping
29.5. Autoritarismo e liberismo cinese
I luoghi della storia. Shenzhen, centro sperimentale della Cina che cammina verso il futuro
29.6. L’America Centrale e le rivendicazioni nazionali
29.7. Il Sud America e l’anti-imperialismo
Sintesi
Esercizi
30. Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente
Percorso breve
30.1. Le guerre civili nel corno d’Africa
30.2. Libertà, tensioni, conflitti nell’Africa subsahariana
Le vie della cittadinanza. Aiuti umanitari e neocolonialismo
30.3. Il nuovo Sud Africa
30.4. Il Medio Oriente e il terrorismo islamico
30.5. L’attacco agli Stati Uniti e la guerra in Afghanistan
30.6. L’invasione dell’Iraq
I modi della storia. La guerra asimmetrica
30.7. La questione palestinese
I tempi della storia. Israeliani e palestinesi: le date del conflitto
30.8. Proteste e rivolte nel mondo arabo
30.9. La guerra civile in Libia
30.10. Un fermento diffuso
Sintesi
Esercizi
31. Geografia della disuguaglianza
Percorso breve
31.1. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri
I tempi della storia. Una vita più lunga (ma non per tutti allo stesso modo)
31.2. Centri e periferie. Il problema del “libero scambio”
I modi della storia. Verso un commercio più equo e solidale
I luoghi della storia. Il turismo: un aiuto ai paesi in via di sviluppo?
31.3. Il flagello della fame e il debito dei paesi poveri
31.4. L’età delle migrazioni
Le vie della cittadinanza. La diversità come risorsa
Sintesi
Esercizi
32. La questione energetica e ambientale
Percorso breve
32.1. La questione energetica: le centrali nucleari
I modi della storia. I dieci maggiori inquinanti
32.2. La questione energetica: altre fonti di energia
32.3. L’inquinamento ambientale
I modi della storia. La plastica: una geniale invenzione che crea problemi epocali
32.4. Una nuova coscienza ecologica
I luoghi della storia. La Terra monitorata dallo spazio
32.5. Un nuovo modello di crescita: lo sviluppo sostenibile
Sintesi
Esercizi
La discussione storiografica
Economia, ambiente, sostenibilità
Economia, ambiente, termodinamica. Jeremy Rifkin
Ecocidio e suicidio ecologico. Jared Diamond
Indice Memo e Parole
Indice dei nomi

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NUOVI PROGRAMMI

Massimo Montanari

STORIA3

dal Novecento a oggi

© 2012, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari Prima edizione 2012 Sintesi ed Esercizi sono a cura di Matteo Ciarlante, dMB Editoria e grafica s.r.l., Firenze. Editing a cura di Silvia Vinci.

L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere debita autorizzazione. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected], sito web: www.clearedi.org.

Copertina a cura di Silvia Placidi/Grafica Punto Print s.r.l. Progetto grafico e servizi editoriali a cura di dMB Editoria e grafica s.r.l., Firenze.

ISBN 978-88-421-1092-7 Editori Laterza Piazza Umberto I, 54 70121 Bari e-mail: [email protected] http://www.laterza.it

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Indice del volume

III

Indice del volume

Modulo 1

3 L’età giolittiana

L’Italia tra Ottocento e Novecento

Percorso breve

1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra Percorso breve

...........................................................................................

4

1.1 Nasce l’industria italiana. La Sinistra al governo............. 5 I modi della storia Unificare l’Italia anche in cucina ....... 6 1.2 Le riforme innovative del governo Depretis .............. 7 Le vie della cittadinanza La scuola pubblica dichiara guerra all’ignoranza.............................................................................. 8 1.3 Una politica per proteggere l’industria ......................... 8 I luoghi della storia Le campagne italiane nell’inchiesta Jacini .............................................................................. 9 1.4 L’emigrazione. Gli scioperi nelle campagne ............ 10 Aa Documenti Il Sud colonia del Nord? ....................................... 10 1.5 Organizzazioni socialiste e associazioni cattoliche ................................................................ 12 Aa Documenti La Rerum Novarum e la politica sociale della Chiesa .............................................................................................. 13 Sintesi, p. 14 • Esercizi, p. 14

........................................................................................

27

3.1 Giolitti e il riformismo liberale.......................................... 28 I modi della storia Le lotte sociali e la “neutralità” di Giolitti: i telegrammi ai prefetti ............................................ 28 3.2 Libertà di associazione e di sciopero ........................... 29 3.3 La riforma elettorale ................................................................ 30 Le vie della cittadinanza Battaglie femminili per la parità dei diritti politici ...................................................... 30 3.4 Il patto di Giolitti con i cattolici.......................................... 31 3.5 Il decollo industriale ................................................................. 32 3.6 Il divario tra Nord e Sud ......................................................... 33 3.7 L’occupazione della Libia ...................................................... 34 Aa Documenti Pregiudizi contro gli immigrati ........................ 34

I tempi della storia Giudizi su Giolitti .................................... 36 Sintesi, p. 37 • Esercizi, p. 37 La discussione storiografica

Effetti economici e culturali dell’emigrazione italiana L’emigrazione come “moto di indipendenza popolare” di Gioacchino Volpe ................................................ 42 L’emigrazione come conquista di libertà di Piero Bevilacqua ............................................................................. 42

2 Il rovesciamento delle alleanze e la politica coloniale

Percorso breve

........................................................................................

19

2.1 La Triplice Alleanza e la colonizzazione dell’Etiopia....................................................................................... 20 2.2 Il governo Crispi .......................................................................... 21 2.3 La rivolta della fame ................................................................ 22 Aa Documenti È arrivato un nemico... ........................................ 22 Aa Documenti La protesta dello stomaco ................................. 23

Sintesi, p. 24 • Esercizi, p. 24

Modulo 2

La Grande guerra e la Rivoluzione russa

4 La Prima guerra mondiale Percorso breve

........................................................................................

46

4.1 Contrasti e alleanze tra le potenze europee ........... 47 4.2 Alla vigilia della Grande guerra ...................................... 47 4.3 L’inizio del conflitto mondiale ............................................ 48

IV

Indice del volume Aa Documenti Italia in guerra? Un acceso dibattito............ 50

4.4 L’Italia tra neutralità e interventismo ........................... 51 4.5 Battaglie estenuanti e sanguinose ................................. 52 4.6 Mobilitazione totale .................................................................... 53 I luoghi della storia Vivere e combattere in trincea ........................................................................................................ 54 4.7 Stanchezza della guerra, desiderio di pace ............. 55 I modi della storia Sulle opposte trincee i soldati fraternizzano ........................................................................ 56 Sintesi, p. 57 • Esercizi, p. 57

5 La fine della guerra.

L’Europa ridisegnata

Percorso breve

......................................................................................... 60

5.1 1917, l’Intesa in difficoltà ....................................................... 61 5.2 L’intervento degli Stati Uniti e la fine della guerra (1918) ............................................... 62 5.3 Un tragico bilancio .................................................................... 63 5.4 La Conferenza per la pace .................................................... 64 Le vie della cittadinanza L’obiezione di coscienza e il rifiuto della guerra ...................................................................... 64 Aa Documenti I “quattordici punti” di Wilson

......................... 65

5.5 I trattati di pace e le loro conseguenze

...................... 66

I modi della storia Una guerra incomprensibile 5.6 La dissoluzione dell’Impero ottomano

.......... 66

....................... 68

Sintesi, p. 69 • Esercizi, p. 69

6 La Rivoluzione russa

e la nascita dell’URSS

Percorso breve

......................................................................................... 87

7.1 Potenze in crisi.............................................................................. 88 7.2 L’India, Gandhi e la strategia della non violenza ....................................................................... 89 I modi della storia La non violenza è più forte della violenza ........................................................................................... 90 7.3 L’indipendenza della Cina e la formazione della repubblica ............................................................................ 91 7.4 La guerra civile in Cina. La vittoria dei comunisti ......................................................... 92 7.5 Il Giappone e il programma della “grande Asia” .................................................................... 93 7.6 L’imperialismo statunitense e gli sviluppi politici dell’America Latina ................................................... 94 7.7 Governi populisti in America Latina............................... 95 7.8 Africa e Medio Oriente: il controllo europeo ................ 96 I tempi della storia I Protocolli degli Anziani di Sion............ 98 Sintesi, p. 99 • Esercizi, p. 100

8 Il declino europeo

e il primato americano

Percorso breve

...................................................................................... 103

8.1 L’età delle masse ...................................................................... 104 8.2 L’Europa non è più il centro del mondo .................... 104 8.3 Il difficile dopoguerra britannico ................................... 106 I modi della storia Una tragedia mondiale: la “spagnola”......................................................................................... 106 8.4 La Repubblica tedesca di Weimar ................................ 108 Le vie della cittadinanza Inflazione e debito pubblico. La politica monetaria dell’Unione Europea .................... 108

......................................................................................... 72

8.5 Gli “anni ruggenti” dell’America ................................... 110

Un paese arretrato ..................................................................... 73 Dalle proteste alle rivolte ...................................................... 74 La rivoluzione del febbraio 1917 ...................................... 75 La rivoluzione di ottobre......................................................... 76

I luoghi della storia Taylor, Ford e la catena di montaggio.......................................................................................... 110 8.6 Dall’isolazionismo al piano Dawes: dollari americani per l’Europa ........................................ 111

Percorso breve

6.1 6.2 6.3 6.4

7 La crisi degli imperi coloniali

I tempi della storia Febbraio o marzo? Ottobre o novembre? ............................................................................................. 76

Sintesi, p. 113 • Esercizi, p. 113

Aa Documenti Le “Tesi di aprile” ...................................................... 77

6.5 Nasce la Russia sovietica ...................................................... 78 6.6 Nasce l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) ................................................................ 79 I modi della storia La Nuova Politica Economica ......... 80 6.7 Da Lenin a Stalin.......................................................................... 81 Sintesi, p. 82 • Esercizi, p. 82

La discussione storiografica

La società di massa come nuovo soggetto storico L’anima collettiva e la psicologia delle folle di Gustave Le Bon ............................................................................ 117 La società di massa come rischio e come opportunità di Bronislaw Geremek ............. 118

Indice del volume

Modulo 3

Le vie della cittadinanza I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica ......................................................................... 156 11.6 Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa dell’Ovest......................................................... 157 11.7 Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa Centrale e Orientale ................................ 158

I regimi totalitari europei

9 L’ascesa del fascismo in Italia Percorso breve

...................................................................................... 122

Sintesi, p. 159 • Esercizi, p. 159

9.1 L’Italia nel dopoguerra.......................................................... 123 9.2 Lo sviluppo e l’affermazione dei partiti popolari ....... 123 Le vie della cittadinanza I partiti politici ............................ 124 9.3 Il governo Nitti ........................................................................... 125 9.4 La nascita del fascismo ....................................................... 126 9.5 Il nuovo governo Giolitti ....................................................... 126

12 La Germania dalla crisi al nazismo Percorso breve

...................................................................................... 164

12.1 Origini del nazismo............................................................... 165

I tempi della storia 1920-21: la protesta operaia e i finanziatori del fascismo........................................................ 128

I tempi della storia La svastica, un antico simbolo solare ..................................................................................... 165

9.6 Mussolini al governo (1922) .............................................. 129 9.7 La vittoria elettorale fascista. L’assassinio di Giacomo Matteotti .............................................................. 130

12.2 La crisi del 1929 dagli Stati Uniti alla Germania .....166 Aa Documenti Propaganda di massa ........................................... 167

Sintesi, p. 131 • Esercizi, p. 131

10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa

Percorso breve

...................................................................................... 136

10.1 L’industria americana dal boom alla crisi

.......... 137

I modi della storia Speculazioni e mercati finanziari ...... 138 10.2 La crisi dagli Stati Uniti all’Europa ........................... 139 10.3 Una risposta alla crisi: il New Deal di Roosevelt................................................................................ 140 Aa Documenti «Cari amici, è il presidente che vi parla» ...... 141

10.4 Gli effetti della crisi in Gran Bretagna .................... 142 10.5 Gli effetti della crisi in Francia ..................................... 143

I modi della storia La cultura non serve. Anzi, è dannosa ................................................................................... 168 12.3 La costruzione di uno Stato totalitario ................... 168 12.4 Il mito della razza ariana ................................................. 169 Le vie della cittadinanza Dare ad altri la colpa serve a rassicurarci. Le radici storiche dell’antisemitismo ..... 170 12.5 La persecuzione degli ebrei ........................................... 171 12.6 Hitler e Mussolini alleati .................................................. 172 I modi della storia La guerra d’Etiopia e i contadini della Basilicata .................................................................................... 172 12.7 La dittatura fascista di Franco in Spagna............. 173 I luoghi della storia Guernica bombardata: Picasso e gli orrori della guerra di Spagna ..................... 174 Sintesi, p. 175 • Esercizi, p. 175

Sintesi, p. 144 • Esercizi, p. 144

11 La dittatura fascista in Italia Percorso breve

...................................................................................... 148

11.1 L’Italia nelle mani del “Duce” ....................................... 149 11.2 La politica sociale ed economica................................ 149 I modi della storia Il linguaggio di Mussolini: un’oratoria a effetto per suscitare emozioni .................. 150 11.3 L’autarchia produttiva e alimentare ......................... 152 11.4 La fabbrica del consenso ................................................. 152 11.5 Le altre forze in gioco: il Vaticano e gli antifascisti ............................................. 154 Aa Documenti Un solo testo di storia per la scuola di regime ................................................................................................. 154

13 L’URSS di Stalin Percorso breve

...................................................................................... 180

13.1 L’URSS diventa una potenza industriale................ 181 13.2 La distruzione dell’agricoltura privata ................... 181 I luoghi della storia «Non vogliamo abbandonare la nostra casa»: i kolchoz e la collettivizzazione forzata ..182 13.3 La dittatura di Stalin ............................................................ 183 Aa Documenti «Un mediocre burocrate»: il giudizio di Trotzkij su Stalin .................................................... 184 I modi della storia La macchina del terrore ..................... 185 13.4 Arcipelago Gulag

.................................................................... 185

Sintesi, p. 186 • Esercizi, p. 186

V

VI

Indice del volume La discussione storiografica

I luoghi della storia Lungo la strada verso casa: morte bianca e umanità ................................................................ 214

Aspetti sociali e culturali dei totalitarismi Totalitarismo e società di massa di Hannah Arendt ............................................................................ 190 Il totalitarismo come promessa di felicità e utopia di salvezza di Tzvetan Todorov ...................... 190

Sintesi, p. 215 • Esercizi, p. 215

16 La fine della guerra Percorso breve

Modulo 4

La Seconda guerra mondiale

Aa Documenti Lettere di un condannato a morte.............. 222

16.4 La Germania assediata ...................................................... 223 I luoghi della storia Le zone di influenza in Europa ......... 224

Inizia la Seconda guerra mondiale .....................................................................................

219

16.1 Italia 1943: l’illusione di un armistizio .................... 220 16.2 Hitler invade l’Italia .............................................................. 221 16.3 La Resistenza ........................................................................... 221

14 Hitler aggredisce l’Europa. Percorso breve

.....................................................................................

194

14.1 I progetti imperialistici della Germania nazista...... 195 14.2 L’espansione nazista e il rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino .................................................... 196 Aa Documenti 1938: il fascismo vuole italiani «di razza pura» .................................................................................... 196 14.3 L’occupazione della Polonia e lo scoppio della guerra ............................................................................... 197 14.4 La guerra-lampo e la disfatta francese ................ 199 14.5 L’Italia e il Giappone a fianco di Hitler. La battaglia d’Inghilterra ................................................. 200 I tempi della storia La strana disfatta ............................... 200 14.6 La guerra si estende nei Balcani, in Grecia, in Africa ................................................................. 202

16.5 La liberazione dell’Italia.................................................... 225 16.6 La bomba atomica e la resa del Giappone .......... 226 16.7 Trattati di pace e cambiamenti territoriali ......... 227 I tempi della storia Un’arma terribile segna la fine della guerra ........................................................................... 228 I modi della storia Il “Progetto Manhattan” e le tecnologie della distruzione ............................................. 230 Sintesi, p. 231 • Esercizi, p. 231 La discussione storiografica

Fascisti e antifascisti La morte della patria di Ernesto Galli della Loggia .................................................. 236 Guerra civile: una definizione controversa di Claudio Pavone.............................................................................. 237

I modi della storia L’Italia entra in guerra ..................... 202 Sintesi, p. 203 • Esercizi, p. 203

Modulo 5

15 Il mondo in guerra.

URSS, USA e Giappone nel conflitto

Percorso breve

.....................................................................................

206

15.1 I tedeschi invadono l’Unione Sovietica ................... 207 15.2 I giapponesi dichiarano guerra agli Stati Uniti .................................................................................. 207 15.3 L’Europa sotto il tallone nazista: il “nuovo ordine” e i campi di sterminio ................ 209 Aa Documenti Nei campi di sterminio della Germania nazista .................................................................. 210 15.4 La fame ......................................................................................... 211 Le vie della cittadinanza La Shoah e la persecuzione razziale .................................................................................................... 212 15.5 La battaglia di Stalingrado. Si invertono le sorti della guerra ............................... 213

Il mondo bipolare

17 Il mondo diviso Percorso breve

.....................................................................................

17.1 USA e URSS padroni del mondo

240

................................ 241

I modi della storia Un sistema monetario mondiale, basato sul dollaro .............................................................................. 242 17.2 Una speranza di pace: l’ONU......................................... 242 17.3 La guerra fredda ................................................................... 244 Le vie della cittadinanza Nazioni Unite ............................ 244 Aa Documenti La “caccia alle streghe” tra isteria e guerra fredda.................................................................................... 245

17.4 La politica di armamento nucleare e la guerra di Corea ............................................................ 246 Sintesi, p. 247 • Esercizi, p. 247

Indice del volume

18 Le due Europe Percorso breve

.....................................................................................

251

18.1 L’Europa divisa e le alleanze economiche e militari ...................................................................................... 252 18.2 Le democrazie occidentali ............................................. 253 I luoghi della storia New Towns.................................................. 253 Aa Documenti Patto Atlantico e Patto di Varsavia ............. 254

18.3 I regimi comunisti dell’Est ............................................. 255 18.4 Le due Germanie e il Muro di Berlino .................. 256

VII

Aa Documenti Pace in Terra: «al bando le armi nucleari»........................................................ 282

Sintesi, p. 283 • Esercizi, p. 283 La discussione storiografica

La società dei consumi Mercanti di scontentezza di Vance Packard ............ 288 Anche i detersivi hanno un’anima di Roland Barthes .............................................................................. 288

I modi della storia «Ich bin ein Berliner»....................... 257 Sintesi, p. 258 • Esercizi, p. 258

Modulo 6

19 L’Italia ricostruita Percorso breve

.....................................................................................

19.1 La ricostruzione materiale e politica

....................

263 264

I modi della storia Un nuovo cinema per descrivere la realtà.................................................................. 264 19.2 L’Italia diventa una repubblica e si dà una nuova Costituzione .................................. 266 I tempi della storia In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia ............................................... 266 19.3 I partiti di sinistra esclusi dal governo ................... 268 Le vie della cittadinanza Referendum e Costituzione: l’Italia repubblicana e democratica .................................................................................... 19.4 Il “miracolo economico” .................................................. 19.5 L’emigrazione dal Sud verso il Nord ...................... 19.6 Aldo Moro e i socialisti al governo ...........................

268 270 271 272

I luoghi della storia Città deturpate, campagne abbandonate. L’Italia del boom ................................................ 272 Sintesi, p. 273 • Esercizi, p. 273

e in America Latina

Percorso breve

.....................................................................................

292

21.1 L’emancipazione dei popoli coloniali dopo la Seconda guerra mondiale ............................ 293 21.2 L’India conquista l’indipendenza ............................... 294 21.3 Nasce la Repubblica popolare cinese.................... 295 I tempi della storia Come Yu-kung rimosse le montagne ........................................................................................... 296 21.4 La Cina tra crisi economica e rivoluzione culturale ...................................................................................... 296 21.5 L’indipendenza dell’Asia sud-orientale ................. 298 21.6 La guerra del Viet Nam .................................................... 298 Le vie della cittadinanza La forza del dissenso......... 300 21.7 Populismo e dittature in America Latina ........... 301 Aa Documenti Ernesto Che Guevara e la teoria della guerriglia ................................................................................... 302

Sintesi, p. 305 • Esercizi, p. 306

alla coesistenza pacifica .....................................................................................

21 Le trasformazioni in Asia

21.8 1970-80: l’America Latina dai regimi militari alla democrazia ...................................................................... 304

20 Dalla guerra fredda Percorso breve

Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

276

20.1 L’Unione Sovietica e la svolta di Kruscev

........................................................ 277 Aa Documenti Kruscev e la “destalinizzazione” ................ 277

I modi della storia E0 = mc2. La scoperta dell’energia atomica ........................................................................ 278 20.2 Gli Stati Uniti e la presidenza Kennedy ............... 279 20.3 La società americana in cambiamento.................. 280 20.4 Il papa della pace: Giovanni XXIII................................ 282

22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

..................................................................................... 310 22.1 Autodeterminazione e “non allineamento” dei paesi del Terzo Mondo.............................................. 311 22.2 Gli Stati africani del Mediterraneo .......................... 312

Percorso breve

I modi della storia Autosufficienza economica: l’Egitto nazionalizza il canale di Suez ................................ 312 22.3 I paesi dell’Africa centrale ............................................. 313

VIII

Indice del volume I luoghi della storia Ricchezze depredate: l’esempio del Congo ....................................................................... 315

24.3 La Francia si sviluppa nella democrazia .............. 350 24.4 L’Inghilterra tra conservatori e laburisti ............. 351

22.4 L’Africa australe ..................................................................... 315 22.5 Il nodo medio-orientale: la Palestina, Israele e gli Stati arabi ...................................................... 316 22.6 La questione palestinese fra guerre e terrorismo.............................................................................. 318 22.7 L’Iran dell’ayatollah Khomeini .................................... 319 22.8 L’Iraq di Saddam Hussein ................................................ 320

I luoghi della storia L’Irlanda ...................................................... 352 24.5 Spagna, Portogallo e Grecia: dal crollo delle ultime dittature alla democrazia ................... 353 I tempi della storia Tra recessione economica e speculazione finanziaria .......................................................... 354 Sintesi, p. 355 • Esercizi, p. 355

I luoghi della storia Il sogno di uno Stato: il Curdistan .. 321

25 1989: la svolta democratica in URSS

Sintesi, p. 322 • Esercizi, p. 323

e nell’Europa comunista

23 Nuove tensioni nel mondo Percorso breve

Percorso breve

...................................................................................... 327

23.1 Il Sessantotto negli Stati Uniti e in Europa ......... 328 23.2 La crisi petrolifera e la recessione economica (1973-83) ...................................................................................... 329 Aa Documenti La Cecoslovacchia comunista chiede libertà e democrazia ....................................................... 329 23.3 Neoliberismo e crisi dello Stato sociale ............... 332 23.4 Gli USA di Reagan: deregulation e politica di potenza .................................................................................... 332 23.5 L’URSS di Breznev: militarismo e arretratezza economica ................................................ 334 I modi della storia Star Wars .................................................... 334

...................................................................................... 359

25.1 La trasformazione dell’URSS ........................................ 360 25.2 Successi e difficoltà nell’URSS di Gorbac ˇëv ....... 360 25.3 Il mondo comunista verso la democrazia: l’esempio della Polonia ..................................................... 361 I tempi della storia Il papa venuto dall’Est ..................... 362 25.4 La libertà in Ungheria e Cecoslovacchia ............. 364 Aa Documenti «Li abbiamo lasciati alla loro gente» ....... 364 25.5 Il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania ........................................................................ 365 I luoghi della storia Crolla il Muro, la diga è scoppiata.. 366 25.6 La fine dell’Impero sovietico e la crisi jugoslava ..... 367 25.7 La dissoluzione della Jugoslavia................................ 368 Le vie della cittadinanza L’Unione Europea si allarga a Est ..................................................................................... 368

Sintesi, p. 336 • Esercizi, p. 336

Sintesi, p. 370 • Esercizi, p. 371

La discussione storiografica

Decolonizzazione e “occidentalismo” delle ex colonie Una rivolta contro l’Occidente di Geoffrey Barraclough ............................................................. 342 Stati e nazioni nell’Africa indipendente di Gian Paolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi....... 343

26 La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo

Percorso breve

...................................................................................... 374

26.1 Lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la nascita della CSI........................................................... 375

Modulo 7

I tempi della storia La Russia e l’Europa ........................ 376

Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

26.2 Il risorgere dei nazionalismi nell’ex URSS .......... 377

24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo Percorso breve

...................................................................................... 346

24.1 Dalla Comunità Economica all’Unione Europea...... 347 Le vie della cittadinanza Una doppia cittadinanza ........ 348 24.2 Una nuova identità per la Germania

....................... 349

Aa Documenti La Ostpolitik di Willy Brandt ............................ 350

I modi della storia Dall’economia di Stato all’economia di mercato ................................................................ 377 26.3 Conflitti nel Caucaso ........................................................... 378 26.4 L’Asia centrale fra comunismo, democrazia e islam ........................................................................................... 379 26.5 Una nuova collaborazione tra Russia e Stati Uniti ................................................................................. 380 26.6 La crisi del bipolarismo .................................................... 381 Sintesi, p. 382 • Esercizi, p. 382

Indice del volume

27 L’Italia che cambia Percorso breve

...................................................................................... 385

29 Gli sviluppi in Asia e America Latina Percorso breve

...................................................................................... 420

27.1 Lotte sindacali e movimento studentesco ........... 386 27.2 Riforme amministrative e civili. Il movimento femminista ................................................. 387

29.1 Il “miracolo giapponese”.................................................. 421 29.2 Le tigri asiatiche ..................................................................... 422 29.3 La costruzione della nuova India ................................ 423

Le vie della cittadinanza Unità e decentramento: Stato e regioni ...................................................................................... 388

I tempi della storia L’India tra modernità e tradizione ............................................................................................. 424

27.3 La “strategia della tensione” ........................................ 389

29.4 La Cina di Deng Xiao-ping ............................................... 425 29.5 Autoritarismo e liberismo cinese .............................. 426

I tempi della storia Conquiste femminili in Italia ...... 389 27.4 Il terrorismo brigatista ...................................................... 390 27.5 La lotta contro la criminalità organizzata ............ 392 27.6 L’Italia post industriale ..................................................... 393 27.7 Tangentopoli e la crisi dei partiti storici................ 394 I modi della storia L’economia italiana e l’Unione Europea ............................................................................ 394

I luoghi della storia Shenzhen, centro sperimentale della Cina che cammina verso il futuro ............................. 426 29.6 L’America Centrale e le rivendicazioni nazionali ........................................... 428 29.7 Il Sud America e l’anti-imperialismo ...................... 429 Sintesi, p. 431 • Esercizi, p. 432

27.8 Il quindicennio berlusconiano ...................................... 395 I tempi della storia La democrazia imperfetta ............ 396 Sintesi, p. 398 • Esercizi, p. 399 La discussione storiografica

Democrazia e libertà Allarme democratico? di Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky ................................................................. 404 Se il “governo del popolo” diventa “consumo di politica” di Massimo L. Salvadori ............................... 405

Modulo 8

Nuovi scenari mondiali

30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

Percorso breve

...................................................................................... 436

30.1 Le guerre civili nel corno d’Africa .............................. 437 30.2 Libertà, tensioni, conflitti nell’Africa subsahariana ............................................................................ 437 Le vie della cittadinanza Aiuti umanitari e neocolonialismo ............................................................................. 438 30.3 Il nuovo Sud Africa ................................................................ 440 30.4 Il Medio Oriente e il terrorismo islamico.............. 441 30.5 L’attacco agli Stati Uniti e la guerra in Afghanistan .......................................................................... 442 30.6 L’invasione dell’Iraq ............................................................. 443 I modi della storia La guerra asimmetrica .................... 444

28 Villaggio globale, economia mondiale Percorso breve

...................................................................................... 408

28.1 Comunicazioni e collegamenti: il mondo come un villaggio............................................. 409 Aa Documenti Globalizzazione, consumismo, TV .............. 410

28.2 La globalizzazione ................................................................. 411 Le vie della cittadinanza Verso una società “glo-cale” ................................................................................................ 412 28.3 L’era informatica ................................................................... 412 28.4 La terza rivoluzione industriale: globalizzazione e decentramento .............................. 414 I modi della storia Da Arpanet a Internet........................ 414 I modi della storia Dall’elaboratore elettronico al PC...... 416 Sintesi, p. 417 • Esercizi, p. 417

30.7 La questione palestinese ................................................. 445 I tempi della storia Israeliani e palestinesi: le date del conflitto ........................................................................... 446 30.8 Proteste e rivolte nel mondo arabo .......................... 447 30.9 La guerra civile in Libia ..................................................... 448 30.10 Un fermento diffuso .......................................................... 449 Sintesi, p. 450 • Esercizi, p. 451

31 Geografia della disuguaglianza Percorso breve

...................................................................................... 455

31.1 Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri ..................................................................................... 456 I tempi della storia Una vita più lunga (ma non per tutti allo stesso modo) .................................... 456

IX

X

Indice del volume 31.2 Centri e periferie. Il problema del “libero scambio” ............................................................ 458 I modi della storia Verso un commercio più equo e solidale ........................................................................... 458 I luoghi della storia Il turismo: un aiuto ai paesi in via di sviluppo? ............................................................................... 460 31.3 Il flagello della fame e il debito dei paesi poveri...... 460 31.4 L’età delle migrazioni.......................................................... 461

32.3 L’inquinamento ambientale ............................................ 472 I modi della storia La plastica: una geniale invenzione che crea problemi epocali ................................. 474 32.4 Una nuova coscienza ecologica ................................... 474 I luoghi della storia La Terra monitorata dallo spazio..... 476 32.5 Un nuovo modello di crescita: lo sviluppo sostenibile ........................................................ 477 Sintesi, p. 478 • Esercizi, p. 479

Le vie della cittadinanza La diversità come risorsa ..... 462 Sintesi, p. 464 • Esercizi, p. 464

La discussione storiografica

Economia, ambiente, sostenibilità

32 La questione energetica e ambientale Percorso breve

...................................................................................... 468

Economia, ambiente, termodinamica di Jeremy Rifkin .................................................................................. 483 Ecocidio e suicidio ecologico di Jared Diamond ......... 484

32.1 La questione energetica: le centrali nucleari ... 469 I modi della storia I dieci maggiori inquinanti ............. 470 32.2 La questione energetica: altre fonti di energia ......... 471

Indice Memo e Parole ............................................................................ 485 Indice dei nomi .......................................................................................... 486

Dal Novecento a oggi

Modulo 1

L’Italia tra Ottocento L’Italia trae

Ottocento e Capitolo 1

Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra Significativi cambiamenti si verificarono in Italia negli ultimi due decenni del XIX secolo. Sul piano economico prese avvio anche nel nostro paese lo sviluppo industriale, con tutti i successi ma anche i contrasti e le contraddizioni che il fenomeno aveva portato negli altri paesi. Sul piano sociale vi fu una grande diffusione del movimento operaio, che portò alla nascita del Partito socialista. Sul piano politico le forze della Sinistra riuscirono a imporsi sulla Destra, modificando notevolmente l’azione del governo, sia nella politica interna, sia nella politica estera.

Novecento

e Novecento Capitolo 2

Il rovesciamento delle alleanze e la politica coloniale

L’Italia, che nei decenni dell’unificazione aveva considerato l’Austria come il principale nemico, cercando e ottenendo l’appoggio della Francia e della Gran Bretagna, a cominciare dal 1882 rovesciò le alleanze e si avvicinò alla Germania, e di conseguenza all’Austria, alleata della Germania, avviando una politica di amicizia con queste due potenze. Negli stessi anni anche l’Italia, come le maggiori potenze europee, si lanciò nell’avventura coloniale.

Capitolo 3

L’età giolittiana Il primo quindicennio del XX secolo fu per l’Italia, come per le altre nazioni europee, un periodo di intenso sviluppo economico e sociale: le condizioni del paese migliorarono decisamente; i ceti popolari, fino ad allora esclusi dalla vita pubblica, incominciarono a partecipare attivamente alla politica. In quegli anni il governo fu presieduto da Giovanni Giolitti, un liberale della Sinistra progressista, che fu nominato nel 1903 e restò in carica, salvo una breve interruzione, fino al 1913.

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

1 Sviluppo e crisi.

Capitolo

4

I governi della Sinistra

Percorso breve Tra il 1870 e il 1880 si avviò anche in Italia la rivoluzione industriale, nei campi della produzione tessile, meccanica, siderurgica, chimica, elettrica. Alla trasformazione economica del paese si affiancò un mutamento politico: la Destra, che fino a quel momento aveva governato il paese, nel 1876 perse la maggioranza a favore della Sinistra. Fino al 1887 capo del governo fu Agostino Depretis. Le principali misure del nuovo governo furono la legge sull’istruzione elementare obbligatoria e gratuita (legge Coppino, 1877), l’allargamento del diritto di voto e l’abolizione dell’imposta sul macinato. Sul piano economico il nuovo governo abbandonò il “liberismo” della Destra e attuò una politica protezionista (imposizione di dazi sulle merci straniere) analoga a quella che molti paesi praticarono durante la crisi di sovrapproduzione industriale del 1876-93. Questo aiutò il decollo dell’industria italiana nel Nord del paese, ma danneggiò le regioni agricole, soprattutto nel Sud. Una grande inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini, coordinata dal senatore Stefano Jacini, raccolse dati importanti sul piano conoscitivo ma non avviò alcun processo di riforma. La massiccia emigrazione dalle campagne, in direzione di altri paesi europei o dell’America, fu il risultato più sconvolgente dello stato di malessere dei contadini italiani. Violente proteste scoppiarono in quegli anni nelle campagne. Crescevano intanto le masse operaie, parallelamente allo sviluppo dell’industria. Le prime organizzazioni

L’ingegner Ernesto Breda con i suoi collaboratori in occasione della consegna di locomotive alla Romania, 1892 [Archivio Storico Finanziaria Ernesto Breda, Milano]

operaie ebbero un carattere anarchico, poi si orientarono verso il socialismo marxista. Andrea Costa, protagonista di questa evoluzione, fu il primo socialista eletto in Parlamento. Nel 1892 nacque il Partito socialista italiano, sotto la guida di Filippo Turati. Sorsero anche le prime Camere del lavoro, mentre associazioni cattoliche operavano nel campo assistenziale e previdenziale, sollecitate anche dalla presa di posizione di papa Leone XIII, che nel 1891, con l’enciclica Rerum Novarum, pur opponendosi alla visione socialista delle lotte dei lavoratori, espresse per la prima volta l’interesse della Chiesa per i problemi del lavoro e la “questione sociale”.

Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra

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1.1 Nasce l’industria italiana. La Sinistra al governo Lo sviluppo industriale Con un certo ritardo rispetto ai paesi più progrediti d’Europa e d’America, tra il 1870 e il 1880 si avviò anche in Italia la rivoluzione industriale. In primo luogo si affermarono le industrie tessili: quelle del cotone in Lombardia, tra le prime in Italia a impiantare telai meccanici (come le aziende degli industriali Cantoni, Crespi, De Angeli); quelle della lana nelle zone di Biella, Prato, Vicenza (con i lanifici Sella, Rossi, Rivetti, Marzotto). La produzione di seta, anch’essa assai sviluppata, continuò invece a fare largo uso di manodopera a domicilio fornita dal mondo rurale. Inoltre presero sviluppo le industrie destinate alla fusione e alla preparazione dei metalli, come gli impianti siderurgici Falck in diverse località dell’Italia settentrionale e le industrie meccaniche Ansaldo, sorte nel 1852 in Liguria per iniziativa di Cavour, che si dedicarono in particolare alle costruzioni navali [ vol. 2, I luoghi della storia, 25.2]. I settori innovativi: elettricità e chimica La società Edison (fondata nel 1884) si dedicò alla produzione di energia elettrica, l’azienda Montecatini (1888) si specializzò nei prodotti chimici (quasi un secolo più tardi, nel 1966, le due società si sarebbero fuse e avrebbero dato vita al gruppo Montedison). Il nuovo clima che accompagnava la crescita economica fu sottolineato da alcuni avvenimenti spettacolari. Il 18 marzo 1877 a Milano in piazza Duomo, davanti a una grande folla, furono compiute le prime prove di illuminazione elettrica, seguite pochi mesi dopo (30 dicembre) dai primi esperimenti telefonici, che furono poi ripetuti in altre città. Migliorie in agricoltura Anche l’agricoltura registrò qualche sviluppo, se pure in un quadro complessivo di arretratezza. In alcune zone dell’area padana, come la Romagna e il Ferrarese, furono completate grandi opere di bonifica e create moderne aziende ad alta redditività. Nel Sud il latifondo continuò a essere coltivato con tecniche elementari e a coltura cerealicola, mentre in alcune regioni, come le terre irrigue della Sicilia, della Campania e della Puglia, si introdussero colture specializzate (ortaggi, frutta, agrumi, vigneti) particolarmente vocate all’esportazione. Il varo del brigantino Garibaldi nel cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente (Genova), 1890 La società Ansaldo nacque nel 1853 a Sampierdarena (Genova), grazie anche al forte impegno di Cavour, intenzionato a evitare la costosa importazione di locomotive e di materiale ferroviario dall’Inghilterra e dal Regno delle Due Sicilie, dove lavorava a pieno regime l’opificio di Pietrarsa. Proprio a scapito di quest’ultima officina, dopo l’unità d’Italia, l’Ansaldo beneficiò di buona parte delle commesse statali imponendosi così sul mercato. Verso la fine del secolo, la società genovese allargò lo spettro delle proprie attività includendo acciaierie, fonderie e officine elettriche, dedicandosi anche alla produzione di navi con l’acquisto, nel 1886, di un cantiere a Sestri Ponente, dove inaugurò la stagione delle navi a vapore con scafi in ferro.

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento Rinnovamento politico Ai progressi economici dell’Italia si accompagnò un importante cambiamento politico: i liberali moderati della Destra storica, dopo aver governato per quindici anni, persero la maggioranza in Parlamento e dovettero lasciare il potere (marzo 1876). Il governo passò alla Sinistra, diretta da Agostino Depretis (1876-87), un ex mazziniano, assertore di un liberalismo moderno, aperto a innovazioni riformatrici. Questo diverso atteggiamento politico apparve evidente nel programma di governo che Depretis illustrò agli elettori a Stradella (Pavia) nell’ottobre 1876. Il governo Depretis Il nuovo programma della Sinistra prevedeva alcune importanti iniziative a favore delle classi popolari, come l’istituzione della scuola elementare gratuita e obbligatoria per tutti, l’estensione del diritto di voto a un maggior numero di cittadini, la cancellazione dell’imposta sulla macinazione del grano (o di altri cereali), introdotta dal ministro Sella tra il malcontento popolare [ vol. 2, 27.5], che fu abolita tra il 1880 e il 1884. Il governo tuttavia, spinto dall’esigenza di mantenere il bilancio in pareggio, non esitò ad applicare nuove imposte sui generi di consumo, in sostituzione di quella abolita. Il programma di governo prevedeva inoltre l’avvio di un’inchiesta sulle condizioni dei contadini italiani, in previsione di una riforma agraria, e il riconoscimento di qualche autonomia ai Comuni, in particolare quella di rendere elettiva la nomina del sindaco (che fino ad allora era nominato dal governo).

I modi della storia

Unificare l’Italia anche in cucina

Romagnolo di nascita, fiorentino d’adozione, Pellegrino Artusi (1820-1911) pubblicò nel 1891 un libro di ricette, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, che nei decenni successivi – e fino ai giorni nostri – sarebbe diventato uno dei più clamorosi best-seller dell’editoria italiana. Il segreto di questo successo sta nel fatto che, per la prima volta, uno scrittore di qualità si dedicava a raccogliere le molteplici tradizioni gastronomiche del paese, amalgamandole in un ricettario “nazionale” che si rivolgeva al pubblico della media e piccola borghesia, il ceto sociale che costituiva l’ossatura del nuovo Stato. Numerose ricette di origine locale, opportunamente riviste e adattate al gusto “medio” delle borghesie cittadine, furono allora per la prima volta proposte come elementi costitutivi di una cucina “italiana”. Il linguaggio stesso – estremamente differenziato nelle varie regioni, riguardo al nome dei prodotti, delle vivande, delle preparazioni, delle tecniche e degli strumenti di cucina – fu sottoposto a un’attenta opera di revisione e di “normalizzazione”. In questo modo, come notò lo storico e filologo Piero Camporesi (1926-1997), Artusi riuscì a dare «una cucina nazionale, quasi una patria comune, a un paese che a tavola era profondamente spaccato in due»: da una parte le élites che imitavano la cucina francese, dall’altra il popolo che, chiuso nelle proprie abitudini, parlava una

sorta di “dialetto culinario”. Fu anche in questo modo che procedette l’unificazione culturale dell’Italia. Non però nel senso dell’omologazione, bensì della condivisione: Artusi non pensò mai di “codificare” la cucina italiana, di “unificarla” in maniera autoritaria. Si limitò a “mettere in rete” (dome diremmo oggi) le tradizioni e i saperi locali, consentendo a tutti gli italiani di conoscerli. Fu in questo modo che la cultura della pasta, caratteristica soprattutto del Sud, e la cultura del riso, caratteristica soprattutto del Nord, si incontrarono e assunsero entrambe un nuovo carattere “italiano”, dal forte valore identitario. Fu in questo modo che il sugo di pomodoro fu riconosciuto come condimento “naturale” della pasta. Fu in questo modo che tanti piatti locali si diffusero nella pratica comune della penisola e delle isole. Questo lavoro fu fatto da Artusi in collaborazione con i suoi lettori e le sue lettrici: per ben vent’anni, dal 1891 (prima edizione del ricettario) al 1911 (morte dell’autore) egli continuò a lavorare alla Scienza in cucina, pubblicandone ben quindici edizioni, tutte diverse fra loro, continuamente modificate con successive aggiunte, che a poco a poco portarono il manuale dalle 475 ricette della prima edizione alle 790 dell’ultima. Tali revisioni furono fatte da Artusi instaurando una fitta corrispondenza con il suo pubblico, che gli suggeriva correzioni, aggiunte,

integrazioni: qualcosa che assomiglia molto a ciò che oggi chiameremmo un “blog”. In qualche modo, dunque, il manuale di Artusi fu un’opera collettiva degli italiani: anche per questo – soprattutto per questo – si spiega il suo strepitoso successo, che dura ancora oggi.

Frontespizio della prima edizione della Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, Firenze 1891

Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra

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Demetrio Cosola, Il dettato, 1891 [GAM, Torino]

La scuola elementare pubblica fu istituita in Italia nel 1859 con la legge Casati. Nel 1877, la legge Coppino rese obbligatoria e gratuita la frequenza dai primi due anni. Solo nel 1904, con un’altra legge, l’obbligatorietà della frequenza passò da due a cinque anni.

Depretis “l’alchimista”, 1881 Questa vignetta satirica ritrae Depretis nelle vesti di un alchimista, che con alambicchi, mortai e altri strumenti pare intento a ricercare la pietra filosofale, grazie alla quale potrà ottenere un potere eterno. L’allusione è, ovviamente, alla lunga durata del suo mandato politico.

1.2 Le riforme innovative del governo Depretis Il trasformismo Depretis rimase al governo dal 1876 al 1887, con qualche breve interruzione. In questo periodo si impegnò ad attuare il programma stabilito e a tal fine cercò la collaborazione del maggior numero possibile di parlamentari, di qualunque provenienza politica, che di volta in volta permettevano di raggiungere il consenso alle leggi proposte dal governo. Questo sistema, già praticato al tempo di Cavour ma in maniera meno sistematica, è stato chiamato trasformismo: in pratica si trattava di uno scambio di favori o di vantaggi tra gli uomini del governo e i membri del Parlamento. Ciò diede stabilità al governo (e consentì a Depretis di attuare il suo programma) ma aprì la via alla corruzione parlamentare; inoltre tolse all’opposizione la sua corretta funzione di controllo e di stimolo all’opera del governo. Una scuola per tutti L’obbligo dell’istruzione elementare, gratuita per tutti i cittadini, fu istituito nel 1877 con la legge Coppino, così chiamata dal nome del ministro che ne curò la preparazione. La legge istituì un biennio iniziale durante il quale l’istruzione doveva essere impartita ai ragazzi di età compresa fra i 6 e i 9 anni. Ci vollero tuttavia diversi anni prima che il provvedimento potesse avere reale applicazione, poiché i Comuni – a cui la legge affidava l’organizzazione delle scuole – in tanti casi non disponevano di locali adatti, né di insegnanti. Ampliamento del diritto di voto Nel 1882 fu la volta di un’importante riforma elettorale. Il diritto di voto, riconosciuto fino ad allora ai cittadini maschi di oltre 25 anni che pagavano un’imposta annua di almeno 40 lire, fu esteso a tutti coloro che avessero compiuto 21 anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero ogni anno una tassa di almeno 19 lire. In conseguenza di tale riforma, il numero degli elettori fu alzato da circa 600.000 a circa due milioni e mezzo. Pur nella sua limitatezza – rimanevano sempre esclusi i contadini, le donne, gli analfabeti e le fasce più povere della popolazione – il provvedimento rappresentò un significativo progresso, che avvicinò alla vita politica

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

Le vie della cittadinanza

La scuola pubblica dichiara guerra all’ignoranza

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a scuola pubblica rappresenta in tutti i paesi civili la base della formazione del cittadino. L’articolo 34 della Costituzione italiana recita:

La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

La legge sull’obbligo scolastico, introdotta in Italia nel 1877 dal ministro Michele CopL’armamentario dello scolaro e la divisione dei sessi nella scuola, XIX sec. L’idea che solo attraverso l’emancipazione e l’alfabetizzazione delle masse popolari sia possibile rinnovare l’Italia e spingerla sulla strada del progresso anima nel corso dell’Ottocento buona parte della classe politica italiana, grazie anche alla legge Coppino del 1877.

pino, rappresenta da questo punto di vista una pietra miliare nella storia del nostro paese. Il ministro presentò in Parlamento la proposta di legge con parole di grande nobiltà, paragonando l’obbligo scolastico alla leva militare ma in funzione di una guerra ben diversa: quella contro l’ignoranza. Se lo Stato può costringere i cittadini a prendere l’archibugio, ad andare alla guerra, a scalare le mura, a salire sulla roccia, con maggior ragione esso potrà costringerli a mandare i loro figli a scuola, ove si combatte una battaglia più terribile. La legge dell’obbligo, diciamolo netto, è legge contro l’ignoranza delle classi povere, delle classi

indigenti, che spesso non sono spinte a dare l’istruzione e l’educazione ai loro figli per atroci motivi: l’ignoranza e la miseria.

La legge naturalmente non negava l’importanza delle scuole private o dell’educazione in famiglia per l’istruzione dei ragazzi. Si preoccupava però che tutti, indipendentemente dalle loro condizioni economiche, potessero accedervi. Questa fu l’importanza storica della legge Coppino, che nel primo articolo stabiliva: I fanciulli e le fanciulle, che abbiano compiuta l’età di sei anni e ai quali i genitori o quelli che ne tengono il luogo non procaccino la necessaria istruzione o per mezzo di scuole private o con l’insegnamento in famiglia, dovranno essere inviati alla scuola elementare del Comune.

Il secondo articolo precisava i contenuti di tale obbligo, che doveva comprendere […] le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino, la lettura, la calligrafia, i rudimenti della lingua italiana, dell’aritmetica e del sistema metrico.

Leggere e scrivere – una cosa che pochissimi sapevano fare, nell’Italia di fine Ottocento – diventava un obbligo per tutti, ma non meno importante era l’obbligo morale di apprendere «i doveri dell’uomo e del cittadino».

soprattutto la media e piccola borghesia (impiegati, commercianti, insegnanti, piccoli proprietari) e gli strati superiori del mondo operaio.

L’inchiesta agraria L’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini italiani, promessa da Depretis in preparazione di una riforma agraria, fu affidata nel 1877 al parlamentare lombardo Stefano Jacini (1826-1891), che la concluse nel 1884. Svolta in modo estremamente accurato, con ricerche, interviste e indagini sul campo, essa mise in luce lo stato di profonda crisi sociale, oltre che economica, in cui versava l’agricoltura della nazione: la scarsa produttività, la denutrizione dei contadini, la pellagra nel Nord, la malaria nel Sud, le case-tugurio, l’analfabetismo, i bambini costretti al lavoro in tenera età. Ma a questa indagine, ancora oggi fondamentale per ricostruire la vita delle campagne italiane in quei decenni, non fece seguito alcuna riforma.

1.3 Una politica per proteggere l’industria L’abbandono del liberismo Anche in campo economico il governo Depretis avviò una politica nuova, totalmente diversa da quella praticata dalla Destra storica. Dal 1861 al 1876 i governi della Destra avevano seguito l’orientamento liberista di Cavour, basato sulla convinzione che il massimo sviluppo della vita economica e del benessere collettivo si ottenesse lasciando libero corso alle iniziative individuali, senza alcun intervento da parte dello Stato.

Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra L’adozione del protezionismo La politica liberista fu abbandonata dal governo Depretis che, acconsentendo alle richieste degli industriali, applicò dazi doganali sull’importazione di merci straniere, per proteggere dalla concorrenza i prodotti dell’industria nazionale. Inoltre si concessero grosse sovvenzioni alle industrie, per favorirne la formazione e la crescita. Questa politica, chiamata protezionismo, fu praticata in particolare tra il 1880 e il 1887, a imitazione di quanto accadeva in altri paesi. Si era infatti verificata, a iniziare dal 1876, una crisi di sovrapproduzione [ vol. 2, 29.4] dovuta all’apparire sul mercato internazionale dei prodotti di nuovi paesi, fino a quel momento assenti dalla competizione economica: in particolare la Germania e gli Stati Uniti per i prodotti industriali, la Russia e gli stessi Stati Uniti per i prodotti agricoli.

I luoghi della storia

Le campagne italiane nell’inchiesta Jacini

La drammatica condizione vissuta in Italia dalle masse rurali, soprattutto quelle meridionali, favorì il fenomeno migratorio di braccianti e contadini verso l’America e le altre nazioni europee, con importanti ripercussioni sull’intero sistema economico e sociale del paese. La situazione in cui versavano le campagne e l’agricoltura nel-

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le varie regioni del paese furono l’oggetto dell’inchiesta, promossa dal Parlamento, che il senatore lombardo Stefano Jacini diresse tra il 1877 e il 1884. Alle analisi puntuali Jacini affiancò una serie di considerazioni generali, insistendo sulla necessità di rinnovare profondamente il sistema agrario e le tecniche di conduzione. A giudizio di

’Italia agricola non è un paese favorito dai doni spontanei della natura, quindi ogni sistema di coltivazione che più o meno si avvicini all’agricoltura primitiva e semplice è destinato a soccombere o a trascinare una misera vita con nessuna speranza di creare la prosperità. Quella forma, depauperando continuamente il terreno da secoli, e avendolo ormai esaurito, come è mai possibile che ci metta in grado di lottare coll’agricoltura che si esercita in altri continenti dove tanta terra feracissima è disponibile? […] È inutile farsi illusioni, l’agricoltura semplice ha fatto il suo tempo in Italia […] [Dunque è necessario rinnovare l’agricoltura, concentrandosi in quattro direzioni fondamentali:] – la prima, nella possibilità di aumentare la superficie produttiva d’Italia per mezzo del rimboschimento e delle bonifiche dei terreni acquitrinosi; impresa dispendiosa, lunga e difficile, ma di esito certo, quando il Governo di una grande nazione ci si mette davvero;

Jacini era urgente abbandonare i modelli di agricoltura elementare e “naturale” ancora maggioritari nel paese, e sostituirli con una nuova politica di investimenti, introducendo anche in agricoltura la mentalità imprenditoriale propria dell’industria. Tale concetto è espresso con estrema chiarezza nel brano che qui riportiamo.

– la seconda, nella possibilità di applicare alla coltivazione delle terre strumenti più adatti, concimi su più larga scala, e avvicendamenti di foraggi, ciò che già si fa, ma che vorremmo fosse fatto in misura molto maggiore; – la terza, nella possibilità di aumentare le piante arboree utili e gli ortaggi, utilizzando così il nostro sole, il quale acconsente al clima italiano, e vieta ai climi dei nostri vicini, molte speciali produzioni ricercatissime oltre Alpi; – e così pure di estendere fin che sia possibile l’irrigazione, la quale, combinandosi con una intensità di calorico che, in Italia, è fra le maggiori d’Europa, riesce qui a suscitare dalle terre, anche mediocri, prodotti affatto straordinari e tali da lasciar dietro a sé, a grande distanza, altri paesi fra i più fiorenti per agricoltura. dall’Inchiesta parlamentare Jacini

Le paludi Pontine Il paesaggio ritratto da questa fotografia di fine Ottocento rispecchia quella realtà ancora molto arretrata indagata dall’inchiesta Jacini. Nelle paludi Pontine del Lazio (bonificate solo molti decenni più tardi) dividevano la vita con gli uomini i bufali, in un ambiente infestato dalla malaria.

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento La “stampatura” dei palloni da gioco nello stabilimento Pirelli, fine XIX sec. L’ingegnere Giovanni Battista Pirelli fondò la sua azienda a Milano nel 1872 producendo articoli di gomma, fra cui anche i palloni da gioco. Solo all’inizio del Novecento avviò la produzione di pneumatici grazie alla quale è diventata nota in tutto il mondo.

Fioriscono le industrie, soffre l’agricoltura Le industrie italiane, sostenute dai massicci appoggi economici e dalla politica del governo, ebbero in quel periodo un grande sviluppo: sorsero così alcuni dei maggiori complessi industriali, come le acciaierie Terni in Umbria, gli stabilimenti chimici Pirelli a Milano, l’Elba e la Montecatini per l’estrazione dei minerali di ferro nell’isola d’Elba, le officine metalmeccaniche Breda a Milano. Ma la politica protezionistica danneggiò l’economia delle regioni agricole: le tariffe doganali, infatti – come illustrò in Parlamento il deputato salentino Antonio De Viti De Marco (1858-1943) –, ostacolavano l’esportazione dei prodotti della terra. Anche per questo in tante regioni d’Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, si accrebbe la povertà dei contadini.

1.4 L’emigrazione. Gli scioperi nelle campagne La crisi europea del 1876-93 La crisi che investì l’Europa sul finire del XIX secolo si fece sentire pesantemente anche in Italia, con effetti dolorosi sulla vita della popolazione. In alcune regioni le difficoltà e i disagi furono tali da spingere intere famiglie, talvolta interi villaggi, a cercare miglior fortuna fuori d’Italia: diversi paesi delle Mar-

Aa Documenti Il Sud colonia del Nord? Una lucida analisi di Antonio De Viti De Marco, economista e deputato meridionale di fine Ottocento, mette in luce la divergenza di interessi fra l’economia

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agricola dell’Italia del Sud e l’economia industriale del Nord, e accusa il nuovo Stato unitario di voler costruire le fortune del Nord sulla decadenza del Sud. Nodo

contro questa tariffa che noi dobbiamo insorgere, è contro la prepotenza politica degli industriali italiani, che con quella legge hanno costruito i loro privilegi. È ovvio che il traffico internazionale è fatto di scambi di merci con merci: tanto più i forestieri compreranno le nostre derrate agricole, quanto più noi compreremo i loro manufatti industriali. Dunque il nostro interesse sta nella riduzione della tariffa doganale. La tariffa del 1887 obbliga di fatto il Mezzogiorno agricolo a comperare dal nord gli articoli del suo consumo. È una forma attenuata dell’antico regime coloniale, per uscire dal quale

della questione è la “tariffa doganale” del 1887, applicata all’industria per difendere le fabbriche italiane dalla concorrenza straniera.

occorre una lotta politica. In questi ultimi anni, noi abbiamo venduto a basso prezzo le nostre derrate, concorrendo a favorire lo sviluppo del mercato del nord, e abbiamo comperato manufatti ad alto prezzo, perché protetti dalle dogane, concorrendo a rincarare la vita nel Mezzogiorno. Così, i nostri capitali sono finiti nelle industrie del nord anziché nei nostri vigneti. Fino a quando perdurerà questa situazione, noi non saremo un unico grande paese, ma un piccolo Stato ai piedi delle Alpi con una popolosa colonia di sfruttamento dall’Appennino al mare. Antonio De Viti De Marco

Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra

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Raffaello Gambogi, Gli emigranti, 1895 ca. [Museo Civico Fattori, Livorno]

Alla fine dell’Ottocento la vita degli emigranti e alcuni momenti tipici della loro esperienza, come l’attesa della partenza o il viaggio di trasferimento, furono un soggetto frequente nella fotografia e nell’arte figurativa italiana.

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che e del Veneto si svuotarono completamente, altrettanto avvenne in molte località del Sud. Incominciò così, negli ultimi due decenni dell’Ottocento, il triste capitolo dell’emigrazione degli italiani: un fenomeno ricorrente nella storia dei popoli poveri, che abbandonano il proprio paese e vanno a cercare altrove quelle condizioni di lavoro e di vita che non sono riusciti a trovare in patria.

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Emigranti d’Italia Dall’Italia si muovevano due tipi di emigrazione: 5 una di breve periodo, stagionale, verso i paesi dell’Europa centrale, la Svizzera, la Francia, la Germania, il Belgio; una permanente, 0 diretta per lo più verso gli Stati Uniti e l’America Latina (soprattutto 1876-80 l’Uruguay e l’Argentina). Il movimento migratorio acquistò ben presto dimensioni imponenti: è stato calcolato che dalla sola Italia del Sud partivano, tra il 1876 e il 1880, più di Nord-ovest 100.000 emigranti ogni anno; il loro numero salì a oltre 200.000 all’anno nelNord-est periodo 1886-90. Il fenomeno dell’emigrazione durò a lungo, per oltre mezzo secolo, segnalanCentro dosi come uno degli aspetti caratteristici della storia italiana anche nel Novecento. Sud

Scioperi contadini Non sempre si seguì la via dell’emigrazione. Talvolta i contadini Isole e i braccianti preferirono affrontare i difficili problemi della vita quotidiana usando l’arma dello sciopero, una forma di protesta e di lotta inusuale a quel tempo nelle campagne, derivata dagli operai di fabbrica. Un significativo esempio di ciò si ebbe tra il 1884 e il 1886 nelle campagne della Pianura Padana, una delle zone di maggior sviluppo dell’agricoltura italiana. Qui i braccianti e i contadini, colpiti, per effetto della crisi generale, da licenziamenti e riduzioni di salari, progettarono scioperi e azioni di protesta su un’area vastissima, avvalendosi sul piano organizzativo della rete di associazioni sindacali, circoli e cooperative create dal movimento socialista, in fase di particolare sviluppo in quegli anni. Lo sciopero più aspro fu quello attuato nel Mantovano durante il 1885, noto col nome di “la boje”, un’espressione dialettale con la quale i braccianti agricoli intendevano dire che la terra “bolliva”, era sul punto di esplodere per la grande rabbia che vi si era concentrata. L’agitazione fu repressa con l’intervento dell’esercito e con l’arresto di oltre cento contadini.

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1876-80 1911-13

Nord-ovest Nord-est Centro Sud Isole

La distribuzione dell’emigrazione fra le aree d’Italia Questo grafico, relativo alla media degli espatri annui per mille abitanti, mostra come, soprattutto nel primo decennio del Novecento, la parte meridionale e quella nordorientale dell’Italia abbiano avuto il maggior numero di emigranti.

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

1.5 Organizzazioni socialiste e associazioni cattoliche Fermento operaio In parallelo con la crescita dell’industria si sviluppò in Italia, come negli altri paesi europei, il movimento associativo degli operai. Esso progredì rapidamente, soprattutto nell’Italia settentrionale dove erano sorte le principali industrie e dove, di conseguenza, la popolazione operaia era più numerosa. In pochi anni si formò una fitta rete di associazioni, circoli, leghe, cooperative, sindacati in cui si riunivano operai, artigiani, braccianti a discutere i problemi del lavoro e dei salari. Tra il 1870 e il 1880 il movimento fu fortemente influenzato dall’anarchismo, diffuso in Italia dal rivoluzionario russo Michail Bakunin, che predicava l’insurrezione contro lo Stato e la sua distruzione [ vol. 2, 29.3].

La copertina del periodico «Cuore», 29 aprile 1922 L’importanza rivestita dalla “festa” del Primo maggio per il mondo dei lavoratori è sottolineata da questa copertina di «Cuore», un periodico di inclinazione socialista rivolto a bambini e ragazzi: un maestro, mostrando alla sua giovane scolaresca un corteo nel quale sventolano bandiere rosse, spiega che «Il Primo maggio è la data in cui i lavoratori di tutto il mondo affermano il proposito e la speranza di affrettare il giorno in cui gli uomini saranno fratelli, e la Terra suonerà del canto del lavoro lieto, e tutti i suoi beni saranno il bene di tutti, e nei campi e nelle officine, nelle scuole e nelle aule della scienza lavoreranno uomini divisi nell’opera, ma uniti nel dovere ed eguali nei diritti».

Foto di gruppo del Partito socialista italiano, 1908 Nella fotografia, in seconda fila, secondo e terza da sinistra, sono riconoscibili Filippo Turati e Anna Kuliscioff.

Dall’anarchismo al socialismo Dopo il fallimento dei moti scoppiati a Imola (Bologna) e nel Matese (Benevento) l’anarchismo declinò, mentre andava affermandosi il socialismo marxista [ vol. 2, 29.2]. A segnare la svolta del movimento operaio verso il socialismo fu di particolare importanza l’iniziativa dell’imolese Andrea Costa (1851-1910): già seguace di Bakunin, egli abbandonò l’anarchismo e nel 1881 fondò il Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Nelle elezioni del 1882 (le prime svoltesi a suffragio allargato) Andrea Costa risultò eletto e fu il primo deputato socialista in Parlamento. La Seconda Internazionale Il movimento socialista italiano si collegò in quegli anni con la Seconda Internazionale, associazione di coordinamento tra i partiti operai dei vari paesi fondata a Parigi nel 1889 (dopo la Prima Internazionale, che tra il 1864 e il 1876 aveva riunito insieme socialisti, anarchici e repubblicani). Tra le azioni più clamorose della Seconda Internazionale vi fu la proclamazione per il Primo maggio dell’anno successivo di una manifestazione internazionale per la riduzione a 8 ore dell’orario di lavoro nelle fabbriche (in Italia ciò sarebbe avvenuto con un regio decreto del 1923). La scelta della data fu fatta per ricordare gli incidenti avvenuti a Chicago nel 1886, quando una manifestazione operaia era stata violentemente repressa dalla polizia. Da allora, il Primo maggio è rimasto nella tradizione operaia come Festa del Lavoro e come simbolo delle lotte dei lavoratori. Nasce il Partito socialista italiano Il successivo sviluppo del socialismo in Italia fu opera soprattutto dell’avvocato milanese Filippo Turati (1857-1932) e della sua compagna Anna Kuliscioff (1855-1925), un’esule russa. Essi riuscirono ad amalgamare le varie tendenze del movimento, fino a organizzare nel 1892 a Genova un congresso nazionale, dal quale ebbe origine una formazione politica unitaria, il Partito socialista dei lavoratori italiani, che nel 1895 fu ribattezzato Partito socialista italiano.

Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra In quegli stessi anni nacquero a Milano e a Torino le prime Camere del lavoro, associazioni sindacali che si proponevano di difendere, ciascuna nella propria città, gli interessi dei lavoratori.

Le associazioni assistenziali cattoliche I cattolici, impediti dal divieto papale a partecipare direttamente alla vita politica (imposto da Pio IX al tempo della presa di Roma da parte dell’esercito piemontese, vol. 2, 32.6), svilupparono la loro attività in campo assistenziale, organizzando, in favore dei ceti popolari, società di soccorso, cooperative, piccole banche di credito rurale. Queste forme di intervento riguardarono soprattutto le campagne, in particolare quelle del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, della Sicilia. Negli ambienti cittadini, invece, prevalsero le idee e le organizzazioni socialiste. L’enciclica Rerum Novarum La nuova realtà sociale nata dalla rivoluzione industriale fu oggetto di riflessione da parte del pontefice Leone XIII (1878-1903), succeduto nel 1878 a Pio IX. Nel 1891, con l’enciclica Rerum Novarum il pontefice prese posizione di fronte alla questione sociale, condannando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e affermando la necessità di rispettare la vita e i diritti degli operai. Peraltro, l’enciclica respingeva nettamente i princìpi della lotta di classe e dell’abolizione della proprietà privata, sostenuti dall’ideologia socialista; a essi era contrapposto il principio dell’accordo tra le classi e dell’uso sociale della proprietà, che non andava abolita ma doveva servire alla realizzazione del bene comune. Quanto alle organizzazioni socialiste, il pontefice raccomandava al governo di combatterle energicamente. La Rerum Novarum ebbe una straordinaria risonanza nel paese e diede un impulso determinante allo sviluppo dei movimenti associativi cattolici, che intensificarono la loro attività nel costituire sempre più numerose società operaie e casse rurali. In Sicilia si rivelò fondamentale in quest’opera l’impegno di un sacerdote, Luigi Sturzo, futuro fondatore del primo partito popolare cattolico, il Partito popolare italiano [ 3.4].

La Parola

enciclica Si chiama “enciclica” una lettera pastorale indirizzata dal pontefice ai vescovi del mondo intero, e attraverso di loro alle comunità ecclesiali. L’enciclica non ha un carattere dottrinale, ma contiene riflessioni, giudizi, indicazioni su problemi di particolare attualità. I pontefici se ne servirono a iniziare dal XVIII secolo, ma soprattutto dalla fine del XIX e più sistematicamente nel XX, con la crescita dell’alfabetizzazione e il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa. Le encicliche, come tutti i documenti papali dotati di speciale solennità, prendono nome dalle parole iniziali del testo.

Aa Documenti La Rerum Novarum e la politica sociale della Chiesa L’enciclica Rerum Novarum del papa Leone XIII (1891) fu il primo importante documento ufficiale della Chiesa sulla que-

È

stione sociale. Esso respingeva le idee socialiste della lotta di classe, proponendo forme di solidarietà e di collabo-

urgente e necessario, con opportuni provvedimenti, andare incontro ai proletari, soli e in balìa della cupidigia dei padroni. A rimedio di questi disordini, i socialisti, attizzando nei poveri l’odio contro i ricchi, pretendono che si debba abolire la proprietà e che si debba fare un patrimonio comune da amministrarsi dallo Stato. Ma questo rimedio non solo non risolve la contesa ma è un’evidente ingiustizia, poiché la proprietà privata è un diritto di natura. Presupposto ciò esporremo donde si abbia a trarre il rimedio. Supporre l’una classe sociale nemica naturalmente dell’altra, quasi che i ricchi e i proletari li abbia fatti natura a lottare con duello implacabile fra loro, è cosa contraria alla ragione e alla verità; è invece verissimo che la natura volle che nel consorzio umano si armonizzassero fra loro le classi e ne resultasse l’equilibrio. L’una ha bisogno assoluto dell’altra: né il capitale senza il lavoro, né il lavoro può stare senza il capitale. A risolvere la questione operaia debbono concorrere tutti quelli che vi sono interessati, ciascuno per la parte sua. Vediamo dunque quale debba essere il concorso dello Stato. Lo Stato è un’unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi, i proletari, né più né meno dei ricchi. Ora è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai; non facendolo, si offende la giustizia che vuole reso a ciascuno il suo.

razione fra capitale e lavoro. Leggiamone alcuni passi.

Per evitare gli scioperi, il rimedio più efficace è quello di prevenirli, rimovendo a tempo le cause da cui si prevede che possa nascere tra padroni e operai il conflitto. Non è giusto né umano esigere dall’uomo tanto lavoro, da farne per troppa fatica istupidire la mente e fiaccarne il corpo. Infine un lavoro proporzionato a un uomo adulto e robusto non è ragionevole che s’imponga a donna o a fanciullo. Anzi, quanto ai fanciulli, si deve stare ben cauti di non ammetterli nell’officina prima che l’età ne abbia sufficientemente sviluppato le forze fisiche, intellettuali e morali. Tocchiamo ora un punto di grande importanza. La quantità del salario, si dice, la determina il libero consenso delle parti: sicché il padrone, pagata la mercede, ha fatto la parte sua. Nello stabilire il salario entra però sempre un elemento di giustizia naturale. Ed è che il quantitativo di mercede non sia inferiore al sostentamento dell’operaio. Se questi, costretto dalle necessità, o per timore del peggio, accetta patti più duri i quali, perché imposti dal proprietario o dall’imprenditore, debbono essere accettati, questo è un subire una violenza, contro la quale la giustizia protesta. dall’enciclica Rerum Novarum,1891

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

Sintesi

Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra

Nasce l’industria italiana. La Sinistra al governo Negli anni 1870-80 in Italia prese avvio la rivoluzione industriale: si svilupparono i settori tessile (cotone, lana, seta), siderurgico, meccanico, chimico. Si iniziò a produrre energia elettrica, si fecero i primi esperimenti di illuminazione elettrica urbana e di uso del telefono. Il settore agricolo era nel complesso arretrato, soprattutto al Sud dove permanevano il latifondo e tecniche elementari di produzione. Nella Pianura Padana si praticarono bonifiche e si formarono aziende agricole ad alta redditività; in varie zone del Meridione (Sicilia, Campania, Puglia) si svilupparono colture specializzate e destinate all’esportazione. Nel 1876 si ebbe anche un mutamento politico, con il passaggio del governo alla Sinistra storica di Agostino Depretis.

vata una riforma elettorale che allargò il numero degli elettori. Il problema dell’agricoltura fu affrontato dall’inchiesta Jacini, promossa dal governo, che mise a nudo la crisi sociale ed economica dell’agricoltura italiana. Ma una riforma non fu mai realizzata. Una politica per proteggere l’industria In politica economica, Depretis scelse una linea protezionistica che, accompagnata da sovvenzioni statali alle industrie, permise l’industrializzazione del paese e la nascita dei primi grandi complessi industriali, ma danneggiò l’economia delle regioni agricole, in quanto ne ostacolò le esportazioni. Questo portò alla crescita della povertà contadina, soprattutto nelle regioni dell’Italia meridionale. L’emigrazione. Gli scioperi nelle campagne La crisi di fine Ottocento colpì anche l’Italia, con effetti gravi sulla vita della popolazione, specialmente rurale. In alcune regioni (Marche, Veneto, Italia meridionale) le famiglie emigrarono fuori d’Italia per cercare fortuna, verso l’Europa centrale o verso gli Stati Uniti e l’America Latina. Il fenomeno iniziò negli ultimi due decenni del XIX secolo e continuò nel secolo successivo, con cifre enormi (200.000 emigranti all’anno tra 1886 e 1890). In altri casi le difficoltà nelle campagne portaro-

Le riforme innovative del governo Depretis Il governo Depretis (1876-87, con brevi interruzioni) si resse sulla pratica del trasformismo, con cui le leggi proposte dal governo erano approvate di volta in volta da parlamentari di diversa provenienza politica. Questo permise la stabilità del governo, ma creò anche corruzione parlamentare. La legge Coppino (1877) introdusse l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita, la cui effettiva applicazione richiese tempi lunghi. Nel 1882 fu appro-

no, nella Pianura Padana, a scioperi di contadini e braccianti; nel 1885 un grande sciopero nel Mantovano fu represso dall’esercito. Organizzazioni socialiste e organizzazioni cattoliche La crescita dell’industria favorì la diffusione, nell’Italia settentrionale, dell’associazionismo operaio. Inizialmente esso fu influenzato dall’anarchismo, al quale si ispirarono alcuni moti, poi falliti, a Imola e Benevento. Dopo gli anni Ottanta si affermò il socialismo marxista, per iniziativa di Andrea Costa, che fu il primo socialista a essere eletto deputato. Il movimento socialista italiano era collegato con la Seconda Internazionale, che coordinava i partiti operai dei vari paesi e proclamò il Primo maggio festa dei lavoratori. Per iniziativa di Filippo Turati e di Anna Kuliscioff le varie tendenze presenti nel movimento furono unite in una sola formazione politica, che dal 1895 prese il nome di Partito socialista italiano. Nelle campagne si sviluppò l’attività assistenziale delle organizzazioni cattoliche a favore dei ceti popolari. A favore della questione sociale prese posizione anche il papa Leone XIII, con l’enciclica Rerum Novarum. L’enciclica ebbe un’enorme risonanza e favorì lo sviluppo dei primi movimenti associativi cattolici.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1876

1. 2. 3. 4. 5. 6.

1877

1881

1882

1884

1885

1886

fine dei governi Depretis enciclica Rerum Novarum fondazione del Partito socialista rivoluzionario di Romagna riforma elettorale ed estensione del diritto di voto nascita del Partito socialista italiano a Chicago una manifestazione operaia è duramente repressa dalla polizia

1887

7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.

1888

1889

1891

fondazione dell’azienda Montecatini legge Coppino moto “la boje” nel Mantovano fondazione della Seconda Internazionale congresso nazionale socialista a Genova inizio dei governi Depretis fondazione della società Edison

1892

1895

Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra

2. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo.

e. Le Camere del lavoro erano associazioni sindacali che difendevano gli interessi dei lavoratori.

V

F

f. I moti anarchici scoppiarono a Imola e a Benevento.

V

F

g. Le politiche protezionistiche favorirono l’economia delle regioni agricole.

V

F

Stefano Jacini

Partito Popolare Italiano

Filippo Turati

anarchismo

Agostino Depretis

primo deputato socialista

h. Le prime prove di illuminazione elettrica e i primi esperimenti telefonici furono compiuti a Torino.

V

F

Luigi Sturzo

imposta sul macinato

V

F

Andrea Costa

inchiesta sull’agricoltura

i. Filippo Turati fu il primo socialista eletto nel Parlamento italiano.

Michele Coppino

Partito socialista italiano

V

F

Leone XIII

trasformismo

l. L’enciclica Rerum Novarum sosteneva i princìpi dell’accordo tra classi e dell’uso sociale della proprietà.

Quintino Sella

istruzione elementare obbligatoria

m. I ritardi nell’applicazione della legge Coppino furono dovuti alla mancanza di locali e insegnanti.

V

F

Michail Bakunin

Rerum novarum

n. Gli scioperi di braccianti e contadini ebbero luogo soprattutto nell’Italia meridionale.

V

F

o. Il trasformismo rafforzò il ruolo di controllo delle opposizioni sull’operato del governo.

V

F

p. I governi Depretis applicarono i dazi alle merci importate e fornirono sovvenzioni alle industrie.

V

F

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. I governi Depretis abolirono la tassa sul macinato ma introdussero imposte sui beni di consumo.

V

F

b. I governi Depretis riconobbero l’autonomia dei Comuni e resero eleggibile il sindaco.

q. Il fenomeno dell’emigrazione degli italiani incominciò nell’ultimo decennio del XIX secolo.

V

F

V

F

V

F

c. La pratica del trasformismo fu utilizzata già al tempo di Cavour.

r. L’inchiesta Jacini evidenziò la crisi sociale ed economica in cui versava l’agricoltura italiana.

V

F

s. Le politiche protezionistiche furono una conseguenza della crisi di sovrapproduzione.

V

F

d. L’emigrazione stagionale era diretta verso gli Stati Uniti e l’America Latina.

V

F

t. La riforma elettorale avvicinò alla politica l’insieme della borghesia e del mondo operaio.

V

F

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. anarchismo • cooperativa • corruzione • emigrazione • enciclica • inchiesta • latifondo • redditività • sciopero • siderurgia • sovrapproduzione • sovvenzione • trasformismo Eccesso dell’offerta sulla domanda di beni di consumo Astensione collettiva dal lavoro da parte dei dipendenti Reato consistente nel venir meno ai propri doveri per denaro Lettera apostolica indirizzata dal papa ai vescovi di tutto il mondo Contributo finanziario agevolato concesso a individui, enti o organizzazioni Movimento che predicava l’insurrezione contro lo Stato e la sua distruzione Prassi di governo basata sulla ricerca di maggioranze di diversa provenienza politica Terreno di grandi dimensioni adibito a forme di agricoltura estensiva Settore della metallurgia basato sulla produzione del ferro e lavorazione dell’acciaio Società di vendita o produzione in cui capitale, lavoro e profitto sono messi in comune Indagine diretta a ottenere dati e informazioni riguardo a un fatto Spostamento di persone all’estero per finalità economiche o politiche Capacità di un’attività di produrre un utile

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

5. Indica sulla cartina le direttrici dell’emigrazione italiana, contrassegnando con un diverso colore l’emigrazione stagionale e quella permanente.

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande e ordina le informazioni ottenute nella tabella. 1. 2. 3. 4.

Quali furono i principali protagonisti dell’associazionismo operaio e cattolico? Perché? In quali luoghi si svilupparono principalmente le due forme di associazionismo? Perché? Quali furono le principali iniziative intraprese dalle due forme di associazionismo? A quali princìpi si ispiravano le due forme di associazionismo?

I LUOGHI

I PROTAGONISTI

I PRINCìPI

LE INIZIATIVE

ASSOCIAZIONISMO OPERAIO

ASSOCIAZIONISMO CATTOLICO

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Capitolo 1 Sviluppo e crisi. I governi della Sinistra

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. In che periodo governò Depretis? A quale schieramento politico apparteneva? 2. Che cosa fu enunciato a Stradella? Ebbe poi una completa ed effettiva attuazione? 3. Quale pratica fu utilizzata da Depretis per ottenere la maggioranza parlamentare? Con quali conseguenze? 4. Che cosa prevedeva la legge Coppino? Quali problemi comportò la sua attuazione? 5. Che cosa prevedeva la legge elettorale? Quali conseguenze ebbe?

6. Quali scelte caratterizzarono la politica fiscale dei governi Depretis? 7. Quali furono le scelte di Depretis riguardo le politiche agricole? Con quali conseguenze? 8. Quali furono le scelte di Depretis riguardo le politiche industriali? Con quale conseguenze? 9. In che modo si tentò di agevolare la produzione industriale italiana? Con quali conseguenze? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale dandole una titolazione appropriata.

LEGGE COPPINO ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

POLITICA FISCALE

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RIFORMA ELETTORALE

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GOVERNI DEPRETIS ......................................................................................... ......................................................................................... ......................................................................................... ......................................................................................... .........................................................................................

PRINCÌPI DI POLITICA ECONOMICA

POLITICHE AGRICOLE

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POLITICA INDUSTRIALE

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8. Leggi il documento “Unificare l’Italia anche in cucina” a p. 6 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5.

Chi era Pellegrino Artusi? A che cosa è dovuta la sua fama? Quali novità sono contenute nel suo libro? Quali nuove abitudini alimentari esso produsse? Che cosa caratterizzava le usanze culinarie italiane prima dell’opera di Artusi? Perché si può affermare che Artusi unificò l’Italia dal punto di vista culinario? Quante riedizioni dell’opera furono pubblicate? In che modo venivano realizzati gli aggiornamenti?

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

9. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzò l’industria italiana dopo il 1870? 2. Quali erano i principali settori industriali? Quali erano le principali aziende? 3. In che modo le politiche governative influirono sullo sviluppo industriale italiano? 4. Che cosa caratterizzò l’agricoltura italiana dopo il 1870? 5. Quali erano le caratteristiche della produzione agricola?

6. Che cosa caratterizzò le politiche agricole del governo? Quali provvedimenti furono presi? Con quali conseguenze? 7. Quali differenze esistevano all’interno del mondo agricolo italiano? 8. Per quali cause? Con quali conseguenze? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

ECONOMIA ITALIANA DOPO IL 1870

AGRICOLTURA

INDUSTRIA

SETTORE

SETTORE

SETTORE

SETTORE

SVILUPPO

ARRETRATEZZA

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10. Verso il saggio breve Leggi il documento “Il Sud colonia del Nord?” a p. 10 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è l’autore del documento? 2. Da quale provvedimento governativo l’analisi prende spunto? 3. Quali conseguenze ha prodotto il provvedimento? In quali zone del paese? 4. Quale tipo di azione sostiene l’autore del documento per opporsi al provvedimento? 5. Quale giudizio viene dato della situazione economica del Sud? Per quali cause? Leggi il documento “Le campagne italiane nell’inchiesta Jacini” a p. 9 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa fu l’inchiesta Jacini? Quando fu redatta? A che scopo?

2. A quali conclusioni pervenne? Quali suggerimenti formulò? Con che esito? 3. Quale forma di organizzazione agricola sarebbe stato opportuno introdurre? 4. Quali limiti presenta l’agricoltura semplice? Per quale motivo? 5. In che modo potrebbe essere aumentata la superficie agricola? 6. Quali nuovi strumenti andrebbero applicati alla coltivazione delle terre? 7. Quali colture andrebbero incrementate? Per quale motivo? 8. In che modo si sarebbe potuta migliorare l’irrigazione? Sulla base delle informazioni raccolte, integrandole con quelle ricavabili dai precedenti esercizi, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “L’agricoltura italiana di fine secolo: i problemi, le scelte politiche, le conseguenze”.

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

2 Il rovesciamento

Capitolo

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delle alleanze e la politica coloniale

Percorso breve L’Italia, che nei decenni dell’unificazione aveva considerato l’Austria come il principale nemico e aveva cercato l’appoggio di Francia e Gran Bretagna, nel 1882 rovesciò le alleanze e si avvicinò alla Germania e la sua alleata, la stessa Austria. L’inversione di tendenza fu provocata dalla personale ammirazione del re per Bismarck e il militarismo prussiano, e inoltre dall’ostilità verso la Francia, che nel 1881 aveva occupato la Tunisia, paese su cui il governo italiano aveva progettato di lanciare, come le maggiori potenze europee, la propria espansione coloniale. Il progetto pertanto cambiò obiettivo, rivolgendosi verso l’Eritrea dove nel 1882 fu posta una base, da cui tre anni dopo iniziò la penetrazione verso l’interno, nell’Etiopia o Abissinia. Le perplessità che molti italiani nutrivano per questa operazione si moltiplicarono dopo la sconfitta di Dogali (1887) per opera delle truppe abissine. Nello stesso anno morì Depretis. Gli successe Francesco Crispi, che governò fino al 1896 in maniera autoritaria, reprimendo duramente le proteste di braccianti e operai, poi sciogliendo il Partito socialista e centinaia di organizzazioni dei lavoratori. Azioni positive del suo governo furono l’autonomia data ai Comuni con l’elezione diretta del sindaco (prima nominato dal governo) e, nel 1889, il nuovo Codice penale firmato dal ministro Zanardelli, il primo in Europa ad abolire la pena di morte. L’espansione coloniale italiana frattanto proseguiva, non solo in Eritrea ma anche in Somalia. Una nuova grave sconfitta,

La battaglia di Adua in un dipinto etiopico, fine XIX sec.

subita ad Adua nel 1896, costrinse Crispi alle dimissioni. Sul finire del secolo le tensioni sociali nel paese si aggravarono: nel 1898, lo scarso raccolto di cereali e l’impennata del prezzo del grano generarono una vera rivolta popolare. A Milano, di fronte ai tumulti, il nuovo governo presieduto da Di Rudinì fece intervenire l’esercito che, al comando del generale Bava Beccaris, sparò sui dimostranti provocando diverse vittime. Al governo si succedettero poi il generale Pelloux, che propose leggi eccezionali scatenando l’opposizione del Parlamento, e Saracco (1900-01) che tentò di allestire un governo di unità nazionale per fronteggiare il difficile momento. Ma le violenze non erano finite: nel 1900 lo stesso re Umberto I rimase vittima di un attentato anarchico. Gli successe Vittorio Emanuele III.

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

Michele Cammarano, La battaglia di Dogali il 24 gennaio 1887, 1896 [Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma]

Questo dipinto sembra in qualche modo voler contrapporre all’amarezza della sconfitta subita a Dogali una sorta di rivincita morale: i soldati italiani, accerchiati dalla massa violenta e confusa degli etiopi, risaltano per il candore delle loro divise e per la ricercata compostezza delle loro azioni.

2.1 La Triplice Alleanza e la colonizzazione dell’Etiopia Motivi di contrasto con la Francia Il 20 maggio 1882 fu stretto fra Italia, Austria e Germania un patto militare di tipo difensivo, detto Triplice Alleanza, che impegnava i contraenti a prestarsi reciprocamente aiuto in caso di aggressione da parte di terzi. Uno dei motivi che spinsero il governo italiano a questo cambiamento di strategia politica fu l’occupazione della Tunisia compiuta dalla Francia nel 1881: il fatto provocò forte tensione nei rapporti italo-francesi, perché il governo di Roma stava progettando in quegli anni di imporre il proprio protettorato coloniale appunto su quella terra africana, situata a breve distanza dalla Sicilia e popolata da numerosi emigrati italiani. L’occupazione francese bloccò il progetto italiano suscitando ostilità tra i due paesi. Le relazioni fra Italia e Francia peggiorarono ulteriormente quando il governo di Parigi mostrò di dare ascolto alle richieste di alcuni gruppi cattolici che invocavano una “guerra santa” per la restituzione di Roma alla Chiesa. La volontà del re A orientare il governo verso la Germania e l’Austria concorse inoltre l’atteggiamento del re, Umberto I (1878-1900), succeduto a Vittorio Emanuele II nel 1878, grande ammiratore di Bismarck e del militarismo prussiano. Molti in Italia furono contrari a tale alleanza; lo stesso presidente del Consiglio, Depretis, e il ministro degli Esteri, Pasquale Mancini, si dichiararono sfavorevoli e firmarono il patto soltanto per le forti pressioni esercitate dal re. In segno di protesta uno studente triestino esule a Roma, Guglielmo Oberdan (1858-1882), progettò un attentato contro l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Scoperto e arrestato, fu condannato all’impiccagione dagli austriaci. L’avventura coloniale africana Sull’esempio delle altre nazioni d’Europa, che stavano perseguendo una politica di espansione alla conquista dell’Asia e dell’Africa [ vol. 2, 34], anche l’Italia si avventurò sulla strada del colonialismo. Il progetto fu avviato nel 1882, quando il governo italiano acquistò da una compagnia genovese di navigazione il porto di Assab, in Eritrea, come prima base per le operazioni militari. Tre anni dopo fu occupata Massaua, capitale dell’Eritrea, e di qui incominciò la penetrazione nell’inter-

Capitolo 2 Il rovesciamento delle alleanze e la politica coloniale

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no, verso l’Etiopia (o Abissinia), un paese di origine molto antica, che aveva costituito un suo primo regno nel III secolo a.C.; era un territorio vastissimo e impervio, in gran parte privo di vie di comunicazione, con un ordinamento di tipo feudale su cui governava un re detto negus.

Opposizioni all’impresa coloniale In questo territorio furono mandati i soldati italiani, privi di adeguata preparazione e senza l’appoggio delle armi e dei mezzi logistici che sarebbero stati necessari. Contro questa avventura, sostenuta soprattutto dal re, si levarono non poche voci di disapprovazione: uomini di Stato come Quintino Sella e Marco Minghetti ammonirono i governanti a non lanciare il paese in iniziative di puro prestigio; anche Garibaldi, da Caprera, espresse la sua avversione contro le imprese coloniali, dichiarando che «i latifondi e le paludi d’Italia sono i primi ad aver bisogno di una colonizzazione». La battaglia di Dogali L’esercito italiano si diresse verso la zona di Saati, un altopiano malagevole, su cui fu creata una piccola base fortificata. Ciò provocò la reazione del sovrano, il negus Giovanni IV (1871-89), che inviò i suoi uomini a contrastare l’avanzata degli italiani. Il 24 gennaio 1887, una colonna di rinforzi comandata dal colonnello De Cristoforis fu assalita dagli abissini nei pressi di Dogali e interamente distrutta. Il fatto produsse una grande impressione in Italia.

2.2 Il governo Crispi Un uomo difficile, un governo autoritario Pochi mesi dopo il drammatico episodio di Dogali, Depretis morì e la presidenza del Consiglio passò all’allora ministro degli Interni Francesco Crispi che, salvo qualche breve interruzione, tenne il governo dal 1887 fino al 1896. Il giudizio degli storici su quest’uomo, ex garibaldino e repubblicano (aveva partecipato alla spedizione dei Mille e alla battaglia di Calatafimi, vol. 2, 26.2 e 26.3), divenuto monarchico dopo l’unità, è oggi piuttosto severo. Gli vengono rimproverati il carattere duro e ombroso e il modo di governare autoritario, che più di una volta lo portarono a non tener conto del Parlamento né dell’opinione pubblica. Nei confronti dei cattolici e della Chiesa, Crispi seguì una linea anticlericale, talvolta con gesti clamorosi, come quello di destituire il sindaco di Roma, principe Torlonia, perché aveva cercato di allacciare rapporti più cordiali col pontefice e nel 1887 aveva partecipato in Vaticano alla festa di fine anno. Questo atteggiamento rese più difficili i già delicati rapporti fra lo Stato e la Chiesa e acuì le tensioni interne del paese. La repressione dei movimenti popolari Nei confronti delle associazioni popolari e operaie, che in quegli anni si stavano sviluppando, Crispi adottò una politica dura e repressiva. In Sicilia, nel 1893, fu inviato l’esercito contro i “fasci” (termine utilizzato nel senso di ‘unioni’), associazioni di braccianti che, esasperati dalla miseria, si erano sollevati in un movimento di protesta. Quasi cento morti restarono sul terreno, molti furono processati e incarcerati. Con la stessa durezza furono repressi i moti popolari scoppiati in Toscana, nella Lunigiana. Nel 1894 Crispi sciolse d’autorità il Partito socialista (che poi si ricostituì in maniera clandestina) e 284 organizzazioni operaie in tutto il territorio nazionale. Riforme amministrative e giudiziarie Fra i provvedimenti del governo Crispi vanno segnalati la legge che rendeva elettiva la carica di sindaco nei maggiori Comuni (fino ad allora, il sindaco era nominato dal governo) e la promulgazione nel 1889 di un nuovo Codice penale, firmato dal ministro della Giustizia Giuseppe Zanardelli e che rimase in vigore fino al 1930.

Henri Meyer, Caricatura di Francesco Crispi, 1896 [da «Le Petit Journal», 9 febbraio 1896]

La vignetta raffigura in chiave satirica la capitolazione del forte italiano di Enda Jesus a Macallè (Etiopia) avvenuta dopo un mese e mezzo di assedio da parte dell’esercito etiope guidato dal negus Menelik II. Quest’ultimo è rappresentato mentre colpisce con un filone di pane Francesco Crispi che, in veste militare e con il cappello dei bersaglieri sul capo, soccombe. Poco più di un mese dopo seguì per gli italiani la disfatta di Adua.

22

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento L’abolizione della pena di morte Una delle maggiori novità del Codice Zanardelli fu l’abolizione della pena di morte, ancora in vigore in tutti i maggiori Stati europei, che lo stesso Zanardelli sottolineò come grande conquista di civiltà: «Tra le molte riforme che il Codice nuovo arreca alla legislazione vigente – disse – ricordiamo in primo luogo l’abolizione della pena di morte; sicché l’Italia, che per merito del Beccaria fu la prima a opporsi al carnefice nel campo scientifico [ossia sul piano teorico, grazie appunto agli scritti di Beccaria], sarà la prima altresì fra le grandi Nazioni a introdurre questa grande riforma nel campo legislativo. Ecco perché tale nostra iniziativa resterà perennemente memorabile nella storia della legislazione».

Menelik II

La colonia d’Eritrea e la battaglia di Adua In politica estera Crispi fu un tenace sostenitore dell’espansione coloniale e proseguì con decisione l’avventura iniziata da Depretis. Fra il 1887 e il 1890 riuscì a ottenere il possesso dell’Eritrea, mediante accordi politici (trattato di Uccialli, 1889) con il nuovo negus d’Etiopia Menelik II (18891913). Anche in Somalia furono stabiliti due protettorati italiani sui sultanati di Obbia e Migiurtini, nucleo della futura colonia (1889). Ma nel 1896, quando Crispi tentò di consolidare il dominio italiano in Etiopia, il corpo di spedizione inviato in quelle terre fu sconfitto nella battaglia di Adua, sia per l’insufficienza numerica delle forze impiegate, sia per l’incertezza dei comandi e l’intempestività politica dello stesso Crispi. Fra morti, feriti e prigionieri furono perduti 5000 uomini. Crispi dovette lasciare il governo, sotto le accuse di tutta la nazione. Un’intesa con Menelik accordò agli italiani il permesso di restare in Eritrea e in Somalia.

2.3 La rivolta della fame Tensioni sociali e crisi alimentare L’Italia di fine Ottocento era un paese in difficoltà: con lo sviluppo dell’industrializzazione la società si stava trasformando e chiedeva nuove aperture democratiche (diritto di voto, salari migliori, occupazione, libertà sindacale) a cui i governi faticavano a dare risposta. La politica repressiva di Crispi aveva semplicemente soffocato le richieste, aggravando lo stato di tensione. La situazione si aggravò nel 1898, complicata da uno scarso raccolto dei cereali in tutta Europa e dall’aumento del prezzo del grano, che, in Italia, salì da 22 a 37 lire il quintale. Dalla Lombardia alla Toscana, dall’Emilia alla Puglia un’ondata di dimostrazioni percorse il paese: “rivolta della fame”, fu chiamata. Punte particolarmente acute di tensione si ebbero a Milano, dove nel maggio 1898 scoppiarono violenti tumulti per il caro prezzo del pane. Protesta e repressione violenta Il governo, presieduto dal marchese Antonio Di Rudinì (1896-98), sulla base di sospetti inconsistenti attribuì i disordini a un piano rivoluzionario e decretò lo stato d’assedio. Le conseguenze furono gravissime: il generale Bava Beccaris (1831-1924) affrontò a cannonate i cittadini inermi e si ebbero numerosi morti e feriti, fra cui donne e bambini. Esponenti socialisti (Filippo Turati), cattolici (don Davide Albertario) e repubblicani (Luigi De Andreis) furono arrestati; camere del lavoro, banche rurali, società cattoliche e di mutuo soccorso furono chiuse, molti giornali sospesi.

Aa Documenti È arrivato un nemico… Quando le truppe italiane invasero l’Etiopia per farne una colonia, il negus Menelik II, imperatore dal 1889 al 1913, lanciò questo appello alle popolazioni locali:

È

arrivato da noi un nemico, che rovina il paese, che vuol cambiare la nostra religione1 che ha passato il mare datoci da Dio come frontiera. In principio nulla volli fare, ma ora il nemico comincia ad avanzare, forando la terra come le talpe.

Con l’aiuto di Dio non gli abbandonerò il mio paese. Uomo del mio paese! Io non credo di aver mancato verso di te; ora aiutami secondo la tua forza, soccorrimi con la tua preghiera, pensando ai tuoi figli, alla tua donna, alla tua religione.

1 In Etiopia le fedi più praticate erano il cristianesimo ortodosso e protestante e l’islam.

23 Barricate in corso Garibaldi [Civico Museo di Milano, Milano]

Il 6 maggio 1898, a Milano, esplose una sommossa che fu duramente repressa dall’esercito inviato dal governo. Il dipinto ritrae gli eventi che culminarono con l’eccidio ordinato dal generale Bava Beccaris.

Il generale Luigi Pelloux, succeduto a Di Rudinì nel governo (1898-1900), inasprì ulteriormente la situazione, proponendo leggi eccezionali che limitavano la libertà di stampa e di associazione. Ma la forte opposizione del Parlamento, condotta da tutti i gruppi politici, socialisti, repubblicani e liberali, lo costrinse a dimettersi appena l’anno dopo. Gli successe Giuseppe Saracco (1900-01), un liberale che chiamò al governo rappresentanti di tutti i partiti nel tentativo di riportare la calma nel paese.

L’assassinio del re Quegli anni critici finirono nel sangue. Il 29 luglio 1900 il re Umberto I fu assassinato a colpi di rivoltella da Gaetano Bresci (1869-1901), un anarchico esule in America, tornato in Italia con lo scopo preciso di vendicare i morti della repressione di Milano. A Umberto I successe il figlio, Vittorio Emanuele III, destinato a un lungo regno (1900-46) ma anche alle difficili prove del fascismo e di due guerre mondiali.

Aa Documenti La protesta dello stomaco «Protesta dello stomaco»: così furono definiti i moti di Milano del 1898 da Napoleone Colajanni (1847-1921), fondatore del Partito repubblicano italiano. In effetti questi tumulti, sanguinosamente repressi dai cannoni del generale Bava Beccaris, non

L

ebbero (a differenza di altre manifestazioni di quegli anni) un carattere politico, ma furono semplicemente il frutto dell’esasperazione dovuta alla povertà e alla fame della popolazione. Le considerazioni di Colajanni, che qui riportiamo, costituisco-

a causa occasionale degli ultimi dolorosi avvenimenti è nota: il rincaro fortissimo del prezzo del pane. Questo fenomeno, però, non fu che la scintilla, la quale dette fuoco alle mine preparate e pronte. La causa occasionale, del resto, in sé e da per sé era bastevole a produrre i più gravi perturbamenti; poiché il caro del pane fu davvero straordinario: arrivò a 54 centesimi il chilogrammo a Soresina; da 50 a 60 a Napoli. L’efficienza di questo prezzo elevatissimo del principale alimento degli italiani – alimento quasi esclusivo nelle masse del Mezzogiorno – potrà valutarsi al giusto ponendo mente a queste circostanze: 1° salari bassi; 2° disoccupazione prevalente; 3° consumo del pane scarsissimo, anche prima del suo rincaro. Nel 1895 il consumo giornaliero era in Italia di grammi 330 per abitante, mentre elevavasi a 533 in Francia. Figuriamoci se non si doveva trattare dl vera fame nel 1898 quando il prezzo del pane venne raddoppiato! Ma se il pane divenne carissimo in Italia, perché prendersela

no un interessante “flash” sui consumi alimentari dell’epoca, in particolare sull’importanza del pane nella dieta popolare. Ci informano inoltre sulla gravità delle imposte sul consumo, che scaricavano sui ceti popolari gran parte del carico fiscale.

col governo e coi municipi? Le folle furono guidate dall’intuito, che non le ingannò: le imposte dirette e indirette di ogni genere che governo e municipi fanno gravare su di un quintale di pane, rappresentano il 42,85 del suo prezzo totale. [...] La protesta dello stomaco per un momento ridà all’Italia una unità di sentimenti, che le mancava da anni parecchi; la protesta dello stomaco assegna al nostro paese un posto speciale, perché vide riprodurre fenomeni che non si credevano più possibili nella civile Europa occidentale in questo scorcio di secolo. Infatti solo da noi si ebbero i tumulti per carestia, per fame, per cause che agirono egualmente presso gli Stati del vecchio continente, ma senza produrre gli effetti dolorosi, che rimangono propri ed esclusivi dell’Italia. N. Colajanni, L’Italia nel 1898. Tumulti e reazione, Milano 1951

24

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

Sintesi

Il rovesciamento delle alleanze e la politica coloniale

La Triplice Alleanza e la colonizzazione dell’Europa Nel maggio 1882 l’Italia firmò un patto militare con Austria e Germania (Triplice Alleanza), col quale i tre Stati si impegnavano a prestarsi aiuto reciproco in caso di aggressione di terzi. Questo cambiamento nelle strategie di politica estera fu dovuto sia all’occupazione francese della Tunisia, sulla quale l’Italia aveva progettato di stabilire un protettorato coloniale, sia all’ammirazione che il re Umberto I provava per il militarismo di Bismarck. Nello stesso periodo iniziò anche l’espansione coloniale italiana. Nel 1882 fu acquistato il porto di Assab in Eritrea, a partire dal quale una forza militare si diresse prima in Eritrea, poi verso l’Etiopia, dove il re (negus) si oppose all’avanzata italiana. Nel 1887 a Dogali una colonna italiana fu annientata, suscitando una forte impressione nel paese.

autoritario. Sul piano interno si caratterizzò per una politica anticlericale, inasprendo i già tesi rapporti con la Chiesa, e per la repressione delle organizzazioni operaie e popolari, inviando l’esercito contro la rivolta dei “fasci” siciliani e sciogliendo partiti e organizzazioni operaie. Furono poi approvate importanti riforme interne: la carica di sindaco nelle maggiori città divenne elettiva ed entrò in vigore un nuovo Codice penale che prevedeva l’abolizione della pena di morte. In politica estera, continuarono i progetti di espansione coloniale, che risultò fallimentare. Il possesso dell’Eritrea fu consolidato con il trattato di Uccialli e in Somalia furono creati dei protettorati, ma l’espansione verso l’Etiopia si risolse nuovamente in un fallimento: nel 1896 a Adua un corpo militare italiano fu sconfitto, il governo fu messo sotto accusa e Crispi si dimise.

Il governo Crispi Dopo la morte di Depretis, nel 1887 salì al governo Francesco Crispi, un ex garibaldino divenuto monarchico e fautore di un governo

La rivolta della fame L’industrializzazione aveva portato nell’Italia di fine Otto-

cento delle trasformazioni sociali e delle richieste di aperture democratiche (diritto di voto, migliori salari, libertà sindacale). La politica repressiva di Crispi fece crescere la tensione sociale, aggravata dall’aumento del prezzo del grano dopo un raccolto scarso di cereali nel 1898. Si ebbero rivolte in varie parti d’Italia (Toscana, Lombardia, Emilia, Puglia) ma l’evento più grave si verificò a Milano, in occasione di tumulti contro l’aumento del prezzo del pane. Il governo presieduto da Di Rudinì dichiarò lo stato d’assedio e il generale Bava Beccaris intervenne con l’esercito prendendo a cannonate la folla, con diversi morti e feriti. Il successivo governo Pelloux tentò di introdurre leggi eccezionali, limitando le libertà di stampa e di associazione, ma incontrò l’opposizione del Parlamento. Il successivo governo Saracco tentò di ristabilire l’armonia sociale, ma nel 1900 il re Umberto I fu assassinato dall’anarchico Gaetano Bresci. Al suo posto divenne re Vittorio Emanuele III.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1878

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1881

1882

1885

1887

1889

1890

occupazione di Massaua battaglia di Adua fine del governo Saracco l’Italia prende possesso dell’Eritrea inizio del regno di Umberto I Triplice Alleanza rivolta dei “fasci” siciliani

1893

8. 9. 10. 11. 12. 13.

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

1894

1896

1898

1900

1901

trattato di Uccialli battaglia di Dogali tumulti per il prezzo del pane a Milano occupazione francese della Tunisia assassinio di Umberto I Crispi scioglie il Partito socialista

e. Nel 1898 si verificò in tutta Europa uno scarso raccolto dei cereali.

V

F

f. La sconfitta italiana nella battaglia di Adua determinò le dimissioni del governo Crispi.

V

F

F

g. Guglielmo Oberdan progettò un attentato contro il re Umberto I.

V

F

F

h. Il governo Saracco propose delle leggi che limitavano le libertà di stampa e associazione.

V

F

a. I “fasci” siciliani erano composti da braccianti esasperati dalle condizioni di miseria.

V

F

b. Con il governo Crispi, la carica di sindaco fu resa elettiva nei maggiori Comuni.

V

F

c. L’Italia stabilì un protettorato coloniale sulla Tunisia.

V

d. L’attentato a Umberto I fu compiuto con lo scopo di vendicare i morti di Milano.

V

Capitolo 2 Il rovesciamento delle alleanze e la politica coloniale

i. Il trattato di Uccialli sanciva il possesso italiano dell’Eritrea.

V

F

l. Crispi sciolse il Partito socialista e il Partito popolare. V

F

m. Il capo del governo, Depretis, era contrario all’ingresso dell’Italia nella Triplice Alleanza.

V

F

V

F

n. Crispi seguì una linea politica filo-clericale.

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. colonialismo • fascio • negus • promulgazione • protettorato • stato d’assedio Provvedimento di emergenza che attribuisce poteri civili all’autorità militare Tutela politica e militare esercitata da uno Stato nei confronti di un altro Stato Atto con cui si dispone la pubblicazione e l’effettiva vigenza di una legge

b. Nel 1898 fu decretato lo stato d’assedio dal governo: Crispi. Pelloux.

Bava Beccaris. Di Rudinì.

c. I sultanati di Obbia e Migiurtini si trovavano in: Tunisia. Eritrea.

Somalia. Etiopia.

d. Il porto di Assab era situato: in Abissinia. in Eritrea.

in Somalia. in Etiopia.

e. La Triplice Alleanza fu stipulata tra: Austria, Germania e Russia. Italia, Austria e Russia. Italia, Austria e Germania. Italia, Francia e Germania.

5. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Giuseppe Saracco

stato d’assedio

Re dell’Etiopia

Giuseppe Zanardelli

attentato contro Umberto I

Politica di conquista e sfruttamento di territori da parte degli Stati europei

Gaetano Bresci

leggi eccezionali

Luigi Pelloux

battaglia di Adua

Fiorenzo Bava Beccaris

governo di unità nazionale

Francesco Crispi

Codice penale

Guglielmo Oberdan

battaglia di Dogali

Antonio di Rudinì

attentato a Francesco Giuseppe

Tommaso De Cristoforis

repressione militare dei tumulti di Milano

Unione di forze politiche e sociali per scopi comuni da ottenere con mezzi rivoluzionari

4. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Nel gennaio 1887 una colonna italiana fu distrutta nei pressi di: Massaua. Assab.

Adua. Dogali.

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “È arrivato un nemico” a p. 22 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa contiene il documento? Da chi è stato scritto? 2. Quale atteggiamento viene rimproverato agli invasori italiani? 3. In che modo l’autore del brano si appella al suo popolo? A che scopo? Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando iniziarono i tentativi italiani di espansione coloniale? Per quale motivo? 2. Da quale zona iniziò l’espansione coloniale italiana? In seguito a quale acquisizione territoriale? 3. Quali furono le prime direttrici dell’espansione coloniale italiana? 4. Con quale Stato si scontrarono gli italiani nel corso dell’espansione coloniale di fine Ottocento? 5. Che cosa accadde a Dogali? Sotto quale governo? Con quali conseguenze?

6. Che cosa caratterizzò la politica coloniale di Crispi? 7. Quali acquisizioni territoriali ottenne l’Italia sotto i governi Crispi? 8. Che cosa accadde ad Adua? Per quale motivo? Con quali conseguenze? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Da Dogali ad Adua: le prime fasi dell’espansione coloniale italiana: fatti e conseguenze storiche”.

7. Leggi il documento “La protesta dello stomaco” a p. 23 e rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna. 1. Chi era Napoleone Colajanni? 2. Perché i tumulti milanesi furono definiti «protesta dello stomaco»? 3. Quali informazioni di carattere alimentare si possono ricavare dal documento?

25

26

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

4. 5. 6. 7.

Quale fu la causa occasionale dei tumulti? Quale invece la causa profonda? Perché era rincarato il prezzo del pane? Per quale motivo esso risultava così importante? Quale era il consumo giornaliero di pane nel 1895? Come può essere definito tale dato? Quali conseguenze ebbe la rivolta?

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

In quali anni governò Francesco Crispi? Quale giudizio è stato espresso dagli storici sulla sua figura? Per quale motivo? Che cosa caratterizzò la gestione dei rapporti con la Chiesa? Con quali conseguenze? Che cosa caratterizzò la sua politica nei confronti delle associazioni operaie e popolari? Con quale esito? Che cosa caratterizzò la sua politica estera? Con quale esito? Con quali conseguenze? Quali riforme furono approvate nel corso dell’attività dei governi Crispi?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

POLITICA INTERNA .............................................................................................. .............................................................................................. .............................................................................................. .............................................................................................. .............................................................................................. ..............................................................................................

GOVERNO DI FRANCESCO CRISPI ............................................................................................. ............................................................................................. .............................................................................................

RIFORME

POLITICA ESTERA

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

3 L’età giolittiana

Capitolo

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Percorso breve Dal 1901 al 1914 la politica italiana fu diretta da Giovanni Giolitti, prima come ministro dell’Interno nel governo Zanardelli, poi come Primo ministro. Liberale della Sinistra progressista, Giolitti guidò il paese durante la fase decisiva del decollo industriale, introducendo importanti novità nella vita sociale, economica e politica. Nelle lotte fra industriali e operai egli sostenne l’idea della neutralità dello Stato, favorendo il libero sviluppo delle associazioni operaie, il diritto di sciopero e la partecipazione delle masse alla vita del paese. Nel 1906 nacque la Confederazione Generale del Lavoro, il primo sindacato a carattere nazionale; gli industriali a loro volta fondarono nel 1910 la Confederazione Generale dell’Industria (Confindustria). Nel 1912 fu introdotto il suffragio universale maschile. La presenza dei socialisti in Parlamento aumentò e Giolitti pensò di poter contare sulla loro collaborazione; poi però, a causa sia dell’ostilità socialista alla politica coloniale, sia del prevalere nel partito delle tendenze “massimaliste”, contrarie all’intesa con le forze “borghesi”, Giolitti si accordò con i cattolici (patto Gentiloni) che proprio in quegli anni cominciavano a partecipare alla vita politica, dopo che Pio X aveva tolto il divieto loro imposto al tempo dell’unità d’Italia. Nelle elezioni del 1913 i voti cattolici furono decisivi per assicurare il successo dei deputati liberali. In cambio Giolitti si impegnò a inserire l’insegnamento della religione nel curriculum scolastico e a opporsi all’introduzione del divorzio. Lo sviluppo industriale dell’Italia si potenziò in tutti i settori, a cui si aggiunse quello automobilistico dopo la nascita della FIAT nel 1899. Si accresceva però il divario tra sviluppo industriale del Nord e arretratezza agricola

Giovanni Giolitti, 1934

del Sud. Continuò pertanto il fenomeno dell’emigrazione all’estero degli italiani, soprattutto contadini meridionali. Anche in politica estera Giolitti invertì la rotta, ignorando l’alleanza stipulata nel 1882 con Germania e Austria e firmando un patto di amicizia con Francia e Inghilterra. L’avventura coloniale continuò con l’occupazione della Libia (1911), possesso dell’Impero ottomano; lo scontro con i turchi si svolse anche nel Mediterraneo orientale, con l’occupazione di Rodi e delle isole del Dodecanneso.

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

3.1 Giolitti e il riformismo liberale Giolitti “bifronte” in una caricatura della rivista satirica «L’asino», 1911

Una politica nuova per un’Italia nuova «La più notevole figura di statista liberale dopo Cavour»: così è stato definito Giovanni Giolitti (1842-1928), capo del governo italiano dal 1903 al 1913, un periodo rimasto alla storia come età giolittiana. La società italiana era molto cambiata rispetto a una generazione prima: il paese stava entrando nella fase decisiva del decollo industriale, la popolazione operaia era cresciuta, si era organizzata in associazioni sindacali e politiche, rivendicava migliori condizioni di vita e di lavoro. In questa realtà sociale ed economica operò Giolitti, attuando una profonda innovazione nel modo di intendere la politica. Di fronte alle lotte fra capitale e lavoro, che sempre più aspre accompagnavano la trasformazione industriale dell’Italia, egli teorizzò una linea politica nuova: nelle lotte sociali in cui si contrapponevano gli interessi degli industriali e quelli degli operai il governo non doveva intervenire, al contrario di quanto spesso era accaduto nei decenni precedenti, a difesa degli interessi padronali, ma mostrarsi neutrale, giudice imparziale e conciliatore, con il solo obbligo di tutelare l’ordine pubblico. La centralità delle classi popolari Tale scelta fu chiaramente descritta dallo stesso Giolitti in un libro, Memorie della mia vita, pubblicato nel 1922: «È uno sbaglio opporsi ai lavoratori, sciogliere le loro organizzazioni, impedire con la violenza le loro manifestazioni. Ormai deve essere chiaro a tutti che il movimento delle classi operaie è un fatto comune a tutti i paesi civili e che cammina di pari passo col progresso della civiltà, perché poggia sul principio dell’uguaglianza degli uomini. Ostacolare questo mo-

I modi della storia

Le lotte sociali e la “neutralità” di Giolitti: i telegrammi ai prefetti

La nuova politica di Giolitti nei confronti delle lotte sociali fu quella di mantenere il governo al di sopra delle parti e di favorire il compromesso fra le esigenze dei proprietari (di terre o di industrie) e quelle

dei lavoratori. Significativi a tale proposito sono alcuni telegrammi che Giolitti inviò ai prefetti in occasione di scioperi e di contrasti fra le parti sociali. I primi due che presentiamo, rivolti ai prefetti di Novara e

V

edo che gravi fatti si preparano nella provincia di Novara. Evidentemente siamo di fronte a un movimento economico irresistibile che tende al miglioramento delle condizioni dei contadini. Se così stanno le cose sarebbe inutile e forse impossibile opporsi a tale movimento. Perciò l’azione del Governo deve tendere a regolarlo facendo sì che le domande degli operai siano tenute in limiti ragionevoli, e che i proprietari le esaminino con benevolenza e col proposito di accoglierle quando siano giuste. Il Governo ha strettissimo dovere di prevenire e di procurare che invece di lotta si abbia un equo accordo. Attendo dalla sapiente opera sua che tale azione si svolga con calma e con fermezza verso tutti. La prego di tenermi minutamente informato per telegrafo di quanto avviene trattandosi di quistioni che involgono le più gravi responsabilità politiche. Telegramma del 12 aprile 1901 al prefetto di Novara

Ricevo suo rapporto 11 maggio n. 380. Se le occorre aumento forza pubblica per mantenere ordine pubblico e libertà lavoro ne faccia richiesta e provvederò subito. Le raccomando

di Modena, sono del 1901, quando Giolitti era ministro degli Interni sotto il governo Zanardelli; il terzo, inviato «a tutti i prefetti del regno», è del 1906, quando Giolitti aveva assunto la carica di Primo ministro.

però vivamente di adoperarsi per conciliazione dimostrando proprietari essere ingiuste le misure di salari insufficienti alla vita. Rifiuto di concedere equa misura salari potrà creare condizione di cose assai più dannosa alla proprietà che non equo componimento. Raccomandi a tutti molta prudenza. Telegramma del 14 maggio 1901 al prefetto di Modena

I funzionari dipendenti da questo ministero già sanno che il programma col quale intendo governare si riassume nel rispetto di tutte le pubbliche libertà, nel mantenimento dell’ordine coi mezzi consentiti dalle leggi, e nella più rigida giustizia in tutti gli atti di amministrazione. Ma io in special modo ricordo a tutti i funzionari dello Stato che in questo periodo di profonda trasformazione sociale l’opera del governo deve ispirarsi alla più affettuosa cura delle legittime aspirazioni delle classi lavoratrici. E soprattutto deve essere opera del governo quella di persuadere tutti che le lotte per il progresso non possono essere feconde quando non sono pacifiche, ordinate, civili. Telegramma del 1° giugno 1906 a tutti i prefetti

Capitolo 3 L’età giolittiana

29

Forze dell’ordine alla stazione centrale di Milano durante lo sciopero, settembre 1904 Le manifestazioni che si tennero in tutta Italia per lo sciopero generale proclamato il 16 settembre del 1904 non ebbero risvolti violenti, nonostante il forte dispiegamento di forze dell’ordine a cui però fu dato ordine di non intervenire e di lasciare che il pacifico svolgersi dei cortei facesse il suo corso.

vimento o, peggio ancora, combatterlo, è un errore e un’ingiustizia. Un errore perché rende nemiche dello Stato quelle classi che costituiscono la grande maggioranza del paese; un’ingiustizia perché lo Stato, ponendosi contro una classe in favore di un’altra, viene a mancare al suo dovere di assoluta imparzialità fra i cittadini. È compito dei governanti di far sentire alla grande massa della popolazione che lo Stato non è il loro nemico, ma piuttosto l’imparziale tutore dei diritti e della libertà di tutti».

Il primo sciopero generale Il principio enunciato da Giolitti fu messo a prova fin dal 1904, quando, nel mese di settembre, la Camera del lavoro di Milano proclamò uno sciopero generale – il primo nella storia d’Italia – come protesta per la morte di alcuni lavoratori, avvenuta in Sardegna a seguito di scontri con le forze dell’ordine. La manifestazione suscitò timori e preoccupazioni tra gli industriali e tra i liberali conservatori, che fecero pressioni sul governo perché assumesse un atteggiamento forte contro la popolazione in sciopero. Ma Giolitti non inviò l’esercito, come si chiedeva: lasciò che lo sciopero si svolgesse e si esaurisse naturalmente, mentre il governo si limitava ad assicurare l’ordine pubblico.

3.2 Libertà di associazione e di sciopero Il diritto a salari più giusti Giolitti riconobbe ai lavoratori il diritto di associarsi e la più ampia libertà di sciopero. «Se i datori di lavoro – egli affermò – hanno la libertà e il diritto di offrire ai lavoratori i salari che credono più convenienti ai propri affari, non si vede perché una simile libertà non debba essere riconosciuta anche ai lavoratori; la libertà, cioè, di chiedere salari che si stimano più giusti, la libertà di organizzarsi per sostenere con maggiore efficacia i propri interessi, il diritto anche di fare sciopero, quando ciò sia ritenuto necessario». Il movimento associativo popolare, che nei decenni precedenti era vissuto in forma semi-clandestina, spesso soggetto a forme di dura repressione, poté in tal modo riprendere slancio e moltiplicare le sue organizzazioni, specialmente i sindacati e le Camere del lavoro, che sorsero numerose in ogni parte d’Italia. C.G.L. e Confindustria Nel 1906, promossa dal movimento socialista, si costituì la Confederazione Generale del Lavoro (C.G.L.), il primo sindacato a carattere nazionale, che riuniva sotto la sua direzione le Camere del lavoro locali. Appena cinque anni dopo la C.G.L. contava più di 400.000 iscritti. Ciò spinse anche gli industriali a creare (1910)

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento una loro organizzazione nazionale, denominata Confederazione Generale dell’Industria o più brevemente “Confindustria”.

La tutela dei lavoratori In quegli anni fu promosso un insieme di riforme sociali, elaborate sul modello di quelle esistenti nei più progrediti Stati d’Europa, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, la Svizzera. Si rese obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni; si stabilì il diritto alla giornata di riposo pagata; le ore lavorative giornaliere furono limitate a otto; si dispose che le donne e i fanciulli non fossero impiegati in lavori pesanti; migliorò l’assistenza e fu introdotta la pensione per i vecchi e gli invalidi. Significative anche le misure adottate nella sanità pubblica: di particolare importanza si rivelò la distribuzione gratuita di chinino contro la malaria, una malattia ancora molto diffusa in Italia. In pochi anni la percentuale dei malati diminuì drasticamente.

3.3 La riforma elettorale Tessera della Confederazione Generale del Lavoro, 1911 L’allegoria realizzata per questa tessera di un confederato milanese della C.G.L. è abbastanza elementare ma efficace: un giovane eroe scolpisce il globo con le parole «resistenza, cooperazione, previdenza», parole in cui credere per un nuovo mondo a “misura di lavoratore”.

Diritto di voto per tutti gli uomini Nel 1912 Giolitti attuò un’altra importante riforma: il suffragio universale maschile. Il diritto di voto fu riconosciuto a tutti i cittadini di sesso maschile, di età superiore a 21 anni (compimento della maggiore età) se sapevano leggere e scrivere, superiore a 30 se analfabeti. Restavano escluse le donne (alle quali il diritto di voto sarà riconosciuto solamente nel 1946). «In dieci anni di libertà – così Giolitti commentò il provvedimento di legge – il popolo italiano si è andato sempre di più interessando alla vita della nazione e ha acquistato un’esperienza di vita politica, che prima gli mancava. È inammissibile, perciò, continuare a escludere dal diritto di voto la classe più numerosa della società, la quale dà i suoi figli per la difesa del paese, e sotto forma delle imposte indirette concorre in misura larghissima a sostenere le spese dello Stato». Indennità parlamentari In base alla nuova legge, il numero dei cittadini con diritto di voto passò da 3.329.000 a 8.672.000. Ciò significava, tra l’altro, che anche i contadini (una gran parte della popolazione italiana: nel 1911 assommavano a circa 10 milioni su un

Le vie della cittadinanza

Battaglie femminili per la parità dei diritti politici

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er lungo tempo la popolazione femminile è stata tenuta ai margini della vita civile e politica, e confinata in un ruolo prevalentemente domestico. Ciò accadeva già nelle società antiche, anche quelle, come quella in Grecia, che per prime concepirono l’idea della democrazia, cioè della sovranità popolare nella vita dello Stato: le donne, come gli stranieri, come gli schiavi, furono per secoli escluse dal diritto di voto e dalla partecipazione agli organi di governo. Questa situazione perdurò nel Medioevo e nell’età moderna, fino alle soglie del mondo contemporaneo. Una reale inversione di tendenza si verificò solamente tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, quando, per la prima volta, e solo in

Riccardo Salvadori, Cartellone per una manifestazione femminista alla Scala di Milano, 1911 [Raccolta Salce, Museo Civico, Treviso]

alcuni paesi, si cominciò a considerare il problema dei diritti femminili. Il primo paese che accordò il voto alle donne fu la Nuova Zelanda nel 1893; seguirono i paesi scandinavi con la Finlandia (1906), la Norvegia (1907), la Danimarca e l’Islanda (1915). Nel 1918 fu la volta della Gran Bretagna, dove il movimento di emancipazione femminile fu sostenuto dalle lotte dell’“Unione sociale e politica delle donne”, dette anche “suffragette” perché chiedevano l’estensione alle donne dei diritti civili e politici, a cominciare dal diritto di “suffragio”, ossia di voto. Negli Stati Uniti il diritto di voto fu ottenuto nel 1920 e via via anche in altri Stati. «Le donne – scriveva nel 1913 il quotidiano milanese «Corriere della Sera» – entrano di prepotenza nella vita sociale. Dall’Inghilterra è partita la prima riscossa femminile e ben presto il fenomeno si propaga negli altri paesi: a Ferrara migliaia di donne impediscono alla cavalle-

Capitolo 3 L’età giolittiana totale di 36 milioni) per la prima volta acquisivano il diritto di votare. Giolitti, inoltre, per non escludere i meno abbienti dalla possibilità reale di presentarsi alle elezioni come candidati al Parlamento, introdusse la cosiddetta indennità parlamentare, cioè un compenso per le spese da sostenere nel ruolo di deputati (viaggi a Roma, vitto, alloggio, ecc.).

Difficoltà del governo Introducendo il suffragio universale maschile, da tempo richiesto dalle associazioni e dai partiti popolari, Giolitti pensava, non a torto, di convincere i socialisti ad appoggiare l’opera del suo governo e di poter conservare una sicura maggioranza in Parlamento. Tuttavia, nel 1912-13 egli venne a trovarsi privo di questo sostegno, sia per l’opposizione dei socialisti alla guerra di Libia, che il governo aveva da poco intrapreso [ 3.7], sia perché la direzione del partito era passata dal gruppo “riformista”, che credeva nelle riforme come mezzo per migliorare la società e lo Stato, al gruppo “massimalista”, che rifiutava ogni forma di collaborazione con un governo “borghese” e si poneva come obiettivo il rovesciamento della società capitalista.

3.4 Il patto di Giolitti con i cattolici In cerca di sostegno La riforma elettorale rese problematica e fragile la stabilità del governo. In previsione di un rilevante aumento dei voti socialisti nelle successive elezioni indette per il 1913, Giolitti strinse un accordo con i cattolici, che, dopo essere stati a lungo tenuti lontani dalla vita politica per esplicito divieto pontificio [ vol. 2, 32.6], avevano a poco a poco ricominciato a prendervi parte, dopo che Pio X nel 1904 aveva rimosso il divieto. Verso il Partito popolare Prese così forma, gradatamente, l’idea di fondare un partito di ispirazione cristiana, voluto anche per controbilanciare l’influenza politica dei socialisti. Luigi Sturzo (1871-1959), un prete siciliano nativo di Caltagirone, pose le basi progettuali per la creazione di un partito cattolico nazionale già nel 1905, quando scrisse: «È giunto il momento che i cattolici si mettano come gli altri partiti nella vita nazionale, come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del

ria di caricare un corteo di disoccupati. A New York nugoli di sartine contrattaccano la polizia con armi improprie inconsuete: spilloni da cappello. La donna entra in scena animosamente su tutte le platee del mondo moderno: a Roma si svolge un Congresso internazionale femminile cui partecipano 450 delegate; si discute di igiene, di diritto al voto, ma anche di finanza».

Una suffragetta manifesta di fronte alla Casa Bianca, Washington 1917

Dovettero tuttavia passare molti anni perché in Italia venisse riconosciuto alle donne il diritto di voto: ciò accadde nel 1946, per opera del nuovo Parlamento repubblicano e della nuova Costituzione. Anche la Francia e il Belgio attesero la fine della Seconda guerra mondiale per allargare il voto alle donne, e in certi paesi, come il Portogallo o la Svizzera, si è dovuto attendere fino al 1972.

Aviatrici, 1921 [Archivio Storico Luce, Roma]

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento vivere civile. Quale programma avrà questo partito cattolico nazionale? Attualmente le tendenze della vita pubblica italiana si raggruppano in conservatori e socialisti. [...] Io stimo inopportuna, che contrasta coi fatti, la posizione di un partito cattolico conservatore; io credo necessario un contenuto democratico del programma. Da soli, diversi dai liberali e dai socialisti, liberi nelle mosse ora a destra ora a sinistra, con un programma concreto basato sopra elementi di vita democratica: così ci conviene entrare nella politica. Non la monarchia, non i conservatori, non il socialismo ci possono attrarre: noi saremo sempre democratici e cattolici. I conservatori sono dei fossili, anche se sono cattolici». Nel 1919 Luigi Sturzo avrebbe fondato il Partito popolare.

Il patto Gentiloni L’accordo dei cattolici con Giolitti, noto come patto Gentiloni – dal nome del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni (1865-1916), presidente dell’Unione Elettorale Cattolica – prevedeva che Giolitti, in cambio di voti favorevoli ai candidati liberali su cui poggiava il governo, avrebbe accolto alcune richieste che stavano molto a cuore ai cattolici, come l’introduzione dell’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche e una ferma opposizione a eventuali proposte di introdurre in Italia il divorzio. Il risultato delle elezioni riconfermò l’affermazione dei liberali, che ottennero 304 deputati contro i 204 dei partiti avversari; il peso dei cattolici in appoggio ai liberali si rivelò determinante. I socialisti salirono a 79 deputati, contro i 42 delle precedenti elezioni.

3.5 Il decollo industriale L’industria si sviluppa Nel decennio giolittiano l’Italia attraversò uno dei periodi più floridi del suo sviluppo industriale, in concomitanza con la favorevole congiuntura economica che riguardò gli Stati più progrediti del mondo (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Giappone). Le industrie tessili, grazie anche all’apporto di capitali tedeschi, ebbero un incremento rapidissimo, passando da 1.800.000 fusi in attività nel 1900 a 4 milioni di fusi nel 1908. Notevole fu anche la crescita dell’industria siderurgica, che vide aumentare il numero degli operai da 15.000 a 50.000. Nuovi settori industriali nacquero con l’Olivetti (macchine da scrivere), la Carlo Erba (farmaceutici e alimenti per l’infanzia), la Pirelli (gomma). Teodoro Wolf Ferrari, Manifesto pubblicitario per macchine per scrivere Olivetti, 1912 [Raccolta Salce, Museo Civico, Treviso]

Nasce la FIAT Uno slancio importante ebbe l’industria automobilistica, nata in vari paesi europei negli ultimi decenni dell’Ottocento, dopo l’invenzione e la messa a punto del motore a scoppio da parte dei tedeschi Daimler e Benz [ vol. 2, 31.1]. A Torino nel 1899 fu fondata la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) per iniziativa di Giovanni Il reparto di montaggio nello stabilimento FIAT di corso Dante, Torino, 1905 [Centro Storico FIAT]

Nei primissimi anni la produzione della FIAT fu rivolta soprattutto al mercato delle macchine sportive e da gran turismo, che venivano quindi prodotte in numero limitato. Nel 1908 duecento operai impiegati nell’azienda riuscivano a produrre cinque auto al giorno.

33 Francesco Chigi, Contadini dell’Agro romano a tavola, 1900

Agnelli (1866-1945): nel primo anno di attività, con sistemi ancora artigianali, furono costruite 6 vetture; esse aumentarono rapidamente negli anni successivi, col crescere della domanda e il diffondersi dell’automobile come mezzo di trasporto: nel 1914 dagli stabilimenti FIAT uscirono 18.000 auto. Oltre alla FIAT, che si avviava a diventare il massimo complesso industriale italiano e uno dei maggiori d’Europa, sorsero in Italia decine di altre fabbriche di automobili (Itala, SCAT, Lancia, Alfa Romeo, ecc.). Nel 1914 esse erano ben 44 e contavano 12.000 operai complessivamente. I veicoli in circolazione nel nostro paese erano, allora, circa 21.000.

Un ottimo bilancio A favorire la floridezza economica e lo sviluppo di quel periodo contribuì anche la buona amministrazione del governo, dovuta in particolare all’opera del ministro delle Finanze Luigi Luzzatti (1903-06). Il bilancio statale fu mantenuto costantemente in pareggio e la lira guadagnò un tale prestigio all’estero da essere preferita all’oro e alla sterlina sul mercato internazionale.

3.6 Il divario tra Nord e Sud Un paese economicamente sbilanciato Il progresso del paese, nel campo economico e in quello sociale, si compì soprattutto nell’Italia settentrionale, mentre nelle regioni meridionali la produzione, prevalentemente agricola, e le condizioni di vita della popolazione non conobbero apprezzabili miglioramenti. A giudizio degli studiosi che si occuparono della questione – Giustino Fortunato (1848-1932), Gaetano Salvemini (18731957) e altri – l’immobilismo e l’arretratezza del Sud rispetto al Nord si accentuavano perché il governo impegnava la maggior parte delle sue risorse finanziarie per incrementare lo sviluppo delle industrie delle regioni settentrionali. Le risorse dedicate allo sviluppo dell’agricoltura furono di gran lunga inferiori a quelle assegnate all’industria. Agricoltura e zuccherifici Qualche miglioramento nella produzione agricola si ebbe nelle regioni settentrionali fino alla Romagna, grazie al maggiore impiego di macchine e di fertilizzanti chimici. Una crescita straordinaria si verificò nella produzione di barbabietola da zucchero in Emilia e in Veneto (da 6000 tonnellate nel 1898 a 300.000 nel 1913), in correlazione con lo sviluppo dell’industria della raffinazione dello zucchero, che esportava la quasi totalità del prodotto ricavandone colossali profitti, mentre il consumo interno era tra i più bassi d’Europa ed era gravato da un’imposta pari a due terzi del prezzo al minuto. Povertà meridionale ed emigrazione Non cambiarono, sostanzialmente, le condizioni di vita dei contadini, anche se in alcune aree del Nord si ebbero dei miglioramenti salariali e di regime alimentare (tra il 1880 e il 1910, mediamente, il consumo di grano

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento salì da 111 a 167 kg a persona). Nelle campagne del Sud continuava a dominare il latifondo e i contadini restavano vincolati ai proprietari da rapporti quasi servili di dipendenza. Perciò fu sempre molto elevato – nel Sud ma anche in certe zone del Nord, come il Veneto – il numero delle persone che emigravano all’estero, testimoniando la loro disperata e insopportabile miseria: 300.000 nel 1900, quasi 900.000 nel 1913. In tutto circa 2 milioni fra il 1900 e il 1914. Tra le non molte iniziative prese dal governo a favore del Mezzogiorno si deve menzionare l’acquedotto pugliese, iniziato nel 1903: un’imponente opera idrica, che derivò le acque del fiume Sele nei monti Picentini (Campania) e le portò attraverso la Puglia per l’irrigazione dei territori aridi, raggiungendo con le sue numerose diramazioni la lunghezza di ben 2670 km. Un gruppo di carusi siciliani all’imbocco di una solfatara, inizi del XX sec. Uno dei più drammatici aspetti delle misere condizioni di vita della popolazione meridionale era la piaga del lavoro minorile. Nonostante una legge del 1886 prevedesse un limite minimo di nove anni per poter iniziare a lavorare (e per non più di otto ore al giorno, fino al compimento dei 12 anni), questo divieto non veniva quasi mai rispettato e ai bambini spettava il compito di contribuire con la loro parte alle magre entrate familiari, tralasciando l’obbligo della frequenza scolastica.

3.7 L’occupazione della Libia L’intesa con Francia e Gran Bretagna Giolitti diede un diverso indirizzo non solo alla politica interna ma anche a quella estera. Infatti, nonostante l’Italia fosse vincolata dal 1882 alla Germania e all’Austria attraverso il patto difensivo della Triplice Alleanza, Giolitti, pur senza rompere tale vincolo, ne attenuò l’importanza firmando un patto di amicizia con la Francia e con la Gran Bretagna. L’espansione coloniale Quanto alla politica coloniale, Giolitti proseguì l’operato dei precedenti governi e progettò di occupare la Libia, unica regione dell’Africa mediterranea non ancora in mano agli europei (proprio in quegli anni i francesi, dopo l’Algeria e la Tunisia, presero possesso del Marocco). In Libia già da qualche tempo operavano capitali italiani: un’importante banca di Roma aveva finanziato diverse imprese, mulini meccanici, oleifici, fabbriche di ghiaccio, impianti di nuove colture. Proprio questi gruppi finanziari facevano pressione sul governo in favore della politica coloniale.

Aa Documenti Pregiudizi contro gli immigrati Gli immigrati costituiscono una risorsa per i paesi che li ospitano, come forza lavoro e come arricchimento culturale. Tuttavia capita spesso che essi siano accolti

con diffidenza e circondati di pregiudizi di ogni sorta. Capita oggi a noi, nei confronti degli stranieri che vengono in Italia. Capitò agli italiani, quando tra la fine del XIX

[Gli italiani] sono briganti, lazzaroni, fannulloni, corrotti nell’anima e nel corpo. Se il boicottaggio vale a qualcosa, è questo il caso di a pplicarlo. Siamo certi che i nostri capitalisti non ricaveranno alcun beneficio dall’importazione di queste locuste. «Australian Workman» (Australia), 1890

Molti sono gli esempi che potrebbero essere citati e che mostrano come [gli immigrati italiani] operino una sistematica occupazione dei posti di lavoro soppiantando in questi desiderabili impieghi i protestanti e gli americani coi loro metodi da clan. «American Protective Association» (USA), 1896

secolo e gli inizi del XX percorsero i mari del mondo per cercare lavoro e fortuna. Si leggano questi brevi estratti da riviste americane e australiane dell’epoca.

Per quanto riguarda gli scopi della vita, molti non cercano di fare altro se non raggiungere il dolce far niente. Un po’ di maccheroni a pranzo, una strimpellata alla chitarra o al mandolino per trascorrere allegramente la notte, suonando sotto le finestre e strappando qualche centesimo, e sono contenti. Regina Armstrong, «Leslie’s Illustrated» (USA), 1901



Zuara Sciara Sciat 23/10/1911

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Capitolo 3 L’età giolittiana Misurata35

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Operazioni navali italiane Blocchi navali italiani Zone conquistate dall’Italia fino al 1911 Influenza militare italiana dopo la pace di Ouchy-Losanna (1810-1912) Principali presìdi italiani in Libia Battaglie e bombardamenti (con data) Impero ottomano

La politica di potenza Appoggiarono l’intervento in Africa anche i “nazionalisti”, un movimento politico di recente costituzione, sostenitore del militarismo e della “potenza della nazione”, e i gruppi della grande industria che vedevano nella guerra un’occasione di profitto, attraverso lo sviluppo della produzione di cannoni, armi, munizioni, mezzi di trasporto. Contro queste scelte si schierarono soprattutto i socialisti, avversi per principio al colonialismo, che offendeva la libertà degli altri popoli; contrari erano anche molti repubblicani, convinti che invece di sprecar soldi in avventure di prestigio fosse più urgente Operazioni navali italiane affrontare i problemi italiani, a cominciare dallo sviluppo del Mezzogiorno. Blocchi navali italiani guerra contro l’Impero ottomano Nel settembre 1911 le truppe italiane sbarcaZone La conquistate dall’Italia finoa alTripoli 1911 rono e in poco tempo occuparono l’intera fascia costiera della Libia, cacInfluenza militare italiana ciandone i turchi, che da secoli dominavano su quelle regioni, incluse nell’Impero dopo la pace di Ouchy-Losanna (1810-1912) Principali presìdi italiani in Libia Battaglie e bombardamenti (con data) Impero ottomano

La rotta dei turchi, 1912 [Civico Museo del Risorgimento, Milano]

In questa stampa del 1912 è raffigurata la battaglia di Ain Zara, avamposto fortificato a 10 km da Tripoli: una piccola vittoria degli italiani, poco prima di occupare la capitale libica.

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento ottomano. Più difficile fu la penetrazione nelle regioni interne, per la resistenza della popolazione locale sostenuta dai turchi. Per costringere la Turchia alla pace il governo italiano portò la guerra nel cuore dell’Impero ottomano, occupando con numerosi mezzi da sbarco l’isola di Rodi e altre isole dell’Egeo, il cosiddetto Dodecanneso (in greco, “dodici isole”), mentre un gruppo di torpediniere penetrava nello Stretto dei Dardanelli e bombardava Costantinopoli. La guerra terminò nel 1912 con la pace di Losanna, che riconobbe all’Italia il possesso della Libia e impegnò la Turchia a far cessare la guerriglia; a garanzia di tale impegno l’Italia conservava temporaneamente il Dodecanneso.

I tempi della storia Giudizi su Giolitti La figura di Giovanni Giolitti è stata variamente giudicata. Uno dei suoi avversari più duri fu lo storico pugliese Gaetano Salvemini (1873-1957), che lo definì «ministro della mala vita» rimproverandogli, in particolare, la spregiudicatezza nell’utilizzare anche metodi illegali pur di controllare l’andamento delle elezioni (soprattutto nelle regioni del Sud). «L’onorevole Giolitti – scrisse Salvemini – approfitta delle miserevoli condizioni del Mezzogiorno per legare a sé la massa dei deputati meridionali: dà a costoro “carta bianca” nelle amministrazioni locali; mette, nelle elezioni, al loro servizio la mala vita e la questura; assicura a

essi e ai loro clienti la più incondizionata impunità; mantiene in ufficio i sindaci condannati per reati elettorali; premia i colpevoli con decorazioni; non punisce mai i delegati delinquenti; approfondisce e consolida la violenza e la corruzione, dove rampollano spontanee dalle miserie locali; le introduce ufficialmente là dove erano ignorate». Fatti di questo genere accaddero realmente e l’accusa di Salvemini, che sottintende una forte polemica “meridionalista” rispetto a un governo che, come i precedenti, aveva favorito gli interessi del Nord industriale rispetto a quelli del Sud agricolo, mette a nudo gli aspetti negativi di una politica che non fu priva di contraddizioni. Tuttavia sono innegabili anche gli aspetti innovativi e di apertura sociale che Giolitti introdusse nella vita del paese. Su questo piano, la sua azione di governo ha riscosso giudizi generalmente positivi, da parte sia di esponenti della cultura liberale, sia di esponenti della cultura marxista. Lo storico e filosofo liberale Benedetto Croce (18661952) scrisse, relativamente agli anni giolittiani, che «furono quelli, in Italia,

gli anni in cui meglio si attuò l’idea di un governo liberale, il solo in grado di soddisfare le esigenze legittime che le due parti estreme [conservatori e socialisti] ponevano senza possedere la capacità di recarle in atto; perché, da un lato, esso manteneva l’ordine sociale e l’autorità dello Stato, e dall’altro accoglieva i nuovi bisogni col lasciare libero campo alle competizioni economiche anche tra datori di opere e lavoratori, e con l’attendere a provvidenze sociali». Ampiamente positivo fu anche il giudizio di Palmiro Togliatti (1893-1964), leader storico del Partito comunista italiano: «Assurdo pretendere che Giovanni Giolitti, uomo politico uscito dalla vecchia classe dirigente borghese e conservatrice, fosse l’araldo del rinnovamento della società italiana; non si può però negare che tra gli uomini politici della sua epoca egli appaia oggi quello che più degli altri aveva compreso qual era la direzione in cui la società italiana avrebbe dovuto muoversi per uscire dai contrasti del suo tempo. Non si può negare che in Giolitti vi fosse, per lo meno, la intuizione del problema come problema non di polizia, ma di indirizzo economico e politico. Egli vedeva, cioè, che non bastava che i gruppi dirigenti tradizionali resistessero sulle vecchie posizioni, ma occorreva cambiare qualche cosa nel vecchio modo di vivere e di governare».

Giolitti al bivio [da «Il mulo», Bologna 20 giungo 1920]

La copertina della rivista «Il mulo» è solo una delle tante vignette satiriche che criticarono aspramente l’attività e i comportamenti di Giolitti nei lunghi anni in cui fu al governo. In questo caso l’onorevole è ritratto a cavallo di un asino fermo di fronte a un bivio che si domanda da che lato girare o se tornare indietro: da un lato la «via della catastrofe», dall’altro la «via dell’onestà restauratrice», alle loro spalle il «bosco del confusionismo proprietà riservata dell’onorevole Giolitti».

Capitolo 3 L’età giolittiana

Sintesi

L’età giolittiana

Giolitti e il riformismo liberale Nel periodo 1903-13 il capo del governo fu Giovanni Giolitti. L’Italia era cambiata: l’industria era cresciuta e con essa le rivendicazioni delle organizzazioni operaie. Giolitti innovò l’azione del governo, affermando il principio della neutralità nelle lotte tra capitale e lavoro. A Milano nel 1904 fu proclamato uno sciopero generale. Nonostante le pressioni di industriali e conservatori, Giolitti non inviò l’esercito e lasciò che lo sciopero si svolgesse e poi si esaurisse, limitandosi ad assicurare l’ordine pubblico. Libertà di associazione e di sciopero Ai lavoratori fu garantita la libertà di sciopero e il diritto di associazione. Nel 1906 si costituì il sindacato nazionale, la Confederazione Generale del Lavoro. Nel 1910 anche gli industriali si associarono nella Confederazione Generale dell’Industria. Giolitti approvò inoltre una serie di riforme sociali, tra cui: assicurazione contro gli infortuni, pensioni, giornata lavorativa di otto ore, divieto di impiegare donne e bambini in lavori pesanti, distribuzione gratuita di chinino contro la malaria, che diminuì sensibilmente. La riforma elettorale Nel 1912 fu introdotto il suffragio universale maschile, che portò il corpo elettorale a 8.672.000 persone, dando per la prima volta il diritto di voto ai contadini. Per consentire la candidatura ai meno abbienti fu introdotta l’indennità parlamentare. Giolitti mirava a ottenere

l’appoggio dei socialisti per avere una più solida maggioranza parlamentare, ma l’opposizione socialista alla guerra di Libia e la prevalenza delle posizioni massimaliste determinarono l’allontanamento tra i socialisti e il governo. Il patto di Giolitti con i cattolici Nel 1904 Pio X aveva rimosso il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica del paese, dando inizio a quel processo di organizzazione politica del mondo cattolico che avrebbe portato alla nascita del Partito popolare nel 1919. In questo clima, prima delle elezioni del 1913, Giolitti si accordò con i cattolici (patto Gentiloni): in cambio dei voti dei cattolici ai liberali, il governo si impegnava a introdurre l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche e a impedire l’introduzione del divorzio. Le elezioni furono vinte dai liberali, rivelando il peso decisivo del voto cattolico. Il decollo industriale L’età giolittiana fu caratterizzata da un enorme sviluppo industriale, trainato da una congiuntura economica favorevole e dalla buona amministrazione del governo, che mantenne in pareggio il bilancio statale. Accanto ai settori tessile e siderurgico, si affermarono nuove industrie: la Olivetti (macchine per scrivere), la Carlo Erba (farmaceutico), la Pirelli (gomma), la FIAT (produzione di automobili). Il divario tra Nord e Sud Il progresso del paese riguardava soprattutto le regioni del Nord. Al Sud, dove era

prevalente l’agricoltura, le condizioni di vita non migliorarono. Pochi furono gli investimenti (tra i pochi, costruzione dell’acquedotto pugliese) e poche le risorse destinate al Meridione, mentre qualche miglioramento nelle condizioni di vita dei contadini avvenne nelle regioni del Nord, con incrementi nei salari e nell’alimentazione. In Emilia e Veneto si produceva la barbabietola, destinata alla raffinazione dello zucchero per l’esportazione. L’emigrazione contadina continuò, soprattutto nelle regioni meridionali e nel Veneto. L’occupazione della Libia In politica estera, Giolitti stipulò un patto di amicizia con Francia e Inghilterra e proseguì la politica coloniale, con il progetto di occupazione della Libia, sostenuto da gruppi finanziari con interessi commerciali in territorio libico, dagli industriali che vedevano nella guerra un’occasione di profitto e dai nazionalisti, un nuovo movimento di opinione che affermava i princìpi del militarismo e della potenza nazionale. Al progetto si opponevano i socialisti, contrari a ogni forma di colonizzazione, e i repubblicani, che ritenevano opportuno dare priorità ai problemi interni, come lo sviluppo del Mezzogiorno. Nel settembre 1911 le truppe italiane sbarcarono a Tripoli e si impossessarono della fascia costiera, mentre la penetrazione interna fu resa difficile dalla guerriglia libica. Gli italiani occuparono poi le isole del Dodecanneso. La pace di Losanna (1912) sancì il possesso italiano sulla Libia e sulle isole greche.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1899

1. 2. 3. 4. 5. 6.

1903

1904

1906

1910

1911

Confederazione Generale dell’Industria riconoscimento del diritto di voto alle donne fondazione del Partito popolare inaugurazione dell’acquedotto pugliese pubblicazione delle Memorie della mia vita di Giovanni Giolitti Confederazione Generale del Lavoro

1912

7. 8. 9. 10. 11.

1913

1919

1922

patto Gentiloni fondazione della FIAT introduzione del suffragio universale maschile sciopero generale a Milano sbarco italiano a Tripoli

1946

37

38

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto.

e. In Libia erano presenti diverse imprese italiane che vi avevano investito capitali.

V

F

f. Con il patto Gentiloni, Giolitti si impegnava ad accogliere alcune richieste dei cattolici.

V

F

g. Nell’età giolittiana fu introdotta la giornata lavorativa di nove ore.

V

F

Fase di un ciclo economico in un certo periodo

h. Le zone da cui proveniva il maggior numero di emigranti erano quelle meridionali e venete.

V

F

Socialisti che sostenevano la trasformazione graduale della società capitalista

i. Le automobili che circolavano in Italia nel 1914 erano circa 12.000.

V

F

l. Nel 1912, la Turchia si impegnò a fare cessare la guerriglia nella Libia divenuta possesso italiano.

V

F

m. Giolitti intervenne per reprimere lo sciopero generale indetto a Milano nel 1904.

V

F

n. Nel 1913 Pio X rimosse il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica.

V

F

o. Repubblicani e nazionalisti erano favorevoli all’intervento in Libia.

V

F

p. Le elezioni del 1913 furono vinte dai liberali.

V

F

q. La riforma elettorale permise anche ai contadini di partecipare alle elezioni.

V

F

capitale • congiuntura • indennità • massimalisti • riformisti • sciopero generale • sindacato • suffragio Astensione collettiva di tutti i lavoratori di una città o di una nazione

Somma di denaro investita in un’impresa o in beni mobili e immobili Retribuzione attribuita ai deputati per coprire le spese della loro attività Attribuzione del diritto di voto a tutti i cittadini Socialisti che sostenevano la rivoluzione per rovesciare il capitalismo Unione che comprende i lavoratori di un’intera categoria

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. 3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Secondo Giolitti, lo Stato non doveva intervenire nelle lotte sociali tra capitale e lavoro.

V

F

b. Nel 1912 fu attribuito il diritto di voto a tutti i cittadini maschi di 21 anni, anche analfabeti.

V

F

c. La Confederazione Generale del Lavoro dirigeva le Camere del lavoro locali.

V

F

d. La direzione riformista del Partito socialista era favorevole al sostegno a Giolitti.

V

F

Giovanni Agnelli

industria farmaceutica

Gaetano Salvemini

Unione elettorale cattolica

Carlo Erba

questione meridionale

Vincenzo Ottorino Gentiloni

Partito popolare Italiano

Luigi Luzzatti

industria automobilistica

Luigi Sturzo

pareggio del bilancio statale

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. armi • cannoni • colonialismo • Dodecanneso • garanzia • ghiaccio • guerriglia • Impero ottomano • industria • investimenti • Libia • Losanna • mezzi di trasporto • Mezzogiorno • militarismo • mulini • nazionalisti • occupazione • oleifici • potenza • problemi • repubblicani • resistenza • socialisti • Tripoli QUANDO

1911-12

A FAVORE

• Gruppi finanziari: per gli ........................ in Libia (............................, ............................, fabbriche di ............................., colture) • Grande ......................: per la possibilità di arricchimento (produzione di ........................., ........................., munizioni, .....................) • ....................................: sostenevano .......................................... e ............................................. della nazione

CONTRO

• ....................................: contrari al ......................................... per principio • ....................................: preferivano affrontare .............................. italiani (..................................)

EPISODI SALIENTI

• Settembre 1911: sbarco a ...................................... e ........................................ fascia costiera • Penetrazione nell’interno ostacolata dalla ........................................... della popolazione • Attacco all’.......................................................: ..................................................... delle isole del .................................................................

ESITO FINALE

Pace di .........................................: all’Italia andò possesso della ................................................. e del ................................................... a ......................................... dell’impegno turco di debellare la .................................................................. nei territori interni libiri

Capitolo 3 L’età giolittiana

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “Pregiudizi contro gli immigrati” a p. 34 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? 2. Quali caratteristiche sono attribuite agli italiani nel primo testo? Quale iniziativa si suggerisce di prendere? A che scopo? 3. Quale accusa è formulata verso gli italiani nel secondo testo? 4. Quali attività sono svolte dagli italiani nel terzo testo? 5. Esistono delle somiglianze tra questo tipo di pregiudizi e quelli diffusi oggi contro gli immigrati? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Immigrazione e pregiudizi ieri e oggi”.

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per “età giolittiana”? A quale periodo storico si riferisce tale espressione? 2. Che cosa caratterizzò la politica giolittiana verso le lotte tra industriali e operai? 3. Quale atteggiamento fu adottato dal governo in occasione dello sciopero generale del 1904?

4. Quali diritti e quali libertà furono riconosciute ai lavoratori? Con quali conseguenze? 5. Quali riforme sociali furono adottate? Con quali conseguenze? 6. Che cosa caratterizzò la riforma elettorale? Con quali conseguenze? 7. Che cosa caratterizzò i rapporti politici tra Giolitti e i socialisti? 8. Con quali forze politiche si accordò Giolitti in vista delle elezioni del 1913? In che modo? 9. Quale fu l’esito delle elezioni del 1913? Quale forza sociale si rivelò politicamente determinante? 10. Quali elementi caratterizzarono la politica economica di Giolitti? Con quali conseguenze per le industrie e per le attività agricole? Quali differenze esistevano all’interno del paese? 11. Che cosa caratterizzò la politica estera giolittiana? 12. Quali acquisizioni territoriali furono ottenute dall’Italia? In che periodo? In che modo? Con le informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

POLITICA INTERNA ....................................................................... ...................................................................... ...................................................................... ...................................................................... ......................................................................

POLITICA ESTERA

RIFORME SOCIALI

.......................................................................

.......................................................................

......................................................................

......................................................................

...................................................................... ...................................................................... ......................................................................

......................................................................

ETÀ GIOLITTIANA ...................................................................... ......................................................................

...................................................................... ......................................................................

...................................................................... ...................................................................... ......................................................................

POLITICA ECONOMICA

RIFORMA ELETTORALE

.......................................................................

.......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

......................................................................

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40

Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

8. Verso il saggio breve Leggi il documento «Le lotte sociali e la “neutralità” di Giolitti: i telegrammi ai prefetti» a p. 28 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il testo? 2. A quale causa vengono attribuite nel primo testo le rivendicazioni dei contadini di Novara? 3. Come deve comportarsi il governo nei confronti dei contadini e dei proprietari? 4. Quali sono i doveri del governo secondo il primo testo? 5. Per quale motivo viene inviata la forza pubblica in base al secondo testo? 6. Quali raccomandazioni sono fatte al prefetto nel secondo testo? 7. Che cosa, nel secondo testo, viene indicato come elemento dannoso per la proprietà? 8. Quali sono i punti del programma di governo indicati nel terzo testo? 9. Che cosa caratterizza l’operato del governo rispetto alle classi lavoratrici nel terzo testo? 10. Quale carattere devono rivestire le lotte per il progresso? Leggi la citazione di Giolitti riportata alle pp. 28-29 e rispondi alle seguenti domande. 1. Come si deve comportare il governo verso il movimento dei lavoratori? Per quale motivo? 2. Come viene definito il combattere il movimento dei lavoratori? Per quale motivo? Leggi la citazione di Giolitti riportata a p. 29 e rispondi alla seguente domanda. Quale libertà deve essere concessa ai datori di lavoro? Quale deve essere concessa ai lavoratori? Leggi la citazione di Giolitti riportata a p. 30 e rispondi alla seguente domanda. Quale classe sociale non può essere esclusa dal diritto di voto? Per quale motivo?

Leggi il documento “Giudizi su Giolitti” a p. 36 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quale è l’opinione di Salvemini su Giolitti? Su quali elementi si basa? Per quale motivo? 2. Quale è l’opinione di Croce su Giolitti? Su quali elementi si basa? Per quale motivo? 3. Quale è l’opinione di Togliatti su Giolitti? Su quali elementi si basa? Per quale motivo? Sulla base delle informazioni raccolte, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo: “L’età giolittiana: aspetti, problemi, giudizi”.

9.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” alle pp. 30-31 e rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ogni domanda. 1. Quale era la condizione delle donne nella società dell’antica Grecia? 2. In che periodo si verificò un’inversione di tendenza nella considerazione sociale delle donne? 3. Quali furono i primi paesi ad accordare alle donne il diritto di voto? In che periodo? 4. Che cosa caratterizzò il movimento per l’emancipazione femminile in Gran Bretagna? 5. Che cosa scriveva nel 1913 il «Corriere della Sera»? Quali aspetti erano messi in luce? 6. Quando venne riconosciuto il diritto di voto alle donne in Italia, Francia e Belgio? 7. Quali sono stati gli ultimi paesi a riconoscere il diritto di voto alle donne? In che periodo?

La discussione storiografica

Effetti economici e culturali dell’emigrazione italiana D

Il fenomeno migratorio fu uno dei fenomeni più sconvolgenti della storia italiana nei decenni tra XIX e XX secolo. Milioni di persone abbandonarono il paese tra il 1880 e il 1914, spinti da un’unica ragione: la miseria. All’estero, nel nord Europa o al di là dell’Atlantico, essi cercavano (e molte volte trovarono) un lavoro e migliori condizioni di vita. La letteratura storica sull’emigrazione è vastissima. Qui abbiamo scelto di proporre un classico brano di Gioacchino Volpe (1876-1971), uno storico che si occupò di Medioevo, e poi di età contemporanea, attraversando diverse prospettive ideologiche che lo videro aderire al nazionalismo durante la Prima guerra mondiale, poi al fascismo, sempre però mantenendo un interesse primario per la storia economicosociale e per le vicende dei ceti inferiori della società. Trattando il tema dell’emigrazione, Volpe lamenta la distanza tra popolo e governanti, presentando il dramma dell’emigrazione addirittura come un secondo «moto di indipendenza» nazionale, non più borghese come quello risorgimentale (i borghesi avevano ormai trovato il loro paese nella nuova Italia unita) bensì popolare: indipendenza dai padroni, dalla povertà, da uno Stato assente. Considerazioni nelle quali sembrano riecheggiare le amare riflessioni del comunista Antonio Gramsci sul Risorgimento italiano come «mancata rivo-

luzione agraria». La storia di Gioacchino Volpe è una storia non di individui ma di popolo, di “masse”. Muovendo da un’ottica nazionalista, egli sottolinea la perdita che l’emigrazione significò per la “nazione” Italia in termini non solo sociali ed economici ma anche strettamente demografici. Piero Bevilacqua (1945), autore del secondo brano qui proposto, è uno storico di origine calabrese molto attento alla storia del Meridione. La storia dell’emigrazione italiana si inserisce tuttavia per lui in un più ampio contesto europeo, sofferente, negli ultimi decenni del XIX secolo, di una crisi agricola provocata dalla concorrenza russa e americana. Bevilacqua sottolinea un paradosso: le cause trainanti di questa crisi agricola, ovvero i nuovi formidabili mezzi di trasporto (navi a vapore, ferrovie) che consentivano di convogliare rapidamente in Europa i prodotti di regioni lontane, al tempo stesso consentirono ai contadini europei di emigrare rapidamente altrove in cerca di miglior fortuna. Pur senza dimenticare «le lacrime e il sangue» che lo sradicamento dai propri paesi costò a milioni di persone, Bevilacqua ricorda anche gli aspetti positivi del fenomeno migratorio, che per tanti contadini del Sud significò la possibilità di liberarsi – finalmente – dell’oppressione padronale e di condizioni di vita e di lavoro insopportabili (si noterà, in questo senso, una certa analogia con

le considerazioni di Volpe richiamate sopra). Al tempo stesso, la rarefazione della manodopera consentì a quanti restavano di strappare migliori salari. Altri effetti positivi dell’emigrazione furono la diffusione dell’alfabetizzazione (perché i contadini che miravano a espatriare dovevano necessariamente imparare a leggere e a scrivere), la maggiore disponibilità di denaro determinata dalle rimesse degli emigrati e non da ultimo, sul piano culturale, la diffusione, per opera degli stessi emigrati quando ritornavano ai paesi d’origine, di orizzonti mentali più ampi e di nuovi modi di vita, di alimentazione, di abbigliamento. Come anche altri hanno osservato (per esempio Paola Corti nel saggio Emigrazione e consuetudini alimentari, apparso in Annali della Storia d’Italia Einaudi, 13, L’alimentazione, Torino 1998, pp. 681-719), fu grazie all’importazione delle abitudini apprese dagli emigrati all’estero che molti contadini italiani impararono a mangiare meglio e di più. Agli inizi del Novecento, il segretario della Lega dei contadini di Paola, in Calabria, dichiarava: «Prima dell’emigrazione i contadini si cibavano di erbe, di cipolle, e di pane di granone; adesso essi vogliono il vino, la minestra calda, il pane di grano, e ogni tanto la carne. Coloro che emigrano per l’America ritornano molto migliori, non si riconoscono più; vanno via dei bruti e tornano uomini civili, anche nella salute».

di rappresentare il lato “umano” della storia. Anche il brano di Piero Bevilacqua, tratto da un’opera del 1993 (Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi) è scritto con grande partecipazio-

ne emotiva. In entrambi i casi si tratta di una storia dal taglio schiettamente “sociale”, che appare particolarmente forte nella tradizione storiografica italiana, sia di destra sia di sinistra.

I testi Il brano di Gioacchino Volpe è tratto dal volume L’Italia in cammino, pubblicato la prima volta nel 1927. L’emigrazione dei contadini italiani vi è descritta con grande efficacia anche letteraria, con la volontà

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Modulo 1 L’Italia tra Ottocento e Novecento

L’emigrazione come “moto di indipendenza popolare” Gioacchino Volpe

Tutto il XIX secolo, gli Italiani avevano emigrato: ma solo i figli della borghesia e aristocrazia liberale […] Ora invece, è essenzialmente emigrazione proletaria, laddove la borghesia si è fatta una patria e ha subito trovato in essa un modesto ma libero e sicuro campo d’impiego […]. Precedono le provincie padane, più in contatto con l’Europa; e la Liguria, donde la crisi della marina a vela spinse molta gente verso l’America, già da tempo meta di commercianti e di navigatori liguri, divenuta quasi la seconda patria di Garibaldi, ligure anche lui. […] L’Italia centrale, terra di mezzadri, poco fu tocca. Viceversa, si mobilitò il Sud. […] Le zone malariche diedero il primo esempio, in grande stile: seguirono le altre. Agevolavano e stimolavano l’esodo la stessa apertura di nuove strade; i richiami d’oltre monti e d’oltre Oceano, per i grandi lavori agricoli, edilizi, ferroviari, minerari; la propaganda delle compagnie di navigazione e i bassi noli marittimi. Inizialmente, più numerosa la emigrazione continentale e mediterranea; poi, sempre più la oceanica. Una specie di nuovo moto di indipendenza: solo che, ora, di proletari e contro un nemico che era un po’ il governo, un po’ altre classi, un po’ la comune miseria. Era scemata nelle plebi la tolleranza del duro giogo padronale; e, ancor più, si era trovato un altro mezzo per sottrarsi a esso, che non fosse la sterile rivolta dei secoli precedenti o il brigantaggio. […] I Meridionali prendono in genere la via del mare: Tunisia o America. I Settentrionali più volentieri valicano le Alpi. Quelli, agricoltori, sterratori, manovali, piccoli com-

mercianti; questi, addetti alle miniere di ferro, alle vetrerie, alla edilizia ecc. Emigrazione prevalentemente temporanea o periodica, gli ultimi; permanente o per lunghi periodi, l’altra. Ma pochissimi sono quelli che non partono con la intenzione del ritorno […]. Il mondo si venne, in tal modo, popolando di Italiani, a piccoli gruppi o a grandi masse, come se ne formarono a Buenos Aires, a Montevideo, a San Paolo del Brasile; a New York e a Chicago; a Marsiglia, a Parigi, a Tunisi, nelle zone minerarie della Lorena e del Lussemburgo. Costruivano la ferrovia transiberiana e mietevano il grano nell’Argentina, spesso le stesse persone, da un anno all’altro, con meravigliosa adattabilità. Dissodavano e mettevan a vigneto la Tunisia, tagliavano la foresta brasiliana per piantarvi il caffè, fornivan di pesce il mercato di Marsiglia, facevano da arrotini e lustrascarpe per le vie di New York. […] Erano […] la forza bruta, il lavoro squalificato e a buon mercato che consentiva lavori meno pesanti e più alti salari alle aristocrazie operaie di Francia, Germania, Nord America: pari, in questo, a negri e cinesi, di cui, un poco, avevano preso il posto e a cui erano facilmente equiparati. Li ricercava in genere l’imprenditore; ma li odiava spesso il lavoratore locale, come un ostacolo alla lotta con i padroni […] È una storia di energia e di tristezza, questa emigrazione italiana e specialmente meridionale. G. Volpe, L’Italia in cammino, Roma-Bari 1991, pp. 64-67, 151-53

L’emigrazione come conquista di libertà Piero Bevilacqua

Gli anni ottanta dell’Ottocento segnano la fine […] di una grande e perniciosa illusione: quella di fare dell’agricoltura la leva dello sviluppo nazionale. Si apriva infatti allora una fase di grave depressione dei prezzi agricoli, provocata dall’arrivo [in Europa] dei grani russi e americani […]. Tuttavia, gli stessi mezzi che in quella fase avevano reso possibile la crisi – vale a dire le grandi e veloci navi transatlantiche, lo sviluppo in genere della navigazione a vapore e delle ferrovie – inauguravano al tempo stesso una nuova era di mobilità per gli uomini. Sicché, di fronte alle crescenti difficoltà che i contadini e i braccianti incontravano nelle campagne, […] prese avvio, silenziosamente, l’emigrazione transoceanica. Furono dapprima i contadini del Nord d’Italia a emigrare, veneti in primo luogo, e furono la maggioranza sino alla fine del secolo, diretti prevalentemente nelle

regioni agricole del Sud America. Essi facevano parte di quella sterminata massa di uomini e donne che dall’Irlanda e dall’Inghilterra, dalla Polonia e dalla Germania, dalle campagne del Vecchio continente muovevano in cerca di fortuna verso le terre del Nuovo Mondo. I contadini meridionali cominciarono a emigrare intorno agli anni ottanta dell’Ottocento […] Gruppi e famiglie, e talora interi quartieri di piccoli e grandi paesi, attraverso le ‘catene’ dei richiami, lasciavano progressivamente le proprie case in Calabria o in Sicilia, e raggiungevano New York o Filadelfia, per trovare lavoro nella costruzione di strade, nelle miniere, nel piccolo commercio al minuto. È stato calcolato che fra il 1876 e il 1914 ben oltre 5.400.000 persone lasciarono il Mezzogiorno […] Un autentico terremoto demografico investì dunque le campagne meridionali come mai era avvenuto

La discussione storiografica Effetti economici e culturali dell’emigrazione italiana

prima e diede origine a fenomeni di trasformazione sociale che mai si erano affacciati su quelle terre. […] [La più grande trasformazione fu] la rottura del dominio dei proprietari terrieri. […] Per i contadini, di fronte ai bassi salari, ai soprusi, al comando assoluto, alla soggezione personale nei confronti degli antichi padroni, la possibilità di andarsene via, di emigrare, costituiva una grande conquista di libertà. Essi potevano fare ciò che per decenni e per secoli gli era stato assolutamente negato: dire no e cercare altro lavoro, altrove. La sempre più estesa rarefazione di manodopera giovane nelle campagne fece subito lievitare i salari: e gli uomini, le donne, gli anziani, i ragazzi che non partivano, poterono finalmente contrattare alla pari la ricompensa per le prestazioni […] D’altro canto, l’emigrazione agiva sulle realtà meridionali con tanti altri effetti diretti e indiretti. La necessità di saper leggere e scrivere per chi voleva entrare negli Usa costituì una leva straordinaria per limitare l’antica piaga dell’analfabetismo. […] Peraltro, erano gli stessi emigranti che ritornavano periodicamente, e talvolta definitivamente, col loro consistente gruzzolo di risparmi, a introdurre elementi di novità nelle vecchie società rurali, grazie alle diverse abitudini alimentari, al modo di vestire, alla spregiu-

dicatezza e autonomia del comportamento, alla ricchezza di esperienze di vita e di informazioni che facevano circolare nell’ambiente d’origine. […] Ma di sicuro uno degli elementi più straordinari di novità […] fu l’afflusso e la circolazione senza precedenti di danaro. Le rimesse degli emigrati, spedite in semplici lettere, con vaglia postali, attraverso gli uffici del Banco di Napoli, divennero ben presto un fiume di moneta sonante che entrò nelle case della gente più misera […]. Per avere un’idea di che cosa l’emigrazione significò in termini di formazione del risparmio […] si può ricordare […] che la media di risparmio per abitante – sulla base dei depositi presso le Casse di risparmio ordinarie e postali – era in una regione come la Calabria, nel 1872, di sole 0,16 lire, mentre nel 1913, attraverso una costante ascesa, aveva raggiunto le 89,49 lire. […] Noi non consideriamo qui naturalmente le lacrime e il sangue, l’immensa e sconosciuta sofferenza umana che l’emigrazione provocò nell’animo di milioni di uomini e donne, nel seno di famiglie lacerate, sradicate dai propri paesi e dalle proprie culture. P. Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi, Roma 1993, pp. 59-62

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Modulo 2

La Grande guerra e la g La Grande Rivoluzione erussa la Rivoluz

russa Capitolo 4

La Prima guerra mondiale Dal 1914 al 1918 l’Europa visse uno dei periodi più drammatici della sua storia: una tremenda guerra coinvolse la maggior parte degli Stati, la più grave che mai avesse investito il continente, con milioni di morti e feriti e una trasformazione profonda della geografia politica del continente. Questo conflitto è stato definito dagli storici “Grande guerra” o “Prima guerra mondiale”.

Capitolo 5

La fine della guerra. L’Europa ridisegnata La Grande guerra terminò nel 1918 con la sconfitta della Germania e dell’Austria. Ma l’intera Europa uscì dal conflitto sconvolta, devastata, seminata di lutti e di rovine. In termini di vite umane e di risorse economiche si trattò di un colpo gravissimo, che nei decenni successivi avrebbe messo in discussione il primato europeo su scala mondiale. La Conferenza per la pace che si tenne a Parigi (1919-20) ridisegnò totalmente la mappa geopolitica del continente, disgregando l’Impero austro-ungarico e l’Impero ottomano e dando vita a nuovi Stati nell’area dei Balcani e nell’area del Baltico.

guerra zione Capitolo 6

La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS

Nel 1917, mentre per il quarto anno l’Europa era sconvolta dalla guerra, in Russia maturò una rivoluzione di ispirazione marxista, la prima del genere avvenuta nella storia. Un fatto importante non solo per la storia della Russia, che in seguito a quell’avvenimento cambiò radicalmente la sua organizzazione politica, economica e sociale, ma per l’intera storia del mondo, che ne fu profondamente e lungamente influenzata.

Capitolo 7

La crisi degli imperi coloniali Nei decenni successivi alla Grande guerra le potenze europee, indebolite economicamente e militarmente, perdettero la loro egemonia mondiale e la possibilità di controllare i loro imperi coloniali. Si svilupparono pertanto, in tutto il mondo ma soprattutto nei paesi asiatici (solo più tardi in Africa), tendenze anti-colonialiste sostenute da movimenti indipendentisti di varia natura. A ciò contribuì anche il diffondersi delle idee sull’autodeterminazione dei popoli, sostenute dal presidente americano Wilson. Del tutto particolari furono gli sviluppi dell’America Latina, formalmente libera ma soggetta a una crescente dipendenza politica ed economica dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Capitolo 8

Il declino europeo e il primato americano La guerra che aveva insanguinato l’Europa per quattro lunghi anni fu all’origine di profondi sconvolgimenti economici, politici e sociali, sia tra i popoli vinti ma tra i vincitori. Un solo paese non aveva subìto danni dal conflitto bellico: gli Stati Uniti. Questa fondamentale diversità di situazioni condizionò in maniera decisiva le vicende che caratterizzarono gli anni dell’immediato dopoguerra al di qua e al di là dall’Oceano.

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

4 La Prima guerra

Capitolo

46

mondiale

Percorso breve Dal 1914 al 1918 gli Stati europei furono coinvolti in un conflitto generale che provocò milioni di morti e feriti e immense distruzioni. Questo conflitto, detto “Grande guerra” o “Prima guerra mondiale”, fu dovuto a varie cause tra cui, soprattutto, le tensioni tra Inghilterra e Germania per il primato industriale e coloniale, e le tensioni nella penisola balcanica soggetta all’Impero ottomano, dove si erano diffuse aspirazioni indipendentiste e dove si concentravano le mire di espansione degli imperi d’Austria e di Russia. Da questo intreccio di interessi presero vita diversi patti di alleanza, che univano da un lato Germania, Austria-Ungheria e Italia (Triplice Alleanza), dall’altro Francia, Gran Bretagna e Russia (Triplice Intesa). La scintilla che mise in moto il sistema delle alleanze fu l’assassinio a Sarajevo (28 giugno 1914) dell’erede al trono d’Austria. L’Austria accusò e attaccò la Serbia, a protezione della quale si schierò la Russia; la Germania appoggiò l’Austria, la Francia la Russia. L’esercito tedesco invase la Francia suscitando preoccupazione nella Gran Bretagna che a sua volta dichiarò guerra alla Germania. Nel giro di pochi mesi il continente diventò un teatro di guerra. Quando i tedeschi furono fermati nella loro avanzata su suolo francese (battaglie della Marna e di Verdun) la guerra di movimento si trasformò in guerra di trincea: centinaia di chilometri di fossati con gli eserciti appostati l’uno di fronte all’altro a spararsi addosso con le mitragliatrici. Intanto altri paesi entrarono in guerra; Impero ottomano e Bulgaria con Austria e Germania; Portogallo, Romania e Giappone con l’Intesa. In Italia si svolse un acceso dibattito fra neutralisti e interventisti (che sostenevano la necessità di entrare in guerra, però contro l’Austria, per completare l’azione del Risorgimento). Questa seconda linea prevalse e l’esercito italiano, comandato da Luigi Cadorna, attaccò l’Austria il 24 maggio 1915. L’esercito avanzò lungo l’Isonzo e sul Carso con gravi perdite, e nel 1916 gli austriaci presero a loro volta l’iniziativa. Intanto sul fronte francese si combattevano battaglie tremende sul fiume Somme. I tede-

Achille Beltrame, L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie, 1914 [da «La Domenica del Corriere», 5 luglio 1914]

schi inoltre circondarono le acque inglesi di sottomarini, per impedire i rifornimenti alimentari. Nuovi strumenti di guerra (armi chimiche, lanciafiamme, carri armati, aerei, sottomarini, radiotelegrafi) furono messi a punto in quegli anni, mentre le industrie europee erano totalmente mobilitate sotto il diretto controllo dello Stato. Tra la popolazione civile e negli eserciti si diffuse una crescente stanchezza. Papa Benedetto XV parlò della guerra come di una «inutile strage».

Capitolo 4 La Prima guerra mondiale

47

4.1 Contrasti e alleanze tra le potenze europee Tensioni tra Inghilterra e Germania Nei primi decenni del Novecento le relazioni tra gli Stati europei erano contrassegnate da gravi tensioni politiche e contrasti economici. Ciò riguardava in particolare i rapporti tra l’Inghilterra e la Germania. L’Inghilterra a quell’epoca era la maggiore potenza del mondo, per lo straordinario sviluppo industriale e per l’efficienza della sua organizzazione commerciale e finanziaria. Il suo impero coloniale abbracciava tutti i continenti, una grande flotta garantiva i collegamenti su scala mondiale. In concorrenza con il primato inglese si era messa la Germania, che stava attraversando un periodo di grande sviluppo industriale e mercantile. Anch’essa si era assicurata un impero coloniale di notevole ampiezza, pur se non paragonabile a quello britannico. In Africa possedeva il Togo, il Camerun e l’Africa Orientale tedesca, in Estremo Oriente alcuni territori della Nuova Guinea e dell’Oceania. In Cina aveva ottenuto una concessione, e nel Medio Oriente, mediante accordi con il governo turco, aveva avviato la costruzione di una ferrovia che avrebbe dovuto congiungere Amburgo a Baghdad per poi arrivare al Golfo Persico. La questione d’Oriente Altri pericolosi contrasti esistevano nella penisola balcanica. Questa regione era popolata da stirpi diverse (sloveni, croati, albanesi, serbi, greci...) assoggettate dai turchi nel XV secolo e da loro inglobate nell’Impero ottomano. La crescente debolezza dell’Impero stimolava fra questi popoli l’aspirazione all’indipendenza, che era però minacciata dalle mire espansionistiche delle due potenze confinanti, l’Impero austro-ungarico e la Russia. Tale situazione, nota con il nome di “questione d’Oriente” [ vol. 2, 33.2], alimentava pericolose tensioni e metteva a rischio la pace nell’intera zona. Alleanze e corsa agli armamenti Da questo intreccio di interessi e di contrasti, anglotedeschi da un lato, balcanici dall’altro, ebbero origine tra gli Stati europei due patti di alleanza a carattere difensivo: la Triplice Alleanza, costituita tra il 1870 e il 1882, 60 che univa insieme Germania, Austria-Ungheria e 50 Italia [ 2.1]; la Triplice Intesa, costituita nel 1907 60 tra Francia, Gran Bretagna e Russia. 40 50 Agli accordi diplomatici % 30 e militari si accompagnò una politica di armamenti di ampiezza 40 20 eccezionale. Il riarmo fu praticato da tutti gli Stati, % 30 ma soprattutto dalla Germania di re Guglielmo II 10 (1888-1919). Particolarmente delicati si fecero 20 i rapporti anglo-tedeschi0 quando Guglielmo II 10 1910 1913 fece costruire una nuova flotta,1890 iniziativa 1900 che dal 1906 0 punto di vista della Gran Bretagna, gelosa del 1890 1900 1906 suo primato marittimo, alterava pericolosamente l’equilibrio di forze tra le potenze.

4.2 Alla vigilia della Grande guerra Le crisi marocchine I due blocchi di potenze si fronteggiavano in un contesto internazionale sempre più teso. Fin dal primo decennio del secolo, pericolosi momenti di frizione si verificarono in Marocco e nell’area balcanica. Il Marocco era uno degli ultimi Stati rimasti indipendenti in terra d’Africa ed era da tempo considerato come ulteriore sbocco coloniale della Francia, sostenuta dall’Inghilterra. A ciò si opponeva la Germania e per due volte, nel 1905 e nel 1911, il contrasto franco-tedesco sembrò far scattare il sistema delle alleanze e portare gli europei alla guerra. Ma in entrambi i casi le armi della diplomazia ebbero la meglio, come fino ad allora era sempre accaduto nel caso di controversie coloniali: la Francia riuscì a far

Memo

Impero ottomano Nel XIV secolo i turchi ottomani, partendo dall’Anatolia (nell’attuale Turchia), si espansero nel Mediterraneo orientale avanzando verso i Balcani e la Grecia. Nel 1453 conquistarono Costantinopoli mettendo fine all’Impero romano d’Oriente; tra il XVI e il XVII secolo estesero il loro controllo sulle coste settentrionali dell’Africa e mirarono al cuore dell’Europa, occupando l’Ungheria e assediando Vienna. Per lungo tempo gli ottomani dominarono sui traffici nel Mediterraneo, nonostante i contrasti con le altre potenze marittime, ma nel Settecento il declino dell’impero era già avviato, provocato dalle aspirazioni autonomistiche di molti territori posti sotto il suo dominio e dai conflitti con l’Austria e la Russia per il controllo del Mediterraneo e dei Balcani.

1910

1913

Regno Unito Francia Germania Italia Spese militari di Francia, Germania, Italia e Regno Unito in percentuale sul totale dei rispettivi bilanci statali (1890-1913) [dati tratti da P. Flora, State, Economy and Society in Western Europe 1815-1975. A Data Handbook, vol. I, The Growth of Mass Democracies and Welfare States, Campus VerlagMacmillan Press-St. James Press, Frankfurt-London-Chicago 1983, pp. 382, 390, 406, 447]

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa valere le proprie mire, facendosi riconoscere il protettorato sul Marocco; in cambio, la Germania ottenne una piccola parte del Congo francese.

Le guerre balcaniche Nella regione balcanica la crisi fu provocata dall’Impero austro-ungarico, che nel 1908 procedette all’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina, su cui già esercitava una sorta di protettorato stabilito al congresso di Berlino del 1878. La mossa austriaca provocò la reazione della Russia, che offrì protezione alla Serbia, sostenendo la sua aspirazione a costruire un forte Stato che riunisse sotto di sé tutti gli slavi della regione. Il crescente indebolimento dell’Impero ottomano (colpito anche dall’attacco italiano del 1911 3.7) alimentò in quegli anni le aspirazioni autonomistiche degli Stati balcanici (Serbia, Montenegro, Grecia, Bulgaria) che si coalizzarono contro i turchi e si sottrassero al loro dominio combattendo la prima guerra balcanica (1912-13). In quella occasione, il timore dell’Austria e dell’Italia di veder crescere la potenza serba portò alla costituzione di un nuovo Stato, l’Albania, che impediva alla Serbia l’accesso al mare. Una seconda guerra balcanica (giugno-luglio 1913) vide scontrarsi la Bulgaria (appoggiata dall’Austria nel contendere alla Turchia nuovi territori) alla Serbia e alla Grecia, a cui si unirono la Romania e la stessa Turchia. L’esito della guerra, sfavorevole alla Bulgaria, vide raddoppiata l’estensione della Serbia, che restava per l’Austria il principale ostacolo all’allargamento della propria influenza verso sud. In questo clima di tensione, bastava poco per accendere un conflitto di dimensioni più ampie.

La Parola

protettorato Con questo termine, coniato nel XIX secolo, si indica uno Stato che, pur conservando l’indipendenza, è posto sotto la “protezione” di uno Stato più forte, che si impegna a rappresentarne e tutelarne gli interessi in ambito internazionale. Nella maggior parte dei casi questa “protezione” si traduce in una forma di controllo che di fatto mette un paese alle dipendenze di un altro, pur non essendone, formalmente, una colonia.

4.3 L’inizio del conflitto mondiale L’attentato di Sarajevo L’incidente da cui prese avvio la guerra (che poi fu detta “Prima guerra mondiale” o “Grande guerra”) avvenne in una città dei Balcani, Sarajevo, capitale della Bosnia, regione soggetta agli Asburgo. Qui, il 28 giugno 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando (1863-1914), erede al trono d’Austria, cadde ucciso assieme alla moglie Sofia dai colpi di rivoltella di un gruppo di indipendentisti bosniaci provenienti dalla Serbia, dove avevano costruito la loro base. Vienna colse immediatamente l’occasione per colpire la Serbia (così da estendersi nel resto dei Balcani) e le attribuì la

I Balcani nel 1913

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Vignetta satirica francese, 1908 Francesco Giuseppe (a sinistra) si porta via la Bosnia-Erzegovina, mentre Ferdinando (al centro) proclama l’indipendenza della Bulgaria sotto lo sguardo irato di Abdül-Hamid II (imperatore turco).

Capitolo 4 La Prima guerra mondiale

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Blocco degli Imperi centrali Blocco dell’Intesa responsabilità dell’attentato: il 23 luglio inviò al governo di questo paese un minaccioso Stati neutrali e pesantissimo ultimatum, al quale ben presto fece seguire il bombardamento di Bel5.1915 Data di adesione

grado (28 luglio).

Dichiarazioni di guerra L’attaccò austriaco segnò l’inizio del conflitto. In pochi giorni il meccanismo delle alleanze si mise in moto, la guerra si allargò e divenne generale. La prima a mobilitarsi fu la Russia, che scese in guerra in difesa della Serbia contro l’Austria. Seguì immediatamente la Germania che, temendo un accerchiamento nemico, dichiarò guerra prima alla Russia (le cui truppe si stavano posizionando non solo lungo il confine austriaco ma anche su quello tedesco), e subito dopo alla Francia, alleata della Russia nella Triplice Intesa (31 luglio e 2 agosto 1914). Iniziativa tedesca e reazione inglese Il piano di Guglielmo II, detto “piano Schlieffen” dal nome del capo di Stato maggiore Alfred von Schlieffen (1891-1913), era di battere la Francia con una guerra-lampo, invadendola dalla parte del Belgio, dove l’attacco non era previsto, e poi rivolgersi contro la Russia. L’esercito tedesco penetrò attraverso il Belgio senza rispettare la neutralità del paese, ma il conseguente stanziamento dei tedeschi nei territori della Manica allarmò la Gran Bretagna, che a sua volta dichiarò guerra alla Germania (4 agosto 1914). Da guerra di movimento... Nei primi mesi del conflitto, la “guerra di movimento” auspicata da Guglielmo II sembrò realizzarsi. Mentre gli austriaci invadevano la Serbia, le armate tedesche, oltrepassato il Belgio, avanzarono rapidamente verso Parigi, ma, sul fiume Marna, furono fermate dalla tenace resistenza francese nel corso di un’accanita battaglia, che costò la vita a centinaia di migliaia di persone. I tedeschi ripiegarono su una linea più arretrata, lungo i fiumi Aisne e Somme, e da quel momento la progettata guerra-lampo, che secondo i comandi tedeschi avrebbe dovuto far finire il conflitto in sei settimane, si arrestò e si trasformò in una micidiale guerra di posizione.

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Le adesioni alla guerra

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49 MARE DEL NORD

Blocco degli Imperi centrali Blocco dell’Intesa Stati neutrali 5.1915 Data di adesione

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa Postazione di truppe francesi in una trincea nella zona della Marna, XX sec. [Musée des Deux Guerres Mondiales, Parigi]

In questo dipinto sono ben rappresentate le trincee che furono scavate dai francesi nei pressi del fiume Marna e che fermarono l’avanzata tedesca nell’agosto 1914. I soldati attendono il momento opportuno per attaccare la linea nemica con i loro fucili provvisti di lunga baionetta. Nella Grande guerra il numero di morti fu enorme e molti arrivarono a combattere corpo a corpo per compiere le missioni affidate o salvare le proprie vite.

…a guerra di trincea Una quantità impressionante di trincee furono costruite, su un fronte lungo 750 km, e dentro di esse gli uomini degli opposti eserciti ristagnarono in un’estenuante lotta di logoramento. «Il 14 settembre [1914] i tedeschi raggiunsero il fiume Aisne – scrive lo storico Alan J. Taylor (1906-1990) –; erano esausti, incapaci di marciare ancora; scavarono trincee e vi piazzarono le mitragliatrici. Con loro grande sorpresa videro gli avversari esitare, poi fermarsi. Un solo soldato capace di usare la mitragliatrice, protetto da un mucchio di terriccio, bastava da solo a fermare una divisione. Era cominciata la guerra di trincea; quella di movimento era finita nel preciso istante in cui un soldato aveva pensato di

Aa Documenti Italia in guerra? Un acceso dibattito Dopo lo scoppio del conflitto europeo, l’opportunità o meno di coinvolgere l’Italia nella guerra fu oggetto di accesi dibattiti tra interventisti e non interventisti. Per la pace si schierarono la maggior parte

dei socialisti e dei cattolici, e molti liberali tra cui Giovanni Giolitti. Ma anche la guerra fu invocata da più parti, con toni spesso esaltati e deliranti; né mancò chi vide nel «caldo bagno di sangue» un benefico stru-

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mento per risanare le forze della nazione e rinsaldarne la coesione. Si leggano le seguenti testimonianze, tratte da discorsi e proclami dei mesi immediatamente precedenti l’entrata in guerra dell’Italia.

oi socialisti riconosciamo in questa conflagrazione europea l’ovvia conseguenza di quei movimenti di colonialismo e di militarismo che il nostro partito ha combattuto in tutti i parlamenti. Ecco perché noi siamo contro questa conflagrazione e sentiamo di non dovervi partecipare.

Noi cattolici siamo per la neutralità e crediamo sia un delitto contro la Patria quello di gonfiare la portata dei nostri interessi lesi, al solo scopo di spingere il paese in avventure da cui non potrebbe ritrarre che sventure nuove e nuove rovine.

Claudio Treves (esponente socialista)

Compagni, non è più tempo di parlare, ma di fare. Se l’incitare alla violenza i cittadini è considerato come crimine, io mi vanterò di questo crimine. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda.

Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. Io cammino! E riprendendo la marcia – dopo la sosta che fu breve – è a voi, giovani d’Italia, che io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie. Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali, e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra! Benito Mussolini (espulso dal Partito socialista per le sue idee interventiste)

«L’Osservatore romano» (quotidiano della curia pontificia)

Gabriele D’Annunzio (poeta nazionalista)

Io non considero la guerra come una fortuna, come i nazionalisti, ma come una disgrazia la quale si deve affrontare quando è necessario per l’onore e per i grandi interessi del paese. Non credo sia lecito portare il paese alla guerra per un sentimentalismo verso altri popoli. Credo, nelle attuali condizioni dell’Europa, potersi ottenere molto senza guerra. Giovanni Giolitti (politico liberale)

Capitolo 4 La Prima guerra mondiale ripararsi scavando una fossa. Le linee opposte si congelarono, divennero solide. I generali le guardavano, impotenti e stupefatti. Continuarono a guardarle per quattro anni».

Altri paesi coinvolti Nell’Europa centro-orientale le truppe russe si scontrarono più volte con gli austro-tedeschi, in combattimenti dagli esiti alterni, mentre sul finire del 1914 entrarono in guerra anche la Turchia e la Bulgaria a fianco degli Imperi centrali (Germania e AustriaUngheria), il Portogallo e la Romania a fianco dell’Intesa (Francia, Russia, Gran Bretagna). A questa si unì il lontano Giappone, interessato a occupare le colonie tedesche in Asia.

4.4 L’Italia tra neutralità e interventismo L’Italia contraria alla guerra Il governo italiano, sebbene vincolato da un patto di alleanza con l’Austria e la Germania, allo scoppio del conflitto si dichiarò neutrale. Sul piano giuridico, tale atteggiamento era giustificato dal fatto che l’alleanza aveva un carattere difensivo, cioè i contraenti erano tenuti ad aiutarsi qualora fossero stati aggrediti: nel caso in questione l’Austria era l’aggressore, non l’aggredito. Ma vi erano anche altri motivi: in primo luogo, l’Italia era del tutto impreparata sul piano economico e militare ad affrontare un conflitto di quelle proporzioni; inoltre, la posizione di neutralità – tenuta anche da altri paesi europei – corrispondeva ai sentimenti della maggioranza del paese. In quel senso si era pronunciata gran parte dell’opinione pubblica, in particolare i socialisti e i cattolici, che motivavano tale scelta con ragioni di principio, ideologiche e religiose. Anche la maggioranza parlamentare, con a capo Giolitti, si era dichiarata contraria alla guerra. L’Italia favorevole alla guerra Favorevoli all’intervento erano invece uomini e gruppi di diversa tendenza, minoranze che vedevano nella guerra – da combattere però a fianco dell’Intesa e contro l’Austria – un’occasione per completare l’opera del Risorgimento nazionale aggregando all’Italia le terre con popolazione italiana anco-

Ci voleva un caldo bagno di sangue dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiata di sangue per l’arsura dell’agosto. La guerra è un’operazione risanatrice. La guerra fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano solo perché erano nati. E il fuoco dei mortai farà piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici saranno rifatti nuovi e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli. Amiamo dunque la guerra e assaporiamola da buongustai finché dura. Giovanni Papini (scrittore, esponente di punta del nazionalismo)

Il re, dal Quirinale, annuncia l’entrata in guerra dell’Italia, 1915 [da «La Domenica del Corriere», Num. 22, maggio-giugno 1915]

In questa copertina de «La Domenica del Corriere» il re, Vittorio Emanuele III, annuncia agli italiani l’entrata in guerra.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa ra dipendenti da Vienna. Una aggressiva propaganda interventista fu compiuta da un gruppo di socialisti guidati da Benito Mussolini (1883-1945), direttore dell’«Avanti!», il giornale del partito, da cui fu allontanato per la sua posizione bellicista.

Il patto di Londra e le aspirazioni imperialistiche Nonostante la scelta iniziale della neutralità, nei primi mesi del 1915 il governo presieduto dal liberale Antonio Salandra (1914-16), nominato Primo ministro al posto e con il consenso di Giolitti, si accordò segretamente con le potenze dell’Intesa impegnandosi a fare entrare in guerra l’Italia a fianco della Francia e della Gran Bretagna. In cambio (patto di Londra, 26 aprile 1915) furono promessi all’Italia, in caso di vittoria, il Trentino e il Tirolo a sud del Brennero, Trieste, l’Istria e la parte costiera della Dalmazia (esclusa Fiume) con numerose isole adriatiche; infine qualche territorio nell’Africa coloniale tedesca. Francia e Gran Bretagna presero accordi tra loro per la spartizione, in caso di vittoria, dell’Impero ottomano. Con il patto di Londra il governo italiano mostrava di impegnarsi nella guerra con un programma che andava ben al di là delle aspirazioni nazionali e rivelava – nelle ambizioni coloniali e nella volontà di annettersi regioni in cui prevalevano popolazioni di lingua e cultura tedesca e slava – un chiaro orientamento di espansione imperialistica. Il patto, approvato dal re e dagli alti comandi militari, fu tenuto nascosto per due anni sia al Parlamento sia all’opinione pubblica.

Cartolina allegorica dell’amicizia tra Italia e Francia, XX sec. Con la firma del patto di Londra, rimasto segreto per due anni, l’Italia si impegnava a entrare in guerra al fianco di Francia e Gran Bretagna in cambio di vasti territori del Trentino, parte del Tirolo, Trieste, l’Istria e la Dalmazia costiera oltre che di alcuni territori dell’Africa settentrionale.

L’Italia in guerra Il 24 maggio 1915, malgrado l’impreparazione militare e tecnica e l’atteggiamento neutralista della maggior parte del paese, l’Italia entrò in guerra a fianco della Francia e dell’Inghilterra; comandava l’esercito il generale Luigi Cadorna (1914-17).

4.5 Battaglie estenuanti e sanguinose Guerra in montagna Sul fronte italiano i combattimenti si concentrarono lungo il fiume Isonzo e sul Carso, l’estrema regione delle Alpi orientali, particolarmente difficile per le operazioni di attacco delle truppe italiane in quanto la conformazione del terreno dava maggiori possibilità di difesa agli austriaci. Per avanzare in queste zone era necessario affrontare a una a una, dal basso verso l’alto, cime impervie difese dal tiro incrociato delle mitragliatrici e delle artiglierie avversarie, ed espugnare poderose fortificazioni. Durante il 1915 l’iniziativa delle operazioni fu delle truppe italiane, impegnate in continui attacchi lungo l’intera linea del fronte. Numerosi capisaldi avversari furono conquistati, ma a costi enormi. Poche decine di chilometri di scarso valore strategico costarono undici tremende battaglie e un numero elevatissimo di morti. La Strafexpedition Nel maggio-luglio 1916 gli austriaci lanciarono a loro volta un’offensiva, a cui diedero il nome di “spedizione punitiva” (Strafexpedition) perché considerata una punizione per l’Italia, che aveva abbandonato la Triplice Alleanza per passare all’Intesa anglo-francese. Gli austriaci avanzarono nell’altipiano di Asiago ma poi furono respinti da una controffensiva italiana che portò alla conquista di Gorizia. In quei mesi il governo Salandra, travolto da un’ondata di malcontento nell’opinione pubblica, fu costretto alle dimissioni e fu sostituito da un nuovo governo di coalizione presieduto da Paolo Boselli (1916-17). La strage della Somme Intanto sul fronte francese i tedeschi scatenarono un attacco violentissimo contro la fortezza di Verdun, impegnando i soldati francesi in una resistenza che si prolungò per quattro mesi; fermata l’offensiva tedesca, un corpo franco-inglese lanciò un contrattacco sul fiume Somme, una battaglia sanguinosa, la più tremenda carneficina mai vista nella storia, per un’avanzata di appena 8-9 chilometri. «Queste due battaglie – ha scritto lo storico inglese Fisher a proposito degli scontri di Verdun e della Somme – possono essere annoverate tra i maggiori esempi di resistenza umana e tra le più tristi tragedie dell’umanità. Vi perse la vita più di un milione di persone, senza ottenere né da una parte né dall’altra alcun risultato apprezzabile». Mai si erano viste simili carneficine.

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4.6 Mobilitazione totale

Direzione dell’avanzata tedesca, 1914 Limite massimo dell’avanzata tedesca, 1914 Linea della guerra di posizione

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S V I Z Z E R A

Eserciti di massa Il numero di soldati impiegati nelle diverse operazioni di guerra fu enorme: la coscrizione obbligatoria, applicata in quegli anni in tutti i paesi (ultima fu l’Inghilterra nel 1916),dell’avanzata consentì di costituire Direzione tedesca, 1914 eserciti di proporzioni mai viste, con la possibilità, offerta dai massimo nuovi mezzi di trasporto – treni soprattutto –, di portarli a destiLimite dell’avanzata tedesca, 1914 Lineaassai della guerra di posizione nazione con rapidità maggiore che in passato. La guerra però, pur svolgendosi essenzialmente sulla terraferma, fu combattuta anche via mare: la Gran Bretagna, dotata di una formidabile Marina militare, impiegò la sua flotta nel tentativo di bloccare l’arrivo di rifornimenti alle truppe tedesche e austriache; a questa azione i tedeschi opposero la nuova micidiale arma dei sottomarini, utilizzati, soprattutto nel Mare del Nord, per colpire le navi nemiche. La forza degli eserciti era, dunque, grandemente accresciuta dalle innovazioni in campo tecnologico e industriale. Tutti gli sforzi dell’economia europea erano orientati a scopi militari. L’industria bellica Mentre i soldati morivano al fronte, le industrie europee erano mobilitate per la produzione di armi: cannoni, fucili, mitragliatrici (le vere protagoniste della guerra di trincea). La ricerca scientifica e tecnologica era impegnata nella creazione di nuove armi sempre più potenti: armi chimiche (gas velenosi impiegati la prima volta nel 1915 dai tedeschi, poi dagli altri eserciti); lanciafiamme (usati dai tedeschi all’assedio di Verdun); carri armati (sperimentati la prima volta dagli inglesi nella battaglia della Somme); aerei (usati tuttavia solo in modo saltuario); sottomarini (messi a punto soprattutto dai tedeschi); inoltre i radiotelegrafi per le comunicazioni. Si trattò veramente di una mobilitazione totale, che coinvolgeva tutte le energie dell’Europa industriale. Mentre gli uomini partivano per il fronte, le donne erano reclutate per lavorare nelle fabbriche (le officine Krupp a Essen in Germania, le officine Ansaldo a Genova, ecc.) a produrre armi e proiettili.

Manifesto che incoraggia le donne a lavorare nelle fabbriche di munizioni, 1915 L’industria bellica necessitava di manodopera per poter sostenere i militari e poiché la maggior parte degli uomini era arruolata, toccava alle donne lavorare nelle fabbriche.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa Economie di guerra e regimi militari Ormai lo Stato controllava direttamente l’economia di ogni singolo paese, pianificando risorse, produzione, commesse in funzione dello sforzo bellico. L’epoca dell’economia liberale pareva definitivamente tramontata e il peso dell’intervento statale rafforzava ovunque il potere esecutivo, dando origine a vere e proprie forme di dittatura militare. In Germania, il potere era concentrato nelle mani di Paul von Hindenburg (1916-18), capo di Stato maggiore, e del suo più diretto collaboratore Erich Ludendorff (1914-18). In Francia, Georges Clemenceau (1917-20) coordinava un governo di guerra a cui praticamente erano delegati tutti i poteri. Perfino nella liberalissima Inghilterra era il “gabinetto di guerra” di David Lloyd George (1916-22) a gestire l’intera vita dello Stato.

Soldati tedeschi e cani, in trincea, con la maschera antigas

I luoghi della storia

[Civico Museo del Risorgimento, Milano]

Vivere e combattere in trincea

La Prima guerra mondiale ebbe per grandissima parte il carattere di una guerra di posizione, combattuta da opposte trincee in un angoscioso e snervante immobilismo. Leggiamo tre testimonianze. Le prime due, scritte nel 1916, sono commoventi per l’immediatezza con cui descrivono la

S

Giovanni Greppi, A me resistere A tutti sottoscrivere, 1917 ca.

tragedia degli uomini coinvolti in questa incomprensibile guerra, che tuttavia affrontano con forza e dignità. La prima è di un combattente francese, lo scrittore Henri Barbousse (1873-1935), che racconta la vita in trincea sul fronte franco-tedesco. La seconda è di un ufficiale italiano, il te-

iamo pronti. Gli uomini sono schierati, sempre in silenzio, appoggiati con una statuaria immobilità ai loro fucili. Io guardo i loro volti contratti, pallidi, gravi. Non sono soldati: sono uomini. Non sono degli avventurieri, né dei guerrieri fatti per il macello. Sono lavoratori e operai, che si riconoscono sotto le uniformi. Sono civili sradicati. E sono pronti. Essi attendono il segnale della morte e della carneficina: ma si vede, osservando i loro volti illuminati dai gelidi metallici riflessi delle baionette, che non sono eroi di un altro mondo votati al sacrificio estremo, bensì semplicemente degli uomini. Ognuno sa che offrirà la propria testa, il proprio petto, il proprio ventre, l’intero proprio corpo ai fucili già puntati, alle granate, alle bombe, ma soprattutto alla metodica e quasi infallibile mitragliatrice, prima di trovare altri sol-

nente Angelo Cempodonico, che in una lettera descrive la vita di trincea sul fronte italo-austriaco. Cempodonico sarebbe poi caduto sul campo di battaglia. L’ultima testimonianza è una poesia, Soldati (1918), di Giuseppe Ungaretti (1888-1970), che partecipò alla guerra come volontario.

dati che dovrà uccidere. Essi comunque non sono incuranti della propria vita come banditi, né accecati di collera come selvaggi. Malgrado la propaganda, che tende in tutti i modi a condizionarli, non sono eccitati: sono al di sopra di ogni spinta irrazionale, istintiva. Non sono ubriachi, né materialmente, né moralmente. È in piena coscienza che essi si ammassano là per svolgere ancora una volta una specie di folle ruolo, imposto a ogni uomo dalla follia del genere umano. Henri Barbousse

Noi eravamo ancora nelle trincee del monte Sei Busi di fronte a quella maledetta quota 118 che ci era costata tanto sacrificio di sangue nella giornata del 13 agosto. Dopo i feroci

Capitolo 4 La Prima guerra mondiale Il “fronte interno” I cittadini vivevano sotto stretto controllo, le libertà civili erano di fatto sospese. Anche su questo “fronte interno” – come gli storici sono soliti chiamarlo – era importante mobilitare i cittadini nel sostegno alle operazioni di guerra, attraverso una capillare opera di propaganda fatta con l’aiuto di manifesti murali e con la costituzione di comitati di solidarietà con i soldati al fronte. Ma la stanchezza cominciava a farsi pesantemente sentire, fra la popolazione civile così come fra i combattenti.

4.7 Stanchezza della guerra, desiderio di pace Soldati allo stremo Tante sofferenze ed estenuanti fatiche provocarono in tutti i paesi, tra il 1916 e il 1917, un senso generale di stanchezza e di contrarietà alla guerra. I soldati, costretti a vivere semisepolti nelle trincee, nel fango e nella sporcizia, spesso malnutriti, sottoposti a terrificanti e ininterrotti bombardamenti delle artiglierie, erano ridotti ai limiti della resistenza e incominciavano a cedere. Su tutti i fronti si verificarono fughe di soldati che abbandonavano il posto: le diserzioni, gli episodi di ammutinamento e di autolesionismo (per evitare di andare al fronte) diventarono sempre più frequenti, mentre i comandi cercavano di arginarli con misure severissime, processi sommari e fucilazioni. A Soissons, in Francia, si ribellarono interi reparti assieme ai loro ufficiali; episodi simili si verificarono sul fronte italiano nella zona dell’Isonzo, dovuti alla lunga permanenza dei soldati nelle trincee, senza ricambi né riposo. Civili in costante pericolo La stanchezza e il desiderio di porre fine alla guerra si diffusero anche tra la popolazione civile, colpita anch’essa dagli eventi bellici. Le zone prossime al fronte erano estesissime e ovviamente risentivano degli scontri. I profughi si contavano a milioni. Quanti erano emigrati dal proprio paese nei decenni precedenti il conflitto potevano trovarsi nella condizione di “nemici interni” del paese in cui risiedevano. Le minoranze etniche subivano controlli e rappresaglie. La tragedia degli armeni Il caso-limite fu rappresentato dalla tragedia degli armeni, una popolazione di religione cristiana che viveva in una regione del Caucaso divisa

combattimenti nei quali ci eravamo trovati improvvisamente impegnati pochi giorni dopo aver lasciato le ridenti rive del Garda, continuavamo a trascinare le anime tristi per le dolorose perdite, i corpi affranti, le divise sporche, lacere, irriconoscibili fra i sassi del Carso e le buche scavate in quella terra rossastra che pare stemperata col sangue. Abiti e pelle, coperti di quel fango, sembravano di rame. Venti e più giorni di quella vita ci avevano mutato in orsi, sfiniti: eppure si resisteva lì con tenacia, fra i violenti temporali che ogni notte allagavan le trincee e il sole ardente che ci soffocava, durante il giorno, fra i cadaveri insepolti e il colera; e si respingevano i frequenti attacchi nemici, e si cercava, con azioni parziali e con assidui lavori di zappa compiuti sotto le bocche dei fucili avversari, di strappare al nemico qualche altro di quei sassi. Angelo Cempodonico

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Giuseppe Ungaretti

Una trincea francese sulla Somme, 1916

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

I modi della storia

Sulle opposte trincee i soldati fraternizzano

L’umanità dei soldati fu talvolta più forte della crudeltà della guerra e spinse gruppi di combattenti delle opposte trincee a cessare spontaneamente il fuoco e a fra-

ternizzare. Per questi comportamenti i soldati furono condannati a pene varianti da 1 a 20 anni di carcere. Molti episodi di questo genere sono testimoniati dalle

D

alla trincea nemica si era sporto un soldato austriaco chiedendo pane. A questa richiesta il soldato F. U. e il sergente D. T. G. avevano gettato dei pezzi di pane. Poco dopo il soldato nemico si sporse di nuovo e gettò nella nostra trincea un cartoccio contenente tre sigarette. Le due vedette, soldati B. S. e P. D., a quella replicata apparizione non fecero fuoco. La notte fra il 19 e il 20 dicembre un plotone della sesta compagnia del 129° fanteria dava il cambio in una trincea di monte Zebio a un reparto del 130° fanteria. La neve era così abbondante che aveva coperto le feritoie e impediva di far fuoco. Fu proposto di scavare gradinate sulla neve per poter salire sopra le trincee e costruirvi degli appostamenti per i

sentenze dei tribunali militari: si leggano come esempio questi resoconti, datati 12 marzo e 5 maggio 1917.

tiratori. Durante i lavori il caporalmaggiore R. D. ebbe il desiderio di salire col caporale C. M. sopra le nostre trincee, da dove si vedevano gli austriaci scoperti dalla cintola in su che spalavano neve. Gli austriaci rivolsero parole non comprese perché in tedesco, facendo cenni di saluto. Sopraggiunto il soldato M. E., che fu in Germania a lavorare e là ebbe a fidanzarsi, iniziò una conversazione che portò a una specie di intesa reciproca di non molestare i lavori. Di qui uno scambio di cortesie e di saluti specie nell’occasione della festa di Natale, tanto che dalla trincea nemica veniva alzato un gran cartellone con su scritto in tedesco “Buon Natale” e vennero successivamente gettate sigarette che vennero raccolte dal caporale C. M. e ricambiate con pane.

fra l’Impero turco e la Russia. Tra il 1915 e il 1916, durante gli scontri russo-turchi, gli armeni che vivevano nella parte turca furono deportati in massa (per timore che potessero schierarsi con la parte avversa); oltre un milione di essi morirono di fame, di malattie o furono brutalmente sterminati.

Voci di pace socialiste Tutte queste tragedie, che coinvolgevano i soldati e i civili, alimentarono diverse iniziative e propositi di pace. A Zimmerwald e a Kienthal, in Svizzera, si riunirono due congressi dell’Associazione internazionale socialista, nei quali si chiese, a nome dei popoli costretti a subire le atrocità della guerra, un armistizio immediato: «Mai fu nella storia una missione più nobile e più urgente. Non vi sono sforzi e sacrifici troppo grandi per raggiungere questo scopo: la pace fra gli uomini. Operai e operaie, madri e padri, vedove e orfani, feriti e storpiati, a voi tutti vittime della guerra, noi diciamo: al di sopra dei campi di battaglia, al di sopra delle campagne e delle città devastate: Proletari di tutti i paesi, unitevi!». Perfino in Austria, dove era morto l’imperatore Francesco Giuseppe ed era salito al trono Carlo I (1916-18), cominciava a diffondersi l’idea della pace. Voci di pace cattoliche Anche i cattolici fecero sentire la loro voce contro la guerra, mentre il papa Benedetto XV (1914-22) in una nota inviata a tutti i capi degli Stati belligeranti, invocava la fine di «questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno di più, apparisce inutile strage» (un’espressione, «inutile strage», che ebbe particolare risonanza). Proposte di pace furono avanzate anche dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson (1913-21), che si offrì come mediatore. Questi appelli non sortirono alcun esito, tuttavia furono il sintomo di un nuovo orientamento, di un nuovo modo di pensare che andava diffondendosi nell’opinione pubblica in opposizione alla guerra.

Soldati tedeschi rimasti uccisi in una trincea

Capitolo 4 La Prima guerra mondiale

Sintesi

La Prima guerra mondiale

Contrasti e alleanze tra le potenze europee Nei primi decenni del Novecento le relazioni tra gli Stati europei erano tese. Un primo problema era quello dei rapporti tra l’Inghilterra (la maggiore potenza mondiale, con industria e commerci altamente sviluppati e con un enorme impero coloniale) e la Germania, potenza in ascesa. Tesi erano anche i rapporti tra Russia e Austria-Ungheria: entrambi avevano mire sui Balcani (“questione d’Oriente”). In questo contesto furono stabiliti due patti di alleanza – la Triplice Alleanza (Austria-Ungheria, Germania, Italia) e la Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna, Russia). Alla vigilia della Grande guerra Questa tensione tra le potenze europee si registrò soprattutto in Marocco, che la Francia considerava uno sbocco coloniale suscitando l’opposizione della Germania fino alla composizione diplomatica della questione, e nei Balcani, dove, dopo l’annessione della Bosnia-Erzegovina all’Austria emerse la Serbia, sostenuta dalla Russia, che progettò di creare uno Stato che riunisse le popolazioni slave. La Serbia, dopo due guerre balcaniche, acquisì una maggiore ampiezza territoriale e divenne il principale ostacolo all’espansione dell’Austria nei Balcani. L’inizio del conflitto mondiale La scintilla che innescò il conflitto fu l’uccisione a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando, a opera di indipendentisti bosniaci. L’Austria accusò la Serbia e le inviò un ultimatum, finché, alla fine di luglio, Belgrado fu bombardata. Il sistema delle alleanze determinò l’entrata in

guerra di Austria-Ungheria e Germania da una parte, di Francia, Gran Bretagna, Russia e Serbia dall’altra. La Germania attaccò la Francia, tentando una guerra-lampo per poi muoversi verso la Russia (“piano Schlieffen”). L’avanzata tedesca fu bloccata dai francesi sul fiume Marna e da allora la guerra si trasformò in guerra di posizione. Alla fine del 1914 entrarono in guerra anche Turchia e Bulgaria, a sostegno della Triplice Alleanza, e Portogallo, Romania e Giappone, a fianco dell’Intesa. L’Italia tra neutralità e interventismo Allo scoppio della guerra l’Italia si dichiarò neutrale, nonostante l’alleanza con Germania e Austria. Sul piano giuridico ciò era possibile in quanto l’alleanza aveva carattere difensivo e l’Austria aveva attaccato la Serbia, innescando il conflitto. A favore dell’intervento, però contro l’Austria, vi erano coloro che vedevano nella guerra un’occasione per completare il Risorgimento con l’acquisizione delle terre popolate da italiani sotto dominio asburgico. All’inizio del 1915, il nuovo capo del governo Salandra firmò con l’Intesa il patto di Londra con la promessa di acquisizioni territoriali (Trentino, Sudtirolo, Trieste, Istria, coste dalmate e isole adriatiche) e il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra. Battaglie estenuanti e sanguinose I combattimenti sul fronte italiano avvennero lungo i fiumi Isonzo e Carso. Le truppe italiane effettuarono diversi attacchi per conquistare territori avversari, con enormi costi umani e irrilevanti risultati. Tra maggio e luglio 1916 ebbe luogo la controffensiva degli autriaci, la

Strafexpedition (‘spedizione punitiva’), che le vide entrare nell’altopiano di Asiago. La successiva controffensiva italiana portò alla conquista di Gorizia. Sul fronte francese i tedeschi attaccarono la fortezza di Verdun, senza riuscire a sconfiggere i francesi, che contrattaccarono: la battaglia del fiume Somme fu una carneficina senza precedenti. Mobilitazione totale Il numero di soldati utilizzati nella guerra raggiunse proporzioni enormi in vari paesi, grazie alla coscrizione militare obbligatoria. La guerra era combattuta anche via mare: la flotta inglese tentava di impedire i rifornimenti al nemico, mentre i tedeschi fecero uso di una nuova arma: i sottomarini. Le industrie furono mobilitate per produrre armi nuove e sempre più potenti. Anche la popolazione era mobilitata. Lo Stato esercitava un controllo diretto sull’economia, indirizzandola a scopi bellici: l’intervento statale in economia rafforzò i governi costituendo forme di dittatura militare. Stanchezza della guerra, desiderio di pace A partire dal 1916, in tutti i paesi iniziò a diffondersi stanchezza verso la guerra. Ciò coinvolse sia i soldati, con episodi di diserzione, atti di ammutinamento e autolesionismo, sia i civili, con un elevato numero di profughi e difficoltà per le minoranze etniche. Particolarmente drammatico fu il caso degli armeni che vivevano in Turchia, che subirono deportazioni di massa che portarono a oltre un milione di morti. Si verificarono le prime iniziative di pace. Il papa Benedetto XV e il presidente statunitense Wilson si pronunciarono contro la guerra, senza successo.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Nella prima guerra balcanica, gli Stati balcanici si coalizzarono contro i turchi.

V

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d. Prima della guerrra, la Germania era sviluppata a livello industriale, ma non possedeva colonie.

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V

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b. Dopo la battaglia del fiume Marna le truppe tedesche puntarono verso Parigi.

V

F

e. La costituzione dello Stato di Albania fu legata al timore dell’Italia verso la potenza serba.

c. Con la Strafexpedition l’Austria intendeva punire l’Italia per il passaggio all’Intesa.

V

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f. Il piano Schlieffen prevedeva una lunga guerra di posizione.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

g. Per colpire le navi inglesi la Germania utilizzò per la prima volta gli aerei a scopo militare.

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F

h. La battaglia del fiume Somme fu la più grande carneficina mai vista fino a quel momento.

V

F

i. Francesco Ferdinando fu ucciso da indipendentisti bosniaci provenienti dalla Serbia.

V

l. Gran parte degli interventisti italiani erano favorevoli all’intervento a fianco della Triplice Alleanza. m. La neutralità italiana era giustificata dal carattere difensivo della «Triplice Alleanza».

2. Associa ciascuna data all’evento corrispondente. 28/6/1914

ultimatum dell’Austria alla Serbia

23/7/1914

entrata in guerra dell’Italia

F

28/7/1914

la Germania dichiara guerra alla Russia

V

F

31/7/1914

attentato a Francesco Ferdinando

V

F

2/8/1914

patto di Londra

4/8/1914

la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania

26/4/1915

Strafexpedition

24/5/1915

la Germania dichiara guerra alla Francia

maggio 1916

bombardamento di Belgrado

n. La tragedia degli armeni provocò la morte di oltre un milione di persone.

V

F

o. La maggioranza parlamentare di Giolitti si era dichiarata favorevole alla guerra.

V

F

p. Il comandante dell’esercito italiano era Luigi Cadorna.

V

F

q. Il presidente americano Wilson definì la guerra una «inutile strage».

V

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3. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1878

1. 2. 3. 4. 5.

1882

1907

1908

1911

annessione della Bosnia-Erzegovina all’Impero austro-ungarico seconda guerra balcanica attacco italiano alla Libia Triplice Alleanza patto di Londra

1912

6. 7. 8. 9. 10.

1913

1914

1915

congresso di Berlino uccisione dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando Strafexpedition prima guerra balcanica Triplice Intesa

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. annessione • caposaldo • coscrizione • deportazione • diserzione • fortificazione • guerra-lampo • interventismo • neutralità • protettorato • trincea • ultimatum Strategia militare che tende a una rapida distruzione dell’avversario Opera di fortificazione per difendere la fanteria in una guerra di posizione Punto fortificato di uno schieramento difensivo Movimento favorevole alla partecipazione di un paese a un conflitto Reato compiuto dal militare che abbandona il servizio Acquisizione di uno Stato o di un territorio a opera di un altro Stato Pena consistente nell’internamento in campi di lavoro lontani dalla madrepatria Ultima proposta rivolta da uno Stato a un altro con conseguenze in caso di rifiuto Estraneità dichiarata nei confronti di un conflitto internazionale Reclutamento di soldati Forma di tutela politica e militare esercitata da uno Stato verso un altro Stato Allestimento di opere di difesa

1916

Capitolo 4 La Prima guerra mondiale

Analizzare e produrre 5. Leggi il documento “Italia in guerra? Un acceso dibattito” alle pp. 50-51 e rispondi alle seguenti domande.

1. Chi era Claudio Treves? Quale giudizio esprime sulla guerra? 2. Chi era Benito Mussolini? Chi attacca nel documento? A chi si rivolge? Quale posizione assume? 3. Quale è la posizione dei cattolici? In quale quotidiano viene espressa? Quale è il giudizio sulla guerra? 4. Chi era Gabriele d’Annunzio? Quale giudizio esprime sulla guerra?

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali furono gli schieramenti nella Prima guerra mondiale? 2. Quali forze intervennero successivamente nel conflitto? 3. Quali furono le cause profonde del conflitto? In che modo scoppiò la guerra? 4. Quando ebbe luogo la deportazione di massa degli armeni? Quali conseguenze ebbe?

GLI SCHIERAMENTI

LE CAUSE

EPISODI SALIENTI 1914

EPISODI SALIENTI 1915

EPISODI SALIENTI 1916

5. Quale valutazione viene data sulla guerra da Giolitti? Quale proposta viene da lui avanzata? 6. Chi era Giovanni Papini? Quale giudizio esprime sulla guerra? 7. Quando e perché si verificò in Italia il dibattito tra neutralisti e interventisti? 8. In che modo si arrivò all’ingresso dell’Italia in guerra? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “L’entrata in guerra dell’Italia: neutralisti e interventisti”.

5. Quali furono gli episodi salienti del conflitto nel corso del 1914? 6. Quali furono gli episodi salienti del conflitto nel corso del 1915? 7. Quali furono gli episodi salienti del conflitto nel corso del 1916? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

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7. Verso il saggio breve Leggi il documento “Vivere e combattere in trincea” alle pp. 54-55 e rispondi alle seguenti domande.

Leggi il documento “Sulle opposte trincee i soldati fraternizzano” a p. 56 e rispondi alle seguenti domande.

1. In che modo si arrivò alla guerra di posizione? Perché furono costruite le trincee? 2. Che cosa contiene il primo documento? Chi lo ha scritto? Quali aspetti della vita di trincea sono evidenziati? Quale caratteristica è messa in primo piano nella descrizione dei soldati? 3. Che cosa contiene il secondo documento? Chi lo ha scritto? Quali aspetti della vita di trincea sono evidenziati? 4. Quale caratteristica è messa in primo piano nella descrizione dei soldati?

1. Quale tipo di episodi è messo in luce dal documento? Che conseguenze comportò per i soldati? 2. Che cosa è descritto nel primo brano del documento? 3. Che cosa è descritto nel secondo brano del documento? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “La vita nelle trincee della Prima guerra mondiale: aspetti e testimonianze”.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

5 La fine della guerra.

Capitolo

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L’Europa ridisegnata

Percorso breve Nel 1917 le forze francoinglesi erano in difficoltà. Il blocco sottomarino intorno all’Inghilterra stava per affamare il paese. A ciò si aggiunse la disfatta dell’esercito italiano a Caporetto (ottobre 1917) con conseguente ritirata del fronte; gli austriaci avanzarono fino al Piave, dove si organizzò una nuova linea di resistenza sotto la guida di Armando Diaz (che aveva sostituito Cadorna al comando dell’esercito). Inoltre venne a mancare il sostegno della Russia, dove un moto rivoluzionario aveva portato al potere i socialisti, che misero fine alla guerra firmando una pace separata con la Germania. In compenso, il 6 aprile entrarono in guerra a fianco dell’Intesa gli Stati Uniti, sempre più preoccupati dalla politica di potenza tedesca e dei cospicui prestiti in denaro e in armi forniti agli alleati inglesi e francesi. Il 1918 vide il crollo di Germania e Austria. Sul fronte italiano gli austriaci furono sconfitti a Vittorio Veneto (24 ottobre). Sul fronte francese i tedeschi furono sconfitti dalle truppe franco-inglesi-americane. I due imperatori (Guglielmo II Hohenzollern e Carlo I d’Asburgo) furono costretti a lasciare il trono, in Germania e in Austria si formarono due repubbliche. L’Europa uscì dalla Grande guerra totalmente devastata e sconvolta: 13 milioni di morti in battaglia, 12 milioni fra i civili. La Conferenza per la pace che si tenne a Parigi nel 1919-20 ridisegnò totalmente la mappa geopolitica del continente, disgregando l’Impero austroungarico e l’Impero ottomano e dando vita a nuovi Stati: Austria e Ungheria, ridotte di importanza e di estensione,

Gorizia, le rovine di Piazza Grande [Museo della Redenzione, Gorizia]

e nell’area dei Balcani la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. La Germania fu privata di territori a est, in favore della Polonia, e a ovest, in favore della Francia (Lorena e Alsazia); inoltre perse tutte le colonie, che furono spartite tra Gran Bretagna, Francia e Giappone. La Germania fu anche condannata a pagare tutte le spese del conflitto, una somma enorme. L’Italia ottenne dall’Austria il Trentino e il Sud Tirolo fino al Brennero, più Trieste, l’Istria e la città di Zara in Dalmazia. La Turchia fu ristretta nei confini nell’Anatolia; il Medio Oriente arabo fu suddiviso in protettorati francesi e inglesi. Nell’area baltica furono creati quattro nuovi Stati indipendenti, Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania, pensati anche come “cordone sanitario” per isolare la Russia socialista. Nel 1919 fu istituita a Ginevra la Società delle Nazioni, il primo organismo internazionale volto a tutelare la pace nel mondo e a dirimere le controversie fra gli Stati.

Capitolo 5 La fine della guerra. L’Europa ridisegnata

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5.1 1917, l’Intesa in difficoltà La Russia si ritira dalla guerra Nel corso del 1917, due importanti avvenimenti misero in grave difficoltà le forze dell’Intesa: la rivoluzione in Russia e la disfatta di Caporetto in Italia. In Russia, dove la popolazione stava sopportando sacrifici spaventosi – quattro milioni tra morti, feriti e prigionieri soltanto nel primo anno di guerra – e dove era maturata una crescente ostilità contro il governo degli zar, nel febbraio 1917 scoppiarono dei moti rivoluzionari [ 6.3] che provocarono il crollo del regime zarista. Nello stesso anno il nuovo governo chiese l’armistizio, seguito poco dopo dalla pace separata fra la Russia e la Germania, firmata il 3 marzo 1918 a Brest-Litovsk. L’Italia sconfitta a Caporetto Non avendo più nulla da temere sul fronte russo, la Germania e l’Austria spostarono le loro forze in Occidente e poterono concentrarsi soprattutto sul fronte italiano. Lo scontro fu lanciato nell’ottobre 1917 nella zona di Caporetto, lungo l’alta valle del fiume Isonzo (oggi in territorio sloveno), dove i soldati italiani, logorati dagli sforzi estenuanti compiuti nei mesi precedenti – uno dei rimproveri che poi furono mossi al generale Cadorna fu appunto quello di non avere mai dato riposo ai soldati e di averli perciò sfiniti –, furono travolti dagli avversari. Si rese necessaria una ritirata generale di tutto il fronte: 400.000 uomini indietreggiarono disordinatamente verso sud, mescolandosi alle colonne di profughi civili; quantità imponenti di artiglierie e di materiali furono lasciate in mano al nemico, che occupò una parte del Veneto. I soldati italiani rimasti prigionieri furono oltre 300.000. La controffensiva italiana La disfatta tuttavia generò, paradossalmente, una nuova ondata di solidarietà nazionale. Fu costituito un governo di coalizione, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando (1917-19), e gli stessi leader socialisti, Filippo Turati in testa, assicurarono il loro appoggio allo sforzo militare che si preannunciava decisivo. A giugno del 1918 l’avanzata degli austriaci fu fermata sul fiume Piave, dove fu riorganizzata una nuova linea di resistenza sotto la guida del generale Armando Diaz (1917-19), chiamato a sostituire Cadorna. L’immagine della guerra a questo punto era cambiata: i soldati italiani non erano più impegnati a inseguire gli avversari in territorio straniero, ma stavano difendendo il proprio territorio dall’invasione.

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Belluno Fronte italiano (maggio 1915 – Feltre novembre 1918) Ortigara Vittorio Altop. di Asiago M. Grappa Veneto

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Confine al 24 maggio 1915 Battaglie dell’Isonzo, maggio 1915-settembre 1917 Linee del fronte al 24 ottobre 1917

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Trento Ortigara

Il Montello

Caporetto

Padova

M. S. Michele M. Querceto

Trieste

Confine al 24 maggio 1915 Battaglie dell’Isonzo, maggio 1915-settembre 1917 Linee del fronte al 24 ottobre 1917 Offensiva austro-tedesca, 24 ottobre 1917 (Caporetto) Linea del fronte al dicembre 1917 Offensiva italiana, 24 ottobre-3 novembre 1918 Linea raggiunta il 3 novembre 1918

Venezia

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AD

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

La ritirata delle truppe italiane dopo la disfatta di Caporetto, 1917 Affaticati e disorientati, gli italiani furono sconfitti e catturati dall’esercito austriaco.

Propaganda e promesse Anche in prima linea si curò l’opera di propaganda, attraverso giornali di trincea (per esempio «La Tradotta») che cercavano di tenere alto il morale delle truppe. Soprattutto un’iniziativa politica destò l’interesse dei combattenti: la promessa che, finito il conflitto, ai contadini sarebbe stata concessa in proprietà la terra che lavoravano in affitto o a mezzadria. Questo impegno (che poi non fu mantenuto e pertanto alimentò agitazioni e rivendicazioni sociali nel dopoguerra) suscitò grandi aspettative tra gli uomini al fronte, in gran parte giovani contadini, coinvolgendoli più direttamente nello sforzo bellico. Si trattò dunque di un’ampia operazione, non solo tecnica ma anche morale e psicologica, per motivare la partecipazione di tutti a un’impresa comune.

5.2 L’intervento degli Stati Uniti e la fine della guerra (1918) La guerra sottomarina Sul fronte inglese, intanto, i tedeschi continuavano con la loro guerra sottomarina, allo scopo di costringere l’Inghilterra ad arrendersi per fame. Gli U-boot – con questa sigla venivano indicati i sommergibili tedeschi – crearono un blocco intorno alla Gran Bretagna, affondando tutte le navi che incrociavano in quel mare, grandi e piccole, senza distinzione per la loro nazionalità. La nuova strategia fece ben presto sentire i suoi effetti. Alla fine dell’aprile 1917 in Inghilterra non restava grano che per sei settimane (il paese aveva da tempo rinunciato all’autosufficienza alimentare per specializzarsi nella produzione industriale). Ma la Gran Bretagna trovò mezzi efficaci per superare il blocco. Tutte le navi mercantili dirette ai suoi porti cessarono di navigare isolate e si organizzarono in lunghi convogli, scortati dalla marina da guerra, a cui si diede in dotazione una nuova arma contro i sommergibili: la mina subacquea, un potente esplosivo capace di scoppiare in profondità. Gli Stati Uniti contro la Germania La guerra sottomarina produsse un’importante conseguenza: l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Germania. I sottomarini tedeschi avevano infatti provocato l’affondamento anche di navi americane (già nel 1915, il transatlantico inglese Lusitania era stato affondato con a bordo dei cittadini

Capitolo 5 La fine della guerra. L’Europa ridisegnata

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americani) e questo suscitò viva emozione nell’opinione pubblica statunitense, rafforzando le tendenze favorevoli all’intervento. Altri motivi, di natura economica, mossero gli USA alla guerra: in particolare l’esigenza di tutelare i prestiti in denaro fatti all’Inghilterra e ad altri paesi europei per sostenere le spese del conflitto. Se la Germania e l’Austria avessero vinto, le ingenti somme prestate non sarebbero mai state restituite.

Il conflitto diventa mondiale L’ingresso in guerra degli Stati Uniti (6 aprile 1917) rafforzò straordinariamente l’Intesa in armi, denaro, uomini e fu decisiva per la risoluzione del conflitto. Assieme agli Stati Uniti entrarono in guerra la Cina, il Brasile e altri Stati del Sud America. Crollo austro-tedesco e fine della guerra Il 1918 segnò il crollo della Germania e dell’Austria. Quell’anno gli austro-tedeschi lanciarono un’offensiva violentissima sul fronte francese e su quello italiano, nel tentativo di raggiungere la vittoria risolutiva. Ma furono a loro volta attaccati e sconfitti. Sul fronte italiano, le truppe comandate da Armando Diaz, dopo avere respinto gli austriaci nelle battaglie del Piave e del Montello (13-24 giugno), li sconfissero a Vittorio Veneto (24 ottobre) costringendoli alla resa. L’armistizio fu firmato il 4 novembre 1918 a Villa Giusti, presso Padova. Sul fronte francese, l’esercito tedesco comandato da Hindenburg si era di nuovo riportato sul fronte della Marna e di nuovo minacciava Parigi. Le forze anglo-francesi, però, potevano ora contare sull’appoggio delle truppe americane, sbarcate in quei giorni sul suolo europeo, e si erano notevolmente rafforzate in uomini e mezzi (i carri armati di fabbricazione inglese e gli aerei da combattimento). Nella battaglia di Amiens (8-11 agosto) i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale e cominciarono lentamente ad arretrare. L’11 novembre i tedeschi firmarono l’armistizio. La fine dell’assolutismo monarchico Guglielmo II di Hohenzollern, imperatore di Germania, e Carlo I d’Asburgo, imperatore d’Austria-Ungheria, abbandonarono il trono e partirono per l’esilio. Con la loro abdicazione ebbero termine le ultime monarchie assolute d’Europa (quella russa era già crollata con la rivoluzione del 1917). Tra il 9 e il 13 novembre la Germania, l’Austria e l’Ungheria si proclamarono Stati repubblicani.

Achille Beltrame, La strage del transatlantico Lusitania, 1915 [da «La Domenica del Corriere», Num. 20, maggio 1915]

L’affondamento del transatlantico inglese Lusitania, avvenuto il 16 maggio 1915, scosse l’opinione pubblica americana a tal punto da dare la spinta decisiva agli Stati Uniti per l’intervento militare in Europa. Dei 2000 passeggeri periti tragicamente, 140 erano statunitensi. Anche armi e munizioni furono in questo modo affondate.

5.3 Un tragico bilancio Perdite umane Le cifre parlano da sole. La guerra costò alla Germania 1.827.000 caduti; alla Francia 1.400.000; all’Inghilterra 900.000; all’Italia 650.000; all’Austria-Ungheria 1.200.000; alla Serbia 45.000; agli Stati Uniti 120.000. Il paese di gran lunga più colpito fu la Russia, dove si contarono oltre 2 milioni e mezzo di morti. In totale si sono calcolati 17 milioni di morti tra caduti in battaglia e dispersi, più altri 10 milioni fra i civili, morti in seguito ad attacchi bellici, o per cattiva nutrizione, o per malattie dovute alle penose condizioni di vita negli anni di guerra. Perdite finanziarie Anche il costo della guerra raggiunse cifre astronomiche. Da una pubblicazione ufficiale del nostro governo risultò che l’Italia aveva speso 148 miliardi di lire, vale a dire il doppio delle spese complessive compiute dallo Stato nei 52 anni precedenti, dal 1861 al 1913: una cifra enorme, in cui si riassume solo parzialmente lo spreco di energie e di risorse provocato dal conflitto. «La nostra Italia – scrisse nel 1918 il filosofo e storico Benedetto Croce – esce da questa guerra come da una grave e mortale malattia […] Centinaia di migliaia del nostro popolo sono periti, e ognuno di noi rivede in questo momento i volti mesti degli amici che abbiamo perduto, squarciati dalla mitraglia, spirati sulle aride rocce e tra i cespugli, lungi dalle loro case e dai loro cari. E la stessa desolazione è nel mondo tutto, tra i popoli nostri alleati e tra i nostri avversari, uomini come noi, desolati più di noi, perché tutte le morti dei loro cari, tutti gli stenti, tutti i sacrifizi non son valsi a salvarli dalla disfatta».

Sentinella italiana sul Piave, 1918 [Musei Provinciali, Gorizia]

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

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5.4 La Conferenza per la pace I paesi vincitori si riuniscono Il 18 gennaio 1919 si aprì a Parigi la Conferenza per la pace, i cui lavori si protrassero per oltre un anno e mezzo. Vi parteciparono solo le potenze vincitrici, rappresentate dai primi ministri David Lloyd George per l’Inghilterra, Georges Clemenceau per la Francia, Vittorio Emanuele Orlando per l’Italia, e dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson. I vinti rimasero esclusi e furono convocati soltanto alla fine per sottoscrivere i trattati. Su iniziativa del presidente americano Wilson furono fissati in “quattordici punti” i princìpi da seguire per regolare i rapporti tra gli Stati e avviare la ricostruzione dell’Europa. Fondamentali erano, a suo avviso, il rispetto delle nazionalità e il riconoscimento del diritto di ogni popolo a vivere indipendente e a scegliere in maniera autonoma la propria forma di governo. Il progetto di Wilson fu accolto come base per le discussioni della Conferenza di pace, ma in realtà se ne tenne conto solo in parte: ciò che soprattutto si ebbe di mira fu il consolidamento degli interessi delle potenze vincitrici. La Società delle Nazioni Uno dei risultati più significativi conseguiti dalla Conferenza fu la nascita della Società delle Nazioni, creatura prediletta del presidente Wilson. Essa fu istituita nell’aprile 1919 con sede a Ginevra. Le era affidato il compito di tutelare la pace nel mondo, facendosi arbitro mediatore delle controversie internazionali. Ne restarono fuori la Germania, esclusa per volontà dei paesi vincitori, la Russia, in cui si erano affermate forze politiche e ideologiche nuove [ 6.2] e, paradossalmente,

Le vie della cittadinanza

L’obiezione di coscienza e il rifiuto della guerra

I

l numero complessivo di soldati che parteciparono alla Prima guerra mondiale fu enorme: all’inizio del conflitto essi erano 6,5 milioni, alla fine erano decine e decine di milioni. Rispetto a questo dato, la percentuale dei renitenti alla leva, dei disertori o di coloro che si ammutinarono fu bassa. Rari furono i casi di diserzioni di massa, verificatesi soprattutto fra le truppe austriache e tedesche; più consistente fu il numero di coloro che, individualmente, si rifiutarono di combattere e scelsero di non presentarsi al fronte (in questo caso soprattutto emigrati), di non tornare dalle licenze o, ancora, di rendersi infermi mutilandosi. L’Italia fu il paese dove più cruenta fu la repressione contro il reato di diserzione. Si calcola che fu portato davanti ai tribunali militari circa il 6% dei soldati reclutati e che il 4% di questi fu condannato. Le sentenze di morte furono 750 (più del doppio di quelle emesse in Inghilterra). Questi durissimi provvedimenti rispettavano le indicazioni del generale Cadorna, che in un’ordinanza del 1915 così dichiarava:

In faccia al nemico una sola via è aperta: la via dell’onore, quella che porta alla vittoria o alla morte sulle linee avversarie; ognuno deve

sapere che chi tenti ignominiosamente di arrendersi o di retrocedere, sarà raggiunto – prima che si infami – dalla giustizia sommaria del piombo delle linee retrostanti o da quello dei carabinieri incaricati di vigilare alle spalle delle truppe, sempre quando non sia stato freddato prima da quello dell’ufficiale. [...] Anche per chi, vigliaccamente arrendendosi, riuscisse a cader vivo nelle mani del nemico, seguirà immediato il processo in contumacia e la pena di morte avrà esecuzione a guerra finita.

Da quando, nel 1861, la leva era diventata obbligatoria, l’opposizione di chi in guerra non voleva andare era cresciuta sia tra le fasce più povere della popolazione (a cui venivano sottratte braccia utili al lavoro) sia tra i credenti (cattolici, testimoni di Geova, valdesi intenzionati a rispettare il comandamento «Non uccidere»). Fu dalle fila di questi ultimi che emersero durante la Grande guerra le prime dimostrazioni concrete di rifiuto all’obbedienza, di antimilitarismo (sostenuto anche dai socialisti) e di non violenza. Lo stesso Luigi Sturzo affermò: «L’obiezione di coscienza non è che una negazione pratica e cosciente del diritto dello Stato a fare la guerra. […] Si dirà: – Così si fomenta la ribellione e l’anarchia. – Inesatto: se la gran parte dei

cittadini fossero “obiettori” di coscienza, cesserebbero le guerre». L’obiezione si tradusse nel rifiuto a indossare le divise, a diventare soldati, a combattere. Molti subirono il carcere, altri furono reclusi in manicomio, altri ancora furono fucilati. Una trentina d’anni più tardi, dopo la tragedia anch’essa immane della Seconda guerra mondiale, fu presentato in Italia un progetto di legge per regolamentare la scelta di quanti si opponevano al servizio militare; si dovette però aspettare il 1972 per veder approvata una legge sul servizio sostitutivo civile, che consentiva agli obiettori di partecipare alla difesa della Patria (a cui tutti sono tenuti secondo l’articolo 52 della Costituzione) ma senza imbracciare le armi. Nel 1998 una nuova legge garantì l’obiezione come diritto della persona e non più come beneficio concesso dallo Stato; nel 2001 fu istituito il Servizio civile volontario e così, mentre l’esercito si avviava a diventare una forza di professionisti volontari, la battaglia per l’obiezione di coscienza poteva dirsi conclusa. Dal 2005 la leva obbligatoria è sospesa; solo in caso di necessità lo Stato è autorizzato a richiamare alle armi i cittadini fino a 45 anni che abbiano svolto il servizio militare.

Capitolo 5 La fine della guerra. L’Europa ridisegnata gli Stati Uniti, dove, nelle elezioni del 1920, i democratici furono sconfitti e si affermò un governo repubblicano di tendenza “isolazionista”, che riteneva più utile per il paese isolarsi, distaccarsi dai problemi e dai conflitti del vecchio continente [ 8.6]. Il funzionamento della Società delle Nazioni non si rivelò soddisfacente: troppo forte rimaneva il nazionalismo dei paesi europei, ogni Stato vedeva soprattutto i propri interessi e faticava a raggiungere una visione più ampia del bene comune. Tuttavia, anche se imperfetta e spesso impotente, la Società delle Nazioni va ricordata come il primo importante tentativo di costituire un organo superiore per discutere i delicati problemi della convivenza internazionale.

Aa Documenti I “quattordici punti” di Wilson Il 2 gennaio 1918 il presidente americano Woodrow Wilson espose in 14 punti i criteri che a suo avviso dovevano orientare le decisioni della Conferenza per la pace organizzata dai paesi vincitori del conflitto mondiale. Dopo aver toccato alcuni temi di carattere

generale, egli avanzò proposte concrete sul nuovo assetto da dare all’Europa, in base a princìpi, come quello del rispetto delle nazionalità e dell’autodeterminazione dei popoli, ispirati a un idealismo democratico che non tutti, in Europa, condividevano. Il prestigio di Wilson fu tuttavia

N

oi siamo entrati in questa guerra a causa di violazioni del diritto che ci riguardano direttamente e che rendono impossibile la vita del nostro popolo, a meno che non siano riparate e il mondo sia assicurato per sempre che non si ripeteranno. Perciò, in questa guerra, non domandiamo nulla per noi, ma il mondo deve esser reso adatto a viverci [...]. Il programma della pace del mondo [...], il solo possibile per noi, è il seguente: 1. Pubblici trattati di pace, conclusi apertamente, dopo i quali non vi saranno più accordi internazionali privati di qualsivoglia natura [...]. 2. Libertà assoluta di navigazione sui mari, al di fuori delle acque territoriali, sia in tempo di pace che in tempo di guerra [...]. 3. Soppressione, nei limiti del possibile, di tutte le barriere economiche e stabilimento di condizioni commerciali uguali per tutte le nazioni [...]. 4. Garanzie sufficienti [...] che gli armamenti nazionali saranno ridotti all’estremo limite compatibile con la sicurezza interna del paese. 5. Composizione libera, in uno spirito largo e assolutamente imparziale, di tutte le rivendicazioni coloniali [...]. 6. Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni concernenti la Russia [...] per assicurarle una sincera accoglienza nella Società delle Nazioni sotto un governo che essa stessa avrà scelto [...]. 7. Il mondo intero sarà d’accordo che il Belgio debba essere evacuato e restaurato, senza alcun tentativo di limitarne la sovranità [...]. 8. Tutto il territorio francese dovrà essere liberato, e le parti invase dovranno essere interamente ricostruite [...]. 9. Una rettifica delle frontiere italiane dovrà essere effettuata secondo linee di nazionalità chiaramente riconoscibili. 10. Ai popoli dell’Austria-Ungheria [...] dovrà essere data al più presto la possibilità di uno sviluppo autonomo.

Il presidente americano Wilson a Dover (Inghilterra), 1918

tale da superare le diffidenze degli alleati. Il quattordicesimo punto conteneva la proposta di istituire una Società delle Nazioni che riunisse i popoli della Terra nell’impegno di collaborare gli uni con gli altri, rinunciando alla guerra come metodo per risolvere i problemi internazionali.

11. La Romania, la Serbia, il Montenegro dovranno essere evacuati [...]. Alla Serbia sarà accordato un libero accesso al mare [...]. 12. Alle parti turche dell’Impero ottomano saranno assicurate pienamente la sovranità e la sicurezza, ma le altre nazionalità che vivono attualmente sotto il regime di questo impero devono [...] ricevere l’autonomia. 13. Uno Stato polacco indipendente dovrà essere costituito [...]. 14. Una Società generale delle nazioni dovrebbe essere formata in virtù di convenzioni formali aventi per oggetto di fornire garanzie reciproche di indipendenza politica e territoriale ai piccoli come ai grandi Stati.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

5.5 I trattati di pace e le loro conseguenze Fine dell’Impero austro-ungarico In base ai princìpi di Wilson la carta geopolitica dell’Europa fu radicalmente trasformata. Uno dei cambiamenti più vistosi fu lo scioglimento dell’Impero austro-ungarico, che fu disgregato e ricomposto in nuove aggregazioni statali. Al posto dell’impero sorsero quattro nuovi Stati: la Cecoslovacchia, costituita dalle popolazioni slave dei céchi e degli slovacchi; la Jugoslavia (termine slavo che significa ‘terra degli slavi del sud’) che riuniva, attorno alla Serbia, le popolazioni di Slovenia e Croazia, oltre alla Bosnia-Erzegovina e alla Macedonia, annesse dai serbi già prima della guerra; infine l’Ungheria e, naturalmente, l’Austria, tuttavia ridotta a un piccolo Stato di 6 milioni di abitanti. L’umiliazione della Germania La Germania fu giudicata dai vincitori la massima responsabile della guerra e per ottenere la pace fu costretta a firmare un trattato durissimo, non negoziato ma imposto (Versailles, 18 gennaio 1919): perciò i nazionalisti tedeschi lo chiamarono diktat, ‘ingiunzione’. In base a questo trattato la Germania fu condannata a pagare tutte le spese del conflitto: 269 miliardi di marchi-oro come

I modi della storia

Una guerra incomprensibile

Alcuni soldati tedeschi conversano in trincea durante una pausa della battaglia. Faticano a capire perché stanno combattendo, perché dovrebbero sparare a degli uomini da cui non hanno ricevuto

«È

alcuna offesa. Il brano – una dura accusa contro le mostruosità della guerra, evento terribile che stravolge la stessa volontà dei singoli – è tratto dal libro Niente di nuovo sul fronte occidentale dello scrittore

buffo a pensarci» dice Kropp. «Noi siamo qui per difendere la patria, vero? Ma i francesi stanno di là, anche loro per difendere la patria. Chi ha ragione?». «Forse gli uni e gli altri» dico io, senza crederci troppo. «Va bene» dice Alberto, e vedo dalla sua faccia che cerca di confondermi; ma «i nostri professori e pastori e giornali dicono che abbiamo ragione noi, ed è sperabile che sia così; mentre dall’altra parte professori e curati e giornali francesi sostengono che hanno ragione soltanto loro; come va questa faccenda?». «Questo non lo so» dico io; «quello che so è che la guerra c’è, e che ogni mese vi entrano altri paesi». Ricompare Tjaden, e si mescola subito al discorso, informandosi in che modo, innanzi tutto, scoppi una guerra. «Generalmente è perché un paese ha fatto grave offesa a un altro» risponde Alberto, con una certa aria sentenziosa. Ma Tjaden fa il tonto: «Un paese? Non capisco. Una montagna tedesca non può offendere una montagna francese: né un fiume né un bosco, né un campo di grano...». «Sei bestia davvero o fai per burla?» brontola Kropp: «non ho mai detto niente di simile. È un popolo che offende un altro...». «Allora non ho a che fare qui; io non mi sento affatto offeso» replica Tjaden. «Ma mettiti bene in zucca» gli fa Alberto stizzito, «che tu sei un povero villanaccio e non conti nulla». «E allora, ragion di più perché me ne vada a casa» insiste l’altro, mentre tutti ridono. «Ma mio caro uomo, si tratta del popolo come collettività, ossia dello Stato» grida Müller. «Stato, Stato» e Tjaden con aria furbesca fa schioccare le

tedesco Erich Maria Remarque (18981970), un romanzo autobiografico scritto nel 1929, che racconta le vicende di un soldato tedesco durante la Prima guerra mondiale.

dita, «guardie campestri, polizia, tasse, ecco il vostro Stato. Se è tuo parente, ringrazialo da parte mia... Siamo quasi tutti povera gente, e anche in Francia la gran maggioranza sono operai, manovali, piccoli impiegati. Perché mai un fabbro o un calzolaio francese dovrebbero prendersi il gusto di aggredirci? Credi a me, sono soltanto i governi. Prima di venir qui, io non avevo mai visto un francese, e per la maggior parte dei francesi sarà andata allo stesso modo quanto a noi. Nessuno ha chiesto il loro parere, come non hanno chiesto il nostro». E.M. Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, 1929

Soldati tedeschi in un momento di pausa in trincea sul fronte occidentale

Capitolo 5 La fine della guerra. L’Europa ridisegnata

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Congresso degli Stati Uniti d’America, 1918 Il presidente Wilson espose al Congresso degli USA le clausole dell’armistizio sottoscritto dalla Germania l’11 novembre 1918. L’armistizio diede origine alla Conferenza per la pace che si aprì il 18 gennaio 1919 e che dopo 18 mesi diede vita alla Società delle Nazioni.

riparazione dei danni di guerra subìti dagli altri paesi, una somma enorme, da versare in 42 annualità. Sul piano territoriale, la Germania dovette cedere alla Polonia (che fu di nuovo riconosciuta come Stato autonomo e indipendente dopo essere stata cancellata dalla carta politica europea nel XVIII secolo, vol. 2, 4.6), l’alta Slesia, la Posnania e una striscia della Pomerania, il cosiddetto “corridoio polacco”, che interrompeva la continuità territoriale della Prussia, per consentire alla Polonia uno sbocco al mare nel porto di Danzica (che fu dichiarata “città libera”). Alla Francia furono restituite l’Alsazia e la Lorena, conquistate dai tedeschi nella guerra francoprussiana del 1870 [ vol. 2, 32.4]. Le colonie tedesche furono spartite tra Inghilterra, Francia e Giappone; nessun possesso coloniale – nonostante le aspettative – fu concesso all’Italia. L’esercito tedesco fu ridotto a 100.000 unità, il servizio di leva fu proibito, la flotta fu consegnata all’Inghilterra.

Ampliamenti territoriali dell’Italia L’Italia ottenne dall’Austria il Trentino e il Sud Tirolo (ribattezzato Alto Adige) fino al Brennero; inoltre Trieste e l’Istria. Non le fu invece riconosciuta la Dalmazia, poiché i delegati dell’Intesa valutarono che la regione fosse abitata in prevalenza da popolazioni non italiane. Mentre la questione si stava discutendo in sede diplomatica, un gruppo di volontari, guidati dal poeta Gabriele D’Annunzio (1863-1938), occupò Fiume, che assieme alla Dalmazia era rivendicata dalla Jugoslavia. Ne derivò una forte tensione, che tuttavia fu rapidamente appianata con trattative dirette tra il governo italiano e quello jugoslavo (trattato di Rapallo, 12 novembre 1920). L’Italia rinunciò alla Dalmazia; in compenso le fu assegnata Zara, una città sulla costa dalmata abitata da molti italiani. I volontari di D’Annunzio lasciarono Fiume, che fu costituita in città libera e tale rimase sino al 1924, quando passò all’Italia in conseguenza di nuovi accordi politici fra l’Italia e la Jugoslavia. L’indipendenza dei popoli baltici I trattati di pace apportarono importanti cambiamenti anche nei paesi orientali dell’Europa, in particolare nella zona del Baltico, dove vaste regioni, già appartenenti alla Russia, furono trasformate in Stati indipendenti: precisamente la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania. Ciò fu voluto dai vincitori anche per creare una sorta di “cordone sanitario”, come fu definito, attorno al nuovo Stato socialista che era nato in Russia e che le potenze occidentali ancora si rifiutavano di riconoscere.

La pace di Versailles, 1919 [da «Le Petit Journal», 25 maggio 1919]

Il giornale francese «Le Petit Journal» dedicò questa prima pagina alla seduta di Versailles (una delle sedute della Conferenza per la pace) durante la quale furono poste le condizioni di resa alla Germania. Il diktat impose alla Germania di sopportare l’intero costo della guerra.

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

5.6 La dissoluzione dell’Impero ottomano Muore l’Impero ottomano Altre trasformazioni di rilievo riguardarono la Turchia, che durante il conflitto si era schierata con la Germania e l’Austria-Ungheria nel timore di attacchi russi. Con il trattato di Sèvres (1920) la crisi del vasto Impero ottomano, di cui la Turchia era da secoli il centro, diventò definitiva. L’impero fu privato di tutti i territori popolati da stirpi arabe (sia musulmane sia cristiane): Siria, Palestina, Mesopotamia e parte dell’Arabia (in pratica tutto il Medio Oriente) furono poste sotto il controllo francese e britannico – così come queste due potenze avevano preventivato durante gli accordi di Londra del 1915 –; la sovranità sulla zona degli stretti (Dardanelli e Bosforo) passò direttamente alla Società delle Nazioni; Cipro andò all’Inghilterra, il Dodecanneso all’Italia; il territorio turco fu ridotto entro i limiti della penisola anatolica, con la sola eccezione della capitale Istanbul, situata in territorio europeo.

I nuovi confini europei

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Il “padre dei turchi”, grazie alla rivolta del 1922, liberò alcune zone del paese dalle truppe greche e avviò la trasformazione della Turchia da impero in repubblica.

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Il presidente turco Mustafà Kemal (Atatürk) con la moglie

Nasce la Turchia moderna Le risoluzioni adottate dal trattato di Sèvres provocarono la reazione dei nazionalisti turchi, che nel 1922 scatenarono una rivolta, guidata dal generale Mustafà Kemal, che aveva combattuto gli inglesi durante la guerra. Sotto il suo comando la Turchia fu liberata dalle truppe greche dell’Intesa che si erano insediate in alcune zone e si avviò la trasformazione del paese verso forme politiche di tipo europeo. Nel 1923 il sultanato fu abolito e venne proclamata la Repubblica turca: Kemal fu nominato presidente a vita (1923-38), con poteri forti, quasi dittatoriali, e fu insignito IA venne restituito alla Turchia il del soprannome Atatürk, “padre dei turchi”. L’anno dopo ND LA N controllo sugli stretti. FI La politica di modernizzazione e laicizzazione dello Stato adottata da Kemal provocò Helsinki Cristiania attriti con i gruppi musulmani tradizionalisti, ma il processo di cambiamento continuò San Pietroburgo EST a religione in maniera decisa: nel 1928 l’islam cessò diStoccolm essere di Stato, nel 1934 il diritto di MARE ONI A DEL LET voto fu esteso alle donne. TO NORD A RL

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Territori occupati dalla Grecia, dal 1919 al 1922 1921 Anno di definizione dei confini

Capitolo 5 La fine della guerra. L’Europa ridisegnata

Sintesi

La fine della guerra. L’Europa ridisegnata

1917, l’Intesa in difficoltà Nel 1917 due avvenimenti misero in difficoltà le forze dell’Intesa: in Russia, l’esasperazione della popolazione sfociò in una rivoluzione (febbraio 1917) che pose fine al regime degli zar e provocò l’uscita dal conflitto della Russia, che firmò una pace separata con la Germania; in Italia le truppe austro-tedesche travolsero l’esercito italiano a Caporetto (ottobre 1917), costringendolo alla ritirata verso sud. L’avanzata austriaca fu bloccata solo nel giugno 1918 sulla linea del Piave dall’esercito ora guidato da Armando Diaz. Si tentò di motivare i soldati tramite la propaganda e la promessa ai contadini di ottenere, dopo la guerra, in proprietà le terre coltivate. L’intervento degli Stati Uniti e la fine della guerra (1918) Il tentativo dei tedeschi di ridurre allo stremo l’Inghilterra con attacchi sottomarini portò gli Stati Uniti a entrare in guerra, spinti da ragioni economiche: non perdere i prestiti fatti agli inglesi e ad altre potenze europee. Nel 1918 gli austro-tedeschi tentarono l’offensiva: sul fronte italiano gli austriaci furono sconfitti a Vittorio Veneto e firmarono l’armistizio; i tedeschi furono sconfitti ad Amiens e stipularono a loro volta un armistizio. Guglielmo II Hohenzollern e Carlo I Asburgo furono esiliati; in Germania, Austria e Ungheria si instaurarono altrettante repubbliche che posero fine alle monarchie assolute europee. Un tragico bilancio La prima guerra mondiale ebbe costi umani elevatissimi: in Eu-

ropa si contarono 13 milioni di morti in battaglia e altri 12 milioni di morti tra i civili. Anche i costi economici furono enormi: l’Italia spese il doppio di quanto aveva speso dal 1861 al 1913. La Conferenza per la pace La Conferenza per la pace si svolse a Parigi a partire dal gennaio 1919 e vi presero parte i soli rappresentanti delle potenze vincitrici. Il presidente americano Wilson individuò i criteri con cui organizzare la ricostruzione dell’Europa (“quattordici punti”), tra cui il rispetto delle nazionalità e il principio di autodeterminazione dei popoli; l’applicazione di tali princìpi fu però piegata agli interessi delle nazioni vincitrici. La Conferenza stabilì la creazione di una Società delle Nazioni, con il compito di mediare nelle controversie internazionali per mantenere la pace. Da essa restarono fuori la Germania, la Russia e gli Stati Uniti, dove prevalse una linea politica isolazionista. Il meccanismo non riuscì a funzionare come sperato, ma rappresentò un primo tentativo di creazione di un organo superiore per dirimere le controversie internazionali. I trattati di pace e le loro conseguenze Dopo la guerra la carta geopolitica dell’Europa fu radicalmente ridisegnata: dalle ceneri dell’Impero austroungarico nacquero quattro nuovi Stati: Cecoslovacchia, Jugoslavia, Ungheria, Austria. La Germania, giudicata la responsabile principale del conflitto, fu condannata a pagare le spese di guerra e a ridimensionare drasticamente il suo

esercito. Inoltre perse diversi territori: alta Slesia, Posnania e Danzica andarono alla ricostituita Polonia, Alsazia e Lorena alla Francia, mentre le colonie furono spartite tra Inghilterra, Francia e Giappone. L’Italia ottenne il Sud Tirolo, Trento, Trieste e l’Istria, ma non la Dalmazia; la città di Fiume fu occupata da alcuni volontari guidati dal poeta D’Annunzio; successivamente l’Italia ottenne Zara (trattato di Rapallo) mentre Fiume fu sgombrata e dichiarata città libera. Nell’Europa orientale furono costituiti nuovi Stati sul Baltico (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania) per creare un cordone protettivo intorno alla Russia socialista. La dissoluzione dell’Impero ottomano Anche la Turchia subì notevoli perdite territoriali che evidenziarono la definitiva crisi dell’Impero ottomano. I territori popolati da stirpi arabe (Siria, Palestina, Mesopotamia, Medio Oriente) furono posti sotto il controllo franco-britannico; la sovranità sugli stretti (Bosforo e Dardanelli) fu attribuita alla Società delle Nazioni; Cipro fu ceduta all’Inghilterra e il Dodecanneso all’Italia. Il territorio turco era ora limitato alla sola penisola anatolica. Ciò innescò una rivolta dei nazionalisti turchi, guidata da Mustafà Kemal (Atatürk): la Turchia fu liberata dalle truppe greche legate all’Intesa, fu abolito il sultanato a vita e instaurata una repubblica; in seguito l’islam non sarà più religione di Stato e sarà concesso alle donne il diritto di voto, operando un processo di modernizzazione e laicizzazione dello Stato.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1915

1. 2. 3. 4. 5.

1917

1918

1919

Rivoluzione russa proclamazione della Repubblica turca passaggio di Fiume all’Italia l’islam cessa di essere religione di Stato in Turchia istituzione della Società delle Nazioni

1920

1922

6. 7. 8. 9. 10.

1923

1924

1928

1934

affondamento del transatlantico inglese Lusitania trattato di Sèvres fine della Prima guerra mondiale diritto di voto esteso alle donne in Turchia rivolta dei nazionalisti turchi

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70

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

2. Associa le seguenti date agli eventi corrispondenti. febbraio 1917

battaglia di Amiens

6 aprile 1917

pace di Brest-Litovsk

ottobre 1917

istituzione della Società delle Nazioni

3 marzo 1918

battaglia di Vittorio Veneto

13 giugno 1918

ritirata di Caporetto

24 giugno 1918

la Germania firma l’armistizio

11 agosto 1918

entrata in guerra degli Stati Uniti

24 ottobre 1918

battaglia del Piave

4 novembre 1918

trattato di Rapallo

11 novembre 1918

battaglia del Montello

18 gennaio 1919

apertura della Conferenza di Parigi

aprile 1919

Rivoluzione russa

12 novembre 1920

armistizio di Villa Giusti

r. Il trattato di Rapallo sancì il passaggio della città di Fiume all’Italia.

V

F

s. La Società delle Nazioni mirava a discutere i problemi della convivenza internazionale.

V

F

t. La Germania fu condannata a pagare tutte le spese del conflitto.

V

F

u. Dopo l’uscita della Russia dalla guerra si verificò il crollo del regime zarista.

V

F

4. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. La pace di Brest-Litovsk fu stipulata tra: Germania e Russia. Austria e Russia.

Turchia e Russia. Stati Uniti e Russia.

b. I “quattordici punti” furono proposti da: Wilson. Lloyd George.

Orlando. Clemenceau.

c. Dopo il 1923 la Turchia divenne: un sultanato. un impero.

una monarchia. una repubblica.

d. La resa degli austriaci all’esercito italiano avvenne dopo la battaglia:

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

di Caporetto. del Piave.

a. I soldati italiani furono travolti dagli austriaci nella zona di Caporetto.

V

F

b. Nel novembre 1917 Germania, Austria e Ungheria divennero repubbliche.

V

F

c. La sigla U-boot indicava la mina subacquea utilizzata dagli inglesi.

V

F

d. Gli Stati baltici furono istituiti per creare un cordone sanitario intorno alla Russia socialista.

V

F

e. La sconfitta definitiva dell’esercito tedesco avvenne nella battaglia della Marna.

V

F

f. Gli Stati sconfitti in guerra furono convocati solo alla fine della Conferenza di Parigi.

V

F

g. Tra i civili durante la Prima guerra mondiale morirono 13 milioni di persone.

V

F

h. La Jugoslavia univa i territori di Serbia, Croazia e Bosnia-Erzegovina.

V

F

i. Mustafà Kemal fu insignito del soprannome di “padre dei turchi”.

V

F

l. Dopo la Prima guerra mondiale all’Italia non fu concessa la Dalmazia.

V

F

m. Alla Polonia fu concesso uno sbocco al mare con il porto di Danzica.

V

F

n. Stati Uniti e Germania furono gli unici Stati a restare fuori dalla Società delle Nazioni.

V

F

o. Per sollevare il morale delle truppe italiane, si utilizzarono anche i giornali di trincea.

V

F

p. Dopo Caporetto, ai contadini italiani fu promessa dopo la guerra la terra da coltivare in affitto.

V

F

q. La guerra sottomarina tedesca provocò l’entrata in guerra degli Stati Uniti.

V

F

di Vittorio Veneto. del Montello.

e. Dopo Caporetto, la guida dell’esercito italiano fu assunta da: Gabriele D’Annunzio. Vittorio Emanuele Orlando.

Armando Diaz. Luigi Cadorna.

5. Indica sulla cartina le acquisizioni territoriali dell’Italia dopo la Prima guerra mondiale.

Danubio

Capitolo 5 La fine della guerra. L’Europa ridisegnata

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Da chi fu firmato il trattato di Versailles? 2. Da chi furono firmati i trattati di Sèvres e di Brest-Litovsk? 3. Quali novità erano stabilite nell’assetto geopolitico europeo?

4. Quali modificazioni nelle forme di Stato avvennero dopo la guerra? In quali Stati? 5. Quali nuovi Stati furono costituiti? 6. Quali acquisizioni ottennero Francia, Gran Bretagna e Italia?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

IL DECLINO DEGLI IMPERI DOPO VERSAILLES AUSTRIA

GERMANIA

TURCHIA

RUSSIA

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LA FORMA Analizzare e..................................................... produrre

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LE PERDITE TERRITORIALI

I TRATTATI FIRMATI

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DI STATO

7. Leggi il documento «I “quattordici punti” di Wilson» a p. 65 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa erano i quattordici punti? Da chi furono ideati? In quale occasione? 2. Su quali princìpi si basava la nuova idea di Europa immaginata da Wilson? 3. Che cosa conteneva il quattordicesimo punto? Quale attuazione ebbe? 4. Per quale motivo sono entrati in guerra gli Stati Uniti? Come immaginano il mondo futuro? 5. Che carattere dovranno avere i trattati di pace? Che cosa dovrà caratterizzare la navigazione sui mari? 6. Quali caratteristiche dovrà assumere il commercio internazionale? 7. Che carattere assumeranno gli armamenti degli Stati? Come saranno risolte le controversie coloniali? 8. Che cosa è stato stabilito nei riguardi di Russia e Belgio? 9. Che cosa dovrà essere fatto nel territorio francese? 10. Quale è lo scopo ultimo al quale tendono i princìpi enunciati nel documento?

Con le informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla precedente tabella, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “Il congresso di Versailles: i princìpi e le decisioni”.

8. Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 64 e rispondi alle seguenti domande.

1. Quanti soldati parteciparono alla Prima guerra mondiale? 2. Quanti casi di diserzione di massa vi furono? In quali eserciti si verificarono maggiormente? 3. Quali caratteristiche assunse in Italia la repressione contro il reato di diserzione? 4. In quali fasce sociali era maggiormente diffusa l’opposizione al conflitto? 5. Quando fu approvata in Italia la legge sul servizio sostitutivo civile? 6. Quando fu garantita in Italia l’obiezione di coscienza come un diritto della persona? 7. Quali leggi furono approvate in Italia nel 2001 e nel 2005?

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

6 La Rivoluzione russa

Capitolo

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e la nascita dell’URSS

Percorso breve La Russia ai primi del Novecento era un paese povero e arretrato. Lo zar governava con poteri assoluti e nel paese crescevano l’insofferenza e le proteste; nel 1905, a San Pietroburgo, una protesta popolare fu soffocata nel sangue dall’esercito. L’entrata in guerra nel 1914 provocò nuovi insopportabili sacrifici alla popolazione, mentre i soldati subivano perdite spaventose (4 milioni di caduti solo nel primo anno di guerra). La situazione precipitò nel marzo 1917: a San Pietroburgo una gran folla di popolo insorse con l’appoggio degli operai e dei soldati. La rivolta si estese a tutto il paese e costrinse lo zar ad abdicare. Si costituì un governo repubblicano diretto dal socialista moderato Kerenskij. Ma una nuova insurrezione Manifesto di propaganda per il reclutamento nell’Armata rossa, 1919 fu organizzata dall’ala rivoluzionaria del partito, i cosiddetti “bolscevichi”, guidati da Le- sigli di operai, soldati e contadini, cioè al popolo; di fatto nin, Trotzkij e Stalin. Il 24-25 ottobre i bolscevichi presero si concentrava nelle mani del Partito comunista (come possesso della capitale e il nuovo governo, presieduto da Lenin lo aveva chiamato, per segnare la rottura con la Lenin, prese subito dei provvedimenti radicali: tutte le tradizione socialista riformista). Abbandonata la “dittaproprietà furono espropriate e la terra assegnata ai con- tura alimentare” che negli anni della guerra civile aveva tadini; fabbriche e banche furono nazionalizzate. Inoltre retto l’economia (requisizione di tutti i prodotti da parte dello Stato, che poi li razionava e distribuiva) si affermò si mise fine alla guerra in atto con la Germania. I ceti sociali danneggiati dalla rivoluzione (proprietari un’economia a carattere misto, detta NEP o Nuova Politerrieri, aristocratici, ufficiali del vecchio esercito zarista) tica Economica, in parte controllata dallo Stato, in parte organizzarono una reazione armata, sostenuta dalle po- lasciata al libero mercato. Alla morte di Lenin (1924) si scontrarono due divertenze occidentali, che provocò una lunga guerra civile: dopo quattro anni di scontri e di devastazioni l’Armata se tendenze: secondo Trotzkij bisognava diffondere la rossa organizzata da Trotzkij riuscì a imporsi (1921). La rivoluzione nel mondo per rafforzarla, secondo Stalin capitale fu trasferita a Mosca e il 30 dicembre 1922 fu bisognava concentrare gli sforzi nella realizzazione del sancita la nascita di un nuovo Stato a forma federale, socialismo in Russia. Prevalse la linea di Stalin, che afl’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche o URSS. fermò nel paese un crescente potere personale, perseIl potere era formalmente consegnato ai “soviet”, i con- guitando gli avversari politici.

Capitolo 6 La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS

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6.1 Un paese arretrato La crisi alimentare La Russia agli inizi del Novecento era uno dei paesi più arretrati d’Europa. L’agricoltura, attività prevalente della popolazione (i contadini erano circa l’80% della popolazione, costituita da circa 160 milioni di individui), era praticata con tecniche antiquate, che davano una resa poverissima, insufficiente ai bisogni alimentari, tanto che fra la popolazione si diffondeva spesso l’incubo della fame. La scarsità di cibo era dovuta non solo agli arretrati metodi di coltivazione ma anche al fatto che il governo, incurante delle esigenze primarie della popolazione, esportava più della metà del grano prodotto nel paese, per procurare valuta straniera utile a sanare i debiti contratti dallo Stato con le banche occidentali per avviare i primi impianti industriali. La servitù della gleba La terra apparteneva a un ristretto numero di famiglie, in prevalenza grandi proprietari nobili. Fra i contadini si distinguevano alcuni piccoli proprietari benestanti, i kulaki, e la grande massa di coloro che non possedevano nulla. Ancora alle soglie del XX secolo in molte regioni della Russia era praticata la servitù della gleba, una consuetudine secondo la quale i contadini non potevano lasciare la terra che coltivavano ed erano venduti e comprati come parte integrante della terra stessa. In realtà, la servitù della gleba era stata ufficialmente abolita nel 1861 dallo zar Alessandro II [ vol. 2, 33.3], ma l’applicazione della riforma era stata incerta e contraddittoria, e la condizione dei contadini non era sostanzialmente cambiata. Il ritardo industriale L’industrializzazione, già sviluppata negli altri Stati europei, in Russia era ai primi passi, sostenuta da capitali stranieri, specialmente francesi, e da sovvenzioni statali. Agli inizi del Novecento alcuni grossi complessi industriali erano sorti nella regione di Mosca (tessili, metallurgici, chimici), in quella di San Pietroburgo (tessili e meccanici), nell’Ucraina meridionale, nella regione degli Urali, nel Caucaso (petrolio). L’industrializzazione fece nascere i primi nuclei di masse operaie, circa 3 milioni nel 1914, un numero non trascurabile, pur se minimo in confronto alla totalità della popolazione contadina. Era un proletariato misero e scontento, che viveva in condizioni non meno dure di quelle dei contadini, pagato con salari bassissimi, assai inferiori a quelli degli altri paesi europei.

Il tempo del raccolto, inizi XX sec. [© Corbis/Contrasto]

L’immagine, ripresa presso una fattoria collettiva a Vilshanka (oggi in Ucraina), ritrae un gruppo di contadini e contadine in un momento di pausa mentre consumano un frugale pasto. In Russia la servitù della gleba, se pur abolita nel 1861, di fatto era ancora praticata agli inizi del Novecento.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa L’assolutismo monarchico Dal punto di vista politico gli ordinamenti della Russia erano caratterizzati dall’assolutismo monarchico, contrariamente a ciò che ormai avveniva nella maggior parte degli Stati europei, che avevano governi fondati sulla sovranità popolare e su assemblee parlamentari liberamente elette. In Russia, tutti i poteri erano accentrati nella persona dello zar, una figura sacrale, capo e padrone del paese. Il potere dello zar aveva come sostegno l’esercito, i cui ufficiali provenivano dalle file della nobiltà. L’attuazione del potere era affidata alla burocrazia, un insieme di funzionari e impiegati al servizio dello zar, arroganti e prepotenti verso la popolazione, esosi e disonesti nel pretendere servizi e compensi. Una polizia severissima e implacabile teneva il paese sotto un rigoroso controllo e infliggeva pene molto dure, come i lavori forzati in Siberia, a chi si opponeva alle leggi dello zar.

6.2 Dalle proteste alle rivolte

La Parola

bolscevichi, menscevichi In lingua russa “bolscevichi “significa semplicemente ‘la maggioranza’, “menscevichi” ‘la minoranza’. A prescindere dalla diversità profonda di opinioni e di strategie politiche, i due termini indicavano semplicemente la maggiore o minore presenza dei due orientamenti all’interno del Partito socialista russo.

Nichilisti e socialisti La mancanza di libertà civile, le cattive condizioni di vita della popolazione, la scarsità di cibo, il lavoro mal pagato fecero sorgere vari movimenti di opposizione contro il governo. In un primo tempo si affermarono i “nichilisti”, gruppi di tendenza anarchica, i quali, facendo ricorso alla violenza, si proponevano di distruggere l’ordine politico e le strutture statali. Un loro attentato, nel 1881, costò la vita allo zar Alessandro II. In seguito si sviluppò il Partito socialista russo che, fondato nel 1898, trovò rapida diffusione tra gli operai. Ben presto il partito si divise in due diverse tendenze: i menscevichi, che intendevano realizzare il socialismo attraverso riforme graduali, e i bolscevichi, guidati da Vladimir Il’icˇ Ul’janov (1870-1924), meglio noto con lo pseudonimo di Lenin, e da Lev Davidovicˇ Bronsˇtejn (1879-1940), meglio noto con lo pseudonimo di Trotzkij, che si proponevano di attuare il socialismo attraverso la rivoluzione armata. Lenin e Trotzkij, e alcuni anarchici come Bakunin [ vol. 2, 29.3], furono più volte arrestati e deportati, ma riuscirono a rifugiarsi all’estero, in Austria, in Inghilterra, in Svizzera. La denuncia civile La lotta contro l’assolutismo fu alimentata e diffusa con particolare efficacia da intellettuali e grandi scrittori (la cosiddetta intelligencija), Tolstoj, Gorkij, Dostoevskij, Cechov. Essi si imposero all’attenzione del mondo intero non solo per la qualità letteraria e l’elevatezza del pensiero, ma anche per la denuncia dei mali della società russa che emergeva dai loro scritti. La guerra contro il Giappone La miseria e il disordine del paese furono aggravati dalla disastrosa guerra che lo zar mosse nel 1904 contro il Giappone per il possesso della Manciuria e della Corea. Tale guerra costò alla Russia la distruzione della flotta, la perdita della Manciuria, della parte meridionale dell’isola di Sakhalin e della base di Port Arthur. Le spese di questa guerra fecero aumentare ancora di più la miseria della popolazione, i tumulti e le proteste. Il “sabato di sangue” I movimenti di opposizione e il crescente disagio popolare sfociarono in aperta protesta il 22 gennaio 1905 a San Pietroburgo. Un’imponente massa di popolazione, in gran parte operai delle officine della città, guidati da un pope (sacerdote), si diressero al palazzo del governo con lo scopo di chiedere allo zar un miglioramento delle loro misere condizioni di lavoro. Giunti davanti al palazzo i dimostranti furono accolti a fucilate dalle guardie, che lasciarono sul terreno centinaia di morti e feriti. La giornata fu poi sempre ricordata come il “sabato di sangue”. Ancora rivolte Dopo quel sangue, che scavò un solco incolmabile tra la popolazione e lo zar, seguirono moti e rivolte in diverse località del paese. Un avvenimento in particolare colpì l’opinione pubblica: l’ammutinamento dell’equipaggio di una nave da guerra, l’incrociatore Potëmkin, ormeggiato nel porto di Odessa sul Mar Nero, vicenda che vent’anni dopo, nel 1925, fu magistralmente rievocata dal regista Sergej Ejzenštejn (1898-1948) nel film La corazzata Potëmkin, capolavoro d’avanguardia

Capitolo 6 La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS

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Rivoluzionari della Potëmkin, 1905 In questa foto sono ritratti i membri del Comitato rivoluzionario e i partecipanti alla rivolta sulla corazzata Potëmkin.

della cinematografia mondiale. Fallito il tentativo di far sollevare l’intera flotta, i ribelli si rifugiarono in Romania e abbandonarono la nave perché fosse riconsegnata alle autorità russe.

Promesse non mantenute Il succedersi di tante agitazioni costrinse lo zar Nicola II Romanov (1894-1917) a fare qualche concessione: fu istituito un Parlamento (duma in lingua russa), fu data la libertà di stampa, fu concessa ai cittadini più poveri la proprietà di piccoli lotti di terra. In realtà queste riforme restarono sulla carta, promesse più che fatti reali.

6.3 La rivoluzione del febbraio 1917 La Russia nella Grande guerra Nel 1914 ebbe inizio la Prima guerra mondiale [ 4.3]. Lo zar, malgrado l’insufficiente armamento e l’impreparazione militare, aderì subito al conflitto, che immaginava breve e vittorioso e da cui sperava di ricavare vantaggi territoriali nei Balcani, a danno dell’Austria. Ma il conflitto procurò sacrifici terribili alle truppe russe, che solo nel primo anno di combattimenti perdettero 4 milioni di uomini tra morti e feriti. La fame La vita dei soldati si fece più che mai penosa quando, per la scarsità di alimenti e l’insufficienza dei trasporti, cessò di arrivare regolarmente il rancio al fronte: una situazione drammatica che spinse alcune compagnie a ribellarsi ai comandanti. Non solo i militari ma anche la popolazione civile visse mesi di sofferenze e di stenti per il rincaro vertiginoso degli alimenti e di tutti i generi di prima necessità. Nel mese di gennaio 1917 il prezzo dei cibi risultò sette volte superiore a quello del 1914; pochi mesi dopo, in ottobre, aumentò ancora fino a dodici volte.

Soldati a Pietrogrado, febbraio 1917

La rivoluzione La situazione ben presto precipitò. A San Pietroburgo, la capitale del paese, ribattezzata Pietrogrado agli inizi della guerra, il 23 febbraio 1917 del calendario ortodosso (l’8 marzo secondo il nostro) una gran folla scese nelle strade: protestava, disperata, per la mancanza di pane e contro l’aumento dei prezzi. Al movimento, nato in maniera spontanea, aderirono migliaia di operai usciti dalle fabbriche; a essi si unirono i soldati che, mandati dalle autorità contro i dimostranti, fecero invece causa comune con la popolazione.

Nella foto sono ritratti i soldati inviati a San Pietroburgo per sedare la rivolta della folla. Ben presto però i militari stessi si unirono alla massa che erano andati a disperdere. Fu questo l’avvio di una rivoluzione tanto estesa da far cadere il governo zarista e dare l’avvio a un nuovo governo repubblicano.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa In pochi giorni la rivolta si estese a tutto il paese, con tanta forza da costringere le autorità a formare un governo provvisorio, diretto da una coalizione di socialisti menscevichi e di liberali democratici, fautori di uno Stato liberale sul modello francese o inglese. A capo del governo provvisorio fu nominato il menscevico Aleksandr Kerenskij (1917). Lo zar Nicola II fu costretto ad abdicare e la Russia da quel momento diventò di fatto una repubblica. La Parola

soviet Il termine soviet in lingua russa significa ‘consiglio’ e fu usato per indicare gli organismi rivoluzionari, eletti direttamente dai lavoratori, che si crearono a San Pietroburgo durante la rivolta del 1905. Essi costituirono poi la struttura di base del nuovo Stato generato dalla rivoluzione bolscevica del 1917, denominato URSS cioè Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Potere ai soviet Nei mesi che seguirono si rafforzarono i soviet (consigli), assemblee formate da delegati degli operai, dei soldati e dei contadini: istituzioni che, nate nel 1905 per iniziativa dei tipografi di San Pietroburgo, avevano avuto un rapido e fortunato sviluppo. Col sostegno della popolazione, i soviet riuscirono ad affiancarsi al governo, pur mancando ancora di precisi programmi politici. Erano giorni confusi, con un governo privo di forza, la guerra mondiale in atto, i viveri scarsi, la popolazione inquieta che chiedeva pane e pace.

6.4 La rivoluzione di ottobre Le “tesi di aprile” Alla notizia che lo zar aveva abdicato e che si era formato un governo repubblicano, molti esiliati politici rientrarono in patria. Nell’aprile del 1917 tornò dalla Svizzera, dove si era rifugiato per sfuggire all’arresto della polizia zarista, Lenin con altri dirigenti bolscevichi, che godevano di molto prestigio tra le masse. A Pietrogrado, dove fu accolto da grande folla, Lenin pronunciò un discorso nel quale sollecitava la popolazione ad abbattere il governo provvisorio, completando la prima rivoluzione (quella che, in febbraio, aveva segnato il crollo della monarchia e il successo delle forze borghesi) con una seconda rivoluzione che consegnasse il governo del paese alle masse operaie e contadine, rappresentate dai soviet. Solo in questo modo, egli affermava, si sarebbe potuto metter fine alla guerra, distribuire la terra ai contadini e affidare il controllo delle fabbriche agli operai. Sostenendo questa strategia in un documento noto come “tesi di aprile”, Lenin di fatto rovesciava la teoria di Karl Marx, secondo il quale la rivoluzione socialista sarebbe scoppiata nei paesi industriali più avanzati [ vol. 2, 29.2]. Un fallito colpo di Stato zarista Nel mese di luglio, mentre l’andamento della Grande guerra appariva sempre più disastroso, a Pietrogrado si rinnovarono le dimostrazioni di protesta che chiedevano le dimissioni del governo. La situazione fu resa ancora più drammatica da un tentativo, nel settembre 1917, di colpo di Stato preparato da un generale fedele allo zar, Georgevic Kornilov, che marciò sulla capitale con un contingente di truppe. Il capo del governo Kerenskij, che non disponeva di forze sufficienti, chiese

I tempi della storia Febbraio o marzo? Ottobre o novembre? Gli uomini hanno sempre desiderato tenere sotto controllo il passare del tempo: fin dalle più antiche civiltà mesopotamiche, lo scorrere ciclico dell’anno e del giorno è stato studiato, calcolato, misurato. E suddiviso: l’anno in mesi, il giorno in ore. Tali suddivisioni in qualche caso corrispondono a fenomeni naturali: la durata dell’anno è quella che impiega la Terra per completare il suo giro attorno al Sole, la durata del giorno corrisponde al tempo di rotazione della Terra attorno a sé stessa. In altri casi le suddivisioni sono arbitrarie: per esempio la ripartizione del giorno

in 24 ore è una pura convenzione; i mesi, invece, più o meno corrispondono al ciclo di rotazione lunare, ma con diversi aggiustamenti a seconda delle società. La difficoltà di questi calcoli nasce dalla volontà di inquadrare dei tempi “naturali” indipendenti fra loro (il ciclo solare, quello lunare, quello terrestre) in un sistema aritmetico coerente e omogeneo: ciò è impossibile e inevitabilmente crea delle incongruenze. Per questo motivo vi sono stati, nella storia, diversi tentativi di “correzione” dei calendari precedentemente in uso. Il cosiddetto “calendario giuliano”, fissato

da Giulio Cesare nel I secolo a.C., fu riformato nel XVI secolo da papa Gregorio XIII (1572-85), che aggiunse tredici giorni al computo precedente per adeguare il calendario all’effettiva durata dell’anno solare, leggermente più lunga di quella calcolata al tempo di Cesare. Tale innovazione non fu però accolta nei paesi di tradizione ortodossa, come la Russia: per questo motivo, le date della rivoluzione di febbraio e di quella di ottobre sono scalate di tredici giorni rispetto al calendario occidentale. Secondo il nostro computo, esse sarebbero avvenute, rispettivamente, in marzo e in novembre.

Capitolo 6 La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS appoggio ai soviet bolscevichi che mobilitarono squadre di operai e di soldati sventando il colpo di Stato.

I bolscevichi al potere Pochi mesi dopo, ormai sicuri della propria forza, i capi bolscevichi si riunirono a Pietrogrado per preparare un’azione rivoluzionaria volta alla conquista del potere. Fu costituito un comitato direttivo capeggiato da Lenin, Trotzkij e Stalin (1879-1953), pseudonimo di Iosif Vissarionovicˇ Džugašvili; essi disponevano di 30.000 soldati e di 12.000 “guardie rosse”, forze speciali organizzate sotto la direzione di Trotzkij a difesa del partito. Nella notte del 24 ottobre 1917 (6 novembre del nostro calendario) le guardie rosse, appoggiate dai cannoni dell’incrociatore Aurora ancorato nel porto, occuparono, senza incontrare resistenza, i punti strategici di Pietrogrado: stazione ferroviaria, centrali elettriche, banche, uffici governativi. Il giorno dopo fu occupato il Palazzo d’Inverno, già residenza degli zar e sede del governo. Nessuno fece resistenza apprezzabile; Kerenskij, dopo qualche debole reazione, abbandonò il paese e si rifugiò negli Stati Uniti. Il potere passò ai bolscevichi, che formarono un nuovo governo e ne affidarono la presidenza a Lenin.

Aa Documenti Le “Tesi di aprile” Appena tornato a Pietrogrado dall’esilio in Svizzera, il 4 aprile 1917 Lenin rese note le sue posizioni politiche in un discorso pubblico che fu poi pubblicato sul giornale dei bolscevichi, la «Pravda» (in russo la parola significa ‘Verità’). Il titolo dell’articolo era Tesi d’aprile. Il programma enunciato da Lenin è radicale e rivoluzionario: rovesciare il governo provvisorio e consegnare il po-

tere ai consigli operai e contadini (soviet) che lo eserciteranno direttamente, senza rappresentanze parlamentari; uscire immediatamente dal conflitto mondiale; nazionalizzare tutte le proprietà. Scostandosi dalla posizione di Marx, Lenin propone la realizzazione del socialismo in un paese, come la Russia, ancora estremamente arretrato, che non ha conosciuto il processo

2. La peculiarità dell’attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima tappa della rivoluzione – che, a causa dell’insufficiente coscienza e organizzazione del proletariato, ha dato il potere alla borghesia – alla seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini. […] Questa peculiarità ci impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro del partito fra le immense masse proletarie appena destate alla vita politica. 3. Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio; dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse […]. Smascherare questo governo invece di “esigere” (ciò che è inammissibile e semina illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista. 4. Riconoscimento del fatto che il nostro partito è una minoranza e, finora, una piccola minoranza, nella maggior parte dei soviet dei deputati operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunisti piccolo-borghesi, sottomessi all’influenza della borghesia e veicoli dell’influenza borghese sul proletariato […]. Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai soviet dei deputati operai, affinché le masse, sulla base dell’esperienza, possano liberarsi dei loro errori. 5. Niente repubblica parlamentare – ritornare a essa dopo i soviet dei deputati operai, sarebbe un passo indietro – ma repubblica dei soviet dei deputati operai, dei braccianti e dei contadini, in tutto il paese, dal basso in alto. 6. […] Confiscare tutte le terre dei grandi proprietari fondiari. Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposi-

di industrializzazione e la fase della “rivoluzione borghese”, preparatoria (secondo Marx) della rivoluzione proletaria. Proprio per sottolineare questa differenza, e la volontà di accesso diretto e immediato al potere delle masse proletarie, Lenin dà un nuovo nome al partito, che non si chiamerà più “socialista”, bensì “comunista”. Leggiamo alcuni passi salienti delle tesi di aprile.

zione dei soviet locali dei deputati dei salariati agricoli e dei contadini poveri. 7. Fusione immediata di tutte le banche del paese in una unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei soviet dei deputati operai. 9. […] Cambiare il nome del partito. Sostituire il nome di Partito comunista a quello di “socialdemocrazia”; perché i capi ufficiali della socialdemocrazia […] hanno, in tutto il mondo, tradito il socialismo passando alla borghesia. Lenin, Opere scelte, Roma 1965, pp. 713-716

Lenin (al centro della foto, con un ombrello in mano) con il gruppo degli esuli, marzo 1917

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

Le guardie rosse al potere, 1917 Soldati bolscevichi marciano per le strade di Mosca dopo la conquista del potere da parte di Lenin, alla fine del 1917.

6.5 Nasce la Russia sovietica Espropri e nazionalizzazioni La rivoluzione bolscevica (o comunista, come fu anche chiamata) segna l’inizio della Russia sovietica, uno Stato che si propose di attuare una società socialista, sulla base dell’ideologia marxista. Le prime disposizioni del nuovo governo furono significative a indicarne il carattere social-comunista: le grandi proprietà terriere furono espropriate e affidate ai villaggi perché le distribuissero tra i contadini; nelle fabbriche la produzione fu messa sotto il controllo degli operai e degli impiegati; le banche furono nazionalizzate. Ritiro dalla Grande guerra Un problema assai sentito nel paese era quello di far uscire al più presto la Russia dalla guerra. Il 3 marzo 1918, pertanto, fu firmato a Brest-Litovsk il trattato di pace separata con la Germania [ 5.1], un trattato molto gravoso, in seguito al quale la Russia dovette cedere le terre baltiche (Lituania, Estonia, Livonia, Curlandia) e riconoscere l’indipendenza della Finlandia e dell’Ucraina. Ciò equivaleva a perdere un terzo della popolazione e circa la metà degli impianti industriali. La guerra civile Contro i bolscevichi, nei primi anni del loro governo, si levarono opposizioni armate, suscitate e finanziate dai gruppi sociali danneggiati dalla rivoluzione (proprietari a cui erano stati confiscati i terreni, nobili, ricchi borghesi). Ne nacque una sanguinosa guerra civile, che costò la vita a milioni di persone. I contrapposti schie-

Trotzkij parla alle nuove reclute, 1919 Trotzkij, creatore dell’Armata rossa, in questa foto parla alle nuove reclute nel corso della guerra civile del 1919. Sprona i nuovi soldati ad affrontare l’”Armata bianca” in nome del popolo e dei nuovi ideali bolscevichi.

Capitolo 6 La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS ramenti furono chiamati “Armate bianche” e “Armate rosse”: le prime, formate da membri dell’ex esercito zarista, si proponevano di restaurare gli antichi ordinamenti; le seconde, guidate da Trotzkij, erano milizie fedeli alla rivoluzione. Le armate bianche furono sostenute dagli Stati europei – Francia e Inghilterra – e anche dal Giappone e dagli Stati Uniti, i quali, nel timore che il bolscevismo si diffondesse fuori della Russia, inviarono contingenti militari in appoggio alle forze anticomuniste.

La Costituzione sovietica Il 10 luglio 1918 fu approvata la nuova Costituzione della Russia sovietica. Il primo articolo stabiliva che il paese diventava “Repubblica dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini”. Tutto il potere doveva concentrarsi in questi organi rappresentativi della sovranità popolare (almeno teoricamente: in pratica, tutto il potere si concentrò nelle mani del Partito comunista). In seguito la Costituzione fu ritoccata, ampliata, precisata. Fine dei Romanov Qualche giorno dopo, mentre imperversava la guerra civile, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, lo zar Nicola II, confinato in una località degli Urali, fu ucciso per ordine del soviet locale, assieme alla moglie e ai figli. Finiva così la dinastia imperiale dei Romanov che dal 1613 aveva detenuto il potere in Russia.

6.6 Nasce l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) La “dittatura alimentare” La guerra civile si prolungò per quattro anni, dalla fine del 1917 al 1921, portando devastazioni in tutto il paese e sofferenze infinite alla popolazione. I campi e le fabbriche, sottoposti alle distruzioni e ai saccheggi delle parti in lotta, ridussero la produzione ai minimi livelli; mancava di tutto, il pane, gli abiti, le scarpe, gli attrezzi da lavoro. In molte città la popolazione fu ridotta alla fame. Nell’aprile 1918 a Mosca e a Pietrogrado ogni persona disponeva di una razione giornaliera di pane pari ad appena 50100 grammi. Nelle regioni povere di risorse agricole la popolazione restò senza pane per mesi. In questa drammatica situazione il governo ricorse a misure durissime, a una ferrea politica autoritaria, ricordata come “dittatura alimentare”. Per assicurare a tutti gli abitanti la quantità minima di grano, fu proibita ogni forma di commercio privato dei cereali e si obbligarono i contadini a vendere le eccedenze di tutti i prodotti direttamente allo Stato, che provvedeva a distribuirle secondo le necessità locali. La vittoria bolscevica Alla fine del 1921 la guerra civile ebbe termine con la vittoria dell’Armata rossa, che Trotzkij, con la collaborazione di alcuni ex ufficiali dell’esercito zarista, aveva trasformato da milizia popolare volontaria in una potente macchina militare. Per sottolineare il cambiamento di regime politico il governo abbandonò l’antica capitale, Pietrogrado, culla della rivoluzione, e si trasferì a Mosca, scelta come nuova capitale del nuovo Stato. La vittoria dei bolscevichi convinse Lenin a rompere definitivamente con la tradizione socialista di stampo riformista: fin dal 1918, del resto, i bolscevichi avevano cambiato nome al partito, denominandolo Partito comunista di Russia. Nel 1919 fu costituito un nuovo organo di raccordo internazionale dei movimenti dei lavoratori, chiamato “Internazionale comunista” o, in forma abbreviata, Comintern, o ancora “Terza Internazionale”, per distinguerla dalla Prima (1864) e dalla Seconda (1889) Internazionale socialista [ Vol. 2, 29.2 e 29.3].

Dmitrij Stakhievicˇ Moor, W la Terza Internazionale!, 1921

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa NEP e riforme sociali Terminata la guerra civile, la “dittatura alimentare” fu abbandonata e si adottò un nuovo regime di controllo pubblico dell’economia, la cosiddetta Nuova Politica Economica (NEP), a carattere misto: lo Stato continuava a regolare le attività produttive, agricole e industriali, ma nel campo agricolo consentiva una certa autonomia. I contadini, dopo aver versato allo Stato la quota di prodotti stabilita, potevano disporre liberamente dei prodotti restanti. In quel periodo furono avviate le prime riforme per combattere l’analfabetismo, antica piaga del mondo russo; così pure si gettarono le basi per creare un’organizzazione sanitaria e assistenziale. L’URSS Il 30 dicembre 1922 si compì una riorganizzazione generale dello Stato, che fu ordinato in Federazione di Repubbliche con il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Ogni Repubblica aveva un suo governo locale; lo Stato federale era retto da un soviet supremo (potere legislativo) e da un consiglio dei ministri (potere esecutivo). Il potere giudiziario era affidato a una corte suprema, dalla quale dipendevano tutti i tribunali. Aleksandr Rodchenko, Manifesto per la propaganda del libro, 1924 [Rodchenko Archives, Mosca; © by SIAE 2004]

L’elevatissima percentuale di analfabeti, che in certe regioni della Russia superava il 99%, era una delle piaghe dell’era prerivoluzionaria. Fin dai primi anni Venti notevole fu l’impegno del governo bolscevico per l’alfabetizzazione: alla fine del decennio gli analfabeti erano scesi al 38%.

I modi della storia

La Nuova Politica Economica

La gestione statale dell’economia fu uno dei princìpi cardine seguiti da Lenin (e più tardi, in modo diverso, da Stalin) nel governo dell’Unione Sovietica. Durante la guerra civile (1917-21), per far fronte alle necessità quotidiane di una popolazione affamata, Lenin adottò una dura politica - denominata in seguito ‘comunismo di guerra’ - che prevedeva oltre alla requisizione da parte dello Stato della produzione agricola (la cosiddetta ‘dittatura alimentare’, con successiva ridistribuzione secondo un rigoroso programma di razionamento), anche la nazionalizzazione dei settori industriali più importanti e il divieto del commercio privato. La politica del comunismo di guerra, tuttavia, non migliorò le condizioni del paese

e nel 1921 Lenin adottò un sistema economico nuovo – che fu perciò detto Nuova Politica Economica o NEP – che introduceva elementi di libero mercato accanto alla regolamentazione statale dell’economia. Volta a riparare i disastri della guerra civile e del “comunismo di guerra”, la NEP ripristinò il principio della proprietà privata nel settore agrario dell’economia (mentre l’industria rimaneva totalmente nazionalizzata). Ai contadini era sempre richiesta una quantità di prodotti da consegnare allo Stato; essi potevano però vendere sul mercato la quantità eccedente. In questo modo, cointeressando i contadini all’aumento produttivo, la disponibilità complessiva di cibo aumentò, alleggerendo il peso della carestia che aveva colpito il paese.

Lo stesso Lenin, tuttavia, considerava la NEP una soluzione temporanea, che, pur resa necessaria dalle drammatiche circostanze, di fatto ostacolava la realizzazione del socialismo in Russia. Istituito nel 1921, il nuovo sistema economico durò fino al 1929, cinque anni dopo la morte di Lenin. A quel punto il suo successore, Stalin, mise fine all’esperimento e di nuovo concentrò tutta l’economia nazionale sotto il controllo dello Stato. I contadini che si erano arricchiti (i kulaki) grazie alla NEP furono duramente perseguitati e si affermò una nuova linea di programmazione economica, quella della collettivizzazione forzata dell’agricoltura e dei “piani quinquennali” [ 13.1] che dovevano sostenere l’industrializzazione dell’URSS.

81 Stalin guida il popolo in un manifesto celebrativo

6.7 Da Lenin a Stalin Il potere del Partito comunista Al di là degli organi istituzionali di governo, il potere era di fatto accentrato nelle mani del Partito comunista, l’unico riconosciuto dalla Costituzione, che controllava tutti gli aspetti della vita dello Stato. Ogni voce di dissenso fu soffocata, ogni forma di autonomia (anche quella dei sindacati) fu impedita. Si venne così a delineare nello Stato sovietico quel carattere di autoritarismo che si sarebbe poi affermato come elemento permanente della sua storia. I bolscevichi si impegnarono in una sistematica opera di propaganda e di indottrinamento ideologico, incoraggiando l’iscrizione dei giovani al partito, orientando i programmi di formazione scolastica. Anche la vita religiosa fu colpita dal movimento rivoluzionario, che si ispirava all’ateismo marxista e vedeva nella Chiesa greco-ortodossa un’organizzazione collegata al passato zarista. Pertanto si proibirono il culto e l’istruzione religiosa, mentre i beni ecclesiastici furono confiscati, le chiese costrette a chiudere, i capi religiosi imprigionati o ridotti al silenzio, il culto proibito per legge. Il «socialismo in un solo paese» Nel 1924 morì Lenin. La sua scomparsa fu seguita da un periodo di contrasti tra i membri del comitato centrale del partito, che si contesero la successione al potere: in particolare si scontrarono Trotzkij, l’organizzatore dell’armata rossa, e Stalin, segretario del Partito comunista. Trotzkij sosteneva che la Russia avrebbe dovuto impegnarsi per diffondere la rivoluzione socialista anche negli altri Stati, in particolare in quelli europei; solo così si sarebbe consolidata la svolta avviata nel paese. Stalin invece sosteneva che tutti gli sforzi del governo dovevano essere rivolti all’attuazione del «socialismo in un solo paese», cioè in Russia; agli altri paesi si sarebbe pensato in momenti più favorevoli. Stalin al potere Dopo tre anni di dibattiti finì per prevalere la linea di Stalin, nonostante Lenin nel suo testamento politico avesse messo in guardia dai tratti pericolosi e intolleranti del segretario generale. A Stalin furono affidate la direzione del partito e la guida del governo. Iniziava in questo modo una nuova fase della rivoluzione sovietica, caratterizzata dal crescente potere personale di Stalin, che perseguì la sistematica eliminazione degli avversari politici, avviando nel paese una politica di industrializzazione forzata e di crescente militarizzazione [ 13]. Trotzkij fu deportato in una località dell’Asia centrale e poi espulso dall’URSS. Si rifugiò in Messico, dove condusse un’incessante polemica contro lo stalinismo, finché nel 1940 fu assassinato da un sicario per ordine dello stesso Stalin.

82

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

Sintesi

La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS

Un paese arretrato All’inizio del Novecento la Russia era un paese arretrato. La proprietà terriera era in gran parte nelle mani dei nobili e solo in piccola parte in quelle di piccoli proprietari (kulaki); era ancora diffusa la servitù della gleba. Grazie a capitali stranieri e sovvenzioni statali, si diffusero i primi complessi industriali e con essi le prime masse operaie, dalle condizioni di vita miserevoli e dai salari bassi. La forma di Stato era l’assolutismo monarchico e i poteri erano accentrati nelle mani dello zar. Dalle proteste alle rivolte Le cattive condizioni economiche e la mancanza di libertà favorirono la formazione di movimenti di opposizione al governo. I primi furono i nichilisti, anarchici che sostenevano l’uso della violenza per distruggere lo Stato. In seguito si sviluppò il Partito socialista russo (1898), diviso in due correnti, i menscevichi riformisti e i bolscevichi rivoluzionari. Dopo la sconfitta nella guerra contro il Giappone (1904), la miseria crebbe ulteriormente determinando, nel 1905, una protesta della popolazione di San Pietroburgo, soffocata nel sangue dall’esercito. Altre proteste si diffusero in diverse località. Lo zar Nicola II fu costretto a concedere un Parlamento, la libertà di stampa, la proprietà di terre ai poveri, ma tali riforme non furono effettivamente applicate. La rivoluzione del febbraio 1917 Nel primo anno del primo conflitto mondiale (1914), la Russia perse 4 milioni di uomini. Iniziarono a manifestarsi i primi segni di ribellione sia tra i soldati, sia tra i civili. A San Pietroburgo la popolazione scese in piazza (23 febbraio 1917) e a essa si unirono anche i soldati mandati a sedare la manifestazione. La rivolta si estese a tutto il paese e fu formato

un governo provvisorio di stampo liberale. Con l’abdicazione dello zar, la Russia divenne una repubblica.

luglio 1918, con la nuova Costituzione, nacque la “Repubblica dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini”.

La rivoluzione di ottobre Con la nascita della repubblica, rientrarono molti esiliati politici; tra questi Lenin. Il suo disegno (esposto nel documento “tesi di aprile”) era provocare una rivoluzione che portasse al governo operai e contadini, rappresentati dai consigli detti soviet. Dopo un tentato colpo di Stato da parte di truppe guidate dal generale zarista Kornilov, il capo del governo Kerenskij chiese appoggio ai soviet, che di fatto sventarono il colpo di Stato. I capi dei soviet, ormai consapevoli della loro forza, costituirono un comitato direttivo (capeggiato da Lenin, Trotzkij e Stalin) che disponeva anche di un’armata, composta da 30.000 soldati e di 12.000 “guardie rosse”. Tra il 24 e il 25 ottobre 1917 le guardie rosse occuparono San Pietroburgo. Preso il potere con estrema facilità, i bolscevichi formarono un nuovo governo e ne affidarono la presidenza a Lenin.

Nasce l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) Gli anni della guerra civile (1917-21) furono durissimi, segnati da devastazioni, saccheggi, gravi privazioni. La popolazione era ridotta alla fame. Il governo ricorse a misure autoritarie finalizzate a garantire a tutti la quantità di grano indispensabile alla sopravvivenza. La guerra civile si concluse con la vittoria dell’Armata rossa. La capitale fu spostata a Mosca e fu istituita la Terza Internazionale (Comintern). Fu adottata la Nuova Politica Economica (NEP) che prevedeva il controllo dello Stato su tutta l’economia, ma concedeva una certa autonomia ai contadini. Lo Stato, riorganizzato in una federazione di repubbliche (il 30 dicembre 1922 prese il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, URSS), era retto da un soviet supremo (potere legislativo) e da un consiglio dei ministri (potere esecutivo). Il potere giudiziario era affidato a una corte suprema.

Nasce la Russia sovietica Le prime disposizioni del nuovo governo ne manifestarono il carattere social-comunista: distribuzione della terra ai contadini, controllo delle fabbriche agli operai, nazionalizzazione delle banche. Inoltre, la Russia uscì dalla guerra, firmando un trattato di pace separata con la Germania. La Russia dovette cedere le terre baltiche (Lituania, Estonia, Livonia, Curlandia) e riconoscere l’indipendenza della Finlandia e dell’Ucraina. La forte opposizione armata (armate bianche) contro il governo bolscevico (armate rosse) portò alla guerra civile. Le armate bianche furono appoggiate da Francia, Inghilterra, Giappone e USA, allarmati dalla possibilità di una diffusione della rivoluzione bolscevica nel mondo. Il 10

Da Lenin a Stalin Il Partito comunista deteneva di fatto il potere. Fu costituito uno Stato dal carattere fortemente autoritario. Fu portata avanti una massiccia opera di propaganda e indottrinamento; il culto religioso fu proibito per legge, in nome dell’ateismo marxista. Alla morte di Lenin (1924) e dopo una fase di contrasto fra Trotzkij e Stalin, dopo tre anni prevalse Stalin, a cui furono affidati il governo e la direzione del partito. Stalin puntò all’industrializzazione forzata e alla militarizzazione dello Stato. Inoltre, eliminò tutti i suoi avversari politici: tra gli altri, Trotzkij fu espulso e si rifugiò in Messico, dove nel 1940 fu assassinato dietro ordine dello stesso Stalin.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La servitù della gleba fu ufficialmente abolita da Lenin.

V

F

b. Il Partito socialista russo era diviso in due diverse tendenze: i menscevichi e i bolscevichi.

V

F

Capitolo 6 La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS

c. L’ammutinamento del Potëmkin viene comunemente ricordato come “sabato di sangue”.

V

F

d. I soviet erano i collegi elettorali del governo nato dalle rivolte del 1917.

V

F

e. Nel documento “tesi di aprile” Lenin espose la sua strategia rivoluzionaria.

V

F

f. I bolscevichi salirono al potere in seguito all’appoggio dato al colpo di Stato guidato dal generale Georgevic Kornilov.

V

g. Con il trattato di pace firmato separatamente con la Germania, la Russia fu costretta a riconoscere l’indipendenza della Finlandia e dell’Ucraina.

V

F

h. Le armate rosse erano milizie bolsceviche, guidate da Trotzkij.

V

F

i. Con la morte dello zar Nicola II finiva la dinastia dei Romanov.

V

l. La Nuova Politica Economica dava una certa autonomia agli operai.

V

m. Nel 1924 morì Lenin che designò Stalin come suo successore.

V

F

2. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Iosif Stalin

Tesi di aprile

Nicola II Romanov

intelligencija

Maksim Gorkij

tentativo di colpo di Stato

Vladimir Ul’janov Lenin

istituzione della duma

Aleksandr Kerenskij

Armata rossa

Sergej Ejzenštejn

corazzata Potëmkin

F

Lev Trotzkij

socialismo in un solo paese

F

Georgevic Kornilov

governo provvisorio

F

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. kulaki • zar • nichilisti • menscevichi • bolscevichi • pope • ammutinamento • duma • incrociatore • soviet • esproprio • nazionalizzazione • indottrinamento Privazione della proprietà privata su un determinato bene Assemblea formata da delegati di operai, soldati e contadini Azione di martellante propaganda ideologica Rifiuto di un gruppo di militari di obbedire a un ordine

Analizzare e produrre Gruppi anarchici di opposizione al governo dello zar Nave da guerra veloce e fornita di cannoni

4. Completa la tabella riportando all’interno, corretta, i termini indicati. Socialistinella russi posizione di tendenza riformista cavalieri • secolare • autonomia • corvées • decima • dipendenza • mestiere • taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei Piccoli proprietari terrieri benestanti russi Funzione sociale NOBILI

CONTADINI

guerrieri

produttori di beni

Assunzione statale del controllo e proprietà dei mezzi di produzione Vita quotidiana Condizione sociale Sacerdote russo I …...................….. erano educati al ……..................….. delle armi. Pratica- ……................................….. Socialisti russi di tendenzae rivoluzionaria vano la …….........................….. economica i ……........................….. Imperatore di Russia Avevano soprattutto obblighi. Tra questi, i più diffusi erano Parlamento russo e il …….....................….. . Altri tributi erano la le …….....................….. ……........................….. e i ……........................….. Erano divisi in clero …….........................….. (monaci) e in clero

preghiera ……........................….. (preti).sparso. Sapevano leggere e scrivere. Godevano 4.SACERDOTI Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine 1861

1. 2. 3. 4. 5.

1881

1898

di una entrata specifica, la…….........................….. 1915 1917 1919 1920

trattato di Sèvres accordi di Londra abolizione della servitù della gleba morte di Alessandro II fondazione del Partito socialista russo

6. 7. 8. 9. 10.

1922

……................................…..

economica …….................................…..

economica 1924

governo provvisorio con Kerenskij Comintern morte di Lenin morte di Trotzkij rivolta turca guidata da Mustafà Kemal

1940

83

84

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. ammutinamento • aumento • bolscevichi • cannoneggiamento • colpo di Stato • comitato • fuga • Giappone • governo • Kerenskij • lavoro • Lenin • liberali • menscevichi • militari • occupazione • operai • Palazzo d’Inverno • pane • popolo • Prima guerra mondiale • protesta • rivoluzione • soviet

LE TRE RIVOLUZIONI QUANDO

22 gennaio 1905

23 febbraio 1917

24 ottobre 1917

DOVE

San Pietroburgo e Odessa

San Pietroburgo

San Pietroburgo

........................................................................

Movimento spontaneo:

................................... (..................................

........................................................................

direttivo)

PROMOSSA DA

Guerra contro il ....................... (1904)

LE CAUSE

Migliori condizioni di ...........................

LO SCOPO EPISODI SALIENTI

ESITO FINALE

Folla verso il palazzo del governo; equipaggio Potëmkin

.........................

sulla folla e dei militari ribelli

Morti e ...................................... dopo la ........................................................................

Andamento disastroso della guerra e tentato ................................... zarista

Protesta contro la mancanza di ...................... e l’..................... dei prezzi

Completare la .......................... dando il potere ai ................................................

...................................................

in strada

si estende nel paese

.............................................

Formazione del .....................................

.................................

........................................................................ ...................... (.....................

e ....................) affiancato dai ..........................................

dei punti strategici della città e del ......................................

...............................

di ............................; al potere e nuovo governo guidato da .............................. ....................................

..................................

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzava l’agricoltura e l’industria nella Russia prerivoluzionaria? 2. In che modo era composta la società della Russia prerivoluzionaria?

3. Quali erano le condizioni di vita delle diverse classi sociali? 4. Quale era la forma di Stato? Che cosa caratterizzava il governo dello Stato? Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA RUSSIA PRERIVOLUZIONARIA ...............................................................................................................................................................................................................................................

L’ECONOMIA

............................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................... ...............................................................................................................................................................................................................................................

LA SOCIETÀ

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LA POLITICA

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7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali ruoli politici furono assunti da Lenin, Stalin e Trotzkij? 2. Quale era il progetto politico di Lenin, di Stalin e di Trotzkij? 3. Quali azioni politiche caratterizzarono il governo di Lenin?

4. Quali azioni politiche caratterizzarono il governo di Stalin? 5. Come si risolse il contrasto tra Stalin e Trotzkij? 6. In che periodo governarono Lenin e Stalin?

Capitolo 6 La Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

I PRINCIPALI ESPONENTI BOLSCEVICHI

RUOLO POLITICO

PROGETTO POLITICO

AZIONI POLITICHE

LENIN

STALIN

TROTZKIJ

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8. Verso il saggio breve Leggi il documento «Le “Tesi di aprile”» a p. 77 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quando tornò Lenin in Russia? Da dove proveniva? 2. Che cosa erano le “tesi di aprile”? Che cosa contenevano? Dove furono pubblicate? 3. Su quale punto Lenin si differenziava dal pensiero di Marx? 4. Che cosa aveva caratterizzato la prima tappa della rivoluzione? In che cosa consisteva la seconda tappa? 5. Come ci si sarebbe dovuti comportare nei confronti del governo provvisorio? 6. Quale posizione occupavano i bolscevichi nei soviet operai? Come dovevano comportarsi? 7. Quale forma di rappresentanza andava instaurata? 8. Come ci si sarebbe dovuti comportare nei confronti dei proprietari fondiari e delle banche? 9. Quali nuove caratteristiche avrebbe dovuto assumere il partito? Leggi il documento “La Nuova Politica Economica” a p. 80 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contraddistingueva la gestione dell’economia ideata da Lenin? 2. Che cosa era il comunismo di guerra? Che cosa era la dittatura alimentare? A che cosa servivano? 3. Che cosa era la Nuova Politica Economica? Che cosa la caratterizzava?

4. Quale principio economico fu ripristinato? Secondo quali modalità? In quale settore? 5. Che conseguenze ebbe l’adozione della NEP? Come era considerata da Lenin? 6. Fino a quando durò la NEP? Da chi fu eliminata? Per quale motivo? Con quali conseguenze? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Profilo di Lenin”.

9. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando nacque l’URSS? Quale forma di Stato fu adottata? A che scopo? 2. Dopo la rivoluzione bolscevica, che cosa fu deciso riguardo la proprietà fondiaria e le banche? 3. Quali novità furono introdotte nell’organizzazione delle industrie? 4. Quali furono le politiche economiche seguite da Lenin? A che scopo? 5. Quali decisioni furono prese riguardo la politica estera e la partecipazione alla guerra? 6. Dove fu spostata la capitale? Per quale motivo? 7. Quali decisioni furono prese nei confronti della religione e del clero? 8. Quale era la funzione del Partito comunista? Chi deteneva i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario? 9. Quali riforme furono avviate da Lenin? A che scopo?

85

86

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

POLITICA ESTERA ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

I BENI E LE PROPRIETÀ

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SISTEMA DEI POTERI

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LO STATO POSTRIVOLUZIONARIO

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LE RIFORME INTERNE

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POLITICA ECONOMICA

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POLITICA RELIGIOSA ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

7 La crisi degli

Capitolo

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imperi coloniali

Percorso breve Dopo la Grande guerra le potenze europee, indebolitesi, perdettero la loro egemonia mondiale e la possibilità di controllare gli imperi coloniali. Si svilupparono pertanto, soprattutto nei paesi asiatici, tendenze anti-colonialiste sostenute da movimenti indipendentisti. In India il movimento indipendentista divenne un movimento di massa guidato dalla figura carismatica di Gandhi che, predicando la non violenza e la disobbedienza civile come forma di protesta, mise in difficoltà gli inglesi, costringendoli a scendere a patti col movimento. In Cina, il dominio economico delle potenze straniere e l’occupazione giapponese della Manciuria provocarono una grave crisi politica. Un movimento di liberazione nazionale guidato da Sun Yat-sen, fondatore del Partito nazionale (il Kuo-Mintang), rovesciò la dinastia imperiale Manciù (o Ching) e nel 1911 proclamò la repubblica. Il paese era tuttavia nel caos, nelle province del nord dominavano potenti locali detti “signori della guerra”, nelle campagne si diffondeva il Partito comunista guidato da Mao Tse-tung. Per riunificare il paese contro i separatisti del nord il Partito nazionale (diretto da Chiang Kai-shek) si alleò con i comunisti, salvo poi tentare di eliminarli (Mao Tse-tung con altri 100.000 superstiti riuscì a fuggire verso nord con una “lunga marcia” divenuta leggendaria). Intanto una seconda invasione giapponese spinse Chiang ad affidarsi di nuovo ai comunisti: il loro contributo fu decisivo e nel 1937 Mao si presentò come il salvatore del paese. Nel 1945, dopo la Seconda guerra mondiale e la definitiva sconfitta del Giappone, Mao prese il potere. Il Giappone, divenuto esso stesso una potenza industriale e coloniale, elaborò il progetto di una “grande Asia” dominata dai giapponesi, volgendosi contro la Russia e la Cina. Tale politica di potenza avrebbe trovato il suo pieno sviluppo durante la Seconda guerra mondiale. Oltre Oceano, l’America Latina, nominalmente indipendente, era in realtà soggetta al controllo politico ed economico dell’Europa e soprattutto degli Stati Uniti, che

Mao Tse-tung proclama la nascita della Repubblica popolare cinese

praticarono una strategia imperialista intervenendo, anche militarmente, nella vita interna di molti paesi. In Messico, Argentina e Brasile si affermarono governi populisti, con tendenze autoritarie e anti-democratiche ma al tempo stesso sensibili ai bisogni delle masse popolari. In Africa e nel Medio Oriente si affermò dopo la Grande guerra il controllo franco-inglese. Gli inglesi sostennero anche il progetto sionista di creare in Palestina uno Stato ebraico, che desse una patria agli ebrei dispersi nel mondo.

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

7.1 Potenze in crisi Le conseguenze della guerra Nei decenni successivi al terribile conflitto del 1914-18 le potenze europee perdettero l’egemonia mondiale di cui avevano goduto prima di allora, e furono progressivamente sostituite in questo ruolo dalla crescente potenza degli Stati Uniti [ 8.5]. Anche i loro imperi coloniali cominciarono a vacillare: Gran Bretagna e Francia non avevano più le risorse economiche e la forza militare necessarie per mantenere il controllo su Stati e territori sparsi in tutti i continenti. Di questa situazione di debolezza, innescata dai drammatici costi finanziari, economici e umani della Grande guerra, approfittarono i movimenti indipendentisti che reclamavano autonomia e libertà per i propri paesi. Ciò accadde soprattutto in Asia e solo più tardi in Africa, mentre furono del tutto particolari gli sviluppi politici nell’America del Sud, dove, sulla carta, il colonialismo era già terminato da almeno un secolo.

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L’autodeterminazione dei popoli Allo sviluppo delle tendenze anti colonialiste contribuì, negli anni Venti-Trenta del XX secolo, anche il diffondersi delle idee del presidente americano Wilson, che aveva assunto il diritto all’autodeterminazione dei popoli come principio teorico per la definizione dei nuovi equilibri post bellici [ 5.4]. Furono importanti anche gli echi della Rivoluzione russa che, nel 1917, aveva alzato la bandieP E R sociale O R S S O ra della liberazione ed economica [U 6.4] sostenendo apertamente i movimenti indipendentisti. M

AN Il Commonwealth britannico Fra le potenze coloniali CIU europee, la Gran Bretagna fu la R prima ad avvertire che la situazione stava cambiandoIAe la più pronta ad allentare i vinPort Tokyo amichevoli, o coli fra madrepatria e colonie, per garantirsi il mantenimento di rapporti Arthur MONGOLIA (Giap.) non eccessivamente conflittuali con queste ultime. NelCOREA 1926 le colonie di popolamento,

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I N D O N E S I A

Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali

89

i cosiddetti dominions, che la Gran Bretagna aveva installato in Canada, Sudafrica e Australia (di fatto già semi-autonome) furono associate al Commonwealth (‘bene comune’) britannico. Questo era una libera federazione di Stati che riuniva la Gran Bretagna e alcune ex colonie e, in seguito, sarebbe stato lo strumento per mantenere con questi paesi dei legami economici e politici privilegiati. L’impero coloniale britannico, tuttavia, era formato anche da altri possedimenti, gestiti in forme diverse: c’erano i mandati (ossia delle amministrazioni temporanee) affidati dalla Società delle Nazioni nel Medio Oriente e c’erano anche le vere e proprie colonie, come quella di enorme importanza strategica rappresentata dall’India. Nei decenni successivi alla Prima guerra mondiale però si aggravarono le tensioni con la colonia indiana, dove stavano prendendo corpo forti spinte indipendentiste.

7.2 L’India, Gandhi e la strategia della non violenza Promesse di autonomia Il movimento nazionale indiano aveva cominciato a delinearsi verso la fine dell’Ottocento, guidato dal Partito del Congresso, espressione dell’alta borghesia progressista, proprietari terrieri, nuovi industriali, intellettuali agiati, una minoranza di persone occidentalizzate che, inizialmente, non misero in discussione il governo britannico, ma si accontentarono di chiedere una più forte rappresentanza di indiani nelle assemblee governative della colonia. Le prime richieste di autonomia si ebbero durante la Prima guerra mondiale (1914-18) e rimasero sostanzialmente insoddisfatte, anche se, per premiare il lealismo della classe dirigente indiana, il governo britannico promise di instaurare nel paese forme di autogoverno e di inserire personale indiano in tutti i rami dell’amministrazione. La lotta del Mahatma Gandhi Dopo il 1920 il movimento si sviluppò su basi sociali progressivamente più ampie, grazie soprattutto alla figura carismatica di Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), detto Mahatma ossia ‘Grande Anima’, un avvocato che aveva studiato a Bombay e a Londra, che riuscì a far crescere nelle masse una coscienza nazionale e a farle partecipi della lotta politica, smuovendo la tendenza alla rassegnazione tipica della cultura indiana. Gandhi praticò e insegnò nuovi sistemi di lotta politica, fondati sul principio della non violenza: rifiutarsi di acquistare le merci inglesi, non pagare le tasse, non dare risposte ai giudici nei tribunali, impedire per giorni e mesi la circolazione nelle strade e il trasporto delle merci nelle ferrovie, furono forme di non collaborazione e di disobbedienza civile che, applicate da milioni di persone, ebbero l’effetto di mettere in crisi l’intero sistema governativo e di far sentire alle masse quanto fosse grande la loro forza. La marcia del sale Nel 1930, per esempio, Gandhi sollecitò una campagna di disobbedienza per protestare contro il monopolio governativo del sale, che impediva a chiunque di raccogliere o commerciare questo prodotto essenziale per l’alimentazione quotidiana. Egli partì con alcuni seguaci da Ahmedabad, una importante città della regione del Gujarat nell’India occidentale, dirigendosi verso la costa del Mare Arabico. Lungo il cammino questa “marcia del sale”, come fu detta, non cessò di aggregare gente e si trasformò in una vera processione di massa, che vide sfilare per oltre 400 chilometri migliaia e migliaia di persone, fino alla spiaggia di Dandi (a sud di Ahmedabad) dove Gandhi si chinò a raccogliere un granello di sale, contravvenendo alle disposizioni di legge. La protesta non violenta Tutti lo seguirono, e un’enorme quantità di persone si trovò nella condizione di dover essere incarcerata

Gandhi e Sarojini Naidu durante la “marcia del sale”, 1930 Mahatma Gandhi e Sarojini Naidu (poetessa e scrittrice indiana) camminano insieme durante la protesta silenziosa chiamata “marcia del sale”. Grazie a questa e ad altre innovative proteste non violente, Gandhi riuscì a portare l’India all’indipendenza, che fu proclamata il 15 agosto 1947.

90

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa dalle forze dell’ordine per aver trasgredito la legge. In questa occasione, come in altre, il numero di persone coinvolto fu talmente alto che diventò impossibile per la polizia sorvegliare e nutrire tutti i prigionieri: i governatori britannici vennero pertanto a trovarsi in un groviglio di difficoltà inaspettate. Non sapendo che fare, proposero a Gandhi di sospendere la manifestazione e lo invitarono a Londra per un colloquio con il Primo ministro (al tempo della marcia del sale si trattava del laburista James Ramsay MacDonald, in carica dal 1929 al 1935). Gandhi andò e non ottenne alcun risultato concreto – anzi fu trattato con un certo disprezzo – e al ritorno in India fu di nuovo arrestato. Tuttavia la vicenda ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica mondiale e accrebbe la sua già grande popolarità. In prigione, Gandhi inventò un nuovo genere di protesta: lo sciopero della fame. La tensione fra il popolo indiano e l’amministrazione inglese continuava a crescere.

Difficoltà inglesi Le caute aperture del governo britannico, che negli anni Venti-Trenta cercò di attutire lo scontro riconoscendo un certo spazio agli indiani nell’amministrazione pubblica e consentendo a una piccola parte della popolazione di eleggere propri organismi rappresentativi, non fermarono la marcia dell’India verso l’indipendenza, che sarebbe stata conseguita pochi anni più tardi, al termine della Seconda guerra mondiale [ 16].

I modi della storia

La non violenza è più forte della violenza

Il Mahatma Gandhi (1869-1948), capo della lotta di liberazione condotta per decenni dagli indiani contro gli inglesi, attuò un metodo di lotta rigorosamente non violen-

M

ta, basata su scioperi, disobbedienza alle leggi civili inglesi, resistenza passiva, boicottaggio delle merci, ecc. Processato nel 1922 per incitamento alla

i sono reso conto che il legame con gli inglesi ha reso l’India più diseredata che mai, dal punto di vista economico e politico. Essa è diventata così povera che ha poca possibilità di tener testa alle carestie. Prima della venuta degli inglesi, gli indiani filavano e tessevano in milioni di capanne allo scopo di completare le loro magre risorse agricole. Queste industrie di villaggio sono state rovinate e gli abitanti delle città non sanno che le masse semiaffamate degli indiani stanno scivolando verso la morte, così come ignorano che il loro misero benessere rappresenta soltanto la mercede che essi

disobbedienza civile, Gandhi rivolse ai giudici parole di durissima accusa, che leggiamo di seguito.

ricevono per il lavoro che compiono a favore dello sfruttatore straniero. Essi non si rendono conto adeguatamente che il governo fondato sulla legge dell’India britannica è creato allo scopo preciso di sfruttare le masse. Nessun sofisma, nessun gioco di parole può cancellare gli scheletri che in molti villaggi si presentano all’occhio nudo. In ogni caso sono certo che l’Inghilterra e anche gli abitanti delle città dell’India, se v’è un Dio al di sopra di noi, dovranno rispondere davanti a Lui di questo delitto verso l’umanità e verso la storia. Gandhi

La strategia adottata da Gandhi derivava da concezioni morali e religiose tipiche della tradizione indiana ma fu rafforzato dai princìpi di non violenza professati e condivisi anche da altri uomini del suo tempo, come lo scrittore russo Lev Tolstoj (1828-1910) di cui Gandhi lesse alcuni scritti “illuminanti” e con cui entrò in contatto epistolare. A differenza di Tolstoj, però, Gandhi non credeva nel pacifismo assoluto, dettato da princìpi morali e religiosi di ordine generale, ma in una lotta attiva, tenace, che può anche condurre al sacrificio della propria vita. È la lotta non violenta del forte. Con tali metodi Gandhi raggiunse risultati sorprendenti, mobilitando una resistenza di massa che mise in crisi l’intero sistema coloniale britannico in India. Si leggano in proposito le sue parole.

Gandhi con alcuni delegati indiani a Londra, 1931 Nel 1931 Gandhi prese parte alla seconda conferenza di Londra con la quale il governo inglese tentò di gettare le fondamenta per una Costituzione che garantisse i diritti dell’India e nello stesso tempo proteggesse gli interessi britannici nel paese.

Sono convinto che oggi l’Europa non rappresenta né lo spirito di Dio né il cristianesimo, ma lo spirito di Satana. L’Europa non è cristiana che di nome, in realtà essa ha il culto dei beni terreni. Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra che faccia del bene, questo bene è soltanto temporaneo, mentre il male che fa è durevole. La non-violenza è la legge degli uomini, la violenza è la legge dei bruti. Per divenire una vera forza la non-violenza deve nascere dallo spirito. C’è la non-violenza del debole, del vile: da essa non può mai venire niente di buono. La non-violenza non vuol dire rinuncia a ogni forma di lotta contro il male. Tutt’altro. La non-violenza come la concepisco io è una lotta ancora più attiva e reale della stessa legge del taglione, ma sul piano morale. L’umanità può essere salvata solo dalla non-violenza, che è l’insegnamento centrale della Bibbia. Gandhi

Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali

91

7.3 L’indipendenza della Cina e la formazione della repubblica Il conflitto col Giappone La Cina, indipendente di nome, verso la metà del XIX secolo era di fatto sottomessa al controllo economico e militare dalle maggiori potenze europee [ vol. 2, 34.4]. Agli inizi del Novecento il paese visse una fase di grave disordine politico e di conflitti interni, mentre il Giappone sviluppava esplicite mire egemoniche sulla Manciuria, la regione più settentrionale della Cina, in concorrenza con la Russia interessata anch’essa al controllo di quest’area, ricca di giacimenti e di risorse minerarie. Durante la Prima guerra mondiale la Cina fu coinvolta nel conflitto a fianco dell’Intesa, ma fu poi umiliata, a guerra finita, con il riconoscimento del controllo giapponese – al posto di quello della Germania sconfitta – sulla regione di Shantung. La fine della monarchia In quegli stessi anni iniziò il movimento di liberazione, che ebbe come primo animatore Sun Yat-sen (1905-07), un medico che aveva studiato a Londra e viaggiato negli Stati Uniti. Egli creò un’organizzazione segreta, detta “Lega di alleanza giurata” (Tung meng hui), prendendo a base del suo programma quelli che chiamò i «tre princìpi del popolo»: indipendenza nazionale, democrazia rappresentativa, benessere popolare. Nel 1911 scoppiò un moto rivoluzionario, sostenuto anche da settori dell’esercito: la dinastia Manciù (o Ching), al potere dal 1644, fu rovesciata, la monarchia abolita e proclamata la repubblica. Sun Yat-sen, eletto presidente, entrò in carica il 1° gennaio 1912. Il Kuo-Mintang e la dittatura di Yuan Shi-kai Lo stesso Sun Yat-sen fondò in quei mesi il Kuo-Mintang o Partito nazionale, con il progetto di compiere una profonda trasformazione politica: creare uno Stato moderno ed efficiente, in grado di opporsi al colonialismo e di riaffermare l’indipendenza del paese. Il movimento si diffuse rapidamente, con l’appoggio dei ceti borghesi più evoluti (commercianti, professionisti, intellettuali). Già nel marzo dello stesso anno, però, il nuovo governo mostrò le sue contraddizioni: il generale Yuan Shi-kai (1912-16), ufficiale dell’esercito imperiale, mandato a reprimere la rivolta, si alleò coi repubblicani e si fece eleggere presidente al posto di Sun Yat-sen, mostrando ben presto una vocazione autoritaria, contraria al rinnovamento sociale e politico. Nel 1913 Yuan Shi-kai sciolse il Parlamento appena eletto, mise fuori legge il Kuo-Mintang e costrinse Sun Yat-sen all’esilio, instaurando una dittatura personale appoggiata dalle potenze straniere. Tre anni dopo morì, lasciando la Cina nel caos: il paese si frammentò in vari potentati locali, controllati da “signori della guerra” (come furono chiamati) che avevano totalmente in mano le regioni del nord. La stagione delle guerre civili era ricominciata. Il Partito comunista Nel 1923 il Kuo-Mintang costituì a Canton un governo provvisorio, con il progetto di ripristinare l’unità nazionale, e a tal fine ricercò la collaborazione del Partito comunista, che si era costituito nel 1921 tra insegnanti e studenti dell’Università di Pechino e si era affermato rapidamente nelle campagne, suscitando tra le masse contadine, oppresse da secoli, la fiducia in una vicina emancipazione. Il movimento trovò un capo in Mao Tse-tung (1923-76), un maestro di famiglia contadina benestante, che si segnalò per le particolari capacità organizzative: grazie al suo attivismo ebbero origine numerosi centri politici rurali e i primi nuclei militari a ispirazione comunista. La riunificazione della Cina Nel 1925 morì Sun Yat-sen. A capo del Partito nazionale gli successe Chiang Kai-shek (1925-49), un generale che ottenne l’appoggio dell’esercito e dei ceti cittadini, il quale, dopo aver consolidato il controllo delle regioni meridionali, mise in opera un attacco alle forze separatiste del nord, riuscendo infine a riunire le due parti del paese. Azione decisiva di questa “guerra del nord” fu l’occupazione di Shanghai (1927), resa possibile dal sostegno dei comunisti che prepararono il terreno all’operazione organizzando un grande sciopero insurrezionale. Tuttavia, la stessa dinamica con cui tale evento si era realizzato convinse Chiang Kai-shek che era necessario sbarazzarsi degli alleati, che gli sembravano ormai troppo forti: a Shanghai i capi co-

Sun Yat-sen, 1912 Sun Yat-sen, nato a Macao (sud della Cina) nel 1866, laureato in medicina a Hong Kong, leader della rivoluzione cinese e teorico politico, è considerato il padre della repubblica.

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa munisti furono catturati e giustiziati, e una violenta repressione fu lanciata in tutto il paese contro gli aderenti al partito, con l’aiuto anche di varie bande criminali. Nel 1928 la “guerra del nord” fu portata a temine e nell’ottobre dello stesso anno, a Nanchino, fu proclamata la riunificazione della Cina. Ma il controllo del paese era tutt’altro che realizzato: nelle campagne del nord-ovest rimanevano in armi le bande armate dei “signori della guerra” e dei grandi proprietari terrieri; nel sud operavano i gruppi comunisti scampati alla repressione, militarmente organizzati sotto la guida di Mao Tse-tung.

7.4 La guerra civile in Cina. La vittoria dei comunisti

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Le masse contadine di Mao In Cina, al contrario di quanto si era verificato nei paesi europei, i comunisti svolgevano la loro attività prevalentemente nelle campagne, dove diffondevano le loro idee politiche, insegnavano a leggere e a scrivere, addestravano i contadini a difendersi e a combattere. Ciò accadde anche per motivi contingenti: cacciati dalle città in seguito alle persecuzioni di Chiang Kai-shek, gli uomini di Mao Tsetung dovettero rifugiarsi nelle campagne e lì, tra le popolazioni dei villaggi, ricostituirono la loro organizzazione. Tuttavia, puntare sulle campagne e non sulle città, sui contadini e non sugli operai diventò per Mao una scelta consapevole, ritenuta più adatta alla situaO V I E T I C A zione economica e sociale del paese: in tal modo – portando alle estreme conseguenze -TU VA un’opzione già parzialmente praticata da Lenin [ 6.4] – egli rovesciò totalmente l’imU TA N N postazione teorica del marxismo, M A N C I U RIil A suo legame storico con le masse operaie cresciute con il processo di industrializzazione. Nei territori rurali su cui riuscivano a imporre il M Ocontrollo, N G O L I A i comunisti cinesi espropriarono le grandi proprietà distribuendole ai loro contadini; non toccarono, invece, leCOREA piccole proprietà dei coltivatori diretti, legando Tokyo DEL NORD anche questa classe sociale alla propria causa e riscuotendo un appoggio crescente. GI

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L’attacco del Giappone In questo quadro politico di scontro tra le forze nazionaliste e Port Arthur COREA SHANXI DEL SUD quelle comuniste, nel 1931 la Cina fu attaccata dai giapponesi, che invasero la o Yenan Manciuria. Chiang Kai-shek, maggiormente preoccupato della popolarità di Mao gH an Hw

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Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali

93

Tse-tung che di fatto gli contendeva il controllo del paese, diede la priorità alla lotta contro i comunisti e organizzò contro di loro cinque successive campagne militari, l’ultima delle quali, nel 1934, sembrò raggiungere l’obiettivo di annientarli.

La guerra civile Le truppe di Mao, che si erano accampate in una regione fra le montagne, istituendovi una repubblica comunista autonoma, furono accerchiate e sconfitte dall’esercito governativo, molto superiore di forze. I superstiti, circa 100.000, riuscirono tuttavia a rompere l’accerchiamento e per evitare di essere sterminati fuggirono verso nord, ritirandosi nella provincia di Yenan dopo una marcia di diecimila chilometri, divenuta poi leggendaria e passata alla storia come “lunga marcia”. Pur decimate dalle fatiche e dagli stenti (i superstiti della ritirata furono appena 10.000) le truppe di Mao non solo si riorganizzarono, ma contribuirono in maniera decisiva alla salvezza del paese, accrescendo in modo straordinario il proprio prestigio. La seconda guerra nippo-cinese Nell’aprile 1937, infatti, il Giappone – forte della sua superiorità industriale e militare – sferrò un nuovo attacco contro la Cina, occupando Shanghai e Nanchino. Chiang Kai-shek, preso nella morsa dell’invasione giapponese, fu di nuovo costretto a cercare l’appoggio di Mao per evitare il disastro, stringendo con lui un patto di alleanza. In questa seconda guerra contro il Giappone, l’apporto decisivo fu dato dalle truppe di Mao: benché numericamente esigue, esse seppero organizzare efficaci azioni militari, attivissime e continue, senza mai dare tregua all’avversario, che subì danni molto gravi. La vittoria maoista Negli anni successivi la guerra continuò, intrecciandosi con i tragici eventi del Secondo conflitto mondiale, da cui i giapponesi uscirono definitivamente sconfitti nel 1945 [ 16.6]: a questo punto Mao poté presentarsi alla nazione come un liberatore, erede della tradizione di Sun Yat-sen e portatore di un nuovo programma politico che includeva non solo l’indipendenza nazionale ma anche la rinascita economica e sociale. Chiang Kai-shek, sconfitto, si rifugiò nell’isola di Taiwan sotto la protezione americana, continuando fino alla sua morte (1975) a proclamarsi legittimo presidente della Cina.

7.5 Il Giappone e il programma della “grande Asia” Industria e colonialismo Nell’ampio quadro storico della lotta contro il colonialismo, del tutto particolari appaiono le vicende del Giappone, che, dopo la “grande trasformazione” del 1868 [ vol. 2, 34.5], era diventato una potenza industriale in grado non solo di rendersi indipendente dagli Stati europei e dagli Stati Uniti, ma di praticare essa stessa una politica di espansione nel continente asiatico, a danno specialmente della Cina. I due fenomeni furono strettamente legati, giacché lo sviluppo industriale giapponese (soprattutto nei settori tessile, siderurgico e meccanico) non era autosufficiente ma richiedeva, al tempo stesso, l’importazione di materie prime (cotone, ferro, carbone) e la ricerca di sbocchi commerciali per le proprie merci. A tali esigenze il Giappone rispose con aggressivi piani di espansione militare nell’Asia continentale. La guerra russo-giapponese Il controllo della regione cinese della Manciuria, estremamente ricca di materie prime (ferro, carbone, oro, argento, piombo), scatenò le mire egemoniche sia del Giappone sia della Russia. Da tale contrasto prese origine nel 1904-05 la guerra russo-giapponese: sconfitto l’esercito russo a Mukden e la flotta russa presso

Mao Tse-tung, 1938 Fondatore e capo della Repubblica popolare, Mao Tse-tung fu l’artefice principale della trasformazione radicale dello Stato e della società cinese. Un processo non privo di contraddizioni e sempre oscillante tra modernità e tradizione.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa La battaglia navale di Tsushima, 1905 Durante il breve conflitto che vide il Giappone fronteggiare l’Impero russo, il Giappone dimostrò al mondo la sua potenza militare e la modernità della propria marina.

Tsushima, il Giappone ottenne (con la mediazione degli Stati Uniti) il diritto di sfruttamento economico nella parte meridionale della regione e dell’isola di Sakhalin, di fronte alle coste della Siberia; gli fu inoltre riconosciuto il protettorato sulla Corea.

L’aggressione giapponese Nel 1931 i giapponesi presero Shangai; nel 1932 iniziarono a penetrare in Mongolia. Nel 1936 il governo di Tokyo (dopo aver stretto un patto di alleanza con la Germania e con l’Italia) intensificò la guerra di conquista, basata su un’ideologia – parallela a quella affermatasi in Germania – che sosteneva la superiorità della razza nipponica e il suo diritto-dovere di unificare sotto di sé una “grande Asia”: nel 1937 il Primo ministro Konoe Fumimaro (1937-41), principe di famiglia imperiale, pubblicò un testo secondo cui il popolo giapponese era diverso e superiore a ogni altro popolo della Terra, quindi aveva il diritto di espandersi e di dominare il mondo. Nello stesso anno fu sferrato il secondo attacco alla Cina. Le operazioni belliche si svilupparono specialmente tra il 1939 e il 1945, in Asia e nel Pacifico, intrecciandosi con le battaglie che in quegli anni si stavano combattendo in Europa fra i tedeschi e gli anglo-americani, nel corso della Seconda guerra mondiale.

7.6 L’imperialismo statunitense e gli sviluppi politici dell’America Latina Stati autonomi ma subalterni Gli Stati dell’America Latina avevano conquistato l’autonomia fin dalla prima metà del XIX secolo e avevano tutti sviluppato istituzioni repubblicane (l’ultima monarchia fu rovesciata in Brasile nel 1889). Tuttavia, essi avevano ben presto cominciato a subire la pressione economica e politica degli Stati Uniti, che aumentava parallelamente alla potenza industriale del paese. La questione di Panama L’ingerenza degli Stati Uniti nel Centro-sud del continente divenne sempre più pesante verso la fine del secolo, come mostrò un significativo episodio avvenuto nel 1903. Il governo statunitense pensava da tempo di realizzare un taglio nell’istmo di Panama per mettere in comunicazione diretta, attraverso un canale, l’Atlantico e il Pacifico; ma poiché la Colombia, a cui la regione dell’istmo apparteneva, temporeggiava e non si decideva a concedere il permesso per iniziare i lavori, il governo di Washington provocò un movimento di secessione del Panama che, con la protezione della flotta statunitense, si costituì in repubblica indipendente sotto tutela americana. Il primo atto legislativo del nuovo Stato fu quello di cedere agli Stati Uniti, in affitto perpetuo, una striscia di territorio larga 10 miglia e lunga da un Oceano all’altro, su cui si cominciò subito a scavare il canale, che fu aperto alle navi nel 1914.

Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali L’Unione panamericana Erano solo gli inizi di una strategia imperialista – sul piano economico e finanziario oltre che militare e politico – che nel corso del XX secolo avrebbe portato gli Stati Uniti alla conquista di un effettivo dominio su molti paesi dell’America Centro-meridionale. Vari interventi militari furono compiuti tra il 1904 e il 1917 in Venezuela, nella Repubblica Dominicana, a Haiti, in Nicaragua, in Messico. La creazione, nel 1910, dell’Unione panamericana sancì il predominio degli Stati Uniti sulla vita dell’America Latina, affidando loro un ruolo di “polizia internazionale” contro le ingerenze europee nel continente, e contro ogni movimento che potesse danneggiare gli interessi degli Stati Uniti. Il presidente Theodore Roosevelt (1901-09) la chiamò “politica del bastone”, ricordando spesso nei suoi discorsi un vecchio proverbio che diceva: «Se vuoi andare lontano, parla piano e porta sempre con te un grosso bastone». Un legame forzato con l’Europa L’America Latina, inoltre, subiva una forte dipendenza economica dall’Europa, legata all’esportazione di materie prime e di prodotti agricoli: a questa subalternità dai mercati esteri si accompagnò la crescita delle monocolture (caffè in Brasile, grano in Argentina, canna da zucchero a Cuba, ecc.) gestite da ristrette oligarchie terriere in accordo con i governi, ispirati in linea di principio al liberalismo europeo, ma con molte contraddizioni e in una situazione di generale instabilità politica, che favoriva l’affermazione di dittature militari (come quelle di Batista a Cuba o di Somoza in Nicaragua, affermatesi rispettivamente nel 1933 e nel 1936) o, altrove, di governi autoritari e di regimi populisti. Di particolare interesse furono gli sviluppi politici del Messico e dell’Argentina.

7.7 Governi populisti in America Latina La rivolta messicana In Messico nel 1910 scoppiò una rivolta contro il regime autoritario del presidente Porfirio Díaz, espressione dell’oligarchia terriera, al potere fin dal 1876. L’insurrezione fu guidata da gruppi della borghesia liberale coordinati da Francisco Madero (1873-1913), ma fu affiancata da un vasto moto di guerriglia contadina guidata da Emiliano Zapata (1879-1919) e Pancho Villa (1878-1923), che sostenevano STATI UNITI MESSICO BELIZE

OCEANO ATLANTICO BAHAMAS HAITI CUBA REP. DOMINICANA

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L’America Latina

Il comandante della rivolta contadina Pancho Villa

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa La Parola

populismo Con “populismo” si intende un tipo particolare di regime politico, caratterizzato dal nazionalismo e dal riformismo sociale. Il “popolo” evocato da questo termine non sono le classi lavoratrici (operai, contadini) a cui pensa il pensiero socialista, ma una sorta di entità indifferenziata, quasi idealizzata, che comprende anche le borghesie cittadine (in contrapposizione ai ceti privilegiati) e che si ritiene depositaria dei valori della nazione. Il populismo coincide di solito con una gestione autoritaria del potere e con un rapporto diretto istituito dal capo con le masse.

Juan Domingo Perón e la moglie Evita Gran parte del successo di Perón era dovuto alla popolarità della moglie, Eva Duarte (Evita). Nel 1945, quando Perón, allora ministro del Lavoro, venne arrestato, fu Evita a farlo liberare, facendo appello ai lavoratori e ai diseredati, i cosiddetti descamisados (‘poveri senza giacca’), la cui causa era stata difesa da Perón.

la necessità di una riforma agraria, che espropriasse i latifondi e ridistribuisse la terra ai braccianti (il ceto più povero e numeroso della popolazione contadina, circa i tre quarti del totale). Nel 1911 Diaz fu costretto a lasciare il governo e Madero fu eletto presidente (lo rimase fino al 1913), ma a questo punto scoppiò il contrasto fra le due componenti della rivolta, quella borghese e quella contadina. Due anni dopo, un colpo di Stato eliminò Madero e portò al potere il generale Victoriano Huerta (1913-14), instaurando un regime di violenta reazione. Fu la guerra civile, terminata solo nel 1921 con la salita alla presidenza del progressista Alvaro Obregón (1921-24), che varò una Costituzione democratica aperta alle esigenze di rinnovamento sociale. L’instabilità rimase ancora a lungo una caratteristica della politica messicana, che nell’insieme parve indirizzarsi verso scelte di tipo populista, molto avanzate sul piano delle riforme, più o meno esplicitamente ispirate all’ideologia socialista. Questo carattere fortemente sociale della politica messicana fu ulteriormente rafforzato dal presidente Lázaro Cárdenas (1934-40), che rilanciò la riforma agraria e potenziò il ruolo dello Stato nella gestione dell’economia, nazionalizzando gli impianti di estrazione e di raffinazione del petrolio, che furono sottratti alle aziende private e straniere.

I colpi di Stato argentini Anche in Argentina si alternarono tendenze democratiche e autoritarie, che infine sfociarono in un regime tipicamente populista. Nel 1912 fu introdotto nel paese il suffragio universale maschile e i risultati delle elezioni premiarono le forze borghesi progressiste. Nel 1930 un colpo di Stato militare rovesciò le istituzioni democratiche e per dieci anni portò al potere i generali e le oligarchie terriere. Nel 1943 un nuovo colpo di Stato, organizzato da un gruppo di generali ostili all’egemonia statunitense nell’America Latina, portò al potere il generale Pedro Ramírez (1943-44), che avviò una politica sociale innovativa, in stretta collaborazione con il ministro del Lavoro Juan Domingo Perón (1943), che instaurò un rapporto privilegiato con i sindacati operai. Nel 1945 ancora un colpo di Stato, appoggiato dal governo statunitense, sciolse il governo e imprigionò Perón. Grandi manifestazioni di massa, organizzate dai sindacati e dall’attrice radiofonica Eva Duarte (1919-1952), che Perón avrebbe poi sposato, portarono alla sua liberazione e a nuove elezioni, che decretarono il trionfale successo di Perón (1946-55). Il rapporto diretto del presidente con le masse rimase negli anni successivi il carattere di una politica nazionale e sociale, di stampo populista, che diventò emblematica al punto da essere chiamata peronismo. Il regime dittatoriale del Brasile Anche in Brasile, una rivolta scoppiata nel 1930 contro le vecchie oligarchie terriere portò alla creazione di un governo populista guidato dal presidente Getulio Vargas (1930-45, poi di nuovo al governo dal 1951 al 1954). Egli diede vita a un regime autoritario, caratterizzato da una politica repressiva e censoria ma con un forte programma sociale, basato sul rapporto diretto fra il capo e il suo “popolo”, sui consueti motivi del nazionalismo e sugli interventi sociali a favore dei lavoratori e delle classi più deboli.

7.8 Africa e Medio Oriente: il controllo europeo Il predominio britannico Gli Stati africani restarono più a lungo di quelli asiatici sotto il controllo coloniale europeo. Lo stesso Egitto, nominalmente diventato una monarchia indipendente nel 1922, continuò di fatto a restare sotto il controllo inglese, imposto al paese nel 1875 dopo l’apertura del canale di Suez [ vol. 2, I luoghi della storia, 32.2]. Nazionalismo arabo, controllo straniero Nel Medio Oriente, il nazionalismo arabo fu strumentalizzato durante la Grande guerra per gli interessi delle potenze europee dell’Intesa e in particolare della Gran

Istanbul Ankara

Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali

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Controllo italiano Controllo francese Controllo inglese

Controllo italiano

Bretagna. Per guadagnarsi il favore dei potentati locali e ottenerne l’aiuto contro la Controllo francese Turchia (alleatasiControllo con la Germania e l’Austria-Ungheria), il commissario britannico per inglese l’Egitto Arthur MacMahon (1890-1980) promise nel 1915 al capo della tribù della Mecca, Sayyid Hussein bin Ali (1908-24), la creazione di un regno arabo indipendente da affidare al suo governo. Le truppe arabe sostennero pertanto gli inglesi, guidate dai due figli dello stesso Hussein con la consulenza del colonnello britannico Thomas Edward Lawrence (1914-18), il leggendario “Lawrence d’Arabia” celebrato anche dal cinema. Ma la promessa fu tradita. Già nel 1916, ai tempi del patto di Londra [ 4.4], inglesi e francesi si accordarono per spartirsi il Medio Oriente arabo in due rispettive zone di influenza, sotto forma di “mandato” protettivo (Siria e Libano furono affidate alla Francia, le regioni mesopotamiche e la Palestina alla Gran Bretagna). Nella zona di competenza britannica furono fondati due nuovi Stati, l’Iraq e la Transgiordania (attuale Giordania).

Il “sionismo” e la dichiarazione Balfour Nel 1917, inoltre, il ministro degli Esteri inglese Arthur James Balfour aderì alle richieste del sionismo, un movimento internazionale nato fra gli ebrei residenti in Europa, di poter creare in Palestina una sede per la nazione ebraica. Da secoli la Palestina era abitata da popolazioni di stirpe araba e di religione musulmana, tra le quali vivevano piccole minoranze ebraiche. Il numero degli ebrei cominciò ad aumentare sul finire dell’Ottocento e nel primo ventennio del Novecento, quando appunto si sviluppò il movimento sionista, che si proponeva di trasferire in quella regione gli ebrei sparsi nei diversi paesi del mondo e spesso perseguitati, al fine di far loro ritrovare la “patria ebraica” perduta duemila anni prima, con la cacciata degli ebrei dalla Palestina al tempo dell’imperatore romano Vespasiano (anno 71 d.C.). Quando la Palestina, già soggetta ai turchi, passò sotto il controllo inglese, l’immigrazione degli ebrei fu incoraggiata e, con la dichiarazione Balfour del 1917, pienamente legittimata. L’accelerazione del movimento migratorio provocò già nel 1920-21 i primi scontri con i residenti arabi. Fu questo l’inizio di un problema delicatissimo, tuttora di fatto insoluto.

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La Parola

sionismo “Sionismo” deriva dal nome del monte Sion, primitivo nucleo della città di Gerusalemme. Il termine fu coniato nel 1890 dall’editore austriaco Nathan Birnbaum, che lo riprese dal libro Auto-emancipazione (pubblicato nel 1882) del medico polacco Leon Pinsker (1821-1891), membro dell’associazione Hovevei Zion (‘Amanti di Sion’) che promuoveva la fondazione di insediamenti ebraici in Palestina e la formazione di una coscienza nazionale.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

I tempi della storia I Protocolli degli Anziani di Sion Anche un documento falso può influenzare le vicende storiche. La celebre Donazione di Costantino, con cui, nell’anno 313, l’imperatore avrebbe donato al papa la sovranità su Roma e sull’Italia, fu in realtà fabbricata tra l’VIII e il IX secolo per giustificare le ambizioni temporali e universaliste del pontefice romano. Solo nel XV secolo l’umanista Lorenzo Valla dimostrò che si trattava di un falso: ma per secoli quel documento era stato impugnato come un’arma che legittimava l’azione politica e religiosa del Papato. Un caso altrettanto clamoroso è quello dei Protocolli degli Anziani (o Savi) di Sion, un testo prodotto dalla polizia segreta russa (Okhrana) agli inizi del XX secolo, per addossare agli ebrei una presunta cospirazione volta a impossessarsi – nientemeno – del mondo. È possibile che il documento sia stato prodotto in seguito al primo congresso sionista avvenuto a Basilea, in Svizzera, nel 1897. Pubblicato in Russia nel 1903, il testo è attribuito a un gruppo di Anziani ebrei che mettono a punto le strategie per conquistare la Terra, principalmente attraverso il controllo della finanza e dei mezzi di comunicazione. La manipolazione delle masse e il sovvertimento dell’ordine politico e sociale sono l’obiettivo da raggiungere tramite la diffusione di idee liberali, la contestazione

delle autorità tradizionali, la promozione di guerre e rivoluzioni. In questo immaginario progetto di cospirazione ebraica si rispecchiavano, evidentemente, i timori di menti reazionarie, che vedevano con odio e con sospetto i movimenti di protesta che tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo scuotevano la Russia, dopo aver messo a soqquadro l’intera Europa. Liberali, rivoluzionari, riformisti, progressisti “inquinavano” il paese, e dopo il 1905 (proteste popolari stroncate a San Pietroburgo dall’esercito) sembrava perfino essersi messo in moto un cauto processo di liberalizzazione: lo zar aveva promesso riforme e, anche se non le aveva mantenute, gli ambienti più retrivi del paese erano in agitazione. Dare la colpa di tutto ciò agli ebrei, minoranza fragile, spesso discriminata e perseguitata, era un modo “facile” per individuare un capro espiatorio. Proprio in quegli anni (1903-06) in Russia avvennero vari pogrom, tumulti popolari contro gli ebrei, con saccheggi e uccisioni. Prendersela con le minoranze è un modo ricorrente di sfogare le tensioni sociali. Quando fu chiaro che i Protocolli erano stati scritti da agenti della polizia segreta, lo zar Nicola II ordinò di sequestrarne le copie in circolazione. La falsità del documento fu denunciata anche in una serie di articoli pubblicati sul «Times» di Lon-

dra, in cui si indicavano con precisione le fonti (testi satirici francesi dell’Ottocento, rivolti contro Napoleone III) a partire dalle quali i Protocolli erano stati “montati”, con un metodo quasi da copia-e-incolla. Ciononostante i Protocolli continuarono a essere diffusi, stampati e tradotti in varie lingue. Nel clima montante di antisemitismo, alimentato dalle difficoltà che i paesi europei attraversarono durante e dopo la Prima guerra mondiale, perfino la rivoluzione bolscevica del 1917 fu fatta passare per una cospirazione ebraica. Più tardi, anche Hitler utilizzò i Protocolli (tradotti in tedesco nel 1919) per denunciare il presunto complotto ebraico a danno del popolo tedesco, e ne fece una lettura obbligatoria per gli studenti del paese. In questo modo si ponevano le premesse per giustificare la persecuzione sistematica degli ebrei, che sarebbe iniziata di lì a poco. Ancora oggi, i Protocolli degli Anziani di Sion sono utilizzati in diversi paesi arabi per alimentare la polemica anti-ebraica. La teoria del complotto fatica a morire, nonostante la falsità del documento sia stata dimostrata ormai da un secolo. Anche un documento falso può influenzare le vicende storiche, ed essere brandito come un’arma.

Will Eisner, Il Complotto, 2006 [Due tavole da Il Complotto © Will Eisner e Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino]

Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali

Sintesi

La crisi degli imperi coloniali

Potenze in crisi Dopo la Prima guerra mondiale le potenze europee si indebolirono: persero il controllo dei possedimenti coloniali, mentre si affermavano movimenti indipendentisti che miravano a ottenere l’autonomia, anzitutto in Asia. Questo fenomeno fu favorito anche dal sostegno dato dal presidente americano Wilson al principio dell’autodeterminazione dei popoli. L’Inghilterra, che comprese il cambiamento in atto, associò al Commonwealth Canada, Sudafrica e Australia, ma crebbero i contrasti con la colonia dell’India. L’India, Gandhi e la strategia della non violenza Il movimento nazionale indiano, sviluppatosi alla fine dell’Ottocento, dal 1920 prese quota grazie a Gandhi che riuscì a coinvolgere le masse nella lotta politica ricorrendo al principio della non violenza, basato su forme di disobbedienza civile che paralizzavano l’attività del governo inglese. Gandhi fu arrestato e dal carcere protestò con lo sciopero della fame. L’India raggiunse l’indipendenza nel secondo dopoguerra. L’indipendenza della Cina e la formazione della repubblica All’inizio del Novecento, in Cina (di fatto indipendente, ma sottoposta al controllo indiretto delle potenze europee) si sviluppò il movimento di liberazione nazionale, animato da Sun Yat-sen e finalizzato a ottenere l’indipendenza, la democrazia rappresentativa e il benessere (“tre princìpi del popolo”). Nel 1911 fu rovesciata la dinastia Manciù e proclamata la repubblica. L’anno successivo Sun Yat-sen fu eletto presidente e fondò il Partito nazionale (Kuo-Mintang), ma fu poi spodestato ed esiliato dal generale Yuan Shi-kai; il paese finì per frammentarsi in potentati locali. Nel 1925 capo del Partito nazionale divenne Chiang Kaishek che, alleandosi con l’esercito, i cittadini e i comunisti guidati da Mao Tsetung, riuscì a riunificare il paese. Ma la pacificazione era lontana: nelle campagne del sud agivano i comunisti, al nord vigevano ancora poteri locali sostenuti da bande armate.

La guerra civile in Cina. La vittoria dei comunisti L’attività dei comunisti cinesi si svolse prevalentemente nelle campagne, dove espropriarono le grandi proprietà e le distribuirono ai contadini, ma lasciarono intatte le piccole proprietà, ottenendo l’appoggio di questa classe sociale. Nel 1931 il Giappone invase la Manciuria, ma Chiang Kai-shek preferì impegnarsi nella lotta armata contro le truppe di Mao: i superstiti fuggirono fino alla provincia di Yenan (“lunga marcia”) dove si riorganizzarono. Nel 1937 il Giappone attaccò nuovamente la Cina, e Chiang Kai-shek, per salvare il paese, stavolta si alleò con Mao, che diede un apporto decisivo al conflitto. Dopo la sconfitta giapponese nella Seconda guerra mondiale, Mao poté presentarsi come fautore dell’indipendenza nazionale e della rinascita economica della Cina, mentre Chiang Kai-shek si rifugiò a Taiwan, appoggiato dagli americani. Il Giappone e il programma della “grande Asia” Il Giappone intraprese una politica di espansione nel continente asiatico, per la necessità di materie prime e di sbocchi commerciali. Per questo, entrò in contrasto con la Russia per il possesso della Manciuria, di cui ottenne la parte meridionale nel 1905, insieme al protettorato sulla Corea. A partire dagli anni Trenta continuò l’espansione verso la Cina, con l’acquisizione di Shangai e della Mongolia. Nel 1936 il Giappone si alleò con Germania e Italia e intensificò le guerre di conquista, allo scopo di unificare sotto il suo dominio una “grande Asia”. Negli anni 1939-45 il conflitto si intrecciò con la Seconda guerra mondiale. L’imperialismo statunitense e gli sviluppi politici dell’America Latina In America Latina gli Stati, anche se erano autonomi, subivano l’influenza economica e politica degli Stati Uniti. Nel 1903 il governo statunitense, per tagliare lo stretto di Panama allo scopo di mettere in comunicazione Atlantico e Pacifico, favorì la secessione di Panama dalla Colombia e la formazione della Repubblica di Panama, che concesse

agli Stati Uniti la striscia di territorio su cui costruire il canale. Nel 1910 fu creata l’Unione panamericana che affidò agli Stati Uniti un ruolo di intervento per ostacolare le ingerenze europee nel continente. L’America Latina dipendeva anche dall’Europa, verso cui si esportavano prodotti agricoli e materie prime. I governi erano instabili e spesso si instaurarono dittature o regimi populisti. Governi populisti in America Latina In Messico nel 1910 scoppiò una rivolta contro il regime del presidente Porfirio Diaz, guidata da gruppi della borghesia liberale con una componente di guerriglia contadina (guidata da Zapata e Pancho Villa). Fu eletto presidente Francisco Madero ma scoppiò un guerra civile che terminò nel 1921, con l’elezione del presidente progressista Alvaro Obregón. La politica messicana si caratterizzò per governi populisti fautori di riforme sociali e ispirati dal socialismo. In Argentina si ebbero regimi sia autoritari sia democratici, fino all’instaurazione dei regimi populisti di Pedro Ramírez e poi di Juan Perón, quest’ultimo caratterizzato da un rapporto diretto con le masse e da una politica nazionale e sociale (peronismo). In Brasile nel 1930 fu creato un regime populista guidato da Getulio Vargas, caratterizzato dalla commistione di princìpi nazionalisti e di interventi sociali a favore delle classi più deboli. Africa e Medio Oriente: il controllo europeo Gli Stati africani rimasero sotto il controllo europeo. In Medio Oriente la Gran Bretagna ottenne l’aiuto dei potentati locali arabi contro la Turchia nella Prima guerra mondiale promettendo un regno arabo indipendente. In realtà poi inglesi e francesi si spartirono i territori mediorientali creandovi dei protettorati. Nel 1917 il ministro inglese Balfour sostenne il movimento sionista, che chiedeva una sede per la nazione ebraica in Palestina; dopo il passaggio della Palestina agli inglesi, crebbe l’immigrazione degli ebrei provocando i primi scontri con gli arabi che vivevano in quei territori.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1904

1910

1911

1914

1917

1921

1922

1925

1. Gandhi guida la protesta contro il monopolio governativo del sale in India 2. riunificazione della Cina 3. alleanza tra Germania, Giappone e Italia 4. rivolta in Messico contro il regime autoritario di Porfirio Diaz 5. inizio della guerra russo-giapponese 6. Chiang Kai-shek a capo del Partito nazionale cinese 7. dichiarazione Balfour

8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

1927

1928

1930

1931

1936

1945

le armate di Chiang Kai-shek occupano Shangai apertura alle navi del canale di Panama l’Egitto diventa una monarchia indipendente nascita del Partito comunista cinese vittoria elettorale di Juan Perón occupazione giapponese di Shangai rovesciamento della dinastia Manciù in Cina

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. autodeterminazione • Commonwealth • dominions • imperialismo • istmo • mandato • potentato • populismo • sionismo • tutela Federazione di Stati tra la Gran Bretagna e le ex colonie Movimento politico basato sull’esaltazione demagogica delle classi popolari Funzione protettiva o difensiva Stretta lingua di terra che unisce due territori di notevole estensione Amministrazione temporanea su un determinato territorio Facoltà di operare scelte autonome Colonie di popolamento inglesi Volontà di uno Stato di dominare territori sempre più vasti Centro o gruppo di potere Movimento finalizzato a creare una sede per la nazione ebraica in Palestina

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Chiang Kai-shek

guerra del Nord

Alvaro Obregón

presidente degli Stati Uniti

Arthur James Balfour

sionismo

Hohandas Karamchand Gandhi

politica del bastone

Theodore Roosevelt

tre princìpi del popolo

Juan Domingo Perón

costituzione democratica messicana

Mao Tse-tung

marcia del sale

Pancho Villa

lunga marcia

Thomas Woodrow Wilson

ministro del Lavoro

Sun Yat-sen

guerriglia contadina

Capitolo 7 La crisi degli imperi coloniali

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

l. Il presidente americano Wilson sostenne il principio dell’autodeterminazione dei popoli.

V

F

a. L’azione di Gandhi fece estendere le basi sociali del movimento nazionale indiano.

V

F

b. Il Kuo-Mintang fu fondato da Chang Kai-shek allo scopo di riunificare la Cina.

m. L’immigrazione degli ebrei in Palestina fu legittimata dalla dichiarazione Balfour.

V

F

V

F

c. Mao Tse-tung espropriò sia i grandi sia i piccoli proprietari terrieri.

n. I “signori della guerra” controllavano diversi territori nel nord della Cina.

V

F

V

F

d. Il peronismo si basava sul rapporto diretto del presidente con le masse.

o. Tra 1904 e 1917 gli Stati Uniti intervennero in Venezuela, Haiti, Guatemala, Messico.

V

F

V

F

e. Victoriano Huerta instaurò in Messico un governo ispirato all’ideologia socialista.

p. Dopo il 1918 fu creato un regno arabo indipendente guidato da Lawrence d’Arabia.

V

F

V

F

f. Nel 1926 India, Canada e Australia si associarono al Commonwealth britannico.

q. In America Latina crebbero le monocolture gestite dalle oligarchie terriere.

V

F

V

F

g. Il Primo ministro Fuminaro sostenne la superiorità del popolo giapponese sugli altri popoli della Terra. V

r. I tre princìpi del popolo erano: indipendenza nazionale, V liberismo economico, benessere popolare.

F

F

h. Dopo il 1945 Mao Tse-tung poté presentarsi alla nazione cinese come un liberatore.

s. Dopo l’occupazione di Shangai Chiang Kai-shek decise di sbarazzarsi dei comunisti.

V

F

V

F

i. Getulio Vargas introdusse in Brasile il suffragio universale maschile.

t. La guerra nippo-cinese fu finalizzata a ottenere il controllo sulla Manciuria.

V

F

V

F

u. Il Partito nazionale indiano guidò il movimento nazionale alla fine dell’Ottocento.

V

F

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande con un testo di almeno 3 righe per ognuna. 1. Quali aspetti caratterizzarono l’autonomia degli Stati sudamericani? 2. Che cosa si intende per “questione di Panama”? 3. A che cosa si riferiva la definizione di “politica del bastone” di Theodore Roosevelt? 4. Quali furono gli aspetti delle guerre civili messicane tra 1911 e 1913? 5. Che cosa caratterizzò il governo di Lázaro Cárdenas? 6. Quali colpi di Stato ebbero luogo in Argentina? Da chi furono appoggiati? 7. Quali novità caratterizzarono l’assetto territoriale del Medio Oriente dopo la Prima guerra mondiale?

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quale guerra fu combattuta dal Giappone tra 1904 e 1905? Contro chi? A che scopo? 2. Quali guerre furono combattute dal Giappone tra 1931 e 1945? Contro chi? A che scopo? 3. Quali episodi caratterizzarono la guerra tra 1904 e 1905? Quale esito ebbe? 4. Quali episodi caratterizzarono la guerra tra 1931 e 1945? Quale esito ebbe? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LE GUERRE DEL GIAPPONE QUANDO CONTRO CHI PERCHÉ EPISODI SALIENTI ESITO FINALE

1904-05

1931-45

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi era Sun Yat-sen? Quale era il suo progetto politico? Quali cariche ricoprì? Quali iniziative assunse? Da chi fu appoggiato? 2. Chi era Yuan Shi-kai? Quale era il suo progetto politico? Quali cariche ricoprì? Quali iniziative assunse? Da chi fu appoggiato?

3. Chi era Chiang Kai-shek? Quale era il suo progetto politico? Quali cariche ricoprì? Quali iniziative assunse? Da chi fu appoggiato? 4. Chi era Mao Tse-tung? Quale era il suo progetto politico? Quali cariche ricoprì? Quali iniziative assunse? Da chi fu appoggiato?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

IL RUOLO

IL PROGETTO

LE CARICHE

LE INIZIATIVE

APPOGGIO DI

SUN YAT-SEN

YUAN SHI-KAI

CHIANG KAI-SHEK

MAO TSE-TUNG

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8. Leggi il documento “La non violenza è più forte della violenza” a p. 90 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali conseguenze ha avuto per l’India il legame con gli inglesi? 2. Quali differenze esistono rispetto al periodo precedente la dominazione inglese? 3. Quale è lo scopo del governo inglese? 4. Quali differenze esistevano tra Gandhi e Tolstoj? 5. Quale spirito rappresenta per Gandhi l’Europa? Per quale motivo?

6. Che cosa intende Gandhi per non violenza? A che cosa è contrapposta? 7. In che modo erano condotte le azioni non violente? Che conseguenze avevano? 8. Che cosa avvenne nel corso della marcia del sale? 9. Perché Gandhi fu incarcerato? Quale forma di protesta inventò in carcere? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Profilo di Gandhi”.

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

8 Il declino europeo e

Capitolo

103

il primato americano

Percorso breve Indebolita e immiserita dalla guerra, l’Europa degli anni Venti è sopraffatta dalla crisi economica e sociale, dai debiti e dalla crisi finanziaria, dalla disoccupazione che attende i combattenti, tornati dal fronte con speranze che restano deluse. Gli anni 1918-20, noti come “biennio rosso”, vedono esplodere movimenti di massa, azioni di protesta e di sciopero che mettono in difficoltà tutti i principali paesi, anche se in forme e con esiti differenti. In Francia e in Gran Bretagna le pressioni sociali sono in qualche modo contenute dai governi. In Italia gli scontri sono più violenti (come meglio vedremo in un prossimo capitolo). Ancora più violenti sono in Germania, dove, crollata la monarchia, si forma una repubblica (detta “di Weimar”) diretta dal socialdemocratico Ebert. Tendenze radicali, dichiaratamente rivoluzionarie, sono sostenute dalla “Lega di Spartaco”, guidata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che mira a instaurare una società comunista, sul modello sovietico. In questo clima scoppia nel 1919 in Germania una vera guerra civile, tra rivoluzionari e truppe dell’esercito smobilitato, arruolate dal governo. I due capi rivoluzionari sono assassinati, un migliaio di

vittime rimangono sul terreno, fra tentativi insurrezionali e colpi di Stato reazionari. Il paese è in preda a una devastante crisi economica e finanziaria, caratterizzata da una terribile inflazione che azzera il valore della moneta. Frattanto, al di là dell’Oceano, gli Stati Uniti vivono uno dei decenni più prosperi della loro vita. L’industria è in pieno sviluppo, l’agricoltura fiorente, la società euforica. Il mito del successo e del denaro segnano gli “anni ruggenti” del jazz e del cinema di Hollywood. Sul piano politico si afferma il principio dell’isolazionismo, cioè l’idea di rimanere fuori dalla politica europea (anche per paura del comunismo). Forti limiti vengono posti all’immigrazione e si diffonde un clima di intolleranza e di sospetto, di cui sono vittime, per esempio, gli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, ingiustamente condannati a morte nel 1927. I rapporti economici e finanziari con l’Europa trovano una soluzione con il piano Dawes del 1924: le banche americane prestano alla Germania i fondi necessari per la ricostruzione industriale e per far fronte ai debiti con Inghilterra e Francia; in questo modo Inghilterra e Francia possono onorare i loro debiti con gli USA, e il circolo si chiude. Heinrich Ehmsen, Fucilazione di rivoluzionari spartachisti per le strade di Berlino, 1919 [Stadtgeschichtliches Museum, Lipsia]

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

8.1 L’età delle masse La coscienza collettiva Le vicende politiche e sociali del primo dopoguerra furono condizionate da un fattore nuovo, emerso già sul finire dell’Ottocento ma che solo ora apparve in tutta la sua potenza innovatrice: l’ascesa delle masse e della coscienza collettiva, e dunque della capacità aggregativa delle associazioni e dei gruppi politici. La guerra era stata la più grande esperienza di massa mai vissuta nella storia. Un numero incredibilmente alto di persone (forse 65 milioni) fu strappato alle normali occupazioni e costretto a condividere una pratica eccezionale di vita collettiva che cambiò per sempre il loro modo di percepire la realtà. Lo spirito di corpo assimilato negli anni di trincea, la coscienza dei propri diritti nata tra i disagi e le sofferenze (e sollecitata dalle promesse dei governi per un futuro migliore) fecero maturare una consapevolezza politica che i reduci portarono con sé dalla guerra, con una carica di passione e una capacità di contestazione che in tanti casi finirono per travolgere gli equilibri sociali e politici tradizionali. Una politica partecipata Alla fine del conflitto, in tutti i paesi si moltiplicarono le associazioni di reduci. I partiti popolari di massa, i sindacati dei lavoratori fecero sentire la loro presenza in modo straordinariamente intenso; le manifestazioni pubbliche basate sulla partecipazione diretta dei cittadini (cortei, raduni, assemblee) si sovrapposero alla politica fatta nei circoli borghesi, tipica dei regimi liberali tradizionali. Nuovi gruppi sociali – anche i ceti rurali – entrarono nel gioco politico, resi maggiormente consapevoli dal nuovo obbligo dell’istruzione obbligatoria (comparso in molti paesi sul finire dell’Ottocento) e dal progressivo allargamento del diritto di voto. L’emancipazione femminile La partecipazione delle donne alla vita politica fu un altro aspetto importante di quell’epoca: movimenti di emancipazione femminile come quello delle “suffragette”, che chiedevano l’estensione del voto (o “suffragio”) alle donne [ Le vie della cittadinanza, 3.3], si erano diffusi in Inghilterra e negli Stati Uniti già sul finire dell’Ottocento, ma fu dopo la Grande guerra che – nei paesi più avanzati – i diritti delle donne furono riconosciuti. Tale accelerazione fu dovuta anche al fatto che durante gli anni del conflitto la presenza femminile nella vita pubblica era clamorosamente cresciuta, poiché in molti paesi le donne avevano sostituito gli uomini (chiamati alle armi) nei lavori agricoli, nelle attività industriali, negli uffici e nei servizi civili. Nell’Europa sconvolta da quattro anni di guerra tutto appariva definitivamente mutato: costume e sistemi produttivi, istituzioni politiche e modo di intendere la vita, valori morali e rapporti sociali, persino la maniera di vestirsi e di acconciarsi. L’ascesa delle masse come soggetto della vita politica e civile è il comune denominatore di tali mutamenti e la chiave principale per comprenderli.

8.2 L’Europa non è più il centro del mondo Il sorpasso di USA e URSS «Nel gennaio 1918 l’Europa cessò di essere il centro del mondo»: in queste parole dello storico Alan J. Taylor si riassume la sostanza del cambiamento epocale verificatosi negli equilibri mondiali con la guerra del 1914-18. Gli sviluppi della guerra videro infatti affermarsi due nuove potenze: gli Stati Uniti, il cui intervento a fianco dell’Intesa anglo-francese fu decisivo per la sconfitta militare della Germania, e l’Unione Sovietica, il nuovo Stato costituitosi con la rivoluzione bolscevica negli immensi territori russi. Indebolita e immiserita dalla guerra, l’Europa risultò schiacciata tra queste due potenze, che nei decenni successivi dominarono la scena mondiale: due potenze che rappresentavano ideali diversi – la democrazia liberale e il socialismo marxista – attorno ai quali si sarebbero da allora in poi polarizzate le vicende e i conflitti tra gli Stati, in Europa e nel mondo intero. In questo nuovo quadro politico e ideologico l’Europa perse il primato mondiale che in alcuni secoli era riuscita a costruire.

Capitolo 8 Il declino europeo e il primato americano

indice 1913 = 100

700

Francia

indice tendente all’infinito

600

500 Italia

400

300

200

Gran Bretagna Germania

100

193 3 193 5 193 7

5

7 192 9 193 1

192

192

9 192 1 192 3

7

191

191

3

191

191

5

0

Costo della vita in Europa dal 1913 al 1937 La guerra portò a un aumento generale dei prezzi, e quindi del costo della vita, in tutti i paesi europei. L’inflazione crebbe ulteriormente nel 1919-20. In Germania, fra il 1919 e il 1923, il fenomeno ebbe dimensioni tali da rendere quasi impossibile confrontare graficamente la situazione tedesca con quella degli altri Stati europei, come mostra il grafico, nel quale alla Germania è attribuito un indice tendente all’infinito.

Crisi finanziaria in Europa La Francia e l’Inghilterra, pur essendo uscite vittoriose dalla guerra, dovettero affrontare una crisi economica e sociale di ampie proporzioni, che mise in difficoltà la tenuta delle istituzioni parlamentari e democratiche dei due paesi. Le spese sostenute per affrontare la guerra erano state enormi, alla popolazione erano stati chiesti grandi sacrifici anche economici e, nonostante questo, era stato necessario contrarre pesantissimi debiti con le nazioni alleate, prime fra tutte gli Stati Uniti. Neanche i prestiti, però, riuscirono a colmare il disavanzo pubblico e a frenare l’inflazione. I combattenti tornati dal fronte stentavano a trovare lavoro, la popolazione si era immiserita, il diffuso malcontento provocava agitazioni e proteste nelle campagne e nelle città. La disoccupazione aumentava, il costo della vita cresceva. Il biennio rosso Tra la fine del 1918 e l’estate del 1920 il movimento operaio europeo entrò in fibrillazione. I lavoratori, per meglio difendere i propri interessi, si associarono in gran numero ai sindacati e ai partiti politici, dando vita a movimenti di massa e ad azioni di sciopero, che permisero, fra l’altro, di ottenere la giornata lavorativa di otto ore (un obiettivo raggiunto, subito dopo la fine della guerra, quasi simultaneamente nei principali Stati europei). Consigli operai si costituirono ovunque, scavalcando le tradizionali organizzazioni dei lavoratori e proponendosi – sul modello dei soviet russi – come diretti rappresentanti del proletariato. Il “biennio rosso”, come fu chiamato, ebbe caratteri diversi nei vari paesi: in Francia e in Gran Bretagna i governi riuscirono a contenere abbastanza agevolmente le pressioni del movimento operaio; in Italia gli scontri furono più violenti [ 9.1] e ancor più lo furono in Germania, dove furono attuati veri tentativi rivoluzionari sul modello sovietico [ 8.4]. Tuttavia nei paesi occidentali si verificò presto una spaccatura all’interno del mondo operaio, tra i partiti comunisti che si muovevano in una prospettiva rivoluzionaria e i partiti socialisti ormai da tempo inquadrati nella logica dello scontro parlamentare all’interno delle istituzioni democratiche. Il recupero della Francia In Francia in quegli anni si alternarono al governo gruppi politici diversi. Dal 1919 al 1924 prevalsero le forze moderate, che espressero un governo conservatore di centro-destra. Nel 1924 una coalizione di sinistra, comprendente socialisti e radicali, conquistò la maggioranza e costituì un governo presieduto da Édouard Herriot (1924-26). Due anni dopo tornarono al governo i moderati con Ray-

Gli oneri economici della Prima guerra mondiale Questa illustrazione francese mette a confronto i costi sostenuti dalle varie nazioni, identificate con le rispettive divise, durante le guerre che precedettero la Prima guerra mondiale con i costi che schiacciarono la nazioni durante la Grande guerra.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa mond Poincaré (1926-29) che, adottando una politica di rigida pressione fiscale sulla popolazione, portò il paese a risanare il suo bilancio, a stabilizzare la moneta nazionale, il franco, e a rilanciare lo sviluppo industriale.

8.3 Il difficile dopoguerra britannico Disoccupazione e proteste inglesi La Gran Bretagna, che prima della guerra era al primo posto nel mondo per lo sviluppo economico, commerciale e industriale, dopo la fine del conflitto perdette il suo primato, che rapidamente passò alla nuova potenza economica e finanziaria degli Stati Uniti (cui doveva enormi somme di denaro chieste in prestito per finanziare la guerra contro la Germania). Il movimento commerciale di esportazione e importazione diminuì, come pure diminuì la produzione industriale, sia per la concorrenza americana, sia per la stasi dovuta alla necessità di rinnovamento degli impianti, ai quali si cominciavano ad applicare tecnologie più efficienti, in particolare l’uso dell’energia elettrica e del petrolio al posto del carbone.

I modi della storia

Una tragedia mondiale: la “spagnola”

Fra il 1918 e il 1919, appena finita la guerra, il mondo fu devastato da un altro terribile nemico: un virus influenzale, che i medici non riuscirono a individuare e tanto meno a sconfiggere, si diffuse in tre ondate successive senza che si riuscisse a opporre alcun rimedio efficace (i virus, del resto, furono osservabili solo a partire dagli anni Trenta, dopo il perfezionamento dei microscopi elettronici, anche se già da tempo si supponeva la loro esistenza ). All’epidemia furono dati vari nomi: “grande influenza”, “febbre dei tre giorni” o anche “spagnola” dal momento che, agli inizi, erroneamente la si credette originaria della Spagna, perché da questo paese giunsero le prime notizie della sua comparsa. La malattia si manifestava con febbre e brividi, tosse e dolori lombari che se non uccidevano in tre giorni degeneravano in polmoniti batteriche che portavano alla morte nel giro di un paio di settimane.

Complessivamente, nel mondo, essa fece più vittime della Grande guerra; fu la più grande epidemia registrata nella storia dell’umanità, ancora più devastante della Peste Nera che decimò l’Europa nel XIV secolo: oltre 20 milioni di morti, con la punta più alta in India (12 milioni e mezzo); oltre mezzo milione di persone perirono negli Stati Uniti (da cui probabilmente la malattia si diffuse in Europa attraverso l’arrivo dei soldati), 450.000 in Russia, 375.000 in Italia, 230.000 in Germania e altrettante in Inghilterra; anche l’Asia e l’Africa furono colpite ma l’assenza di registrazioni non consente un calcolo preciso. Praticamente nessun paese ne restò immune, e si calcola che almeno un miliardo di persone – più della metà della popolazione terrestre – ne sia stato toccato. L’origine sconosciuta della malattia e la sua mortale pericolosità alimentarono la diffusione di false credenze tra la popo-

lazione: nonostante il virus influenzale colpisse indiscriminatamente austriaci, tedeschi e, ancor di più, indiani e asiatici, l’industria farmaceutica tedesca Bayer fu accusata di aver contaminato con il virus le aspirine di sua produzione (usate per contrastare gli effetti della malattia), così da insinuarsi nelle nazioni rivali e annientare il nemico “a casa sua”. In una lettera del 1918 di un soldato di stanza nella base militare di Camp Devens in Massachusetts si legge: «Alcuni la credettero [l’influenza] una nuova micidiale arma bellica. I germi, dissero, erano stati introdotti nell’aspirina fabbricata dalla Bayer tedesca: i microbi presenti nella compressa di acido acetilsalicilico si diffondevano nel corpo fino a ucciderlo [...] Il «Philadelphia Inquirer» pubblicò in prima pagina una notizia diversa: i tedeschi erano arrivati al porto di Boston a bordo di un U-boat, erano sbarcati con le fiale contenenti i germi e si erano mescolati alla folla, contaminando teatri, cinema, raduni di massa». Era evidente che alla paura della guerra si era sommata quella delle armi chimiche. Dopo avere falcidiato mezzo mondo, il virus scomparve d’improvviso senza lasciare tracce di sé. Vane sono state le successive ricerche di medici e biologi per rintracciarlo e isolarlo. Ancora oggi, a cadenza piuttosto regolare, si annuncia una sempre nuova e definitiva scoperta del virus responsabile dell’influenza “spagnola”. Ospedale militare attrezzato per l’emergenza dell’influenza spagnola, negli USA, 1918

Capitolo 8 Il declino europeo e il primato americano Ciò provocò, tra l’altro, il declino delle regioni carbonifere, come il Galles, ed ebbe conseguenze sociali gravissime, con due milioni di disoccupati. A tale situazione gli operai e i minatori reagirono affluendo in massa nei sindacati (le Trade Unions, vol. 2, 18.2) e dando vita a imponenti manifestazioni di protesta: per impedire una diminuzione del loro salario, i minatori del Galles si astennero dal lavoro per oltre sei mesi.

I moderati al potere Malgrado la difficile crisi, le tensioni politiche e sociali non raggiunsero mai in Inghilterra – così come in Francia – punte critiche per il mantenimento dell’ordine pubblico. Il paese continuò anzi a segnalarsi per le sue conquiste civili: nel 1918 fu riconosciuto, per la prima volta, il diritto di voto alle donne e fu anche grazie al loro apporto – oltre che per l’appoggio massiccio degli operai – che nelle elezioni dello stesso anno il Partito laburista (di ispirazione socialista) ottenne un notevole successo, sostituendo i liberali come maggior forza d’opposizione ai conservatori; per dieci mesi i laburisti ebbero anche l’incarico di governo, sotto la guida di James Ramsay MacDonald. Ma a parte questa parentesi, tra il 1918 e il 1929 i conservatori rimasero saldamente al governo, prima con David Lloyd George (1916-22) e poi con Stanley Baldwin (1923-29). La questione irlandese Tra il 1926 e il 1927 la fase più acuta della depressione appariva superata, anche se ben pochi problemi sociali avevano trovato adeguata soluzione. Un punto particolarmente delicato fu la questione irlandese. L’Irlanda era stata occupata dagli inglesi nel XII secolo; quattro secoli più tardi il re d’Inghilterra Enrico VIII (1509-47) si era proclamato re d’Irlanda. La lotta degli irlandesi per riconquistare l’autonomia si svolse da allora ininterrotta, acuita dal contrasto religioso apertosi con il passaggio dell’Inghilterra al protestantesimo, sotto il regno dello stesso Enrico VIII [ vol. 1, 28.7]; gli irlandesi invece rimasero di fede cattolica. Finlandia 8 milioni di dollari Gran Bretagna 4277 milioni di dollari

Estonia 14 milioni di dollari MAR DEL NORD

Diritto di voto alle donne, 1919 [da «La Domenica del Corriere», gennaio 1919]

Il movimento femminista inglese diretto da Emmeline Pankhurst riesce finalmente a raggiungere uno degli obiettivi cui teneva di più: il diritto di voto alle donne.

I debiti dei paesi europei nei confronti degli Stati Uniti, 1914-25

Lettonia 5 milioni di dollari Finlandia 8 milioni di dollari

Lituania 5 milioni di dollari

Russia 187 milioni Polonia di dollari 160 milioni ATLANTICO Belgio di dollari Gran Bretagna 349 milioni 4277 milioni Estonia Francia di dollari Cecoslovacchia di dollari 2997 milioni 62 milioni14dimilioni dollaridi dollari Austria MAR di dollari LettoniaRomania 24 milioni Ungheria 5 milioni di dollari 25 milioni DEL NORD di dollari 1 milione di dollari di dollari Lituania Italia 5 milioni di dollari Jugoslavia MAR NERO 1640 milioni Russia 25 milioni di dollari 187 milioni Armenia OCEANO di dollari Polonia di dollari 12 milioni 160 milioni ATLANTICO Belgio di dollari di dollari 349 milioni Francia di dollari Cecoslovacchia Grecia 2997 milioni 62 milioni di dollari Austria 15 milioni di dollari 24 milioni Romania di dollari Ungheria 25 milioni di dollari 1 milione di dollari di dollari MEDITERRANEO Italia Jugoslavia MAR NERO 1640 milioni 25 milioni di dollari Armenia di dollari 12 milioni di dollari OCEANO

Grecia 15 milioni di dollari MEDITERRANEO

Principali prestiti erogati dagli Stati Uniti (1914-18) Prestiti degli Stati Uniti per la ricostruzione (1919-25)

Principali prestiti erogati dagli Stati Uniti (1914-18)

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Il contrasto raggiunse la massima intensità nel XIX secolo ed ebbe una forte ripresa nel XX, quando, sotto la guida di Éamon De Valera (futuro presidente dal 1959 al 1973), gli irlandesi scatenarono la guerra civile. Nel 1921 il governo inglese riconobbe lo Stato libero d’Irlanda; solo la parte settentrionale del paese, l’Ulster, abitata in maggioranza da popolazione protestante, rimase legata alla Corona britannica.

8.4 La Repubblica tedesca di Weimar La fine della monarchia In Germania ai primi di novembre del 1918, mentre si stavano spegnendo gli ultimi fuochi della guerra e la sconfitta appariva ormai certa, l’imperatore Guglielmo II abdicò rifugiandosi in Olanda. Crollata la monarchia degli Hohenzollern fu proclamata la repubblica [ 5.2] e si instaurò un governo provvisorio, che sembrava poter avviare il paese alla democrazia. Diretto dal Partito socialdemocratico

Le vie della cittadinanza

I

Inflazione e debito pubblico. La politica monetaria dell’Unione Europea

l termine “inflazione” deriva dal latino inflatio, ‘rigonfiamento’, e indica l’aumento dei prezzi delle merci e dei servizi, che “si gonfiano” determinando la diminuzione del potere d’acquisto di una moneta. Se ciò avviene entro limiti ristretti e in modo controllato, si tratta di un fenomeno normale e anzi positivo, poiché riflette la vivacità e l’intensità degli scambi economici. Se invece il tasso di inflazione è alto e cresce su sé stesso in modo incontrollato, il fenomeno diventa patologico e si parla di iperinflazione. Fu appunto l’iperinflazione ad annullare il potere d’acquisto del marco tedesco in Germania del primo dopoguerra. In questo caso il fenomeno fu causato da un eccessivo aumento della moneta in circolazione: il marco inondò letteralmente il paese e perse di valore, nel

1918 un dollaro valeva al cambio 8 marchi, nel 1923 erano necessari 4200 miliardi di marchi per comprare un dollaro. Per arginare l’impatto che crisi mondiali o nazionali potevano produrre sull’inflazione e sul mondo economico e finanziario dell’Europa, tra il 1969 e il 1979 fu istituito il Sistema monetario europeo (abbreviato SME): un sistema che mirava a ottenere la stabilità dei cambi (fissi o fluttuanti tra margini stabiliti) fra le varie monete nazionali (lira italiana, franco francese, marco tedesco, fiorino olandese, ecc.) così da rendere gli scambi commerciali più sicuri e incentivare gli investimenti. Fu istituita anche una moneta unica virtuale, lo “scudo”, con cui ogni moneta nazionale doveva mantenere un rapporto fisso.

La politica monetaria divenne una delle linee portanti dell’integrazione finanziaria, politica e sociale degli Stati che nel 1992, con il trattato di Maastricht, scelsero di dar vita all’Unione Europea. Nel 1998 fu istituita la Banca centrale europea, con sede a Francoforte (in Germania), e fu creata – dopo l’esperienza della moneta unica virtuale, lo scudo – una moneta unica effettiva, l’euro, che entrò in uso nel 1999 affiancandosi alle monete nazionali, e poi, dal 2002, sostituì le vecchie monete, che in molti paesi scomparvero dalla circolazione (non tutti gli Stati dell’Unione Europea aderiscono, però, alla cosiddetta “Eurolandia” o “area dell’euro”). Per far parte dell’unione monetaria, però, la Banca centrale – il cui scopo principale è garantire la stabilità dei prezzi e salvaguardare l’economia europea dai fenomeni di inflazione – pone dei parametri (i cosiddetti “criteri di convergenza”) che i vari paesi devono rispettare. Il più importante riguarda il contenimento dei tassi di inflazione, che non possono superare determinate soglie, e il rispetto di un tetto massimo sia per il deficit pubblico (che si verifica quando le spese di uno Stato superano le entrate) sia per il debito pubblico (che si crea quando si ricorre a prestiti per sanare il disavanzo del bilancio pubblico, ossia il deficit).

Svalutazione del marco tedesco, 1924 Tre bambini giocano “alle costruzioni”, usando come mattoncini mazzette di banconote il cui valore è ormai bassissimo.

Capitolo 8 Il declino europeo e il primato americano

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tedesco (SPD) con un programma di moderate riforme, il nuovo governo fu presieduto da Friedrich Ebert (1919-25), colui che aveva sottoscritto l’armistizio con Francia e Gran Bretagna.

I movimenti socialisti La linea “ufficiale” del partito era tuttavia contestata da gruppi di socialisti indipendenti, che proponevano riforme più incisive quali la nazionalizzazione delle principali industrie e l’espropriazione delle grandi proprietà terriere, e dal gruppo denominato “Lega di Spartaco” (dal nome del gladiatore romano che nel I secolo a.C. capeggiò una rivolta di schiavi), nucleo originario del Partito comunista tedesco, guidato da Rosa Luxemburg (1870-1919) e Karl Liebknecht (1871-1919): essi sostenevano la necessità di una rivoluzione che trasformasse radicalmente lo Stato instaurando un regime di tipo comunista, ispirato al modello sovietico. La guerra civile I primi anni della repubblica trascorsero tra lotte politiche violentissime. Nel gennaio del 1919 a Berlino una manifestazione comunista assunse caratteri decisamente insurrezionali e sfociò in una vera e propria guerra civile, combattuta tra le squadre armate rivoluzionarie e i cosiddetti “corpi franchi” (Freikorps), volontari arruolati dal governo tra soldati e ufficiali dell’esercito smobilitato, di tendenze nazionaliste e conservatrici. Nel corso di tali scontri gli stessi Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht furono arrestati e assassinati dai “corpi franchi”. Nei mesi seguenti la stabilità del governo fu messa a dura prova da nuovi tentativi insurrezionali messi in atto dai comunisti e da due tentativi di colpo di Stato fatti da alti ufficiali dell’esercito che intendevano restaurare il potere monarchico. La violenza dilagava, ogni giorno si compivano aggressioni e delitti a sfondo politico, attentati contro operai, industriali, sindacalisti, personalità dello Stato. In poco tempo si contarono più di un migliaio di vittime. La Repubblica di Weimar A fine gennaio si tennero le elezioni per la formazione dell’Assemblea costituente che risultò composta dai socialdemocratici, dai cattolici e dai liberali. Ebert fu confermato alla guida della repubblica e ad agosto fu approvata la Costituzione di Weimar, così chiamata dal nome della città in cui si riunì l’Assemblea costituente, in cui fu sancita la forma federale della repubblica. Gli scontri tuttavia non si fermarono, soprattutto per mano delle forze di estrema destra. Il dissesto finanziario Nel 1923 la situazione diventò ancora più drammatica per lo scoppio di una grave crisi economica, che impedì alla Germania di pagare i danni di guerra alla Francia. Fu chiesto un rinvio del pagamento, ma la Francia rifiutò e inviò reparti dell’esercito a occupare i bacini carboniferi della Ruhr, in territorio tedesco, con l’ordine di restarvi finché i risarcimenti non fossero stati pagati. Ne derivò uno spaventoso crollo finanziario: la moneta tedesca, il marco, perdette ogni valore, falcidiata da un’inflazione che pareva inarrestabile: un chilo di pane arrivò a costare quattro miliardi, cinque miliardi un etto di burro; per comprare un francobollo occorreva un milione. In pochi mesi si annullò il potere di acquisto dei salari e degli stipendi; milioni di persone, artigiani, operai, impiegati si trovarono ridotti nella più totale miseria. Solo l’emissione di una nuova moneta, il marco di rendita (garantito da un’ipoteca sui beni mobili e immobili della nazione), unita a una rigida politica di riduzione della circolazione della cartamoneta (con aumento della pressione fiscale e diminuzione della spesa pubblica) riuscì ad avviare il paese verso un efficace piano di risanamento. Un sostegno fondamentale arrivò dai finanziamenti stanziati dagli Stati Uniti con il piano Dawes [ 8.6].

Farkas Molnár, Sovraccoperta per il primo dei Libri del Bauhaus, 1925 Durante la Repubblica di Weimar, a dispetto delle difficoltà politiche ed economiche, la vita artistica e culturale tedesca fu ricca e vivace. Il programma del Bauhaus si proponeva di superare il distacco tra arte e artigianato, mirando soprattutto nell’architettura e nella progettazione di oggetti di uso quotidiano a fondere le intuizioni creative dell’artista, le ragioni della produzione industriale, le esigenze pratiche ed estetiche dell’uomo comune.

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

8.5 Gli “anni ruggenti” dell’America Il boom economico e industriale Negli anni Venti del XX secolo gli Stati Uniti erano la più prospera e potente nazione del mondo. L’agricoltura dava prodotti in abbondanza. L’industria era in pieno sviluppo: i grandi complessi avevano applicato nuove tecniche di lavorazione che consentivano di aumentare la produttività e di abbassare i prezzi. Una delle innovazioni più importanti fu la catena di montaggio, che, applicata per la prima volta negli stabilimenti automobilistici Ford [ vol. 2, 31.1], rese possibile la produzione a basso costo di milioni di automobili. Considerate fino a quel momento un prodotto di lusso, esse diventarono un sistema di trasporto di massa, accessibile a tutti anche grazie alla vendita a rate, un’altra invenzione di quegli anni, fatta per incentivare i consumi.

I luoghi della storia

Taylor, Ford e la catena di montaggio

L’organizzazione del lavoro all’interno delle fabbriche, secondo sistemi che utilizzassero al massimo la capacità produttiva degli operai, eliminando i tempi morti, differenziando le mansioni e calcolando con rigorosa precisione i tempi delle singole operazioni, fu oggetto di attenzione da parte di diversi tecnici dell’industria sul finire dell’Ottocento e agli inizi del Novecento. Soprattutto l’americano Frederick Taylor (1856-1915) vi si dedicò in maniera sistematica, esponendo i suoi progetti di pianificazione in varie opere, fra cui L’organizzazione scientifica del lavoro (1911). La sua lezione fece scuola in tutti i paesi industriali e “taylorismo” fu chiamata da allora, per antonomasia, la

scienza dell’organizzazione aziendale. Ai princìpi di Taylor si ispira la tecnica industriale della catena di montaggio, sperimentata per la prima volta negli stabilimenti automobilistici di Henry Ford (1863-1947) a iniziare dal 1913 [ vol. 2, 31.1]. «Dividere e suddividere le operazioni» fu la sua regola. L’idea della catena di montaggio gli era venuta osservando i carrelli su binari che i macellai di Chicago usavano per distribuire le parti dei manzi. «Noi – raccontò Ford – avevamo finora montato i magneti col sistema usuale. Un operaio impiegava circa 20 minuti per fare l’intera operazione. Essa fu poi frazionata in 29 operazioni diverse, e il tempo necessario per svolgerla si ri-

Una catena di montaggio nelle officine Ford di Detroit, prima metà XX sec.

dusse a 13 minuti e 17 secondi. Ulteriori perfezionamenti ci consentirono di scendere a 5 minuti». Tutto ciò evidentemente significava una spersonalizzazione del lavoro di fabbrica, una trasformazione, quasi, dei lavoratori in automi: lo stesso Taylor amava ripetere che «una grande azienda è realmente troppo grande per essere umana» e che «l’azienda è più importante degli individui che vi lavorano». La difficoltà per gli operai di accettare tale situazione, e il disagio che ne derivava sul piano umano, furono, più tardi, sarcasticamente rappresentati da Charlie Chaplin (1889-1977) nel film Tempi moderni, proiettato la prima volta nel 1936.

Un fotogramma del film Tempi moderni, 1936

Capitolo 8 Il declino europeo e il primato americano

Negli stessi anni i giacimenti petroliferi del Texas e della California portarono alle industrie altre energie, per una produzione che stava crescendo a livelli mai visti.

Una jazzband a New Orléans negli anni Venti

Gli anni dell’euforia Fu un’epoca d’oro che gli americani chiamarono “anni ruggenti”. In contrasto con le difficoltà dei paesi europei, gli stati d’animo prevalenti oltre Oceano erano la fiducia e l’ottimismo. Il mito del denaro e del successo caratterizzarono, allora come non mai, la cultura americana. Felicità e ricchezza sembravano a portata di mano, mentre si apriva l’era scatenata della musica jazz, che dalle province del sud e dai ghetti di New Orléans si diffondeva nelle metropoli del nord e conquistava l’intera America. Intanto un’arte nuova, il cinema, si propagava nel mondo con successi spettacolari e si affermava come nuova fonte di ricchezza: Hollywood, in California, ne diventò la capitale. American way of life Anche sul piano culturale, dunque, oltre che sul piano economico e politico, gli Stati Uniti cominciarono ad affermare la propria centralità nel mondo: il “modello di vita americano” (American way of life) negli anni Venti cominciò a dettare legge ovunque. «La tradizionale supremazia dell’Europa era ormai finita – ha scritto lo storico Jacques Chastenet – e quasi in ogni paese si stavano verificando profonde trasformazioni del costume». Gli idoli dei salotti «non erano più i duchi di antico lignaggio o gli altezzosi accademici, ma i milionari d’oltre Atlantico. Le mode americane avevano invaso ogni settore: sherry e champagne [tradizionali bevande europee, l’una inglese, l’altra francese] avevano ceduto il posto ai cocktail e al whisky; le jazzband proliferavano; valzer e boston [balli classici e tradizionali] erano ormai eclissati dal fox-trot e dai blues». Tutto questo riproduceva in Europa l’euforia e lo scoppiettante entusiasmo che in quegli anni caratterizzavano la vita d’oltre Oceano. Nonostante i disastri della guerra, o forse proprio per dimenticarli.

8.6 Dall’isolazionismo al piano Dawes: dollari americani per l’Europa I repubblicani al potere Dal 1920 la politica estera americana subì un drastico cambiamento. Woodrow Wilson e il Partito democratico, che avevano governato il paese negli anni difficili della guerra mondiale e si erano impegnati politicamente e militarmente a sostenere gli alleati europei, furono superati dal Partito repubblicano, che governò fino al 1933 con i presidenti Warren Harding (1920-23), Calvin Coolidge (1923-29) e Herbert Hoover (1929-33).

Due ragazze ballano sul tetto di un albergo a Chicago, 1926

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa Manifestazione a favore di Sacco e Vanzetti, 1921 Nel 1921, negli Stati Uniti furono arrestati per una rapina due immigrati italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Nonostante l’assoluta inconsistenza delle prove, i due furono condannati a morte, provocando proteste in tutto il mondo. Solo nel 1977 il caso è stato riaperto e la loro innocenza ufficialmente riconosciuta.

L’isolazionismo e la paura del comunismo La scelta del nuovo governo fu in favore di una politica “isolazionista”, che mirava a tenere lontano il paese dalle questioni internazionali e in particolare dai problemi europei. Per questo motivo gli Stati Uniti si tennero fuori dalla Società delle Nazioni (voluta dallo stesso presidente americano Wilson). Per questo furono posti severi limiti all’immigrazione dall’Europa, nel timore che gli immigrati potessero diffondere negli Stati Uniti l’ideologia comunista che, affermatasi in Russia, era considerata un pericolo per l’ordine sociale e un elemento di corruzione degli ideali di vita americani. La paura del comunismo favorì la nascita di un clima di intolleranza e di sospetto nei confronti dei non americani, molti dei quali subirono persecuzioni e condanne. Clamoroso fu, nel 1927, il caso di due anarchici italiani, Nicola Sacco (1891-1927) e Bartolomeo Vanzetti (1888-1927) i quali, accusati ingiustamente di omicidio, furono condannati alla sedia elettrica malgrado le numerose prove a loro discolpa. Solo a distanza di molti anni si riconobbe la loro innocenza. Relazioni economiche con l’Europa L’isolazionismo politico degli Stati Uniti fu, tuttavia, controbilanciato da un intenso movimento di relazioni economiche e finanziarie con l’Europa. La repubblica stellata era ricca di risorse finanziarie e abbondava di prodotti agricoli e industriali. Aveva grano, macchine, petrolio: i suoi interessi la spingevano a vendere, a esportare, a prestare capitali, specialmente in quei paesi d’Europa che, avendo sofferto gravi devastazioni dalla guerra, avevano bisogno di aiuto per la ricostruzione. Era il caso, soprattutto, dei paesi sconfitti: la Germania in testa a tutti. Il piano Dawes Fu pertanto messo a punto un programma di interventi americani in Europa, noto come “piano Dawes”, dal nome del vicepresidente americano Charles Dawes (1924-29), che nel 1924 lo ideò. Sulla base di tale piano furono concessi 800 milioni di dollari alla Germania perché potesse ricostruire il suo apparato industriale, distrutto durante il conflitto. In tal modo la Germania fu messa in condizione di poter pagare alle potenze vincitrici le somme dovute come risarcimento dei danni di guerra [ 5.5]; a loro volta queste nazioni (in particolare la Francia e l’Inghilterra), rivitalizzate da questo apporto finanziario, ebbero la possibilità di estinguere i debiti contratti con gli Stati Uniti durante la guerra, soprattutto per forniture belliche e alimentari. Nel quadro di questo movimento economico, gli Stati Uniti avviarono un intenso commercio di esportazione in Europa dei loro prodotti, sia agricoli (grano, mais, cotone, carne) sia industriali (materiale ferroviario, macchine di ogni genere), praticando prezzi bassi, largamente concorrenziali. In questo modo si rafforzò il primato finanziario e produttivo degli USA.

Capitolo 8 Il declino europeo e il primato americano

Sintesi

Il declino europeo e il primato americano

L’età delle masse Il primo dopoguerra fu caratterizzato dall’ascesa delle masse come soggetto della vita politica e civile. Si formarono associazioni di reduci, sindacati, partiti politici di massa. L’istruzione elementare obbligatoria e l’ampliamento del diritto di voto avevano favorito l’acquisizione di una coscienza politica diffusa. Furono riconosciuti i diritti delle donne, che nel corso del conflitto avevano avuto un ruolo pubblico sostituendo gli uomini nel lavoro. L’Europa non è più il centro del mondo Dopo la guerra, l’Europa perse il suo primato mondiale e si affermarono due nuove potenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, attorno alle quali si polarizzeranno le vicende storiche successive. La crisi economica e il peso dei debiti di guerra rendevano la situazione sociale esplosiva: i reduci di guerra non trovavano lavoro, la disoccupazione e il costo della vita aumentavano. Negli anni 191820 si ebbe il “biennio rosso”, caratterizzato dall’azione decisa del movimento operaio, con scioperi e manifestazioni di massa, che ebbe esito diverso a seconda degli Stati. Mentre in Francia e Gran Bretagna i governi riuscirono a contenerne la spinta, in Italia e soprattutto in Germania esso assunse un carattere violento. Il difficile dopoguerra britannico La Gran Bretagna perse il suo primato economico, commerciale e coloniale a favore degli Stati Uniti. Le esportazioni e la produzione calarono, gli impianti andavano rinnovati con tecnologie nuove. Le regioni carbonifere entrarono

in crisi per l’affermazione del petrolio, con un enorme numero di disoccupati e crescenti tensioni sociali, che non sfociarono però in azioni violente. Fu riconosciuto il voto alle donne, che contribuirono all’affermazione del Partito laburista come maggiore forza di opposizione. Emerse con forza la lotta degli irlandesi (cattolici) per conquistare l’autonomia: una guerra civile portò al riconoscimento, nel 1921, dello Stato libero d’Irlanda, a eccezione della parte nord-occidentale dell’isola (Ulster), a maggioranza protestante, che rimase legata alla Gran Bretagna. La Repubblica tedesca di Weimar Dopo l’abdicazione dell’imperatore, nel 1918 in Germania si formò un governo repubblicano provvisorio guidato dal socialdemocratico Ebert, contestato sia dai socialisti indipendenti sia dalla comunista Lega di Spartaco. Nel 1919, un’insurrezione comunista a Berlino si trasformò presto in guerra civile; i leader spartachisti Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht furono uccisi. In questa situazione sociale instabile e violenta fu approvata la Costituzione della Repubblica di Weimar (agosto 1919). Nel 1923 esplose la situazione economica: la Germania non riuscì a pagare i debiti di guerra e dovette subire la presenza dell’esercito francese nella Ruhr; l’inflazione crebbe e portò all’annullamento del potere di acquisto dei salari. Solo con un’accorta politica fiscale e di controllo della spesa, unitamente agli aiuti statunitensi del piano Dawes, si poté risanare l’economia.

Gli “anni ruggenti” dell’America Negli anni Venti del Novecento gli Stati Uniti erano diventati la maggiore potenza mondiale. L’economia era solida: nella produzione industriale fu introdotta la catena di montaggio che permise di produrre un numero enorme di automobili, diventate più accessibili ai consumatori dopo l’introduzione della vendita a rate. Si sfruttarono giacimenti petroliferi in Texas e California. Questa epoca, indicata con l’espressione “anni ruggenti”, fu caratterizzata dal diffondersi del mito del successo, della musica jazz, del cinema. Gli Stati Uniti cominciavano ad affermare la propria centralità culturale. Dall’isolazionismo al piano Dawes: dollari americani per l’Europa Nel 1920 il governo degli Stati Uniti passò al Partito repubblicano, che inaugurò una politica isolazionista, finalizzata a tenersi lontano dalle questioni europee. Gli Stati Uniti non entrarono nella Società delle Nazioni, furono posti dei limiti all’immigrazione dall’Europa, la paura della diffusione del comunismo innescò un clima sociale difficile per i non americani. Un esempio fu il caso degli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, cui fu comminata la pena di morte in assenza di prove certe e poi rivelatisi innocenti. Sul piano economico le relazioni con l’Europa continuarono. Fu approvato il piano Dawes che concesse alla Germania 800 milioni di dollari per rimettere in piedi la propria economia. In tal modo gli USA avrebbero a loro volta riscosso i crediti da Francia e Inghilterra. Iniziò l’esportazione di prodotti americani che affermò ulteriormente il primato degli USA.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1918

1. 2. 3. 4.

1919

1920

governo di Raymond Poincaré in Francia Costituzione della Repubblica di Weimar piano Dawes vittoria del Partito repubblicano negli Stati Uniti

1921

1923

5. 6. 7. 8.

1924

1926

1927

riconoscimento del voto alle donne in Inghilterra condanna di Sacco e Vanzetti riconoscimento dello Stato libero d’Irlanda crisi economica in Germania

113

114

Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto.

d. L’intervento degli Stati Uniti fu decisivo per la sconfitta militare della Germania.

V

F

e. Dopo il 1921 fu riconosciuta l’autonomia dell’intera isola dell’Irlanda.

V

F

f. Il declino delle regioni carbonifere inglesi produsse oltre tre milioni di disoccupati.

V

F

g. Nel 1919 in Germania vi furono tre tentativi di colpo di Stato filomonarchico.

V

F

h. Il piano Dawes concesse una serie di prestiti a Francia e Gran Bretagna.

V

F

Raggruppamento esteso di persone

i. Il marco di rendita era garantito da un’ipoteca sui beni della nazione.

V

F

Partito politico inglese di ispirazione socialista

l. Grazie alla vendita a rate le automobili diventarono un sistema di trasporto di massa.

V

F

m. La musica jazz si diffuse a partire dalla California.

V

F

n. Dopo il 1918 il Partito laburista sostituì il Partito liberale come maggiore forza di governo.

V

F

Coloro che rientrano dopo un’assenza prolungata

o. La giornata lavorativa di otto ore fu introdotta dopo il biennio rosso.

V

F

Assemblea formata da delegati di operai, soldati e contadini

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo.

disavanzo • Freikorps • inflazione • isolazionismo • laburista • massa • reduci • soviet • suffragette Volontari arruolati dal governo tedesco tra soldati ed ex ufficiali Aumento dei prezzi delle merci e dei servizi Movimento a sostegno della concessione del diritto di voto alle donne

Linea politica che tende a isolare un paese dalle questioni internazionali

Eccedenza delle uscite sulle entrate

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Il movimento delle suffragette si diffuse in Inghilterra negli anni Venti del Novecento.

V

b. La Lega di Spartaco era favorevole all’instaurazione di un regime di tipo comunista.

V

F

c. In Francia, Italia e Gran Bretagna i governi riuscirono a contenere la pressione del movimento operaio.

V

F

F

Raymond Poincaré

catena di montaggio

Rosa Luxemburg

Lega di Spartaco

Éamon De Valera

aiuti all’Europa

Charles Dawes

risanamento del bilancio

Nicola Sacco

sedia elettrica

Henry Ford

questione irlandese

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. bilancio • Calvin Coolidge • cattolici • conservatori • David Lloyd George • democratici • Édouard Herriot • Friedrich Ebert • Herbert Hoover • James Ramsay MacDonald • laburisti • liberali • moderati • radicali • Raymond Poincaré • Repubblica federale • repubblicani • socialdemocratici • socialisti • Stanley Baldwin • Warren Harding • Woodrow Wilson

GOVERNI DEL PRIMO DOPOGUERRA FRANCIA

INGHILTERRA

GERMANIA

STATI UNITI

• 1919-24: ......................................... • 1924: coalizione di sinistra (............................, .............................):

• 1916-18 .......................................... • 1918 ................................................: ....................................... (dieci mesi) • 1918-1929 ....................................: ........................................... (1918-22) e ....................................... (1923-29)

• 1919-25 .........................................: Assemblea Costituente: ...................................., ..............................., .............................: nasce la ............................................. di Weimar

• Fino al 1920 ................................:

................................................................

• 1926 moderati: ............................: risanamento del ............................

.....................................;

...............................................................

• 1920-33 ........................................: ......................................... (1920-23), ........................................... (1923-29) e ....................................... (1929-33)

Capitolo 8 Il declino europeo e il primato americano

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ciascuna domanda.

1. Che cosa si intende per “biennio rosso”? Quali fenomeni lo caratterizzarono? 2. Quali nuovi soggetti organizzati presero parte alla politica nel primo dopoguerra? 3. Che cosa accadde a Berlino nel 1919? Quali conseguenze produsse tale evento? 4. Quali settori caratterizzavano l’economia statunitense nel primo dopoguerra? 5. Che cosa era il piano Dawes? Quali conseguenze produsse?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali problemi economici si verificarono in Gran Bretagna nel primo dopoguerra? Per quali cause? 2. Quali conseguenze sociali comportarono? Quale fu il loro esito finale? 3. Quali problemi economici si verificarono in Gran Bretagna nel primo dopoguerra? Per quali cause? 4. Quali conseguenze sociali comportarono? Quale fu il loro esito finale? Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

TENSIONI SOCIALI NEL PRIMO DOPOGUERRA

I PROBLEMI ECONOMICI

LE CONSEGUENZE SOCIALI

ESITO FINALE

GRAN BRETAGNA

GERMANIA

....................................................................................................

....................................................................................................

....................................................................................................

....................................................................................................

....................................................................................................

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....................................................................................................

....................................................................................................

8.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 108 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa si intende per inflazione? Che conseguenze comporta? 2. Che cosa si intende per inflazione? Da che cosa è determinata? Che conseguenze comporta? 3. Quali furono le cause dell’iperinflazione nella Germania del secondo dopoguerra? 4. Che cosa è il sistema monetario europeo? Quando fu introdotto? A che scopo? 5. Che cosa era lo “scudo”? Quale era la sua funzione? 6. Che cosa è la Banca centrale europea? Quando fu istituita? A che scopo? 7. Quali sono i principali parametri imposti dalla Banca centrale? A che cosa servono?

9. Verso il saggio breve Leggi la citazione di Jacques Chastenet a p. 111 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per American way of life? Quando si sviluppa tale concetto? 2. Quali sono i nuovi idoli? Quali sono i prodotti di moda? Di quali prodotti prendono il posto? 3. Quali nuove danze e generi musicali si sviluppano? Al posto di quali altri?

Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa erano il jazz e il cinema? Quando e dove si diffusero? 2. Che cosa indica l’espressione “anni ruggenti”? 3. Quale era il clima sociale nell’America del dopoguerra nei confronti dei non americani? Leggi il documento “Taylor, Ford e la catena di montaggio” a p. 110 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali novità furono introdotte tra Ottocento e Novecento nelle fabbriche? A che scopo? 2. Chi era Frederick Taylor? Che cosa si intende per taylorismo? 3. Quale innovazione fu influenzata da Taylor? Dove fu applicata per la prima volta? In che cosa consisteva? Quali conseguenze determinò? 4. Che cosa fu rappresentato nel film Tempi moderni? A opera di chi? Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali elementi innovativi caratterizzarono la produzione e il consumo degli Stati Uniti? 2. Che cosa è la vendita a rate? Quando fu introdotta? Quali conseguenze determinò? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 10 righe dal titolo “Gli Stati Uniti nel primo dopoguerra: l’economia e la società”.

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La discussione storiografica

La società di massa come nuovo soggetto storico S

torici, sociologi, antropologi, filosofi hanno ampiamente studiato una realtà tipica dell’età contemporanea: la società di massa. È un soggetto storico nuovo, non perché le “masse” prima non esistessero: anche nel Medioevo, anche nella società di antico regime la storia non era fatta solo dagli individui, dai re o dai generali, dagli scienziati o dagli artisti, ma anche dal grosso della popolazione, la “massa” dei contadini e dei salariati, degli artigiani e dei bottegai che col loro lavoro e coi loro bisogni contribuivano in maniera determinante a definire i caratteri della loro epoca. Se il primo attributo di un re era quello di essere – come si diceva in metafora – un “buon fornaio”, cioè di saper garantire il cibo ai suoi sudditi, ciò significa che la stessa politica aveva, al di là delle apparenze, una dimensione fortemente collettiva, che ne condizionava scelte e strategie. La «storia della maggioranza» – una storia, cioè, che non si occupasse di principi e principesse, ma di coloro che costituivano la maggioranza della popolazione, cioè appunto i contadini, gli artigiani, i lavoratori in genere – è stata particolarmente coltivata dagli storici delle ultime generazioni, sia in Italia (dove alla storia sociale si è sempre dedicata particolare attenzione), sia in Inghilterra (dove sono fioriti studi sulla vita quotidiana delle persone), sia in Francia, per impulso della rivista «Annales», fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre nel 1929. Tuttavia non c’è dubbio che nei decenni tra XIX e XX secolo le masse appaiono sulla scena storica con un’evidenza diversa. Che diventino, per la prima volta, davvero protagoniste. E

che diventino, per la prima volta, consapevoli del proprio ruolo. Perché ciò sia accaduto, non è difficile spiegarlo. Anzitutto è una questione di numeri: a partire dal XIX secolo, la popolazione europea e mondiale ha cominciato a crescere in maniera esponenziale. La presenza “fisica” delle masse è divenuta più immediatamente percepibile. Lo è divenuta anche per il fenomeno dell’urbanizzazione, a sua volta legato alla rivoluzione industriale, che provocò l’ingrandimento spesso incontrollato delle città e vi concentrò masse di persone in cerca di lavoro. Accanto ai fenomeni di natura economica si collocano quelli di natura politica: già nel corso dell’Ottocento, e più diffusamente nel Novecento, le democrazie liberali introducono il voto popolare come diritto a essere rappresentati nelle assemblee parlamentari. Questo voto dapprima è riservato a pochi, poi si allarga e si trasforma in suffragio universale maschile. Ciò significa una crescita di consapevolezza, di partecipazione politica. Per la concomitanza di questi fattori politici ed economici appaiono i primi “partiti di massa”, socialisti e cattolici. Nel mondo del lavoro, frattanto, erano apparsi i sindacati e le Camere del lavoro, che rappresentavano gli interessi collettivi degli operai; analoghe associazioni si sviluppavano nel mondo rurale, a rappresentare gli interessi dei contadini e dei salariati agricoli. Peraltro, in quei decenni le masse fanno sentire la loro voce anche in paesi che appartengono a culture e tradizioni diverse da quella liberal-democratica dell’Occidente industriale: sono piuttosto le masse rurali a diventare protagoniste in Rus-

sia, in Cina, in India. Non meno importanti sono i fattori culturali: sul finire dell’Ottocento, in molti Stati l’alfabetizzazione popolare comincia a entrare nella priorità dei programmi politici: tutti vanno a scuola, tutti imparano a leggere e a scrivere, e con ciò aumenta la coscienza di sé, della propria storia, dei propri diritti. È in questo modo che appare la “società di massa”, a cui, nel corso del Novecento, si indirizzeranno specifici e nuovi mezzi di comunicazione: la radio e il cinema (più tardi la televisione), oltre alle riviste e ai giornali. La diffusione dei mass-media, i “mezzi di comunicazione di massa”, se in qualche modo serve a creare le masse, a orientare i comportamenti collettivi, d’altra parte presuppone che queste masse già esistano. Il primo studio sulla società di massa risale al 1895 ed è opera di uno psicologo francese, Gustave Le Bon (18421931). In un libro intitolato La psicologia delle folle egli rappresentava questa nuova realtà storica partendo dal suo particolare punto di vista (quello, appunto, di uno psicologo) osservando come l’agire della “folla” – così egli chiamava ciò che gli studiosi successivi cominciarono a definire “massa” – non sia mosso da considerazioni razionali come quelle che solitamente muovono gli individui, bensì da impulsi irrazionali, legati piuttosto all’inconscio, che nell’agire individuale vengono repressi e invece nell’agire collettivo si scatenano liberamente. Già nella riflessione di Le Bon era implicito un giudizio negativo sul comportamento irrazionale delle masse. Questa idea fu particolarmente sviluppata dal filosofo spagnolo José Orte-

La discussione storiografica La società di massa come nuovo soggetto storico

ga y Gasset (1883-1955) in un saggio del 1930 intitolato La ribellione delle masse. Muovendo da una prospettiva estremamente aristocratica e conservatrice, Ortega y Gasset sosteneva che i ceti medi – base sociale di ciò che si definisce “massa” – avevano degradato, impoverito la cultura dei ceti superiori, dopo essersene impadroniti. Secondo lui, non solo il processo di industrializzazione aveva provocato una volgarizzazione dei valori e dei gusti, ma aveva dato vita a un “uomo-massa” non più dotato di senso critico, ma, al

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contrario, passivo e malleabile di fronte a qualsiasi tipo di manipolazione dall’alto, attraverso il sapiente uso della propaganda. Ciò apriva la strada alla demagogia e a fenomeni politici come il fascismo, che il filosofo spagnolo vedeva come diretta espressione della nuova cultura, o meglio, della nuova barbarie, di fronte a cui non c’era altro rimedio che il ritorno alla tradizione, il riaffermarsi delle minoranze colte e aristocratiche. Anche altri studiosi hanno insistito sul carattere problematico della “psicolo-

gia delle masse”, ma con toni meno drammatici di quelli di Ortega y Gasset. Proponendo una riflessione storiografica a mezzo secolo di distanza, lo storico polacco Bronislaw Geremek (1932-2008) ha sottolineato nel 1979 (articolo Masse nell’Enciclopedia Einaudi) anche gli aspetti positivi di questo sviluppo storico e del nuovo protagonista apparso alle soglie del Novecento: in particolare l’allargamento della partecipazione politica che, comunque la si voglia giudicare, rappresenta una grande conquista in termini di civiltà.

il padre della psicanalisi. Il secondo testo è un estratto del saggio di Bronislaw Geremek del 1979, che riporta e commenta le principali posizioni sull’argomento, tra cui anche il rapporto della massa col mercato, all’interno della cosiddetta società dei consumi, che non può essere ridotto – scrive Geremek – a una situazione di mera passività, ma va considerato come opportunità di una più ampia partecipazione alle scelte economiche, perché in fondo è sui consumi (dunque sulle scelte dei consumatori) che si fonda la produzione, anche se i consumatori possono in certi casi essere condizionati nelle loro scelte. Geremek cita anche gli studi del sociologo statunitense Edward Shils (1910-1995), che, oltre a sottolineare l’importanza politica della

massificazione, non esita ad attribuire proprio alla società di massa – ribaltando un luogo comune abbastanza diffuso – la nascita di nuove forme di solidarietà fra gli individui, sconosciute alle società antiche, basate sullo sviluppo della scolarizzazione e sulla maggiore possibilità di integrazione sociale. Il sociologo tedesco Karl Mannheim (1893-1947), da parte sua, aveva sostenuto che proprio la diffusione della cultura consente, nelle società di massa, di proteggere gli individui dalle eventuali reazioni irrazionali della folla. Egli osservava anche che, paradossalmente, nella società di massa non sono in realtà le masse ad agire, ma i “corpi intermedi” (partiti, sindacati, associazioni, ecc.) che rappresentano le masse sul piano politico e sociale.

I testi Il primo brano che proponiamo alla lettura è tratto dal testo La psicologia delle folle di Gustave Le Bon, che nel 1895 inaugurò gli studi sulla società di massa. Le Bon intende descrivere “scientificamente” il comportamento di massa, introducendo – secondo la tradizione positivista dell’epoca – paralleli fra la scienza dell’uomo e quella della natura: gli individui, diventando massa, cambiano natura così come gli elementi chimici, aggregandosi, ne costituiscono uno nuovo. Per questo l’anima “collettiva” e quella “individuale” funzionano in modo differente. Inoltre Le Bon utilizzava un concetto (quello di inconscio) che proprio in quei decenni era stato messo a punto dagli studiosi della mente umana, in particolare da Sigmund Freud (1856-1939),

L’anima collettiva e la psicologia delle folle Gustave Le Bon

L’epoca attuale costituisce uno di quei momenti critici, in cui il pensiero umano è in via di trasformazione. Due fattori fondamentali stanno alla base di questa trasformazione. Il primo, la distruzione delle credenze religiose, politiche e sociali [...]. Il secondo, la creazione di condizioni di esistenza

e di pensiero interamente nuove, originate dalle moderne scoperte della scienza e dell’industria. […] Attualmente non è facile dire cosa potrà uscire da un tale periodo, forzatamente un po’ caotico. Su quali idee fondamentali si edificheranno le società che succederanno alla

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Modulo 2 La Grande guerra e la Rivoluzione russa

nostra? Ancora l’ignoriamo. Ma, già d’ora, si può prevedere che, nella loro organizzazione, esse dovranno fare i conti con una nuova potenza, novissima sovrana dell’epoca moderna: la potenza delle folle. […] L’epoca in cui noi entriamo sarà veramente l’era delle folle. Appena un secolo fa, i principali fattori degli avvenimenti erano la politica tradizionale degli Stati e le rivalità dei loro principi. L’opinione delle folle, il più delle volte, non contava. Oggi, le tradizioni politiche, le tendenze individuali dei sovrani, le loro rivalità pesano poco. La voce delle folle è divenuta preponderante. Essa detta ai re la loro condotta. I destini delle nazioni non si preparano più nei consigli dei principi, ma nell’anima delle folle. […] Poco atte al ragionamento, le folle si mostrano al contrario adattissime all’azione. L’organizzazione attuale rende immensa la loro forza. I dogmi che noi vediamo nascere avranno tosto acquisito la potenza dei vecchi dogmi, cioè quella forza tirannica e sovrana che mette al riparo dalla discussione. Il diritto divino delle folle sostituisce il diritto divino dei re. [...] Il fatto più impressionante presentato da una folla psicologica è il seguente: quali si siano gli individui che la compongono – siano simili o diversi il loro genere di vita, le loro occupazioni, il loro carattere o la loro intelligenza – il semplice fatto della loro trasformazione in folla li dota di una specie di anima collettiva. Quest’anima li fa sentire, pensare e agire in modo del tutto differente da quelli in cui

sentirebbe, penserebbe e agirebbe ciascuno d’essi isolatamente. Certe idee, certi sentimenti, non sorgono o non si trasformano in atti che negli individui raggruppati in folla. […] Nell’aggregato costituente una folla non vi è per nulla somma o media di elementi, ma combinazione e creazione di nuovi caratteri. Come in chimica: certe sostanze messe a contatto, per esempio le basi e gli acidi, si combinano a formare un corpo nuovo dotato di proprietà differenti da quelle dei corpi che son serviti a costituirlo. […] Studiando i caratteri fondamentali della folla abbiamo detto che essa è condotta quasi esclusivamente dall’inconscio. I suoi atti subiscono molto più l’influenza del midollo spinale che non quella del cervello. […] Si può definire fisiologicamente questo fenomeno dicendo che l’individuo isolato possiede l’attitudine a dominare i suoi riflessi, mentre la folla ne è sprovvista. […] Siccome gli eccitanti capaci di suggestionare le folle sono svariati e le folle vi obbediscono sempre, ne risulta che esse sono estremamente incostanti. In un istante si vedono passare dalla ferocia più sanguinaria alla generosità o all’eroismo più assoluti. […] Nulla dunque può essere premeditato dalle folle. Esse possono percorrere successivamente la gamma dei sentimenti più contrari, sotto l’influenza degli eccitamenti del momento. Son simili alle foglie sollevate dall’uragano, disperse in ogni senso e poi lasciate ricadere. G. Le Bon, La psicologia delle folle, Milano 1946 (ed. orig. 1895), pp. 13-16; 28-29; 36-38

La società di massa come rischio e come opportunità Bronislaw Geremek

È noto che la rivoluzione industriale fu accompagnata da una prodigiosa esplosione demografica. Occorre pure comprendere che ciò implicò un mutamento profondo dei rapporti fra uomo e natura, fra uomo e uomo: le masse si presentavano nella loro realtà biologica. […] Questa proliferazione umana collegata allo sviluppo industriale della produzione di massa crea pure una pressione costante sulle forme dell’habitat umano. Il mutamento delle proporzioni fra la popolazione attiva in agricoltura e la popolazione attiva nell’industria significa che l’incremento demografico è diretto soprattutto verso le città. […] Le nuove condizioni di vita abituano [l’immigrato urbano] all’anonimato immerso nella densità della massa. […] L’estrema mobilità umana che caratterizza l’epoca industriale fa ulteriormente aumentare l’anonimato della condizione operaia e il sentimento di perdersi nella folla. Ortega y Gasset […] sottolinea soprattutto il fatto che queste enormi masse umane sono state proiettate nella storia senza che potessero assorbire la cultura tradizionale. […] Le masse [sostiene sempre Ortega y Gasset] esigono i loro spazi di scelta sulla scena storica, rifiutano alle minoranze qualificate il ruolo di élite, procedono alla distruzione di

ogni originalità e finezza. Infatti «la massa è l’uomo medio», è nello stesso tempo una classe di uomini e un modo di essere; l’uomo-massa è l’uomo svuotato anzitutto della propria storia, senza radici nel passato. […] Ma quest’opera di circostanza [il lavoro di Ortega y Gasset, scritto durante l’affermazione del fascismo in Europa] non ha reso un buon servizio alla comprensione delle masse in quanto fenomeno. […] Le masse sono diventate il termine passe-partout, le si vede all’origine di tutti i mali della società contemporanea: la «società di massa» doveva spiegare la crisi delle istituzioni politiche, alla «cultura di massa» veniva attribuita la responsabilità della crisi morale dell’umanità. In che consiste, in realtà, il fenomeno di «massificazione» nei rapporti tra gli uomini nella società contemporanea? Sembra che si possa affermare, nel modo più generale, che è la sottomissione crescente dei rapporti interpersonali al meccanismo del mercato. Sia nell’ambito dell’economia sia nella vita politica e culturale, si osserva il gioco concorrenziale, l’interdipendenza fra la «produzione» e il «consumo» delle idee, delle opinioni, degli atteggiamenti, dei comportamenti, nonché l’attenzione portata ai prodotti e non ai loro creatori. […]

La discussione storiografica La società di massa come nuovo soggetto storico

I «conservatori» – Ortega y Gasset o Eliot – pensano che bisognerebbe semplicemente ricostruire le antiche barriere di classe e sottomettere le masse al controllo delle élite distinte per l’eredità di sangue o per i «meriti», ma bisognerebbe dapprima provare che all’origine di tutta questa evoluzione sta proprio lo scatenamento delle masse. In modo più generale, si manifesta il persistere di un certo romanticismo sociologico che porta con sé l’immagine idilliaca delle società del passato. Uno dei rari difensori delle società di massa, Shils, ha tentato di mostrare che le società moderne hanno fatto non solo degli immensi progressi materiali, ma hanno elaborato dei rapporti sociali e delle solidarietà che le società antiche non avevano mai conosciuto. Soltanto nelle società moderne è apparsa quella solidarietà orizzontale che permette di parlare di una società comune; lo sviluppo della scolarizzazione e la volgarizzazione della cultura distruggono le disparità e costituiscono dei fattori di integrazione sociale. […] E non c’è dubbio che i proces-

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si di «massificazione» significano anzitutto che un numero sempre più imponente di uomini ha accesso alla politica e alla cultura e trova il proprio posto nella società politica e nella vita culturale. […] Nulla permette di affermare che la «massificazione della politica» renda inevitabile il gioco sulla psicologia delle folle e sulle «epidemie emotive». Mannheim […] esprime la convinzione che lo sforzo educativo crei delle barriere alle reazioni irrazionali delle folle. […] A organizzare le masse sono i corpi intermedi tra le istituzioni politiche e i governati: il sindacato nel caso della classe operaia, gli ordini professionali nel caso della piccola borghesia, le associazioni contadine, ecc. Così al posto del confuso amalgama delle masse compaiono sulla scena politica i gruppi organizzati in funzione della loro collocazione nei rapporti di produzione, d’età, di vicinato. B. Geremek, Masse, in Enciclopedia, VIII, Torino 1979, pp. 823-35, 837-38

Modulo 3

I regimi totalitari I regimi europei totalitari

europei Capitolo 9

L’ascesa del fascismo in Italia

Nei paesi europei di più forte tradizione democratica, le difficoltà del dopoguerra furono affrontate e risolte nel rispetto delle istituzioni liberali. In Italia, invece, dove lo Stato unitario si era formato da appena cinquant’anni e la partecipazione popolare alla democrazia non si era ancora consolidata, finì per imporsi una dittatura totalitaria, il fascismo, che tenne il potere per oltre un ventennio, dal 1922 al 1943.

Capitolo 10

La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa Nell’autunno 1929 una drammatica crisi economica, causata dalla sovrapproduzione industriale e dal crollo dei mercati finanziari, investì gli Stati Uniti e di conseguenza l’Europa, a cui l’economia americana era strettamente collegata. Un’ondata di disoccupazione colpì tutti i paesi industriali e mise a dura prova le istituzioni democratiche. Nei paesi di consolidata tradizione liberale, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, esse finirono per rafforzarsi. Altrove (particolarmente in Germania) si dissolsero.

Capitolo 11

La dittatura fascista in Italia A cominciare dal 1925 Mussolini emanò una serie di decreti volti ad attuare in Italia un progetto organico di Stato totalitario, una dittatura che accentrava i poteri nelle sue mani e che affidava al Partito fascista il compito di organizzare e controllare la vita del paese sotto ogni aspetto. Le libertà civili, politiche, sociali che gli italiani avevano faticosamente conquistato dal Risorgimento in poi furono tutte soppresse. La giovane democrazia che il paese era riuscito a costruire mostrò la sua fragilità e d’improvviso si volatilizzò.

Capitolo 12

La Germania dalla crisi al nazismo Le difficoltà del dopoguerra, diversamente affrontate e superate nei paesi europei, furono particolarmente acute in Germania. Qui, come in Italia, le istituzioni democratiche – una realtà recente e non ancora consolidata – finirono travolte da un movimento antidemocratico e autoritario, il nazismo. Sotto la guida di Adolf Hitler, questo movimento si impose con metodi violenti e spietati, costruendo nel paese uno Stato totalitario all’insegna di una delirante ideologia imperialista e razzista, che progettava un’Europa dominata dal popolo tedesco e un «nuovo Ordine» mondiale. Si ponevano in questo modo le premesse di una nuova terribile guerra.

Capitolo 13

L’URSS di Stalin Tra il 1927 e il 1929 Stalin si affermò come leader indiscusso dell’Unione Sovietica, sbarazzandosi con la violenza di tutti gli avversari. Il principale obiettivo che si pose fu l’industrializzazione del paese, raggiunta a tappe forzate con risultati sorprendenti ma con enormi costi sociali, soprattutto nelle campagne dove fu realizzato, in forme coercitive, un processo di collettivizzazione dell’agricoltura che distrusse l’intera classe dei contadini proprietari. Stalin rimase al potere fino al 1953, attuando una vera politica del terrore che colpì decine di milioni di cittadini sovietici, uccisi o imprigionati nei campi di lavoro con l’accusa di operare contro gli interessi del paese.

Modulo 3 I regimi totalitari europei

9 L’ascesa

Capitolo

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del fascismo in Italia

Percorso breve La crisi economica del dopoguerra, con la difficoltà di riconvertire a usi pacifici la produzione industriale, portò alla chiusura di numerose fabbriche e a una vasta disoccupazione. Ciò provocò anche in Italia un’ondata di proteste e di scioperi, particolarmente forti nel “biennio rosso” 1919-20, che vide l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai e delle terre da parte dei contadini. Alle elezioni del 1919 (le prime a suffragio universale maschile) si affermarono i partiti di massa: non solo i socialisti ma anche i cattolici del Partito popolare, fondato da don Luigi Sturzo, che partecipavano per la prima volta alla competizione politica. Questo risultato mise in difficoltà la componente liberale del Parlamento: il governo Nitti cercò a fatica una mediazione, ma fu poi costretto a dimettersi anche in conseguenza dell’inconsulta azione militare messa in atto da Gabriele D’Annunzio e da un manipolo di uomini che occuparono la jugoslava Fiume, rivendicandola all’Italia. Nello stesso 1919 si costituì per opera di Benito Mussolini il movimento fascista, che teorizzava e praticava l’uso della violenza nel contrasto politico, e si era dotato di squadre armate per azioni contro le forze popolari, soprattutto socialisti e sindacalisti. Il governo frattanto tornò al vecchio Giolitti, che ribadì la sua tradizionale posizione (neutralità dello Stato nelle lotte sociali) provocando lo scontento tra industriali e agrari, che cominciarono a finanziare le squadre fasciste e le loro spedizioni contro operai e contadini. Giolitti sottovalutò il peso che i fascisti stavano acquistando nel paese, e dopo l’insuccesso alle elezioni del 1921, a cui anche i fascisti parteciparono, si dimise lasciando il posto a Ivanoe Bonomi. Nel 1922 i fascisti minacciarono di prendere il potere con le armi; il re, invece di reagire, diede a Mussolini (che godeva di forti simpatie nella casa reale) l’incarico di formare il governo. La maggioranza lo appoggiò. Nel 1924 furono indette nuove elezioni e Mussolini presentò una lista di coalizione che ottenne la maggioranza in un clima di intimidazioni e violenze: per averle denunciate in Parlamento, il segretario socialista Giacomo Matteotti fu

Benito Mussolini, inizio XX sec.

rapito e ucciso. In segno di protesta numerosi deputati abbandonarono il Parlamento ma ancora una volta il re non ritenne opportuno intervenire. Mussolini superò il momento critico assumendosi la responsabilità dell’accaduto, e soppresse le attività parlamentari. L’Italia era avviata verso la dittatura.

9.1 L’Italia nel dopoguerra Una transizione difficile L’Italia, come gli altri paesi europei, attraversò negli anni del dopoguerra una profonda crisi economica e sociale. Alle migliaia di reduci tornati dal fronte il paese non era in grado di offrire occupazione immediata. Il lavoro mancava, il costo della vita era in continuo aumento. Ciò diffondeva frustrazioni, delusioni, rancori. Le industrie, che durante il conflitto avevano lavorato a pieno ritmo per rifornire l’esercito di armi, automezzi, indumenti, erano entrate in un periodo di stasi e di inattività: si rendeva necessario trasformare gli impianti, convertirli dalla produzione di guerra alla produzione di pace. La trasformazione ebbe come effetto la chiusura di diversi stabilimenti e il licenziamento di numerosi operai. Non migliore era la situazione dei contadini, ai quali nei drammatici momenti di Caporetto erano stati promessi miglioramenti di vita e distribuzioni di terre [ 5.1]: tornati dalla guerra, essi ritrovarono i problemi di sempre e la stessa povertà che avevano lasciato partendo per il fronte. Agitazioni operaie e contadine Nel 1919 il mondo del lavoro entrò in agitazione. Anche in Italia, come in tutta Europa, si aprì allora quello che fu definito “biennio rosso” [ 8.2]: manifestazioni e scioperi portarono in piazza il malcontento popolare. Si chiesero provvedimenti che mettessero un freno al continuo aumento dei prezzi, gravoso soprattutto sui generi di prima necessità. Si chiese lavoro per tutti, si reclamarono miglioramenti dei salari per gli operai delle industrie e per i braccianti delle campagne, specialmente nell’area padana e nell’Italia centrale. Nelle campagne del Lazio e del Meridione i contadini non avevano dimenticato le promesse fatte dai politici durante la guerra, «la terra a chi la lavora», e si mossero all’occupazione dei latifondi e dei terreni incolti, sostenuti dalle organizzazioni che si erano costituite tra gli ex combattenti. Il debito pubblico Sulla disastrosa economia del paese gravavano inoltre i debiti dello Stato, oltre 10 miliardi di lire, contratti con gli Stati Uniti per le forniture di materiale bellico. La bilancia commerciale, a sua volta, registrava un forte disavanzo – 10 miliardi e mezzo di lire nel 1919 – dovuto in gran parte alle importazioni di prodotti alimentari, divenute necessarie per sopperire al declino della produzione agricola italiana, insufficiente al bisogno della popolazione.

9.2 Lo sviluppo e l’affermazione dei partiti popolari Il Partito popolare italiano Un fatto nuovo, destinato a influire notevolmente nella storia politica e sociale dell’Italia, fu l’ingresso dei cattolici nella vita politica, con la fondazione del Partito popolare italiano (1919) promossa dal sacerdote Luigi Sturzo (1871-1959), che aveva già svolto una lunga attività nelle file del movimento cattolico tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Superato il divieto fatto dalla Chiesa ai cattolici di prender parte alle elezioni [ vol. 2, 32.6], il partito entrò ufficialmente nella scena politica e assunse rapidamente un carattere di massa per la numerosa adesione popolare, particolarmente ampia nelle campagne centro-settentrionali. Sotto il simbolo dello scudo crociato, preso a prestito dall’araldica dei Comuni medievali, con sopra impresso il motto Libertas (‘Libertà’), il nuovo partito, pur essendo contrario al socialismo e alla lotta di classe, si presentò con un programma aperto ai problemi del lavoro, soprattutto a quelli dell’agricoltura e dei contadini. Esso prevedeva, tra l’altro, la liquidazione del latifondo e l’assegnazione delle terre espropriate ai coltivatori diretti, in modo da potenziare la piccola e media proprietà, considerate un argine contro il socialismo. Si chiese anche l’abolizione del servizio militare obbligatorio e l’estensione del diritto di voto alle donne. Inoltre, il Partito popolare propose la fine dello Stato accentrato costruito dai liberali e lo sviluppo delle autonomie locali e regionali.

I milanesi pretendono la riduzione dei prezzi, 1919 [Archivio Giancarlo Costa, Milano]

Questo disegno rappresenta quello che accadde, non solo in Italia ma in tutta Europa, subito dopo la fine della guerra. Il rincaro dei prezzi di ogni genere di prima necessità, la mancanza di lavoro e le mancate promesse fatte dal governo agli ex combattenti diedero vita al “biennio rosso”, due anni di scioperi e manifestazioni.

La Parola

bilancia commerciale Si definisce “bilancia commerciale” l’insieme dei beni e dei servizi che uno Stato acquista o vende all’estero. Il saldo della bilancia commerciale è dato dalla differenza tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni di merci.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

Le vie della cittadinanza

L

I partiti politici

’esercizio della sovranità da parte dei cittadini non si esaurisce con il voto. Essi possono far sentire il peso delle loro idee e dei loro bisogni partecipando alla vita delle comunità in cui si organizza la società civile: la scuola, i quartieri, i partiti, i sindacati. Specialmente i partiti sono importanti per influire sulla politica nazionale del governo, per concorrere alla sua formazione e stabilirne l’orientamento. I partiti sono associazioni di cittadini, che si riconoscono in idee, princìpi morali, interessi pratici ed economici comuni; in

base a tali elementi ciascun partito elabora un suo progetto politico e un programma di governo, che rende pubblici, presentandoli soprattutto in occasione delle elezioni, assieme alle liste dei suoi candidati. I partiti che ottengono il più vasto consenso e il maggior numero di voti formano la maggioranza e acquistano il diritto di governare il paese. L’esistenza di diversi partiti, il loro libero svilupparsi, contrapporsi e affrontarsi è una garanzia di libertà e di democrazia nella vita di una nazione. «Tutti i cittadi-

ni hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», afferma l’articolo 49 della Costituzione italiana. Quando in un paese alla pluralità dei partiti subentra un partito unico, cessa il confronto e la libertà scompare, sopraffatta dalla parte che si è imposta sulle altre. Ciò avvenne in Italia con il fascismo, che si affermò sopprimendo i partiti e instaurando un regime totalitario.

La riforma elettorale e le elezioni del 1919 Uno dei primi risultati ottenuti dal Partito popolare fu la riforma elettorale: il sistema uninominale (in ogni collegio si eleggeva un solo candidato) fu sostituito dal sistema proporzionale, per cui ogni partito presentava la lista dei suoi candidati e mandava alla Camera un numero di deputati proporzionale al numero dei suoi elettori. Nel novembre 1919 si tennero le elezioni politiche, le prime del dopoguerra a suffragio universale maschile e con il sistema proporzionale. Il Partito popolare ottenne 101 deputati. I socialisti riportarono un grande successo con 156 deputati (ne avevano ottenuti 52 nel 1913). Il resto dei seggi, 251, andò suddiviso tra i liberali e diversi gruppi minori. La novità significativa di queste elezioni fu la clamorosa affermazione dei partiti popolari, i cattolici e i socialisti, e l’indebolirsi dei liberali al governo. Il Partito comunista d’Italia I socialisti, pur essendo ampiamente rappresentati in Parlamento, non riuscirono a svolgere un’efficace azione politica perché erano divisi al loro interno in due correnti contrapposte: i riformisti, che avevano il loro leader in Filippo Turati, disposti a collaborare con il governo per una politica di riforme, e i massimalisti, guidati dal direttore dell’«Avanti!» Giacinto Menotti Serrati (1872-1926), i quali, al contrario, sostenevano la necessità di una rivoluzione che – come in Russia – avrebbe provocato il crollo dello Stato borghese e preparato l’avvento di una società socialista. Nel 1921, durante il Congresso di Livorno, un gruppo di delegati socialisti si separò e formò un nuovo movimento, il Partito comunista d’Italia, a finalità rivoluzionarie sul modello di quello bolscevico russo. Nel suo gruppo dirigente emersero Antonio Gramsci (1891-1937), nativo di Ales (Oristano), e il genovese Palmiro Togliatti (1893-1964).

Partito comunista d’Italia, 1921 Giovani socialisti passati al Partito comunista d’Italia dopo il congresso di Livorno del 1921. La spaccatura interna del Partito socialista fu la causa della disgregazione politica e della successiva sconfitta.

Capitolo 9 L’ascesa del fascismo in Italia

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9.3 Il governo Nitti Antagonismi politici Dopo le elezioni del 1919 governare l’Italia appariva particolarmente difficile. I liberali e i ceti borghesi – che dall’Unità in poi, per quasi un sessantennio, avevano tenuto la guida del paese – si ritrovavano politicamente indeboliti dal successo dei partiti di massa (socialisti e cattolici) alle elezioni. Da parte loro i socialisti erano come paralizzati dal contrasto fra riformisti e massimalisti, mentre il Partito cattolico, apparso da poco sulla scena politica, non aveva ancora maturato un progetto di governo lucido e coerente. I rancori della Chiesa cattolica contro lo Stato unitario erano in gran parte abbandonati (pur restando sempre aperto il contrasto fra Stato e Chiesa) ma i tre mondi, quello liberale, quello socialista e quello cattolico, presentavano ancora valori e ideali difficilmente compatibili. Le iniziative del governo Un tentativo di affrontare la situazione fu fatto da Francesco Saverio Nitti (1868-1953), liberale di orientamenti democratici, che tenne il governo per dodici mesi, dal giugno 1919 al giugno 1920. Fu Nitti a introdurre nelle elezioni il sistema proporzionale chiesto dai cattolici; egli inoltre emanò decreti per legalizzare l’occupazione delle terre incolte da parte dei contadini. Nei confronti degli scioperi e delle agitazioni sociali adottò un atteggiamento conciliante, nel tentativo (come dichiarò in un’intervista del luglio 1919 a un quotidiano francese) di avvicinare i socialisti al governo. Ma tale idea era di difficile attuazione: né la borghesia industriale, né gli stessi socialisti lo ritenevano possibile. L’occupazione di Fiume Un complesso problema si presentò al governo Nitti nel mese di settembre: reparti dell’esercito italiano, circa 9000 uomini guidati dal poeta Gabriele D’Annunzio, occuparono di sorpresa Fiume, città dell’Istria la cui annessione o meno all’Italia era in discussione nelle trattative di pace a Parigi [ 5.5]. Il gesto, nato da una decisione personale di D’Annunzio con la connivenza di alcune autorità militari, fu pubblicamente condannato da Nitti, perché non autorizzato dal governo né dal Parlamento, e perché poteva creare pericolose tensioni tra l’Italia e la Jugoslavia. Ma una parte dell’opinione pubblica (gruppi e associazioni di ex combattenti, di ex interventisti, di nazionalisti) si dichiarò favorevole al colpo di mano di D’Annunzio. Gli allievi della “scuola legionari” a Fiume, 1923 Questa foto rappresenta i legionari guidati da D’Annunzio che, nel 1919, con una spedizione militare non autorizzata occuparono la città di Fiume. Nel 1920 la città fu riconosciuta come Stato libero e indipendente contro la volontà dello stesso D’Annunzio.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei La propaganda dei nazionalisti aveva diffuso nell’opinione pubblica l’idea che l’Italia non avesse avuto nelle trattative di pace i riconoscimenti che meritava: «Vinta la guerra – si diceva – essa ha perduto la pace», riducendo il successo a una «vittoria mutilata», come lo stesso D’Annunzio la definiva. Un tale groviglio di difficoltà si creò nel paese da mettere in crisi il governo e da costringere Nitti alle dimissioni.

9.4 La nascita del fascismo I “Fasci di combattimento” Nello stesso anno, il 1919, in cui si affermarono alle elezioni i partiti di massa – quello socialista e quello cattolico – si costituirono a Milano i “Fasci di combattimento”, un nuovo movimento politico fondato da Benito Mussolini (1883-1945), un giornalista nativo di Dovìa nell’Appennino forlivese, che, dopo aver militato nel Partito socialista, ne era stato allontanato a causa della propaganda da lui fatta in favore della guerra nel 1914-15 [ 4.4]. Il movimento agli inizi non ebbe un programma preciso. Come scrisse nel 1914 Mussolini sul quotidiano «Il Popolo d’Italia», il giornale da lui fondato e diretto, «noi [fascisti] ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalitari e illegalitari, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente». Tutto e il contrario di tutto, insomma.

I fascisti presidiano la sede del giornale socialista «Avanti!» incendiata, 1919 Una delle prime azioni che identificarono i metodi e i caratteri del nuovo movimento squadrista creato da Benito Mussolini fu l’incendio della sede del giornale «Avanti!».

Lo squadrismo Ma un carattere apparve subito evidente: lo spirito aggressivo, l’uso della violenza nel contrasto politico. Gli aderenti erano inquadrati in “squadre d’azione” e vestivano divise militari con camicia nera; come distintivo fu assunto il fascio littorio, insegna dei magistrati della Roma antica che indicava il potere di punire (fu forse proprio da questa insegna che il fascismo derivò il suo nome). Il fascismo trovò simpatizzanti tra gruppi di ex combattenti, persone di diversa origine sociale che avevano in comune il malcontento per la situazione dell’Italia, i cui mali venivano attribuiti al malgoverno e ai partiti politici, in particolare ai socialisti. Come rimedio a tutto ciò si propugnava l’uso della forza, l’intervento con le armi: «I fascisti – affermava Mussolini – non hanno dottrine prestabilite, la loro unica tattica è l’azione». Ma azione contro chi e che cosa? La violenza squadrista Una delle prime azioni delle squadre fasciste si compì il 15 aprile 1919 a Milano, con l’attacco alla sede del giornale socialista «Avanti!» (di cui lo stesso Mussolini era stato direttore) che fu devastata e incendiata. Con questo atto il fascismo manifestò apertamente il suo carattere di movimento antidemocratico, attivo contro i partiti popolari e le loro organizzazioni. Le azioni squadriste proseguirono nei mesi successivi e inizialmente si concentrarono nelle aree di campagna, dove più forte era la presenza dei socialisti (che si andavano affermando anche alla guida di molti Comuni, soprattutto nell’Italia centrale) e dove i contadini (sostenuti anche dai sindacalisti) stavano raggiungendo importanti conquiste salariali e sociali, a scapito dei proprietari terrieri, i cosiddetti “agrari”.

9.5 Il nuovo governo Giolitti Le lotte operaie Dopo le dimissioni di Nitti, il governo fu affidato a Giovanni Giolitti, che già era stato presidente del Consiglio nel primo decennio del Novecento [ 3.1]. Era un momento di estrema tensione politica e sociale, particolarmente acuta a Milano, Torino e Genova, dove i metallurgici, impegnati da tempo in una controversia sindacale con i datori di lavoro, avevano occupato le fabbriche.

Capitolo 9 L’ascesa del fascismo in Italia

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La “neutralità dello Stato” Gli industriali, temendo lo scoppio di una rivoluzione come era successo in Russia, chiedevano al governo di intervenire con le forze armate, ma Giolitti rimase fedele alla sua linea tradizionale di non intervento, già messa in atto in occasione dello sciopero generale del 1904 [ 3.1]. Si rifiutò di ricorrere alla forza e preferì aspettare che le parti in causa trovassero un accordo; offrì anzi la mediazione del governo. Dopo lunghe trattative si trovò un’intesa, un compromesso che fissava miglioramenti salariali e riconosceva agli operai un limitato ambito di controllo sulla vita delle aziende. La questione di Fiume Giolitti riuscì a risolvere anche la questione di Fiume occupata dalle truppe di D’Annunzio, negoziando con la Jugoslavia il trattato di Rapallo (1920): Fiume fu dichiarata città-Stato indipendente, l’Italia ebbe riconfermato il possesso dell’Istria (non della Dalmazia) e in più le fu concessa la città di Zara. Aver sbloccato l’occupazione delle fabbriche e risolto il problema di Fiume furono due notevoli successi del governo di Giolitti. L’insoddisfazione di industriali e agrari Tuttavia, la politica di non intervento nelle lotte sociali fu disapprovata dagli industriali e dagli agrari più conservatori, i quali, per la protezione dei propri interessi, credevano necessarie le maniere forti. Questi sostenitori della politica dura si avvicinarono ai fascisti e li rafforzarono con contributi in denaro, perché intervenissero con le loro squadre d’azione contro i movimenti popolari. Gli squadristi contro le organizzazioni popolari Fu così che tra la fine del 1919 e l’inizio del 1920 il movimento fascista si consolidò e con le sue squadre d’azione avviò una serie sistematica di interventi armati contro le organizzazioni operaie e contadine, allo scopo di indebolirle e distruggerle: dapprima nelle campagne dell’Emilia e della Toscana, poi in altre regioni e nelle città. «Le spedizioni – ha scritto lo storico Angelo Tasca – partono quasi sempre da un centro urbano e irraggiano nelle campagne circostanti. Montate su camion, armate dall’Associazione agraria o dai magazzini dei reggimenti, le camicie nere si dirigono verso il luogo che è l’obiettivo della loro spedizione. Arrivate, cominciano col bastonare tutti coloro che incontrano per le strade che non si scoprono al passaggio dei gagliarOperai in sciopero negli stabilimenti della FIAT di Torino, 1920 Nel 1919-20 la mobilitazione sociale e politica in Italia coinvolse ampi strati popolari, contadini e operai. Le aspettative rivoluzionarie raggiunsero il culmine nel settembre del 1920 con l’occupazione delle fabbriche.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei detti o che portano un fazzoletto, una cravatta, una sciarpa rossa. Poi ci si precipita alla sede della Camera del lavoro, del Sindacato, della Cooperativa, della Casa del popolo, si sfondano le porte, si buttano per strada i mobili, i libri, le merci, si versano bidoni di benzina; qualche minuto dopo tutto è in preda alle fiamme. Coloro che si trovano nei locali vengono selvaggiamente picchiati o uccisi». Queste forme di terrorismo organizzato furono rese possibili non solo dal sostegno finanziario degli agrari e di una parte degli industriali, ma anche dall’appoggio degli organi governativi: prefetti, polizia, funzionari, esercito lasciarono fare. Perché?

I tempi della storia 1920-21: la protesta operaia e i finanziatori del fascismo Nell’immediato dopoguerra la forza del movimento operaio, manifestata soprattutto con l’arma dello sciopero, fece balenare anche in Italia l’ipotesi di una rivoluzione socialista sul modello sovietico. Probabilmente in Italia non ne esistevano le premesse storiche, né era questa la volontà della maggior parte delle asso-

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ciazioni e dei partiti popolari; sta di fatto che in quegli anni, tra il 1919 e il 1920, gli industriali – e, nelle campagne, gli agrari – temettero che qualcosa del genere potesse verificarsi. L’ultima importante iniziativa del movimento operaio prima dell’avvento del fascismo fu, nel settembre 1920, l’occupazione delle fabbriche

u tutta la linea, da Sampierdarena a Voltri, è una abbondante esposizione di bandiere rosse e nere attaccate alle macchine, ai cancelli e sulle navi che sono in costruzione. Sul grande cancello della officina Ansaldo a Sestri Ponente è attaccato un cartello con la scritta «Stabilimento comunista»; su qualche altro vi è pure la scritta seguente: «Operai, se la forza pubblica tentasse di entrare, adottate il sabotaggio». Nelle officine Ansaldo, al molo Giano, tutto è stato prediMentre gli operai lottavano nelle fabbriche, e mentre i contadini lottavano nelle campagne, si affermava in Italia il movimento fascista, grazie al concorso di diversi fattori: la passività dello Stato di fronte alla violenza organizzata degli squadristi, la debolezza dei partiti popolari, il sostegno finanziario dei proprietari terrieri, degli industriali, delle associazioni dei commercianti. A proposito di quest’ultimo punto si

decisa dalla Federazione degli operai metallurgici (FIOM): vi parteciparono, in tutta Italia ma soprattutto nel Nord, 500.000 lavoratori. Così il quotidiano liberale «Il giornale d’Italia» descrisse la mobilitazione operaia, riferendosi in particolare alla Liguria.

sposto per respingere la forza pubblica nel caso in cui questa venisse incaricata di prendere d’assalto gli stabilimenti. Le porte d’accesso sono solidamente sbarrate e sono state costruite opere di difesa con materiale rotabile e grossi rottami di ferro [...]. Ai magazzini sono stati adibiti operai di fiducia della Commissione interna e il materiale non può essere consegnato senza la presentazione di un buono firmato dal commissario di reparto.

legga questa lettera, indirizzata ai fascisti dai rappresentanti della borghesia di Crevalcore, in provincia di Bologna: L’assemblea dei proprietari e commercianti di questo Comune, riunitisi il giorno 25 agosto [1921], ha deliberato all’unanimità di sottoscrivere in proporzione ai redditi di ciascuno delle quote annuali per sovvenire la gioventù fascista, che, disinteressata e generosa, è e resterà la barriera contro il

disordine. Il pagamento della quota potrà effettuarsi anche a rate mensili.

Analoghe posizioni furono prese dalla classe industriale che si dichiarò «pronta a qualunque sacrificio [affinché Mussolini garantisse] il diritto della proprietà, il dovere per tutti del lavoro, la necessità della disciplina, la valorizzazione delle energie individuali, il sentimento nazionale». Guardie rosse durante l’occupazione delle fabbriche, Torino, settembre 1920 [Archivio Centrale dello Stato, Mostra della rivoluzione fascista, Roma]

Alle azioni sindacali della FIOM si affianca l’opera dei consigli di fabbrica, organi ispirati ai soviet.

Capitolo 9 L’ascesa del fascismo in Italia

129

Gli errori del governo Il governo non impedì le violenze del fascismo nella convinzione che il movimento di Mussolini avrebbe avuto vita breve e che intanto lo si potesse utilizzare per spegnere gli eccessi del massimalismo socialista. Lo stesso Giolitti si sentiva certo di poter sempre riprendere, al momento opportuno, il controllo della situazione. Ma la previsione si rivelò errata, e l’andamento delle cose fu ben diverso. Infatti, mentre i liberali con la loro inerzia politica si indebolivano ogni giorno di più, i fascisti, lasciati liberi di muoversi in libertà, aumentavano la loro forza e si aprivano la via per impadronirsi del governo.

Italia (Nord)

Germania

Francia

Gran Bretagna

1901-5

4987



376



1906-10

4303



313



1911-14

4527



237

113

1915-18

694



61



1919-20

29.584

609

512

91

Scioperanti tra il 1901 e il 1920 in alcuni paesi europei [da G. Crainz, Padania. Il mondo dei braccianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma 1994, p. 6]

La tabella mostra il numero degli scioperanti annui su 100.000 lavoratori agricoli dipendenti. Il biennio in cui diminuiscono gli scioperanti è quello della Prima guerra mondiale mentre aumentano durante il “biennio rosso”.

9.6 Mussolini al governo (1922) Fascisti in Parlamento Nel luglio 1921 Giolitti presentò le dimissioni, deluso dai risultati delle recenti elezioni. Gli successe Ivanoe Bonomi, che tenne il governo per soli otto mesi. I fascisti, che avevano preso parte alle elezioni, ottennero 30 seggi in Parlamento, pochi ma tuttavia sufficienti per procurarsi nuovi appoggi e adesioni nei centri del potere, i ministeri, la burocrazia, la magistratura, la monarchia. Socialisti e cattolici, pur avendo confermato le posizioni acquisite nelle precedenti elezioni, erano resi impotenti dalle sopraffazioni fasciste. A novembre dello stesso anno il movimento dei Fasci di combattimento si trasformò nel Partito nazionale fascista (PNF). Contava circa 200.000 iscritti. La minaccia di una “marcia su Roma” Mussolini comprese che il momento era maturo per tentare la scalata al potere e il 24 ottobre 1922, durante un’adunata di fascisti a Napoli, lanciò la sfida al governo: «O ci daranno il potere o ce lo prenderemo calando su Roma». Una vera minaccia di insurrezione. Luigi Facta, che aveva sostituito Bonomi al governo, propose al re di proclamare lo stato d’assedio, vale a dire di ricorrere all’esercito per disperdere le squadre fasciste, che, sotto il comando dei massimi esponenti del partito (Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi) stavano preparando un colpo di forza contro lo Stato, la cosiddetta “marcia su Roma”. Mussolini conquista il potere Vittorio Emanuele III, dopo qualche esitazione, respinse la proposta. Il fascismo godeva infatti della simpatia del re e della casa reale, soprattutto del duca Amedeo d’Aosta (1931-42), cugino del sovrano, e della regina madre, Margherita (1878-1926). Facta si dimise e Mussolini, che da Milano attendeva lo svolgimento degli eventi, fu convocato a Roma dal re, che gli affidò l’incarico di formare un nuovo governo mentre gli squadristi entravano in città senza incontrare alcun ostacolo. L’incauto appoggio parlamentare La maggioranza dei parlamentari – con la sola eccezione dei socialisti e dei comunisti – accolse il nuovo governo capeggiato da Mussolini con voto favorevole, nella convinzione che l’ingresso dei fascisti nella legalità delle istituzioni statali avrebbe segnato la fine delle aggressioni e dei disordini e il riaffermarsi della

Il re e Mussolini a Milano per l’inaugurazione della Fiera Campionaria, 1923 Nel 1923, grazie alla simpatia che il fascismo godeva nella casa reale, a Mussolini fu chiesto di formare un governo e di prenderne la guida. Lo stesso re, Vittorio Emanuele III, affidò l’incarico ai fascisti e il Parlamento accolse il nuovo governo con voto favorevole.

130

Modulo 3 I regimi totalitari europei vita civile. Ma non fu così: la violenza nel paese non ebbe tregua, ormai si era affermata come metodo di governo. Ne diede conferma la disposizione di Mussolini che trasformò le squadre d’azione in un corpo militare ufficiale, un secondo esercito, denominato “Milizia volontaria per la sicurezza nazionale” (MVSN). Essa diventò uno dei principali strumenti per portare fino in fondo la distruzione degli avversari politici.

9.7 La vittoria elettorale fascista. L’assassinio di Giacomo Matteotti Voti e violenza Nel 1924 furono indette nuove elezioni, con una legge elettorale secondo cui due terzi dei seggi alla Camera sarebbero andati a chi avesse ottenuto il maggior numero di voti. Mussolini presentò una lista di coalizione (il cosiddetto “listone”) che, assieme a candidati fascisti, comprendeva esponenti di altri partiti, soprattutto liberali conservatori (come Salandra, ex Primo ministro alla vigilia della Prima guerra mondiale), e che ebbe l’appoggio anche di una parte dei liberal-democratici (come Giolitti). Le elezioni si svolsero in un clima di intimidazione e di violenze, senza alcuna protezione per gli elettori, che subirono minacce e bastonature mentre si recavano alle urne. La lista fascista ottenne la maggioranza dei voti, più del 60%. La denuncia e la morte di Matteotti Convocata la Camera, il 30 maggio 1924 il deputato Giacomo Matteotti (1885-1924), segretario del Partito socialista, pronunciò un discorso in cui denunciava le illegalità e le violenze compiute dai fascisti durante le elezioni e chiedeva l’annullamento dei risultati elettorali. Qualche giorno dopo, la mattina del 10 giugno, Matteotti fu rapito da una squadra fascista mentre usciva dalla sua abitazione a Roma, assassinato e abbandonato in un bosco nei dintorni della città. Il corpo fu trovato solo ad agosto. Il delitto suscitò nel paese un’ondata di indignazione e il potere di Mussolini sembrò vacillare. Per qualche settimana egli si trovò isolato, additato alla condanna morale dell’opinione pubblica e abbandonato anche da diversi gruppi di sostenitori.

Compagni di partito osservano un minuto di silenzio sul luogo del rapimento di Matteotti, 1925

La “secessione dell’Aventino” I deputati dell’opposizione (socialisti, repubblicani, il gruppo dei cattolici guidati da Alcide De Gasperi, i liberali di Giovanni Amendola) abbandonarono la Camera in segno di protesta, dichiarando che non avrebbero più partecipato ai lavori parlamentari fino a che non fosse stata ripristinata la legalità nel paese. Questo gesto simbolico, che fu chiamato “secessione dell’Aventino” (con riferimento a un celebre episodio dell’età romana antica, quando i plebei, nei periodi di conflitto con i patrizi, si ritiravano sul colle Aventino) non ebbe alcuna conseguenza, anche perché il re, malgrado gli appelli a lui rivolti dai deputati “secessionisti”, non si mosse né pronunziò una sola parola di condanna per il delitto. Il discorso di Mussolini alla Camera I parlamentari “secessionisti” furono, anzi, dichiarati decaduti dopo che Mussolini ebbe ripreso le redini del governo. Ciò accadde dopo un discorso da lui tenuto alla Camera il 3 gennaio 1925, assumendosi la responsabilità «politica, morale e storica» dell’accaduto, e chiedendo formalmente al Parlamento un atto d’accusa nei suoi confronti. Ciò evidentemente non avvenne; nei due giorni successivi le attività parlamentari furono soppresse e ai prefetti fu imposto di sciogliere qualsiasi organizzazione contraria al fascismo. La strada verso l’instaurazione di un regime totalitario era ormai imboccata.

Capitolo 9 L’ascesa del fascismo in Italia

Sintesi

L’ascesa del fascismo in Italia

L’Italia nel dopoguerra Il primo dopoguerra fu caratterizzato in Italia da una difficile condizione economica e sociale. Molte industrie, che avevano difficoltà nella riconversione alla produzione di pace, chiusero: aumentarono disoccupazione e costo della vita e con esse la rabbia. Ai contadini non fu assegnata la terra promessa dopo Caporetto. Nel 1919 le agitazioni nel mondo del lavoro crebbero: gli operai chiedevano salari migliori e limiti all’aumento dei prezzi; i contadini occuparono latifondi e terreni incolti. Alla già provata situazione economica si aggiungevano i debiti contratti dal paese con gli Stati Uniti durante la guerra. Il disavanzo cresceva per l’importazione di prodotti alimentari perché l’agricoltura italiana non bastava a sfamare la popolazione. Lo sviluppo e l’affermazione dei partiti popolari Nel dopoguerra i cattolici italiani entrarono nella vita politica, con il Partito popolare fondato da don Luigi Sturzo, un partito di massa con consenso soprattutto nelle campagne centro-settentrionali. Il programma, antisocialista, era aperto ai problemi del mondo del lavoro: prevedeva l’assegnazione di lotti di terre ai contadini, l’abolizione del servizio militare obbligatorio, il voto alle donne e il potenziamento delle autonomie locali. Nel novembre 1919 si svolsero le prime elezioni del dopoguerra, a suffragio universale maschile e con il sistema proporzionale: la maggioranza andò ai liberali, ma socialisti e popolari registrarono un forte consenso. I socialisti erano divisi nelle due correnti dei riformisti e dei massimalisti. Nel 1921 una scissione interna diede vita al Partito comunista d’Italia, ispirato al bolscevismo russo. Il governo Nitti Il governo fu affidato a Nitti. Introdusse il sistema proporzionale, legalizzò l’occupazione contadina delle terre, fu conciliante verso le agitazioni sociali, nella prospettiva, poi non realizzata, di

portare i socialisti al governo. Nel settembre 1919 un gruppo di volontari guidato da D’Annunzio occupò la città di Fiume, rivendicata dall’Italia. Il governo condannò il gesto, mentre la propaganda nazionalista lo avallò portando avanti l’idea della “vittoria mutilata”. La situazione portò alla crisi del governo e alle dimissioni di Nitti. La nascita del fascismo Nel 1919 a Milano si costituì un nuovo movimento politico guidato da Benito Mussolini, i “Fasci di combattimento”, privo di un programma preciso ma caratterizzato dall’uso della violenza (il simbolo era il fascio littorio). Gli aderenti, organizzati in squadre d’azione, erano soprattutto ex combattenti di diversa estrazione sociale, ma accomunati dal malcontento verso la situazione italiana e i partiti politici. Nell’aprile 1919 a Milano le squadre fasciste assaltarono e bruciarono la sede dell’«Avanti!», giornale socialista precedentemente diretto dallo stesso Mussolini. Le azioni squadriste si diffusero poi nelle campagne, dove contrastarono la forte presenza socialista e sindacalista. Il nuovo governo Giolitti Dopo le dimissioni di Nitti, al governo tornò Giolitti, in un periodo di grande tensione sociale, a causa dell’occupazione delle fabbriche messa in atto dai metallurgici. Nonostante le richieste di intervento degli industriali, Giolitti confermò la linea di neutralità del governo. Le parti, anche grazie alla mediazione del governo, si accordarono: gli operai ottennero aumenti salariali e un limitato controllo sulle fabbriche. Anche la questione di Fiume fu risolta tramite il trattato di Rapallo (1920), che concedeva all’Italia l’Istria e Zara mentre Fiume diventava città libera. Questa linea politica fu però disapprovata dagli agrari e dagli industriali più conservatori, che si avvicinarono ai fascisti. Anche il governo lasciò agire le squadre fasciste, nella convinzione che il movimento si sarebbe presto esaurito e che potesse essere usato

per limitare l’azione dei socialisti massimalisti. In realtà i fascisti in questo modo accrebbero la loro forza aprendosi la via per andare al governo. Mussolini al governo (1922) Nel luglio 1921 Giolitti si dimise e al suo posto andò al governo Bonomi. I fascisti riuscirono a eleggere 30 parlamentari, di cui si servirono per ottenere nuovi appoggi dai centri di potere. Fu fondato il Partito nazionale fascista (novembre 1921) e Mussolini annunciò un’azione di forza per ottenere il potere, la “marcia su Roma”. Il capo del governo, Facta, propose al re Vittorio Emanuele III di far intervenire l’esercito contro le squadre fasciste. Il re rifiutò e affidò a Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo, che ebbe il voto favorevole del Parlamento, a eccezione di socialisti e comunisti. Fu costituito un corpo militare di volontari (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), con cui si continuarono a colpire gli avversari politici. La vittoria elettorale fascista. L’assassinio di Giacomo Matteotti Alle elezioni del 1924 vinsero i fascisti, alleati con i liberali. Alla riapertura del Parlamento, il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò che le elezioni si erano svolte in un clima di intimidazioni e violenze e ne chiese l’annullamento. Qualche giorno dopo Matteotti fu rapito e assassinato da una squadra fascista. Questo evento suscitò nel paese una reazione indignata che indebolì la posizione di Mussolini. I deputati dell’opposizione abbandonarono i lavori parlamentari (secessione dell’Aventino) ma il gesto non ebbe conseguenze. Il re non intervenne e Mussolini si assunse la responsabilità dell’accaduto (gennaio 1925), invitando il Parlamento ad accusarlo. A quel punto ai prefetti fu imposto di sciogliere le organizzazioni contrarie al fascismo e furono sospesi i lavori parlamentari, aprendo la strada all’instaurazione di un regime totalitario.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La politica giolittiana di non intervento avvicinò agrari e industriali ai fascisti.

V

F

b. Il discorso del 3 gennaio 1925 aprì la strada all’instaurazione del regime totalitario.

V

F

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132

Modulo 3 I regimi totalitari europei

c. Vittorio Emanuele III accettò la proposta di proclamare lo stato d’assedio contro le squadre fasciste.

V

F

n. Nitti dichiarò in un’intervista a un giornale francese di voler avvicinare i socialisti al governo.

V

F

o. Le elezioni del 1921 portarono a un indebolimento dei partiti di massa.

V

F

V

F

d. Dopo il biennio rosso fu riconosciuto agli operai un limitato controllo sulla vita delle fabbriche.

V

F

e. Le occupazioni dei terreni incolti furono ostacolate dalle organizzazioni di ex combattenti.

V

F

p. Il governo non intervenne contro le violenze fasciste pensando che il movimento sarebbe durato poco.

f. La secessione dell’Aventino fu una conseguenza del delitto Matteotti.

V

F

q. I nazionalisti erano favorevoli all’occupazione di Fiume.

V

F

g. Il “listone” comprendeva candidati fascisti ma anche di altri partiti.

V

F

r. Il Partito popolare ottenne un notevole seguito nelle campagne centro-settentrionali.

V

F

h. I fascisti entrarono per la prima volta in Parlamento nel 1919.

V

F

i. Il re condannò apertamente l’omicidio di Matteotti.

V

F

V

F

s. Le industrie italiane riuscirono rapidamente a riconvertire gli impianti per la produzione di pace.

l. Le azioni degli squadristi si diffusero nelle campagne dove era forte la presenza socialista.

t. Nel periodo di Caporetto era stata promessa ai contadini la distribuzione di terre.

V

F

V

F

u. Le elezioni politiche del 1919 furono le prime a svolgersi con il sistema uninominale.

V

F

m. La camicia nera richiamava l’abbigliamento dei magistrati della Roma antica.

V

F

v. I reduci incontrarono difficoltà nel trovare un lavoro dopo la guerra.

V

F

2. Associa ciascuna delle seguenti date all’evento corrispondente. 1919

assassinio di Matteotti

aprile 1919

assalto alla sede milanese dell’«Avanti!»

settembre 1919

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo grup-

po (più nomi del primo gruppo possono riferirsi a uno stesso termine).

Giacinto Menotti Serrati

occupazione di Fiume

Alcide de Gasperi

trattato di Rapallo

nascita del Partito comunista d’Italia

Emilio De Bono

segretario del Partito socialista

1920

trattato di Rapallo

Giacomo Matteotti

socialismo massimalista

1921

marcia su Roma

Gabriele d’Annunzio

marcia su Roma

novembre 1921

Mussolini si assume la responsabilità del delitto Matteotti

Antonio Gramsci

Fasci di combattimento

Giovanni Giolitti

Partito popolare italiano

ottobre 1922

nascita del Partito popolare italiano

Benito Mussolini

secessione dell’Aventino

maggio 1924

D’Annunzio occupa Fiume

Luigi Sturzo

stato d’assedio

giugno 1924

fondazione del Partito nazionale fascista

Italo Balbo

Partito comunista d’Italia

gennaio 1925

discorso di Matteotti alla Camera

Filippo Turati

socialismo riformista

Luigi Facta Palmiro Togliatti Giovanni Amendola

Capitolo 9 L’ascesa del fascismo in Italia

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. bilancia commerciale • disavanzo • insurrezione • mediazione • metallurgici • proporzionale • secessione • squadrismo • stato d’assedio • uninominale Provvedimento di emergenza che attribuisce poteri civili all’autorità militare Sistema elettorale che prevede l’elezione di un solo candidato per ogni collegio Sistema elettorale per cui il numero degli eletti rispecchia quello dei voti Eccedenza delle uscite sulle entrate Fenomeno basato su azioni violente compiute contro gli oppositori politici Azione finalizzata a favorire il raggiungimento di un accordo Insieme dei beni e servizi acquistati o venduti all’estero da uno Stato Distacco di un gruppo da un complesso politico Lavoratore nell’industria di estrazione e lavorazione dei metalli Moto collettivo di ribellione a carattere violento

5. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti. chiusura • conquiste • controllo • costo • debiti • disavanzo • disoccupazione • distribuzione • fabbriche • freno • lavoro • latifondi • licenziamento • manifestazioni • occupazione • promessa • riconversione • salari • scioperi • socialiste • squadrismo • terreni

DIFFICOLTÀ ECONOMICHE E TENSIONI SOCIALI CRISI ECONOMICA • Aumento della ............................................................ e del ................................ della vita • ............................................................ di guerra verso Stati Uniti • Crescita del ....................................................................................................................................

INDUSTRIA • Difficoltà alla ...............................................................degli impianti: ....................................... degli stabilimenti e ............................................. degli operai

AGRICOLTURA • .............................................. di ...............................................delle terre ai contadini non mantenuta e presenza di ..................................... e .............................................. incolti

TENSIONI SOCIALI • ............................................................... e .................................................... : richiesta di .............................................. e ................................. ai prezzi • Milano, Torino, Genova: ..............................................................delle

TENSIONI SOCIALI • Lazio, Italia meridionale: ..................................................................... di ........................................................... e ............................................. incolti • Italia Centro-settentrionale: presenza delle organizzazioni ......................................................... : ................................................. salariali e .......................................................................................................................... . • Scontri con lo ........................................................................... fascista

....................................................

• Intesa con gli industriali: migliori ............................. e parziale ......................................................... operaio su vita delle aziende

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande.

5. Quali decisioni furono prese in politica interna e in politica estera? Quale riforma fu approvata? 6. Quando terminò il suo governo? 7. In che periodo governò Ivanoe Bonomi? Che cosa accadde nel periodo del suo governo? 8. In che periodo governò Luigi Facta? Che cosa accadde nel periodo del suo governo? 9. In che periodo governò per la prima volta Mussolini? In che modo si arrivò alla sua nomina?

1. In che periodo governò Francesco Saverio Nitti? Che cosa accadde negli anni del suo governo? 2. Quali decisioni furono prese in politica interna e in politica estera? Quale riforma fu approvata? 3. Quando terminò il suo governo? 4. In che periodo tornò al governo Giolitti? Che cosa accadde negli anni del suo governo?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

I GOVERNI ITALIANI DAL 1919 AL 1924 NITTI

GIOLITTI

BONOMI

FACTA

MUSSOLINI

IL PERIODO

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.............................................

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.............................................

GLI EVENTI

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POLITICA INTERNA

POLITICA ESTERA

RIFORME

7. Rispondi alle seguenti domande con una risposta di massimo 3 righe per ognuna.

1. Da chi fu organizzata l’occupazione di Fiume? Chi la sostenne? Chi si oppose? 2. Quali problemi interni caratterizzavano il socialismo italiano? Con quali conseguenze? 3. Per quale motivo il governo non intervenne contro lo squadrismo fascista? 4. Chi era Giacomo Matteotti? Per quale motivo fu ucciso? Con quali conseguenze?

5. Quali scelte politiche di Giolitti crearono malcontento interno? Per quale motivo? 6. Quali problemi caratterizzarono l’economia italiana del primo dopoguerra? 7. Quale fu l’esito delle elezioni del 1919? Quali forze emersero? 8. Quale fu l’esito delle elezioni del 1924? Quali forze emersero? 9. Che cosa era lo squadrismo fascista? Quali scopi aveva? Da chi fu appoggiato? 10. In che modo Mussolini ottenne l’incarico di formare un governo?

Capitolo 9 L’ascesa del fascismo in Italia

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa erano i “Fasci di combattimento”? Quando furono istituiti? Chi vi aderì? Quale era il programma? 2. Quali azioni caratterizzarono lo squadrismo fascista? In che periodo avvennero? 3. Per quale motivo agrari e industriali appoggiarono i fascisti? Con quali conseguenze? 4. Quale fu l’atteggiamento del governo verso le violenze fasciste? Per quale motivo?

5. Quando furono eletti per la prima volta parlamentari fascisti? Che peso avevano? 6. Che cosa fu la marcia su Roma? Chi la appoggiò? Chi si oppose? Quali conseguenze ebbe? 7. Quali scelte caratterizzarono il primo governo Mussolini? Che cosa venne istituito? 8. Che cosa accadde all’inizio del secondo governo Mussolini? Con quali conseguenze?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

IL FASCISMO VERSO IL POTERE 1919

.................................................................................................................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................................................................................................................................

1920

.................................................................................................................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................................................................................................................................

1921

.................................................................................................................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................................................................................................................................

1922

.................................................................................................................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................................................................................................................................

1924

.................................................................................................................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................................................................................................................................

9. Verso il saggio breve Leggi il documento “1920-21: la protesta operaia e i finanziatori del fascismo” a p. 124 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quale timore avevano gli industriali nel periodo 1919-20? Per quale motivo? 2. Dove e quando ebbe luogo l’occupazione delle fabbriche? Chi vi partecipò? 3. Quali cartelli furono attaccati sugli stabilimenti? Che cosa vi era scritto? 4. In che modo negli stabilimenti occupati si tentava di respingere la forza pubblica? 5. Quali fattori interni concorsero all’affermazione del movimento fascista? 6. Che cosa è scritto nella lettera dei rappresentanti della borghesia di Crevalcore? 7. Quali posizioni espresse la classe degli industriali nei confronti del fascismo?

Leggi la citazione di Mussolini riportata a p. 126 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa scrisse Mussolini sul giornale «Il popolo d’Italia» nel 1914? 2. Quali elementi caratterizzano la posizione espressa? Leggi la citazione di Angelo Tasca riportata a p. 127 e rispondi alle seguenti domande. 1. Da dove partivano le spedizioni fasciste? Dove si dirigevano? 2. Che cosa facevano le camicie nere una volta arrivate a destinazione? 3. Verso quali luoghi e quali persone si indirizzavano le violenze? In che modo avvenivano? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “L’affermazione del movimento fascista”.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

10 La crisi del 1929

Capitolo

136

negli Stati Uniti e in Europa

Percorso breve Dopo un decennio di crescita spettacolare, il sistema economico e finanziario degli Stati Uniti entrò in crisi. La produzione industriale, sollecitata dai consumi di massa di beni “durevoli” come l’automobile, il frigorifero o la lavatrice, aveva saturato il mercato; quando gli operatori finanziari si resero conto di tale situazione, cominciarono a sbarazzarsi dei titoli azionari e la Borsa crollò nel panico generale. Le banche, che detenevano la maggior parte delle azioni, si trovarono a corto di risorse; le più piccole fallirono portando alla rovina i piccoli risparmiatori, le maggiori resistettero ma non furono più in grado di concedere prestiti. Perciò molte aziende furono costrette a chiudere e un’ondata di licenziamenti si abbatté sulla popolazione. Crollato in seguito ai licenziamenti il potere d’acquisto della popolazione, le industrie non ebbero più mercato e la crisi si chiuse in un vicolo cieco. Dagli Stati Uniti la crisi si allargò alla Germania e di qui a tutta l’Europa. Secondo il meccanismo messo a punto dal piano Dawes del 1924, infatti, un consistente afflusso di prestiti americani consentiva alla Germania di pagare le pesantissime riparazioni di guerra fissate al termine del primo conflitto mondiale a favore delle potenze vincitrici. Queste, a loro volta, pagavano agli Stati Uniti i debiti contratti per le forniture di materiale bellico, e gli Stati Uniti prestavano ulteriori capitali alla Germania. La crisi del 1929 spezzò questo meccanismo circolare, impedendo per molti anni alle banche americane di continuare i prestiti alla Germania e provocando anche in Europa una fase economica di depressione e di disoccupazione. Il presidente americano Roosevelt lanciò nel 1933 il cosiddetto New Deal, un ‘nuovo patto’ che prevedeva – a differenza della tradizionale economia liberista – un forte controllo dello Stato sui meccanismi economici e finanziari, e una politica di lavori pubblici volta a creare nuova occupazione, anche a costo di indebitare le finanze dello Sta-

Franklin Delano Roosevelt

to. Tale politica, accompagnata da interventi assistenziali e previdenziali in favore delle fasce sociali più deboli, fu poi teorizzata dall’economista inglese John Maynard Keynes. Nei paesi di consolidata tradizione liberale, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, la crisi del 1929 e la grande depressione rafforzarono la solidarietà nazionale e le istituzioni democratiche, mentre altrove (particolarmente in Germania) si affermavano derive autoritarie, pericolose per la pace mondiale.

Capitolo 10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa

10.1 L’industria americana dal boom alla crisi Una straordinaria crescita economica Negli anni Venti del XX secolo l’industria americana si era sviluppata con una velocità e un’intensità straordinarie [ 8.5], parallelamente alla crescita dei consumi domestici di beni industriali: l’automobile, il frigorifero, la radio, l’aspirapolvere, la lavatrice entravano sempre più regolarmente nella vita quotidiana degli individui e delle famiglie; il sistema degli acquisti a rate, la facilità con cui le banche elargivano prestiti stimolavano una crescita dell’economia che pareva inarrestabile: «dinnanzi a noi si apre un orizzonte senza confini, sempre nuovi bisogni aprono la via ad altri», dichiarò nel marzo 1929 il neoeletto presidente Herbert Hoover (1929-33), esprimendo l’ottimismo e l’atteggiamento di fiducia che caratterizzava la società americana del tempo. Il rialzo dei titoli azionari Questo clima di generale euforia si traduceva in una continua crescita degli investimenti azionari. Grandi finanzieri e piccoli risparmiatori acquistavano in borsa le azioni delle industrie, il cui valore non cessava di aumentare, favorendo anche manovre speculative, basate sulla convinzione che il mercato azionario avrebbe continuato indefinitamente la sua corsa e che perciò si potevano fare affari comprando e rivendendo di continuo i titoli azionari. Ciò che gli operatori economici e i dirigenti politici non avevano capito era che la situazione stava repentinamente cambiando. Già nel 1927-28 il mercato si era saturato: quelli che entravano nelle famiglie erano beni di tipo “durevole”, che non si acquistano di continuo ma una volta ogni molti anni; l’industria invece ne produceva a getto continuo, generando le premesse di una crisi di sovrapproduzione che minava il sistema nelle sue fondamenta: la quantità di merci prodotte era di gran lunga superiore alle possibilità di consumo e di vendita. Ma il fenomeno non appariva ancora in tutta la sua evidenza e la borsa continuava a salire. Il crollo della Borsa, la chiusura delle banche Nell’autunno 1929 per la prima volta ci si rese conto che le azioni delle imprese industriali erano fortemente sopravvalutate rispetto al valore della produzione e alle potenzialità di mercato: gli investitori incominciarono a vendere e improvvisamente si mise in moto un meccanismo a catena: tutti vendevano, il clima di fiducia lasciò il posto alla paura, l’euforia al panico. Il valore delle azioni crollò in pochi giorni. Lo storico “martedì nero” del 29 ottobre segnò il crollo di Wall Street – così è tuttora chiamata la Borsa di New York, dal nome della strada in cui è ubicata – e da quel momento il mercato azionario non cessò di scendere, fino al 1932. 210 – – 190 – – 170 – – 150 – – 130 – – 110 – – 90 – – 70 – – 50 – – 30 –

210 – – 190 – – 170 – – 150 – – 130 – – 110 – – 90 – – 70 – – 50 – – 30 – 1926

L’andamento delle quotazioni di Wall Street, 1926-38

1926

1928

1928

1930

1930

1932

1932

1934

1934

1936

1936

1938

1938

indice 1926 = 100 indice 1926 = 100

137

138

Modulo 3 I regimi totalitari europei Il cataclisma ebbe immediate ripercussioni sulle banche, che videro impoverito il loro “portafoglio azionario” (il valore monetario delle azioni che possedevano). Le banche più piccole e fragili non riuscirono più a pagare gli interessi sui depositi, i risparmiatori si allarmarono e chiesero la restituzione dei loro risparmi. Molte banche fallirono, abbandonando i clienti a sé stessi. Le banche più solide resistettero, ma non avevano più fondi sufficienti per fare prestiti alle imprese.

Gli effetti catastrofici della crisi Di conseguenza, molte imprese dovettero chiudere, non avendo più i mezzi per proseguire la loro attività (acquistare materie prime, pagare gli stipendi agli operai e agli impiegati). Una grande ondata di licenziamenti si abbatté sui lavoratori (nel migliore dei casi, i salari furono fortemente diminuiti). Il risultato inevitabile di tutto ciò fu che operai e impiegati, colpiti nella loro fonte di reddito, non erano più in più in grado di comprare beni di consumo. Le indu-

I modi della storia

Speculazioni e mercati finanziari

La Borsa valori è il luogo in cui si vendono (attraverso l’offerta) e si comprano (attraverso la domanda) titoli azionari o obbligazionari, pubblici o privati. I titoli azionari (o più semplicemente azioni) sono documenti che certificano il possesso di quote, di proprietà o di partecipazione, in cui è suddiviso il capitale di un’impresa (società per azioni); i proprietari delle azioni, gli “azionisti”, hanno diritto a partecipare agli utili sotto forma di “dividendi” che la società distribuisce annualmente. Le obbligazioni sono, invece, dei titoli di credito che una società per azioni o un altro ente autorizzato (per esempio un governo) rilascia al risparmiatore in cambio del finanziamento da lui sottoscritto, e per il quale viene corrisposto un adeguato interesse. I titoli di Stato, di cui un esempio sono i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), sono dei certificati attraverso cui lo Stato finanzia il proprio debito pubblico. Il prezzo a cui sono venduti i titoli (azionari e obbligazionari) è chiamato quotazione ed è definito in base alla domanda e all’offerta. L’eccezionale rialzo delle quotazioni dei titoli azionari che si verificò, nel 1928, alla Borsa di Wall Street non rispecchiò, però, un reale aumento del potere d’acquisto della popolazione, che anzi si era indebitata usando il sistema creditizio degli acquisti a rate e dei prestiti bancari. Tutt’altro: il rialzo fu dovuto alle operazioni finanziarie di chi, invece di puntare sugli utili delle società di cui diventava azionista, rivendeva i titoli subito dopo, in un gioco al rialzo senza alcun reinvestimento di capitali in progetti concreti di sviluppo industriale. Spinti dalla fiducia nel boom economico, parteciparono a queste speculazioni anche molti piccoli e

medi risparmiatori, che giocarono in Borsa i loro risparmi. Furono presi da questa euforica corsa alla Borsa anche coloro che risparmi non avevano e, limitando i propri consumi (per cui la sovrapproduzione industriale fu ancora più evidente, con quantità ingenti di prodotti invenduti), chiesero prestiti a banche e agenti finanziari: il debito dei consumatori passò dai 3 miliardi di dollari del 1920 ai 7,2 miliardi del 1929. Quando a ottobre di quell’anno il rialzo delle quotazioni si bloccò, il panico assalì gli investitori: tutti iniziarono a vendere

azioni; il 29 ottobre ne furono messe sul mercato 16,5 milioni e le loro quotazioni colarono a picco (non c’era più domanda). Dagli inizi di settembre alla fine di ottobre si dimezzò l’indice Dow-Jones, ossia la cifra che indica il valore medio (in un determinato periodo di tempo) delle quotazioni azionarie di Wall Street, passando da 381 punti a 198. Il crollo della Borsa e del mercato finanziario fu la drammatica manifestazione (ma non la causa) della crisi in atto e segnò l’inizio della Grande depressione negli Stati Uniti, e di lì in Europa.

Margaret Bourke-White, La fila per il pane durante la crisi, 1929 Sotto il cartellone che pubblicizza «il più alto standard di vita del mondo» è immortalata la fila per il pane. La grande contraddizione americana è magistralmente fotografata da Margaret BourkeWhite, una delle prime fotoreporter donna.

Capitolo 10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa

139

strie non avevano più un mercato a cui proporre i loro prodotti (se mai fossero state in grado di produrli e di metterli in vendita). La domanda crollò non solo per i beni industriali di consumo durevole ma, ben presto, anche per i beni di consumo alimentare: i prezzi agricoli crollarono parallelamente a quelli industriali. Il cerchio si era chiuso. Fu la Grande depressione che caratterizzò l’economia americana tra il 1929 e il 1932. In questo periodo negli Stati Uniti fallirono 100.000 aziende industriali ed esercizi commerciali; 5000 banche chiusero i battenti; 13 milioni di persone rimasero disoccupate.

10.2 La crisi dagli Stati Uniti all’Europa I legami finanziari USA-Europa La crisi americana si trasmise immediatamente all’economia europea. Causa di tale “contagio” fu lo stretto collegamento finanziario che in quegli anni si era creato tra gli Stati Uniti e la Germania – e indirettamente con la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e altri paesi europei. Nel 1924, il piano Dawes [ 8.6] aveva messo in atto un complesso meccanismo per sostenere la ripresa dell’economia europea (travolta dalla Grande guerra) e al tempo stesso per proteggere gli interessi americani. Il piano, come abbiamo visto, prevedeva un cospicuo flusso di finanziamenti concesso dalle banche statunitensi alla Germania; tale afflusso di denaro serviva alla Germania non solo per riavviare l’industria nazionale ma anche per far fronte alle pesantissime riparazioni di guerra stabilite dal trattato di Versailles [ 5.5] in favore delle potenze vincitrici, in particolare della Gran Bretagna, della Francia e dell’Italia. Questi Stati, a loro volta, mediante le entrate garantite annualmente dalle restituzioni tedesche (che erano state rateizzate su un lungo periodo di tempo), riuscivano a pagare i debiti che avevano contratto durante la guerra con gli Stati Uniti, che, per aiutare gli alleati, avevano fornito un’enorme quantità di materiali bellici. In questo modo il governo e le banche degli Stati Uniti recuperavano i loro crediti, e potevano a loro volta alimentare il flusso di denaro verso la Germania. Gli effetti della crisi americana in Germania Il meccanismo previsto dal piano Dawes si interruppe quando la crisi del 1929 colpì l’economia e la finanza americana. Le ban-

La crisi negli Stati Uniti e in Europa, negli anni 1929-33

indice 1929=100 100



90



80



70



indice 1929=100 100



90



80



70



60



50



prezzi

stipendi



1931





40

1930





1932

occupazione

1929 –1933

Nell’insegna si legge «Zuppa, caffè e ciambelle gratis per i disoccupati».



[National Archives and Records Administration, College Park]



1931

40 Uomini disoccupati in coda a una mensa per un pasto, Chicago 1931





1930

50





1929

60

140

Modulo 3 I regimi totalitari europei che statunitensi non ebbero più risorse da convogliare in Germania e il flusso di denaro verso l’Europa si interruppe; le banche tedesche rimasero senza denaro e non poterono più finanziare le imprese. In questo modo scattò in Germania il medesimo meccanismo perverso che aveva stroncato l’economia americana: in assenza di risorse finanziarie le imprese dovettero tagliare la produzione e licenziare molti dipendenti; l’ondata di disoccupazione annullò la capacità d’acquisto della classe lavoratrice; la domanda di beni di consumo scese drasticamente; l’industria crollò. Da quel momento, la Germania non fu più in grado di pagare i debiti di guerra. Il flusso di denaro verso gli altri paesi europei si arrestò e la crisi si estese ovunque, come una sorta di contagio.

10.3 Una risposta alla crisi: il New Deal di Roosevelt Strumenti antichi contro una crisi nuova Di fronte al dilagare di una crisi che aveva caratteristiche totalmente nuove (mai, nella storia, si era verificata una crisi di sovrapproduzione: “crisi” era sempre stato sinonimo di carestia, di mancanza) gli analisti americani stentarono a mettere a fuoco il problema e a escogitare possibili soluzioni. Il presidente Hoover agì secondo i canoni tradizionali dell’economia, attento in primo luogo a conservare in pareggio il bilancio dello Stato; e poiché si vedeva costretto a elargire prestiti alle banche e alle aziende in crisi, si risolse a tagliare le spese pubbliche e ad aumentare la pressione fiscale. Questa manovra si dimostrò inadeguata alla situazione e diede il colpo finale al sistema economico: il taglio delle spese pubbliche significava meno lavoro e aumento ulteriore della disoccupazione; l’aumento delle tasse provocava ulteriori difficoltà tra la popolazione. Migliaia di disoccupati si affollarono nelle città americane, accampati in baraccopoli che dal nome del presidente – a cui si attribuiva la colpa di non saper fronteggiare la crisi – furono chiamate Hoovervilles, ‘città di Hoover’. Il presidente non trovò niente di meglio che far intervenire l’esercito per disperdere i manifestanti.

Costruzione di una diga lungo la valle del Tennessee Per rendere possibile lo sfruttamento delle acque del bacino, Roosevelt fece costruire una diga lungo la valle del Tennessee, che si rivelò uno dei più importanti interventi statali promossi dal presidente americano per combattere la crisi economica. Il piano Roosevelt consisteva nell’immissione di ingenti capitali statali per finanziare grandi opere pubbliche.

Un’innovativa strategia economica Alle elezioni presidenziali del 1932 Hoover fu sconfitto da Frankin Delano Roosevelt (1933-45), del Partito democratico, che entrò in carica nel marzo 1933. Il programma con cui Roosevelt si affermò fu di netta rottura con la politica del suo predecessore: egli sostenne la necessità, per superare la crisi, che il popolo americano stringesse un “nuovo patto”, il cosiddetto New Deal, per avviare un “nuovo corso” della sua storia (l’espressione suggeriva anche questo significato). Abbandonando i princìpi del liberalismo economico, teorizzato nel XVIII secolo da Adam Smith [ vol. 2, 9.1] e seguito fino a quel momento dal governo americano, Roosevelt affermò che i meccanismi del mercato, se lasciati a sé stessi, sono insufficienti a garantire sviluppo economico ed equità sociale: perciò è dovere dello Stato intervenire attivamente per regolare l’economia e per proteggere le fasce sociali più deboli. In base a questo principio fu riordinato il sistema bancario e furono dati maggiori poteri alla Banca Federale (Federal Reserve), con il compito di controllare i bilanci delle banche dislocate nello Stato. Furono varati programmi di assistenza ai poveri e ai disoccupati, di sostegno ai gruppi sociali in difficoltà; fu approvato per la prima volta un piano nazionale di previdenza sociale. Inoltre fu avviato un programma di lavori pubblici (scuole, strade, ponti, centrali elettriche, bonifiche di terreni paludosi…) al fine non solo di realizzare strutture socialmente utili ma anche e soprattutto di creare numerosi posti di lavoro. Fu sollecitato anche il lavoro intellettuale, pensato come indispensabile complemento delle attività produttive: per esempio fu lanciata una grande inchiesta (a cui lavorarono molti ricercatori) sulle tradizioni agricole e alimentari del paese. Le teorie di Keynes Nel 1936, l’economista inglese John Maynard Keynes (1883-1946) prese a modello le scelte di Roosevelt per proporre una

Capitolo 10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa nuova teoria economica, illustrata in un saggio dal titolo Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta. Il mercato, affermò Keynes, non ha in sé il potere di auto-regolarsi (come aveva invece sostenuto Adam Smith) ma deve essere disciplinato e stimolato dall’intervento statale. In particolare egli sottolineava l’importanza delle opere pubbliche, che garantiscono posti di lavoro e restituiscono, nei periodi di crisi, potere d’acquisto ai lavoratori, ponendo le premesse per il rilancio della produzione. Di esempio era stata l’istituzione, nel 1933, della Tennessee Valley Authority voluta da Roosevelt per riqualificare, attraverso grandi opere pubbliche, una delle aree più depresse del paese: la grande valle del fiume Tennessee, le cui acque dovevano essere regolamentate per produrre energia idroelettrica a vantaggio degli agricoltori e delle industrie. Lo Stato quindi, concludeva Keynes, traducendo in teoria le azioni di Roosevelt, deve impegnare energie e risorse anche a costo di portare il bilancio in passivo (ciò che, secondo gli economisti classici, era un segno cruciale di malfunzionamento dell’economia).

Gli effetti positivi del New Deal Il New Deal rappresentò un notevole successo, sia sul piano economico e sociale, sia sul piano culturale e degli atteggiamenti mentali: restituì alla popolazione la fiducia nelle istituzioni democratiche e diffuse nel paese una nuova ondata di ottimismo, soprattutto fra i ceti popolari. Il presidente Roosevelt, che amava presentarsi come un “americano qualunque”, riscosse uno straordinario successo anche per la capacità che ebbe di instaurare un filo diretto con i cittadini: le sue «Conversazioni al caminetto» (Fireside Chats), trasmissioni radiofoniche che andavano in onda la domenica sera, diventarono famose per il tono intimo e amichevole, per

141

L’età d’oro della radio Da quando apparve sul mercato, nel 1922, la radio si impose come uno dei prodotti industriali più richiesti. Nel 1939 gli apparecchi radiofonici si erano ormai affermati nelle case di milioni di cittadini che vivevano nei paesi industrializzati: quasi una famiglia su due ne possedeva un esemplare. La tabella conteggia, in milioni, il numero degli abbonamenti e degli apparecchi radiofonici dichiarati, mostrando l’eccezionale primato americano.

1939

Stati Uniti

50

Gran Bretagna

8,9

Germania Francia Italia

13,71 4,99 1,2

Aa Documenti «Cari amici, è il presidente che vi parla» Le «Conversazioni al caminetto», trasmesse per radio su tutto il territorio degli Stati Uniti attraverso le frequenze delle reti CBS, NBC e MBS, furono per il presidente Roosevelt un modo efficace per instaurare un dialogo con i cittadini e rinsaldare la fiducia che riponevano in lui. Esse si caratterizzavano per lo stile volutamente semplice e amichevole con cui venivano affrontati i temi “caldi” della crisi economica e dell’impatto che essa

aveva nella vita quotidiana delle persone. Si consideri, per esempio, in quale modo iniziò la prima conversazione radiofonica del presidente, trasmessa il 12 marzo 1933: senza tanti preamboli Roosevelt affrontò immediatamente il tema che in quel momento preoccupava il “cittadino medio” americano, quello dei risparmi e del rapporto con le banche. Appena qualche giorno prima, essendosi diffusa una nuova ondata di panico che rischiava di

svuotare le banche di tutti i risparmi, il presidente aveva ordinato quattro giorni speciali di festa (e quindi, di chiusura delle banche e degli altri esercizi commerciali) per poter gestire con maggiore calma la nuova emergenza. Il messaggio ai cittadini tendeva anzitutto a tranquillizzarli e a rassicurarli sulla capacità del governo di controllare la situazione. Leggiamo le prime parole con cui iniziò la trasmisione.

A

mici miei, voglio parlare per qualche minuto con il popolo degli Stati Uniti delle banche – parlare con quei pochi tra voi che capiscono i meccanismi bancari, ma in special modo con la grande maggioranza di voi che usa le banche solo per depositarvi i risparmi e per emettere gli assegni. Voglio spiegarvi che cosa ho fatto negli ultimi giorni, perché l’ho fatto, e quali sono i prossimi passi che mi accingo a fare. So che le norme emesse dalle capitali degli Stati e da Washington, le leggi, le regole stabilite dal Tesoro e così via, espresse di solito in termini tecnici o legali, devono essere spiegate a beneficio del cittadino medio. Vi devo questa spiegazione in particolare per la fermezza e la pazienza con la quale tutti voi avete accettato il disagio e le privazioni dovute alla chiusura delle banche. So che se capite ciò che noi, a Washington, stiamo facendo, continuerò ad avere la vostra collaborazione, così come ho avuto la vostra simpatia e il vostro aiuto durante la settimana che è appena passata. da R.D.Buhite e D.W.Lewy, FDR’s Fireside Chats, New York 1993

Una famiglia americana ascolta alla radio le «Conversazioni al caminetto»

142

Modulo 3 I regimi totalitari europei Contrazione del commercio mondiale tra gennaio 1929 e marzo 1933

gennaio 3,0 dicembre

[da C.P. Kindleberger, La grande depressione nel mondo 1929-1939, Etas Libri, Milano 1982]

Il grafico illustra il valore mensile delle importazioni totali di 65 paesi, espresso in milioni di dollari oro.

febbraio

2,0 novembre

1,5

marzo

1,0 0,5 0

ottobre

1929

2,5

aprile

settembre

maggio

1930 1931 1932 1933

agosto

giugno luglio

lo stile semplice con cui il presidente si rivolgeva agli ascoltatori. Migliaia di lettere arrivavano ogni giorno alla Casa Bianca, segno di una forte sintonia che si era instaurata fra il governo e i cittadini. Non fu quindi una sorpresa il successo che Roosevelt nuovamente riportò alle elezioni del 1936. Caso unico nella storia americana, egli fu poi rieletto per la terza volta nel 1940, e ancora una quarta nel 1944. Tenne la presidenza fino al 1945, anno della sua morte.

10.4 Gli effetti della crisi in Gran Bretagna I governi di coalizione La Grande depressione del 1929-32 rappresentò un vero shock per tutti i paesi che la subirono: shock economico, sociale, politico, psicologico, che cambiò in profondità il modo di pensare all’economia, alla società, allo Stato. In Gran Bretagna si era costituito nel giugno 1929, alla vigilia della crisi, un governo di coalizione tra liberali e laburisti (il nuovo partito, di ispirazione socialista, che a poco a poco aveva sostituito i liberali come principale antagonista del Partito conservatore, 8.3) presieduto dal laburista James Ramsay MacDonald (1929-34). Di fronte alla crisi furono adottate soluzioni di stampo tradizionale: tagli alla spesa pubblica, maggiori imposte, diminuzione degli stipendi, tentativo di mantenere in parità il bilancio dello Stato. Con il passare dei mesi e l’aggravarsi della crisi fu formato un nuovo governo di coalizione che comprendeva tutte le forze politiche, anche i conservatori (per avere ricercato questa alleanza, MacDonald fu espulso dal Partito laburista). La svalutazione della sterlina Nel 1931 si procedette a una manovra di emergenza: la svalutazione della sterlina. Tale manovra era altamente impopolare perché metteva in crisi la tradizionale fiducia degli inglesi nella propria moneta (che fino a quel momento aveva rappresentato il punto fermo per eccellenza dei mercati finanziari, la valuta principale utilizzata negli scambi internazionali, equiparata all’oro per la stabilità del suo valore): nelle intenzioni del governo essa doveva servire a far costare di meno i prodotti inglesi e a favorirne la vendita nei paesi stranieri, per tentare un rilancio dell’industria britannica. La manovra servì a ben poco, provocando come unico effetto l’aumento delle tariffe doganali negli altri paesi, tutti tesi a ricercare rimedi per proteggere l’economia nazionale dalla catastrofe.

Capitolo 10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa Il risultato complessivo di queste operazioni fu il crollo del commercio internazionale, che nel giro di quattro anni passò da 68 miliardi di dollari (valore delle merci scambiate nel 1929) a 24 miliardi (valore nel 1933).

Il ruolo del Commonwealth Nelle elezioni del 1931 le elezioni inglesi segnarono la vittoria dei conservatori, che tuttavia confermarono l’alleanza con i laburisti e la fiducia in MacDonald, che rimase Primo ministro. Il principale atto del nuovo governo fu quello di attivare il Commonwealth [ 7.1], un organismo che rinsaldava i legami di collaborazione politica ed economica fra la Gran Bretagna e i dominions di Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Canada, Irlanda del Nord. Soprattutto grazie a questa operazione, che definiva un’area di libero scambio fra paesi e continenti lontani, l’economia britannica poté ricominciare a prendere fiato. Nel 1935 il Partito conservatore vinse di nuovo le elezioni e – mentre i segni della crisi andavano lentamente affievolendosi – prese direttamente le redini del governo, esprimendo come Primi ministri dapprima Stanley Baldwin (1935-37), poi Neville Chamberlain (1937-40).

10.5 Gli effetti della crisi in Francia Il Fronte popolare Anche la Francia riuscì a superare indenne la crisi, senza mettere in discussione le istituzioni democratiche, nonostante la forte instabilità politica che la caratterizzò negli anni della Grande depressione: tra il 1929 e il 1936 si susseguirono ben venti governi (in media, neppure tre mesi di durata) di vario orientamento politico. Nel 1936 le forze di sinistra, abbandonando le divisioni interne che si erano create nei primi decenni del Novecento, si strinsero nel Fronte popolare, una coalizione che in Francia (così come in Spagna) riunì comunisti, socialisti e radicali con l’obiettivo di ostacolare l’avanzata delle destre reazionarie e filofasciste. La coalizione si impose alle elezioni: il Fronte popolare ottenne la maggioranza e costituì un governo guidato dal socialista Léon Blum (1936-37). Il governo Blum e gli accordi sindacali Per la prima volta in Francia si insediò un governo socialista, tra l’entusiasmo dei movimenti operai che avevano ritrovato l’unità e spingevano per l’affermazione dei loro diritti. A giugno dello stesso anno furono firmati gli “accordi di Palazzo Matignon” con cui Blum promosse una politica di sostegno alle classi lavoratrici: il governo impose agli imprenditori un accordo con i sindacati operai, che prevedeva salari più alti, un massimo di 40 ore settimanali di lavoro, i contratti di lavoro collettivi e 2 settimane di ferie pagate (come avveniva in molti altri paesi, tra cui Italia e Germania). In reazione a tutto ciò gli industriali aumentarono i prezzi dei prodotti, provocando un pericoloso fenomeno di inflazione (crescita incontrollata dei prezzi delle merci, con conseguente diminuzione del potere d’acquisto della moneta). La moneta nazionale, il franco, subì inutilmente due svalutazioni e non servì neanche la nazionalizzazione dell’industria bellica. Per rimediare alla difficile situazione Blum chiese che fossero conferiti al governo maggiori poteri di intervento sull’economia; il Senato li negò e Blum si dimise. Nel 1938 il Fronte popolare fu sciolto. La tenuta delle istituzioni democratiche Nonostante queste difficoltà economiche e politiche, la crisi in Francia e negli altri paesi di più forte tradizione democratica – come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna – finì per rafforzare la tenuta delle istituzioni liberali. In altri casi le conseguenze della Grande depressione travolsero le istituzioni democratiche fino a distruggerle: in Germania, i suoi effetti – più drammatici e invasivi che in qualsiasi altro paese europeo – contribuirono ad accelerare un’evoluzione politica devastante per la democrazia tedesca e per l’intero continente.

Robert Capa, Partecipanti a un comizio del Fronte popolare a Strasburgo, 1936

143

144

Modulo 3 I regimi totalitari europei

Sintesi

La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa

L’industria americana dal boom alla crisi Dopo una fase di costante crescita, tra 1927 e 1928 il mercato americano diede i primi segnali di saturazione: i beni venduti erano minori di quelli prodotti e si crearono le premesse per una crisi di sovrapproduzione. Nell’autunno del 1929 gli investitori iniziarono a vendere azioni innescando un meccanismo a catena in cui il valore delle azioni diminuiva costantemente creando il panico tra gli operatori finanziari. Le banche videro scendere il valore monetario delle loro azioni: o chiusero o non riuscirono più a finanziare tramite prestiti le industrie. A loro volta le imprese furono costrette a chiudere e a licenziare; operai e impiegati non potevano più comprare beni di consumo. I prodotti industriali si trovarono senza un mercato e la domanda di beni crollò. Questo fenomeno, noto come Grande depressione, si protrasse fino al 1932. La crisi dagli Stati Uniti all’Europa La crisi americana ebbe ripercussioni sull’economia europea, a causa dei collegamenti finanziari tra Stati Uniti e paesi europei. Nel 1924, con il piano Dawes, gli Stati Uniti avevano stabilito il sostegno all’economia europea e la protezione degli interessi americani. Le banche statunitensi elargivano finanziamenti alla Germania, che così poteva riavviare le proprie industrie e pagare le riparazioni di guerra a Francia, Italia e Gran Bretagna, che a loro volta potevano pagare i debiti contratti con gli Stati Uniti per le forniture di materiale bellico nel corso della Grande guerra. La crisi del 1929 interruppe il meccanismo: le banche statunitensi non avevano più risorse per finanziare la Ger-

mania. Le banche tedesche, senza denaro, smisero di finanziare le imprese, che furono costrette a tagliare la produzione e a licenziare. La disoccupazione aumentò, il potere d’acquisto e la domanda di beni diminuirono. La Germania, non potendo pagare i debiti di guerra, estese la crisi all’intera Europa. Una risposta alla crisi: il New Deal di Roosevelt Il presidente Hoover cercò di conservare il pareggio del bilancio statale, mediante il taglio della spesa pubblica e l’aumento delle tasse, ma in tal modo la disoccupazione e le difficoltà della popolazione aumentarono ulteriormente. Nel 1933 divenne presidente Roosevelt, che propose un programma innovativo, il New Deal (‘nuovo patto’), fondato sull’idea che il mercato non era in grado sempre di regolarsi da solo e lo Stato doveva intervenire per regolare l’economia e proteggere le fasce sociali deboli. Fu riordinato il sistema bancario, dando maggiori poteri alla Banca Federale; furono realizzati programmi di assistenza sociale per le fasce in difficoltà e lavori pubblici per creare posti di lavoro. Il progetto di Roosevelt ebbe successo e ridette fiducia e ottimismo alla popolazione. Nel 1936 l’economista inglese Keynes propose una nuova teoria economica, che riprendeva le idee di Roosevelt sulla necessità di interventi dello Stato nel mercato, per stimolarlo e regolarlo, attraverso la realizzazione di opere pubbliche, che permettevano di rilanciare il potere d’acquisto e la produzione. Gli effetti della crisi in Gran Bretagna Nel 1929 in Gran Bretagna si formò un

governo di coalizione tra liberali e laburisti, presieduto da MacDonald, che gestì la crisi mediante il taglio delle spese, l’aumento delle imposte, la diminuzione degli stipendi per tenere il bilancio in pareggio, aggravandola. Quindi si decise di svalutare la sterlina, per fare abbassare il prezzo dei prodotti inglesi e favorirne la vendita all’estero, ma l’effetto fu di innescare l’aumento delle tariffe doganali dei vari paesi e il crollo dei commerci internazionali. Nel 1931 le elezioni furono vinte dai conservatori, che si allearono con i laburisti confermando MacDonald Primo ministro. Il governo attivò il British Commonwealth, una collaborazione politica ed economica tra Gran Bretagna e i dominions (Australia, Canada, Nuova Zelanda, Sudafrica, Irlanda del Nord). Gli effetti della crisi in Francia La situazione francese fu caratterizzata da una forte instabilità politica: tra 1929 e 1936 si alternarono venti governi, di diverso orientamento politico. Nel 1936 le elezioni furono vinte dal Fronte Popolare, un’alleanza tra le varie sinistre (socialisti, comunisti e radicali) che diede vita al governo di Léon Blum. Egli sostenne le classi lavorative imponendo agli imprenditori migliori salari, contratti collettivi e meno ore di lavoro. Gli imprenditori aumentarono i prezzi innescando un processo di inflazione che il governo non fu in grado di controllare. Nel 1936 Blum si dimise e il Fronte Popolare si sciolse. In Gran Bretagna e Francia la crisi non mise però in discussione le istituzioni democratiche. Altrove, come in Germania, esse furono sostituite da forme politiche antidemocratiche.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La crescita dell’economia americana limitò i consumi domestici di beni industriali.

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e. Ad Hoover fu attribuita la colpa di non avere saputo fronteggiare la crisi.

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b. La Grande depressione caratterizzò l’economia americana tra 1929 e 1936.

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f. Le teorie economiche di Keynes si ispirarono alle scelte politiche di Roosevelt.

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c. La svalutazione della sterlina provocò l’aumento delle tariffe doganali in altri paesi.

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g. L’attivazione del Commonwealth causò il crollo del commercio internazionale.

V

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d. Il governo Blum prevedeva una politica di sostegno nei confronti degli industriali.

V

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h. Le imprese dovettero licenziare in quanto le banche non garantivano più loro i prestiti.

V

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Capitolo 10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa

i. Secondo gli economisti classici, il bilancio statale in passivo non indicava un malfunzionamento.

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o. L’obiettivo del Fronte Popolare era di frenare l’avanzata delle destre filofasciste.

V

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l. Le ripercussioni europee della crisi erano legate ai rapporti finanziari tra USA e Germania.

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p. Nell’ottobre 1929, il valore dei titoli azionari crollò in pochi giorni e continuò a scendere.

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q. Dopo la crisi le banche tedesche non riuscirono più a finanziare le imprese.

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r. Il New Deal si basava sui princìpi del liberismo economico.

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m. Nel 1927-28, la quantità di merci prodotte era inferiore alle possibilità di consumo e vendita. n. La svalutazione del franco ebbe un effetto positivo.

2. Associa ciascuna data all’evento corrispondente. Data: 1924 • giugno 1929 • 29 ottobre 1929 • 1931 • 1932 • marzo 1933 • 1933 • 1936 • giugno 1936 • 1938 • 1945 Evento: governo di James Ramsay MacDonald • Roosevelt entra in carica • scioglimento del Fronte Popolare • Tennessee Valley Authority • prima vittoria elettorale di Roosevelt • morte di Roosevelt • piano Dawes • accordi di Palazzo Matignon • vittoria elettorale del Fronte Popolare in Francia • crollo di Wall Street • svalutazione della sterlina

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. baraccopoli • borsa • inflazione • nazionalizzazione • portafoglio azionario • previdenza • saturazione • sovrapproduzione • speculazione • svalutazione Valore monetario delle azioni possedute dalle banche Limite massimo della capacità del mercato di assorbire i beni Crescita del prezzo delle merci unita a un minore potere d’acquisto della moneta Operazione per guadagnare in base alla differenza tra prezzi attuali e futuri Insieme di abitazioni di fortuna poste alle periferie delle grandi città Azione statale volta ad assicurare ai lavoratori bisognosi reddito e assistenza Assunzione statale del controllo e proprietà dei mezzi di produzione Diminuzione del valore della moneta di un paese sul mercato interno ed estero Luogo in cui si vendono o comprano titoli azionari od obbligazionari Eccesso dell’offerta sulla domanda di beni di consumo

145

146

Modulo 3 I regimi totalitari europei

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. John Maynard Keynes

Tennessee Valley Authority

Stanley Baldwin

Partito conservatore inglese

Franklin Delano Roosevelt

aumento della pressione fiscale

Léon Blum

Fronte Popolare

James Ramsay Mac Donald

British Commonwealth

Herbert Clark Hoover

intervento statale nell’economia

5. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti. banche • crediti • debiti • finanziamenti • fornitura • industria • pagamento • riavvio • recupero • riparazioni

IL MECCANISMO ECONOMICO DEL PIANO DAWES INDUSTRIA ............................................................ delle ........................................ alla

Germania

GERMANIA ....................................................... : ....................................

nazionale e ...................................................................... di guerra alle potenza vincitrici STATI UNITI ................................................................ dei .......................................... di

guerra con

i paesi vincitori

FRANCIA, ITALIA, GRAN BRETAGNA guerra: ................................................. dei ...................................... di guerra con gli Stati Uniti (................................................. di materiale bellico) ......................................................................... di

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “Speculazioni e mercati finanziari” a p. 138 e rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ogni domanda. 1. Che cosa è la Borsa valori? Che cosa sono i titoli azionari? 2. Chi sono gli azionisti? A che cosa hanno diritto? Che cos’è l’indice Dow-Jones? 3. Che cosa sono le obbligazioni? Che cosa sono i titoli di stato? Che cosa è la quotazione? 4. A che cosa fu dovuto il rialzo di quotazioni e titoli azionari verificatosi nel 1928? Quali conseguenze ebbe? 5. Che cosa accadde il 29 ottobre 1929? Per quali cause? Con quali conseguenze?

7. Leggi il documento “Cari amici, è il presidente che vi parla” a p. 141 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa erano le “conversazioni al caminetto”? Che funzione ebbero?

2. Quali temi venivano affrontati? Di cosa si parlò il 12 marzo 1933? Per quale motivo? 3. A chi si rivolge Roosevelt? A quale scopo? Che cosa avverte di dover spiegare? Perché? 4. Quale atteggiamento viene raccomandato ai cittadini? 5. Chi era Franklin Delano Roosevelt? Quando diventò Presidente degli Stati Uniti? 6. Che cosa era il New Deal? A quali principi si ispirava? A quale scopo mirava? 7. Quali decisioni furono prese da Roosevelt? A che scopo? Con quali conseguenze? 8. Fino a quando Roosevelt governò? Che rapporto instaurò con i cittadini americani? Integrando le informazioni ottenute con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di almeno dieci righe dal titolo “Profilo di Franklin Delano Roosevelt”.

Capitolo 10 La crisi del 1929 negli Stati Uniti e in Europa

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa aveva caratterizzato l’economia americana degli anni Venti del Novecento? 2. Quali beni erano consumati maggiormente? Per quali cause? Con quali conseguenze? 3. Per quale motivo crescevano gli investimenti azionari? Quali conseguenze ebbe tale fenomeno?

4. Quando si arrivò alla saturazione del mercato? Per quali cause? Con quali conseguenze? 5. Che cosa accadde nell’autunno del 1929? Per quali cause? Con quali conseguenze? 6. Quali ripercussioni ebbe il fenomeno sulle banche, sulle industrie e sui lavoratori? 7. Per quanto tempo durò la crisi economica? Che conseguenze ebbe in Europa?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

IL CROLLO DELLA BORSA E LA GRANDE DEPRESSIONE LE CAUSE ................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................

GLI EVENTI ................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................

LE CONSEGUENZE ................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................

9. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi governava negli Stati Uniti quando scoppiò la crisi? 2. In che modo fu affrontata inizialmente la crisi? Con quali risultati? 3. Quali cambiamenti avvennero nel governo? Chi assunse il potere? 4. Quale nuova linea politica fu adottata rispetto alla crisi?

5. Quali provvedimenti la caratterizzarono? Quali conseguenze ebbero? 6. Chi governava in Gran Bretagna quando scoppiò la crisi? 7. In che modo fu affrontata inizialmente la crisi? Con quali risultati? 8. Quali cambiamenti avvennero nel governo? Con quali risultati?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

I PRESIDENTI DELLA CRISI

DOVE

I PRINCÌPI

LE SCELTE

LE CONSEGUENZE

HOOVER

ROOSEVELT

MACDONALD

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

11 La dittatura

Capitolo

148

fascista in Italia

Percorso breve Conquistato il potere, Mussolini emanò una serie di decreti volti ad attuare in Italia uno Stato totalitario, una dittatura che accentrava i poteri nelle sue mani e affidava al Partito fascista il compito di organizzare e controllare la vita del paese sotto ogni aspetto. Tutti gli altri partiti furono sciolti, le elezioni abolite. Fu istituito un tribunale speciale per giudicare gli avversari del regime. Fu restaurata la pena di morte. Gli scioperi furono proibiti e i sindacati sostituiti da “corporazioni” che riunivano insieme lavoratori e datori di lavoro, a tutto vantaggio degli interessi di questi ultimi. Per qualche anno fu seguita una politica liberista, ma dopo la crisi del 1929 si passò al protezionismo: furono messi ostacoli alle importazioni e il governo intervenne a sostegno delle banche e delle imprese, diventando, attraverso l’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI), diretto azionista di importanti aziende. In campo agricolo furono lanciate opere di bonifica (soprattutto nell’Agro pontino a sud di Roma) e la cosiddetta “battaglia del grano”, che convertì all’agricoltura gran parte del territorio nazionale in una prospettiva “autarchica”, cioè in grado di raggiungere l’autosufficienza alimentare (premessa, secondo Mussolini, della potenza militare del paese). Ma l’eccessiva espansione dell’agricoltura, anche in zone non adatte, fece calare la produttività: i prezzi aumentarono, i consumi calarono, le condizioni di vita della popolazione rimasero scadenti. Una sistematica opera di propaganda organizzò il consenso attorno al regime. Cinema, radio, stampa di regime (nel 1928 fu abolita la libertà di stampa) furono mobilitati. Uno stretto controllo fu esercitato sui libri di testo della scuola: la storia fu riscritta a uso e consumo della propaganda fascista, per denigrare i principi democratici ed esaltare i successi del “Duce”. Un notevole successo diplomatico di Mussolini, che accrebbe la sua popolarità, furono i Patti lateranensi stipulati con la Santa Sede nel 1929, che misero fine alla controversia fra Stato e Chiesa sorta al tempo dell’Unità d’Italia. Alla Chiesa furono concessi numerosi privilegi (per esempio in materia fiscale)

e risarciti i beni espropriati. Un apposito concordato fu dedicato alle materie di comune interesse, come il matrimonio e l’insegnamento. Papa Pio XI salutò Mussolini come «uomo della Provvidenza».

Manifesto dell’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR), prima metà XX sec.

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

149

11.1 L’Italia nelle mani del “Duce” La “fascistizzazione” dell’Italia Una volta giunto al potere [ 9.6], Mussolini si adoperò per affermare in Italia un regime totalitario e dittatoriale. Le libertà civili, politiche, sociali che gli italiani avevano conquistato nei precedenti decenni furono tutte soppresse. L’attività legislativa, funzione primaria del Parlamento, fu sottratta all’assemblea e affidata direttamente a Mussolini, che amò farsi chiamare “Duce” (dal latino dux ‘condottiero’), ossia “capo”, “guida della nazione”. Ai membri del Parlamento fu fatto obbligo di indossare la camicia nera, simbolo del fascismo. La libertà di stampa, di parola e di riunione subirono pesanti limitazioni. Tutti i partiti furono sciolti, tranne quello fascista. Si istituì un Tribunale speciale con il compito di giudicare, senza diritto di appello, gli avversari del regime. Si restaurò la pena di morte (abolita nel 1889 dal codice Zanardelli, 2.2) e si diede ai magistrati il potere di inviare al “confino” – cioè di segregare in un luogo isolato sotto sorveglianza – qualsiasi cittadino giudicato colpevole di antifascismo. Si abolirono le libere elezioni e i dirigenti politici furono scelti non più dalla popolazione ma dal governo; pertanto in sede locale fu soppressa la figura del sindaco eletto dai cittadini, sostituito da un “podestà” di nomina governativa. Il progetto totalitario La volontà totalitaria del fascismo, che mirava a escludere ogni spazio di libertà e a “fascistizzare” il paese in ogni suo aspetto, fu espressa in modo inequivocabile in un discorso che Mussolini pronunciò il 21 giugno 1925: «Che cosa vogliamo noi? Una cosa superba. Vogliamo che gli italiani scelgano. È finito il tempo dei piccoli italiani che avevano mille opinioni e non ne avevano alcuna. Abbiamo portato la lotta sopra un terreno così netto, che bisogna essere di qua o di là. Non solo: ma quella che viene definita la nostra feroce volontà totalitaria sarà perseguita con ancora maggior ferocia: diventerà, veramente, l’assillo e la preoccupazione dominante della nostra civiltà. Vogliamo, insomma, fascistizzare la nazione, tanto che domani italiano e fascista siano la stessa cosa». Il saluto fascista Perfino il modo di salutare fu soggetto a controllo: la tradizionale e “borghese” stretta di mano fu messa al bando, sostituita dal braccio alzato che si richiamava all’antico uso romano (e della gloriosa Roma antica il regime fascista si proclamava erede). «Ricordo che il saluto deve essere fatto con movimento rapido e di scatto», ammoniva nel 1927 il segretario dei pubblici dipendenti di Milano. «Quelli che alzano il braccio languidamente, e solo a metà, come soffrissero di reumatismo, sono pregati di guarire subito, affinché io non debba sottoporli a un energico salutare massaggio. Con amichevole richiamo, ricordo a coloro che non fanno il saluto romano che dall’alto discendono non solo la pioggia e la neve ma anche manganellate di prima classe sul capo, per rinfrescar la memoria anche ai più ostinati».

11.2 La politica sociale ed economica Le corporazioni sostituiscono i sindacati La politica di accentramento attuata da Mussolini riguardò anche il campo sociale e del lavoro, con leggi che rendevano illegali gli scioperi e abolivano i sindacati, già duramente colpiti dalla violenza squadrista. Al loro posto si istituirono le “corporazioni”, organismi che riunivano insieme lavoratori e datori di lavoro, con il compito di abolire la lotta di classe «armonizzando gli interessi dei lavoratori con quelli dei datori di lavoro nel superiore interesse della nazione». Questo in teoria. Nella pratica, le corporazioni tolsero ai lavoratori ogni autonomia e li asservirono alle direttive del governo. A sua volta, la politica economica del governo fascista fu orientata principalmente a tutelare gli interessi dei grandi gruppi industriali e agrari del paese.

E con tutti gli argomenti... spegneremo i vostri ardor La campagna di eliminazione di tutti gli avversari politici fu combattuta su tutti i fronti, in special modo su quello propagandistico come ci fa capire questa vignetta.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei I dirigenti dei poligrafici ricevuti da Giuseppe Bottai, 1931 L’abolizione dei sindacati e la formazione delle corporazioni imposero la costituzione di un ministero apposito. In questa foto Giuseppe Bottai, ministro delle Corporazioni, riceve i dirigenti dei poligrafici (tutti vicini al regime) per definire le linee dell’informazione guidata dal fascismo.

I modi della storia

Il linguaggio di Mussolini: un’oratoria a effetto per suscitare emozioni

Nei regimi totalitari i dittatori hanno sempre dato una particolare importanza alle sfilate, alle manifestazioni spettacolari, alle grandiose adunate di folla. Ciò allo scopo di colpire l’immaginazione per ottenere il consenso delle masse. In questo tipo di propaganda Mussolini si rivelò abile oratore, un vero maestro nel fare discorsi a effetto, che suscitavano l’entusiasmo di migliaia di persone riunite nelle piazze. Sul linguaggio e sulla retorica di Mussolini sono stati fatti numerosi studi, che hanno messo in luce le strategie impiegate dal Duce per affascinare gli uditori, per dare ai suoi discorsi, tramite un linguaggio asciutto, semplice, immediato, il carattere di veri «dialoghi con la folla», come li ha definiti lo scrittore Raffaele Baldini (1924-2005). La sintassi di Mussolini, osserva Baldini, è estremamente semplice: «molte proposizioni coordinate e brevi; pochissime subordinate». Lo dice lo stesso Mussolini nel 1926: «Io non amo la forma dubitativa e condizionale. Io affermo». Gli schemi linguistici sono estremamente studiati nel ritmo, nello schema, che, continua Baldini, è quasi sempre “binario” o “ternario”. Ritmi binari: «Le mie idee sono chiare, i miei ordini precisi»; «Noi siamo nettissimi nelle nostre affermazioni, nettissimi nelle nostre negazioni». Ritmi ternari: «Lo stato aggressore, costituzionalmente dedito alle aggressioni, è l’Abissinia, soltanto l’Abissinia, nessun altro all’infuori dell’Abissinia»; «La rivoluzione fascista farà grande l’Italia comunque, dovunque, contro chiunque». Frequente è il ricorso di Mussolini all’antitesi: «O vittoria o olocausto»; «Diventa-

re un impero o essere una colonia»; «Chi non è con noi è contro di noi». In frasi come queste, scrive ancora Baldini, «c’è la cancellazione di ogni problematicità o confronto o dialettica, c’è l’intransigenza che dà alla gente un senso di chiarezza, di sicurezza». Lo scopo dell’oratoria di Mussolini non è quello «di convincere la folla con argomentazioni o di informarla con dati di fatto». Come egli stesso dichiarava, il suo scopo era «suscitare stati d’animo, emozioni». Per questo «il ritmo dei discorsi ha qualcosa di musicale, con un calcolato variare di intensità, di durate, di toni. Specialmente alle pause Mussolini dedicava un’attenzione tutta particolare, per gli

effetti sapienti che riusciva a ricavarne». Un esempio tra i più significativi è il discorso con cui Mussolini comunicò, il 2 ottobre 1935, la dichiarazione di guerra all’Etiopia: discorso che fu pronunciato dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, davanti a una piazza gremita, e fu ascoltato per radio da milioni di italiani. Baldini lo ha attentamente analizzato: «Il discorso, che possiamo riascoltare oggi in registrazione, dura 13 minuti e mezzo; di questi 13 minuti e mezzo, più della metà è costituita da pause, pause lunghe e brevi, veri e propri silenzi collocati da Mussolini tra frasi e parole con esatto tempismo e senso del ritmo, tali da coinvolgere emotivamente la folla». Mussolini al balcone di Palazzo Venezia a Roma, 1935

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

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Provvedimenti economici e bancari In un primo tempo, durante la fase di ripresa dell’economia internazionale, si seguì una linea liberista, cioè fu accordata libertà di iniziativa agli imprenditori, con molte facilitazioni fiscali. Poi, dal 1929-30, quando anche l’Europa incominciò a sentire gli effetti della grande crisi economica iniziata negli Stati Uniti [ 10.2], il governo fascista passò a una politica protezionista, che ostacolò le importazioni, promosse il consumo dei prodotti nazionali e intervenne con finanziamenti statali a sostegno delle industrie italiane. Per salvare le banche dal fallimento il governo creò nel 1931 un istituto di credito pubblico, l’Istituto mobiliare italiano (IMI), con il compito di sostituire le banche private nel sostegno alle industrie in crisi. Nel 1933 fu fondato l’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) che diventò azionista di maggioranza di alcune delle maggiori imprese siderurgiche italiane, come l’Ansaldo, l’Ilva e la Terni. Questo ente, concepito dapprima come transitorio, diventò poi permanente, mettendo nelle mani dello Stato il controllo di una quota consistente dell’apparato industriale e bancario. La “battaglia del grano” e la “bonifica integrale” Anche in campo agricolo furono lanciate varie iniziative economiche dirette dallo Stato: la “battaglia del grano”, una campagna di incentivi per accrescere la produzione di cereali, nel tentativo di dare al paese l’autonomia alimentare; la “bonifica integrale”, cioè il risanamento e la messa a coltura di zone incolte e malsane, specialmente nell’Agro pontino, un vasto territorio paludoso e malarico a sud di Roma, dove sorsero migliaia di nuovi poderi e i nuovi centri abitati di Littoria (l’odierna Latina), Pomezia, Aprilia, Sabaudia, Pontinia. Ciascuna di queste “battaglie” – il fascismo amò sempre impiegare termini di sapore guerresco – ebbe il suo risvolto negativo. Quella del grano contribuì a ridurre le importazioni e il disavanzo commerciale, ma impose la coltivazione dei cereali anche in territori inadatti, dove sarebbe stato opportuno promuovere altre colture. I lavori di bonifica strapparono alla malaria e restituirono al lavoro circa 4 milioni di ettari, ma non ottennero, se non in minima parte, il risultato che il governo dichiarava di perseguire: la creazione di una numerosa classe di piccoli proprietari. Differenze salariali Le condizioni di vita della popolazione si conservarono complessivamente scadenti. I ceti popolari conobbero livelli di salari molto bassi: fra il 1928 e il 1932, le paghe degli operai diminuirono di quasi la metà, e così pure i compensi dei lavoratori agricoli. Particolari riguardi economici furono invece riservati ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici (magistrati, funzionari, burocrati, impiegati), che rappresentavano un importante serbatoio di consenso al fascismo. Una fattoria nell’Agro pontino dopo la bonifica, anni Trenta [Archivio Farabola, Milano]

Nel 1928 la legge di bonifica, nota anche con il nome di “Legge Mussolini”, prevedeva investimenti massicci di capitali sia attraverso i contributi statali sia mediante l’emissione di titoli di credito fondiario. Nonostante questi presupposti, solo una minima parte dei lavori di bonifica e di riforma fondiaria previsti furono terminati, soprattutto nel Mezzogiorno.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

11.3 L’autarchia produttiva e alimentare

La Parola

autarchia Il termine “autarchia”, dal greco autós, ‘sé stesso’, e arché, ‘governo’, letteralmente significa ‘governo di sé stesso’ e indica un tipo di politica economica che si pone come obiettivo l’autosufficienza produttiva e alimentare, per superare la dipendenza dalle importazioni di materie prime dall’estero.

Il programma autarchico Una delle principali direttive imposte da Mussolini all’Italia in campo economico fu quella di fare da sé, di raggiungere l’autosufficienza produttiva e alimentare. In campo industriale si incoraggiò l’uso dei surrogati per sostituire le materie prime mancanti: per esempio, per diminuire le importazioni di lana e cotone si adoperò la ginestra come pianta tessile e si cercò di ricavare una specie di lana artificiale dal latte. In campo alimentare si cercarono surrogati al cacao, al caffè e a ogni altro prodotto d’importazione. L’aspetto più clamoroso di questa politica dell’autarchia fu la battaglia del grano, ossia la forte incentivazione a produrre cereali per «sfamare il popolo italiano senza ricorrere al grano nemico». Una falsa vittoria: il declino dei consumi Questa scelta fu, secondo lo storico inglese Denis Mack Smith, apparentemente un grande successo, ma a costo di stravolgere il sistema produttivo nazionale e il suo precario equilibrio. Il paradosso fu che, cifre alla mano, quella scelta portò a una diminuzione dei consumi degli italiani: «La più profonda trasformazione che ebbe luogo nell’economia italiana durante il fascismo – scrive Mack Smith – è forse quella che concerne la produzione granaria. Fin dal 1870 la produzione annuale in questo settore era stata di poco superiore ai 40 milioni di quintali, ma nel 1930 Mussolini aveva già portato questa cifra a 60 milioni, passata poi a 80 nel 1939. Questa “battaglia del grano” ebbe pieno successo. Ogni 21 aprile erano distribuite medaglie agli agricoltori che maggiormente vi avevano contribuito ed i progressi furono tali che nei dieci anni successivi al 1925 le importazioni di grano furono ridotte del 75%. Il prezzo pagato fu però pericolosamente alto. [...] Il risultato della battaglia fu di abbassare la redditività agricola complessiva [ossia la resa per ettaro] e, di conseguenza, anche il reddito nazionale. [...] Molte terre prima destinate a pascolo o alla coltivazione della frutta e delle olive furono così trasformate a grano, con la conseguenza che l’intera economia del paese ne fu sconvolta e che il prezzo del grano divenne in Italia del 50% più alto che in America». Conseguenza: «Dato che il grano costava di più, molti italiani dovettero semplicemente consumarne di meno». Nel decennio 1929-38 il consumo medio di grano calò, in media, del 10%. Insomma «le ragioni politiche erano in netto contrasto con i veri interessi dell’agricoltura italiana, e l’autarchia aggravò i problemi economici anziché risolverli». Il sogno dell’autosufficienza Nel pensiero di Mussolini, l’indipendenza economica sarebbe stata la premessa della potenza militare del paese e delle sue velleità espansionistiche. «Obiettivo della politica autarchica – così si legge nel secondo capitolo del Vademecum dello stile fascista – è la realizzazione della efficienza bellica della nazione». Infatti, a partire dal 1935 Mussolini si lanciò in una dispendiosa politica di militarizzazione, che sottrasse risorse ai consumi e agli investimenti produttivi del paese.

11.4 La fabbrica del consenso

Un fascio littorio composto da spighe di grano, 1926 In questa foto è esemplificata l’azione voluta da Mussolini per raggiungere l’autarchia: non più importazioni di grano dall’estero e assoluta autosufficienza.

La propaganda su radio e cinema Il fascismo rivolse una particolare attenzione al problema del consenso: in che modo si poteva ottenere l’adesione della popolazione al regime? Come formare un’opinione pubblica favorevole al fascismo e al suo governo? Mussolini si rendeva perfettamente conto che larghi settori della società erano, se non dichiaratamente ostili, perplessi e diffidenti nei confronti del fascismo, e che perciò era necessario organizzare un’opera di propaganda capillare, ampia, continua. Il cinema e soprattutto la radio furono usati in maniera martellante, giorno dopo giorno, per formare e condizionare l’opinione pubblica. Si esaltavano i successi dell’Italia fascista, decantata come «maestra di civiltà al mondo», «unica grande novità politica e civile del XX secolo». Ancora poco diffusa nelle case private, la radio trovò largo im-

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

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Copertina di un manuale per la scuola elementare, 1931 [Fototeca Storica Nazionale]

Il regime vedeva nel bambino un futuro fascista e un futuro guerriero, un elemento indispensabile per la “nuova” società.

Una radio Balilla, 1935 Il modello di radio qui riprodotto costituì il più semplice ed economico ricevitore popolare nell’Italia fascista.

piego nei luoghi pubblici. Il Duce voleva che la sua voce arrivasse dappertutto: perciò fece installare apparecchi muniti di altoparlanti nelle piazze, nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche, nelle caserme, nelle sedi del Partito fascista. La radio era gestita da un ente di Stato fondato nel 1927, denominato EIAR, progenitore dell’attuale RAI. Al cinema venivano proiettati, prima dei film, appositi cinegiornali prodotti da un ente statale (l’Istituto Luce).

La stampa di regime Anche sui giornali fu esercitato un attento controllo, in modo che avessero scarso o nessun rilievo le notizie negative, come gli incidenti, la cronaca nera, le calamità naturali, e invece si illustrassero ampiamente quelle descritte in senso positivo, come l’ordine e la regolarità del traffico, attribuiti all’opera del governo. La libertà di stampa fu abolita con la legge del 26 settembre 1928, che completava altre leggi del 1924, 1925 e 1926. Ogni notizia politica era data dai giornali in un’unica versione ufficiale, fornita dal governo. Il controllo della scuola Un’azione massiccia di propaganda fu compiuta nella scuola, per formare nelle giovani generazioni un «modo di pensare fascista». Mussolini era proposto come l’uomo modello, l’esempio da imitare, il condottiero infallibile che stava guidando l’Italia verso luminosi destini: «il Duce ha sempre ragione», si ripeteva continuamente. Il regime cercò di far sentire la sua presenza in ogni momento della vita quotidiana, a cominciare dall’infanzia, e inquadrò i giovani in associazioni di tipo militare: “Figli della Lupa” a quattro anni, “Balilla” a otto, “Avanguardisti»” a quattordici; li addestrò agli esercizi ginnici e all’uso delle armi. Nei libri scolastici l’esaltazione di Mussolini e del fascismo diventò il tema costante: il Duce fu paragonato a Cesare, a Dante, a Leonardo e si scrisse che «Mazzini e Garibaldi erano precursori del fascismo». Attraverso questi insegnamenti passarono milioni di bambini e di ragazzi, informati scarsamente e in maniera tendenziosa su ciò che avveniva nel mondo, senza altri libri che quelli permessi dalla censura, con giornali e riviste in cui non si leggevano mai critiche ma soltanto elogi a Mussolini e al suo governo.

154

Modulo 3 I regimi totalitari europei

11.5 Le altre forze in gioco: il Vaticano e gli antifascisti I Patti Lateranensi Nel tentativo di chiudere la “questione romana”, cioè il contrasto apertosi nel 1870 tra il pontefice e l’Italia, in conseguenza dell’occupazione di Roma da parte dell’esercito italiano [ vol. 2, 32.6], Mussolini avviò contatti con la Santa Sede e dopo lunghe trattative giunse a stipulare una serie di accordi che presero il nome di Patti Lateranensi (11 febbraio 1929). In base a tali accordi si riconobbe al pontefice la sovranità sui territori circostanti la basilica di San Pietro, che presero il nome di Città del Vaticano; lo Stato italiano si impegnò inoltre a pagare 2 miliardi di lire a titolo di risarcimento dei beni espropriati nel 1870; la religione cattolica fu dichiarata religione di Stato e il suo insegnamento, già presente nelle scuole elementari (in seguito alla riforma degli ordinamenti scolastici varata nel 1923 dal ministro dell’Istruzione Giovanni Genti-

Aa Documenti Un solo testo di storia per la scuola di regime Compito della scuola non è semplicemente fornire delle nozioni, ma, soprattutto, far maturare nei giovani uno spirito critico, cioè la capacità di formarsi un’idea propria analizzando diverse prospettive e punti di vista. La scuola di un paese totalitario – come quello che il fascismo costruì in Italia negli anni Venti del Novecento – evidentemente non può seguire questo modello, poiché diventa essa stessa uno strumento di propaganda e di costruzione del consenso.

Il totalitarismo fascista prestò particolare attenzione ai testi di storia, al modo con cui i manuali scolastici raccontavano le “vicende patrie”. Nel 1926, tre anni dopo la riforma della scuola varata dal ministro della Pubblica Istruzione, il filosofo Giovanni Gentile (che diede un’impronta aristocratica e selettiva agli ordinamenti scolastici), una speciale commissione proibì 101 testi di storia sui 317 in uso, e dieci anni più tardi rese obbligatoria in tutte le scuole elementa-

L

o Stato democratico che governava l’Italia era, caro Balilla, lo Stato del disordine e dell’anarchia, in cui ogni cittadino, dimenticando i doveri, reclamava solo diritti e pretendeva dai governanti privilegi, a danno degli altri. Nello Stato democratico solo alcuni partiti avevano il comando, sicché, invece di essere lo Stato dominatore dei partiti, era il loro schiavo, mentre oggi vi è un solo partito, quello di tutti gli italiani, che si chiama fascismo. C’era poi il Parlamento, formaGli insegnanti della scuola pubblica, sotto il fascismo, furono obbligati a prestare giuramento di adesione all’ideologia del regime. Chi non si adeguava veniva immediatamente licenziato, oppure

S

to dalla Camera dei Deputati e dai Senatori, che era diverso da quello di oggi e rappresentava un’altra piaga della Nazione, perché, a forza di lunghi discorsi, di litigi e di chiacchiere, impediva al Governo di fare le leggi buone. Adesso invece le leggi le fa in maniera sbrigativa direttamente il Governo, cioè il Consiglio dei Ministri e il Gran Consiglio del fascismo, senza bisogno del Parlamento, che ne viene informato in ultimo a cose fatte.

doveva “spontaneamente” dimettersi. Alcuni docenti (pochi a dire il vero) ebbero il coraggio di farlo, per non piegarsi alle imposizioni del regime. Si legga, per esempio, la nobile lettera inviata il

ignor Rettore, la dittatura fascista ha soppresso, ormai, completamente, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento universitario della Storia – quale io lo intendo – perde ogni dignità, perché deve cessare di essere strumento di libera educazione civile e ridursi a servile adulazione del partito dominante, oppure a mere esercitazioni erudite, estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni.

ri del Regno l’adozione di un unico testo di storia, in cui le vicende della nazione erano descritte al solo scopo di esaltare il regime. Leggiamo, per esempio, la pagina di un manuale scolastico del 1934, in cui si illustrano al “Balilla” (il ragazzo dagli otto ai tredici anni) i vantaggi del fascismo rispetto ai regimi democratici e parlamentari.

5 novembre 1925 dallo storico Gaetano Salvemini (1873-1957), docente all’Università di Firenze, al rettore della sua università:

Sono costretto perciò a dividermi dai miei giovani e dai miei colleghi, con dolore profondo, ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso. Ritornerò a servire il mio paese nella scuola, quando avremo riacquistato un governo civile.

Salvemini fu arrestato, processato e costretto all’esilio. Tornò in Italia nel 1949.

Gaetano Salvemini

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

Papa Pio XI nel suo studio

Lorenzo Da Bove, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Ferruccio Parri in Corsica, 1926

le), fu esteso alle scuole medie. Inoltre si riconobbe che i matrimoni celebrati in chiesa valevano anche dal punto di vista civile; gli ecclesiastici furono esonerati dal servizio militare; le proprietà della Chiesa furono esentate dal pagamento di tasse. Da parte sua la Santa Sede riconobbe ufficialmente il Regno d’Italia con Roma capitale. Da questa «conciliazione», come fu chiamata, Mussolini ricavò grande prestigio. Il papa Pio XI lo salutò come «uomo della provvidenza» e il regime ne uscì consolidato da nuovi consensi tra i cattolici.

L’opposizione antifascista Parallela alla storia del fascismo corse la storia dell’antifascismo, cioè dell’opposizione politica al governo di Mussolini, che è necessario distinguere in due fasi: quella della lotta aperta e quella della lotta clandestina. La lotta aperta fu possibile solo dal 1922 al 1925, quando la dittatura fascista non era ancora consolidata e perciò si potevano ancora esercitare liberamente alcune forme di opposizione. In quel periodo molti italiani, operai, lavoratori, professionisti, intellettuali, fecero sentire la loro voce di dissenso e di critica, malgrado le minacce e le violenze. Non pochi perdettero la vita, come il deputato socialista Giacomo Matteotti [ 9.7], il sacerdote Giovanni Minzoni (1885-1923), arciprete di Argenta presso Ferrara, ucciso a colpi di bastone, e il liberale Giovanni Amendola (1882-1926), capo dell’opposizione parlamentare, morto in seguito alle brutali percosse subìte. Azioni clandestine L’opposizione aperta non fu più possibile dopo il 1925. Mussolini ormai si era assicurato i pieni poteri ed era in condizione di impedire l’attività degli avversari. Agli antifascisti, da quel momento, non restò che l’azione clandestina, sempre più difficile col passare del tempo data la sorveglianza dell’apparato poliziesco. Uno dei dirigenti del Partito comunista, Antonio Gramsci (1891-1937), fu arrestato e morì per gli stenti del carcere. I fuoriusciti Molti altri oppositori, esponenti dei quadri direttivi dei Partiti socialista, comunista, popolare, repubblicano, liberale, furono costretti a espatriare: lasciarono l’Italia don Luigi Sturzo, Filippo Turati, Pietro Nenni (futuro segretario del Partito socialista dal 1949 al 1964), Sandro Pertini (futuro presidente della Repubblica dal 1978 al 1985), Umberto Terracini (presidente nel 1947-48 dell’Assemblea costituente), lo scrittore Piero Gobetti (1901-1926), lo storico Gaetano Salvemini (1873-1957). Per la maggior parte esuli in Francia, i fuorusciti cercarono di ricostituire all’estero i partiti e di alimentare la sopravvivenza delle loro idee politiche. Qualcuno fu raggiunto anche all’estero e ucciso da sicari del governo fascista: tale fu il caso dei fratelli Carlo (1899-1937) e Nello (1900-1937) Rosselli, assassinati in Francia.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

156

Le vie della cittadinanza

I

I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica

l contrasto fra Stato italiano e Chiesa cattolica, sorto in conseguenza dell’occupazione di Roma nel 1870, che segnò la fine del Regno pontificio, ebbe termine ufficialmente solo nel 1929, con la stipula dei Patti Lateranensi firmati dal governo presieduto da Benito Mussolini e dal car-

dinale Pietro Gasparri in rappresentanza della Santa Sede. Con essi si riconosceva alla Chiesa «la piena proprietà e la esclusiva e assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano» e si istituiva il piccolo Stato Vaticano che, a sua volta, riconosceva a tutti gli effetti lo Stato italiano e si

Il cardinale Gasparri e Benito Mussolini al Laterano insieme a notabili della Chiesa e del governo, 1929 Una delle più fortunate imprese diplomatiche riuscite al Duce fu la stipula dei Patti Lateranensi che appianarono definitivamente i contrasti tra Stato e Chiesa.

impegnava a considerare chiusa la “questione romana”. I Patti comprendevano un Concordato in cui erano precisati i rapporti reciproci fra lo Stato e la Chiesa nelle materie di comune interesse, in particolare il matrimonio e l’insegnamento. In tali materie furono fatte alla Chiesa molte concessioni da parte dello Stato, in cambio del proprio riconoscimento ufficiale. Alla caduta del fascismo i Patti Lateranensi furono accolti e riconfermati dalla Costituzione repubblicana del 1948, che nell’articolo 7 stabilì che «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale». I Patti, infatti, sono rimasti in vigore fino al 1984, anno in cui – senza dover modificare la Costituzione – è stato firmato fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica un nuovo concordato (gli “Accordi di Villa Madama”) con la revisione di alcune norme: il principio della “religione cattolica come religione di Stato” è stato abrogato; l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche è proposto come scelta facoltativa dei singoli allievi, da effettuarsi all’atto dell’iscrizione; il valore civile del matrimonio religioso, o del suo scioglimento, in certi casi non viene riconosciuto (per esempio quando gli sposi non abbiano l’età richiesta dallo Stato, 18 anni). Notevoli privilegi, soprattutto finanziari, sono stati comunque conservati: il diverso trattamento nella riscossione delle imposte (per esempio, i beni ecclesiastici non pagano l’imposta comunale) e nei sovvenzionamenti statali (che finanziano anche le scuole private cattoliche), le pensioni dei sacerdoti e i salari degli insegnanti di religione a carico dello Stato, il sostegno economico ricavato (su indicazione dei contribuenti) dall’8 per mille delle imposte sul reddito.

Bettino Craxi e Agostino Casaroli alla firma del nuovo Concordato, 1984

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

157

11.6 Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa dell’Ovest L’avanzata delle Destre Il fascismo, come orientamento ideologico e come sistema di governo, non si affermò soltanto in Italia ma anche in altri paesi d’Europa. Ciò avvenne sia per gli sviluppi politici interni dei vari paesi, sia anche per il sostegno che essi ebbero da Mussolini, il quale, per consolidare il suo potere e rafforzare in Europa le forze conservatrici e reazionarie, incominciò fin dal 1925 a praticare un’insistente azione di propaganda, e in qualche caso di diretto intervento. Tale azione non fu priva di risultati e diede frutti specialmente nell’Europa Centrale e nella penisola iberica, dove si instaurarono movimenti a carattere autoritario di ispirazione o di orientamento fascista.

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La diffusione Dittature dei regimi Regimi autoritari totalitari Regime comunis in Europa Regimi parlamen

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In Spagna Negli anni Venti nella penisola iberica si affermarono regimi autoritari di ispirazione fascista. In Spagna, il generale Miguel Primo de Rivera attuò un colpo di Stato nel 1923, restando al potere per sette anni. Nel 1931 fu abolita la monarchia e instaurata la repubblica, durante la quale fu data alla Spagna una Costituzione a carattere liberale, alle donne il diritto di voto e ai rapporti tra Stato e Chiesa una maggiore separazione (fu addirittura introdotto il divorzio). Nel 1936, per contrastare la vittoria elettorale delle forze di Sinistra, che (come già era avvenuto in Francia, 10.5) si erano riunite nel Fronte popolare, il generale Francisco Franco attuò un nuovo colpo di Stato scatenando una sanguinosa guerra civile (1936-39), al termine della quale lo stesso Franco, uscito

GERMANIA Hitler 1933 CECO

Rivoluzione d’ottobre 1917

UNIONE SOVIETICA

POLONIA SLOV

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Rivoluzione d’ottobre

Dittature Regimi autoritari Regime comunista Regimi parlamentari

158

Modulo 3 I regimi totalitari europei vittorioso anche per l’appoggio delle forze fasciste italiane ed europee [ 12.7], instaurò una dittatura militare durata fino agli anni Settanta del secolo.

In Portogallo In Portogallo, dove nel 1910 era stata istituita la repubblica, le difficoltà del periodo bellico e post bellico furono all’origine di una grave instabilità politica (in quindici anni si succedettero ben 45 governi diversi). Tale situazione favorì un colpo di Stato militare, attuato nel 1926 dal generale Antonio Oscar Carmona (che resterà presidente fino al 1951). Due anni dopo egli chiamò al governo Antonio de Oliveira Salazar, prima come ministro delle Finanze, poi (dal 1932) come Presidente del Consiglio. In questa veste egli introdusse una nuova Costituzione, che gli conferiva i pieni poteri e il controllo totale dello Stato, uno “Stato nuovo” (Estado Novo) analogo, nella natura e nei princìpi, al fascismo mussoliniano, al quale esplicitamente si ispirava. Da allora, Salazar manterrà il potere per oltre 35 anni, grazie al sostegno della Chiesa e degli agrari, sopprimendo i sindacati, la libertà di stampa e ogni tipo di opposizione politica. Francisco Franco saluta dal balcone le truppe vincitrici della guerra civile, 1939

11.7 Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa Centrale e Orientale In Austria In quegli anni numerosi altri paesi europei videro affermarsi dei regimi autoritari. L’Austria, divenuta una piccola repubblica dopo la fine della guerra mondiale e il dissolvimento del suo impero [ 5.5], inizialmente fu governata dal Partito socialista e, al pari della Germania [ 8.4], fu travagliata dai progetti insurrezionali dei gruppi comunisti. Nel 1920 le elezioni diedero la maggioranza al Partito cristiano-sociale, forte soprattutto nelle campagne. Il paese mantenne istituzioni democratiche e rappresentative fino al 1933, quando, seguendo l’esempio fascista, il cancelliere federale Engelbert Dollfuss (1932-34) sciolse il Parlamento e instaurò un governo autoritario. In Ungheria Anche in Ungheria – l’altra repubblica nata dalla dissoluzione dell’Impero austro-ungarico – il dopoguerra vide per alcuni mesi un tentativo di instaurare un governo comunista di tipo sovietico, dopo il quale si affermò nel 1919 un regime reazionario e autoritario guidato dall’ammiraglio Miklós Horty. Il nuovo governo si affrettò a ristabilire la monarchia, ma poiché un ritorno degli Asburgo in quel momento pareva un progetto politicamente irrealizzabile, l’assemblea nazionale ungherese proclamò lo stesso Horthy capo provvisorio dello Stato col titolo di “reggente”. Egli rimase al vertice di questa “monarchia senza re” fino alla Seconda guerra mondiale (1944). Nell’Europa dell’Est Regimi autoritari si affermarono anche in Bulgaria, dove nel 1923 il re Boris III (1918-43) limitò le libertà costituzionali; in Polonia, dove nel 1926 un colpo di Stato del generale Jozef Pilsudski instaurò un governo autoritario; in Lituania, dove nello stesso anno un colpo di Stato rovesciò il governo legittimo; in Jugoslavia, dove nel 1929 il re Alessandro I Karagjorgjevic (1921-34) abrogò la Costituzione e instaurò un regime autoritario incentrato sulla Serbia, mentre, in Croazia, Ante Pavelic – comandante degli ustascia, ‘i ribelli’ – fondava un movimento autonomista di ispirazione fascista; in Romania, dove nel 1930 il re Carol II (1930-40) impose un regime autoritario di ispirazione fascista, trasformatosi in vera dittatura otto anni dopo con lo scioglimento di tutti i partiti; in Estonia e in Lettonia, dove nel 1934 due colpi di Stato instaurarono un regime dittatoriale; in Grecia, dove nel 1935 fu rovesciata la repubblica (instaurata dieci anni prima) e costituito un regime autoritario guidato dal generale Ioannis Metaxas (1936-41). In Germania Ma fu in Germania che si formò la più spietata dittatura antidemocratica, il nazismo, la cui influenza ebbe un peso determinante per l’affermazione del fascismo in Europa, e per avviare il continente a una nuova catastrofe bellica.

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

Sintesi

La dittatura fascista in Italia

L’Italia nelle mani del “Duce” Arrivato al potere, Mussolini costruì un regime totalitario privo di ogni libertà. La funzione legislativa fu assegnata direttamente al “Duce”, la libertà di espressione fu limitata, fu istituito un Tribunale speciale per giudicare gli avversari politici, che potevano essere inviati al confino in un luogo isolato, fu ripristinata la pena di morte, furono abolite le libere elezioni e al posto del sindaco elettivo fu istituita la figura del podestà, nominato dal governo. La politica sociale ed economica Nel campo sociale, gli scioperi furono dichiarati illegali e i sindacati furono sostituiti dalle corporazioni, che riunivano datori di lavoro e lavoratori, togliendo autonomia a questi ultimi e tutelando gli interessi dei grandi gruppi industriali e agrari. In campo economico, inizialmente fu seguita una politica liberista, ma dopo la crisi del 1929 fu attuato il protezionismo. Il governo creò l’IMI, un istituto di credito pubblico per sostenere le industrie in crisi, e l’IRI, che rese il governo azionista di alcune tra le maggiori imprese italiane. L’agricoltura fu sostenuta mediante una duplice azione: la “battaglia del grano” fornì incentivi per la produzione di cereali, allo scopo di ottenere l’autonomia alimentare; la “bonifica integrale” permise la messa a coltura di zone in precedenza malsane (come l’Agro pontino), ma non riuscì a creare un’ampia classe di piccoli proprietari. Nell’insieme, le condizioni di vita della popolazione erano scadenti, i salari di operai e agricoltori erano bassi, mentre erano migliori quelli dei dipendenti statali. L’autarchia produttiva e alimentare La politica economica del fascismo mirava a far raggiungere all’Italia l’autosufficienza produttiva e alimentare. A tale scopo si impiegarono i surrogati delle materie prime importate, in campo sia industria-

le sia agricolo, unitamente al tentativo di ottenere l’autarchia alimentare mediante la battaglia del grano. Questa scelta portò però all’aumento del prezzo del grano e al calo del consumo medio, per la bassa redditività agricola complessiva. A partire dal 1935 l’indipendenza economica fu legata a una politica di rafforzamento militare e di espansione territoriale, sottraendo così risorse ai consumi e agli investimenti produttivi.

il consenso di cui Mussolini godeva tra i cattolici. Le opposizioni al fascismo conobbero due fasi. Fino al 1925 fu possibile esercitare apertamente il dissenso, anche se le violenze e le minacce in alcuni casi portarono alla morte di alcuni antifascisti. Dopo il 1925 l’opposizione poté esistere solo clandestinamente. Molti antifascisti si rifugiarono in Francia, dove tentarono di ricostituire i partiti e di portare avanti le loro idee politiche.

La fabbrica del consenso Il fascismo diede grande importanza all’aumento del consenso interno, mediante un’ampia opera di propaganda: furono fondate l’EIAR, ente statale che gestiva la radio, e l’Istituto Luce, che produceva cinegiornali proiettati prima degli spettacoli cinematografici. Il contenuto dei giornali fu controllato in modo da escluderne le notizie negative, fino all’abolizione della libertà di stampa. La scuola fu al centro dell’opera di propaganda, proponendo nella figura di Mussolini un ideale modello di riferimento. I giovani furono inquadrati in associazioni di tipo militare fin dall’infanzia e addestrati a esercizi ginnici e all’uso delle armi.

Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa dell’Ovest L’ideologia e il sistema di governo fascista si affermarono anche in altri paesi europei, sia per sviluppi politici interni sia per intervento diretto di Mussolini. Movimenti politici a carattere autoritario si affermarono anzitutto nella penisola iberica. In Spagna, dopo la vittoria elettorale del Fronte popolare che riuniva le Sinistre, un colpo di Stato portò al potere il generale Francisco Franco (1936), che vinse la guerra civile che seguì grazie all’appoggio delle forze fasciste italiane ed europee. In Portogallo dopo un colpo di Stato militare (1926) emerse la figura di Salazar, che assunse i pieni poteri e il controllo totale dello Stato sopprimendo i sindacati, le libertà civili e le opposizioni politiche.

Le altre forze in gioco: il Vaticano e gli antifascisti Mussolini stipulò con la Santa Sede i “Patti Lateranensi” (febbraio 1929), una serie di accordi che chiusero le controversie tra la Chiesa e lo Stato italiano. Al pontefice fu riconosciuta la sovranità sulla Città del Vaticano e un risarcimento per i beni espropriati nel 1870. Il cattolicesimo fu dichiarato religione di Stato e il suo insegnamento fu esteso alle scuole medie; al matrimonio cattolico furono riconosciuti effetti civili, le proprietà ecclesiastiche furono esentate dal pagamento di tasse e gli ecclesiastici dispensati dal servizio militare. In cambio la Santa Sede riconobbe il Regno d’Italia con Roma capitale. Questi accordi accrebbero

Fascismo e fascismi. Regimi autoritari nell’Europa Centrale e Orientale Movimenti autoritari di ispirazione fascista si svilupparono anche negli Stati dell’Europa Centro-orientale. In Austria le istituzioni democratiche ressero fino al governo Dollfuss, che nel 1933 sciolse il Parlamento. In Ungheria già nel 1919 Horty aveva creato un regime reazionario e autoritario. L’instaurazione di governi autoritari si estese anche a Bulgaria, Polonia, Lituania, Jugoslavia, Romania, Lettonia e Grecia, ma la più spietata forma dittatoriale antidemocratica, il nazismo, si formò in Germania.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le affermazioni seguenti sono vere o false. a. Le corporazioni riunivano insieme i lavoratori e i datori di lavoro.

V

F

b. Il Tribunale speciale giudicava gli avversari del regime con possibilità di appello.

V

F

159

160

Modulo 3 I regimi totalitari europei

c. Fra il 1928 e il 1932 le paghe di operai e contadini diminuirono di quasi la metà.

V

F

d. La politica economica del fascismo andò contro gli interessi dei grandi gruppi industriali.

V

F

e. La politica dell’autarchia portò a un aumento dei consumi degli italiani.

V

f. Mussolini appoggiò la diffusione in Europa di forze conservatrici e reazionarie.

m. Dopo l’affermazione del potere di Mussolini, il Parlamento conservò il potere legislativo.

V

F

n. Prima della crisi del 1929 fu adottata una politica economica di tipo liberista.

V

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F

o. Il colpo di Stato di Francisco Franco portò alla costituzione del Fronte popolare.

V

F

V

F

p. I giovani fino a quattordici anni facevano parte dei “Balilla”.

V

F

g. Il regime di Miklós Horty può essere definito una “monarchia senza re”.

V

F

q. Dopo il 1922 non fu più possibile manifestare apertamente il dissenso al regime.

V

F

h. Il papa Pio XI definì Mussolini «uomo della provvidenza» dopo i Patti Lateranensi.

V

F

r. Prima della crisi del 1929 fu adottata una politica economica di tipo protezionista.

V

F

i. Sui giornali non avevano rilievo le notizie di cronaca nera e di calamità naturali.

V

F

s. Secondo Mussolini, all’indipendenza economica sarebbe seguita la potenza militare dell’Italia.

V

F

l. Giovanni Amendola fu ucciso in Francia da sicari del governo fascista.

V

F

t. I dipendenti dello Stato e degli enti pubblici erano un serbatoio di consenso per il fascismo.

V

F

2. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1919

1. 2. 3. 4. 5. 6.

1923

1927

1928

1929

fondazione dell’Istituto per la ricostruzione industriale Antonio de Oliveira Salazar al governo in Portogallo Patti Lateranensi regime autoritario guidato dal generale Metaxas in Grecia colpo di Stato del generale de Rivera in Spagna creazione dell’Istituto Mobiliare Italiano

1930

1931

1933

1935

1936

7. il re Carol II di Romania impone un regime autoritario di ispirazione fascista 8. colpo di Stato di Francisco Franco 9. fondazione dell’EIAR 10. regime autoritario di Miklós Horty in Ungheria

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. autarchia • azionista • cinegiornale • confino • corporazioni • incentivo • liberismo • podestà • protezionismo • surrogato • totalitarismo • ustascia Regime basato sulla concentrazione di tutti i poteri in un gruppo dominante Governatore locale di nomina governativa introdotto al posto del sindaco Proprietario di azioni di una società commerciale Segregazione in un luogo isolato sotto sorveglianza Misura diretta a creare condizioni favorevoli per l’aumento della produzione Notiziario di attualità presentato nelle sale di proiezione Movimento autonomista croato di ispirazione fascista Teoria economica che prevede l’intervento statale a sostegno dell’economia nazionale Organismi che riunivano insieme lavoratori e datori di lavoro Autosufficienza produttiva e alimentare Prodotto di qualità inferiore utilizzabile al posto di un altro prodotto Teoria economica che lascia agli imprenditori la libertà di iniziativa economica

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

4. Indica sulla cartina le zone di diffusione in Europa di regimi autoritari simili al fascismo nel periodo tra il 1919 e il 1936. Poi completa la tabella inserendo le informazioni mancanti (la tabella non contiene tutti i regimi autoritari da indicare nella cartina).

Danubio

Austria • Carmona • controllo • fascisti • Franco • Horty • italiani • libertà • militare • monarchia • opposizioni • Parlamento • Portogallo • poteri • reggenza • regime • Salazar • scioglimento • sindacati • soppressione • Spagna • Stato • Ungheria DOVE

.......................................................

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QUANDO

1919

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CHI

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• .................................................... autoritario; • ............................................ del

• Dittatura ..............................; • Appoggio di .......................... ................................ ed europei

Antonio De Oliveira .......................................................

CARATTERI DEL REGIME

.......................................................

reazionario e autoritario e .......................................................

(...................................................... senza re)

• Pieni ........................................ e ...................................... totale dello ............................................ • .................................................... di ................................................., ........................................ civili e .................................... politiche

.......................................................

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. azionista • bonifica • cereali • classe • corporazioni • estensione • ginestra • imprese • inadatti • incentivi • Istituto • lana • messa • mobiliare • proprietari • ricostruzione • riduzione • sostegno • superamento • surrogati

L’ECONOMIA FASCISTA E L’IDEA DELL’AUTARCHIA INDUSTRIA

AGRICOLTURA

LE INIZIATIVE

• ................................................................................................................ • ............................................................................................... italiano • ...................................... per la ................................... industriale • Uso di ........................................: ................................... (tessile), ............................................. artificiale (dal latte)

• Battaglia del grano: .................................................................... per produzione .................................................................................. • ........................................... integrale: ........................................... a coltura di zone incolte

GLI SCOPI E I RISULTATI

• ..................................................................... della lotta di classe • ........................................... alle ........................................... in crisi • Stato ...................................................... di maggioranza nelle

• Autosufficienza alimentare • ........................................................................ delle importazioni • ........................................................................... delle coltivazioni • Coltura di ........................... in territori ...................................... • Mancata creazione di una ................................................... di piccoli ..................................................................................... terrieri

....................................................................................................................

• Autosufficienza

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna.

1. Che cosa si intendeva per “autarchia”? 2. Quali erano le condizioni di vita della popolazione italiana tra 1928 e 1932? 3. In quali fasi si può distinguere la storia dell’opposizione antifascista? Per quale motivo?

4. Quale è l’opinione di Denis Mack Smith sugli effetti della “battaglia del grano”? 5. In quali zone dell’Europa si diffusero governi dall’orientamento simile a quello fascista? 6. Che cosa erano le corporazioni? Che conseguenze ebbe la loro istituzione?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa erano i “Patti Lateranensi”? Quando furono stipulati? Da chi? 2. A quale problema interno posero fine? Quali erano le cause di questo problema?

3. Quali decisioni furono prese con i “Patti Lateranensi”? 4. Quali furono le conseguenze dei “Patti Lateranensi”?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

I PATTI LATERANENSI QUANDO

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I CONTRAENTI

..................................................................................................................................................................................................................................

LE DECISIONI

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LE CONSEGUENZE

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8. Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 156 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Quando nacque il contrasto tra Stato italiano e Chiesa cattolica? Per quale motivo? Quando ebbe termine ufficialmente? Per quale motivo? Che cosa era il concordato? Quali decisioni conteneva? Che cosa fu stabilito dalla Costituzione repubblicana del 1948 riguardo i Patti Lateranensi? Che cosa sono gli Accordi di Villa Madama? Quando sono stati presi? Che cosa viene stabilito negli Accordi di Villa Madama?

Integrando le informazioni ricavate dal precedente esercizio, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Dalla questione romana agli Accordi di Villa Madama”.

Capitolo 11 La dittatura fascista in Italia

9. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per “fascistizzazione” dello Stato? 2. Quali decisioni furono prese dal regime fascista per rafforzare il consenso interno?

3. Quali decisioni furono prese dal regime fascista per ostacolare il dissenso interno?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

LA FASCISTIZZAZIONE DELL’ITALIA FASCISTIZZAZIONE .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. ..............................................................................................................................

LOTTA AL DISSENSO

RICERCA DEL CONSENSO

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10. Verso il saggio breve Leggi la citazione di Mussolini a p. 149 e rispondi alla seguente domanda. Che cosa significa “fascistizzare la nazione”? In che modo viene realizzato questo intento? Leggi il documento “Il linguaggio di Mussolini: un’oratoria a effetto per suscitare emozioni” a p. 150 e rispondi alle seguenti domande. 1. A che cosa hanno sempre dato importanza i dittatori? A che scopo? 2. Perché i discorsi di Mussolini sono stati definiti “dialoghi con la folla”? 3. Che cosa caratterizzava la sintassi di Mussolini? 4. Quale è lo scopo dell’oratoria di Mussolini? 5. Quale è il fine delle frequenti pause nei discorsi di Mussolini? Quale esempio è citato nel documento? Leggi il documento “Un solo testo di storia per la scuola di regime” a p. 154 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quale è il fine della scuola in un paese totalitario? In che modo esso viene perseguito? 2. Che cosa fu deciso da una speciale commissione nel 1926? Che cosa accadde dieci anni dopo?

3. Che cosa contiene il primo testo? 4. Come è definito lo Stato democratico? Chi aveva il comando negli Stati democratici? 5. Come è definito il Parlamento? Per quale motivo? 6. Quali differenze rispetto al passato vengono sottolineate? 7. Quale obbligo avevano gli insegnanti della scuola pubblica? Fu rispettato da tutti? 8. Che cosa contiene il secondo testo? 9. Come viene inteso l’insegnamento della storia? Perché non è più possibile realizzarlo? 10. Quale decisione viene annunciata? Per quali motivi? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “Il fascismo e la società italiana”.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

12 La Germania

Capitolo

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dalla crisi al nazismo

Percorso breve Le difficoltà del dopoguerra furono particolarmente acute in Germania, dove le istituzioni liberali finirono travolte – come in Italia – da un movimento antidemocratico, il nazismo, costituito nel 1920 da Adolf Hitler e dotato di proprie squadre armate. Nel 1923 Hitler tentò un colpo di Stato e fu incarcerato. Poi la Germania sembrò riavviarsi alla normalità, grazie anche al piano Dawes che fece affluire nel paese capitali americani aiutando la ricostruzione industriale. Ma negli anni successivi acquistò progressivamente peso il nazismo, che poté contare sull’appoggio finanziario di settori della grande industria. La svolta decisiva fu la crisi del 1929, che vide cessare i prestiti americani, mettendo in ginocchio il sistema industriale e provocando milioni di disoccupati. Hitler mise sotto accusa il governo e il sistema democratico, alimentando lo spirito di rivincita tedesco. Alle elezioni del 1932 i nazisti conseguirono un notevole successo e Hitler fu nominato capo del governo. L’anno successivo, con un meccanismo tipico dei regimi a vocazione autoritaria, provocò ad arte un incidente (l’incendio del palazzo del Parlamento) che gli servì per introdurre leggi eccezionali, che restringevano le principali libertà dei cittadini. A questo punto Hitler indisse nuove elezioni che gli diedero la maggioranza assoluta. In tre mesi la democrazia fu liquidata, sciolti tutti i partiti e le organizzazioni sindacali. Nel 1934 fu nominato anche capo dello Stato e dell’esercito. La politica di riarmo perseguita da Hitler si nutrì di una delirante ideologia razzista che sosteneva la superiorità del popolo tedesco e la necessità di difendere la razza da ogni inquinamento. Oggetto di persecuzione furono soprattutto gli ebrei, presentati come causa di tutti i mali del mondo. Già nel 1935 essi furono esclusi dalla vita civile e dalle attività economiche; dal 1938 la persecuzione diventò sistematica, fino al mostruoso progetto di una loro totale eliminazione. Nello stesso anno, dopo avere stretto con Hitler un patto di alleanza, Mussolini introdusse anche in Italia leggi razziali antiebraiche. Un manifesto di propaganda della gioventù hitleriana

Negli anni 1936-39 si combatté in Spagna una guerra civile tra l’esercito nazionale e le forze del generale Franco, che con un colpo di Stato aveva rovesciato il governo di sinistra liberamente eletto dai cittadini. Hitler e Mussolini appoggiarono Franco, mentre volontari antifascisti si schieravano dalla parte opposta. Fu la prova generale di una terribile guerra che si sarebbe combattuta di lì a poco in Europa e nel mondo.

Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo

12.1 Origini del nazismo Le difficoltà della Repubblica di Weimar In Germania la sconfitta della guerra aveva provocato il crollo della monarchia dando origine nel 1919 a un nuovo Stato, la Repubblica di Weimar [ 8.4]. La giovane repubblica, governata da una maggioranza socialdemocratica, ebbe vita difficile fin dai primi mesi, ostacolata da opposizioni politiche di vario segno (socialisti dissidenti, comunisti, liberali, monarchici), insidiata da violente lotte sociali e dalla gravissima crisi economica. La nascita del Partito nazista Tra i gruppi di opposizione si segnalò per la particolare violenza un movimento formatosi nel 1920, il Partito operaio tedesco, ostile allo Stato repubblicano e alle istituzioni democratiche. Un ex caporale di origine austriaca, Adolf Hitler (1889-1945), reduce di guerra, ne diventò presto il capo e l’animatore e ne cambiò il nome in Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, abbreviato poi in Partito nazista. I suoi aderenti indossavano divise militari con una camicia bruna segnata sul braccio da un particolare distintivo, la svastica, una croce uncinata nera in campo bianco. Il movimento aveva costituito speciali reparti armati, le SA (Sturm-Abteilungen, ‘squadre d’assalto’), comandate dal capitano dell’esercito Ernst Röhm (1930-34), con scopi simili a quelli dello squadrismo fascista italiano: aggredire gli avversari politici, distruggere le loro organizzazioni. Nel 1923 Hitler radunò i suoi uomini a Monaco e tentò di attuare un colpo di Stato, assalendo la sede del governo in Baviera. Il tentativo fu sventato e Hitler fu incarcerato per qualche mese.

I tempi della storia La svastica, un antico simbolo solare La svastica, o croce uncinata, con quattro braccia di uguale lunghezza prolungate ad angolo retto, è un simbolo antichissimo, che compare fin dalla preistoria su manufatti dell’area mediterranea, dell’Asia minore, dell’Estremo Oriente, dell’America precolombiana. Gli studiosi pensano che sia un simbolo di rotazione, probabilmente la rotazione di un astro:

si legherebbe quindi, in origine, a culti di tipo solare. Sopravvissuta come forma grafica fino all’epoca contemporanea, la svastica diventò in certi ambienti esoterici (per esempio in Russia, agli inizi del Novecento) il simbolo di una superiore civiltà e conoscenza. Con questo significato essa fu introdotta nei rituali nazisti, forse

dall’orientalista Karl Haushofer (18691946) o forse da Alfred Rosenberg (18931946), il maggiore ideologo nazista. Fu adottata da Hitler anche perché ritenuta, erroneamente, un segno tipico della tradizione indoeuropea o “ariana”, che la dottrina razzista del movimento riteneva l’origine di una civiltà superiore.

Bandiera di un sommergibile tedesco, 1942 Busto fittile femminile proveniente da Paestum, VI secolo a.C.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei Una leggera ripresa economica Nel 1924, soprattutto grazie agli aiuti finanziari concessi dagli Stati Uniti con il piano Dawes [ 8.6], la Germania iniziò a superare la crisi economica e finanziaria che l’aveva colpita alla fine della guerra: le fabbriche cominciarono a riaprirsi, la moneta nazionale (il marco) si rafforzò, la produzione e il commercio si ravvivarono. Il miglioramento fu favorito dalla politica del governo, guidato dal liberale Gustav Stresemann (cancelliere nel 1923, e fino al 1926 ministro degli Esteri), che mirò a ricomporre le tensioni e le ostilità nei confronti della Francia. Il patto di Locarno (1925), che stabilì il ritiro dei francesi dalla ricca regione della Ruhr (occupata per ritorsione ai mancati pagamenti tedeschi del debito di guerra) e l’ammissione della Germania nella Società delle Nazioni, sembrò segnare il ritorno alla normalità. La Repubblica di Weimar pareva consolidarsi e camminare verso la democrazia. Verso l’autoritarismo Ma così non fu. Le tendenze politiche dominanti in Germania in quegli anni non erano, in realtà, il liberalismo e la democrazia, bensì l’autoritarismo e il militarismo. Significative furono le elezioni presidenziali del 1925: fatta eccezione per i comunisti e i cattolici, tutti i partiti fecero blocco per eleggere Presidente della Repubblica il vecchio maresciallo Paul von Hindenburg, un monarchico che incarnava lo spirito militare prussiano, la cui unica preoccupazione era il rapido riarmo del paese.

Un manifesto nazista durante la depressione, 1932 Su uno sfondo di volti disperati e depressi per via della grande crisi economica che stava attraversando la Germania nel 1930, campeggia la scritta «La nostra ultima speranza: Hitler».

L’ascesa nazista Il partito di Hitler nel frattempo non sembrava acquistare troppo peso. Nelle elezioni del 1928 ottenne poco più di 800.000 voti, contro i 9 milioni raccolti dai socialdemocratici. Tuttavia, tra il 1928 e il 1930 il peso e l’importanza del nazismo crebbero rapidamente, grazie al concorso di diversi fattori: da un lato l’organizzazione militare, che consentiva di tenere sotto controllo le manifestazioni di piazza e di intervenire contro gli oppositori; dall’altro l’appoggio finanziario di alcuni settori della grande industria, che permise a Hitler di potenziare le sue squadre armate. In particolare furono consistenti le sovvenzioni di Fritz Thyssen (1873-1951), uno dei personaggi più ricchi e potenti del mondo industriale.

12.2 La crisi del 1929 dagli Stati Uniti alla Germania Crisi e disoccupazione Ad accelerare lo sviluppo del nazismo contribuì la disastrosa crisi economica del 1929, sorta improvvisa in America e subito propagatasi all’Europa [ 10.2]. Le conseguenze della crisi si avvertirono specialmente in Germania, dove l’attività economica si reggeva in gran parte sui prestiti americani: molte fabbriche dovettero chiudere, altre limitarono la loro attività. Nel dicembre 1930 si contavano già 3.700.000 disoccupati, che nel successivo inverno salirono a 6 milioni. Le accuse al governo In quella situazione di crisi economica e sociale, che sembrava rinnovare in Germania le drammatiche giornate dell’immediato dopoguerra, si sollevarono violentissime critiche contro il governo, accusato, più a torto che a ragione, di essere responsabile delle difficoltà e degli stenti del popolo tedesco. Le accuse erano dirette contro il sistema democratico, contro il Parlamento, contro la repubblica, considerati realtà estranee alla tradizione tedesca e, come tali, da respingere prima che portassero il paese allo sfascio. La campagna di opposizione al governo fu condotta con particolare abilità e violenza dai nazisti, che, anno dopo anno, avevano accresciuto il numero degli aderenti e si erano dotati di una nuova organizzazione militare, le SS (Schutz-Staffeln, ‘reparti di difesa’), un corpo di fedelissimi a difesa del partito e del suo capo.

Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo Successi elettorali dei nazisti Nel 1930 si svolsero le elezioni politiche, preparate da una spettacolare propaganda nazista, con massicce sfilate dei reparti militari hitleriani, migliaia e migliaia di uomini armati che dominavano le strade delle città tedesche. I risultati furono sorprendenti: i nazisti, che due anni prima avevano ottenuto appena 800.000 voti, salirono a quasi 6 milioni e mezzo. Appena due anni dopo (1932) furono indette nuove elezioni e i voti diventarono quasi 14 milioni. In conseguenza di tale successo elettorale Hitler fu nominato capo del governo (“cancelliere”) dal maresciallo Hindenburg. L’incendio del Parlamento L’anno seguente, approfittando del momento favorevole, Hitler ordinò ancora nuove elezioni. Per diffondere nell’opinione pubblica moderata il timore di un progetto insurrezionale comunista, il 27 febbraio 1933 fece incendiare dal capo della polizia Hermann Göring (1933-45) il palazzo del Parlamento (Reichstag). Il giorno dopo fu arrestato un comunista olandese, squilibrato di mente, accusato come autore materiale dell’incendio. L’intera operazione servì a Hitler per dichiarare lo stato di emergenza, con un decreto che annullava ogni libertà: «Si consentono restrizioni della libertà personale e del diritto di esprimere liberamente la propria opinione, inclusi la libertà di stampa, il diritto di riunione e di associazione; si consentono violazioni del segreto postale, epistolare, telegrafico e telefonico, mandati di perquisizione e sequestro, limitazioni alla proprietà anche al di là dei limiti previsti dalle leggi vigenti». Hitler al potere Il 5 marzo si svolsero le elezioni: presentandosi al paese come uomo d’ordine e di pace, Hitler ottenne la maggioranza assoluta (17 milioni di voti) e il controllo totale del Parlamento. A questo punto si apprestò a instaurare la dittatura.

Aa Documenti Propaganda di massa Così come Mussolini, Adolf Hitler attuò con piena consapevolezza una propaganda di massa volta a condizionare l’opinione pubblica e ad assicurargli largo consenso. Nel libro che Hitler scrisse durante il suo periodo di prigionia e pubblicato nel 1925 con il titolo Mein Kampf (‘La mia battaglia’), egli stesso precisò in che modo tale propaganda dovesse essere attuata: adeguandosi al più basso livello di comprensione, all’ignoranza del più ignorante degli ascoltatori, con slogan di immediato effetto e di facile memorizzazione.

O

gni propaganda deve essere popolare e deve adattare il suo livello spirituale alla capacità mentale del meno intelligente di coloro ai quali essa intende rivolgersi. Perciò il suo livello spirituale deve essere portato tanto più in basso, quanto più grande è la massa di gente che si vuole attirare. […] Quanto più modesta è la sua zavorra scientifica, e quanto più esclusivamente ha di mira i sentimenti delle masse, tanto più impressionante sarà il suo successo. […] La capacità di comprensione delle grandi masse è molto limitata, la loro possibilità di capire è piccola ma quella di dimenticare è grande. In conseguenza di questi fatti, ogni propaganda efficace deve limitarsi solo a pochissimi punti e usarli come parole d’ordine, finché persino l’ultimo uomo sia in grado di immaginarsi che cosa si intenda con una tale parola. A. Hitler, Mein Kampf, 1925

«Tutta la Germania ascolta il Führer attraverso la radio»: manifesto di propaganda nazista

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

I modi della storia

La cultura non serve. Anzi, è dannosa

Il culto della violenza e della guerra, che fu proprio del nazismo, si accompagnava a una profonda diffidenza per la cultura e per il sapere intellettuale che, secondo Hitler, cancellano l’istintiva “rapacità ani-

L

male” dell’uomo, rendendolo debole, accomodante, tollerante, mentre deve essere forte, deciso, spietato. Nelle pagine del Mein Kampf Hitler esalta la forza fisica e sostiene che «il debole deve essere

a mia scienza pedagogica è dura. Il debole deve essere spazzato via. Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. Essa deve sopportare il dolore, non deve avere nulla di debole o di effeminato. L’animale rapace, libero e dominatore, deve brillare ancora dai suoi ocIl disprezzo per la cultura ostentato dai nazisti – contraddetto, peraltro, dalla raffinata formazione intellettuale di non pochi membri del partito – era rivolto principalmente contro gli autori e le opere ritenute contrarie agli interessi e all’ideologia del “nuovo Ordine” voluto da Hitler. Il 10 maggio 1933 fu organizzato a Berlino un pubblico “rogo dei libri proibiti”, sotto la diretta sorveglianza di Joseph Göbbels, ministro per la Propaganda dal

spazzato via». Il disprezzo della cultura, come strumento di crescita morale e spirituale dell’uomo, è assoluto e totale. In questa pagina, per esempio, Hitler scrive che «il sapere rovina la gioventù»:

chi. Forte e bella voglio la mia gioventù. La farò istruire in ogni esercizio fisico. Voglio una gioventù atletica. Questa è la prima cosa e la più importante. Così distruggerò i millenni di addomesticamento dell’umanità e avrò di fronte a me il materiale nobile, puro della natura e potrò creare cose nuove. Non voglio un’educazione intellettuale. Il sapere mi rovina la gioventù.

1933 al 1945, uno dei più intimi collaboratori di Hitler. Lo stesso avvenne nelle altre città tedesche sedi di università. Il gesto non solo serviva a eliminare fisicamente i libri scritti da ebrei, comunisti, socialisti e da ogni possibile avversario del nazismo, ma aveva anche un forte contenuto simbolico e rituale: il rogo era come una lugubre cerimonia pubblica, volta a celebrare il nuovo potere e la cancellazione del passato.

Il medesimo atteggiamento orientava le scelte in materia scolastica. Il 30 aprile 1934 Bernhard Rust fu nominato da Hitler ministro per la Scienza, l’Istruzione e la Cultura popolare. Egli si vantò di essere riuscito, in poche ore, a «liquidare la scuola come istituto di acrobazie intellettuali». Le scuole tedesche, dalle elementari fino all’università, furono riorganizzate in funzione dell’ideologia nazista. I libri di testo furono riscritti, i programmi di studio

12.3 La costruzione di uno Stato totalitario La fine della Repubblica di Weimar Ottenuto il potere (1933) Hitler attuò rapidamente il suo progetto di costruzione di uno Stato totalitario. Nel giro di tre mesi liquidò la Repubblica di Weimar. L’ordinamento federale fu abolito, il potere fu centralizzato, le organizzazioni sindacali e i partiti furono sciolti, il Partito nazista fu dichiarato «unico della nazione». Gli avversari politici (socialdemocratici, comunisti, cattolici, ebrei) furono incarcerati e subirono violenze di ogni genere. Le squadre d’assalto (SS) e la polizia politica di Stato (la Gestapo fondata da Göring) seminarono il terrore con interventi feroci e sanguinari. In pochi mesi, 450.000 tedeschi furono imprigionati o uccisi. Adolf Hitler conversa con Hermann Göring e Ernst Röhm, 1931 In questa foto Hitler conversa con due importanti esponenti del movimento nazionalsocialista, Hermann Göring (a sinistra) e il capo delle SA, Ernst Röhm (al centro). Nonostante condividesse vedute e posizioni politiche, Hitler non esitò a far assassinare Röhm pur di giungere all’assolutismo personale.

La notte dei lunghi coltelli A questo punto, ormai, Hitler aveva un solo potenziale avversario: Ernst Röhm, il capo delle SA, che rappresentava la fazione estremista del partito, radicalmente anticapitalista, fautore di una rivoluzione sociale che riorganizzasse lo Stato nel solo interesse dei lavoratori (quasi una sorta di versione “reazionaria” delle istanze socialiste e comuniste). La notte del 30 giugno 1934, che fu poi chiamata “notte dei lunghi coltelli”, reparti delle SS fedeli a Hitler assassinarono Röhm e tutto lo Stato maggiore delle SA. Hitler capo dello Stato In contraccambio, le forze della vecchia Destra impersonate dal presidente Hindenburg e dai capi dell’esercito – che mal tolleravano il populismo di Röhm – acconsentirono a eleggere Hitler capo dello Stato quando il vecchio presidente morì nell’agosto 1934. In questo modo, Hitler cumulò nella sua persona le cariche di cancelliere (Primo ministro) e di capo dello Stato. Qualche anno dopo assunse personalmente il comando supremo dell’esercito. La strada verso il regime totalitario era compiuta.

Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo

cambiati. «Tutta l’educazione impartita da uno Stato nazionale – aveva scritto Hitler, in spregio dei professori e della cultura – deve mirare non a riempire la testa di sapienza, ma a formare un corpo fisicamente sano». Il risultato di tutto ciò fu catastrofico per la cultura tedesca, tradizionalmente una delle più brillanti e profonde d’Europa. Nei nuovi libri di testo la storia fu falsificata al punto da diventare ridicola. L’insegnamento delle “scienze razziali” esaltava i tedeschi come razza dominante e descriveva gli ebrei come causa di tutti i mali del mondo. L’insegnamento delle scienze naturali, nelle quali la Germania aveva eccelso per generazioni, si impoverì per il licenziamento o le dimissioni di grandi professori, quasi tutti premi Nobel, come i fisici Albert Einstein (1879-1955) e James Franck (1882-1964), i chimici Fritz Haber (1868-1934) e Otto Heinrich Warburg (1883-1970). Molti di quelli che rimasero furono contagiati dalle aberrazioni naziste e trattarono perfino

le scienze in chiave razzista, immaginando che esistessero una “fisica tedesca”,

una “chimica tedesca”, una “matematica tedesca” e così via.

Giovani funzionari del Partito nazista controllano le pubblicazioni che devono essere bruciate, 1933 Nel 1933 furono distrutte tutte le pubblicazioni giudicate «Schund und Schmutz» (‘bruttura e sudiciume’).

Il “Terzo Reich” In pochi anni la dittatura nazista ricostruì l’esercito tedesco, smantellato dopo la Prima guerra mondiale, fornendolo di armi nuovissime preparate in segreto, specialmente carri armati e aerei, un formidabile strumento di guerra predisposto, secondo i piani di Hitler, alla nascita di un nuovo Impero germanico, il “Terzo Reich”, come fu chiamato. Tale progetto realizzava pienamente il “principio del Capo” (Führerprinzip), cardine dottrinale del nazismo: il popolo tedesco doveva costituire un’unità compatta e omogenea, privo di antagonismi interni, legato – con la sola mediazione del partito – direttamente al suo Capo, che ne interpretava e ne disegnava i destini.

12.4 Il mito della razza ariana Il Mein Kampf Come si spiega il successo elettorale di Hitler? Quali erano le ideologie e il programma politico che egli presentò al paese ottenendo il consenso di tanti milioni di tedeschi? Base della propaganda hitleriana era il mito della razza. La storia umana – sostenne Hitler nel suo libro, il già citato Mein Kampf – è una storia di razze che lottano per affermarsi. Nel corso dei secoli, su tutti si sono imposti gli ariani, antiche popolazioni dell’Asia centrale, progenitori dei popoli indoeuropei, una razza superiore a cui si devono tutti i progressi dell’umanità. I tedeschi – proseguiva Hitler – ne sono gli eredi, in quanto più di ogni altro popolo hanno preservato la purezza del sangue, elemento base delle caratteristiche razziali. Pertanto, il dovere primario dei tedeschi è quello di difendere la razza dai pericoli dell’inquinamento: sterilizzare i portatori di malattie ereditarie, sopprimere gli infermi di mente. Ma poi, soprattutto, evitare i contatti con le altre razze, inferiori per natura. Contro gli ebrei Più di ogni altro popolo, sosteneva Hitler, erano da temere gli ebrei, origine di tutti i mali del mondo, compresi quelli della Germania. Secondo Hitler gli ebrei dei vari paesi erano tutti collegati in una grande cospirazione universale ai danni della razza ariana, che essi colpivano con armi economiche e politiche, manovrando i capitali e diffon-

La Parola

Terzo Reich In tedesco Reich significa ‘Regno’, ‘Impero’. L’espressione terzo Reich usata da Hitler per indicare la Germania nazista sottintendeva un nuovo periodo di grandezza per la nazione germanica, dopo quelli del Primo Reich (l’Impero germanico fondato nel 962 da Ottone I di Sassonia, vol. 1, 3.1) e del Secondo Reich fondato nel 1871 da Bismarck nella Prussia degli Hohenzollern [ vol. 2, 32.5].

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Modulo 3 I regimi totalitari europei dendo dottrine, come la democrazia e il comunismo, che corrompevano l’animo dei popoli e provocavano rivoluzioni, disordine, miseria. Prova ne sarebbe stato il falso documento dei Protocolli degli Anziani di Sion [ I tempi della storia, 7.8]. Ne conseguiva la necessità dell’antisemitismo, cioè della lotta totale contro gli ebrei, per eliminarli fisicamente dal mondo: solo così i tedeschi avrebbero potuto conservare i più alti valori della loro stirpe e risollevarsi dalle miserie in cui erano crollati dopo la guerra. Anche la sconfitta militare del 1918 fu attribuita, nella propaganda hitleriana, a una congiura ordita da ebrei, socialisti e generali imbelli, che avrebbero ceduto le armi ai franco-inglesi quando ancora si poteva resistere.

Una mistificazione vincente Queste idee, evidentemente immotivate sul piano storico, anche sul piano scientifico si fondavano su una gigantesca mistificazione, giacché l’idea che esistano diverse “razze umane”, al plurale, è contraddetto dagli studi di genetica:

Le vie della cittadinanza

L’

Dare ad altri la colpa serve a rassicurarci. Le radici storiche dell’antisemitismo

antisemitismo, cioè il pregiudizio razziale contro gli ebrei, tipico dell’ideologia nazista, è un fenomeno complesso, non nuovo nella storia. Il nome, anzitutto, che cosa significa? “Antisemitismo” vuol dire ‘essere contro la stirpe di Sem’, con riferimento alla suddivisione dell’umanità (oggi superata scientificamente) in tre gruppi principali, corrispondenti ai tre figli che la Bibbia attribuisce a Noè: Sem, Cam e Japhet. Secondo questa suddivisione, gli ebrei – come gli arabi – farebbero parte del gruppo semita. L’avversione agli ebrei è una realtà ricorrente nel mondo cristiano, collegata al fatto che, secondo il racconto dei Vangeli, ricadrebbe su di essi la responsabilità dell’uccisione di Cristo, cioè di Dio (deicidio). L’atteggiamento della Chiesa cristiana nei confronti di tale questione fu per lungo tempo ambiguo: la condanna “storica” del deicidio non si tradusse mai in un esplicito incoraggiamento alla persecuzione degli ebrei, che, tuttavia, non venne neppure contrastata con forza. Fin dal Medioevo capitò pertanto che, periodicamente, soprattutto nei momenti di difficoltà economica e di malessere sociale, il malcontento della popolazione individuasse proprio negli ebrei – in quanto corpo “estraneo” alla società – il capro espiatorio, il responsabile a cui addossare le “colpe” di una situazione difficile. È un meccanismo psicologico ben noto: dare la colpa a qualcuno per rassicurare sé stessi. Si colpiscono in tal modo le minoranze, gli emarginati, i “diversi”: soprattutto quelli, come gli ebrei, che sviluppano una forte identità di gruppo. Gli

ebrei infatti, dopo la loro cacciata dalla Palestina nel I secolo, al tempo dell’imperatore romano Vespasiano (69-79 d.C.), si diffusero in vari paesi mescolandosi agli ambienti con cui entravano in contatto ma anche conservando fra di loro dei forti legami di solidarietà sociale, economica e religiosa. A ciò si aggiunse che, a iniziare dal Medioevo, soprattutto agli ebrei accadde di esercitare il mestiere di prestatori di denaro e di banchieri, dato che ai cristiani fu per lungo tempo proibito praticare quel tipo di attività: diversi ebrei in questo

modo accumularono ingenti ricchezze, e anche per questo diventarono oggetto di invidia e di violenze. Solo nel 1965 il Concilio Vaticano II ha cancellato la condanna di deicidio che da quasi duemila anni pendeva sugli ebrei come popolo. Un passo ulteriore è stato fatto da papa Giovanni Paolo II, che, con la visita alla sinagoga di Roma (1993) e il formale riconoscimento dello Stato di Israele (2000), ha chiesto perdono alla comunità ebraica per le sofferenze da essa subìte nel corso dei secoli per opera dei cristiani.

Gli ebrei, accusati di avere diffuso la Peste Nera, sono condannati al rogo, XIV sec. [da Gilles Li Muisis, Chronique; Bibliothèque Royale, Bruxelles]

L’incontro tra papa Giovanni Paolo II e il rabbino capo della comunità ebraica italiana Elio Toaff, 2000

171 la “razza umana” è una sola, e le differenze fra le varie popolazioni (colore della pelle, forma del viso, ecc.) sono semplicemente il frutto di adattamenti all’ambiente circostante. Eppure, le deliranti teorie di Hitler apparvero persuasive a molti tedeschi e ne ottennero il consenso, per diversi motivi. Innanzitutto perché portavano in un paese disorientato e immiserito la speranza di una ripresa; poi perché l’idea della guerra non perduta, ma “tradita” restituiva la fiducia a molti, concentrando la “colpa” dell’accaduto su fittizi nemici della società.

12.5 La persecuzione degli ebrei Ideologia e potere Le idee antisemite sostenute da Hitler non suscitarono particolare scandalo, dato che riprendevano motivi preesistenti, abbastanza diffusi presso vari ceti sociali (e non solo in Germania). Né va dimenticato che la nazione germanica, formatasi sotto Bismarck secondo una tradizione autoritaria, era particolarmente sensibile alle dottrine politiche – come quella di Hitler – che davano risalto alla gerarchia, all’obbedienza, alla figura del grande capo: così appunto si presentava Hitler, come il Führer (‘guida’) che prometteva la rinascita della nazione, un futuro di grandezza sotto un regime nuovo da lui guidato.

La stella di Davide con la scritta «Jude» (‘ebreo’), simbolo dell’antisemitismo nazista, metà XX sec.

Le leggi di Norimberga Ben presto incominciò, secondo i programmi stabiliti, la persecuzione degli ebrei, che con il passare del tempo si fece sempre più sistematica, violenta e brutale. Dapprima essi furono emarginati dalla vita del paese: nel settembre 1935, una serie di provvedimenti speciali noti come leggi di Norimberga privarono gli ebrei del diritto di voto e li esclusero dalle attività commerciali, dalla direzione delle aziende e delle banche; inoltre furono proibiti i matrimoni tra ebrei e cittadini tedeschi. Gli ebrei furono marchiati con un particolare segno di riconoscimento – una stella gialla – che permetteva di identificarli e di vietare loro l’accesso ai luoghi pubblici: cinema, teatri, concerti, mostre. La “notte dei cristalli” Dal 1938 la violenza si generalizzò. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre, prendendo a pretesto l’uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi per mano di un ebreo, in tutta la Germania furono dati alle fiamme i negozi, le abitazioni, le sinagoghe degli ebrei. Per la quantità di vetrine che nell’occasione andarono distrutte, quella notte passò alla storia come la “notte dei cristalli”. Da quel giorno la vita in Germania per gli ebrei, per le loro persone, per il loro lavoro diventò impossibile. Di lì a poco, iniziata la Seconda guerra mondiale [ 14], Hitler concepì il mostruoso progetto di quella che fu chiamata la soluzione finale: lo sterminio dell’intero popolo ebraico. Boicottaggio delle attività degli ebrei La prima grande azione contro gli ebrei: il boicottaggio nazionale del 1° aprile 1933. Squadristi nazisti sostano davanti a un negozio ebraico reggendo cartelloni con la scritta: «Tedeschi, difendetevi! Non comprate dagli ebrei!».

172

12.6 Hitler e Mussolini alleati La vocazione imperialistica dei dittatori Riarmare, ricostruire un potente esercito per espandersi e creare un nuovo Impero germanico: fu questo l’obiettivo perseguito da Hitler a cominciare dal 1935, dopo aver dichiarato che riteneva decaduti gli impegni del trattato di Versailles, che al termine della Prima guerra mondiale aveva imposto alla Germania una drastica riduzione dell’esercito [ 5.5]. In quegli stessi anni Mussolini, capo del fascismo italiano, progettò un’impresa di espansione dei possedimenti italiani in Africa: egli mirava a occupare, dopo l’Eritrea e la Somalia, già italiane [ 2.2], la confinante Etiopia, un territorio povero a economia agricola e pastorale, che Mussolini definì «il posto al Sole» degli italiani, cioè la terra in cui avrebbe potuto trovare casa e lavoro quella parte della popolazione che era priva di lavoro in patria. Secondo Mussolini, l’impresa avrebbe conferito prestigio al regime anche perché poteva soddisfare le delusioni per i mancati compensi coloniali del dopoguerra [ 5.5].

Hitler e Mussolini, 1937 Benito Mussolini ritratto con Hitler durante la visita del Duce in Germania il 28 settembre 1937.

L’occupazione italiana dell’Etiopia Le operazioni militari iniziarono nell’ottobre 1935 con l’impiego di 400.000 uomini che, muniti di artiglieria, carri armati e aerei, ottennero in pochi mesi un facile risultato contro gli scarsi armamenti etiopici. L’occupazione dell’Etiopia ebbe gravi conseguenze politiche. L’Etiopia infatti faceva parte, come l’Italia, della Società delle Nazioni, i cui aderenti si erano formalmente impegnati a rinunciare alla guerra come metodo per risolvere i contrasti internazionali. L’Italia, pertanto, fu giudicata “Stato aggressore” e quindi passibile di sanzioni economiche, cioè il blocco della fornitura delle materie prime utili alla guerra. L’alleanza italo-tedesca Il provvedimento fu applicato solo in parte. Provocò tuttavia l’interruzione dei buoni rapporti del governo italiano con la Francia e l’Inghilterra. Pertanto Mussolini strinse un patto di alleanza con la Germania di Hitler, l’“Asse Roma-Berlino”, che rafforzò le due dittature, incoraggiandone l’espansione e il bellicismo con grave pericolo della pace in Europa. Mussolini annunciò la fondazione dell’Impero dell’Africa orientale italiana, costituito dall’unione di Etiopia, Eritrea e Somalia, rafforzando l’immagine di un’Italia colonialista proprio nel momento in cui si diffondevano tra i paesi colonizzati le idee di indipendenza e libertà, e il colonialismo si avviava al tramonto.

I modi della storia

La guerra d’Etiopia e i contadini della Basilicata

L’invasione dell’Etiopia fu preparata e sostenuta da un’intensa campagna di propaganda del regime fascista, che esaltò lo spirito nazionale e si rivolse alle masse contadine sostenendo che la vittoria

E

africana avrebbe dato pane, casa e terra a tutti. Si riuscì così a ottenere un certo consenso popolare all’impresa. Ma nelle zone di maggiore povertà la guerra fu considerata, come sempre, «una disgra-

ra ormai ottobre, le nostre truppe passavano il mare, la guerra d’Abissinia era incominciata. Di discorsi, in quei giorni, se ne facevano molti: la radio tuonava e si convocavano continuamente adunate. A Cagliano1 il maestro di scuola diceva ai contadini che quella guerra era fatta proprio per loro, per i contadini, che avrebbero avuto finalmente chissà quanta terra da coltivare, e una buona terra, che a seminarla la roba ci cresce da sola. Ma i contadini scuotevano il capo, diffidenti, silenziosi, più tristi e cupi del solito. Di quella terra promessa, che bisognava prima togliere a quelli che l’avevano, non si fidavano. Quelli di Roma non avevano l’abitudine di far qualcosa per loro: anche questa impresa doveva avere qualche altro scopo, che non li riguardava. «Se quelli di Roma hanno dena1 Paese della Basilicata.

zia»: si legga questa bella pagina dello scrittore torinese Carlo Levi (1902-1975) che, per ragioni politiche, subì il confino in Lucania, una delle zone più desolate d’Italia.

ro da spendere per la guerra, perché non aggiustano prima il ponte sull’Agri, che è caduto da quattro anni, e nessuno ci pensa a rifarlo? Potrebbero anche arginare il fiume, farci qualche nuova fontana, piantare degli alberi nei boschi invece di tagliare quei pochi che rimangono. Di terra ne abbiamo anche qui: è tutto il resto che ci manca». Perciò pensavano alla guerra come a una delle solite disgrazie inevitabili, come alle imposte o alla tassa delle capre. Il 3 ottobre fu dunque una giornata squallida. All’adunata in piazza, una ventina di contadini, racimolati a fatica dai carabinieri, ascoltavano imbambolati le parole storiche della radio [...]. La guerra incominciò in quella indifferente tristezza. C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino 1945

Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo

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Joan Miró, Aiutate la Spagna, 1937 [© by SIAE 2005]

La guerra civile spagnola mobilitò molta parte della cultura artistica e letteraria europea e americana. Il pittore Joan Miró (1893-1983) disegnò questo manifesto per richiamare volontari a combattere al fianco del popolo spagnolo in difesa dei diritti civili e della libertà.

La conquista dell’Etiopia secondo il punto di vista del regime fascista, metà XX sec.

12.7 La dittatura fascista di Franco in Spagna La Repubblica del Fronte popolare L’amicizia tra Italia e Germania si consolidò nel 1936 in occasione della guerra civile esplosa in Spagna, un conflitto a cui Mussolini e Hitler presero parte per sostenere la formazione in quel paese di uno Stato fascista. In Spagna, crollata nel 1931 la monarchia, si era formato uno Stato repubblicano [ 11.6] che, in seguito ai risultati delle elezioni del 1936, era governato da una coalizione dei partiti di Sinistra (il “Fronte popolare” formato da repubblicani, socialisti, comunisti, separatisti catalani) che avevano avviato una serie di riforme sociali. Alle riforme si opponevano i conservatori, i monarchici e i grandi proprietari terrieri, e ne derivò un’aspra lotta politica, che finì per trasformarsi in una vera e propria guerra civile. La guerra civile spagnola (1936-39) In appoggio alle forze conservatrici intervennero reparti dell’esercito, guidati dal generale Francisco Franco, governatore della colonia spagnola del Marocco, già noto per avere represso nel sangue un’insurrezione dei minatori delle Asturie, lasciando sul terreno migliaia di morti. Con la sua guarnigione egli sbarcò nel continente e con un colpo di Stato istituì un suo governo a Burgos, contrapposto a quello repubblicano. Interventi internazionali Franco ricevette aiuti da Mussolini e da Hitler, che inviarono un corpo di 70.000 volontari, armi, carri armati, aerei che andarono ad appoggiare i nacionales, i ribelli guidati da Franco. In appoggio al governo repubblicano affluirono circa 40.000 volontari provenienti da molti paesi europei, dall’URSS, dal Messico, che andarono a formare le Brigate internazionali. Un famoso appello a intervenire nella lotta contro Franco, che si presentava quasi come una “prova generale” dello scontro europeo tra fascismo e antifascismo, fu rivolto il 13 novembre 1936 dall’esule italiano Carlo Rosselli [ 11.5] attraverso le onde di Radio Barcellona: «Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armata dittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo che le dittature passano e che i popoli restano. La Spagna ce ne fornisce la palpitante prova. È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Spagna. Oggi qui, domani in Italia. Qui si combatte, si muore, ma anche si vince per la libertà e l’emancipazione di tutti i popoli. Aiutate, italiani, la rivoluzione spagnola». La dittatura fascista La Spagna diventò così il terreno di prova su cui si misurarono i maggiori blocchi politici europei, i nazifascisti, i socialcomunisti, i democratici. La Francia e l’Inghilterra si schierarono a favore della repubblica ma adottarono una politica

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Modulo 3 I regimi totalitari europei di non intervento: la loro partecipazione fu scarsa, nel timore che il conflitto si allargasse su scala europea, e si limitò ad atti diplomatici diretti a promuovere accordi di pace. La guerra si prolungò per tre anni, fino al 1939, fra violenze e crudeltà di ogni genere. Alla fine Franco riuscì a imporre il suo potere sulla Spagna, proclamandosi Caudillo (‘capo’, ‘Duce’) e instaurando nel paese una dittatura fascista che durò fino alla sua morte, avvenuta nel 1975. Quell’anno fu restaurata la monarchia e si costituì un governo democratico [ 24.4]. Oltre 500.000 furono le vittime della guerra civile.

I luoghi della storia

Guernica bombardata: Picasso e gli orrori della guerra di Spagna

Questo quadro, conservato al Museo Nazionale Reina Sofia di Madrid, è una delle opere più famose del XX secolo, realizzata da Pablo Picasso. Nato a Malaga in Spagna nel 1881 e stabilitosi poi in Francia, dove morì nel 1973, Picasso è considerato uno dei massimi artisti dell’età contemporanea, capace di rappresentare al meglio il genio di una civiltà. Il quadro si intitola Guernica, dal nome di una città spagnola bombardata dagli aerei tedeschi durante la guerra civile (26 aprile 1937). È una visione d’incubo, una rappresentazione balenante e potente, fatta di uomini e di animali mischiati insieme e tagliati a pezzi. Con queste immagini l’artista vuole esprimere l’orrore e la bestialità della guerra. I colori di questo dipinto, che si estende per circa otto metri di lunghezza e tre e mezzo di altezza, sono il bianco, il grigio, il nero: tinte cupe e inerti, che suggeriscono l’impressione di un mondo senza vita, disperato. Lo stile, cioè il “linguaggio” di Picasso in questo quadro è quello detto “cubista”: gli oggetti e le

Pablo Picasso, Guernica, 1937 [Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid]

figure sono sezionati in piani geometrici, che conferiscono alle cose il senso della profondità e del volume, a rendere più intenso l’effetto complessivo di potente e paurosa tragicità. Pochi altri come Picasso hanno saputo esprimere la vita contemporanea nei suoi diversi aspetti: la fede nel progresso, gli orrori della guerra, l’aspirazione alla pace, gli affetti familiari, la pietà per il dolore degli uomini. Questi sentimenti li troviamo espressi con intensità, vigore, pienezza nelle sue opere, nei disegni, nei dipinti, nelle ceramiche, lavori che l’artista ha creato in più di sessant’anni di attività incessante, con entusiasmo e vitalità. L’arte di Picasso, soprattutto agli inizi, produsse perplessità e disorientamento nel pubblico, come spesso accade quando ci si trova di fronte a degli innovatori, a degli artisti che rovesciano i modelli tradizionali e inventano stili nuovi. Guernica ebbe esattamente questo tipo di accoglienza, dubbiosa quando non apertamente ostile. Le opere di Picasso non si propongono

infatti di rappresentare figure e oggetti in modo realistico, ma vogliono piuttosto comunicare delle emozioni, delle idee: le figure e gli oggetti sono liberamente trasformati dalla fantasia del pittore. Così sono per esempio le scene del racconto di Guernica: la donna davanti al toro (simbolo della Spagna) straziata per l’uccisione del suo bambino, che stringe fra le braccia; il soldato morto steso per terra con in mano una spada spezzata da cui spunta un fiore; l’uomo con le braccia in alto disperato nella sua casa in fiamme. Inoltre tutti i personaggi, esseri umani e animali, sono rappresentati non da un’unica prospettiva, ma da più punti di vista contemporaneamente (ed è questo un aspetto tipico dell’arte di Picasso): la sovrapposizione di nasi, occhi, orecchie che caratterizza molti quadri del maestro spagnolo significa la volontà di vedere le cose da ogni lato possibile. Una proposta che, per così dire, traduce in pittura una visione “democratica” della vita: tollerare le diversità, rispettare i punti di vista altrui.

Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo

Sintesi

La Germania dalla crisi al nazismo

Origini del nazismo La Repubblica di Weimar, nata in Germania dopo la Prima guerra mondiale e a base socialdemocratica, era indebolita da opposizioni interne e dalla crisi economica. Tra i partiti di opposizione si segnalò per violenza il Partito nazista, guidato dal reduce di guerra Adolf Hitler e dotato di squadre armate. Nel 1924 con gli aiuti americani del piano Dawes la situazione economica cominciò a migliorare; inoltre, con il patto di Locarno la Germania entrò nella Società delle Nazioni. Ma all’interno del paese restavano forti le tendenze militariste e autoritarie: alle elezioni del 1925 fu eletto Presidente della Repubblica il maresciallo Von Hindenburg, monarchico favorevole a un riarmo del paese, e negli anni 1928-30 il partito di Hitler crebbe considerevolmente. La crisi del 1929 dagli Stati Uniti alla Germania La crisi del 1929 ebbe conseguenze disastrose in Germania, per i legami con l’economia statunitense: molte fabbriche chiusero e la disoccupazione crebbe. Il governo fu oggetto di pesanti critiche, che misero sotto accusa la democrazia, il sistema parlamentare e la repubblica, portate avanti con particolare violenza dai nazisti, che aumentarono il loro seguito e si dotarono di una nuova organizzazione militare, le SS. In seguito all’enorme crescita ottenuta alle elezioni del 1930, nel 1932 Hitler fu nominato capo del governo e indisse nuove elezioni. Prima di esse fece incendiare il palazzo del Parlamento e fece ricadere la colpa su un giovane comunista. A quel punto fu dichiarato lo stato di emergenza e, con un decreto, furono limitate le libertà civili. Nelle elezioni del 1933 i nazisti ottennero la maggioranza assoluta in Parlamento: era iniziato il processo di instaurazione della dittatura. La costruzione di uno Stato totalitario Assunto il potere, Hitler costruì uno Stato

totalitario. La Repubblica di Weimar fu smantellata, il potere fu centralizzato, le organizzazioni sindacali e i partiti furono sciolti, a eccezione del Partito nazista, proclamato «partito della nazione». Gli avversari politici furono oggetto di violenze e arresti. Nell’agosto 1934 Hitler divenne capo dello Stato, cumulando su di sé le cariche di cancelliere, Presidente della repubblica e comandante supremo dell’esercito. L’esercito fu ricostruito e dotato di nuove armi, per ricostituire l’Impero germanico (“Terzo Reich”): il popolo tedesco doveva essere unito e compatto e instaurare un legame diretto con il suo Capo (“principio del capo”). Il mito della razza ariana L’ideologia e il programma politico di Hitler si basavano sul mito della razza: la storia umana era vista come una lotta tra razze, in cui erano prevalsi gli ariani, la razza perfetta di cui i tedeschi erano gli eredi. La purezza della razza tedesca andava difesa evitando contatti con le altre razze. In particolare gli ebrei erano considerati l’origine dei mali del mondo. Una cospirazione universale contro gli ariani ordita dagli ebrei avrebbe diffuso ideologie corruttrici dei popoli, come democrazia e comunismo. Era quindi necessario lottare contro gli ebrei. Molti tedeschi diedero consenso a queste infondate teorie, perché in esse trovavano la speranza di risorgere dalla crisi e dalla miseria. La persecuzione degli ebrei L’antisemitismo nazista si basava in parte su motivi preesistenti. La nazione tedesca vedeva positivamente un’idea di società gerarchica imperniata sul capo. Hitler si presentò come il Führer, la guida che avrebbe portato alla rinascita della grandezza germanica. La persecuzione degli ebrei fu attuata anzitutto con le leggi di Norimberga: agli ebrei fu tolto il diritto di voto, furono estromessi dalle

attività commerciali, non potevano sposare tedeschi, erano marchiati con una stella gialla che li rendeva riconoscibili ed era loro vietato l’accesso ai luoghi pubblici. Durante la notte dei cristalli (1938), abitazioni, negozi e sinagoghe furono dati alle fiamme: fu il punto di non ritorno. Il passo ulteriore fu la soluzione finale, che mirava allo sterminio dell’intero popolo ebraico. Hitler e Mussolini alleati Dal 1935 Hitler perseguì una politica di riarmo, finalizzata all’espansione territoriale e alla costruzione di un nuovo Impero tedesco. Nello stesso periodo, Mussolini decise di espandere i possedimenti coloniali italiani in Africa conquistando l’Etiopia. Dal momento che l’Etiopia apparteneva alla Società delle Nazioni, l’Italia fu considerata un paese aggressore, passibile di sanzioni economiche. Nonostante la loro applicazione solo parziale, Mussolini si alleò con Hitler (Asse Roma-Berlino), allontanandosi da Francia e Inghilterra, e proclamò l’Impero dell’Africa orientale italiana. La dittatura fascista di Franco in Spagna Il legame tra Italia e Germania fu consolidato dalla guerra civile spagnola, scoppiata nel 1936. In quell’anno le elezioni furono vinte dal Fronte popolare, un’alleanza delle Sinistre che propose riforme sociali. Gli oppositori di idee reazionarie attuarono un colpo di Stato, per mano del generale Francisco Franco. Egli trovò l’appoggio di Italia e Germania, che inviarono armamenti e volontari. A essi si opposero volontari filorepubblicani. In tal modo il conflitto divenne una prova generale dello scontro tra fascismo e antifascismo. Nel 1939 la guerra terminò con la vittoria di Franco, che costituì uno Stato filofascista, che sarebbe durato fino al 1975, anno della sua morte.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Hitler fu arrestato dopo il tentativo di colpo di Stato a Monaco.

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b. Il Patto di Locarno stabilì il ritiro delle truppe francesi dalla regione della Ruhr.

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

c. Le SA erano un corpo di fedelissimi a difesa del partito e del suo capo Hitler.

V

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o. Il Fronte popolare era formato da repubblicani, socialisti e separatisti catalani.

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d. Dopo la notte dei cristalli, agli ebrei fu applicata una stella gialla come segno di riconoscimento.

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p. L’Asse Roma-Berlino rafforzò le due dittature e la loro politica bellicista.

V

F

e. L’ascesa del nazismo fu appoggiata da alcuni settori della grande industria.

V

F

q. Le leggi di Norimberga stabilirono lo sterminio di massa dell’intero popolo ebraico.

V

F

f. Nella notte dei lunghi coltelli furono assassinati Röhm e tutto lo Stato maggiore delle SA.

V

F

r. Mussolini definì l’Etiopia il “posto al sole” degli italiani.

V

F

g. Le teorie razziali di Hitler provocarono fortissime opposizioni all’interno della Germania.

V

F

h. L’incendio del Reichstag fu organizzato dal capo della polizia Hermann Göring.

V

F

V

F

s. Secondo Hitler, la sconfitta della Germania nel 1918 era stata voluta da un complotto comunista.

i. L’antisemitismo, secondo Hitler, avrebbe permesso ai tedeschi di risollevarsi dalla miseria.

V

F

t. Secondo il “principio del capo”, il popolo tedesco doveva essere un’unità compatta e omogenea.

V

F

l. Hitler fu eletto capo dello Stato alla morte di Hindenburg nel 1936.

V

F

u. Nel marzo 1933 Hitler ottenne 17 milioni di voti e la maggioranza assoluta.

V

F

V

F

v. Il piano Dawes aumentò la crisi economica e finanziaria tedesca.

V

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V

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z. Nelle elezioni politiche del 1932 i nazisti ottennero circa 6 milioni di voti.

V

F

m. Adolf Hitler fu il fondatore del Partito operaio tedesco. n. La guerra civile spagnola fu una prova generale dello scontro tra fascismo e antifascismo.

2. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1919

1920

1923

1925

1929

1931

1932

1. formazione del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi 2. patto di Locarno 3. incendio del Reichstag 4. notte dei lunghi coltelli 5. fine della guerra civile spagnola 6. crollo della monarchia spagnola

1933

7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.

1934

1935

1936

1938

1939

tentativo di colpo di Stato di Hitler a Monaco notte dei cristalli crollo di Wall Street elezioni federali tedesche vinte dal Partito nazista occupazione italiana dell’Etiopia elezioni in Spagna vinte dal Fronte popolare nascita della Repubblica di Weimar

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. antisemitismo • ariani • cancelliere • cumulo • Führer • Gestapo • marco • Reichstag • sinagoga • svastica Palazzo del Parlamento tedesco Luogo destinato al culto per la religione ebraica Capo del governo tedesco Guida Moneta nazionale tedesca Lotta totale contro gli ebrei Croce uncinata nera su campo bianco Concentrazione di più cariche politiche nella stessa persona Polizia politica di Stato nazista Antiche popolazioni dell’Asia centrale progenitrici dei popoli indoeuropei

Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Gustav Streseman

Gestapo

Adolf Hitler

presidente della Repubblica di Weimar

Fritz Thyssen

caudillo

Francisco Franco

capo delle SA

Ernst Röhm

cancelliere liberale della Repubblica di Weimar

Paul Von Hindenburg

Führer

Carlo Rosselli

sovvenzioni al Partito nazista

Hermann Göring

appello attraverso Radio Barcellona

5. Completa il testo seguente inserendo le informazioni mancanti. LA REPUBBLICA DI WEIMAR aiuti • commerci • consensi • debolezza • dipendenza • disoccupazione • ditattura • fabbriche • federale • finanziamenti • governo • lotte • maggioranza • marco • miglioramenti • opposizioni • Partito nazista • piano Dawes • riapertura • ripresa • Ruhr • sconfitta • Società delle Nazioni • Stati Uniti • Trattato di Locarno • Wall Street Nel 1919, dopo la ………..........................…… nella Prima guerra mondiale, in Germania nacque la Repubblica ………............................…… di Weimar. Essa fu caratterizzata da una situazione di ………......................…… interna, a causa della presenza di diverse ……….........................…… politiche e di ………......................…… sociali. Negli anni Venti, grazie agli ………................…… economici concessi dagli …......……............…… con il ………...........................……, si ebbero dei ………............…… economici: la ……….........................…… delle ……….........................…… , la ……….........................…… dei ………..........................…… , il rafforzamento del ………............……. Nel 1925, con il ………....................................……, la Germania fu ammessa nella ………..............................…… e l’occupazione francese della ……….........................…… ebbe fine. Ma questo quadro mutò drasticamente dopo il crollo di ………............……, per la ………............…… dell’economia tedesca dai ……….........................…… americani. Le ……….........................…… chiusero e la ……….........................…… aumentò. Il ……….........................…… fu criticato e ritenuto responsabile dell’accaduto, soprattutto a opera del ………..........................…… , che aumentò enormemente i propri ……….........................…… nei primi anni Trenta. Nel marzo del 1933 i nazisti ottennero la ……….........................…… assoluta e Hitler instaurò la ……….........................…… . La breve storia della Repubblica di Weimar così terminò.

Analizzare e produrre 6. Verso il saggio breve

Leggi il documento “La cultura non serve. Anzi, è dannosa” a p. 168 e rispondi alle seguenti domande.

3. Che cosa deve essere escluso dall’educazione della gioventù? Per quale motivo? 4. Contro chi è rivolto il disprezzo della cultura ostentato dai nazisti? Per quale motivo? 5. Che cosa fu organizzato a Berlino il 10 maggio 1933? A che scopo? 6. Quale atteggiamento caratterizzò le scelte del nazismo in materia scolastica? 7. Quali furono le conseguenze presso la cultura tedesca di questo atteggiamento del nazismo? 8. Che cosa veniva esaltato nell’insegnamento scolastico? 9. Quali perdite intellettuali subì la Germania per dimissioni o licenziamenti? Per quale motivo?

1. Quale è l’effetto prodotto dalla cultura e dal sapere intellettuale secondo Hitler? Per quale motivo? 2. Quale deve essere l’aspetto principale nell’educazione della gioventù? Per quale motivo?

Sulla base delle informazioni raccolte, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “Il nazismo e la società tedesca”.

Leggi il documento “Propaganda di massa” a p. 167 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è il Mein Kampf? Perché fu scritto? Da chi? 2. Quale deve essere il livello spirituale della propaganda? Per quale motivo? 3. Che cosa deve essere eliminato nella costruzione della propaganda? 4. Quale è la capacità di comprensione delle masse? 5. A che cosa deve limitarsi la propaganda? Per quale motivo?

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando nacque il Partito nazista? Quando assunse il potere? Che cosa caratterizzò la sua ascesa? 2. Quali erano le strutture militari interne al Partito nazista? Che scopo avevano? 3. Chi appoggiò finanziariamente il nazismo? Per quale motivo? 4. Quale era il progetto politico di Adolf Hitler? In che modo lo attuò? 5. Quali cariche assunse Hitler dal 1933 in poi?

6. Quali modifiche furono apportate all’ordinamento dello Stato? Per quale motivo? 7. Quali comportamenti furono attuati nei confronti degli avversari politici? Per quale motivo? 8. Quali erano i caratteri del razzismo hitleriano? Come fu accolto dalla popolazione? Per quale motivo? 9. Quali furono gli aspetti principali della politica di riarmo e della politica estera di Hitler?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. ORDINAMENTO STATALE ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

POLITICA ESTERA

AVVERSARI POLITICI

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PARTITO NAZISTA

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1933 – HITLER CANCELLIERE ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

IL RIARMO

IL RAZZISMO

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Capitolo 12 La Germania dalla crisi al nazismo

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando scoppiò la guerra civile spagnola? Per quali cause? 2. Quando terminò la guerra civile spagnola? Con quale esito?

3. Quali furono gli schieramenti contrapposti? Da chi furono sostenuti? 4. Quale fu il significato della guerra civile spagnola?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA IL PERIODO

.......................................................................................................................................................................................................................

LE CAUSE

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GLI SCHIERAMENTI

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IL SIGNIFICATO

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L’ESITO FINALE

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9. Leggi il documento “Guernica bombardata: Picasso e gli orrori della guerra di Spagna” a p. 174 e rispondi alle seguenti domande.

5. Che accoglienza ebbe il quadro? Per quale motivo? 6. Secondo quale prospettiva sono rappresentati i personaggi? Che significato assumono?

1. 2. 3. 4.

Integrando le informazioni ottenute con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di massimo 12 righe dal titolo “Aspetti e significato della guerra civile spagnola”.

Perché il quadro di Picasso si intitola Guernica? Quale visione caratterizza il quadro? Che cosa vuole esprimere? Quali sono i colori utilizzati? Che significato assumono? Quale è lo stile che caratterizza il dipinto?

179

Modulo 3 I regimi totalitari europei

13 L’URSS di Stalin

Capitolo

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Percorso breve Tra il 1927 e il 1929 Stalin affermò il proprio potere nell’Unione Sovietica. Il principale obiettivo che si pose fu l’industrializzazione del paese, realizzata a tappe forzate sotto il diretto controllo dello Stato, che attraverso appositi “piani quinquennali” pianificava la produzione da ottenere nei diversi campi (principalmente la siderurgia e gli armamenti). I risultati furono sorprendenti ma enormi furono i costi sociali, soprattutto nelle campagne, dove fu realizzato, in forme coercitive, un processo di collettivizzazione dell’agricoltura volto a eliminare la proprietà privata e a sostituirla con cooperative (kolchoz) o aziende statali (sovchoz). I kulaki, contadini proprietari a cui Lenin aveva consentito di svolgere un’attività almeno in parte indipendente, furono sterminati come “nemici della rivoluzione” attraverso deportazioni e uccisioni, o lasciati morire di fame durante la carestia che colpì il paese nel 1932-33. Solo in Ucraina morirono tra i 7 e i 10 milioni di persone. Intere popolazioni furono trasferite dalle campagne alle città per lavorare nelle fabbriche. Stalin pose l’intera vita dell’URSS sotto il controllo del Partito comunista e della polizia politica. Ogni dissidenza fu repressa con il carcere, la deportazione, la morte. Una sistematica “macchina del terrore”, fondata sulla pratica della delazione all’interno stesso delle famiglie, portò all’eliminazione degli avversari politici e di tutti i sospettati di “tradimento”. Decine di milioni di persone furono rinchiuse, soprattutto fra il 1936 e il 1938, in campi di lavoro e di “riabilitazione”: oltre 50 “Lager” per gestire i quali si dovette ricorrere a un organo amministrativo centralizzato, detto “Gulag”. Mentre la produzione industriale cresceva a ritmi forzati, i consumi e il tenore di vita dei singoli cittadini scendevano ai minimi termini, sacrificati alle esigenze dell’industria pesante e degli armamenti, che sostenevano la politica di potenza del paese. Un’attenta opera di censura e di propaganda, controllata dal governo e dal partito, creò attorno a Stalin un clima di sostegno popolare la cui forma estrema fu il cosiddetto “stachanovismo”, il fare a gara, da parte dei lavoratori, nell’impegnarsi ben al di là

Iosif Stalin

dei compiti assegnati, per il “bene dello Stato”. Stalin si compiacque anche di sollecitare forme di divinizzazione e di vero e proprio culto della sua persona, come sempre accade nei regimi totalitari.

Capitolo 13 L’URSS di Stalin

13.1 L’URSS diventa una potenza industriale I “piani quinquennali” Nel 1927, dopo essersi sbarazzato di Trotzkij e degli altri avversari politici [ 6.7], Stalin affermò in Unione Sovietica il suo potere personale e individuò come obiettivo primario del paese un rapido processo di industrializzazione da realizzare in tempi rapidi e in modo forzato, sotto la guida dello Stato, a cui tutte le industrie appartenevano. «La Russia è rimasta indietro di cento anni rispetto ai paesi sviluppati – affermò Stalin in un discorso agli operai –, ora dobbiamo coprire questa distanza in dieci anni». Il traguardo fu perseguito abbandonando la NEP, la “Nuova Politica Economica” attuata da Lenin nei primi anni della rivoluzione [ 6.6]: la requisizione dei prodotti agricoli da parte dello Stato fu ripristinata e furono predisposti i cosiddetti “piani quinquennali”, programmi di lavoro che ogni cinque anni fissavano quanto e come si doveva operare nei diversi settori della produzione. L’industrializzazione Il primo piano, avviato nel 1928 e concluso nel 1932, vide crescere la produzione industriale del 50%, incentivando soprattutto il settore siderurgico e quello dell’energia elettrica. Il secondo piano (1933-37) fece crescere la produzione addirittura del 120%. Gli operai impiegati nell’industria in quei dieci anni crebbero da 3 a 10 milioni. Tra il 1928 e il 1940 furono costruite 8000 nuove industrie. Nuove città industriali sorsero dal nulla, specialmente nella regione dei monti Urali ricca di giacimenti minerari. Lo stachanovismo Una grande operazione di propaganda politica accompagnava questi successi, suscitando nel paese un forte entusiasmo ideologico e patriottico, e nei lavoratori uno straordinario impegno, che fu detto stachanovismo dal nome di un minatore, Aleksej Stachanov (1905-1978), di cui si raccontava che avesse estratto in una notte un quantitativo di carbone superiore di ben quattordici volte a quello normale. L’alfabetizzazione Parallelamente al crescere dell’industria fu potenziata la rete stradale e ferroviaria, per il trasporto di persone e di merci. Il paese inoltre si coprì di una fitta rete di scuole tecniche e di università, per preparare il personale direttivo da impiegare nelle industrie. L’istruzione fece rilevanti progressi: il numero degli studenti crebbe da 8 a 35 milioni e in seguito all’estensione dell’obbligo scolastico scomparve l’analfabetismo. L’eco di queste imprese suscitò stupore nel mondo, e una speciale ammirazione da parte delle masse socialiste e comuniste che, nei paesi occidentali, guardavano all’Unione Sovietica come a un mondo ideale da ammirare e da prendere a modello. Non altrettanto noti, perché sistematicamente occultati dal governo, erano i crimini di cui Stalin si macchiava in quegli anni.

13.2 La distruzione dell’agricoltura privata La collettivizzazione forzata Per sostenere l’opera di industrializzazione Stalin aveva bisogno che l’intera produzione agricola del paese (cioè la gestione delle risorse alimentari) fosse direttamente controllata dallo Stato. I metodi che egli utilizzò per realizzare questo progetto furono di una estrema brutalità. In contrasto con i princìpi della NEP, che aveva consentito una certa libertà in campo agricolo ammettendo sia la proprietà della terra, sia lo sviluppo di un ceto di contadini benestanti, i kulaki), Stalin individuò questi ultimi come principale ostacolo al progetto di industrializzazione e si propose di eliminarli in quanto “nemici della rivoluzione” che si arricchivano a spese

Acciaieria sovietica costruita durante il primo piano quinquennale, 1928-32

181

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182

del popolo. Nel 1929 egli proclamò la necessità immediata di una collettivizzazione dell’agricoltura, nonostante l’opposizione di Nikolaj Bucharin (1888-1938), numero due del governo, che sosteneva la continuazione della NEP (più lenta nel creare sviluppo ma più attenta alle esigenze dei contadini). Bucharin fu espulso dal partito e condannato come “deviazionista” (qualche anno più tardi fu costretto a confessarsi colpevole e venne giustiziato).

Lo sterminio dei kulaki L’attacco di Stalin ai kulaki fu spietato. Le loro terre e i loro animali furono requisiti e diventarono proprietà pubblica. Lo scontro con i contadini si fece violento (come aveva immaginato Bucharin), chiunque si opponeva o resisteva era considerato un kulak e veniva fucilato o deportato: in questo modo quasi due milioni di contadini furono trasferiti con le loro famiglie nella Russia settentrionale e in Siberia, in campi di lavoro forzato dove molti di loro persero la vita. Kolchoz e sovchoz Si arrivò in questo modo alla distruzione dell’agricoltura privata e all’istituzione di aziende collettive, cooperative (kolchoz) e statali (sovchoz). Nelle cooperative era l’insieme delle famiglie contadine, non lo Stato, a detenere la proprietà

I luoghi della storia

«Non vogliamo abbandonare la nostra casa»: i kolchoz e la collettivizzazione forzata

Il passaggio forzato dall’agricoltura privata alle aziende agricole collettive, particolarmente intenso attorno al 1930, incontrò l’opposizione di numerosi contadini, per i quali i nuovi metodi rappresentavano una brusca rottura di secolari esperienze di lavoro, tramandate da ge-

nerazioni. «Compagni – si legge in una lettera inviata dai contadini del villaggio di Podbuzhye al giornale regionale di Smolensk (vicino al confine con la Bielorussia) – voi scrivete che tutti i contadini aderiscono volontariamente al kolchoz ma non è per niente vero; chi si opponeva

era minacciato di arresto o di lavori forzati». Altre lettere come questa furono pubblicate nei giornali del tempo. Ne riproduciamo alcune, come testimonianza di una situazione sociale particolarmente critica.

N

oi possediamo una piccola parte delle cattive terre del villaggio di Muzhyno [...]. Non sappiamo più cosa fare. Tutti i giorni arrivano conferenzieri a chiederci di firmare l’adesione al kolkhoz, per una schiavitù eterna; ma noi non vogliamo abbandonare le nostre abitazioni. Sarà forse una povera capanna, ma almeno è mia; il mio cavallo è forse vecchio e malandato, ma è mio. Noi contadini siamo abituati a lavorare, ma voi del governo cambiate i prezzi ogni giorno, arbitrariamente [...]. Noi viviamo proprio male. Non potremmo mangiare al kolkhoz. Perciò vi chiediamo di rinunciare a costituire dei kolkhoz e di lasciare ai contadini i loro pezzi di terra. Allora, ciascuno di noi sarà sicuro di portare al mercato raccolti abbondanti.

I

miei beni consistono in un cavallo, tre pecore e circa un ettaro di terra, per sette persone [...]. Rispondete per favore a questa domanda: è obbligatorio entrare in un kolkhoz? Credo di no. Allora, per quale motivo nella provincia di Usvyatsk collettivizzano tutto? Sono sicuro che se ci facessero votare non più del 15% sarebbe favorevole. Tutti sacrificano il loro bestiame dicendo: «Poco importa, dal momento che siamo obbligati a entrare nel kolkhoz». Contadini votano per entrare nei kolchoz, 1927 I contadini in questa foto sono evidentemente costretti a votare a favore dei kolchoz, non potendosi celare dietro il voto segreto.

Nel giro di cinque anni il patrimonio zootecnico dell’URSS fu decimato, milioni di

capi di bestiame (tra bovini, suini e ovini) furono abbattuti. Nel 1939, le fattorie col-

lettive e statali occupavano ormai la quasi totalità della manodopera rurale.

Capitolo 13 L’URSS di Stalin

183

Proletari e contadini, 1929 All’alba degli anni Trenta, questi manifestanti invocano la solidarietà fra il proletariato industriale e i contadini, marciando a favore della collettivizzazione delle campagne.

della terra. I membri erano tenuti a mettere in comune ogni bene, dai viveri ai macchinari, dalle sementi al bestiame; di tutto ciò che producevano potevano tenere solo un terzo e con esso dovevano provvedere ai loro fabbisogni e pagare le tasse. Nelle aziende di proprietà dello Stato, invece, i contadini erano stipendiati dal governo ed erano in pratica equiparati agli operai delle industrie (anch’esse di proprietà dello Stato).

Una terribile carestia Nei primi anni gli effetti di questa violenta trasformazione furono micidiali: la meccanizzazione del lavoro agricolo tardò a realizzarsi, la produzione diminuì drasticamente anche per l’abbandono delle terre da parte dei contadini, le scorte furono decimate per provvedere alle richieste statali. Fu così che una prolungata carestia colpì le campagne russe fra il 1932 e il 1933, determinata non solo dalla resistenza dei contadini e dalla difficoltà di mettere in moto la nuova organizzazione produttiva, ma anche da un cinico calcolo di Stalin, che abbandonò a sé stessa la popolazione affamata per dare il colpo di grazia ai kulaki, i quali scomparvero come classe sociale e come persone fisiche. La tragedia dell’Ucraina Un calcolo è difficile giacché i dati furono tenuti nascosti: pare tuttavia che in tutta l’URSS siano morti, in quegli anni, milioni e milioni di contadini. Particolarmente colpita fu l’Ucraina, dove, tra il 1932 e il 1933, la carestia provocò – si è stimato – dai 7 ai 10 milioni di morti per fame, mentre lo Stato stava a guardare, anche se gran parte di quelle vittime non aveva nulla a che fare con i kulaki e con gli oppositori al regime staliniano.

13.3 La dittatura di Stalin La repressione dei dissidenti Stalin governò l’URSS attraverso una dittatura implacabile, spietata, pronta a piegare qualsiasi dissenso con il carcere, la deportazione, la morte. Ogni libertà fu soffocata; tutto fu posto sotto il controllo del Partito comunista e della polizia politica, che agiva in modo spesso arbitrario. I sindacati furono proibiti, le condizioni di lavoro furono fissate dal governo senza alcuna possibilità di discussione. Intere popolazioni furono trasferite dalle campagne alle città per lavorare nelle fabbriche: secondo alcuni calcoli tali spostamenti – una vera migrazione – coinvolsero 30 milioni di persone entro il 1940. Cultura di regime La stampa fu sottoposta a rigida censura e tutte le attività culturali furono messe a servizio del governo, sotto il diretto controllo di Andrej Ždanov (1896-1948), stretto collaboratore di Stalin e interprete del suo pensiero. All’insegna di un assoluto conservatorismo, ogni sperimentazione fu vietata e tutte le arti dovettero adeguarsi ai canoni del cosiddetto “realismo socialista”, con il compito di descrivere (per esaltarla) la realtà sovietica. La letteratura doveva proporre racconti edificanti; il

184

Modulo 3 cinema e le arti figurative dovevano raccontare le imprese del regime con stile semplice ed elementare, comprensibile a chiunque; perfino la musica fu ridotta entro uno stile tradizionale, evitando “pericolose” innovazioni. La ricerca scientifica fu posta sotto stretto controllo. La storia fu riscritta per essere insegnata nelle scuole in modo fazioso e autoreferenziale, così come accadeva nell’Italia fascista e nella Germania nazista.

Il crollo dei consumi Il tenore di vita della popolazione fu ridotto ai minimi termini, la produzione degli oggetti più elementari dell’esistenza (abiti, scarpe, stoviglie, per non parlare del cibo che in tanti casi mancava) fu limitata all’indispensabile, sacrificata alle esigenze dell’industria pesante (siderurgia e armamenti). «Per conseguire la vittoria del socialismo nel nostro paese – affermò Stalin – dobbiamo raggiungere e superare i paesi capitalisti sviluppati sotto l’aspetto tecnico-economico. O lo faremo, o non riusciremo a difendere la nostra indipendenza». Trotzkij in esilio in Messico, 1937 Questa foto Trotzkij è ritratto al suo arrivo a Tampico, Messico. Alla sua sinistra c’è la famosa artista sudamericana Frida Kahlo e alla sua destra Max Schatchman (dirigente del Comitato comunista americano).

La divinizzazione del capo Paradossalmente, tutto ciò avvenne con il consenso di milioni di lavoratori, che videro in Stalin l’artefice della potenza del paese e, suggestionati dalla propaganda politica, lo fecero oggetto di una venerazione quasi religiosa, innalzandolo al rango di un santo. Stalin stesso amò coltivare questo culto della personalità, a cui parteciparono anche lavoratori di altri paesi, in una curiosa commistione di sacro e profano. La fabbrica della paura Gli storici hanno dato interpretazioni diverse della dittatura staliniana: alcuni vi hanno visto la reincarnazione sotto nuova specie dell’assolutismo zarista, tipico della tradizione politica russa; altri l’hanno vista come logica evoluzione dell’autoritarismo comunista, già avviato da Lenin; altri ancora l’hanno definita un tradimento, una deviazione rispetto agli ideali originari della rivoluzione; qualcuno ha parlato di un nuovo “dispotismo industriale”. In ogni caso, il sistema di potere staliniano operò come una vera macchina del terrore che faceva il vuoto intorno al capo, eliminando sistematicamente ogni accenno di polemica o anche solo di discussione, e interpretando ogni critica come “tradimento”. Le epurazioni La repressione si fece più dura a iniziare dal 1934, quando si aprì il periodo delle grandi “purghe”: con questo termine disgustoso furono chiamate le operazioni per eliminare i supposti avversari, espulsi dalla società come le feci dal corpo.

Aa Documenti «Un mediocre burocrate»: il giudizio di Trotzkij su Stalin Acerrimo nemico di Stalin, Trotzkij sostenne sempre che il nuovo capo dell’URSS aveva “tradito” la rivoluzione, dimenticando i grandi ideali del socialismo e della solidarietà internazionale e instaurando nel paese un regime autori-

L

tario e personalistico (con un ridicolo, a suo avviso, culto del Capo) molto simile al fascismo, anche se sostenuto da diverse classi sociali. Stalin gli appariva solo un burocrate, un uomo di assoluta mediocrità: ma proprio in ciò stava, a pa-

a divinizzazione sempre più impudente di Stalin, malgrado quello che ha di caricaturale, è necessaria al regime. La burocrazia alza sulle sue spalle l’uomo che meglio risponde alle sue pretese di dominio. Ogni funzionario professa «lo Stato sono io». Ciascuno si ritrova senza fatica in Stalin. Stalin scopre in ciascuno il soffio del suo spirito. Stalin personifica la burocrazia ed è questo che costituisce la sua personalità politica. A onta della profonda diffidenza delle loro basi sociali, lo stalinismo e il fascismo sono fenomeni simmetrici. Per molti

rere di Trotzkij, uno dei segreti del suo successo, perché ogni piccolo burocrate dello Stato si poteva identificare in lui. Leggiamo un brano di un’opera di Trotzkij pubblicata nel 1936 e intitolata, significativamente, La rivoluzione tradita.

tratti si rassomigliano in un modo schiacciante. La burocrazia staliniana ha ragione, dal canto suo, di volgere le spalle alla rivoluzione internazionale; essa obbedisce, facendo questo, all’istinto di conservazione. Le incessanti epurazioni del partito e delle organizzazioni sovietiche hanno come scopo di impedire al malcontento delle masse di trovare una espressione politica netta. Trotzkij, La rivoluzione tradita, 1936

Capitolo 13 L’URSS di Stalin

I modi della storia

185

La macchina del terrore

Il sistema repressivo della dittatura staliniana si fondava sulle delazioni, a cui tutta la popolazione era in qualche modo costretta. Una norma di polizia del 1937, infatti, stabiliva che tutti i familiari di un condannato – moglie e figli, anche neonati – dovessero essere arrestati e deportati, anche se non avevano commesso alcun reato: si presumeva infatti che, non avendolo essi stessi denunciato, si fossero comportati da complici e non da fedeli servitori dello Stato. La norma, emanata il 15 agosto 1937, stabiliva per esempio che erano «punibili

con l’arresto le mogli che si trovano giuridicamente o attualmente legate in matrimonio con il condannato al momento del suo arresto». Alla stessa misura erano soggette anche le mogli divorziate dal condannato, se si appurava che lo avevano nascosto o aiutato in qualche modo. Tutti i beni personali delle arrestate (tranne la biancheria intima, i vestiti, le scarpe e le lenzuola, che dovevano essere portate con sé nel luogo di reclusione) erano sottoposti a confisca. Agli appartamenti delle arrestate venivano posti dei sigilli. In modo assolutamente impietoso la nor-

ma precisava che le mogli dei “traditori” che eventualmente fossero state malate al momento dell’arresto dovevano essere inviate ai Lager appena guarite. Se avevano dei figli lattanti, erano soggette ad arresto immediato e dovevano essere «tradotte immediatamente nel Lager senza transitare per la prigione». La stessa cosa valeva per le mogli di età avanzata. Attraverso norme come queste, che coinvolgevano mogli, figli e l’intera famiglia del supposto “traditore”, Stalin instaurò nell’Unione Sovietica un vero regime del terrore.

Prima vittima ne fu Sergej Kirov (1886-1934), avversario di Stalin all’interno del Partito comunista, possibile leader di una nuova linea politica, che fu brutalmente assassinato. Da quel momento in poi la lotta alle dissidenze diventò totale e arbitraria. Tutti gli oppositori furono eliminati, anche quelli che operavano all’estero, come Trotzkij, ucciso da un sicario in Messico nel 1940.

13.4 Arcipelago Gulag Il “Grande terrore” (1936-38) Arcipelago Gulag è il titolo di un saggio, scritto dall’intellettuale russo Aleksandr Solženicyn (1918-2008) negli anni Cinquanta del XX secolo (ma pubblicato solo nel 1973), in cui l’autore, da testimone, ricostruisce e racconta con precisione di dettagli il “sistema del terrore” instaurato in Unione Sovietica al tempo della dittatura staliniana e che ebbe il suo periodo più cruento tra il 1936 e il 1938. Al centro del sistema vi era la fitta rete di delazioni che, in maniera pervasiva, coinvolgeva tutta la società nell’individuare persone non allineate al regime ossia i cosiddetti “traditori della rivoluzione”. Il sistema funzionava all’interno stesso delle famiglie, giacché la mancata segnalazione di un “traditore” comportava, qualora una persona fosse accusata e condannata, la deportazione dell’intero nucleo familiare. I Lager Gli oppositori, veri o presunti, erano reclusi in campi di lavoro e di “rieducazione” (Lager) e sottoposti a ogni sorta di violenze e di soprusi il cui fine era la distruzione della personalità individuale. Questa sorte toccò a un gran numero di membri del Partito comunista non allineati alla politica di Stalin o per qualche motivo caduti in disgrazia; toccò a intere classi sociali come i kulaki; toccò a interi gruppi etnici come i ceceni, i tartari di Crimea, i tedeschi del Volga, ritenuti da Stalin non sufficientemente affidabili per gli “interessi nazionali”. Il Gulag Con il passare degli anni i campi di concentramento si moltiplicarono, rendendo necessaria l’istituzione di un apposito ufficio per la loro amministrazione: fu pertanto creato un ente detto Gulag, abbreviazione di Glavnoe Upravlenie Lagerei (‘Amministrazione centrale dei campi’), per gestire l’intero sistema di carceri e di campi di lavoro. Nel 1940 ne esistevano ben 53 in tutto il paese. Durante le “grandi purghe” vi furono reclusi 10-20 milioni di prigionieri: moltissimi (circa il 30%) non sopravvissero alle fatiche e agli stenti, senza contare i milioni di persone che furono giustiziate.

Prigionieri politici che costruiscono una fabbrica in Siberia, 1931 Il metodo migliore utilizzato dal regime stalinista per eliminare gli avversari politici e garantirsi manodopera a costo zero fu costituito dal Gulag.

186

Modulo 3 I regimi totalitari europei

Sintesi

L’URSS di Stalin

L’URSS diventa una potenza industriale Dal 1927, Stalin affermò il suo potere personale sull’Unione Sovietica, ponendosi l’obiettivo di un’industrializzazione rapida e forzata gestita dallo Stato. A tale fine furono predisposti piani quinquennali che fissavano gli obiettivi da conseguire. Per raggiungere lo scopo fu ripristinata la requisizione dei prodotti agricoli da parte dello Stato. La crescita industriale fu notevole, si costruirono nuove città, si potenziarono le reti di comunicazione e l’istruzione, eliminando l’analfabetismo. Inoltre la propaganda politica diffondeva entusiasmo ideologico e impegno tra i lavoratori. Fuori dall’URSS i comunisti guardarono allo Stato sovietico come a un modello ideale di riferimento, perché non arrivavano notizie dei molti crimini compiuti da Stalin in questo periodo. La distruzione dell’agricoltura privata Il sostegno all’industrializzazione comportò la necessità del controllo statale sulla produzione agricola, che fu realizzato con metodi brutali. I kulaki, pic-

coli proprietari terrieri, videro requisite le loro proprietà e chi si opponeva era fucilato o deportato in campi di lavoro forzato. La proprietà privata agricola fu sostituita da aziende collettive, cooperative (kolchoz) o statali (sovchoz). Queste trasformazioni nel modo di produzione agricola provocarono difficoltà, legate alla diminuzione della produzione e delle scorte alimentari, in gran parte prelevate dallo Stato. Si arrivò così a una gravissima carestia che provocò milioni di morti e fu cavalcata da Stalin per liberarsi dei kulaki, che scomparvero definitivamente. La dittatura di Stalin Il governo staliniano si basò su una dittatura spietata. Le libertà individuali furono soffocate e controllate dalla polizia politica; i sindacati furono proibiti e le condizioni lavorative erano imposte dallo Stato; milioni di persone furono trasferite in città per lavorare in fabbrica. La cultura, la stampa, la ricerca scientifica furono sottoposte a censura, promuovendo la corrente del “realismo socialista”, allo scopo di elogiare la realtà

sovietica. I livelli di vita della popolazione erano bassi; nonostante ciò, si alimentò il consenso dei lavoratori per la figura di Stalin, che promosse il culto della sua persona. L’eliminazione di critiche e di polemiche all’interno della società fu realizzata attraverso la macchina del terrore. A partire dal 1934 si ebbero le “purghe”, che portarono alla repressione e all’eliminazione fisica indiscriminata degli oppositori. Arcipelago Gulag Il sistema del terrore si perfezionò tra il 1936 e il 1938. I “traditori della rivoluzione”, individuati tramite delazioni anche all’interno delle famiglie, erano inviati in campi di lavoro e rieducazione, sottoposti a fatiche fino alla privazione della personalità individuale. Ne furono vittima comunisti non allineati a Stalin, intere classi sociali (kulaki), gruppi etnici (ceceni, tartari, tedeschi). Fu istituito il Gulag, un ufficio per la gestione e l’amministrazione del sistema dei Lager. Le grandi purghe coinvolsero dai dieci ai venti milioni di persone, gran parte dei quali non riuscì a sopravvivere.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1927

1. 2. 3. 4. 5.

1928

1929

1932

1933

avvio del primo piano quinquennale affermazione del potere personale di Stalin assassinio di Trotzkij in Messico inizio di una prolungata carestia in Russia e Ucraina pubblicazione del saggio Arcipelago Gulag di Solženicyn

1934

1940

1973

6. inizio delle “purghe” staliniane 7. Stalin proclama la necessità della collettivizzazione dell’agricoltura 8. avvio del secondo piano quinquennale

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

e. Le condizioni del lavoro erano fissate dopo accordi tra governo e sindacati.

a. L’industrializzazione promossa da Stalin fu condotta in modo forzato sotto controllo statale.

V

F

b. Molte nuove città industriali furono costruite nella zona della Siberia.

V

F

c. I lavoratori dei kolchoz potevano tenere per sé un terzo di quanto prodotto.

V

F

d. Sergej Kirov era un sostenitore della linea di Stalin all’interno del Partito comunista.

V

F

f. Il “realismo socialista” descriveva la realtà sovietica allo scopo di esaltarla. g. I ceceni e i tartari furono ritenuti da Stalin affidabili per gli “interessi nazionali”. h. Il culto della personalità di Stalin fu condiviso da milioni di lavoratori. i. Nikolaj Bucharin sostenne il progetto staliniano di eliminazione dei kulaki.

V

F

V

F

V

F

V

F

V

F

Capitolo 13 L’URSS di Stalin

l. Dopo la carestia del 1932-33, i kulaki scomparvero come classe sociale. m. La mancata segnalazione di un “traditore” comportava la deportazione della sua famiglia.

V

F

n. La produzione di oggetti di uso quotidiano fu limitata all’indispensabile.

V

F

V

F

o. Stalin seguì i princìpi della Nuova Politica Economica.

V

F

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. delazione • deviazionismo • Gulag • Lager • kolchoz • kulaki • purghe • sovchoz • stachanovismo Sistema di lavoro basato sull’emulazione allo scopo di potenziare la produzione Aziende cooperative agricole a carattere collettivo Ufficio per gestire e amministrare il sistema di carceri e campi di lavoro Aziende statali agricole a carattere collettivo Denuncia segreta Operazioni dirette a eliminare i presunti avversari politici Campi di lavoro e rieducazione in cui erano rinchiusi gli oppositori Atteggiamento di dissenso dall’ortodossia del partito di appartenenza Contadini benestanti e piccoli proprietari terrieri

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Nome: Aleksandr Solženicyn • Aleksej Stachanov • Nikolaj Bucharin • Sergej Kirov • Lev Trotzkij • Iosif Stalin • Andrej Ždanov Nozioni: piani quinquennali • NEP • realismo socialista • purghe • Arcipelago Gulag • opposizione a Stalin • estrazione di carbone

5. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Il numero degli studenti crebbe fino a: 8 milioni. 3 milioni. 10 milioni. 35 milioni. b. Il numero di persone trasferito dalle campagne alle città al 1940 fu di: 20 milioni. 10 milioni. 30 milioni. 40 milioni.

c. Durante le grandi purghe, furono imprigionati: dai 5 ai 10 milioni di persone. dai 10 ai 15 milioni di persone. dai 10 ai 20 milioni di persone. dai 15 ai 25 milioni di persone. d. Il primo piano quinquennale si concluse nel: 1928. 1937. 1933. 1932.

187

188

Modulo 3 I regimi totalitari europei

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quale politica agricola fu abbandonata da Stalin? Con che cosa fu sostituita? 2. Chi erano i kulaki? Per quale motivo furono perseguitati da Stalin? In che modo?

3. A chi apparteneva la proprietà agricola nel riassetto ideato da Stalin? 4. Quali aziende collettive furono istituite da Stalin? Quali erano le loro caratteristiche? 5. Quali furono gli effetti della colonizzazione? Da che cosa furono causati?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

L’AGRICOLTURA NELLA RUSSIA DI STALIN POLITICA AGRICOLA ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

KOLCHOZ

COLLETTIVIZZAZIONE FORZATA

SOVCHOZ

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EFFETTI ........................................................................................................................................ ........................................................................................................................................ ........................................................................................................................................

7. Rispondi alle seguenti domande con un breve testo di massimo 3 righe per ognuna.

1. Che cosa erano i piani quinquennali? In che modo incisero sull’industrializzazione sovietica? 2. Quali furono le cause e le conseguenze della carestia del 1932-33? 3. Che cosa erano le “purghe”? Chi colpivano? Perché? Con quali conseguenze? 4. Quali furono i risultati del governo staliniano riguardo la politica culturale? 5. Quale era il tenore di vita della popolazione sovietica? Per quali ragioni?

8. Verso il saggio breve Leggi il documento «“Un mediocre burocrate”: il giudizio di Trotzkij su Stalin» a p.184 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali accuse furono rivolte da Trotzkij a Stalin? Come è giudicato il governo staliniano? 2. In che cosa risiedeva il segreto del successo di Stalin? Per quale motivo? 3. Che cosa contiene il documento? 4. Perché la divinizzazione di Stalin era necessaria al regime? 5. Che cosa vedevano i burocrati in Stalin?

6. Che rapporto esisteva tra stalinismo e fascismo? 7. Perché la burocrazia staliniana rifiutava la rivoluzione internazionale? 8. Quale è lo scopo delle epurazioni dal partito? Leggi il documento “La macchina del terrore” a p. 185 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4.

Che cosa erano le delazioni? Che cosa stabiliva la legge emanata il 15 agosto 1937? Quali furono le conseguenze della legge? Chi era soggetto alla legge? Chi era colpito dalla legge?

Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi furono i dissidenti colpiti dalle repressioni staliniane? Per quale motivo? In che modo? 2. Quale era la cultura promossa dal regime? Quali limitazioni furono imposte alle attività culturali? 3. In che cosa consisteva il culto della personalità? 4. Come era organizzata la macchina del terrore staliniana? 5. Che cosa erano le “purghe”? 6. Che cosa erano i Lager? Che cosa erano i Gulag? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 10 righe dal titolo “La politica del terrore staliniano”.

La discussione storiografica

Aspetti sociali e culturali dei totalitarismi I

l termine “totalitarismo”, usato per la prima volta negli anni Venti del XX secolo per definire il regime fascista, indica un tipo di governo autoritario caratterizzato da alcuni aspetti fondamentali: almeno sei, secondo gli storici americani Carl J. Friedrich (19011984) e Zbigniew K. Brzezinski (1928) che si sono occupati del fenomeno nel volume Totalitarian dictatorship autocracy (New York, Praeger, 1966). Il primo aspetto è l’esistenza di una “ideologia ufficiale”, estesa a tutti i campi della vita umana, alla quale tutti devono aderire. Il secondo è la base sociale di massa, che assicura ampia devozione a un “capo” riconosciuto; il consenso a questo “capo” viene “filtrato” da un partito unico – il solo riconosciuto come legittimo – i cui membri «sostengono appassionatamente e incondizionatamente l’ideologia ufficiale, e sono pronti a usare ogni mezzo per imporla al resto della popolazione».

Il terzo aspetto è un «sistema di controllo terroristico di polizia», che sostiene e controlla il partito attraverso i suoi dirigenti. Questa polizia, che ha carattere segreto, si avvale di sofisticate conoscenze scientifiche e psicologiche. Il quarto aspetto del totalitarismo riguarda la propaganda e l’organizzazione del consenso, mediante «un pressoché totale controllo esercitato dal partito sui mezzi di comunicazione di massa, come la stampa, la radio, il cinema». Il quinto aspetto è il controllo, sempre da parte del partito, delle forze armate del paese. Il sesto è la direzione centralizzata delle attività economiche. Esistono, naturalmente, forme diverse di totalitarismo, legate a contesti ideologici e politici diversi: ma sono anche forti le somiglianze che accomunano regimi come quelli dell’Italia fascista, della Germania nazista, dell’Unione Sovietica comunista, della

Cina comunista, delle dittature populiste dell’America Latina. Né mancano esempi di totalitarismi a sfondo religioso, come quelli presenti nel mondo islamico, in particolare nei paesi cosiddetti “integralisti”. Sono realtà tipiche del nostro tempo, che molti studiosi (anche Friedrich e Brzezinski, come abbiamo appena detto) ritengono legate al nascere e alla diffusione della “società di massa” [ La discussione storiografica mod. 2] che da un lato sostiene i regimi totalitari con un consenso abilmente costruito dai nuovi mezzi di comunicazione, dall’altro ne costituisce la base di manovra. Altri studiosi, come il critico letterario Tzvetan Todorov (1939), hanno insistito sugli aspetti culturali di queste esperienze, che per certi versi si ricollegano a una visione religiosa e “salvifica” del mondo, cioè all’idea che si possa costruire una “società nuova”, migliore e felice. Un’utopia che giustificherebbe ogni forma di violenza e di sopraffazione.

popolazione che era rimasta sostanzialmente estranea alla democrazia parlamentare. Il secondo brano è del già citato Tzvetan Todorov, studioso di origine bulgara, emigrato in Francia negli anni Sessanta del XX secolo, che si occupa degli aspetti ideologici del totalitarismo. Secondo Todorov, le radici di questo fenomeno andrebbero individuate nella tradizione filosofica dello “scientismo”, una corrente di pensiero ottocentesca secondo cui la realtà fisica, il mondo in cui viviamo, sareb-

be totalmente e perfettamente comprensibile attraverso la scienza, quindi controllabile e programmabile anche nei suoi aspetti sociali e umani; da qui deriverebbe una sorta di paradossale “millenarismo”, ateo ma (come i millenarismi medievali) profondamente religioso, in quanto capace di promettere una società perfetta, la felicità in questo mondo, il paradiso in terra. L’ideologia totalitaria, conclude Todorov, è per questo strutturalmente opposta a quella democratica, che non promette la felicità come obiettivo comune e

I testi Il primo brano che presentiamo è di Hannah Arendt (1906-1975), intellettuale tedesca di origine ebraica, emigrata negli Stati Uniti durante il nazismo. Tratto dal libro The Origins of Totalitarianism (‘Le origini del totalitarismo’), pubblicato nel 1951, esso propone una lettura del totalitarismo come tipico prodotto della società di massa. La Arendt non insiste quindi sulle “differenze” tra i vari tipi di totalitarismo ma sui tratti comuni, in particolare l’importanza assunta in questi regimi da tutta quella fascia “grigia” di

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Modulo 3 I regimi totalitari europei

raggiungibile, ma si limita ad assicurare a ciascuno il diritto di cercarla, liberamente e individualmente, nella direzione che crede. La democrazia

insomma «non soddisfa il bisogno di salvazione o di assoluto», e può quindi avere, in determinati momenti storici e in determinate situazioni sociali, meno

fascino del totalitarismo. Anche così si spiegherebbe il successo di questi movimenti nella società di massa del XX secolo.

Totalitarismo e società di massa Hannah Arendt

I movimenti totalitari mirano a organizzare le masse, non le classi, come i vecchi partiti d’interessi degli Stati nazionali […]. Mentre tutti i gruppi politici si basano sul loro seguito proporzionale, essi fanno leva sulla nuda forza numerica, dell’ordine di milioni, al punto da rendere impossibile un loro regime, anche nelle circostanze più favorevoli, in paesi con una popolazione relativamente poco numerosa. […] I movimenti totalitari trovano un terreno fertile per il loro sviluppo dovunque ci sono delle masse che per una ragione o per l’altra si sentono spinte all’organizzazione politica, pur non essendo tenute unite da un interesse comune e mancando di una specifica coscienza classista, incline a proporsi obiettivi ben definiti, limitati e conseguibili. Il termine «massa» si riferisce soltanto a gruppi che, per l’entità numerica o per indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza di interessi, in un partito politico, in un’amministrazione locale, in un’associazione professionale o in un sindacato. Potenzialmente, essa esiste in ogni paese e forma la maggioranza della folta schiera di persone politicamente neutrali che non aderiscono mai a un partito e fanno fatica a recarsi alle urne. Fatto caratteristico, i movimenti totalitari europei, quelli fascisti come quelli comunisti dopo il 1930, reclutarono i loro membri da questa massa di gente manifestamente indifferente, che tutti gli altri partiti avevano lasciato da parte perché troppo apatica o troppo stupida. Il risultato fu che in maggioranza essi furono composti da persone che non erano mai apparse prima sulla scena politica. Ciò consentì l’introduzione di metodi interamente nuovi nella propaganda e un atteggiamento d’indifferenza per gli argomenti degli avversari; oltre a porsi al di fuori e contro il sistema dei partiti nel suo insieme, tali movimenti trovarono un seguito in settori che non erano mai stati raggiunti, o «guastati», da quel sistema. Quindi non ebbero bisogno di confutare le opinioni

contrarie preferendo metodi di terrore e guerra civile alla persuasione. Facevano risalire il dissenso a profonde origini naturali, sociali o psicologiche, sottratte al controllo dell’individuo e al potere della ragione. Ciò sarebbe stato uno svantaggio se fossero seriamente entrati in concorrenza coi partiti esistenti; non lo fu quando si rivolsero a persone che avevano motivo di essere altrettanto ostili a questi ultimi. Il successo dei movimenti totalitari fra le masse segnò la fine di due illusioni care ai democratici in genere, e al sistema di partiti degli Stati nazionali europei in particolare. La prima era che il popolo nella sua maggioranza prendesse parte attiva agli affari di governo e che ogni individuo simpatizzasse per l’uno o l’altro partito; i movimenti mostrarono invece che le masse politicamente neutrali e indifferenti potevano costituire la maggioranza anche in una democrazia, e che c’erano quindi degli Stati retti democraticamente in cui solo una minoranza dominava ed era rappresentata in Parlamento. La seconda illusione era che queste masse apatiche non contassero nulla, che fossero veramente neutrali e formassero lo sfondo inarticolato della vita politica nazionale; ora i movimenti totalitari misero in luce quel che nessun organo dell’opinione pubblica aveva saputo rivelare, che la Costituzione democratica si basava sulla tacita approvazione e tolleranza dei settori della popolazione politicamente grigi e inattivi non meno che sulle istituzioni pubbliche articolate e organizzate. Così, quando questi movimenti entrarono in Parlamento malgrado il loro disprezzo per il parlamentarismo, mostrarono una certa incoerenza, ma in effetti riuscirono a convincere la gente qualunque che le maggioranze parlamentari erano fittizie e non corrispondevano necessariamente alla realtà del paese, minando per giunta la fiducia dei governi, che dal canto loro credevano più nel dominio della maggioranza che nella Costituzione. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano 1967, pp. 427, 431-433

Il totalitarismo come promessa di felicità e utopia di salvezza Tzvetan Todorov

L’avvenimento centrale [del Novecento] consiste nel manifestarsi di un male nuovo, di un regime politico inedito, il totalitarismo, che, al suo apogeo, ha dominato su buona

parte del mondo; un regime che è attualmente scomparso dall’Europa ma indubbiamente non dagli altri continenti, e i cui postumi continuano ad agire tra noi. […]

La discussione storiografica Aspetti sociali e culturali dei totalitarismi

Non affronterò la descrizione del totalitarismo dall’interno. Vorrei piuttosto rivolgermi a un altro aspetto del confronto tra totalitarismo e democrazia e tentare di comprendere perché, per milioni di persone, per decenni, il primo è potuto sembrare più seducente della seconda. La prima risposta che mi viene in mente è la seguente: il totalitarismo contiene una promessa di pienezza, di vita armoniosa e di felicità. È vero che non la mantiene, ma la promessa perdura, e ci si può sempre raccontare che la prossima volta sarà quella buona e che verremo salvati. La democrazia liberale, invece, non contiene una promessa simile; si impegna soltanto a permettere a ognuno di cercare per proprio conto felicità, armonia e pienezza. Assicura, nel migliore dei casi, la tranquillità dei cittadini, la loro partecipazione alla conduzione degli affari pubblici, la giustizia nei loro reciproci rapporti e in quelli con lo Stato; non promette la salvazione. L’autonomia, sia individuale che collettiva, pietra angolare dei regimi democratici, corrisponde al diritto di cercare attraverso sé stessi, non alla certezza di trovare. […] Riconoscere la posizione detenuta da una tale promessa di felicità per tutti equivale a mettere in luce un fatto ben conosciuto: il totalitarismo è un utopismo. Considerato nella prospettiva della storia europea, l’utopismo si presenta a sua volta come una forma di millenarismo, un millenarismo ateo. Che cos’è il millenarismo? È un movimento religioso in seno al cristianesimo (un’«eresia») che promette ai credenti la salvezza in questo mondo, e non nel regno di Dio. […] Le dottrine totalitarie sono casi particolari di utopismo – i soli che si conoscano nell’epoca moderna – e, per ciò stesso, di millenarismo; ciò significa che rientrano nel campo della religione (come ogni altra dottrina della salvazione). Non è un caso, beninteso, che questa religione senza Dio si sviluppi in un contesto di declino del cristianesimo. La base di questo utopismo è nondimeno del tutto paradossale per una religione. Si tratta di una dottrina costituita anteriormente all’avvento degli Stati totalitari, anteriormente al XX secolo; una dottrina che a prima vista

non ha niente in comune con la religione: lo scientismo. […] Il punto di partenza dello scientismo è un’ipotesi sulla struttura del mondo; quest’ultimo è interamente coerente. Di conseguenza, esso può essere conosciuto dalla ragione umana senza residui. Il mondo è trasparente, la sua conoscenza integrale è dunque possibile. Il compito di tale conoscenza è affidato alla pratica appropriata, chiamata scienza. Nessun frammento del mondo, materiale o spirituale, animato o inanimato, sfugge all’influenza della scienza. […] Se la trasparenza del reale viene estesa al mondo umano, niente impedisce di sognare la creazione di un uomo nuovo, di una specie liberata dalle imperfezioni della specie iniziale. […] Non c’è posto per più concezioni del vero; ogni appello al pluralismo è inopportuno: solo gli errori sono molteplici, la verità è una sola. Se l’ideale è il prodotto di una dimostrazione, e non di un’opinione, bisogna accettarlo senza protestare. Una formula di Renan, in uno dei Dialoghi filosofici che può essere considerato come il primo abbozzo del futuro Stato totalitario, è particolarmente rivelatrice al riguardo: «La grande opera si compirà attraverso la scienza, non tramite la democrazia», egli scrive. In una prospettiva politica, i due termini si contrappongono invece di confondersi, come avremmo di gran lunga preferito. […] Il progetto democratico, fondato sul pensiero umanista, non conduce all’instaurazione del paradiso in terra. Non perché tale progetto ignori il male nel mondo e nell’uomo […] ma in quanto non teorizza che si possa estirpare radicalmente e definitivamente il male. «Il bene e il male sono consustanziali alla nostra vita», scrive Montaigne, e Rousseau: «Il bene e il male scorrono dalla stessa fonte». Se bene e male sono consustanziali alla nostra vita, è perché essi discendono dalla libertà umana, dalla possibilità che abbiamo di scegliere, a ogni istante, tra più opzioni. T. Todorov, Il secolo delle tenebre, in Storia, verità e giustizia. I crimini del XX secolo, a cura di M. Flores, Milano 2001, pp. 1-6

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Modulo 4

La Seconda guerra La Seconda mondiale mondiale Capitolo 14

Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale Appena vent’anni erano passati dalla tragedia della Prima guerra mondiale, che nuovamente l’Europa e il mondo furono sconvolti da un conflitto di immani proporzioni, ancora una volta “totale”, ancora una volta “mondiale”. Vi parteciparono sessantuno Stati del mondo, impegnando tutte le proprie risorse umane e le proprie energie produttive. Le terre, le acque, i cieli di quattro continenti furono teatro degli scontri. Oltre cinquanta milioni di persone ne rimasero vittime: una catastrofe mai vista, che per la prima volta coinvolse in modo sistematico anche le popolazioni civili. A scatenare il disastro furono le ambizioni espansionistiche del nazismo hitleriano, sostenuto dall’Italia di Mussolini e dal Giappone imperiale.

a guerra Capitolo 15

Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto Nel 1941 Hitler assalì l’Unione Sovietica, mentre il Giappone (alleato dei nazisti) assaliva di sorpresa le basi americane alle Hawaii, provocando l’entrata in guerra anche degli Stati Uniti. Nell’Europa conquistata, i nazisti obbligarono le popolazioni a lavorare per la Germania, sottoponendo a brutali trattamenti i prigionieri russi e polacchi; un piano di sterminio sistematico fu messo in opera contro gli ebrei, che, internati nei campi di sterminio, furono uccisi a milioni.

Capitolo 16

La fine della guerra Tra il 1943 e il 1944 si decisero le sorti della guerra: i nazifascisti furono sopraffatti dalle forze anglo-americane e sovietiche e dai movimenti di resistenza sorti nei paesi occupati. In Italia crollò il regime fascista e gli anglo-americani, sbarcati in Sicilia, risalirono la penisola e a poco a poco, con l’aiuto della guerriglia partigiana, la liberarono dai tedeschi. La Germania, attaccata dai russi a est e dagli anglo-americani a ovest, fu costretta alla resa. Il Giappone fu annientato da una nuova arma micidiale, la bomba atomica.

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

14 Hitler aggredisce

Capitolo

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l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

Percorso breve Il progetto imperialistico di Hitler, che affermava il diritto della “razza” tedesca a espandersi territorialmente, prese il via con l’annessione alla Germania di regioni abitate da popoli di lingua tedesca. Nel marzo 1938 fu invasa l’Austria e un plebiscito popolare confermò l’annessione. Poi Hitler rivendicò la regione dei Sudeti in Cecoslovacchia, e una conferenza internazionale voluta da Mussolini gli diede via libera, nella speranza di “ammansirlo”. Ma nel marzo 1939 Hitler occupò Praga con tutta la Boemia e la Moravia, mentre in Slovacchia si insediava un governo filonazista; in aprile Mussolini firmò con Hitler un trattato di alleanza e occupò l’Albania. Francia e Inghilterra si allarmarono e stipularono un’alleanza difensiva con la Polonia, che appariva il paese più minacciato. Hitler, da parte sua, si accordò con Stalin per la spartizione della Polonia. Il 1° settembre l’esercito tedesco invase la Polonia, seguito poco tempo dopo da quello russo. Due giorni dopo Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. Nell’aprile 1940 Hitler invase Danimarca e Norvegia, poi, dopo avere occupato il Belgio e l’Olanda, attaccò la Francia. A protezione del confine lo Stato maggiore francese aveva predisposto un’imponente linea di fortificazioni, senza tener conto dei nuovi mezzi militari (aerei e carri armati) che consentirono a Hitler di superarla rapidamente. Il 14 giugno i tedeschi entrarono a Parigi, mentre i soldati francesi e inglesi riparavano in Inghilterra. A Vichy si insediò un governo filonazista guidato dal maresciallo Pétain, mentre il generale De Gaulle si rifugiò a Londra dove costituì un governo in esilio. Abbagliato dai rapidi successi di Hitler, Mussolini il 10 giugno entrò in guerra al suo fianco; in settembre si aggiunse il Giappone, che perseguiva progetti imperialistici in Asia e nel Pacifico.

Hitler “salvatore” della Germania in un’immagine propagandistica, 1934

A questo punto Hitler progettò uno sbarco in Inghilterra (unico paese rimasto in armi) preceduto da una massiccia campagna di bombardamenti aerei. Ma l’imprevista resistenza degli inglesi, guidati dal governo Churchill, e l’uso di un nuovo strumento (il radar) che consentiva ai caccia britannici di individuare e abbattere gli aerei nemici, costrinsero i tedeschi ad abbandonare l’impresa. Frattanto l’esercito italiano attaccò la Grecia (ottobre 1940) ma fu respinto, e solo l’intervento tedesco portò a occupare non solo la Grecia ma l’intera penisola balcanica. A metà del 1941 quasi tutta l’Europa continentale era sottoposta all’occupazione militare tedesca.

Capitolo 14 Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

195

14.1 I progetti imperialistici della Germania nazista L’imperialismo tedesco Nei suoi discorsi alle masse, così come nel libro Mein Kampf scritto nel 1924 [ 12.4], Hitler aveva sempre chiaramente indicato il suo obiettivo politico: riarmare la Germania, portarla alla rivincita per vendicare «le ingiustizie e i torti subiti con la guerra». Annettere, dunque, per prima cosa, tutte le regioni abitate da popoli di lingua tedesca; indi attuare un’espansione che imponesse l’egemonia germanica in nome di una pretesa superiorità di razza, e dare così vita a un Terzo Reich, il terzo impero tedesco, «destinato a durare mille anni». Nel 1938 Hitler si sentì pronto per dare inizio a questo progetto imperialistico. La Germania era militarmente forte, munita di poderosi armamenti costruiti in segreto (poiché le direttive di pace stabilite al termine della Prima guerra mondiale avevano imposto al paese il disarmo). Le migliori risorse tecnologiche e scientifiche del paese erano state concentrate su questo scopo. L’appeasement inglese Quanto alle reazioni che il suo progetto espansionistico avrebbe provocato, Hitler pensava che nessuno si sarebbe opposto alle iniziative tedesche, pur di conservare la pace: effettivamente era questo, in quel momento, l’atteggiamento prevalente nel governo inglese, il cui Primo ministro, Neville Chamberlain (1937-40), sosteneva la cosiddetta politica dell’appeasement, basata sul presupposto che fosse possibile “ammansire” Hitler accontentando le sue rivendicazioni più “ragionevoli” e risarcendo in qualche modo l’umiliante trattamento subìto dal paese dai trattati di pace di Versailles. La teoria dello spazio vitale La necessità per i tedeschi di allargare il proprio “spazio vitale”, oltre alla volontà di aggregare alla “patria germanica” i territori in cui vivevano popolazioni di lingua tedesca, fu la giustificazione ideologica con cui Hitler progettò l’occupazione dell’Austria e della Cecoslovacchia. Il 5 novembre 1937, nel corso di un incontro segreto con i capi supremi dell’esercito, egli si rivolse a loro in questi termini: «Il popolo tedesco oggi supera gli 85 milioni di individui ed è il nucleo razziale più compromesso d’Europa, mentre più di ogni altro avrebbe diritto a un maggiore spazio vitale. Per risolvere questa necessità della Germania resta soltanto la via della forza, anche se essa non è mai priva di rischi. Per migliorare la situazione politico-militare bisogna che, in ogni caso, il nostro primo obiettivo sia la sottomissione della Cecoslovacchia e allo stesso tempo dell’Austria, per coprirsi ai fianchi in caso di avanzata verso Occidente». Il piano per l’espansione nell’Europa Centrale era pronto. Una camionetta della Gioventù hitleriana, 1934 Una camionetta della Gioventù hitleriana con uno striscione recante lo slogan: «Il Führer ordina, noi obbediamo. Tutti dicono sì!».

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

14.2 L’espansione nazista e il rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino L’occupazione dell’Austria Come prima azione, sbandierando il mito della riunificazione delle stirpi tedesche in un unico Stato, nel marzo 1938 Hitler invase l’Austria, che fu annessa alla Germania con il nome di “provincia dell’Est” (Österreich). Come Hitler aveva previsto, di fronte a questa “inclusione” (Anschluss), come fu chiamata, gli Stati europei si limitarono a qualche formale protesta e niente di più, anche perché essa fu sancita da un favorevole plebiscito popolare. L’ingresso dei nazisti a Vienna fu trionfale. Passarono pochi mesi e Hitler, sicuro di poter continuare impunito nelle sue azioni aggressive, rivendicò l’annessione della zona dei monti Sudeti, la regione entro i confini della Cecoslovacchia in cui vivevano 3 milioni di tedeschi. Il governo cecoslovacco protestò e chiese l’intervento della Francia e dell’Inghilterra; Mussolini avanzò la proposta di riunire una conferenza internazionale per risolvere il problema pacificamente. La conferenza di Monaco e il controllo della Cecoslovacchia L’incontro si svolse a Monaco nel settembre 1938 e, grazie alla mediazione italiana, la richiesta tedesca di annettere al Reich il territorio dei Sudeti fu accolta. Ma già nel marzo 1939 Hitler entrava a Praga

Aa Documenti 1938: il fascismo vuole italiani «di razza pura» L’ideologia nazista proclamava che la “razza ariana”, di cui il popolo tedesco era il più nobile rappresentante, era superiore a tutte le altre razze e aveva il compito di guidare i destini della civiltà. Tale idea, riprovevole sul piano etico, era del tutto ingiustificata sul piano scientifico. La ricerca genetica ha infatti dimostrato che le razze semplicemente non esistono: biologicamente parlando, la razza umana è una sola. È dunque opportuno controllare la termino-

logia: “razzista” non è solo chi disprezza altri gruppi umani, ma, paradossalmente, anche chi – affermando l’uguaglianza fra le razze – dà per scontato che l’umanità effettivamente sia divisa in razze diverse. In Italia, nel 1938, il regime fascista avviò una politica razzista e antiebraica, a imitazione di quanto accadeva nella Germania nazista. Si proclamò che la grande maggioranza della popolazione era “ariana” e che bisognava proteggerne l’integrità, evitando

i rapporti con altre stirpi. Si accusarono gli ebrei di essere antifascisti e, di conseguenza, fu vietata l’immigrazione ebraica in Italia. Altre disposizioni proibirono i matrimoni degli italiani con persone di “razze non ariane” e si fece obbligo di chiedere il permesso governativo per i matrimoni fra italiani e stranieri (inglesi, francesi, ecc.). Si legga qui di seguito la deliberazione del governo fascista con la quale si dava ufficialmente inizio a questa politica razzista.

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l Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell’Impero, dichiara l’attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza razziale. Ricorda che il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge un’attività positiva, diretta al miglioramento quantitativo e qualitativo della razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti. Il problema ebraico non è che l’aspetto metropolitano di un problema di carattere generale. Il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce: a) il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze non ariane; b) il divieto per dipendenti dello Stato o di Enti pubblici – personale civile e militare – di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza; c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri, anche di razze ariane, dovrà avere il preventivo consenso del Ministro dell’Interno; d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell’Impero. dalla Dichiarazione sulla razza, 6 ottobre 1938

Copertina della rivista «La difesa della razza», 1938

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Capitolo 14 Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra

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Prime annessioni e occupazioni del Terzo Reich

facendo scattare l’occupazione della Boemia e della Moravia, cioè la parte più ricca e popolosa della Cecoslovacchia, che si trovò così divisa in due parti. Da unoriginario lato c’erano le Territorio regioni appena occupate, trasformate in “protettorato” alle dipendenze del Reich, dall’alTerritori annessi occupati tro c’era la Slovacchia che, formalmente indipendente, si diedeeun governo filonazista. 1938 Data Con una rapida e incontrastata operazione Hitler aveva ampliato lo “spazio vitale” tedesco, estendendo il dominio anche su regioni non abitate da popolazioni di stirpe germanica. Era ormai evidente che “ammansire” Hitler era solo una pia illusione.

Il patto d’acciaio Quasi contemporaneamente, nell’aprile 1939, Mussolini pensò di trarre frutto dalle circostanze: l’aggressiva iniziativa tedesca spinse il Duce a proseguire nel suo progetto coloniale e, dopo l’Etiopia (occupata nel 1935, 12.6), occupò l’Albania annettendola al Regno d’Italia. Il patto di amicizia con la Germania, il cosiddetto “Asse Roma-Berlino” stabilitosi nel 1936 in occasione della guerra civile spagnola [ 12.6], si trasformò in un vero patto militare che lo stesso Mussolini definì patto d’acciaio. Questo accordo impegnava le due nazioni a prestarsi reciproco aiuto in caso di guerra. In tal modo la politica del fascismo si strinse e si intrecciò sempre più a quella di Hitler. La conferma se ne ebbe subito, con l’applicazione anche in Italia di una legislazione antiebraica e con l’inizio di una persecuzione che costrinse molti italiani di origine ebraica a trovare rifugio all’estero.

14.3 L’occupazione della Polonia e lo scoppio della guerra Francia e Inghilterra in allerta Il susseguirsi delle azioni aggressive di Hitler e l’alleanza militare stretta tra Italia e Germania suscitarono un vivo allarme in Francia e in Inghilterra. Queste due nazioni, che fino ad allora avevano seguito una politica cauta e conciliante, allo scopo di evitare un conflitto, sentirono la necessità di prendere una posizione ferma in difesa della libertà e della sicurezza comuni. Perciò firmarono un patto di alleanza difensiva con la Polonia, il paese che a quel punto sembrava più di altri minacciato dall’aggressione nazista. Se la Polonia fosse stata attaccata, l’Inghilterra e la Francia avrebbero preso le armi in sua difesa. L’occasione, come inglesi e francesi temevano, si presentò subito, originata dalla questione del “corridoio polacco”, la sottile striscia di territorio attraverso la quale la Polonia aveva accesso al mare, nel porto di Danzica sul Baltico.

Territorio originario Territori annessi e occupati 1938 Data

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale Il patto Ribbentrop-Molotov Su questo territorio Hitler, nell’estate del 1939, rivendicò presunti diritti del popolo tedesco; in realtà si trattava di un pretesto per occupare il paese, esattamente come erano state occupate pochi mesi prima l’Austria e la Cecoslovacchia. Per una più sicura riuscita del progetto, Hitler firmò un patto di non aggressione con la Russia; al patto, firmato a Mosca il 23 agosto dai ministri degli Esteri Joachim von Ribbentrop (1938-45) e Vjacˇeslav Molotov (1939-49), era unito un accordo segreto in Leningrado cui si assicuravano vantaggi territoriali anche alla Russia, a spese ES Volga tedesca avesse potuto svolgersi TO della Polonia, qualora l’impresa NI A Mosca senza ostacoli. NL

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A IE N I della ep Polonia Il L’invasione O V1° settembre 1939 le truppe tedeUA Dn E S LIT N O I sche varcarono i confini polacchi e, forti della loro schiacciante Londra PAESI UN BASSI Berlino superiorità, travolsero in poche settimane ogni resistenza. «VarsaBE Stalingrado LG Varsavia via si NèI Aarresa senza condizioni», scriveva il «Corriere della sera» IO G E R M A N I A Kiev O Parigi O L2 settembre. «Centomila uomini hanno occupato l’ex capitale». P del Praga IA CC H IA C SLO VA L’occupazione della Polonia fu sentita in Europa come una minaccia di estrema graHitler dichiara guerra N Vienna Budapest A vità SV IZZ alla Polonia ER A l’equilibrio fra le nazioni. Era necessario intervenire subito contro la R Vichy per la pace e UNGHERIA R Ola M Asua N I A marcia aggressiva. Monaco di Baviera, 1° settem- F Germania nazista e fermare BRETAG NA

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La Seconda guerra mondiale, 1939-42

nel 1939 nel 1940 nel 1941-42 battaglia d’Inghilterra 8.8.1940 - 31.10.1940

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Paesi dell’Asse Paesi occupati dalle forze dell’Asse Paesi neutrali Paesi alleati Francia di Vichy Paesi occupati dagli Alleati Confini al 1939 Fronte orientale dicembre 1941 Massima espansione delle forze dell’Asse

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G O Belgrado Danubio MAR NERO Inizia la Seconda guerra mondiale Il 3 settembre, due giorni dopo l’occupazione di VarSL Sofia RIA AV A IA G savia, la Francia e l’Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. Ebbe così iniIstanbul BUL Roma A I zio la Seconda guerra mondiale, che nel pieno delH conflitto avrebbe visto contrapporsi AL IT

bre 1939: la radio diffonde l’inno Deutschland über alles dopo Madrid che Hitler ha annunciato la diS PA G N A chiarazione di guerra alla Polonia. Nella fotografia, a un distributore di benzina, il gestore, un tassista e un ragazzo diAlgeri passaggio si immobilizzano O nel saluto nazista. CC PO

198

EGITTO

Il Cairo

ARABIA SAUDITA

Capitolo 14 Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

199

due principali schieramenti: da una parte la Germania, l’Italia e il Giappone, che condivideva l’ideologia autoritaria e imperialista di Hitler con cui già nel 1936 aveva stretto un patto in chiave antisovietica; dall’altra la Francia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Cina. A questi paesi molti altri se ne aggiunsero durante gli anni di guerra.

14.4 La guerra-lampo e la disfatta francese La spartizione della Polonia Fin dalle prime operazioni in Polonia, l’esercito tedesco diede alla guerra un carattere di estrema velocità: ‘guerra-lampo’ (Blitzkrieg) fu chiamata questa tattica, già teorizzata durante la Prima guerra mondiale [ 4.3], attuata mediante l’impiego massiccio dei carri armati e di speciali aerei da combattimento, che piombavano in picchiata lanciando bombe su case, paesi, fabbriche, popolazioni indifese. Era il sistema del terrore generalizzato, che colpiva anche le popolazioni civili, per la prima volta in maniera sistematica e preordinata: una guerra totale che non distingueva fra obiettivi civili e militari. Hitler lo aveva teorizzato nel dare istruzioni ai suoi generali: «Quando si dà inizio a una guerra non è più la legge che importa, ma la vittoria. Dovete ignorare la pietà, agire brutalmente. Ottanta milioni di tedeschi devono ottenere ciò che spetta loro di diritto. Il più forte ha sempre ragione». Mentre l’invasione tedesca si stava completando, entrarono in Polonia anche i russi, in base all’accordo stipulato con la Germania, e occuparono le regioni orientali del paese; quindi assalirono la Finlandia e le Repubbliche baltiche (Lituania, Lettonia, Estonia) che passarono sotto il governo sovietico.

Adolf Hitler a Parigi, dopo la conquista della Francia Hitler all’apice del potere dopo il trionfo sulla Francia, suggellato dalla sua breve visita a Parigi, il 28 giugno 1940.

L’avanzata nazista Le azioni dell’esercito tedesco ripresero alla fine dell’inverno, nell’aprile 1940, con un’operazione rapida e improvvisa, che in pochi giorni portò all’occupazione della Danimarca e della Norvegia, paesi neutrali, assicurando alla Germania i ricchi giacimenti di ferro norvegesi e il pieno controllo delle coste che, con i numerosi fiordi, offrivano un rifugio ideale ai sommergibili che operavano nell’Atlantico. Portata a termine questa operazione, le armate tedesche, precedute da violenti bombardamenti aerei, assalirono il Belgio e l’Olanda, anch’essi paesi neutrali, ed entrarono in Francia.

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La Francia durante la Seconda guerra mondiale

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Territori occupati dall’Italia Francia di Vichy Territori occupati dalla Germania Territori annessi al Reich Territori sotto amministrazione militare tedesca in Belgio

200

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale I tedeschi a Parigi Fra il confine svizzero e quello del Lussemburgo, al riparo di una possente linea di trincee e fortificazioni considerata imprendibile, detta linea Maginot dal nome del ministro che l’aveva fatta costruire, si erano concentrate l’armata francese e quella inglese. Ma in pochi giorni le fortificazioni furono superate e le truppe francoinglesi dovettero ritirarsi per non essere catturate in massa dalle forze corazzate germaniche, che il 14 giugno entrarono a Parigi. 200.000 soldati inglesi e 140.000 francesi ripiegarono verso il porto di Dunkerque sulla Manica, da dove, utilizzando piccole imbarcazioni protette dalla flotta e dall’aviazione, riuscirono ad attraversare lo stretto e a mettersi in salvo in Inghilterra. La Repubblica filonazista di Vichy La parte centro-settentrionale della Francia fu occupata dai tedeschi; al sud rimase, di nome, una repubblica con sede a Vichy, governata dal maresciallo Philippe Pétain (1856-1951), collaborazionista del nazismo. Un altro ufficiale dell’esercito, il generale Charles De Gaulle (1890-1970), si rifugiò a Londra e costituì un governo in esilio denominato “Francia libera”, incitando i francesi alla resistenza attraverso gli appelli inviati dall’emittente Radio Londra. Finiva così in Francia la Terza repubblica, nata nel 1870 con il crollo del regime napoleonico e conclusasi nel 1940 dopo soli 17 giorni di invasione nazista.

14.5 L’Italia e il Giappone a fianco di Hitler. La battaglia d’Inghilterra L’Asse Roma-Berlino-Tokyo L’Italia nei primi mesi di guerra rimase in una posizione di attesa, anche per l’impreparazione del suo esercito. Ma dopo i travolgenti successi tedeschi in Francia Mussolini pensò che la fine degli scontri e la vittoria della Germania fossero imminenti, e che convenisse all’Italia entrare subito nel conflitto, in modo da poter partecipare con Hitler alle trattative di pace e alla spartizione del bottino. «Ho solo bisogno – dichiarò – di qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace». Guidato da queste convinzioni, Mussolini il 10 giugno 1940 entrò in guerra a fianco di Hitler. Dodici giorni dopo, la Francia firmò l’armistizio con la Germania e scomparve dal teatro della guerra.

I tempi della storia La strana disfatta Il clamoroso fallimento delle difese militari francesi di fronte all’attacco tedesco del 1940 fu oggetto di acute riflessioni da parte di Marc Bloch (1886-1944), il grande storico francese, fucilato dai tedeschi quattro anni dopo per aver partecipato alla Resistenza. Nel tentativo di spiegare le ragioni di questa «strana disfatta», come egli la chiamò in un celebre libro pubblicato postumo (L’étrange défaite, 1946), Bloch individuò la causa del disastro in un motivo di natura culturale, ossia l’incapacità degli ufficiali francesi di comprendere i cambiamenti intervenuti dopo la Prima guerra mondiale nel modo di concepire e di fare la guerra. Legati a schemi mentali antiquati, essi si muovevano nel presente con la cultura del passato, prendendo a modello (a “maestra di

vita”) la storia delle glorie nazionali, senza percepire la diversità di quanto accadeva sotto i loro occhi. In un’epoca in cui gli aerei erano diventati gli attori principali dello scontro bellico, puntare l’intera strategia di difesa sulle trincee (che erano state le grandi protagoniste della Prima guerra mondiale) era anacronistico e inutile. La linea Maginot, costruita con grande profusione di mezzi e di risorse, fu la manifestazione concreta di questa inadeguatezza culturale. La tattica della guerra di posizione era ormai superata: «il bombardamento aereo e la guerra di velocità – scriveva Bloch – hanno sconvolto il bell’ordine in cui anche il pericolo trovava una propria collocazione. Non vi è più cielo che non sia minaccioso, e la forza di penetrazione dei mezzi motoriz-

zati ha annullato la distanza». Lo sviluppo dell’aeronautica e dei corpi corazzati motorizzati era la nuova frontiera dell’industria e della strategia bellica, e l’esercito tedesco ne era la dimostrazione. Anche gli inglesi si affidarono alle nuove tecnologie e questo permise loro di riuscire a respingere l’attacco tedesco. Essenziale in questo senso fu l’utilizzo del radar, uno strumento inventato nel 1935 dallo scienziato scozzese Robert Watson-Watt (1892-1973) e di cui si dotò il Comitato di difesa aerea britannico: nel 1937 fu costruita lungo le coste inglesi una catena di stazioni radar che, intercettando i bombardieri tedeschi, consentivano di avvisare per tempo dell’attacco aereo e di salvaguardare la popolazione.

Capitolo 14 Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

201

Qualche mese dopo (settembre 1940) anche il Giappone, che già negli anni precedenti aveva messo in atto una politica di aggressione nei confronti della Cina, occupando la Manciuria e altri territori [ 7.4], firmò un patto di alleanza con la Germania e con l’Italia. Il patto prevedeva che le tre potenze affermassero il loro dominio in distinte zone d’influenza: la Germania avrebbe controllato l’Europa continentale, l’Italia il Mediterraneo, il Giappone l’Asia. Ma i calcoli di Mussolini circa una rapida conclusione del conflitto si verificarono infondati.

L’attacco all’Inghilterra A quel punto l’Inghilterra era rimasta sola a fronteggiare gli attacchi tedeschi: i piani di Hitler prevedevano uno sbarco sull’isola da effettuarsi in settembre, preceduto da massicci bombardamenti aerei con il duplice obiettivo di distruggere i centri industriali e di terrorizzare la popolazione, fiaccandone la volontà di resistenza. Le città inglesi furono così sottoposte, ogni giorno e senza tregua, a una serie di attacchi che costarono la vita a 45.000 civili e spaventose distruzioni. Nella sola giornata del 13 agosto 1940 i bombardieri tedeschi furono impegnati in 1485 missioni sul territorio inglese: l’aviazione tedesca (Luftwasse) disponeva di 2800 aerei, quella inglese di 600 caccia, gli Spitfire. Il centro industriale di Coventry fu letteralmente raso al suolo; la stessa Londra subì danni gravissimi. La resistenza inglese Ma gli inglesi, guidati in quel periodo da un governo presieduto dal conservatore Winston Churchill (1940-45), non si piegarono e continuarono, con tenacia e coraggio, a combattere contro i bombardieri tedeschi, grazie anche all’impiego del radar, un apparecchio a onde radio (che i tedeschi ancora non conoscevano) che consentiva di localizzare tempestivamente la presenza di aerei nemici nello spazio e di orientare contro gli avversari i velocissimi Spitfire, i caccia britannici. Alla fine dell’estate la battaglia d’Inghilterra poteva dirsi conclusa. I piloti inglesi erano riusciti a fermare l’attacco, abbattendo 2000 velivoli tedeschi e danneggiandone un numero imprecisato. Hitler fu costretto a rinunciare al piano di invasione.

Bombe sull’Inghilterra, 1940 Dalla fine del 1939 in poi circa 3 milioni di bambini con le loro madri furono fatti evacuare dalle più importanti città inglesi verso le campagne per sfuggire ai bombardamenti tedeschi.

Galeazzo Ciano firma il patto d’Acciaio alla presenza di Hitler, Berlino 22 maggio 1939

202

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

14.6 La guerra si estende nei Balcani, in Grecia, in Africa Fascisti e nazisti in Grecia Fallito l’attacco all’Inghilterra, le operazioni di guerra si spostarono nei Balcani e in Grecia. Ciò avvenne per iniziativa di Mussolini che, prendendo a modello l’aggressività hitleriana, nell’ottobre 1940 fece aggredire la Grecia, paese neutrale, muovendo dall’Albania occupata l’anno precedente. Così agendo, Mussolini intendeva anche affermare la sua libertà di iniziativa nei confronti dell’alleato tedesco, ma il suo piano si rivelò velleitario e illusorio. I soldati italiani, mal guidati e male equipaggiati, furono respinti dai greci e travolti in una ritirata che li portò fino all’interno dell’Albania. Ivi rimasero fino alla primavera successiva, quando un corpo di spedizione tedesco riuscì a occupare la Jugoslavia e la Grecia. Gli inglesi nell’Africa orientale italiana Anche in Africa, dopo qualche iniziale successo contro le truppe britanniche stanziate in Egitto, i presìdi italiani furono costretti a ritirarsi, incalzati dagli inglesi che occuparono la parte orientale della Libia (Cirenaica) e l’Etiopia, in cui fu rimesso sul trono il legittimo sovrano Hailé Selassié (1941-74). In aiuto di Mussolini i tedeschi inviarono alcuni reparti corazzati, comandati dal generale Erwin Rommel (1891-1944), che respinse le truppe britanniche dalla Cirenaica, ma non poterono evitare che l’intera Africa orientale italiana (Etiopia, Somalia, Eritrea) cadesse sotto il controllo inglese. Finiva così l’impero coloniale sognato da Mussolini. L’Europa nazista Negli stessi mesi, in Europa, le truppe tedesche occuparono la Bulgaria e la Romania, con le sue importanti risorse petrolifere. Verso la metà del 1941 quasi tutta l’Europa continentale – uniche eccezioni erano la Svezia, la Svizzera e la Spagna, che si erano mantenute neutrali – era sottoposta all’occupazione militare tedesca: un regime duro, spietato, che costrinse milioni di lavoratori dei paesi occupati a mettere la loro attività a servizio della guerra nazista. Allo stesso modo furono requisite e sfruttate le principali risorse economiche (industrie, miniere, ecc.) che ogni paese dovette mettere a disposizione degli invasori.

I modi della storia

L’Italia entra in guerra

La decisione di Mussolini di entrare in guerra al fianco di Hitler, che avrebbe fatto precipitare l’Italia in una catastrofe senza precedenti, suscitò preoccupazione in alcune personalità del governo fascista, in particolare Galeazzo Ciano

(1903-1944), genero di Mussolini e ministro degli Esteri dal 1936 al 1943. Egli annotò i suoi pensieri in un diario, una cronaca giornaliera di ciò che avveniva a Palazzo Venezia, sede del governo e residenza ufficiale del Duce. Leggendone le

Un paese impreparato Le forze militari sono esigue. I magazzini sono sprovvisti. Le artiglierie sono vecchie. Le armi antiaeree e anticarro mancano del tutto. Si è fatto molto bluff nel settore militare: ma è un bluff tragico. Non parliamo dell’aviazione. Il ministro dell’aeronautica denuncia 3006 apparecchi efficienti mentre i servizi informazione della Marina dicono che questi sono soltanto 982. 1939-40 Voglia di guerra Roosevelt si offre di fare da mediatore fra noi e gli Alleati divenendo responsabile per l’esecuzione, a guerra finita, degli eventuali accordi. Ci vuol altro per dissuadere Mussolini. In fondo non è che egli vuole ottenere questo o quello: vuole la guerra. Se pacificamente potesse avere anche il doppio di quanto reclama, rifiuterebbe. 27 maggio 1940

pagine, appaiono evidenti la superficialità e la leggerezza della scelta di Mussolini. Appaiono inoltre certi aspetti del suo carattere, come l’ambizione che lo spingeva ad assumere il ruolo di condottiero militare.

Il sogno di Mussolini: diventare un condottiero militare Stamane alle 11 è nato a Palazzo Venezia l’Alto Comando. Poche volte ho visto Mussolini così felice. Ha realizzato il suo vero sogno: quello di divenire il condottiero militare del Paese in guerra. Ormai la decisione sta maturando. Comunque bisogna che la guerra sia breve. Non più di due o tre mesi, dato che le scorte sono di una modestia paurosa. Di alcuni metalli siamo letteralmente sprovvisti. 29 maggio 1940 L’avventura comincia, che Dio assista l’Italia Mussolini parla dal balcone di Palazzo Venezia. La notizia della guerra non sorprende nessuno e non desta eccessivi entusiasmi. Io sono triste, molto triste. L’avventura comincia. Che Dio assista l’Italia. 10 giugno 1940

Capitolo 14 Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

Sintesi

Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

I progetti imperialistici della Germania nazista Gli obiettivi di Hitler erano la ricostruzione della forza militare della Germania, l’annessione delle zone abitate da popolazioni di lingua tedesca e l’espansione ulteriore alla ricerca dello “spazio vitale” in cui costruire il Terzo Reich. In risposta a questo disegno, in Europa inizialmente si tentò di conservare la pace e il Primo ministro inglese Chamberlain cercò di accontentare le prime rivendicazioni di Hitler, che espresse nel 1938 il progetto di occupazione dell’Austria e della Cecoslovacchia. L’espansione nazista e il rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino Nel marzo 1938 Hitler invase l’Austria, che fu annessa alla Germania dopo un plebiscito favorevole. Gli Stati europei si limitarono a protestare formalmente. Pochi mesi dopo incominciarono le rivendicazioni hitleriane sui Sudeti, una regione della Cecoslovacchia in cui abitavano tre milioni di tedeschi. Su iniziativa di Mussolini, fu indetta una conferenza internazionale a Monaco, in cui le richieste tedesche furono accolte. Nel marzo 1939 Hitler occupò la Boemia e la Moravia, mentre in Slovacchia, formalmente indipendente, si insediò un governo filonazista. La Germania così ottenne il dominio anche su territori non abitati da popolazioni tedesche. Nell’aprile 1939 l’Italia occupò l’Albania, allargando il progetto di espansione coloniale, e stipulò con la Germania il “patto d’acciaio”, un’alleanza militare vincolante. I legami tra Mussolini e Hitler furono rafforzati e in Italia fu approvata una legislazione

antiebraica: molti ebrei italiani cercarono rifugio all’estero. L’occupazione della Polonia e lo scoppio della guerra A questo punto Francia e Inghilterra entrarono in allarme e stipularono un patto di alleanza con la Polonia, oggetto delle mire espansionistiche naziste, dirette verso il corridoio polacco che garantiva l’accesso al mare nel porto di Danzica. Nell’agosto 1939 Hitler stipulò un patto di non aggressione con la Russia, che prevedeva la spartizione della Polonia tra i due Stati. Il primo settembre 1939 Hitler invase la Polonia, che fu sconfitta e occupata dopo poche settimane. Le potenze europee dichiararono guerra alla Germania, dando così inizio alla Seconda guerra mondiale. La guerra-lampo e la disfatta francese L’esercito tedesco attuò la guerralampo, basata sulla velocità e sull’uso di carri armati e bombardamenti contro i civili: era così attuata per la prima volta la guerra totale, che equiparava gli obiettivi civili e militari. Intanto la Russia invase le regioni orientali della Polonia, annettendosi la Finlandia e le Repubbliche baltiche. Nell’aprile 1940 Hitler occupò prima la Danimarca e la Norvegia, poi il Belgio e l’Olanda, paesi neutrali, fino ad arrivare in Francia, i cui confini erano protetti da un sistema di fortificazioni rapidamente superato dai tedeschi, che il 14 giugno entrarono a Parigi. Le truppe franco-inglesi, in rotta, si imbarcarono a Dunkerque verso l’isola britannica. Il centro-nord della Francia fu direttamente occupato dai tedeschi, mentre nella parte me-

ridionale fu costituita la Repubblica di Vichy, uno Stato collaborazionista dei nazisti. Il generale De Gaulle, in esilio a Londra, incitò i francesi a resistere. L’Italia e il Giappone a fianco di Hitler. La battaglia d’Inghilterra Inizialmente l’Italia rimase fuori dalla guerra, ma i successi tedeschi convinsero Mussolini a parteciparvi per ottenere dei vantaggi: così l’Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940. Nel settembre il Giappone si aggiunse all’alleanza italo-tedesca. Dopo l’armistizio tra Francia e Germania, il piano di Hitler prevedeva uno sbarco in Inghilterra preceduto da bombardamenti aerei. Gli inglesi resistettero, anche grazie all’uso del radar, che localizzavano gli aerei nemici. Alla fine dell’estate Hitler rinunciò al piano di invasione e la battaglia d’Inghilterra si concluse. La guerra si estende nei Balcani, in Grecia, in Africa In seguito la guerra si estese ad altri scenari. Nell’ottobre 1940 l’esercito italiano attaccò la Grecia, ma fu costretto alla ritirata. Nella seguente primavera i tedeschi occuparono Jugoslavia e Grecia. In Africa gli inglesi occuparono l’Etiopia, sottratta al dominio italiano. I tedeschi intervennero, ma l’Africa orientale italiana fu presa dagli inglesi e l’impero coloniale di Mussolini cessò di esistere. In Europa i tedeschi occuparono Bulgaria e Romania. Alla metà del 1941 quasi tutta l’Europa era soggetta all’occupazione militare tedesca. I lavoratori dei paesi occupati e le loro risorse economiche furono messi a totale servizio degli invasori.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. F

d. Il patto di non aggressione con la Germania assicurava segretamente alla Russia territori in Polonia.

V

F

V

F

e. La proposta di svolgere una conferenza internazionale fu avanzata da Chamberlain.

V

F

V

F

f. Hitler aveva stretto nel 1936 un patto col Giappone in funzione antisovietica.

V

F

a. L’idea del riarmo tedesco era stata espressa da Hitler nel Mein Kampf.

V

b. La guerra totale era già stata applicata nel primo conflitto mondiale. c. L’annessione dell’Austria alla Germania fu confermata da un plebiscito popolare.

203

204

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

g. Alla metà del 1941 tutta l’Europa era occupata dai tedeschi tranne la Svizzera e la Spagna.

V

F

h. Il patto d’Acciaio impegnava Italia e Germania a prestarsi aiuto in caso di guerra.

V

F

i. L’intera Cecoslovacchia fu trasformata in un protettorato della Germania.

V

F

l. La Danimarca era molto ricca di giacimenti di ferro.

V

F

m. Nella parte centro-settentrionale della Francia fu costituita la Repubblica di Vichy.

V

F

n. Le truppe francesi e inglesi a Dunkerque riuscirono ad attraversare la Manica e a salvarsi.

V

F

o. Mussolini scelse di entrare in guerra per poter partecipare con Hitler alle trattative di pace.

V

F

p. La tattica della guerra-lampo fu utilizzata per la prima volta nell’invasione della Polonia.

V

F

q. Attraverso il “corridoio”, la Polonia aveva l’accesso al mare.

V

F

r. Il Primo ministro inglese Chamberlain rifiutò di accontentare le rivendicazioni di Hitler.

V

F

s. Fino al 1939 Francia e Inghilterra ebbero un atteggiamento conciliante verso Hitler.

V

F

t. Lo “spazio vitale” di Hitler si riferiva all’annessione di tutte le popolazioni di lingua tedesca alla Germania.

V

F

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. Anschluss • blitzkrieg • collaborazionismo • imperialismo • mediazione • presidio • protettorato • radar • ritirata Tendenza di uno Stato a estendere la propria supremazia politica ed economica sui territori stranieri Apparecchio a onde radio in grado di localizzare la posizione di aerei Politica volta a trovare un accordo tra parti avverse Tutela di natura militare, economica e amministrativa esercitata da uno Stato su un altro Annessione dell’Austria alla Germania Azione di un esercito che retrocede per sfuggire all’avanzata dell’esercito nemico Guarnigione militare stanziata in un luogo a scopo difensivo Guerra-lampo

2. Associa le seguenti date all’evento corrispondente. 5/11/1937

la Germania occupa Danimarca e Norvegia

marzo 1938

l’Italia occupa l’Albania

settembre 1938

l’Italia entra in guerra al fianco di Hitler

marzo 1939

la Germania invade l’Austria

aprile 1939

la Germania occupa la Boemia e la Moravia

23/8/1939

ingresso dei tedeschi a Parigi

1/9/1939

conferenza di Monaco

3/9/1939

patto di alleanza del Giappone con Germania e Italia

aprile 1940

attacco tedesco alla Polonia

10/6/1940

hitler enuncia la teoria dello “spazio vitale”

14/6/1940

patto Molotov-Ribbentrop

settembre 1940

inizio della Seconda guerra mondiale

ottobre 1940

attacco italiano alla Grecia

Appoggio a un nemico invasore del proprio paese

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Benito Mussolini

appeasement

Philippe Pétain

conferenza di Monaco

Winston Churchill

governo in esilio

Neville Chamberlain

patto tra Germania e Russia

Erwin Rommel

governo conservatore inglese

Joachim von Ribbentrop

Etiopia

Hailié Selassié

Africa

Charles De Gaulle

collaborazionista del nazismo

Capitolo 14 Hitler aggredisce l’Europa. Inizia la Seconda guerra mondiale

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande con un breve testo di massimo 3 righe per ognuna.

1. Su quali princìpi si basava il progetto di espansione esposto da Hitler il 5 novembre 1937? 2. In che modo avvenne l’Anschluss? Quali reazioni si ebbero in Europa? 3. Perché fu indetta la conferenza di Monaco? Quando ebbe luogo? Che cosa fu deliberato? 4. Che cosa era la guerra-lampo? Che cosa era la guerra totale? 5. Che cosa era il “patto d’acciaio”? Tra chi fu stipulato? 6. In che modo avvenne l’espansione tedesca in Boemia e Moravia? Con quali conseguenze? 7. Quali modifiche subì l’assetto della Francia dopo il 1940? Con quali conseguenze? 8. Che esito ebbe la battaglia d’Inghilterra? Per quale motivo? Con quali conseguenze?

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali furono le cause che portarono allo scoppio della Seconda guerra mondiale? 2. Quali Stati vi presero parte fino al 1941? Vi furono modifiche negli schieramenti contrapposti? 3. Quali furono gli episodi salienti della Seconda guerra mondiale nel 1939? 4. Quali furono gli episodi salienti della Seconda guerra mondiale nel 1940? 5. Quali furono gli episodi salienti della Seconda guerra mondiale nel 1941? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE: 1939-1941

LE CAUSE LE ALLEANZE GLI EPISODI SALIENTI

1939

1940

1941

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7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che ruolo ebbe l’Italia nella conferenza di Monaco del 1938? Che cosa si discusse a Monaco? 2. Quale iniziativa militare fu intrapresa dall’Italia nell’aprile 1939? 3. Quale accordo di alleanza militare fu stretto dall’Italia nel 1939? Con chi? Con quali conseguenze? 4. Quale fu l’atteggiamento dell’Italia all’inizio del conflitto?

5. Che cosa fu deciso da Mussolini il 10 giugno 1940? Per quale motivo? Con quali conseguenze? 6. Quale iniziativa militare fu intrapresa dall’Italia nell’ottobre 1940? Perché? Con quali conseguenze? 7. Quali iniziative militare coinvolsero l’Italia in Africa? Contro chi? Con quali conseguenze? Ordina le informazioni ottenute nella seguente tabella.

L’ITALIA DAL 1938 AL 1941 1938

1939

1940

1941

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8. Leggi il documento «1938: il fascismo vuole italiani di “razza pura”» a p. 196 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali furono i rapporti tra Italia e Germania dopo il “patto d’acciaio”? 2. Che cosa affermava l’ideologia nazista nei riguardi della razza ariana? 3. Tale teoria ha un fondamento scientifico? Per quali ragioni? 4. Che cosa fu avviato nel 1938 dal fascismo? Per quale motivo?

5. Che cosa contiene il documento? 6. Come è definita l’attività svolta dal fascismo fino ad allora relativamente alle questioni razziali? Per quale motivo? 7. Quali decisioni sono prese? Nei riguardi di chi? Che cosa è vietato? 8. Per che cosa occorre un consenso preventivo? Chi deve darlo? 9. Quali misure dovranno essere rafforzate? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “La politica razziale dell’Italia fascista”.

205

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

15 Il mondo in guerra.

Capitolo

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URSS, USA e Giappone nel conflitto

Percorso breve Nel giugno 1941 Hitler assalì l’Unione Sovietica con tre milioni di uomini e migliaia di aerei (anche un corpo di spedizione italiano partecipò all’impresa). Lo sterminato territorio russo pareva infatti a Hitler uno spazio ideale per l’espansione tedesca; inoltre egli riteneva che fosse una sua missione combattere il comunismo; infine sottovalutava gli avversari, ritenuti, come tutti gli slavi, dei “sottouomini” incapaci di combattere. Ma dopo tre mesi l’offensiva dovette arrestarsi, per la strenua resistenza dei russi e per la rigidità invernale del clima. I giapponesi intanto cercavano di affermarsi nell’area del Pacifico. Il 7 dicembre attaccarono la flotta statunitense ormeggiata a Pearl Harbor, nelle Hawaii, e occuparono i possessi coloniali europei e americani in Oriente. Come già era accaduto nel primo conflitto mondiale, il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra fu uno degli elementi decisivi che nel giro di un anno fecero cambiare direzione agli eventi. Nel 1942 la Germania nazista era al culmine della sua potenza. Il «nuovo ordine» imposto in Europa da Hitler significava che tutti dovevano lavorare per i tedeschi. Campi di lavoro forzato raccoglievano i prigionieri; russi, polacchi, tutti gli slavi furono brutalmente sfruttati o eliminati (milioni di russi morirono nei campi di prigionia). Per gli ebrei Hitler progettò lo sterminio totale. Il piano per la loro eliminazione iniziò con la chiusura dei ghetti, che furono isolati e sigillati, provocando terribili stragi per fame e malattie. Infine si scatenò una vera caccia agli ebrei in tutti i paesi d’Europa, per deportarli in campi di concentramento dove venivano uccisi con gas velenosi e infine bruciati in forni crematori. Ma le sorti della guerra a un certo punto si invertirono.

Prigionieri di guerra usati come manodopera per l’industria bellica tedesca

Punto di svolta fu la battaglia di Stalingrado, “luogo chiave” della difesa sovietica, dove i russi, dopo essere stati assediati per mesi, passarono alla controffensiva e accerchiarono i tedeschi, che, obbedendo agli ordini di Hitler, non chiesero la resa e furono sterminati (gennaio 1943). I tedeschi superstiti si ritirarono dall’URSS (durante la fuga trovarono la morte moltissimi soldati dell’armata italiana) mentre anche in Africa i nazifascisti erano costretti al ritiro, di fronte all’avanzare delle truppe inglesi e statunitensi, al comando del generale Eisenhower. Sul fronte del Pacifico iniziò la controffensiva americana contro i giapponesi.

Capitolo 15 Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

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15.1 I tedeschi invadono l’Unione Sovietica Attacco all’URSS Per oltre un anno e mezzo, Stalin aveva mantenuto l’Unione Sovietica fuori dal conflitto scatenato da Hitler in Europa, anche in conseguenza del patto di non aggressione firmato con il governo tedesco qualche tempo prima dell’inizio della guerra [ 14.3]. Egli era convinto che Hitler non avrebbe pensato ad attaccare l’URSS prima di aver portato a termine lo scontro con la Gran Bretagna. Ma si sbagliava: fin dall’inizio, gli sterminati territori russi avevano costituito il principale obiettivo delle mire espansionistiche di Hitler. Il 22 giugno 1941 Hitler avviò l’invasione dell’Unione Sovietica: un esercito forte di tre milioni di uomini, diecimila carri armati, migliaia di aerei, affiancato da truppe italiane, rumene e ungheresi, incominciò ad avanzare in territorio russo, con un’azione di sorpresa che, nei progetti di Hitler, avrebbe dovuto svolgersi rapida e vittoriosa e concludersi con il crollo del bolscevismo e dello Stato sovietico. Contro il comunismo Il piano di Hitler poggiava su motivazioni diverse. Innanzitutto egli era convinto che la sua missione – creare un grande Impero germanico – necessariamente comportasse l’espansione a est, verso le grandi pianure dei popoli slavi. Inoltre pensava che fosse suo compito distruggere il comunismo, da lui giudicato uno dei maggiori pericoli per la Germania e per il mondo. Infine, Hitler era convinto che vincere la Russia fosse ancora più facile di quanto non fosse stato vincere la Francia: dell’esercito sovietico non aveva alcuna stima né timore. La resistenza sovietica Inizialmente l’invasione procedette veloce, specialmente nelle regioni baltiche, nell’Ucraina e a nord della Crimea. La sorreggeva un’ideologia sempre più aggressiva, che identificava i russi (senza distinzioni tra militari e civili) come dei «sottouomini giudaico-bolscevichi», portatori del virus del bolscevismo e perciò da eliminare. Il risultato fu che in poco più di tre mesi, oltre all’occupazione di importanti punti strategici sul territorio, circa tre milioni di russi furono feriti o uccisi, altrettanti furono catturati. Tuttavia, a mano a mano che l’avanzata penetrava nell’interno, nonostante le tremende perdite umane e gli errori tattici compiuti dallo stesso Stalin, la resistenza russa si fece più tenace, sostenuta anche da reparti armati di operai, mentre la popolazione civile si prodigava nella costruzione di opere difensive. Verso la fine del 1941, l’offensiva tedesca dovette fermarsi, a pochi chilometri da Mosca e da Leningrado, bloccata dai rigori invernali e dall’accanita opposizione dei russi.

15.2 I giapponesi dichiarano guerra agli Stati Uniti Attacco a Pearl Harbor Quasi negli stessi giorni la guerra si accese anche in Asia e in Oceania. Il Giappone, dopo avere occupato parte della Cina, mirava a imporre il proprio dominio nell’area del Pacifico e come principale nemico individuò gli Stati Uniti, presenti con la loro flotta in quella regione del mondo e colpevoli di aver bloccato – in accordo con la Gran Bretagna – le esportazioni di materie prime verso il Giappone, in risposta all’occupazione dell’Indonesia francese da parte delle forze nipponiche. Il 7 dicembre 1941 gruppi di navi e squadriglie aeree giapponesi assalirono di sorpresa la flotta americana ancorata nel porto di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, distruggendola quasi totalmente. Nel frattempo l’ambasciatore giapponese a Washington notificò la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti. Analoghe dichiarazioni da parte della Germania e dell’Italia seguirono pochi giorni dopo. La Carta atlantica Così come era accaduto nella Prima guerra mondiale – di cui la Seconda fu in qualche modo la replica – il coinvolgimento degli Stati Uniti segnò una svolta decisiva nel corso della guerra, in quanto mise a disposizione degli alleati in lotta contro il nazismo, in particolare la Gran Bretagna, un enorme potenziale di

Hitler studia una mappa militare con Keitel e Jodl, 1940 Hitler studia una mappa militare nel 1940, assieme al feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo del Comando supremo della Wehrmacht, le forze armate tedesche (al centro), e il generale Alfred Jodl, capo del Comando operativo (a destra). L’invasione dell’Unione Sovietica era uno dei primi obiettivi di Hitler e verso la fine del luglio 1940 era già stata annunciata la volontà di invaderla nella primavera successiva.

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

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L’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 Il disegno riproduce l’attacco dell’aviazione giapponese, comandata dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto, alla flotta statunitense concentrata nella baia di Pearl Harbor, nelle Hawaii, all’alba del 7 dicembre del 1941. Al centro, in fiamme, sono raffigurate le corazzate americane colpite dai bombardieri e dagli aerosiluranti (aerei da combattimento che colpivano con siluri): la Nevada (1), colpita, sta affondando; l’Oklahoma (2) si rovescia dopo essere stata colpita da tre siluri; l’Arizona (3) è stata irrimediabilmente colpita e sta esplodendo; la corazzata West Virginia (4), che sta affondando, ha marginalmente protetto la Tennessee (5); la corazzata California (6) si sta inclinando su un fianco mentre l’equipaggio tenta di mettersi in salvo. Delle corazzate colpite solo tre risultarono irrecuperabili; le altre, invece, furono impiegate ancora durante il corso della guerra.

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armi, mezzi e risorse, che, con il passare del tempo, avrebbero capovolto l’andamento Pechino C NE COREA del conflitto. L’attacco di Pearl Harbor in realtà non fece cheI accelerare un processo PO IAP Tokyo G N era già stato deciso già in atto: l’appoggio militare degli Stati Uniti alla Gran Bretagna A Shanghai alcuni mesi prima dal presidente Roosevelt, e sancito il 14 agosto 1941 durante un incontro con Churchill avvenuto su una nave da guerra al largo dell’isola di Terranova. IWOJIM INDIA In quell’occasione i due statisti avevano firmato la cosiddetta CartaHong atlantica, un OKINAWA doKong (br.) TAIWAN cumento in otto punti che ribadiva la necessità di abbattere i regimi(br.) fascisti e fissava le linee di un nuovo ordine democratico da costruire a guerra Tfinita. H AIL

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ND L’espansione giapponese nel Pacifico Tra il 1941 e il 1942 i giapponesi, che con l’atIA Bangkok GUAM Leyte 1944 tacco a Pearl Harbor si erano assicurati il dominio del mare, occuparono quasi tutti i La Seconda guerra mondiale Saigon isole C nel Pacifico, 1941-45 possessi coloniali europei e americani in Oriente: Indocina francese, Filippine staMALESI tunitensi,STATI Malesia britannica, Singapore(br .) E Indonesia olandese e altri terU N I O N E S OV I E T I C A N BORNEO UTI ALE ritori ancora. Tale espansione, CELEBES NUO VA G MONGOLIA UINE I N D Oslogan «l’Asia MANCIURIA giustificata dallo NESI A A agli asiatici» e presentata da Pechino attacco giapponese su Pea C NE COREA Tokyo come un movimento di rl H PO Mar arb I IAP Tokyo G or N liberazione dell’Asia dal colo7. 1 A AUSTRALIA Shanghai nialismo europeo, era in realtà espressione di una politica Midway 1942 IWOJIMA OKINAWA aggressiva e imperialista non INDIA Hong Kong (br.) TAIWAN (br.) isole HAWAII dissimile da quella dei nazisti WAKE in Europa. TH FR.

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Dominio giapponese, dicembre 1941 Attacchi giapponesi 1941-42 Estensione del dominio giapponese alla fine del 1942 Contrattacchi americani e inglesi 1943 -45 Leyte 1944 Battaglie

Capitolo 15 Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

15.3 L’Europa sotto il tallone nazista: il “nuovo ordine” e i campi di sterminio La dominazione nazista La Germania raggiunse il culmine della sua potenza nel 1942. Includendo le popolazioni di lingua tedesca delle regioni conquistate, essa contava ormai circa 100 milioni di abitanti e costituiva il nucleo centrale del «nuovo ordine» stabilito da Hitler in Europa. L’idea-base di questo nuovo ordine prevedeva un continente unificato nel quale ai non tedeschi fossero affidati tutti i lavori manuali, considerati inferiori, e ai tedeschi la direzione generale e le attività “superiori”, come lo studio, la scienza, l’industria. L’incarico di dare esecuzione a questo programma fu affidato alle SS, il corpo militare dei fedelissimi di Hitler. Un’ideologia delirante Milioni di persone furono strappate alle loro case e trasportate in campi di lavoro forzato per accrescere la produzione necessaria alla guerra, dapprima nell’Europa dell’Est, poi in Occidente. Gli olandesi, i danesi, gli scandinavi furono trattati con minor rigore, perché considerati una “razza” che in qualche modo poteva essere assimilata a quella tedesca. Una bestiale brutalità fu esercitata contro i polacchi, i boemi, i russi, gli slavi in genere, che nell’ideologia nazista erano parte di una subumanità, quella dei cosiddetti «sottouomini». «Che gli altri popoli vivano nel benessere o crepino di fame – scrisse Heinrich Himmler, capo delle SS e ministro dell’Interno nel 1943 – mi interessa solo nella misura in cui ci sia bisogno di loro come schiavi per la nostra civiltà; tutto il resto non mi interessa. Se per costruire una trincea muoiono stremate per lo sforzo diecimila donne russe, interessa solo nella misura in cui la trincea viene portata a termine per la Germania». Lo sterminio dei prigionieri russi Una vera tragedia fu quella dei prigionieri di guerra russi, caduti in mano ai tedeschi in numero elevatissimo (quasi quattro milioni) nel primo anno di guerra. Infatti, mentre ai prigionieri inglesi o francesi veniva riservato un trattamento di sopravvivenza, nei confronti dei russi si usarono pratiche di vero e proprio sterminio, in seguito alle quali oltre due milioni di prigionieri perirono di stenti. Lo sterminio degli ebrei Soprattutto contro gli ebrei si scatenò la persecuzione nazista: il loro sterminio era sempre stato l’idea fissa di Hitler, fin dal 1935. Diventato padrone dell’intera Europa, egli mise in atto un piano sistematico per la loro eliminazione (la “soluzione finale”, come fu definita). Nelle grandi città i quartieri abitati da ebrei, i ghetti, furono sigillati, così che centinaia di migliaia di persone vennero a trovarsi isolate e stipate in pochissimo spazio, prive di cibo, di medicinali, di assistenza, e fu(Valori espressi in migliaia di unità) rono falcidiate dalla fame e dalle malattie: spa3500 ventosa fu la sorte del ghetto di Varsavia, dove perirono in poco tempo 400.000 ebrei. 3000 30

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Ebrei sterminati durante la Seconda guerra mondiale distribuiti per nazionalità d’origine

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I campi della morte Inoltre, Hitler perseguì l’eccidio ordinando una minuziosa ricerca di tutti gli ebrei in ogni paese d’Europa. Essi venivano fatti confluire in appositi campi di concentramento (in Italia, nel 1943, furono costituiti quelli di Fossoli presso Modena, di Risiera San Sabba presso Trieste, di Gries presso Bolzano), deportati e raccolti in campi di sterminio dove li attendevano ogni sorta di brutalità e poi la morte, dentro apposite camere a gas, che potevano contenere anche 2000 persone per volta. Infine essi venivano bruciati nei forni crematori. Treblinka, Maidanek, Buchenwald, Auschwitz, Dachau, Mauthausen sono i nomi più noti tra le oltre 900 località in

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Modulo 4 L’ingresso di Auschwitz Sulla sommità del cancello d’ingresso al campo di concentramento di Auschwitz si legge la scritta irridente «Arbeit macht frei» (‘Il lavoro rende liberi’). Dal 1940, Auschwitz diventò il più grande centro di sterminio della Germania nazista. Dal 1941 al 1944 vi furono deportati in massa e sterminati nelle camere a gas 600.000 ebrei. Il gas utilizzato era lo Zyklon B, sostanza chimica a base di cianuro inizialmente usata per eliminare i pidocchi. Dopo l’avvelenamento, i corpi venivano bruciati in enormi forni crematori. Nel gennaio del 1945, quando fu decisa la sua evacuazione prima dell’arrivo delle truppe sovietiche, Auschwitz ospitava appena 60.000 detenuti.

cui milioni di esseri umani in quei mesi furono trucidati, vittime della follia nazista. All’annientamento sistematico nei campi di sterminio furono condannati, oltre agli ebrei, anche gli oppositori politici, gli zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i malati fisici e mentali, i prigionieri evasi e tutti coloro che resistevano al “nuovo ordine” imposto da Hitler. In questo modo furono eliminati, durante gli anni di guerra, fra i 5 e i 6 milioni di ebrei, cittadini di ogni paese.

Aa Documenti Nei campi di sterminio della Germania nazista Durante la Seconda guerra mondiale i nazisti organizzarono una sistematica campagna di sterminio degli ebrei, uomini e donne, adulti e bambini. Presentiamo in proposito tre testimonianze. La prima è ricavata da una relazione di Rudolf Höss, comandante del campo di sterminio di Auschwitz dal 1940 al 1943, il quale

descrive, con agghiacciante cinismo, in che modo si organizzavano le uccisioni di massa. La seconda testimonianza è un brano del Diario di Anna Frank (19291945), una bambina ebrea che si trovava ad Amsterdam al tempo dell’occupazione nazista dell’Olanda; rifugiatasi per due anni in un nascondiglio con la famiglia, fu

Esperimenti di morte con il gas Un esperimento di gassazione fu fatto su 900 prigionieri russi. Essi vennero obbligati a spogliarsi nell’anticamera, e poi entrarono tutti tranquilli nella camera mortuaria, dove era stato detto loro che sarebbero stati spidocchiati. Lo spazio li conteneva appena. La porta venne sbarrata e dalle aperture venne fatto entrare il gas. Non so quanto sia durata l’uccisione, ma per un certo tempo si intese come un ronzio. Al momento dell’immissione, alcuni urlarono: «gas!» e si levò come un ruggito, mentre gli uomini cercavano di forzare le porte, che tuttavia non cedettero. Parecchie ore dopo, le porte vennero aperte. Allora vidi per la prima volta una gran quantità di cadaveri di individui uccisi dal gas. Nella primavera del 1942 giunsero i primi trasporti di ebrei, tutti individui da sterminare. Giunti alla fattoria, gli ebrei dovettero spogliarsi. All’inizio entrarono tranquillamente nelle sale dove dovevano subire la disinfestazione, ma in breve alcuni cominciarono ad agitarsi e a parlare di soffocamento, di sterminio. Nacque un’atmosfera di panico, ma subito quelli che erano ancora fuori vennero spinti nelle sale e le porte sbarrate. R. Höss, comandante del campo di Auschwitz

Aspettando la morte Mercoledì 13 gennaio 1943. Fuori è spaventoso. Di notte e di giorno quei poveretti vengono trascinati via, senza poter

catturata e portata in un campo di sterminio, dove morì nel 1945. L’ultimo brano è dello scrittore Primo Levi (1919-1987), sopravvissuto alla deportazione nel lager nazista di Auschwitz, che analizzò in un libro divenuto celebre, Se questo è un uomo, la terribile situazione psicologica dei prigionieri nei campi di sterminio.

portare con sé che un sacco da montagna e un po’ di denaro. Durante il viaggio gli tolgono anche quel po’ di roba. Le famiglie vengono divise, gli uomini di qua, le donne di là, i bambini da un’altra parte. Le donne, tornando da fare le spese, trovano la casa sigillata e la famiglia scomparsa. Anche gli olandesi cristiani hanno paura; i loro figli sono spediti in Germania, tutti vivono nell’angoscia. Non ci resta altro che aspettare tranquillamente, fin che si può, la fine di questa miseria. Aspettano gli ebrei e aspettano i cristiani, tutto il mondo aspetta, e molti aspettano la morte. A. Frank, Diario, 1947

Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine annientamento e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo. P. Levi, Se questo è un uomo, Torino 1958

Capitolo 15 Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

15.4 La fame La mancanza di cibo In Europa, durante l’occupazione nazista, le popolazioni furono soggette a gravi restrizioni alimentari. La produzione era diminuita per l’insufficienza della manodopera agricola (gli uomini erano in gran parte sotto le armi o precettati nelle fabbriche di materiale bellico). Gli approvvigionamenti dall’estero erano diventati impossibili perché la guerra aveva interrotto le principali comunicazioni. Inoltre, gran parte degli alimenti disponibili era riservata agli eserciti combattenti o requisita dai tedeschi per le esigenze di guerra. Le tessere alimentari Il pane, la carne, le uova e altri cibi erano razionati, cioè venivano distribuiti in quantità limitate, spesso in misura inferiore al fabbisogno. Ogni persona disponeva di una tessera annonaria, uno speciale documento che si doveva esibire nei negozi per l’acquisto degli alimenti. In Italia, la razione giornaliera di pane mediamente non superava i 100 grammi; scarse erano la carne e le uova; rarissimi i grassi animali e vegetali. Manuali di “cucina di guerra” appositamente diffusi dai governi insegnavano alle donne di casa come sfruttare ogni possibile risorsa, dalla buccia delle patate ai baccelli dei legumi, dalle briciole di pane alle croste di formaggio; come sostituire i prodotti mancanti con ingredienti sostitutivi; come “inventare” il caffè senza caffè o gli spinaci senza spinaci. L’Europa alla fame In quegli anni dunque avvenne che la ricerca del cibo diventò l’attività principale delle popolazioni. In certi paesi, specialmente dall’inverno del 1943, il disagio alimentare diventò insopportabile e dalla sottoalimentazione si passò alla fame, dalla fame all’inedia e alla morte. Ciò si verificò, per esempio, in Grecia, «dove – scrive uno storico – nella stessa Atene divenne sempre più frequente lo spettacolo di gente che moriva d’inedia per le strade». In pieno XX secolo, alle soglie dei primi voli sulla Luna, la guerra fece di nuovo comparire la morte per fame, una calamità che nei paesi sviluppati si credeva superata e vinta, dimenticata nel buio di età lontane. Guerra e fame a Leningrado Un caso-limite fu quello dell’assedio di Leningrado (oggi San Pietroburgo), durato ben 900 giorni, dal settembre 1941 al gennaio 1944. Accerchiata dalle truppe tedesche, che riuscirono a bloccare tutte le vie di rifornimento tranne un piccolo corridoio verso il lago Ladoga (che prese il nome di “strada della vita”), la città fu sot-

L’assedio di Leningrado, 1943

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale toposta a condizioni sanitarie e alimentari durissime, che costarono centinaia di migliaia di vittime (le stime ufficiali parlano di 1.250.000 tra morti e dispersi, un terzo della popolazione della città) in gran parte dovute alla fame. La cosa straordinaria fu che durante quei lunghissimi giorni gli abitanti di Leningrado – così come avevano fatto gli abitanti di Londra durante la battaglia d’Inghilterra – non vollero comunque rinunciare alla propria identità civile, alle abituali attività sociali e perfino culturali, per esempio tenendo aperti i teatri, i cinema, le sale da concerto. Fu durante l’assedio di Leningrado che il compositore Dimitrij Shostakovicˇ (1906-1975) compose la sua settima sinfonia, detta appunto Sinfonia di Leningrado, che fu eseguita la prima volta nell’estate del 1942.

Le vie della cittadinanza

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La Shoah e la persecuzione razziale

a persecuzione dei “diversi” è stata (ed è tuttora) praticata in molte società, ma il progetto hitleriano della “soluzione finale”, cioè lo sterminio totale del popolo ebraico, ne fu la manifestazione più delirante e, al tempo stesso, scientificamente organizzata. “Shoah” è il termine ebraico per indicare questo sterminio, conosciuto anche come “olocausto” (dal nome di una pratica religiosa, diffusa nell’antichità, che consisteva nel sacrificare una vittima mediante combustione completa). La tragedia della Shoah costò la vita a sei milioni di ebrei e sconvolse profondamente l’Europa e il mondo. Per questo motivo, a guerra conclusa, vari paesi formularono le loro nuove Costituzioni anche con l’obiettivo di evitare il ripetersi in futuro di fatti del genere. Con questa finalità fu steso l’articolo 3 della nostra Costituzione, che proclama la «pari dignità» di tutti i cittadini e il divieto di qualsiasi discriminazione «di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Le terribili esperienze del fascismo e del nazismo spinsero inoltre i Parlamenti dell’Europa Occidentale a darsi ulteriori strumenti di garanzia: nel 1948 l’Assemblea generale dell’ONU firmò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in cui si afferma (art. 2) che tutti «senza distinzioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, d’opinione politica e di qualsiasi altra opinione» possono valersi dei diritti e delle libertà proclamate nella Carta. Nel 1950 fu firmata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la base della cittadinanza europea che sancisce per via giuridica il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione «senza distinzione di alcuna specie, come di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione». In tutti que-

Sopravvissuti del campo di Buchenwald dopo la liberazione, aprile 1945

sti testi compare la parola «razza» ma sul piano scientifico si tratta di una forzatura, bisogna però tenere presente che solo oggi sappiamo che la razza umana è una sola e che, all’epoca, troppo forte era l’emozione dello sterminio nazista perché non si ribadisse la necessità di cancellare le discriminazioni «razziali». Alcuni storici, recentemente, hanno cercato di minimizzare la tragedia dei campi di sterminio e della persecuzione nazista contro gli ebrei. Per esempio, l’inglese David Irving (1938) è arrivato al punto di negare che la vicenda sia mai accaduta, e che la Shoah sia un’invenzione degli stessi ebrei. Questo è un esempio paradossale di manipolazione della storia: negare l’evidenza delle fonti, la memoria dei testimoni, le tracce documentarie conservate negli archivi, l’esistenza stessa di luoghi (i campi di concentramento e di sterminio) che tuttora costellano l’Europa, macabra testimonianza di un progetto disumano. Storici di tutto il mondo sono scesi in campo per svergognare Irving e

le sue assurde tesi. Il lavoro dello storico consiste infatti, in primo luogo, nel prendere atto delle tracce che la storia ci ha lasciato, nei documenti scritti, nelle immagini, negli oggetti, nelle parole dei testimoni. Tutte queste fonti si debbono interpretare e, poiché interpretazioni diverse sono sempre possibili, gli storici non cessano di discutere sul senso degli eventi. Ma una cosa non è consentito fare: cancellare quelle fonti dalla nostra memoria. È dunque benemerita l’iniziativa del Parlamento italiano che nell’anno 2000 ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, «giorno della memoria» in cui ricordare «la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

Capitolo 15 Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

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Combattimenti a Stalingrado, 1942-43 A Stalingrado i combattimenti tra gli eserciti schierati non risparmiarono alcuno. Si combatteva tra le macerie di una città ormai fantasma fino alla totale distruzione del nemico.

15.5 La battaglia di Stalingrado. Si invertono le sorti della guerra La controffensiva sovietica Nella seconda metà del 1942 la situazione bellica, fino ad allora favorevole ai tedeschi, incominciò a cambiare su tutti i principali fronti, in Russia, in Africa, nel Pacifico. Sul fronte russo, il punto di svolta fu la battaglia di Stalingrado (oggi Volgograd), una grande città sul fiume Volga, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, “luogo chiave” del sistema difensivo sovietico. Qui i russi, combattendo con grande accanimento, fermarono gli attacchi tedeschi, che da mesi tentavano di spezzare la resistenza della città, ridotta ormai a un cumulo di rovine. Poi i russi passarono alla controffensiva: un milione di uomini armati, protetti da un migliaio di aerei, affrontarono le linee tedesche e, con un’ampia manovra, le accerchiarono. La resa nazista Decine di migliaia di tedeschi continuarono a morire attorno a Stalingrado a causa della fanatica ostinazione di Hitler, che proibì la ritirata anche quando le forze germaniche non furono più in condizione di resistere all’attacco dei russi. Ciò è drammaticamente documentato nei messaggi che Hitler inviò al generale Friedrich Von Paulus (1940-43), che aveva chiesto l’autorizzazione ad arrendersi. Nel gennaio 1943 Hitler intimava: «Proibisco la resa. La sesta armata terrà le posizioni fino all’ultimo uomo e all’ultima cartuccia, e con la sua eroica resistenza darà un indimenticabile contributo alla costituzione di un fronte di difesa e alla salvezza del mondo occidentale». Drammatica la risposta che il 31 gennaio Von Paulus inviò a Hitler: «Fedele al suo giuramento e conscia dell’importanza del suo compito, la sesta armata ha tenuto le posizioni fino all’ultimo uomo e all’ultima cartuccia. Fino alla fine». Lo stesso comandante Von Paulus fu fatto prigioniero. Era la prima sconfitta sul campo delle truppe naziste; con essa finì il mito dell’invincibilità tedesca. La ritirata nazifascista dall’URSS Da quel momento le sorti della guerra in Russia si invertirono: l’iniziativa passò all’esercito sovietico e i tedeschi incominciarono a ritirarsi. Nel corso di questa ritirata trovò tragica fine il corpo di spedizione italiano, l’ARMIR (Armata italiana in Russia), 200.000 uomini che, durante una terribile marcia di 1800 km in pieno inverno, si ridussero a poche migliaia, uccisi dal freddo, dalla fame e dagli attacchi russi.

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale La ritirata nazifascista dall’Africa Anche sugli altri fronti le cose cambiarono rapidamente. In Africa settentrionale (Cirenaica) il corpo di spedizione tedesco, affiancato da contingenti italiani, dovette ripiegare sotto il massiccio attacco di truppe inglesi munite di 300 carri armati e di altro materiale bellico di fornitura americana (novembre 1942). Nel frattempo truppe da sbarco statunitensi, al comando del generale Dwight Eisenhower (1942-44), prendevano terra nell’Africa settentrionale francese e occupavano l’Algeria e il Marocco, costringendo gli eserciti tedesco e italiano ad abbandonare l’Africa. La sconfitta giapponese Nel Pacifico, importanti cambiamenti si verificarono a cominciare dal maggio-giugno 1942: i giapponesi, dopo essere avanzati pressoché indisturbati nel continente asiatico e negli arcipelaghi del Pacifico, furono fermati dalla controffensiva americana e dagli attacchi neozelandesi. La flotta statunitense inflisse ai giapponesi due pesanti sconfitte navali nel Mar dei Caraibi e presso le isole Midway. Intanto, corpi dell’esercito neozelandese occupavano la Nuova Guinea, bloccando sul nascere i progetti giapponesi di muovere verso l’Australia.

I luoghi della storia

Lungo la strada verso casa: morte bianca e umanità

Nel 1943, dopo la battaglia di Stalingrado, l’armata tedesca e il corpo di spedizione italiano in Russia voluto da Mussolini furono costretti a ritirarsi: dalle rive del fiu-

T

me Don iniziò in pieno inverno una marcia di 1800 km, che sterminò i soldati, uccisi dal freddo, dalla fame, dagli attacchi dei russi. La seguente testimonianza, ricava-

utti i giorni, specialmente sull’imbrunire, molti soldati impazzivano. Altri, senza una parola, abbandonavano la colonna, curvi, fissando attentamente la neve, come se cercassero un oggetto smarrito. Si fermavano un istante, davano ancora un’occhiata alla interminabile processione, poi si afflosciavano sul margine della strada. Restavano lì, rassegnati alla terribile morte bianca. Qualcuno cercava di

ta dai diari di chi visse quelle drammatiche giornate (Giancarlo Fusco), descrive le sofferenze dell’interminabile marcia nel freddo.

sottrarli alla loro sorte, incitandoli a proseguire, scuotendoli, tirandoli su. Facevano stancamente di no, con la testa. Fra le palpebre arrossate, appesantite, l’ultimo sguardo filtrava già duro, opaco, senza vedere, come quello dei morti. G. Fusco (1915-1984), scrittore e giornalista

La drammatica ritirata dell’ARMIR dalla Russia fu rievocata in uno dei romanzi più belli pubblicati dopo la fine della guerra, Il sergente nella neve, scritto da Mario Rigoni Stern (19212008), uno dei protagonisti di quella interminabile marcia. La pagina qui proposta rievoca un episodio di fraternità umana fra un gruppo di russi e un italiano, un momento di pace e di riposo nel fragore della guerra.

U

n altro giorno di cammino sulla neve. Le scarpe vanno in pezzi, le ginocchia mi dolgono. Mi sento che ho fame, e il sole sta per tramontare. Una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba1. Entro. Vi sono dei soldati russi, là. Sono armati. Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando intorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. – Minié khocetsia iestj2 – dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. I soldati russi mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. – Spaziba3 – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta4 – mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco. Così è successo questo fatto. M. Rigoni Stern, Il sergente della neve, Torino 1953 Ufficiale italiano in Russia, 1942-43

1 Una casa da contadini in legno. 2 In lingua russa ‘vorrei mangiare’.

3 Grazie. 4 Prego.

Capitolo 15 Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

Sintesi

Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

I tedeschi invadono l’Unione Sovietica Nel giugno del 1941 Hitler invase l’URSS, che fino ad allora era rimasta fuori dal conflitto. Questa decisione si basava sull’esigenza di espandere l’influenza tedesca sui territori a est, sulla volontà hitleriana di combattere il comunismo e sulla sottovalutazione del nemico. Inizialmente i tedeschi avanzarono velocemente, ma giunti nell’interno si dovettero scontrare con la tenace resistenza dell’esercito e della popolazione russa. Alla fine dell’anno l’avanzata tedesca si arrestò vicino a Mosca e Leningrado, anche per il freddo inverno. I giapponesi dichiarano guerra agli Stati Uniti In quello stesso periodo la guerra si estese ad Asia e Oceania. Il Giappone aveva occupato parte della Cina e intendeva estendere il proprio dominio sul Pacifico, scontrandosi con gli Stati Uniti, sia per la presenza della flotta americana su quell’area sia per il blocco dell’esportazione di materie prime verso il Giappone deciso da USA e Gran Bretagna. Il 7 dicembre 1941 i giapponesi attaccarono la flotta americana ormeggiata a Pearl Harbor, nelle Hawaii, distruggendola quasi totalmente e dichiararono guerra agli Stati Uniti, seguiti da Germania e Italia. Il coinvolgimento degli Stati Uniti, in realtà già deciso da Roosevelt in accordo con Churchill, fu decisivo per l’esito della guerra, in quanto mise a disposizione delle potenze antifasciste armi, mezzi e risorse in enorme quantità. Il Giappone

estese la propria influenza sui possessi coloniali europei e americani in Asia, perseguendo una politica imperialista presentata come liberazione dell’Asia dal colonialismo europeo. L’Europa sotto il tallone nazista: il “nuovo ordine” e i campi di sterminio Nel 1942 la Germania era al culmine della sua potenza e al centro del nuovo ordine europeo immaginato da Hitler, basato sulla distinzione di ruoli sociali tra i tedeschi, cui sarebbero stati affidati i lavori superiori, e i non tedeschi, destinati ai lavori manuali. Milioni di persone furono condotte in campi di lavoro forzato. Il razzismo nazista considerava molti di loro come sottouomini, da usare o sterminare con brutalità. Pratiche di sterminio furono operate prima a danno dei prigionieri di guerra russi, poi degli ebrei, nei confronti dei quali fu attuata la “soluzione finale”, un piano che prevedeva il loro definitivo sterminio. Nelle grandi città essi erano rinchiusi nei ghetti e spesso morivano di fame e stenti. Gli altri erano deportati nei campi di concentramento e poi nei campi di sterminio, dove erano bruciati nei forni crematori. L’annientamento di massa riguardò anche altre minoranze: oppositori politici, omosessuali, zingari, testimoni di Geova, malati. Nel corso della guerra furono eliminati tra 5 e 6 milioni di ebrei. La fame Durante l’occupazione nazista, in Europa si ebbero notevoli restrizio-

ni alimentari, causate dalla diminuzione della produzione, dall’impossibilità di approvvigionamento esterno, dal fatto che gran parte degli alimenti disponibili erano riservati agli eserciti o requisiti dai tedeschi. I cibi erano razionati e se ne poteva distribuire solo un quantitativo limitato, acquistabile usando la tessera annonaria. A partire dall’inverno del 1943, la ricerca di cibo in alcune zone divenne sempre più difficile e spesso le persone morivano per fame e inedia. Durante l’assedio di Leningrado circa un terzo della popolazione morì di fame. La battaglia di Stalingrado. Si invertono le sorti della guerra Nella seconda metà del 1942, la situazione bellica cambiò su tutti i principali fronti. In Russia, a Stalingrado i tedeschi furono fermati e poi accerchiati dall’esercito russo; Hitler vietò la ritirata e i russi li annientarono. Era la prima sconfitta subìta sul campo di battaglia dall’esercito nazista. Dopo di essa le sorti del conflitto si invertirono: l’esercito tedesco si ritirò. Nel corso della ritirata le truppe italiane inviate in Russia furono sterminate dal freddo e dai nemici. In Africa, il corpo di spedizione tedesco fu costretto a ripiegare; sbarcarono le truppe statunitensi, che occuparono Algeria e Marocco. Gli eserciti tedesco e italiano abbandonarono l’Africa. In Asia, l’espansione giapponese fu frenata dagli attacchi americani e neozelandesi.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

e. Hitler acconsentì alla ritirata da Stalingrado quando l’esercito non era più in grado di resistere.

V

F

a. I russi erano considerati da Hitler “sottouomini” senza distinzione tra civili e militari.

V

F

b. Nel ghetto di Varsavia perirono in poco tempo 40.000 ebrei.

f. Il blocco all’esportazione di materie prime verso il Giappone fu ideato dagli Stati Uniti.

V

F

V

F

c. Stalin temeva che Hitler avrebbe attaccato la Russia prima di aver sconfitto la Gran Bretagna.

g. La Carta atlantica fu firmata dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor.

V

F

V

F

d. L’esercito neozelandese bloccò il progetto di espansione giapponese verso l’Australia.

h. I nazisti adottarono pratiche di sterminio verso i prigionieri di guerra russi.

V

F

V

F

i. La tessera annonaria doveva essere esibita nei negozi per acquistare alimenti.

V

F

215

216

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

l. In Italia non furono costruiti campi di concentramento. V

F

m. La resistenza russa fu sostenuta da reparti armati di operai e dalla popolazione civile.

o. Olandesi, danesi e boemi erano considerati dai nazisti una razza assimilabile a quella tedesca.

V

F

V

F

n. Dopo Pearl Harbor, anche la Germania entrò in guerra a fianco del Giappone.

F

V

F

p. Lo slogan «l’Asia agli asiatici» era usato dal Giappone V per giustificare l’espansione coloniale. V q. Hitler aveva timore e stima per l’esercito russo.

2. Associa le seguenti date all’evento corrispondente.

F

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo (più nomi del primo gruppo possono riferirsi allo stesso termine del secondo).

22/6/1941

Carta atlantica

agosto 1941

controffensiva americana nel Pacifico

settembre 1941

inizio dell’assedio di Leningrado

7/12/1941

sconfitta italo-tedesca in Cirenaica

giugno 1942

la flotta americana è attaccata dai giapponesi a Pearl Harbor

novembre 1942

fine della battaglia di Stalingrado

gennaio 1943

la Germania attacca l’Unione Sovietica

gennaio 1944

fine dell’assedio di Leningrado

Heinrich Himmler

Sinfonia di Leningrado

Dwight Eisenhower

Carta atlantica

Dimitrij Shostakovicˇ

Stalingrado

Winston Churchill

Africa settentrionale francese

Franklin Delano Roosevelt

capo delle SS

Friedrich Von Paulus

4. Completa la seguente mappa concettuale inserendo le informazioni mancanti. acquisto • alimenti • tessera annonaria • approvvigionamento • comunicazione • diminuzione • esercito • guerra • impossibilità • inedia • insufficienza • interruzione • manodopera • manuali • morte • occupazione • razionamento • requisizione • restrizioni • sottoalimentazione

GUERRA E FAME Fino al 1942 l’Europa fu sotto ....................................... della Germania nazista • ........................................... alimentari

• ............................................... di .............................................. • ............................... delle vie di ...........................................

• .............................................................. della produzione • ................................. della .................................. agricola

• ..................................... riservati all’.................................... • ....................................... a opera dei soldati tedeschi

• ..................................... dei cibi (pane, carne, uova) • Consegna della ..........................................................: necessaria per ................................................... di cibi •.................................. di cucina di ...................................

Dal 1943: ...........................; fame; .................................; .................................................. (Grecia, Leningrado)

Capitolo 15 Il mondo in guerra. URSS, USA e Giappone nel conflitto

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando e come avvenne l’ingresso in guerra del Giappone? 2. Quali furono le cause dell’intervento in guerra del Giappone? 3. Quali furono gli episodi salienti della guerra in cui fu coinvolto il Giappone nel 1941?

4. Quali furono gli episodi salienti della guerra in cui fu coinvolto il Giappone nel 1942? 5. Quali territori ottenne il Giappone tra 1941 e 1942? Ai danni di chi? 6. Quali furono le conseguenze dell’intervento giapponese nel conflitto?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

IL GIAPPONE IN GUERRA

CAUSE

EPISODI SALIENTI

CONSEGUENZE

1941

1942

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6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando iniziò la guerra in Russia? A opera di chi? Per quale motivo? 2. Quale era il progetto di Hitler? Su quali considerazioni si reggeva? 3. Quale era la considerazione che Hitler aveva dei russi?

4. Quali furono gli episodi salienti della campagna di Russia? 5. Che cosa accadde alla fine del 1941? Che cosa accadde nel gennaio 1943? 6. Quale fu l’episodio determinante per l’esito del conflitto? Per quale motivo? 7. Quali furono le conseguenze del conflitto?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA CAMPAGNA DI RUSSIA QUANDO INIZIA PERCHÉ INIZIA CHI ATTACCA

................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................................

EPISODI SALIENTI

................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................................

CONSEGUENZE

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

7. Leggi il documento “Lungo la strada verso casa: morte bianca e umanità” a p. 214 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4.

Che cos’era l’ARMIR? Da quanti uomini era composta? Quanti ne tornarono? Quando incominciò la ritirata? Quali furono le ragioni della tragedia? Che cosa contiene il primo documento? Quale episodio è descritto nel documento? Che cosa contiene il secondo documento? Quale episodio è descritto nel documento?

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di massimo dieci righe dal titolo “La ritirata di Russia: cause, aspetti, conseguenze”.

8. Verso il saggio breve Leggi il documento “Nei campi di sterminio della Germania nazista” a p. 210 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il primo documento? Quale esperimento racconta? Quale reazioni dei prigionieri sono raccontate? Con quale tono è svolto il racconto? 2. Che cosa contiene il secondo documento? Chi è portato via? Come è organizzata la deportazione? Quali sono i sentimenti prevalenti? Come sono affrontati i pericoli? 3. Che cosa contiene il terzo documento? Quale paragone vi si trova? Quale è la conseguenza delle privazioni? A che proposito si parla di “annientamento”? Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 212 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

Che cosa distingue la soluzione finale hitleriana dalle altre persecuzioni praticate nella storia? Quali termini sono utilizzati per indicare la persecuzione subita dagli ebrei? Quali furono le conseguenze della persecuzione razziale? Che cosa proclama l’art.3 della Costituzione italiana? Per quale scopo è stato approvato? Che cosa fu approvato nel 1948? Da chi? Che cosa vi è affermato? Che cosa fu firmato nel 1950? Che cosa vi è stabilito? Che cosa hanno cercato di fare alcuni storici recentemente? Quale deve essere il metodo dello storico? Che cosa non si deve fare? Per quale motivo? Che cosa è stato decretato dal Parlamento italiano nel 2000?

Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna. 1. 2. 3. 4. 5.

Che cosa era la “soluzione finale”? A che cosa mirava? Che cosa erano i ghetti? Dove furono istituiti? Con quali conseguenze? Che cosa erano i campi di concentramento? A che scopo furono utilizzati? Che cosa erano i campi di sterminio? A che scopo furono utilizzati? Quali minoranze furono perseguitate dai nazisti?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un saggio di almeno 12 righe dal titolo “Le persecuzioni razziali nella Germania nazista”.

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

16 La fine della guerra

Capitolo

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Percorso breve Mentre i tedeschi si ritiravano dalla Russia e i giapponesi subivano la controffensiva statunitense, gli anglo-americani attaccarono l’Italia. Il 10 luglio 1943 sbarcarono in Sicilia. I bombardamenti sulle città italiane e le dimostrazioni di protesta che attraversavano il paese convinsero il Gran Consiglio del fascismo a sfiduciare Mussolini (24 luglio 1943); il re lo fece arrestare e nominò capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio, che firmò con gli anglo-americani un armistizio segreto, reso pubblico l’8 settembre. Per alcune settimane l’esercito italiano fu abbandonato a sé stesso, non sapendo se continuare a combattere con i tedeschi, o schierarsi contro di loro, o abbandonare le armi. Solo il 13 ottobre fu ufficialmente dichiarata guerra alla Germania e Hitler ordinò di occupare l’Italia, mentre gli anglo-americani risalivano la penisola. Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, fu liberato dai tedeschi e restaurò lo Stato fascista ponendo la capitale a Salò sul lago di Garda. L’Italia era divisa in due, con due governi che combattevano su fronti opposti. A ciò si aggiungevano gli scontri fra tedeschi e partigiani, ossia gli antifascisti in lotta per la liberazione del paese) e quelli fra partigiani e fascisti. Nel 1944 la guerra entrò nella fase risolutiva. I tedeschi furono attaccati dai russi a est e dagli anglo-americani (sbarcati in Normandia) a ovest. Liberata la Francia, questi avanzarono in territorio tedesco, con bombardamenti a tappeto sulle principali città. Sul fronte italiano gli anglo-americani, sostenuti dalla guerriglia partigiana, nel marzo-aprile 1945 liberarono tutto il nord. I tedeschi si arresero, il governo di Salò si sciolse, Mussolini fuggì ma fu catturato e condannato a morte. Negli stessi giorni Berlino fu presa dai russi e Hitler si suicidò (30 aprile). Restava in armi il Giappone, che fu stroncato da un’arma micidiale, la bomba atomica, sperimentata dagli americani sulle città di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto). La resa del Giappone segnò la fine della guerra, la più catastrofica di tutti i tempi: le vittime furono 50 milioni, militari e civili (per la prima volta, anche questi furono sistematicamente coinvolti nelle distruzioni belliche).

Il fungo atomico di Nagasaki, 9 agosto 1945

I capi del nazismo furono processati a Norimberga (novembre 1945-ottobre1946), i giapponesi a Tokyo nel 1946-48. Le conferenze di pace (1948) stabilirono il disarmo totale della Germania e la sua divisione in due Stati, uno sotto il controllo delle potenze occidentali, l’altro dei sovietici. L’URSS ebbe ingrandimenti territoriali in tutte le direzioni. La Polonia fu allargata a spese della Germania. Il Giappone fu privato di tutti i territori conquistati. L’Italia cedette alla Jugoslavia l’Istria, Fiume e Zara e perdette i possessi coloniali. Nel 1948 fu decisa la costituzione in Palestina dello Stato di Israele, per dare una patria agli ebrei scampati agli eccidi nazisti.

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

16.1 Italia 1943: l’illusione di un armistizio Lo sbarco degli Alleati in Sicilia Mentre i russi costringevano i tedeschi alla ritirata [ 15.5], gli anglo-americani, partendo dalle basi africane, attaccarono l’Italia. Il 10 luglio 1943 una grossa flotta di navi statunitensi e inglesi, al comando del generale Eisenhower, sbarcò uomini e mezzi sulla costa sud-occidentale della Sicilia e in poco più di un mese occupò l’isola, grazie anche al favore della popolazione locale, che accolse le truppe sbarcate non come nemici ma come liberatori. Questo comportamento fu un chiaro segno dello stato d’animo di insofferenza e di distacco che ormai si era formata tra gli italiani e il regime fascista. Altre significative dimostrazioni si erano avute qualche mese prima, in marzo, con gli scioperi organizzati a Genova, Torino, Milano, Napoli e in altre città, per protestare contro il governo, la mancanza di viveri, i disagi provocati dai bombardamenti degli aerei anglo-americani sulle città italiane. L’arresto di Mussolini Di fronte al pericolo di una disfatta militare che si prospettava imminente, e al maturare di un’opposizione popolare antifascista, i maggiori esponenti del fascismo ritennero indispensabile un cambio di rotta. Il 24 luglio 1943 gli alti gerarchi del partito riunirono il Gran Consiglio del fascismo – massimo organo del regime – e nel corso di un’accesa discussione si dichiararono in maggioranza contrari alla politica di Mussolini, votando un ordine del giorno proposto da Dino Grandi, presidente dal 1939 al 1943 della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (l’organo che aveva sostituito la Camera dei deputati), che invitava il re Vittorio Emanuele III a riassumere le sue funzioni di comandante supremo delle forze armate; di fatto ciò significava una mozione di sfiducia contro Mussolini. Il giorno dopo il re fece arrestare Mussolini e nominò Capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio (1943-44), un militare piemontese che aveva guidato le campagne contro l’Etiopia e la Grecia. L’armistizio con gli anglo-americani Il nuovo governo avviò subito trattative segrete con gli anglo-americani per far cessare la guerra: un armistizio fu firmato a Cassibile in Sicilia il 3 settembre e reso pubblico l’8 settembre 1943. Gli italiani, informati dalla radio durante la notte, affollarono il mattino seguente le piazze con scene di entusiasmo: il governo fascista aveva cessato di esistere. Si diffuse una generale convinzione che la fine della dittatura avrebbe portato a una rapida fine della guerra e delle sofferenze del paese. Ma non fu così. Gruppo in festa, 1943 La foto immortala un gruppo di italiani in festa durante la giornata del 25 luglio 1943 quando il re ordinò l’arresto di Benito Mussolini. L’esultanza italiana, però, durò ben poco e già sul finire dello stesso 1943 le truppe tedesche occuparono gran parte dell’Italia.

Capitolo 16 La fine della guerra

16.2 Hitler invade l’Italia I caduti di Cefalonia L’armistizio fu seguito da un periodo tra i più drammatici della storia d’Italia. L’esercito italiano per alcuni mesi rimase abbandonato a sé stesso ma, seppure nell’incertezza generale, fu protagonista di importanti episodi di resistenza al regime nazista, come quello tristemente celebre accaduto nel settembre del 1943 alla Divisione Acqui di stanza nell’isola greca di Cefalonia, dove quasi tutto il reparto militare fu massacrato dalle forze tedesche presenti sul territorio. L’ordine di Hitler fu di non fare prigionieri italiani, visto il «comportamento insolente» adottato dall’Italia nei confronti della Germania. Tra soldati semplici, ufficiali, medici e cappellani furono massacrati 9500 italiani. L’occupazione nazista Il 13 ottobre Badoglio dichiarò ufficialmente guerra alla Germania. Hitler, infuriato contro gli italiani che si stavano schierando a fianco degli avversari, fece occupare la penisola dalle Alpi fino a Napoli, deciso a contrastare l’avanzata degli anglo-americani, che, dopo avere occupato la Sicilia, erano sbarcati in Calabria e in Puglia e avevano cominciato a risalire la penisola. Alla fine di settembre gli Alleati entrarono a Napoli, già liberata da un’insurrezione popolare che, in quattro giorni di lotta (27-30 settembre), aveva costretto i tedeschi ad abbandonare la città: Napoli fu la prima città in Europa a liberarsi dai nazisti. La difesa tedesca si attestò fino alla primavera successiva lungo una linea (detta linea Gustav) che andava da Gaeta a Pescara e aveva il suo punto nodale nella zona di Cassino. Mussolini a Salò Quasi negli stessi giorni, per ordine di Hitler, un gruppo di paracadutisti dell’esercito tedesco scese sul Gran Sasso d’Italia, nell’Appennino abruzzese, e liberò Mussolini che si trovava prigioniero in quella località. Il Duce, trasferito su un aereo in Germania, si incontrò con Hitler e poi, tornato in Italia, restaurò lo Stato fascista, insediandolo a Salò, sul lago di Garda, con il nome di Repubblica sociale italiana. L’Italia divisa in due A quel punto l’Italia si trovò divisa in due: il centro-nord nominalmente affidato a Mussolini, ma di fatto controllato dai tedeschi; il sud governato da Badoglio sotto la protezione degli Alleati, con un governo che operava a Brindisi, poi trasferitosi a Salerno. I due eserciti si combatterono per quasi due anni, dal luglio 1943 all’aprile 1945, disseminando la penisola di distruzioni e di lutti. In questo modo – commentava amaramente lo storico Luigi Salvatorelli (1886-1974)– «si chiudeva il ventennio fascista, con un disastro che faceva ricordare i secoli più sciagurati dell’Italia, divisa e soggetta agli stranieri». Dal settembre 1943 incominciò il calvario degli italiani. Affiancate dai militari fascisti delle Brigate Nere, le SS misero in atto anche nel nostro paese il programma nazista già applicato nelle altre nazioni assoggettate dai tedeschi: rastrellamenti di uomini da far lavorare per la Germania (si è calcolato che superarono le 600.000 unità), uccisione degli oppositori, deportazione e sterminio degli ebrei. Soltanto a Roma i tedeschi in poche ore catturarono duemila ebrei, che furono avviati ai campi di sterminio in Germania.

16.3 La Resistenza Forze europee antinaziste Dal 1943 incominciò a manifestarsi la lotta delle popolazioni europee contro i nazisti che avevano invaso i loro paesi. La Resistenza (così fu chiamata questa lotta) assunse varie forme: da quella più semplice della non collaborazione a quella dell’ostilità aperta, dal sabotaggio dei trasporti alla guerriglia armata. In Norvegia, in Grecia, in Russia, in Francia, in Jugoslavia, in Polonia, in tutti i paesi soggetti ai tedeschi sorse tra le popolazioni un movimento di rivolta contro gli oppressori.

Paracadutisti tedeschi liberano Benito Mussolini, 1943

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

Una partigiana in montagna Donne e ragazzi parteciparono attivamente alla lotta di liberazione, combattendo direttamente sul campo o dietro le quinte. A loro fu affidato il compito di fare da informatori, di svolgere le fondamentali operazioni di collegamento (trasportando armi ed esplosivo, messaggi e disposizioni del Comitato di liberazione nazionale alle formazioni partigiane), di nascondere e curare i feriti, di organizzare alloggi clandestini e luoghi di incontro per i capi militari e politici, di scrivere, comporre e distribuire la stampa clandestina.

Forze italiane anti-fasciste In Italia la Resistenza si sviluppò nelle regioni occupate dalle forze tedesche, dove nacquero numerose formazioni armate, calcolate in 30.000 nel gennaio 1944, in 70.000 sei mesi dopo. Questi gruppi combattenti operarono dapprima in forma autonoma, poi si organizzarono in base all’orientamento politico prevalente fra i loro membri: le Brigate Garibaldi, le più numerose, erano formate in maggioranza da comunisti; i gruppi Giustizia e Libertà si ispiravano all’omonimo movimento liberaldemocratico costituito negli anni Trenta dai fratelli Rosselli; le Brigate Matteotti erano legate ai socialisti; vi erano poi formazioni cattoliche, liberali e perfino monarchiche. Il CLN Le azioni delle brigate e dei gruppi antifascisti a un certo punto furono coordinate da un centro unico, chiamato Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), costituito dai rappresentanti dei partiti politici antifascisti che si erano costituiti dopo la caduta di Mussolini: la Democrazia cristiana (nata sul tronco del vecchio Partito popolare), il Partito comunista, i socialisti, i repubblicani, i liberali, il Partito d’azione (una nuova formazione a carattere radicale e socialista moderato, di orientamento repubblicano). Il CLN si presentava come rappresentante dell’Italia democratica in contrapposizione al fascismo, ma per diversi mesi fu il governo Badoglio il solo a essere riconosciuto come controparte dagli alleati anglo-americani. Le brigate partigiane I partigiani – così furono chiamati i combattenti per la libertà – avevano come unità di base il “distaccamento”, che poteva includere fino a 50 uomini. Tre distaccamenti formavano un “battaglione” e tre battaglioni una “brigata”, che raramente superava i 350 uomini (in certi casi soltanto un centinaio). L’unità operativa era la “divisione”, composta di due o tre brigate. L’unità più piccola dei partigiani era la “squadra”, formata da 3-6 uomini. Stragi nazifasciste I partigiani subirono vaste azioni di rastrellamento da parte dei tedeschi; a queste si accompagnarono spietate rappresaglie contro le popolazioni civili. Tragicamente note, per le dimensioni del massacro, le stragi di Marzabotto, nell’Appennino emiliano, dove nel settembre 1944 i nazisti uccisero la quasi totalità della popolazione (si contarono 770 vittime); di Boves in Piemonte, dove i tedeschi spararono sulla popolazione inerme lasciando decine di vittime e 350 case incendiate; di Roma, dove, in risposta a un attentato contro una colonna tedesca in marcia, in cui avevano trovato la morte 33

Aa Documenti Lettere di un condannato a morte Queste due brevissime lettere furono scritte da Giordano Cavestro, nome in codice “Mirko”, uno studente di Parma di 18 anni, antifascista, catturato dai tedeschi il 7 aprile 1944 e condannato a morte. Fu fucilato il 4 maggio dello stesso anno. Cari compagni, ora tocca a noi. Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria dell’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.

Cara mamma e cari tutti, purtroppo il Destino ha scelto me ed altri disgraziati per sfogare la rabbia fascista. Non preoccupatevi tanto e rassegnatevi al più presto della mia perdita. Io sono calmo. Vostro Giordano da Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Torino 1973

Capitolo 16 La fine della guerra

223

militari, furono fucilati 335 civili e militari “badogliani” nella località detta Fosse Ardeatine (in una proporzione “aritmetica” di 10 a 1, con 5 in più aggiunti per errore).

Resistenza contadina Nella Resistenza italiana è stata notata una particolarità di grande significato nella storia sociale della nazione: la partecipazione dei contadini alla lotta contro il nazifascismo. Nella precedente storia nazionale, a cominciare dall’età del Risorgimento, il ceto rurale si era sempre tenuto fuori dai grandi movimenti politici, o vi aveva partecipato in modo marginale. Per la prima volta, invece, attraverso la Resistenza e la lotta contro tedeschi e fascisti, i contadini si trovarono ad agire da protagonisti in un grande movimento democratico e popolare. Le perdite della Resistenza italiana sono state calcolate in 20.000 uomini uccisi in combattimento, circa altrettanti fucilati o impiccati.

16.4 La Germania assediata L’offensiva russa La guerra entrò nella sua fase risolutiva durante il 1944. Nella primavera-estate di quell’anno i tedeschi furono attaccati contemporaneamente dai russi a est e dagli anglo-americani a ovest, secondo un piano preventivamente concordato. I russi, che dopo la vittoria di Stalingrado avevano continuato a incalzare gli avversari, sferrarono una serie di violente offensive: occuparono la Bulgaria e la Romania e, attraverso la Polonia, penetrarono in territorio tedesco, fino a un centinaio di chilometri da Berlino. Lo sbarco in Normandia Nello stesso tempo gli anglo-americani fecero sbarcare nel nord della Francia, sulle coste della Normandia, un imponente corpo di spedizione al comando del generale Eisenhower (6 giugno 1944). Più di un milione di uomini, trasportati da 1200 navi da guerra, con migliaia di carri armati e di aerei, riuscirono – grazie anche all’apporto della Resistenza francese – a spezzare le difese tedesche. Parigi insorse, e il generale De Gaulle, animatore della Resistenza, rifugiatosi a Londra durante l’occupazione tedesca [ 14.4], poté prenderne possesso. Liberata l’intera Francia, gli anglo-americani si spinsero in territorio tedesco; intanto sul fronte orientale l’armata russa, con l’apporto delle forze della Resistenza locale, liberò la Jugoslavia, mentre la Grecia veniva occupata dalle forze britanniche. La Germania era assediata da ogni parte.

Impiccagione di una donna in Italia settentrionale [Bundesarchiv, Coblenza]

Le rappresaglie nazifasciste contro la popolazione furono terribili e non risparmiarono nessuno.

Lo sbarco degli Alleati in Normandia, 1944 L’operazione Overlord (in inglese, ‘signore supremo’) colse impreparate le truppe tedesche: la maggior parte delle loro divisioni era infatti impegnata sul fronte russo e persino il loro comandante, Rommel, era assente.

224

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale Hitler accerchiato Il successo dello sbarco anglo-americano in Francia, l’avanzata dei sovietici e il delinearsi di una sconfitta tedesca provocarono un profondo turbamento in Germania, tanto che un gruppo di alti ufficiali dell’esercito, convinti che il regime nazista stesse portando il paese alla rovina, ordì una congiura per uccidere Hitler. Ma l’attentato fallì e Hitler procedette a una spietata repressione contro i congiurati. Gli attacchi degli Alleati contro la Germania si intensificarono, furono presi di mira sia gli obiettivi militari sia quelli civili (secondo le direttive della guerra totale, ormai condivise anche dalle forze armate britanniche che erano state inizialmente contrarie). Berlino, Essen, Colonia subirono tutte gli attacchi aerei nemici. Amburgo fu bombardata con ordigni che contenevano liquido infiammabile, che trasformò in forni crematori i rifugi antiaerei in cui la popolazione si nascondeva: le vittime furono 40.000. Dresda fu rasa al suolo e in soli due giorni morirono circa 25.000 civili sotto i bombardamenti.

I luoghi della storia

Le zone di influenza in Europa

Nell’ottobre 1944 il capo del governo inglese, Winston Churchill, si incontrò con Stalin a Mosca. La guerra stava volgendo al termine. Le truppe russe erano già entrate in Polonia, Romania, Bulgaria e si avvicinavano a Berlino. Gli angloamericani avevano oltrepassato il Reno, la Germania era sul punto di crollare. Nell’incontro con Stalin, Churchill voleva

prendere accordi precisi per fissare alcune zone di influenza reciproca in Europa, quella dell’Unione Sovietica e quella degli alleati anglo-americani. Le decisioni, che interessarono soprattutto l’area balcanica, furono poi riconfermate in un successivo incontro fra Churchill, Stalin e il presidente americano Roosevelt, tenutosi a Yalta (Crimea) nel febbraio 1945.

A

tterrammo a Mosca il pomeriggio del 9 ottobre e fummo ricevuti molto cordialmente e con solenne cerimoniale da Molotov1 e da parecchie alte personalità russe. [...] Alle dieci di sera di quello stesso giorno ebbe luogo la prima riunione importante al Cremlino: erano presenti soltanto Stalin, Molotov, Eden2, e io, oltre agli interpreti [...]. Il momento era favorevole per trattare; perciò io dissi: «Sistemiamo le nostre faccende nei Balcani. I vostri eserciti si trovano in Romania e in Bulgaria, dove noi abbiamo interessi, missioni e agenti. Non procediamo a offerte e controfferte stiracchiate. Per quanto riguarda la Gran Bretagna e la Russia, che ne direste se aveste una maggioranza del 90% in Romania e noi una percentuale analoga in Grecia e partecipassimo invece su piede di perfetta parità in Jugoslavia?». Mentre si procedeva alla traduzione, trascrissi ciò su mezzo foglio di carta: Romania: Russia 90%; gli altri 10% Grecia: Gran Bretagna (d’intesa con gli Stati Uniti) 90%; Russia 10% Jugoslavia: 50-50% Ungheria: 50-50% Bulgaria: Russia 75%; gli altri 25%. Passai il foglietto attraverso il tavolo a Stalin, che nel frattempo aveva udito la traduzione. Ci fu una piccola pausa. Poi prese la sua matita blu e con essa tracciò un grosso segno di «visto» sul foglio, che quindi ci 1 Commissario agli Esteri dal 1939 al 1949, stretto collaboratore di Stalin. 2 Ministro degli Esteri britannico.

Churchill, Roosevelt e Stalin alla conferenza di Yalta, 1945 I tre “grandi” alla conferenza di Yalta (febbraio 1945): da sinistra, Churchill, Roosevelt e Stalin.

Tali accordi furono raccontati da Churchill nelle sue Memorie, di cui presentiamo un brano fra i più significativi. È da tenere presente che poi, in pratica, non fu la Gran Bretagna a esercitare un ruolo di egemonia sull’Europa Occidentale; tale posizione passò infatti alla potenza più forte, gli Stati Uniti.

restituì. La faccenda fu così completamente sistemata in men che non si dica. Naturalmente noi avevamo in precedenza esaminato a lungo e con estrema attenzione la proposta; d’altro canto, si trattava soltanto di accordi che dovevano servire immediatamente, finché durava la guerra. Entrambe le parti riservarono tutte le questioni di maggiore importanza per quella che noi speravamo sarebbe stata la conferenza della pace a guerra finita. Seguì un lungo silenzio. Il foglio segnato a matita era lì al centro della tavola. Finalmente io dissi: «Non saremo considerati cinici per il fatto che abbiamo deciso questioni così gravide di conseguenze per milioni di uomini in maniera così improvvisata? Bruciamo il foglio». «No, conservatelo voi» disse Stalin. E così feci. W. Churchill, La Seconda guerra mondiale, vol. XI, L’onda della vittoria, Milano 1970, pp. 261-263

Capitolo 16 La fine della guerra

16.5 La liberazione dell’Italia Un governo antifascista Verso la metà del 1944 anche il fronte italiano cominciò a muoversi. Il governo Badoglio, trasferitosi da Brindisi a Salerno, si dimise lasciando il posto a Ivanoe Bonomi (1944-45), un politico di orientamento socialista già presidente del CLN, che chiamò a far parte del nuovo governo i rappresentanti dei partiti antifascisti e della Resistenza (ciò accadde dopo la cosiddetta “svolta di Salerno”, voluta dal leader comunista Palmiro Togliatti, tornato in Italia dopo un esilio ventennale in Unione Sovietica, il quale propose al CLN di accantonare le pregiudiziali contro il re e di raccogliere tutte le energie della nazione nella lotta al fascismo). Il re, sotto la pressione dei partitiISLAND che Achiedevano la sua abdicazione, nominò il figlio Umberto luogotenente del Regno. La Seconda guerra mondiale, 1942-45

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226

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale Vittoria a Berlino, 1945 Nell’aprile del 1945 le truppe russe e americane entrano a Berlino e la conquistano. In questa foto è rappresentata la felicità dei soldati che, incontratisi, improvvisano una danza liberatrice.

L’avanzata degli Alleati Nel frattempo gli anglo-americani continuavano l’avanzata verso nord; dopo essere entrati a Roma, presero Firenze e durante l’inverno si attestarono nell’Appennino tosco-romagnolo, lungo la cosiddetta “linea gotica” fra Rimini e La Spezia. Nel marzo-aprile 1945 fu sferrato l’attacco decisivo per la conquista della regione padana. Il Comitato di Liberazione Nazionale ordinò l’insurrezione generale e l’occupazione delle principali città. Il 25 aprile i tedeschi furono cacciati da Milano e da Torino, e questa data è ancora oggi celebrata come anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Il crollo del fascismo Incalzati da ogni parte, i tedeschi si ritirarono verso l’Austria. Il loro crollo segnò anche la fine del governo fascista di Salò che, abbandonato a sé stesso, si dissolse in poche ore. Mussolini e altri capi del fascismo tentarono di mettersi in salvo fuggendo oltre confine, ma furono riconosciuti e catturati da un gruppo di partigiani sulla strada di Dongo, presso Como. Mussolini vestiva una divisa tedesca. La fine di Mussolini e di Hitler Condannato a morte dal Comitato di Liberazione Nazionale, Mussolini fu fucilato il 28 aprile a Mezzegra, sul lago di Como. Il suo corpo fu esposto, impiccato per i piedi, a piazzale Loreto a Milano. Il 2 maggio 1945 le ultime forze tedesche ancora presenti in Italia firmarono la resa. Da quel momento la guerra in Italia poté dirsi terminata, e gli Alleati non tardarono a riconoscere il fondamentale contributo dato dai partigiani all’esito del conflitto: «Senza le vittorie partigiane – si legge in un rapporto segreto del colonnello Hewitt al Comando americano – non vi sarebbe stata in Italia una vittoria alleata così rapida, così schiacciante e così a poco prezzo». Quasi negli stessi giorni Berlino fu conquistata dai russi e così pure Vienna: era la fine per la Germania nazista. Il 30 aprile Hitler si suicidò. Il 7 maggio fu firmata dall’ammiraglio Doenitz la resa incondizionata dell’esercito tedesco.

16.6 La bomba atomica e la resa del Giappone La guerra contro il Giappone La guerra in Europa era finita; restava in armi il Giappone, che, pur avendo subìto gravi sconfitte, disponeva ancora di un forte esercito e di molte risorse. Tra il 1944 e il 1945 gli americani avevano riconquistato gran parte dei territori oceanici occupati dai giapponesi, come Saipan nelle Marianne, molte isole della Nuova Guinea, le Filippine. L’arcipelago giapponese fu direttamente investito nell’aprile 1945 con l’attacco a Okinawa, che venne conquistata a metà giugno dopo una

Capitolo 16 La fine della guerra terribile battaglia che costò 100.000 morti al Giappone e 7000 agli Stati Uniti. In quello scontro i giapponesi impiegarono anche gruppi di aviatori suicidi, i kamikaze, che si gettavano sulle navi avversarie con gli aerei carichi di esplosivo.

L’orrore di Hiroshima e Nagasaki Di fronte alla superiorità americana di armi, navi, aerei, la sconfitta del Giappone appariva inevitabile, ma non prevedibile in termini di tempo e di costi umani. In queste circostanze, il presidente degli Stati Uniti Harry Truman (1945-53), succeduto a Roosevelt che era morto nell’aprile 1945, decise di usare un’arma nuova e micidiale, la bomba a fissione nucleare o bomba atomica, appena messa a punto nel Nord America da una équipe internazionale di scienziati (tra i quali il fisico italiano Enrico Fermi oltre a scienziati inglesi e canadesi). Gli americani furono i primi a mettere a punto questo nuovo micidiale strumento di morte ma vi era il timore, poi rivelatosi infondato, che gli stessi tedeschi stessero per procurarsela. Il 6 agosto 1945 un aereo sganciò una bomba atomica sulla città giapponese di Hiroshima: in pochi secondi la città fu quasi totalmente distrutta e centinaia di migliaia di persone rimasero uccise. Una seconda bomba atomica distrusse Nagasaki tre giorni dopo (9 agosto 1945). Negli stessi giorni l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone e, secondo accordi presi con gli Alleati, invase la Manciuria e la Corea, soggette ai giapponesi. Schiacciato dalla catastrofe, il Giappone firmò la resa (1° settembre 1945). In questo modo ebbe termine la più micidiale e sanguinosa guerra che l’umanità avesse mai sofferto.

16.7 Trattati di pace e cambiamenti territoriali Milioni di vittime Nella guerra avevano perso la vita 50 milioni di persone, di cui 30 milioni in Europa. La Russia soffrì il maggior numero di morti, oltre 6 milioni e mezzo di soldati e 10 milioni di civili, massacrati senza pietà dagli invasori tedeschi: fu questo il tributo di sangue più alto tra tutti i paesi belligeranti. Dopo l’Unione Sovietica, la Polonia fu una delle nazioni più provate: 6 milioni di morti, quasi un sesto dell’inte-

Kamikaze

L’equipaggio di Enola Gay, 1945

La foto riprende un aereo giapponese abbattuto mentre, in un gesto estremo e sorprendente, tenta di lanciarsi contro una nave americana.

La sfilata vittoriosa dell’equipaggio dell’Enola Gay, l’aereo che sganciò la bomba nucleare su Hiroshima il 6 agosto 1945.

227

Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

228

ra popolazione, uccisi in gran parte nei campi di sterminio nazisti. La Germania ebbe 3.500.000 vittime militari e 700.000 civili. Il Giappone, 1.200.000 soldati e 260.000 civili. L’Italia perdette 500.000 cittadini tra militari e civili. Gli Stati Uniti 300.000 militari. Va peraltro ricordato che il numero dei civili morti per fame o per sofferenze causate dalla guerra non poté essere esattamente stimato e fu indubbiamente più alto.

Il processo di Norimberga I maggiori capi del nazismo, giudicati responsabili della morte e delle sofferenze di milioni di esseri umani, furono arrestati e sottoposti a processo da un tribunale internazionale, formato da giudici americani, inglesi, russi e francesi. Nel processo, che si celebrò a Norimberga nel 1945-46, undici degli imputati, giudicati colpevoli di delitti contro il genere umano, furono condannati a morte; tre al carcere a vita, altri a pene minori; due furono assolti. Un analogo processo contro i dirigenti giapponesi fu tenuto a Tokyo tra il 1946 e il 1948.

I tempi della storia Un’arma terribile segna la fine della guerra Il ricorso all’atomica fu deciso nell’agosto 1945 dal presidente americano Harry Truman, nella convinzione che fosse quello il solo modo per porre fine alla guerra senza doversi avventurare nell’invasione del Giappone, unico paese rimasto ancora in armi. Così, il 6 e il 9 agosto 1945, aerei americani sganciarono sulle città di Hiro-

I

shima e Nagasaki due ordigni che annientarono in pochi secondi la popolazione e gli edifici, seminando morte e distruzione con una rapidità mai vista prima. Così raccontò l’evento un diretto testimone, Tsutomu Yamaguchi (1916-2010) uno dei sopravvissuti alla tragedia di Hiroshima, che, per una tragica coincidenza, nei

mprovvisamente si sprigionò un lampo, come quando si incendia una gigantesca fiaccola di magnesio; quando mi buttai a terra, faccia sotto, venne una mostruosa esplosione. Quanto tempo io sia rimasto semisvenuto sulla strada non lo so, ma quando riaprii gli occhi, intorno a me era tanto scuro che non potevo vedere nulla. Era come se, nel calore del Di fronte agli spaventosi effetti della bomba atomica, che continuarono ad agire per decenni a causa delle mortali radiazioni che si diffusero nella regione,

giorni successivi ritornò nella sua città natale, Nagasaki, proprio quando la seconda bomba fu sganciata. Secondo Yamaguchi l’essere stato “bombardato due volte” e l’essersi salvato in entrambi i casi era il segno che il suo compito sarebbe stato quello di testimoniare ciò che accadde. Ed ecco cosa scrisse su Hiroshima:

mattino, improvvisamente si fosse fatta mezzanotte. Quando, più tardi, raggiunsi i binari del tram, vidi giacere nelle strade, e nei mucchi di cenere che una volta erano stati case, innumerevoli cadaveri carbonizzati. La città bruciava ancora. Notai come i lampioni, cadendo, si scioglievano. Non c’era strada che non fosse coperta di macerie e di cadaveri.

molti si sono chiesti: era veramente necessario arrivare a questo? Come spunto di riflessione sull’argomento proponiamo due diverse visioni dell’episodio: la prima

è dello studioso giapponese Michio Morishima (1923-2004); la seconda è di Henry L. Stimson (1867-1950), ministro americano della guerra dal 1940 al 1945.

Un gesto inutile A quell’epoca il Giappone era in uno stato di profonda prostrazione per i continui bombardamenti dell’aviazione americana sulle città e per la scarsità di viveri dovuta alla distruzione della flotta commerciale. Se anche si fosse lasciato che le cose seguissero il loro corso, nello spazio di sei mesi il Giappone sarebbe stato ridotto a un punto tale da accettare la resa. Pertanto, la previsione di Churchill di un milione e mezzo di morti tra americani e inglesi va considerata come una valutazione assurdamente in eccesso. Era chiaro che il Giappone era sul punto di cedere, che non esistevano più valide forze di resistenza. Perché, dunque, usare la bomba atomica? Il male minore La bomba atomica ha fatto morire più di centomila giapponesi. Ma era la soluzione meno orribile fra quelle che avevamo a disposizione. L’uso della bomba atomica ha messo fine alla guerra nello spazio di pochi giorni. In tal modo sono cessati i grandi bombardamenti, le incursioni incendiarie, gli scontri sanguinosi fra gli eserciti. È terminata una lotta che sarebbe durata senza tregua chissà per quanto tempo ancora, con un maggiore numero di morti, di distruzioni, di sofferenze. Un poliziotto censisce i sopravvissuti poche ore dopo il bombardamento atomico, Hiroshima 6 agosto 1945

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Il banco degli imputati al processo di Norimberga FRANCI A Rodan o

Alla fine della Seconda guerra mondiale, le potenze vincitrici costituirono un tribunale internazionale con il compito di giudicare i crimini di guerra commessi dai tedeschi. Il processo durò un anno, dal 19 noSPAGNA vembre del 1945 al 10 ottobre del 1946, e si concluse con la sentenza che riconobbe i rappresentanti del Terzo Reich colpevoli dei seguenti quattro capi di accusa: guerra di aggressione, crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Spostamenti in Europa dopo la Seconda guerra mondiale

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…in Germania… Per impedire il rinascere della potenza tedesca, la Germania fu costretta al disarmo totale e fu divisa in due Stati: la Repubblica Federale Tedesca (RFT) con capitale Bonn, sotto l’influenza delle potenze occidentali; la Repubblica Democratica Tedesca (RDT) con capitale Pankow, sotto l’influenza sovietica.

NORVEGIA

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Le conseguenza dei trattati di pace, in Italia… Nelle conferenze tenute a Parigi dal luglio all’ottobre 1946 si prepararono diversi trattati di pace. In quelli relativi all’Europa i diplomatici dei paesi che avevano vinto la guerra seguirono il criterio di rispettare il più possibile le situazioni territoriali precedenti, con diverse eccezioni. L’Italia dovette cedere alla Jugoslavia l’Istria, Fiume e Zara ma rivendicò la città di Trieste, occupata nel 1945 dai partigiani jugoslavi. Sulle Alpi occidentali fu compiuta una rettifica in favore della Francia, alla quale furono cedute Briga e Tenda. Tutti i possessi coloniali italiani furono cancellati: le isole del Dodecanneso furono restituite alla Grecia; l’Etiopia, l’Eritrea e la Libia diventarono indipendenti; sulla Somalia l’Italia conservò un “mandato fiduciario” (ossia l’incarico di amministrare il paese) valido fino al 1960.

Territori ceduti dalla Germania alla Polonia, 1945 Territori annessi all’Unione Sovietica Occupazione alleata di Germania e Austria, 1945-55 Territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia, 1945 Territori ceduti dalla Romania alla Bulgaria, 1940-47 Zone di occupazione americana erso l britannica francese sovietica città occupate dagli Alleati Movimenti di rifugiati e di forze armate rimpatriate italiani tedeschi finlandesi popolazioni baltiche russi polacchi CIPRO cechi popolazioni insediate dall’International Refugee Organization

Ber

SVIZZER

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale Berlino, situata nella parte orientale e collegata alla parte occidentale mediante uno stretto corridoio stradale, fu divisa in quattro settori affidati al controllo dei quattro eserciti alleati: russo, americano, britannico, francese (le tre zone “occidentali” furono poi integrate agli inizi del 1947).

…in Unione Sovietica... L’Unione Sovietica si annesse le ex repubbliche baltiche, Lettonia, Estonia e Lituania, divenute indipendenti alla fine della Prima guerra mondiale [ 5.5]. Altri ingrandimenti territoriali ottenne nelle zone di frontiera con la Finlandia (Carelia), la Romania (Bessarabia), la Cecoslovacchia (Rutenia), la Germania (parte orientale della Prussia con Koenigsberg), la Polonia. A sua volta la Polonia fu allargata a spese della Germania, a est dei fiumi Oder e Neisse (Slesia, Pomerania, Prussia orientale). …in Giappone Il Giappone fu privato di tutti i territori conquistati nel continente asiatico. Dopo la sconfitta il paese si diede nuovi ordinamenti politici, adeguandosi al modello statunitense liberal-democratico e trasformandosi in monarchia costituzionale. Solo così l’imperatore Hirohito (che regnò dal 1926 al 1989) poté conservare il trono, abbandonando i tradizionali caratteri sacrali che lo rendevano simile a una divinità e assumendo la carica di capo dello Stato: carica di valore puramente simbolico, dato che gli effettivi poteri passarono alla Dieta, o Parlamento, composto di due Camere, con membri eletti a suffragio universale. Nasce Israele Tra i cambiamenti politico-territoriali seguiti alla guerra, particolare significato ebbe la nascita dello Stato di Israele, costituitosi ufficialmente nel 1948 in Palestina. Esso fu popolato soprattutto dagli ebrei scampati agli eccidi nazisti, rifugiatisi in Medio Oriente alla ricerca di una patria.

I modi della storia

Il “Progetto Manhattan” e le tecnologie della distruzione

Durante la Seconda guerra mondiale il legame tra scienza e mondo militare si fece strettissimo. Già negli anni Trenta la fisica nucleare aveva fatto enormi progressi: era stato analizzato il nucleo dell’atomo e si era raggiunta la sua fissione, grazie soprattutto agli studi del fisico Enrico Fermi (1901-1954) e del suo gruppo di lavoro (i ‘ragazzi di via Panisperna’, dal nome della via in cui si trova l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma dove il gruppo lavorò). I possibili sviluppi bellici dell’energia nucleare furono compresi dal fisico ungherese Leo Szilard (1898-1964), rifugiato politico negli USA, che tentò inutilmente di convincere gli scienziati americani ed europei a mantenere il segreto sulle scoperte effettuate (nel timore che i nazisti riuscissero a sfruttarne le potenzialità). Le nuove ricerche sulla fissione nucleare aprirono scenari fino a poco tempo prima inimmaginabili e suscitarono gli interessi dei paesi tecnologicamente più avanzati, Stati Uniti in testa, dove Fermi e molti altri studiosi si trasferirono, perché ebrei, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Nel 1939, su pressione

dello stesso Szilard, il Premio Nobel per la fisica Albert Einstein convinse il presidente Roosevelt a istituire una commissione speciale per lo studio sulle reazioni nucleari a catena. Nel 1942, subito dopo l’entrata in guerra degli USA, fu avviato il Progetto Manhattan che coinvolse scienziati, industriali e militari con l’obiettivo di realizzare bombe a fissione nucleare. La direzione scientifica fu affidata a Robert Oppenheimer (1904-1967) che chiamò Fermi e Szilard a far parte del progetto: fu Fermi a realizzare il primo reattore. Gli esperimenti continuarono e nel 1945, dopo la sconfitta della Germania e la morte di Roosevelt, fu testata una bomba nucleare nel deserto del Nevada che produsse una quantità di energia pari a 13.000 tonnellate di tritolo. Il 6 agosto il governo statunitense fece sganciare la bomba atomica Little Boy su Hiroshima. Tre giorni dopo toccò alla bomba Fat Man distruggere Nagasaki. In un attimo morirono 120.000 persone, ne rimasero ferite 110.000, altre morirono per le radiazioni negli anni successivi. In ogni epoca vi sono state guerre sanguinose, provocate dalla brutalità di alcuni

gruppi umani che desideravano imporsi su altri mediante l’uso della forza. Ogni epoca ha avuto le sue armi: archi di legno e frecce di pietra nell’età neolitica, spade e lance nell’età del bronzo e del ferro, e poi via via, con successivi perfezionamenti tecnici, fino alle armi da fuoco dell’età moderna: pistole, fucili, cannoni. Queste tecnologie di distruzione, in cui la follia degli uomini ha sperperato immense risorse, nell’età contemporanea si sono fatte più potenti e terribili: lo sviluppo della chimica non è solo servito a produrre nuovi concimi per la produzione agricola, o materiali plastici per ogni uso ed evenienza, ma ha generato anche armi batteriologiche in grado di devastare l’ambiente e intere popolazioni. Un decisivo salto di qualità si è compiuto con le armi nucleari: se il loro significato è quello di sempre (la violenza dell’uomo sull’uomo, la sopraffazione del più debole da parte del più forte), la loro capacità distruttiva è tale che, per la prima volta nella storia, l’uomo oggi è teoricamente in grado di distruggere non solo coloro che chiama suoi nemici, ma sé stesso e tutto il pianeta in cui vive. E questa è una spaventosa novità.

Capitolo 16 La fine della guerra

Sintesi

La fine della guerra

Italia 1943: l’illusione di un armistizio Nel luglio 1943 una flotta angloamericana sbarcò in Sicilia e la occupò, accolta con favore dalla popolazione italiana, ormai insofferente verso il regime. I gerarchi fascisti convocarono il Gran Consiglio del fascismo, che votò un ordine del giorno che invitava il re a riassumere il comando dell’esercito; conseguentemente Mussolini fu sfiduciato e arrestato. Capo del governo divenne Pietro Badoglio. Il nuovo governo firmò un armistizio, reso pubblico l’8 settembre. Ma per l’Italia la guerra non era ancora finita. Hitler invade l’Italia Il periodo successivo all’armistizio fu drammatico per l’Italia. L’esercito era abbandonato a sé stesso. Il 13 ottobre Badoglio dichiarò guerra alla Germania. Hitler rispose invadendo il territorio italiano per contrastare l’avanzata anglo-americana. Alla fine di settembre gli Alleati entrarono a Napoli, che si era già liberata dai nazisti con un’insurrezione popolare. La difesa tedesca si assestò sulla linea Gustav, che andava da Gaeta a Pescara. Hitler fece liberare Mussolini, che restaurò uno Stato fascista nell’Italia settentrionale, a Salò, la Repubblica sociale italiana. L’Italia era divisa in due parti, sostenute da due eserciti che si combatterono per quasi due anni. La Resistenza Dopo il 1943 ebbe luogo la Resistenza, la lotta delle popolazioni europee contro i nazisti. In Italia si sviluppò nelle regioni occupate dai tedeschi, dove sorsero formazioni armate organizzate, coordinate da un Comitato di Liberazione Nazionale. Questo era costituito dai rappresentanti dei partiti antifascisti e si proponeva come rappresentanza dell’Italia democratica, anche se per molti mesi gli americani

riconobbero solo il governo Badoglio. Gli aderenti alla Resistenza, i partigiani, furono oggetto di azioni di rastrellamento tedesche che si estesero anche ai civili, colpiti in diverse occasioni (Boves, Marzabotto, Fosse Ardeatine). La Resistenza italiana vide la partecipazione attiva dei contadini, che nella precedente storia nazionale si erano tenuti in disparte dall’azione politica diretta. La Germania assediata Nel 1944 i tedeschi furono attaccati a est dai russi, che erano penetrati in territorio tedesco attraverso la Polonia, e a ovest dagli anglo-americani, sbarcati in Normandia in giugno, che liberarono la Francia spingendosi in Germania, che si trovò assediata. Nell’attaccare la Germania non furono risparmiati gli obiettivi civili: Amburgo, Dresda e numerose altre città furono bombardate con decine di migliaia di vittime tra i civili. La liberazione dell’Italia A metà del 1944 capo del governo italiano divenne Bonomi, che fece entrare nel governo i rappresentanti dei partiti antifascisti impegnati nella Resistenza, mentre Umberto, figlio del re, fu nominato luogotenente del regno. Gli Alleati continuarono la loro avanzata verso nord, assestandosi sulla “linea gotica”, tra Rimini e La Spezia. Tra marzo e aprile 1945 ebbe luogo l’attacco decisivo verso nord. Il 25 aprile i tedeschi furono cacciati da Milano e Torino. Il governo fascista di Salò si dissolse e i tedeschi si ritirarono verso l’Austria. Mussolini tentò di fuggire all’estero, ma fu riconosciuto, condannato a morte dal CNL e fucilato. Il 2 maggio 1945 i tedeschi firmarono la resa. Nello stesso periodo i russi conquistarono Berlino e Vienna. Hitler si suicidò e il 7 maggio i tedeschi firmarono la resa incondizionata.

La bomba atomica e la resa del Giappone In Europa la guerra era terminata, ma rimaneva in armi il Giappone. Gli americani avevano riconquistato diversi territori e in giugno conquistarono Okinawa, dopo una battaglia in cui furono impiegati dai giapponesi i kamikaze, aviatori suicidi che si gettavano sulle navi nemiche. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Truman, decise di impiegare la bomba atomica, una nuova arma appena messa a punto, dagli effetti devastanti. Ad agosto furono lanciate due bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Il Giappone firmò la resa il 1° settembre 1945 e pose fine al conflitto mondiale. Trattati di pace e cambiamenti territoriali La guerra ebbe dei costi umani terrificanti: furono stimati 50 milioni di persone morte, ma il dato non comprende le vittime civili. I capi del nazismo furono arrestati e processati a Norimberga da un tribunale internazionale; un processo analogo si tenne a Tokyo. Nei trattati di pace si tentò di rispettare per quanto possibile le situazioni territoriali dell’anteguerra. L’Italia perse Fiume, Zara e i possessi coloniali, ma rivendicò la città di Trieste. La Germania fu disarmata e divisa in due Stati: la Repubblica Federale Tedesca, sotto l’influenza occidentale, e la Repubblica Democratica Tedesca, sotto l’influenza sovietica. Berlino fu divisa tra gli eserciti alleati in quattro settori. L’URSS ottenne le Repubbliche baltiche e allargamenti territoriali ai confini. La Polonia guadagnò territori a spese della Germania. Il Giappone perse tutti i territori conquistati e diventò una monarchia costituzionale. Nel 1948 fu costituito lo Stato di Israele, in Palestina, che accolse molti ebrei scampati ai massacri nazisti.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Nel marzo 1943 vi erano stati scioperi in diverse città italiane per protestare contro il governo.

V

F

b. La linea gotica andava da Rimini a La Spezia.

V

F

c. L’armistizio di Cassibile fu firmato l’8 settembre 1943. V

F

d. I contadini italiani si tennero fuori dalla lotta contro il nazifascismo.

F

V

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

e. Le SS misero in atto in Italia la deportazione e lo sterminio degli ebrei.

V

F

f. Mussolini fu fucilato a Milano in piazzale Loreto.

V

F

g. Jugoslavia e Grecia furono liberate dai russi con l’apporto della resistenza locale.

V

F

h. I russi dopo la battaglia di Stalingrado occuparono la Romania e la Polonia.

V

i. Il governo Bonomi accolse al suo interno i rappresentanti dei partiti antifascisti.

V

F

l. I kamikaze erano aviatori suicidi.

V

F

F

m. Le formazioni armate della Resistenza inizialmente combattevano in forma autonoma.

V

F

n. Milano fu la prima città in Europa a liberarsi dai nazisti.

V

F

o. La guerra in Italia terminò definitivamente il 28 aprile 1945.

V

F

p. Gli attacchi degli Alleati contro la Germania si diressero contro obiettivi militari e civili.

V

F

q. La popolazione siciliana accolse gli anglo-americani come nemici.

V

F

2. Associa alle seguenti date l’evento corrispondente. 10/7/1943 24/7/1943 3/9/1943

1. 2. 3. 4. 5. 6.

8/9/1943

30/9/1943 13/10/1943 6/6/1944

firma dell’armistizio di Cassibile sbarco in Normandia fucilazione di Mussolini il Regno d’Italia dichiara guerra alla Germania fine della Seconda guerra mondiale bomba atomica su Hiroshima

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. armistizio • brigata • congiura • luogotenente • partigiano • rappresaglia

7. 9. 10. 11. 12. 13.

25/4/1945 28/4/1945 7/5/1945

6/8/1945

1/9/1945

il Gran Consiglio del Fascismo sfiducia Mussolini liberazione di Milano e Torino sbarco anglo-americano in Sicilia resa incondizionata della Germania l’armistizio di Cassibile viene reso pubblico liberazione di Napoli

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Ivanoe Bonomi

ordine del giorno

Volontario aderente ai moti di liberazione

Dwight D. Eisenhower

governo italiano

Persone radunate per uno stesso fine

Pietro Badoglio

presidente degli Stati Uniti

Persona che sostituisce chi riveste una carica importante svolgendone temporaneamente gli uffici

Harry Truman

Partito comunista italiano

Palmiro Togliatti

Resistenza francese

Karl Doenitz

sbarco in Normandia

Dino Grandi

resa incondizionata

Charles De Gaulle

presidente del CLN

Umberto di Savoia

luogotenente del regno

Enrico Fermi

bomba atomica

Sospensione delle ostilità tra eserciti belligeranti e accordo che stabilisce le modalità di tale tregua Azione coercitiva con cui uno Stato reagisce contro un altro Stato per rivalersi di un danno subìto Trama segreta fra più persone diretta contro un regime politico

Capitolo 16 La fine della guerra

5. Indica sulla cartina le perdite territoriali italiane, le acquisizioni territoriali russe e le zone in cui fu divisa la Germania.

Danubio

Analizzare e produrre 6.

Rispondi alle seguenti domande.

1. Quando avvenne lo sbarco degli alleati in Sicilia? Quali conseguenze produsse? 2. Che cosa accadde il 24 luglio 1943? Quali conseguenze ne derivarono? 3. Che cosa accadde l’8 settembre 1943? Quali conseguenze ne derivarono? 4. Che cos’erano la linea Gustav e la linea gotica?

5. In che modo si arrivò alla restaurazione di uno Stato fascista in Italia? Dove si trovava? 6. Che organizzazione si diedero le forze italiane antifasciste? 7. Quali stragi furono compiute dai nazifascisti in Italia? 8. Quale governo si insediò nel Regno d’Italia nel 1944? Che caratteristiche aveva? 9. Quando fu liberata dai nazifascisti l’Italia settentrionale? Con quali conseguenze? 10. Quando terminò la guerra per l’Italia? Con quali conseguenze?

Con le informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

L’ITALIA DAL 1943 AL 1945

EPISODI SALIENTI

CONSEGUENZE

1943

1944

1945

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa era la Resistenza? Dove si sviluppò? Per quale motivo? 2. Quale era l’organizzazione della Resistenza? Chi vi aderiva? 3. Quali erano le diverse formazioni in cui si divideva la Resistenza?

4. Quale era il coordinamento centrale? Che funzioni aveva? Chi vi prendeva parte? 5. Quali partiti politici aderirono alla Resistenza? 6. Quali erano le strutture in cui si ripartivano le formazioni armate della Resistenza? 7. Quali azioni di rastrellamento e rappresaglia furono condotte dai nazifascisti?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

LA RESISTENZA RESISTENZA ............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................

DIVERSE FORMAZIONI ......................................................................... ............................................................................................................................ ............................................................................................................................

COORDINAMENTO CENTRALE

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PARTITI POLITICI ADERENTI ............................................................ ............................................................................................................................ ............................................................................................................................

STRUTTURA MILITARE

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AZIONI SUBITE DAI NAZIFASCISTI ...............................................

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8. Leggi il brano “Lettere di un condannato a morte” a p. 222 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è l’autore del documento? Che cosa contiene il documento? 2. Qual è l’atteggiamento espresso nel primo testo? Quali speranze vi sono espresse? 3. Che cosa contiene il secondo testo? A chi è rivolto? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Cosa era la Resistenza italiana”.

9. Verso il saggio breve Leggi il documento “Un’arma terribile segna la fine della guerra” a p. 228 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quando fu deciso il ricorso alla bomba atomica? Da chi? Per quale motivo? 2. Che cosa accadde dopo il lancio delle bombe? Dove e quando furono lanciate? 3. Che cosa contiene il primo documento? Come è descritta l’esplosione? Come sono descritti gli effetti?

4. Che cosa contiene il secondo documento? In che condizioni si trovava il Giappone? Perché? Per quanto tempo avrebbe potuto resistere? Che considerazioni si traggono sulla scelta di usare la bomba atomica? 5. Che cosa contiene il terzo documento? Quali argomentazioni porta a sostegno dell’uso della bomba? Leggi il documento «Il “Progetto Manhattan” e le tecnologie della distruzione» a p. 230 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali legami si stabilirono nel corso della guerra tra scienza e mondo militare? 2. Quali studi erano stati svolti sulla fissione dell’atomo? Da chi furono applicate a usi militari? 3. Che cosa era il “Progetto Manhattan”? Chi coinvolse? A che scopo? 4. Quali esperimenti furono effettuati prima del lancio delle bombe atomiche? 5. Quali furono le conseguenze del lancio delle bombe? 6. Quale salto di qualità nella capacità distruttiva delle armi si è compiuto con la bomba atomica? Sulla base delle informazioni raccolte, scrivi un breve saggio di massimo 12 righe dal titolo “La bomba atomica e la guerra totale”.

La discussione storiografica

Fascisti e antifascisti L

a storiografia sul fascismo e l’antifascismo, a cui si collegano i temi della Seconda guerra mondiale e della Resistenza, ha evidenti implicazioni politiche, che ancora pesano sulla società italiana contemporanea. Gli aspetti politici, militari, sociali, culturali di questa drammatica fase della storia nazionale sono stati oggetto di un’intensa riflessione storica ma anche di confronto e di scontro ideologico. Fra le molte interpretazioni del fascismo si possono individuare alcune principali tendenze. La storiografia marxista, da Antonio Gramsci (scritti pubblicati postumi in Socialismo e fascismo, 1966) alle più recenti sintesi di Nicola Tranfaglia (Dallo stato liberale al regime fascista, 1973) o di Ernesto Ragionieri (nella Storia d’Italia Einaudi, IV, 1976), ha configurato il fascismo come strumento di affermazione del capitalismo agrario, industriale e finanziario, che risponde in maniera autoritaria, istituendo un regime dittatoriale, alla mobilitazione delle classi lavoratrici che in Italia come in tutta Europa caratterizza i primi decenni del XX secolo (scioperi, occupazione delle fabbriche e delle terre, crescita dei partiti popolari). Una diversa linea storiografica, che si può far risalire a Luigi Salvatorelli (Nazionalfascismo, 1923), individua invece l’anima del fascismo negli interessi e nella cultura dei ceti medi, la piccola borghesia che si sente come schiacciata tra il grande capitale e il proletariato, e promuove una sorta di “rivoluzione reazionaria” che colpisce gli interessi di entrambi i protagonisti. L’importanza della piccola borghesia come chiave per comprendere l’affermazione del fascismo si ritrova in opere importanti come quelle di An-

gelo Tasca (Nascita e avvento del fascismo, pubblicato in Francia nel 1938) o la monumentale biografia di Mussolini scritta da Renzo De Felice tra il 1965 e il 1990. Questo aspetto della questione è stato approfondito anche da numerosi studi in campo sociologico. Da queste interpretazioni – che, sia pure in modi diversi, leggono in chiave “strutturale” il fenomeno fascista, riconoscendone le radici in realtà profonde della società italiana – si distacca decisamente la posizione di Benedetto Croce, maestro della storiografia liberale, che in una serie di saggi raccolti nel volume Per una nuova Italia (1943-44) presenta il fascismo come una sorta di “parentesi” nella storia d’Italia, come irruzione improvvisa di una “malattia morale” – legata ai conflitti e alle difficoltà del primo dopoguerra – che dissolve la coscienza civica faticosamente costruita dal pensiero e dalle pratiche liberali nei primi decenni dopo l’Unità. Nella storiografia italiana, questa interpretazione del fascismo come “parentesi” ha avuto un’influenza più forte di quanto apparentemente non sembri. Essa ha pesato anche sull’immagine che molti studiosi (soprattutto di formazione marxista) hanno dato della Resistenza al fascismo e al nazismo durante la Seconda guerra mondiale: la lotta di liberazione è stata presentata come rinascita di uno spirito nazionale “tradito” dal fascismo, e da parte di molti vi è stata difficoltà ad ammettere che in quei mesi si combatté in Italia una vera e propria guerra civile, che oppose da un lato gli antifascisti, i “partigiani” alleati delle forze angloamericane, dall’altro i fascisti alleati dei tedeschi. Che la lotta di liberazione sia stata anche una guerra civile tra fa-

zioni avverse è stato sostenuto in una fondamentale opera di Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, 1991), che implicitamente riconosce il fascismo come componente politica e ideologica della storia italiana, sconfitta dagli ideali democratici e antifascisti da cui nacque la nuova Italia del secondo dopoguerra, con la Costituzione repubblicana (1948) che tuttora costituisce il fondamento della convivenza civile nel nostro paese e che rappresenta la vittoria degli antifascisti sui fascisti. Ma ciò appunto significa che il fascismo non è stato una parentesi occasionale nella storia d’Italia, ma una realtà, per un certo periodo vincente, che godette di un certo consenso soprattutto, anche se non solo, fra i “ceti medi” della nazione. Antifascista e partigiano militante durante la Resistenza, Pavone contesta alla tradizione storiografica antifascista (in cui, peraltro, egli stesso si riconosce) di avere rimosso, e per così dire occultato, l’idea di “guerra civile” nel rappresentare il tragico scontro che vide contrapporsi in Italia i partigiani e gli aderenti alla Repubblica sociale italiana. Le ragioni di questa rimozione, di questo “negazionismo” (apodittica l’affermazione di Ermanno Gorrieri, esponente della storiografia cattolica: «guerra civile non ci fu») stanno nella volontà di accreditarsi, da una parte e dall’altra, come interpreti unici del sentimento nazionale. I fascisti considerarono sempre “antinazionali” i loro nemici; ma anche gli antifascisti individuarono i fascisti come estranei alla causa nazionale (nel campo antifascista, solo Giorgio Bocca non esitò a parlare di “guerra civile”, in un volume del 1966 intitolato Storia dell’Italia partigiana).

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Modulo 4 La Seconda guerra mondiale

I testi Presentiamo un brano dello storico Claudio Pavone (1920) secondo il quale, come abbiamo appena detto, la reticenza a impiegare l’espressione “guerra civile” ha impedito alla storiografia italiana di comprendere fino in fondo la complessità di quanto accadde nei tragici mesi tra il 1943 e il 1945, quando lo scontro tra fascisti e antifascisti si intrecciò con la guerra di liberazione nazionale (contro gli occupanti nazisti) e, inoltre, con lo scontro “di classe” che per la componente comunista del fronte antifascista individuava fascismo e capitalismo come nemici da abbattere. Al testo di Pavone facciamo precedere un brano di Ernesto Galli della Loggia (1942), ex marxista poi approdato a posi-

zioni liberal-socialiste, che ricostruisce il clima creatosi in Italia dopo l’8 settembre 1943, quando l’incapacità del re e del governo di gestire la drammatica situazione lasciò per molte settimane il paese allo sbando, e l’esercito senza ordini né indicazioni. Tale vicenda mostrò la mancanza di coesione e di spirito nazionale, l’assenza di valori comuni e condivisi: ciò non era, secondo Galli, colpa esclusiva del fascismo, di un ventennio che aveva disabituato ai valori civili della tradizione liberale (come la teoria crociana della “parentesi” poteva in qualche modo far pensare) bensì aveva radici storiche più profonde, che risalivano al periodo del Risorgimento, un movimento “nazionale” che tuttavia non aveva saputo coinvolgere il paese

(si risentono, in queste considerazioni, alcune delle ipotesi di Gramsci sul Risorgimento come “rivoluzione mancata”, Discussione storiografica, vol. 2, mod. 7). Il dramma dell’8 settembre non fu quindi – conclude Galli – un fenomeno puramente militare, legato alla disintegrazione delle forze armate, ma lo specchio di un paese ancora fragile sul piano etico. Si osservi come l’analisi storica, in questo caso come in molti altri, tende regolarmente a intrecciare considerazioni di natura politica, economica, sociale con valutazioni di ordine etico e culturale. A prescindere dall’importanza che i singoli studiosi danno ai vari aspetti, è indubbio che essi, in ogni circostanza, coesistono e interagiscono.

La morte della patria Ernesto Galli della Loggia

L’espressione «morte della patria» mi sembra la più adatta per definire la profondità, la ricchezza d’implicazioni, in una parola la qualità tutta particolare che ha avuto in Italia la crisi dell’idea di nazione in conseguenza della guerra mondiale. […] Vi è, all’origine, nel drammatico nodo di eventi dal ’43 al ’45 una crisi verticale che colpisce l’intero organismo statuale italiano, determinandone quasi – nei fatti, e soprattutto nell’immaginario – una virtuale scomparsa dalla scena. È questo un fattore della massima importanza. In Italia, infatti, la nazione – come si sa – lungi dal preesistere allo Stato ne è stata, invece, piuttosto una creatura, quasi un effetto derivato. Nella nostra storia l’esistenza della nazione è indissolubilmente legata all’esistenza dello Stato (nazionale), sicché, da un punto di vista storico il concetto e il sentimento di patria costituiscono precisamente il riflesso ideologico-emotivo di questo intreccio. […] Nel 1940-43, insomma, nel magma della crisi politicomilitare del paese, emerge un dato nella sua sostanza pre o meta politico [estraneo a una dimensione propriamente politica], difficilmente collegabile in modo diretto e significativo al fascismo ed ai guasti della dittatura. […] La crisi politicomilitare presenta un aspetto evidentissimo di crisi di capacità e di efficienza degli apparati amministrativi e tecnici, la

quale riflette a propria volta un deficit di competenza unito ad un vuoto spirituale, di carattere, che trascendono il regime e mettono in gioco, immediatamente e direttamente, la credibilità della sfera pubblico-statuale del paese; e quindi, a causa del già ricordato fortissimo rapporto di dipendenza esistente nel caso dell’Italia tra i due ambiti, la stessa credibilità del vincolo nazionale e della sua radice etico-politica. […] L’immagine complessiva che diede di sé l’Italia nella guerra 1940-43 fu tale che, se anche in cerchie ristrette suscitò un sentimento di umiliazione cocente ed un’ansia di verità e di impegno, che non sarebbero stati estranei alla successiva adesione da parte delle suddette cerchie vuoi alla «guerra fascista» della Rsi [la Repubblica sociale italiana, il governo fascista di Salò] vuoi alla guerra antifascista della Resistenza, nei più, invece, quell’immagine produsse ben altri effetti. Nell’esperienza vissuta di costoro, di un gran numero di uomini e di donne, essa attestò e racchiuse semplicemente la crisi della nazione, la sua inettitudine a reggere le prove […] L’8 settembre – ha scritto Renzo De Felice – «non determinò la crisi italiana, ma evidenziò una crisi morale della stragrande maggioranza degli italiani». E. Galli della Loggia, La morte della patria, Roma-Bari 1996, pp. 4-18

La discussione storiografica Fascisti e antifascisti

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Guerra civile: una definizione controversa Claudio Pavone

L’interpretazione della lotta fra la Resistenza e la Repubblica sociale italiana come guerra civile ha incontrato da parte degli antifascisti […] ostilità e reticenza, tanto che l’espressione ha finito con l’essere usata quasi soltanto dai vinti fascisti, che l’hanno provocatoriamente agitata contro i vincitori. La diffidenza degli antifascisti ne è risultata accresciuta, alimentata dal timore che parlare di guerra civile conduca a confondere le due parti in lotta e ad appiattirle sotto un comune giudizio di condanna o di assoluzione. […] Nel volume delle Opere di Togliatti1 relativo agli anni 194455 le parole «guerra civile» non compaiono mai, tanto era forte nel leader comunista la volontà di accreditare il proprio partito come partito nazionale. Questa esigenza collimava con la propensione largamente diffusa a occultare il dato elementare che «anche i fascisti, nonostante tutto, erano italiani». […] I fascisti avevano sempre chiamato «antinazionali» i loro avversari; e questi li hanno ricambiati espellendoli in idea – almeno quelli della Rsi – dalla storia d’Italia. […] La qualifica di servi dello straniero data ai fascisti non è sufficiente a cancellare in loro quella di italiani, né autorizza a eludere la riflessione sui nessi, non nuovi ma in questo caso strettissimi, fra guerra esterna e guerra interna. […] Alla sostanziale continuità dello Stato tra fascismo e Repubblica e, in particolare, agli esiti fallimentari dell’epurazione [dei fascisti], è consona una visione della Resistenza levigata e rassicurante, che espunga ogni traccia di guerra civile. L’unità antifascista incarnatasi nel sistema dei Cln2 e che è tuttora fonte di legittimazione della Repubblica italia-

na […] viene così reinterpretata come mera unità antitedesca, quasi che la Repubblica si fondi sull’opposizione alla Germania e non invece al fascismo. In realtà, è il fatto stesso della guerra civile che reca in sé qualcosa che alimenta la tendenza a seppellirne il ricordo. […] Il prevalere della formula guerra, o movimento, di liberazione nazionale rispetto a quella di guerra civile occulta dunque la parte di realtà che vide italiani combattere contro italiani. […] Le reciproche denunce di aver dato avvio alla lotta fratricida furono e restano numerose. Esse non debbono tuttavia spingere a dimenticare coloro che sentirono sì la guerra civile come una tragedia generatrice di stragi e lutti, ma anche come un evento da assumere con orgoglio, in nome della scelta compiuta e della consapevole accettazione di tutte le conseguenze che essa comportava. Da questo punto di vista la corrente deprecazione può rovesciarsi: fu proprio infatti nella tensione insita nel carattere «civile» che trovarono modo di riscattarsi gli elementi negativi tipici della guerra in quanto tale. Franco Venturi ha detto una volta che le guerre civili sono le sole che meritano di essere combattute. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino 1991, pp. 221-225 1 Segretario del Partito comunista. 2 Comitati di liberazione nazionale.

Modulo 5

Il mondo Ilbipolare mondo

bipolare Capitolo 17

Il mondo diviso L’Europa uscì dalla Seconda guerra mondiale in condizioni disastrose: milioni di morti e di feriti; città, ferrovie, porti semidistrutti dai bombardamenti; economia allo stremo, industrie in crisi, scarsità di materie prime e di alimenti. Il primato europeo sulla scena internazionale, già indebolito dalla guerra del 1914-18, era irrimediabilmente compromesso. Le due potenze da cui ora dipendevano i destini del mondo erano gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

Capitolo 18

Le due Europe La divisione dell’Europa in due zone d’influenza, due “blocchi” politici ed economici controllati l’uno dagli americani, l’altro dai sovietici, fu il risultato più clamoroso della Seconda guerra mondiale e della spartizione del mondo a cui essa portò. Da un lato essa significava il venir meno del primato europeo; dall’altro rispecchiava lo stato di tensione internazionale (“guerra fredda”) che si era creato negli anni immediatamente successivi alla guerra.

Capitolo 19

L’Italia ricostruita Gli italiani, come gli altri europei che avevano vissuto la tragica esperienza della Seconda guerra mondiale, dedicarono i primi anni del dopoguerra alla ricostruzione del paese. Molto gravi erano le distruzioni materiali provocate dal conflitto, drammatici i danni subìti dalla popolazione, che aveva sofferto la sottoalimentazione, i rastrellamenti, la guerra civile nel periodo della Resistenza. Tuttavia, pur tra disagi e difficoltà, il paese trovò le forze per avviare nuove condizioni di vita civile e democratica.

Capitolo 20

Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica Dopo gli anni della guerra fredda, nella seconda metà degli anni Cinquanta si avviò un faticoso processo di normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, improntati al principio della coesistenza più che del contrasto. Principali artefici di questa nuova tendenza furono il capo dell’URSS Nikita Kruscev e il presidente americano John F. Kennedy.

Modulo 5 Il mondo bipolare

17 Il mondo diviso

Capitolo

240

Percorso breve Uscita dalla Seconda guerra mondiale in condizioni disastrose, l’Europa perdette il primato sulla scena internazionale mentre si affermava la potenza degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che esprimevano due contrastanti modelli sociali, economici e politici: la democrazia liberale e il comunismo. La situazione dei due paesi in realtà era assai diversa: le devastazioni della guerra, che avevano risparmiato gli USA, avevano colpito pesantemente l’URSS. L’economia statunitense era in pieno sviluppo, quella sovietica in difficoltà, ma in rapida ripresa grazie agli sforzi di pianificazione messi in atto da Stalin, che antepose la crescita dell’industria pesante agli investimenti sul benessere della popolazione. A costo di grandi sacrifici, l’URSS accrebbe la propria potenza industriale e militare entrando in diretta concorrenza con gli USA. Nel 1944, gli accordi di Bretton Woods costituirono un Fondo monetario internazionale che assicurava la stabilità dei cambi ancorando le monete all’oro e al dollaro: pertanto la moneta americana assunse un posto centrale negli scambi mondiali. I princìpi del liberismo, che favorivano le economie più forti, furono alla base del GATT (Accordo generale sulle tariffe commerciali) stipulato nel 1947. I paesi comunisti non vi aderirono, ritenendo questi accordi dettati dall’imperialismo economico USA. Garantire la pace e la cooperazione internazionale fu l’obiettivo da cui prese vita nel 1945 l’ONU.

Clement Attlee, Harry Truman e Iosif Stalin alla Conferenza di Potsdam, 1945

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) ne fu la base ideale. Ma in quegli anni fu soprattutto la competizione fra USA e URSS a dare il tono alla politica mondiale. Il contrasto fu definito “guerra fredda” perché combattuto non con le armi ma con la politica, la propaganda, lo spionaggio dei servizi segreti (KGB sovietico e CIA statunitense). La corsa agli armamenti nucleari, che in pochi anni munì le due potenze di un terribile arsenale di morte, fu un drammatico effetto di questa contesa per la supremazia. Ma in Corea si combatté anche una guerra vera: dopo il conflitto mondiale il paese era stato diviso in due repubbliche, un Nord comunista e un Sud democratico. Il leader comunista Kim Il-sung tentò di riunificare il paese attaccando il Sud, e fu appoggiato da URSS e Cina contro gli Stati Uniti; dopo tre anni di scontri (1950-53) si confermò il confine tra i due Stati al 38° parallelo, che tuttora li separa. La morte di Stalin nel 1953 parve mettere fine alla guerra fredda, ma non mancarono gravi momenti di tensione ancora nel decennio successivo.

Capitolo 17 Il mondo diviso

241

17.1 USA e URSS padroni del mondo Le conseguenze della guerra in Europa Nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa era allo stremo delle sue forze e delle sue risorse; anche le potenze che erano uscite vittoriose dalla guerra, come la Gran Bretagna, erano danneggiate e impoverite. I due conflitti mondiali avevano fatto perdere all’Europa il ruolo egemone che per secoli aveva svolto nel mondo e il primato era ora conteso da due nuove superpotenze: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, entità politiche di dimensione continentale, di carattere multietnico, assai diverse dai tradizionali Stati-nazione europei. Gli USA Nel 1945 gli Stati Uniti dominavano su gran parte dei continenti e degli Oceani. In Germania e in Giappone i soldati americani si erano accampati da vincitori, le loro navi e i loro aerei si erano imposti dappertutto – in Europa, in Asia, nel Pacifico – per numero e per superiorità tecnica. Mentre gli Stati europei mostravano i segni e le ferite della guerra, negli Stati Uniti abbondavano le risorse e le attività produttive funzionavano a pieno ritmo, sfruttando la straordinaria ricchezza del paese e la sua grande riserva di fonti energetiche. L’URSS Molto diversa era la situazione dell’Unione Sovietica, che si era guadagnata un grande prestigio nel mondo per il contributo determinante dato alla vittoria sul nazismo. Essa aveva sofferto un numero altissimo di morti e si trovava in condizioni di grave disagio economico, per le devastazioni subite durante il lungo conflitto. La produzione industriale, che negli Stati Uniti era raddoppiata, nell’URSS era diminuita del 42%, e l’agricoltura non garantiva neppure l’indispensabile. Nell’immediato dopoguerra, pertanto, il paese concentrò le sue energie nell’opera di ricostruzione, che fu affrontata dando la priorità all’industria pesante (metallurgia, meccanica) ed energetica (elettricità), continuando lungo la strada tracciata da Stalin con i piani quinquennali [ 13.1]. Alla popolazione furono chiesti grossi sacrifici: molte ore di lavoro in fabbrica (fino a 12 al giorno), salari bassi, massima riduzione dei prodotti di consumo. Ciò non impedì all’Unione Sovietica, dotata di un’enorme potenza militare, di praticare una politica di dominio mondiale in stretta concorrenza con gli Stati Uniti: una concorrenza anche ideologica, poiché i due paesi rappresentavano due concezioni del mondo (la democrazia liberale e lo statalismo comunista) diametralmente opposte. Una nuova economia mondiale La ridefinizione dei rapporti economici internazionali fu impostata, negli anni successivi alla guerra, secondo i princìpi e gli interessi del capitalismo americano, che miravano a costruire un vasto mercato mondiale in un regime di libera concorrenza, che ovviamente favoriva le economie più forti e in particolare l’industria statunitense. Già prima della fine della guerra, con gli accordi di Bretton Woods del 1944, fu creato il Fondo monetario internazionale, un consistente fondo di riserve valutarie mondiali che aveva lo scopo di assicurare la stabilità dei cambi fra le monete, ancorandoli non soltanto all’oro, ma anche al dollaro, di cui gli Stati Uniti garantivano la costante convertibilità in oro. Al Fondo monetario fu affiancata la Banca mondiale, con il compito di concedere prestiti ai singoli Stati in vista dello sviluppo e della ricostruzione. 1940

1941

1942

1943

1944

1945

Carbone

166

154

75,2

92

118

149,3

Petrolio

31

28,5

15,2

15,8

17

19,4

Acciaio

18,3

17,8

8

8,4

10,8

12,2

Elettricità

48,3

46,5

23

28

35

43,3

Industria pesante e materie prime in URSS [dati da A.S. Milward, Guerra, economia e società, 1939-1945, Milano 1983, p. 95]

La tabella mostra come la produzione dell’industria pesante sovietica e l’approvvigionamento di materie prime abbiano risentito gli effetti della guerra, con un crollo tra il 1941 e il 1942, ma testimonia anche la lenta e costante ripresa fino alla fine del conflitto.

La bilancia commerciale degli USA [dati da A.S. Milward, Guerra, economia e società, 1939-1945, Milano 1983, p. 343]

La tabella mostra il saldo della bilancia commerciale degli Stati Uniti (espresso in milioni di dollari) prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Le esportazioni prevalgono e il saldo, come si vede, è ampiamente attivo quasi ovunque (solo per l’Oceania è passivo) e mostra il ruolo di primo piano degli Stati Uniti nel commercio mondiale.

1938

1946

380

1653

39

201

Canada

104

273

Asia

–26

218

39

–33

Europa America Centrale e Meridionale

Oceania

242

Modulo 5 Il mondo bipolare

I modi della storia

Un sistema monetario mondiale, basato sul dollaro

Durante la Seconda guerra mondiale, ancor prima di entrare in guerra, gli Stati Uniti avevano assunto un ruolo di primo piano nell’economia mondiale e le vicende belliche non fecero che sottolineare come la politica economica adottata dal governo americano tra gli anni Venti e Trenta fosse assolutamente inadeguata a fronteggiare la nuova situazione. L’isolazionismo (finalizzato a non coinvolgere il paese in affari esteri) era stato di fatto spazzato via dall’evoluzione della guerra; il protezionismo (mirante a bloccare la concorrenza estera sul mercato interno)

aveva peggiorato l’andamento generale dell’economia statunitense e per questo gli economisti americani sostennero la necessità di abbandonare il protezionismo e di dotare il paese di una nuova politica che ripristinasse la pluralità degli scambi commerciali. Alla conferenza internazionale di Bretton Woods (nel New Hampshire, USA), tenutasi nel luglio 1944, parteciparono 44 Stati con l’obiettivo di stabilizzare il sistema monetario internazionale, che durante le due guerre non aveva funzionato. Per sostenere la ripresa degli scambi e assi-

curare la stabilità dei cambi si affermò il principio della convertibilità di tutte le monete: in pratica, ogni valuta poteva essere scambiata con quella di un altro paese; il loro valore era stabilito in rapporto al dollaro e il valore di quest’ultimo era legato all’oro. 1 oncia (30 g) di oro nel 1944 valeva 35 dollari. Il dollaro diventò così l’unità di riferimento da cui dipendeva il valore delle altre monete e le banche di tutto il mondo cominciarono a tesaurizzare questo anziché l’oro. Del resto, nel 1945 gli USA detenevano il 60% delle riserve auree mondiali e nel 1949 esse arrivarono al 75%. Il verso di una banconota da 1 dollaro Dopo la conferenza di Bretton Woods l’intera economia mondiale si basò sul rapporto tra l’oro e il dollaro. Tutti gli scambi commerciali avvenivano in dollari tranne che per i paesi europei comunisti dell’Est che si opposero all’obbligo statunitense.

Il GATT Per quanto riguardava i rapporti commerciali fu stipulato nel 1947 a Ginevra un Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, il GATT (General Agreement on Tariff and Trade), che prevedeva un generale abbassamento delle tariffe doganali in ossequio ai princìpi del liberismo economico. Vi aderirono 23 Stati che da soli rappresentavano l’85% del mercato mondiale. L’insieme di queste riforme e la nuova centralità finanziaria assunta dal dollaro (in precedenza era stata la sterlina a svolgere tale funzione) conferirono agli Stati Uniti un ruolo dominante nei meccanismi dell’economia mondiale. Anche per questo i paesi comunisti si chiamarono fuori dagli accordi di Bretton Woods, rifiutandosi di aderire al Fondo monetario.

17.2 Una speranza di pace: l’ONU Le garanzie per la pace Nel 1945, dopo la creazione del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, e sempre su iniziativa americana, fu creato un altro importante strumento dedicato alla risoluzione delle questioni internazionali: l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Al termine della guerra, infatti, si era diffusa un’aspirazione comune: dare un ordine al mondo, trovare il modo di conservare la pace, di impedire che in futuro si potessero ripetere simili tragedie. Da questa condivisa volontà, che trovò concordi i popoli e i governi, nacque l’ONU, un’associazione che gli Stati del mondo strinsero fra loro allo scopo di proteggere la pace e di sviluppare la collaborazione internazionale.

Capitolo 17 Il mondo diviso Gli obiettivi dell’ONU All’atto della fondazione (26 giugno 1945) l’ONU era costituita da 50 Stati che nello Statuto dichiaravano: «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili sofferenze all’umanità, a riaffermare la fede nei fondamentali diritti umani, a promuovere il progresso sociale, a praticare la tolleranza, a far sì che le armi non siano più usate, abbiamo deciso di unire i nostri sforzi per raggiungere tali scopi». Oggi i paesi aderenti sono 192, la quasi totalità degli Stati del mondo. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo Base della politica dell’ONU fu un documento, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottato dall’Assemblea generale il 10 dicembre 1948. Il testo richiamava quei diritti “universali” (cioè spettanti agli uomini indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, politica, religiosa, economica) di cui si era parlato per la prima volta nel periodo dell’Illuminismo, nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776) e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino redatta nel 1789 nella Francia rivoluzionaria. Su questi precedenti, opportunamente integrati, fu redatta la Dichiarazione del 1948, che oggi costituisce un fondamentale punto di riferimento per le Costituzioni e per le leggi di tutti i paesi democratici.

Bandiera delle Nazioni Unite

Le “armi” dell’ONU Gli strumenti dell’ONU furono individuati innanzitutto nella diplomazia, e inoltre nella pressione economica (decidere sanzioni di isolamento, dette “embargo”, nei confronti di un paese) e in casi di estrema necessità nella forza militare: l’ONU infatti dispone di contingenti armati, i cosiddetti “caschi blu”, messi a disposizione dai singoli Stati (prevalentemente paesi neutrali), autorizzati a intervenire in qualunque parte del mondo vi sia minaccia di guerra, con l’obiettivo di evitarla o di bloccarla, per cercare soluzioni pacifiche. Non sempre l’ONU è riuscita a evitare le guerre: dal 1945 a oggi sono scoppiati nel mondo almeno 120 conflitti, che hanno provocato oltre 20 milioni di vittime. Tuttavia sono innegabili l’utilità e la funzione civile di questa organizzazione per promuovere – se non sempre realizzare – la collaborazione fra i popoli.

Il rappresentante dell’Etiopia firma la Carta dell’ONU, 1945 La foto immortala il rappresentante dell’Etiopia mentre firma la Carta dell’ONU durante la seduta finale della Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite (tenutasi a San Francisco il 26 giugno 1945) durante la quale furono stilati gli articoli della Carta.

Un manifesto celebrativo della nascita delle Nazioni Unite

243

244

Modulo 5 Il mondo bipolare

17.3 La guerra fredda Politiche di espansione La speranza di pace alimentata dalla nascita dell’ONU sembrò svanire di fronte al contrasto fra USA e URSS, delineatosi subito dopo la guerra. Contrasto durissimo, che fu definito guerra fredda, una guerra combattuta non con le armi ma con la politica, la propaganda, la diplomazia, lo spionaggio, senza che mai si giungesse a rotture definitive e a gesti irreparabili. Un periodo di continua tensione, che fu vissuto da tutte le popolazioni nella paura di un nuovo imminente disastro. Come ha scritto lo storico inglese David Thomson, alla base di tale situazione vi furono l’espansionismo sovietico e l’espansionismo americano. «Tutto contribuiva a offrire ottime occasioni alla penetrazione sovietica: nell’Europa Occidentale i movimenti di resistenza avevano dato vita a forti partiti comunisti e le vittorie dell’Armata rossa avevano conferito grande prestigio all’URSS; nei paesi dell’Europa Orientale, l’Unione Sovietica sostituì la Germania nel ruolo di maggior potenza economica, mentre le armi dall’Armata rossa assicuravano la tendenza filosovietica dei governi». D’altra parte «non era meno rilevante l’espansione economica americana: mentre la capacità industriale della Russia era stata seriamente menomata dalla guerra, quella degli Stati Uniti, lontani dal teatro dei combattimenti, era cresciuta del cinquanta per cento. Gli Stati Uniti, perciò, erano diventati i principali fornitori mondiali di materie prime e di capitali, con un vasto programma di aiuti all’estero, investimenti, prestiti ed

Le vie della cittadinanza

L

Nazioni Unite

e competenze e le attività dell’ONU furono stabilite secondo modalità rimaste valide fino a oggi. Come organi principali di funzionamento furono stabiliti l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza e il Segretariato generale. L’Assemblea generale riunisce i rappresentanti di tutti gli Stati, in una sorta di grande Parlamento mondiale con funzioni consultive: essa cioè discute i problemi, avanza consigli, presenta proposte. Il Consiglio di sicurezza è un’assemblea ridotta, responsabile della pace e della sicurezza internazionale, che ha il potere di decidere gli interventi concreti dell’ONU nel mondo. È formato da cinque membri permanenti più dieci membri eletti ogni due anni dall’Assemblea. Membri permanenti sono le maggiori potenze uscite vincitrici della Seconda guerra mondiale: USA, URSS (dal 1991 Russia), Cina, Gran Bretagna, Francia. Il Consiglio delibera a maggioranza, ma i membri permanenti hanno diritto di veto. Le decisioni del Consiglio si chiamano “risoluzioni”. Al Segretariato generale spettano le funzioni esecutive, ossia dare realizzazione pratica alle decisioni delle assemblee. Altri organi sono il Consiglio economico e sociale, che dirige le attività economiche, culturali e sanitarie, il Consiglio per i diritti umani, con sede a Ginevra, e la

Corte internazionale di giustizia, con sede all’Aia nei Paesi Bassi, fondata nel 1962 e costituita da 15 giudici, incaricata di valutare, nei singoli casi, la legalità dell’uso della forza, nonché il rispetto dei diritti umani sia in tempo di pace sia di guerra. Oltre a occuparsi del problema della pace, le Nazioni Unite fin dagli inizi si applicarono a studiare soluzioni per altri gravi problemi che, ieri come oggi, affliggono il mondo, come il sottosviluppo, la fame, le malattie, l’analfabetismo. Per questi scopi furono creati specifiche “agenzie” quali l’UNESCO a Parigi (che si occupa di educazione, scienza e cultura), la FAO a Roma (per l’alimentazione e la

fame nel mondo), l’UNICEF a New York (per l’infanzia), l’ILO a Ginevra (per la legislazione del lavoro), l’OMS ancora a Ginevra (per la salute). Sempre con l’obiettivo di tutelare e migliorare le condizioni degli individui più deboli, l’ONU ha redatto diverse Carte dei diritti: del fanciullo, della donna, dello straniero. Queste Carte non hanno un valore coercitivo, ma solo di orientamento, cioè servono a indirizzare la politica dei vari Stati. Se non sono rispettate è previsto il ricorso alla Corte internazionale di giustizia, che si occupa di temi quali la tortura, la pena di morte, i crimini di guerra, purtroppo presenti in molte parti del mondo. Agronomo della FAO illustra vari tipi selezionati di riso in India Istituita dall’ONU nel 1945, la Food and Agricultore Organization è il primo organismo specializzato nel condurre un’attività di studio, promozione e assistenza tecnica per i settori dell’agricoltura e della nutrizione.

Capitolo 17 Il mondo diviso esportazioni nell’Europa Occidentale e in gran parte del mondo. A questa immensa potenza economica si aggiungeva la grande forza militare».

La guerra delle ideologie La guerra fredda tra USA e URSS ebbe conseguenze in tutte le parti del mondo, contribuendo ad accentuare i contrasti già esistenti tra i popoli, ad acuire le tensioni tra uno Stato e l’altro, a moltiplicare i pericoli di nuovi conflitti. Il duplice espansionismo provocò rivalità, diffidenze, urti tra gli USA e l’URSS. Le tensioni furono esacerbate dalla contrapposizione dei sistemi politico-sociali che caratterizzavano i due paesi: la democrazia capitalista degli Stati Uniti, il totalitarismo comunista dell’Unione Sovietica. Lo scontro di potere in questo modo assunse anche il carattere di contrasto ideologico tra due diversi modelli di “civiltà”. Il maccartismo La lotta ideologica prese anche forme di intolleranza e di vera “caccia alle streghe”: negli Stati Uniti, il senatore repubblicano Joseph McCarthy (1947-57) si fece promotore in quegli anni di un’ossessiva campagna anticomunista, che giunse fino a vietare la proiezione dei film di Charlie Chaplin, giudicati antiamericani. La campagna prese il nome di “maccartismo” e durò fino al 1954, quando una commissione del Senato censurò gli eccessi a cui stavano portando gli atteggiamenti persecutori di McCarthy. Intanto si moltiplicavano le operazioni di spionaggio organizzate dai servizi segreti sovietici (KGB) e americani (CIA). In questo modo venne meno la politica di collaborazione inaugurata durante la guerra e proseguita con la nascita delle Nazioni Unite.

Aa Documenti La “caccia alle streghe” tra isteria e guerra fredda Il maccartismo produsse un clima di generale sospetto nella popolazione americana: il “nemico rosso”, come veniva chiamato, poteva essere ovunque, infiltrato per spiare e informare i russi delle attività americane. La “caccia alle streghe” istigata dal senatore McCarthy poteva colpire chiunque, dagli impiegati nelle pubbliche amministrazioni ai privati cittadini; tutti

potevano essere accusati di essere filocomunisti e le agenzie investigative, CIA e FBI soprattutto, erano impegnate a tutto campo in azioni di controllo e controspionaggio. Numerosi furono i processi intentati a carico di cittadini comuni così come a celebrità del cinema, dello spettacolo, della cultura. Un processo che scosse l’opinione pubblica, non solo americana,

A

pagina 1709 dei verbali del processo si legge la seguente mia testimonianza: «Nel parlare con amici […] io espressi l’opinione che il governo sovietico aveva sensibilmente migliorato la condizione dei diseredati di quel paese, che aveva compiuto molti progressi per eliminare l’analfabetismo […] che avesse dato il principale contributo per distruggere la belva hitleriana che aveva ucciso sei milioni di miei corregionali, un fatto, questo, che mi sconvolge». […] Alla corte questo non piaceva, essa voleva che confessassi ciò che non avevo fatto, che rendessi falsa testimonianza contro altri innocenti, che mi lasciassi usare come strumento di propaganda antisovietica e anticomunista per alimentare l’isterismo e la guerra fredda. Io non ho voluto prestarmi come strumento di propaganda per inasprire la tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica: soltanto migliori relazioni tra questi due paesi possono dare beneficio ai loro popoli e assicurare la pace mondiale. J. Rosenberg, 1952

Una manifestazione contro i coniugi Rosenberg, 1953

fu quello intentato ai danni dei coniugi Julius (1918-1953) e Ethel (1915-1953) Rosenberg, accusati di spionaggio nucleare per conto dei sovietici e condannati a morte senza che vi fossero prove evidenti della loro colpevolezza: furono giustiziati nel 1953. Dal memoriale di Julius Rosenberg proponiamo una pagina significativa sul clima di quegli anni.

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Modulo 5 Il mondo bipolare

17.4 La politica di armamento nucleare e la guerra di Corea La corsa agli armamenti Lo scontro ideologico tra Stati Uniti e Unione Sovietica si fece sempre più agguerrito e le due superpotenze si lanciarono in una dispendiosa politica di armamenti, una vera e propria gara, indirizzata soprattutto a perfezionare la micidiale arma che aveva distrutto Hiroshima e Nagasaki: la bomba atomica. Ricerche di laboratorio ed esplosioni sperimentali nei deserti del Nevada e dell’Arizona, da parte degli americani, e nelle vaste pianure siberiane da parte dei russi, si susseguirono a ritmo serrato nei primi anni Cinquanta, nel tentativo di mettere a punto le tecniche di fabbricazione della bomba e di aumentarne il potenziale. In poco tempo i due paesi ebbero a disposizione un terribile arsenale di morte. Le due Coree La guerra fredda si trasformò in guerra vera e propria nel giugno 1950 in Corea, la penisola che fronteggia l’arcipelago giapponese nell’estrema parte orientale dell’Asia. La Corea era stata occupata dai giapponesi nel corso della Seconda guerra mondiale; al termine del conflitto vi si erano insediati i russi (a nord) e gli americani (a sud), in attesa della ricomposizione politica del paese, che poi non avvenne proprio a causa della perdurante rivalità tra USA e URSS. Furono così costituite due distinte repubbliche, comunista al nord, democratica al sud; il confine fu fissato al 38° parallelo.

Pablo Picasso, Massacro in Corea, 1951 [Musée Picasso, Parigi]

La guerra Nel 1950 il leader della Corea del Nord, Kim Il-sung (rimasto al potere per quasi mezzo secolo, dal 1948 al 1994), tentò la riunificazione del paese invadendo con le sue truppe la Corea del Sud. Ciò provocò la reazione armata degli Stati Uniti, che contrattaccarono spingendo i nordcoreani in Manciuria. A sostegno dei nordcoreani si schierò l’Unione Sovietica mentre la Cina intervenne in via non ufficiale mandando truppe di “volontari”, che riuscirono a riequilibrare l’andamento del conflitto. Lo scontro fu violentissimo (le stime parlano di circa un milione di morti) e terminò nel luglio 1953, riportando la divisione tra le due Coree al 38° parallelo, così come è ancora oggi: a nord la Repubblica di Corea con capitale Pyongyang e a sud l’altra Corea con capitale Seul. La guerra fredda tra USA e URSS si sviluppò specialmente fra il 1946 e il 1953, anno della morte di Stalin. Anche negli anni successivi, tuttavia, non mancarono momenti di grande tensione fra le due superpotenze, fino alla crisi di Cuba del 1962 [ 20.2].

Capitolo 17 Il mondo diviso

Sintesi

Il mondo diviso

USA e URSS padroni del mondo Dopo il 1945, l’Europa perse l’egemonia mondiale, a vantaggio di due superpotenze a carattere multietnico e a dimensione continentale: l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Gli USA erano caratterizzati dal dominio su ampi territori, dall’abbondanza di risorse e dalla crescita della produzione industriale. L’URSS aveva avuto dalla guerra enormi perdite umane, la produzione industriale calava e l’agricoltura era su livelli minimi. La ricostruzione avviata nel dopoguerra si basò sulla priorità data alla crescita dell’industria. Alla popolazione furono chiesti enormi sacrifici. Nonostante ciò, l’URSS attuò una politica di dominio mondiale contrapponendosi agli USA; la contrapposizione era acuita dall’adesione a due diversi sistemi politico-economici, rispettivamente lo statalismo comunista e la democrazia liberale. Nel dopoguerra fu ridefinita l’economia internazionale sulla base degli interessi americani. Furono creati il Fondo monetario internazionale, una riserva monetaria mondiale ancorata al valore del dollaro, e la Banca mondiale, che concedeva prestiti agli Stati per la ricostruzione;

fu stipulato il GATT, un accordo che prevedeva l’abbassamento delle tariffe doganali e la creazione di un ampio mercato. I paesi comunisti restarono al di fuori di questi organismi e accordi economici. Una speranza di pace: l’ONU Nel 1945 fu poi creata l’ONU, un’associazione di Stati con lo scopo di mantenere la pace e di sviluppare la collaborazione internazionale, che adottò una Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ispirata ai princìpi emersi nelle rivoluzioni settecentesche. Gli strumenti scelti per l’azione dell’ONU furono la diplomazia, le pressioni economiche, l’uso della forza militare per bloccare i rischi di conflitto e favorire la ricerca di soluzioni pacifiche. La guerra fredda Nel dopoguerra il contrasto e le tensioni tra USA e URSS diedero vita alla guerra fredda, combattuta mediante la politica, lo spionaggio, la propaganda e la diplomazia e causata dall’espansionismo delle due superpotenze. Essa si basava anche su aspetti ideologici configurando due modelli

alternativi di civiltà. Le conseguenze si ebbero in tutte le parti del mondo. I contrasti tra popoli e le tensioni tra gli Stati si accentuarono innescando il rischio di conflitti. Negli USA si sviluppò il maccartismo, una campagna anticomunista dal carattere persecutorio che durò fino al 1954: in questo clima, la politica della collaborazione iniziata durante la guerra venne meno. La politica di armamento nucleare e la guerra di Corea Le due superpotenze diedero vita a una politica di armamenti, finalizzata a perfezionare le tecniche e il potenziale dell’arma atomica, tramite ricerche ed esperimenti. Nel 1950 si ebbe uno scontro armato che coinvolse indirettamente USA e URSS, in Corea, dove dopo la Seconda guerra mondiale erano state costituite due repubbliche distinte, una comunista al Nord e una democratica al Sud. Kim Il-sung, leader nordcoreano, tentò di riunificare il paese. Gli Stati Uniti contrattaccarono, provocando l’intervento sovietico a fianco dei nordcoreani. La guerra terminò nel 1953, con il ripristino delle due Coree.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1944

1. 2. 3. 4. 5.

1945

1947

1948

1950

1953

1954

1962

1994

6. il Senato degli Stati Uniti condanna gli atteggiamenti persecutori di McCarthy 7. fine della guerra di Corea 8. creazione del Fondo monetario internazionale 9. fondazione dell’ONU

accordo generale sulle tariffe e sul commercio Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo crisi di Cuba Kim Il-sung attacca la Corea del Sud morte di Kim Il-sung

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Il Fondo monetario internazionale aveva il compito di concedere prestiti agli Stati.

V

F

d. I caschi blu sono messi a disposizione dai singoli Stati aderenti all’ONU.

V

F

b. Joseph McCarthy vietò la proiezione dei film di Charlie Chaplin.

V

F

e. Nel corso della Seconda guerra mondiale, la Corea era stata occupata dagli Stati Uniti.

V

F

c. Le potenze vincitrici erano uscite economicamente rafforzate dalla guerra.

V

F

f. Gli Stati che aderirono al GATT rappresentavano il 95% del mercato mondiale.

V

F

247

248

Modulo 5 Il mondo bipolare

g. La guerra fredda non giunse mai a rotture definitive e a gesti irreparabili.

V

F

h. La Cina intervenne nella guerra di Corea in modo non ufficiale, mediante volontari.

V

F

i. La ricostruzione dell’URSS fu condotta dando la priorità all’industria pesante ed energetica.

V

F

l. L’organizzazione delle Nazioni Unite fu creata su iniziativa della Gran Bretagna. m. Dopo il 1945, l’Europa riacquistò il ruolo di egemonia mondiale. n. Il Fondo monetario internazionale fu creato con gli accordi di Bretton Woods.

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. capitalismo • convertibilità • embargo • espansionismo • maccartismo • riserva valutaria • spionaggio • totalitarismo Tendenza di uno Stato ad ampliare lo spazio di dominio politico ed economico Attività clandestina per raccogliere informazioni a vantaggio di uno Stato Possibilità di trasformare una moneta in oro o in valuta estera pregiata Stato in cui i poteri sono concentrati nelle mani di un gruppo dominante Campagna anticomunista ossessiva e dai caratteri intolleranti Sistema economico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione Massa di oro o valuta pregiata che sostiene il valore di cambio della moneta nazionale Sanzioni di isolamento economico nei confronti di uno Stato

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Cina • confine • controffensiva • Corea del Nord • Corea del Sud • equilibrio • Manciuria • parallelo • Pyongyang • riunificazione • Seul • Stati • Stati Uniti • URSS • volontari

LA GUERRA DI COREA QUANDO

.....................................................................................

PERCHÉ

Tentativo di ............................................................................................

TRA CHI

• ..................................................................................... appoggiata da: ......................................................................... e .............................................................................................. dalla ..................................................................................... • ..................................................................................... appoggiata da: .........................................................................

EPISODI SALIENTI

• La ............................................................................... invade la ..................................................................................... • Intervento di .......................................................................... e ..................................................................................... in ................................................................................................................. • Situazione di ..................................................................................... • Scontro violento (1 milione di morti)

ESITO FINALE

• Due ....................................: ................................................................. (con capitale ...............................................) e ................................................................... (con capitale ...................................................................) • ............................................................................... fissato al 38° ..................................................................................

V

F

V

F

V

F

Capitolo 17 Il mondo diviso

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per “guerra fredda”? Quali particolarità presenta tale conflitto? 2. Quando fu combattuto? Per quali cause? Che cosa differenziava le superpotenze dagli Stati-nazione europei? 3. Che cosa caratterizzava l’economia degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra?

4. Che cosa caratterizzava l’economia dell’Unione Sovietica nel secondo dopoguerra? 5. Quali sistemi politici e ideologici caratterizzavano le due superpotenze? 6. Su quali piani si ebbe il confronto tra le due superpotenze? 7. Che cosa caratterizzò la corsa agli armamenti? Quali esperimenti furono effettuati e dove?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. GUERRA FREDDA

..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

STATI UNITI

UNIONE SOVIETICA

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6. Leggi il documento “La caccia alle streghe tra isteria e guerra fredda” a p. 245 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa fu il maccartismo? Quando e dove avvenne? Per quali cause? 2. Quale clima sociale produsse? Chi poteva essere colpito? Quali autorità furono impiegate? 3. Quale processo scosse particolarmente l’opinione pubblica? Per quale motivo? 4. Che cosa contiene il documento?

5. Che cosa si afferma nella testimonianza riportata dal documento? 6. Quale fu il comportamento della corte nei confronti dell’imputato? A che cosa mirava? 7. Quale fu la reazione dell’imputato? Per quale motivo? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Il maccartismo”.

249

250

Modulo 5 Il mondo bipolare

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali riforme relative all’assetto dei rapporti internazionali furono introdotte nel dopoguerra? 2. A quali princìpi e a quali interessi erano ispirate le riforme economiche? 3. Che cosa è il Fondo monetario internazionale? Quando fu creato? A che scopo?

4. Che cosa è la Banca mondiale? Quando fu creata? A che scopo? 5. Che cosa è il GATT? Quando fu creato? A che scopo? 6. Che cosa è l’ONU? Quando fu creata? A che scopo? A quali princìpi era ispirato?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

LA RIDEFINIZIONE DEI RAPPORTI INTERNAZIONALI RIDEFINIZIONE DEI RAPPORTI ECONOMICI E DIPLOMATICI INTERNAZIONALI

SCOPI ECONOMICI

SCOPI DIPLOMATICI

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Modulo 5 Il mondo bipolare

18 Le due Europe

Capitolo

251

Percorso breve La spartizione dell’Europa in due zone d’influenza, l’Ovest controllato dagli americani, l’Est dai sovietici, fu la rappresentazione più clamorosa del venir meno della centralità europea di fronte all’affermarsi delle due nuove superpotenze. Il controllo USA sull’Europa Occidentale fu consolidato sul piano economico dal piano Marshall, che garantì consistenti aiuti alla ricostruzione. Nel 1949 fu stipulato il Patto Atlantico (NATO), alleanza militare tra USA, Canada e quasi tutti gli Stati dell’Europa Occidentale, Italia compresa. Il “blocco” orientale vi contrappose sul piano economico l’organismo detto Comecon, sul piano militare il Patto di Varsavia. Fra i paesi occidentali si costituì (1957) la Comunità Economica Europea, per favorire gli scambi e la ripresa. In Gran Bretagna i laburisti attuarono una politica di riforme per realizzare uno “Stato del benessere” (Welfare State) concentrato sui servizi ai cittadini: piano sanitario, assistenza pubblica, ideazione di nuovi centri urbani a misura d’uomo detti New Towns. Difficoltà si ebbero in Francia, per l’instabilità dei governi e l’incertezza della linea politica. Il generale De Gaulle, eroe della Resistenza, diede vita a una repubblica presidenziale con forti poteri, che egli stesso guidò dal 1958 al 1969, sostenendo l’autonomia della Francia dall’alleato americano. Nei paesi dell’Est fu imposto il modello sovietico di un’economia totalmente diretta dallo Stato e dal Partito comunista. Solo la Jugoslavia riuscì a mantenere, sotto la presidenza di Tito (1952-80), una posizione autonoma dall’URSS. Il principale terreno di scontro fra i due blocchi fu la Germania, divisa in quattro zone sotto il controllo sovietico, statunitense, inglese e francese. Allo stesso modo fu divisa Berlino, compresa nella zona sovietica. Si costituirono pertanto due diverse Germanie, la Repubblica Federale Tedesca (che unificò le tre zone “occidentali”) e la Repubblica Democratica Tedesca soggetta a Mosca. I due Stati diventarono come le vetrine in cui ciascuno dei due sistemi politici cercava di rappresentare il me-

La costruzione del Muro a Berlino, agosto 1961

glio di sé. La rapida ricostruzione della Germania Ovest, sostenuta dai massicci finanziamenti americani, in breve tempo surclassò l’asfittica economia della Germania Est, determinando uno scompenso fra i due paesi e numerose fughe di berlinesi da est a ovest. Per mettere un freno a queste fughe, nel 1961 i sovietici innalzarono un muro in mezzo alla città, che rimase per quasi un trentennio il simbolo di un contrasto insanabile.

252

Modulo 5 Il mondo bipolare

18.1 L’Europa divisa e le alleanze economiche e militari La conferenza di Yalta La divisione dell’Europa era già stata tracciata dalle potenze vincitrici durante gli ultimi mesi di guerra, tra il 1944 e il 1945, in due incontri tenutisi il primo a Mosca tra Churchill e Stalin [ I luoghi dellla storia, 16.4] e il secondo a Yalta, in Crimea, cui partecipò anche Roosevelt. Le conferenze portarono alla costituzione di due blocchi politici contrapposti: da un lato i paesi dell’Est, sotto influenza sovietica e con governi comunisti (Polonia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Repubblica Democratica Tedesca); dall’altro i paesi dell’Ovest, sotto influenza americana e con governi liberal-democratici (Repubblica Federale Tedesca, Danimarca, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia, Portogallo, Grecia, Italia). La Germania divisa in due fu il segno più forte e clamoroso della spartizione del continente, diviso da una “cortina di ferro”, come la definì il Primo ministro inglese Winston Churchill, che dal Baltico arrivava a Trieste. Il piano Marshall I rapporti tra gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa Occidentale furono consolidati attraverso il piano Marshall, un piano economico che prevedeva aiuti materiali, alimenti, prestiti alle nazioni europee, per facilitarne la ricostruzione dopo i danni della guerra. Fra il 1947 e il 1951, tredici miliardi di dollari furono riversati dagli USA sui paesi europei. Ciò rese possibile una ripresa rapida dell’Europa e diede avvio a un processo di sviluppo che sarebbe maturato nel ventennio successivo. George Marshall

Paesi beneficiari Paesi che non hanno mai ricevuto aiuti

La NATO Al piano Marshall seguì nel 1949 il Patto Atlantico, noto anche con il nome di NATO (North Atlantic Treaty Organization, ossia ‘Organizzazione del trattato del Nord Atlantico’), un’alleanza militare tra gli Stati Uniti, il Canada e quasi tutti gli Stati dell’Europa Occidentale, compresa l’Italia. Nel 1951 basi militari americane furono installate in varie regioni italiane. Il Comecon e il Patto di Paesi Varsavia Le nazioni del blocco orientale contrapposero un Paesi che hanno richiesto esclusi d’ufficio e poi rifiutato gli aiuti a causa delle simpatie analogo organismo economico, indicato con la sigla Comecon (‘Consiglio per la mutua del loro governo Paesi che non hanno assistenza nell’Asse 1955 anche un’alleanza militare comprendente l’Unione richiesto gli aiutieconomica’) e per Sovietica e gli Stati dell’Europa dell’Est, dal Baltico al Mar Nero: il Patto di Varsavia,

*

24% IRLANDA

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24

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236 2825

ISLANDA

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americani M$ Importo (in milioni di dollari) e La Repubblica Federale 257 M$ Aiutisovietica al Patto Atlantico[ 18.2]. % percentuale ricevuta dai principali la risposta ricevuti da altri paesi Tedesca ha aderito alDocumenti, Piano paesi beneficiari del Piano Marshall: (in milioni di dollari) Marshall nel 1949 Germania Federale, Italia, Il piano Marshall, 1947-51 Regno Unito, Francia FINLANDIA

118

257 DANIMARCA

116 U R S S PAESI Paesi beneficiari GRAN BRETAGNA BASSI Paesi che non hanno mai ricevuto aiuti OCEANO 979 RFT* RDT POLONIA (paesi dell’Est) ATLANTICO BELGIO 1297 Paesi che hanno richiesto 546 2445 e poi rifiutato gli aiuti LUSSEMB. 11% CECOSLOVACCHIA 21% Paesi che non hanno richiesto gli aiuti 560 FRANCIA SVIZZERA AUSTRIA Paesi esclusi d’ufficio a causa UNGHERIA delle simpatie del loro governo per l’Asse ROMANIA ITALIA PORTOGALLO M$ Importo (in milioni di dollari) e MAR NERO JUGOSLAVIA % percentuale ricevuta dai principali paesi 50 1314 SPAGNA BULGARIA beneficiari del piano Marshall: Germania 11% Federale, Italia, Regno Unito, Francia ALBANIA TURCHIA 257 Aiuti americani ricevuti da altri paesi GRECIA (in milioni di dollari) 152 515 Repubblica Federale Tedesca * La ha aderito al piano Marshall nel 1949 MAR MEDITERRANEO

Capitolo 18 Le due Europe I paesi neutrali Fuori dei blocchi, in una posizione di neutralità, restarono la Svizzera, l’Austria, la Svezia e la Jugoslavia. Quest’ultima, che fin dai tempi della guerra, durante la Resistenza, si era data un governo comunista guidato dal maresciallo Tito (alla guida del paese dal 1952 al 1980), fu l’unico fra i paesi comunisti europei che riuscì a perseguire una politica autonoma rispetto all’Unione Sovietica, malgrado le forti pressioni di Stalin [ 18.3]. La nascita della CEE Nello stesso periodo gli Stati dell’Europa Occidentale si sforzarono di creare nuove forme di cooperazione economica e scientifica, allo scopo di potenziare le proprie forze e lo sviluppo generale. L’obiettivo era anche quello di ritrovare una propria autonomia nei confronti delle due superpotenze che ormai dirigevano i destini del mondo. Nel 1957 si costituì pertanto a Roma la Comunità Economica Europea (CEE), unione di sei Stati (Francia, Italia, Germania Federale, Belgio, Olanda, Lussemburgo) che prevedeva, per gli anni a venire, l’abolizione dei dazi doganali e dei passaporti e la libera circolazione di merci, persone e capitali tra i paesi membri. Il progetto unitario, condiviso in seguito da altri Stati, col tempo si sarebbe consolidato, allargandosi dal piano economico a una dimensione più schiettamente politica.

18.2 Le democrazie occidentali La ripresa dell’Inghilterra Nell’immediato dopoguerra gli Stati dell’Europa Occidentale, nonostante la povertà di risorse causata dalle distruzioni belliche, attuarono importanti riforme economiche e sociali per rispondere ai bisogni essenziali della popolazione. Esemplare fu il caso dell’Inghilterra, dove i laburisti (socialisti riformisti) di Clement Attlee (Primo ministro dal 1945 al 1951), usciti vincitori dalle elezioni del 1945, modificarono a fondo l’organizzazione dello Stato. Furono nazionalizzati i principali servizi di pubblica utilità, quali le ferrovie, le aziende elettriche e del gas, le miniere, la Banca d’Inghilterra; fu avviato un piano nazionale della sanità, che assicurò a ogni cittadino il diritto alle cure mediche e ai medicinali gratuiti (National Health Service, ossia ‘Servizio nazionale della salute’). Il Welfare State britannico Fu una vera rivoluzione pacifica, che dette vita al cosiddetto Welfare State (‘Stato del benessere’), un piano di sicurezza sociale promosso e teorizzato dal deputato liberale ed economista William Beveridge (1879-1963), volto a

I luoghi della storia

New Towns

Un aspetto interessante della politica sociale seguita dai governi laburisti nell’Inghilterra del dopoguerra (Welfare State) fu la creazione delle cosiddette “città nuove” (New Towns), costruite secondo un programma urbanistico che intendeva rispondere a tutte le necessità psico-fisiche dei cittadini. Ben trenta città nuove furono fondate in Gran Bretagna in quegli anni: «il più grandioso programma di edilizia pubblica e sociale del mondo occidentale nel XX secolo» lo definì Antonio Cederna, giornalista e scrittore (1921-1996) particolarmente attento ai temi ambientali. Descrivendo la città di Cumbernauld in Scozia, una di queste città-modello, egli illustrò come le modalità della pianificazione avessero a mente il rapporto fra po-

polazione e spazio disponibile (una densità di 90 persone per ettaro), la ricerca dell’equilibrio fra “pieni” e “vuoti” (spazi costruiti e spazi liberi), fra zone riservate ad abitazione privata e zone destinate a «pubblica ricreazione» (in media 100 metri quadrati per abitante). La superficie complessiva dello spazio urbano era di circa 3000 ettari, di cui solo la metà costruiti. La disposizione delle case era «studiata in modo che abbiano le migliori condizioni di luce, soleggiamento, panoramicità delle finestre» e i nuclei residenziali sorgevano attorno a una collina, quasi una «moderna acropoli», visibile da ogni parte, su cui sorgevano i luoghi di utilità collettiva: gli uffici amministrativi, lo spazio commerciale, il centro culturale.

La zona delle industrie era invece periferica, «il tutto percorso da una rete continua di verde, radure, avvallamenti, gruppi di alberi». La rete stradale «è la più perfetta che sia mai stata realizzata: non c’è un semaforo; tutti gli incroci sono a due livelli; alla rete carrabile si accompagna una maglia ininterrotta di percorsi pedonali, che consente a chiunque di recarsi dalla casa al lavoro, alla scuola, al centro, con la massima sicurezza». Le New Towns inglesi, concludeva Antonio Cederna, «sono esemplari sul piano urbanistico, sul piano economico, sul piano sociale, sul piano amministrativo». Per un semplice motivo: «queste città non hanno per scopo il profitto privato, ma l’utile pubblico».

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Modulo 5 Il mondo bipolare

Aa Documenti Patto Atlantico e Patto di Varsavia Nel clima di tensione internazionale noto come guerra fredda, USA e URSS mirarono entrambi a costituire una rete di alleanze militari che garantisse la compattezza, rispettivamente, del “blocco” occidentale e del “blocco” orientale. Il sistema difensivo occidentale, detto Patto Atlantico o NATO, fu sottoscritto a Washington il 4 aprile 1949 da dodici Sta-

maggio 1955 un’alleanza militare detta Patto di Varsavia: vi partecipavano Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania orientale, Polonia, Ungheria e URSS. È da notare che in entrambi i documenti, di cui presentiamo due brevi passaggi, alcuni articoli rivendicano il diritto alla difesa facendo esplicito riferimento alla Carta delle Nazioni Unite.

ti: oltre agli Stati Uniti vi aderirono Belgio, Canada, Danimarca, Olanda, Portogallo, Italia, Francia, Inghilterra, Lussemburgo, Norvegia, Islanda. Nel 1951 si aggiunsero Grecia e Turchia; nel 1954 la Germania federale. La Francia se ne staccò nel 1966 durante la presidenza di Charles De Gaulle. I paesi dell’Est, stretti attorno all’Unione Sovietica, a loro volta sottoscrissero il 14

Il Patto di Varsavia e Parti contraenti [...] tenendo conto che la Germania occidentale è stata nuovamente militarizzata e integrata nel blocco dell’Atlantico del nord, ciò che aumenta i rischi di una nuova guerra e crea una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati pacifici; convinte che, in tali condizioni, gli Stati pacifici dell’Europa debbano prendere le misure necessarie sia per garantire la loro sicurezza sia nell’interesse del mantenimento della pace in Europa; ispirandosi ai fini e ai princìpi della Carta delle Nazioni Unite; desiderosi di consolidare e di sviluppare la loro amicizia, la loro cooperazione e la loro mutua assistenza, in conformità ai princìpi del rispetto dell’indipendenza e della sovranità degli Stati e della non ingerenza nei loro affari interni; tutto ciò premesso, hanno deciso di concludere il presente trattato di amicizia, di cooperazione e di mutua assistenza.

Il Patto Atlantico rt. 1. Le parti si impegnano, così come è stabilito nella Carta delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi disputa internazionale nella quale potrebbero essere implicate, in modo che la pace e la sicurezza internazionale, così come la giustizia, non siano poste in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza. Art. 5. Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America del nord sarà considerato un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che, se tale attacco dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’impiego della forza armata, per ristabilire e garantire la sicurezza nella zona dell’Atlantico del nord.

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Paesi aderenti L’Europa divisa al Patto Atlantico (NATO) Paesi aderenti al Patto di Varsavia Cortina di ferro

L

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Paesi aderenti al Patto Atlantico (NATO) Paesi aderenti al Patto di Varsavia Cortina di ferro

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UNIONE SOVIETICA

POLONIA Praga CECOSL RFT OVACCH IA Vienna FRANCIA Budapest SVIZZERA AUSTRIA UNGHERIA ROMANIA Trieste Belgrado Bucarest MAR NERO JUGO SLAV ITALIA I A Sofia ARIA LG Roma Istanbul BU IO

Parigi

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Mosca

Londra

PAESI

Mosca

UNIONE SOVIETICA

255 La firma dei trattati di Roma, 25 marzo 1957 Il cancelliere tedesco Konrad Adenauer (al centro) e i rappresentanti dell’Italia Gaetano Martino e Antonio Segni (a destra) fotografati in occasione della firma del trattato costitutivo della Comunità Economica Europea.

proteggere il cittadino in ogni momento della sua vita. Alla ripresa del paese contribuirono in modo decisivo gli aiuti americani del piano Marshall [ 18.1], di cui gli inglesi beneficiarono più di ogni altro paese d’Europa. Le riforme attuate dai laburisti comportarono, evidentemente, notevoli spese da parte del governo e sacrifici da parte della popolazione; questo favorì il ritorno al potere dei conservatori, che si imposero alle elezioni del 1951 e rimasero al governo fino al 1964, senza peraltro sconfessare del tutto – come è tipico della tradizione inglese – le efficaci scelte dei loro predecessori. Riforme sociali molto avanzate furono compiute anche in Olanda, in Belgio e nei paesi scandinavi (Danimarca, Norvegia e soprattutto Svezia, che già negli anni Trenta aveva compiuto importanti riforme politiche e sociali per il benessere del proprio paese).

Le difficoltà della Francia Diversa fu la situazione della Francia, dove i primi quindici anni del dopoguerra si presentarono particolarmente difficili: la vita politica interna fu caratterizzata dalla rivaslità di tre grandi partiti (comunista, socialista, democristiano), da governi instabili e da forti contrasti sociali. Inoltre il paese si trovò a lungo impegnato in guerre d’oltremare, nel vano tentativo di conservare i possessi coloniali in rivolta (Algeria, Marocco, Madagascar, Indocina). Il governo del paese fu infine assunto dal generale Charles De Gaulle (1958-69), l’organizzatore della Resistenza contro i tedeschi [ 14.4], che alla fine della guerra aveva diretto il primo governo provvisorio (1944-46). L’autonomia francese Negli anni successivi, per porre rimedio all’instabilità politica, De Gaulle si fece promotore di una riforma che fece della Francia una repubblica presidenziale, in cui, nel rispetto delle libertà democratiche, il presidente (eletto direttamente dai cittadini) godeva di poteri più forti, come quello di nominare il Capo del governo, di sciogliere le Camere quando lo ritenesse opportuno, di sottoporre le questioni più delicate a referendum popolare. De Gaulle stesso fu eletto presidente nel 1958 e riconfermato fino al 1969. De Gaulle diede una particolare importanza alla politica estera, perseguendo l’ambizioso progetto di fare della Francia una grande potenza e di renderla autonoma nei confronti di USA e URSS. A tal fine uscì nel 1966 dall’organo militare della NATO, rivendicando per il suo paese libertà d’azione. Da allora, fino a oggi, i rapporti tra Francia e USA sono sempre stati improntati a reciproca amicizia ma anche a un certo distacco.

18.3 I regimi comunisti dell’Est L’imposizione del modello sovietico Nei primi anni del dopoguerra i paesi dell’Europa Orientale assoggettati all’influenza dell’Unione Sovietica subirono profonde trasformazioni dovute all’introduzione dell’ordinamento comunista. All’economia privata si sostituì, secondo il modello sovietico, un’economia diretta dallo Stato:

Charles De Gaulle

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Modulo 5 Il mondo bipolare miniere, industrie, commerci, banche diventarono proprietà statale e furono gestite da organi centrali; anche nell’agricoltura si instaurarono ordinamenti collettivi e i contadini diventarono dipendenti statali. Queste trasformazioni furono compiute rapidamente, nel giro di pochi anni, sotto la guida e il controllo di funzionari russi, sostenuti dalle forze militari d’occupazione. Lo scopo era duplice: allargare il “modello” sovietico ad altri paesi, per rafforzarlo; creare intorno all’URSS una cintura protettiva, una sorta di “cordone sanitario” che la separasse anche fisicamente dai paesi dell’Europa controllata dagli Stati Uniti.

L’autoritarismo comunista Nei paesi europei dell’Est la vita pubblica fu completamente dominata dal Partito comunista, che si impose dopo aver estromesso o eliminato gli altri partiti. La nazione che per prima subì tale trasformazione e il duro controllo sovietico fu la Polonia; seguirono la Bulgaria e la Romania, dove fu abolita la monarchia e instaurata la repubblica. L’Ungheria L’introduzione del collettivismo comunista in Ungheria e in Cecoslovacchia incontrò particolari resistenze, superate da un diretto intervento dei russi. In Ungheria, alle elezioni il Partito comunista risultò molto debole e in assoluta minoranza (il 17% dei voti). I russi fecero imprigionare i capi degli altri partiti e le elezioni furono rifatte con una lista unica, in modo da assicurare la vittoria ai comunisti. La Cecoslovacchia In Cecoslovacchia, nell’immediato dopoguerra, il governo fu affidato a Eduard Beneš (già presidente in esilio dal 1940), sincero estimatore dell’Unione Sovietica, ma al tempo stesso convinto sostenitore della libertà politica, del sistema pluripartitico e delle istituzioni parlamentari. Egli avviò una franca collaborazione con i comunisti, ai quali riservò importanti incarichi di governo. Ma poi le tensioni politiche si fecero acute e i comunisti, diventati partito di maggioranza, assunsero la direzione del paese. Seguì un periodo di scontri e violenze, in un clima di guerra civile; Beneš lasciò la presidenza del governo e il ministro degli Esteri Jan Masaryk (1940-48) morì cadendo dalla finestra in circostanze sospette. Nel 1948 a Praga si affermò il potere totale del comunismo e anche l’economia del paese, un tempo piuttosto attiva, risentì pesantemente del nuovo assetto, impoverendosi.

Il leader jugoslavo Tito, metà del XX sec. Segretario del Partito comunista jugoslavo clandestino, Josip Broz, detto Tito, comandò la Resistenza contro i tedeschi dopo l’invasione del 1941 fino alla liberazione della Jugoslavia. Egli conservò il potere come presidente del Consiglio (1953-80) e fondò la Repubblica socialista federale jugoslava. È stato uno degli ideatori del Movimento dei pesi non allineati – con Nasser (presidente egiziano) e Nehru (Primo ministro indiano) – finalizzato a legare gli Stati che non volevano schierarsi “con o contro” le due superpotenze impegnate nella guerra fredda.

La Jugoslavia Solo in Jugoslavia la presa del potere da parte dei comunisti avvenne in maniera indolore, grazie all’autorità e al prestigio che, sotto la guida di Josip Broz Tito, essi si erano guadagnati durante la Resistenza nella lotta di liberazione nazionale dai nazisti. I comunisti pertanto si imposero da soli al governo del paese, di cui lo stesso Tito rimase presidente fino all’anno della morte (1952-80), e svolsero una politica parzialmente autonoma dalle direttive di Stalin, al punto che, nel 1948, questi li condannò ufficialmente come “deviazionisti” e li escluse dal Cominform, l’organo di coordinamento politico dei paesi comunisti europei. Tito cercò sempre di mantenere una certa equidistanza fra il blocco sovietico e quello occidentale, e di instaurare nel paese un modello economico “misto”, controllato dallo Stato ma non chiuso ai meccanismi del mercato. A prescindere dal caso jugoslavo, tutti i paesi comunisti europei entrarono a far parte di un sistema politicamente ed economicamente coordinato dall’URSS.

18.4 Le due Germanie e il Muro di Berlino La spartizione della Germania La Germania fu il principale terreno di scontro fra Stati Uniti e Unione Sovietica. All’indomani della guerra il paese fu suddiviso in quattro zone d’occupazione, controllate rispettivamente da americani, inglesi, francesi e sovietici. La capitale Berlino, compresa nell’area di controllo sovietico, fu anch’essa spartita in quattro zone, ma agli inizi del 1947 le tre aree sotto controllo “occidentale” furono riunite e integrate, mentre diventava sempre più forte la contrapposizione al modello e al potere sovietico. Stalin rispose, nel 1948, con il blocco di Berlino, cioè chiudendo gli accessi via terra alla città per impedire i rifornimenti e costringere gli occidentali a lasciare la

Capitolo 18 Le due Europe

I modi della storia

257

«Ich bin ein Berliner»

Nel 1963 il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy (1961-63) visitò Berlino, dove, in un discorso rimasto famoso, condannò la costruzione del muro come un oltraggio all’umanità.

S

ono orgoglioso di far visita alla Repubblica Federale Tedesca, che da molti anni garantisce alla Germania la democrazia e il progresso. Duemila anni fa il maggior vanto era pronunciare le parole civis Romanus sum, «sono cittadino di Roma». Oggi, nel mondo libero, il vanto è dire Ich bin ein Berliner, «sono un berlinese». Alcuni sostengono che il comunismo è la via del futuro. Fateli venire a Berlino. Alcuni sostengono che in Europa e altrove possiamo lavorare assieme ai comunisti. Fateli venire a

Berlino. Alcuni sostengono che il comunismo consente progressi economici. Fateli venire a Berlino. Neanche la democrazia è perfetta, ma noi non abbiamo mai dovuto erigere un muro per impedire alla nostra gente di lasciarci. Il muro è un oltraggio non solo contro la storia, ma contro l’umanità: separa le famiglie, divide i mariti e le mogli, i fratelli e le sorelle, e divide un popolo che vuole essere riunito. J.F. Kennedy

città, e passare nella parte sotto il controllo sovietico. Gli statunitensi riuscirono tuttavia a organizzare un gigantesco ponte aereo per non interrompere i rapporti con Berlino: per quasi un anno la popolazione fu sfamata e riscaldata con il soccorso di 2,3 milioni di tonnellate di merci, arrivate attraverso 280.000 voli di aerei statunitensi o alleati. Nel maggio 1949 i sovietici tolsero il blocco alla città e nello stesso mese furono unificate le tre zone occidentali della Germania, che si costituì come Repubblica Federale Tedesca (RFT) con capitale Bonn. Parallelamente, nella parte orientale del paese si costituì una Repubblica Democratica Tedesca (RDT) controllata dai sovietici, con capitale Pankow, un sobborgo di Berlino.

RDT La Repubblica Democratica Tedesca fu trasformata in senso rigorosamente comunista. Le industrie e le banche furono nazionalizzate, le grandi proprietà terriere (già appartenenti ai nobili prussiani) furono confiscate e trasformate in aziende di Stato. La direzione politica fu affidata al Partito comunista, unico partito ammesso dalla legge. Il paese fu tenuto sotto rigoroso controllo militare e in condizioni di vita assai dure, perché impegnato nello sforzo della ricostruzione e nel pagamento dei danni di guerra alla Russia. RFT La Repubblica Federale Tedesca, sorretta dagli aiuti economici americani, rifiorì rapidamente. La ripresa economica della Germania Federale fu il fenomeno forse più spettacolare del dopoguerra europeo. Gli Stati Uniti vollero fare di questo paese una sorta di laboratorio e di vetrina del capitalismo democratico: rinunciarono pertanto alle riparazioni di guerra e inondarono la Germania di dollari, inserendola nel piano Marshall. Ciò consentì al paese di ricostituire rapidamente l’apparato industriale e il marco, la moneta tedesca, diventò la più forte valuta europea. A ciò concorse la stabilità politica, dovuta anche al sistema elettorale introdotto dalla Costituzione del 1949, che, prevedendo “soglie minime” per la rappresentanza parlamentare, penalizzava i piccoli partiti. La guida del governo fu tenuta dal 1949 al 1966 dall’Unione cristiano-democratica con i presidenti Konrad Adenauer (1949-63) e Ludwig Erhard (1963-66), poi dal Partito socialdemocratico. Il Muro della vergogna Lo scompenso tra le due Germanie provocò frequenti fughe di tedeschi dell’Est nella Germania dell’Ovest, attraverso la frontiera rimasta aperta all’interno di Berlino. Per mettere argine al fenomeno dello sconfinamento nel 1961 fu eretto un Muro di cemento nel mezzo della città: un muro sormontato da filo spinato, guardato a vista da sentinelle armate, con l’obbligo di sparare su chiunque tentasse di fuggire. Gli occidentali lo chiamarono «muro della vergogna».

Il ponte aereo organizzato dagli Alleati verso Berlino Ovest In seguito al blocco delle vie di comunicazione messo in opera da Stalin, gli Alleati organizzarono un ponte aereo fra il 26 giugno 1948 e il 12 maggio 1949 per rifornire Berlino Ovest.

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Modulo 5 Il mondo bipolare

Sintesi

Le due Europe

L’Europa divisa e le alleanze economiche e militari Tra il 1944 e il 1945 l’Europa fu spartita tra le due superpotenze vincitrici, costituendo due blocchi contrapposti. Da una parte vi erano i paesi dell’Est, posti sotto influenza sovietica e caratterizzati da regimi comunisti, che si diedero un proprio organismo economico (Comecon) e un’alleanza militare (Patto di Varsavia). Dall’altra parte vi erano i paesi dell’Ovest, posti sotto influenza americana e caratterizzati da governi liberaldemocratici, nei quali gli aiuti economici statunitensi del piano Marshall sostennero la ripresa economica e in cui fu istituita un’alleanza militare, la NATO. La Germania fu divisa in due e spartita tra i due blocchi, così come la capitale Berlino. Fuori dai due blocchi rimanevano Svizzera, Austria e Svezia, e la Jugoslavia, unico paese comunista autonomo dall’URSS. L’Europa Occidentale creò delle forme di cooperazione, istituendo la CEE (1957), che prevedeva al suo interno l’abolizione dei dazi doganali e la libera circolazione di merci, persone e capitali. Le democrazie occidentali Nel dopoguerra, gli Stati dell’Europa Occidentale attuarono diverse riforme economiche e sociali. In Inghilterra i laburisti nazionalizzarono i servizi pubblici, crearono un piano nazionale della sanità e organizzarono il sistema del Welfare State, volto a proteggere i cittadini in ogni momento

della loro vita. Il paese, grazie anche ai contributi economici degli USA, si riprese, anche se le forti spese sostenute dal governo portarono poi al potere i conservatori. In Francia si ebbero difficoltà, per l’instabilità politica, i contrasti sociali e una serie di guerre senza successo per mantenere i possessi coloniali in rivolta. Il governo De Gaulle introdusse la repubblica presidenziale, in cui i poteri del presidente furono rafforzati, e in politica estera favorì l’autonomia della Francia, anche attraverso l’uscita dalla NATO. I regimi comunisti dell’Est Nei paesi dell’Europa Orientale, posti sotto l’influenza sovietica, si introdusse l’ordinamento comunista: l’economia fu diretta dagli organi centrali dello Stato e guidata da funzionari russi, allo scopo di allargare il modello sovietico e di creare un cordone protettivo intorno all’URSS. Il Partito comunista rimase l’unico partito e dominava la vita pubblica. In alcuni casi vi furono delle resistenze all’intervento diretto dei russi. In Ungheria il Partito comunista era in minoranza, i capi degli altri partiti furono imprigionati e furono indette elezioni poi vinte dall’unica lista presente, quella comunista. In Cecoslovacchia il governo Beneš, favorevole al parlamentarismo e al pluripartitismo, aprì ai comunisti, che assunsero poi il potere estromettendo le altre forze. In Jugoslavia il presidente comunista Tito seguì

una linea politica parzialmente autonoma dalle direttive di Stalin, ricercando l’equidistanza tra i blocchi e istituendo un modello economico misto, in cui al controllo dello Stato si affiancava una certa apertura ai meccanismi del mercato. Le due Germanie e il muro di Berlino La Germania divenne il terreno centrale in Europa dello scontro tra USA e URSS. Inizialmente fu divisa in quattro zone di occupazione. Nel 1947 furono unificate le tre aree sotto controllo occidentale. Stalin decise di chiudere gli accessi a Berlino, divisa tra i due blocchi, per tagliare i rifornimenti alla parte occidentale, ma gli USA organizzarono un ponte aereo per rifornire la città. Il blocco staliniano cessò nel 1949. Si crearono due diversi Stati. La Repubblica Federale Tedesca, che comprendeva le zone occidentali, ottenne gli aiuti economici americani che permisero una rapida ripresa economica, in un quadro di stabilità politica. La Repubblica Democratica Tedesca, che comprendeva la zona orientale, era invece soggetta all’URSS. Banche e industrie furono nazionalizzate, le proprietà terriere furono confiscate e divennero aziende di Stato. L’unico partito ammesso era quello comunista e le condizioni di vita erano difficili. Per evitare le frequenti fughe da Est a Ovest nella città di Berlino, nel 1961 fu costruito un muro di cemento che divideva in due la città.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1944

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1945

1948

1949

1951

1952

Conferenza di Yalta Patto di Varsavia Patto Atlantico Tito al potere in Jugoslavia fine delle presidenze di De Gaulle in Francia Charles De Gaulle è eletto presidente della Francia costruzione del muro di Berlino

1955

8. 9. 10. 11. 12.

1958

1961

1966

1969

1980

morte del maresciallo Tito affermazione del potere totale dei comunisti a Praga incontro a Mosca tra Churchill e Stalin uscita della Francia dalla NATO installazione di basi militari americane in diverse regioni italiane

Capitolo 18 Le due Europe

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. blocco • Cominform • cooperazione • cortina • deviazionista • laburisti • nazionalizzazione • presidenzialismo • referendum • welfare Sistema istituzionale basato sul ruolo dominante del presidente della repubblica Opera realizzata in comune per il conseguimento di un fine Socialisti riformisti inglesi Chi mette in dubbio o contesta l’ortodossia del partito Chiusura degli accessi per impedire i rifornimenti Voto elettorale che approva o respinge determinati provvedimenti Barriera che separava il blocco occidentale da quello orientale Piano di sicurezza sociale per proteggere il cittadino in ogni momento della vita Organo di coordinamento politico dei paesi comunisti europei Proprietà statale del controllo e gestione di servizi e mezzi di produzione

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Josip Broz Tito

Yalta

William Beveridge

equidistanza tra i blocchi

Konrad Adenauer

laburisti

Eduard Beneš

Welfare State

Franklin Delano Roosevelt

repubblica presidenziale

Clement Atlee

collaborazione con i comunisti

Charles De Gaulle

ministro degli Esteri

Jan Masaryk

Unione cristiano-democratica

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La definizione di una “cortina di ferro” tra i due blocchi fu di Stalin.

V

F

g. Nei paesi dell’Est le trasformazioni sociali furono guidate e controllate da funzionari russi.

V

F

b. I conservatori non eliminarono del tutto il sistema del Welfare State.

V

F

h. Il sistema elettorale della RDT prevedeva soglie minime per la rappresentanza parlamentare.

V

F

i. Le guerre oltremare della Francia si svolsero in Algeria, Marocco, Madagascar e Indocina.

V

F

l. Riforme sociali avanzate furono compiute in Belgio e Olanda e nei paesi scandinavi.

V

F

V

F

n. Tra i poteri del presidente francese vi era quello di nominare il Parlamento.

V

F

o. Il progetto di unità europea col tempo si allargò dal piano economico a quello politico.

V

F

c. La CEE prevedeva l’abolizione dei passaporti e la libera circolazione delle persone nei paesi membri.

V

F

d. Svezia, Svizzera e Jugoslavia rimasero al di fuori dei due blocchi.

V

F

e. Il muro di Berlino fu costruito per costringere gli occidentali a lasciare la città.

V

F

f. Stalin condannò i comunisti jugoslavi come deviazionisti ma non li escluse dal Cominform.

V

F

m. Tito instaurò in Jugoslavia un sistema economico chiuso ai meccanismi del mercato.

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260

Modulo 5 Il mondo bipolare

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti e indica sulla cartina i territori dei due blocchi contrassegnandoli con un colore diverso.

Atlantico • Belgio • Bulgaria • Cecoslovacchia • Comecon • comunismo • RDT • democrazia liberale • RFT • Francia • Gran Bretagna • Grecia • Irlanda • Italia • piano Marshall • Norvegia • Olanda • Patto di Varsavia • Polonia • Romania • Ungheria • URSS • USA • Lussemburgo • Portogallo

LA DIVISIONE DELL’EUROPA EST

OVEST

INFLUENZA DI

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SISTEMA DI GOVERNO

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QUALI STATI

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AIUTI ECONOMICI

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ALLEANZE MILITARI

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Capitolo 18 Le due Europe

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “Patto Atlantico e Patto di Varsavia” a p. 254 e rispondi alle seguenti domande.

1. Che cosa si intende per “guerra fredda”? 2. Quale alleanza fu sottoscritta nel 1949? Chi vi aderì? A quale scopo? 3. Quale alleanza fu sottoscritta nel 1955? Chi vi aderì? A quale scopo? 4. Che cosa contengono i due documenti? 5. Quale impegno è previsto dall’art.1 del Patto Atlantico? Chi si impegna? A che scopo? 6. Che cosa contiene l’art.5 del Patto Atlantico? Quali conseguenze comporta?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali difficoltà caratterizzano la Francia del secondo dopoguerra? 2. Quale figura politica emerge? Quali riforme furono realizzate? Quali decisioni furono prese in politica estera? 3. Chi governa nella Gran Bretagna del secondo dopoguerra? Quale figura politica emerge? 4. Quali riforme furono realizzate? A che cosa miravano? Quali conseguenze ebbero?

7. Di che cosa tengono conto le parti contraenti il Patto di Varsavia? 8. Di che cosa sono convinte le parti contraenti il Patto di Varsavia? Che cosa intendono sviluppare? Secondo quali princìpi? 9. Come è definito il trattato del Patto di Varsavia? Con le informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla tabella del precedente esercizio, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Est e Ovest: alleanze militari a confronto”.

5. Quali cambiamenti nei governi si ebbero? In che periodo? Per quali cause? 6. Che cosa caratterizza la politica della Cecoslovacchia nel secondo dopoguerra? Quale figura politica emerge? 7. Quali eventi caratterizzano questo periodo? Con quale esito? 8. Chi governa in Jugoslavia nel secondo dopoguerra? Quale figura politica emerge? Quale posizione assume in politica estera e in economia? 9. A quali blocchi erano legate Francia, Gran Bretagna, Cecoslovacchia e Jugoslavia?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

STATI EUROPEI A CONFRONTO FRANCIA

GRAN BRETAGNA

CECOSLOVACCHIA

JUGOSLAVIA

CHI GOVERNA

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LE RIFORME

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GLI EPISODI SALIENTI

A QUALE BLOCCO ADERISCE

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Modulo 5 Il mondo bipolare

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Da chi fu occupata la Germania dopo la Seconda guerra mondiale? 2. Quale forma di organizzazione territoriale fu adottata nel 1947 nella zona occidentale? 3. Che cosa fu il blocco di Berlino? Da chi fu organizzato? Perché? Con quali conseguenze?

4. Che cosa fu il ponte aereo su Berlino? Da chi fu organizzato? Perché? Con quali conseguenze? 5. Quali Stati furono costituiti nella Germania Occidentale e Orientale? Quale sistema economico le caratterizzava? Quali erano le condizioni di vita sociale? Quali le differenze politiche? 6. Che cosa fu edificato nel 1961? Per quale motivo? Con quali conseguenze?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LE DUE GERMANIE GERMANIA OVEST

GERMANIA EST

LO STATO

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LA CAPITALE

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LE ALLEANZE

L’ECONOMIA

LA POLITICA

9. Leggi il documento “Ich bin ein Berliner” riportato a p. 257 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? Chi è l’autore del testo? 2. In che termini l’autore parla della Repubblica Federale Tedesca? 3. Quale significato è attribuito all’espressione «sono un berlinese»?

4. Quali accuse sono rivolte al comunismo? Per quale motivo? 5. Quale giudizio è formulato verso la democrazia? Per quale motivo? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Il Muro di Berlino”.

Modulo 5 Il mondo bipolare

19 L’Italia

Capitolo

263

ricostruita

Percorso breve Gli italiani, come gli altri europei, dedicarono gli anni del dopoguerra alla ricostruzione del paese, sia sul piano materiale (anche con gli aiuti del piano Marshall) sia sul piano politico (ripristinare la democrazia dopo il ventennio fascista). I primi governi si formarono nel 1945, a guida di Ferruccio Parri del Partito d’Azione, poi di Alcide De Gasperi segretario della Democrazia cristiana. Vi parteciparono tutti i partiti antifascisti, da quelli di maggior peso (la stessa DC, i socialisti, i comunisti) ai gruppi di elettorato più ristretto come i liberali e i repubblicani. Il 2 giugno 1946 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale (per la prima volta votarono anche le donne) per dare vita all’Assemblea costituente incaricata di scrivere la nuova Costituzione. Contemporaneamente fu indetto un referendum per scegliere la forma dello Stato: monarchia o repubblica. La maggioranza scelse la repubblica e capo dello Stato fu eletto il liberale Enrico De Nicola. La nuova Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948 e da allora è la legge fondamentale del nostro Stato. La convivenza al governo di forze ideologicamente lontane non durò a lungo: le nuove elezioni del 1948, svoltesi in un clima di aspro scontro ideologico, vide il successo della DC (sostenuta anche dalle gerarchie ecclesiastiche) sul Fronte popolare, che riuniva comunisti e socialisti. Le sinistre furono escluse dal governo e si formò una coalizione fra DC e partiti minori. Si aprì in questo modo la stagione del “centrismo”, che sarebbe durata fino al 1962. Fu l’epoca del boom economico e demografico, del “miracolo italiano”, come fu detto: da paese agricolo l’Italia si trasformò in pochi anni in un paese industriale, anche se in modo tumultuoso e scarsamente programmato. Lo sviluppo industriale riguardò prevalentemente il nord del paese, in particolare il triangolo Milano-Torino-Genova. Un disordinato processo di urbanizzazione si accompagnò all’imponente flusso migratorio da sud a nord, e la crescita dei consumi individuali (automobili, frigoriferi, lavatrici, ecc.) non fu adeguatamente completata da una politica di servizi pubblici. Anche queste contraddizioni misero in luce l’inadeguatezza

Esultanza per la vittoria della Repubblica nel referendum del 1946

del quadro politico, che nel 1962 imboccò una nuova via, quella del “centro-sinistra” ossia dell’accordo fra cattolici e socialisti, fortemente voluto dal segretario della DC Aldo Moro. Importanti riforme furono realizzate già nel 1962: la nazionalizzazione dell’energia elettrica e l’introduzione della scuola media unica (che estese fino a 14 anni l’istruzione gratuita e obbligatoria). Moro guidò i governi di centro-sinistra fino al 1968.

264

Modulo 5 Il mondo bipolare

19.1 La ricostruzione materiale e politica L’aiuto americano Gli italiani, come gli altri europei che avevano vissuto la tragica esperienza del secondo conflitto mondiale, dedicarono i primi anni del dopoguerra alla ricostruzione del paese. Gli sforzi dei primi governi si concentrarono sulla ricostruzione materiale e sulla ripresa economica. Esse furono sostenute dal consistente appoggio degli Stati Uniti, che, con il piano Marshall, stanziarono rilevanti risorse per gli Stati europei danneggiati dalla guerra [ 18.1]: all’Italia furono destinati 1511 miliardi di dollari. Crisi alimentare e “mercato nero” Dagli Stati Uniti furono inoltre spedite grandi quantità di generi alimentari, perché i viveri scarseggiavano dappertutto. In Italia la produzione di grano si era ridotta quasi della metà, da 80 milioni di quintali nel 1938 a 43 milioni nel 1945; la carne era poca, l’olio, il burro, lo strutto, lo zucchero si commerciavano di nascosto a prezzi altissimi, al cosiddetto “mercato nero”. A ciò facevano riscontro salari molto bassi, che rendevano più che mai difficile la vita quotidiana.

Manifesto di propaganda del piano Marshall Il piano Marshall costituì in paesi gravemente devastati dalla guerra un eccezionale strumento di formazione del consenso a favore del blocco occidentale. Lo stanziamento di dollari per l’Italia fu enorme e permise non solo la ricostruzione del paese ma anche il cosiddetto “miracolo italiano”.

I modi della storia

Il ritorno dei partiti Alla ricostruzione materiale si accompagnò la ricostruzione politica. Dopo vent’anni di dittatura fascista bisognava dar vita a un nuovo Stato, che riportasse gli italiani all’autogoverno e alla democrazia. Le aspirazioni democratiche del paese trovarono espressione nei partiti politici che, aboliti durante il fascismo, si erano ricostituiti nel periodo della Resistenza. Alcuni erano a larga base popolare: la Democrazia cristiana (erede del Partito popolare fondato da don Sturzo, 3.4) guidata da Alcide De Gasperi dal 1944; il Partito socialista, guidato da Pietro Nenni dal 1949 al 1964; il Partito comunista, guidato da Palmiro Togliatti dal 1927 (in clandestinità) al 1964. Altri avevano basi elettorali più ridotte: il Partito repubblicano e il Partito liberale, che si richiamavano a idealità risorgimentali. Gruppi del tutto nuovi erano il Partito d’Azione e la Democrazia del lavoro, di orientamento liberal-socialista, intermedio fra i partiti di ispirazione liberale e quelli di ispirazione marxista (socialista e comunista).

Un nuovo cinema per descrivere la realtà

Nell’Italia del dopoguerra, la cultura e l’arte seppero rappresentare e interpretare con efficacia gli enormi problemi sollevati dal conflitto. Il cinema, in particolare, che in epoca fascista si era accontentato di una produzione convenzionale e non compromettente, che non toccava i temi “caldi” della politica e della società, sembrò prestarsi con particolare intelligenza a questo tipo di riflessione. I problemi del paese furono affrontati da autori e registi in modo diretto e con risultati eccellenti, riprendendo le passioni civili che avevano alimentato la Resistenza e il risveglio negli italiani di una nuova coscienza politica e civile. Il cinema che fu detto “neorealista” si propose di rappresentare la vita nei suoi aspetti più quotidiani, senza idealizzazioni e senza abbellimenti estetici. Roberto Rossellini (1906-1977) girò film di notevole qualità artistica partendo da epi-

sodi di cronaca e dalla storia più recente, quella degli anni di guerra: il suo Roma città aperta (1945), che rappresenta la vita nella capitale dopo la caduta del fascismo, è considerato una sorta di manifesto del neorealismo; celebre anche Paisà (1946) che rievoca l’avanzata delle truppe angloamericane dalla Sicilia verso il nord Italia. Vittorio De Sica (1901-1974) rappresentò momenti significativi della vita popolare nelle città: Ladri di biciclette (1948) – valutato da una giuria di critici cinematografici uno dei migliori film di tutti i tempi – e Umberto D. (1952) sono entrambi

La locandina di Roma città aperta

Capitolo 19 L’Italia ricostruita Il primo governo De Gasperi Il primo governo dell’Italia libera si formò nel giugno 1945: fu una coalizione di tutti i partiti antifascisti, presieduta da Ferruccio Parri, esponente del Partito d’Azione, stimato per la rettitudine morale e per aver avuto una parte direttiva nella Resistenza. Gli succedette pochi mesi dopo (dicembre 1945) un governo presieduto da Alcide De Gasperi, la personalità di maggior rilievo della Democrazia cristiana. In quel periodo si formò un altro raggruppamento politico, il Movimento sociale italiano, di ispirazione fascista, in cui confluirono i simpatizzanti del passato regime. Il dramma delle foibe Proprio tra la primavera e l’estate del 1945, però, l’Italia subì una delle ferite più gravi del dopoguerra. A seguito della guerra di liberazione antifascista intrapresa dalla Jugoslavia sotto il comando del generale Tito [ 18.3], furono occupate l’Istria e la Venezia Giulia. La popolazione italiana fu accusata (in maniera indiscriminata e spesso falsa) di appoggiare il fascismo quando, invece, l’obiettivo reale era eliminare chiunque si opponesse all’avanzata di Tito. Migliaia di cittadini italiani (fascisti, partigiani, bambini, gente comune) furono uccisi e gettati vivi o morti nelle foibe, cavità naturali a forma di pozzo, presenti nel paesaggio carsico della regione. Le vittime calcolate furono circa 15.000. La questione di Trieste Nella conferenza di Parigi svoltasi l’anno dopo [ 16.7] l’Istria fu lasciata alla Jugoslavia, tranne una parte comprendente Trieste e i suoi dintorni (la “zona A”) che fu occupata dagli Alleati. La questione di Trieste si sarebbe risolta solamente nel 1975 con il trattato di Osimo: la “zona A”, con il centro della città, fu assegnata all’Italia; la “zona B” (da Capodistria a Cittanova) fu ceduta alla Jugoslavia.

ambientati a Roma, dove si incrociano personaggi di ogni strato sociale. Luchino Visconti (1906-1976) rappresentò la realtà sociale del paese prendendo spunti dalla letteratura “verista” (La terra trema, del 1948, è ispirata al romanzo I malavoglia di Giovanni Verga). Il cinema italiano, in tal modo, reagiva alla banalità dei film prodotti in epoca fascista e si proponeva all’attenzione internazionale con una sua particolare cifra espressiva, data sia dallo stile, sia dai contenuti di impegno sociale che lo caratterizzavano.

La locandina di Ladri di biciclette

Ritrovamento di cadaveri in una foiba, metà XX sec.

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Modulo 5 Il mondo bipolare

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19.2 L’Italia diventa una repubblica e si dà una nuova Costituzione Il referendum e la repubblica Durante il governo De Gasperi si compì uno dei fatti di maggior significato politico del dopoguerra: la chiamata degli italiani alle urne con suffragio universale. Era la prima volta nella storia dell’Italia che votavano le donne e che il diritto di voto era veramente universale, ed era la prima volta, dopo vent’anni di fascismo, che gli italiani tornavano a dare il voto in piena libertà. Le votazioni si tennero il 2 giugno 1946: si doveva eleggere l’Assemblea costituente, incaricata di redigere il testo della nuova Carta costituzionale. Insieme, fu proclamato un referendum per scegliere se mantenere la monarchia o istituire la repubblica: la partecipazione fu altissima (si arrivò a circa il 90% degli aventi diritto) e la maggioranza degli elettori si pronunciò per la repubblica, con 12.717.923 voti contro 10.719.284. Di conseguenza il re Umberto II, succeduto da appena un mese al padre Vittorio Emanuele III, che aveva abdicato nel tentativo di salvare la monarchia, abbandonò l’Italia e si ritirò in esilio in Portogallo. L’Assemblea costituente, eletta con le stesse votazioni del 2 giugno, nominò capo dello Stato il liberale Enrico De Nicola (1946-48) e diede inizio ai lavori per dare all’Italia una nuova Costituzione. Da quel giorno, il 2 giugno si celebra in Italia la festa della Repubblica.

I tempi della storia In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia Nel testo della Costituzione italiana, che fu elaborato tra il 1946 e il 1947 dagli esponenti di tutte le forze politiche che avevano combattuto nella Resistenza e che avevano bene impressi nella memoria gli orrori e le tragedie della Seconda

guerra mondiale, confluirono insieme le esigenze democratiche del XX secolo e gli ideali politici del Risorgimento. Questo particolare carattere della nostra Costituzione fu messo in evidenza in un discorso tenuto ai giovani di Milano nel 1955 dal

I

n questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie; son tutti sfociati qui in questi articoli. E quando leggo nell’articolo 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; o quando leggo nell’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie, ma questo è Mazzini, questa è la voce di Mazzini! O quando leggo nell’articolo 8: «Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour! O quando leggo nell’articolo 5: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo; o quando nell’articolo 52 io leggo a proposito delle forze armate: «L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», l’esercito di popolo: ma questo è Garibaldi! E quando leggo nell’articolo 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo di questa

La firma della Costituzione Il 22 dicembre 1947, il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola firma la Carta costituzionale che entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.

giurista Piero Calamandrei (1889-1956), membro della Costituente e considerato uno dei “padri fondatori” della nostra Repubblica. Ne riportiamo un brano.

Costituzione voi dovete vedere uomini caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.

Capitolo 19 L’Italia ricostruita

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Giugno 1946: si cambiano le scritte sulle cassette della posta

Scritta antimonarchica a Milano alla vigilia del referendum, 1946 [Farabolafoto, Milano]

La Costituzione italiana La Costituzione repubblicana, preparata dall’Assemblea costituente che comprendeva rappresentanti di tutti i partiti antifascisti, con una larga maggioranza di democristiani, socialisti e comunisti, entrò in vigore il 1° gennaio 1948 e da allora è la legge fondamentale del nostro Stato, sulla quale poggiano le basi giuridiche e morali del paese. La Costituzione della Repubblica italiana è formata di 139 articoli, che traggono ispirazione dalle più alte conquiste civili della storia. Ricordiamo alcuni di questi princìpi, tra i più importanti e significativi: ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■

«la sovranità appartiene al popolo» (art. 1); «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge» (art. 3); «tutte le confessioni religiose sono egualmente libere» (art. 8); «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11); «la libertà personale è inviolabile» (art. 13); «i cittadini hanno diritto di riunirsi, di associarsi, di professare liberamente la propria fede, di manifestare liberamente il proprio pensiero» (artt. 17, 18, 19, 21); «tutti i cittadini sono elettori, uomini e donne; il voto è personale ed eguale, libero e segreto» (art. 48); «tutti i cittadini hanno diritto al lavoro» (art. 4); «la scuola è aperta a tutti» (art. 34); «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (art. 32).

Ponendo a base dello Stato tali princìpi, gli italiani indicarono chiaramente quali erano le loro aspirazioni politiche: vivere da persone libere, progredire nella pace, nella giustizia, nel benessere, in una repubblica che li proteggesse dai pericoli delle dittature e assicurasse lo sviluppo di una società democratica.

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19.3 I partiti di sinistra esclusi dal governo Il secondo governo De Gasperi Le elezioni del 1946 avevano segnato il successo della Democrazia cristiana: si formò quindi un secondo governo De Gasperi, al quale aderirono i repubblicani e gli altri due grandi partiti di massa, quello comunista e quello socialista. Tale governo ebbe però una vita tormentata, perché i programmi dei partiti che lo componevano erano tra loro profondamente diversi. Un programma moderato quello della Democrazia cristiana, mirante soprattutto a pacificare il paese e a tutelare la proprietà privata; un programma di avanzate riforme sociali quello dei comunisti e dei socialisti, mirante a creare posti di lavoro, a migliorare i salari, a diminuire il carovita. Il contrasto era aggravato dal clima di guerra fredda [ 17.3] che imponeva anche ai partiti precise scelte di campo: la DC e i partiti minori si orientarono in senso decisamente filoamericano; i partiti di sinistra (soprattutto i comunisti) erano invece filosovietici. L’estromissione della sinistra In questo clima di scontro ideologico si svolsero le nuove elezioni del 1948, le prime elezioni politiche dopo l’entrata in vigore della Costituzione. La DC ottenne il 48% dei voti, sconfiggendo il Fronte popolare delle sinistre grazie anche al forte sostegno in chiave anticomunista ricevuto dalla Chiesa. Si formò pertanto, sotto la presidenza di De Gasperi, un nuovo governo dal quale furono esclusi i comunisti e i socialisti: esso fu costituito da una larga maggioranza di democristiani

Le vie della cittadinanza

I

Referendum e Costituzione: l’Italia repubblicana e democratica

l referendum è una particolare forma di votazione mediante la quale i cittadini esercitano la sovranità in maniera diretta. Infatti il referendum viene effettuato non per eleggere dei rappresentanti, ma per decidere direttamente su questioni ritenute di speciale importanza. Fondamentale fu per la storia del nostro paese il referendum del 2 giugno 1946 con cui i cittadini decisero l’abolizione della monarchia e l’istituzione della repubblica. Gli ordinamenti degli Stati sono infatti di due tipi principali: monarchico o repubblicano. Un modo di pensare diffuso, ma assai superficiale, ci ha abituati a pensare alla repubblica come ordinamento democratico, e viceversa, alla monarchia come ordinamento autoritario; ma questa immagine, che poteva essere vera al tempo delle monarchie assolute, oggi non corrisponde più alla realtà. Basti pensare che, tra i venticinque Stati che oggi compongono l’Unione Europea, ben sette sono monarchie costituzionali, perfettamente integrate nel sistema liberale e democratico (Svezia, Norvegia, Danimarca, Inghilterra, Spagna, Belgio, più il granducato di Lussemburgo). Viceversa, vari paesi a regime repubblicano hanno conosciuto nel XX secolo dei regimi dittatoriali: ba-

sta pensare alla Germania nazista o, più recentemente, al Portogallo governato dal dittatore Salazar (1932-68), alla Grecia che nel 1967-74 conobbe la dittatura militare, agli Stati ex comunisti che fino al 1981 furono duramente controllati dall’URSS. Il caso forse più sorprendente è quello della Spagna, dove il ritorno della democrazia, nel 1975, è coinciso con la restaurazione della monarchia e con la fine della repubblica fascista instaurata negli anni Trenta dal dittatore Franco. Con il referendum del 1946 la popolazione italiana ha scelto di vivere in uno Stato repubblicano, che tale deve rimanere perché è stato voluto dalla maggioranza della popolazione (ordinamento confermato dall’articolo 139 della Costituzione, dove si dice che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»), e con la Costituzione si è data un orientamento democratico poiché la «sovranità appartiene al popolo» (articolo 1 della Costituzione), che la esercita per mezzo del diritto di voto e partecipando all’attività politica dei partiti, dei sindacati e delle altre organizzazioni sociali. Il diritto di voto è riconosciuto a tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età, cioè 18 anni per

poter votare per la Camera dei deputati e per i referendum, 25 anni per il Senato (articoli 48, 75, 58 della Costituzione).

Simbolo della Repubblica italiana Quello rappresentato è l’emblema della Repubblica italiana disegnato da Paolo Paschetto nel 1947. Si compone di una stella bordata di rosso (simbolo dell’unità del paese) posta su una ruota dentata (simbolo del lavoro che è fondamento della repubblica) tra due rami, uno di ulivo (simbolo della pace) e uno di quercia (simbolo di forza e resistenza del paese).

Capitolo 19 L’Italia ricostruita

Operai in sciopero dopo l’attentato a Togliatti, 1948 L’attentato a Togliatti rischiò di divenire la scintilla per lo scoppio di una guerra civile. Sin dalle prime ore del pomeriggio dello stesso giorno, masse di dimostranti scesero nelle piazze delle città italiane dove si verificarono gravi incidenti a seguito degli scontri tra i manifestanti e le forze di polizia.

in coalizione con esponenti liberali, repubblicani e socialdemocratici (così si chiamarono alcuni socialisti dissidenti, di idee anticomuniste, guidati da Giuseppe Saragat, segretario del PSDI, Partito socialista democratico italiano, quasi ininterrottamente dal 1949 al 1964).

Il rischio della guerra civile e la scissione sindacale Le tensioni tra le forze di governo e quelle della sinistra esplosero nel luglio 1948, quando Togliatti fu vittima di un attentato da parte di uno studente di destra, che sparò al segretario comunista ferendolo in modo molto grave. La notizia dell’attentato rischiò di far piombare nuovamente il paese nella guerra civile ma l’intervento dei dirigenti del PCI e dei sindacalisti, e l’appello dello stesso Togliatti dal letto di ospedale, riuscirono a riportare la calma e l’ordine nel paese. In quegli stessi giorni si ruppe l’unità delle forze sindacali, confluite in chiave antifascista nella CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro); accanto a essa nacquero la CISL (Confederazione italiana sindacati lavoratori) di orientamento cattolico e la UIL (Unione italiana lavoratori) di tendenza repubblicana e socialdemocratica. Il centrismo L’esclusione delle sinistre dal governo, che diede vita al cosiddetto “centrismo”, fu premiata per molti anni dai voti degli elettori: essa fu appoggiata anche dagli Stati Uniti che, nel periodo della guerra fredda, facevano pressioni in tutti i paesi d’Europa affinché i comunisti e gli altri partiti di sinistra fossero esclusi dal governo (i finanziamenti predisposti dal piano Marshall, oltretutto, erano troppo importanti per correre il rischio di perderli indisponendo il governo americano). Il “centrismo” continuò fino al 1963, quando particolari esigenze riformatrici fecero nascere una nuova forma di governo, con la partecipazione dei socialisti, chiamata “centro-sinistra”.

269

270

Modulo 5 Il mondo bipolare

19.4 Il “miracolo economico” Il boom economico e demografico Nel decennio 1952-62 l’economia italiana compì grandi progressi, quali mai si erano verificati in passato. Terminato il periodo della ricostruzione postbellica, la ripresa fu talmente forte e rapida da essere definita un vero “miracolo economico”. Allo sviluppo dell’economia si accompagnò negli anni Cinquanta e Sessanta una forte crescita demografica, determinata, in Italia come negli altri paesi europei, dall’aumento delle nascite, il cosiddetto “baby boom”: esso fu dovuto innanzitutto a fattori di ordine emotivo, cioè il rinnovato entusiasmo di popolazioni uscite dalla tragedia della guerra; sull’andamento demografico influirono inoltre i programmi di assistenza sociale avviati dai governi nel dopoguerra, l’aumento dei redditi delle classi povere, il miglioramento, infine, delle condizioni sanitarie e ospedaliere. Una potenza in crescita Nel giro di pochi anni l’Italia si trasformò da paese agricolo a paese industriale, tanto da figurare al settimo posto tra i paesi più industrializzati del mondo. «I livelli di occupazione aumentarono – ha scritto lo storico Giuliano Procacci –, il tenore di vita della popolazione migliorò e, anche per l’Italia, si poté parlare di “società del benessere”, come per altri paesi più avanzati. Tra i fattori che resero possibile questo eccezionale sviluppo vanno ricordati, in primo luogo, l’adesione alla Comunità Economica Europea [ 18.1], che collocò l’Italia in un’area di grande dinamismo economico, e, in secondo luogo, i bassi salari degli operai italiani, inferiori al livello medio degli Stati europei, che resero concorrenziali sul mercato i prodotti italiani».

Diffusione territoriale e crescita dell’industrializzazione nelle province italiane (censimenti 1951, 1961, 1971)

L’industrializzazione del Nord Lo sviluppo economico non si manifestò uniformemente in tutte le regioni ma si localizzò soprattutto al Nord, nelle aree del cosiddetto “triangolo industriale”, tra Milano, Torino e Genova. Uno dei settori industriali in più rapida espansione fu quello dell’automobile, con aziende all’avanguardia come la FIAT, proprietà della famiglia Agnelli, e l’Alfa Romeo, proprietà dell’IRI, l’ente statale costituito nel 1933 per sostenere l’economia nazionale. Il piano di ampliamento della rete stradale, sostenuto in quegli anni dal governo, si orientò soprattutto verso la costruzione di autostrade a scorrimento veloce: l’Autostrada del Sole, arteria di collegamento delle maggiori città della penisola da Milano a Napoli, iniziata nel 1956 e terminata nel 1964, diventò quasi un simbolo dello sviluppo e della nuova identità del paese. Ma tutto ciò rese ancora più stridente il divario tra Nord e Sud, contrapponendo un’area a sviluppo accelerato a un’area con condizioni di vita ancora molto1951 basse per gran parte della popolazione. Questa situazione di squilibrio provocò un imponente flusso migratorio della popolazione da Sud a Nord, uno dei fenomeni più sconvolgenti della storia italiana contemporanea.

alta media scarsa minima

1951

1961

1971

Capitolo 19 L’Italia ricostruita

271

Famiglia di emigranti meridionali alla Stazione centrale di Milano

Manovali italiani in un’impresa edile tedesca

L’esodo migratorio di intere famiglie che dal Sud si spostarono verso il Nord della nazione fu inarrestabile nonostante le diverse iniziative attuate dal governo (riforma agraria, Cassa del Mezzogiorno, ecc.).

L’esodo dalle campagne non portò soltanto all’emigrazione dal Sud al Nord, ma anche da tutta Italia verso altri Stati europei o extraeuropei.

19.5 L’emigrazione dal Sud verso il Nord Riforme inefficaci ed esodo Non erano mancate iniziative del governo per attivare l’economia del Sud e apportare qualche miglioramento alle categorie disagiate. Si era avviata una riforma agraria con l’assegnazione ai contadini poveri di terre espropriate nei latifondi (circa 750.000 ettari di terra nelle regioni meridionali); si era istituita la Cassa del Mezzogiorno, un ente che trasferiva risorse finanziarie pubbliche verso le regioni del Sud per stimolarne il decollo economico. Ma i risultati erano stati scarsi e non avevano prodotto miglioramenti sostanziali nelle condizioni di vita. Perciò, quando lo sviluppo industriale del Nord creò posti di lavoro e compensi più alti rispetto ai miseri guadagni offerti dalla terra ai contadini del Sud, si avviò il grande esodo migratorio: interi gruppi familiari lasciarono i loro paesi, abbandonando abitudini e tradizioni secolari per inserirsi nell’ambiente completamente nuovo della società urbana industrializzata. Si stima che furono circa 2 milioni gli italiani che abbandonarono il Mezzogiorno per emigrare al Nord; di questi, 900.000 lasciarono il paese per continuare la ricerca di un lavoro nell’Europa settentrionale. Una crescita urbana incontrollata In conseguenza di questa massiccia emigrazione, le campagne cominciarono a spopolarsi e la produzione agricola diminuì, mentre le città si ingrandirono per l’improvvisa e tumultuosa crescita della popolazione. In appena dieci anni, tra il 1951 e il 1961, gli abitanti di Milano aumentarono del 24%, quelli di Torino (sede della FIAT, la maggiore industria italiana) del 43%. A questa crescita si accompagnò una incontrollata e disordinata espansione edilizia a base speculativa, con un aumento vertiginoso dei prezzi dei terreni edificabili e delle abitazioni. Si costruirono case su case e si formarono periferie enormi, che deturparono le città e, per l’insufficienza o la mancanza dei servizi fondamentali, resero difficile la convivenza e più acuti i problemi sociali. Le carenze delle politiche sociali Agli inizi degli anni Sessanta incominciarono ad apparire con evidenza i limiti e le manchevolezze della politica seguita dai governi centristi. Essi avevano stimolato e favorito lo sviluppo economico, ma senza dare allo stesso un chiaro orientamento, un vero programma; era mancata una visione d’insieme dei bisogni e delle esigenze del paese. Lo sviluppo era avvenuto in maniera squilibrata, con una crescita sfrenata dei consumi individuali (automobili, motociclette, elettrodomestici, televisori) a scapito delle necessità pubbliche e sociali. Scuole, ospedali, ferrovie, poste e altri servizi non erano stati né ammodernati né potenziati, e vennero a trovarsi sempre più inadeguati di fronte alle esigenze di una società in rapida trasformazione.

Modulo 5 Il mondo bipolare

40.000



35.000



30.000



25.000



19.6 Aldo Moro e i socialisti al governo

Reddito nazionale miliardi di lire

Reddito nazionale pro capite migliaia di lire – 800

20.000

– 700



– 600 15.000

– 500







1960

1965

Il grafico mette in luce l’incremento del reddito nazionale e del reddito pro capite, particolarmente rapido negli anni del “miracolo economico” (1958-63).

I luoghi della storia

– 300

Riforme efficaci Il nuovo governo di centro-sinistra si presentò al paese con un nutrito programma di riforme, relative alla sanità pubblica, all’edilizia popolare, all’energia elettrica, alla scuola. Il programma fu attuato solo in parte, ma non mancarono significativi risultati, come le due importanti riforme realizzate nello stesso 1962, anno di avvio della nuova coalizione politica. Fu nazionalizzata la produzione dell’energia elettrica e nacque un nuovo ente pubblico, l’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica); si istituì la Scuola media unica, o “scuola dell’obbligo”, che estese fino a 14 anni l’istruzione gratuita e obbligatoria per tutti. In precedenza i percorsi scolastici erano due, uno (Scuola media) che consentiva la continuazione degli studi, l’altro (Avviamento) che serviva solo come preparazione al lavoro. La spinta innovatrice dei governi di centro-sinistra, guidati da Aldo Moro dal 1963 al 1968, a poco a poco si smorzò per i dissensi fra i partiti e soprattutto per i contrasti fra democristiani e socialisti. –



Il reddito nazionale pro capite, negli anni 1950-70

L’intesa DC-PSI La necessità di dare ordine allo sviluppo economico e di provvedere ad alcune riforme che apparivano indispensabili spinse le forze politiche italiane verso una nuova forma di governo di “centrosinistra”, chiamata così perché fondata sull’intesa tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista; vi aderirono anche il Partito repubblicano e quello socialdemocratico. Convinto sostenitore di questa svolta, attuata a iniziare dal 1962, fu Aldo Moro (1916-1978), uno dei più prestigiosi esponenti della Democrazia cristiana e segretario del partito dal 1959. L’avvicinamento dei cattolici e dei socialisti fu facilitato dal clima di maggior distensione che si verificò in quegli anni tra USA e URSS [ 20.1 e 20.2] e dal distacco dell’intero gruppo socialista dall’alleanza con i comunisti, ma anche dalle fortissime manifestazioni di protesta che nel paese si sollevarono quando nel 1960 si formò un governo sostenuto dalle forze neofasciste del Movimento sociale italiano.

1970



1955

10.000



– 400

1951

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Città deturpate, campagne abbandonate. L’Italia del boom

La straordinaria crescita economica dell’Italia negli anni Cinquanta-Sessanta del XX secolo ebbe un suo «rovescio della medaglia», come lo chiamò Giuliano Procacci (1926-2008), uno dei più prestigiosi storici italiani. Questo «rovescio» furono i guasti, di carattere sia ambientale sia sociale, provocati dalla mancanza di un adeguato controllo politico dell’espansione industriale. La rapida e tumultuosa urbanizzazione e uno sviluppo edilizio «svoltosi sotto il segno della più sfrenata speculazione» pregiudicarono in quegli anni gli equilibri edilizi e urbanistici di numerose città, oltre a «deturpare irrimediabilmente paesaggi unici al mondo». La motorizzazione di massa, «artificialmente gonfiata al di là delle possibilità economiche del paese», non fu solo il risultato di un’efficace pubblicità alle automobili e di sapienti tecniche di persuasione, ma anche della «deliberata rinuncia da parte dello Stato a promuovere i mezzi di trasporto pubblico» per favorire l’industria automobilistica:

«mentre si costruiscono migliaia di chilometri di autostrade, si pensa a sopprimere cinquemila chilometri di ferrovie e i trasporti pubblici urbani». Ciò che lascia perplessi di fronte al «miracolo italiano» di quegli anni «è la constatazione che al miracolo economico non ha corrisposto un analogo progresso civile». Eccessivamente rapido e scarsamente controllato, il processo di industrializzazione provocò come ulteriore conseguenza l’emigrazione di tanti contadini dalle regioni del Sud a quelle del Nord, e con essa l’abbandono delle campagne e dell’agricoltura. Il fenomeno non era nuovo: era apparso già nei decenni fra XIX e XX secolo. Ma ora assunse un carattere irreversibile, provocando il crollo improvviso di secolari equilibri sociali, economici e culturali. «I contadini fuggono dalle campagne», scrisse il giornalista e scrittore Giorgio Bocca (1920). «È avvenuto in altri paesi di più antica civiltà industriale, negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia,

in Germania. Ma da noi si abbandonano anche le terre buone, si perdono secolari accumuli di capitale, si gettano via esperienze e specializzazioni, perché è un errore credere che partano i peggiori, sovente sono i più intraprendenti e capaci a muoversi per primi». Con una valutazione finale che chiama in causa valori culturali prima che economici: «La civiltà industriale ha avuto troppa fretta, ha ferito a morte la civiltà contadina prima di esser pronta a sostituirla completamente». Questo tema, la «fine della civiltà contadina» e l’incapacità di sostituirla con nuovi valori, in una società industriale cresciuta troppo in fretta per generare essa stessa una propria cultura, fu particolarmente sentito e sviluppato da Pier Paolo Pasolini (1922-1975), uno dei maggiori scrittori italiani, che descrisse con desolato stupore le masse proletarie delle periferie urbane, catapultate dalle campagne alle città in modo improvviso, senza gli strumenti culturali per agire nella nuova realtà.

Capitolo 19 L’Italia ricostruita

Sintesi

L’Italia ricostruita

La ricostruzione materiale e politica Nel dopoguerra gli italiani si dedicarono alla ricostruzione del paese. La ripresa economica fu possibile grazie all’appoggio degli USA. Occorreva poi creare un nuovo Stato e ripristinare la democrazia. Dei partiti politici già ricostituiti durante la Resistenza, alcuni avevano un’ampia base (DC, PSI, PCI), altri una base ristretta (PRI, PLI, Partito d’Azione). Nel dicembre 1945 si formò il governo De Gasperi e nacque l’MSI, un partito di ispirazione fascista. In quell’anno la Jugoslavia occupò l’Istria e la Venezia Giulia: gli italiani, accusati di simpatie fasciste, furono uccisi e gettati a migliaia nelle foibe. La conferenza di Parigi (1946) sancì il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia, a eccezione della zona di Trieste, occupata dagli Alleati, che sarà definitivamente assegnata all’Italia col trattato di Osimo (1975). L’Italia diventa una repubblica e si dà una nuova Costituzione Il 2 giugno 1946 gli italiani furono chiamati alle urne con il suffragio universale: fu eletta l’Assemblea costituente e fu scelta la repubblica come forma di governo. L’Assemblea costituente, formata dai rappresentanti dei partiti antifascisti, elesse Enrico De Nicola Presidente della repubblica e redasse il testo della nuova Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Era composta da 139 articoli e ispirata ai princìpi di libertà, eguaglianza, pace, giustizia, benessere, visti come elementi centrali nella costruzione della nuova società democratica e repubblicana.

I partiti di Sinistra esclusi dal governo Dopo le elezioni del 1946 si formò il secondo governo De Gasperi, sostenuto da democristiani, repubblicani, socialisti e comunisti. Il governo era debole, per la diversità dei programmi dei partiti: la DC era filoamericana e moderata, PSI e soprattutto PCI erano filosovietici e volevano introdurre riforme sociali avanzate. Il clima di tensione politica fu aggravato dall’attentato a Togliatti, segretario del PCI. Nel 1948 si ebbero le prime elezioni politiche, vinte dalla DC (appoggiata dalla Chiesa) contro il Fronte popolare, che riuniva le sinistre. Con il terzo governo De Gasperi le sinistre furono escluse e iniziò la stagione del centrismo, con l’appoggio degli USA e il consenso della maggioranza degli elettori. Il “miracolo economico” Nel decennio 1952-62 l’Italia da paese agricolo divenne un paese industriale. La ripresa, rapida e forte, fu definita “miracolo economico”. Lo sviluppo si concentrò nel Nord del paese, soprattutto nel “triangolo industriale” (Milano, Torino, Genova). Il settore di punta fu quello automobilistico, sostenuto anche dall’ampliamento della rete stradale. Il periodo fu caratterizzato anche da una forte crescita demografica. Crebbe però il divario tra Nord e Sud, causando un forte flusso migratorio verso le regioni settentrionali. L’emigrazione dal Sud verso il Nord Il governo prese alcune iniziative per riattivare l’economia del Sud: una riforma agraria assegnò ai contadini poveri le ter-

re espropriate ai latifondi e la Cassa per il Mezzogiorno trasferì risorse pubbliche al Sud per stimolarne la crescita. Ma tali iniziative ebbero scarsi risultati e crebbe l’esodo migratorio verso le città del Nord, in cui aumentarono la popolazione, l’espansione urbanistica e la speculazione edilizia e si svilupparono periferie enormi e spesso prive dei servizi essenziali; nel frattempo le campagne si spopolarono. All’inizio degli anni Sessanta apparvero i limiti della politica del centrismo. Era stato favorito lo sviluppo economico, ma senza una visione complessiva dei bisogni e delle esigenze della popolazione; si erano incrementati i consumi individuali, ma i servizi erano inadeguati rispetto alle necessità sociali. Aldo Moro e i socialisti al governo L’esigenza di attuare riforme portò a una nuova formula di governo, il centro-sinistra, basato sull’intesa tra DC e PSI, promossa da Aldo Moro, segretario della DC. Questa novità fu possibile anche per la distensione internazionale tra i due blocchi, per l’allontanamento dei socialisti dai comunisti e per le manifestazioni di protesta scoppiate nel paese dopo la formazione di un governo sostenuto dalle forze neofasciste. Il programma del centro-sinistra prevedeva numerose riforme. Quelle attuate furono la nazionalizzazione dell’energia elettrica e l’istituzione della scuola media unica che permetteva l’istruzione gratuita e obbligatoria per tutti fino a 14 anni. La spinta innovatrice durò fino al 1968, quando si arrestò per i contrasti tra i partiti, specie tra i democristiani e i socialisti.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1927

1933

1945

1946

1948

1. proteste dopo la formazione di un governo appoggiato dalle forze neofasciste 2. fine del “centrismo” 3. Palmiro Togliatti assume la guida del Partito comunista 4. costituzione dell’IRI 5. elezione dell’Assemblea costituente

1956

1959

6. 7. 8. 9. 10. 11.

1960

1962

1963

inizia la costruzione dell’Autostrada del Sole trattato di Osimo formazione del primo governo dell’Italia libera istituzione della scuola media unica attentato a Togliatti Aldo Moro diventa segretario della DC

1975

273

274

Modulo 5 Il mondo bipolare

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. autogoverno • avviamento • carovita • coalizione • foiba • mercato nero • nazionalizzazione • referendum • socialdemocratici Insieme di transazioni e rapporti di compravendita non certificati, non monitorati dallo Stato e non soggetti a tassazione Votazione con cui i cittadini esercitano la sovranità in maniera diretta Aumento dei prezzi, specialmente di generi di prima necessità Governarsi da sé, senza controlli o interferenze dall’esterno, ma con funzionari eletti all’interno del proprio organico Proprietà statale del controllo e gestione di servizi e mezzi di produzione Socialisti dissidenti di idee anticomuniste Unione di più persone, organizzazioni, partiti o Stati per conseguire un fine comune Percorso scolastico di preparazione al lavoro Cavità naturali a forma di pozzo presenti nel paesaggio carsico

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Pietro Nenni

Partito socialista italiano

Giuseppe Saragat

centro-sinistra

Luigi Sturzo

Partito socialdemocratico italiano

Ferruccio Parri

Partito d’Azione

Palmiro Togliatti

occupazione di Istria e Venezia Giulia

Aldo Moro

Partito popolare italiano

Josip Broz Tito

centrismo

Enrico De Nicola

Partito comunista italiano

Alcide De Gasperi

Presidente della Repubblica

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. I partiti a larga base popolare erano la Democrazia cristiana e il Partito comunista.

V

F

g. Le periferie delle città erano caratterizzate dall’efficienza dei servizi sociali.

V

F

b. La Costituzione della Repubblica Italiana è formata da 139 articoli.

V

F

h. Il centro-sinistra si basava sull’alleanza tra Democrazia cristiana e Partito socialista.

V

F

c. Lo sviluppo economico si concentrò essenzialmente nelle città di Milano e Torino.

V

F

i. Al secondo governo De Gasperi non aderirono né i socialisti né i comunisti.

V

F

d. Nelle elezioni del 2 giugno 1946 votarono per la prima volta le donne.

V

F

l. Prima del 1962, i percorsi scolastici erano due.

V

F

e. Nel 1948 alla CGIL si affiancò la CISL, di orientamento repubblicano e socialdemocratico.

V

F

V

F

f. Il programma di riforme del governo di centro-sinistra fu attuato solo in parte.

V

F

V

F

m. La Cassa per il Mezzogiorno aveva lo scopo di stimolare il decollo economico del Sud Italia. n. La politica del centrismo era appoggiata dagli Stati Uniti d’America.

Capitolo 19 L’Italia ricostruita

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzò la politica del centrismo? In quali anni ebbe luogo? Quali partiti la appoggiavano? 2. Chi fu il principale protagonista della stagione del centrismo? 3. Quali furono le scelte politiche dei governi durante la stagione del centrismo?

4. Quali furono i risultati ottenuti dai governi durante la stagione del centrismo? 5. Che cosa caratterizzò la politica del centro-sinistra? Quando ebbe luogo? Quali partiti la appoggiavano? 6. Chi fu il principale protagonista della stagione del centro-sinistra? 7. Quali furono i risultati ottenuti dai governi durante la stagione del centro-sinistra?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

I GOVERNI DELLA REPUBBLICA ITALIANA NEGLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE CENTRISMO

CENTRO-SINISTRA

QUANDO

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...................................................................................................................

CHI

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QUALI PARTITI

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SCELTE POLITICHE

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RISULTATI

6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuno. 1. 2. 3. 4.

Che cosa si intende con l’espressione “miracolo economico”? Che cosa fu il “baby boom”? Quali ne furono le principali cause? In che cosa si trasformò l’Italia negli anni Cinquanta? In quali aree del paese si diffuse maggiormente l’industrializzazione? Quali erano i settori di punta? 5. Perché si avviò l’esodo migratorio dal sud? Verso quali zone era diretto? Con quali conseguenze? Leggi il documento “Città deturpate, campagne abbandonate. L’Italia del boom” a p. 272 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quale espressione fu coniata da Giuliano Procacci? Che cosa intendeva sottolineare? 2. Che cosa caratterizzò l’urbanizzazione italiana? Con quali conseguenze? 3. Che cosa caratterizzò la motorizzazione di massa italiana? Con quali conseguenze? 4. Quali furono le cause delle migrazioni interne? Quale carattere nuovo assunsero? Con quali conseguenze? 5. Che cosa si intende per “fine della civiltà contadina”? Che cosa fu descritto da Pasolini? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 10 righe dal titolo “L’Italia del boom economico: aspetti positivi e negativi”.

7. Verso il saggio breve Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando fu approvata la Costituzione della Repubblica italiana? Da chi fu approvata? 2. Da quanti articoli è formata? Quali aspirazioni politiche esprime? 3. Quali sono i princìpi più significativi espressi dalla Costituzione italiana? Leggi il documento “Referendum e Costituzione: l’Italia repubblicana e democratica” a p. 268 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è un referendum? In quali casi e effettuato? 2. Che cosa fu deciso dal referendum del 2/6/1946? 3. Quale forma di Stato fu adottata? A chi appartiene la sovranità? Come è esercitata? 4. A chi è riconosciuto il diritto di voto? Leggi il documento “In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia” a p. 266 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? Chi è l’autore del documento? 2. Che cosa ritrova l’autore all’interno della Costituzione? Che cosa intende dire? 3. A quali articoli sono accostate le figure di Mazzini, Cavour, Garibaldi, Cattaneo e Beccaria? 4. Che cosa appare dietro ogni articolo della Costituzione? Che cosa significa? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “La Costituzione repubblicana: caratteri e significato”.

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Modulo 5 Il mondo bipolare

20 Dalla guerra fredda

Capitolo

276

alla coesistenza pacifica

Percorso breve Dopo gli anni della guerra fredda si avviò un faticoso processo di normalizzazione dei rapporti fra USA e URSS. La situazione cominciò a cambiare con la morte di Stalin (1953): il nuovo segretario del Partito comunista sovietico, Nikita Kruscev, ne criticò pubblicamente i crimini e i metodi dittatoriali, attuando una maggiore libertà all’interno del partito e nei rapporti coi paesi satelliti. Ma la rivolta scoppiata in Ungheria nel 1956, capeggiata da Imre Nagy, un comunista di idee liberali, fu soffocata dai carri armati e lo stesso Nagy fu fucilato. Il principio della coesistenza pacifica fra le due superpotenze si fece strada a poco a poco e trovò disponibile sull’altra sponda John F. Kennedy, il nuovo presidente americano eletto nel 1961. Il suo programma di riforme sociali e civili (e l’impegno a garantire l’uguaglianza di diritti fra bianchi e neri, che in diversi Stati non era di fatto riconosciuta) diffuse grandi speranze e fu indicato come nuova frontiera del paese. Nei rapporti con l’URSS vi furono momenti di tensione: nello stesso 1961 i sovietici innalzarono il muro di Berlino; l’anno successivo installarono dei missili nucleari nell’isola di Cuba, di fronte alle coste statunitensi, in appoggio al regime filosovietico di Fidel Castro. Kennedy mise il blocco navale all’isola e sembrò che si fosse sull’orlo della guerra; ma Kruscev fece ritirare i missili. Poi vennero importanti gesti di distensione: nel 1963 il trattato di Mosca stabilì la fine degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Il 22 novembre 1963 Kennedy fu assassinato. Gli successe (fino al 1969) Lyndon Johnson, che proseguì il suo progetto di riforme, soprattutto nel campo dell’assistenza medica e del sostegno alle famiglie povere. Nel 1964 fu emanata la Legge sui diritti civili, che dichiarava illegale qualsiasi discriminazione fra i cittadini. La lotta per l’emancipazione dei neri, condotta in forme dure e intransigenti (come sosteneva Malcolm X) o in forme

Nikita Kruscev alla tribuna del XX congresso del PCUS, 1956

pacifiche (come predicava Martin Luther King), proseguì in un clima di grande violenza: sia Malcolm X sia King finirono assassinati, e così pure Robert Kennedy, fratello del presidente ucciso e probabile candidato alla successione. Fu in questo clima di tensione che gli Stati Uniti intrapresero la guerra nel Viet Nam. La Chiesa cattolica diede in quegli anni un importante contributo alla distensione mondiale. Papa Giovanni XXIII (1958-63) fu particolarmente sensibile ai temi della giustizia e della pace, sostenendo nelle sue encicliche i diritti della persona e dei lavoratori, la necessità di combattere il colonialismo, di eliminare la povertà e le discriminazioni. Nel 1964 convocò il Concilio Vaticano II, che diffuse uno spirito nuovo, aperto e tollerante, rivedendo le posizioni dottrinali della Chiesa con messaggi innovativi: uno fra tutti, quello della libertà religiosa.

Capitolo 20 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica

20.1 L’Unione Sovietica e la svolta di Kruscev La morte di Stalin Da quando era iniziata, la guerra fredda tra URSS e USA aveva creato una sorta di “equilibrio del terrore” che teneva sotto reciproco scacco le due superpotenze, agguerrite nella corsa agli armamenti nucleari ma consapevoli del condiviso pericolo distruttivo che esse stesse e il mondo intero correvano. La situazione cominciò a cambiare già dal 1953, anno della morte di Stalin. Con la scomparsa di Stalin, che aveva guidato il paese in maniera dispotica e intransigente, giunsero al governo dell’Unione Sovietica uomini nuovi, più aperti a comprendere le esigenze dell’epoca, minacciata dai tremendi rischi dell’armamento atomico, che rendevano assolutamente prioritaria la ricerca della pace. Il nuovo corso di Kruscev Una svolta decisiva fu data da Nikita Kruscev, nuovo segretario del Partito comunista e, in quanto tale, capo dell’Unione Sovietica dal 1957 al 1964. Nel XX Congresso del partito, tenutosi nel 1956, egli criticò pubblicamente la politica di Stalin, ne denunciò gli errori, il dispotismo, i crimini e sostenne la necessità di dare inizio a un “nuovo corso”, basato su due punti fondamentali: all’interno del paese migliorare le condizioni di vita della popolazione, all’esterno far cessare la guerra La salma di Stalin ai funerali di Stato nel marzo del 1953

Aa Documenti Kruscev e la “destalinizzazione” Gli aspetti più brutali e oppressivi della dittatura staliniana furono messi sotto accusa da Kruscev in un celebre intervento (il cosiddetto “rapporto Kruscev”) durante il XX Congresso del PCUS, il

S

Partito comunista sovietico, nel 1956. In quella occasione Kruscev sostenne la necessità di abolire il “culto della personalità” instaurato nel paese da Stalin, e di avviarsi verso forme nuove di politica.

talin non agiva con la persuasione, con le spiegazioni e la paziente collaborazione con gli altri, ma imponendo le sue idee ed esigendo una sottomissione assoluta. Chiunque si opponeva ai suoi disegni o si sforzava di far valere il proprio punto di vista e la validità della sua posizione era destinato a essere estromesso da ogni funzione direttiva e, in seguito, “liquidato” moralmente e fisicamente. […] Stalin aveva rinunciato al metodo leninista della persuasione e dell’educazione; aveva abbandonato il metodo della lotta ideologica sostituendolo con quello della violenza amministrativa, delle repressioni in massa e del terrore. […] Noi riteniamo che Stalin sia stato esaltato in modo eccessivo. Tuttavia non c’è dubbio che, nel passato, Stalin ha reso grandi servigi al partito, alla classe operaia e al movimento operaio internazionale. La questione diventa più complicata

In seguito, questo tentativo di “destalinizzazione” sarebbe stato profondamente avversato dalla parte più conservatrice del partito. Leggiamo alcuni passi del discorso di Kruscev.

per il fatto che tutto ciò di cui abbiamo appena discusso1 è accaduto mentre Stalin era vivo, per suo ordine e con il suo concorso. Stalin era convinto che questa fosse una necessità per la difesa degli interessi della classe operaia contro gli intrighi dei nemici e contro l’attacco del campo imperialista. Egli era convinto che così bisognasse fare nell’interesse della classe lavoratrice, nell’interesse del popolo, per la vittoria del socialismo e del comunismo. Non possiamo dire che le sue fossero le azioni di un despota che aveva perduto la testa, poiché egli le riteneva necessarie per il bene del partito e delle masse lavoratrici, e per difendere le conquiste della rivoluzione. In ciò sta la tragedia. N. Kruscev, febbraio 1956 1 I crimini di Stalin e le sue violenze contro gli avversari politici.

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Modulo 5 Il mondo bipolare fredda. Si avviò in tal modo il graduale passaggio alla “coesistenza pacifica”: così fu chiamata la nuova politica internazionale, a indicare che i due sistemi politico-economico-sociali, quello dell’URSS e quello degli USA, anche se radicalmente diversi, potevano convivere senza necessariamente combattersi.

Disordini nei paesi dell’Est Sotto il governo di Kruscev l’URSS incominciò ad allentare la pressione esercitata sulle nazioni dell’Europa Orientale, fino ad allora tenute sotto uno strettissimo controllo militare ed economico. Ciò ebbe immediate conseguenze negli Stati “satelliti”, che approfittarono della situazione per ricercare una propria autonomia. Una serie di agitazioni, provocate sia dalle dure condizioni di vita, sia dal desiderio di emanciparsi dal controllo sovietico, scoppiarono a Berlino e in Polonia. Qui i vertici russi decisero di non intervenire con la forza ma di sostituire i vecchi quadri governativi con politici più vicini alle istanze della popolazione.

Rivolta d’Ungheria, 1956 L’esasperazione degli ungheresi provocata dalla dittatura Rakosi portò, tra ottobre e novembre 1956, allo scoppio di una aspra contestazione che sfociò in guerra civile. I morti, tra civili e militari, furono più di 3000 e circa 250.000 furono gli ungheresi che fuggirono in Occidente. In questa foto è ritratta una giovane ungherese con una granata infilata nella cintura.

I modi della storia

La rivolta ungherese e la repressione sovietica Gli avvenimenti più drammatici si ebbero in Ungheria, dove il regime comunista, sotto il governo di Matyas Rakosi (1945-56), era stato particolarmente duro. A Budapest, nell’ottobre 1956, l’agitazione si trasformò in aperta rivolta: intellettuali, studenti, operai chiesero il ritiro delle truppe sovietiche, libere elezioni, libertà di stampa. Il governo passò a Imre Nagy, un comunista di idee liberali, che si staccò dal Patto di Varsavia, l’alleanza militare dei paesi comunisti dell’Est [ 18.1]. Intervennero allora i carri armati sovietici, che soffocarono nel sangue l’insurrezione e occuparono Budapest. Nagy fu fucilato lo stesso anno e il controllo sul paese fu brutalmente riconquistato. I fatti d’Ungheria ebbero una vasta eco nel mondo occidentale e, sommati alle denunce dello stesso Kruscev contro Stalin, incrinarono profondamente l’idea – che molti avevano creduto vera – che l’Unione Sovietica fosse il modello dello Stato giusto, proletario e antifascista che avrebbe guidato il mondo verso un futuro migliore.

E0= mc2. La scoperta dell’energia atomica

Una semplicissima formula fisico-matematica, E0= mc2 (dove E0 indica l’energia a riposo di un corpo, m la massa del corpo; c la velocità della luce nel vuoto) è il fondamento di una delle maggiori scoperte scientifiche del mondo contemporaneo, l’energia atomica. La formula, frutto degli studi di Albert Einstein (1879-1955), uno scienziato tedesco di origine ebraica, emigrato in America durante il nazismo, indica che la materia e l’energia non sono due realtà diverse, l’una passiva e inerte, l’altra attiva, come aveva insegnato per secoli la scienza fisica, ma sono invece un’unica realtà sotto due diversi aspetti. Sulla base delle teorie di Einstein, rese pubbliche nel 1905 quando lo scienziato aveva appena 26 anni, si scoprì che un’immensa quantità di energia risiede nell’ato-

mo: un granello di sabbia, una bollicina d’aria, una goccia d’acqua contengono energia in quantità enorme, equivalente a quella sviluppata da migliaia di autocarri o da centinaia di locomotive (il segno c2 della formula corrisponde al valore numerico di 90.000.000.000). Questa energia si riuscì anche a farla sprigionare, attraverso un processo di “fissione” ossia mediante la rottura in più parti dei nuclei di elementi chimici “pesanti”, come l’uranio e il plutonio. Al riguardo furono fondamentali le ricerche del fisico italiano Enrico Fermi, a cui, in gran parte, si attribuisce il merito di avere costruito la prima pila atomica (o reattore nucleare), un apparecchio generatore di energia ricavata dall’atomo. Il mondo venne tragicamente a conoscenza di questa scoperta nell’ultimo

anno della Seconda guerra mondiale (1945), quando gli americani sganciarono due bombe atomiche in Giappone e ridussero le città di Hiroshima e Nagasaki a un agghiacciante cimitero. Dopo la fine della guerra gli esperimenti nucleari continuarono e le due superpotenze mondiali, USA e URSS, si dotarono in pochi anni di un terribile arsenale di morte. A iniziare dagli anni Sessanta si raggiunsero importanti accordi per limitare la costruzione di armi atomiche: il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), voluto dall’ONU nel 1968, vide aderire quasi tutti i paesi del mondo. Il potenziale bellico accumulato dalle potenze con l’invenzione della bomba atomica non ha semplicemente aumentato il rischio ma ne ha modificato la qualità, mettendo in pericolo la stessa sopravvi-

Capitolo 20 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica

20.2 Gli Stati Uniti e la presidenza Kennedy La “nuova frontiera” di Kennedy La coesistenza pacifica, già avviata da Kruscev, si consolidò con l’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di John F. Kennedy (1961-63). Membro di un’influente famiglia cattolica di origine irlandese, personaggio di spicco del Partito democratico, sincero progressista, Kennedy propose al suo paese un vasto programma di riforme sociali e civili, a cui diede il suggestivo nome di “nuova frontiera”, per indicare che in quel campo, e non più sull’espansione territoriale come al tempo del Far West, si giocava il nuovo avvenire dell’America. In questo progetto ebbe un particolare rilievo l’instaurazione di una completa uguaglianza tra bianchi e neri, di fatto – più che giuridicamente – ancora discriminati in molti Stati dell’Unione, sul piano dei diritti civili e delle pratiche di vita quotidiana. Le relazioni con l’URSS Nei rapporti con l’Unione Sovietica Kennedy perseguì lo scopo di metter fine alla guerra fredda, sviluppando i temi della pace e della coesistenza. «Cerchiamo insieme la pace – egli disse in uno dei suoi primi discorsi –, studiamo insieme i problemi che ci uniscono, invece di discutere quelli che ci dividono». «Non con la guerra – gli rispondeva Kruscev – il nostro paese deve competere con i paesi capitalisti, ma nei campi pacifici, nello sviluppo delle forze produttive, nel potenziale economico». I primi mesi della presidenza Kennedy furono tuttavia segnati da una notevole tensione fra USA e URSS. Il muro di Berlino Nonostante le reciproche dichiarazioni di coesistenza pacifica, proprio nel 1961, l’anno in cui il presidente si insediava alla Casa Bianca e avveniva il primo incontro ufficiale con Kruscev, i sovietici innalzarono il Muro di Berlino [ 18.4] che, dividendo la città in due zone – Berlino Est sotto il controllo comunista, Berlino Ovest controllata dagli anglo-americani –, intendeva bloccare i tentativi di fuga da una parte all’altra della città (dal 1945 al 1960 erano stati oltre 3 milioni i berlinesi fuggiti verso la parte occidentale). La crisi di Cuba La tensione si aggravò nel 1962 quando i sovietici inviarono una fornitura di missili nucleari a Cuba, proprio di fronte alle coste statunitensi, dove, tre anni prima, una rivoluzione filosovietica aveva abbattuto il regime del dittatore Batista (al

venza dell’umanità. La necessità di ricercare la pace nel mondo fu perciò fermamente sostenuta sia da Nikita Kruscev sia da John F. Kennedy. In un discorso rivolto alle Nazioni Unite il 18 settembre 1959, il premier sovietico così si espresse: «nelle attuali condizioni non vi è altra via di uscita: o la via della coesistenza pacifica o la guerra più distruttiva della storia dell’umanità. […] L’attuazione di un programma di disarmo generale e completo offrirebbe la possibilità di trasferire enormi somme di denaro alla costruzione di scuole, ospedali, case, strade, alla produzione di viveri e di beni industriali». Gli fece eco il discorso che Kennedy tenne il 20 gennaio 1961, in occasione del suo insediamento alla Casa Bianca, in cui auspicava «che entrambe le parti inizino ex novo la ricerca della pace, prima che

le potenze tenebrose della distruzione scatenate dalla scienza travolgano tutta l’umanità in un deliberato o accidentale autoannientamento». Il controllo di queste tecnologie appare fondamentale non solo per la pace nel mondo ma per il futuro stesso dell’umanità.

Albert Einstein

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Modulo 5 Il mondo bipolare potere dal 1940 al 1944 e poi, ancora, dal 1952 al 1959), sostenuto dagli USA, istituendo un regime comunista con a capo Fidel Castro [ 21.7]. Kennedy – che già l’anno prima aveva incoraggiato un fallito sbarco armato di esuli cubani anticastristi nella “Baia dei porci” a sud dell’Avana, la capitale cubana – ordinò il blocco navale attorno all’isola e per qualche tempo sembrò che si fosse sull’orlo del conflitto nucleare; a questo punto Kruscev decise di ritirare i missili.

Verso il disarmo L’anno successivo (1963) fu stipulato il trattato di Mosca, con il quale USA e URSS si impegnavano a metter fine agli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Altri incontri fra i capi di governo delle due potenze stabilirono la graduale limitazione delle armi e dei missili nucleari e la creazione di una linea telefonica diretta, la cosiddetta “linea rossa”, tra la Casa Bianca a Washington e il Cremlino a Mosca, per scongiurare l’eventualità di una guerra nucleare innescata “per sbaglio”.

Distensione tra le superpotenze, 1961 John F. Kennedy e Nikita Kruscev durante un summit tenutosi a Vienna nel 1961.

La morte di Kennedy Il 22 novembre 1963 Kennedy fu assassinato a Dallas nel Texas, in un attentato che le indagini giudiziarie non hanno mai pienamente chiarito. Esso fu organizzato, sembra, dalla mafia americana in accordo con i settori più reazionari del mondo economico-politico e dei servizi segreti, contrari alla politica di pace del presidente. Fu un colpo durissimo per gli americani e per quanti nel mondo avevano creduto nelle possibilità di distensione dei rapporti USA-URSS.

20.3 La società americana in cambiamento La “grande società” di Johnson A Kennedy successe Lyndon B. Johnson (1963-69), che intensificò l’impegno degli Stati Uniti nella drammatica guerra del Viet Nam [ 21.6] ma proseguì nel progetto di riforme sociali e civili promesso da Kennedy agli elettori, da Johnson chiamato “grande società”. Il nuovo presidente varò un ampio programma di protezione sociale, favorendo l’edilizia popolare e introducendo l’assistenza medica gratuita per gli anziani e per le fasce più deboli della popolazione. Questa nuova versione del Welfare State [ 18.2] non tardò a produrre i suoi frutti: fra il 1964 e il 1969 il reddito delle famiglie afroamericane, mediamente le più povere del paese, crebbe di più di un terzo. La lotta dei neri americani Uno degli obiettivi principali della politica di Johnson riguardava, infatti, la lotta contro la povertà e la discriminazione razziale. Durante il suo mandato la società americana fu scossa da un vasto movimento di rivolta per l’emancipazione dei neri, che intendevano uscire dalla segregazione – più di fatto che legale – in cui da sempre vivevano. A quasi un secolo dalla guerra di secessione e dall’abolizione della schiavitù, nel sud del paese vigeva ancora un regime di vera e propria segregazione razziale, con limitazioni del diritto di voto, separazione dei luoghi pubblici per bianchi e per neri, e l’inquietante presenza di un violento movimento razzista dei bianchi americani chiamato Ku Klux Klan. La protesta pacifica di Martin Luther King Il moto di protesta prese corpo nel 1955 quando iniziò la sua attività il pastore protestante Martin Luther King (1929-1968), leader pacifista del movimento per i diritti civili, grande ammiratore di Gandhi e sostenitore della non violenza. Sotto la sua guida fu organizzata la più grande manifestazione per i diritti civili svoltasi in America, la cosiddetta “marcia su Washington” del 1963, durante la quale King pronunciò il suo celeberrimo discorso: «Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Io ho un so-

Capitolo 20 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica

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Martin Luther King durante una marcia per i diritti civili, 1965 Pastore battista dal 1954 nella città di Montgomery (Alabama), Martin Luther King guidò il movimento di protesta dei neri organizzando numerose marce pacifiche contro la segregazione razziale e diffondendo il suo ideale di lotta non violenta attraverso i suoi sermoni. Il suo lavoro ebbe un riconoscimento nell’approvazione della Legge sui diritti civili nel 1964 e nel premio Nobel per la pace, che vinse lo stesso anno. Fu ucciso in un attentato il 4 aprile 1968, in circostanze mai del tutto chiarite.

gno. È un sogno profondamente radicato nel sogno americano […]: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono stati creati uguali». Nel 1964 Johnson emanò la Legge sui diritti civili (Civil Rights Act) che dichiarava illegale qualsiasi tipo di discriminazione, basata sul sesso, sulla religione o sul colore della pelle. Nello stesso anno fu consegnato a King il Premio Nobel per la pace. La protesta non violenta per l’emancipazione dei neri trovò il sostegno di Robert Kennedy, fratello del presidente ucciso a Dallas ed egli stesso potenziale candidato alla Casa Bianca, ma qualche mese dopo anche lui fu assassinato. Stessa sorte toccò nel 1968 a Martin Luther King, ucciso in un attentato.

Malcolm X e il Black power Tra il 1965 e il 1968 gravi rivolte urbane scoppiarono nei “ghetti” delle grandi metropoli per opera del movimento nero “separatista”, il Black power (‘potere nero’), che non predicava l’integrazione con i bianchi ma la lotta rivoluzionaria e l’enfatizzazione delle radici africane e delle differenze culturali della comunità nera. Il movimento fu idealmente ispirato all’azione di Malcolm Little (1925-1965), detto Malcolm X, che dichiarava di credere «fermamente che i neri abbiano diritto di lottare con tutti i mezzi che si rendano necessari […] e se è necessaria la violenza per far sì che in questo paese i neri conquistino i loro diritti umani, io sono per la violenza». Malcolm X fu assassinato nel 1965. Il movimento ebbe la sua punta estremista nelle cosiddette “Pantere nere” (Black panthers), dotate anche di formazioni paramilitari. La violenza degli scontri con le forze dell’ordine non impedì che, in quegli anni, si ponessero le premesse per una reale parificazione dei diritti fra le diverse comunità che popolavano gli Stati Uniti.

La premiazione dei velocisti alle Olimpiadi di Città del Messico, luglio 1968 Sul podio, i velocisti americani dei 400 metri Tommie Smith (medaglia d’oro) e John Carlos (medaglia di bronzo) fanno il saluto del movimento Black power.

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Modulo 5 Il mondo bipolare

20.4 Il papa della pace: Giovanni XXIII Un nuovo cammino di pace Un importante contributo alla distensione internazionale fu dato dalla Chiesa cattolica durante il pontificato di Giovanni XXIII (1958-63), fervido di spiritualità e aperto ai problemi del mondo contemporaneo, soprattutto quelli della pace e della giustizia. Succeduto a Pio XII, che si era distinto per l’acceso anticomunismo e la forte ingerenza politica esercitata soprattutto in Italia, Giovanni XXIII mirò a ridare alla Chiesa il suo ruolo di guida spirituale e universale, cercando il dialogo e il confronto. Due importanti encicliche Nel 1961, con l’enciclica Mater et magistra, particolarmente dedicata alle questioni sociali, il pontefice affermò l’urgenza che i poteri pubblici, nazionali e internazionali, affrontassero i problemi della persona umana, in tanti luoghi e in tante forme calpestata e offesa: il giusto salario, i diritti naturali, gli squilibri fra paesi ricchi e paesi poveri, la discriminazione razziale, il colonialismo. La pace, necessità assoluta dell’era atomica per evitare una catastrofe totale, fu l’argomento centrale di un’enciclica del 1963, intitolata Pacem in Terris, che ebbe risonanza mondiale. «Il bene comune universale – così scrisse il pontefice – pone ora problemi a dimensioni mondiali, che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti se non a opera di poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi in grado di operare sul piano mondiale».

Papa Giovanni XXIII, 1958 Il 28 ottobre 1958 fu eletto papa Angelo Roncalli con il nome di Giovanni XXIII. Egli contribuì ad accelerare il processo di distensione tra le superpotenze e sollecitò le attenzioni sociali dei governi.

Il Concilio Vaticano II L’opera di Giovanni XXIII culminò nel Concilio Vaticano II, aperto nell’ottobre 1964. Tutti i vescovi d’Europa, Asia, Africa, America furono convocati per studiare e definire i problemi della spiritualità religiosa nei suoi rapporti con il mondo moderno. Un aspetto fra i più significativi del Concilio fu lo spirito ecumenico (universale), cioè l’aspirazione a operare in comunità di intenti con tutti gli uomini, al di là delle differenze di fede religiosa e politica, di stirpe, di nazione, di lingua. Importante fu il messaggio di tolleranza e di concordia universale avanzato con queste dichiarazioni sulla libertà di fede e di professione religiosa: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa, privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata».

Aa Documenti Pace in Terra: «al bando le armi nucleari» Il clima di coesistenza pacifica fra le grandi potenze, formatosi intorno agli anni Sessanta, fu favorito dalla Chiesa cattolica durante il pontificato di Giovanni XXIII,

È

il papa che con la sua opera pastorale diede una dimensione universale all’attività della Chiesa, aprendola ai grandi problemi del mondo contemporaneo. Leggiamo

per noi doloroso constatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuino a creare armamenti giganteschi e come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche. Gli armamenti, come è noto, si vogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo e armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di pari potenza distruttiva. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Per cui giustizia, saggezza e

un significativo brano tratto dall’enciclica Pacem in Terris.

umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti; che si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; che si mettano al bando le armi nucleari, e si pervenga al disarmo integrato da controlli efficaci. Occorre però nello stesso tempo adoperarsi per dissolvere la psicosi bellica: il che comporta che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Giovanni XXIII, Pacem in Terris, 11 aprile 1963

Capitolo 20 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica

Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica

Sintesi

L’Unione Sovietica e la svolta di Kruscev L’equilibrio del terrore su cui si reggeva la guerra fredda iniziò a cambiare dopo la morte di Stalin (1953), quando la guida dell’URSS passò a Kruscev. Egli criticò la politica staliniana denunciandone crimini ed errori e puntò al miglioramento delle condizioni di vita del popolo russo e alla cessazione della guerra fredda. Nelle nazioni dell’Europa Orientale si affermarono tendenze autonomiste, per l’allentamento del controllo centrale di Mosca. A Berlino e in Polonia si insediarono governi più vicini alle istanze del popolo. In Ungheria nel 1956 scoppiò una rivolta che chiedeva aperture democratiche: elezioni, libertà di stampa, ritiro delle truppe sovietiche. I sovietici intervennero con l’esercito, soffocando la rivolta nel sangue. L’immagine dell’URSS in Occidente ne risultò incrinata. Gli Stati Uniti e la presidenza Kennedy John F. Kennedy, eletto presidente degli Stati Uniti nel 1961, prospettò un programma di riforme sociali e civili in cui emergeva il progetto di instaurare l’eguaglianza tra bianchi e neri. I rapporti con l’URSS furono inizialmente caratterizzati da una forte tensione. Nel

1962 i sovietici installarono missili nucleari a Cuba, Kennedy ordinò il blocco navale all’isola; la crescita della tensione internazionale fece temere il conflitto nucleare e Kruscev ritirò i missili. A quel punto Kennedy andò in direzione della coesistenza pacifica con l’URSS stipulando il trattato di Mosca (1963), con cui le due superpotenze si impegnavano a far cessare gli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Nel novembre dello stesso anno Kennedy fu assassinato a Dallas, in un attentato probabilmente organizzato dalla mafia americana, dai settori reazionari del mondo politico ed economico e dai servizi segreti. La società americana in cambiamento Il successore di Kennedy, Lyndon B. Johnson, aumentò l’impegno americano nella guerra del Viet Nam e introdusse misure di Welfare State come l’edilizia popolare e l’assistenza medica gratuita per le fasce sociali deboli. Durante il suo governo si sviluppò il movimento per l’emancipazione dei neri. Nel 1963 Martin Luther King, pastore protestante pacifista e di colore, organizzò la “marcia su Washington” per i diritti civili. Nel 1964 il governo approvò il Civil Rights

Act che proibiva ogni discriminazione basata su sesso, religione o colore della pelle. Martin Luther King fu poi assassinato nel 1968. Si sviluppò anche il movimento del Black power – ispirato da Malcolm X (assassinato nel 1965), che enfatizzava le differenze tra la comunità nera e quella bianca –, sostenuto anche dalle formazioni paramilitari delle “Pantere nere”. Nonostante la violenza degli scontri, in quegli anni si posero le basi della parificazione dei diritti tra le diverse comunità che vivevano negli Stati Uniti. Il papa della pace: Giovanni XXIII Durante il pontificato di Giovanni XXIII (1958-63) la Chiesa cattolica contribuì alla distensione internazionale, sostenendo i princìpi della pace e della giustizia. Nell’enciclica Mater et magistra i poteri pubblici furono invitati a sostenere i problemi della persona umana, mentre nell’enciclica Pacem in terris fu evidenziata la necessità della pace internazionale per evitare la catastrofe nucleare. Nel 1964 fu convocato il Concilio Vaticano II, che sostenne lo spirito ecumenico, basato sulla comunità di intenti tra tutti gli uomini, al di là delle differenze e legato a un messaggio di tolleranza e concordia universale.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1953

1. 2. 3. 4. 5.

1955

1956

1961

1962

1963

6. 7. 8. 9.

John F.Kennedy diventa presidente degli Stati Uniti trattato di Mosca assassinio di Martin Luther King morte di Stalin inizio dell’attività di Martin Luther King

1964

1965

1968

crisi di Cuba assassinio di Malcolm X Concilio Vaticano II rivolta in Ungheria

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Dopo la morte di Stalin, l’URSS fu governata in maniera ancora più dispotica e intransigente.

V

F

c. L’enciclica Mater et magistra sosteneva la necessità assoluta della pace internazionale.

V

F

b. La “linea rossa” collegava direttamente la Casa Bianca con il Cremlino.

V

F

d. La rivolta ungherese fu sostenuta da intellettuali, studenti e operai.

V

F

283

284

Modulo 5 Il mondo bipolare

e. Fino al 1960 oltre 3 milioni di berlinesi erano fuggiti verso la parte orientale della città.

V

F

i. L’URSS represse le agitazioni scoppiate a Berlino e in Polonia intervenendo con la forza.

V

F

f. Il Concilio Vaticano II fu caratterizzato dalla presenza di uno spirito ecumenico.

V

F

l. Kennedy incoraggiò uno sbarco di esuli cubani anticastristi poi fallito.

V

F

g. L’assassinio di Kennedy è stato completamente chiarito dalle indagini giudiziarie.

V

F

V

F

h. Le “Pantere nere” erano sostenute anche da formazioni paramilitari.

V

F

V

F

m. La “nuova frontiera” di Kennedy indicava un programma di riforme sociali e civili. n. Il “nuovo corso” di Kruscev era basato sul tentativo di migliorare le condizioni di vita del popolo.

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. coesistenza • destalinizzazione • diritti civili • discriminazione • enciclica • ghetto • mafia • segregazione • welfare L’insieme delle libertà e delle prerogative garantite alla persona Organizzazione criminale Differenziazione iniqua tra persone Convivenza senza arrivare allo scontro Piano di sicurezza sociale per proteggere il cittadino in ogni momento della vita Quartiere abitato da minoranze etniche Separazione delle razze, con disparità di diritti a favore di una razza sulle altre Lettera circolare che il pontefice manda al mondo cattolico, su questioni religiose o sociali di una certa rilevanza Politica di rinnovamento attuata in URSS e nei paesi dell’Est europeo dopo la morte di Stalin

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Martin Luther King

regime comunista ungherese

Imre Nagy

marcia su Washington

Fidel Castro

anticomunismo

Nikita Kruscev

destalinizzazione

Malcolm X

rivolta in Ungheria

Pio XII

“nuova frontiera”

John F. Kennedy

Black Power

Lyndon B. Johnson

rivoluzione comunista a Cuba

Matyas Rakosi

candidato alla Casa Bianca

Robert Kennedy

“grande società”

Giovanni XXIII

Concilio Vaticano II

Capitolo 20 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. bianchi • civili • differenze • diritti • discorsi • enfatizzazione • ghetti • integrazione • lotta • Malcolm X • marcia su Washington • Martin Luther King • neri • paramilitari • rivolte • rivoluzionaria • scontri

MOVIMENTI PER I DIRITTI DEI NERI RICORSO A

non violenza

violenza

SOSTENUTO DA

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FORME DI LOTTA

• ............................................................................................................ • .......................................................................................... pubblici

• ..................................................... e .................................................. nei ......................................................................................... urbani • formazioni ....................................................................................

SCOPI DEL MOVIMENTO

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PRINCÌPI ISPIRATORI

.................................................................................... con

ai .............................................. i bianchi

............................................................

ai ..............................................

• ............................................................................................................ • ................................................ delle ............................................... rispetto ai .........................................................................................

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi era Nikita Kruscev? In che periodo governò? 2. A quali princìpi fu ispirata la sua attività politica? Quali elementi di novità la caratterizzarono? 3. Che cosa si intende per “destalinizzazione”? Come e quando essa fu portata avanti? 4. Che cosa si intende per “nuovo corso” di Kruscev? Che cosa lo caratterizzava?

5. Che cosa caratterizzò le agitazioni scoppiate a Berlino e in Polonia? Quale ne fu l’esito? 6. Che cosa caratterizzò la rivolta scoppiata in Ungheria? Quale ne fu l’esito? Con quali conseguenze? 7. Quali conseguenze produsse la politica di Kruscev nella politica internazionale?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. NIKITA KRUSCEV

NUOVO CORSO

POLITICA INTERNAZIONALE

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BERLINO, POLONIA

UNGHERIA (1956)

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BERLINO (1961) .................................................................................................................... .................................................................................................................... ....................................................................................................................

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Modulo 5 Il mondo bipolare

7.

Leggi il documento «Kruscev e la “destalinizzazione”» a p. 277 e rispondi alle seguenti domande.

3. Quali erano i motivi del comportamento di Stalin? 4. Quale è il giudizio espresso da Kruscev?

1. In che modo agiva Stalin? Quale comportamento esigeva? Che cosa accadeva agli oppositori? 2. A quale metodo aveva rinunciato Stalin? Quale metodo aveva seguito?

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Profilo di Nikita Kruscev”.

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi era John F. Kennedy? In che periodo governò? 2. Che cosa prevedeva il suo programma? Come fu denominato? 3. Quali furono le principali decisioni in politica interna e in politica estera?

4. Quando e perché ebbe fine il suo mandato? Con quali conseguenze? 5. Chi era Lyndon B.Johnson? In che periodo governò? 6. Che cosa prevedeva il suo programma? Come fu denominato? 7. Quali furono le principali decisioni in politica interna e in politica estera?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

DUE PRESIDENTI A CONFRONTO JOHN F. KENNEDY

LYNDON B. JOHNSON

QUANDO

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IL PROGRAMMA

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POLITICA INTERNA

POLITICA ESTERA

9. Verso il saggio breve Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna.

Leggi la citazione di Kennedy a p. 279 e rispondi alla seguente domanda.

1. Che cosa si intende per “coesistenza pacifica”? 2. In che periodo si sviluppò? Da quali eventi internazionali fu favorita? 3. A quali decisioni rilevanti sul piano internazionale si arrivò? Con quali conseguenze?

Come si dovrà agire per ottenere la pace?

Leggi il documento «Pace in Terra: “al bando le armi nucleari”» a p. 282 e rispondi alle seguenti domande. 1. Per quale motivo si è sviluppata la corsa agli armamenti? In quali realtà economiche e politiche? 2. Quale posizione è espressa sulla corsa agli armamenti? Con quali argomentazioni? 3. Quale principio va sostituito alla psicosi bellica? Può essere conseguito? Per quale motivo? 4. Chi trarrebbe vantaggio dalla pace?

Leggi la citazione di Kruscev a p. 279 e rispondi alla seguente domanda. In che modo può svilupparsi la competizione con i paesi capitalisti? Leggi la citazione di Giovanni XXIII a p. 282 e rispondi alla seguente domanda. Chi potrà risolvere i problemi legati al bene comune universale? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “Dalla corsa agli armamenti alla coesistenza pacifica”.

La discussione storiografica

La società dei consumi S

oprattutto nel secondo dopoguerra (anni Cinquanta del XX secolo) il fenomeno del “consumismo” si estese dagli Stati Uniti all’Europa Occidentale, seguendo di pari passo il processo di industrializzazione (nei paesi, come l’Italia, che la raggiunsero tardivamente) o il suo stabilizzarsi (nei paesi, come la Gran Bretagna o la Francia, che l’avevano avviata da tempo). La maggiore capacità di acquisto delle masse lavoratrici determinò un aumento della domanda, potenziando il mercato di massa e facendo adottare alle case produttrici nuove strategie di vendita. «La molla principale della domanda divenne la creazione della moderna società dei consumi», ha scritto lo storico belga Herman van der Wee (1928), uno dei maggiori specialisti di storia economica dell’età contemporanea. «Per essere più precisi si trattò dell’ampliamento dell’economia dei consumi negli Stati Uniti e della sua creazione in Europa e in Giappone», dove per «Europa» si intende l’Occidente capitalista. Il fenomeno infatti non interessò l’Est comunista, dove i consumi individuali furono fortemente limitati e compressi. Nei paesi occidentali, una volta soddisfatte le necessità primarie, i consumi

(più che il risparmio) furono sollecitati dai programmi governativi e dagli interessi dell’industria. A tal fine si misero a punto sofisticate tecniche di convincimento, affidate alla pubblicità sui giornali, alla radio, alla televisione: i mezzi di comunicazione di massa che sostennero, appunto, i consumi di massa. La pubblicità non è un’invenzione dell’epoca moderna: essa apparve con il diffondersi dei primi giornali, in Francia e in Inghilterra già nel corso del XVII secolo. Ma è solo nel XX secolo che nasce una vera e propria “cultura dei consumi” sostenuta dai messaggi pubblicitari, che diventano un aspetto fondamentale delle strategie di vendita. Su tali strategie si sono concentrate le attenzioni di numerosi studiosi, storici, sociologi, semiologi. Pionieristico, da questo punto di vista, fu un libro del sociologo americano Vance Packard (1914-1996), intitolato I persuasori occulti, che nel 1957 illustrò i meccanismi pubblicitari attraverso cui l’industria americana riusciva a crearsi un vasto pubblico di clienti consumatori, inducendo, in modo più o meno artificiale, nuovi bisogni e desideri, sollecitati non tanto da considerazioni di ordine razionale, bensì da suggestioni

emotive: appagare il bisogno di sicurezza, la stima e la considerazione di sé, e così via. I significati psicologici, o addirittura psicanalitici dei messaggi pubblicitari, che tendono a conferire precise “personalità” ai prodotti, al di là della loro specifica funzione materiale, furono analizzati, in quegli stessi anni, anche da un celebre semiologo francese, Roland Barthes (1915-1980). La natura e i caratteri della “società dei consumi” sono stati profondamente esaminati negli ultimi decenni, anche in funzione di critiche, più o meno radicali, mosse al consumismo e alle sue conseguenze sul piano culturale e ambientale: nel sistema capitalistico, infatti, le necessità dell’industria di produrre e vendere rischiano di cancellare secolari attitudini elaborate dalle società umane verso la cura e la valorizzazione degli oggetti, la loro conservazione, la loro manutenzione. Il consumismo invece, legato alla logica industriale, premia la sostituzione del vecchio con il nuovo, impoverendo il rapporto fra gli uomini e le cose e creando con il passare del tempo – come è ormai evidente al giorno d’oggi – problemi gravissimi di smaltimento dei rifiuti e di degrado dell’ambiente.

venditori, veri «mercanti di scontentezza» che devono piazzare merci sempre nuove inducendo negli acquirenti un senso di insoddisfazione per ciò che già possiedono. Barthes mette a confronto le pubblicità di diversi detersivi mostrando come a ciascun prodotto

sia associata una diversa simbologia, atta a sollecitare differenti reazioni nei potenziali acquirenti (e a diversificare l’offerta per garantirsi di “colpire” consumatori di ogni natura).

I testi I due brani che proponiamo sono opera dei già citati Vance Packard e Roland Barthes e risalgono entrambi agli anni Cinquanta. Illustrano, dunque, il fenomeno del consumismo nel momento della sua prima diffusione. Packard descrive le tecniche messe in atto dai

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Modulo 5 Il mondo bipolare

Mercanti di scontentezza Vance Packard

L’opinione che quasi unanimemente condividono i produttori di beni di consumo allorché si vedono minacciati da una crisi di superproduzione venne riassunta con una battuta di spirito dal senatore del Wisconsin Alexander Wiley, soprannominato anche “il senatore del formaggio”; verso il 1955, quando in America c’era una tale abbondanza di formaggio che lo si immagazzinava perfino nei vecchi recipienti della Seconda guerra mondiale, e ciò soprattutto per l’altissima produzione fornita dal suo stato, il senatore disse: «Il guaio, per noi, non è tanto che si produce troppo formaggio, ma piuttosto che se ne consuma troppo poco». Negli anni successivi al 1950, allorché, su molti fronti, cominciò a delinearsi la minaccia della superproduzione, l’orientamento dei dirigenti dell’industria americana subì un mutamento radicale. La produzione passò in secondo piano, e tutte le attenzioni furono concentrate sulle vendite. Il presidente della National Sales Executives si espresse addirittura in questi termini: «Il capitalismo è morto – viva il re “consumismo”!». Alle “riunioni responsabili” si parlava della “rivoluzione del mercato”, e si discuteva del miglior modo per “stimolare” la domanda, creando nel pubblico dei bisogni della cui esistenza il pubblico stesso non era ancora cosciente. Un fabbricante di automobili progettava di aumentare le vendite rivolgendosi a “quelli che non sanno ancora di che cosa hanno bisogno”. Questa riconosciuta e urgente necessità di “stimolare” il mercato portò nuova gloria, potere e prosperità agli stimolatori e persuasori di professione dell’industria americana, e in particolare agli specialisti “col vestito grigio” della newyorkese Madison Avenue, nota anche sotto il nome di “viale della pubblicità”. Nel 1955 vennero investiti 9 miliardi di dollari (cifra superiore di 1 miliardo a quella spesa nel 1954 e di 3 miliardi a quella spesa nel 1950) e cioè 53 dollari circa per ogni abitante degli Stati Uniti, per persuadere i cittadini americani a comprare

i prodotti dell’industria. Alcune ditte di cosmetici cominciarono a reinvestire un quarto dei profitti nelle campagne pubblicitarie. A un grande industriale del ramo, probabilmente inventata, venne attribuita questa battuta: «Noi non vendiamo rossetto, compriamo clienti». Come convincere la gente a comprare? Uno degli ostacoli maggiori era costituito dal fatto che la maggior parte degli americani disponeva già di cucine, automobili, televisioni, abiti, in ottime condizioni. Aspettare che questi prodotti si deteriorassero era per i produttori un sacrificio intollerabile. Si fece allora strada fra i tecnici della pubblicità l’idea di creare un “invecchiamento psicologico”, di diffondere cioè fra il pubblico un senso di stanchezza e di insoddisfazione per tutto ciò che veniva presentato come “fuori moda” e superato da “nuovi” modelli. A questo scopo furono organizzate massicce campagne pubblicitarie, da coloro che furono chiamati “mercanti di scontentezza”. Un altro campo che ben presto attirò l’attenzione degli agenti pubblicitari fu quello delle immagini pubblicitarie; si trattava di fornire una “personalità” ben distinta e molto suggestiva a prodotti privi di spiccate caratteristiche, di creare delle immagini capaci – previo un adeguato condizionamento – di presentarsi automaticamente all’occhio del consumatore alla sola menzione del nome del prodotto. Per convincere il consumatore a distinguere fra un prodotto e l’altro, e a collegare un dato prodotto con una data immagine, era ovviamente necessario puntare non già sulla razionalità, ma sull’irrazionalità, sull’emotività. «Il vostro obiettivo – si insegnava ai tecnici pubblicitari – dev’essere quello di creare una situazione illogica: il cliente deve innamorarsi del vostro prodotto e rimanergli legato da un profondo attaccamento, quando in realtà il contenuto è quasi identico a quello di centinaia di marche concorrenti». V. Packard, I persuasori occulti, Torino 1989

Anche i detersivi hanno un’anima Roland Barthes

Si potrebbe contrapporre con profitto alla psicanalisi dei liquidi purificatori (acqua di varechina) quella delle polveri saponificanti o detersive. I rapporti tra il rimedio e il male, tra questi prodotti e lo sporco, sono molto diversi nei due casi. L’acqua di varechina è sempre stata sentita come una specie di fuoco liquido la cui azione va attentamente controllata, altrimenti l’oggetto stesso resta colpito, «bruciato»; la leggenda implicita di questo genere di prodotti poggia

sull’idea di una modificazione violenta, abrasiva, della materia: vi corrispondono effetti di ordine chimico o mutilante: il prodotto «uccide» lo sporco. Al contrario le polveri sono elementi separatori; la loro funzione ideale è quella di liberare l’oggetto dalla sua imperfezione contingente: si «espelle» lo sporco, non lo si uccide più; nell’iconografia Omo, lo sporco è un minuscolo nemico gracile e nero che scappa a gambe levate dalla bella biancheria pura alla sola

La discussione storiografica La società dei consumi

minaccia del giudizio di Omo. I clori e le ammoniache sono senza dubbio i delegati di una specie di fuoco totale, salutare, ma cieco; le polveri al contrario sono selettive, spingono, guidano lo sporco attraverso la trama dell’oggetto, hanno una funzione di polizia, non di guerra. […] Ma nell’ordine stesso delle polveri bisogna ancora contrapporre alla pubblicità psicologica la pubblicità psicanalitica […]. Per esempio, il «bianco» di Persil fonda il suo prestigio sull’evidenza di un risultato; si stimola la vanità delle apparenze sociali offrendo il confronto di due oggetti di cui uno è più bianco dell’altro. La pubblicità Omo indica sì l’effetto del prodotto, ma soprattutto scopre il processo della sua azione; essa impegna in tal modo il consumatore in una sorta di modo vissuto della sostanza, lo rende complice di una liberazione e non più soltanto beneficiario di un risultato; la materia viene dotata di stati-valore. Omo ne utilizza due, molto nuovi nell’ordine dei detersivi: il «profondo» e lo «schiumoso». Dire che Omo pulisce in profondità […] significa supporre che la biancheria è profonda, cosa finora impensata e che incontestabilmente equivale a magnificarla, a porla come oggetto lusingatorio per quegli oscuri impulsi di avviluppamento e di carezza propri di ogni corpo umano. Quanto alla schiuma, è nota

la sua significazione di lusso; prima di tutto ha un’apparenza di inutilità; in secondo luogo la sua proliferazione abbondante, facile, quasi infinita, lascia supporre nella sostanza da cui esce un germe vigoroso, un’essenza sana e potente, una grande ricchezza di elementi attivi in un piccolo volume originario; infine asseconda nel consumatore una immagine aerea della materia, un modo di contatto leggero e verticale insieme […]. La schiuma può perfino essere segno di una certa spiritualità, nella misura in cui lo spirito è ritenuto capace di ricavare tutto da nulla, una grande superficie di effetti da un piccolo volume di cause (le creme hanno tutta un’altra psicanalisi di ordine sopitivo: eliminano le rughe, il dolore, il bruciore, ecc.). L’importante è aver saputo mascherare la funzione abrasiva del detergente sotto l’immagine deliziosa di una sostanza profonda e aerea insieme, che può dominare l’ordine molecolare del tessuto senza intaccarlo. Euforia da cui non si deve del resto essere indotti a dimenticare che esiste un piano in cui Persil e Omo sono la stessa cosa: il piano del trust anglo-olandese Unilever1. R. Barthes, Miti d’oggi, Torino 1974, pp. 28-30 1 La multinazionale che li produce entrambi.

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Modulo 6

Colonialismo al tramonto Colonialism equilibri al tramonto mondiali equilibri

mondiali Capitolo 21

Le trasformazioni in Asia e in America Latina

Uno dei fatti che hanno maggiormente caratterizzato la storia del Novecento è stato il progressivo esaurirsi del colonialismo, con l’emancipazione dei popoli che nel corso dei secoli precedenti erano stati assoggettati al dominio delle potenze europee. Questo movimento di liberazione, che trasformò le ex colonie in Stati indipendenti, si avviò negli anni fra le due guerre mondiali e si sviluppò rapidamente dopo la fine della seconda, operando un vasto rinnovamento del quadro politico mondiale.

e nuovi mo o e nuovi Capitolo 22

L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente Con qualche ritardo rispetto all’Asia, il processo di decolonizzazione investì anche l’intera Africa che, conquistata e spartita dagli europei nel XIX secolo, nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale vide radicalmente trasformata la sua geografia politica, con il passaggio di tutti i paesi coloniali alla condizione di Stati liberi. In contemporanea il Medio Oriente diventò uno dei “punti caldi” del mondo, forse il più critico in assoluto, per l’incrociarsi di tensioni e conflitti di natura economica, politica e religiosa.

Capitolo 23

Nuove tensioni nel mondo La decolonizzazione ebbe importanti conseguenze economiche e politiche anche in Occidente. Le aspirazioni colonialistiche americane furono contestate negli stessi Stati Uniti e in Europa ma anche l’Unione Sovietica attuava una politica di potenza e di riarmo, in una gara per la supremazia mondiale che negli anni Ottanta sembrò mettere in crisi il principio della “coesistenza pacifica” fra USA e URSS. Intanto una drammatica crisi petrolifera colpì i paesi capitalisti tra il 1973 e il 1983, con la conseguenza che in molti paesi si affermarono le forze conservatrici e declinò l’idea di uno “Stato sociale” attento ai servizi e al benessere dei cittadini.

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

21 Le trasformazioni

Capitolo

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in Asia e in America Latina

Percorso breve La crisi del colonialismo, iniziata dopo la Prima guerra mondiale, accelerò dopo la Seconda, in parallelo con la perdita del predominio mondiale dell’Europa, ormai schiacciata tra le due nuove superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, che ebbero un ruolo importante nel sollecitare i movimenti di indipendenza: il principio di autodeterminazione dei popoli fu sostenuto dagli USA e fatto proprio dall’ONU; l’URSS si presentò sempre come paladina dell’emancipazione. Il processo di decolonizzazione si completò dapprima in Asia. L’indipendenza dell’India fu riconosciuta nel 1947 e il paese, contro la volontà di Gandhi, fu diviso in due seguendo criteri religiosi (India indù e Pakistan musulmano, fra cui scoppiarono numerosi conflitti armati). In Cina, le forze di Mao Tse-tung si imposero sui nazionalisti di Chiang Kai-shek dando vita nel 1949 a una repubblica comunista. Il paese attraversò una grave crisi nel 1958-60, con il fallimento della politica agricola che avrebbe dovuto sostenere il decollo industriale. La carestia fece milioni di morti e alimentò forti critiche contro Mao, che colpì gli avversari con la cosiddetta “rivoluzione culturale” (1966-69) mobilitando numerosi giovani contro gli intellettuali indipendenti. Il contrasto tra forze nazionaliste e comuniste caratterizzò anche i paesi dell’Asia sud-orientale liberatisi dal peso coloniale: in Birmania, Malesia, Indonesia, Filippine si affermarono i nazionalisti, anche con feroci dittature militari. Diversamente andarono le cose nell’Indocina, che i francesi non vollero abbandonare, suscitando la resistenza comunista guidata da Ho Chi Minh. Dopo dieci anni di scontri i francesi capitolarono (1954) e la regione fu divisa in tre territori: Cambogia, Laos, Viet Nam, a sua volta diviso in un Nord comunista e in un Sud filoamericano. Il Viet Nam avrebbe dovuto riunificarsi dopo libere elezioni ma gli USA non accettarono il rischio, mentre la lotta armata dei guerriglieri comunisti si estendeva a

Fidel Castro acclamato dai cubani, 1959

tutto il paese. Il progressivo coinvolgimento americano nella guerra, che si svolse fra atrocità di ogni genere, si concluse con una sconfitta e il Viet Nam si riunificò sotto il governo comunista (1975) mentre governi comunisti si affermavano anche in Cambogia e nel Laos. L’America Latina, formalmente libera, fu a lungo soggetta a una dipendenza economica e politica dagli USA e si caratterizzò per l’accentuata instabilità dei governi. Governi populisti (Perón in Argentina, Vargas in Brasile) si alternarono a dittature militari, spesso appoggiate dagli USA, soprattutto negli anni Settanta. A Cuba, invece, nel 1959 presero il potere le forze comuniste di Fidel Castro. Negli anni Ottanta, in molti paesi si ritornò a regimi democratici e parlamentari.

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina

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21.1 L’emancipazione dei popoli coloniali dopo la Seconda guerra mondiale La fine della politica coloniale La crisi del colonialismo, iniziata già dopo la Grande guerra del 1914-18 [ 7], accelerò durante e dopo il secondo conflitto mondiale e si accompagnò alla perdita del predominio mondiale da parte dell’Europa. Per diversi secoli i maggiori Stati europei, forti di una schiacciante superiorità economica, tecnologica e militare, si erano imposti in tutti i continenti, esercitandovi la loro supremazia. Ma nella prima metà del Novecento, nei decenni che videro le potenze europee dissanguate da due successivi conflitti mondiali, questa condizione di superiorità venne a mancare, la politica coloniale fu gradatamente abbandonata e si sviluppò un generale movimento di emancipazione dei popoli soggetti. L’autodeterminazione dei popoli Gli stessi Stati Uniti e l’Unione Sovietica, le due potenze che ora dominavano i destini del mondo, operarono attivamente per sollecitare i movimenti di indipendenza e per scalzare la residua egemonia europea nei paesi asiatici e africani. Il principio di autodeterminazione dei popoli, cioè «il diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo da cui intendono essere retti», era stato proclamato dalla Carta atlantica del 1941 [ 15.2] e diventò poi una delle linee direttive dell’ONU. Da parte sua l’URSS si presentò sempre in veste di paladina dell’emancipazione dei popoli. A ciò si aggiungevano motivi di interesse economico e politico, che in seguito avrebbero visto le due superpotenze in competizione per il controllo del mondo. Verso l’indipendenza delle colonie Di fronte ai movimenti di liberazione, le potenze coloniali tennero comportamenti diversi. L’Inghilterra cercò di non acuire gli scontri, facendo in modo che il passaggio delle sue colonie all’indipendenza avvenisse in maniera pacifica, o in qualche modo concordata, per trasformare l’impero in una comunità di nazioni sovrane, liberamente associate nel Commonwealth [ 7.1]. Più tormentato e combattuto fu invece il movimento per l’indipendenza nei paesi soggetti alla Francia, all’Olanda, al Portogallo, al Belgio, che tentarono di opporsi ai movimenti di liberazione e di conservare il più a lungo possibile l’antico dominio. Consapevolezza e azione Gli storici hanno osservato che un apporto notevole alla preparazione del movimento di emancipazione dei popoli coloniali venne dalle università europee, specialmente quelle britanniche e francesi, in cui fecero i loro studi tanti giovani provenienti dalle colonie. Nel corso di tali studi ci si educava ai princìpi di autodecisione, autogoverno, responsabilità personale, valori che per molti studenti trovarono pratica attuazione nella lotta contro il nazifascismo durante la Seconda guerra mondiale. Una volta tornati in patria, costoro crearono o rafforzarono le forme locali di organizzazione politica, i partiti, i sindacati, i programmi d’azione attorno a cui si formarono i movimenti per l’emancipazione. Per fare qualche esempio, Gandhi e Jawaharlal Nehru, Primo ministro dell’Unione indiana, studiarono in Gran Bretagna; Ho Chi Minh, fondatore del Partito comunista indocinese, si formò a Parigi. Prima l’Asia, poi l’Africa Il movimento di decolonizzazione non ebbe un andamento uniforme ma si sviluppò in tempi e modi diversi: si manifestò prima nel continente asiatico, poi in Africa. In Asia, la grande maggioranza dei paesi raggiunse l’indipendenza negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, mentre in Africa si arrivò a questi esiti verso la fine degli anni Cinquanta [ 22].

“Maskerade”, il colonialista smascherato dall’URSS, 1950 Questa illustrazione satirica russa chiarisce la posizione dell’URSS nei confronti del colonialismo europeo: l’Unione Sovietica si presenta come la potenza “smascheratrice“ del sistema colonialistico, e quindi “paladina“ dei popoli che ambiscono all’indipendenza.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

21.2 L’India conquista l’indipendenza La rivolta contro gli inglesi Il movimento indiano per l’indipendenza, sostenuto dal Partito del Congresso e dalla figura carismatica del Mahatma Gandhi, si affermò progressivamente nel periodo fra le due guerre mondiali [ 7.2], ma la crisi decisiva che spinse Londra a riconoscere l’indipendenza del paese maturò nel corso della Seconda guerra mondiale (1939-45). In quel periodo, avendo il viceré (massima autorità inglese nella colonia) dichiarato l’India in guerra a fianco della Gran Bretagna senza avere prima consultato i rappresentanti indiani, si formò una decisa opposizione contro il governo britannico: tutti i ministri indiani si dimisero e il Partito del Congresso rifiutò ogni forma di collaborazione. I capi del movimento nazionale, fra cui lo stesso Gandhi e Jawaharlal Nehru (che dal 1941 guidava il Partito del Congresso), furono arrestati assieme a decine di migliaia di dimostranti. Uno dei capi nazionalisti della provincia del Bengala, Subhas Chandra Bose (1897-1945), fondò un movimento chiamato “India libera” e lanciò un appello alla rivolta contro gli inglesi, reclutando nei campi di prigionia un esercito nazionale indiano.

Religioni e conflitti in India dopo l’indipendenza

Maggioranza indù Maggioranza buddhista Forte presenza dei sikh Maggioranza musulmana Concentrazione musulmana e scontri con la maggioranza indù Conflitti

CINA KASHMIR Srinagar Islamabad Lahore PAKISTAN

LADAKH

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Confine rivendicato Confine rivendicato Linea del cessate il Territori contesi dal Territorio sotto l’am pakistana a partire d

Amritsar PANJAB

CINA Srinagar KASHMIR Amritsar PAKISTAN

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TIBET

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Ahmedabad

BHUTAN

Patna BIHAR

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BANGLADESH (dal 1971)

Calcutta Bhubaneswar

Bombay MARE ARABICO

Haiderabad

GOLFO DEL BENGALA

Goa

Bangalore

Madras Pondicherry

Mysore

CINA

Jaffna Trivandrum KASHMIR OCEANO INDIANO

Lahore PAKISTAN

LADAKH

Batticaloa JAMMUColombo SRI LANKA (dal 1948) KASHMIR Galle

Srinagar

Islamabad

Trincomalee

Amritsar PANJAB

Jawaharlal Nehru con la famiglia, 1950 In questa foto Jawaharlal Nehru è ritratto con la figlia Indira Gandhi e i suoi due nipoti. Nehru, seguace e amico del Mahatma, fu il primo presidente indiano; cercò, con scarsi risultati, di instaurare un governo laico in cui potessero convivere le diverse religioni.

Maggioranza ISOLE indù ANDAMANEbuddhista Maggioranza Forte presenza dei sikh Maggioranza musulmana Concentrazione musulmana e scontri con la maggioranza indù Conflitti

Confine rivendicato dall’India Confine rivendicato dal Pakistan Linea del cessate il fuoco (1949) Territori contesi dalla Cina Territorio sotto l’amministrazione pakistana a partire dal gennaio 1949

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina La divisione del paese L’indipendenza dell’India fu riconosciuta nel 1947, dopo quasi due secoli di dominio britannico, dal nuovo governo inglese presieduto dai laburisti di Clement Attlee [ 18.2]. Alla guida del governo fu chiamato Nehru che, per tutto il suo lungo mandato (1947-64), si trovò a gestire un paese dilaniato da profonde tensioni, di natura economica e sociale ma anche e soprattutto religiosa. Gandhi avrebbe voluto uno Stato unitario laico, in cui potessero convivere fedi diverse. L’India invece si divise subito in due Stati, per motivi principalmente religiosi: l’Unione Indiana, o India propriamente detta, e il Pakistan, entrambi a costituzione repubblicana; il primo con religione prevalentemente indù, il secondo musulmana. Tanto l’uno quanto l’altro Stato conservarono buoni rapporti con l’Inghilterra, specialmente sul piano economico, ed entrarono a far parte del Commonwealth, l’unione mondiale di Stati indipendenti, molti dei quali ex colonie inglesi, facente capo a Londra. Al Pakistan fu annesso il cosiddetto “Pakistan orientale”, un territorio lontanissimo, a est dell’India, caratterizzato anch’esso dalla prevalenza della religione islamica. Le guerre indo-pakistane Le tensioni e gli scontri fra le due comunità tuttavia non cessarono: nel giro di pochi mesi ben 17 milioni di persone si trasferirono da uno Stato all’altro, generando una delle più imponenti migrazioni forzate di tutto il XX secolo. In questo clima di grave tensione trovò la morte lo stesso Gandhi, assassinato nel gennaio del 1948 da un estremista indù. Diverse guerre furono inoltre combattute fra India e Pakistan (nel 1948, nel 1965, nel 1971, nel 1999) per il controllo della regione del Kashmir, al confine tra i due Stati, divisa in due parti nel 1947 (due terzi all’India, un terzo al Pakistan). Ancora oggi il paese è presidiato a nord dalle forze armate pakistane e a sud da quelle indiane. Altri Stati indiani Nel 1971 il Pakistan orientale si sollevò, rendendosi indipendente dal Pakistan occidentale e dando vita a un nuovo Stato, la Repubblica del Bangladesh, con capitale Dacca. Una posizione a sé ebbe l’isola di Ceylon, che fu riconosciuta indipendente nel 1948 con il nome di Sri Lanka ed entrò anch’essa a far parte del Commonwealth. Nei successivi decenni, e fino ai nostri giorni, l’isola fu teatro di tensioni e violenze fra la maggioranza cingalese, di religione buddhista, e la minoranza tamil, induista, proveniente dall’India, che monopolizzò a lungo il potere economico (commercio del tè) e politico.

21.3 Nasce la Repubblica popolare cinese La Cina di Mao La lotta della Cina per l’indipendenza ebbe come avversari non tanto le potenze occidentali quanto il Giappone, che nella prima metà del Novecento mise in atto una politica aggressiva nei confronti del continente asiatico, alla ricerca di materie prime e di mercati per l’industria in crescita. Lo scontro fra Cina e Giappone si intrecciò da un lato alle vicende della guerra civile tra le forze nazionaliste cinesi, guidate da Chiang Kai-shek, e le forze comuniste guidate da Mao Tse-tung [ 7.4], dall’altro alla Seconda guerra mondiale, che vide il Giappone alleato con la Germania nazista e l’Italia fascista, per allargare la propria sfera d’influenza nell’area asiatica e oceanica. La proclamazione della repubblica L’apporto delle truppe comuniste alla vittoria sul Giappone e alla liberazione del paese fu decisivo, sicché alla fine della guerra Mao poté presentarsi al paese come un liberatore. Mentre Chiang Kai-shek si rifugiava nell’isola di Taiwan sotto la protezione americana, Mao, ormai padrone dell’intero paese, proclamò la Repubblica popolare cinese (1° ottobre 1949), della quale diventò presidente. Con ciò si concluse la lotta della Cina per l’indipendenza ed ebbe inizio un nuovo processo di trasformazione del paese in senso comunista.

Tutti uniti dietro Mao,1949 Manifesto propagandistico a favore di Mao Tse-tung, che esalta l’unità di contadini, operai e soldati.

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I tempi della storia Come Yu-kung rimosse le montagne Una caratteristica della cultura cinese, che si osserva nell’età contemporanea non meno che nel passato, è il particolare gusto per il racconto, l’apologo, l’esempio

N

morale. Si legga questo suggestivo brano di un discorso pronunciato nel 1945 da Mao Tse-tung, per invitare il popolo cinese a unirsi nella lotta contro gli invasori stranie-

ella Cina settentrionale viveva un vecchio che si chiamava Yu-kung delle montagne del nord. La sua casa dava a sud su due grandi montagne: Taihangscian e Wang‌wuscian. Yu-kung decise di spianare queste due montagne insieme con i figli a colpi di zappa. Un altro vecchio chiamato Gi-So, vedendoli al lavoro, scoppiò a ridere e disse: «Lavorate inutilmente: non riuscirete da soli a spianare due montagne così grandi». Yu-kung gli rispose: «Io morirò, ma resteranno i miei figli: e quando moriranno i miei figli resteranno i nipoti, e le generazioni si succederanno senza fine. Le montagne sono alte, ma non possono diventare più alte ancora; quanto più lavoreremo, tanto più esse diminuiranno; perché non potremmo spianarle?» Smentito con queste parole il discorso di Gi-So, senza esitare neanche un istante Yu-kung continuò a scavare

ri e i signori feudali, individuati come i suoi principali nemici. Per illustrare questa idea Mao si serve di un’antica favola, intitolata Come Yu-kung rimosse le montagne.

giorno dopo giorno. Ciò impietosì il Cielo, che inviò sulla terra due creature celesti che portarono via le montagne sulla schiena. Anche oggi due grandi montagne opprimono pesantemente il popolo cinese: una di esse si chiama oppressione straniera, l’altra feudalesimo. Abbiamo già da lungo tempo deciso di spianare queste due montagne. Noi dobbiamo mettere in atto con perseveranza le nostre decisioni. Dobbiamo lavorare indefessamente e arriveremo a commuovere il Cielo. Il nostro Cielo non è altro che la massa del popolo cinese. E se tutto il popolo si solleverà con noi per spianare le montagne, come potremo non riuscirvi? Mao Tse-tung, 1945

La riforma agraria Nei decenni che seguirono la fondazione della Repubblica popolare, il governo cinese diede inizio alla riforma agraria, individuata come esigenza primaria del paese, in grandissima prevalenza rurale, popolato da centinaia di milioni di contadini poveri. Le grandi e medie proprietà furono espropriate e la terra fu affidata in gestione ai contadini, nel quadro di un’organizzazione che ricalcava quella del villaggio tradizionale, vale a dire una comunità di molte famiglie, collegate tra di loro da interessi e pratiche di lavoro, oltre che da credenze, usanze, parentele, riti. La comunità era libera di coltivare piccoli appezzamenti in forma privata; sul resto della produzione veniva esercitato il controllo dello Stato. Le riforme sociali ed economiche Importante fu anche la riforma matrimoniale, che introdusse la parità dei diritti fra i coniugi e proibì pratiche tradizionali come il fidanzamento tra bambini predisposto dalle famiglie di origine; in tal modo veniva superato l’assoggettamento della donna all’interno della famiglia, una situazione di origine secolare, cardine della società cinese antica. Nel corso degli anni Cinquanta furono nazionalizzati i settori dell’industria e del commercio, secondo piani di sviluppo modellati su quelli dell’Unione Sovietica; con l’aiuto di tecnici russi si riuscirono a impiantare i nuclei di base dell’industria pesante metallurgica e siderurgica.

21.4 La Cina tra crisi economica e rivoluzione culturale Un progetto economico disastroso Durante il periodo maoista non mancarono in Cina periodi di crisi e gravi difficoltà economiche, dovute a errori di guida del governo e a dissidi interni fra i gruppi dirigenti. Un completo fallimento fu la strategia del “grande balzo in avanti”, come fu chiamato, cioè un programma di sviluppo economico praticato dal 1958 al 1960, che avrebbe dovuto trasformare la Cina in una potenza industriale, assicurando nel contempo l’autosufficienza alimentare con la creazione di grandi unità produttive, dette “comuni popolari”, dirette non più da un singolo responsabile dell’azienda ma da organismi collegiali eletti dai membri della comune. Il risultato fu

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disastroso: la produzione anziché aumentare diminuì e nel 1960 una spaventosa carestia si abbatté sul paese, uccidendo per fame decine di milioni di persone.

La rivalità con l’Unione Sovietica A ciò si aggiunsero i contrasti internazionali e in particolare la rottura delle buone relazioni con l’Unione Sovietica, che prese progressivamente corpo dal finire degli anni Cinquanta in poi, per la profonda divergenza di vedute che opponeva i due paesi: mentre l’URSS restava saldamente ancorata a una concezione “bipolare” del mondo, imperniata sulla contrapposizione fra capitalismo americano e socialismo sovietico, la Cina tendeva a porsi come guida dei paesi in via di sviluppo, in una visione più articolata e dinamica del contesto mondiale. La rivoluzione culturale Particolarmente complesso fu il fenomeno della cosiddetta “rivoluzione culturale”, lanciata da Mao contro le componenti moderate del gruppo dirigente cinese, rappresentate in particolare dal Presidente della repubblica Liu Shaochi (1959-68). Contro di essi, e a difesa delle proprie scelte sempre più contestate, Mao mobilitò le masse giovanili, in prevalenza studenti, indirizzandole a una violenta protesta contro il potere burocratico, i professori d’università, i capi di partito, i dirigenti d’azienda, gli intellettuali in genere, accusati di aver costituito una nuova classe privilegiata. Per tutti costoro si introdusse l’obbligo del lavoro manuale, presentato come una forma di “rieducazione”. Il rischio dell’anarchia La rivoluzione culturale – così chiamata perché si proponeva di trasformare la mentalità e il modo di pensare delle persone – si sviluppò tra il 1966 e il 1968. Il Libretto rosso di Mao, che raccoglieva massime e citazioni del presidente, diventò il testo sacro di questi giovani, che si autodefinirono “guardie rosse”, ossia guardiani della rivoluzione, ricevendo dal governo e dall’esercito un forte appoggio logistico e organizzativo. Poi il movimento degenerò in eccessi incontrollati; torture, arresti e uccisioni provocarono in un paio d’anni la morte di circa un milione di persone. A quel punto il rischio di una guerra civile era sempre più vivo: si stavano compromettendo la stabilità economica e politica del paese, e lo stesso Mao intervenne a porvi fine. I principi antiborghesi e ugualitari alla base della “rivoluzione culturale” cinese ebbero ampia ripercussione anche in Occidente e furono presi a modello dai movimenti studenteschi durante la contestazione del 1968-69 [ 23.1]. Il grande balzo in avanti, 1958-60 Altiforni in miniatura realizzati in campagna: ecco il quadro emblematico del “grande balzo in avanti” promosso dalla Repubblica popolare cinese. Oltre che sull’aiuto russo, il tentativo di accelerazione industriale si basò sul potenziale umano; nei grandi progetti, quali per esempio la realizzazione di dighe, furono utilizzati fino a 50.000 lavoratori.

Un gruppo di contadini legge il Libretto rosso di Mao durante la rivoluzione culturale

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21.5 L’indipendenza dell’Asia Sud-orientale

Manifesto francese in ricordo dei caduti di Dien Bien Phu, 1954

La Parola

Viet Nam “Viet Nam” è una parola composta, che indica il gruppo etnico più numeroso nel paese (Viet) e la sua collocazione “a sud” (Nam). Tale denominazione, apparsa agli inizi del XIX secolo, deriva dalla lingua cinese e da una prospettiva geografico-politica anch’essa cinese: il “sud” a cui allude è infatti il sud della Cina, da cui i Viet storicamente provengono, e il sud “oltre” il confine cinese, in cui storicamente questa popolazione si allargò. In Occidente il termine è spesso proposto come parola unica (“Vietnam”) ma la divisione in due parti (“Viet Nam”) da un lato rende meglio il suo significato letterale, dall’altro corrisponde meglio alla lingua vietnamita, che ha un carattere monosillabico, cioè si basa sulla scansione verbale di singole sillabe.

Il Sud-est asiatico Oltre alla Cina e all’India, altri paesi asiatici raggiunsero l’indipendenza dopo la Seconda guerra mondiale. Come la Cina tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, essi furono teatro di scontri tra le forze nazionaliste e comuniste, che ebbero esiti diversi, determinando gli sviluppi politici e istituzionali dei vari paesi. La Birmania (oggi Myanmar) e la Malesia furono lasciate pacificamente dagli occupanti inglesi e si resero indipendenti, rispettivamente, nel 1948 e nel 1957. In entrambi i paesi la guerriglia comunista fu sconfitta e si affermarono le forze nazionaliste. L’Indonesia olandese si rese autonoma nel 1949 e anche qui si affermarono le forze nazionaliste, guidate da Ahmed Sukarno. Nel 1965 un tentativo dei comunisti di prendere il potere fu soffocato dall’esercito, e il generale Haji Mohammad Suharto sostituì Sukarno a capo del paese, instaurando una feroce dittatura militare durata dal 1966 al 1998. Anche in Thailandia, unico Stato del Sud-est asiatico ad avere sempre conservato l’indipendenza, le forze moderate e conservatrici, sia civili sia militari, riuscirono in quei decenni a mantenersi al governo. L’arcipelago delle Filippine, soggetto prima alla Spagna e poi agli Stati Uniti, acquistò l’indipendenza nel 1946 (mantenendo però sul suo territorio basi militari americane). Vi si affermarono governi di carattere autoritario, in particolare quello di Ferdinand Marcos (1965-86) che ripetutamente fronteggiò la guerriglia comunista, e anche il separatismo musulmano. La guerra per l’Indocina Vicende particolarmente drammatiche si verificarono nell’Indocina orientale, soggetta alla Francia fino al 1940 e occupata dai giapponesi allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Finita la guerra e allontanati i giapponesi, la Francia tentò di riprendere le posizioni coloniali di un tempo, ma si scontrò con un forte movimento di resistenza, il “Viet Minh”, guidato da Ho Chi Minh, leader del Partito comunista nazionale, che nel 1945 proclamò a Hanoi la Repubblica democratica del Viet Nam e si insediò come presidente. Il governo francese di De Gaulle non riconobbe l’autorità del nuovo Stato e ne derivarono dieci anni di guerra, combattute dalle forze comuniste sotto la guida del generale Vo Nguyen Giap (ministro della Difesa dal 1945 al 1980 e simbolo della guerriglia vietnamita). Il conflitto si concluse nel 1954 con la capitolazione dei francesi arroccati nella piazzaforte di Dien Bien Phu. I trattati di Ginevra Nei trattati di pace che si svolsero a Ginevra nello stesso anno, la regione indocinese fu riconosciuta indipendente e distinta in tre territori: la Cambogia, il Laos, il Viet Nam. Quest’ultimo, a sua volta, fu diviso in due Stati: il Viet Nam del Nord, con capitale Hanoi, e il Viet Nam del Sud con capitale Saigon. Nel nord prevalevano le forze politiche comuniste, nel sud le forze filoamericane che durante la guerra si erano schierate con i francesi. Questa situazione era destinata a sfociare in una cruenta e contestatissima guerra.

21.6 La guerra del Viet Nam I guerriglieri vietcong Secondo le deliberazioni dell’ONU, il Viet Nam del Nord e quello del Sud avrebbero dovuto riunificarsi sulla base di libere elezioni, ma ciò non fu accettato dagli Stati Uniti: erano gli anni della guerra fredda [ 17.3] e il timore di un possibile successo comunista non pareva accettabile. Peraltro, nel Viet Nam del Sud, l’opposizione comunista al regime filoamericano si trasformò ben presto in lotta armata, a opera di guerriglieri, i cosiddetti “vietcong” (‘vietnamiti comunisti’), sostenuti non solo dal governo di Hanoi ma anche dalla Cina e dalla Russia. I marines americani Per contrastare il movimento comunista gli Stati Uniti inviarono armi e uomini: dapprima alcune migliaia di “consiglieri militari”, poi contingenti di soldati, infine un vero esercito di occupazione predisposto dall’allora presidente Lyndon

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina Johnson: nel 1967-68 oltre mezzo milione di soldati americani, i marines, operavano nella regione. La guerra si allargò progressivamente, durissima, accanita, macchiata di terribili atrocità, come l’uso di micidiali armi chimiche, i cosiddetti “gas defolianti”, che facevano terra bruciata nella foresta per debellare la guerriglia comunista, o come le feroci rappresaglie contro le comunità che proteggevano i guerriglieri (nel marzo 1968, un reparto statunitense massacrò più di trecento civili nel villaggio di My Lai). Donna e bambino sospettati di essere vietcong, 12 settembre 1970

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Territori controllati dal Pathet Lao

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Territori occupati dai khmer rossi, luglio 1973 Territori occupati dai khmer rossi, maggio 1975 Linee di rifornimento dei vietcong

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La sconfitta americana L’opinione pubblica mondiale fu turbata dalle violenze terribili che si andavano compiendo in Viet Nam, e negli stessi Stati Uniti si sollevarono movimenti di protesta e appelli di pace. Il continuo dilatarsi dello sforzo bellico, in un territorio di foreste e di paludi, contro un avversario imprendibile che combatteva con tecniche di guerriglia avvalendosi dell’aiuto della popolazione contadina, diventò sempre più insopportabile e incomprensibile. A iniziare dal 1973, durante la presidenza alla Casa Bianca di Richard Nixon (1969-74), gli americani si accordarono per un progressivo disimpegno dalla guerra e nel 1975 si ritirarono. Fu l’unica guerra perduta dagli USA nella loro storia. Elicotteri americani in azione durante la guerra del Viet Nam, 1968 Quella del Viet Nam fu la peggiore iniziativa armata che l’America abbia condotto, e che la portò a subire l’unica sconfitta militare della sua storia.

La vittoria comunista Le forze comuniste di Hanoi occuparono l’intero Viet Nam, che fu proclamato Stato indipendente con il nome di Repubblica socialista del Viet Nam (1976). Saigon fu ribattezzata “Città Ho Chi Minh”. I contraccolpi furono immediati anche nel resto dell’Indocina. Pochi giorni prima della presa di Saigon, in Cambogia guerriglieri comunisti dell’etnia khmer (la più diffusa in quel paese) conquistarono la capitale Phnom Penh, estromettendo il governo militare al potere, filoamericano, e instaurando un nuovo regime comunista. Tre mesi dopo anche il Laos fu sottomesso dalle forze comuniste.

Le vie della cittadinanza

L

La forza del dissenso

a guerra del Viet Nam ebbe una risonanza enorme in tutto il mondo occidentale. Il prestigio conquistato dagli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale e dal presidente Johnson con la sua politica di riforme civili e sociali fu duramente compromesso e a un certo punto il governo si trovò attaccato su due fronti: all’esterno la resistenza dei vietcong, che si opposero all’invasione statunitense attraverso azioni di guerriglia; all’interno la contestazione dei propri cittadini, che si opposero attraverso la critica e la disobbedienza civile. Nel 1964 scoppiarono le prime proteste studentesche all’Università di Berkeley, in California, dapprima per denunciare l’autoritarismo e il conservatorismo delle istituzioni scolastiche e universitarie, poi agganciandosi alle lotte contro le discriminazioni razziali e ai gruppi che criticavano il sistema economico e politico americano. Non erano più solo gli studenti a manifestare, la contestazione si era estesa: gente comune, poeti e scrittori, reduci e veterani di guerra, star della musica e dello spettacolo si mobilitarono partecipando a manifestazioni pacifiste (organizzate per primi dagli hippies, i

cosiddetti “figli dei fiori”) e sit-in contro l’ingiustizia sociale, l’imperialismo coloniale e quella che fu definita la «sporca guerra». Pacifismo, anti-autoritarismo, anti-imperialismo furono le parole d’ordine della protesta. Grande importanza assunsero gli slogan («Fate l’amore, non fate la guerra», «Mettete dei fiori nei vostri cannoni»), le canzoni (come Masters of War di Bob Dylan o Give Peace a Chance di John Lennon), le assemblee e le marce per la pace. La disobbedienza civile si espresse in molte forme: raduni non autorizzati, occupazioni, inadempimento degli ordini. L’apice si ebbe tra il 1967 e il 1969, quando molti ragazzi si rifiutarono di partire per la guerra in Viet Nam e cercarono rifugio in Canada o in Europa Occidentale. Le cartoline di leva furono bruciate in piazza, rendendo pubblica e manifesta la disobbedienza. Chi compie atti di disobbedienza civile, infatti, non pensa di trasgredire al proprio dovere «ma anzi – scrisse il filosofo Norberto Bobbio (1909-2004) – ritiene di comportarsi da buon cittadino, in quella particolare circostanza, piuttosto disubbidendo che ubbidendo».

Un veterano del Viet Nam a una manifestazione pacifista a Valley Forge, Pennsylvania (USA)

AF

ARABIA B. SAUDIT A QA. E.A.U.

ST K I 947 PA 1

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e inYE.America OMAN Latina 1967

301

1951

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L’Asia nel 1975

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IND O NESIA 1945/49

In nero la data dell’indipendenza = BAHREIN 1971 B. BA. = BANGLADESH 1971 BH. = BHUTAN 1947 CA. = CAMBOGIA 1953 E.A.U.= EMIRI ARABI UNITI 1971 = GIORDANIA 1946 GI. = ISRAELE 1948 I. KU. = KUWAIT 1961 LA. = LAOS 1953 = LIBANO 1941/43 LI. QA. = QATAR 1971 YE. = YEMEN 1967

I nuovi regimi intrapresero rapidamente una politica di colletdell’economia, secondo il modello sovietico; nel In tivizzazione nero la data dell’indipendenza in Viet Nam = BAHREIN 1971 furono espropriate tutte le proprietà dei resiB. 1978 = BANGLADESH BA.denti cinesi, che 1971 furono costretti a una fuga di massa su piccole = BHUTAN 1947 BH. imbarcazioni (migliaia di loro persero la vita in mare). CA. = CAMBOGIA 1953 La =dittatura di Pol in Cambogia Particolarmente brutale fu il EMIRI ARABI UNITIPot 1971 E.A.U. = GIORDANIA GI. governo di Pol1946 Pot (capo dei cosiddetti “khmer rossi”) in Cam= ISRAELE 1948 dalla Cina: tra il 1976 e il 1978 egli perseguì la I. bogia, sostenuto KU. = KUWAIT 1961 sistematica eliminazione degli avversari politici e di tutti coloro LA. = LAOS 1953 in qualche modo avevano avuto a che fare con il “vecchio 1941/43 LI. che= LIBANO intere = QATAR 1971 popolazioni furono costrette a evacuare le città, i QA.ordine”; = YEMEN 1967 furono distrutti, perfino il denaro (simbolo della YE.templi buddhisti «corruzione capitalista») fu abolito. Un milione e mezzo di persone, su un totale di appena 7 milioni, trovò la morte in questo delirante progetto di “rinnovamento sociale”. Tra il 1978 e il 1979, con l’appoggio dell’URSS che agiva in chiave anticinese per le rivalità che erano scoppiate fra i due paesi, il Viet Nam invase la Cambogia e sconfisse Pol Pot, rovesciando la dittatura dei khmer rossi e instaurando un governo cambogiano filovietnamita, destinato a rimanere in carica fino al 1988.

21.7 Populismo e dittature in America Latina L’influenza statunitense Dopo la Seconda guerra mondiale molti paesi dell’America Latina si trovavano ancora in una situazione di dipendenza economica dagli Stati Uniti. Ciò aveva implicazioni anche sul piano politico e contribuiva a mantenere instabili i governi: i regimi liberali, basati sulle istituzioni democratiche e parlamentari, faticavano a imporsi in maniera definitiva sui regimi dittatoriali, sulle tendenze populiste [ 7.7], sui processi rivoluzionari, sui movimenti di guerriglia.

Delhi

Vietnamiti su imbarcazioni di fortuna che cercano di emigrare, 1978 Profughi vietnamiti fuggono su imbarcazioni di fortuna. Sono i cosiddetti boat people, che cercano di sfuggire, con l’emigrazione verso i paesi occidentali, alla miseria e alla durissima politica repressiva messa in atto, dopo la riunificazione dei due Viet Nam, dal regime di Hanoi.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

Aa Documenti Ernesto Che Guevara e la teoria della guerriglia Ernesto Guevara, detto El Che (1928-67), fu uno dei principali protagonisti della rivoluzione cubana. Argentino di nascita, medico di professione, partecipò nel 1954 in Guatemala alla difesa (fallita) del legittimo governo del paese, rovesciato da un colpo di Stato appoggiato dai servizi segreti americani. Esule in Messico, vi conobbe Fidel Castro e lo seguì nelle operazioni di guerriglia contro il dittatore Batista, al potere a Cuba fin dal 1933. Ebbe un ruolo di primo piano nel comando dell’esercito rivoluzionario e nella conquista dell’isola (1959), a cui seguì l’instaurazione da parte di Castro di un governo socialista filosovietico. Coprì cariche di rilievo, sia militari, sia politiche e diplomatiche nella nuova amministrazione. Nel 1965 lasciò Cuba per “esportare” in altre terre i princìpi del-

L

la rivoluzione, teorizzando e praticando la guerriglia contro le forze «imperialiste» nell’intento di «creare due, tre, molti Viet Nam». Circondato di grande popolarità, combatté in Africa nel Congo ex belga, poi in Bolivia, nel tentativo di sollevare la popolazione contadina contro la dittatura militare che governava il paese. Nel 1967 fu catturato e ucciso dalle forze anti-guerriglia dell’esercito boliviano, assistito dai servizi segreti americani. Il suo cadavere fu esposto pubblicamente e poi sepolto in un luogo segreto per impedire che divenisse oggetto di culto. Trent’anni dopo fu ritrovato da una missione archeologica e riportato a Cuba. Morto proprio nel momento in cui stava prendendo forma in Europa la protesta studentesca e del mondo del lavoro, Gue-

a vittoria armata del popolo cubano sulla dittatura batistiana […] ha modificato i vecchi dogmi sul comportamento delle masse popolari dell’America latina, dimostrando tangibilmente la capacità del popolo di liberarsi, per mezzo della lotta di guerriglia, di un governo che lo attanagliava. Consideriamo i tre contributi fondamentali che la rivoluzione cubana ha apportato alla meccanica dei movimenti rivoluzionari in America: 1) le forze popolari possono vincere una guerra contro l’esercito; 2) non sempre è necessario aspettare che si verifichino tutte le condizioni per la rivoluzione; la fiamma insurrezionale le può creare; 3) nell’America sottosviluppata, il terreno della lotta armata deve essere fondamentalmente la campagna.

vara diventò un simbolo della lotta antiimperialista e un modello per la contestazione giovanile degli anni SessantaSettanta. La sua immagine, immortalata da uno scatto del fotografo cubano Alberto Korda (1928-2001), è stata – e rimane ancora oggi – fra le più riprodotte in libri, giornali, poster, bandiere, magliette. Nel brano che qui riportiamo, Guevara espone la sua teoria della guerriglia come strumento della rivoluzione popolare. Ispirandosi agli esempi di Mao Tsetung in Cina e di Ho Chi Minh in Viet Nam, egli insiste sulla dimensione “contadina” della guerriglia e sul fatto che essa può avere successo solo se è sostenuta da un’ampia base di solidarietà sociale, che trasforma la minoranza di combattenti in una maggioranza effettiva.

[…] È importante notare che la guerriglia è una lotta di massa, una lotta di popolo: la banda, come nucleo armato, è l’avanguardia combattente del popolo, la sua gran forza è radicata nella massa della popolazione. […] Il guerrigliero deve poter contare su tutto l’appoggio della popolazione del luogo. Si tratta di una condizione sine qua non. […] Il guerrigliero deve avere una conoscenza esatta del terreno che percorre, delle sue strade di accesso e di fuga, delle possibilità di manovrare con rapidità, con l’appoggio del popolo, naturalmente, e dei luoghi nei quali nascondersi. Tutto questo comporta che il guerrigliero operi in luoghi incolti e poco popolati. […] «Mordi e fuggi», dicono alcuni con disprezzo, ed è esatto. Mordi e fuggi, aspetta, spia, torna a mordere e a fuggire e così ripetutamente, senza dare tregua al nemico. E. Guevara, Lettere, diari e scritti, Roma 1967, pp. 15-25

Studenti manifestano in piazza innalzando il ritratto di Che Guevara, 1968 El Che diviene subito il simbolo della lotta e della protesta giovanile come evidenzia il celebre scatto del fotografo Alberto Korda, riprodotto sul manifesto innalzato dagli studenti.

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina

303

L’Argentina In Argentina, il regime populista instaurato nel 1946 dal colonnello Juan Domingo Perón si batté contro i monopoli e per la nazionalizzazione dei servizi pubblici, con incentivi all’industria e aumenti salariali che ottennero un notevole consenso fra i ceti medi e le classi popolari. L’altra faccia della medaglia era la politica autoritaria instaurata da Perón nel paese, la violenza esercitata contro le opposizioni, il culto carismatico costruito attorno al presidente e alla moglie Eva Duarte, detta Evita. Nel 1955 Perón fu rovesciato da un colpo di Stato delle gerarchie militari, che, dopo aver controllato il governo per dieci anni, nel 1966 presero in mano direttamente il potere instaurando una dittatura di destra. Il Brasile In Brasile il regime populista di Getulio Vargas, instaurato nel 1930 [ 7.7], fu rovesciato nel 1945 dai militari. Vargas tornò al potere nel 1950 ma quattro anni dopo fu nuovamente esautorato. I suoi successori avviarono una politica di modernizzazione e di industrializzazione del paese, scegliendo il “non allineamento” rispetto alle due superpotenze USA e URSS che in quegli anni si spartivano il mondo. Nel 1964 un colpo di Stato appoggiato dagli Stati Uniti portò ancora al potere i militari, che repressero i conflitti interni incoraggiando l’afflusso di capitali stranieri (fu la cosiddetta “dittatura dei gorilla”, orchestrata dai vertici militari, dalle multinazionali e dal governo statunitense). Gli squilibri sociali ne risultarono aggravati, l’economia in qualche modo si mise in moto. Il Paraguay Negli anni Cinquanta-Sessanta altri regimi militari furono costituiti in Venezuela, Colombia, Bolivia, Perù. Particolarmente solida risultò la dittatura instaurata in Paraguay nel 1954 dal generale Alfredo Stroessner, che restò in carica per trentacinque anni, fino al 1989, con l’appoggio degli Stati Uniti. Secondo una prassi tipica dei regimi autoritari di stampo populista, egli mise in opera un sistema molto avanzato di assistenza pubblica, che gli guadagnò il favore dei ceti più poveri della popolazione. Il Messico Le istituzioni democratiche rimasero salde solo in Uruguay, Cile e Messico. In quest’ultimo paese la stabilità politica fu assicurata dal dominio incontrastato, per decenni fino alle soglie del XXI secolo, del Partito rivoluzionario istituzionale, che nel suo stesso nome – un vero ossimoro sul piano linguistico – dichiarava la sua duplice vocazione: da un lato custodire i valori della rivoluzione del 1910 [ 7.7], dall’altro trasformare quei valori in istituzioni di governo. Cuba Una clamorosa svolta politica si ebbe nel 1959 a Cuba, dove la dittatura reazionaria di Fulgencio Batista (al potere dal 1933) fu rovesciata, dopo tre anni di combattimenti, da un gruppo di guerriglieri guidati da Fidel Castro [ 20.2]. Egli attuò immediatamente una riforma agraria, che colpì il monopolio della compagnia americana United Fruit sul commercio della canna da zucchero, principale risorsa dell’isola. La crescente ostilità degli Stati Uniti spinse Castro ad affidarsi all’URSS, che offrì a Cuba appoggio politico-militare e sul piano economico si impegnò ad acquistare lo zucchero a prezzi superiori a quelli di mercato. Nel paese fu imposta una dittatura comunista a partito unico, con un’economia statalizzata e una rigida applicazione dell’ideologia marxista. Ernesto “Che” Guevara (1928-67), uno dei più stretti collaboratori di Castro, si impegnò inutilmente nel tentativo di estendere la rivoluzione in altri paesi dell’America Latina: nel 1967 fu catturato e ucciso dai militari boliviani.

Fidel Castro parla ai guerriglieri, 1959 Il discorso ha luogo il 2 gennaio 1959 ed è rivolto ai guerriglieri che hanno conquistato la capitale di Cuba, L’Avana, cacciando il dittatore Fulgencio Batista dopo una guerriglia iniziata tre anni prima sulle montagne della Sierra Maestra.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

21.8 1970-80: l’America Latina dai regimi militari alla democrazia

Madri di desaparecidos mostrano le immagini dei corpi mutilati ritrovati per strada, El Salvador 1986 Tra il 1979 e il 1990 crollarono ben dodici regimi militari sudamericani. In tutta l’America Latina si assistette al ritorno della democrazia dopo anni di violenza inaudita e di violazione sistematica dei diritti umani.

La Parola

sandinismo Il termine deriva da Augusto César Sandino (1893-1934), eroe nazionale del Nicaragua, che attorno al 1920 fu a capo della rivolta contadina contro l’imperialismo statunitense. Il Fronte di liberazione sandinista nacque agli inizi del 1960 contro la dittatura dei Somoza.

Le dittature in Uruguay e in Cile Gli anni Settanta videro la massima espansione delle dittature militari, anche nei paesi, come l’Uruguay e il Cile, in cui le istituzioni liberal-democratiche avevano maggiormente tenuto. Nel 1973 in Uruguay fu rovesciato il regime liberale, duramente colpito dalla crisi economica e dalla guerriglia urbana scatenata dai cosiddetti tupamaros, un forte movimento d’ispirazione socialista. Nello stesso anno, in Cile, un colpo di Stato militare – organizzato con la connivenza dei servizi segreti americani – rovesciò il governo socialista di Salvador Allende, liberamente eletto dai cittadini nel 1970, che aveva avviato un impegnativo programma di riforme: esso fra l’altro prevedeva la nazionalizzazione dell’industria del rame, il principale prodotto di esportazione cileno, controllato da tre importanti gruppi statunitensi. Il sanguinoso colpo di Stato, durante il quale Allende fu assassinato, portò al potere il generale Augusto Pinochet, che a partire dal 1974 instaurò nel paese un feroce regime dittatoriale, sterminando gli oppositori politici e restituendo il controllo economico del paese alle aziende americane. Il regime di Pinochet crollò solo con le prime elezioni libere del 1989. Il terrore in Argentina Ancora nel 1973, in Argentina i militari offrirono la presidenza all’ex dittatore Perón, allontanato dal potere diciotto anni prima, nella vana speranza di riprendere il controllo del paese in un momento in cui lo scontento si faceva più forte e le opposizioni cominciavano a far sentire fortemente la loro voce. Nel 1976 i militari sotto la guida di Jorge Rafaél Vileda ripresero il potere direttamente, instaurando un regime di terrore per domare le resistenze e l’opposizione interna. I cosiddetti “squadroni della morte” (gruppi di estrema destra) rastrellarono decine di migliaia di persone: sindacalisti, dirigenti dei partiti di sinistra, intellettuali, dissidenti furono uccisi o scomparvero nel nulla; furono chiamati desaparecidos, ‘scomparsi’. La dittatura militare di Vileda cadde dopo il fallito tentativo di occupare le isole Malvine o Falkland (1982), un arcipelago a sud del paese, rivendicato dall’Argentina, su cui la Gran Bretagna dal 1833 esercitava la sua sovranità. L’immediata reazione delle forze inglesi, che costrinsero gli argentini a ripiegare, segnò il definitivo crollo di prestigio della giunta militare, che l’anno successivo si dimise e fu costretta a convocare libere elezioni, vinte dal democratico radicale Raul Alfonsín che, tuttavia, fu sconfitto nel 1989 dal neoperonista Carlos Meném (1989-99). Il Nicaragua Di segno opposto fu la guerriglia che nel 1979 portò al governo del Nicaragua le forze militari “sandiniste”, guidate da Daniel Ortega, che rovesciarono la dittatura dei Somoza (al potere dal 1936 con l’appoggio degli USA) e instaurarono un governo di ispirazione marxista che si impegnò in una vasta campagna di alfabetizzazione e di riforma agraria. Negli anni successivi, gli Stati Uniti boicottarono l’economia del Nicaragua e finanziarono le bande di guerriglieri (contras) che contrastavano le truppe governative. Nel 1987 le truppe sandiniste e quelle dei contras scesero a patti e nel 1990 si svolsero libere elezioni, vinte dalle forze moderate. Il ritorno alla democrazia Gli anni Ottanta segnarono dunque nell’America Latina un generale ritorno alla democrazia. Libere lezioni si svolsero in quegli anni anche in Brasile, Perù, Uruguay, Bolivia. In Paraguay nel 1989, in un libero confronto elettorale, fu rovesciata la dittatura di Alfredo Stroessner e si impose il generale Andrés Rodriguez (1989-93).

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina

Sintesi

Le trasformazioni in Asia e in America Latina

L’emancipazione dei popoli coloniali dopo la Seconda guerra mondiale Nel secondo dopoguerra si sviluppò il movimento di emancipazione dei popoli delle colonie degli Stati europei, sostenuto da USA e URSS per interessi economici e politici. L’Inghilterra cercò di favorire un passaggio pacifico all’indipendenza, per mantenere le ex colonie nella propria orbita commerciale tramite l’adesione al Commonwealth. Francia, Olanda, Portogallo e Belgio si opposero ai movimenti di liberazione dei popoli, per mantenere il proprio dominio sulle colonie. La decolonizzazione seguì tempi e modi diversi: alla fine della Seconda guerra mondiale si realizzò in Asia, alla fine degli anni Cinquanta in Africa. L’India conquista l’indipendenza Il movimento indipendentista indiano era organizzato nel Partito del Congresso, intorno alla figura di Gandhi. Nel corso della Seconda guerra mondiale il viceré dichiarò che l’India avrebbe partecipato alla guerra, senza consultare i rappresentanti indiani, che si opposero dimettendosi in blocco e rifiutando la collaborazione. I capi e i militanti del movimento nazionale furono arrestati, ma nel 1947 all’India fu riconosciuta l’indipendenza. Il paese si divise in due Stati: l’India, di religione induista, e il Pakistan, di religione musulmana. Entrambi aderirono al Commonwealth. Nel 1971 il Pakistan orientale diede vita alla repubblica del Bangladesh. Lo Sri Lanka, caratterizzato da contrasti interni tra cingalesi e induisti, si era reso indipendente già nel 1948. Nasce la Repubblica popolare cinese La Cina, nel lottare per l’indipendenza, si contrappose al Giappone, che aveva messo in atto una politica espansionistica nel continente asiatico. L’apporto dei comunisti fu decisivo per la vittoria e la liberazione del paese e dopo la Seconda guerra mondiale Mao, presentatosi come liberatore, proclamò la Repubblica popolare cinese (1949), di cui divenne presidente. Il paese fu trasformato in senso comunista. Fu approvata una riforma agraria che espropriò le grandi e medie proprietà dando la terra in gestione ai contadini. Era possibile coltivare in forma privata piccoli appezzamenti di terreno; sul resto della produzione vigeva il controllo statale. L’industria e il commercio furono nazionalizzate e fu-

rono impiantati i primi nuclei dell’industria metallurgica e siderurgica. Fu riformato anche il matrimonio, introducendo la parità di diritti tra coniugi. La Cina tra crisi economica e rivoluzione culturale Durante il periodo maoista si verificarono momenti di crisi e di difficoltà economiche, dovute a errori e a dissidi interni al governo. La strategia del “grande balzo in avanti”, che prevedeva di ottenere la crescita industriale e l’autosufficienza alimentare mediante le comuni popolari dirette da organismi collegiali elettivi, si rivelò un fallimento che portò a una grave carestia (1960). Le relazioni con l’URSS si incrinarono a partire dalla fine degli anni Cinquanta, in quanto la Cina rifiutò l’assetto mondiale bipolare. Tra 1966 e 1968 Mao promosse la rivoluzione culturale contro le componenti moderate del gruppo dirigente comunista, mobilitando le masse giovanili in una protesta che degenerò anche in eccessi incontrollati e che mirava a una “rieducazione” di capi di partito, burocrati, dirigenti e intellettuali, accusati di eccessivo potere. L’indipendenza dell’Asia sud-orientale Dopo la Seconda guerra mondiale, anche altri paesi asiatici raggiunsero l’indipendenza, in seguito a scontri tra nazionalisti e comunisti. Birmania, Malesia e Indonesia divennero indipendenti e furono rette da forze nazionaliste. La Thailandia, unico paese asiatico ad avere conservato l’indipendenza, fu retta da forze moderate e conservatrici. Nelle Filippine si insediarono governi autoritari. In Indocina al dominio coloniale francese si oppose la resistenza guidata dal comunista Ho Chi Minh, che proclamò l’indipendenza del Viet Nam, non riconosciuta dalla Francia. Dopo una guerra decennale conclusasi nel 1954, fu proclamata l’indipendenza di Cambogia e Laos, mentre il Viet Nam fu diviso in due Stati: a nord prevalsero i comunisti, a sud le forze filoamericane appoggiate dai francesi. La guerra del Viet Nam L’ONU deliberò la riunificazione del Viet Nam dopo elezioni libere, ma gli USA si opposero, per timore di un successo comunista. Nel Viet Nam del Sud l’opposizione comunista diede vita ad azioni di guerriglia. Per contrastarle gli USA inviarono un esercito di occupazione iniziando una guerra che si allargò

diventando sempre più dura, fino all’impiego di armi chimiche e a rappresaglie contro civili. L’opinione pubblica mondiale avanzò richieste di pace mentre gli americani, nonostante lo sforzo bellico, erano resi impotenti dalla guerriglia. Gli USA si ritirarono nel 1975; i comunisti occuparono l’intero Viet Nam proclamando la Repubblica socialista (1976). I comunisti prevalsero anche in Laos e in Cambogia, dove il regime di Pol Pot procedette all’eliminazione degli avversari politici. Il Viet Nam invase la Cambogia e instaurò un governo filovietnamita. Populismo e dittature in America Latina In Argentina il regime populista di Perón fu rovesciato da un colpo di Stato militare e fu instaurata una dittatura militare di destra (1966). In Brasile i successori di Vargas tentarono di modernizzare il paese e di favorire l’industrializzazione, ponendosi all’esterno dei blocchi tra i paesi “non allineati”; un colpo di Stato portò al potere i militari (1964), che aprirono ai capitali stranieri facendo ripartire l’economia, mentre permanevano squilibri sociali. Regimi militari si insediarono in Venezuela, Colombia, Bolivia, Perù e Paraguay, mentre le istituzioni democratiche resistevano in Uruguay, Cile e Messico. A Cuba nel 1959 ebbe luogo una rivoluzione, a opera di un gruppo di guerriglieri guidati da Fidel Castro, che instaurò una dittatura comunista appoggiata dall’URSS. Ernesto “Che” Guevara, collaboratore di Castro, tentò di diffondere la rivoluzione ma fu ucciso in Bolivia dopo qualche anno (1967). 1970-80: l’America Latina dai regimi militari alla democrazia Gli anni Settanta segnarono la massima espansione delle dittature militari. Nel 1973 furono rovesciati sia il regime liberale in Uruguay sia il governo socialista di Salvador Allende in Cile, per mano del generale Pinochet, che instaurò una dittatura che favorì gli interessi delle aziende americane; in Argentina nel 1976 i militari instaurarono un regime di terrore, che si dimise dopo il fallimentare tentativo di occupare le Falkland; in Nicaragua le forze militari instaurarono un governo ispirato al marxismo cui si opposero guerriglieri legati agli USA. Nel 1990 si tennero le elezioni, vinte dai moderati. Negli anni Ottanta la democrazia ritornò in Brasile, Perù, Uruguay, Bolivia, Paraguay.

305

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1945

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1947

1948

1949

1957

1959

1964

1967

1968

1971

1973

1975

8. Ho Chi Minh proclama la Repubblica democratica del Viet Nam 9. gli USA si ritirano dal Viet Nam 10. indipendenza della Malesia 11. colpo di Stato di Pinochet in Cile 12. indipendenza dell’India

indipendenza del Bangladesh massacro di My Lai colpo di Stato militare in Brasile uccisione di Ernesto “Che” Guevara proclamazione della Repubblica popolare cinese assassinio di Gandhi rivoluzione comunista a Cuba

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. autodeterminazione • Commonwealth • comuni popolari • contras • decolonizzazione • desaparecidos • populismo • sandinisti • tamil • vietcong Unità produttive cinesi dirette da organismi collegiali elettivi Guerriglieri comunisti vietnamiti Movimento politico diretto all’esaltazione demagogica delle classi popolari Movimento di emancipazione e di indipendenza dall’egemonia dei paesi coloniali Principio per cui i popoli possono scegliere la forma di governo che li regge Forze militari che instaurarono un governo di ispirazione marxista in Nicaragua Bande di guerriglieri che contrastavano le forze governative in Nicaragua Minoranza induista presente in Sri Lanka Comunità di nazioni sovrane e tra loro associate tra gli ex domìni coloniali inglesi Oppositori politici fatti scomparire dalla dittatura militare argentina

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. USA e URSS si opposero ai movimenti di emancipazione dei popoli asiatici e africani.

V

F

h. Negli anni Ottanta l’America Latina conobbe un generale ritorno alla democrazia.

V

F

b. Il regime di Perón ottenne notevoli consensi tra i ceti medi e le classi popolari.

V

F

i. Ernesto “Che” Guevara fu catturato e ucciso durante la rivoluzione cubana.

V

F

c. La rivoluzione culturale fu realizzata attraverso la mobilitazione delle masse giovanili.

V

F

l. In Asia la maggior parte dei paesi raggiunse l’indipendenza verso la fine degli anni Cinquanta.

V

F

d. Il governo socialista di Allende fu rovesciato dal colpo di Stato organizzato dal generale Vileda.

V

F

V

F

e. Il trattato di Ginevra divise l’Indocina in Viet Nam, Laos e Cambogia.

V

F

n. Molti giovani che avevano studiato nelle università V europee si opposero alla decolonizzazione.

F

f. La stabilità politica del Messico fu assicurata dal Partito rivoluzionario istituzionale.

V

F

o. I tupamaros erano un movimento di guerriglieri socialisti attivo in Bolivia.

V

F

g. L’invasione vietnamita della Cambogia fu appoggiata dalla Cina.

V

F

p. La Birmania fu l’unico Stato del Sud-est asiatico ad avere sempre conservato l’indipendenza.

V

F

m. Il viceré era la massima autorità inglese nella colonia dell’India.

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina

q. La “dittatura dei gorilla” si insediò in Paraguay nel corso degli anni Settanta.

V

F

t. Gandhi era favorevole alla divisione della colonia di India in due Stati diversi.

V

F

r. La riforma agraria di Castro colpì il monopolio americano sul commercio della canna da zucchero.

V

F

u. Il principio di autodeterminazione dei popoli fu proclamato dalla Carta Atlantica del 1941.

V

F

s. La guerra del Viet Nam fu l’unica persa dagli Stati Uniti nel corso della loro storia.

V

F

v. Pol Pot perseguì la sistematica eliminazione degli avversari politici.

V

F

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Chiang Kai-shek

Partito del Congresso

Salvador Allende

Viet Minh

Jorge Rafael Viléda

“India libera”

Fulgencio Batista

isola di Taiwan

Ho Chi Minh

rivoluzione culturale

Ferdinand Marcos

governo autoritario delle Filippine

Jawaharial Hehru

Khmer rossi

Subhas Chandra Bose

dittatura reazionaria a Cuba

Mao Tse-tung

dittatura comunista a Cuba

Pol Pot

governo socialista in Cile

Fidel Castro

colpo di Stato in Cile

Augusto Pinochet

squadroni della morte

Daniel Ortega

forze militari sandiniste

5. Indica sulla cartina gli Stati formatisi dopo il processo di decolonizzazione del Sud-est asiatico fino al 1960, contrassegnando con tre colori diversi i governi nazionalisti, conservatori e comunisti.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 4. Quali provvedimenti furono presi da Mao riguardo l’industria e il commercio? 5. Che cosa fu il “grande balzo in avanti”? Che cosa prevedeva? Quali furono le conseguenze di questa scelta? 6. Che cosa fu la “rivoluzione popolare? Che cosa prevedeva? Quali furono le conseguenze di questa scelta?

1. A quali vicende si intrecciò la lotta per l’indipendenza della Cina? Come e quando si concluse tale lotta? 2. Che cosa caratterizzò la riforma agraria di Mao? Quali furono le conseguenze di questa scelta? 3. Che cosa caratterizzò la riforma matrimoniale di Mao? Quali furono le conseguenze di questa scelta?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa.

LA CINA DI MAO TSE-TUNG RIFORMA AGRARIA ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

RIVOLUZIONE CULTURALE

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RIFORMA MATRIMONIALE

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MAO TSE TUNG ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

GRANDE BALZO IN AVANTI

INDUSTRIA E COMMERCIO

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Leggi il documento “Come Yu-kung rimosse le montagne” a p. 296 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? 2. Tra chi avviene il dialogo? Che cosa si dicono i due interlocutori? 3. Che cosa avvenne dopo il dialogo? Con quali conseguenze?

4. Che cosa vuole intendere Mao con questo racconto? 5. Quali problemi affliggono la Cina? In che modo si dovrà agire per superarli? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Profilo di Mao Tse-tung”.

Capitolo 21 Le trasformazioni in Asia e in America Latina

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa accadde nei territori dell’Indocina francese dopo la Seconda guerra mondiale? 2. Che cosa fu deciso dal trattato di Ginevra del 1954? 3. Quali furono le cause della guerra del Viet Nam? Quali furono gli schieramenti contrapposti?

4. In che modo fu condotta la guerra? Quali forme di combattimento la caratterizzarono? 5. Quale fu l’esito finale del conflitto? Quali ne furono le conseguenze immediate?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LA GUERRA DEL VIET NAM LE CAUSE

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GLI SCHIERAMENTI

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GLI EPISODI SALIENTI

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L’ESITO FINALE

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LE CONSEGUENZE

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8.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 301 e rispondi alle seguenti domande. 1. Come fu considerata la guerra del Viet Nam nel mondo occidentale? 2. Su quali fronti si trovò attaccato il governo degli Stati Uniti? Con quali conseguenze? 3. Che cosa accadde nel 1964? Chi vi partecipò? In quali forme? Con quali parole d’ordine? 4. Che cosa accadde tra 1967 e 1969? Che cosa si intende per disobbedienza civile? Che cosa scrive Bobbio al riguardo?

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “La guerra del Viet Nam: le cause e le conseguenze”.

9. Leggi il documento “Ernesto Che Guevara e la teoria della guerriglia” a p. 302 e rispondi alle seguenti domande.

1. Chi era Ernesto “Che” Guevara? A quali iniziative politiche e rivoluzionarie partecipò? Con che esito?

2. Che cosa fece nel 1965? A quale scopo? Che cosa accadde nel 1967? 3. Di che cosa la sua immagine divenne un simbolo? 4. Che cosa contiene il documento? 5. Che cosa ha dimostrato la rivoluzione cubana? Quali contributi ha dato ai movimenti rivoluzionari in America? 6. Che cos’è la guerriglia? In quale modo deve agire? In quali luoghi deve agire? Che cosa si intende con l’espressione “mordi e fuggi”? Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 5 righe. 1. Quando ebbe luogo la rivoluzione a Cuba? Da chi fu organizzata? Quale forma di Stato fu instaurata? 2. Quali politiche furono attuate a Cuba dopo la rivoluzione? Quali furono le conseguenze nei rapporti con altri Stati? 3. Quali furono le forme di guerriglia presenti nell’America meridionale? Dove si svilupparono? Con quale esito?

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

22 L’indipendenza

Capitolo

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dell’Africa e del Medio Oriente

Percorso breve Con qualche ritardo rispetto all’Asia la decolonizzazione si estese all’Africa, dai paesi arabi della fascia mediterranea alle regioni centrali e meridionali. Sul piano politico e simbolico fu importante la conferenza di Bandung (Indonesia) del 1955, a cui parteciparono solo Stati asiatici e africani, che, richiamandosi ai valori dell’ONU, rivendicarono indipendenza e libertà come presupposto della pace mondiale. Il processo di liberazione si accentuò col passare degli anni (nel solo 1960, che fu detto “anno dell’Africa”, si resero indipendenti 17 Stati) e la maggior parte dei paesi furono liberati pacificamente. In alcuni casi si ebbero scontri violenti, come in Algeria, dove l’indipendenza fu raggiunta dopo otto anni di guerra contro i francesi, o nella colonia inglese del Kenya, o nei possessi portoghesi di Angola e Mozambico. Particolare fu il caso del Sud Africa, indipendente dal 1910, dove i bianchi tennero a lungo il potere negando ai neri ogni diritto; la protesta si fece via via più forte e violenta fino a quando nel 1989 il presidente de Klerk avviò negoziati per ridefinire la questione. Il Medio Oriente intanto era diventato uno dei luoghi più conflittuali del pianeta, da quando nel 1948 per volontà dell’ONU era nato il nuovo Stato di Israele, ritagliato all’interno della Palestina. Subito scoppiarono scontri con gli Stati arabi, che furono ripetutamente sconfitti mentre gli israeliani si allargavano e i palestinesi fuggivano in altri paesi (soprattutto in Giordania); fra i profughi si costituì nel 1964 l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) guidata da Yasser Arafat. Con la “guerra dei Sei giorni” del 1967 nuovi territori furono occupati (Sinai, Golan, Cisgiordania, striscia di Gaza) e, negli anni successivi, colonizzati da insediamenti ebraici. I campi profughi, da cui partivano attacchi a Israele che a sua volta colpiva con dure rappresaglie, furono spostati in Libano dove si creò uno stato permanente di guerra civile, a cui si accompagnarono azioni palestinesi di terrorismo internazionale.

Il Primo ministro cinese Chou En-lai alla conferenza di Bandung, 1955

In Iran, lo scià Reza Pahlavi aprì il paese alle compagnie petrolifere americane, suscitando rivendicazioni nazionalistiche guidate dall’ayatollah (capo religioso islamico) Khomeini, che conquistò il potere nel 1979 instaurando la Repubblica islamica dell’Iran e assumendo le prescrizioni del Corano come leggi di Stato (coincidenza fra religione e politica detta “fondamentalismo”). Nello stesso 1979 si affermò in Iraq il potere di Saddam Hussein, sostenitore di un islam “laico” che inizialmente ebbe il sostegno degli USA, anche nel conflitto scoppiato nel 1980-88 tra Iran e Iraq. Subito dopo Saddam attaccò (1990) l’Emirato del Kuwait, ricchissimo di petrolio e amico degli USA. Una forza multinazionale dell’ONU, controllata dagli statunitensi, attaccò l’Iraq e fece cessare il conflitto, senza però riuscire ad abbattere Hussein (che provocò una catastrofe ecologica incendiando i pozzi di petrolio della regione del golfo).

Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

22.1 Autodeterminazione e “non allineamento” dei paesi del Terzo Mondo La Lega araba Tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, il processo di decolonizzazione che si era avviato già nel primo dopoguerra in Asia [ 7] si estese al mondo arabo: Siria e Libano si proclamarono repubbliche libere nel 1944 e l’anno dopo costituirono con gli altri Stati arabi già indipendenti e membri dell’ONU (come Arabia Saudita, Egitto, Iraq) la Lega araba, un’organizzazione finalizzata a combattere il colonialismo, sostenendo l’indipendenza nazionale dei paesi non ancora liberi politicamente ed economicamente e rafforzando il sentimento di appartenenza a un’unica comunità araba. La conferenza di Bandung Dal 18 al 24 aprile 1955 si tenne a Bandung, in Indonesia, su iniziativa del presidente dell’India Nehru e con il forte sostegno di Cina e Egitto, una conferenza a cui parteciparono solamente paesi asiatici e africani: 1500 delegati di 29 Stati, con una popolazione complessiva di oltre 1400 milioni di abitanti, si riunirono a discutere i loro problemi e le loro prospettive. Fu il primo incontro internazionale a cui non parteciparono gli Stati europei. Richiamandosi ai valori enunciati dalle Nazioni Unite, gli Stati asiatici e africani rivendicarono la propria indipendenza e libertà, come base indispensabile per garantire la pace nel mondo. Fu proclamata l’uguaglianza fra tutte le nazioni e la necessità di non sostenere alleanze militari a favore delle due superpotenze. Il Terzo Mondo La conferenza fu un momento particolarmente significativo della presa di coscienza di una nuova realtà storica, e mise in evidenza la forza politica di quello che allora si definì Terzo Mondo, l’insieme cioè dei paesi che da poco si erano resi indipendenti e che non rientravano né nel Primo Mondo, quello occidentale e capitalistico, né nel Secondo Mondo, quello sovietico e comunista. La neutralità, la collaborazione economica e culturale e la pace erano i princìpi opposti da questa nuova realtà politica ai blocchi militari imposti da Stati Uniti e Unione Sovietica. La conferenza di Belgrado La tendenza a non schierarsi né con gli USA né con l’URSS si precisò alla conferenza di Belgrado del 1961, dove si costituì formalmente il movimento dei paesi “non allineati”, guidato, oltre che da Nehru, dal presidente egiziano Nasser e dal presidente jugoslavo Tito (che mirava alla realizzazione nel suo paese di un socialismo autonomo non soggetto all’Unione Sovietica). Il movimento continuò a far sentire la sua voce fino ai primi anni Ottanta e costituì lo sfondo politico e ideologico su cui prese avvio la decolonizzazione del continente africano.

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La Parola

Terzo Mondo “Terzo Mondo” è un’espressione coniata negli anni Cinquanta per definire i paesi non allineati né al blocco capitalista (USA, Occidente europeo, Canada, Giappone) né al blocco comunista (URSS, Cina e paesi alleati). L’espressione ebbe inizialmente un significato politico, dal momento che fu creata sul modello del “terzo stato” francese per indicare il desiderio di emancipazione e libertà dei nuovi paesi, ma presto passò anche a designare, impropriamente, l’insieme dei paesi “sottosviluppati” o “in via di sviluppo”. Oggi si tende a non usare più questa espressione, poiché i cambiamenti politici ed economici avvenuti negli ultimi decenni nei paesi che inizialmente costituivano il Terzo Mondo l’hanno resa inattuale (Stati come la Corea, la Cina, l’India registrano attualmente tassi di crescita superiori a quelli occidentali). Per indicare i paesi in condizioni particolarmente gravi di povertà e sottosviluppo (come certe zone dell’Africa, dell’Asia e del Sud America) è stata coniata l’espressione “Quarto Mondo”.

Nasser accolto da giovani musulmani al Cairo, 1956 Gamal Abd el-Nasser, presidente egiziano e uno degli artefici della conferenza di Belgrado, fu sostenitore convinto del movimento dei paesi non allineati.

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

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22.2 Gli Stati africani del Mediterraneo L’Egitto di Nasser I primi Stati africani a liberarsi dalla condizione coloniale furono quelli della fascia mediterranea. L’Egitto, nominalmente, era fin dal 1922 una monarchia indipendente (di fatto sotto il controllo britannico). Nel 1952 un colpo di Stato militare rovesciò la monarchia e instaurò la repubblica, consegnando il governo al generale Gamal Abd el-Nasser, che affermò un potere di carattere fortemente personalistico, durato fino alla sua morte nel 1970. Egli promosse la solidarietà fra i paesi arabi (svolgendo un ruolo di primo piano nelle conferenze di Bandung e Belgrado) e assicurò all’Egitto una posizione di rilievo fra i paesi in via di sviluppo, ponendosi alla testa del mondo arabo. Nel 1956, dopo aver stipulato accordi economici e militari con l’Unione Sovietica e avere avviato una serie di riforme in senso socialista (spostando di fatto l’asse del non allineamento), nazionalizzò il canale di Suez, fino a quel momento controllato da compagnie inglesi e francesi, provocando una crisi di portata internazionale che rafforzò il suo prestigio e la sua popolarità nel mondo arabo. L’accentramento politico del paese attorno alla figura del presidente continuò con i suoi successori, Anwar al-Sadat (1970-81) e Hosni Mubarak (1981-2011).

I modi della storia

Autosufficienza economica: l’Egitto nazionalizza il canale di Suez

Il 26 luglio 1956 dalle frequenze di Radio Cairo il presidente della Repubblica egiziana, Gamal Abd el-Nasser, annunciò la decisione del governo di nazionalizzare il canale di Suez, fino a quel momento controllato da società inglesi e francesi. Con questo provvedimento le importanti risorse economiche derivanti dal pagamento dei diritti per l’attraversamento del canale

venivano sottratte allo sfruttamento straniero e assegnate all’Egitto, dando concreta ed effettiva attuazione ai princìpi che avevano sostenuto la nascita della Lega araba e l’organizzazione delle conferenze di Bandung e Belgrado. Il discorso, tenuto ad Alessandria d’Egitto e di cui presentiamo la parte centrale, rivendicava il diritto dei popoli a disporre delle risorse

I

l reddito del canale nel 1955 è stato valutato a 35 milioni di lire egiziane cioè a 100 milioni di dollari: di tale somma ci è stato attribuito solo un milione di lire egiziane, vale a dire 3 milioni di dollari. […] La povertà non è un disonore; lo è lo sfruttamento dei popoli. Ci riprendiamo tutti i diritti perché questi fondi sono nostri e questo Canale è proprietà dell’Egitto. La Compagnia è una società anonima egiziana e il canale fu aperto grazie alle fatiche di 120.000 egiziani, non pochi dei quali trovarono

Navi in transito nel canale di Suez presso Ismailia

del loro paese ed ebbe gravi conseguenze internazionali. Francia e Gran Bretagna, estromesse dall’affare e sostenute militarmente dalla vicina Israele, reagirono con un intervento armato che però fu subito condannato dall’ONU, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, che imposero la fine delle ostilità facendo aumentare la già grande popolarità del presidente egiziano.

la morte durante l’esecuzione dei lavori. Sotto il nome di Società del canale di Suez, con sede a Parigi, si nasconde solo uno sfruttamento. Proseguiremo nei nostri sforzi per distruggere una volta per tutte ogni traccia di occupazione e di sfruttamento. Il canale di Suez deve servire al benessere dell’Egitto, non al suo sfruttamento. Veglieremo sui diritti di ciascuno. La nazionalizzazione del canale di Suez è divenuta un fatto compiuto. Gamal Abd el-Nasser, 25 luglio 1956

Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente Il Marocco e la Tunisia Pochi anni dopo il colpo di Stato egiziano, il movimento di liberazione si estese alle colonie francesi del Maghreb (la regione nord-occidentale dell’Africa), che dovettero affrontare lunghe lotte per l’indipendenza: il Marocco e la Tunisia la ottennero nel 1956, dando vita a forme politiche di tipo occidentale. In Marocco si affermò con re Hassan II (1961-99) una solida monarchia, parlamentare e multipartitica; in Tunisia, abolita la monarchia, si affermò il potere personale di Habib Burghiba (1957-87), che avviò la modernizzazione del paese sancendo anche l’uguaglianza tra uomini e donne. L’Algeria Assai più drammatiche furono le vicende dell’Algeria, che ottenne l’indipendenza solo nel 1962, dopo otto anni di scontri e di guerriglia. La guerra d’Algeria, combattuta dai francesi contro il “Fronte di liberazione nazionale” (FLN) guidato da Ahmed Ben Bella, un’organizzazione clandestina indipendentista che operava soprattutto nei centri urbani, ebbe uno dei suoi momenti più drammatici nella battaglia di Algeri del 1957, durata quasi nove mesi fra le vie cittadine. Pur essendo stata brutalmente repressa dall’esercito di occupazione, l’insurrezione diffuse in Francia la convinzione che fosse ormai impossibile conservare l’ex colonia; si creò così una forte tensione fra il governo di Parigi e i coloni francesi d’Algeria, oltre un milione di persone, che abbandonarono in massa il paese quando il presidente De Gaulle, ripreso il potere nel 1958 [ 18.2], si accordò con le forze rivoluzionarie per indire un referendum sull’indipendenza algerina (che ovviamente ebbe risultato positivo). L’Algeria indipendente ebbe come primo presidente lo stesso Ben Bella (1962-65), rovesciato nel 1965 da un colpo di Stato del generale Houari Boumédienne (1965-79) a cui poi succedette Chadli Bendjedid (197992). Nel paese fu introdotto un ordinamento fortemente centralizzato e autoritario, con un sistema monopartitico di ispirazione socialista, che negli anni tentò di percorrere vie più moderate e democratiche ma si scontrò con la crescente influenza dei gruppi politici di ispirazione islamica. La Libia La Libia, colonia italiana dal 1911 [ 3.7], diventò indipendente nel 1951, dapprima sotto una monarchia locale, poi in forma di repubblica in conseguenza di un colpo di Stato militare (1969) che portò al potere il colonnello Muhammar Gheddafi (1969-2011), protagonista di una politica rigidamente nazionalista: egli espulse dal paese la comunità italiana, chiuse le basi americane, nazionalizzò le attività produttive e le banche. Negli anni Settanta-Ottanta la Libia fu accusata di sostenere le azioni dei terroristi islamici e fu anche attaccata militarmente dagli USA.

22.3 I paesi dell’Africa centrale Primi Stati indipendenti Nel 1945, solo tre paesi dell’Africa centrale erano indipendenti: la Liberia, sorta a metà dell’Ottocento per iniziativa di una società filantropica americana, per ospitare gli ex schiavi liberati; l’Etiopia, libera dal dominio italiano già dal 1941; il Sud Africa, emancipatosi dall’Inghilterra agli inizi del secolo. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il primo Stato a raggiungere l’indipendenza fu il Sudan, lasciato dagli inglesi assieme all’Egitto (1956). L’anno seguente gli inglesi lasciarono anche la Costa d’Oro, che prese il nome di Repubblica del Ghana e fu associata al Commonwealth. L’avvenimento fu particolarmente significativo, perché era la prima volta che una comunità di neri entrava a far parte di un’importante assemblea politica di bianchi, fianco a fianco e con pari diritti. Nel 1958 si affrancò la colonia francese di Guinea. Le ex colonie italiane I possessi coloniali dell’Italia in Africa centrale (Etiopia, Eritrea, Somalia) si resero indipendenti in maniera pacifica, poiché il governo italiano accettò la nuova situazione con senso realistico. Si ricostituì in tal modo, già negli anni della seconda guerra mondiale, l’Impero di Etiopia (occupato dagli italiani fra il 1936 e il

Il colonnello Gheddafi, metà XX sec.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali 1941), a cui fu accorpata anche l’Eritrea (che riuscì a emanciparsi solo nel 1993). La Somalia si rese indipendente nel 1960, allo scadere del mandato internazionale assegnato all’Italia, ma nel 1969 cadde sotto la brutale dittatura del generale Siad Barre, durata sino al 1991.

L’anno dell’Africa Dalla fine degli anni Cinquanta la carta geopolitica dell’Africa si trasformò rapidamente: le colonie francesi, tra cui Senegal, Mali, Niger, Ciad, Togo, Gabon, ottennero l’indipendenza sotto il governo De Gaulle, poi toccò a quelle britanniche, Nigeria,Tanzania, Zambia; una moltitudine di nuovi Stati si costituì in pochi anni, aprendo nuove prospettive e nuovi scenari al mondo. Nel solo anno 1960 ben diciassette paesi, tra cui il Congo belga, si resero indipendenti: perciò esso fu chiamato l’anno dell’Africa. Difficile fu l’emancipazione della colonia britannica del Kenya che raggiunse l’indipendenza solo dopo violentissimi scontri (1963), così come quella dei possessi coloniali portoghesi, gli ultimi a raggiungere l’indipendenza: Angola, Mozambico e le isole di Capo Verde e Sao Tomè e Principe. Nonostante lunghi anni di scontri e di guerriglia, solo alla caduta della dittatura di Salazar in Portogallo nel 1975 [ 11.6] le colonie furono finalmente abbandonate. Poco dopo si liberarono le isole Comore e le Seychelles (già inglesi). Nel 1977 diventò indipendente il territorio di Gibuti, colonia francese, che prese il nome di Costa degli Afar e Issa.

Le date della decolonizzazione in Africa TUNISIA

MADEIRA (Port.) MAROCCO ALGERIA

RA LO HA NO A S AG SP

EGITTO

1951

1922

MALI

SUDAN

1956

ETIOPIA

A

REP. CENTRAFRICANA

A 19 ND 62 A

0

UG

196

GO

CON

OCEANO ATLANTICO

ZAIRE

1963

TANZANIA 1964

1975

ZAMBIA

COMORE

M.

1964

ZA

MB ICO

AFRICA DEL RHODESIA SUD-OVEST 1965 (Namibia) BOTSWANA amministr. 1966 Sudafrica WALVIS S. BAY UNIONE (Sudafr.) 1966 LESOTHO SUDAF. 1910-61 (Commonwealth)

MO

In nero la data dell’indipendenza A.I. = AFAR E ISSA B. = BURUNDI 1962 D. = DAHOMEY 1960 G. = GAMBIA 1965 G.B. = GUINEA BISSAU G.E. = GUINEA EQUATORIALE 1968 M. = MALAWI 1964 R. = RUANDA 1962 S. = SWAZILAND 1968 T. = TOGO 1960

KENYA

R. B.

1960

ANGOLA

Paesi già indipendenti

MA

LI

1960

C

1960

A.I. 60

1960

A 19 MER 60 UN

GHAN

A

L

V TO 60 G.B. GUINEA AL 19 D. NIGERIA SIERRA1958COSTA T. 1960 LEONELIB D’AVORIO 1960 E 1961 RI A SÃO TOME E PRINCIPE G.E. GABON

19

CIAD

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1960

(dal 1961 REPUBBLICA SUDAFRICANA)

G 19 ASCA 60 R

A

T OL

G.

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GA NE SE 1960

NIGER

MA

1960

75

MAURITANIA 1960

LIBIA

1962

19

CANARIE (Sp.)

1956

1956

1957

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Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

I luoghi della storia

Ricchezze depredate: l’esempio del Congo

Nel 1882 il re del Belgio Leopoldo II (1865-1909) si impadronì del Congo dove, qualche anno prima, erano stati scoperti gli importantissimi giacimenti minerari della regione del Katanga, ricca non solo di ferro e rame ma anche di uranio e diamanti. Il controllo del Congo rappresentò per il Belgio una facile fonte di ricchezza, a costo quasi nullo dal momento che nel paese non fu attuata alcuna riforma civile, politica, sociale o economica. Il malessere della popolazione locale trovò in Patrice Lumumba (1925-61), fondatore nel 1958 del “Movimento nazionale congolese” (MNC), il portavoce di un cambiamento radicale e di un programma di decolonizzazione dal forte contenuto sociale. Nel 1960 il Congo diventò uno Stato indipendente con il nome africano di Zaire. Lo stesso Lumumba ne fu eletto presidente. Durante la cerimonia di insediamento, il re del Belgio Baldovino I (sul trono dal 1951 al 1993) pronunciò un discorso di elogio dell’amministrazione coloniale belga. Gli rispose Lumumba, con queste dure parole:

Chi dimenticherà che a un nero si dava del “tu”, non certo come a un amico, ma perché il “lei” rispettoso era riservato soltanto ai bianchi? Siamo stati spogliati delle nostre terre in nome di documenti falsamente legali, che non facevano altro che riconoscere il diritto del più forte; abbiamo visto che la legge non era mai la stessa, a seconda che si trattasse di un bianco o di un nero, accomodante per gli uni, crudele e disumana per gli altri. Abbiamo conosciuto le sofferenze atroci dei reietti a causa delle opinioni politiche o delle credenze religiose. […] Abbiamo visto nelle città magnifiche case per i bianchi e capanne in rovina per i neri; un nero non era ammesso né nei cinema, né nei ristoranti e neppure nei cosiddetti negozi europei; un nero viaggiava nella stiva dei vaporetti, mentre il bianco stava nella sua cabina di lusso.

Le vicende del paese, una volta raggiunta l’indipendenza, furono tuttavia drammatiche. Le tensioni causate dall’arretratezza politica ed economica della popolazione portarono a una violenta guerra civile, a cui si sovrappose il tentativo di secessione della ricca regione del Katanga. Qui gli interessi occidentali giocaro-

no un ruolo fondamentale: la più grande impresa mineraria dell’ex colonia, l’Union minière (‘Unione mineraria’), finanziò la guerra civile per assicurarsi il controllo della provincia; mercenari europei e statunitensi furono inviati nel paese per contrastare l’azione del presidente Lumumba, che non solo aveva messo a rischio i profitti delle compagnie minerarie occidentali ma si era anche rivolto all’Unione Sovietica nel tentativo di pacificare il paese, provocando l’intervento degli Stati Uniti che temevano uno spostamento dell’asse del non allineamento in chiave filosovietica. Lumumba fu assassinato nel 1961 dalle truppe secessioniste del generale Mobutu Sese Seko, che instaurò nello Zaire un regime corrotto e violento che continuò a depredare il paese di tutte le sue ricchezze, lasciandolo solo nel 1997 quando un movimento rivoluzionario riuscì ad abbattere la dittatura.

22.4 L’Africa australe La questione sudafricana Una questione di particolare gravità fu quella dell’Africa australe, già colonia britannica (e prima ancora olandese), che si spezzò in due Stati indipendenti, il Sud Africa già nel 1910, la Rhodesia nel 1965. Tanto nel Sud Africa quanto in Rhodesia il governo era sempre stato tenuto dai bianchi, che si rifiutavano di concedere i diritti politici ai neri, nonostante questi rappresentassero la maggioranza della popolazione. L’apartheid La vita sociale era dominata dal principio di separazione o “apartheid”, cioè da un’assoluta distinzione fra le etnie: «Apartheid significa aspettare in piedi ore e ore – raccontò lo scrittore sudafricano Dennis Brutus (1924-2009) – perché nella lunga fila di autobus appaia finalmente una delle rarissime vetture per neri. Significa l’ingresso proibito ai teatri e alle piscine, frequentati dai bianchi. Significa che alcuni campioni dello sport non possono rappresentare il proprio paese nelle gare internazionali perché non sono bianchi. Nel campo dello spettacolo, apartheid significa che cantanti e attori come Miriam Makeba e Lionel Ngakame possono, per la stessa ragione, esibirsi soltanto in determinate sale e davanti a un determinato pubblico. Anche le relazioni personali sono limitate da regolamenti governativi: è proibito pranzare fuori casa con chi appartenga ad altra stirpe; è obbligatorio trascorrere la notte nelle zone assegnate; è necessario un permesso perché un nero possa visitare le zone riservate ai bianchi. Tutto ciò genera un’atmosfera di sfiducia reciproca che guasta i rapporti umani. Spesso si possono vedere fanciulli mandati via dall’altalena nei giardini pubblici, soltanto perché sono neri. In questa atmosfera è facile ai fanciulli bianchi immaginarsi, nei loro giochi, di sparare sui neri. Ed è altrettanto facile per i neri meditare di ammazzare i bianchi per vendicarsi delle ingiustizie subite».

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali Tale situazione durò a lungo, nonostante il venir meno della cultura colonialista e il prestigio conquistato a livello internazionale dai movimenti di liberazione, sostenuti dall’opinione pubblica mondiale e dall’appoggio dei governi inglese e statunitense.

La Rhodesia diventa Zimbabwe Nel 1965 la Rhodesia affermò la propria indipendenza con una dichiarazione unilaterale che la Gran Bretagna e l’ONU non accettarono. Seguirono quindici anni di difficili rapporti internazionali, a cui si aggiunse la guerra interna fra le truppe governative e il movimento di ispirazione marxista guidato da Robert Mugabe. Nel 1979 fu provvisoriamente ristabilito il dominio inglese, che guidò la normalizzazione del paese e il suo riconoscimento come repubblica autonoma (1980). La Rhodesia fu ridenominata Zimbabwe e Mugabe ne diventò Primo ministro (fino al 1987, anno in cui fu eletto presidente), avviando riforme politiche e sociali tendenti inizialmente a un migliore equilibrio tra i diversi gruppi etnici della popolazione.

Scontri di Soweto, 1976 Hector Pieterson, ucciso dalla polizia durante gli scontri di Soweto, viene portato via dai fratelli. Come lui saranno uccisi altri quattro bambini durante una manifestazione pacifica che subito si trasformerà in una rivolta.

La Parola

ebrei, israeliti, giudei, israeliani Il termine “ebrei” indica gli appartenenti alla comunità religiosa e culturale ebraica, di cui fanno parte (a prescindere dalla loro nazionalità) tutti i nati da madre ebraica e coloro che si convertono alla fede ebraica. Un sinonimo di “ebrei” è “israeliti”, da Israel, nome biblico di Giacobbe, nipote di Abramo, progenitore del popolo ebraico. Un altro termine, “giudei”, è stato storicamente impiegato per indicare gli ebrei, prevalentemente in senso dispregiativo (esso fu usato dai nazisti durante la persecuzione e il genocidio del popolo ebraico). “Israeliani”, infine, sono i cittadini dello Stato di Israele, non necessariamente ebrei: questi costituiscono la grande maggioranza degli abitanti del paese, in cui però vivono anche minoranze di stirpe araba e di religione islamica.

La rivolta in Sud Africa Ancora più lunga e difficile fu la soluzione del problema in Sud Africa, dove nel 1960 fu dichiarato illegale il partito per l’emancipazione dei diritti dei neri, l’African National Congress (ANC), e la protesta fino ad allora non violenta si trasformò in rivolta armata. La repressione fu lunga e durissima: nel 1976 nel ghetto di Soweto, un sobborgo della capitale Johannesburg, la polizia sparò sui partecipanti a una manifestazione pacifica e da lì partirono violenti scontri che provocarono più di mille morti. Solo agli inizi degli anni Ottanta il regime di apartheid iniziò a entrare in crisi, sia per la forza maggiore acquisita dal movimento di protesta, sia per l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale. Nel 1989 il governo presieduto da Frederik de Klerk (1989-94) avviò i primi negoziati con i rappresentanti neri.

22.5 Il nodo medio-orientale: la Palestina, Israele e gli Stati arabi L’ONU e la spartizione della Palestina Nei decenni dopo la Prima guerra mondiale il “movimento sionista”, che si proponeva di riunire nell’antica patria di Palestina le comunità ebraiche sparse per il mondo [ 7.8], intensificò le sue azioni: nel 1939 in Palestina si contavano già 430.000 ebrei, quasi un terzo della popolazione complessiva, in maggioranza costituita dalle comunità arabe che da secoli abitavano la regione. Negli anni successivi il numero degli ebrei continuò ad aumentare per l’affluire di profughi dai paesi invasi dai nazisti. Terminata la Seconda guerra mondiale, il progetto di spartire la Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, fu approvato dall’ONU il 14 maggio 1948. Questa soluzione rispondeva all’esigenza di dare una patria agli ebrei, particolarmente sentita dopo le terribili persecuzioni e i massacri a cui essi erano stati sottoposti durante il nazismo; ma naturalmente sollevava le proteste della popolazione araba, che si vedeva sottratta una parte cospicua del paese (secondo la risoluzione ONU, lo Stato arabo avrebbe occupato il 42,8% del territorio palestinese, lo Stato ebraico il 56,4% e Gerusalemme sarebbe stata posta sotto il controllo internazionale). I contrasti fra le due popolazioni, già aspri, si acuirono e diventarono incandescenti. La prima guerra arabo-israeliana Gli inglesi lasciarono la Palestina il 15 maggio 1948 e immediatamente gli ebrei proclamarono la nascita del nuovo Stato di Israele. Otto ore dopo, violando gli accordi dell’ONU, gli eserciti di Egitto, Giordania, Siria e Libano, appoggiati da corpi dell’Iraq e dell’Arabia Saudita (in pratica tutti i paesi membri della Lega araba), attaccarono Israele ma nel giro di pochi mesi subirono una clamorosa

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Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

317

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Yasser Arafat durante un intervento alle Nazioni Unite, 1974

sconfitta. Da quel momento non vi fu pace tra gli israeliani e gli arabi. Le guerre improvvise, gli scontri di frontiera, la guerriglia, il terrorismo caratterizzarono drammaticamente i rapporti tra i due popoli e la vita della regione. Confini della Palestina (mandato britannico)

L’OLP Dopo lo scontro del 1948, gli Stati arabi Israele, assalirono volte Israele nel secondo più il piano ONU 1948 tentativo di riportare quelle terre ai palestinesi: ma furono sempre sconfitti. Furono Territori occupati in seguito alla prima guerra arabo-israeliana (1949) e colonizinvece gli israeliani ad allargare il proprio territorio, conquistando zando nuovi spazi fino a raggiungere un’estensione quasi doppia rispetto a quella disposta dall’ONU. In conseguenza di tali avvenimenti, circa un milione di palestinesi abbandonò la regione e si rifugiò in villaggi di tende allestiti nei paesi arabi confinanti, soprattutto in Giordania, oppure emigrarono in Europa, in Africa, in Sud America. Fra i profughi si costituì nel 1964 il movimento armato chiamato OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), guidato da Yasser Arafat (1929-2004), che mirava a mantenere vive le ostilità e i propositi di ritorno in patria. La guerra dei Sei giorni I rapporti tra Israele e gli Stati arabi continuarono a peggiorare dopo la crisi del canale di Suez avvenuta nel 1956 [ 22.2] ma fu la questione dei profughi a diventare scottante, soprattutto dopo la cosiddetta “guerra dei Sei giorni” (5-10 giugno 1967). Si trattò di una rapida azione militare organizzata da Israele in risposta al progetto egiziano del presidente Nasser di chiudere il golfo di Aqaba, vitale per gli approvvigionamenti israeliani, e che portò all’occupazione del Sinai (Egitto), delle alture del Golan (Siria), della striscia di Gaza (sotto amministrazione egiziana) e, in Giordania, dei territori fino al fiume Giordano (la Cisgiordania). Anche la parte araba di Gerusalemme (la città, al confine tra Israele e Cisgiordania, a quel tempo era divisa in due zone) fu occupata e dichiarata capitale di Israele. Negli anni successivi, sui territori palestinesi occupati (Cisgiordania e striscia di Gaza) fu fondato un numero crescente di insediamenti ebraici, una vera e propria colonizzazione.

Confini della Palestina (mandato britannico) Israele, secondo il piano ONU 1948 Territori occupati in seguito alla prima guerra arabo-israeliana (1949)

AR SA

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

22.6 La questione palestinese fra guerre e terrorismo Il dramma dei profughi Il disastroso esito della guerra spinse i paesi arabi, che finora avevano sostenuto la causa dei palestinesi, ad attutire i contrasti con Israele, dotato di un esercito tecnologicamente superiore e sostenuto dagli USA, e a separare la propria causa da quella dei profughi. Costoro in gran parte furono abbandonati a sé stessi, o addirittura espulsi dai paesi che li avevano accolti. In Giordania il governo mobilitò l’esercito contro i campi profughi (da cui partivano azioni e attentati contro Israele, che a sua volta rispondeva con rappresaglie sul territorio giordano): migliaia di morti rimasero sul campo e le basi dell’OLP furono spostate in Libano. Si avviò in quegli anni la fase del terrorismo internazionale: i membri dell’OLP, per richiamare l’attenzione del mondo sul dramma del loro popolo, organizzarono azioni violente e clamorose: dirottamenti aerei, bombe in luoghi pubblici, cattura di ostaggi. Particolare emozione suscitò l’attentato terroristico del 1972, quando un gruppo di palestinesi sequestrò e uccise undici atleti israeliani che partecipavano alle Olimpiadi in Germania, a Monaco. La guerra del Kippur Un nuovo scontro si ebbe nell’ottobre 1973, detto guerra del Kippur perché le ostilità iniziarono mentre in Israele si celebrava la festività religiosa dello Yom Kippur. L’esercito egiziano e quello siriano attaccarono congiuntamente i territori occupati, uno nel Sinai, l’altro nel Golan; l’esercito israeliano fu colto di sorpresa ma in poche settimane si riorganizzò e respinse gli eserciti nemici. In risposta, gli Stati arabi chiusero il canale di Suez e bloccarono le esportazioni di petrolio verso i paesi sostenitori di Israele, con gravi conseguenze internazionali [ 23.2].

La firma degli accordi di Camp David, 1978 L’accordo di pace firmato a Camp David (Washington) il 29 marzo 1979 era volto a far cessare le ostilità arabo-palestinesi che avevano macchiato di sangue l’intera regione.

La guerra in Libano Frattanto nel Libano – un piccolo Stato dall’equilibrio fragile, dove convivevano cristiani e musulmani di diversa confessione – la presenza dei profughi palestinesi aveva introdotto un elemento di forte turbativa, che provocò uno stato permanente di guerra civile (1975-90), in cui tutte le fazioni si fronteggiavano fra scontri armati e attentati ai danni della popolazione civile. Nel 1982 l’esercito israeliano invase il Libano spingendosi fino alla capitale Beirut; una forza multinazionale di pace voluta da Arafat doveva garantire l’evacuazione pacifica dei profughi palestinesi ma, mentre il nucleo dirigente dell’OLP si trasferiva in Tunisia, alcune milizie cristiane libanesi, con il consenso israeliano, massacrarono centinaia di profughi rinchiusi nei campi di Sabra e Chatila, alla periferia di Beirut. Lo stato di conflittualità che continuò a caratterizzare il Libano fu il pretesto per l’intervento militare della Siria, che per oltre dieci anni impose sul paese una sorta di protettorato. Gli accordi di Camp David Numerose azioni dell’ONU e della diplomazia internazionale cercarono di far cessare i conflitti e le violenze tra arabi e israeliani, ma con scarso successo. I gesti di distensione, come l’accordo di pace sottoscritto a Camp David (USA) nel 1978 dal presidente egiziano Anwar Sadat (succeduto nel 1970 a Nasser) e dal Primo ministro israeliano Menachem Begin (1977-83), con la mediazione del presidente americano Jimmy Carter (1977-81), si scontrarono sempre con l’ostilità dei gruppi estremisti. Il trattato prevedeva la restituzione all’Egitto del Sinai e la pace con Israele ma la linea filooccidentale di Sadat non piacque agli altri Stati arabi, che espulsero l’Egitto dalla Lega araba. Nel 1981 lo stesso Sadat fu ucciso da un integralista islamico (i movimenti religiosi contrari a Israele e all’Occidente si erano molto radicalizzati in quegli anni, come dimostrava la stessa rivoluzione islamica scoppiata in Iran nel 1979, 22.7).

Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente L’intifada La tensione riesplose nel 1987, quando i palestinesi dei Territori occupati (la definizione era ormai divenuta un nome proprio) diedero vita a una prolungata azione di rivolta detta intifada (in arabo, ‘risveglio’) che gli israeliani repressero duramente. Fu allora che i movimenti islamici più estremisti, come Hamas, iniziarono a conquistare larghi consensi tra la popolazione.

Khomeini rientra in Iran, 1979 «La monarchia è finita!» queste furono le prime parole pronunciate dal settantottenne ayatollah Khomeini al suo rientro dall’esilio a Neauphle-le-Château (Francia). Ad attenderlo vi era una folla entusiasta.

22.7 L’Iran dell’ayatollah Khomeini Gli interessi per il petrolio iraniano Pur non avendo mai subìto dominazioni coloniali, nel corso del XX secolo l’Iran (sede dell’antica civiltà persiana) vide i suoi ricchissimi giacimenti petroliferi, principale risorsa economica della regione, sfruttati da potenze straniere, dapprima gli inglesi, poi gli statunitensi. Ciò si verificò in particolare sotto il lungo governo dello scià (‘re’) Reza Pahlavi, che, salito al trono nel 1941, dovette a lungo confrontarsi con il movimento nazionalista guidato da Mohammed Mosaddek. Nominato Primo ministro nel 1951, Mosaddek propose di nazionalizzare i pozzi petroliferi, facendoli diventare proprietà dello Stato, per avviare con i proventi del petrolio l’industrializzazione del paese. La proposta evidentemente colpiva gli interessi delle potenze occidentali, che non tardarono a reagire: nel 1953 Mosaddek fu estromesso dal governo da un colpo di Stato organizzato dagli anglo-americani, che conferì i pieni poteri a Reza Pahlavi e sancì lo stretto rapporto fra lo scià, gli USA e le compagnie petrolifere, che ebbero confermati i loro diritti di sfruttamento del sottosuolo. Rivendicazioni islamiche Nei decenni successivi, soprattutto gli ambienti religiosi si mostrarono ostili al sovrano, a cui si rimproveravano i legami con l’Occidente e il tentativo di modernizzare l’Iran sul modello europeo e americano, giudicato estraneo e talora contrario ai precetti islamici. Il movimento di protesta crebbe rapidamente e prese il carattere di una vera rivolta; lo scià, per conservare il potere, ordinò durissime repressioni, eseguite da una polizia speciale chiamata savak. Uno dei più attivi sostenitori della rivoluzione fu un’autorità religiosa, l’ayatollah Ruhollah Khomeini (1902-1989), che fu costretto all’esilio e si rifugiò a Parigi. La rivoluzione del 1979 L’incendio rivoluzionario divampò nel 1978, estendendosi a tutto il paese. A Teheran, la capitale, l’esercito aprì il fuoco contro i manifestanti che, disarmati, marciarono a migliaia contro le mitragliatrici, indifferenti alla morte. La forza della fede religiosa si scontrava, irriducibile, con la violenza delle armi. La sorte della monarchia era segnata. Reza Pahlavi e la sua famiglia dovettero fuggire dall’Iran e si rifugiarono in Egitto, mentre Khomeini ritornò a Teheran accolto da onori trionfali. Il 2 aprile 1979 fu proclamata la Repubblica islamica dell’Iran. Il nuovo Stato iranico si diede un ordinamento basato sulla totale coincidenza fra religione e politica (atteggiamento che si suole chiamare “fondamentalismo”). L’intransigenza religiosa Sotto la guida di Khomeini, durata fino al 1989, il governo dell’Iran fu affidato alle autorità religiose e le prescrizioni del Corano furono assunte come legge di Stato, come regole obbligatorie di comportamento per la popolazione. Le consuetudini e le pratiche islamiche, che in parte erano state abbandonate, furono reinserite in ogni aspetto della vita sociale: le donne si ricoprirono il capo con il velo, il consumo di bevande alcoliche fu proibito; fu respinto tutto ciò che era o sembrava di origine occidentale, estraneo alle regole dell’islam. Specialmente con gli Stati Uniti (che erano stati i principali sostenitori dello scià) si verificò una quasi totale rottura delle relazioni. Religione e politica Il nuovo regime iraniano si mostrò ostile e intransigente non soltanto verso gli Stati Uniti e l’Occidente, ma anche nei confronti del mondo islami-

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La Parola

ayatollah In lingua araba, il termine letteralmente significa ‘segni di Dio’ e indica un esperto in studi religiosi, colui che ha l’autorevolezza necessaria per interpretare e insegnare il Corano.

fondamentalismo Il termine “fondamentalismo” indica la scelta di porre la fede religiosa e le sue regole a fondamento della vita sociale, economica, politica e culturale di un paese. Tendenze di questo tipo si sono affermate soprattutto nel mondo islamico, ma anche in quello cristiano (soprattutto nel Medioevo e nella prima età moderna). Per estensione, il termine è passato a significare tutte le forme di intransigenza culturale, non necessariamente religiosa, contrapposte allo spirito di tolleranza che dovrebbe caratterizzare (ma non sempre caratterizza) lo Stato “laico”.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali Memo

sunniti e sciiti Il contrasto dottrinale fra sunniti e sciiti risale agli inizi della religione islamica. Subito dopo la morte di Maometto (anno 632) i sunniti assegnarono ai suoi successori, i califfi, un compito prevalentemente politico, distinguendo l’autorità civile da quella religiosa; gli sciiti invece, accettando la dottrina di uno dei cugini di Maometto, Alì, sostennero la necessità di mantenere strettamente collegati i due poteri, riservandoli ai diretti discendenti del profeta. Ancora oggi, i paesi islamici sono divisi fra le due diverse interpretazioni.

co di fede “sunnita”, uno dei due grandi rami dell’islamismo, diffuso soprattutto fra le popolazioni arabe, che ammette la separazione fra politica e religione; gli iraniani invece professavano la fede “sciita”, che rifiuta tale distinzione. Gli ayatollah iraniani mostrarono ben presto l’intenzione di espandere la fede sciita e il suo modello politico-religioso oltre i confini dell’Iran, contando sull’appoggio delle comunità sciite sparse nel Medio Oriente e in altre aree asiatiche. Ciò ebbe l’effetto di acuire vecchi contrasti, soprattutto con il vicino Iraq. Ne scaturì una lunga, sanguinosa guerra.

22.8 L’Iraq di Saddam Hussein La dittatura di Saddam Hussein Nel 1979, mentre in Iran s’instaurava la teocrazia di Khomeini, in Iraq saliva al potere Saddam Hussein (1979-2003), sostenitore di una linea “laica” di governo che trovò il sostegno delle potenze occidentali e in particolare degli Stati Uniti, che, colpiti nei loro interessi economici ed estromessi da ogni influenza politica nell’Iran di Khomeini, cercavano un nuovo punto d’appoggio nella regione. Saddam Hussein instaurò in Iraq una dittatura dispotica e, approfittando dell’isolamento internazionale in cui si era venuto a trovare il regime di Khomeini dopo la rivoluzione islamica, lanciò un’offensiva contro l’Iran per conquistare una zona del Golfo Persico – ricchissima di petrolio – al confine tra i due paesi. La guerra contro l’Iran Il conflitto contro l’Iran sembrava destinato a breve durata, invece si prolungò per otto anni, dal 1980 al 1988, per la strenua resistenza iraniana, che rafforzò ulteriormente il sentimento nazionale e religioso e il prestigio degli ayatollah. Fu un conflitto sanguinoso, nel corso del quale Hussein non esitò a impiegare micidiali armi chimiche (gas velenosi) con cui furono sterminati non solo migliaia e migliaia di iraniani, ma anche curdi, una minoranza etnica dell’Iraq, di religione sciita, che avanzava richieste indipendentiste. Solo nel 1988 l’ONU riuscì a imporre l’armistizio fra i due paesi. Ma la guerra era già costata un milione di morti, oltre all’affondamento di 450 navi mercantili di diversi paesi nelle acque del golfo.

Soldato americano su un carro armato iracheno

La guerra del Golfo L’instabilità politica della regione medio-orientale e le ambizioni espansionistiche di Saddam Hussein, volte principalmente alla conquista di zone petrolifere, esplosero di nuovo nel 1990, quando fu invaso il confinante Emirato del Kuwait, un paese-chiave per la produzione di greggio (il petrolio ancora da raffinare,

Pozzi petroliferi incendiati dagli iracheni durante il loro ritiro, Kuwait 1991

Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente di cui il Kuwait possedeva circa il 40% delle risorse mondiali), tradizionalmente amico degli Stati Uniti. Una forza multinazionale dell’ONU, composta per la maggior parte da truppe e mezzi statunitensi e guidata da generali statunitensi, l’anno successivo fu incaricata di punire l’aggressione al Kuwait e di riportare la regione alla normalità. L’attacco contro l’Iraq, compiuto con un impressionante dispiego di mezzi aerei e bombardamenti a tappeto, fece cessare il conflitto ma non riuscì a impedire che Saddam Hussein rimanesse saldamente al potere. Inoltre, prima di ritirarsi dal Kuwait, il dittatore per ritorsione fece incendiare la maggior parte dei pozzi petroliferi, provocando – oltre al danno economico – una catastrofe ecologica di proporzioni incalcolabili, che ridusse le acque del golfo a una nera massa melmosa, sterminando ogni forma di vita vegetale e animale.

I luoghi della storia

Il sogno di uno Stato: il Curdistan 28 milioni, che insieme costituirebbero una vasta e omogenea unità culturale – sono una minoranza, scarsamente riconosciuta nei propri diritti e talora ferocemente perseguitata, come è accaduto in Turchia nella prima metà del XX secolo (quando si proibì l’uso della lingua curda e addirittura si negò l’esistenza di un popolo dei curdi, chiamati semplicemente “turchi di montagna”) e più tardi nell’Iraq di Saddam Hussein, dove, durante la guerra contro l’Iran, furono operate stragi sistematiche e forme di vero

Tra i popoli in cerca di una propria autonomia e unità nazionale, soffocata e repressa dalle più recenti vicende della storia, un caso particolarmente drammatico è quello dei curdi, una popolazione dell’Asia Minore originaria della regione del Curdistan (tra il Mar Nero e la zona nord-orientale della Mesopotamia), mai diventata un vero e proprio Stato nazionale. I curdi sono sparsi in cinque Stati diversi, fra loro confinanti: Turchia, Armenia, Iran, Iraq, Siria. In ciascuno di questi Stati i curdi – complessivamente

GEORGIA

ARMENIA

RUSSIA

AZERBAIJAN Baku

Yerevan

Erzurum TURCHIA

Van Tabriz Graziantep

Al Hasakah

Mosul As Sulaymaniyah

SIRIA IRAQ

IRAN

genocidio. 5000 villaggi curdi e 20 città furono distrutte in maniera sistematica e migliaia di persone deportate: nel 1988 l’aviazione irachena bombardò con un composto chimico mortale il villaggio di Halabja (240 km a nord-est della capitale irachena, Baghdad), colpevole di non aver frapposto un’efficace resistenza alle truppe iraniane. Le vittime furono oltre 5000 (alcune fonti parlano di 12.000), tra cui donne, vecchi e bambini. Dopo il bombardamento ogni edificio di Halabja fu raso al suolo con la dinamite. L’opera di distruzione proseguì l’anno successivo e la “soluzione finale” progettata da Saddam Hussein per chiudere la questione curda con lo sterminio totale della popolazione si fermò solo per le pressioni internazionali. Fra il 2007 e il 2008, vari esponenti militari del regime di Saddam Hussein sono stati condannati per crimini contro l’umanità. Nel 1984 si formò tra i curdi un’organizzazione nazionale con l’obiettivo di istituire un autonomo Stato del Curdistan. Tale idea è stata attualmente abbandonata in favore di soluzioni politicamente più realistiche, come il riconoscimento di ampie autonomie alle regioni abitate dai curdi entro i singoli Stati. Dopo la scomparsa di Saddam Hussein dalla scena politica dell’Iraq (2003), ai curdi è stato affidato un ruolo importante nella vita politica del paese e nel 2005 è stato eletto presidente il curdo Jalal Talabani, segretario generale dell’Unione patriottica del Curdistan.

Kermanshah

Bagdad

Il Curdistan

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

Sintesi

L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

Autodeterminazione e “non allineamento” dei paesi del Terzo Mondo Dagli anni Quaranta, la decolonizzazione si estese al mondo arabo. Nel 1945 fu costituita la Lega araba, finalizzata al raggiungimento dell’indipendenza dei paesi arabi. Nell’aprile 1955 i paesi asiatici e africani organizzarono la conferenza di Bandung, a cui non parteciparono i paesi europei e durante la quale si evidenziò la forza dei paesi del Terzo Mondo, estranei ed equidistanti dai due blocchi. Nel 1961 la conferenza di Belgrado sancì la costituzione formale del movimento dei paesi “non allineati”, la cui esistenza si protrasse fino ai primi anni Ottanta. Gli Stati africani del Mediterraneo In Africa, i primi Stati a conseguire l’indipendenza furono quelli mediterranei. In Egitto, formalmente già indipendente, si insediò una repubblica (1952) guidata dal generale Nasser, che instaurò un potere personale rafforzando la posizione dell’Egitto nel mondo arabo. Nel 1956 furono introdotte riforme di ispirazione socialista: fu nazionalizzato il canale di Suez, causando una crisi internazionale. Forme politiche di tipo occidentale caratterizzarono il Marocco, che dopo l’indipendenza divenne una monarchia parlamentare, e la Tunisia, dove si affermò il potere personale di Burghiba, che modernizzò il paese. L’Algeria ottenne l’indipendenza nel 1962, dopo otto anni di guerra cruenta con la Francia. In Algeria si sviluppò un regime autoritario e centralizzato, i cui tentativi di modernizzazione si scontarono con l’opposizione dei gruppi di ispirazione islamica. In Libia, dopo l’indipendenza (1951), si affermò prima la monarchia, poi il potere personale del colonnello Gheddafi, che applicò una politica nazionalistica, chiudendo le basi americane e nazionalizzando le attività produttive. A cavallo degli anni Ottanta, la Libia fu accusata di sostenere il terrorismo islamico e fu attaccata dagli USA. I paesi dell’Africa centrale Dopo la Seconda guerra mondiale, gli unici Stati africani indipendenti erano Liberia, Somalia e Sudafrica. Tra gli ex domìni inglesi divennero indipendenti Sudan, Ghana, Nigeria, Tanzania e Zambia, mentre il Kenya ottenne l’indipendenza dopo violenti scontri nel 1963. Tra gli ex domìni francesi divennero indipendenti Guinea, Senegal,

Mali, Niger, Ciad, Togo, Gabon e Gibuti. Nel 1960 ben 17 Stati africani conseguirono l’indipendenza. Si ebbero scontri soprattutto nei domìni portoghesi, che divennero indipendenti solo nel 1975, dopo la caduta di Salazar. L’Africa australe Nell’Africa australe i bianchi esclusero i neri dai diritti politici (apartheid). Nel 1965 la Rhodesia dichiarò unilateralmente l’indipendenza, non accettata dall’ONU. I rapporti internazionali erano difficili e si sviluppò una guerra civile tra le truppe governative e il movimento filo-marxista guidato da Mugabe, che divenne presidente dopo il riconoscimento internazionale della repubblica, ribattezzata Zimbabwe. Furono avviate riforme politiche e sociali tendenti a un migliore equlibrio tra i gruppi etnici. In Sudafrica, indipendente dal 1910, nel 1960 fu dichiarato illegale il movimento di emancipazione dei neri; a ciò seguì lo scoppio della lotta armata, repressa duramente dal governo. Negli anni Ottanta l’apartheid entrò in crisi e il governo De Klerk nel 1989 avviò i primi negoziati con i rappresentanti neri. Il nodo medio-orientale: la Palestina, Israele e gli Stati arabi Nel primo dopoguerra si sviluppò il movimento sionista, che mirava a riunire in Palestina le comunità ebraiche sparse nel mondo. Nel 1948 l’ONU approvò il progetto di spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico, per dare una patria agli ebrei, suscitando le proteste della popolazione araba. L’Inghilterra abbandonò la Palestina e fu creato lo Stato di Israele, subito attaccato da una coalizione di Stati arabi, che furono sconfitti. In seguito a diversi scontri il territorio israeliano raggiunse un’estensione doppia rispetto a quella decisa dall’ONU, in particolare dopo la guerra dei Sei giorni (1967), in cui furono occupati diversi territori palestinesi, tra cui la Cisgiordania, la striscia di Gaza e la parte araba di Gerusalemme. Nel 1964 fu fondata l’OLP, guidata da Arafat, che si proponeva di combattere gli ebrei per riappropriarsi della Palestina. La questione palestinese fra guerre e terrorismo Dopo la guerra dei Sei giorni, molti paesi arabi allentarono il conflitto con Israele. Tantissimi profughi rifugiatisi in Giordania furono espulsi

e le basi dell’OLP trasferite in Libano. I palestinesi fecero ricorso a violente azioni di terrorismo internazionale. Nel 1973 Egitto e Siria attaccarono i territori occupati e furono sconfitti; gli Stati arabi bloccarono le esportazioni di petrolio verso i paesi filoisraeliani. In Libano la presenza dei profughi palestinesi portò a una guerra civile. Israele invase il Libano fino a Beirut; in seguito la Siria intervenne in Libano creandovi un protettorato. L’intervento di una forza multinazionale di pace risultò inutile così come i tentativi della diplomazia internazionale di porre fine al conflitto: nel 1978 gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele non furono accettati dalla Lega araba. La tensione riesplose nel 1987, quando la rivolta dell’intifada, scoppiata nei territori occupati, fu repressa duramente da Israele. L’Iran dell’ayatollah Khomeini In Iran i giacimenti petroliferi, che costituivano la principale ricchezza del paese, furono sfruttati prima dall’Inghilterra, poi dagli USA. Il paese era guidato dallo scià Reza Pahlavi che, dopo un colpo di Stato sostenuto dagli USA nel 1953, assunse i pieni poteri consentendo alle compagnie petrolifere americane il pieno sfruttamento del sottosulo. Si sviluppò un’opposizione interna a carattere religioso, che subì le repressioni della polizia speciale; il leader dell’opposizione Khomeini fu esiliato. Nel 1978 scoppiò una rivoluzione che costrinse alla fuga lo scià; nel 1979 si formò la Repubblica islamica dell’Iran guidata dall’ayatollah Khomeini, caratterizzata dall’assegnazione delle funzioni di governo ad autorità religiose e dall’introduzione dei precetti del Corano come legge dello Stato. Le relazioni con gli USA si ruppero, così come quelle con gli Stati musulmani sunniti. La crescente tensione portò allo scontro armato con l’Iraq. L’Iraq di Saddam Hussein Nel 1979 in Iraq salì al potere Saddam Hussein, sostenitore di una linea di governo laica appoggiata dalle potenze occidentali e dagli USA. Il suo potere assunse le forme di una dittatura aggressiva. Per conquistare territori di confine ricchi di petrolio, nel 1980 attaccò l’Iran e nel 1990 invase il Kuwait. L’intervento militare dell’ONU riportò la regione all’ordine, ma Saddam Hussein rimase al potere.

Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1945

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

1948

1952

1955

1956

1957

1961

1964

1969

9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.

conferenza di Belgrado attentato palestinese alle Olimpiadi di Monaco indipendenza di Marocco e Tunisia Gheddafi al potere in Libia costituzione dell’OLP accordi di Camp David fondazione della Lega araba Repubblica islamica dell’Iran

1972

1973

1976

1978

1979

1980

battaglia di Algeri nascita dello Stato di Israele conferenza di Bandung guerra del Kippur inizio della guerra tra Iran e Iraq strage di Soweto colpo di Stato militare in Egitto

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. apartheid • ayatollah • decolonizzazione • fondamentalismo • intifada • profughi • savak • scià • sciiti • sionismo • sunniti • teocrazia • Terzo Mondo Paesi non allineati né al blocco capitalista né al blocco comunista Re dell’Iran Movimento che si proponeva di riunire in Palestina gli ebrei sparsi nel mondo Autorità religiosa iraniana che esercita influenza politica sulla società civile Coloro che sono costretti a fuggire dal proprio luogo di origine Atteggiamento basato sulla totale coincidenza tra religione e politica Principio di distinzione assoluta tra le etnie Sistema di governo in cui il potere è esercitato da autorità religiose Polizia speciale al servizio dello scià Musulmani che ammettono la separazione tra politica e religione Movimento di emancipazione e di indipendenza dall’egemonia dei paesi coloniali Musulmani che rifiutano la separazione tra politica e religione Prolungata azione di rivolta dei palestinesi dei Territori occupati

3. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La conferenza di Bandung sancì la costituzione formale del movimento dei paesi “non allineati”.

V

F

b. In Tunisia dopo l’abolizione della monarchia fu sancita la parità tra uomini e donne.

V

F

c. Nell’Iran di Khomeini le prescrizioni del Corano furono assunte come legge dello Stato.

V

F

d. Il movimento dei paesi “non allineati” fece sentire la sua voce fino ai primi anni Ottanta.

V

F

e. Il regime di apartheid in Sudafrica iniziò a entrare in crisi all’inizio degli anni Ottanta.

V

F

f. La guerra tra Iran e Iraq ebbe inizio dopo un’offensiva lanciata da Khomeini.

V

F

g. L’OLP mirava alla cessazione delle ostilità con Israele per permettere il ritorno in patria dei profughi.

V

F

323

324

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

h. La Lega araba comprendeva gli Stati arabi indipendenti e non aderenti all’ONU.

V

F

i. La Liberia era sorta a metà dell’Ottocento per iniziativa di una società filantropica americana.

V

F

l. Nel 1973 gli Stati arabi chiusero il canale di Suez e bloccarono l’esportazione di petrolio verso i paesi alleati di Israele.

V

F

m. La conferenza di Belgrado fu il primo incontro internazionale a cui non parteciparono Stati europei.

V

F

n. L’attacco all’Iraq di una forza multinazionale dell’ONU nel 1990 determinò la fine del potere di Saddam Hussein.

V

o. La dichiarazione unilaterale di indipendenza della Rhodesia fu accettata dall’ONU ma non dalla Gran Bretagna.

V

F

F

p. L’indipendenza fu raggiunta dopo violentissimi scontri solo dai possessi coloniali portoghesi. q. Khomeini assunse i pieni poteri dopo un colpo di Stato organizzato dagli anglo-americani. r. Nel 1939 quasi un terzo della popolazione della Palestina era formata da ebrei. s. I coloni francesi in Algeria erano più di due milioni di persone. t. Dopo il raggiungimento dell’indipendenza, il Ghana aderì al Commonwealth. u. Dopo il 1967 sui territori palestinesi occupati furono fondati numerosi insediamenti ebraici. v. Gli accordi di Camp David prevedevano la restituzione del Sinai all’Egitto e la pace con Israele. z. Negli anni Settanta-Ottanta la Tunisia fu accusata di sostenere le azioni dei terroristi islamici.

V

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V

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4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Anno: 1948 • 1952 • 1963 • 1969 • 1970 • 2011 Termini: Aqaba • araba • attività • banche • basi americane • chiusura • Egitto • Israele • italiani • Lega • Libia • nazionalista • nazionalizzazione • repubblica • riforme • sostegno • canale di Suez • terrorismo islamico • URSS • USA

CAPI DI STATO A CONFRONTO NASSER

GHEDDAFI

QUANDO

..............................................................................................................

..............................................................................................................

DOVE

..............................................................................................................

..............................................................................................................

FORMA DI STATO

..............................................................................................................

..............................................................................................................

IL GOVERNO

• Potere personalistico • .......................................................................................................... del ...................................................................................................... • .......................................................................................................... socialiste • Progetto di ................................................................................. del golfo di .....................................................................................

• Potere personalistico • Politica .......................................................................................: espulsione degli ........................................................................, ........................................................................................ delle basi ............................................................................................................ , ...................................................... di .................................................. e ................................................................................... produttive

RELAZIONI INTERNAZIONALI

• Sostegno alla ............................................................................ • Guerre contro ........................................................................... (anni ............................ , ............................) • Accordi con ................................................................................

• Fine anni Settanta: attaccata dagli ............................... con l’accusa di ............................................................................. ..............................................................................................................

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna. 1. Che cosa si intende con l’espressione “Terzo Mondo”? 2. Quali aspetti problematici caratterizzavano la società del Sudafrica? Con quali conseguenze? 3. In che modo i paesi dell’Africa centrale raggiunsero l’indipendenza?

4. In che modo si arrivò all’indipendenza dell’Algeria? Attraverso quali eventi? 5. In che modo si arrivò all’indipendenza dello Zimbabwe? Chi ne divenne Primo ministro? 6. Chi sono i curdi? Che cosa caratterizza questo popolo?

Capitolo 22 L’indipendenza dell’Africa e del Medio Oriente

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando nacque lo Stato di Israele? In seguito a quali eventi? 2. Quale decisione fu presa dall’ONU il 14 maggio 1948? Quali conseguenze comportò? 3. Quale guerra fu combattuta nel 1948 da Israele? Contro chi? Con quale esito? Con quali conseguenze?

4. Quali erano gli assetti territoriali dello Stato di Israele nel 1948? 5. Quale guerra fu combattuta nel 1967 da Israele? Contro chi? Con quale esito? Con quali conseguenze? 6. Quali erano gli assetti territoriali dello Stato di Israele nel 1963? 7. Quali accordi di pace furono stipulati da Israele nel 1978? Con chi? Con quale esito? Con quali conseguenze?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

NASCITA DI ISRAELE, GUERRE E TRATTATI 1948

1967

1978

ACCORDI DI PACE

............................................................................

............................................................................

............................................................................

............................................................................

CONFLITTI

............................................................................

............................................................................

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............................................................................

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............................................................................

............................................................................

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............................................................................

............................................................................

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............................................................................

ASSETTI TERRITORIALI

Indica ora su ciascuna delle tre cartine gli assetti territoriali della regione palestinese rispettivamente nel 1948, nel 1963 e nel 1978. 1948

1963

1978

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzò il movimento sionista? Quale scopo si proponeva? 2. Quando nacque lo Stato di Israele? In seguito a quali eventi? 3. Che cosa accadde tra il 14 e il 15 maggio 1948? Per quali cause? Con quali conseguenze? 4. Quando fu fondata l’OLP? Da chi? Quale scopo si proponeva? Quali mezzi utilizzava? 5. Da cosa nacque il problema dei profughi palestinese? Quali conseguenze comportò? 6. Perché scoppiò la guerra dei sei giorni? Quando si verificò? Quali conseguenze comportò?

7. Perché scoppiò la guerra del Kippur? Quando si verificò? Quali conseguenze comportò? 8. Perché la guerra si estese al Libano? In che periodo? Con quali conseguenze? 9. Che cosa fu sancito dagli accordi di Camp David? Con quali conseguenze? 10. Che cosa fu l’intifada? Quando e dove si verificò? Quali conseguenze comportò? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “La questione palestinese”.

325

326

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi governò l’Iran fino al 1978? Da chi era sostenuto? Per quali cause? 2. Che cosa accadde dopo il 1978 in Iran? Chi assunse il potere? Che cosa caratterizzò il nuovo Stato? 3. Quale rapporto esisteva nel nuovo Stato iraniano tra religione e politica? Per quali ragioni?

4. Chi assunse il potere in Iraq nel 1979? Che cosa caratterizzò il nuovo regime politico? Da chi fu sostenuto? 5. Quando fu combattuta la guerra tra Iran e Iraq? Per quali cause? Con quali conseguenze? 6. Quale guerra fu combattuta dall’Iraq nel 1990? Contro chi? Per quali cause? Con quali conseguenze?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

L’IRAN E L’IRAQ IRAN

IRAQ

QUANDO

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

CHI

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

QUALE STATO

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

LE SCELTE DI GOVERNO

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

LA POLITICA ESTERA

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

LE GUERRE

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

.....................................................................................................................

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

23 Nuove tensioni

Capitolo

327

nel mondo

Percorso breve Il processo di decolonizzazione ebbe importanti conseguenze nel mondo occidentale. Particolarmente critico fu l’anno 1968, che vide scoppiare la protesta giovanile e una forte conflittualità sociale, estesa dal mondo studentesco a quello del lavoro. Il fenomeno coinvolse gli Stati Uniti (dove fu aspramente contestato l’intervento in Viet Nam), la Francia, l’Italia e altri paesi europei, e anche il mondo comunista: in Cecoslovacchia, la rivendicazione di libertà nel partito e di autonomia dall’URSS fu stroncata dai carri armati sovietici. Il 1973 fu l’anno della crisi petrolifera, in seguito alla decisione dei paesi arabi produttori di petrolio (riuniti nell’OPEC) di sospendere le forniture ai paesi occidentali, sia per punire l’appoggio dato a Israele, sia, più in generale, per rivendicare il proprio ruolo nei confronti dei paesi industrializzati. Ne seguì un aumento vertiginoso dei prezzi del petrolio e un processo di inflazione a cui si accompagnò una grave stagnazione dell’economia (abbinamento imprevisto nelle teorie economiche, che fu chiamato “stagflazione”). La crisi durò fino al 1983 e portò – nonostante la forza dei sindacati, che riuscirono a proteggere la capacità d’acquisto dei ceti popolari – al tracollo dello “Stato sociale”, il Welfare State teorizzato dai progressisti dopo la Seconda guerra mondiale. Negli anni Ottanta si affermarono forze conservatrici, contrarie all’intervento dello Stato nella vita economica, sostenitrici del “neoliberismo” (libertà d’azione per le imprese) e della “deregolamentazione” (cancellazione delle regole di protezione sociale): Margaret Thatcher in Inghilterra (Primo ministro dal 1979) e Ronald Reagan negli Stati Uniti (presidente dal 1980) ne furono i maggiori fautori. Lo smantellamento dei programmi di assistenza sociale non impedì agli USA di praticare una politica di potenziamento militare, continuata anche con il presidente Bush che si impegnò nella guerra del Golfo contro l’Iraq (1990-91). Anche in Unione Sovietica si praticò in quegli anni una dispendiosa politica di armamenti. Nel 1964 Kruscev fu deposto da una congiura di stampo conservatore che portò al potere Leonid Breznev: trionfò la collusione fra

Margaret Thatcher e Ronald Reagan, 1978

ceto politico, forze armate e industria bellica, mentre il tenore di vita della popolazione era ai minimi storici e il sistema agrario non garantiva cibo sufficiente. Il bisogno di importare grano dagli USA e dal Canada provocò una crescita enorme del debito pubblico, mentre la politica di potenza conduceva all’occupazione dell’Afghanistan (1979) per reprimere l’insurrezione islamica scoppiata contro un colpo di Stato comunista. Come gli USA in Viet Nam, l’URSS uscì sconfitta e provata da questa guerra, combattuta fino al 1988 in un ambiente fisico e umano estremamente ostile.

328

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

23.1 Il Sessantotto negli Stati Uniti e in Europa L’Occidente e il mondo Le conseguenze della decolonizzazione ebbero profonde ripercussioni nei paesi occidentali, sia a livello economico sia politico-sociale. La guerra al Viet Nam e le mire egemoniche degli Stati Uniti (non solo verso il Viet Nam ma anche, in forme diverse, verso l’America Latina e il Medio Oriente) divennero uno dei punti focali delle proteste che dalla fine degli anni Sessanta attraversarono gli stessi Stati Uniti e l’Europa.

Il maggio francese, 1968 L’evento-simbolo della rivolta giovanile del 1968 in Europa è il “maggio francese”, la cui onda d’urto si esaurì, diversamente che in Italia, molto rapidamente per la negativa reazione dell’opinione pubblica moderata (che si espresse nel successo elettorale delle forze governative nel giugno dello stesso anno) e per il varo di una riforma universitaria di segno efficientista che sgretolò la base della protesta studentesca.

Un’ondata di protesta Il 1968 fu un anno particolarmente critico nella vita di molti paesi, soprattutto negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale, ma anche nel mondo comunista europeo (Cecoslovacchia) ed extraeuropeo (Cina). Esso fu segnato dall’esplodere di una forte conflittualità sociale, dapprima nel mondo studentesco, poi anche tra i lavoratori delle industrie. L’esplodere della contestazione studentesca fu un segno degli importanti cambiamenti sociali e culturali che si erano verificati negli anni Sessanta: la più larga diffusione degli studi superiori e universitari, un tempo riservati a ristretti gruppi sociali, aveva accresciuto sia il numero degli studenti (che, data la lunghezza degli studi, parevano quasi essere diventati un’autonoma categoria sociale) sia la loro capacità di riflessione critica. Il movimento studentesco, specialmente nelle università, mise in discussione i metodi tradizionali di insegnamento e i criteri selettivi che stavano alla base della scuola: si rifiutarono le gerarchie, si sostennero i princìpi dell’uguaglianza e della libertà nell’accesso agli studi e nella scelta dei programmi. La protesta culturale in America Il movimento esplose negli Stati Uniti, particolarmente nelle università della California (in prima linea vi fu quella di Berkeley, presso San Francisco), dove i gruppi di discussione non si limitarono ad affrontare temi di natura scolastica ma si inserirono nel dibattito sui diritti civili, sulla liberalizzazione delle relazioni sessuali, sull’uso “creativo” di droghe, utilizzando linguaggi nuovi di cui anche la musica rock diventò componente essenziale. Il pacifismo radicale di molti gruppi giovanili americani, che contestavano duramente la guerra in Viet Nam [ 21.6] e che trovò la sua punta estrema nel movimento degli hippies, non escluse forme violente di protesta che provocarono duri scontri con le forze dell’ordine. La protesta politica in Europa Ma fu soprattutto in Europa che la contestazione studentesca prese forme diverse, collegandosi con l’ideologia marxista e assumendo l’aspetto di una rivolta contro l’intera società capitalista, la sua ideologia consumistica, il suo sistema di valori. In questo modo, a differenza di quanto accadeva negli Stati Uniti, il movimento di contestazione prese una connotazione più fortemente politica, uscì dall’ambito studentesco e coinvolse anche il mondo del lavoro e la classe operaia. Ciò accadde in Francia (a Parigi, nel maggio 1968, dieci milioni di operai scesero in sciopero affiancandosi agli studenti che protestavano nelle piazze e nelle strade) e soprattutto in Italia, dove la protesta sociale assunse tra il 1968 e il 1969 toni particolarmente tesi e drammatici. Il filosofo tedesco Herbert Marcuse (1898-1979), che delineava un nuovo tipo di umanità totalmente libera dai condizionamenti politici ed economici, diventò un importante punto di riferimento ideologico della contestazione. La guerra del Viet Nam diventò un simbolo della resistenza popolare contro l’oppressione capitalista; la “rivoluzione culturale” avviata in Cina da Mao [ 21.4], che proprio allora raggiungeva il suo culmine, apparve il modello per la costruzione di una società nuova.

Capitolo 23 Nuove tensioni nel mondo La “primavera di Praga” Il 1968 fu anche l’anno del tentativo operato dal governo comunista della Cecoslovacchia, guidato da Alexander Dubcek (1963-68), di introdurre i princìpi della libertà e della democrazia nell’esperienza socialista, avviando un «socialismo dal volto umano», un nuovo corso politico sganciato dalle direttive di Mosca: ma la “primavera di Praga” (come fu chiamata) fu duramente stroncata dall’intervento dei carri armati sovietici, che tra il 18 e il 20 agosto invasero la città e il paese incontrando la resistenza passiva (non violenta e non armata) dei politici comunisti cecoslovacchi e dei manifestanti. Dubcek fu rimosso e condotto in Unione Sovietica, le riforme furono cancellate. La repressione dell’iniziativa cecoslovacca suscitò disapprovazione e condanna da parte degli stessi partiti comunisti occidentali, ma anche Cina e Jugoslavia criticarono duramente il comportamento di Mosca.

La benzina scarseggia in un distributore di Detroit, 1973 Durante la presidenza Nixon, gli Stati Uniti subirono gli effetti del primo “shock petrolifero”. Il proprietario di questa pompa di benzina fa un gioco di parole utilizzando il cognome del presidente: «niente benzina di domenica».

23.2 La crisi petrolifera e la recessione economica (1973-83) L’OPEC La crescita economica che dalla fine della Seconda guerra mondiale aveva caratterizzato il mondo industrializzato, sostenuta dallo sviluppo sempre più accelerato dei consumi di massa, nei primi anni Settanta subì una forte battuta d’arresto. La crisi fu aggravata nel 1973 dalla decisione dei paesi arabi produttori di petrolio, riuniti in un’associazione chiamata OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), di sospendere le forniture di petrolio greggio ai paesi occidentali. A una motivazione di carattere politico (punire l’appoggio americano ed europeo allo Stato d’Israele, con cui gli arabi erano in conflitto) si affiancò, in questa decisione, la volontà di mettere a frutto la posizione di forza

Aa Documenti La Cecoslovacchia comunista chiede libertà e democrazia Nel 1968, in Cecoslovacchia, il governo comunista di Alexander Dubcek tentò di avviare alcune riforme economiche e una liberalizzazione della vita politica. Il ten-

tativo fu violentemente represso dai sovietici, che invasero il paese con le truppe del Patto di Varsavia. Quali fossero le istanze di rinnovamento è indicato dal

P

rima della guerra il popolo aveva molta fiducia nel Partito comunista; poi l’ha gradualmente perduta, a causa della burocrazia. Questo partito, diretto in maniera sbagliata, si è trasformato in un’organizzazione di potere e di forza, in mano a un piccolo gruppo che l’esercitava su tutto il paese, da Praga fino ai più piccoli comuni. Questo piccolo gruppo decideva ciò che ogni persona poteva fare e non fare. Comandava sulle cooperative a nome dei membri delle cooperative, sulle fabbriche a nome degli operai delle fabbriche, su tutti gli organismi rappresentativi a nome dei cittadini. La colpa più grande e il grande inganno di questo gruppo di dominatori erano quelli di presentare le loro volontà come espressione della volontà di tutti i lavoratori. Dall’inizio di quest’anno, perciò, stiamo incominciando un vigoroso rinnovamento per una maggiore democrazia: questo rinnovamento è incominciato nel Partito comunista. da «Literarni Listy», 27 giugno 1968

Manifestazione in Cecoslovacchia, 1968 La popolazione manifesta contro lo stretto controllo dell’Unione Sovietica sul paese. Sullo striscione è scritto: «Mai più URSS».

329

seguente brano, tratto da un articolo del giornale «Literarni Listy» («Lettera delle duemila parole»).

330

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali La Parola

embargo L’embargo (dallo spagnolo embargar, ‘impedire’) è il blocco degli scambi commerciali che uno o più Stati stabiliscono nei confronti di un altro per motivi politici o economici.

in cui oggettivamente si trovavano i paesi dell’OPEC, dai quali dipendeva la maggior parte delle forniture mondiali di petrolio. L’embargo si configurava anche come una forma di rivendicazione economica da parte di paesi del “Terzo Mondo” nei confronti dei paesi industrializzati.

Lo “shock petrolifero” A iniziare dal 1973, dunque, i prezzi del petrolio crebbero vertiginosamente: da 1 dollaro al barile (una misura standard internazionale, corrispondente a 150 litri) si salì a 3, a 9, fino a 25 nel 1978 e a 36 dollari nel 1980, dopo la rivoluzione islamica in Iran (uno dei maggiori produttori di petrolio). Questo “shock petrolifero”, come fu chiamato, provocò in tutti i paesi industrializzati un’ondata di inflazione (diminuzione del valore del denaro) alla quale, dal 1974-75, si affiancò una grave depressione economica, durata fino al 1983. La “stagflazione” Una caratteristica singolare di questo periodo di crisi fu che, per la prima volta, essa combinò insieme due fenomeni – la stagnazione produttiva e l’inflazione monetaria – che secondo le passate esperienze e secondo il tradizionale pensiero economico erano incompatibili: solitamente, infatti, nei periodi di crisi e di recessione i prezzi delle merci tendono a calare (e di conseguenza è alto il valore della moneta) mentre nei periodi di sviluppo e di crescita i prezzi tendono ad aumentare (e di conseguenza è basso il valore della moneta). Per indicare la singolare coincidenza di stagnazione e inflazione negli anni 1973-83 gli economisti dovettero inventare un nuovo termine, “stagflazione”, che li riassumeva entrambi. La svalutazione del dollaro Tra le cause dell’inflazione vi fu anche un fenomeno strettamente monetario, ossia l’abbandono, a iniziare dal 1971, del sistema di Bretton Woods, istituito nel 1944, che affidava agli Stati Uniti un ruolo centrale nel mercato

Le fonti di energia nel mondo, 1973-93 [da A. Gauthier, L’economia mondiale dal 1945 ad oggi, Bologna 1998, p. 181]

I dati della tabella (in percentuale rispetto al consumo totale) testimoniano come, in seguito alla crisi petrolifera, il consumo di petrolio e di carbone si ridusse sensibilmente mentre aumentò la produzione di altre fonti di energia come il gas naturale e l’energia atomica.

L’evoluzione del prezzo del petrolio, 1973-94 Il grafico illustra l’andamento del prezzo del petrolio a partire dalla prima impennata del 1973, che, comunque, risulta più contenuta rispetto a quella verificatasi tra il 1979 e il 1980, quando la rivoluzione di Khomeini, la guerra tra Iraq e Iran e l’aumento della domanda determinarono un rialzo vertiginoso.

1973

1980

1993

Carbone

28

29

27,5

Petrolio

47,2

43,4

40

Gas

21

18,9

22,9

Elettricità prodotta da impianti idroelettrici e atomici

3,8

8,7

9,6

80 70 60 50 40 30 20 10 0 1973 1974

1976

1978

1980

1982

1984

1986

1988

1990

1992

1994

Capitolo 23 Nuove tensioni nel mondo Stati Uniti

Media

Regno Unito

Repubblica Federale Tedesca

Francia

Giappone

L’inflazione negli anni Settanta

Italia

[da A. De Bernardi e L. Ganapini, Storia d’Italia 1860-1995, Milano 1996, p. 195]

2,2

3,5

0,1

2,7

1,5

1,8

1971

3,4

4,8

4,7

2,4

8,9

3,4

1973

13,7

14,8

6,6

14,7

15,8

20,7

1975

8,6

9,3

4,7

5,7

3

8,6

1977

6,2

13,7

2,6

5,5

1,9

17,4

1979

12,3

22,1

4,8

13,4

7,2

15,5

1981

9,2

13,7

7,8

10,9

1,7

16,6

1962-69

mondiale, assumendo il dollaro come moneta “universale” il cui valore era equiparato a quello dell’oro, con cui poteva essere convertito in qualsiasi momento: su ciò si basava la stabilità dei cambi fra le varie monete [ 17.1]. Ma alla fine degli anni Sessanta tale sistema cominciò a vacillare, perché l’eccessiva circolazione di dollari in tutto il mondo, dovuta soprattutto alle colossali spese militari che gli Stati Uniti sostennero per la guerra del Viet Nam, spinse il governo americano – le cui riserve auree si erano estremamente assottigliate – a dichiarare il dollaro non più convertibile in oro. Da quel momento (1971) il dollaro fu svalutato e con esso le principali monete europee.

La disoccupazione La recessione economica e l’inflazione furono accentuate dall’impossibilità, per gli industriali, di tenere basso il costo della manodopera: la forza dei sindacati e la resistenza degli operai (mediante la consueta arma dello sciopero) riuscirono infatti per lungo tempo a difendere la capacità d’acquisto dei salari, innalzandoli a mano a mano che l’inflazione cresceva. Tale meccanismo in Italia fu chiamato “scala mobile”. Ciò del resto non impedì che la crisi della produzione industriale si traducesse in un ampio fenomeno di licenziamenti e di disoccupazione. Negli anni Ottanta la crisi economica fu superata grazie a una “terza rivoluzione industriale” [ 28.4] che modificò radicalmente le strutture produttive.

Effetti dello shock petrolifero in Italia e in Francia: i cittadini si organizzano con mezzi alternativi Per fronteggiare la crisi petrolifera i paesi europei ricorsero a vari stratagemmi. In Italia e in Francia si proibì di usare l’automobile nei giorni festivi (le “domeniche a piedi”).

331

Lo shock petrolifero provocò un aumento importante dei tassi d’inflazione in tutti i paesi industrializzati. L’Italia subì pesantemente la crisi, sfiorando picchi del 21,1% nel 1980; solo nel 1992 l’inflazione si sarebbe ridotta raggiungendo i livelli degli altri paesi europei (intorno al 2,5% annuo).

332

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

23.3 Neoliberismo e crisi dello Stato sociale La fine del Welfare State Il decennio di “stagflazione” (1973-83) provocò importanti cambiamenti anche sul piano politico, favorendo, negli anni Ottanta, l’affermarsi di forze e tendenze conservatrici, contrarie all’intervento dello Stato nella vita economica e alle dispendiose politiche sociali che nei decenni precedenti avevano accompagnato la crescita produttiva. Fino ad allora, dietro la spinta dei movimenti e dei partiti popolari, molti governi (in Inghilterra come in Francia, negli Stati Uniti come in Italia) avevano sostenuto il principio del Welfare State o ‘Stato del benessere’ [ 18.2], che si proponeva di tutelare il tenore di vita, il reddito, l’istruzione, la salute dei cittadini, utilizzando le risorse pubbliche per proteggere il potere d’acquisto dei salari e garantire un’efficiente rete di servizi assistenziali e previdenziali (scuole, trasporti, sanità, pensioni).

Manifesto per la campagna elettorale di Reagan L’ex attore Ronald Reagan è stato uno dei politici più popolari del recente passato. Le sue convinzioni politiche erano semplici quanto efficaci: rilancio di capitalismo e libero mercato, minimi interventi statali, un forte sistema di difesa nazionale anticomunista. «Lo Stato non è la soluzione ai nostri problemi, lo Stato è il problema»: queste le parole pronunciate dal neopresidente il 20 gennaio 1980, nel discorso di insediamento alla Casa Bianca.

Il neoliberismo Negli anni Ottanta, molti governi cominciarono a perseguire obiettivi opposti a quelli del Welfare State: “deregolamentare”, come si disse, la vita economica, ossia lasciarla alle pure leggi del mercato senza interventi o correzioni da parte dello Stato; limitare al minimo indispensabile la politica assistenziale e il modello del Welfare State. Tale politica fu detta “neoliberismo” perché riprendeva i princìpi di libertà economica teorizzati nel Settecento da Adam Smith [ vol. 2, 9.1] e propagandati nell’Ottocento per favorire la crescita industriale. Economie neoliberiste In tale direzione si mossero soprattutto l’Inghilterra, il cui governo fu presieduto a iniziare dal 1979 da Margaret Thatcher (1979-90) [ 24.4], e gli Stati Uniti, dove nel 1981 fu eletto presidente il repubblicano Ronald Reagan (1981-89). Ma anche in molti altri paesi vi fu in quegli anni una sterzata conservatrice: in Germania si affermarono i cristiano-democratici [ 24.2], in Italia si consolidarono le coalizioni di centro dopo che il Partito comunista, entrato per un breve periodo nell’area di governo, fu escluso dalla maggioranza [ 27.4]. La principale eccezione a queste tendenze si verificò in Francia, dove, nel 1980, le forze di sinistra conquistarono la maggioranza parlamentare e il socialista François Mitterrand fu eletto presidente [ 24.3].

23.4 Gli USA di Reagan: deregulation e politica di potenza I repubblicani al potere La diffusa contrarietà degli americani nei confronti del governo, a causa dell’intervento nel Viet Nam e dell’infelice esito della guerra, portò alla sconfitta del Partito democratico – sotto la cui guida la guerra era stata combattuta – e al successo dei repubblicani, che a iniziare dal 1968 diventarono padroni della scena politica. Per due volte consecutive (1968 e 1972) fu eletto presidente Richard Nixon, che si dimise nel 1974 (unico caso nella storia americana) in seguito allo scandalo Watergate scoppiato quando si scoprì che membri del Partito democratico erano stati spiati dai servizi segreti durante le elezioni, con l’assenso del presidente. Dopo le dimissioni egli fu sostituito da Gerald Ford (1974-76). Il democratico Jimmy Carter riuscì a vincere le elezioni del 1976 ma nel 1980 di nuovo trionfarono i repubblicani con Ronald Reagan, i cui otto anni di presidenza (fu infatti riconfermato nel 1984) segnarono l’affermarsi, in America e nel mondo, della “deregolamentazione” (deregulation) economica e politica. La deregulation Lo smantellamento dei programmi di assistenza sociale voluti e attuati da Kennedy e Johnson [ 20.3] colpirono i ceti più deboli e allargarono il divario tra ricchi e poveri; soprattutto il sistema sanitario nazionale ne risentì, lasciando attive solo coperture marginali e delegando la maggior parte dell’assistenza medica alle assicurazioni private.

Capitolo 23 Nuove tensioni nel mondo Il riarmo Sotto la presidenza Reagan gli Stati Uniti modificarono radicalmente anche la politica estera, avviando un piano di potenziamento militare tecnologicamente sofisticato. Si aprì l’ultima stagione della guerra fredda, in un clima di tensione e di corsa agli armamenti che gli sforzi di pace internazionali non riuscirono a fermare. Per rispondere al rafforzamento militare e aerospaziale dell’URSS Reagan varò un ambizioso progetto di “scudo spaziale”, un sistema di protezione satellitare che avrebbe dovuto difendere gli Stati Uniti da un eventuale attacco missilistico dell’URSS, l’«impero del male», come lo definì Reagan. Nell’impresa, che venne poi parzialmente abbandonata, furono profusi miliardi di dollari. La politica di potenza La nuova politica di potenza degli Stati Uniti si esplicò anche nell’America Latina, con pesanti interventi militari, politici ed economici volti a sostenere le forze “amiche” e a bloccare ogni tentativo di cambiamento che sembrasse portare al governo forze ostili agli USA, o comunque difficili da controllare. Già nel 1973, al tempo di Nixon, i servizi segreti americani avevano contribuito a organizzare un sanguinoso colpo di Stato militare in Cile, per abbattere il governo socialista di Salvador Allende (1970-73), “colpevole” di avere avviato la nazionalizzazione dell’industria del rame, controllata da compagnie statunitensi [ 21.8]. Altri interventi furono fatti in Nicaragua, dove gli Stati Uniti fomentarono l’azione dei guerriglieri contro il governo di Daniel Ortega, affermatosi nel 1979 [ 21.8]. A Grenada, una piccola isola dei Caraibi, l’intervento americano abbatté nel 1986 il governo popolare che si era da poco instaurato. Da Bush a Clinton I repubblicani vinsero ancora nel 1988, portando alla presidenza George H.W. Bush (1989-93), già collaboratore di Reagan, che continuò la politica di potenza del predecessore. Nel 1989 intervenne a Panama per una questione riguardante il canale, occupò il paese e destituì il capo del governo, Manuel Noriega (1983-89, in origine sostenuto dagli USA); nel 1990-91, durante la guerra del Golfo [ 22.8], attaccò l’Iraq di Saddam Hussein (in precedenza il governo statunitense aveva appoggiato il dittatore iracheno nella sua guerra contro la Repubblica islamica di Khomeini). Solo nel 1992 si verificò un’inversione di tendenza, con il successo del democratico Bill Clinton (1994-2000): egli fu eletto presidente sulla base di un programma che, rifiutando gli eccessi del “reaganismo”, ripropose, con alcuni aggiornamenti, i temi classici della politica sociale e della tutela dei ceti sociali più deboli.

George H.W. Bush, 1991 Durante la Conferenza della NATO tenutasi a Roma nel 1991, Bush sancì il ruolo egemonico degli Stati Uniti nel mondo, continuando la politica di potenza di Reagan.

333

334

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

23.5 L’URSS di Breznev: militarismo e arretratezza economica L’ascesa di Breznev Nikita Kruscev, il principale artefice della “coesistenza pacifica” fra USA e URSS [ 20], fu deposto nel 1964 da una congiura politico-militare di stampo conservatore, volta a bloccare il processo di liberalizzazione che Kruscev pareva voler introdurre nello Stato sovietico, portando alle estreme conseguenze la “destalinizzazione” ossia il rifiuto del carattere autoritario e dispotico che Stalin aveva dato al governo dell’URSS, consegnandolo totalmente al controllo dal Partito comunista. La congiura portò al governo Leonid Breznev (1964-82), la cui lunghissima permanenza al potere, come segretario del partito e capo dello Stato, si basò sulla stretta alleanza fra ceto politico, forze armate e apparato industriale.

I modi della storia

Star Wars

“Guerre stellari” (Star Wars): così fu ironicamente definito – con riferimento a una saga di film di fantascienza che all’epoca ebbe molto successo – il programma di difesa militare proposto dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan nel 1983. Il nome ufficiale del programma era Strategic Defense Initiative, ‘Iniziativa di difesa strategica’ (SDI) e in Italia fu conosciuto come “scudo spaziale”. Esso prevedeva di utilizzare sistemi di rilevamento e di armamento con base sia a terra, sia nello spazio, per proteggere gli Stati Uniti da eventuali attacchi missilistici con testate nucleari. Per i suoi costi iperbolici l’operazione fu da molti ritenuta velleitaria, degna di un film di fantascienza (Star Wars, appunto) più che di un ragionevole programma politico. Non mancarono però gli entusiasti che commentarono: «La fantascienza di ieri è l’ingegneria di domani». Il progetto SDI, che fu attuato solo in minima parte – praticamente solo nella fase iniziale degli studi di fattibilità – e poi abbandonato, fu l’espressione più spettacolare della politica di potenza perseguita in quegli anni dagli Stati Uniti e parallelamente (ma con risorse e mezzi infinitamente più modesti) dall’Unione Sovietica. Negli anni precedenti la corsa al riarmo si era concentrata sui missili con testate nucleari, ossia dotati di bombe atomiche da far esplodere a migliaia di chilometri di distanza. Nel 1977 l’Unione Sovietica aveva programmato l’ammodernamento del proprio arsenale missilistico, con la sostituzione dei vecchi Ss4 e Ss5 con i più moderni Ss20, dotati di tre testate nucleari ciascuno. Per tutta risposta, due anni dopo la NATO deliberò di installare nello scacchiere europeo centinaia di missili

Cruise e Pershing 2, con una capacità di gittata compresa fra i 1000 e i 5000 km. Questi euromissili, come vennero detti, furono alloggiati in basi militari situate in Gran Bretagna, Italia e Germania Occidentale. La loro installazione fu avviata nel 1983, tra le proteste dei movimenti pacifisti europei e con una dura reazione dei sovietici, che abbandonarono per protesta i negoziati in corso a Ginevra sulla riduzione degli armamenti. La tensione fra USA e URSS in quegli anni sembrò mettere in discussione la politica della “coesistenza pacifica” attuata a iniziare dagli anni Sessanta. Poi le due potenze si accordarono per una riduzione progressiva degli armamenti, impegnandosi a distruggere una parte considerevole delle testate nucleari installate in Europa. Anche il progetto SDI, che aveva accompagnato il crescere della tensione, fu abbandonato, anche perché pochi anni dopo l’Unione

Esercitazione di lancio di un missile Pershing 2 [© Grazia Neri]

Sovietica entrò in una crisi politica profonda, che portò al rapido dissolvimento del suo impero. Secondo alcuni analisti, la debolezza dell’economia sovietica e la difficoltà dell’URSS di tenere il passo con la dispendiosa politica di armamenti americana furono elementi decisivi nel condurre gli eventi in questa direzione: i sostenitori dello SDI, pur riconoscendo la sua effettiva impraticabilità, affermarono che la competizione militare fra USA e URSS, o “strategia del surclassamento tecnologico”, contribuì ad accelerare la caduta dell’Unione Sovietica.

Capitolo 23 Nuove tensioni nel mondo Burocrazia, esercito, industria La burocrazia del partito, sempre più chiusa in sé stessa per difendere gelosamente i propri privilegi, controllava ogni aspetto della vita politica, sociale ed economica; le altre posizioni-chiave erano occupate dall’esercito, a sua volta strettamente collegato al mondo dell’industria, in massima parte orientata verso la produzione8 di armamenti: da sola, l’industria pesante giunse a coprire oltre il 75% della produzione totale del pae-6 se. Anche la ricerca scientifica e tecnologica – a differenza di quanto accadeva nel mondo occidentale 4 – si esauriva quasi tutta nell’ambito militare, senza allargarsi al campo civile e agli usi quotidiani. I beni 2 di consumo a disposizione della popolazione erano pochissimi, il tenore di vita estremamente basso.

335

L’economia dell’Unione Sovietica dal 1966 al 1985

8

(dati in percentuale)

6

Reddito nazionale Produzione industriale

4

Produzione agricola Reddito nazionale

2

Produzione industriale

0 1966-70

1971-75

1976-80

1981-85

Produzione agricola

0

Povertà e indebitamento A ciò si aggiungeva l’arretratezza del sistema 1966-70 1971-75 1976-80 agrario, 1981-85 scarsamente produttivo e diretto anch’esso, secondo la tradizione instaurata da Stalin, dalla burocrazia centrale dello Stato, al di fuori delle leggi di mercato. Vere e proprie carestie – un fenomeno ormai sconosciuto nei paesi del mondo industrializzato – colpivano periodicamente l’Unione Sovietica, costringendola, per sopravvivere, a importare grano dall’estero, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Canada. Da ciò derivava il forte indebitamento del paese, pari a quello dei paesi più poveri del mondo. L’occupazione dell’Afghanistan Nonostante le difficoltà dell’economia, l’Unione Sovietica proseguiva la sua politica militarmente aggressiva: le industrie continuavano a fabbricare cannoni e carri armati; batterie di missili intercontinentali venivano piazzati in direzione dell’Europa Occidentale e degli Stati Uniti. Nel dicembre 1979 fu occupato l’Afghanistan, dove un’insurrezione a sfondo politico-religioso, sostenuta dalle autorità islamiche, era scoppiata contro il governo comunista instaurato l’anno precedente con un colpo di Stato. Le truppe dell’URSS intervennero e imposero un governo filosovietico, ma ciò provocò un’insurrezione delle forze nazionali, ben presto trasformatasi in una logorante guerriglia, che sembrò far rivivere – mutati i protagonisti – le sorti degli americani in Viet Nam. Le forze sovietiche, intrappolate fra le aride montagne del paese, dopo anni di scontri snervanti abbandonarono progressivamente l’impresa fino al definitivo ritiro nel 1988. Occupazione dell’Afghanistan, 1979 L’impegno dell’URSS in Afghanistan si dimostrò ben presto tutt’altro che momentaneo e si concluse con una sonora disfatta e il conseguente ritiro dalla regione afgana.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

Sintesi

Nuove tensioni nel mondo

Il Sessantotto negli Stati Uniti e in Europa Nel 1968 esplose una forte conflittualità sociale. Interessò anzitutto il mondo studentesco. Gli studenti universitari, il cui numero era cresciuto, misero in discussione metodi di insegnamento e gerarchie, rivendicando maggiore uguaglianza e libertà nell’accesso allo studio e nei programmi. Negli Stati Uniti, dai temi scolastici le proteste si estesero alla libertà sessuale, ai diritti civili, al pacifismo, contestando la guerra in Viet Nam. In Europa il movimento studentesco, collegato col marxismo, divenne una rivolta contro capitalismo e consumismo, coinvolgendo anche i lavoratori e le classi operaie, soprattutto in Francia e in Italia. I punti di riferimento della protesta furono il pensiero del filosofo Marcuse, che teorizzava un’umanità senza condizionamenti economici e politici, le critiche alla guerra in Viet Nam, la rivoluzione culturale cinese come modello per la costruzione di una nuova società. In Cecoslovacchia, il governo comunista di Dubcek tentò di introdurre libertà e democrazia, subito stroncato dall’intervento militare dell’URSS, che, cancellando le riforme, si attirò le critiche anche di molti partiti comunisti europei e di Stati comunisti come Cina e Jugoslavia. La crisi petrolifera e la recessione economica (1973-83) All’inizio degli anni Settanta si ebbe l’arresto della crescita economica, che si aggravò dal 1973, quando i paesi produttori di petrolio, riuniti nell’OPEC, decisero la sospensione della fornitura di greggio ai paesi occidentali. Tale decisione si basava su motivi politici, la guerra contro Israele sostenuta dai paesi occidentali, ma anche sulla consapevolezza della posizione di

forza dei paesi OPEC rispetto a quelli occidentali. La crescita dei prezzi del petrolio innescò una crisi economica che fu aggravata dalla fine del sistema monetario di Bretton Woods, che equiparava il valore del dollaro all’oro: fu decisa la non convertibilità in oro del dollaro, che si svalutò assieme alle monete europee. Inoltre il costo della manodopera rimaneva alto, in quanto sindacati e operai riuscirono a difendere la capacità di acquisto dei salari, che crescevano parallelamente all’aumento dell’inflazione (meccanismo della scala mobile), anche se ciò non impedì l’aumento della disoccupazione e dei licenziamenti. Neoliberismo e crisi dello Stato sociale Sul piano politico, nel decennio 1973-83 si affermarono tendenze conservatrici, contrarie all’intervento statale nell’economia e alle politiche sociali; il sistema del Welfare State entrò in crisi. Gran parte dei governi degli anni Ottanta mirò alla “deregolamentazione” dell’economia, che andava lasciata alle sole leggi del mercato, eliminando gli interventi statali e riducendo l’assistenzialismo. Questa linea politica fu chiamata neoliberismo e si affermò in Inghilterra e negli USA, ma anche in Germania e Italia. Solo in Francia si ebbe una tendenza diversa, con il successo dei socialisti di Mitterrand nel 1980. Gli USA di Reagan: deregulation e politica di potenza A partire dal 1968 negli USA si ebbero diversi governi repubblicani, prima con Nixon, eletto due volte e dimessosi nel 1974 dopo lo scandalo Watergate e in seguito con Ronald Reagan (1981-89). Con Reagan si affermò la deregulation in economia. Furono smantellati i pro-

grammi di assistenza sociale e crebbe il divario tra ricchi e poveri. In politica estera Reagan perseguì il potenziamento militare, che portò alla crescita delle tensioni internazionali e alla ripresa della corsa agli armamenti. Inoltre gli USA intervennero spesso in America Latina (Cile, Nicaragua, Grenada) per evitare che si affermassero forze a loro ostili. Nel 1988 fu eletto presidente George Bush, che intervenne a Panama rovesciando il governo e attaccò l’Iraq di Saddam Hussein nel 1990. Nel 1992 divenne presidente Bill Clinton, che attuò un programma di politica sociale e di tutela dei ceti più deboli. L’URSS di Breznev: militarismo e arretratezza economica Nel 1964 in URSS un colpo di Stato conservatore depose Kruscev, che aveva attuato una politica di coesistenza pacifica con gli USA e un processo di liberalizzazione dello Stato. Al suo posto si insediò al governo Breznev, sostenuto dalle forze principali dell’URSS: l’apparato burocratico del partito, l’esercito, l’industria, la cui attività prevalente era la produzione di armamenti. L’agricoltura, gestita dallo Stato, era arretrata e scarsamente produttiva: le carestie erano frequenti e le importazioni di grano dal Canada e dagli USA avevano aumentato i debiti statali. Il tenore di vita della popolazione era basso. La politica estera di Breznev fu aggressiva e portò sia all’aumento degli armamenti e all’installazione di missili intercontinentali verso USA ed Europa, sia all’invasione dell’Afghanistan nel 1979, dove fu imposto un governo filosovietico a cui si opposero le forze nazionali e religiose tramite prolungate azioni di guerriglia. Nel 1988 l’URSS si ritirò definitivamente dall’Afghanistan, sconfitta.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Il movimento studentesco del 1968 negli Stati Uniti affrontò soprattutto temi di natura scolastica.

V

F

b. La repressione sovietica della protesta cecoslovacca suscitò la condanna di molti partiti comunisti occidentali.

V

F

c. In Europa la contestazione studentesca si rivolse contro l’intera società capitalista.

V

F

d. Dagli anni Ottanta si sviluppò la tendenza al limitare al minimo la politica assistenziale.

V

F

e. L’URSS era costretta a importare grano, soprattutto dagli USA e dal Canada.

V

F

f. Il potere di Breznev poggiò sull’alleanza tra militari, ceto politico e apparato industriale.

V

F

Capitolo 23 Nuove tensioni nel mondo

g. La crisi economica iniziata nel 1973 combinò per la prima volta la stagnazione produttiva e l’inflazione monetaria.

o. Il sistema di Bretton Woods equiparava il valore del dollaro a quello dell’oro.

V

V

F

h. Herbert Marcuse delineava un’umanità dipendente dai condizionamenti politici ed economici.

p. L’idea di un “socialismo dal volto umano” fu avviata da Leonid Breznev.

V

F

V

F

q. Il pacifismo radicale dei gruppi giovanili americani escluse il ricorso a forme di violenza.

V

F

i. L’invasione sovietica dell’Afghanistan si trasformò in una guerriglia logorante fino al definitivo ritiro.

V

F

r. I governi di Ronald Reagan segnarono l’affermazione della deregulation economica e politica.

l. Lo scandalo Watergate svelò che membri del Partito democratico erano stati spiati dai servizi segreti.

V

F

V

F

s. Bill Clinton continuò la politica di potenza del predecessore Ronald Reagan.

V

F

m. Lo “scudo spaziale” avrebbe dovuto difendere gli USA da un attacco missilistico dell’URSS.

V

F

t. Il meccanismo della “scala mobile” impedì che la crisi produttiva aumentasse la disoccupazione.

n. Il neoliberismo fu promosso dai governi della Thatcher in Gran Bretagna e di Carter in USA.

V

F

V

F

u. La gran parte delle forniture mondiali di petrolio proveniva dai paesi dell’OPEC.

V

F

F

2. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1964

1968

1973

1974

1976

1979

1. sospensione delle forniture di petrolio greggio ai paesi occidentali da parte dell’OPEC 2. riconferma di Ronald Reagan alla presidenza degli USA 3. vittoria di George Bush nelle elezioni presidenziali degli USA 4. dimissioni di Richard Nixon 5. primavera di Praga

1980

6. 7. 8. 9. 10. 11.

1984

1988

1989

1992

elezione in Francia di François Mitterrand Leonid Breznev assume il potere nell’URSS vittoria di Bill Clinton nelle elezioni presidenziali degli USA occupazione sovietica dell’Afghanistan intervento degli Stati Uniti a Panama Jimmy Carter vince le elezioni presidenziali negli USA

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. deregolamentazione • destabilizzazione • embargo • inflazione • movimento • hippies • neoliberismo • rock • scala mobile • scudo spaziale • stagflazione • welfare Sistema di protezione satellitare contro un attacco missilistico Politica economica volta a limitare interventi o correzioni da parte dello Stato Blocco degli scambi commerciali stabiliti da uno o più Stati verso un altro Stato Piano di sicurezza sociale per proteggere il cittadino in ogni momento della vita Gruppo che condivide princìpi politici e che agisce in modo da affermarli Genere musicale nato negli anni Sessanta in cui il ritmo è prevalente sulla melodia Coincidenza di stagnazione e inflazione Diminuzione del valore del denaro Innalzamento dei salari coerente con la crescita dell’inflazione Movimento nato negli USA caratterizzato da un pacifismo radicale Rifiuto del carattere autoritario e dispotico del governo dell’URSS

337

338

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

4. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Alexander Dubcek

deregulation

Nikita Kruscev

capo del governo di Panama

Daniel Ortega

governo del Nicaragua

François Mitterrand

destalinizzazione

Leonid Breznev

contestazione del 1968

Margaret Thatcher

Watergate

George Bush

intervento degli USA a Panama

Herbert Marcuse

libertà economica

Adam Smith

invasione sovietica dell’Afghanistan

Manuel Noriega

primavera di Praga

Ronald Reagan

neoliberismo

Richard Nixon

Partito socialista francese

Salvador Allende

nazionalizzazione dell’industria del rame

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. anni Cinquanta • anni Settanta • anni Ottanta • assenza • assistenziale • cittadini • crescita • industriale • intervento • istruzione • leggi • limiti • mercato • potere • previdenziali • pubblica • salari • servizi • sostegno • spesa • Stato • tutela

CONCEZIONI ECONOMICHE A CONFRONTO WELFARE STATE

NEOLIBERISMO

IL PERIODO

.......................................................... e ..........................................................

Dagli ............................................................................................................

dello .................................................

I PRINCÌPI

in economia

• Deregolamentazione • ...................................................... di ........................................................ dello ................................................................................. in economia

• .................................. : ..................................... al ................................... d’acquisto dei ......................................................................................... • .................................................................................... assistenziali e

• ................................................ alla .......................................................... e alla politica .......................................................................................... • Economia regolata dalle .............................................................. del ................................................................................................................

..........................................................

LE MISURE

........................................................................................................................

LO SCOPO

• ............................................................................... del tenore di vita • Reddito • .................................................................................................................... • Salute dei .............................................................................................

Favorire la ................................................................................................ ........................................................................................................................

Capitolo 23 Nuove tensioni nel mondo

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzò la crisi economica innescatasi a partire dal 1973? 2. Quale fenomeno si verificò? Per quale motivo fu considerato una novità?

3. Quali furono le principali cause della crisi economica? 4. Quali furono le principali conseguenze della crisi economica?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale. LE CAUSE ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... .....................................................................................................................................................................................

LA CRISI ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... .....................................................................................................................................................................................

LE CONSEGUENZE ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... .....................................................................................................................................................................................

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. In che periodò governò Breznev? In che modo assunse il potere? Da chi era sostenuto? 2. Quali furono gli elementi che caratterizzarono la sua politica? Quali decisioni politiche furono da lui prese in politica interna e in politica estera?

3. In che periodo governò Reagan? Quali princìpi ispirarono la sua politica economica? Quali decisioni politiche furono da lui prese in politica interna e in politica estera?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella. BREZNEV

REAGAN

QUANDO

...........................................................................................................

...........................................................................................................

IL PROGETTO POLITICO

...........................................................................................................

...........................................................................................................

POLITICA INTERNA

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POLITICA ESTERA

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340

Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

8. Rispondi alle seguenti domande. 3. In che modo il movimento si sviluppò in Europa? Con quali novità? A che cosa si ispirò? 4. Che cosa accadde nel 1968 in Cecoslovacchia? Per quali cause? Con quale esito? Con quali conseguenze?

1. Per quale motivo il 1968 fu un anno particolarmente significativo? Che cosa accadde? Per quali motivi? Quali rivendicazioni caratterizzarono i movimenti? Di che cosa erano segno? 2. Dove nacque il movimento del 1968? Per quale motivo? Con quali caratteristiche?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

IL 1968 STATI UNITI ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

1968 ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... .....................................................................................

CECOSLOVACCHIA

EUROPA

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

.....................................................................................

9. Leggi il documento “La Cecoslovacchia comunista chiede li-

bertà e democrazia” a p. 329 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa contiene il documento? 2. In che modo la fiducia del popolo cecoslovacco verso il Partito comunista è cambiata? Perché? 3. In che cosa si è trasformato il partito? Che cosa caratterizza il suo potere? 4. Quale è il grande inganno operato dal partito? Ai danni di chi? Con quali conseguenze?

5. Quali forme di rinnovamento si svilupparono? Esse furono interne o esterne al partito? 6. Chi era Alexander Dubcek? Che cosa caratterizzò la sua politica? Quale era il suo scopo? 7. Come terminò il progetto politico di Dubcek? Quali furono le conseguenze di tale evento? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dal precedente esercizio, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “La primavera di Praga”.

La discussione storiografica

Decolonizzazione e “occidentalismo” delle ex colonie L

a decolonizzazione, ossia la fine del colonialismo, è uno dei fenomeni storici più significativi del XX secolo: secondo alcuni studiosi, il più importante in assoluto. Lo storico britannico Geoffrey Barraclough (1908-1984), per esempio, non esita a considerarlo l’evento determinante dell’età contemporanea, ben più di fenomeni apparentemente più eclatanti come le guerre mondiali o la dittatura nazista in Europa. A tale valutazione Barraclough perviene con il vantaggio, per così dire, di una prospettiva “esterna”, data la sua formazione di storico del Medioevo, abituato a considerare la storia nei suoi tempi lunghi. Fine del colonialismo non significa però – non necessariamente, almeno – fine dei rapporti tra i paesi europei e le ex colonie. In molti casi i rapporti sono rimasti stretti sul piano politico e intensi sul piano economico: tipico il caso delle colonie ex britanniche, molte delle quali entrate a far parte del Commonwealth, organismo di Stati sovrani tra i quali esiste una reciproca cooperazione. Ma al di là dei rapporti, è l’identità stessa degli Stati ex coloniali a rimanere profondamente legata a modelli politici e culturali assimilati durante la soggezione coloniale. Il caso dell’India è esemplare: il colonialismo britannico ha sfruttato e, per molti versi, impoverito il continente indiano, in particolare soffocando l’industria tessile locale per potenziare quella inglese. Per altri versi esso ha lasciato un’eredità importante, un patrimonio di saperi e di infrastrutture che, a distanza di tempo, gli indiani stessi stanno mettendo a frutto: basti pensare alla rete ferroviaria, che, costruita per favorire la penetrazione coloniale, co-

stituisce una formidabile risorsa di cui altri paesi sono privi; la stessa diffusione della lingua inglese, se avvenne per decenni in maniera forzata, rappresenta oggi uno straordinario punto di forza degli indiani nelle relazioni internazionali. Ma c’è un’eredità ancora più importante e profonda: gli inglesi, pionieri in Europa del liberalismo parlamentare, hanno costruito in India un sostrato politico che fa oggi di questo paese, come si ama ripetere, “la più grande democrazia del mondo”. Questo fu sottolineato, per esempio, dallo storico olandese Jan Romein in un libro intitolato Il secolo dell’Asia (Torino, Einaudi, 1970), che metteva a confronto il modello politico indiano, mutuato dal parlamentarismo

inglese, e quello cinese, dove la dittatura comunista pare in qualche modo avere ereditato la millenaria tradizione autoritaria dell’Impero. I rapporti con il passato coloniale conservano anche caratteri negativi, soprattutto quando l’economia di certi paesi, controllata da aziende multinazionali, continua a essere orientata verso i mercati mondiali e i profitti industriali, piuttosto che a risolvere i problemi delle comunità locali e a migliorarne le condizioni di vita. Ciò è accaduto, e accade tuttora in diversi paesi dell’America Latina, lungamente soggetti al controllo economico dell’industria statunitense anche dopo aver conquistato (fin dal XIX secolo) l’indi-

La stazione ferroviaria di Bombay, inizio del XX sec. La rivoluzione dei trasporti fu tra le decisive innovazioni tecnologiche che risultarono dall’affermazione dell’imperialismo europeo. La stazione ferroviaria di Bombay, il Victoria Terminus, fu costruita dagli inglesi nell’Ottocento e servì a dare impulso alla modernizzazione dell’India. Inoltre, grazie alla sua eclettica e monumentale architettura, si impose quale simbolo della potenza inglese in India.

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Modulo 6 Colonialismo al tramonto e nuovi equilibri mondiali

pendenza politica. È la “teoria della dipendenza” espressa dall’economista e sociologo tedesco Andrè Gunder Frank (1929-2005) nel lavoro Capitalismo e sottosviluppo in America latina, pubblicato in Italia nel 1969 (Torino, Einaudi). Oppure, è la stessa conformazione politica dei nuovi Stati liberi a essere pesantemente condizionata dal passato: come fanno osservare gli specialisti di storia dell’Africa, per esempio Gian Paolo Calchi Novati (autore di Decolonizzazione e Terzo Mondo, Roma-Bari, Laterza, 1979), lo stravolgimento degli assetti originari del mondo africano (spartito nel corso dell’Ottocento fra

le potenze europee, tracciando a tavolino confini che non tenevano in alcun conto le reali identità e differenze tra le popolazioni autoctone) si è fedelmente riprodotto nel modo con cui i nuovi Stati indipendenti hanno realizzato la propria libertà. Gli organismi politici usciti dal processo di decolonizzazione ricalcano esattamente i confini degli Stati coloniali, perpetuando una situazione artificiosa che spesso crea tensioni e conflitti interni ai singoli Stati o fra Stati confinanti. Le stesse ideologie che animano i movimenti politici anticolonialisti e anti-occidentali sono il prodotto del pensiero occidentale, dei modelli politici e ideologici costruiti

dal pensiero europeo: «l’Occidente fu combattuto con idee nate in Europa», hanno scritto Ian Buruma (1951) e Avishai Margalit (1939), il primo olandese, il secondo israeliano, autori del libro Occidentalismo. L’Occidente agli occhi del suoi nemici (2004). Dove il termine “occidentalismo”, coniato sulla falsariga di “orientalismo” (una corrente artistica, divenuta poi una vera e propria “moda”, che nell’Europa dell’Ottocento si ispirava alla cultura orientale), implica un rapporto ambiguo, al tempo stesso di differenza, di estraneità, di ostilità, ma anche di forte fascino e suggestione che l’Occidente esercita sui paesi ex coloniali.

dio sull’Africa di Gian Paolo Calchi Novati e di Pierluigi Valsecchi, insiste invece sul fatto che la geografia politica di quel continente, nonostante il processo di liberazione, è rimasta strutturalmente segnata dal suo passato coloniale, con esiti ambivalenti: la sovrapposizione dell’entità “Stato”

(importata dai colonizzatori) all’entità “nazione” (più legata alle tradizioni locali) da un lato ha significato la rottura con queste tradizioni, dall’altro ha funzionato egregiamente sulla stabilità politica, pur fra molte contraddizioni.

I testi Proponiamo qui un brano di Geoffrey Barraclough, che individua il fenomeno della decolonizzazione come elemento qualificante della storia del mondo nell’età contemporanea, valutandolo e definendolo, nell’insieme, come una «rivolta contro l’Occidente». Il brano successivo, tratto da uno stu-

Una rivolta contro l’Occidente Geoffrey Barraclough

«Il problema del XX secolo – disse nel 1900 William E. Burghardt Du Bois, famoso leader dei neri americani – è il problema del colore della pelle, i rapporti delle razze scure con le chiare in Asia e in Africa, in America e nelle isole». Era una profezia notevole. La storia del secolo attuale1 è contraddistinta contemporaneamente dall’influenza dell’Occidente in Asia e in Africa e dalla rivolta dell’Asia e dell’Africa contro l’Occidente. L’influenza era, prima di tutto, conseguenza della scienza e dell’industria dell’Occidente che, dopo avere trasformato la società occidentale, cominciarono a suscitare sempre più rapidamente gli stessi effetti distruttivi e costruttivi sulle società di altri continenti; la rivolta fu la reazione all’imperialismo che raggiunse il suo culmine negli ultimi venticinque anni del XIX secolo. All’inizio del XX secolo in Asia e in Africa la potenza dell’Europa era al culmine; sembrava che nessuna nazione potesse resistere alla superiorità delle armi e del commercio europeo. Sessanta anni dopo, della dominazione europea rima-

nevano solo le vestigia. Fra il 1945 e il 1960 si rivoltarono al colonialismo e conquistarono l’indipendenza non meno di quaranta paesi, con una popolazione di 800 milioni, più di un quarto della popolazione mondiale. Non era successo mai, durante tutta la storia dell’umanità, un rovesciamento così rivoluzionario in un tempo così breve. Questo cambiamento di posizione dei popoli asiatici e africani nei confronti dell’Europa fu il sintomo più sicuro del sorgere di una nuova era, e quando la storia della prima metà del XX secolo – che, per la maggior parte degli storici, è tuttora dominata dalle guerre europee e dai problemi europei, dal fascismo e dal nazionalsocialismo, da Mussolini, Hitler e Stalin – verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l’Occidente. È vero, senza dubbio, che l’emancipazione dell’Asia e dell’Africa andò di pari passo con il progredire della crisi 1 Il Novecento: l’autore scrive nel 1964.

La discussione storiografica Decolonizzazione e “occidentalismo“ delle ex colonie

europea. Tra i fattori che facilitarono il sorgere di movimenti d’indipendenza in Asia e in Africa dobbiamo includere l’indebolito controllo delle potenze europee, come conseguenza soprattutto delle loro discordie e rivalità, oltre allo spreco di risorse che provocarono le loro guerre. A partire dalla prima guerra mondiale, i movimenti nazionalistici incipienti del mondo extra-europeo trassero considerevoli vantaggi dalle rivalità coloniali delle potenze europee, e il collasso improvviso degli imperi europei dopo il 1947 fu in gran parte conseguenza di pressioni esterne e dell’influenza esercitata dalla politica mondiale.

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In Asia né gli inglesi, né i francesi, né gli olandesi poterono mai riaversi dai colpi inflitti loro dai giapponesi tra il 1941 e il 1945; mentre in Africa e nel Medio Oriente furono arrestati e costretti a ritirarsi dalle pressioni degli Stati Uniti – sia con azione diretta sia mediante quella dell’ONU – i quali oltre a essere fortemente anti-colonialisti per tradizione, non volevano starsene in disparte, lasciando che il colonialismo trascinasse asiatici e africani nelle braccia dell’Unione Sovietica. G. Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Roma-Bari 1989, p. 157

Stati e nazioni nell’Africa indipendente Gian Paolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi Fra i continenti oggetto dell’espansione europea […] l’Africa ha subìto l’impatto più marcato sul piano della politica e della statualità. Con la decolonizzazione non è ricominciata la storia […]. Per questo anche storici tutt’altro che apologetici nei confronti del colonialismo gli hanno attribuito comunque una funzione oggettiva di nation-building1, al di là dell’effettiva riuscita dell’operazione. Nell’Africa a sud del Sahara l’autodeterminazione, invece di sanzionare il diritto all’indipendenza di aggregati umani omogenei a prescindere dalla dislocazione geografica, si è imposta in modo da riconoscere il diritto all’indipendenza dei territori definiti dalla politica coloniale, senza tenere in conto la nazionalità e la composizione etnica. La politica ufficiale – e spesso anche la contro-politica delle opposizioni – restò compressa nello “spazio” in cui si era realizzato il colonialismo, accettando i confini della spartizione. […] Stando alle categorie impiegate e al suo linguaggio, l’ideologia dell’indipendenza si è richiamata solo in minima parte al passato precoloniale, alla “lunga durata” della storia dell’Africa. Praticamente nessuno dei più importanti leaders africani che hanno negoziato o guerreggiato con le potenze coloniali ha creduto di intonare il programma del nazionalismo anticoloniale a istanze ricavate da esperienze e memorie storiche ancora operanti solo pochi decenni prima, oppure a peculiarità nazionali di tipo etnicistico o culturale. Alla testa del nazionalismo africano c’erano gli eredi del gruppo sociale che era stato più fermamente prooccidentale e meno tenero verso la tradizione. […] Pur lottando contro il potere coloniale, l’élite non aveva interesse ad abbattere del tutto il mondo del colonialismo, perché la richiesta dell’indipendenza partiva dalla situazione coloniale e da un ceto dirigente che conosceva solo quell’esperienza e si era formato in essa. […]

Lord Halley nel suo African Survey, un “classico” fra gli studi sull’Africa, identifica l’africanismo con il nazionalismo quale ideologia per battere il colonialismo e trasformare le colonie in Stati-nazione. L’africanismo può essere rappresentato appunto come una medaglia a due facce: da un lato lo Stato, dall’altro la nazione. Per come è avvenuta l’emancipazione dell’Africa, non solo lo Stato ha la precedenza sulla nazione, ma lo Stato si articola attorno alle formule istituzionali dell’Occidente. […] Lo Stato africano indipendente è un insieme complesso. In esso convivono motivi, codici e modi di produzione che in parte sono di derivazione europea e in parte riflettono la storicità africana. La cultura originale subisce mutazioni per effetto delle contaminazioni dello sviluppo e della modernizzazione, ma riappare di continuo in istituti consuetudinari o nei revivalismi etnici. […] Lo Stato postcoloniale in Africa è [tuttavia] strutturato in modo da escludere verosimilmente un recupero dell’organizzazione precoloniale con le sue forme di socialità. Dopo tutto, quantunque il panorama geopolitico dell’Africa sia arbitrario, gli Stati della decolonizzazione hanno dato una prova di durata insospettabile di fronte a difficoltà strutturali spesso disperanti e nell’insieme la diplomazia africana ha compiuto miracoli assicurando per tutto questo periodo la continuità ininterrotta di una cinquantina di Stati. G.P. Calchi Novati e P. Valsecchi, La storia ritrovata. Dalle prime forme politiche alle indipendenze nazionali, Roma 2006, pp. 296-301

1 Costruzione delle nazioni.

Modulo 7

Le grandi potenze Le grandi p tra XX e XXI tra XX e XX secolo

secolo Capitolo 24

Lo sviluppo dell’Occidente europeo

“Occidente” è una parola ambigua, che è oggi usata non più solo per indicare un luogo geografico, ma un modello di civiltà: quello del capitalismo e del libero scambio, del sistema parlamentare e della democrazia. Questo modello si ritrova soprattutto nelle aree del mondo che lo videro nascere: gli Stati Uniti e l’Europa, o meglio, fino all’ultimo decennio del XX secolo, quella parte dell’Europa legata agli Stati Uniti da un patto di alleanza politica, economica e militare.

Capitolo 25

1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista Tra il 1989 e il 1991 si verificò in Europa un fenomeno di straordinaria importanza, che alterò totalmente gli equilibri mondiali: il crollo dei regimi comunisti dell’Est, sorti alla fine della Seconda guerra mondiale sotto il controllo dell’Unione Sovietica. L’aspetto più sconcertante di questo sconvolgimento, avviato dalla trasformazione dell’URSS sotto la guida di Michail Gorbacˇëv, fu il suo carattere sostanzialmente pacifico e indolore: i regimi comunisti crollarono all’improvviso, come tanti castelli di carta.

potenze XI Capitolo 26

La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo

Il movimento per la democrazia e l’indipendenza, che nel giro di due anni aveva dissolto i regimi comunisti europei, ben presto si estese agli Stati che costituivano l’Unione Sovietica, provocando, anche qui in maniera incredibilmente rapida, il dissolvimento della stessa Unione. In tal modo giunse al culmine il processo di trasformazione innescato dalla volontà riformatrice di Gorbacˇëv. Questi avvenimenti misero in crisi il sistema “bipolare”, che da almeno mezzo secolo vedeva organizzati gli equilibri politici mondiali attorno alle due superpotenze USA e URSS.

Capitolo 27

L’Italia che cambia Nella seconda metà del Novecento l’Italia ha attraversato due rivoluzioni economiche e sociali: dapprima si è trasformata da paese agricolo in paese industriale, poi, in brevissimo tempo, ha superato anche questa fase, giungendo, come la maggior parte dei paesi più avanzati, a sviluppare soprattutto il settore dei servizi intermedi, il cosiddetto “terziario”. La rapidità di questi cambiamenti, che in paesi come l’Inghilterra, la Francia o gli Stati Uniti hanno occupato più di un secolo, ha reso particolarmente convulsa la storia recente del nostro paese, che si è caratterizzata per una tensione politica e sociale particolarmente forte.

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

24 Lo sviluppo

Capitolo

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dell’Occidente europeo

Percorso breve Fra gli Stati europei dopo la Seconda guerra mondiale si crearono varie forme di collaborazione: la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) nel 1951; la CEE (Comunità Economica Europea) nel 1957, trasformata in Unione Europea nel 1992 e progressivamente allargatasi nel numero di Stati aderenti, con una crescente integrazione economica e finanziaria (nel 1999 fu introdotto l’euro come moneta unica). La condivisione dei diritti civili e sociali all’interno dell’Unione non ha cancellato le identità nazionali, che convivono con quella europea in una “doppia cittadinanza”. Nei paesi dell’Europa Occidentale il meccanismo liberal-democratico portò a un’alternanza fra governi di destra e di sinistra. La Germania Federale conobbe uno straordinario sviluppo economico, anche perché la forzata rinuncia alle spese militari (imposta dopo la guerra dalle potenze vincitrici) consentì di investire ogni risorsa in attività produttive. Baluardo degli Stati Uniti contro il blocco sovietico, il paese assunse una nuova identità democratica, mostrando grande attenzione ai diritti civili, alle politiche ambientali, al tema dell’immigrazione. Dopo un ventennio a guida cristiano-democratica, dominato dalla figura di Konrad Adenauer, nel 1969 si affermarono i social-democratici di Willy Brandt, che avviò una nuova politica di distensione con la Germania comunista. La politica di apertura continuò con il successore Schmidt e ancora con i cristiano-democratici, che nel 1982 con Helmut Kohl ripresero la direzione del paese. A fronte di una Germania filoamericana, la Francia cercò di ritagliarsi uno spazio autonomo rispetto agli USA e alla NATO. Dopo la lunga presidenza De Gaulle si affermò il blocco di centro-destra (1974-81) con Pompidou e Giscard d’Estaing, poi la sinistra socialista (1981-95) con François Mitterrand, poi di nuovo la destra con Jacques Chirac e (dal 2007) Nicolas Sarkozy, che si riavvicinò agli Stati Uniti.

Il palazzo di Berlaimont a Bruxelles, sede della Commissione dell’UE

In Gran Bretagna, dopo i governi laburisti del dopoguerra si affermarono i conservatori con Margaret Thatcher (1979-90) che, contro la politica dello “Stato sociale” teorizzata dai laburisti, sostenne il principio della deregulation (abolizione dei vincoli imposti dallo Stato alle imprese) e la riduzione della spesa pubblica in materia di protezione sociale, scontrandosi violentemente col mondo operaio e sindacale. Nel 1990 le subentrò John Major, poi il governo tornò ai laburisti di Tony Blair (1997-2007), che tentò di ricomporre almeno in parte le tensioni sociali. Dal 2010 l’Inghilterra è guidata da una coalizione formata da conservatori e liberal-democratici. Negli anni Settanta crollarono in Europa le ultime dittature: Franco in Spagna, Salazar (e poi Caetano) in Portogallo, e il “regime dei colonnelli” in Grecia. Nel 1975 fu restaurata in Spagna la monarchia costituzionale con Juan Carlos di Borbone, e il paese attraversò una spettacolare crescita economica e civile. In Grecia, al contrario che in Spagna, il cammino verso la democrazia si sviluppò con l’abolizione della monarchia e l’instaurazione della repubblica (1975).

Capitolo 24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo

24.1 Dalla Comunità Economica all’Unione Europea Il trattato di Roma Subito dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati europei iniziarono a dotarsi di organismi comunitari, che inizialmente si limitarono alla collaborazione sul piano economico: nel 1951 fu costituita la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA); da questa nacque, nel 1957, la Comunità Economica Europea, fondata a Roma da sei Stati: Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo [ 18.1]. Il trattato di Roma mirava alla costituzione di un mercato economico comune basato su quattro fondamentali “libertà”: la libera circolazione delle merci (divieto di imporre dazi o dogane sui prodotti degli altri paesi), del lavoro (autorizzazione per i lavoratori di spostarsi da un paese all’altro, per le imprese di esercitare la propria attività nell’intero territorio comunitario), dei servizi (libertà d’azione per banche, assicurazioni, ecc.), dei capitali (possibilità di effettuare acquisti o vendite anche al di fuori del proprio paese). Il trattato di Maastricht Una tappa importante verso la costruzione dell’unità europea fu la conferenza di Maastricht (Paesi Bassi) del 1992, in cui furono fissate le linee principali per attuare pienamente gli originari progetti di libertà economica della Comunità (in gran parte ancora da realizzare) e per avviare, inoltre, una più completa integrazione finanziaria, politica e sociale. Proprio per questo il trattato di Maastricht cambiò nome alla Comunità Economica, che da allora si chiama Unione Europea. La BCE e l’euro Una linea portante dell’integrazione fu individuata nella politica monetaria. Nel 1975 si diede avvio alla “politica regionale”, istituendo incentivi e aiuti per le regioni più deboli, al fine di correggere le ineguaglianze economiche fra i paesi membri. Nel 1978 fu istituito il sistema monetario europeo (SME), che mirava a ottenere la stabilità dei cambi fra le monete nazionali (lira italiana, franco francese, marco tedesco, ecc.) istituendo una moneta unica virtuale, lo “scudo”, con cui ogni moneta nazionale doveva mantenere un rapporto fisso. Nel 1998 furono create la Banca centrale europea e – dopo l’esperienza dello scudo – una moneta unica effettiva, l’euro, entrata in uso nel 1999 affiancandosi alle monete nazionali, e poi, dal 2002, al posto delle vecchie monete, che scomparvero dalla circolazione. Altre forme di integrazione hanno riguardato i diritti civili e sociali, con la creazione di una “cittadinanza europea”. Il governo dell’Unione Il governo dell’Unione Europea è affidato ad alcuni organismi che hanno sede a Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo. n Il Parlamento (inizialmente detto Assemblea) è l’organo legislativo della Comunità. Dal 1979 è eletto a suffragio universale dai cittadini dei paesi membri, che eleggono un numero di deputati proporzionale al peso demografico di ciascun paese. Le elezioni si tengono ogni cinque anni. I deputati si riuniscono nella sede di Strasburgo, a volte a Bruxelles. Il Segretariato generale ha sede a Lussemburgo. n La Commissione, costituita oggi da 27 membri, è l’organo esecutivo, incaricato di dare attuazione alle politiche comuni, gestire il bilancio, elaborare le leggi che poi vengono proposte al Parlamento per la discussione e l’approvazione. Si riunisce a Bruxelles (talvolta a Strasburgo).

Dodici stelle Sulla bandiera blu dell’Unione Europea appaiono dodici stelle in cerchio. A differenza delle stelle della bandiera americana, esse non rappresentano il numero degli Stati ma le costellazioni del cielo e, più in generale, l’Universo. Da sempre, nelle culture mediterranee ed europee, il numero 12 simboleggia la pienezza, la completezza, la perfezione.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Le vie della cittadinanza

L

Una doppia cittadinanza

’idea di un’Europa unita nel segno della libertà e della democrazia fu accarezzata già nel corso dell’Ottocento da pensatori, filosofi e letterati di vari paesi, come Victor Hugo in Francia o Friedrich Schlegel in Germania. Nel nostro paese, soprattutto Giuseppe Mazzini pensò di estendere all’intera Europa il progetto morale e politico che ispirava la sua attività, fondando nel 1834 la Giovine Europa, un’organizzazione che si proponeva di costruire in Europa una confederazione di Stati, a somiglianza di quanto era già avvenuto in America. «Sia-

mo alla vigilia di un’epoca nuova», scriveva Mazzini. «L’epoca passata, l’epoca che ha finito con la Rivoluzione francese, era destinata a emancipare l’uomo, l’individuo, conquistandogli i dogmi della libertà, dell’eguaglianza, della fratellanza. L’epoca nuova è destinata a costituire l’umanità, a organizzare l’Europa di popoli liberi, indipendenti, associati fra loro in uno scopo comune, sotto la bandiera di libertà, eguaglianza, umanità». Oggi l’Unione Europea è una realtà, ufficializzata dal trattato di Maastricht (1992)

e resa concreta dall’istituzione della cittadinanza europea, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. Il testo dell’accordo afferma che «è cittadino dell’Unione ogni individuo che ha la nazionalità di uno Stato membro». Si definisce dunque per i cittadini di questi Stati una doppia appartenenza: al paese d’origine e all’Unione Europea. La cittadinanza europea conferisce diversi diritti civili, politici, economici, sociali, culturali, fissati nell’anno 2000 dalla Carta dei diritti fondamentali stipulata durante il congresso di Nizza. Come in tutte le democrazie parlamentari, il primo diritto è quello di voto, ossia la possibilità di partecipare, ciascuno nello Stato di residenza, alle elezioni per la costituzione del Parlamento europeo. Un altro diritto importante riguarda la libera circolazione e grazie agli accordi di Schengen (parte integrante del trattato di Maastricht) i controlli alle frontiere fra molti Stati si sono ridotti o grandemente semplificati, incrementando la mobilità dei cittadini. Altri diritti stabiliti dalla Carta sono il libero soggiorno, l’accesso al lavoro, la formazione professionale, la licenza di guida (con la concessione di una patente di guida europea), le prestazioni sociali e sanitarie (nel 2005 è stata distribuita a tutti i cittadini italiani la tessera sanitaria europea, che dà diritto all’assistenza ospedaliera in tutti i paesi dell’Unione). Segno visibile di questa doppia cittadinanza è il nuovo passaporto comunitario, che segnala nel frontespizio non solo la nazionalità e lo Stato di residenza, ma anche l’appartenenza all’Unione Europea. La libera circolazione tra gli Stati europei ha favorito e continua a favorire gli scambi culturali, che coinvolgono soprattutto professori e studenti; anche la ricerca scientifica e tecnologica si svolge oggi con il crescente supporto degli organi centrali europei. La facilità di movimento delle persone, delle loro idee e esperienze concorre a costruire un nuovo senso di “appartenenza” europea, fondamentale, rispetto al processo di integrazione, almeno quanto le disposizioni economiche o monetarie. Corrado Mancioli, All’unità d’Europa i giovani dicono “Sì”, 1952 [Raccolta Salce, Palazzo Giacomelli, Treviso]

Manifesto di propaganda a favore dell’Unione degli Stati europei.

Capitolo 24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo n Il Consiglio, formato da rappresentanti dei governi dei paesi membri, si riunisce in varie formazioni a seconda della questione all’ordine del giorno: ogni volta, ciascuno Stato è rappresentato dal ministro responsabile dell’argomento da trattare (finanza, ambiente, cultura, trasporti, agricoltura, ecc.). La presidenza è assunta a rotazione da uno Stato membro ogni sei mesi. n La Corte di Giustizia, composta da 27 giudici (uno per ciascuno Stato membro), ha il compito di far rispettare le leggi comunitarie nei singoli paesi. Ha sede a Lussemburgo. Amburgo n La Corte dei Conti europea, con sede a Lussemburgo, verifica la correttezza del bilancio comunitario, la regolarità e la legittimità delle entrate e delle spese. PAESI BASSI

24.2 Una nuova identità per la Germania

Hannover area britannica

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Memo Berlino Patto Atlantico, Patto di Varsavia

POLONIA

Il Patto areaAtlantico sovietica era l’alleanza stretta il 4 aprile 1949 tra le poLa ripresa industriale Nella Repubblica Federale Tedesca (Germania Occidentale) tenze del blocco occidentale: la vita politica fu a lungo dominata dall’esigenza di rilanciare l’economia del paese, il Stati Uniti, Canada e quasi tutarea Il diviepiù colpito – per ovvi motivi – dalle distruzioni della Seconda guerra mondiale. Francoforte ti gli Stati dell’Europa Occidenfrancese tale (inclusa l’Italia). Il Patto di CECOSLOVACCHIA to di ricostituire un proprio esercito, imposto alla Germania dalle potenze vincitrici al Varsavia era invece l’alleanza area americana LUSSEMBURGO termine della guerra, fu poi parzialmente superato con l’inserimento della Germania che strinsero nel 1955, sotto Occidentale nel Patto Atlantico (mentre la Germania Orientale entrò nel Patto di Varla guida dell’Unione Sovietica, FRANCIA i paesi dell’Est europeo (URSS, savia). In ogni caso, lungi dall’indebolire il paese, quel divieto ne facilitò la ripresa: la francesi Germania dell’Est, Ungheria, forzata assenza di spese militari consentì infatti alla Germania di concentrare gli sovietici britanniciAlbaPolonia, Cecoslovacchia, investimenti nelle attività produttive, rinnovando l’apparato industriale, la ricerca nia, Romania, Bulgaria).BERLINO americani AUSTRIA SVIZZERA tecnologica, i servizi commerciali. BELGIO

Il governo cristiano-democratico Al raggiungimento di questo scopo si impegnarono per un ventennio i governi a direzione cristiano-democratica, affermatisi nel 1949 sotto la guida di Konrad Adenauer, che rimase “cancelliere”, ossia Primo ministro della repubblica ininterrottamente fino al 1963, con l’appoggio intermittente dei liberal-deLa Germania mocratici, mentre l’opposizione era costituita dal Partito social-democratico. A lui seguì e Berlino, 1946-49 Ludwig Erhard dal 1963 al 1966, poi, fino al 1969, Kurt Georg Kiesinger, che, essendosi ritirati i liberal-democratici dalla coalizione, dovette cercare la collaborazione dei Germania Ovest socialdemocratici. Durante gli anni della guerra Germania Est fredda [ 17.3] gli Stati Uniti assegnarono alla Germania Federale il ruolo di principale baluardo contro l’espansionismo sovietico in Europa. Amburgo All’amicizia con gli Stati Uniti si accompagnò, in tutto questo periodo, una convinta adesione tedesca alla Comunità Europea. Hannover PAESI Una lunga esperienza democratica, dopo il BASSI Berlino POLONIA trauma dell’esperienza nazista, ha mostrato la area britannica maturità del popolo tedesco che, senza occultaarea sovietica re il proprio passato e le proprie colpe storiche, BELGIO si è impegnato a costruire una nuova identità del paese, fondata non solo sul rispetto della area libertà e delle forme democratiche, ma anche su Francoforte francese CECOSLOVACCHIA una particolare attenzione a temi quali i servizi area americana LUSSEMBURGO sociali, i diritti civili, l’apertura agli stranieri, la protezione dell’ambiente, temi nei quali la GerFRANCIA mania si è posta all’avanguardia dell’Europa. francesi Il governo social-democratico Con le elezioni del 1969 il governo della Germania Federale passò al Partito socialdemocratico, che dieci anni prima, nel congresso tenutosi a Bad Godesberg (oggi un quartiere di Bonn), aveva uf-

britannici

SVIZZERA

AUSTRIA

sovietici

BERLINO

americani

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Aa Documenti La Ostpolitik di Willy Brandt Un importante contributo alla distensione fra i paesi europei fu dato negli anni Settanta del XX secolo dalla Repubblica Federale

N

Tedesca, durante il governo del socialdemocratico Willy Brandt, che inaugurò una politica di apertura e di rinnovati rappor-

oi vediamo che i sistemi sociali e politici dei popoli europei dell’Ovest e dell’Est sono differenti, opposti; ma vediamo anche che ci sono elementi comuni e legami derivati dalla storia. Questi elementi comuni, evidenti nei popoli europei, sia dell’Est che dell’Ovest, esistono a maggior ragione nelle due parti in cui è stata divisa la nostra nazione, la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica, organizzate in forme diverse e opposte, ma con una lingua comune e comuni vincoli di tradizione e di storia. Le diversità non ci devono impedire di cercare degli accordi, di organizzare la coesistenza, di lavorare insieme. È

ti con l’Est, detta Ostpolitik ossia ‘politica dell’Est’. Si legga questo significativo brano, tratto da un suo discorso in Parlamento.

questa una missione grande e difficile, ma bisogna tentarla, ne ricaveremo tutti grandi vantaggi. Il nostro popolo avrà una pace più sicura. Se riusciremo a costruire la fiducia, la riconciliazione, l’amicizia con i popoli dell’Est e ad aggiungerla all’amicizia che già abbiamo con i popoli del nord, del sud e dell’ovest, avremo tutti più sicurezza e una pace migliore. E forse potrà accadere che due persone che non si vedono da tanti anni perché separate dalle frontiere dei due Stati della Germania, si incontreranno e si sposeranno.

ficialmente abbandonato l’ideologia marxista. Sotto la guida di Willy Brandt (1969-74) esso avviò nel paese una politica nuova: Brandt, infatti, modificando gli orientamenti dei precedenti governi, che avevano escluso ogni rapporto con i paesi comunisti, diede inizio a una politica di distensione e di apertura verso la Germania Orientale; inoltre firmò un trattato con Mosca, aprendo il dialogo con l’Est. Per questo importante contributo al miglioramento dei rapporti fra l’Occidente e il mondo comunista, nel 1971 fu assegnato a Brandt il prestigioso premio Nobel per la pace.

La politica del dialogo La politica di Brandt fu continuata dal socialdemocratico Helmut Schmidt, che gli successe nel 1974, e anche dai successivi governi cristiano-democratici che, con Helmut Kohl, tennero di nuovo la guida del paese a cominciare dal 1982. Proprio a Kohl sarebbe toccato di tenere a battesimo, nel 1991, un avvenimento di portata storica quale la riunificazione delle due Germanie [ 25.5]. Ronald Reagan e Helmut Kohl, 1985 In questa foto compaiono Ronald Reagan (presidente degli USA) e Helmut Kohl (cancelliere della Germania Federale) durante la visita del presidente americano in Germania Occidentale. L’amicizia fra i due Stati fu il grande propulsore dell’economia e della società tedesca.

24.3 La Francia si sviluppa nella democrazia Il governo delle destre Dopo il lungo periodo della presidenza De Gaulle [ 18.2], negli anni Settanta in Francia si consolidarono due blocchi politici: quello delle sinistre (socialisti e comunisti) e quello delle destre (liberali e “gollisti”, cioè continuatori della politica di De Gaulle). Queste ultime governarono il paese per un decennio, con Georges Pompidou (1969-74) e Valery Giscard d’Estaing (1974-81). La sinistra di Mitterrand al governo Nelle elezioni del 1981 prevalsero le forze della sinistra e François Mitterrand, capo del Partito socialista, fu nominato Presidente della repubblica, carica che mantenne per due successivi mandati, dal 1981 fino al 1995 (anno della morte). Il nuovo governo si presentò con un programma di riforme sociali ed economiche, quali la nazionalizzazione delle banche e la lotta all’inflazione. In politica estera furono confermati i legami con gli Stati Uniti (sempre, però, nella tradizione di autonomia gelosamente affermata dalla Francia ai tempi di De Gaulle) e si sostenne la necessità della distensione tra l’Ovest e l’Est. La capacità politica di Mitterrand si indebolì quando le elezioni parlamentari del 1992 segnarono il successo delle forze di centro-destra sui

Capitolo 24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo

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socialisti. Il prestigio personale del presidente rimase tuttavia saldo, come figura ormai non più legata a un particolare partito, ma in grado di rappresentare gli interessi nazionali del paese e di guidarlo sulla difficile via dell’integrazione europea.

Il ritorno delle destre Alla morte di Mitterrand, nel 1995, fu eletto presidente il conservatore Jacques Chirac (1995-2007). Due anni più tardi, le elezioni parlamentari (temporalmente sfasate rispetto all’elezione presidenziale) diedero la maggioranza a una coalizione di sinistra, sicché Chirac dovette nominare Primo ministro il segretario del Partito socialista Lionel Jospin. Si verificò pertanto, per diversi anni, una difficile “coabitazione” fra i due leader politici, aggravata dalle dure proteste sociali per le riforme avviate dal presidente nel campo del lavoro e della previdenza. Alle elezioni presidenziali del 2002 i due si presentarono come avversari ma Jospin fu eliminato al primo turno in favore del candidato di estrema destra Jean-Marie Le Pen, di tendenze fasciste e razziste, giunto secondo dopo Chirac. Al successivo ballottaggio (il sistema elettorale francese prevede due turni, al secondo dei quali si presentano i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti nel primo turno) Chirac fu eletto con una maggioranza schiacciante, oltre l’80%, perché anche gli elettori di sinistra fecero confluire i voti su di lui. Nel 2007 (il mandato presidenziale nel frattempo era stato ridotto da 7 a 5 anni) Chirac appoggiò Nicolas Sarkozy, leader di un nuovo raggruppamento di centro-destra denominato UMP (Unione per un Movimento Popolare), che fu eletto presidente. La principale novità politica del suo mandato è stato il riavvicinamento della Francia agli Stati Uniti, con cui i rapporti erano rimasti per lungo tempo difficili, dall’epoca di De Gaulle fino a quella di Chirac.

24.4 L’Inghilterra tra conservatori e laburisti Il governo conservatore di Margaret Thatcher Negli anni Settanta in Inghilterra si avvicendarono al governo i conservatori e i laburisti. Tra i primi emerse la figura di Margaret Thatcher, che guidò il paese dal 1979 al 1990: fu la prima donna a occupare la carica di Primo ministro nella storia britannica. Definita “signora di ferro”, Thatcher attuò una dura politica di scontro con il mondo sindacale e operaio: allo scopo di rinnovare il sistema industriale e di ridurre la produzione in eccedenza (soprattutto quella di carbone, sempre meno usato perché sostituito dall’elettricità e dal petrolio) il governo presentò un programma di licenziamenti che incontrò l’opposizione del sindacato dei minatori, il più importante del paese. Dopo un anno di conflitto e di scioperi (1984-85) il sindacato perse la propria battaglia. Le ferme posizioni del Primo ministro si manifestarono anche in politica estera: nel 1982, con un’azione veloce e violenta, l’esercito britannico sconfisse le truppe argentine del dittatore Vileda che avevano occupato le isole Falkland, da tempo dominio britannico [ 21.8]. La deregulation Seguendo i princìpi del neoliberismo, Thatcher privatizzò molte industrie nazionali e limitò il più possibile l’intervento pubblico nella vita economica, affinché questa si muovesse liberamente secondo le esigenze del mercato. Tale politica, che fu detta deregulation ossia ‘deregolamentazione’, perché tendeva ad abolire le regole e i vincoli imposti dallo Stato, negli anni Ottanta fu seguita anche dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan [ 23.4]. Furono messi in discussione anche i princìpi sociali del Welfare State o ‘Stato del benessere’, che avevano retto la politica inglese fin dagli anni Quaranta con il piano Beveridge [ 18.2]: i servizi di assistenza pubblica, volti a sostenere il tenore di vita, il reddito, l’istruzione, la salute dei cittadini, furono in gran parte limitati. La spesa pubblica pertanto diminuì e con essa diminuì il carico fiscale, a vantaggio soprattutto delle fasce sociali più alte.

Isole Falkland, 1982 Il 2 aprile 1982, 5000 soldati argentini sbarcarono con mezzi corazzati nelle isole Falkland (Argentina) e costrinsero il governatore inglese alla resa. La Gran Bretagna chiese l’intervento dell’ONU e allertò la Royal Navy: il 21 maggio gli inglesi sbarcarono nelle isole riconquistandole.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo Il governo laburista di Tony Blair Nel 1990 John Major successe a Margaret Thatcher come leader del Partito conservatore e come Primo ministro. Poi, dopo diciotto anni di governi conservatori, la bilancia politica del paese tornò a pendere dalla parte dei laburisti, il cui leader Tony Blair vinse le elezioni nel 1997, fu riconfermato nel 2001 e ancora nel 2005. Il nuovo governo cercò di ricomporre le tensioni sociali, avviando una politica di interventi statali e di servizi pubblici che, pur senza tornare al modello del Welfare State, non riproponibile nella difficile situazione economica dell’epoca, riuscì comunque a riportare una certa fiducia nelle classi più deboli. Un fatto di notevole significato storico fu la risoluzione della questione irlandese, che si trascinava ormai da decenni: nell’estate 2005 l’esercito rivoluzionario irlandese (IRA), impegnato da decenni in atti di terrorismo per ottenere l’indipendenza dell’Ulster (la parte settentrionale dell’Irlanda legata all’Inghilterra), proclamò la tregua generale. In politica estera Blair rafforzò il tradizionale appoggio britannico agli Stati Uniti, sul piano sia politico sia militare, nel periodo drammatico del terrorismo internazionale e degli interventi americani in Medio Oriente. Dal 2007 al 2010 i laburisti continuarono a governare con Gordon Brown, poi dimessosi in seguito ai risultati delle votazioni politiche favorevoli ai conservatori, che, sotto la guida di David Cameron, costituirono un nuovo e inedito governo di coalizione con i liberal-democratici, emersi come “terza forza” del paese.

I luoghi della storia

L’Irlanda

A seguito di una lunga guerra civile nel 1921 l’Inghilterra aveva dovuto riconoscere lo Stato libero d’Irlanda o Eire [ 8.3] mentre una parte del paese, l’Irlanda del Nord (l’Ulster), era rimasta legata alla Corona britannica come parte integrante del Regno Unito. I contrasti fra “unionisti” e “indipendentisti” (i primi, in maggioranza protestanti, favorevoli all’unione con la Gran Bretagna; i secondi, in maggioranza cattolici, fautori dell’indipendenza e di fatto emarginati dalla vita politica del paese) erano riesplosi dagli anni Sessanta in poi, provocando una guerra civile con scontri ed eccidi da entrambe le parti, a cui il governo britannico rispose con una dura repressione militare, lo scioglimen-

to del Parlamento e l’assunzione diretta del governo del paese. Si moltiplicarono anche gli atti di terrorismo organizzati dall’esercito rivoluzionario irlandese (Irish Republican Army), espressione armata dell’indipendentismo, sia contro obiettivi militari sia nei centri urbani, Londra compresa. La maggioranza degli irlandesi viveva drammaticamente questa situazione di conflittualità e fu lo stesso Sin Feinn (‘Noi soli’), il partito politicamente più vicino all’IRA, ad avviare trattative con il governo britannico e a concludere nell’aprile 1998 un accordo che fu sottoscritto da entrambe le comunità (protestante e cattolica) con il riconoscimento dello stato di fatto e la riapertura

del Parlamento. Tre mesi dopo l’accordo di Belfast, un nuovo attentato dinamitardo rivendicato da un gruppo dissidente dell’IRA sconvolse la cittadina di Omagh nell’Irlanda del Nord, provocando 28 morti e 300 feriti; fu il più grave attentato accaduto negli ultimi trent’anni di conflitto nell’isola. Gli arresti operati dalle polizie ai danni dei militanti e la pressione dell’opinione pubblica irlandese diedero un duro colpo al movimento terroristico. Nell’estate 2005 l’IRA proclamò la tregua generale e il “cessate le armi”, ma piccoli gruppi continuano ancora oggi a compiere azioni armate contro obiettivi britannici.

ULSTER Belfast

EIRE Dublino

Irlanda

Falò di protesta contro gli inglesi a Londonderry (Ulster)

Capitolo 24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo

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24.5 Spagna, Portogallo e Grecia: dal crollo delle ultime dittature alla democrazia La fine del franchismo In Spagna, nel 1975, la morte del generale Franco segnò la dissoluzione del regime fascista instaurato con il colpo di Stato e la guerra civile del 1935-39 [ 17.6]. Con la restaurazione della monarchia costituzionale e l’ascesa al trono del re Juan Carlos di Borbone si avviò il ripristino della libertà, dei diritti civili e di un regime democratico. La riscossa della Spagna Le prime elezioni libere del paese, nel 1977, videro la vittoria di un raggruppamento moderato di centro-destra. Nel 1981 un tentativo di colpo di Stato guidato dal colonnello Antonio Tejero, che irruppe armato nella Camera dei deputati, fallì per la ferma opposizione del re. Nelle elezioni del 1982 si affermò il Partito socialista che, sotto la guida di Felipe Gonzales, mantenne il governo fino al 1996. In quel periodo il paese attraversò uno straordinario sviluppo economico e culturale, che fu detto “miracolo spagnolo”: la Spagna, da paese arretrato quale era rimasto durante la dittatura franchista, si portò rapidamente al livello delle nazioni più progredite e oggi gioca un ruolo di primo piano nel panorama politico e culturale europeo. La ripresa economica proseguì sotto il governo di centro-destra guidato da José Maria Aznar (1996-2004). La sinistra tornò al governo nel 2004 con José Luis Zapatero, che promosse nel paese radicali riforme civili, improntate a uno spirito fortemente laico (riconoscimento dei matrimoni omosessuali, incentivazione della presenza femminile in politica, eliminazione della pubblicità dalla televisione pubblica, sovvenzioni all’edilizia popolare, incentivi al risparmio energetico, ecc.). Rieletto nel 2008, egli dovette affrontare i colpi della gravissima recessione che coinvolse – e tuttora coinvolge – l’economia europea e di tutti i paesi occidentali, aggravata da fenomeni speculativi nel settore finanziario. Nel 2011 Zapatero si è dimesso, convocando nuove elezioni nelle quali si è imposto a larga maggioranza il conservatore Mariano Rajoy. La “rivoluzione dei garofani” in Portogallo Anche il Portogallo, soggetto dal 1932 al 1968 alla dittatura di Antonio Salazar [ 11.6], poi proseguita dal successore Marcelo Caetano, si avviò negli anni Settanta verso la democratizzazione della vita politica. Il 25 aprile 1974, una rivolta incruenta di alcuni gruppi progressisti dell’esercito (detta “rivoluzione dei garofani” perché la popolazione di Lisbona, in segno di pace, mise fiori La “rivoluzione dei garofani” a Lisbona, 1974 Dopo un primo tentativo di colpo di Stato, a opera dei militari di Kaùlza de Arriaga di estrema destra, nel dicembre del 1974 fu attuata la “rivoluzione dei garofani” a opera di un folto gruppo di capitani con idee di sinistra.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo nelle canne dei fucili dei militari) portò a libere elezioni e all’istituzione di un governo parlamentare. Da allora, nel paese hanno sempre governato (tranne brevi interruzioni) le forze socialiste e social-democratiche.

La Repubblica greca In Grecia, gli anni Settanta videro la fine del “regime dei colonnelli”, una dittatura militare instaurata nel 1967. Nel 1974, in seguito allo scacco subìto dai militari, sconfitti dalle forze turche dopo un avventato attacco a Cipro, l’opposizione rovesciò il regime e costituì un governo parlamentare che, dopo un referendum popolare tenuto nel 1975, abolì la monarchia e instaurò la repubblica. Nei decenni successivi la Grecia fece passi importanti sulla strada della modernizzazione politica e culturale, assumendo un ruolo attivo nel processo di integrazione europea. Le Olimpiadi del 2004, ospitate ad Atene, furono l’evento simbolico di questa ritrovata centralità della Grecia, il paese che 2500 anni fa inventò, assieme ai giochi olimpici, la politica e la democrazia. Dal 2008, anno di inizio della recessione e della crisi economica mondiale, la Grecia è apparsa particolarmente vulnerabile fra i paesi dell’Unione Europea, per la persistente fragilità della sua economia e per la dimensione gigantesca del suo debito pubblico. L’aiuto degli altri paesi per il tramite della BCE ha per ora scongiurato il “fallimento” del paese, cioè il suo crack finanziario, che, per una sorta di “effetto domino”, avrebbe gravi conseguenze sull’Europa nel suo insieme. Alla fine del 2011 George Papandreou, Primo ministro dal 2009, si è dimesso per far posto a un governo di unità nazionale, per affrontare in maniera condivisa il difficile momento attraversato dal paese.

I tempi della storia Tra recessione economica e speculazione finanziaria Una crisi profonda attraversa da alcuni anni il mondo industrializzato. Il calo che si è verificato nella produzione ha accresciuto i livelli di disoccupazione, reso difficile l’accesso dei più giovani al mondo del lavoro e diminuito la capacità di acquisto delle masse lavoratrici. La crisi produttiva è stata aggravata dagli alti prezzi delle materie prime, in particolare le fonti di energia (petrolio), ma soprattutto dal suo incrocio con una drammatica crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti a iniziare dal 2008 e da lì diffusasi nei paesi europei. Il sistema finanziario ha sempre giocato una parte di rilievo nel sistema di produzione industriale, che, per disporre dei capitali necessari per avviare o rafforzare le attività produttive, è solito ricorrere ai crediti concessi dalle banche. Negli ultimi decenni, tuttavia, il peso della finanza è cresciuto a dismisura, acquistando una sua sostanziale autonomia dal mondo dell’industria. I capitali derivati dai profitti industriali, infatti, solo in minima parte sono oggi reinvestiti in un potenziamento delle attività produttive, che si traducono in opportunità di lavoro per la collettività; la maggior parte di questi profitti (fino al 90%) finisce in circuiti finanziari svincolati dalla vita economica reale. Giganteschi flussi di denaro circolano nel mondo,

controllati da alcune grandi compagnie che utilizzano il denaro per lucrose attività di prestito o di compravendita di titoli sul mercato borsistico, emessi non solo dalle aziende ma anche dai governi, che finanziano le loro attività e i servizi prestati ai cittadini mediante titoli di Stato (in Italia si chiamano BOT o CCT) che complessivamente rappresentano il debito pubblico di ogni paese. Soprattutto negli Stati Uniti, certe compagnie erano solite impegnare i capitali per prestiti “rischiosi”, i cosiddetti subprime ovvero ‘di secondo rango’, concessi senza alcuna garanzia (e con scarsi controlli governativi) a un gran numero di cittadini, soprattutto per l’acquisto di case. Ma già a iniziare dal 2006 si verificò un alto numero di insolventi; due anni dopo, molte piccole banche cominciarono a fallire per l’impossibilità di recuperare i crediti e quindi far fronte alle richieste di liquido dei loro clienti. La crisi nel 2008 investì un gigante della finanza americana, la società Lehman Brothers, che dovette dichiarare fallimento e creò un meccanismo a catena di cui tuttora si risentono gli effetti. Il panico si diffuse in Borsa, giacché molti titoli scambiati nel mercato azionario non erano solo legati all’andamento economico di questa o quella azienda, ma erano “derivati”, ossia incor-

poravano al loro interno, con un gioco di incrocio difficilmente controllabile, crediti legati ai mutui subprime delle banche fallite. Nonostante i massicci interventi del governo (che in casi come questi, per evitare l’eccessivo deprezzamento dei titoli, provvede a farne acquistare grandi quantità dalla Banca di Stato) la crisi si aggravò progressivamente e investì l’Europa, a causa dei rapporti strettissimi fra i mercati finanziari mondiali. Ne soffrirono la Danimarca, l’Islanda, i paesi baltici e infine tutta l’area dell’euro, l’“Eurozona”. Il crollo delle Borse e la sofferenza degli istituti bancari creò per le aziende una pericolosa mancanza di denaro da investire in attività produttive e in lavoro. Su questa delicatissima situazione cominciarono poi a innestarsi fenomeni speculativi, come la pressione delle compagnie finanziarie mondiali sui titoli di Stato dei paesi con un debito pubblico eccessivamente alto rispetto alla ricchezza prodotta annualmente dall’economia nazionale (il PIL, “Prodotto Interno Lordo”). I paesi più colpiti dal fenomeno sono attualmente la Grecia, l’Italia e la Spagna, che la Banca Centrale Europea sta tentando di aiutare, offrendo massicce iniezioni di denaro in cambio una rigorosa politica fiscale e di un consistente taglio alle spese pubbliche.

Capitolo 24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo

Sintesi

Lo sviluppo dell’Occidente europeo

Dalla Comunità Economica all’Unione Europea A partire dal secondo dopoguerra, gli Stati europei hanno costituito diversi organismi comunitari. Nel 1951 è stata istituita la CECA, poi divenuta nel 1957 Comunità Economica Europea (trattato di Roma), con lo scopo di costituire un mercato comune e di garantire le libertà di circolazione di merci, lavoro, servizi e capitali all’interno degli Stati membri, inizialmente sei. Nel 1992 è stata costituita l’Unione Europea (trattato di Maastricht), finalizzata a una maggiore integrazione politica e sociale oltre che finanziaria. La politica monetaria comune, nata per rendere stabili i cambi fra le monete nazionali, è sfociata nella nascita della Banca Centrale Europea (1998) e poi, tra 1999 e 2002, nella moneta unica, l’euro. Il governo dell’UE è affidato a diversi organismi: il potere legislativo è affidato al Parlamento europeo; il potere esecutivo spetta alla Commissione, che gestisce il bilancio e formula proposte di legge; il Consiglio europeo delibera su diverse questioni poste all’ordine del giorno ed è composto dai ministri competenti nelle materie di volta in volta discusse; la Corte di Giustizia vigila sul rispetto delle leggi comunitarie; la Corte dei Conti controlla la regolarità dei bilanci. Una nuova identità per la Germania L’esigenza di rilancio dell’economia fu centrale nella RFT. L’assenza di spese militari (per il divieto di riarmo imposto alla Germania) permise di concentrare gli investimenti sul rinnovamento delle attività produttive. Inoltre la Germania consolidò lo Stato democratico e aderì alla Comunità Europea. Dal 1949 per un ventennio governarono i cristiano-demo-

cratici. A partire dal 1969 il governo passò ai socialdemocratici (nel frattempo allontanatisi dal marxismo) che, con Brandt, inaugurarono una politica di distensione e di apertura verso la Germania Orientale. Dal 1982 al governo tornarono i conservatori. La Francia si sviluppa nella democrazia Negli anni Settanta si consolidarono in Francia due blocchi politici: le sinistre (socialisti e comunisti) e le destre (liberali e gollisti). Dopo la presidenza di De Gaulle, le destre governarono fino al 1981, quando fu eletto Presidente della repubblica il socialista Mitterrand, in carica fino al 1995. In questo periodo furono nazionalizzate le banche e fu inasprita la lotta all’inflazione, mentre in politica estera la Francia mantenne una certa autonomia rispetto agli USA e sostenne l’esigenza di una distensione verso i paesi dell’Est. Con la presidenza del conservatore Chirac (1995-2007) si ebbero difficoltà interne legate a tensioni sociali e a instabilità politica. Il presidente di centro-destra Sarkozy, eletto nel 2007, ha attuato un riavvicinamento agli USA. L’Inghilterra tra conservatori e laburisti Alla fine degli anni Settanta emerse in Inghilterra la conservatrice Margaret Thatcher, che governò fino al 1990. Essa optò per l’attuazione di politiche neoliberiste: molte industrie nazionali furono privatizzate, l’intervento pubblico in economia fu ridotto insieme con la spesa pubblica, fu attuata una politica di licenziamenti che portò a uno scontro sociale con i sindacati dei minatori, poi vinto dal governo. Il carico fiscale diminuì. In politica estera l’Inghilterra sconfisse le truppe argenti-

ne che avevano occupato le isole Falkland. Nel 1997 il governo passò ai laburisti guidati da Tony Blair, in carica fino al 2007. Il suo governo tentò di ricomporre le tensioni sociali aumentando i servizi sociali e gli interventi pubblici in economia, pur senza ritornare al modello del Welfare messo in crisi dalla Thatcher. Nel 2010 il governo è stato assunto dal conservatore Cameron, in coalizione con i liberal-democratici. Spagna, Portogallo e Grecia: dal crollo delle ultime dittature alla democrazia In Spagna, il regime fascista di Franco si dissolse con la sua morte (1975). Fu restaurata la monarchia costituzionale con il regno di Juan Carlos di Borbone e il paese ripristinò la libertà e la democrazia. Il governo socialista di Gonzales (1981-96) portò la Spagna a un forte sviluppo economico e culturale, proseguito con i governi del conservatore Aznar. Il socialista Zapatero (2004-11) ha attuato una serie di riforme civili di ispirazione laica. In seguito alle difficoltà scaturite dalla crisi economica, Zapatero si è dimesso (2011) e il governo è tornato alle forze conservatrici. In Portogallo nel 1974 una rivoluzione pacifica a opera di settori progressisti dell’esercito ha ripristinato forme democratiche e parlamentari. La Grecia, in seguito al rovesciamento della dittatura dei colonnelli (1974) è diventata una repubblica. Dal 2008 la Grecia è stata colpita duramente dalla recessione. A causa della fragilità economica e dell’elevato debito pubblico gli altri paesi europei sono intervenuti in aiuto della Grecia per evitarne il fallimento. Nel 2011 si è insediato un governo di unità nazionale per gestire le difficoltà legate alla crisi economica.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. La Germania Occidentale fu esclusa dal Patto Atlantico.

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e. Nel 1982 gli inglesi furono sconfitti dalle truppe del dittatore argentino Vileda.

V

F

b. Konrad Adenauer diede inizio a una politica di distensione verso la Germania Orientale.

V

F

f. La presidenza di Mitterrand segnò un netto riavvicinamento della Francia agli Stati Uniti.

V

F

c. Alla CEE aderirono Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Spagna.

V

F

g. Lo scudo era una moneta virtuale con cui ogni valuta europea doveva mantenere un rapporto fisso.

V

F

d. Il crack finanziario della Grecia creerebbe un’effetto domino sull’intera Europa.

V

F

h. In Spagna la monarchia costituzionale fu restaurata nel 1975.

V

F

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

i. La “rivoluzione dei garofani” abbatté il regime dei colonnelli in Grecia.

V

F

l. L’Unione Europea fu costituita con il trattato di Roma del 1992.

V

F

m. Le politiche della Thatcher fecero diminuire la spesa pubblica e il carico fiscale.

V

F

n. Il Consiglio Europeo è l’organo legislativo della Comunità Europea.

V

F

o. L’IRA proclamò la tregua generale sotto il governo di John Major.

V

F

p. La Commissione europea si riunisce a Bruxelles o a Strasburgo.

V

F

q. Il governo di Gordon Brown si reggeva su un’alleanza tra laburisti e liberal-democratici.

V

F

r. A Bad Gobesberg il Partito socialdemocratico tedesco abbandonò l’ideologia marxista.

V

F

s. Nel 1975 in Grecia fu instaurata la monarchia dopo l’abolizione della repubblica.

V

F

t. La presidenza Chirac fu caratterizzata dalla coabitazione difficile col Primo ministro Jospin.

V

F

2. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Tony Blair

riforme civili di spirito laico

Helmut Kohl

Nobel per la pace

Konrad Adenauer

UMP

Jacques Chirac

nazionalizzazione delle banche

Antonio Tejero

deregulation

François Mitterrand

proteste sociali

Felipe Gonzales

estrema destra

Margaret Thatcher

governi cristiano-democratici

Willy Brandt

questione irlandese

Jean-Marie Le Pen

tentativo di colpo di Stato

José Luis Zapatero

miracolo spagnolo

Nicolas Sarkozy

riunificazione delle due Germanie

3. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1951

1957

1959

1971

1974

1975

1978

1. l’IRA proclama la tregua generale 2. Unione Europea 3. rivoluzione dei garofani 4. istituzione del Sistema Monetario Europeo 5. congresso del Partito socialdemocratico tedesco a Bad Godesberg 6. Olimpiadi ad Atene 7. Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio

1981

8. 9. 10. 11. 12. 13.

1982

1992

1998

2004

2005

tentativo di colpo di Stato di Antonio Tejero in Spagna guerra delle isole Falkland istituzione della repubblica in Grecia Comunità Economica Europea istituzione della Banca Centrale Europea Willy Brandt riceve il Premio Nobel per la pace

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. ballottaggio • cancelliere • distensione • euro • gollisti • neoliberismo • recessione • scudo • speculazione • Ulster • Welfare Parte settentrionale dell’Irlanda legata all’Inghilterra Depressione o flessione nell’attività economica Moneta unica europea Piano di sicurezza sociale per proteggere il cittadino in ogni momento della vita Operazione finalizzata a trarre un utile dalla differenza tra prezzi attuali e futuri Primo ministro della Repubblica Federale Tedesca Politica economica volta a limitare interventi o correzioni da parte dello Stato Secondo turno elettorale tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti Esponenti della destra francese Moneta unica virtuale europea con cui le valute nazionali mantenevano un rapporto fisso Cessazione di uno stato di tensione nei rapporti politici internazionali

Capitolo 24 Lo sviluppo dell’Occidente europeo

5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Anno: 1963 • 1966 • 1969 • 1974 • 1979 • 1981 • 1982 • 1990 • 1997 • 1995 • 2007 • 2010 Termine: Adenauer • Blair • Brown • Cameron • cancelliere • Chirac • conservatori • cristiano-democratici • De Gaulle • destra • Erhard • Kiesinger • Kohl • Major • Mitterrand • Pompidou • Presidente della repubblica • Primo ministro • Sarkozy • Schmidt • socialdemocratici • socialisti • Thatcher

GOVERNI EUROPEI DOVE

GERMANIA

FRANCIA

INGHILTERRA

CARICA

.......................................................................

.......................................................................

.......................................................................

AL GOVERNO

• ...................................................................... • ...................................................................... • 1949-.......................

• Destra • ...................................................................... • 1959-.......................

• ...................................................................... • Margaret ................................................. • ..................-...................

AL GOVERNO

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AL GOVERNO

• cristiano-democratici • ...................................................................... • ..................-...................

• ...................................................................... • Giscard d’Estaing • ......................................................................

• ...................................................................... • ...................................................................... • 1997-.......................

AL GOVERNO

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• ...................................................................... • Gordon ..................................................... • ..................-...................

AL GOVERNO

• ...................................................................... • ...................................................................... • ..................-...................

• ...................................................................... • ...................................................................... • ..................-...................

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AL GOVERNO

• ...................................................................... • ...................................................................... • 1982-98

• Destra • ...................................................................... • ..................-...................

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “La Ostpolitik di Willy Brandt” riportato a p. 350 e rispondi alle seguenti domande.

1. Chi era Willy Brandt? Quali cariche politiche ricoprì? In che periodo? 2. Che cosa caratterizzò la sua politica? Che cosa si intende con il termine Ostpolitik? 3. Che cosa contiene il documento? 4. Quali sono gli elementi di somiglianza tra le due Germanie? Quali sono le differenze? 5. Che cosa non deve essere impedito dalle diversità? Per quale motivo?

6. Quali rapporti tra le due Germanie sono ipotizzati nel brano? 7. Quali problemi dovette affrontare la Germania nel secondo dopoguerra? In che modo li superò? 8. Quale nuova identità si diede il paese? Che cosa caratterizzò la sua politica estera? 9. Quali sono le principali figure politiche della Germania del secondo dopoguerra? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla tabella del precedente esercizio, scrivi un breve testo di almeno 6 righe dal titolo “La Germania Federale nel secondo dopoguerra”.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

7. Rispondi alle seguenti domande con un breve testo di almeno 3 righe per ognuna.

1. Quali sono stati gli elementi che hanno caratterizzato la politica di Margaret Thatcher? 2. Quali sono stati gli elementi che hanno caratterizzato la politica di François Mitterrand? 3. Quali sono stati gli elementi che hanno caratterizzato la politica di Tony Blair? 4. Che cosa si intende per questione irlandese? Che cosa è stato proclamato nel 2005? 5. Quali trasformazioni hanno caratterizzato la Spagna a partire dal 1975? 6. Quali trasformazioni hanno caratterizzato il Portogallo a partire dal 1974? 7. Quali trasformazioni hanno caratterizzato la Grecia a partire dal 1974?

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando e dove è stata istituita l’Unione Europea? Con quali scopi? 2. Che cosa è il Parlamento europeo? Dove ha sede? Quali funzioni svolge? Da chi è composto? 3. Che cosa è la Commissione europea? Dove si riunisce? Quali funzioni svolge? Da chi è composta? 4. Che cosa è il Consiglio europeo? Quali funzioni svolge? Da chi è composto? 5. Che cosa è la Corte di Giustizia europea? Quali funzioni svolge? Da chi è composta? Dove ha sede? 6. Che cosa è la Corte dei Conti europea? Quali funzioni svolge? Dove ha sede? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

PARLAMENTO EUROPEO ............................................................................... ...............................................................................

CORTE DEI CONTI EUROPEA ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

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COMMISSIONE EUROPEA

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UNIONE EUROPEA

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............................................................................... ............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................

CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

CONSIGLIO EUROPEO

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9.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 348 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per “cittadinanza europea”? Da quando esiste? Che conseguenze comporta? Quali diritti conferisce ai cittadini? 2. Che cosa è previsto dagli accordi di Schengen? 3. Che cosa sono la tessera sanitaria europea e il passaporto comunitario? 4. Che cosa è stato favorito dalla libera circolazione tra gli Stati europei? Con quali conseguenze?

5. Che cosa è stato stabilito dal trattato di Roma? In che anno? A che scopo? Con quali conseguenze? 6. Che cosa è stato stabilito dal trattato di Maastricht? In che anno? A che scopo? Con quali conseguenze? 7. Quali sono gli elementi principali della politica monetaria europea? Attraverso quali eventi si è sviluppata? 8. Che cosa è la BCE? Che cosa è l’euro? Da quando esistono? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla precedente mappa concettuale, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Dalla Comunità Economica Europea all’Unione Europea”.

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

25 1989: la svolta

Capitolo

359

democratica in URSS e nell’Europa comunista

Percorso breve Alla morte di Breznev (1982) in URSS continurono a prevalere le forze conservatrici, finché nel 1985 andò al potere Michail Gorbacˇëv, sostenitore del rinnovamento e della liberalizzazione nel nome della glasnost (‘trasparenza’) e della perestrojka (‘ricostruzione’). Nel 1989 furono indette libere elezioni e Gorbacˇëv divenne presidente (in precedenza, il segretario del Partito comunista lo diventava automaticamente). La ventata di libertà ebbe immediate ripercussioni nei paesi satelliti dell’URSS, che si dichiararono indipendenti dandosi ordinamenti democratici. Gorbacˇëv non intervenne, lasciando che il processo facesse il suo corso. La prima a svincolarsi fu la Polonia, dove, grazie anche all’appoggio del pontefice Giovanni Paolo II, già arcivescovo di Cracovia, il sindacato cattolico di Lech Walesa fu in prima linea nel rivendicare indipendenza e libertà; lo stesso Walesa fu eletto presidente. Toccò poi all’Ungheria e alla Cecoslovacchia, dove, riabilitate le vittime della repressione sovietica del 1956 (Budapest) e del 1968 (Praga), si aprirono le frontiere con l’Occidente. Attraverso queste frontiere iniziò allora una fuga di massa dalla Germania Est; la situazione si fece insostenibile e anche il governo tedesco-orientale decise di aprire le frontiere. La popolazione di Berlino scese in piazza e abbatté il Muro costruito nel 1961 come strumento e simbolo della separazione tra i due mondi. Era il novembre 1989. Riunificare la Germania, un progetto a lungo impensabile, apparve allora a portata di mano: lo realizzò nel 1991 Helmut Kohl, Primo ministro della Repubblica Federale. La folla entusiasta riunita alla Porta di Brandeburgo (Berlino), 9 novembre 1989 [© Gellie-Keler/Odissey]

Il crollo del comunismo europeo continuò in Romania (unico Stato dove la vicenda si svolse sanguinosamente, per l’opposizione del dittatore Ceausescu), Bulgaria, Albania. Nel 1991 tutti gli Stati già soggetti all’URSS si dichiararono indipendenti. Il dramma accadde in Jugoslavia, dove, morto Tito nel 1980, riemersero le istanze autonomiste dei singoli Stati della Confederazione, in cui la Serbia giocò un ruolo egemone, particolarmente oppressivo sotto la presidenza di Slobodan Milosevic. Nel 1991 Slovenia e Croazia (poi la Macedonia) si dichiararono indipendenti. In Croazia si accese una guerra violentissima, che nel 1992 si spostò in Bosnia, dove la minoranza musulmana fu aggredita da serbi e croati, tra atrocità di ogni genere. Solo l’intervento di USA e NATO mise fine agli scontri nel 1995 (ma tre anni dopo la Serbia attaccò di nuovo nel Kosovo contro gli indipendentisti albanesi). Milosevic si ritirò nel 2000 e fu processato per crimini di guerra. Frattanto anche il Montenegro si separò dalla Serbia, segnando la definitiva dissoluzione della federazione jugoslava.

360

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

25.1 La trasformazione dell’URSS Verso la modernizzazione La necessità di un cambiamento, che modernizzasse l’apparato produttivo dell’Unione Sovietica e liberasse la vita dello Stato dall’opprimente controllo del Partito comunista, faticò ad affermarsi. Dopo la morte di Breznev [ 23.5], avvenuta nel 1982, gli esponenti delle forze conservatrici riuscirono per due volte consecutive a imporsi, eleggendo capo dello Stato dapprima Jurij Andropov (1982-84), già responsabile della polizia segreta (KGB), poi Konstantin Cernenko (1984-85), un vecchio dirigente del partito. Nel 1985 il potere passò a Michail Gorbacˇëv (198591), un politico più giovane dei suoi predecessori, di una generazione ormai lontana dall’esperienza dell’URSS staliniana. Gorbacˇëv era un convinto assertore della modernizzazione, e fu la svolta.

Memo

Dispotismo illuminato Nel Settecento si diffuse in Europa (specie in Prussia, in Russia e nell’Impero asburgico) una nuova forma di sovranità chiamata “dispotismo illuminato”, che mirava ad apportare sostanziali riforme nell’ordinamento statale e nell’organizzazione sociale. Il nuovo sistema si caratterizzò per alcune linee d’azione principali quali la cancellazione o limitazione dei privilegi della nobiltà e del clero attraverso riforme fiscali, l’affermazione della tolleranza religiosa, la concessione di una certa libertà di stampa, la cura dell’istruzione pubblica, il sostegno alle attività produttive e alla ricerca scientifica.

La svolta di Gorbacˇëv Secondo il pensiero di Gorbacˇëv, lo stesso Partito comunista avrebbe dovuto assumersi il compito di guidare il paese nel difficile cammino della riforma, quasi una nuova versione del “dispotismo illuminato” del Settecento, realizzato «dall’alto per il bene del popolo». Egli tuttavia – e ciò costituiva un’assoluta novità rispetto al passato – cercò anche di conquistare l’appoggio e il consenso popolare al suo progetto. Glasnost e perestrojka Nuove prospettive di libertà e di democratizzazione si aprirono nel paese, basate – affermò Gorbacˇëv – sui princìpi fondamentali della glasnost e della perestrojka: due parole russe diventate presto famose anche nel mondo occidentale, per indicare, rispettivamente, la ‘trasparenza’ negli atti politici, nella gestione del potere e dell’informazione, e la ‘ricostruzione’ dell’economia del paese. La censura preventiva di libri e riviste fu abolita; molti testi che fino a quel momento erano stati proibiti furono tradotti e pubblicati. I dissidenti e i critici del regime sovietico, che in gran numero erano stati internati in campi di lavoro o in ospedali psichiatrici, furono liberati. Nella vita economica si diede inizio a un’ampia liberalizzazione, che ridusse il controllo dello Stato, privatizzò diversi settori della produzione industriale, introdusse nei meccanismi commerciali alcuni elementi di libero mercato. La libertà di culto Gorbacˇëv modificò, inoltre, la politica del governo nei confronti della religione, che in precedenza era stata osteggiata o mal tollerata; con il nuovo governo essa fu riconosciuta nei suoi valori morali e culturali. La Chiesa ortodossa ottenne piena libertà di culto e trattative in questo senso furono avviate anche con il pontefice Giovanni Paolo II (1978-2005), che con Gorbacˇëv ebbe un incontro storico a Roma nel 1989.

25.2 Successi e difficoltà nell’URSS di Gorbacˇëv La riduzione degli armamenti In politica estera Gorbacˇëv ricercò con grande impegno la collaborazione e l’amicizia degli Stati Uniti, la cui solidarietà sentiva importante per la realizzazione dei progetti di rinnovamento. La corsa al riarmo fu abbandonata e dal 1985 Gorbacˇëv avviò fitte consultazioni diplomatiche – in prima persona o attraverso il ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze (1985-91) – con il presidente americano Reagan, e poi con Bush. Esito di questa rinnovata collaborazione furono la riduzione degli armamenti e la distruzione di gran parte dell’arsenale missilistico. Le truppe sovietiche in Afghanistan [ 23.5] furono ritirate.

Michail Gorbacˇëv, l’ultimo leader del PCUS

Il declino economico La perestrojka di Gorbacˇëv, accolta con entusiasmo dalla maggior parte del popolo russo, provocò tuttavia enormi difficoltà al paese, abituato a un’economia pigra e diretta dall’alto, privo di una vera classe imprenditoriale, povero di capitali da investire. Nonostante gli aiuti finanziari ricevuti dal mondo occidentale, Gorbacˇëv faticò notevolmente a tenere sotto controllo la situazione, che rischiava ogni giorno di più di diventare ingovernabile. Egli si trovò stretto fra due opposte contestazioni: quella del vecchio apparato del partito, che invocava il ripristino delle strutture tradizionali,

Capitolo 25 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista

361

Gorbacˇëv e Reagan, 1987 La fotografia immortala il presidente sovietico Gorbacˇëv e quello statunitense Reagan mentre a Washington firmano lo storico accordo per l’eliminazione dei missili a medio raggio.

quella dell’ala più radicale dei riformatori, guidata dal sindaco di Mosca Boris Eltsin, che chiedeva di rompere definitivamente i ponti col passato, eliminando il peso del partito e portando alle estreme conseguenze la democratizzazione dello Stato e dell’economia.

La separazione fra Stato e partito La separazione della vita del partito da quella dello Stato fu infine accolta dallo stesso Gorbacˇëv. Nel 1989 fu abolito il sistema del partito unico e, per la prima volta nella storia dell’Unione Sovietica, tutti i cittadini (184 milioni di persone) furono chiamati a votare a scrutinio segreto per l’elezione dei deputati al Parlamento, con la possibilità di scegliere anche tra candidati non appartenenti al Partito comunista. Nel 1990 fu proposta una riforma costituzionale secondo cui il capo del governo sovietico non era più il segretario del Partito comunista, ma un presidente liberamente eletto dal popolo (così come dovevano essere eletti i presidenti delle singole repubbliche che componevano l’URSS). Lo stesso Gorbacˇëv fu eletto presidente, mentre Boris Eltsin diventò presidente della Repubblica di Russia (la maggiore delle quindici repubbliche sovietiche).

Il declino del tasso di crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) in Unione Sovietica

% 10 8 6

5,9%

5,0%

5,3% 3,7%

4

2,6%

2,7%

2

2,2%

0 –2

– 2,0%

–4 –6

– 6,0%

–8 –10

1956 -60

1961 -65

1966 -70

1971 -75

25.3 Il mondo comunista verso la democrazia: l’esempio della Polonia L’indipendenza dei paesi dell’Est La politica riformatrice di Mosca, con la ventata di libertà e di democrazia che portò, ebbe immediate ripercussioni nei paesi soggetti all’URSS. Nel corso del 1989 un’ondata di movimenti di protesta scosse l’intero mondo comunista dell’Europa Orientale. In pochi mesi tutti gli Stati del blocco sovietico si dichiararono indipendenti dall’URSS e si diedero ordinamenti e governi liberal-democratici. La politica del non intervento A differenza di quanto aveva fatto nel 1956 (repressione in Ungheria, 20.1) e nel 1968 (invasione della Cecoslovacchia, 23.1), il governo sovietico non mosse un dito per arrestare o frenare i movimenti di liberazione: Gorbacˇëv,

1976 -80

1981 -84

1985 -88

1989

1990

362

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo evidentemente, era intenzionato a percorrere fino in fondo la strada del rinnovamento. Il non intervento sovietico fu decisivo, da un lato, per assicurare il successo della trasformazione avviata in diversi paesi europei dell’Est, dall’altro per garantire che essa si svolgesse pacificamente, in maniera non traumatica. Al contrario, quando analoghe richieste di libertà e di democrazia furono avanzate in Cina, il governo le represse duramente, facendo ricorso ai carri armati.

La Polonia in agitazione Il primo paese “satellite” che si svincolò dalla pesante tutela sovietica fu la Polonia, e non per caso. In Polonia era particolarmente forte il senti-

I tempi della storia Il papa venuto dall’Est Il lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005), il primo papa slavo della storia, ha influito in modo determinante non solo sulle vicende della Chiesa cattolica ma su quelle dell’Europa e del mondo intero. Nato in Polonia, era arcivescovo di Cracovia quando fu eletto dal conclave. Con grande energia, fin da subito diede alla sua azione pastorale una dimensione mondiale: ne sono testimonianza i 104 viaggi effettuati nei vari continenti, visitando ben 127 paesi, con grande cura anche per gli aspetti spettacolari e “mediatici” degli incontri con la folla. Attentissimo alle forme di comunicazione, Giovanni Paolo II mirò a semplificare i rituali e l’etichetta ufficiale, per farsi sentire più vicino al popolo dei fedeli. In tutti questi anni proclamò 483 santi e 1345 beati, spesso personaggi sconosciuti, vicini alla religiosità popolare con l’intento di offrire, attraverso il culto dei santi, dei modelli di vita esemplare da seguire. Quest’opera prosegue ed è sostenuta oggi dal suo successore, papa Benedetto XVI. Fin dagli inizi del suo pontificato Giovanni Paolo II intraprese una vigorosa azione politica e diplomatica contro il comunismo sovietico: perciò egli è considerato uno dei principali artefici del crollo dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est, iniziato, non a caso, proprio dalla “sua” Polonia. L’importanza di questo ruolo politico fu in qualche modo confermato dall’attentato (organizzato, pare, dai servizi segreti dell’Est) di cui il pontefice fu vittima nel 1981 in piazza San Pietro a Roma. Nello stesso tempo Giovanni Paolo II non mancò di criticare la società capitalista e in particolare il suo spirito consumistico, considerandolo contrario alla ricerca della giustizia sociale e causa delle sperequazioni fra i popoli. Nel 1997 approvò e promulgò il nuovo catechismo della Chiesa cattolica.

Il carattere ecumenico del pontificato di Giovanni Paolo II si mostrò anche nell’impegno al dialogo con le altre religioni, nella volontà di valorizzare i punti di contatto più che gli elementi di divisione. In Gran Bretagna incontrò il capo della Chiesa protestante anglicana (1982). Nel 1995 e poi ancora nel 2001 incontrò i capi della Chiesa ortodossa. Nel 2000 visitò in Israele il memoriale delle stragi naziste e pregò al Muro del pianto di Gerusalemme, uno dei luoghi sacri della spiritualità ebraica. Fu il primo pontefice a entrare in una moschea musulmana, quella degli Omayyadi a Damasco (2001). Inoltre ebbe molti incontri con il Dalai Lama, guida spirituale del buddhismo tibetano. Più volte convocò i leader religiosi del mondo a pregare insieme ad Assisi, la città di san Francesco. Negli ultimi anni della sua vita, gravemente ammalato, decise di non farsi da parte, ma, al contrario, di testimoniare di fronte al mondo il suo dolore, come prova di fede e di dignità umana. In questo

modo trasformò anche la sua morte in un messaggio agli uomini. Un altro tratto caratteristico del pontificato di Giovanni Paolo II fu la volontà di riconoscere pubblicamente i torti e gli errori fatti dalla Chiesa di Roma nel corso dei secoli: “domande di perdono” furono da lui pronunciate in varie occasioni, per i crimini commessi dai cristiani durante le crociate, per i roghi e le guerre religiose al tempo della Riforma protestante, per gli abusi commessi dai missionari europei contro le popolazioni indigene degli altri continenti, per la persecuzione dello scienziato Galileo Galilei, per il coinvolgimento della Chiesa cattolica nella tratta degli schiavi africani, per le posizioni storiche della Chiesa contro i diritti femminili, per le mancanze dei cristiani verso gli ebrei e in particolare per il silenzio tenuto dalla Chiesa cattolica durante le persecuzioni del popolo ebraico negli anni del nazismo. Come sempre, il coraggio di ammettere i propri torti appartiene solo agli uomini di grande forza e coraggio.

Giovanni Paolo II in visita al suo attentatore, 1983 Giovanni Paolo II si reca, nel dicembre del 1983, nel carcere di Rebibbia in visita al suo attentatore Ali Mehemet Agca.

Capitolo 25 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista

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mento nazionale, cementato attorno alla fede cattolica, tradizionalmente seguita da quel popolo (mentre gli altri slavi sono in prevalenza ortodossi). Sull’intera vicenda ebbe infatti un’influenza non secondaria l’appoggio di Karol Wojtyla, già arcivescovo di Cracovia, eletto papa nel 1978 col nome di Giovanni Paolo II. Inoltre, la Polonia era l’unico paese in cui vi fosse un movimento sindacale – appoggiato dalla Chiesa – non direttamente legato al Partito comunista.

L’attività di Solidarnosc Nel 1980, in seguito alle agitazioni e agli scioperi che avevano avuto come centro la città industriale di Danzica, il governo polacco aveva riconosciuto l’autonomia del sindacato chiamato Solidarnosc, ossia ‘solidarietà’, guidato da Lech Walesa, un elettricista dei cantieri navali di Danzica. La difficoltà di controllare la situazione aveva poi spinto il governo polacco, assunto nel 1981 dal generale Wojciech Jaruzelski, a proclamare lo stato di emergenza e la legge marziale, cioè lo stato di guerra, sospendendo i diritti civili e sindacali. Solidarnosc fu sciolta ma continuò a esistere clandestinamente. In apparenza si trattò di un colpo alla libertà del paese; in realtà è probabile che l’atto di forza di Jaruzelski fosse stato dettato soprattutto dalla volontà di assicurare la pace e di scongiurare un attacco sovietico simile a quelli che, anni prima, avevano stroncato l’evoluzione democratica in Ungheria e in Cecoslovacchia. Negli anni successivi, grazie all’attività mediatrice di Lech Walesa, l’unità nazionale si ricompose e di nuovo, nel 1989, il sindacato fu riconosciuto legittimo. La Polonia democratica Sotto la spinta degli avvenimenti di Mosca il processo di democratizzazione si accelerò. Nel luglio 1989 il governo accettò che altri partiti, oltre a quello comunista, si presentassero alle elezioni per entrare in Parlamento: Solidarnosc ottenne il 90% dei voti e il cattolico Tadeusz Mazowiecki fu nominato Primo ministro (1989-91) in una coalizione comprendente anche i comunisti. Nel 1991 lo stesso Walesa fu eletto Presidente della repubblica, carica che ricoprì fino al 1995, quando gli succedette il social-democratico Aleksander Kwa’niewski, rimasto in carica per due mandati (1995-2005). Nel 2005 fu eletto presidente il conservatore Lech Kaczy’ski, morto nel 2010 in un incidente aereo; gli è succeduto Bronislaw Komorowski sostenuto dallo stesso Walesa. Dopo essere diventato membro della NATO nel 1999, la Polonia è entrata a far parte dell’Unione Europea dal 2004.

Lech Walesa con papa Giovanni Paolo II Walesa, eletto presidente di Solidarnosc, guidò nel 1989 le trattative con il generale Jaruzelski per una transizione pacifica della Polonia verso la democrazia.

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

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25.4 La libertà in Ungheria e Cecoslovacchia Il riscatto ungherese Anche l’Ungheria, come la Polonia, colse l’occasione del movimento riformatore di Gorbacˇëv per avviarsi alla democrazia. Fin dagli anni Cinquanta Janos Kadar, posto dai sovietici a capo del partito e del governo dopo la repressione del 1956 [ 20.1], aveva aperto il paese agli scambi con l’Occidente, sul piano sia del mercato e dei consumi, sia dei valori e delle idee. Il relativo clima di libertà di cui l’Ungheria godeva rispetto agli altri paesi comunisti facilitò l’esplodere, fra il 1988 e il 1989, di manifestazioni popolari che chiedevano maggiori diritti civili, libertà di stampa e di informazione, democratizzazione della vita politica e, innanzitutto, come simbolo della volontà di cambiamento, una immediata riabilitazione delle vittime del 1956, considerate eroi nazionali. Le richieste furono rapidamente accolte dal governo e dal Partito comunista, in cui prevalsero le tendenze riformatrici. Kadar si dimise. Nel giugno 1989 si svolsero, con grande partecipazione di popolo, postumi funerali di Stato solennemente riservati a Imre Nagy e agli altri capi della rivolta del 1956. La “sovranità completa” dell’Ungheria Nell’ottobre dello stesso 1989 l’Ungheria si dichiarò repubblica indipendente e sollecitò il ritiro delle truppe sovietiche, che ancora stanziavano nel paese. Nel 1990 si svolsero libere elezioni con la partecipazione di partiti politici indipendenti; il Partito comunista si trasformò, abbandonò il suo nome e si rinominò “social-democratico”. Gorbacˇëv dichiarò di accettare il nuovo stato di fatto e considerò definitivamente sepolto il principio della “sovranità limitata” dei paesi membri del Patto di Varsavia, che fino a quel momento aveva giustificato gli interventi sovietici nei paesi soggetti. Nel 2009 si sono imposte le forze liberal-populiste di Viktor Orbán. Le proteste cecoslovacche Non diverse furono le vicende della Cecoslovacchia, dove il potere era tenuto da Gustav Husak, affermatosi nel 1968 dopo l’invasione sovietica e la repressione dei movimenti democratici [ 23.1]. Da allora, ogni libertà era stata soppressa e il dissenso faticava a esprimersi: solo un piccolo gruppo di intellettuali, raccolti nell’associazione nata nel 1977 e chiamata appunto Charta 77, aveva protestato per il mancato rispetto dei diritti civili. Come in Ungheria, grandi manifestazioni contro il governo si svolsero a Praga e nelle altre principali città del paese tra il 1988 e il 1989. L’indipendenza della Cekia e della Slovacchia Come in Ungheria, il governo accolse la richiesta di aprire le frontiere all’Ovest e di imporre il ritiro delle truppe di occupazione sovietiche. Anche in Cecoslovacchia furono riabilitati gli “eroi” dell’insur-

Aa Documenti «Li abbiamo lasciati alla loro gente» Nel 1999 Michail Gorbacˇëv ricostruì in un’intervista gli eventi che dieci anni prima avevano portato al crollo dei regi-

I

mi comunisti dell’Europa dell’Est. Dalle sue parole emerge la chiarezza con cui all’epoca egli comprese l’importanza sto-

l risultato principale e fondamentale [di quegli avvenimenti] fu che la guerra fredda finì. Terminò un periodo prolungato e potenzialmente letale della storia del mondo, in cui la razza umana aveva vissuto sotto la minaccia costante di un disastro nucleare. Per molti anni si è discusso su chi avesse vinto e chi perso la guerra fredda, ma questa stessa domanda nasce da un vecchio modo di pensare. Dal punto di vista della ragione è chiaro che ha vinto l’intera umanità – ogni paese, ogni essere umano. La minaccia di un olocausto nucleare è divenuta storia, a meno che, naturalmente, non si ricada nell’errore. Voci critiche, in patria, ci hanno accusato di avere perso i nostri alleati nell’Europa dell’Est, di avere ceduto questi paesi senza esigere alcuna compensazione. Ma a chi li abbiamo

rica del fenomeno, e la consapevolezza con cui fece la scelta di non contrastarlo.

ceduti? Alla loro gente. I paesi dell’Europa dell’Est, esprimendo liberamente la volontà dei cittadini, hanno scelto un loro percorso di sviluppo basato sui bisogni nazionali. Il sistema che esisteva nell’Europa centrale e dell’Est è stato condannato dalla storia, così come è stato condannato il sistema che esisteva nel nostro paese. Ogni sforzo volto a preservare questo sistema (e avremmo potuto farlo solamente inviando i carri armati, come avevamo fatto in Cecoslovacchia nel 1968) avrebbe ulteriormente indebolito le posizioni del nostro paese, screditando l’Unione Sovietica agli occhi della nostra stessa gente e del mondo intero. Michail Gorbacˇëv

Capitolo 25 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista rezione nazionale, repressa dai carri armati russi. Alexander Dubcek, il capo della “primavera di Praga” del 1968, tornò sulla scena politica e fu proclamato presidente del Parlamento. L’intero apparato del Partito comunista si dimise, e Vaclav Havel, uno scrittore apprezzato per i suoi princìpi democratici, membro della Charta 77, assunse la presidenza della repubblica (dicembre 1989). L’anno successivo, la Repubblica Ceca e la Slovacchia si diedero una maggiore autonomia e nel 1993 si separarono, creando in maniera pacifica e concordata due repubbliche indipendenti, subito riconosciuti a livello internazionale. Entrambi i paesi hanno adottato ordinamenti democratici e parlamentari, e nel 2004 sono entrati nell’Unione Europea.

25.5 Il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione della Germania L’apertura delle frontiere Mentre Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia si dichiaravano indipendenti e aprivano le loro frontiere all’Ovest, cominciò a verificarsi un fenomeno migratorio di impressionanti dimensioni: migliaia di tedeschi abbandonavano la Germania comunista e si rifugiavano nella Germania Occidentale, aggirando i confini con la complicità dei governi di Praga e di Budapest, che favorivano il passaggio all’Ovest attraverso i propri territori. Intanto, milioni di persone scendevano nelle piazze di Berlino, di Dresda, di Lipsia a manifestare contro la dittatura comunista. Nel novembre 1989 il governo della Germania comunista, nel tentativo di bloccare l’emorragia di uomini che rischiava di impoverire il paese delle sue migliori risorse, prese la storica decisione di aprire le frontiere tra Est e Ovest. Straordinarie manifestazioni di entusiasmo accolsero la decisione. A Berlino, tra il 7 e il 9 novembre 1989, la popolazione in festa cominciò ad abbattere il muro innalzato nel 1961 come strumento (e simbolo) della separazione fra le due Germanie [ 18.4]. Come per incanto il popolo tedesco sembrò ritrovare la sua unità, e il progetto di una riunificazione del paese, fino a qualche mese prima semplicemente impensabile, d’improvviso parve a portata di mano. L’unità riconquistata Il cancelliere Helmut Kohl, Primo ministro della Germania Federale dal 1982, sostenne fortemente questo progetto e ne fece il principale obiettivo della sua azione politica. Nel 1990, le prime elezioni libere della Germania Est diedero la vittoria al Partito cristiano-democratico, filiazione diretta di quello di Kohl: un chiaro segno della volontà unitaria che il paese intendeva esprimere. Nel luglio dello stesso anno fu decisa l’unione monetaria tra i due paesi e all’inizio del 1991 fu attuata la riunificazione politica, sancita da un accordo firmato a Mosca il 3 ottobre 1990 da Unione Sovietica, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Un sogno lungamente represso si era all’improvviso realizzato. Le difficoltà economiche La riunificazione della Germania suscitò grandi entusiasmi, ma provocò anche gravi difficoltà, per l’enorme divario esistente tra l’Est e l’Ovest del paese nello sviluppo economico, nel sistema sociale, nei modi di vita. Il miraggio del benessere “occidentale”, che si sarebbe voluto raggiungere in un attimo, fu fonte di grandi delusioni per molti tedeschi dell’Est; l’orgoglio della riunificazione raggiunta spinse il governo dell’Ovest a sottovalutare i costi enormi

La demolizione del Muro di Berlino

365

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo che essa avrebbe comportato: le industrie dell’Est funzionavano con metodi antiquati, scarsamente produttivi; gli operai erano dequalificati e demotivati, un ceto di imprenditori era tutto da costruire. Lo sforzo finanziario per riequilibrare il paese, tramite un programma di massicci investimenti nell’Est, continuò a lungo a pesare sull’economia tedesca.

Angela Merkel Il primo cancelliere donna della storia tedesca.

I luoghi della storia

La prova di responsabilità politica Nel 1998 il governo della Germania tornò ai socialdemocratici, guidati da Gerhard Schröder. Le elezioni del 2005 segnarono una sostanziale parità di voti e di seggi fra i due maggiori partiti, i social-democratici di Schröder e i cristiano-democratici di Angela Merkel (che dal 2000 era a capo del partito). Il risultato fu una inedita “grande coalizione” fra i due gruppi politici, guidata da Merkel, prima donna cancelliere nella storia del paese. Dopo le elezioni del 2009 Merkel è stata riconfermata nel suo incarico (questa volta in coalizione con i liberal-democratici), in un momento particolarmente difficile per l’Europa, alle prese con una crisi economica di vasto raggio e di grande profondità. La Germania, uno dei paesi economicamente più solidi dell’Unione, gioca un ruolo di grande importanza e responsabilità in questa fase delicata della storia europea.

Crolla il Muro, la diga è scoppiata

«La diga è crollata in uno, due, tre, cinque punti; tra poco le porte saranno 18, e tra non molto non una pietra sarà rimasta sull’altra, né cemento sul cemento». È la cronaca concitata di Saverio Vertone (1927-2011), editorialista del «Corriere della Sera», nei giorni caldi del novembre 1989, mentre il Muro di Berlino sta crollando sotto i colpi di piccone della popolazione entusiasta. «I due pezzi di Germania si uniscono e si baciano attraverso il buco aperto nella porta di Brandeburgo. Il Muro hanno cominciato a demolirlo silenziosamente, di notte, quelli stessi che, silenziosamente, di notte avevano cominciato a costruirlo 28 anni fa». L’avvenimento è di portata stori-

ca: la riunificazione delle due Germanie, il crollo degli steccati fra Est e Ovest. «La diga non è stata abbattuta dall’esterno. È moralmente scoppiata per la pressione interna. E così, dai buchi iniziali, in principio cinque, poi sette, presto innumerevoli, la Germania Orientale ha cominciato a sprizzare, a sgorgare, a scorrere nella Germania Occidentale». In molti avevano tentato di attraversare il Muro, nei decenni precedenti. Alcuni ci erano riusciti, con gli stratagemmi più fantasiosi. Altri vi avevano trovato la morte, fulminati dal fuoco delle sentinelle. Poterlo attraversare impunemente, quella magica notte del 1989, a molti parve un sogno. Fu festa grande, da una parte e dall’altra del Muro. Così la racconta lo storico statunitense Robert Darnton (1939) nel suo Diario berlinese: «Per chi non conosce Berlino è difficile immaginare fino a che punto il Muro sia riuscito a dividere la città. Subito dopo il 1961, anno in cui fu eretto il Muro, il milione di residenti nella parte occidentale e i due milioni di quella orientale hanno iniziato a perdere i contatti. Nel 1989 un’intera generazione era ormai cresciuta all’ombra del Muro. La gran parte di essa non lo ha mai attraversato, nemmeno quando il passaggio da Ovest a Est era accessibile. Questa generazione di giovani ha accettato il Muro come una

La caduta del Muro di Berlino: la folla si accalca davanti a una breccia

realtà della vita, un qualcosa di inevitabile, parte integrante del paesaggio. Era lì quando sono nati, sarebbe stato lì quando sarebbero morti. […] È probabile che non sapremo mai cosa accadde all’interno della fatiscente struttura di potere della Repubblica Democratica Tedesca. Ma qualunque possa esserne stato l’elemento scatenante, il vero protagonista dell’abbattimento del Muro era lì dinanzi agli occhi di tutti la notte del 9 novembre: il popolo di Berlino Est. Esso aveva espugnato il Muro allo stesso modo di come aveva invaso le strade nei due mesi precedenti, di null’altro armato che delle sue idee, della sua disciplina, e di quella forza che solo le grandi masse possono sprigionare. Nel loro sciamare a Ovest i cittadini di Berlino Est parlavano il linguaggio della libertà, un linguaggio fatto di gesti, anziché di altisonante retorica. Essi si sono appropriati fisicamente del Muro; lo hanno scalato, sfondato, demolito. La stessa cosa è accaduta a Berlino Ovest. Essi si sono riappropriati di uno spazio che era loro, riversandosi sul Ku’damm [l’arteria centrale della città], affollando gli autobus e i bar, parcheggiando le loro minuscole Trabi [le utilitarie Trabant fabbricate nella Germania Est] sul ciglio delle strade più lussuose, e quindi tornandosene trionfanti a Est con un fiore per la fidanzata o un giocattolo per un bambino. Si è trattato di un momento di pura magia, la presa di possesso di una città da parte della sua popolazione».

Capitolo 25 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista

25.6 La fine dell’Impero sovietico e la crisi jugoslava La fine della dittatura in Romania La caduta del Muro di Berlino rafforzò ulteriormente il movimento per l’indipendenza e le libertà democratiche degli altri paesi membri del Patto di Varsavia. La Romania fu il solo Stato in cui il movimento anticomunista costò migliaia di morti, perché le manifestazioni di piazza furono ferocemente represse da Nicolae Ceausescu, il dittatore che teneva il potere dal 1975. Deposto da un colpo di Stato organizzato dallo stesso Partito comunista e dalle forze armate, egli tentò di fuggire ma fu arrestato, processato e fucilato. Il nuovo gruppo dirigente avviò subito la democratizzazione del paese e indisse libere elezioni. Bulgaria e Albania Anche in Bulgaria nel 1989 si affermarono le forze riformiste. Dopo l’allontanamento di Todor Zivkov, capo del Partito comunista, al potere dal 1954, il paese si avviò a una fase di graduale democratizzazione. Nel 1990 il regime comunista crollò anche in Albania. Nell’estate 1991, tutti gli Stati che avevano fatto parte dell’Impero sovietico potevano dirsi indipendenti, con l’approvazione implicita o esplicita del governo Gorbacˇëv. In conseguenza di ciò Mosca dichiarò ufficialmente sciolto il Patto di Varsavia, l’alleanza militare nata nel 1955 tra l’URSS e gli Stati comunisti dell’Europa dell’Est [ 18.1]. La particolarità jugoslava Anche la Jugoslavia, che non faceva parte del “blocco” sovietico ma aveva sempre mantenuto una linea politica autonoma, fu coinvolta, in maniera drammatica, nel crollo del mondo comunista europeo. La Jugoslavia era stata creata a tavolino nel 1918, al termine del primo conflitto mondiale [ 5.5], aggregando gli Stati indipendenti della Serbia e del Montenegro a vari territori del dissolto Impero austro-ungarico (Slovenia, Croazia, Bosnia) e di quello turco (Macedonia). Essa pertanto comprendeva popoli diversi, in prevalenza slavi, ma fra loro estranei e talora ostili. Soprattutto la Serbia praticò, fin dagli inizi, una politica di forza all’interno del nuovo Stato, tentando di escludere dal potere gli altri gruppi etnici.

Pescara

ITALIA

Dubrovnik (Ragusa)

Subotica Novi Sad

ROMANIA

Belgrado

SERBIA

MONTENEGRO Pristina ˇ Podgorica KOSOVO Skopje

MAR ADRIATICO Bari

IA

ˇ Nis BU

La crisi Nel 1980 Tito morì e i contrasti e gli squilibri del paese riaffiorarono, vistosamente amplificati da una profonda crisi economica. La caduta dell’Impero sovietico aggravò la situazione e le istanze indipendentiste e nazionaliste dei vari Stati della confederazione jugoslava aumentarono, fino a sfociare in una sanguinosa e violentissima guerra.

La Jugoslavia nel 1991

LGA R

Il regime comunista di Tito Durante la Seconda guerra mondiale il paese fu occupato dai tedeschi, contro i quali si sviluppò (come in altri Stati europei) un movimento di resistenza armata. Alla fine della guerra il paese AUSTRIA passò sotto un regime comunista diretto dal Maribor maresciallo Tito, segnalatosi come capo della UNGHERIA Lubiana resistenza [ 18.3], che riuscì a lungo a sopire Gorizia SLOVENIA le tensioni latenti sotto l’ideologia unificante di Zagabria Trieste un socialismo non di tipo sovietico, ma basato CROAZIA Rijeka Osijek su originali forme di autogestione delle indu(Fiume) Pula strie e delle attività agricole. Sostenitore di una Banja Luka (Pola) politica equidistante dai due blocchi che si conBOSNIA-ERZEGOVINA trapponevano nel mondo sotto l’egida di URSS Zenica Zadar (Zara) e USA, Tito fu per un certo periodo uno dei Sarajevo Ancona leader riconosciuti del movimento dei paesi Split non allineati [ 22.1]. (Spalato)

Tirana ALBANIA

REPUBBLICA DI MACEDONIA GRECIA Salonicco

367

368

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

25.7 La dissoluzione della Jugoslavia Il progetto della “Grande Serbia” La crisi della Jugoslavia ha rappresentato uno dei problemi più gravi che l’Europa degli anni Novanta abbia dovuto affrontare. Essa scoppiò quando il capo serbo Slobodan Milosevic (1987-97) avviò una politica di predominio e di espansione allo scopo di creare una “grande Serbia”, comprendente tutti i territori abitati da serbi. Una dura azione repressiva fu compiuta nel Kosovo, una regione della Serbia abitata per il 90% da albanesi, che richiedevano maggiori autonomie dalla capitale Belgrado. Un po’ alla volta Milosevic riuscì a riservare ai serbi le principali cariche politiche e militari, ottenendo un controllo pressoché totale dello Stato. Ciò provocò crescenti proteste e reazioni nelle altre regioni del paese. L’indipendenza di Slovenia e Croazia Nel giugno 1991, mentre gli Stati del blocco sovietico si staccavano da Mosca, Slovenia e Croazia dichiararono la propria indipendenza da Belgrado, sostenute dai governi occidentali e in particolare dalla Germania, interessata a espandere nei Balcani, oltre che verso est, la propria influenza economica e politica. La Serbia non riuscì a opporsi al distacco della Slovenia, ma contrastò violentemente l’indipendenza della Croazia, anche per la presenza in quei territori di consistenti minoranze serbe. La guerra in Croazia e in Bosnia Nel settembre 1991 l’esercito federale, controllato dagli ufficiali serbi, invase la Croazia dando inizio a una guerra aspra e distruttiva, di fronte alla quale gli interventi della Comunità Europea e delle Nazioni Unite si dimostrarono scarsamente efficaci. Frattanto anche la Macedonia si dichiarò indipendente. Dopo lunghi mesi di scontri la Croazia si separò dalla federazione, ma la guerra non era finita: agli inizi del 1992 il conflitto si spostò in Bosnia, dove la minoranza musulmana aveva anch’essa rivendicato l’indipendenza dalla Serbia e da Belgrado. La Bosnia fu aggredita dai serbi, da un lato, e dai croati, dall’altro, per spartirsi il territorio (destinato, a seconda delle prospettive, a confluire in una “Grande Serbia” o in una “Grande Croazia”) e allargare le rispettive sfere d’influenza. Pulizia etnica La guerra in Bosnia, complicata dal contrasto religioso fra musulmani bosniaci, cristiano-cattolici croati, cristiano-ortodossi serbi, si sviluppò tra violenze e

Le vie della cittadinanza

N

L’Unione Europea si allarga a Est

el corso degli anni la Comunità Europea vide progressivamente crescere il numero degli Stati aderenti: ai sei paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo) si aggiunsero nel 1972 la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca; nel 1981 la Grecia; nel 1986 la Spagna e il Portogallo; nel 1995 la Svezia, la Finlandia e l’Austria. Dopo il crollo dei regimi comunisti europei e dell’Impero sovietico molti Stati dell’Est chiesero di entrare nell’Unione Europea. Pertanto, dopo vari anni di trattative, nel 2004 l’Unione si allargò ulteriormente, con l’adesione di dieci nuovi paesi, la maggior parte dei quali fino al 1989 avevano fatto parte del blocco comunista: Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia; inoltre le due isole di Cipro e Malta. Nel 2007 entrarono nell’Unione an-

che Bulgaria e Romania. Gli Stati membri in questo modo diventarono ventisette. La presenza dei nuovi Stati, dilatando a est la comunità europea, ha restituito unità a un continente che dopo la Seconda guerra mondiale era stato artificiosamente diviso in due. «Casa comune europea»: fu questo uno dei più suggestivi slogan del programma di Gorbacˇëv. Voleva dire un nuovo clima di collaborazione economica, politica e culturale, che, superando i contrasti tra Est e Ovest, recuperasse l’antica unità del mondo europeo. Ma questa unità pone anche nuovi problemi, legati, per esempio, alla diversa struttura economica dei paesi dell’Est, in molti dei quali il lavoro agricolo continua a essere (diversamente che nei paesi occidentali) un’attività significativa della popolazione. Si tratta quindi di dosare gli interventi tenendo conto delle

diverse esigenze. Nel frattempo anche la Turchia si è candidata a entrare nella UE e già sono state avviate trattative in questo senso: si tratterebbe del primo paese islamico incluso nell’Unione. Il richiamo che l’organismo comunitario esercita, ormai oltre i confini del territorio europeo, è un segno chiarissimo della vitalità di questa istituzione e di questo progetto. Pur fra molte contraddizioni, l’Europa si pone oggi nel mondo come un punto di riferimento obbligato, non forte come gli Stati Uniti sul piano militare, non dinamica come la Cina o l’India quanto a capacità di crescita, ma dotata in compenso di una storia ricchissima, di una cultura e di un’esperienza che pochi altri possiedono. L’Europa, dopo un millenario passato di conflitti, è pronta ad accogliere nuove sfide, poiché sembra avere imparato l’arte difficile della convivenza tra i popoli.

Capitolo 25 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista atrocità di ogni genere, portate non solo contro le forze militari avversarie ma anche contro i civili inermi. In quei mesi ogni spirito di rispetto e di umanità parve sconfitto, di fronte ai folli progetti di genocidio e di “pulizia etnica”, teorizzati da Milosevic ma praticati anche dai suoi nemici, che facevano rivivere l’incubo di ideologie razziste che sembravano scomparse col nazismo. L’ONU ritenne di dover intervenire e inviò truppe di caschi blu per presidiare la regione; gli Stati Uniti e le forze NATO, in accordo con l’ONU, effettuarono raid aerei (1995) con partenza dalle basi italiane.

Le Repubbliche di Bosnia-Erzegovina e Serbia Le ostilità cessarono con la firma da parte dei capi di Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro degli accordi di Dayton (USA), raggiunti grazie alla considerevole opera di mediazione del presidente americano Bill Clinton. Superata l’idea di smembrare la Bosnia in diverse unità etnico-religiose, l’unità del paese fu conservata, con la proclamazione della Repubblica indipendente di Bosnia-Erzegovina, suddivisa al suo interno in due entità autonome, croato-musulmana e serbo-bosniaca (1995). Nel frattempo anche la Serbia (unita al Montenegro, suo unico sbocco al mare) si era costituita in repubblica indipendente, conservando inizialmente il nome di Jugoslavia, che fino a qualche anno prima indicava l’intera federazione, e assumendo nel 1993 la denominazione di Repubblica di Serbia e Montenegro. La guerra in Kosovo Nel 1998 riesplose la guerra in Kosovo fra la popolazione albanese e il governo serbo, che non esitò a reprimere i moti indipendentisti colpendo senza remore i civili. La NATO, con in testa gli Stati Uniti, intervenne di nuovo e bombardò pesantemente per due mesi il territorio jugoslavo. I serbi intensificarono le azioni di pulizia etnica contro i kosovari albanesi, che fuggirono in centinaia di migliaia dal paese. La fine di Milosevic e della federazione Dopo che anche la Russia intervenne come forza mediatrice, Milosevic fu costretto a ritirarsi dal Kosovo. Nel 2000 fu sconfitto alle elezioni presidenziali e il governo passò a Vojislav Kostunica, che ha mantenuto il potere sulla Serbia fino al 2008 passando poi il testimone a Mirko Cvetkovic. Nel 2002 Milosevic fu estradato dal paese su richiesta del Tribunale penale internazionale dell’Aia (a cui si oppose ripetutamente Kostunica), al fine di essere processato per crimini di guerra e contro l’umanità; nel 2006 fu trovato morto in carcere. Nel 2006 il Montenegro proclamò la sua separazione dalla Serbia e si dichiarò indipendente dopo una consultazione referendaria (riconosciuta internazionalmente). In questo modo fu sancita la dissoluzione della federazione jugoslava. Nel 2008 è stato il Kosovo a dichiararsi indipendente, ma la Serbia (e la Russia) non lo ha riconosciuto come Stato sovrano.

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La Parola

pulizia etnica Con questa disgustosa espressione, derivata da un termine serbo-croato e apparsa per la prima volta negli anni Novanta del XX secolo durante la guerra in Jugoslavia, si intende la volontà di eliminare gli “altri”, i gruppi “etnicamente diversi” che inquinano, “sporcano” la presunta purezza di un popolo e del territorio da esso abitato. Il richiamo all’ideologia razzista (che già durante il nazismo aveva dato prova delle sue deliranti prospettive) fu continuo durante la guerra civile jugoslava, che vide mescolarsi rivalità politiche, sociali, etniche, religiose. In quegli anni i soldati serbi furono spinti a praticare lo stupro sistematico delle donne appartenenti ad altre etnie e gruppi religiosi, non solo per disprezzo verso le popolazioni “altre”, ma anche per un rituale di “purificazione” che attraverso l’immissione di sangue “buono” modificasse l’identità etnica del nemico. Fenomeni come lo stupro sono una triste costante in tempo di guerra, ma mai esso era stato pianificato in maniera così consapevole e metodica (solo durante la guerra in Bosnia furono accertati 20.000 stupri, praticati prevalentemente su donne bosniache-musulmane e croate-cattoliche).

Rinvenimento di una fossa comune con le vittime dei massacri di Srebrenica, 1996 La violenza del conflitto jugoslavo non risparmiò eccidi e deportazioni di civili, donne, bambini e anziani: drammatiche furono le immagini trasmesse in tutto il mondo dei cecchini appostati sui palazzi di Sarajevo, che colpivano i passanti nelle strade, o delle bombe gettate tra i civili in fila per l’acqua e il pane nella piazza del mercato. Destò una forte impressione, nel luglio 1995, l’attacco sferrato alla città di Srebrenica dalla truppe serbo-bosniache, responsabili del massacro pianificato di circa 8000 musulmani inermi.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Sintesi

1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista

La trasformazione dell’URSS Dopo la morte di Breznev, le forze conservatrici dominarono l’URSS fino al 1985, anno in cui salì al potere Michail Gorbacˇëv. Egli attuò un programma di modernizzazione e di riforme, cercando l’appoggio e il consenso popolare. I princìpi cui si ispirò la sua politica furono quelli della trasparenza (glasnost) e della ricostruzione economica (perestrojka). Fu abolita la censura preventiva sulle pubblicazioni, furono introdotte liberalizzazioni nel settore industriale e commerciale e fu concessa libertà di culto alla Chiesa ortodossa. Si trattò di una svolta decisiva nella storia dell’URSS. Successi e difficoltà nell’URSS di Gorbacˇëv In politica estera Gorbacˇëv ricercò l’amicizia degli USA; abbandonò la politica del riarmo e ridusse gli armamenti; l’esercito sovietico si ritirò dall’Afghanistan. La perestrojka, accolta con favore dalla popolazione, presentò delle difficoltà perché il paese, abituato a un’economia diretta dall’alto, era privo di una classe imprenditoriale. Nel 1989 fu superato il sistema del partito unico, ammettendo anche candidati non comunisti alle elezioni per rinnovare il Parlamento. Nel 1990 si ebbe una proposta di riforma costituzionale che rendeva elettiva la carica di capo del governo: Gorbacˇëv fu eletto presidente dell’URSS, mentre Eltsin (dell’ala riformista radicale, che auspicava una democratizzazione totale di Stato ed economia) divenne presidente della Repubblica di Russia. Il mondo comunista verso la democrazia: l’esempio della Polonia La politica riformatrice dell’URSS ebbe delle conseguenze nei paesi dell’Europa Orientale a essa soggetti, dove si svilupparono movimenti indipendentisti, che si conclusero con successo e pacificamente. Il primo Stato a emanciparsi fu la Polonia, dove erano forti il sentimento nazionale e la religione cattolica. Il processo di democratizzazione iniziò nel 1980, quando fu riconosciuto il primo sindacato non comunista, Solidarnosc (guidato da Lech Walesa) e si concluse, dopo alterne vicende, nel 1989, anno in cui il governo permise a partiti non

comunisti di presentarsi alle elezioni parlamentari, vinte da Solidarnosc che governò in coalizione con i comunisti. La Polonia aderì poi alla NATO (1999) e all’Unione Europea (2004). La libertà in Ungheria e Cecoslovacchia In Ungheria, tra 1988 e 1989 si svolsero manifestazioni popolari che richiedevano diritti civili, libertà, democratizzazione e la riabilitazione delle vittime del 1956. Tali richieste furono accolte dal governo e dai comunisti, che svilupparono tendenze riformatrici. Nell’ottobre 1989 fu dichiarata l’indipendenza della Repubblica di Ungheria e si tennero libere elezioni, aperte ai partiti politici indipendenti. In Cecoslovacchia, dopo il 1968, il governo Hasak aveva soppresso le libertà e reso difficile l’espressione del dissenso. Alcune critiche verso il governo vennero da alcuni intellettuali riuniti nel movimento Charta 77. Tra 1988 e 1989 si svolsero manifestazioni popolari. Il governo accolse le richieste di apertura delle frontiere e di ritiro delle truppe sovietiche. Nel dicembre 1989 Havel divenne Presidente della repubblica. Nel 1993, dopo un referendum, Slovacchia e Cekia divennero due Stati indipendenti e democratici. Nel 2004 sono entrati nell’UE. Il crollo del muro di Berlino e la riunificazione della Germania Dopo l’apertura delle frontiere degli Stati dell’Est, migliaia di persone abbandonarono la RDT per dirigersi verso la RFT. Per arginare il fenomeno, nel novembre 1989 il governo della Germania Est decise di aprire le frontiere e, tra il 7 e il 9 novembre, la popolazione abbatté il muro che separava le due Germanie. In seguito si avviò (sotto la guida del cristiano-democratico Kohl) la riunificazione che, al di là degli entusiasmi, non fu semplice per le diverse condizioni sociali ed economiche dei due paesi. Dopo il governo socialdemocratico di Schröder, dal 2005 è al governo Angela Merkel, ora alle prese con le difficoltà della crisi economica. La fine dell’Impero sovietico e la crisi jugoslava Dopo la caduta del muro di Berlino, negli altri paesi del Patto di Varsavia si accelerò il movimento di in-

dipendenza e democrazia. In Albania e Bulgaria la democratizzazione avvenne in forme pacifiche, mentre in Romania un colpo di Stato portò alla guerra civile e all’arresto e alla fucilazione del dittatore Ceausescu. Nell’estate del 1991 il Patto di Varsavia fu sciolto. Drammatiche furono le vicende in Jugoslavia, la confederazione di Stati creata nel 1918 e comprendente popoli tra loro diversi. Durante la Seconda guerra mondiale era stata occupata dai tedeschi e si era sviluppato un movimento di Resistenza, guidato dal maresciallo Tito, che resse poi il paese fino alla sua morte (1980). Dopo il 1989, riemersero le istanze indipendentiste degli Stati che portarono a una sanguinosa guerra. La dissoluzione della Jugoslavia La crisi della Jugoslavia scoppiò in risposta ai disegni del presidente Milosevic di costituire una “Grande Serbia” nei territori abitati da serbi. Le rivendicazioni di autonomia del Kosovo, una regione a maggioranza albanese, furono represse. Le principali cariche politiche e militari furono ricoperte da serbi, suscitando le proteste degli altri Stati della federazione. Nel 1991 Slovenia e Croazia dichiararono l’indipendenza e l’esercito federale invase la Croazia dando inizio alla guerra. Nel 1992 il conflitto si allargò alla Bosnia, dove la minoranza musulmana rivendicò l’indipendenza. I contrasti religiosi tra serbi, croati e bosniaci acuirono la durezza del conflitto, caratterizzato da azioni di “pulizia etnica” contro i civili. Dopo l’intervento dell’ONU e della NATO, si giunse agli accordi di Dayton (1995). La BosniaErzegovina divenne una repubblica indipendente, la Serbia costituì una repubblica indipendente federata con il Montenegro. Nel 1998 riesplose la guerra in Kosovo con la repressione serba dei moti indipendentisti. Dopo l’intervento armato della NATO e la mediazione russa, le milizie serbe lasciarono il Kosovo. Nel 2000 le elezioni in Serbia furono vinte da Kostunica. Milosevic fu estradato per essere processato e morì nel 2006. Nello stesso anno il Montenegro si rese indipendente. Nel 2008 anche il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza, non riconosciuta da Serbia e Russia.

Capitolo 25 1989: la svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1980

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1981

1982

1985

1988

1989

1990

1991

1992

1993

1995

1999

2006

8. indipendenza del Montenegro 9. Helmut Kohl diventa cancelliere della Repubblica Federale Tedesca 10. inizio della guerra in Bosnia 11. morte del maresciallo Tito 12. manifestazioni di protesta popolari in Cecoslovacchia e Ungheria 13. libere elezioni in Ungheria

Gorbacˇëv al potere in Unione Sovietica accordi di Dayton inizio della guerra in Jugoslavia Jarukelsky al governo in Polonia separazione tra Repubblica ceca e Slovacchia la Polonia entra nella NATO abbattimento del muro di Berlino

2. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti.

f. Tito fu uno dei leader del movimento dei paesi non allineati.

V

F

apertura • Cecoslovacchia • comunisti • dicembre • elezioni • Est • frontiere • funerali • Germania • giugno • governo • Vaclav Havel • Imre Nagy • indipendente • luglio • novembre • ottobre • Ovest • Polonia • presidente • repubblica • Stato • Ungheria

g. Gli accordi di Dayton sancirono la nascita della Repubblica di Serbia e Montenegro.

V

F

h. In Ungheria il governo Kadar aveva aperto il paese ad alcuni scambi con l’Occidente.

V

F

i. Nel giugno 1991 Croazia, Bosnia e Slovenia dichiararono la propria indipendenza.

V

F

j. Nel 1999 la Polonia è entrata a far parte dell’Unione Europea e della NATO.

V

F

k. L’Ungheria era l’unico paese in cui esisteva un sindacato non legato al Partito comunista.

V

F

l. Milosevic si ritirò dal Kosovo dopo l’intervento di mediazione della Russia.

V

F

IL 1989 GIUGNO

LUGLIO

di .................................... postumi di .......................................... in ............................................ ....................................

In ....................................... il ............................................ permette a partiti non .................................................. di presentarsi alle ..........................................................

Analizzare e produrre

m. In Romania e Bulgaria il processo V F di democratizzazione costò migliaia di morti. 4.OTTOBRE Completa la tabella riportando all’interno, nella posizione corretta, indicati. n. Lai termini separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca L’............................. diventa una ...................................... V F avvenne in maniera pacifica. cavalieri • secolare • autonomia • corvées • decima • dipendenza • mestiere • taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei La .................................. permette l’................................. o. La Jugoslavia era stata costituita unendo a Serbia NOVEMBRE e Montenegro territori prima appartenenti delle ................................. verso ....................................... Funzione sociale Vita quotidiana Condizione sociale V F all’Impero austro-ungarico. ......................................... diventa ....................................... p.……..................….. Di fronte ai movimenti protesta nei paesi I …...................….. erano educati al delle armi.diPratica……................................….. DICEMBRE guerrieri NOBILI dell’Est Gorbacˇëv applicò il principioeconomica della ..................................................................................... vano la …….........................….. e i ……........................….. V F del non intervento. Avevano soprattutto obblighi.q. TraMilosevic questi, i riservò più diffusi erano ai soli serbi le principali cariche ……................................….. V F . Altrie tributi erano la produttori di beni sono le …….....................….. 3.CONTADINI Indica se le seguenti affermazioni vere o false. e il …….....................….. politiche militari. economica ……........................….. e i ……........................….. r. Dopo il 1981 Solidarnosc continuò a esistere a. Alla morte di Breznev il potere nell’URSS passò V F V F in forma clandestina. a Michail Gorbacˇëv. Erano divisi in clero …….........................….. (monaci) e in clero …….................................….. s. Laleggere guerra einscrivere. Bosnia fu complicata dai contrasti preghiera ……........................….. (preti). Sapevano Godevano b.SACERDOTI Nelle elezioni del 1989 in URSS furono ammessi economica V F religiosi tra musulmani e cristiano ortodossi. di una entrata specifica, la…….........................….. anche candidati non appartenenti al Partito V F comunista. t. Il Partito comunista ungherese nel 1990 V F si trasformò nel Partito socialdemocratico. c. Il governo di Andropov concesse la piena libertà V F V F di culto alla Chiesa ortodossa. u. Il Patto di Varsavia fu dichiarato sciolto nel 1989. d. La riunificazione tedesca si accompagnò a un programma di massicci investimenti nell’Est.

V

e. La decisione del governo della Germania Est di aprire le frontiere fu la conseguenza di una serie di migrazioni di massa verso Ovest.

V

F

F

v. Boris Eltsin rappresentava il vecchio apparato comunista che chiedeva il ripristino delle strutture tradizionali.

V

F

w. La perestrojka prevedeva l’introduzione di un’ampia liberalizzazione nella vita economica.

V

F

371

372

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

4. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. cancelliere • estradizione • federazione • frontiera • glasnost • liberalizzazione • mediazione • perestrojka • pulizia etnica • riabilitazione

5. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Alexander Dubcek

arcivescovo di Cracovia

Trasparenza nella politica e nell’informazione

Boris Eltsin

Charta 77

Atto con cui uno Stato consegna un ricercato che vive nel proprio territorio

Slobodan Milosevic

riunificazione della Germania

Wojciech Jaruzelski

Grande Serbia

Intervento volto a favorire il raggiungimento di un accordo tra le parti

Jurij Andropov

KGB

Vaclav Havel

Solidarnosc

Bill Clinton

sindaco di Mosca

Helmut Kohl

grande coalizione

Karol Wojtyla

accordi di Dayton

Kostantin Cernenko

primavera di Praga

Lech Walesa

dirigente del PCUS

Angela Merkel

legge marziale

Linea di confine di uno Stato Volontà razzistica di eliminazione dei gruppi etnici considerati “diversi” Restituzione della pubblica stima e della corretta reputazione Unione di due o più Stati autonomi Ricostruzione dell’economia Primo ministro della Repubblica Federale Tedesca Adeguamento ai princìpi economici del liberismo

Analizzare e produrre 6. Leggi il documento “Crolla il muro, la diga è scoppiata” a p. 366 e rispondi alle seguenti domande.

7.

1. Quando fu eretto il muro di Berlino? Per quale motivo? 2. Chi è l’autore del primo brano riportato? 3. Da dove è iniziata la distruzione del muro? Chi la ha incominciata? 4. Che cosa era accaduto a chi aveva tentato in precedenza di attraversare il muro? 5. Chi è l’autore del secondo brano riportato? 6. Come avevano vissuto la presenza del muro le giovani generazioni? Chi fu il vero protagonista degli eventi che portarono alla distruzione del muro? Perché? 7. Che cosa ha rappresentato per i berlinesi la distruzione del muro? 8. Che cosa accadde in Germania Est dopo l’indipendenza di Ungheria e Cecoslovacchia? Con quali conseguenze? 9. Perché furono aperte le frontiere tra Germania Est e Germania Ovest? Da chi? 10. Quale progetto si realizzò dopo la distruzione del muro? Attraverso quali tappe? Chi ne fu il principale protagonista? Quali problemi comportò la sua effettiva realizzazione? Per quali motivi?

1. Che cosa contiene il documento? 2. Come è definita la guerra fredda? Chi la ha vinta secondo Gorbacˇëv? 3. Quali critiche sono state formulate in patria a Gorbacˇëv? Come risponde a esse? 4. Per quale motivo Gorbacˇëv applicò il principio del non intervento?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve testo di almeno 8 righe dal titolo “Dal muro di Berlino alla riunificazione tedesca”.

Leggi il documento “Li abbiamo lasciati alla loro gente” a p. 364 e rispondi alle seguenti domande.

Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando andò al potere Gorbacˇëv? Quale era il suo programma? A quali princìpi si ispirava? Per quale motivo? 2. Quali decisioni furono prese in politica interna? Quali in politica estera? Quali in politica economica? Con quali conseguenze? 3. Che cosa accadde nei paesi del blocco sovietico? Come si comportò Gorbacˇëv? Perché? 4. Che cosa accadde in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Germania Orientale, Romania, Bulgaria e Albania? 5. Chi assunse il potere in questi Stati? Quali cambiamenti si ebbero nella forma di Stato? Fu un processo pacifico o cruento? Per quale motivo? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

Capitolo 25 La svolta democratica in URSS e nell’Europa comunista

LA DISSOLUZIONE DEL BLOCCO SOVIETICO Gorbacˇëv PROGRAMMA: .......................................................... ......................................................................................... .........................................................................................

PRINCìPI:

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POLITICA INTERNA

POLITICA ECONOMICA

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Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Gorbacˇëv e la fine dell’imperialismo sovietico”.

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando fu costituita la Jugoslavia? Da quali territori era composta? Quali problemi interni esistevano? Che cosa caratterizzò la politica della Serbia? 2. Chi era Tito? In che periodo governò? Che cosa caratterizzò gli anni del suo governo? 3. Quando morì Tito? Quali elementi critici emersero dopo quella data? 4. Chi era Milosevic? In che periodo governò? Quale era il suo progetto politico? In che modo tentò di attuarlo? Con quali conseguenze? 5. Quali Stati si resero indipendenti nel 1991? Con l’appoggio di chi? Come rispose la Serbia?

6. Che cosa accadde nel 1992? Quali elementi complicarono il conflitto? Che cosa fece l’ONU? 7. Che cosa accadde nel 1995? Per quale motivo? Con quali conseguenze? 8. Quali Stati facevano parte della Jugoslavia nel 1993? 9. Quando riesplose la guerra in Kosovo? Con quali conseguenze? Con quale esito? 10. Quale Stato si è reso indipendente nel 2006? Che cosa è accaduto in Kosovo nel 2008? Sulla base delle informazioni ottenute scrivi un testo di almeno 8 righe dal titolo “Cause e conseguenze della guerra in Jugoslavia”.

373

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

26 La fine dell’Impero

Capitolo

374

sovietico e la crisi del bipolarismo

Percorso breve Il processo di trasformazione innescato dalla volontà riformatrice di Gorbacˇëv, dopo aver dissolto i regimi comunisti europei, si allargò agli Stati dell’Unione Sovietica. Il presidente concesse loro maggiori libertà, anche quella di staccarsi dalla federazione. Si dichiararono indipendenti le Repubbliche baltiche (Estonia, Lituania, Lettonia), l’Ucraina, la Georgia e l’Azerbaigian; ovunque il Partito comunista fu allontanato dal potere. I presidenti delle repubbliche superstiti nel 1991 decisero lo scioglimento dell’URSS, al posto della quale si costituì la CSI (Comunità di Stati indipendenti), a cui aderì la maggior parte degli Stati dell’ex URSS. A questo punto Gorbacˇëv ritenne esaurito il suo ruolo e si dimise. Subito emersero difficili problemi: come ripartire fra i vari Stati l’apparato bellico, gli impianti missilistici e le testate nucleari; come coordinare le esigenze della comunità con il risorgere dei nazionalismi nei singoli Stati. Vari conflitti si accesero nell’area del Caucaso: particolarmente grave fu quello scoppiato in Cecenia, regione compresa nello Stato russo, dichiaratasi indipendente nel 1991 contro il volere di Mosca. Delicata è anche la situazione nei paesi dell’Asia centrale, dove l’instaurazione della democrazia si intreccia con la forte influenza dei movimenti islamici e con la persistente eredità del comunismo (i vecchi apparati sono ancora vitali e spesso al potere, presentandosi come alfieri di un nuovo nazionalismo). Per sostenere il cambiamento politico Gorbacˇëv ricercò la collaborazione di paesi un tempo avversari, soprattutto gli Stati Uniti. Con i presidenti Reagan e Bush ebbe numerosi incontri e firmò un accordo (Start 1) per la riduzione dell’arsenale nucleare. La collaborazione con gli USA continuò dopo lo scioglimento dell’URSS fra il presidente russo Eltsin e il presidente americano Clinton, poi fra i loro

Rimozione della statua di Lenin a Vilnius (Lituania)

successori Putin e Bush jr e ancora fra Medvedev e Obama (che hanno firmato nel 2010 un nuovo accordo Start). Il crollo dei regimi comunisti provocò un terremoto politico, mettendo in crisi il sistema “bipolare” che da almeno mezzo secolo disegnava gli equilibri mondiali attorno alle superpotenze USA e URSS. Il primato degli Stati Uniti, rimasti l’unica potenza mondiale (le sue spese militari sono oltre due volte e mezzo quella complessiva di tutti gli altri paesi del mondo), dà agli USA un nuovo ruolo storico: non più solo perseguire gli interessi nazionali, ma garantire l’ordine e la pace nel mondo per conto della comunità internazionale e dell’ONU. Il comunismo oggi resta al potere solo in alcuni paesi dell’Asia sud-orientale (Viet Nam e Laos), a Cuba e in Cina (dove l’innesto nel sistema comunista di elementi del capitalismo occidentale sta producendo risultati di notevole interesse).

Capitolo 26 La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo

375

26.1 Lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la nascita della CSI Un colpo di Stato fallito Proseguendo nell’attività di rinnovamento avviata con la liberalizzazione politica ed economica dell’URSS, il capo dello Stato sovietico Michail Gorbacˇëv nel 1991 propose di modificare il trattato fra gli Stati membri dell’Unione, concedendo a ciascuno di essi maggiori autonomie e la libertà, se volevano, di staccarsi dalla federazione. Il giorno prima della firma del trattato, allo scopo di bloccare l’evoluzione in corso, un gruppo di politici conservatori tentò un colpo di Stato, sperando che lo stesso Gorbacˇëv vi aderisse: ma Gorbacˇëv rifiutò, mentre una manifestazione di protesta contro i conservatori guidata dal presidente della Repubblica russa, Boris Eltsin, portava a occupare il palazzo del Parlamento. Dopo alcuni giorni di tensione i congiurati rinunciarono allo scontro e furono fatti prigionieri. Le repubbliche indipendenti L’episodio ebbe immediate ripercussioni a Mosca e in tutta l’URSS. Il prestigio di Eltsin, che aveva guidato la resistenza al colpo di Stato, aumentò enormemente. Intanto molte repubbliche dell’Unione approfittarono dell’occasione per proclamarsi indipendenti. Le prime furono le Repubbliche baltiche – Estonia, Lituania, Lettonia – incorporate dall’URSS nel 1939 in seguito al patto tra Hitler e Stalin [ 14.3]. Poi fu la volta di Ucraina, Georgia, Azerbaigian. Ovunque il Partito comunista fu allontanato dal potere. La CSI Il 21 dicembre 1991 i presidenti delle repubbliche superstiti si incontrarono ad Alma-Ata (la più grande città del Kazakistan) e decisero lo scioglimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nata il 30 dicembre 1922 dalla rivoluzione d’ottobre, sulle ceneri dell’Impero zarista [ 6.6], essa cessò ufficialmente di esistere il 25 dicembre 1991. Al suo posto si formò la Comunità di Stati indipendenti (CSI, nuova sigla che sostituì quella della disciolta URSS), una repubblica federativa con scopi di cooperazione economica e politica, a cui aderì la maggior parte degli Stati che avevano fatto parte dell’Unione: Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbaigian, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan. Rimasero fuori dalla CSI le tre Repubbliche baltiche (Lettonia, Lituania, Estonia) e la Georgia. Con la fine dell’URSS, di cui era presidente, Michail Gorbacˇëv si dimise. Il suo ruolo storico – avviare alla democrazia la Russia e i “satelliti” dell’ex impero comunista – poteva dirsi compiuto.

Memo

Impero zarista Tra il XV e il XVI secolo il Principato di Mosca si consolidò fino a diventare un potente regno. Ivan IV il Terribile (1533-84) assunse il titolo di “zar [imperatore] di tutte le Russie” per sottolineare la dimensione universale del suo potere. Nel 1613 subentrò con lo zar Michele la dinastia Romanov, che rimase sul trono fino al dissolvimento dell’Impero. Nel 1721 Pietro il Grande spostò la capitale da Mosca a San Pietroburgo per affermare la nuova vocazione “europea” della Russia. L’Impero cessò di esistere nel 1917, con il successo della rivoluzione bolscevica e la deposizione di Nicola II.

Michail Gorbacˇëv e Boris Eltsin in Parlamento, 1991 Subito dopo il tentato colpo di Stato da parte di un gruppo di militari e parlamentari che arrestarono Gorbacˇëv, vi fu un duro scontro, in Parlamento, proprio tra i due più importanti uomini politici di Mosca.

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I tempi della storia La Russia e l’Europa CSI Paesi non La divisione dell’Europa cheaderenti si produsse alla CSI dopo la Seconda guerra mondiale, con la costituzione di un blocco occidentale legato agli Stati Uniti, contrapposto al blocco di osservanza sovietica, spezzò un’unità storica che – nonostante la diversità delle tradizioni nazionali – rappresentava per tutti un comune patrimonio di esperienze e di cultura. Su questa storica lacerazione, e sull’importanza degli avvenimenti del 1989-91 che permisero di ricucirla dopo quasi mezzo secolo, molti artisti e intellettuali trovarono il modo di riflettere. «Quando penso all’Europa – affermò, per esempio, in un’intervista il pittore russo Ilja Glazunov (1930) – non posso dimenticare la cultura slava, il contributo che il mondo slavo, e la Russia fra gli altri, hanno dato alla cultura europea». Scrittori come Tolstoj, Cechov, Gogol, Dostoevskij «fanno parte integrante di quell’immenso patri-

monio che è la cultura europea». I legami con l’Occidente sono evidenti in artisti come Andrej Rublëv, il più grande pittore russo di icone, vissuto fra XIV e XV secolo, che «si accomuna con i pittori del Duecento, del Trecento, del Quattrocento italiano»; allo stesso modo il pittore Ilja Repin, vissuto tra il XIX e il XX secolo, «è molto vicino agli impressionisti francesi». «Quanto a me – concludeva Glazunov – mi sento a casa mia (con tutto l’amore che porto alla patria russa) in ogni altro paese, a Roma come a Londra o a Parigi». Reintegrare il mondo russo nell’Europa è stato, sul piano culturale, un risultato di grandissimo rilievo degli avvenimenti politici di quegli anni.

Andrej Rublëv, Icona della Trinità, 1420 [Galleria Statale Tret’jakov, Mosca]

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Capitolo 26 La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo

377

26.2 Il risorgere dei nazionalismi nell’ex URSS Le difficoltà della CSI Enormi problemi complicarono fin da subito la vita della nuova Comunità di Stati Indipendenti. Sul piano militare, per esempio, una volta sciolto l’esercito sovietico (l’Armata rossa) si pose la delicatissima questione di come ripartire il controllo del poderoso apparato bellico – soprattutto gli impianti missilistici e le testate nucleari – tra le varie repubbliche. Ma un po’ in tutti i campi (a cominciare dall’economia) il problema-chiave fu quello di coordinare le esigenze della Comunità con quelle dei singoli Stati, di garantire a tutti l’autonomia preservando quei rapporti e legami reciproci senza i quali appariva impensabile lo sviluppo e la stessa sopravvivenza di molti paesi, abituati da tre quarti di secolo a gravitare in un ambito economico comune. La pluralità etnica Peraltro, il crollo dell’URSS portò in evidenza un problema di fondo – quello delle nazionalità e delle diverse identità etniche – che per lungo tempo era stato sopito dalla comune appartenenza all’Impero sovietico. Il venir meno di questo dominio unificante, e del sistema ideologico che ne giustificava l’esistenza, fece tornare alla luce le particolarità locali, le diverse culture, tradizioni, interessi. Le repubbliche europee dell’ex URSS (Lituania, Lettonia, Estonia, Moldavia, Bielorussia, Ucraina) riscoprirono presto la loro vocazione a istituire rapporti economici e politici con i paesi dell’Occidente: in primo luogo la Germania che, dopo la caduta della “cortina” tra Est e Ovest [ 25.5], riacquistò un ruolo di assoluta centralità nel nuovo paesaggio politico dell’Europa. Le repubbliche dell’area del Caucaso e dell’Asia centrale, oltre a ribadire la propria identità storica e culturale, si trovarono sottoposte alla crescente pressione del mondo islamico, che poneva problemi nuovi, non solo religiosi ma politici. L’improvviso risorgere dei nazionalismi provocò nuove tensioni e scontri sanguinosi: tutte queste rivalità, un tempo soffocate e controllate dal potere centrale sovietico, rischiarono di diventare ingovernabili. Va anche detto che il nazionalismo, se in molti casi fu espressione di esigenze reali lungamente represse, talora fu artificiosamente provocato dai vecchi gruppi dirigenti, nel tentativo di trovare – una volta crollata l’ideologia comunista – un nuovo “collante” ideologico per giustificare la propria permanenza al potere nei vari paesi.

I modi della storia

Anziane signore vendono i loro manufatti, 1990 [© Olympia-Publifoto]

Dopo il crollo dell’URSS l’economia dei paesi già facenti parte del blocco sovietico subì un pesante arresto che provocò un forte innalzamento della povertà. In questa foto delle anziane signore vendono i loro manufatti per poter vivere.

Dall’economia di Stato all’economia di mercato

Il crollo del comunismo nei paesi dell’Europa Orientale ebbe importanti ripercussioni sul piano economico. Abituati da decenni a una vita economica pianificata e diretta dall’alto, con regole e programmi dettagliati e decisi dallo Stato (quantità del volume di produzione, quantità delle materie prime e delle fonti energetiche utilizzabili, tetto dei salari, ammontare dei prestiti, date di consegna), quei paesi faticarono non poco a inserirsi in modelli diversi, ad accettare la libertà e i rischi della privatizzazione, della concorrenza, dell’economia di mercato. Soprattutto nei primi tempi furono molte le proteste, molti i rimpianti di quando lo Stato assicurava – in cambio della libertà personale – un minimo di sicurezza collettiva e molte le opposizioni da parte dei vecchi quadri dirigenti all’introduzione dell’iniziativa privata. La liquidazione del Comecon, l’organismo

che dal 1949 al 1991 aveva funzionato per coordinare l’economia dei paesi comunisti, provocò un calo della produzione industriale e l’aumento, un po’ ovunque, del tasso di disoccupazione: il fenomeno fu evidente in Polonia e soprattutto in Germania, dove molte fabbriche dell’ex Germania Est di osservanza sovietica furono chiuse per l’insostenibile concorrenza delle industrie che operavano nella parte occidentale del paese e il paese riunificato si trovò a dover affrontare un debito pubblico che raggiunse nel 1994 il 60% del proprio Prodotto Interno Lordo. Solo per fare un esempio, l’industria automobilistica Sachsenring AG di Zwickau, che produceva la celebre Trabant (di fatto l’unica utilitaria venduta nella Germania Est), fu acquisita dalla Volkswagen di Wolfsburg e dopo pochi anni smise di fabbricare auto, riducendosi a produrre solo pezzi di ricambio.

In certi casi – particolarmente nella Repubblica Ceca – l’adattamento ai nuovi ritmi economici fu abbastanza rapido e positivo; in altri casi, per esempio in Russia, la sfiducia nell’economia di mercato e la dilagante povertà generarono una diffusa nostalgia del passato e, nella pigrizia generale degli operatori economici, imprenditori senza scrupoli e organizzazioni malavitose di stampo mafioso si inserirono prepotentemente nel libero mercato. Il presidente Boris Eltsin avviò un processo di neoliberismo e di riduzione della spesa pubblica che tagliò drasticamente gli interventi sociali e assistenziali, aumentando la povertà nel paese mentre la produzione industriale diminuiva di oltre il 45% fra il 1992 e il 1994. Solo con molta lentezza il gap tecnologico ed economico fra paesi europei dell’Est e dell’Ovest sta, in questi ultimi anni, progressivamente riducendosi.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Milizie cecene, 1996 [© Olympia-Publifoto]

Mentre a Mosca prendeva il via il tentativo di golpe del 1991, la Cecenia si dichiarò indipendente costituendo un esercito proprio. Nel 1994 la Russia attaccò la Cecenia provocando distruzione e morti in tutta la regione. Nel 1996 la capitale Groznyj fu riconquistata dai ribelli ceceni e Mosca fu obbligata a concludere una trattativa di pace. Il conflitto provocò 40.000 morti e 400.000 profughi.

26.3 Conflitti nel Caucaso Lo scontro tra azeri e armeni Conflitti di tipo separatista, a sfondo etnico e religioso, scoppiarono nei paesi dell’area caucasica. Nell’Azerbaigian, dove il vecchio ceto dirigente riuscì a mantenersi al potere, scoppiò lo scontro fra gli azeri musulmani (la popolazione più numerosa del paese) e gli armeni cristiani, concentrati soprattutto nella provincia di Nagorno-Karabakh: grazie anche all’appoggio fornito ai rivoltosi dalla confinante Armenia, nel 1997 essi ottennero lo statuto di provincia autonoma. La guerra civile in Georgia Altri scontri si ebbero in Georgia, dove nel 2003 si sfiorò la guerra civile, in seguito al tentativo degli osseti (una minoranza etnica divisa fra Georgia e Russia) di rendersi indipendenti riunendosi all’Ossezia settentrionale (compresa nei confini russi, a nord della Georgia). Nel 2008 le truppe georgiane invasero la regione, ma l’intervento dell’esercito russo fece cessare il fuoco e Mosca riconobbe l’indipendenza non solo dell’Ossezia del sud ma anche dell’Abcasia, altro territorio compreso nella Georgia. La guerra in Cecenia Di particolare gravità furono le vicende della Cecenia. Compresa nella Federazione russa, questa regione nel 1991 si proclamò indipendente contro la volontà di Mosca. Nel 1994 fu attaccata da truppe dell’esercito russo, che bombardarono ripetutamente la capitale Groznyi. Lo scontro durò molti anni e nel 1999 si allargò Un poliziotto porta in salvo un bambino dopo l’assalto nella scuola di Beslan, 2004 Gli attentati contro la popolazione civile caratterizzarono l’azione dei fondamentalisti ceceni: nell’ottobre 2002 un commando di quasi cinquanta terroristi, tra cui molte donne, fece irruzione nel teatro Dubrovka di Mosca e prese in ostaggio circa 700 spettatori che stavano assistendo a un musical. Dopo tre giorni scattò il blitz delle forze dell’ordine russe: i membri del commando vennero tutti uccisi, ma gli effetti dei gas tossici usati nell’azione provocarono la morte di molti ostaggi (il bilancio ufficiale parlava di 117 morti tra gli spettatori). Due anni dopo, destò particolare orrore nell’opinione pubblica mondiale il massacro avvenuto tra il 1° e il 3 settembre nella scuola numero 1 di Beslan. I terroristi ceceni occuparono l’intero edificio il primo giorno dell’anno scolastico, sequestrando oltre mille persone tra adulti e bambini. Costretti a stare ammassati nella palestra della scuola per tre giorni e ad assistere alle esecuzioni di molti tra loro, gli ostaggi furono liberati dall’irruzione delle forze speciali russe. Il bilancio del sequestro fu drammatico: 340 le vittime (più della metà bambini) e numerosissimi i feriti.

Capitolo 26 La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo al vicino Dagestan (anch’esso compreso nella Federazione russa), che fu occupato dai ceceni e da gruppi fondamentalisti islamici, al fine di trasformarlo in uno “Stato islamico caucasico”. Soprattutto a iniziare da questo momento la causa cecena sfociò nel terrorismo: assalto al Teatro Dubrovka di Mosca, finito tragicamente con l’intervento di corpi speciali e l’impiego di gas velenosi, che uccisero tutti i guerriglieri e 129 ostaggi (2002); donne kamikaze a Mosca (2003); bombe su aerei di linea (2004); assalto a una scuola di Beslan, capitale dell’Ossezia del nord (340 morti di cui 186 bambini, più 700 feriti). Il conflitto fu mal gestito dal governo e dall’esercito russo, che la comunità internazionale ha accusato di crimini di guerra come l’uso della tortura nei confronti dei prigionieri. Dal 2007 il movimento indipendentista non ha più fatto parlare di sé e nel 2009 la guerra è stata dichiarata conclusa.

26.4 L’Asia centrale fra comunismo, democrazia e islam Un’area strategica I cinque paesi ex sovietici dell’Asia centrale (Kazakistan, Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan) hanno un’importante funzione strategica poiché rappresentano la cerniera fra Occidente e Oriente, Nord e Sud. Soprattutto in questi paesi il rapporto fra eredità del comunismo e nuove tendenze democratiche, di per sé già difficile, è stato ulteriormente complicato dalla pressante influenza islamica, in particolare dei movimenti fondamentalisti, che non nascondono il progetto di imporre il proprio dominio sulla vasta regione e di raccogliere, in qualche modo, l’eredità sovietica. Per questo le maggiori potenze (non solo Russia e USA, ma anche la Cina) mantengono una vigile attenzione sulle vicende di questi Stati. La continuità politica Il maggiore dei paesi dell’Asia centrale, il Kazakistan, è stato protagonista di una transizione pacifica al nuovo regime, che ha garantito la continuità del gruppo dirigente (il presidente della repubblica è l’ex comunista Nursultan Nazarbaev, al governo dal 1991 e riconfermato nel 2011) instaurando buoni rapporti sia con la Russia sia con gli Stati Uniti. Il vecchio apparato politico comunista resistette anche nel Turkmenistan, un paese ricco di petrolio, di gas naturale e di cotone (di cui è il terzo produttore mondiale), dove dal 1991 al 2006 (anno della sua morte) si impose Saparmyrat Nyýazov con una dittatura autoritaria e repressiva fondata sul culto della personalità. Il nuovo governo (insediatosi nel 2007) ha esordito emanando una serie di provvedimenti economici e sociali volti a risollevare le condizioni di vita della popolazione turkmena e rafforzando il ruolo strategico (già importante) che il paese ha come detentore di fonti naturali d’energia. Il Tagikistan è governato dal 1994 da Emomalii Rahmonov, ex ministro durante il periodo sovietico e riconfermato presidente nel 2006 (nonostante i dubbi sulla validità delle elezioni avanzati dalle organizzazioni di controllo internazionale). Anche in Uzbekistan il potere è rimasto nelle mani della classe dirigente formatasi durante il periodo comunista. Particolarmente in quest’ultimo paese si sono avute tensioni con i gruppi islamici: l’insurrezione del 2005, duramente repressa dal presidente Islom Karimov (al potere dal 1990) con l’appoggio dell’esercito russo, è stata attribuita al gruppo fondamentalista di Al Qaeda (‘la rete’, ‘la base’). La comunità internazionale ha più volte criticato e denunciato il regime di Karimov per brogli elettorali, inosservanza dei più basilari diritti umani e per l’uso della tortura. Maggiore instabilità politica si è avuta nel Kirghizistan, un paese agricolo e pastorale, economicamente uno dei più deboli dell’Asia centrale, caratterizzato dalla presenza di molti gruppi etnici, organizzati secondo il sistema dei clan tribali. Nel 2010 grandi manifestazioni di protesta popolare hanno portato alla fuga Kurmanbek Bakiyev, al governo dal 2005, e all’insediamento di Roza Otunbayeva, la prima donna a diventare presidente di uno Stato della CSI. Nel 2011 è stato eletto il candidato del Partito social-democratico con un programma di politica filorussa.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

26.5 Una nuova collaborazione tra Russia e Stati Uniti Nuovi rapporti internazionali Il movimento riformatore introdotto da Gorbacˇëv nel mondo russo si accompagnò fin da subito a una politica estera di collaborazione con paesi un tempo avversari, in particolare la Cina (con cui da anni si erano interrotti i rapporti, 21.4), gli Stati Uniti, l’Europa Occidentale. Accordi di disarmo Tra il 1985 e il 1988 lo stesso Gorbacˇëv incontrò cinque volte il presidente americano Ronald Reagan; gli incontri e le trattative diplomatiche continuarono con il successore di questi, George Bush (1989-93). Un’importanza particolare ebbe il trattato firmato a Washington nel 1991, chiamato START 1 (STrategic Arms Reduction Treaty), nel quale le due parti si impegnarono a eliminare dall’Europa i missili nucleari, 860 da parte americana e 1750 da parte russa. Furono previste, inoltre, ispezioni di controllo alle basi di lancio e ai depositi di missili dei due paesi. Questo accordo fu giustamente definito di importanza storica, perché rappresentò il primo intervento reale ed efficace per la graduale eliminazione delle armi nucleari, la più terribile e spaventosa minaccia per la pace nel mondo.

Vladimir Putin e George Bush Jr.

La collaborazione USA-CSI Dopo l’abbandono della scena politica da parte di Gorbacˇëv, le buone relazioni con gli Stati Uniti furono proseguite dal presidente della Russia Boris Eltsin (1992-99). Egli cercò immediatamente l’appoggio del democratico Bill Clinton, divenuto presidente degli USA nel 1993 (e poi riconfermato per un secondo mandato fino al 2001), che lo sostenne nella difficile fase di transizione della Russia verso la democrazia. La collaborazione tra i due paesi si è da allora rafforzata in tutti i settori: disarmo, ricerca scientifica e tecnologica, cooperazione economica. Essa continuò con il nuovo presidente russo Vladimir Putin, ex uomo dei servizi segreti eletto nel 2000 e confermato nel 2004, e con il nuovo presidente americano George Bush Jr, del Partito repubblicano, eletto nel 2001 e confermato nel 2005. Tensioni e trattati Il “nuovo corso” dei rapporti Stati Uniti-Russia fu sancito anche sul piano militare, con la partecipazione del presidente Putin al vertice NATO del 2002 e la stipula di un accordo contro il terrorismo internazionale e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Nel 2007 la tensione tra Putin e la NATO però si riaccese, in concomitanza con il rinnovato interesse statunitense per un progetto di “scudo spaziale” da collocare in Europa, e l’accordò con la Russia saltò. Nel 2008 a Putin è succeduto come presidente della Federazione russa Dmitrij Medvedev, un suo fedelissimo, mentre lo stesso Putin ha ripreso la carica di Primo ministro che deteneva prima di diventare presi-

Testate nucleari sovietiche, 1991 [© Olympia-Publifoto]

Nel maggio 1991 furono distrutte ben 239 testate nucleari sovietiche (le Ss-23), montate su missili.

Capitolo 26 La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo dente: in tal modo egli continua a esercitare un ruolo nella vita politica del paese (anche se le elezioni del 2011 hanno sancito la perdita della maggioranza assoluta per il suo partito, evidenziando la crescente insofferenza per la sua gestione personalistica del potere). Frattanto, nel 2009 il Partito democratico è nuovamente tornato al governo a Washington, con la clamorosa elezione di Barack Obama, il primo politico di colore diventato presidente degli Stati Uniti. Nel 2010, a Praga, Obama e Medvedev hanno firmato un nuovo trattato contro la proliferazione delle armi nucleari: il New START, che ha sostituito il primo START, scaduto nel 2009. In questo nuovo accordo si è stabilito che ciascuno dei due paesi non può avere un arsenale nucleare che superi il numero massimo di 1550 testate e 800 tra missili balistici e sottomarini lanciamissili, diminuendo in maniera considerevole la capacità bellica delle due potenze.

26.6 La crisi del bipolarismo Il primato degli Stati Uniti La crisi dell’ideologia comunista e il crollo del sistema di potere sovietico provocarono un vero terremoto negli equilibri politici mondiali, determinando la crisi del sistema bipolare USA-URSS, attorno al quale si era venuta organizzando, nel corso del XX secolo, la vita della maggior parte dei paesi del mondo. Con la crisi del bipolarismo si affermò il primato degli Stati Uniti, rimasti, a iniziare dagli anni Novanta, la sola potenza in grado di influire in maniera incisiva sulle vicende del pianeta, sulla pace e sulla guerra. Ciò è risultato evidente nelle più recenti vicende del Medio Oriente, dove i maggiori problemi politici e militari (la questione palestinese, l’espansionismo iracheno e la “guerra del Golfo”, le guerre in Afghanistan e di nuovo in Iraq) sono stati in gran parte gestiti dagli Stati Uniti, che qualcuno ha voluto definire “il poliziotto del mondo”. Basti pensare che il bilancio per le spese militari USA è pari a due volte e mezzo la spesa militare complessiva di tutti gli altri paesi del mondo. Il modello americano L’affermazione degli Stati Uniti è avvenuta non solo sul piano militare e politico, ma economico e culturale: la grande capacità di sviluppo e l’innegabile efficacia del sistema “capitalista” statunitense ne hanno accresciuto il prestigio, e le istituzioni liberal-democratiche – pure con le pesanti contraddizioni che le hanno accompagnate – sono diventate un modello esportato nel mondo intero. Il fatto di essere rimasta l’unica superpotenza mondiale ha conferito agli Stati Uniti nuove responsabilità: sempre meno essi possono presentarsi al mondo come espressione di particolari interessi nazionali, o di una particolare alleanza politico-militare; a essi è ormai assegnato il compito di rappresentare la volontà collettiva, espressa principalmente dall’Assemblea generale dell’ONU (all’interno della quale, peraltro, gli americani inevitabilmente godono di una particolare influenza). Paradossalmente, dunque, la sconfitta del nemico storico – l’Unione Sovietica – ha ridimensionato la possibilità per gli USA di praticare nel mondo una politica di potenza autonoma. Per questo l’attacco statunitense all’Iraq, sferrato nel 2003 nonostante il parere contrario dell’ONU [ 30.6], ha creato perplessità e dissensi sull’operato degli USA. Il comunismo oggi Il modello di governo comunista, in progressiva crescita fino agli anni Settanta in molte parti del mondo, in seguito è vistosamente declinato. Oggi solo pochissimi paesi si rifanno esplicitamente all’ideologia comunista: Cina, Laos, Viet Nam, Cuba. Dell’esperienza sovietica resta ben poco: qualche traccia nei nuovi governi dei paesi ex sovietici; qualche traccia nel regime di Castro a Cuba, che peraltro si sta riavvicinando al tradizionale “nemico” americano. I paesi comunisti dell’Asia sud-orientale restano dittature chiuse in sé stesse. Diverso è il caso della Cina, dove l’ideologia comunista continua a ispirare l’azione politica, con risultati non privi di interesse, grazie anche all’innesto, prudente e parziale, di elementi tipici dell’economia capitalista come il profitto e il libero mercato, che introducono modificazioni dinamiche nel sistema. Si tratta certo di un’eccezione, ma di rilevantissima portata, se pensiamo alle dimensioni del “continente” cinese e al numero straordinariamente alto della sua popolazione, che supera il miliardo di persone.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Sintesi

La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo

Lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la nascita della CSI Gorbacˇ ëv proseguì la sua opera di rinnovamento proponendo di modificare il trattato tra gli Stati membri dell’URSS in modo da garantire maggiori autonomie e permettere la libertà di staccarsi dalla federazione. I conservatori tentarono un colpo di Stato, poi fallito, al quale si oppose una manifestazione di protesta guidata da Eltsin. In seguito proclamarono la loro indipendenza l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, l’Ucraina, la Georgia, l’Azerbaigian, allontanando il Partito comunista dal potere. Nel dicembre 1991 l’URSS cessò di esistere e fu costituita la CSI, una «comunità di Stati indipendenti» finalizzata alla cooperazione economica e politica. Dopo la dissoluzione dell’URSS Gorbacˇ ëv si dimise. Il risorgere dei nazionalismi nell’ex URSS Con la nascita della CSI si manifestarono alcuni problemi interni, legati alla ripartizione degli armamenti tra i singoli Stati e ai rapporti tra le autonomie delle singole realtà statali e il ruolo di coordinamento centrale della Comunità. Il crollo dell’URSS fece emergere il problema delle identità etniche e nazionali dei singoli Stati, in precedenza controllate e soffocate dal potere centrale sovietico. Le repubbliche europee crearono rapporti con i paesi dell’Occidente, specie con la Germania. Le repubbliche asiatiche e caucasiche furono caratterizzate dalla crescente pressione del mondo islamico. La rinascita dei nazionalismi provocò tensioni e conflitti spesso sanguinosi.

Conflitti nel Caucaso Nei paesi caucasici scoppiarono conflitti separatistici. In Azerbaigian si scontrarono azeri musulmani e armeni cristiani, che costituirono una provincia autonoma. In Georgia gli osseti si riunirono all’Ossezia settentrionale, l’esercito si oppose e solo dopo l’intervento russo le ostilità cessarono e fu riconosciuta l’indipendenza dell’Ossezia meridionale e dell’Abcasia (2008). Dopo la proclamazione unilaterale dell’indipendenza della Cecenia (1991), esplose un conflitto poi allargatosi al Dagestan e che coinvolse anche fondamentalisti islamici, caratterizzato da atti di terrorismo dei ceceni e da accuse di crimini di guerra verso i russi. Nel 2009 è stata dichiarata la conclusione del conflitto. L’Asia centrale fra comunismo, democrazia e islam Gli Stati ex sovietici dell’Asia centrale sono stati caratterizzati dal rapporto difficile tra eredità del comunismo, tendenza alla democratizzazione e influenza islamica, con il rischio di sviluppo del fondamentalismo che ha reso vigili Russia, USA e Cina. Il Kazakistan ha conservato il vecchio gruppo dirigente mantenendo buoni rapporti con Russia e USA. Il Turkmenistan, ricco di fonti di energia e cotone, dopo una dittatura repressiva, dal 2007 ha un nuovo governo che ha preso provvedimenti economici e sociali per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Il Tagikistan è governato da un ex ministro sovietico. L’Uzbekistan ha avuto momenti di tensione nel 2005, quando un’insurrezione, attribuita ai fondamentalisti islamici di Al Qaeda, è stata duramente repressa dal

regime di Karimov, già accusato di violazioni dei diritti umani. Il Kirghizistan, caratterizzato da un’economia povera e dalla presenza di diversi clan tribali, si contraddistingue per una maggiore instabilità politica. Nel 2010 si è insediata al governo Roza Otunbayeva, la prima donna presidente di uno Stato della CSI. Una nuova collaborazione tra Russia e Stati Uniti Dopo le riforme inaugurate da Gorbacˇ ëv, la Russia riprese a collaborare con Cina, Europa e USA. Nel 1991 con il trattato Start 1 USA e Russia si impegnarono per eliminare i missili nucleari in Europa. La collaborazione proseguì anche negli anni successivi tra Eltsin e Clinton, tra Bush e Putin, e tra Obama e Medvedev. Nel 2010 i due Stati hanno firmato il trattato New Start, che fissa un limite ai rispettivi arsenali nucleari. La crisi del bipolarismo Il crollo del blocco sovietico modificò gli equilibri politici mondiali. Gli Stati Uniti rimasero l’unica potenza mondiale e furono chiamati a gestire le crisi politiche e militari, soprattutto in Medio Oriente. Il primato statunitense determinò la necessità di agire nel rispetto della volontà dell’Assemblea generale dell’ONU, ridimensionando l’autonomia della politica estera americana. Il modello comunista rimase in vigore a Cuba, dove il regime di Castro si avvicinò agli USA, e nel Sud-est asiatico, caratterizzato da dittature chiuse. In Cina sul comunismo si sono innestati elementi ispirati all’economia capitalistica, come il profitto e il libero mercato, creando un sistema dinamico in rapida espansione.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

d. Il Tagikistan è un paese agricolo e pastorale, economicamente molto debole.

V

F

F

e. Georgia e Ucraina non aderirono alla CSI.

V

F

V

F

f. La comunità internazionale ha accusato il governo e l’esercito russo di crimini di guerra in Cecenia.

V

F

c. Il bilancio per le spese militari USA è pari alla spesa V militare complessiva degli altri paesi del mondo.

F

g. La CSI è una federazione con scopi di cooperazione economica e politica.

V

F

a. Eltsin aderì al colpo di Stato ideato da un gruppo di politici conservatori.

V

b. Il crollo dell’URSS fece emergere il problema delle nazionalità e delle identità etniche.

Capitolo 26 La fine dell’Impero sovietico e la crisi del bipolarismo

h. L’insurrezione avvenuta in Uzbekistan nel 2005 è stata attribuita al gruppo Al Qaeda.

V

F

i. L’attacco all’Iraq ha creato perplessità e dissensi sull’operato degli USA.

V

F

l. Bill Clinton sostenne Michail Gorbacˇëv nella transizione della Russia verso la democrazia. V

F

m. Le repubbliche del Caucaso furono sottoposte alla crescente pressione del mondo islamico.

V

n. La Cecenia si proclamò indipendente nel 1993 contro la volontà di Mosca.

2. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Islom Karimov

Kazakistan

Nursultan Nazarbaev

occupazione del Parlamento

George Bush Jr

Uzbekistan

F

Michail Gorbacˇëv

Start 1

V

F

George Bush

Partito repubblicano

o. Nel 2007 la tensione tra USA e Russia si riaccese.

V

F

Emomalii Rahmonov

scioglimento dell’URSS

p. I paesi che oggi si rifanno all’ideologia comunista sono Cina, Laos e Viet Nam.

V

F

Dmitrij Medvedev

New Start

q. Il Turkmenistan è un paese ricco di petrolio, gas naturale e cotone.

Boris Eltsin

Tagikistan

V

F

r. In Azerbaigian esplose lo scontro tra gli azeri musulmani e gli osseti cristiani.

Saparmyrat

Nyýazov Kirghizistan

V

F

Kurmanbek Bakiyev

servizi segreti

s. Il problema-chiave della CSI fu la ripartizione del controllo dell’apparato bellico.

V

F

Vladimir Putin

presidente della Federazione russa

Barack Obama

Turkmenistan

3. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1991

1. 2. 3. 4. 5. 6.

1993

1994

1997

1999

2000

assalto al teatro Dubrovka di Mosca il Nagorno-Karabakh ottiene lo status di provincia autonoma trattato New Start Bill Clinton diventa presidente degli Stati Uniti scioglimento dell’URSS elezione di Dmitrij Medvedev

2002

7. 8. 9. 10. 11. 12.

2003

2005

2008

2009

2010

insurrezione in Uzbekistan l’esercito russo attacca la Cecenia gli USA attaccano l’Iraq elezione di Vladimir Putin la guerra in Cecenia è dichiarata conclusa i ceceni occupano il Dagestan

4. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. arsenali • basi • capacità bellica • diminuzione • eliminazione • Bush • Europa • Gorbacˇëv • ispezioni • limiti • Medvedev • missili • nucleari • Obama • Praga • Russia • sottomarini • testate • URSS • USA • Washington

TRATTATI INTERNAZIONALI START 1

NEW START

QUANDO

1991

2010

DOVE

....................................................................................................................

....................................................................................................................

TRA CHI

....................................................................................................................

....................................................................................................................

CLAUSOLE

• .................................. dei .............................. dall’............................. • ......................................... ...... in ........................................................... e depositi

Fissazione di .................................. agli ........................... militari e al ............................. di ........................., ........................... balistici e .................................................................................... lanciamissili

Graduale .......... ................................................. degli armamenti

.............................................. della ...........................................................

....................................................................................................................

..............................................................................

CONSEGUENZE

delle due potenze

383

384

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando scoppiò il conflitto in Azerbaigian? Tra chi? Per quali cause? Quali furono i principali episodi? Quale fu l’esito finale del conflitto? 2. Quando scoppiò il conflitto in Georgia? Tra chi? Per quali cause? Quali furono i principali episodi? Quale fu l’esito finale del conflitto?

3. Quando scoppiò il conflitto in Cecenia? Tra chi? Per quali cause? Quali furono i principali episodi? Quale fu l’esito finale del conflitto? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

LE GUERRE NEL CAUCASO

QUANDO

PERCHÉ

TRA CHI

EPISODI CHIAVE

ESITO FINALE

AZERBAIGIAN

CECENIA

GEORGIA

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6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna.

1. Quali difficoltà interne hanno caratterizzato la nascita della CSI? 2. Che cosa ha caratterizzato la politica degli Stati ex sovietici dell’Asia centrale? 3. Che cosa è la CSI? Quali sono i suoi scopi? 4. Perché si è affermato il primato degli Stati Uniti? Quali conseguenze ha comportato? 5. In quali Stati è presente oggi il modello di governo comunista? Esistono delle differenze tra essi?

7. Leggi il documento “Dall’economia di Stato all’economia di mercato” a p. 377 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa si intende per economia pianificata? Che cosa si intende per economia di mercato?

2. Quali difficoltà economiche si manifestarono nei paesi ex sovietici dopo il crollo del comunismo? Quali reazioni si registrarono? 3. Che cosa era il Comecon? Che cosa provocò la sua caduta? Perché? Dove fu più evidente il fenomeno? 4. Quale era l’ammontare del debito pubblico della Germania riunificata nel 1994? 5. Quali riflessi ebbe il passaggio all’economia di mercato per l’industria automobilistica Sachsenring AG? 6. In quali casi l’adattamento al nuovo sistema economico avvenne rapidamente? 7. Che cosa accadde in Russia? Perché? 8. Quali furono le politiche economiche adottate da Eltsin? Quali conseguenze comportarono?

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

27 L’Italia che cambia

Capitolo

385

Percorso breve Negli anni ’50-60 del Novecento l’Italia si trasformò da paese agricolo in paese industriale. Il decollo fu favorito dai bassi salari degli operai e dalla debolezza dei sindacati, che lasciava mano libera agli imprenditori. Alla fine degli anni Sessanta il movimento sindacale si rafforzò, sostenuto dal Partito comunista, e un’ondata di scioperi e di conflitti attraversò il paese, incrociandosi con la protesta studentesca. Il mondo operaio strappò nuovi contratti collettivi e lo Statuto dei lavoratori (1970). Agli anni Settanta risalgono anche l’stituzione delle regioni e importanti conquiste civili come il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, il riconoscimento della parità fra donne e uomini, il servizio sanitario nazionale. La forza della contestazione operaia e studentesca suscitò allarme nella parte più conservatrice del paese, dando vita a un progetto neofascista per provocare il disordine sociale e favorire una svolta reazionaria. Fu avviata una “strategia della tensione” che si esplicava in clamorose stragi tra la folla, che nel 1969-74 (e ancora fino al 1980) insanguinarono l’Italia. Nei gruppi di estrema sinistra si consolidò allora l’idea della lotta armata e della guerra civile: attive furono soprattutto le Brigate rosse, che attuarono rapimenti, attentati, uccisioni. Di fronte alla gravità del momento le forze politiche si unirono dando vita a un governo di solidarietà che segnò l’ingresso dei comunisti nell’area di governo (1976). Massimo fautore di questa svolta riformatrice fu il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, che il 16 marzo 1978 fu sequestrato dalle BR, e poi ucciso. Negli anni successivi il terrorismo fu sconfitto dalle forze dell’ordine e dall’isolamento politico in cui il paese lo confinò. Negli anni Ottanta, la trasformazione dell’economia portò al declino della grande azienda e alla crisi della classe operaia, mentre era in forte espansione il settore terziario. Fu una seconda trasformazione epocale della società italiana, avvenuta (a differenza che in altri paesi) in tempi brevissimi, pochi decenni dopo il decollo industriale. Un terremoto politico avvenne dal 1992, in seguito alle indagini della magistratura sulla corruzione dei pubblici

Manifestazione sindacale unitaria, Roma 1969 [Berengo Gardin/Contrasto]

amministratori (fenomeno particolarmente grave in Italia, dove, a differenza che negli altri paesi democratici, era di fatto mancata un’alternanza al governo di forze diverse). L’ondata di arresti e di processi nota come “operazione Mani pulite” provocò la crisi dei partiti tradizionali, la dissoluzione della DC e la nascita di un nuovo bipolarismo, sancito da un nuovo sistema elettorale introdotto nel 1993, che favoriva le aggregazioni fra i partiti. Da allora in poi, con i governi di Silvio Berlusconi e di Romano Prodi, l’Italia sembra avere imboccato la via di una normale alternanza tra forze di centro-destra e di centro-sinistra.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

27.1 Lotte sindacali e movimento studentesco Il boom industriale La straordinaria crescita economica – il cosiddetto “boom” – che negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento accompagnò la trasformazione dell’Italia da paese agricolo in paese industriale [ 19.4] modificò profondamente la struttura sociale del paese, che già nel 1961 risultava composto in prevalenza di addetti all’industria. Essi costituivano il 40% della popolazione attiva, contro il 30% di addetti all’agricoltura e il 30% di impiegati nel settore terziario dell’economia (commercio, uffici, scuola, professioni, servizi). La forza e la rapidità dello slancio industriale furono facilitate, in quegli anni, dalla relativa debolezza del movimento sindacale, che consentì agli industriali di tenere bassi i salari degli operai e di concentrare tutti i capitali negli investimenti produttivi. Gli scioperi operai Sul finire degli anni Sessanta la situazione cambiò. Il movimento dei lavoratori, attraverso le sue rappresentanze sindacali e politiche e con l’appoggio del Partito comunista, si rafforzò e diede vita a una vasta campagna di scioperi che, tra il 1968 e il 1969, investì le principali industrie italiane (FIAT, Alfa Romeo, Montedison, Pirelli, Sit-Siemens): conflitti violenti e di ampie dimensioni, quali mai si erano verificati in precedenza. A iniziare dagli ultimi mesi del 1969 (periodo che fu detto “autunno caldo”), in occasione del rinnovo dei contratti di lavoro, si contarono duecento milioni di ore di sciopero nel giro di un anno.

Manifestazione del movimento studentesco, Milano 1970

La lotta studentesca La protesta operaia si saldò con il movimento studentesco, che contestava radicalmente la società dei consumi [ 23.1]. Tra il 1967 e il 1969 numerose università furono occupate e scontri violenti furono ingaggiati con le forze dell’ordine. Il movimento, che inizialmente aveva mantenuto un carattere pacifico, rapidamente si militarizzò, adottando un linguaggio rivoluzionario e dando vita a numerosi gruppi armati (Avanguardia operaia, Lotta continua, Potere operaio, ecc.) che proponevano la violenza come strumento di lotta per abbattere il “capitalismo borghese”. Al tempo stesso questi gruppi della “sinistra extraparlamentare”, come furono detti, perché ideologicamente contrari alla logica e ai meccanismi del liberalismo democratico, contestavano duramente i partiti storici della sinistra, soprattutto il Partito comunista, accusato di avere ormai smarrito la propria carica rivoluzionaria. La connessione tra il movimento studentesco e quello operaio fu tipica dell’Italia e fece sì che nel nostro paese i conflitti sociali assumessero una forza e una durata altrove sconosciute, prolungandosi fin oltre la metà degli anni Settanta.

Alcuni slogan della sinistra extraparlamentare

Capitolo 27 L’Italia che cambia

387

Lo Statuto dei lavoratori Le rivendicazioni operaie, frattanto, ottennero importanti risultati sul piano politico e legislativo: i nuovi contratti collettivi contemplarono aumenti salariali, limitazioni dell’orario di lavoro, controlli sulla sicurezza e sull’igiene delle fabbriche. Nel 1970 il governo approvò una legge, detta Statuto dei lavoratori, che fissava le norme fondamentali in difesa dei diritti sindacali e consentiva, per la prima volta, piena libertà di organizzazione all’interno dei luoghi di lavoro. L’articolo 8, per esempio, vietava «al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore». L’unità sindacale Negli anni successivi il movimento sindacale allargò la sfera dei propri interventi al campo assistenziale e a quello dei diritti civili (casa, sanità, istruzione) e assunse un ruolo centrale nella vita politica italiana: ciò anche grazie all’unità di azione che le tre organizzazioni sindacali (CIGL, CISL, UIL, la prima a ispirazione prevalentemente comunista, la seconda cattolica, la terza socialista) seppero realizzare in quegli anni.

Paesi

1964

1968

1970

In Italia i salari più bassi

Italia

199

238

329

Francia

235

304

341

Paesi Bassi

258

356

431

Belgio

274

359

418

La tabella a fianco mostra i salari medi degli operai dell’industria nei principali paesi della Comunità Europea dal 1964 al 1970: dalle cifre, “tradotte” in euro, risulta che i salari più bassi sono quelli italiani.

Germania Occ.

323

402

557

[da «Politica ed Economia»]

27.2 Riforme amministrative e civili. Il movimento femminista Nascono le regioni Ancora nel 1970 furono varate dal governo importanti riforme amministrative e civili. Per migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione e favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica fu attuato l’istituto delle regioni (previsto dalla Costituzione ma non ancora messo in pratica) a cui furono decentrate molte funzioni dello Stato. Il referendum per il divorzio Al 1970 risale inoltre l’istituzione del divorzio, poi approvata da un referendum popolare nel 1974. Questo referendum – il primo nella storia dell’Italia repubblicana – costituì, al di là del tema dibattuto e al di là dell’esito della votazione, un importante momento di crescita civile del paese, soprattutto perché i cittadini si sentirono personalmente coinvolti nelle scelte riguardanti la propria vita. Il femminismo L’istituzione del divorzio nel 1970 fu solo un aspetto di un più generale fenomeno, tipico di quegli anni: la crescita del movimento femminista, che rivendicò la parità di diritti tra uomini e donne nella vita familiare, nel campo del lavoro, nei diritti sociali, nella partecipazione politica. Tali rivendicazioni portarono a una riforma del diritto di famiglia (1975) che stabilì la parità di diritti fra i coniugi (in precedenza si dava per scontato che la donna fosse subordinata all’uomo). Un’altra legge stabilì la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (1977).

Le donne dicono «no», 1974 Immagine di propaganda a favore del divorzio, in Italia all’epoca del referendum del 1974, dalla copertina della rivista femminista «Effe».

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Le vie della cittadinanza

Unità e decentramento: Stato e regioni

N

el 1861, quando si formò l’Italia, uno dei primi problemi che si presentò fu quello di creare un ordinamento valido per l’intero territorio nazionale, cioè uno Stato unico che sostituisse i diversi Stati esistiti fino a quel momento nelle varie zone del paese. Nel compiere tale opera si seguì il criterio della centralizzazione: nel timore che le diversità regionali, così vive nella tradizione politica dell’Italia, mettessero in pericolo la fragile unità del paese, si volle che il nuovo Stato lasciasse scarso spazio ai poteri locali e riunisse saldamente al centro le funzioni e i servizi essenziali. La centralizzazione dello Stato giunse al suo estremo durante la dittatura fascista, che annullò qualsiasi autonomia e represse le diversità locali. La Costituzione repubblicana del 1948, invece, accolse l’esigenza di creare un

ordinamento decentrato, cioè di trasferire molte funzioni dello Stato agli organi periferici. Si creò pertanto l’istituto delle regioni, che fu attuato dapprima con Statuti speciali, nelle aree di confine e nelle isole: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige nel 1948, FriuliVenezia Giulia nel 1963; nel 1970 esso fu esteso a tutta l’Italia. L’ordinamento e le funzioni delle regioni sono precisati negli articoli 114-133 della Costituzione italiana. Le principali aree di competenza sono la gestione dell’assistenza sanitaria e degli ospedali, le strade e i lavori pubblici, il turismo, l’istruzione professionale e artigianale, la caccia e la pesca, l’agricoltura. I rapporti fra Stato, regioni ed enti locali è stato ridefinito da una legge del 2001 che ha riformato il Titolo V della Costituzione, ampliando il

BZ TN AO

MI

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oni a statuto speciale

GE

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Roma

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potere legislativo delle regioni. Naturalmente, l’ordinamento regionale non deve contrastare con l’unità e la solidarietà nazionale; al contrario deve rafforzarle, creando un sistema organico e armonico di funzioni. Accese discussioni hanno contrapposto, nel presente e nel passato, le parti politiche riguardo alle funzioni che lo Stato deve delegare alle autonomie locali. Nel novembre 2005 fu presentata una riforma sostanziale della II parte della Costituzione che, in pratica, ambiva alla trasformazione dell'Italia in uno Stato federale. Il 25 e 26 giugno 2006 il popolo italiano è stato chiamato alle urne per decidere se accettare o meno questa riforma e ha votato per la sua bocciatura. Il coordinamento fra le funzioni amminiAO è esercistrative regionali e quelle statali MI tato da un Commissario del Governo, che TO risiede nel capoluogo della Regione. Gli organi dell’ente regione sono assai simili a quelli dello Stato: un Consiglio con GE funzioni legislative (come il Parlamento); una Giunta con funzioni esecutive (come il Governo); un Presidente della Giunta che, a somiglianza del Presidente del Consiglio dei ministri, dirige il governo regionale, e a somiglianza del Presidente della Repubblica promulga le leggi. Il Consiglio regionale è eletto dai cittadini, con un sistema del tutto simile a quello vigente per la Camera dei deputati. Il denaro occorrente alle regioni per svolgere le loro funzioni viene assegnato dallo Stato, che lo preleva dalle imposte versate dai cittadini. Tale denaro viene amministrato da ogni regione in maniera autonoma.

CB

CA

BA NA

CA

PZ

CZ PA

Le regioni e le province italiane

Regioni a statuto speciale Province autonome

BZ TN

BO FI

Capitolo 27 L’Italia che cambia La tutela sanitaria Qualche anno dopo (1978) fu approvata la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, una riforma che estendeva a tutti i cittadini indistintamente l’assistenza medica e ospedaliera, quasi completamente gratuita. Altra importante battaglia fu quella sull’aborto, che, essendo vietato dalla legge, era praticato clandestinamente, con gravi pericoli per la salute delle donne. Nel 1978 il Parlamento approvò una legge che consentiva – in presenza di determinate situazioni – l’aborto nelle strutture sanitarie pubbliche; la legge fu confermata da un successivo referendum popolare. La parità di genere Il tema delle “pari opportunità”, cioè lo studio delle modalità concrete per realizzare la parità fra uomini e donne nella partecipazione alla vita pubblica, non è certo risolto una volta per tutte ed è costantemente all’attenzione dei movimenti femministi e dei legislatori. Ma non c’è dubbio che, almeno su un piano di principio, l’emancipazione sociale e giuridica della donna possa ormai ritenersi un fatto compiuto.

27.3 La “strategia della tensione” La sinistra si consolida L’orientamento progressista di gran parte della società italiana, consolidato dai successi sindacali e confermato dal risultato del referendum sul divorzio, si tradusse nei primi anni Settanta anche in un rafforzamento elettorale delle forze di sinistra: le elezioni amministrative del 1975 e quelle politiche del 1976 segnarono un forte avanzamento del Partito comunista, che superò il 30% dei voti mettendo per la prima volta in discussione il primato della Democrazia cristiana. Nel frattempo si sviluppavano gruppi di estrema sinistra, sorti dal movimento studentesco e operaio del 1968-69, che rifiutavano il riformismo dei partiti storici della sinistra (PCI, PSI) e prospettavano un sovvertimento radicale del sistema, da attuare anche mediante l’uso della violenza.

I tempi della storia Conquiste femminili in Italia In Italia, dall’ultimo dopoguerra a oggi, la condizione delle donne si è lentamente ma radicalmente modificata, raggiungendo, almeno sul piano giuridico, una totale parità di diritti con gli uomini. Queste le tappe fondamentali di tale evoluzione. 1946 Le donne conquistano il diritto di voto. 1950 Varata la legge che tutela le donne lavoratrici e madri. 1963 Il matrimonio non è più ammesso come causa di licenziamento. 1965 Alle donne è consentito intraprendere la carriera di magistrato (prima riservata ai soli uomini). 1969 L’adulterio femminile non è più considerato reato. 1970 Viene approvata la legge sul divorzio. 1971 La Corte costituzionale cancella l’articolo del Codice civile che punisce la propaganda di anticoncezionali. 1971 Sono istituiti gli asili nido comunali.

1975 Riforma del diritto di famiglia: d’ora in poi nel matrimonio vige l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale. Sono istituiti i consultori familiari. 1977 È riconosciuta la parità di trattamento tra donne e uomini in materia di lavoro. Per la prima volta una donna, Tina Anselmi, è nominata ministro. 1978 È approvata la legge sull’aborto assistito. 1979 Nilde Jotti diventa presidente della Camera. 1981 Il motivo dell’onore non è più un’attenuante nell’omicidio della coniuge infedele. 1983 La Corte costituzionale stabilisce la parità tra padri e madri circa i congedi dal lavoro per accudire i figli. 1986 La Commissione nazionale per la parità uomo-donna elabora il “Programma azioni positive”: aziende e sindacati devono tutelare accesso, carriera e retribuzione femminili.

1989 Le donne sono ammesse nella magistratura militare. 1990 Per legge, anche le libere professioniste possono godere dell’indennità di maternità. 1991 Approvata la legge sulla parità tra uomo e donna, detta delle “pari opportunità”. Incentivi alle imprese che favoriscono le donne. 1992 La legge stabilisce che il 30 per cento dei candidati nelle liste per le elezioni amministrative siano donne. 1996 Lo stupro è riconosciuto come delitto contro la persona (e non contro la morale, come in precedenza). 2003 Una legge modifica l’art. 51 della Costituzione, che stabilisce la parità di diritti fra maschi e femmine nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, aggiungendo che «a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo Strage alla stazione di Bologna, 1980 Una veduta della sala d’attesa completamente distrutta dall’esplosione.

La Parola

loggia massonica La Massoneria, associazione di liberi pensatori sorta in Europa nel XVIII secolo [ vol. 2, 8.3], all’insegna di princìpi illuministi quali la fratellanza, la ricerca della verità, il perfezionamento etico degli individui, è suddivisa in sezioni o “logge” più o meno legate fra loro in maniera gerarchica e più o meno tenute all’obbligo della segretezza sull’identità degli affiliati. Proprio sfruttando il principio della segretezza, è potuto in qualche caso accadere che una loggia abbia elaborato progetti occulti di tipo sovversivo: fu questo il caso della loggia P2 (abbreviazione di “Propaganda 2”) diretta dal finanziere Licio Gelli, che ebbe parte attiva nella “strategia della tensione” degli anni Settanta in Italia. La loggia fu sciolta nel 1982 per decisione del Parlamento.

L’eversione neofascista Lo sviluppo della contestazione studentesca e operaia e il crescere dell’ondata progressista suscitarono allarmi e timori nella parte più conservatrice del paese. In questo clima si verificò una collusione di forze eversive – estremisti di destra, settori deviati dei servizi segreti, associazioni segrete come la loggia massonica P2 – che, con la probabile complicità di forze internazionali, misero in atto un progetto di stampo neofascista, volto a destabilizzare la vita del paese per favorire una svolta reazionaria. Le stragi Stragi indiscriminate tra la folla tentarono di gettare il paese nel caos, di far credere che lo Stato democratico fosse impotente a mantenere l’ordine e a proteggere i cittadini e che, pertanto, fosse necessario instaurare un nuovo regime, forte e autoritario. Il primo atto di questa “strategia della tensione” – come fu chiamata – si ebbe il 12 dicembre 1969, durante la lotta contrattuale degli operai metalmeccanici: una bomba esplose a Milano in piazza Fontana, nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura, provocando 16 morti e 90 feriti. Altre bombe scoppiarono nel 1973 alla questura di Milano; nel 1974 in piazza della Loggia a Brescia, durante un comizio sindacale; ancora nel 1974 sul treno Italicus, fra Bologna e Firenze. Per nessuna di quelle stragi fu possibile identificare mandanti e responsabili, grazie anche alle coperture e alle complicità di cui il terrorismo godette presso certi settori dell’apparato statale. Solo per il tragico attentato nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, che il 2 agosto 1980 fece 85 morti e oltre 200 feriti, la magistratura ritenne, molti anni dopo, di poter individuare gli esecutori in un piccolo gruppo di estremisti neofascisti.

27.4 Il terrorismo brigatista La lotta armata La “politica delle stragi” accentuò nei gruppi di estrema sinistra la convinzione che si stesse vivendo in Italia il momento decisivo della lotta di classe, che avrebbe portato o all’instaurazione di un governo reazionario o alla vittoria del proletariato. L’idea della lotta armata e della guerra civile, già accarezzata da alcuni gruppi, si fece più consistente e portò alla nascita di diverse formazioni armate clandestine, come i Nuclei armati proletari, Prima linea e, particolarmente attive, le Brigate rosse. Esse compirono sequestri, attentati, uccisioni di uomini politici, magistrati, carabinieri: azioni volte a colpire – come si disse – il “cuore dello Stato”.

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Gli “anni di piombo” Far crollare lo Stato era appunto lo scopo di questi terroristi, i quali, con le loro imprese delittuose, confusamente ispirate ad astratte idee di giustizia sociale, si illudevano di trovare il consenso delle masse e di preparare la “rivoluzione sociale”. Analoghe formazioni terroristiche operarono in quegli “anni di piombo” – come furono chiamati – in altri paesi europei: in Germania il gruppo RAF (Rote Armee Fraktion, ‘Frazione dell’Armata Rossa’) si proponeva, come le Brigate rosse in Italia, la rivoluzione comunista; in Irlanda del Nord e in Spagna, i gruppi terroristici perseguivano progetti indipendentistici: l’IRA (Irish Republican Army, ‘Esercito repubblicano irlandese’) mirava a staccare l’Ulster dal Regno Unito; l’ETA (Euskadi ta Askatasuna, ‘Paese Basco e Libertà’) voleva conquistare l’indipendenza del Paese Basco dal governo di Madrid. La crisi economica A rendere ancora più tormentata la situazione italiana di quegli anni si aggiunse la grave crisi economica, legata all’aumento del prezzo del petrolio, che colpì il mondo industrializzato a iniziare dal 1973 [ 23.2]. La crisi ebbe contraccolpi durissimi in Italia: lo sviluppo si interruppe, ricomparve la disoccupazione, il prezzo di tutti i beni di consumo aumentò rapidamente, con un tasso annuo di inflazione che salì fino al 20% e oltre. Il governo di “solidarietà nazionale” La drammatica situazione spinse le forze politiche a unirsi per fronteggiare il pericolo con la massima efficacia. Si formò pertanto nel 1976 un governo di “solidarietà nazionale”, a guida democristiana, sostenuto da tutti i principali partiti, compreso quello comunista di cui era segretario Enrico Berlinguer (1922-1984). Pareva in tal modo realizzarsi l’incontro tra le forze popolari comuniste e cattoliche, quello che lo stesso Berlinguer aveva chiamato “compromesso storico”. Paradossalmente, la politica delle stragi e il terrorismo – volti entrambi, da opposte posizioni ideologiche, a bloccare lo sviluppo democratico in Italia e a impedire l’accesso al potere delle forze riformiste – finì per provocare esattamente il contrario, cioè l’ingresso del PCI nell’area di governo, dopo trent’anni di opposizione. L’assassinio di Aldo Moro L’esperimento ebbe vita breve e terminò nel 1979 con l’uscita dei comunisti dalla maggioranza. Al fallimento dell’operazione concorse in misura decisiva la scomparsa dalla scena politica dell’uomo che più di ogni altro aveva sostenuto la necessità di coinvolgere i comunisti nel governo: Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, sequestrato dalle Brigate rosse (dopo l’uccisione di cinque uomini della scorta) il 16 marzo 1978, il giorno stesso in cui il governo del “compromesso storico” si presentava in Parlamento per ricevere la fiducia. Dopo 55 giorni di prigionia, Moro fu ucciso e il suo cadavere fu fatto ritrovare nel portabagagli di un’automobile parcheggiata in via Caetani a Roma, esattamente a metà strada fra la sede nazionale della DC e quella del PCI. La simbologia del messaggio non poteva essere più chiara: le Brigate rosse combattevano la dimensione “parlamentare” della lotta politica e l’accordo delle forze storiche della sinistra con i “nemici di classe”. In seguito, la vicenda Moro rivelò inquietanti connivenze tra terrorismo di sinistra, delinquenza comune, servizi segreti e trame politiche. Essa resta a tutt’oggi una delle pagine più oscure e drammatiche della vita della repubblica. I delitti D’Antona e Biagi Agli inizi degli anni Ottanta il terrorismo brigatista fu finalmente sconfitto, sotto i colpi delle forze dell’ordine e nel totale isolamento morale e politico a cui esso fu costretto dalla compattezza

Il leader della DC Aldo Moro durante la prigionia, Roma 1978

Strage di via Fani, 1978 Il 16 marzo 1978 le Brigate rosse rapirono Aldo Moro (che verrà ucciso dopo 55 giorni di prigionia). Durante il rapimento furono uccisi tutti gli uomini della sua scorta.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo del paese. Ultimi colpi di coda delle Brigate rosse furono, molti anni dopo, gli assassinii di Massimo D’Antona (1999) e di Marco Biagi (2002), consulenti del governo per le questioni del lavoro.

27.5 La lotta contro la criminalità organizzata Lo “Stato nello Stato” Dopo la sconfitta del terrorismo brigatista, il principale problema dell’Italia rimase quello della delinquenza organizzata, ossia delle associazioni criminali – mafia, camorra, ‘ndrangheta – che soprattutto a iniziare dagli anni Settanta hanno di fatto espropriato l’autorità statale in intere zone del paese (particolarmente la Sicilia, la Campania e la Calabria), assoggettando la popolazione con metodi terroristici e instaurando quasi uno “Stato nello Stato”. Lo sviluppo delle organizzazioni criminali, peraltro, è stato possibile anche grazie alle connivenze con settori del mondo politico e della pubblica amministrazione. Negli anni Sessanta esse si sono arricchite attraverso il controllo della speculazione edilizia; in seguito hanno prosperato soprattutto sul commercio delle armi e della droga. Il contrasto al crimine organizzato Un’efficace azione contro queste associazioni criminali (a cui si era aggiunta anche la Sacra Corona Unita pugliese) fu intrapresa agli inizi degli anni Novanta, sia attraverso azioni repressive condotte dalle forze dell’ordine (carabinieri e polizia), sia attraverso indagini giudiziarie favorite dal diffuso fenomeno del “pentitismo”, cioè la collaborazione di vari affiliati alle associazioni criminali, che, una volta arrestati, forniscono ai magistrati informazioni utili per conoscere meglio l’organizzazione della malavita e procedere ad altri arresti. A ricompensa della collaborazione, lo Stato offre ai “pentiti” la sua protezione e un alleggerimento della pena. In tal modo si è rotto il meccanismo dell’omertà – il silenzio dei testimoni e la mancanza di collaborazione con la giustizia – che per lungo tempo è stato il principale motivo di difficoltà nella lotta alla mafia e alle altre organizzazioni criminali.

La strage di Capaci, 23 maggio 1992 Uno dei più terribili attentati mafiosi è stata la strage di Capaci del 1992 nella quale persero la vita i coniugi Falcone e tre uomini della scorta.

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Guerra allo Stato In questa lotta hanno perso la vita eminenti personalità dello Stato come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, già messosi in luce per le indagini sull’assassinio di Aldo Moro, ucciso dalla mafia nel 1982, e i giudici Giovanni Falcone con la moglie e tre agenti di scorta e Paolo Borsellino con i suoi cinque agenti, uccisi nel 1992 in due attentati che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica italiana.

27.6 L’Italia post industriale Il “pentapartito” Le elezioni anticipate del 1979, rese necessarie dall’uscita dei comunisti dalla maggioranza, segnarono la ripresa delle forze moderate e la formazione di un governo detto “pentapartito”, perché basato sulla collaborazione di cinque partiti – democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali – che, con varie formule e aggregazioni, tennero le redini della vita politica italiana per tutti gli anni Ottanta. L’egemonia della DC era comunque cessata e il “polo laico” – come era chiamato l’insieme dei partiti di ispirazione non cattolica – fece sentire maggiormente la sua forza. Si ebbero pertanto, a iniziare dal 1981, dei governi a guida non democristiana, i primi nella storia della repubblica. In particolare il Partito socialista, guidato da Bettino Craxi, mise a frutto in quegli anni la sua posizione di forza (senza il suo appoggio era numericamente impossibile qualsiasi maggioranza di governo) e riuscì a conquistare molti posti direzionali non solo nell’ambito politico ma in quelli dell’economia, della finanza, dell’informazione. Lo stesso Craxi diventò – dopo il repubblicano Giovanni Spadolini (1981-82) – presidente del Consiglio e capo del governo, dal 1983 al 1987. Il potere degli imprenditori Anche sul piano economico gli anni Ottanta furono caratterizzati da una ripresa delle tendenze conservatrici: le forze della sinistra operaia – in primo luogo i sindacati – furono progressivamente escluse dalla gestione del potere, che tornò saldamente in mano al ceto imprenditoriale. La FIAT, per esempio, poté praticare il licenziamento di migliaia di lavoratori per realizzare una riconversione dell’azienda secondo i nuovi metodi di produzione che andavano ovunque affermandosi: ridurre la manodopera salariata in favore delle macchine robotizzate a controllo elettronico. Lo stesso si verificò in altre grandi aziende, soprattutto nel settore siderurgico (cantieri navali di Genova, acciaierie di Piombino, ecc.). Cambiano i modelli economici Tali mutamenti riflettevano l’importante trasformazione economica che era in atto in Italia, come altrove, negli anni Ottanta: il declino della grande azienda e lo sviluppo delle aziende medie e piccole, più facilmente adattabili agli andamenti del mercato sia per la capacità di modificare rapidamente, in base alla richiesta, tempi e ritmi di produzione, sia per la maggiore elasticità nei rapporti fra imprenditori e operai, meno vincolati a obblighi contrattuali e sindacali. Diminuiva, Lavoratori suddivisi per settori sul totale della popolazione attiva, 1960-91

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In questa foto, a sinistra, Giulio Andreotti, potente e prestigioso leader democristiano, di scena sin dalla fondazione della repubblica; a destra, Bettino Craxi, segretario del PSI dal 1976 al 1993, che è stato il primo presidente socialista del Consiglio (1983-87), ma anche il più discusso uomo politico del decennio.

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Agricoltura Agricoltura Industria Industria ServiziServizi

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo peraltro, nell’insieme il numero degli addetti all’industria, dato il generale cambiamento dei sistemi di produzione e di distribuzione, collegato allo sviluppo dell’automazione e dell’informatica.

Lo sviluppo del terziario e la crisi della classe operaia In espansione erano invece altri settori e principalmente quello dei servizi intermedi, il “terziario”. Poche cifre sono sufficienti per illustrare il fenomeno: nel 1990, rispetto a vent’anni prima, l’occupazione nell’industria era scesa in Italia dal 40 al 32%; gli addetti al terziario erano saliti dal 30 al 60%. L’agricoltura, sempre più marginale nell’economia del paese, occupava ormai meno del 10% della popolazione attiva. Tutto questo modificò profondamente la struttura della società: la classe operaia era numericamente diminuita e di conseguenza si era indebolita la sua forza politica nelle organizzazioni sindacali e di partito. L’operaio inteso come forza-lavoro manuale era sempre meno richiesto dall’industria, che preferiva l’operaio specializzato, il tecnico capace di far funzionare le macchine e di controllarne il lavoro. Una seconda trasformazione epocale In pochi decenni l’Italia aveva attraversato due radicali trasformazioni, da società agricola a società industriale, e poi a società “terziaria” o post industriale, con protagonisti non più i contadini e, ora, neppure più gli operai, ma gli addetti alle telescriventi, ai computer, alle comunicazioni, alle informazioni, all’organizzazione sanitaria, al commercio. Anche la rapidità di tali cambiamenti concorre a spiegare le difficoltà e le contraddizioni che negli ultimi decenni hanno segnato la vita della società italiana.

Contrattazioni in Borsa Nei paesi economicamente più sviluppati le persone impiegate nel settore dei servizi superano numericamente gli addetti all’industria: nelle aree più ricche dell’Europa i lavoratori impiegati nel terziario superano anche il 70% del totale.

I modi della storia

27.7 Tangentopoli e la crisi dei partiti storici La corruzione In Italia per oltre quarant’anni, da quando cioè era nata la repubblica, la scena politica si presentò fissa e a tratti immutabile: da una parte la Democrazia cristiana (sempre al potere), dall’altra il Partito comunista (sempre all’opposizione su scala nazionale, anche se governava in diverse regioni e amministrazioni locali). In questo clima di immobilismo politico si formò e si diffuse, soprattutto dagli anni Settanta in

L’economia italiana e l’Unione Europea

Facendo parte dell’Unione Europea (di cui è stata uno dei paesi fondatori) l’Italia è tenuta, come gli altri paesi membri, ad applicare le leggi e i regolamenti adottati dall’Unione. In caso di conflitto, il diritto comunitario prevale su quello nazionale. Tuttavia, per rispettare la sovranità di ciascuno Stato, le decisioni del Consiglio e della Commissione devono essere prese all’unanimità. Le maggiori difficoltà si verificano quando si tratta di programmare la produzione agricola e industriale, destinando risorse a questa o a quella attività. In questi casi gli interessi nazionali possono scontrarsi, perché ogni paese ha una sua specifica situazione economica: certi paesi, come l’Italia o la Francia, hanno una forte presenza di piccole aziende agricole e artigianali, mentre in altri paesi, come la Germania o l’Olanda, il

controllo della grande industria sul processo di produzione è quasi totale. Inoltre è diversa, nei vari paesi, l’importanza dell’agricoltura rispetto all’industria, per cui, di fatto, incentivare certe produzioni e non altre significa indirizzare gli aiuti a certi paesi piuttosto che ad altri. Gli interessi generali possono talora prevedere sacrifici per l’economia di certi paesi. Sul piano industriale, un caso emblematico fu la riduzione della produzione siderurgica italiana, che il governo europeo negli anni Settanta-Ottanta ordinò di tagliare drasticamente: in quegli anni, infatti, la domanda era molto calata, a causa della progressiva sostituzione del ferro e dell’acciaio con la plastica, e anche per le crescenti importazioni dai paesi in via di sviluppo. La decisione di diminuire la produzione, ineccepibile dal punto di vista economico, creò grossi problemi sul

piano sociale, provocando una grave crisi di disoccupazione. I problemi insomma non mancano, ma non è certo possibile affrontarli chiudendosi in una visione “nazionale” dell’economia, oggi del tutto superata. L’economia oggi si muove in una dimensione mondiale, ed è solo rafforzando l’integrazione comunitaria che l’Europa può accrescere la sua vitalità economica e politica, diventando sempre più competitiva rispetto alle potenze tradizionali (in primo luogo gli Stati Uniti) e a quelle emergenti (i paesi in via di sviluppo). I risultati nell’insieme sono incoraggianti: l’Unione Europea attualmente controlla un terzo del mercato mondiale, e la sua moneta, l’euro, ha acquisito un tale prestigio da competere con il dollaro come moneta di riferimento per gli scambi e gli investimenti internazionali.

Capitolo 27 L’Italia che cambia

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poi, un ampio fenomeno di corruzione dei pubblici amministratori, molti dei quali approfittavano della loro posizione per imporre “tangenti” (percentuali sul guadagno) a tutti coloro che fornivano merci e servizi agli enti pubblici: a loro volta, le imprese interessate a tali forniture cercavano di garantirsi con l’esborso di denaro l’appoggio e la protezione dei politici. Questo fenomeno di malcostume, segno di una diffusa immaturità civile oltre che di disonestà, trasformò l’Italia – come si disse – in una grande Tangentopoli ovvero “città delle tangenti”.

L’inchiesta Mani pulite e la crisi politica Soprattutto a iniziare dal 1992, un gruppo di magistrati milanesi coordinati dal procuratore Saverio Borrelli denunciò il fenomeno attraverso accurate indagini, da cui derivò un’ondata di clamorosi arresti di personaggi politici. In seguito a tale operazione, a cui fu dato il suggestivo nome di “Mani pulite”, il panorama politico italiano si trasformò rapidamente. Quasi tutti i partiti storici (dalla DC al PSI, dal PCI ai gruppi minori) entrarono in crisi, mentre apparvero sulla scena nuovi o rinnovati movimenti: Forza Italia, Lega nord, Alleanza nazionale, Partito popolare italiano, Verdi, Partito democratico della sinistra, Rifondazione comunista, ecc. La dissoluzione della DC, frammentata in diversi partiti, orientati alcuni a destra, altri a sinistra, fu il risultato più clamoroso di questo cambiamento. Il nuovo bipolarismo Nel 1993, a seguito dei risultati del referendum indetto per modificare il sistema elettorale secondo il principio “maggioritario”, si affermò una nuova tendenza all’aggregazione dei gruppi politici in due schieramenti alternativi, uno di centro-destra, uno di centro-sinistra. La vera novità, rispetto al passato, consisteva nell’esistenza di una reale alternativa, poiché entrambe le formazioni avevano la concreta possibilità di andare al governo.

27.8 Il quindicennio berlusconiano L’alternanza tra Berlusconi e Prodi Nelle elezioni del 1994 si affermò lo schieramento di centro-destra, guidato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, che in pochi mesi aveva costruito dal nulla un nuovo partito, denominato “Forza Italia”, affidandone il successo alla pubblicità televisiva più che al radicamento sul territorio. I disaccordi interni alla maggioranza provocarono però una crisi politica e portarono a nuove elezioni nel 1996. Da queste uscì vincente una coalizione di centro-sinistra capeggiata da Romano Prodi (sostituito nel 1998 da Massimo D’Alema, segretario dei Democratici di sinistra), che affrontò il difficile problema del risanamento economico e finanziario, consentendo all’Italia di entrare nella comunità dell’euro.

La Parola

maggioritario /proporzionale I meccanismi elettorali, diversi da paese a paese, sono fondamentalmente di due tipi: il sistema “proporzionale” prevede che ogni partito ottenga in Parlamento un numero di seggi calcolato in base al numero dei voti ricevuti; il sistema “maggioritario” prevede invece che in ogni circoscrizione elettorale venga eletto un solo parlamentare, quello che ha ottenuto più voti. Il primo sistema (proporzionale) garantisce meglio le specificità e l’identità dei vari gruppi politici, ma ha lo svantaggio di moltiplicare il numero dei partiti e di rendere più difficile la costituzione di maggioranze stabili di governo. Il secondo sistema (maggioritario) penalizza i gruppi minori, ma, favorendo l’aggregazione dei gruppi politici in blocchi alternativi, consente di formare governi più stabili. Fra i due sistemi sono comunque possibili, attraverso complessi meccanismi, vari tipi di correzione e di reciproca integrazione. Il sistema proporzionale fu in vigore in Italia fin dagli inizi della Repubblica, cioè dal 1946. Il sistema maggioritario fu introdotto nel 1993. Per le elezioni del 2006 si è ritornati a un sistema di tipo proporzionale.

Il pool di Milano, 1992 Il pool di Milano che ha gestito l’inchiesta “Mani pulite”: da sinistra, Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro e Pier Camillo Davigo.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo Il secondo governo Berlusconi Nelle elezioni del 2001 si affermò di nuovo la coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi, che ottenne una solida maggioranza parlamentare e utilizzò questa forza per attuare cambiamenti di rilievo nella struttura politica del paese: una modifica costituzionale, chiesta soprattutto dalla Lega nord (una delle forze al governo), introdusse nuove forme di devoluzione ossia il decentramento alle regioni di servizi pubblici essenziali come la sanità e l’istruzione. Ma la riforma fu cancellata per volontà popolare attraverso il referendum indetto nel 2006. “Meno Stato più mercato” Il governo Berlusconi si fece sostenitore di politiche neoliberiste tendenti a limitare l’azione sociale ed economica dello Stato, a favorire i processi di privatizzazione (anche nella scuola) e a introdurre una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro (assunzioni a tempo determinato, minori garanzie contrattuali, ecc.). La proposta di modificare in questo senso lo Statuto dei lavoratori creò una forte tensione fra il governo e i sindacati, e fu in questo clima di conflittualità che nel 2002 una nuova formazione delle Brigate Rosse uccise il giurista Marco Biagi, consulente del governo sui temi del lavoro. Il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi mostra il primo euro, 1998 Il primo euro è stato coniato il 31 dicembre 1998.

Il secondo governo Prodi Le difficoltà della finanza pubblica e l’incerto andamento dell’economia impedirono a Berlusconi di mettere in atto i tagli fiscali promessi durante la campagna elettorale. Nel 2006, reintrodotto il criterio proporzionale “corretto” da un premio di maggioranza per la coalizione vincente, le elezioni furono vinte dallo schieramento di centro-sinistra, guidato ancora da Prodi. Il nuovo governo si insediò dopo avere eletto alla presidenza della Repubblica Giorgio Napolitano, ex comunista dell’ala riformista, ora esponente del Partito democratico (nuova creatura politica nata nel 2007 dalla fusione dei DS con i cattolici della Margherita e con altri gruppi minori). Le divisioni interne alla maggioranza (in particolare per i contrasti fra la componente laica e quella cattolica) costrinsero Prodi a dimettersi dopo appena due anni di governo. Torna il governo Berlusconi Alle nuove elezione del 2008 vinse in maniera nettissima il Popolo della libertà, la nuova coalizione guidata da Berlusconi, la cui lunga esperienza politica ha segnato, fra alterne vicende, la storia italiana per un quindicennio. Essa ha suscitato perplessità – non solo in Italia ma anche all’estero – per gli inevitabili intrecci fra interessi pubblici e privati, legati alle attività imprenditoriali del capo di governo nel campo dell’informazione radiotelevisiva, dell’editoria e della pubblicità. Una lunga serie di provvedimenti varati dal Parlamento nel corso dei tre governi guidati da Berlusconi è apparsa alle opposizioni troppo direttamente connessa alle posizioni e agli

I tempi della storia La democrazia imperfetta Uno dei problemi centrali della storia italiana recente è stato individuato nella scarsa corrispondenza tra lo sviluppo economico e le istituzioni politiche. Lo sviluppo – pur nell’oscillazione tra fasi di crescita e di crisi, collegate all’andamento dell’economia internazionale – è stato nel complesso notevolissimo e ha messo in evidenza la grande vitalità e maturità del paese. Le istituzioni politiche hanno invece stentato a tenere il passo della crescita, rimanendo a lungo bloccate in un sostanziale immobilismo. Ciò per due motivi principali: il primo, l’organizzazione rigida e spesso antiquata delle

istituzioni statali (Parlamento, governo, amministrazioni locali), incapaci di adeguarsi al ritmo veloce dello sviluppo; il secondo, la prolungata mancanza, in Italia, di un’opposizione in grado di diventare forza di governo. Nella maggior parte dei paesi democratici, la vita parlamentare e l’attività politica sono continuamente stimolate dalla concreta possibilità dell’alternanza: a ogni nuova elezione la minoranza può diventare maggioranza, conquistando il governo; viceversa, la maggioranza può diventare minoranza, restando all’opposizione con funzioni di controllo sull’operato del nuo-

vo governo. Così avviene in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in molti altri paesi. In Italia, invece, si verificò fin dall’immediato dopoguerra una situazione anomala: il partito che aveva ottenuto il maggior numero di voti (la Democrazia cristiana) si trovò confermato al potere per oltre quarant’anni, grazie ai ripetuti consensi elettorali e all’appoggio dei partiti minori. Parallelamente si costituì una sorta di “opposizione permanente”, dato che la maggior forza di opposizione, il Partito comunista, che in Italia raccoglieva ampi consensi anche tra i ceti medi, non riuscì mai a rappresentare

Capitolo 27 L’Italia che cambia Manifesti elettorali durante la campagna elettorale del 2006

interessi del presidente del Consiglio. Una notevole tensione istituzionale è stata poi introdotta dalla permanente conflittualità fra Berlusconi e la magistratura, a causa di una serie di procedimenti penali pendenti sul suo conto. In ogni caso è indubbio che negli ultimi vent’anni l’Italia ha imboccato la via di una progressiva semplificazione del quadro politico e che l’alternanza al governo di gruppi politici diversi è oggi una possibilità concreta anche per il nostro paese.

Il governo Monti Alla fine del 2011 Berlusconi si è dimesso, lasciando il campo a un governo tecnico guidato dall’economista Mario Monti e sostenuto dalle principali forze politiche di centro-destra e di centro-sinistra. Questo governo di solidarietà nazionale si è assunto il compito di trovare una soluzione alla difficile situazione economica e finanziaria del paese, oppresso dal debito pubblico, dal ristagno delle attività produttive e dalla disoccupazione. Anche l’Italia, infatti, si è trovata pienamente coinvolta nella crisi europea iniziata nel 2008-9 [ I tempi della storia, 24.5] e proseguita con intensità crescente negli anni successivi.

una reale alternativa di governo, perché ritenuto non credibile sul terreno della democrazia (nonostante le sue scelte riformistiche e il progressivo distacco dal modello sovietico). Rimanendo sempre al potere, i partiti di governo finirono per occupare in maniera continuativa i principali posti direttivi, nelle aziende pubbliche, nel sistema radiotelevisivo, nei centri vitali del paese. Il Partito comunista da parte sua si rassegnò a contrattare con i partiti al governo spazi autonomi di manovra, e a ritagliarsi fette di potere nelle regioni in cui aveva la maggioranza. Da questo immobilismo

sono derivate le principali storture del sistema politico italiano e la sua sostanziale difficoltà a rinnovarsi. Ma si può misurare la democrazia? Il settimanale inglese «The Economist» pensa di sì e ogni due anni pubblica una valutazione del grado di democrazia presente negli Stati del mondo (oggi la stragrande maggioranza) che si autodefiniscono “democrazie”. Questo Democracy index suddivide i paesi in quattro gruppi, tre dei quali sono considerati, a livelli diversi, come effettive democrazie (“democrazie complete”, “democrazie imperfette”, “regimi ibridi”) mentre il quarto gruppo compren-

de i “regimi autoritari” ossia le dittature. I parametri di valutazione della “qualità democratica” sono essenzialmente cinque: pluralismo politico e sistema elettorale; libertà civili; funzionamento del governo; partecipazione politica; partecipazione culturale. Tra le 167 nazioni prese in esame nel 2010, «The Economist» ha dato il primo posto alla Norvegia con un punteggio di 9.80 su 10; ultima è risultata la Corea del nord con 1.08; l'Italia, con 7.83, è collocata al 29º posto, nel gruppo delle “democrazie imperfette”, a causa soprattutto dell’eccessivo controllo governativo sui media televisivi.

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

Sintesi

L’Italia che cambia

Lotte sindacali e movimento studentesco Negli anni ’50-’60 il processo di industrializzazione dell’Italia fu agevolato dalla debolezza del sindacato, ma alla fine degli anni Sessanta il movimento dei lavoratori, appoggiato dal sindacato e dal Partito comunista, si rafforzò. Scoppiò una protesta sociale violenta che si saldò con il movimento studentesco del 1968 che contestava il sistema capitalistico ma anche i partiti della sinistra. La saldatura tra studenti e operai fu una peculiarità dell’Italia. Le rivendicazioni operaie permisero di ottenere alcuni risultati: furono approvati i contratti collettivi di lavoro e lo Statuto dei lavoratori, che fissava le norme in difesa dei diritti sindacali. Negli anni seguenti il movimento sindacale si rafforzò e assunse una posizione di rilievo sulla scena politica, grazie all’unità di azione tra i tre sindacati principali (CGIL, CISL, UIL). Riforme amministrative e civili. Il movimento femminista Negli anni ’70 furono approvate dai governi diverse riforme amministrative e civili. Furono istituite le regioni; fu istituito il divorzio (poi confermato da un referendum). Lo sviluppo del movimento femminista favorì la riforma del diritto di famiglia, che stabiliva la parità di diritti tra i coniugi. Fu poi introdotta la parità di trattamento in materia di lavoro tra uomini e donne. Infine fu istituito il servizio sanitario nazionale, che permetteva l’assistenza medica quasi gratuita per tutti i cittadini, e fu approvata una legge che consentiva l’aborto (anche in questo caso un referendum popolare confermò la legge). La “strategia della tensione” Negli anni Settanta si rafforzò il Partito comunista e si svilupparono gruppi di estrema sinistra che aspiravano a un sovvertimento del sistema. La crescita dell’ondata progressista allarmò la parte più conservatrice del paese. In questo clima fu ideato un progetto neofascista, volto a destabilizzare il paese e attuare una svolta reazionaria. Tale progetto, noto come “strategia della tensione”, portò all’esplosione di diverse bombe in treni e luoghi pubblici, con numerose vittime civili. Il primo attentato fu quello di piazza Fontana a Milano nel 1969. Per nessuna strage sono stati identificati mandanti e responsabili, eccetto quella

avvenuta alla stazione di Bologna nel 1980, per la quale è stato condannato un piccolo gruppo di estremisti neofascisti. Il terrorismo brigatista La strategia della tensione alimentò la crescita dei gruppi violenti dell’estrema sinistra. Nacquero diverse formazioni armate clandestine, tra cui le Brigate rosse, che compirono azioni violente volte a mettere in crisi l’esistenza stessa dello Stato. In questi anni (gli “anni di piombo”), formazioni armate simili operarono anche in altri paesi europei. La situazione sociale era complicata dalla crisi economica iniziata nel 1973, che in Italia frenò lo sviluppo e causò l’aumento della disoccupazione e dell’inflazione. Le forze politiche si unirono per affrontare il pericolo. Nel 1976 si formò un governo di solidarietà nazionale, sostenuto anche dai comunisti, ma l’esperimento ebbe fine tre anni dopo. Il suo principale fautore, il Presidente della DC Aldo Moro, nel 1978 fu rapito e poi ucciso dalle Brigate rosse, che intendevano contrapporsi all’accordo tra la sinistra e le forze centriste. Il terrorismo brigatista fu sconfitto all’inizio degli anni Ottanta. Molti anni dopo si verificarono gli ultimi colpi di coda delle Brigate Rosse, con l’uccisione di Massimo D’Antona (1999) e di Marco Biagi (2002). La lotta contro la criminalità organizzata Dopo la sconfitta del terrorismo rimase in piedi il problema della criminalità organizzata (mafia, camorra e ‘ndrangheta), che in alcune aree del paese si era di fatto sostituita all’autorità dello Stato, arricchendosi con la speculazione edilizia e con il commercio di armi e droga e avvalendosi della connivenza di settori del mondo politico. All’inizio degli anni Novanta le mafie furono contrastate da indagini giudiziarie favorite dalla collaborazione dei “pentiti”, aderenti alle associazioni criminali che forniscono informazioni ricompensate dallo Stato con la protezione e l’alleggerimento della pena. Nella lotta contro la mafia sono stati uccisi il generale Dalla Chiesa (1982) e i giudici Falcone e Borsellino (1992). L’Italia post industriale Le elezioni del 1979 determinarono l’inizio dei governi del “pentapartito”, formati dalle forze moderate (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI). Tra esse i partiti laici assunsero un peso maggio-

re e si ebbero i primi governi non guidati da democristiani; emersero i socialisti, guidati da Bettino Craxi. Sul piano economico ripresero forza le tendenze conservatrici e il peso degli imprenditori. Negli anni Ottanta le grandi aziende declinarono e si svilupparono le piccole e medie aziende, che potevano meglio adattare tempi e ritmi della produzione alle esigenze del mercato e che utilizzavano forme contrattuali più elastiche. Il numero degli operai e degli addetti all’industria diminuì e crebbe il settore terziario. Parallelamente si indebolì la forza politica dei sindacati e dei partiti vicini alle istanze degli operai; aumentò invece l’importanza degli operai specializzati e dei tecnici. Tangentopoli e la crisi dei partiti storici L’Italia repubblicana fu caratterizzata da uno scenario politico fisso: la DC al potere e il PCI all’opposizione su scala nazionale (anche se governava in alcune amministrazioni regionali e locali). Dagli anni Settanta si diffuse la corruzione degli amministratori pubblici, che imponevano il pagamento di percentuali (tangenti) ai fornitori di merci e servizi agli enti pubblici. Dal 1992 in poi il fenomeno (detto Tangentopoli) fu oggetto di indagini giudiziarie che portarono all’arresto di molti personaggi politici. In seguito a tale inchiesta, denominata “Mani pulite”, i partiti storici entrarono in crisi ed emersero movimenti politici nuovi o rinnovati. La DC si divise in vari partiti. Nel 1993 si affermò la tendenza all’aggregazione dei gruppi politici in due schieramenti, uno di centro-destra e uno di centro-sinistra. La novità consisteva nella possibilità di una effettiva alternativa tra le forze di governo. Il quindicennio berlusconiano Le elezioni del 1994 furono vinte da uno schieramento di centro-destra guidato dall’imprenditore Silvio Berlusconi. Una crisi politica portò a nuove elezioni due anni dopo, vinte da una coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi. Il suo governo affrontò il risanamento economico e permise all’Italia di entrare tra i paesi che adottarono l’euro. Nel 2001 si affermò nuovamente Berlusconi, che promosse politiche neoliberiste tendenti a limitare l’intervento dello Stato in economia, a favorire le privatizzazioni e a introdurre flessibilità nel mercato del lavoro, ma non introdusse i tagli fiscali pro-

Capitolo 27 L’Italia che cambia

messi in campagna elettorale. Nel 2006 le elezioni furono vinte di nuovo dal centrosinistra, che elesse Giorgio Napolitano Presidente della Repubblica e sostenne un nuovo governo Prodi, poi entrato in crisi. Nel 2008 vinse ancora la coalizione guidata da Berlusconi, la cui figura negli

anni ha suscitato critiche per gli intrecci tra interessi pubblici e privati e per lo stato di permanente conflittualità tra governo e magistratura, legato ad alcune inchieste riguardanti Berlusconi. In questo periodo l’Italia ha sviluppato una semplificazione del quadro politico che

ha favorito l’alternanza di governo tra gruppi politici diversi. Nel 2011 Berlusconi si è dimesso, lasciando il campo a un governo tecnico guidato dall’economista Mario Monti, incaricato di trovare una soluzione alla difficile situazione economica e finanziaria del paese.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1969

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

1970

1974

1975

1976

1978

1980

riforma del diritto di famiglia attentato in Piazza Fontana a Milano Statuto dei lavoratori uccisione di Massimo D’Antona un referendum popolare boccia la devoluzione uccisione di Aldo Moro inizio dell’inchiesta “Mani pulite”

1982

1992

1993

1999

2006

8. attentato alla stazione di Bologna 9. un referendum popolare approva il sistema elettorale maggioritario 10. governo di solidarietà nazionale 11. uccisione di Carlo Alberto della Chiesa 12. referendum sul divorzio

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. boom • destabilizzazione • devoluzione • femminismo • flessibilità • loggia • maggioritario • omertà • pari opportunità • proporzionale • referendum • tangente • terziario Suddivisione interna alla Massoneria Percentuali sul guadagno imposte dai pubblici amministratori Silenzio dei testimoni e mancanza di collaborazione con la giustizia Indebolimento della tenuta delle istituzioni democratiche Votazione con cui i cittadini esercitano la sovranità in maniera diretta Riduzione dei vincoli nel rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente Decentramento alle regioni di servizi pubblici essenziali Sistema in cui i partiti ottengono un numero di seggi calcolato in base al numero di voti Studio delle modalità di realizzazione della parità dei sessi nella vita pubblica Sistema con cui viene eletto un solo parlamentare in ogni circoscrizione elettorale Crescita economica straordinaria Settore dei servizi intermedi Movimento che rivendica la parità di diritti tra uomini e donne

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400

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Bettino Craxi

giudice

Aldo Moro

Presidente della Democrazia cristiana

Giorgio Napolitano

segretario DS

Carlo Alberto Dalla Chiesa

generale

Romano Prodi

Forza Italia

Enrico Berlinguer

compromesso storico

Saverio Borrelli

coalizione di centro-sinistra

Massimo D’Alema

consulente del governo

Paolo Borsellino

Mani pulite

Marco Biagi

Partito socialista italiano

Giovanni Spadolini

ex comunista riformista

Silvio Berlusconi

Partito repubblicano italiano

o. Le trasformazioni del panorama politico italiano agevolarono le indagini di “Mani pulite”. p. Il governo Prodi affrontò il problema del risanamento economico e finanziario. q. Il governo di solidarietà nazionale era sostenuto da tutti i partiti tranne quello comunista. r. Durante gli anni di piombo anche in altri paesi europei operarono organizzazioni terroristiche. s. Le formazioni armate clandestine di estrema sinistra aumentarono dopo la politica delle stragi. t. La magistratura ha individuato gli esecutori degli attentati di Bologna e di Milano. u. Il movimento studentesco inizialmente aveva mantenuto un carattere pacifico. v. Il movimento brigatista fu sconfitto agli inizi degli anni Ottanta. w. La riforma del diritto di famiglia stabilì la parità di diritti tra i coniugi.

V

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V

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V

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V

F

5. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. L’istituto delle regioni fu attuato nel: 1974.

1975.

1978.

1970.

b. Nel 1994 Berlusconi era alla guida del partito denominato:

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

Forza Italia. Popolo della Libertà.

a. Le rivendicazioni operaie portarono ai nuovi contratti collettivi di lavoro.

V

F

b. Il compromesso storico auspicava l’incontro tra le forze popolari comuniste e cattoliche.

V

F

c. La connessione tra movimento studentesco e operaio ebbe luogo in Francia e in Italia.

V

F

d. La strategia della tensione fu inaugurata dalle Brigate rosse nel 1978.

V

F

e. Nei primi anni Settanta si ebbe un rafforzamento elettorale delle forze di sinistra.

V

F

f. Negli corso degli anni Ottanta le forze della sinistra operaia furono escluse dalla gestione del potere.

V

F

g. Il referendum sull’aborto fu il primo nella storia dell’Italia repubblicana.

V

F

h. La corruzione dei pubblici amministratori fu favorita dall’immobilismo politico.

V

F

i. Il governo Prodi si fece sostenitore di politiche neoliberiste.

V

F

j. I gruppi della sinistra extraparlamentare sostenevano i partiti storici della sinistra.

V

F

k. Per lungo tempo l’omertà è stato il principale ostacolo nella lotta alla mafia.

V

F

l. Le associazioni criminali italiane sono la mafia e la camorra.

V

F

m. Aldo Moro si era opposto all’ingresso dei comunisti nella maggioranza di governo.

V

F

n. Dopo il 1993 si affermò l’esistenza di una reale alternativa di governo.

V

F

Alleanza Nazionale. Lega Nord.

c. I governi del pentapartito si formarono a partire dal: 1969.

1978.

1981.

1979.

Irlanda.

Spagna.

Germania.

d. La RAF operò in: Italia.

e. Nel 1990 l’occupazione industriale in Italia costituiva: il 30% della popolazione attiva. il 25% della popolazione attiva. il 40% della popolazione attiva. il 32% della popolazione attiva. f. Le elezioni del 2001 furono vinte dalla coalizione guidata da: Napolitano.

Berlusconi.

D’Alema.

Prodi.

Puglia.

Sicilia.

g. La Sacra Corona Unita opera in: Calabria.

Campania.

h. Il primo presidente del Consiglio non democristiano fu: Craxi.

Berlusconi.

Berlinguer.

Spadolini.

i. L’espressione “autunno caldo” indica gli ultimi mesi del: 1967.

1969.

1968.

1970.

l. Nel 1961 in Italia l’occupazione industriale costituiva: il 30% della popolazione attiva. il 25% della popolazione attiva. il 40% della popolazione attiva. il 32% della popolazione attiva. m. La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale fu approvata nel: 1974.

1975.

1978.

1970.

Capitolo 27 L’Italia che cambia

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa fu la “strategia della tensione”? Da chi fu ideata? In che periodo? A che scopo? 2. Quali eventi drammatici furono provocati dalla strategia della tensione? Dove ebbero luogo? 3. Quali organizzazioni terroristiche furono attive in Italia? In che periodo? Quale scopo si prefiggevano? Come furono

combattute? Quali eventi drammatici furono provocati dalle organizzazioni terroristiche? 4. Quali organizzazioni criminali furono attive in Italia? In che periodo? Quali attività illecite praticavano? 5. Come furono combattute? Quali eventi drammatici furono provocati dalle organizzazioni criminali?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

I PROBLEMI INTERNI ALL’ITALIA

QUANDO CHI

COSA

PERCHÉ

STRATEGIA DELLA TENSIONE

TERRORISMO

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

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7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa caratterizzò l’economia italiana negli anni Cinquanta e Sessanta? 2. Quali forze politiche e sociali avevano un peso maggiore? Con quali conseguenze? 3. In che anno si invertì questa tendenza? In che modo? Con quali conseguenze? 4. Quali novità caratterizzarono la società italiana negli anni Settanta? Con quali conseguenze politiche?

5. Quali leggi relative al mondo del lavoro furono approvate negli anni Settanta? Che cosa prevedevano? 6. Quali novità sul piano economico si affermarono nel corso degli anni Ottanta? Quali modelli economici iniziarono a svilupparsi negli anni Ottanta? Con quali conseguenze sulla società italiana? 7. Come cambiarono gli assetti politici negli anni Ottanta? Per quali cause? Con quali conseguenze? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

ECONOMIA, POLITICA E SOCIETÀ IL PERIODO L’ECONOMIA

LA SOCIETÀ

LA POLITICA

ANNI 50-60

ANNI 70

ANNI 80

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Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

8.

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 388 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quali riforme furono approvate in Italia nel corso degli anni Settanta? 2. Che cosa è il criterio della centralizzazione territoriale? Quando fu seguito in Italia? Perché? 3. In che periodo la centralizzazione territoriale giunse all’estremo? 4. Quale forma di ordinamento fu accolta nella Costituzione del 1948? 5. Quando fu attuato l’istituto delle regioni? Attraverso quali tappe? 6. Quali sono le principali aree di competenza delle regioni? 7. Quale legge è stata approvata nel 2001? 8. Quale riforma costituzionale fu approvata nel 2005? Quale esito ebbe dopo il referendum?

9. Leggi il documento “La democrazia imperfetta” alle pp. 396-397 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa ha caratterizzato lo sviluppo economico nella storia italiana recente? 2. Che cosa ha caratterizzato le istituzioni politiche nella storia italiana recente? Per quali motivi?

3. In che modo la possibilità dell’alternanza stimola l’attività politica nei paesi democratici? 4. Quale situazione politicamente anomala si verificò nell’Italia del secondo dopoguerra? Perché? Con quali conseguenze? Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è il fenomeno della corruzione politica? Perché si verificò in Italia? 2. Che cosa accadde nel 1992? Quali conseguenze ebbe sulla politica italiana tale evento? 3. Che cosa accadde nel 1993? Quali conseguenze ebbe sulla politica italiana tale evento? 4. Quali novità negli schieramenti caratterizzarono le elezioni politiche del 1994? Chi prevalse? 5. Chi ha governato l’Italia tra il 1994 e il 2008? 6. Quale novità ha caratterizzato la politica italiana nell’ultimo ventennio? Con quali conseguenze? Con le informazioni ottenute, scrivi un breve testo di massimo 10 righe dal titolo “Dall’immobilismo all’alternanza nella politica italiana”.

La discussione storiografica

Democrazia e libertà “D

emocrazia” è una parola greca che significa ‘governo del popolo’. Fu inventata proprio in Grecia, più di 2500 anni fa, per indicare la partecipazione di tutto il “popolo” (i maschi di condizione libera) al governo dello Stato, tramite la libera elezione dei magistrati cittadini. L’esperimento, tentato per la prima volta ad Atene e sviluppatosi soprattutto nell’età di Pericle (V secolo a.C.), suscitò perplessità e a molti apparve scellerato: la stessa espressione “democrazia” fu coniata in senso dispregiativo dagli avversari del governo di Pericle, con un’accezione che oggi potrebbe suonare ‘dittatura della maggioranza’. Il filosofo Platone (V-IV secolo a.C.) affermò che consegnare il potere al popolo è una follia, poiché la saggezza appartiene a pochi ed è il “governo dei migliori” (aristocrazia) la via per assicurare benessere e felicità a un paese. Dovettero passare molti secoli perché l’dea di democrazia, intesa sia come “condivisione” del potere tra i cittadini, sia come “divisione” dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) tra coloro che li esercitano, assumesse un senso decisamente positivo: ciò accadde in Inghilterra e poi in Francia, tra XVII e XVIII secolo, grazie al diffondersi del liberalismo parlamentare e del pensiero illuminista. In questo percorso storico «la parola democrazia ha fatto un lungo viaggio ideale: indicava allora [2500 anni fa] il peggiore flagello che potesse abbattersi su un popolo; indica oggi un’aspirazione che progressivamente si è diffusa fino a diventare universale». Così scrivo-

no il giornalista Ezio Mauro (1948) e il giurista Gustavo Zagrebelsky (1943) in un libro in forma di dialogo dal titolo La felicità della democrazia, pubblicato nel 2011. E continuano: «La parola democrazia sembra oggi contenere tutto ciò che di buono, di giusto e di bello ci si può attendere dalla politica», al punto che «ogni giustificazione dell’agire politico deve per forza richiamarsi alla democrazia». Ma al di là della parola c’è la cosa. «Quello che brilla da un lato è opaco dall’altro. La democrazia, per riprendere un’espressione di Norberto Bobbio [filosofo, 1909-2004], ci appare il regime delle “promesse non mantenute”: una fata Morgana che distribuisce illusioni, nel migliore dei casi; nel peggiore, una maga Circe che, dagli esseri umani, adescandoli, tira fuori il lato meno nobile. Dunque, un regime dell’inganno e della corruzione. Anzi, un regime che seduce con l’apparenza per dissimulare una cosa repulsiva: il governo consegnato alla parte peggiore degli esseri umani». In questo dibattito di natura politica e filosofica, con forti implicazioni storiche, molti studiosi sono intervenuti negli ultimi anni. Democrazie senza democrazia è il suggestivo titolo di un saggio dello storico Massimo L. Salvadori (1936) che segnala le crepe e le falle di un sistema che tuttavia continua a sopravvivere perché «non se n’è ancora inventato un altro migliore»: se “democrazia” è una parola che oggi suggerisce pensieri positivi, è perché rappresenta il modo, tutto sommato, più indolore che gli uomini hanno escogitato per organizzare

la loro convivenza e la loro organizzazione politica. La democrazia ha dei limiti, certamente, anche di natura intrinseca: celebre il paradosso secondo cui, se la maggioranza delle persone desiderasse un governo antidemocratico, la democrazia cesserebbe di esistere; ma cesserebbe di esistere anche se questa volontà non fosse rispettata, calpestando la volontà della maggioranza. Ma a prescindere da questi giochi concettuali, è evidente che la democrazia è comunque un sistema imperfetto, come lo sono tutte le invenzioni umane; ciò non esclude che essa, grazie ai diritti civili e alla condizione di libertà che garantisce agli individui e alla collettività, possa rappresentare un utile strumento per il raggiungimento della «felicità» a cui allude il titolo del citato volume di Mauro e Zagrebelsky: felicità intesa, a sua volta, non come valore assoluto ma come perseguimento di obiettivi ogni volta diversi. Un punto ormai chiaro è che “democrazia” non è una cosa sola, ma ha molte possibili declinazioni: basti pensare alla ridondante espressione «democrazia popolare», che storicamente ha indicato i regimi socialisti di molti paesi in cui il partito e lo Stato, annullando le libertà dei cittadini (e quindi di fatto la democrazia), si sono arrogati il diritto di rappresentare la volontà dei cittadini stessi. Altrettanto chiaro è che la democrazia (qualunque cosa essa sia) non è data una volta per tutte, ma va continuamente ribadita, ridefinita, avvalorata. Non è un privilegio concesso dall’alto, ma un diritto da difendere.

404

Modulo 7 Le grandi potenze tra XX e XXI secolo

I testi I due testi qui presentati sono tratti da lavori che abbiamo appena ricordato. Il primo fa parte del dialogo fra Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky sullo “stato di salute” della democrazia, sugli sconcertanti rovesciamenti di significato che la parola assume nella politica contemporanea, sulle molteplici espressioni e aggettivazioni che oggi connotano quel nome, declinandolo in direzioni diverse e inaspettate. Fra le altre, i due autori ricordano la

paradossale espressione «democrazie senza democrazia» che dà titolo al citato lavoro di Massimo L. Salvadori, che analizza in maniera precisa i contenuti, i limiti e le prospettive del sistema democratico, sottolineando in particolare come il senso della democrazia si sia in gran parte svuotato in un’epoca come la nostra, dominata dal fenomeno della globalizzazione, che tende a espropriare la sovranità dei cittadini in favore di forze econo-

miche, finanziarie e culturali che non si identificano più con il quadro nazionale. Nelle pagine che abbiamo scelto, l’autore osserva anche come sempre più l’idea di “cittadino” tenda oggi a coincidere con quella di “consumatore della politica”, e insiste sulla necessità di preoccuparsi del futuro delle nostre democrazie, senza accontentarsi della constatazione (fatta anche da Mauro e Zagrebelsky) che oggi tutti amano dirsi democratici.

Allarme democratico?

Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky EM Pensi davvero che ci sia da temere per la democrazia, anche solo come forma politica? Non ti pare che ormai, nel mondo occidentale, nessuno oserebbe proclamarsi antidemocratico? […] GZ Sì. Credo che tu abbia ragione. La democrazia è l’ideale del nostro tempo. Perfino i dittatori, quando prendono il potere, sciolgono il Parlamento, sospendono i diritti, dicono di farlo per restaurare la «vera democrazia», appena possibile. La tua osservazione, tuttavia, forse non considera che la democrazia è un sistema di governo molto compiacente. Può ospitare tante cose, senza abbandonare il suo nome. […] Solo vent’anni fa le democrazie si distinguevano in relazione al rapporto con la loro base sociale: democrazie liberali, proletarie, sociali, socialiste, per esempio. Erano formulazioni di teoria politica che denotavano, in modo neutro, specie diverse di forme politiche. Ora le democrazie si connotano, in generale, con specificazioni tutte negative. Nella meno impegnativa delle ipotesi, si parla di «post-democrazia»: meno impegnativa perché ci dice che siamo «oltre» la democrazia, senza però chiarire dove siamo andati a finire. Con oscuri presagi e con allusione a processi degenerativi, si parla di «democrazie mature» o «tardo-democrazie»: ancora democrazie, ma al tramonto. Altri parlano di democrazie «di poca o senza qualità». Alludendo poi alla crescita di fattori autoritari dentro le forme della democrazia, si è parlato di «democrazie tenute a bada», si è coniato il neologismo «democratura», sul cui significato non c’è da spendere parola, e si è giunti infine alle «democrazie senza democrazia». Il «dispotismo democratico» sembra a qualcuno il destino della democrazia di massa preconizzato da Tocqueville1. È diventato espressione d’uso comune, che non fa (più) sobbalzare nessuno. […] Una volta si misuravano i progressi della democrazia, oggi

i regressi. Non è cosa da poco. Non credi che sia un dato su cui lanciare un «allarme democratico»? EM […] Francamente io non credo che ci sia oggi ragione di allarmarsi per la democrazia […] C’è motivo di preoccuparsi per la sua salute, se mai, cioè per la sua efficacia, che è poi la sua capacità di mantenere le promesse. […] GZ […] A me pare di notare un fatto sorprendente che ha a che vedere con la storia della democrazia. Si tratta di qualcosa di profondo, di uno «scollamento», di un distacco, forse addirittura di un rovesciamento. Sì, forse bisogna parlare proprio di rovesciamento. La democrazia è sempre stata, finora, la rivendicazione degli inermi, degli esclusi. Di quelli che contano poco o nulla e vogliono contare di più, vogliono farsi valere in società che li tengono ai margini. Intuitivamente, significa contestazione delle concentrazioni di potere oligarchico attraverso diffusione e uguaglianza di partecipazione politica. La democrazia dovrebbe stare dalla parte, dovrebbe essere la parola d’ordine dei senza-potere, contro coloro che dispongono di troppo-potere. Dovrebbero essere i primi, non i secondi a esserle amici. […] Oggi, è così? Mi pare si debba constatare il contrario. Sono i detentori del potere a fare della democrazia – della parola democrazia – il proprio orpello, a invocarla per rendere indiscutibile il proprio potere sugli inermi. Quanti abusi di potere si giustificano «democraticamente»! La democrazia, intesa come ideologia dei governanti, è una sorta di assoluzione preventiva dell’arbitrio sui deboli, sugli esclusi, sui senza speranza, in nome della forza del numero. E. Mauro e G. Zagrebelsky, La felicità della democrazia. Un dialogo, Roma-Bari 2011, pp. 8-11 1 Filosofo e politico francese del XIX secolo.

La discussione storiografica Democrazia e libertà

Se il “governo del popolo” diventa “consumo di politica” Massimo L. Salvadori

Vi è oggi da domandarsi se nei sistemi che continuiamo a chiamare democratici non siano intervenuti mutamenti tali da richiedere l’elaborazione di nuove categorie atte a definirli. [Nel sistema liberal-democratico di ultima evoluzione], i presupposti della democrazia liberale hanno in realtà subìto e continuano a subire un’alterazione sempre maggiore, al punto da risultare oggi, più ancora che profondamente erosi, per aspetti sostanziali rovesciati [dato che] il processo di globalizzazione ha ridotto drasticamente la capacità degli Stati di mantenere sotto il proprio controllo l’organizzazione, la dislocazione e la distribuzione delle forze produttive; ha concentrato contemporaneamente enormi poteri nelle mani di ristrette oligarchie industriali e finanziarie internazionali, le quali hanno preso ad agire senza sottostare al potere sovrano di alcun parlamento e corpo elettorale e senza disporre di alcuna legittimazione democratica, e a dotarsi di possenti mezzi di informazione al fine di orientare l’opinione pubblica a favore dei loro interessi. […] [Oggi] la formazione dell’opinione pubblica [...] è sempre meno espressione dell’influenza dei partiti politici, degli intellettuali e di quella che veniva chiamata la libera stampa. Nell’era della rivoluzione informatica essa è per contro sempre più largamente un prodotto pianificato e confezionato con le tecniche della pubblicità commerciale e controllato dai tycoons1 dell’informazione di massa. [In questo modo] troppi poteri di primaria importanza per la vita dei cittadini sono stati sottratti alle istituzioni figlie del voto popolare, troppi poteri formalmente attribuiti a siffatte istituzioni sono sostanzialmente depotenziati e al limite annullati da altri poteri. Se così stanno in sostanza le cose, ecco l’interrogativo che si pone con forza: qual è nelle attuali circostanze la condizione del «cittadino democratico»? [...] Il cittadino politi-

camente attivo ha ceduto [...] alla figura del consumatore, il cui voto, la cui scelta tra gli schieramenti e il cui atteggiamento di fronte ai loro programmi si esprime nel dire «mi piace» o «non mi piace», «compro» o «non compro» sulla base, oltretutto, di una diffusa incapacità di comprendere quali siano gli ingredienti e gli effetti dei prodotti che gli vengono offerti. [...] Nulla può tanto danneggiare la democrazia e contribuire al suo esaurimento quanto accettarla come discorso retorico, non guardare alla sostanza che sta dietro alla sua forma, compiacersi del dato [...] che mai come ora vi sono nel mondo tanti Stati che portano e si danno il nome di democratici. Se dunque i regimi che continuiamo a chiamare democratici in effetti non lo sono, quale definizione conviene loro più propriamente? [...] Chi può oggi credere che abbia ancora un senso parlare di «sovranità popolare» quando il ruolo del cittadino è ridotto ovunque a quello di un consumatore della politica che ha quale unica possibilità di cambiare fornitore? [...] Stando ai processi che effettivamente presiedono alla loro formazione, sembrerebbe più proprio definire i governi dei sistemi oggi chiamati «liberaldemocratici» più propriamente «governi a legittimazione popolare passiva». […] Se la democrazia deve avere un futuro, è necessario che essa scopra le vie del proprio rinnovamento, che appare tanto necessario quanto difficile da prospettare nelle sue forme possibili [...] Chi ha oggi un maggiore spirito democratico? Colui che si accontenta, o chi non si accontenta dello stato di salute delle nostre democrazie? M.L. Salvadori, Democrazie senza democrazia, Roma-Bari 2011, pp. 20, 56, 60-65, 84-87 1 I magnati dell’industria e della finanza.

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Modulo 8

Nuovi scenari Nuovi scena mondiali mondiali Capitolo 28

Villaggio globale, economia mondiale Una delle caratteristiche del mondo contemporaneo, forse la più importante, è lo sviluppo dei collegamenti intercontinentali e delle comunicazioni per via telematica, che hanno reso possibile l’abbattimento delle distanze tra una parte e l’altra del globo. Molte vicende della politica, dell’economia, della cultura, per non parlare della scienza e della tecnologia, si svolgono oggi in una dimensione planetaria, con un forte intreccio di interessi che porta anche a una maggiore uniformità dei modi di vivere e di pensare. Tale fenomeno è noto con il nome di “globalizzazione” e indica principalmente l’integrazione mondiale dei mercati e della finanza, con fortissime ripercussioni economiche e culturali.

Capitolo 29

Gli sviluppi in Asia e America Latina Il primato mondiale degli Stati Uniti, rafforzato dal tramonto dell’Impero sovietico e appena intaccato dalla vitalità crescente dell’Unione Europea, agli inizi del XXI secolo sembra avviato a un progressivo ridimensionamento di fronte ai nuovi equilibri che si stanno delineando nel mondo in seguito al rapidissimo sviluppo di alcuni paesi asiatici: dopo il Giappone e altri paesi, da tempo legati alle economie occidentali, oggi stanno crescendo soprattutto l’India e la Cina, che hanno intrapreso vie originali di sviluppo economico e politico. Anche l’America Latina sta attraversando una fase di grande crescita, che si accompagna alla rivendicazione degli interessi nazionali e in alcuni paesi, come il Brasile e il Messico, appare già consolidata.

nari

Capitolo 30

Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

L’indipendenza conquistata negli anni Sessanta dagli Stati africani ebbe in molti casi come conseguenza l’insorgere di violenti conflitti. La fragilità dei nuovi governi fu evidente nelle guerre che sconvolsero l’Africa subsahariana, con l’eccezione del Sud Africa dove crollò il regime di apartheid. Nello stesso tempo in Medio Oriente si rafforzavano i gruppi fondamentalisti islamici, specie in Afghanistan, scelta come base operativa dai terroristi di Al Qaeda che nel 2001 attaccarono gli USA distruggendo le Torri Gemelli di New York. Ne è scaturita una lunga guerra che gli Stati Uniti hanno condotto prima in Afghanistan e poi in Iraq. La situazione è oggi ancora calda e le proteste che dal 2010 infuocano il mondo arabo, sia in Africa sia in Medio Oriente, confermano l’instabilità dell’intera area.

Capitolo 31

Geografia della disuguaglianza Dal 1945 a oggi la popolazione della Terra è cresciuta da 2 a 7 miliardi di abitanti. Circa due terzi di questi, in Africa, in Asia, nell’America Latina, vivono in condizioni di arretratezza e povertà, in certi casi sotto l’assillo della fame. Più di un miliardo di uomini non mangia a sufficienza e non ha accesso all’acqua potabile. Come è possibile che ciò accada, in un mondo che ha conosciuto tanti progressi tecnici e scientifici, e livelli di benessere mai raggiunti prima nella storia? La risposta è molto semplice: le risorse non sono distribuite in maniera equilibrata.

Capitolo 32

La questione energetica e ambientale Per far funzionare il gigantesco apparato industriale costruito dall’uomo occorre una quantità enorme di energia. Come, dove trovarla? Per soddisfare questa esigenza si sono messe a frutto risorse energetiche disponibili in natura, quali il carbone, il metano e specialmente il petrolio. Ma queste risorse non sono eterne: continuando a estrarne dal sottosuolo miliardi di tonnellate ogni anno, i giacimenti (petrolio, metano, carbone) si esauriscono. È quindi indispensabile individuare nuove fonti di energia, che siano compatibili con un’altra fondamentale necessità del nostro tempo: il rispetto dell’ambiente.

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

28 Villaggio globale,

Capitolo

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economia mondiale

Percorso breve Lo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, che consentono a uomini e merci di viaggiare facilmente e rapidamente da una parte all’altra del globo, è la caratteristica forse più significativa del mondo contemporaneo, assieme allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa (cinema, radio, TV) che consentono di far giungere a tutti le stesse parole e le stesse immagini contemporaneamente, con le idee che esse trasportano. In questo modo il mondo si è trasformato in una sorta di “villaggio globale” (espressione coniata già nel 1962 dal sociologo canadese Mac Luhan) con un’economia e una cultura comune. L’omologazione culturale è il rischio maggiore di questo fenomeno, chiamato “globalizzazione” o “mondializzazione”, che tende a uniformare stili di vita, atteggiamenti mentali, modelli di consumo. Quasi per reazione, si è oggi sviluppata una straordinaria attenzione alle culture locali, che coesistono con la globalizzazione e anzi ne traggono beneficio, mettendosi in rete (senza perdere le proprie caratteristiche individuali) attraverso Internet, che alla fine del XX secolo ha impresso al fenoRappresentazione grafica del traffico Internet da e per gli Stati Uniti

meno una velocità eccezionale. Ciò che ne sta derivando è un mondo al tempo stesso globale e locale, che alcuni chiamano “glo-cale”. Tutto ciò è stato sostenuto dall’informatica e dalla telematica (l’uso dell’informatica a distanza) che consentono di applicare computer alle macchine, e di riorganizzare a distanza le reti produttive e commerciali; se a ciò si aggiunge il fatto che i computer rappresentano essi stessi uno dei principali prodotti dell’industria contemporanea, si giustifica il nome di “terza rivoluzione industriale” che gli storici danno a questo fenomeno (terza dopo la rivoluzione del XVIII secolo, basata sull’industria tessile e sulla macchina a vapore, e quella del XIX secolo, basata sull’industria siderurgica e sull’energia elettrica). La nuova economia globale ha portato alla deindustrializzazione dei paesi sviluppati, poiché le industrie multinazionali hanno distribuito le fasi produttive in diversi paesi, secondo le convenienze (fenomeno detto “delocalizzazione”). Ciò ha portato al declino della tradizionale classe operaia e alla crescita straordinaria del terziario e dei servizi intermedi.

Capitolo 28 Villaggio globale, economia mondiale

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28.1 Comunicazioni e collegamenti: il mondo come un villaggio La rete comunicativa Un fenomeno caratteristico del nostro tempo è lo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, che ha portato alle estreme conseguenze una rivoluzione iniziata già nel corso dell’Ottocento e ai primi del Novecento, con le prime applicazioni del motore a vapore su imbarcazioni, locomotive e vetture. Perfezionando alcune invenzioni come il treno e l’automobile, e mettendo alla portata di tutti la possibilità di attraversare i cieli con aerei sicuri e veloci, gli uomini sono riusciti a collegare i continenti e i popoli della Terra in una rete regolare di comunicazioni, che conferisce alle persone e alle merci un carattere di estrema mobilità. Il “villaggio globale” Ancor più velocemente viaggiano le notizie e le idee, le parole e le immagini, trasportate da apparecchi come la radio, la televisione, il telefono, i computer, che hanno ormai raggiunto un altissimo livello di perfezione tecnica: cavi sottomarini consentono di raggiungere telefonicamente qualsiasi punto della Terra; l’impiego dei satelliti spaziali permette di ricevere e trasmettere messaggi radiotelevisivi, di diffondere informazioni ovunque nel mondo e di farci assistere agli avvenimenti nel momento stesso in cui accadono, anche a migliaia di chilometri di distanza. Di grande importanza per lo sviluppo delle comunicazioni è la creazione di reti telefoniche senza fili, rese possibili anche dall’impiego dei satelliti come stazioni riceventi e trasmittenti e di apparecchi portatili ricetrasmettitori (“cellulari”) con cui ci si possono scambiare in tempo reale parole, testi, immagini. Tutto ciò ha finito per annullare il senso della distanza, trasformando il globo terrestre quasi in un piccolo villaggio, il “villaggio globale” profetizzato nel 1962 dal sociologo canadese Marshall Mac Luhan (1911-1980). La rivoluzione dei mass-media Nella società contemporanea, i modi di vivere e di pensare della maggior parte degli uomini sono condizionati dallo straordinario sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa o mass-media, come si chiamano in lingua inglese: strumenti tecnici in grado di trasmettere messaggi a una grande massa di persone simultaneamente. Già la stampa a caratteri mobili, che si diffuse in Europa a iniziare dal XV secolo, moltiplicò in maniera esponenziale il numero di persone che potevano essere raggiunte da testi e immagini, riprodotti meccanicamente in migliaia di copie. Ma è soprattutto dagli

Erberto Carboni, La televisione inizia in Italia il suo servizio regolare, 1º gennaio 1954

La diffusione del telefono cellulare Un indio cileno parla al telefono cellulare durante una manifestazione. Il cellulare è oggi uno strumento ampiamente utilizzato in tutto il mondo, da tutte le popolazioni.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali inizi del XX secolo, con l’invenzione del cinema, della radio e della televisione, che si comincia a parlare di mass-media in senso proprio, rivolti non a una fascia tutto sommato ristretta della popolazione (quella dei lettori, cioè degli alfabetizzati, per lungo tempo rimasti una minoranza) ma, potenzialmente, a tutti. I nuovi media consentono non solo di far circolare rapidamente le notizie, ma anche di mostrare a tutti gli stessi spettacoli, di far ascoltare a tutti le stesse musiche, di pubblicizzare ovunque gli stessi prodotti.

Aa Documenti Globalizzazione, consumismo, TV La televisione nacque nel 1928, quando furono effettuate le prime trasmissioni sperimentali negli Stati Uniti; l’inizio di un regolare servizio pubblico si ebbe in Inghilterra nel 1936. In Italia le prime trasmissioni iniziarono nel 1954, suscitando fin dal loro apparire un interesse vivissimo e modificando profondamente le abitudini e gli stessi orari della vita delle famiglie. Lo straordinario potere della TV, capace di imporre a tutti le stesse idee, gli stes-

L

si desideri, lo stesso modo di esprimersi, gli stessi modelli di consumo, fu oggetto di particolare riflessione da parte di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), scrittore e intellettuale fra i più acuti dell’Italia contemporanea, che negli anni Settanta collaborò al «Corriere della Sera» con articoli taglienti e provocatori. Uno dei pensieri ricorrenti nell’analisi di Pasolini, in maniera angosciata e quasi ossessiva, è l’affermarsi dell’ideologia consumista come “pensiero

e strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto […] i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. […] La responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro Bambina nutrita dalla televisione [disegno di G. D’Anna]

unico” della società capitalista, come “ideologia totalitaria” che tende a cancellare le differenze e a sradicare le culture locali, omologando tutte le “periferie” a un “Centro” che voracemente ingloba e distrugge ogni diversità. In ciò, secondo Pasolini, il consumismo è in grado di provocare danni peggiori di qualsiasi fascismo. E il suo strumento d’elezione è la TV. Leggiamo un brano estratto da un articolo di Pasolini.

elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre. P.P. Pasolini, Sfida ai dirigenti della televisione, da «Corriere della Sera», 1974

Capitolo 28 Villaggio globale, economia mondiale

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28.2 La globalizzazione Nuovi orizzonti L’introduzione dei nuovi media è stato un fatto sconvolgente, rivoluzionario, che ha totalmente modificato i rapporti individuali e sociali. Milioni di uomini che per secoli avevano vissuto nell’ambito del loro paese o della loro città improvvisamente si sono trovati in contatto col mondo intero. Gli orizzonti si sono allargati, nuove prospettive si sono aperte, creando tendenze e idee nuove, nuove occasioni di istruzione e di cultura. La diffusione di Internet, sul finire del Novecento, ha impresso al fenomeno una velocità eccezionale e ha aperto ancora nuove prospettive. Informazione di massa e senso critico Tutto ciò comporta anche dei rischi. I media infatti, nel momento stesso in cui arricchiscono il nostro patrimonio di esperienze, tendono a sovrapporsi prepotentemente alle culture locali e individuali, producendo una cultura uniforme in tutto il mondo: i messaggi pubblicitari, in particolare, sollecitano la formazione di modelli omogenei di consumo, per promuovere la vendita di determinati tipi di prodotto. Ma più in generale ciò appare vero per tutto ciò che i media comunicano: valori, atteggiamenti, modelli di comportamento. È questo uno dei rischi maggiori della globalizzazione o, come anche si dice, “mondializzazione”. Globalizzazione e multinazionali La globalizzazione, seppure strettamente legata all’uso dei mass-media, è prima di tutto un fenomeno economico fondato sulla libera circolazione dei capitali e sulla liberalizzazione degli scambi in un sistema di libero mercato, che sfrutta pienamente la diffusione dell’informatica e il decentramento del sistema industriale. In questo nuovo scenario diventano protagoniste le grandi imprese multinazionali, che operano dentro e fuori il proprio paese di origine come se le economie dei vari Stati facessero parte di un unico ed enorme mercato mondiale. Di conseguenza, la globalizzazione ha anche importanti conseguenze sul piano culturale, poiché tende a ridurre le differenze fra i popoli, ad avvicinare i modi di vita, a modificare tradizioni e abitudini. In particolare, il “modo di vita americano” (American way of life) si è imposto nel mondo assieme alle industrie multinazionali e assieme all’affermazione del modello politico statunitense, diffondendo il consumo di Coca-Cola e l’uso dei jeans, e molti altri simboli di quel mondo, adottati da milioni di persone come segno di emancipazione e di modernità. Un McDonald’s a Seul, in Corea del Sud L’espansione delle imprese multinazionali è una caratteristica dell’economia nell’era della globalizzazione: la Coca-Cola, gli hamburger di McDonald’s e i jeans possono essere assunti come simboli di questo fenomeno, non solo economico ma anche culturale dal momento che questi prodotti hanno contribuito a diffondere in maniera capillare in ogni angolo del pianeta lo stile di vita americano.

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

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Le vie della cittadinanza

I

Verso una società “glo-cale”

mass-media si sono via via delineati come un formidabile mezzo di orientamento dell’opinione pubblica: un concetto, quello di “opinione pubblica”, affermatosi nel corso del Novecento, proprio in concomitanza con l’apparire dei nuovi media. Parallelamente si sviluppò il sistema dei “sondaggi di opinione”, realizzato per la prima volta da Georges Gallup (1901-1984) negli Stati Uniti, in occasione delle elezioni presidenziali del 1935. Di qui nasce un nuovo problema, tipico del nostro tempo: quello di trovare i modi e le forme per rafforzare il senso critico, per evitare la passività, per sviluppare,

di fronte ai media, capacità personali di giudizio e di valutazione. Soprattutto è indispensabile scongiurare il pericolo che la stessa costruzione della conoscenza diventi un fatto mediatico: che non si confonda, cioè, la realtà delle cose con quella riprodotta dai media. Tanto più, in queste condizioni, è importante istituire forme di controllo dell’informazione, sia sul piano giuridico e politico, sia sul piano della consapevolezza individuale. L’influenza dei media nell’adozione di stili di vita omologati, sommata al tipo di economia globale che investe l’intero pianeta, ha spinto alcuni studiosi a ritenere che la gloLa spesa in Namibia [© Hegenbart Stern/Studio X]

Spesso, nei paesi in via di sviluppo, la crescita è sinonimo di “occidentalizzazione” anche perché le grandi strutture commerciali, che si insediano nel cuore delle culture locali, ripropongono modelli e stili occidentali. Come reazione a tale “modernità” d’importazione, un po’ ovunque, alcuni movimenti esaltano i valori culturali nazionali e la tradizione.

balizzazione rappresenti un pericolo per le culture locali, che rischiano di essere cancellate dall’affermarsi di un unico mercato mondiale e di modelli di vita uniformi. Altri studiosi fanno però notare che la globalizzazione, mettendo in contatto paesi e popoli lontani fra loro, può favorire la crescita culturale, aumentando le possibilità di scambiare idee ed esperienze. Per di più, oggi sta accadendo un fenomeno paradossale: proprio l’unificazione su scala mondiale dell’economia e degli stili di vita, mentre sembra mettere in pericolo le tradizioni locali, provoca, quasi per reazione, una straordinaria attenzione al tema delle differenze e delle identità, che sempre più vengono avvertite come una realtà a rischio, che è necessario proteggere. Mai come oggi tale attenzione è stata forte. Il problema, allora, non sta tanto nell’opporsi al processo di globalizzazione, che è ormai un fatto compiuto di cui dobbiamo prendere atto, quanto nell’indirizzarlo e “governarlo” nel modo giusto, stabilendo regole che evitino l’accentramento in poche mani dei mezzi produttivi e dei canali di informazione, e che rendano accessibili gli strumenti con cui il mondo globale si è costruito: la comunicazione, i trasporti, l’informatica. Per esempio, Internet può essere un formidabile strumento di conoscenza e di promozione delle realtà locali: un piccolo produttore di marmellate, che vive in un piccolo paese dell’Appennino, può, attraverso quel mezzo, farsi conoscere nel mondo intero. Il rapporto fra globale e locale non è dunque a senso unico: fra queste due dimensioni della nostra vita è possibile una fruttuosa coesistenza. Il modello di vita e di consumo che ci aspetta in futuro è forse, come dicono alcuni sociologi, “glo-cale”.

28.3 L’era informatica Informatica e telematica Una fondamentale invenzione della nostra epoca sono gli elaboratori elettronici, in lingua inglese computer, apparecchi in grado di compiere funzioni analoghe a quelle della mente umana (perciò inizialmente furono chiamati “cervelli elettronici”). Loro scopo era fare calcoli su grandi quantità di informazioni numeriche: perciò la scienza relativa alla preparazione di tali calcolatori fu detta informatica (informazioni + matematica). Dopo l’invenzione dei Personal computer (nel 1977 apparvero quelli della Apple, nel 1981 quelli della IBM) un altro grande progresso nello sviluppo dell’informatica si è avuto collegando i PC con i cosiddetti servizi di rete, ossia l’enorme quantità di infor-

Capitolo 28 Villaggio globale, economia mondiale

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mazioni che, raccolte negli elaboratori centrali, possono essere consultate anche a domicilio, utilizzando la rete telefonica mondiale. Si è sviluppata in tal modo la cosiddetta “telematica”, un sistema coordinato di computer e telefono che dà la possibilità di trasmettere e ricevere dati informatici utilizzando le linee telefoniche. Queste ultime oggi servono a trasportare non più solo la voce delle persone, ma anche informazioni numeriche (in codice) o di qualsiasi altro genere. Con un semplice PC ci si può collegare con un elaboratore lontano, chiedergli e ricevere (o trasmettergli) informazioni di ogni tipo. In tal modo le possibilità di comunicazione si sono straordinariamente allargate.

La rete delle reti Internet (dal latino inter, ‘fra’ e dall’inglese net, ‘rete’) è la più grande rete telematica mondiale, appoggiata a strutture fisiche e collegamenti di vario tipo (fibre ottiche, collegamenti satellitari, ponti radio, ecc.). Attualmente essa “interconnette”, ossia mette in relazione fra loro centinaia di milioni di computer in tutto il mondo. Le principali modalità di utilizzo di Internet sono la posta elettronica (e-mail), che consente di inviare e ricevere messaggi; FTP (file transfer protocol), che consente di inviare e ricevere un file, cioè un insieme di informazioni codificate (testi, immagini, suoni); WWW (World Wide Web), che consente di organizzare informazioni in rete su appositi “siti”. La facilità di accesso a Internet e a tutte le sue potenzialità ha aperto l’uso di questo strumento a milioni di persone. Ormai su questo canale passano infinite informazioni (dagli orari dei treni alle ricette di cucina, dalle enciclopedie ai testi dei giornali, dalla musica alle mostre d’arte). Inoltre su questo canale si è sviluppato il cosiddetto commercio elettronico (e-commerce), che consente di vendere o di acquistare qualsiasi genere di merci e di servizi. Appositi programmi di orientamento, detti motori di ricerca (per esempio Google), consentono agli utilizzatori di cercare gli argomenti di proprio interesse. A ciò si aggiungono i gruppi di discussione, le cosiddette “bacheche elettroniche” (blog) dedicate a specifici argomenti, le opportunità di conversazione diretta fra interlocutori reali, singoli o in gruppo (chat), i social network o “reti sociali”. Internet è dunque diventato una nuova forma di comunicazione di massa, che è indispensabile controllare – come tutti i mass-media – per impedirne utilizzi abusivi, scorretti o criminali. L’ENIAC, 1946 Il primo elaboratore completamente elettronico fu creato negli Stati Uniti nel 1946, presso l’Università della Pennsylvania, e si chiamò ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer, ‘Computer e Integratore Numerico-Elettronico’): occupava 40 mensole in una stanza di 130 m2 e al suo funzionamento erano predisposti numerosi addetti.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

28.4 La terza rivoluzione industriale: globalizzazione e decentramento Delocalizzazione L’informatica e la telematica hanno contribuito a dare una dimensione mondiale al mondo industriale, che oggi si caratterizza per la scala planetaria in cui agisce. Le maggiori industrie hanno infatti avviato un processo di decentramento (o delocalizzazione) di varie fasi della lavorazione, dislocate in diversi paesi del mondo secondo il criterio della massima convenienza: disponibilità di materie prime, costo della manodopera, facilitazioni fiscali, vicinanza ai mercati. In tal modo si sono sviluppate le imprese multinazionali, che operano nel mondo su scala globale, separando e suddividendo le fasi della fabbricazione, dell’assemblaggio, della vendita dei prodotti. Il ruolo dell’informatica Queste trasformazioni sono avvenute in stretto rapporto con lo sviluppo dell’informatica e della telematica, per tre diversi motivi. n In primo luogo, i computer sono stati applicati al funzionamento delle macchine, così che, nelle fabbriche, il processo produttivo è stato in tutto o in parte automatizzato; le macchine sono messe in movimento e controllate non più dagli operai, ma dai computer, sotto la sorveglianza di tecnici specializzati.

I modi della storia

Da Arpanet a Internet

L’origine della rete Internet risale al programma Arpanet, un sistema di computer costituito nel 1969 dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Progettato per scopi militari, esso doveva mettere in comunicazione diversi elaboratori, sparsi in sedi diverse, che fino ad allora non erano in grado di “parlarsi” e di scambiare dati. Quattro centri di ricerca universitari (l’Università di California a Los Angeles, l’Istituto di ricerca di Stanford, l’Università di California a Santa Barbara, l’Università dello Utah) furono collegati fra di

loro mediante il cosiddetto sistema della “commutazione di pacchetto” (racket switching) che consiste nel suddividere le informazioni in “pacchetti” di dati spediti per via telematica e ricostituiti all’arrivo. La posta elettronica fu inventata nel 1971 da Ray Tomlinson, incrociando il programma per i messaggi interni con quello per il trasferimento dei “pacchetti”. In pochi anni, Arpanet si allargò negli Stati Uniti e oltre Oceano, mentre progetti analoghi si sviluppavano in Francia, in Norvegia e in Inghilterra. La prima e-mail europea fu spedita il 26 marzo 1976 dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra al Servizio reale

Le fibre ottiche Il grande uso che oggi si fa della rete telefonica per trasmettere ogni genere di messaggi (dati, suoni, immagini) e non più solo la voce ne ha reso necessario il potenziamento. Si è pertanto diffuso l’impiego di cavi particolari, le “fibre ottiche” (formate da vetro e silicati) che sono in grado di trasportare enormi quantità di informazioni contemporaneamente.

Un internauta [© Clajot-Gamma/Contrasto]

dei segnali radar. Su queste basi nacque Internet, che prese il via ufficialmente nel 1980 come “rete di reti” internazionale. Nel 1992 fu definito il protocollo HTTP (hyper text transfer protocol ossia ‘protocollo di trasferimento di ipertesti’) che permette una lettura, appunto, “ipertestuale”, ossia non sequenziale dei documenti, saltando da un punto all’altro mediante l’utilizzo di rimandi o link. Di qui prese origine il World Wide Web (WWW), un sistema di organizzazione dei dati in “pagine”, a cui si può accedere utilizzando appositi programmi detti browser, che permettono di spostarsi da un sito all’altro visualizzando testi, suoni, immagini, animazioni, filmati. Iniziò in questo modo l’era dei navigatori su Internet.

Capitolo 28 Villaggio globale, economia mondiale

Un impianto industriale robotizzato

Una veduta di Singapore

n In secondo luogo, lo sviluppo della telematica ha consentito di riorganizzare in modo totalmente nuovo le reti produttive e commerciali: la direzione di un’azienda, da cui partono i programmi e i piani produttivi, può essere concentrata in un luogo mentre le fasi della lavorazione sono dislocate altrove, e controllate per via informatica; la gestione delle forniture e delle scorte diventa più rapida e sicura, perché in qualsiasi momento si può accertare la disponibilità di magazzino o l’entità delle richieste da soddisfare. Il telefono e la rete telematica sono pertanto diventati lo strumento di lavoro a cui ormai si affidano le principali decisioni di un’azienda, così come le attività commerciali e finanziarie si svolgono soprattutto per via telematica. n Infine, i computer sono diventati essi stessi uno dei principali prodotti del nuovo sviluppo industriale: per questo si parla di “terza rivoluzione industriale”, dopo la prima (XVIII secolo) che ebbe come protagonisti l’industria tessile e le macchine a vapore, e la seconda (XIX secolo) che ebbe come protagonisti l’industria siderurgica e l’energia elettrica.

Deindustrializzazione Le innovazioni scientifiche e tecnologiche legate all’utilizzo dei computer, alla telematica, al decentramento del lavoro industriale hanno prodotto fondamentali cambiamenti nelle strutture economico-sociali e nell’organizzazione del lavoro. Un primo effetto è la cosiddetta “deindustrializzazione” dei paesi più avanzati, ossia lo smantellamento di interi complessi industriali, dovuto allo spostamento delle attività produttive in altri paesi. Intere aree industriali sono state smobilitate, per esempio, negli Stati americani dell’Ohio e del Michigan, un tempo cuore dell’industria automobilistica, o nella Pennsylvania, dove fiorivano importanti centri siderurgici. Una nuova struttura economico-sociale Un secondo effetto, direttamente collegato al primo, è la progressiva diminuzione del numero degli operai addetti all’industria: dislocando la produzione in altri paesi e applicando i computer-robot alle macchine, migliaia di operai sono rimasti senza occupazione mentre è cresciuta la richiesta di tecnici specializzati, addetti al controllo e alla progettazione dei computer. Parallelamente si è verificato uno sviluppo crescente delle attività terziarie (commercio, finanza) e dei cosiddetti “servizi intermedi” (amministrazione pubblica e privata, assicurazioni, turismo, ecc.) che tengono i collegamenti tra i vari settori dell’economia, sia nel campo del lavoro sia in quello del tempo libero. Nuovi distretti industriali Importanti riflessi di tutto ciò si sono avuti nelle regioni in via di sviluppo, come Taiwan, Corea, Hong-Kong, Singapore in Asia, Brasile e

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali Messico in America, dove le multinazionali europee e statunitensi hanno decentrato numerosi stabilimenti industriali. Attraverso tali attività, sia pure svolte in maniera non autonoma, questi paesi sono riusciti a entrare nel movimento economico mondiale, ricavandone non trascurabili benefici. Il costo del lavoro in alcuni paesi, nel settore industriale (anno 1993, valore espresso in dollari)

Il costo del lavoro nel settore industriale 1993 (in dollari)

Il fenomeno della delocalizzazione, legato anche al diverso costo del lavoro, si è sviluppato soprattutto a iniziare dagli anni Novanta del XX secolo.

I modi della storia

Paesi in via di sviluppo

Costo orario

Paesi industrializzati

Costo orario Paesi ex comunisti

Costo orario

Messico

2,41

Germania

24,87

Ungheria

1,82

Brasile

2,68

Svizzera

21,64

Polonia

1,40

Taiwan

5,46

Giappone

19,61

Repubblica Ceca

1,14

Corea del Sud

4,93

Stati Uniti

16,40

Malaysia

1,80

Francia

16,26

Filippine

0,68

Gran Bretagna

12,37

Cina

0,44

Spagna

11,73

Indonesia

0,28

Dall’elaboratore elettronico al PC

Il linguaggio matematico dei computer si basa su un sistema di calcolo differente da quello decimale (basato su dieci numeri, da 0 a 9) utilizzato in tutto il mondo fin dal Medioevo, quando gli arabi lo diffusero in Occidente, dopo averlo appreso dagli indiani. L’informatica funziona con un nuovo sistema, detto “binario” perché basato su due sole cifre, 0 e 1. In pratica si tratta di un codice, all’apparenza estremamente complesso ma in realtà semplicissimo, che traduce tutte le informazioni in una sequenza di Sì (=1) e di No (=0). La successione di 0 e 1 può variare all’infinito e contenere ogni tipo di informazione: numeri (per esempio, la successione 00011000 significa “24”), testi (la successione 10010101 significa “n”), immagini, suoni. I computer sono in grado di decodificare queste informazioni con estrema velocità. Per essere in grado di svolgere le loro funzioni gli elaboratori devono essere programmati, cioè preventivamente preparati in modo da poter eseguire automaticamente, in tempi brevissimi e con precisione assoluta, operazioni che l’uomo potrebbe compiere solo in tempi molto lunghi e con un enorme dispendio di energie. I primi elaboratori elettronici comparvero durante la Seconda guerra mondiale, nel

1941 in Germania, poi negli Stati Uniti, utilizzati per scopi militari come i controlli radar e i voli di ricognizione. Negli anni Cinquanta-Sessanta i computer divennero sempre più potenti e perfezionati, e i campi di utilizzazione si allargarono dall’ambito militare a quello civile (contabilità, amministrazione, archivi...). Negli anni Settanta furono inventati i cosiddetti PC o “personal computer”, piccole macchine destinate a un uso individuale; contestualmente, nuovi programmi furono studiati per utilizzare tali macchine non solo per il calcolo, ma anche per altre funzioni, in particolare la scrittura e la grafica.

In questo settore di ricerca si distinsero gli scienziati americani e in particolare californiani: si svilupparono allora le numerose industrie di una regione della California che fu chiamata Silicon valley, ‘valle del silicio’, un elemento impiegato come isolante nei componenti essenziali degli elaboratori elettronici, i chip. Nel 1981 anche la IBM, la maggiore industria americana del settore, si lanciò nella produzione di personal computer, che da allora è proseguita con crescente intensità e continui perfezionamenti. Oggi i computer sono disponibili in dimensioni estremamente ridotte e sono diventati un maneggevole strumento di lavoro quotidiano per moltissime persone. L’evoluzione della tecnologia elettronica Tre sono stati i momenti fondamentali nell’evoluzione della tecnologia elettronica: per la commutazione e l’amplificazione delle correnti elettriche, si è passati dagli ingombranti tubi termoionici (le valvole delle vecchie radio), ai transistor (1948), poi ai microchip (1971) blocchetti di silicio di dimensioni millesimali che con ingombri e consumi di energia limitatissimi consentono agli attuali computer l’immagazzinamento e l’elaborazione rapida di milioni di informazioni.

Capitolo 28 Villaggio globale, economia mondiale

Sintesi

Villaggio globale, economia mondiale

Comunicazioni e collegamenti: il mondo come un villaggio La nostra epoca è caratterizzata dallo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione. Il perfezionamento di treni, automobili e aerei ha creato una rete regolare di comunicazioni tra i continenti e i popoli della Terra. La velocità nello spostamento di parole, idee, immagini e notizie, con apparecchi tecnicamente sofisticati, ha annullato le distanze creando una sorta di “villaggio globale”. Il modo di vivere e pensare degli uomini è condizionato dallo sviluppo dei mass-media, che permettono la trasmissione simultanea di messaggi. Dall’inizio del Novecento si sono sviluppati cinema, TV, radio, mezzi di comunicazione potenzialmente rivolti a tutti, che diffondono notizie e permettono a tutti di condividere le stesse musiche, gli stessi spettacoli, le stesse pubblicità di prodotti. La globalizzazione I nuovi media hanno modificato i rapporti individuali e sociali e hanno messo gli uomini in contatto col mondo a una velocità enorme, grazie alla rete Internet. La globalizzazione è un fenomeno economico basato sulla libera circolazione di capitali e sul libero scambio di merci, sulle tecnologie informatiche e sul decentramento delle industrie. Protagoniste del processo sono le multinazionali, che

operano in diversi Stati e considerano il mondo un unico mercato. Questo fenomeno comporta dei rischi, legati alla diffusione di una cultura uniforme che annulla le differenze locali e individuali e che porta a consumare gli stessi prodotti e a condividere gli stessi valori e atteggiamenti. L’era informatica Una fondamentale invenzione del nostro tempo è costituita dal computer, apparecchio con funzioni analoghe a quelle della mente umana, nato allo scopo di compiere calcoli su informazioni numeriche e preparato dalla scienza informatica. Un ulteriore progresso è stato portato con la possibilità di collegare i computer a uso individuale (PC) tramite i servizi di rete, che permettono di trasmettere e ricevere una quantità enorme di dati informatici. La rete telematica mondiale, Internet, permette di mettere in relazione centinaia di milioni di PC in tutto il mondo. Può essere usata per inviare e ricevere messaggi e informazioni codificate (file) o per organizzare informazioni in appositi “siti”, per attività di commercio elettronico, gruppi di discussione, conversazioni dirette tra interlocutori reali (chat o social network). Si tratta di una nuova e diffusa forma di comunicazione di massa, non esente dal rischio di usi abusivi, scorretti o criminali.

La terza rivoluzione industriale: globalizzazione e decentramento Grazie all’informatica e alla telematica, le industrie si sono sviluppate su scala planetaria. Varie fasi della lavorazione sono state dislocate in diverse zone del pianeta seguendo il criterio della maggiore convenienza. In questo modo si sono formate le multinazionali, che separano le fasi della fabbricazione, dell’assemblaggio e della vendita dei prodotti. Il processo produttivo è stato automatizzato ed è gestito e controllato da computer. Le reti produttive e commerciali funzionano grazie alla telematica, che permette di controllare le attività lavorative delocalizzate, di gestire le forniture e di svolgere le attività commerciali e finanziarie. Gli stessi computer sono diventati uno dei principali prodotti del nuovo sviluppo industriale, definito “terza rivoluzione industriale”. Tali innovazioni hanno portato alla deindustrializzazione nei paesi avanzati, dove lo spostamento della produzione ha provocato lo smantellamento di intere industrie, e la diminuzione degli operai impiegati nell’industria, a vantaggio dei tecnici specializzati. Si sono sviluppate le attività terziarie e i servizi intermedi, mentre il decentramento della produzione ha favorito l’inserimento dei paesi in via di sviluppo nel movimento economico mondiale.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

g. La direzione di un’azienda deve trovarsi nello stesso luogo in cui avviene la lavorazione.

V

F

a. Le reti telefoniche senza fili sono rese possibili anche dall’impiego dei satelliti.

V

F

b. I messaggi pubblicitari sollecitano la formazione di modelli disomogenei di consumo.

h. Lo scopo originario dei computer era compiere calcoli su piccole quantità di informazioni numeriche.

V

F

V

F

V

F

c. La terza rivoluzione industriale si basa sulla produzione e sull’utilizzo dei computer.

i. La globalizzazione sfrutta la diffusione dell’informatica e il decentramento industriale.

V

F

V

F

d. La delocalizzazione consiste nello spostare settori della produzione in vari paesi del mondo.

l. I “servizi intermedi” comprendono il commercio e la finanza.

V

F

m. Le chat permettono la conversazione diretta tra interlocutori reali, singoli o in gruppo.

V

F

e. La telematica è un sistema coordinato di computer V e telefono che utilizza le linee telefoniche.

F

n. La deindustrializzazione consiste nello spostamento in altri paesi di interi complessi industriali.

V

F

f. I motori di ricerca consentono di vendere o acquistare qualsiasi genere di merci o servizi.

F

o. La telematica è la scienza relativa alla preparazione dei personal computer.

V

F

V

417

418

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

p. Le regioni in via di sviluppo sono state svantaggiate dai processi di deindustrializzazione.

V

F

q. Le attività commerciali e finanziarie si svolgono soprattutto per via telematica.

V

F

r. Il World Wide Web consente di inviare e di ricevere un file.

V

F

s. I mass-media sono in grado di trasmettere di messaggi simultanei a una grande quantità di persone.

V

F

3. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto.

t. Le grandi imprese multinazionali operano solo al di fuori del loro paese di origine.

V

F

cellulare • computer • delocalizzazione • informatica • file • Internet • mondializzazione • multinazionale • rete • telematica

u. La più grande rete telematica mondiale è Arpanet.

V

F

v. L’American way of life si è imposta nel mondo con l’affermazione del modello politico statunitense.

V

F

e. Il sociologo Marshall Mac Luhan ha coniato la definizione di: deindustrializzazione. mondializzazione.

villaggio globale. terza rivoluzione industriale.

f. Le “bacheche elettroniche” sono indicate con il termine di: chat. blog.

motore di ricerca. file.

Fenomeno di omologazione, integrazione e interdipendenza di economie e mercati Insieme di informazioni codificate

2. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento.

Sistema coordinato di computer e telefono

a. Si comincia a parlare di mass-media a partire dagli inizi del:

Apparecchio in grado di compiere funzioni analoghe a quelle della mente umana

XXI secolo. XIX secolo.

XVI secolo. XX secolo.

Impresa che opera dentro e fuori il proprio paese di origine

b. I primi personal computer apparvero nel: 1977. 1979.

1981. 1983.

Apparecchio portatile ricetrasmettitore Scienza relativa alla preparazione dei computer

c. La diffusione di Internet è avvenuta: all’inizio del XX secolo. alla metà del XX secolo. alla fine del XX secolo. all’inizio del XXI secolo.

Dislocazione delle fasi della lavorazione in diversi paesi del mondo Insieme di calcolatori collegati tra loro per condividere informazioni

d. La stampa a caratteri mobili si diffuse in Europa a partire dal: XV secolo. XIX secolo.

XVI secolo. XVII secolo.

Principale rete telematica mondiale

Analizzare e produrre 4.

Leggi il documento “Globalizzazione, consumismo, TV” a p. 410 e rispondi alle seguenti domande. 1. Quando nacque la televisione? Quando si diffuse in Italia? 2. Che cosa contiene il documento? 3. Chi era Pasolini? Su quale caratteristica della televisione ha riflettuto? Quali sono state le sue valutazioni? 4. Che cosa pensava Pasolini dell’ideologia consumista? 5. Quali conseguenze nella società ha provocato la diffusione della televisione secondo Pasolini? 6. Che cosa sono i mass-media? Quando si sono diffusi? Che cosa permettono di fare? 7. Quali modifiche nella società sono state favorite dall’introduzione dei mass-media? 8. Che cosa è la globalizzazione? Quali sono le sue conseguenze? Quali rischi sono a essa connessi?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Globalizzazione e mass-media: novità e rischi”.

5. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna. 1. 2. 3. 4. 5.

Che cosa si intende per globalizzazione? Che cosa sono le multinazionali? Che cosa si intende per delocalizzazione? Che cosa si intende per deindustrializzazione? Quali novità sono state introdotte nell’industria dalla diffusione di informatica e telematica?

Capitolo 28 Villaggio globale, economia mondiale

6. Verso il saggio breve Leggi il documento “Da Arpanet a Internet” riportato a p. 414 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è il programma Arpanet? Quando è stato costituito? Da chi? A che scopo? 2. Che cosa è il sistema del racket switching? Da chi fu utilizzato? A che scopo? 3. Che cosa è stato inventato nel 1971 da Ray Tomlinson? In che modo? 4. Quando nacque Internet? Che cosa era in origine? 5. Quale protocollo fu definito nel 1992? Che cosa permetteva? Che cosa ha originato? 6. Che cosa è un browser? Che cosa è un link? Leggi il documento “Dall’elaboratore elettronico al PC” riportato a p. 416 e rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è il sistema binario? Che cosa funziona con tale sistema? In che modo?

2. Perché gli elaboratori devono essere programmati? 3. Quando comparvero i primi elaboratori elettronici? Dove? A che scopo erano usati? 4. Che cosa fu ideato negli anni Settanta? Che cosa fu studiato per il loro utilizzo? 5. Che cosa è la Silicon Valley? 6. Che cosa caratterizza oggi i computer? Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è l’informatica? 2. Che cosa sono i servizi di rete? Che cosa si intende per telematica? 3. Quali sono le principali modalità di utilizzo di Internet? Che cosa permettono di fare? 4. Che cosa sono i motori di ricerca? Che cosa sono i file? Che cosa sono i blog? Che cosa sono le chat? Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 12 righe dal titolo “La rivoluzione nel sistema delle comunicazioni”.

419

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

29 Gli sviluppi in Asia

Capitolo

420

e America Latina

Percorso breve Tra XX e XXI secolo nuove aree del mondo si segnalano per la crescita economica. Dopo la crisi della Seconda guerra mondiale è stata eccezionale la ripresa del Giappone che, grazie anche all’appoggio americano, è diventato una potenza industriale di primo piano, specializzandosi in prodotti di precisione, informatici e tecnologici. Ciò è stato possibile per la compressione dei consumi interni (dovuta ai bassi salari) e anche per fattori culturali come la dedizione dei giapponesi alla causa aziendale e la particolare capacità di imparare dagli altri. L’economia del Giappone è entrata in crisi alla fine del XX secolo, ma il paese resta un modello per i paesi asiatici emergenti. Aggressive politiche economiche sono praticate dalle cosiddette “tigri asiatiche”, paesi del Sud-est (Corea del Sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan, ecc.) che traggono profitto dalla dislocazione sui loro territori di segmenti delle industrie multinazionali. Ma i fenomeni più spettacolari sono oggi quelli indiano e cinese. In India il Partito del Congresso, dominato dalla famiglia Nehru-Gandhi, ha avviato un processo di industrializzazione che pone il paese all’avanguardia in settori come l’informatica, senza però dimenticare il problema della fame e l’attenzione all’agricoltura. Tradizione e innovazione si incrociano nello sviluppo dell’India, in un contesto di grande stabilità politica dovuto all’assimilazione del modello parlamentare inglese. Diverso è il caso della Cina, unico grande paese rimasto legato al modello comunista, che tuttavia ha avviato una relativa liberalizzazione economica, innestando elementi capitalistici nell’economia di Stato e

Un complesso edilizio a Pechino

sperimentando aree di libero mercato in alcune zone del paese. Questo programma di riforme e modernizzazioni è stato sostenuto da Deng Xiao-ping e dai suoi successori a partire dal 1976. La richiesta di libertà anche sul piano civile e politico è stata invece disattesa e repressa: nel 1989, la piazza Tien an-men di Pechino è stata teatro di scontri terminati con centinaia di morti. È fra queste contraddizioni che la Cina sta avviandosi a diventare la superpotenza del nuovo millennio. Anche in America Latina vari paesi hanno imboccato la via dello sviluppo industriale, in particolare il Messico e il Brasile. Sul piano politico si osserva una crescente ostilità verso gli Stati Uniti, con la rivendicazione di una piena autonomia dal potente vicino e con programmi di forte impegno nazionale e sociale che hanno assicurato il successo di popolari leader come Chavez in Venezuela, Lula in Brasile, Morales in Bolivia, Lugo in Paraguay, Kirchner in Argentina.

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

421

29.1 Il “miracolo giapponese” La crescita industriale Dalla Seconda guerra mondiale il Giappone uscì in condizioni disastrose: perdita totale dei territori conquistati oltremare, distruzione delle industrie belliche e dell’apparato produttivo. Ma il paese fu capace di una ripresa eccezionalmente rapida, favorita dall’appoggio degli Stati Uniti, che inserirono il Giappone nella propria orbita economica e politica. In pochi decenni il paese ricostruì il proprio apparato industriale, ponendosi tra le maggiori potenze assieme agli Stati Uniti e ai paesi europei con cui poteva liberamente commerciare. Negli anni Settanta-Ottanta i prodotti giapponesi, soprattutto quelli tecnologici e informatici, conquistarono i mercati e fecero del Giappone la terza potenza industriale del mondo; la moneta giapponese, lo yen, diventò una delle più solide e apprezzate per gli scambi internazionali. Allo slancio industriale si accompagnò una crescita della produzione agricola, soprattutto il riso, dovuto a nuovi sistemi di irrigazione e all’impiego sistematico dei concimi chimici. Il boom demografico e produttivo Lo sviluppo economico del Giappone fu favorito dall’abbondanza di mano d’opera, legata al rapido incremento demografico: nel 1941 gli abitanti del paese erano 70 milioni, negli anni Ottanta erano saliti a oltre 120 (oggi sono quasi 130 milioni). Ma un elemento decisivo del cosiddetto “miracolo giapponese” è stata la compressione dei consumi: in tutto questo periodo, l’aumento dei consumi è stato decisamente inferiore all’aumento della produttività. Ciò significa che la maggior parte delle merci prodotte in Giappone è confluita all’estero, consentendo al paese di avere una bilancia commerciale positiva; ma significa anche che la prosperità delle industrie giapponesi è stata pagata dalla popolazione, dagli operai e dai tecnici, i cui bassi salari da un lato hanno limitato il potere d’acquisto, dall’altro hanno contribuito a tenere bassi (e a rendere estremamente concorrenziali) i prezzi dei prodotti giapponesi sul mercato internazionale. Orgoglio aziendale Ancora un altro fattore ha favorito lo sviluppo economico giapponese: il cosiddetto “patriottismo aziendale”, ovvero l’attaccamento dei lavoratori alle aziende in cui lavorano, di cui si sentono parte integrante e a cui dedicano la maggior parte del loro tempo e delle loro energie. Da questo atteggiamento di dedizione e di assoluta disciplina, legata forse alla rapidità della “grande trasformazione” del paese da società feudale a società industriale, deriva un impegno nel lavoro che determina un grande rendimento quantitativo e qualitativo. Il sostegno dello Stato e la cultura dell’imitazione Lo sviluppo dell’industria giapponese è stato sostenuto anche dal forte intervento dello Stato, soprattutto sotto forma di investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, favorita a sua volta dalla “cultura dell’imitazione”, un’attitudine assai sviluppata nel popolo giapponese e che consiste nella particolare capacità di osservare e studiare i metodi di lavoro, le tecniche, le invenzioni altrui, per poi perfezionarle e riprodurle: un atteggiamento che richiede grande umiltà oltre che viva capacità intuitiva. Difficoltà economiche Solo sul finire del XX secolo il calo del commercio estero, determinato dalla concorrenza di altri paesi e dalle restrizioni commerciali che USA e Unione Europea hanno posto sui principali prodotti giapponesi (informatici e automobilistici), ha fatto segnare un punto di arresto dell’economia giapponese, provocando – anche a seguito della scelta di delocalizzare la produzione

Memo

Grande trasformazione Fra i paesi asiatici, il Giappone fu il primo ad avviare una politica di sviluppo industriale, la “grande trasformazione”, come fu detta dall’imperatore Mutsuhito, che nel 1868 la lanciò per “modernizzare” il paese sul modello europeo. La crescita economica generò ben presto una politica imperialistica e di espansione militare, che negli anni Trenta del XX secolo portò all’alleanza con la Germania di Hitler e alla volontà di affermare il potere nipponico sull’intera Asia.

La ginnastica mattutina collettiva Ogni mattina, prima di iniziare il lavoro negli stabilimenti, i dipendenti fanno tutti insieme dieci minuti di ginnastica. Questo “rituale” giornaliero ha lo scopo di rafforzare l’orgoglio aziendale e stimola a produrre in maniera più efficiente.

422

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali I grattacieli di Hong Kong

industriale – fenomeni di disoccupazione fino a quel momento sconosciuti. Una vera e propria recessione ha interessato il paese negli anni 1998-99 in seguito al crollo del sistema bancario. La ripresa è iniziata con il governo del liberal-democratico Junichiro Koizumi (2001-06) e dal 2009 il governo è passato, per la prima volta nella storia giapponese, al Partito socialdemocratico. Una forte instabilità politica ha caratterizzato l’ultimo decennio della storia giapponese (dal 2007 al 2011 si sono succeduti sei Primi ministri) ma il paese resta ancora oggi un punto-chiave della produzione e del commercio mondiale e un modello per gli altri paesi asiatici.

29.2 Le tigri asiatiche

La Parola

Reddito pro capite Il reddito “pro capite” (espressione latina che significa ‘a testa’) è il reddito complessivo della popolazione di uno Stato (o di un qualsiasi altro gruppo o comunità) diviso per il numero delle persone che ne fanno parte.

Un’economia aggressiva A cominciare dagli anni Ottanta del XX secolo, vari paesi dell’Asia avviarono un rapido sviluppo industriale per impulso delle multinazionali giapponesi, americane ed europee. I casi più clamorosi di questa trasformazione si sono visti nel Sud-est del continente dove Corea del Sud, Hong Kong, Singapore e Taiwan, dette le “tigri asiatiche” per via delle loro aggressive politiche economiche, sono riuscite a conquistarsi un posto di rilievo nei nuovi scenari economici prodotti dalla globalizzazione. Qui in poco tempo sono sorte industrie modernissime, che hanno dato lavoro a migliaia di operai e sostenuto un insieme di attività collaterali, anche di tipo commerciale, avviando un dinamismo economico prima sconosciuto (nel 1997, anno in cui da ex colonia inglese è tornata sotto il governo cinese come regione amministrativa speciale, Hong Kong era tra le regioni più ricche del mondo e il reddito pro capite dei suoi abitanti superava quello di Francia e Regno Unito). Le nuove tigri Assieme al Giappone, con cui avevano stipulato un’alleanza economica (l’APEC), le “tigri” investirono nei paesi vicini, Thailandia, Malaysia, Viet Nam, Indonesia e Filippine, dove erano già presenti imprese e capitali occidentali. In pochi anni, le “nuove tigri” hanno visto aumentare e velocizzare in maniera considerevole il loro tasso di crescita, specializzandosi in beni di consumo standardizzati e a basso prezzo. Al passo con la globalizzazione Il “motore” di tutto ciò è stato un fenomeno di ampiezza mondiale: la trasformazione dei sistemi di produzione delle grandi industrie che, per risparmiare sui costi di produzione, hanno decentrato le varie fasi di lavorazione, dislocandole in queste zone del pianeta dove il costo della manodopera è molto basso

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

423

(fenomeno detto “delocalizzazione”, 28.4). Per esempio, gli elettrodomestici prodotti negli Stati Uniti, in Germania, in Giappone, in Italia, in Inghilterra solo in minima parte sono oggi costruiti negli stabilimenti di origine. In realtà si fabbricano e vengono montati nei paesi asiatici in aziende nuove, impiantate dalle ditte d’origine (che in tal modo diventano multinazionali). Altrettanto si dica per le automobili, i giocattoli, i computer.

Tasso annuo media di crescita dell’industria

Tasso annuo media di crescita del PIL

1965-80

1980-92

1965-80

1980-92

Thailandia

11,20%

10,10%

7,30%

8,20%

Indonesia

12,00%

12,00%

7,00%

5,70%

Corea del sud

18,70%

11,90%

9,90%

9,40%



10,00%

7,40%

5,90%

Malaysia

29.3 La costruzione della nuova India Modernizzazione e democrazia In India, subito dopo la conquista dell’indipendenza (1947), il governo guidato da Nehru [ 21.2] aveva avviato un progetto di modernizzazione del paese, innanzitutto sul piano sociale e politico. L’antichissimo sistema delle caste, che poneva insormontabili barriere fra i gruppi sociali, fu abolito sul piano giuridico, anche se faticò a scomparire dalla mentalità e dai costumi di vita della popolazione. Sul piano istituzionale l’India fu organizzata secondo il modello della democrazia parlamentare inglese. Nehru avviò il processo di industrializzazione dell’economia, ottenendo, nonostante le difficili condizioni del paese, importanti risultati. Negli anni Cinquanta fu il promotore della conferenza afro-asiatica di Bandung [ 22.1] e si distinse come principale leader dei paesi “non allineati”, che rivendicavano una linea indipendente di sviluppo, autonoma sia rispetto al blocco capitalista sia a quello socialista. L’India di Indira Gandhi A Nehru, morto nel 1964, succedette due anni dopo la figlia Indira Gandhi, che aveva sposato uno dei figli di Gandhi: si delineò in tal modo una linea politica “familiare”, una sorta di dinastia che univa idealmente le due figure storiche di Gandhi e Nehru e che avrebbe, di fatto, controllato ancora nei decenni successivi il Partito del Congresso e la vita del paese. È anche notevole il fatto che a governare il paese fosse scelta una donna, a dimostrazione di quanto l’India avesse culturalmente assimilato il principio dell’uguaglianza fra i generi, stabilito dalla Costituzione. Nel 1971 Indira sostenne il movimento indipendentista antipakistano da cui prese origine il nuovo Stato del Bangladesh [ 21.2]; governò fino al 1977 e poi di nuovo dal 1980 al 1984, quando fu assassinata. Vittima di un attentato fu anche suo figlio Raijv Gandhi, che governò fino al 1989. Le forze democratiche e la stabilità La morte violenta, tra il 1947 e il 1989, di ben tre esponenti della famiglia Gandhi-Nehru fu un chiaro segno della resistenza che certe parti della società indiana opponevano al processo di modernizzazione “laica” del paese, costantemente sostenuta dal Partito del Congresso in quei decenni. Le tensioni separati-

La crescita dei nuovi paesi industrializzati del Sud-est asiatico [da A. Gauthier, L’economia mondiale dal 1945 ad oggi, Bologna 1998, p. 494)

La tabella illustra lo sviluppo industriale di alcuni paesi del Sudest asiatico tra gli anni Sessanta e Novanta del XX secolo. Notevoli sono gli alti tassi di crescita sia dell’industria sia del PIL (il Prodotto Interno Lordo, che è la somma di tutti i beni e i servizi prodotti in un paese in un determinato periodo di tempo).

Memo

Caste Nella società tradizionale indiana le caste erano gruppi o categorie giuridicamente separate, fra cui non potevano esservi scambi né rapporti. Le caste erano migliaia, raggruppate in quattro gruppi principali: i brahmani (sacerdoti), i ksatriya (governanti e militari), i vai´sya (mercanti e professionisti), i sudra (contadini e operai). Al di fuori delle quattro caste principali, e delle migliaia di gruppi e sottogruppi che le componevano, stavano le persone di infima condizione, detti paria o “intoccabili”, perché ogni minimo contatto fisico con loro era proibito.

In coda per l’acqua potabile in un sobborgo di Chennai (Madras, India Sud-orientale) [© Double’s, Milano]

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali ste, vive soprattutto nelle regioni del nord-est e del nord-ovest, complicate da conflitti etnico-religiosi, erano sempre state affrontate con decisione ma nel rispetto delle differenze religiose (secondo l’insegnamento di Gandhi) e delle regole democratiche, assimilate dalla classe dirigente indiana durante la dominazione inglese. Ciò accrebbe la stabilità politica e il prestigio internazionale del paese. I programmi di sviluppo restarono al primo posto nei programmi del governo, presieduto tra il 1991 e il 1996 da Narashima Rao, il primo leader del Partito del Congresso non appartenente alla famiglia Gandhi-Nehru, che già aveva collaborato come ministro ai precedenti governi.

Le forze conservatrice e la guerra Nel 1996, per la prima volta nella storia dell’India indipendente, si affermarono forze di tendenza conservatrice, legate al movimento nazionalista-religioso induista. Non a caso fu proprio in quegli anni (1999) che scoppiò un ulteriore conflitto fra India e Pakistan – il quarto in mezzo secolo di vita dei due paesi – per il controllo del Kashmir, la regione suddivisa nel 1947 fra i due paesi appena costituiti [ 21.2]. Lo scontro del 1999, poi risoltosi pacificamente, portò a un soffio dalla guerra nucleare (entrambi i paesi, India e Pakistan, sono infatti dotati di armamento atomico). Il governo Gandhi-Singh Le elezioni del 2004 riportarono al governo il Partito del Congresso, guidato da Sonia Gandhi, vedova di Raijv. Di origine italiana, Sonia ritenne opportuno non assumere direttamente la direzione del paese, lasciandola all’economista Manmohan Singh, già ministro del governo Rao, artefice di importanti riforme e di un accordo con il Pakistan per la riduzione degli armamenti e la risoluzione pacifica della questione del Kashmir. Nel 2009 Singh è stato riconfermato alla guida del paese.

I tempi della storia L’India tra modernità e tradizione La figura di Manmohan Singh rappresenta in modo emblematico la classe politica indiana di oggi: esperto di economia riconosciuto a livello internazionale, formatosi nelle Università inglesi di Oxford e Cambridge e nell’Università indiana del Punjab, egli è l’emblema di un paese che sta cercando, con successo, di incrociare l’esperienza del mondo occidentale con gli interessi e le tradizioni della società indiana. La ricerca di una propria via, la “terza via” ipotizzata già da Nehru, si manifesta soprattutto nel tentativo di far coesistere lo sviluppo industriale e la politica agraria, base indispensabile per garantire cibo a sufficienza a una popolazione che nella seconda metà del XX secolo è aumentata in maniera esplosiva: 360 milioni di abitanti nel 1951, un miliardo e 200 milioni oggi, con una densità per superficie fra le più alte del pianeta. In tali condizioni la battaglia contro la fame rimane per l’India il primo problema da affrontare, ed è fra queste contraddizioni che il paese ha lanciato, a sé stesso prima che al mondo, la grande sfida: modernizzarsi senza rinunciare alla propria identità; assecondare l’ormai avvenuto decollo industriale (il Prodotto interno del paese è superiore all’8% annuo, più del doppio dei paesi occidentali) senza dimenticare che 300 milioni di persone

vivono ancora in uno stato di estrema povertà. Equilibrare queste disuguaglianze e contraddizioni è l’obiettivo che si sono dati i governi democratici dell’India contemporanea. Celebre fin dall’antichità per la sua eccellenza nelle scienze matematiche (non per nulla furono gli indiani a inventare, più di mille anni fa, il numero zero, le cifre e il sistema di calcolo che tutto il mondo ha poi adottato), l’India ha sviluppato oggi una scuola informatica d’avanguardia: oltre 150 società produttrici di computer operano nella città di Bangalore, divenuta, dalla metà degli anni Ottanta, un punto di riferimento internazionale per la produzione di software. Ma dall’India provengono anche personaggi come Vandana Shiva (1952), L’ingresso del centro ricerche e sviluppo della Microsoft-India a Hyderabad, 2000 Negli anni Novanta del XX secolo la diffusione crescente delle tecnologie informatiche ha imposto l’India tra le nazioni leader del mercato globale.

in prima linea nel sostenere le ragioni di un’agricoltura autogestita, che faccia tesoro delle tecnologie moderne ma che sappia anche mettere a frutto i tradizionali saperi contadini, e sia rivolta ai bisogni della popolazione prima che agli interessi dei mercati mondiali, avendo di mira la biodiversità (ossia la varietà delle specie coltivate) e il rispetto dell’ambiente; o come Amartya Sen (1933), uno dei maggiori economisti mondiali, premio Nobel 1998, oggi professore a Harvard, la cui principale teoria è che non esiste sviluppo senza libertà, e che nel giudicare i progressi di un paese non bisogna tenere conto solo degli aspetti quantitativi (aumento del reddito) ma soprattutto di quelli qualitativi (qualità della vita).

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

29.4 La Cina di Deng Xiao-ping L’età post-maoista La Cina comunista di Mao Tse-tung [ 21.3] interruppe negli anni Settanta del XX secolo il suo isolamento nei confronti del mondo capitalista e avviò regolari rapporti politici e diplomatici con l’Europa e gli Stati Uniti. Il risultato più significativo di tale cambiamento fu che nel 1971 la Repubblica popolare cinese fu ammessa all’ONU al posto di Taiwan, sede dal 1949 del governo anticomunista cinese, scelto alla fine della seconda guerra mondiale come rappresentante internazionale del paese. La Cina fu anche inclusa nel Consiglio di sicurezza, l’organismo ristretto dell’ONU che riunisce solo le maggiori potenze. Nel 1972, la visita a Pechino del presidente americano Richard Nixon suggellò il nuovo corso politico mondiale. «Riforme e modernizzazioni» Mao Tse-tung morì nel 1976. Dopo aspri scontri per il potere fra l’ala radicale e quella moderata del Partito comunista, la guida passò a Deng Xiao-ping, che proseguì con forza e convinzione la politica di apertura alle relazioni con l’Occidente. Ma, diversamente da Mao, che aveva concentrato le sue attenzioni soprattutto sulle riforme agrarie e sulla vita delle campagne, Deng mirò a sviluppare l’apparato industriale, commerciale e finanziario: appunto per distinguerla da quella di Mao, questa nuova politica fu chiamata “seconda rivoluzione”, da attuare secondo una strategia di riforme e modernizzazioni. L’economia di mercato socialista La principale innovazione del governo di Deng fu quella di introdurre nel sistema comunista alcuni princìpi propri dell’economia capitalista, quali il libero mercato e l’iniziativa privata nelle attività economiche. Ciò non fu praticato ovunque, ma solamente in alcune regioni, a seconda delle situazioni locali: soprattutto le zone costiere furono aperte al mercato libero e agli scambi con i paesi occidentali; in altre fu conservato il regime a direzione statale; in altre ancora il mercato libero fu avviato in forme sperimentali o miste. Nel 1995 la crescita annua del Prodotto Interno Lordo fu del 10,2%. «Non possiamo negare – affermò Deng Xiao-ping – che la nostra seconda rivoluzione è una sfida ai princìpi fondamentali stabiliti da Marx e da Lenin. Tuttavia non è vero che, nel nostro paese, il capitalismo sta prendendo il posto del socialismo. La verità è che noi vogliamo costruire un socialismo tipicamente cinese, con i metodi e gli strumenti offertici dal capitalismo». Miglioramenti economici e squilibri sociali I risultati economici furono rilevanti, specialmente nelle regioni “liberalizzate”, in cui affluirono abbondanti investimenti stranieri: le attività produttive si moltiplicarono, i commerci si intensificarono, anche il reddito medio individuale della popolazione aumentò e si osservarono subito cambiamenti negli stili di vita e nei comportamenti, in particolare tra i giovani. Queste trasformazioni provocarono squilibri sociali finora sconosciuti nella storia della Cina, come l’afflusso nelle grandi città di masse di contadini attratti dalla speranza di migliori condizioni di vita. In questo clima si formarono ampi movimenti popolari che chiedevano libertà anche sul piano politico. Manifesto cinese di propaganda per la modernizzazione dell’agricoltura L’opera riformatrice di Deng Xiao-ping interessò anche le campagne, dove furono abolite le concessioni collettive e le terre furono date in affitto alle singole famiglie contadine, che poterono vendere liberamente sul mercato i prodotti in eccedenza.

La Parola

Prodotto Interno Lordo Il PIL è la somma di tutti i beni e i servizi prodotti in un paese in un determinato periodo di tempo. Di solito l’ammontare del PIL si rileva su base annua.

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426

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

29.5 Autoritarismo e liberismo cinese Piazza Tien an-men Nella primavera 1989 la contestazione contro la rigidità del governo cinese e le richieste di una maggiore democratizzazione sfociarono in grandi e pacifiche manifestazioni studentesche, sostenute dal resto della popolazione ma disperse dalle forze di polizia. Drammatica risonanza ebbero i fatti che tra il 3 e il 4 giugno 1989 ebbero come teatro l’enorme piazza Tien an-men a Pechino (davanti alla Città proibita, sede del potere imperiale prima, del Partito comunista poi). In quel periodo Gorbacˇëv, capo del governo sovietico, si recò in visita ufficiale in Cina e fu accolto da folle entusiaste, che videro in lui il simbolo di un socialismo nuovo, aperto e democratico. Fu l’occasione perché la piazza – forse la maggiore del mondo, capace di ospitare fino a un milione di persone – diventasse il centro di ininterrotte manifestazioni e dibattiti, a cui parteciparono intellettuali e studenti, a discutere su come si potesse costruire la democrazia in Cina. La repressione Contro il parere dell’ala liberale del Partito comunista, capeggiata da Zhao Ziyang, che intendeva cogliere l’occasione per avviare in Cina un’evoluzione democratica simile a quella intrapresa in URSS e nei paesi europei dell’Est, il governo rispose facendo intervenire l’esercito, che aprì il fuoco provocando centinaia di vittime e instaurando per alcuni mesi la legge marziale; ciò suscitò la riprovazione e la condanna di tutti i paesi ma non intaccò più di tanto i rapporti economici internazionali. Modernizzazione e dispotismo La singolare mescolanza di modernizzazione economica e dispotismo politico continuò, in Cina, con i successori di Deng Xiao-ping, da lui stesso designati fra i quadri dirigenti del Partito comunista. Nel 1993 le redini del paese passarono a Jiang Zemin, già stretto collaboratore di Deng, corresponsabile del massacro di Tien an-men e della politica repressiva (in Cina vige ancora la pena di morte), giustificata dall’idea, più volte espressa da Jiang, che «la democrazia occidentale non è adatta alla Cina». Dal 2003 la guida del paese è stata assunta da Hu Jintao nel segno della continuità. L’annessione di Hong Kong e Macao Intanto, fra il 1997 e il 1999, tornarono sotto il governo cinese Hong Kong (ex colonia inglese) e Macao (ex colonia portoghese) e il processo di “decolonizzazione” del paese poté dirsi definitivamente concluso. Restano delicati i rapporti con Taiwan, soprattutto dopo che la Cina ha rivendicato la sovranità sull’isola, e con il Tibet, regione strategica tra India e Cina occupata militarmente nel

I luoghi della storia

Shenzhen, centro sperimentale della Cina che cammina verso il futuro

L’esempio più significativo della svolta economica avviata in Cina negli anni Ottanta dal governo di Deng Xiao-ping è il centro industriale di Shenzhen, a poca distanza da Hong Kong. Fino ad allora era stato un piccolo villaggio di pescatori e contadini, separato da un corso d’acqua e da un ponte dalla colonia inglese di Hong Kong. Proprio in virtù della sua vicinanza a Hong Kong, questo villaggio nel 1978 fu individuato come luogo ideale per la nuova sperimentazione liberista, e nel 1980 fu dichiarato Zona Economica Speciale, la prima di questo genere in Cina. Nel giro di pochi anni si trasformò, registrando un tasso di crescita urbana impressionante, il più veloce al mondo nel XX secolo. In

trent’anni Shenzhen è passata da ventimila abitanti a 13 milioni e mezzo, attraendo una folla di ex contadini, poi divenuti operai, da tutta le regione circostante. Shenzhen, scrisse il giornalista Enzo Bettiza in un servizio sul «Corriere della Sera», «si può considerare una delle più originali creazioni del comunismo cinese, sorta dalla fantasia di Deng Xiao-ping. Grattacieli translucidi, solcati da sibilanti scale mobili e rigurgitanti di beni voluttuari, scenari di cristalli e di luci, musiche rock e pubblicità che invitano al consumo, giovani in jeans e magliette californiane, strade tirate al compasso e assordate da vetture, motociclette nipponiche, fabbriche automatizzate che producono televi-

sori e frigoriferi». Concepita dal governo come strumento di ricerca tecnologica e di rottura economica, progettata in ogni particolare, Shenzhen fu non solo un centro di produzione ma una sorta di laboratorio, in cui la Cina comunista studiava le leggi e le regole del mercato capitalista, mettendole al servizio di una nuova strategia di crescita. Un luogo «dove si possono sottoporre a prova, sperimentare tutte le tecniche di sviluppo economico e commerciale». Ma un luogo separato dal resto del paese, una zona “franca” che al momento della costruzione fu circondata da una muraglia di filo elettrico ad alta tensione. A Shenzhen, come nelle altre zone franche della Cina (oggi se ne contano in tutto

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

427

Piazza Tien an-men: uno studente contro i carri armati, giugno 1989 Questa foto è diventata il simbolo della rivolta di Tien an-men e dello spirito, tenace e pacifico, dei suoi manifestanti.

1950 contro l’opposizione di Tenzyn Gyatso, sovrano della regione nonché Dalai Lama (ossia capo spirituale) dei buddhisti tibetani, in esilio dal 1956.

Una crescita straordinaria In questi decenni la crescita della Cina e il suo progressivo inserimento nell’economia mondiale, sostenuto dall’apporto di capitali stranieri, sono proseguiti senza sosta, a ritmi vertiginosi, ponendo seri problemi di concorrenza all’economia europea e americana. Nel 2005 la Cina era la quarta potenza economica mondiale. La produzione di scienziati e ricercatori è oggi, in Cina, superiore a quella europea. La massa di popolazione (il paese conta oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti) fornisce non solo una formidabile riserva di mano d’opera a basso costo, ma un mercato potenzialmente inesauribile di nuovi consumatori, anche se, per il momento, l’accesso ai beni di consumo è limitato a ristrette fasce sociali, ciò che sta provocando una crescente distanza fra ricchi e poveri. Fra molte contraddizioni, la Cina sta avviandosi a diventare la nuova superpotenza del terzo millennio.

cinque), sono affluiti i capitali dei cinesi emigrati, «ricchi finanzieri, imprenditori, mercanti, industriali, da Taiwan, Singapore, Hong Kong, dall’arcipelago malese, dalla Thailandia, dall’Australia, dalla California, dal Canada, un mondo operoso, fervido di ingegnosità e di ricchezza»; ma anche capitali americani e giapponesi hanno contribuito a dare vitalità «a questa nuova Cina che cammina verso il futuro». Rapporti di lavoro e modi di gestione sono definiti dallo Stato: a Shenzhen i salari degli operai e dei tecnici sono la metà di quelli di Hong Kong, ma tre-quattro volte superiori alla norma della Cina. Spiega ancora Bettiza: «Gran parte delle imprese funzionano secondo il cofinanziamento e

la cogestione fra autorità locali e imprenditori cinesi esterni. Circa il settanta per cento della produzione è diretto all’estero, il rimanente è riservato al mercato locale interno cinese. I profitti stranieri sono tassati del quindici per cento (cioè meno che nel resto della Cina) e possono essere rimpatriati. Il mercato del lavoro è libero e selettivo: gli operai vengono assunti anche con contratti temporanei e possono essere scelti anche dall’interno della Cina; i salari vengono fissati secondo criteri propri delle singole aziende». Una veduta panoramica notturna di Shenzhen [©Yi Lu/Corbis]

Il XIV Dalai Lama, Tenzyn Gyatso, 1999 [©Stefano Pavesi/Contrasto/Corbis]

428

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

29.6 L’America Centrale e le rivendicazioni nazionali Democrazia e nazionalismo Le istituzioni democratiche in America Latina alla fine degli anni Ottanta apparivano ormai stabilizzate [ 21.8], in una forma che tuttavia continuava a conferire un ruolo centrale alle figure dei “capi”, i presidenti delle varie repubbliche. Nei decenni successivi si affermarono al potere personaggi che interpretavano gli umori anti-statunitensi di una parte significativa della società latinoamericana, proponendo versioni aggiornate di un populismo imperniato su incisive riforme sociali e su un forte sentimento nazionale. Messico e Chiapas In Messico, la carica riformatrice del Partito rivoluzionario istituzionale via via si era attenuata. Il presidente Carlos Salinas de Gortari (1988-2000) impresse al paese una svolta tecnocratica e neoliberista, che sacrificò la politica sociale in nome dello sviluppo industriale, accentuando gli squilibri e le tensioni. Nel 1994-95 la crisi economica e finanziaria, aggravata da spregiudicate attività speculative e da una grave corruzione, fece esplodere nella regione del Chiapas, una delle più povere del paese, la guerriglia “zapatista”, un movimento di rivolta armata delle popolazioni indie, ispirato alla figura ormai mitica di Emiliano Zapata, leader della rivoluzione messicana e del movimento contadino [ 7.7]. Agli indios del Chiapas, guidati dal “subcomandante” Marcos (che riconosceva il popolo come suo vero “comandante”), furono garantiti alcuni diritti per la conservazione dell’identità culturale e linguistica nonché delle loro terre, minacciate dagli interessi delle multinazionali. Nel 2000, il nuovo presidente Vincente Fox (il primo non proveniente dal Partito rivoluzionario istituzionale, che dopo oltre settanta anni di monopolio politico aveva perduto la maggioranza) concesse agli indios ancora maggiori autonomie. Nel frattempo il Messico manteneva un alto tasso di sviluppo economico, ponendosi, assieme al Brasile, tra i paesi emergenti dell’America Latina. Nel 2006 è stato eletto presidente Felipe Calderón Hinojosa, la cui azione di governo è indirizzata soprattutto alla lotta contro il narcotraffico, una delle attività illegali più redditizie dell’America Latina (la Colombia è a tutt’oggi dilaniata dalla guerra ai trafficanti di droga).

Il subcomandante Marcos, 1994 Leader dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, sostenitore della causa degli indios contro il governo messicano), il “subcomandante” Marcos è diventato il simbolo del guerrigliero al servizio del popolo oppresso.

Seguaci del movimento sandinista

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

429

Meeting dei capi di Stato latino-americani, Argentina 2006 [© Antonio Lacerda/epa/Corbis]

Da sinistra a destra: il presidente argentino Nestor Kirchner, il presidente boliviano Evo Morales, quello brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e quello venezuelano Hugo Chavez uniscono le loro mani alla fine dell’incontro sulla nazionalizzazione delle risorse naturali di gas e petrolio della Bolivia.

Nicaragua In Nicaragua, dove i rivoluzionari sandinisti avevano imposto il loro potere fino al 1990, quando il governo passò alle forze democratiche [ 21.8], nel 2006 è tornato al governo – questa volta con un programma moderato – l’ex leader dei sandinisti Daniel Ortega, a riprova di quanto le complesse vicende politiche del Centro e Sud America siano legate spesso alle persone più che ai programmi e alle istituzioni. Nelle elezioni del 2011 Ortega è stato riconfermato alla guida del paese.

29.7 Il Sud America e l’anti-imperialismo La ricerca dell’autonomia L’atteggiamento di aperta contrarietà alle politiche economiche sviluppate dagli Stati Uniti e dai mercati internazionali si è rafforzato negli ultimi decenni in Sud America. Il crollo del comunismo e la fine del sostegno sovietico non hanno impedito agli Stati sudamericani di riappropriarsi delle proprie ricchezze naturali, contro l’ingerenza delle multinazionali e le insidie della globalizzazione. Venezuela Nel 1998 in Venezuela fu eletto presidente l’ex generale Hugo Chavez (poi rieletto nel 2000 e ancora nel 2006), con un programma di forte impegno sociale, basato sulla lotta alla malnutrizione e all’analfabetismo, nonché sulla rivendicazione degli interessi nazionali (che ruotano attorno allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi) sostenuti con slogan anti-imperialisti e anti-statunitensi. La sua amicizia con Fidel Castro, in un momento in cui il leader cubano entrava in una profonda crisi politica (per il venir meno, dopo il 1989, del sostegno economico dell’URSS, nonché per problemi personali di salute) ha fatto di Hugo Chavez il nuovo punto di riferimento del “socialismo nazionale” latinoamericano. Bolivia Anche Evo Morales, primo presidente indio della Bolivia, eletto nel 2005, è impegnato nella polemica anti-imperialista e anti-statunitense. Ex lavoratore nelle

430

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali piantagioni di coca, egli intrecciò rapporti preferenziali con Castro e con Chavez inserendosi nell’agguerrita schiera di politici sudamericani che perseguono una linea autonoma rispetto agli interessi dominanti nei mercati internazionali, per liberare i loro paesi dai residui di neocolonialismo economico che per lungo tempo li ha caratterizzati. Una delle prime azioni di Morales è stata la nazionalizzazione delle riserve di gas naturale e idrocarburi.

Brasile In Brasile si affermò nel 1994 (e fu riconfermato nel 1998) il socialdemocratico Fernando Cardoso. Orientato al riformismo sociale in modo ancora più deciso fu il governo di Luis Inacio da Silva, detto Lula, eletto presidente nel 2002 e confermato nel 2006, ex operaio, ex sindacalista, leader del Partito dei lavoratori, che si pose come obiettivi primari la lotta alla disoccupazione e il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione: il programma “fame zero”, caratterizzato dal motto «Tre pasti al giorno per tutti», si focalizzò attorno al problema della denutrizione ancora ampiamente diffusa nel paese. Nel 2010 a Lula è subentrata come presidente del Brasile Dilma Rousseff, già sua stretta collaboratrice, esponente anch’essa del Partito dei lavoratori. Paraguay Anche in Paraguay le forze di sinistra sono andate al governo e nel 2008 è stato eletto l’ex vescovo Fernando Lugo, con un programma di lotta alla diseguaglianza sociale. Argentina In Argentina nel 1999 vinsero i radicali di Fernando De La Rua, il cui governo fu reso difficile da una gravissima crisi finanziaria, legata all’eccessivo debito estero, che portò sull’orlo della bancarotta l’economia del paese (nel 2001 tutti i depositi bancari furono bloccati, data l’insolvibilità delle banche nei confronti dei risparmiatori). I peronisti si riaffermarono alle elezioni del 2003 con Nestor Kirchner, che riuscì a ridurre l’enorme debito pubblico e il tasso di disoccupazione, risollevando le condizioni del paese e condividendo la politica anti-imperialista di altri presidenti sudamericani. Nel 2007 fu eletta alla presidenza sua moglie, la senatrice Cristina Fernández, impegnata nella difesa dei diritti umani e riconfermata, anche per i buoni risultati ottenuti nella lotta alla povertà e all’analfabetismo, per un secondo mandato nel 2011. Il SELA La volontà di rompere la condizione di dipendenza dagli Stati e dalle economie più forti è testimoniata anche dalla formazione del SELA (Sistema Economico Latino Americano), un’associazione che raggruppa tutti i paesi del continente sudamericano per promuovere la cooperazione e lo sviluppo economico. Costituita fin dal 1975, essa ha progressivamente ampliato prerogative e capacità di iniziativa. Nel difficile processo di crescita dell’America Latina, soprattutto il Messico e il Brasile paiono oggi avviati a un promettente sviluppo. Crescita del PIL in alcuni paesi latinoamericani

Tasso annuo / media di crescita del PIL 2008

2009

2010

2011

Argentina

6,8%

0,9%

8,3%

5,1%

Brasile

5,1%

–0,2%

7,5%

4,5%

Bolivia

6,1%

3,4%

3,8%

3,6%

Paraguay



–3,8%

10,0%

4,3%

Venezuela

4,8%

–3,3%

–2,5%

–0,1%

Messico

1,5%

–6,1%

5,0%

3,0%

[Stime Economist Intelligence Unit; Fonte: IMF, International Financial Statistics]

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

Sintesi

Gli sviluppi in Asia e America Latina

Il “miracolo giapponese” Il Giappone dopo la Seconda guerra mondiale si trovava in condizioni disastrose, ma riuscì ad avere una rapida ripresa economica e a diventare velocemente la terza potenza industriale mondiale. Una serie di fattori permisero questa crescita: la manodopera abbondante, la compressione dei consumi e i salari bassi, che permisero lo smercio all’estero a prezzi concorrenziali dei prodotti giapponesi, l’attaccamento dei lavoratori alle aziende, gli investimenti statali nella ricerca scientifica e tecnologica, la capacità di imitare e perfezionare le tecniche e le invenzioni altrui. Alla fine del XX secolo la crescita dell’economia giapponese si è arrestata, per la concorrenza di altri paesi e le restrizioni commerciali poste dagli USA e dalla UE. Negli ultimi anni si è avuta una forte instabilità politica e aumento della disoccupazione. Le tigri asiatiche Negli anni Ottanta alcuni paesi del Sud-est asiatico (Corea del Sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan) ebbero un forte sviluppo industriale. In questi paesi (detti “tigri asiatiche”), furono avviate industrie e attività collaterali in cui trovò impiego un’ampia manodopera dando vita a un’economia dinamica, che operò investimenti anche in altri paesi vicini, le “nuove tigri” (Thailandia, Malaysia, Viet Nam, Indonesia, Filippine), che si specializzarono nella produzione di beni di consumo standardizzati. In tal modo aumentò il loro tasso di crescita. Questo fenomeno è legato alla trasformazione dei sistemi di produzione delle grandi industrie, che decentrano alcune fasi della lavorazione in queste zone, per il basso costo della manodopera. La costruzione della nuova India Dal 1947 al governo dell’India indipendente andò Nehru, che attuò un progetto di modernizzazione sociale e politica (abolizione del sistema delle caste, istituzione della democrazia parlamentare e industrializzazione). Nel 1964 gli successe la figlia Indira Gandhi, che sostenne il movimento per l’indipendenza del Bangladesh. Nel 1984 fu assassinata, così come il suo successore, il figlio Rajiv Gandhi, ucciso nel 1989. Il ricorso alla violenza omicida segnalava la resistenza di alcuni settori della società indiana al progetto di modernizzazione portato avanti dal Partito del

Congresso. Nel 1996 prevalsero le forze conservatrici e scoppiò una guerra con il Pakistan per il controllo della regione del Kashmir. Nel 2004 il Partito del Congresso tornò al governo con Singh, che ha attuato riforme e ha promosso un accordo col Pakistan per la soluzione pacifica della questione del Kashmir. La Cina di Deng Xiao-ping Nel corso degli anni Settanta la Cina di Mao stabilì rapporti politici e diplomatici con Europa e Stati Uniti, che portarono all’ammissione del paese nell’ONU e nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il successore di Mao, Deng Xiao-ping, proseguì nell’apertura alle relazioni con l’Occidente, affiancandole allo sviluppo dell’industria, dei commerci e della finanza, dando vita alla cosiddetta “seconda rivoluzione”. Accanto ai princìpi comunisti furono introdotti, in particolare nelle zone costiere del paese, alcuni princìpi dell’economia capitalista come il libero mercato e l’iniziativa privata. I risultati economici furono rilevanti. Si crearono anche cambiamenti negli stili di vita, crebbero gli squilibri sociali all’interno del paese e nacquero movimenti popolari che richiedevano libertà politica. Autoritarismo e liberismo cinese Nel 1986 vi furono le prime manifestazioni studentesche che richiedevano democratizzazione, disperse dalla polizia. Nel 1989, in occasione della visita ufficiale del presidente sovietico Gorbacev, in piazza Tien anmen a Pechino si tennero manifestazioni di studenti e intellettuali. Il governo fece intervenire l’esercito e vi furono centinaia di morti. La mescolanza tra modernizzazione economica e dispotismo politico continuò anche con i successori di Deng Xiao-ping, Jiang Zemin (1993-2002) e Hu Jintao (dal 2003). Tra il 1997 e il 1999 Hong Kong e Macao sono tornate alla Cina. Restano delicati i rapporti con Taiwan, su cui la Cina ha avanzato pretese di sovranità, e con la regione del Tibet, occupata militarmente nel 1950. La crescita economica e l’inserimento nell’economia mondiale sono proseguiti a ritmi elevatissimi: nel 2005 la Cina era già la quarta potenza economica mondiale. L’enorme numero di abitanti crea manodopera a basso costo e un enorme mercato interno potenziale. Attualmente l’accesso ai beni di consumo è limitato solo ad alcune fasce sociali e cresce il divario tra ricchi e poveri.

L’America Centrale e le rivendicazioni nazionali In America Latina, alla fine degli anni Ottanta le istituzioni democratiche erano stabilizzate. Una loro caratteristica è il ruolo centrale delle figure dei presidenti. Nei decenni successivi sono emersi leader politici interpreti di umori anti-statunitensi, ispirati al populismo e che uniscono riforme sociali a un forte sentimento nazionale. In Messico il Partito rivoluzionario attenuò progressivamente la sua natura progressista. Il presidente De Gortari (1988-2000) applicò il neoliberismo e favorì lo sviluppo industriale, accentuando le tensioni sociali interne. Nella regione del Chiapas gli indigeni diedero vita a una serrata guerriglia. A essi furono poi accordati diritti e una maggiore autonomia. L’attuale presidente, Calderon Hinojosa, è impegnato nella lotta al narcotraffico. In Nicaragua nel 2006 è tornato al governo l’ex leader rivoluzionario sandinista Daniel Ortega, questa volta con un programma moderato, poi riconfermato nelle elezioni del 2011. Il Sud America e l’anti-imperialismo Negli ultimi anni gli atteggiamenti di contrarietà alle politiche economiche statunitensi e di riappropriazione delle ricchezze territoriali a scapito dell’invadenza delle multinazionali sono aumentate. Dal 1998 in Venezuela governa Hugo Chavez, fautore di un programma di impegno sociale (lotta ad analfabetismo e malnutrizione) e di rivendicazione degli interessi nazionali economici. La Bolivia è governata dal 2005 da Evo Morales, primo presidente indio, che ha tentato di liberare il paese dal neocolonialismo economico, agendo autonomamente rispetto agli interessi dominanti nei mercati internazionali. Uno dei suoi primi atti è stata la nazionalizzazione delle riserve di gas naturale e idrocarburi. In Brasile dal 2002 al 2010 ha governato Lula, con un programma di riformismo sociale deciso, basato sulla lotta alla disoccupazione e alla denutrizione. Anche in Paraguay dal 2008 governano le forze di sinistra. In Argentina dal 2003 governano i peronisti che sono riusciti a ridurre il debito pubblico e la disoccupazione, condividendo la politica anti-imperialista diffusa in Sudamerica. Allo scopo di rompere la dipendenza dalle economie più forti, dal 1975 è stata istituita la SELA, un’associazione tra i paesi sudamericani per promuovere cooperazione e sviluppo economico.

431

432

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1950

1. 2. 3. 4. 5. 6.

1971

1972

1975

1976

1984

assassinio di Indira Gandhi visita di Nixon a Pechino occupazione militare del Tibet inizio della recessione economica in Giappone Daniel Ortega torna al potere in Nicaragua la Repubblica popolare cinese è ammessa nell’ONU

2. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. bilancia commerciale • compressione • Dalai Lama • delocalizzazione • denutrizione • globalizzazione • multinazionale • narcotraffico • Prodotto Interno Lordo • reddito pro capite • tecnocrazia • zapatista • yen Somma di beni e servizi prodotti in un paese in un certo periodo di tempo Moneta nazionale giapponese Traffico di droga Deperimento conseguente a uno stato di insufficiente alimentazione Capo spirituale dei buddhisti tibetani Insieme dei beni e servizi acquistati o venduti all’estero da uno Stato Impresa che opera dentro e fuori il proprio paese di origine Aderente al movimento di rivolta armata delle popolazioni indigene messicane

1989

7. 8. 9. 10. 11. 12.

1994

1997

1998

1999

2006

Hong Kong ritorna alla Cina formazione del Sistema Economico Latino Americano rivolta zapatista nel Chiapas protesta di Piazza Tien an-men conflitto tra India e Pakistan morte di Mao Tse-tung

3. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Zhao Ziyang

Partito del Congresso

Tenzyn Gyatso

lotta al narcotraffico

Hugo Chavez

crisi finanziaria

Jawaharlal Nehru

seconda rivoluzione

Carlos Salinas de Gortari

Dalai Lama

Fernando de la Rua

conferenza di Bandung

Deng Xiao-ping

autonomia agli indios

Felipe Calderón Hinojosa

peronista

Narashima Rao

socialismo nazionale

Jiang Zemin

ala liberale del Partito comunista cinese

Vicente Fox

massacro di Tien an-men

Daniel Ortega

politica neoliberista

Nestor Kirchner

leader sandinista

Diminuzione del volume

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

Fenomeno di omologazione, integrazione e interdipendenza di economie e mercati

a. Negli anni Ottanta il Giappone divenne la seconda potenza industriale del mondo.

V

F

b. Il reddito pro capite degli abitanti di Hong Kong nel 1997 superava quello di Francia e Gran Bretagna.

V

F

c. In Giappone l’aumento dei consumi è stato superiore all’aumento della produttività.

V

F

d. Dopo gli anni Ottanta, nella società sudamericana aumentarono gli umori anti-statunitensi.

V

F

e. Ferdando de la Rua riuscì a ridurre il debito pubblico e la disoccupazione dopo la crisi finanziaria.

V

F

Rapporto tra reddito complessivo e numero di abitanti di uno Stato Dislocazione delle fasi della lavorazione in diversi paesi del mondo Predominio dei tecnici nella vita sociale economica e politica di un paese

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

f. Nel 2005 la Cina era diventata la quarta potenza economica mondiale.

V

F

p. In Cina attualmente l’accesso ai beni di consumo è limitato a ristrette fasce sociali.

V

F

g. Deng Xiao-ping si dedicò sia alle riforme agrarie sia allo sviluppo dell’industrializzazione.

V

F

q. Nel primo decennio del XXI secolo si è avuto l’arresto dell’economia giapponese.

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h. Nel 1989 l’ala democratica del Partito comunista cinese intendeva avviare un’evoluzione democratica.

V

F

r. In Cina furono aperte al mercato libero e agli scambi commerciali soprattutto le zone costiere.

V

F

i. Hugo Chavez ha nazionalizzato le riserve di gas naturale e di idrocarburi.

V

F

s. Le “nuove tigri” asiatiche producono beni di consumo standardizzati e a basso prezzo.

V

F

l. Il SELA raggruppa tutti i paesi del continente americano per promuovere la cooperazione.

V

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t. Fino al 1971 la Cina era rappresentata nell’ONU da Taiwan.

V

F

m. Il conflitto tra India e Pakistan è nato per il controllo del Bangladesh.

V

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u. Indira Gandhi organizzò l’India secondo il modello della democrazia parlamentare inglese.

V

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n. Le grandi industrie hanno decentrato la produzione nelle zone dove il costo della manodopera è basso.

V

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v. La ripresa economica del Giappone fu favorita dall’appoggio degli Stati Uniti.

V

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o. La rivolta scoppiata nel Chiapas era guidata dal “sub-comandante” Marcos.

V

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5. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. arresto • attività • automobili • compressione • collaterali • computer • investimenti • costo • crescita • delocalizzazione • disponibilità • moneta • economia globalizzata • elettrodomestici • giocattoli • investimenti • lavorazione • multinazionali • ricerca scientifica • salari • sviluppo • mercato globale • scambi

REALTÀ ASIATICHE A CONFRONTO IL GIAPPONE

LE TIGRI ASIATICHE

PERIODO DI SVILUPPO

• Dagli anni 70-80: ............................................................... • Fine XX secolo: ...................................................................

Dagli anni 80:

FATTORI DI SVILUPPO

• ................................................................... di manodopera • ......................................................................... dei consumi • ........................................................................................ bassi • Patriottismo aziendale • ........................................... statali in ..................................... e tecnologica • Cultura dell’ ..........................................................................

• Basso .............................................. della manodopera • ................................................................................ delle fasi di ................................................................................................... delle industrie .........................................................................

• ................................................. e ............................................... • Concimi chimici

• ..................................................................................................... • ..................................................................................................... • ..................................................................................................... • ..................................................................................................... (fabbricazione e montaggio)

• Potenza economica del .................................................. • .................................................................. nazionale usata negli . ............................................................. internazionali • .................................................................... nei paesi vicini

• Posto di rilievo nell’ .......................................................... • ............................................ di .................................................. commerciali ............................................................................. • .................................................................... nei paesi vicini

QUALI PRODOTTI

QUALI CONSEGUENZE

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna.

1. Che cosa si intende con l’espressione “nuove tigri asiatiche”? Che cosa le caratterizza? 2. Quali sono le ragioni del conflitto scoppiato tra India e Pakistan? Quali rischi comporta? 3. Quali novità economiche sono state introdotte con la seconda rivoluzione cinese? 4. Quali acquisizioni territoriali ha ottenuto la Cina nel secondo dopoguerra? 5. Quali governi si sono succeduti in Nicaragua dagli anni Novanta a oggi? 6. Che cosa è il SELA? Chi vi aderisce? Quali sono i suoi scopi? 7. Che cosa ha caratterizzato la crisi economica scoppiata in Argentina? Come è stata affrontata? Da chi?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è Hugo Chavez? Dove e quando ha governato? Quale è stato il suo programma? Quali sono stati i suoi principali provvedimenti di governo? 2. Chi è Luis Ignacio Lula da Silva? Dove e quando ha governato? Quale è stato il suo programma? Quali sono stati i suoi principali provvedimenti di governo? 3. Chi è Evo Morales? Dove e quando ha governato? Quale è stato il suo programma? Quali sono stati i suoi principali provvedimenti di governo? 4. Chi è Carlos Salinas de Gortari? Dove e quando ha governato? Quale è stato il suo programma? Quali sono stati i suoi principali provvedimenti di governo?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

GOVERNI DELL’AMERICA CENTRO-MERIDIONALE A CONFRONTO CHAVEZ

LULA

MORALES

GORTARI

DOVE

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QUANDO

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IL PROGETTO

IL GOVERNO

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali governi si sono succeduti in India dopo l’indipendenza? 2. Quali sono le principali forze politiche? In che periodo sono state al governo? 3. Quali elementi hanno caratterizzato l’economia indiana dopo l’indipendenza? 4. Quali novità hanno caratterizzato la società indiana dopo l’indipendenza? Con quali conseguenze?

5. Quali problemi sono emersi in politica estera? Con quali rischi? Con quali conseguenze? 6. Quali problemi interni sono emersi? Per quali ragioni? Con quali conseguenze? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

Capitolo 29 Gli sviluppi in Asia e America Latina

LA NUOVA INDIA

I GOVERNI

L’ECONOMIA

• Jawaharlal Nehru (1947-64) • ..................................................................................................................................................................................................................... • ..................................................................................................................................................................................................................... • ..................................................................................................................................................................................................................... • Forze conservatrici (1996-2004) • ..................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................... .........................................................................................................................................................................................................................

LE ISTITUZIONI

......................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................... .........................................................................................................................................................................................................................

LA SOCIETÀ

......................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................... .........................................................................................................................................................................................................................

LA POLITICA ESTERA

......................................................................................................................................................................................................................... .........................................................................................................................................................................................................................

I PROBLEMI INTERNI

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Leggi il documento “L’India tra modernità e tradizione” riportato a p. 424 e rispondi alle seguenti domande. 1. Perché Singh rappresenta in modo emblematico la classe politica indiana di oggi? 2. Che cosa si intende per “terza via”? In che cosa si manifesta? 3. Quale è il problema più urgente da affrontare per l’India? 4. Quale è la grande sfida che l’India ha di fronte? 5. Quale è il PIL dell’India? Quante sono le persone povere? 6. Quale è il settore all’avanguardia in India? Che cosa si produce? 7. Chi è Vandana Shiva? Chi è Amartya Sen? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla precedente tabella, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “La nuova India: prospettive e problemi”.

9. Rispondi alle seguenti domande. 1. Chi è Deng Xiao-ping? Quando è iniziato il suo governo? Quale programma lo ha contraddistinto? 2. Quale aspetto dell’economia è stato privilegiato dal suo governo? In che modo? 3. Quali particolarità caratterizzano il sistema economico cinese? 4. Quali modificazioni sono avvenute nella società cinese dopo le innovazioni economiche? 5. Che cosa è accaduto nel 1989 a Piazza Tien an-men a Pechino? Per quali cause? Con quali conseguenze?

6. Che cosa ha caratterizzato i governi dei successori di Deng Xiao-ping? 7. Quali acquisizioni territoriali ha ottenuto la Cina nel secondo dopoguerra? 8. Quale è l’attuale situazione economica della Cina? Quali sono le prospettive per il futuro? Leggi il documento “Shenzhen, centro sperimentale della Cina che cammina verso il futuro” alle pp. 426-427 e rispondi alle seguenti domande. 1. Dove si trova Shenzhen? Per effettuare quale sperimentazione fu scelta? In che anno? 2. Che cosa fu istituito nel 1980 a Shenzhen? Per quale motivo? Con quali conseguenze? 3. Quanti abitanti ha oggi Shenzhen? Quanti ne aveva trenta anni fa? 4. Quali aspetti sono evidenziati nella descrizione di Enzo Bettiza? 5. Che cosa veniva studiato a Shenzhen? Da chi? A che scopo? 6. Che rapporti ebbe Shenzhen con il resto del paese? 7. Quali capitali sono affluiti a Shenzhen? Che cosa viene definito dallo Stato? 8. Come funziona la maggior parte delle imprese presenti a Shenzhen? 9. Dove è diretta la produzione? Cosa caratterizza il mercato del lavoro, i contratti e i salari? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalle precedenti domande, scrivi un testo di almeno 8 righe dal titolo “La nuova Cina”.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

30 Conflitti e rivolte

Capitolo

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in Africa, guerra nel Medio Oriente

Percorso breve L’emancipazione delle colonie africane dell’area subsahariana portò un’ondata di libertà ma anche nuove tensioni, innescate dalla mancanza di una classe dirigente, dalla fragilità dell’economia, dalla lotta per il controllo delle risorse minerarie, dalla insorgenza di conflitti etnici e tribali aggravati dal dominio coloniale. Ne derivò, in un quadro di generale instabilità politica, una serie di tragiche guerre civili con milioni di morti (in Etiopia, Somalia, Sudan, Ruanda, Congo). Un particolare sviluppo economico e civile si è verificato in Sud Africa, dove la fine dell’apartheid e l’ingresso dei neri nella vita politica hanno portato, nel 1994, all’elezione di Nelson Mandela come presidente. Gravi tensioni hanno attraversato e attraversano tuttora il Vicino e Medio Oriente. La guerra civile scoppiata in Afghanistan dopo il ritiro dei sovietici portò al potere i “talebani” (1996), che imposero un regime teocratico basato su una lettura fondamentalista del Corano. Nel paese trovarono rifugio numerosi terroristi islamici, in particolare il gruppo di Al Qaeda guidato da Osama Bin Laden. L’ostilità verso le potenze occidentali si manifestò in un clamoroso attacco agli Stati Uniti (11 settembre 2001) con il dirottamento di vari aerei di linea, lanciati e schiantati contro le Torri Gemelle e il Pentagono, simboli del potere economico e politico americano. In risposta, gli USA guidarono un attacco armato contro l’Afghanistan, rovesciando il regime dei talebani (Bin Laden è stato catturato e ucciso nel 2011). Altro punto critico è ancora l’Iraq di Saddam Hussein, accusato dagli USA di sostenere il terrorismo, nonché di possedere arsenali segreti di armi chimiche (che si sarebbero rilevati inesistenti). Contro il parere dell’ONU, gli americani attaccarono il paese nel 2003 e catturarono Saddam. L’Iraq fu occupato con l’aiuto di truppe alleate (anche italiane) per essere forzosamente “traghettato” alla democrazia: ma sull’intera operazione, che procede

Profughi somali, 1992

tra molte difficoltà, grava il sospetto che soprattutto gli interessi petroliferi abbiano sollecitato l’intervento. Nell’Iran si è frattanto affermato (2005) il regime integralista di Ahmadinejad, fautore di un islamismo radicale e della distruzione di Israele. Si aggravano le tensioni in Medio Oriente, che parevano avviate a soluzione dopo l’incontro del 1993 fra il Primo ministro israeliano Rabin e il capo palestinese Arafat, il riconoscimento dei diritti di entrambi i popoli e la costituzione in Cisgiordania (1995) dell’Autorità nazionale palestinese, primo embrione di uno Stato che, tuttavia, ancora oggi Israele e gli Stati Uniti si rifiutano di riconoscere. Le tendenze estremiste restano forti da entrambe le parti, mettendo in pericolo la pace mondiale. Nel 2011, l’ondata di proteste e di rivolte avvenute nei paesi arabi del Mediterraneo (particolarmente in Tunisia, Egitto e Libia, dove sono stati abbattuti i regimi dittatoriali) fa presagire un cambiamento in questa delicata area del mondo, dove le richieste di libertà e democrazia si incrociano con rivendicazioni di natura sociale.

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

30.1 Le guerre civili nel corno d’Africa Il dramma africano La conquista della libertà, che dal 1960 aveva reso indipendente la maggior parte degli Stati africani, portò anche nuove tensioni e drammatici conflitti. Mentre nei paesi dell’Africa mediterranea, ricchi di una lunga tradizione politica, l’indipendenza segnò l’avvio (pur fra molteplici contraddizioni) di una evidente crescita civile, nell’Africa subsahariana la mancanza di una classe dirigente e la fragilità della vita economica si incrociarono con il risorgere di conflitti etnici e tribali, che la nuova situazione non solo non cancellò, ma contribuì ad alimentare e talvolta a far nascere: le strutture sociali arcaiche di questi paesi, basate sulle aggregazioni sociali e familiari, si sono rivelate infatti, in tanti casi, incompatibili con l’organizzazione dei nuovi Stati, che generalmente riprendono i confini degli Stati coloniali, tracciati a tavolino senza una vera attenzione alle dinamiche delle popolazioni locali. Gli scontri per il controllo delle risorse naturali (diamanti, oro, minerali, legname, avorio), gli interessi legati al traffico (spesso illegale) di armi e rifiuti tossici (provenienti dai continenti più ricchi) oggi aggravano ulteriormente la situazione. Da tutto ciò è derivata l’instabilità politica di molti paesi, la frequenza dei colpi di Stato militari, l’instaurazione di dittature più o meno effimere, lo scoppio frequente di guerre civili, complicate da odi etnici e religiosi. Gli esempi non mancano, a partire dalle drammatice vicende che hanno devastato la penisola orientale del corno d’Africa. Le guerre in Etiopia e in Somalia Dal 1977 al 1991 l’Etiopia fu soggetta al regime dittatoriale del colonnello Haylè Menghistu, responsabile di atroci persecuzioni contro i suoi oppositori (circa mezzo milione di persone furono uccise e nel 2008 il dittatore è stato condannato a morte da un tribunale etiope con l’accusa di genocidio). Durante il suo regime l’Etiopia fu travolta dalla guerriglia degli eritrei che miravano all’indipendenza e nel 1993 la ottennero; ma gli scontri si riaccesero tra il 1998 e il 2000 per questioni di confine. Agli inizi degli anni Novanta, dopo la fine della dittatura di Siad Barre, una violentissima guerra civile è scoppiata in Somalia, provocando oltre 300.000 morti e l’intervento (peraltro inutile) di un contingente dell’ONU, ritirato nel 1995. Gli scontri dei cosiddetti “signori della guerra” (capi tribali in perpetua lotta fra loro) afflissero il paese per oltre quindici anni, esasperando la popolazione e spingendola verso le frange islamiche più estreme. Tra il 2006 e il 2007 sono intervenute militarmente nel conflitto sia l’Etiopia sia gli Stati Uniti, migliaia sono state le vittime civili e i tentativi di pacificazione si sono alternati a momenti di crisi. Il paese è ancora oggi in uno stato di emergenza.

30.2 Libertà, tensioni, conflitti nell’Africa subsahariana La secessione del Sudan meridionale Un movimento separatista ha sconvolto il Sudan, dove le regioni del sud (con la loro cultura tradizionale e una religiosità naturalista) si sono ribellate agli arabo-musulmani del nord, che detenevano il potere: la lotta ai ribelli e la forzata islamizzazione perseguita dal governo in maniera sempre più rigida hanno provocato terribili scontri soprattutto nella regione del Darfur (2003), con stragi di massa aggravate dalla carestia e dalla fame, che hanno causato una vera tragedia umanitaria. Nel 2011 attraverso un referendum il Sudan meridionale ha ottenuto l’indipendenza. La guerra in Ruanda Colonia tedesca e poi belga, il Ruanda si rese indipendente nel 1962, diventando teatro di spaventosi conflitti a base etnica, sollecitati dalla dominazione coloniale: i belgi avevano a lungo privilegiato la minoranza Tutsi, poi (dal 1959) avevano consegnato il potere alla maggioranza Hutu, accendendo rivalità e risentimenti re-

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

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Le vie della cittadinanza

I

Aiuti umanitari e neocolonialismo

n Africa la difficile situazione politica è aggravata dalla generale povertà delle popolazioni, dalla diffusione endemica di malattie infettive (malaria, tubercolosi, AIDS) e di disturbi legati all’insufficienza alimentare. Mali in parte antichi, legati alle difficoltà dell’ambiente e del clima (il deserto e la siccità nelle zone subsahariane, la violenza delle piogge nelle regioni equatoriali); in parte nuovi, poiché l’arretratezza economica è spesso frutto del prolungato sfruttamento coloniale che queste regioni hanno sofferto nel XIX e nel XX secolo. In particolare questi paesi sono stati danneggiati dai sistemi di monoproduzione, imposti dagli Stati dominanti per sfruttare le risorse locali a fini commerciali, senza tener conto dei bisogni vitali delle popolazioni. Così nel Ciad l’economia è stata orientata in larga misura sulla produzione di cotone; in Uganda sulla produzione di caffè, caucciù e cotone; nel Senegal sulle arachidi. Il sistema della

monoproduzione, sollecitato dalle potenze coloniali per garantirsi regolari approvvigionamenti di materie prime e per sviluppare le proprie attività industriali e commerciali, è stato estremamente dannoso per le colonie. La concentrazione dell’attività economica su uno o pochi settori ha infatti creato notevoli squilibri e soffocato le attività originali del luogo, esponendo, inoltre, i paesi coloniali ai pericoli di improvvisi tracolli economici dovuti ai cambiamenti dei prezzi di mercato, un fenomeno frequente nella vita economica e finanziaria dei paesi sviluppati. Di fronte a queste antiche e nuove situazioni di fame e di malattia, provocate da calamità climatiche, da guerre, da endemiche situazioni di precarietà economica, intervengono spesso le organizzazioni internazionali – ONU, Croce Rossa, Caritas, Emergency, ecc. – che provvedono a fornire cibi, medicinali e assistenza ospedaliera. È chiaro tuttavia

che gli aiuti umanitari non possono, da soli, risolvere i problemi dei paesi poveri; il vero aiuto consiste nel favorire la conquista dell’autosufficienza alimentare e di una vera indipendenza economica, ossia lo sviluppo delle attività produttive su base locale. In tale prospettiva si muovono gli interventi a favore dei paesi poveri sotto forma di capitali, macchinari, personale specializzato, necessari per modernizzare l’agricoltura e impiantare imprese industriali. Ma in tanti casi è proprio attraverso questo genere di interventi che si costruiscono nuove posizioni di dominio: una sorta di neocolonialismo, legato non più alla dominazione diretta, ma al controllo dell’economia e della tecnologia. Contro questo pericolo si era già espressa negli anni Cinquanta la conferenza afro-asiatica di Bandung [ 22.1], condannando tutte le forme di dipendenza, dirette e indirette. L’estrazione dell’acqua da un pozzo nel Niger

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente Campo di sfollati in Sudan, 2005 Nella foto sono ritratti degli sfollati in un campo provvisorio per profughi della guerra in Darfur.

ciproci. Con l’indipendenza scoppiò il caos: sanguinosi massacri, fughe di massa, esodi nei paesi confinanti. L’attacco di gruppi Tutsi espatriati fu fermato con l’aiuto di truppe francesi e inglesi, poi l’ONU tentò di mediare spartendo il potere fra i due gruppi, ma la violenza non cessava di crescere e un vero e proprio genocidio fu perpetrato nel 1994 contro la popolazione Tutsi: quasi un milione di morti. Negli anni successivi, diversi personaggi furono condannati per violazione dei diritti umani. Nel 2000 fu eletto presidente e ripetutamente confermato (l’ultima volta nel 2010) il Tutsi Paul Kagame. Serie perplessità si sono avanzate sulla correttezza del voto, in un paese in cui vige poca libertà e in cui i mezzi di comunicazione sono tutti controllati dal governo. Il desiderio di pacificazione pare comunque essersi fatto strada, sia pure a fatica.

Il Congo e la “guerra mondiale africana” Alla guerra del Ruanda e all’esodo di profughi che ne derivò (soprattutto di etnia Hutu, fuggiti nei paesi confinanti per evitare rappresaglie dopo il genocidio dei Tutsi) si legò un altro atroce dramma, quello della Repubblica democratica del Congo, ex Zaire [ I Luoghi della storia, 22.3], dove nel 1997 era stato deposto il dittatore Mobutu, che governava da trent’anni. Una ribellione capeggiata dal generale Laurent-Désiré Kabila, sostenuta da forze di paesi confinanti, portò al potere lo stesso Kabila, che ripristinò il nome Congo e a sua volta praticò una politica dittatoriale, ammantata di populismo nazionalista (ripristino di usi tradizionali, di culti animisti, della lingua indigena). Una drammatica guerra civile scoppiò nel 1998, coinvolgendo le forze di ben otto Stati, interessati al controllo dei giacimenti d’oro e di diamanti presenti nella regione. In questa sorta di “guerra mondiale africana” (19982003), come qualcuno ha voluto chiamarla, fatta non di scontri campali ma di continue operazioni di gruppi autonomi e scarsamente disciplinati, si sono innestati feroci scontri fra etnie rivali. Tra morti per attacchi armati, per fame e per malattie essa è costata più di 5 milioni di morti. Nel 2001 Kabila fu assassinato e sostituito dal figlio Joseph. Nel 2003 le parti si sono accordate per sospendere le ostilità, che sono però continuate e fanno tuttora del paese un focolaio di violenze. Una nuova rivolta è scoppiata nel 2004-08 nella regione del Kivu. Nel 2006 sono state indette nuove elezioni, in cui è stato confermato presidente Joseph Kabila. La situazione del paese resta a tutt’oggi estremamente delicata e la vita democratica assai fragile, per le continue violenze esercitate ai danni dei dissenzienti e degli avversari politici. La Comunità economica africana e il ruolo della Nigeria In questo clima di generale incertezza, alcuni Stati paiono caratterizzati da una maggiore stabilità politica e da maggiori capacità organizzative, avviandosi forse ad assumere un ruolo guida nel continente: la Nigeria, per esempio, leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, in più occasioni ha ricevuto dalle organizzazioni internazionali l’incarico di intervenire per sedare conflitti scoppiati in vari paesi.

Profughi ruandesi in fuga durante la guerra civile

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

30.3 Il nuovo Sud Africa

La Parola

HIV/AIDS L’AIDS, ‘Sindrome da Immunodeficienza acquisita’ (dall’inglese Acquired Immunodeficiency Disease), è una malattia infettiva che indebolisce le difese immunitarie dell’organismo ed è causata dall’HIV (‘virus dell’immunodeficienza umana’, Human Immunodeficiency Virus, isolato per la prima volta nel 1983). L’AIDS si trasmette attraverso il sangue e lo sperma e la sua diffusione è stata talmente rapida che è considerato la peste del Duemila: nel 1999 i casi effettivi di contagio erano stimati in 33 milioni. È la prima causa di morte in Africa, la quarta nel resto del mondo. Attualmente mancano un vaccino e una cura risolutiva, l’unica arma efficace resta la prevenzione (essenzialmente uso di preservativi e siringhe sterili).

La fine dell’apartheid In Sud Africa, alla fine degli anni Ottanta, iniziò a vacillare il regime di segregazione razziale che da decenni opprimeva la maggioranza nera della popolazione (quasi quattro volte quella bianca, che deteneva interamente il potere). Alla protesta indigena contro l’apartheid si unirono le voci di dissenso dell’opinione pubblica mondiale e gli atti di distensione del presidente Frederick de Klerk [ 22.4], che portarono, nel 1990, alla liberazione di Nelson Mandela, il maggior esponente del Comitato di liberazione ANC (African National Congress), in carcere dal 1964. Tre anni dopo anche ai neri fu concesso di organizzarsi in partiti e di partecipare alla vita politica del paese. Mandela presidente L’importanza di questo avvenimento fu sottolineata a livello mondiale dall’assegnazione del premio Nobel per la pace a Nelson Mandela e a Frederick de Klerk, congiuntamente, «per essere riusciti – tale fu la motivazione – a superare secoli di divisione razziale e aver portato il paese verso la democrazia». Con la fine dell’apartheid, il Sud Africa fu reintegrato nell’ONU (da cui era stato espulso) e nei principali organismi economici e finanziari internazionali. Nelle elezioni dell’anno seguente (1994) bianchi e neri votarono con pari diritti e propri candidati, e fu lo stesso Nelson Mandela a essere eletto presidente del Sud Africa, nonostante le forti opposizioni degli estremisti di destra bianchi (che avevano contatti con gruppi neonazisti tedeschi e con il Ku Klux Klan americano, 20.3) e anche degli estremisti neri (soprattutto degli zulu, una delle etnie più numerose). La democrazia Dopo avere avviato nel paese un complicato processo di pacificazione, istituendo la Commissione per la verità e la riconciliazione, con l’obiettivo di superare la tristissima pagina dell’apartheid, nel 1999 Mandela si ritirò dalla carica (continuando a impegnarsi nella difesa dei diritti umani e civili). Gli succedette Thabo Mbeki fino al 2009, quando il governo passò a Jacob Zuma, zulu ex comunista e leader dell’ANC. Le numerose riforme che sono state messe in atto da quando il regime dell’apartheid è finito hanno migliorato le condizioni di vita della popolazione nera (la percentuale delle famiglie con accesso all’acqua potabile è passata dal 62% nel 1962 al 92% nel 2009 e la classe media è cresciuta tra il 1998 e il 2006 di circa il 20%) ma gravi problemi restano

0%-2% 2%-5% 5%-10% 10%-15% 15%-20% 20%-30% 30% + Dati non disponibili

Nelson Mandela durante la campagna elettorale, 1994 Dopo aver trascorso 27 anni e 189 giorni in prigione, Nelson Mandela fu liberato nel 1990 e per il Sud Africa fu la svolta.

L’AIDS in Africa [Dati UNAIDS]

La carta presenta la percentuale di adulti (età 15-49) affetti da AIDS sul totale della popolazione.

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente ancora nel paese: gran parte dei terreni agricoli (circa l’80%) è ancora in mano ai bianchi; in aumento sono i reati violenti (come gli stupri sulle donne che, stando alle sole denunce, raggiungono percentuali tra le più alte del mondo) così come la diffusione dell’HIV/AIDS (il Sud Africa è il paese con il maggior numero di casi accertati). Nonostante questo il Sud Africa è oggi la maggiore potenza economica del continente africano, particolarmente attivo nei settori dell’industria mineraria e delle industrie alimentari.

30.4 Il Medio Oriente e il terrorismo islamico L’Afghanistan dei talebani In Afghanistan, dopo il ritiro delle truppe sovietiche nel 1988 [ 23.5] si scatenò la guerra civile. Il paese non era uno Stato unitario governato da un’autorità riconosciuta, ma un insieme di gruppi tribali di fede musulmana stretti attorno a capi dinastici (come in Africa, i cosiddetti “signori della guerra”) ciascuno dei quali dominava nel proprio territorio. Gli scontri di potere erano complicati dalle controversie religiose, legate a diverse interpretazioni del Corano. Nel 1996 assunse il potere il gruppo dei talebani (termine che alla lettera significa ‘studenti di teologia’) formatisi nelle scuole coraniche della regione al confine tra Afghanistan e Pakistan, sostenitori di un regime rigidamente teocratico e fondamentalista. Il governo dei talebani controllò in maniera rigorosa e dispotica la vita delle persone, proibendo ogni forma di comportamento che sembrasse seguire i modelli occidentali e allontanarsi dalla tradizione islamica (interpretata in maniera ferocemente restrittiva). Per esempio fu proibito l’ascolto di musica occidentale, ritenuta uno strumento di corruzione. Al Qaeda Inoltre il paese offrì rifugio ai terroristi islamici, sempre più numerosi dopo il riacutizzarsi, dal 2000, delle tensioni e degli scontri fra Israele e i profughi palestinesi. In particolare fece base in Afghanistan il gruppo di Al Qaeda (‘la base’), guidato da Osama Bin Laden, uno sceicco dell’Arabia Saudita che aveva partecipato alla guerriglia afgana contro i sovietici. Egli divenne il principale ispiratore del terrorismo suicida: formati all’idea di una lotta totale e definitiva contro le “potenze del male”, ossia gli interessi e la cultura del mondo industrializzato dell’Europa e degli Stati Uniti, squadre di volontari – i kamikaze – venivano addestrati a morire, con la promessa dell’eterno paradiso, lanciandosi contro obiettivi prestabiliti a bordo di automobili imbottite di esplosivo, o facendosi essi stessi esplodere in mezzo alla popolazione inerme.

La Parola

kamikaze “Kamikaze” è un termine giapponese, impiegato durante la Seconda guerra mondiale per indicare i piloti di aerei che, sacrificando la loro vita, si scagliavano contro il nemico per distruggerlo [ 16.6]. Successivamente esso è rimasto in uso per designare tutte le forme di “suicidio aggressivo”, ossia l’autodistruzione volta a colpire un obiettivo militare o civile. Una pratica, oggi tristemente nota, diffusa soprattutto fra i terroristi islamici.

Donna in burqa, Kabul 1995 Il regime integralista instaurato dai talebani, intollerante e rigidamente fondato sui precetti coranici, impose alle donne la segregazione e le privò dei principali diritti e libertà civili: fu loro vietato di lavorare, andare a scuola, uscire da sole e comparire in pubblico senza il burqa, il velo integrale che nasconde completamente la figura.

Guerrieri talebani, Kabul 1996

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

30.5 L’attacco agli Stati Uniti e la guerra in Afghanistan New York sotto attacco Il terrorismo islamico colpì soprattutto gli Stati Uniti, dapprima in maniera indiretta (attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania, nel 1998), poi nel cuore dello Stato “nemico”: la mattina dell’11 settembre 2001, un gruppo di attentatori dirottò due aerei di linea facendoli schiantare a New York contro le Twin Towers, le ‘Torri Gemelle’, uno degli edifici-simbolo di Manhattan, sede del World Trade Center (‘Centro del Commercio Mondiale’). Le due torri crollarono, provocando la morte di 3000 persone. Negli stessi minuti, un terzo aereo veniva fatto precipitare sul Pentagono, quartier generale del ministero della Difesa USA, nei pressi di Washington. Un quarto aereo, diretto forse verso la Casa Bianca, residenza del Presidente degli Stati Uniti, precipitò in aperta campagna dopo la reazione dei passeggeri all’azione dei dirottatori. L’azione terrorista aveva un chiaro significato simbolico, poiché colpiva il “sistema” americano nei suoi principali elementi costitutivi (il governo, l’esercito, la rete commerciale); con grande evidenza essa era frutto di un’accurata preparazione, di una rete di rapporti complessa e ramificata. Era la prima volta, nella storia degli Stati Uniti, che il paese era attaccato sul proprio territorio: per opera di terroristi suicidi si era verificato ciò che mai era avvenuto nelle guerre tradizionali. L’attacco alle Torri Gemelle, New York 11 settembre 2001 I due grattacieli del World Trade Center di New York, le cosiddette Twin Towers (“torri gemelle”), furono colpiti da due aerei di linea dirottati dai kamikaze.

Guerra al terrorismo Gli attentati dell’11 settembre 2001 furono attribuiti a Al Qaeda e per questo, tra il settembre e il dicembre dello stesso anno, gli Stati Uniti guidarono una coalizione internazionale che attaccò l’Afghanistan e rovesciò il regime dei talebani. L’obiettivo di catturare Bin Laden non fu tuttavia raggiunto. Negli anni successivi l’Afghanistan si diede un nuovo governo, guidato dal 2004 da Hamid Karzai, capo di una delle principali tribù, che avviò, fra molti contrasti, una difficile opera di pacificazione nazionale, tentando di conciliare gli interessi particolari dei vari gruppi. La “normalizzazione” del paese appare in ogni caso lontana, data anche la precarietà della vita economica, ancorata ad antichi modelli pastorali e agricoli e in gran parte controllata dai trafficanti di droga (l’Afghanistan è il primo produttore mondiale di oppio, da cui si ricava anche l’eroina). Quanto a Bin Laden, che continuò a operare in clandestinità, passarono ancora dieci anni prima che, il 2 maggio 2011, un blitz della marina statunitense lo uccidesse in uno scontro a fuoco dopo avere localizzato il suo rifugio in un casolare nei pressi di Islamabad, capitale del Pakistan. La guida di Al Qaeda è quindi passata a uno dei suoi fondatori, Ayman al-Zawahiri. La fine del regime talebano a Kabul, Afghanistan 2001 Abbattuto il regime integralista dei talebani, le donne manifestarono in pubblico col viso scoperto e gli uomini si fecero tagliare la barba (imposta durante il regime).

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente Marines in marcia lungo il confine tra Kuwait e Iraq, marzo 2003

30.6 L’invasione dell’Iraq La guerra irachena Dopo avere eliminato il governo dei talebani in Afghanistan, gli Stati Uniti allargarono il loro campo d’intervento progettando un attacco all’Iraq di Saddam Hussein [ 22.8], accusato anch’egli di dare ospitalità e supporto al terrorismo islamico. Inoltre si imputava a Saddam il possesso di “armi di distruzione di massa”, arsenali segreti di armi chimiche e batteriologiche proibite dalla comunità internazionale. Con queste giustificazioni gli Stati Uniti proposero alle Nazioni Unite di autorizzare una “guerra preventiva”, ma l’autorizzazione fu negata, sia perché ripetute indagini promosse dall’ONU in Iraq mostrarono infondati i sospetti, sia perché l’idea stessa di una guerra “preventiva” sembrava pericolosa e inaccettabile per il diritto internazionale. Nonostante il parere contrario dell’ONU, e nonostante le critiche di paesi amici come la Francia e la Germania, il presidente americano George Bush Jr [ 26.5] diede l’ordine di attaccare, e nel marzo-maggio 2003 truppe statunitensi e inglesi invasero l’Iraq. A esse si aggiunsero contingenti di Stati alleati: Spagna, Polonia, Italia, Giappone. La guerra in Iraq fu breve: il regime crollò e dopo pochi mesi anche Saddam Hussein, nascosto in un rifugio sotterraneo, fu catturato (tre anni dopo, nel 2006, fu processato e giustiziato). L’“esportazione della democrazia” L’Iraq fu occupato dall’esercito americano e dai contingenti alleati con il progetto di traghettarlo alla vita democratica secondo il modello occidentale. Ma questa “esportazione della democrazia”, imposta con l’uso della forza, apparve in sé contraddittoria e comunque assai problematica, data la diversità delle tradizioni politiche e culturali del paese. L’immagine stessa degli Stati Uniti si incrinò, quando apparve chiaro che la principale motivazione addotta per giustificare l’invasione (la presenza in Iraq di arsenali militari e di armi chimiche) era infondata. Ciò diede adito al sospetto che il punto chiave dello scontro fosse stato, ancora una volta, il controllo delle risorse petrolifere nell’area del Golfo persico. Gli attentati terroristici Nei mesi successivi l’Iraq fu teatro di sanguinosi attentati contro le forze di occupazione (il 12 novembre 2003 uno di essi colpì il contingente italiano nella città di Nassirya, facendo diciannove morti), sequestri di cittadini stranieri, macabre esecuzioni trasmesse via Internet. Il terrorismo islamico colpì anche in Europa:

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali Memo

sunniti e sciiti Il contrasto dottrinale fra sunniti e sciiti risale agli inizi della religione islamica. Subito dopo la morte di Maometto (anno 632) i sunniti assegnarono ai suoi successori, i califfi, un compito prevalentemente politico, distinguendo l’autorità civile da quella religiosa; gli sciiti invece, accettando la dottrina di uno dei cugini di Maometto, Alì, sostennero la necessità di mantenere strettamente collegati i due poteri, riservandoli ai diretti discendenti del profeta. Ancora oggi, i paesi islamici sono divisi fra le due diverse interpretazioni.

I modi della storia

l’11 marzo 2004 una serie di attentati colpì Madrid (duecento vittime fra i passeggeri di diversi treni), il 7 luglio 2005 morirono cento persone nella metropolitana di Londra. Ciò che in particolare colpì l’opinione pubblica fu la scoperta che fra gli attentatori vi erano “normali” cittadini britannici.

Il nuovo governo iracheno Nello stesso 2005, le elezioni in Iraq segnarono la vittoria degli sciiti, guidati dall’ayatollah moderato Ali al-Sistani, che varò una Costituzione federale dopo essersi accordato con la minoranza curda, che portò alla presidenza del paese l’ex combattente Jalal Talabani. La protesta dei gruppi sunniti, dominanti al tempo di Saddam e ora penalizzati dalla nuova situazione politica, contribuì a mantenere il paese in una situazione di instabilità politica che perdura tuttora. Il governo iraniano Frattanto, nel vicino Iran si affermava un governo di forte matrice integralista. Dopo la morte di Khomeini [ 22.7], il paese era stato presieduto da Akbar Hashemi Rafsanjani (1989-97) e poi da Mohammad Khatami (1997-2005). Nel 2005 fu eletto presidente Mahmoud Ahmadinejad, il quale rilanciò il khomeinismo nella sua versione più intransigente, facendosi interprete dell’islamismo radicale, minacciando apertamente Israele con proclami antisemiti, avviando un inquietante programma di ricerca nucleare. Nel 2009 egli è stato riconfermato per un secondo mandato e la tensione con Israele (che a sua volta minaccia un intervento armato nel paese) è ulteriormente cresciuta.

La guerra asimmetrica

Tutte le vicende legate alla guerra in Iraq rivelano l’inadeguatezza delle soluzioni militari rispetto ai problemi posti da un nuovo genere di conflitto, la “guerra asimmetrica”, come è stata chiamata. Essa non è combattuta in modo tradizionale fra eserciti riconoscibili e Stati dai confini ben definiti, bensì da forze non dichiarate, nascoste, che possono operare ovunque, anche nel territorio “amico”, o magari possono essere cittadini dello Stato colpito: particolare sconcerto suscitò, nel 2005, dopo gli attentati alla metropolitana di Londra, la scoperta che i terroristi implicati nell’operazione erano cittadini britannici. La distinzione tra guerra e terrorismo, tra civili e soldati, tra nemico esterno e interno oggi si confonde e ciò che emerge è uno scenario offuscato, informe, eterogeneo che coinvolge le società in maniera trasversale. Esattamente l’opposto di ciò che era il conflitto armato tra XVII e XX secolo: uno scontro tra entità (due o più di due) riconoscibili e riconosciute, gli Stati nazionali, che disponevano in maniera simmetrica di armamenti bellici e forze militari chiaramente identificabili. La guerra “asimmetrica” non può essere combattuta con un normale dispiegamento delle forze armate, ma deve essere affrontato facendo ricorso alla cosiddetta intelligence (l’attività dei servizi segreti) e, soprattutto, alla politica e alla diplomazia, nel tentativo di eliminare le tensioni e i contrasti da cui

traggono alimento i conflitti. Per questo, il risultato dell’operazione americana in Iraq è stato sconfortante. L’uso della forza non ha contribuito a “normalizzare” il paese ma, al contrario, lo ha trasformato in un focolaio di violenza perché «il problema del terrorismo – come scriveva il giornalista Tiziano Terzani (1938-2004) – non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali. […] Il terrorista che ora ci viene additato come il “nemico” da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina un attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamico fanatico, che in nome di Allah uccide sé stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa

esplodere in mezzo a una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il “terrorista” possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa dei rischi di esplosione e inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. […] Voglio dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare a una definizione comune del nemico da debellare». Finita la dittatura di Saddam Hussein, l’introduzione dei principali istituti democratici (Parlamento, elezioni, Costituzione) si è svolta in Iraq sotto il fuoco incrociato della guerriglia e del terrorismo. Il paese si sta forse avviando alla democrazia, ma è anche diventato il principale punto di aggregazione dei terroristi islamici, che operano in gruppi autonomi, talora collegati alla rete di Al Qaeda. Messaggio video di Osama Bin Laden Osama Bin Laden, leader di al Qaeda fino al 2011, fomentò la guerra contro i paesi occidentali anche attraverso la diffusione di alcuni messaggi video trasmessi dall’emittente televisiva araba «al-Jazeera».

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

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RE UN

11-IX-2001

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SPAGNA Madrid 11-III-2004 MAROCCO TUNISIA Djerba Casablanca

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Paesi oggetto di attentati terroristici Paesi interessati da conflitti armati Attentati gravissimi

30.7 La questione palestinese Conferenze di pace Dopo gli accordi di Camp David [ 22.6] un passo importante per la pacificazione tra il mondo arabo e quello israeliano fu compiuto nel settembre 1993, con uno storico incontro fra il Primo ministro israeliano Itzhak Rabin (1992-1995) e il Paesi oggetto di attentati terroristici capo dell’OLP Yasser Arafat [ 22.5], avvenuto a Washington con la mediazione del Paesi interessati da conflitti armati presidente americano Bill Clinton: per la prima volta israeliani e palestinesi ricoAttentati gravissimi nobbero pubblicamente i diritti dei rispettivi popoli, impegnandosi a trovare modi pacifici di convivenza. Rabin, Arafat e Shimon Peres (allora ministro degli Esteri e dal 2007 presidente dello Stato d’Israele) furono, per questi loro tentativi di riconciliazione, insigniti nel 1994 del premio Nobel per la pace. Successivi accordi perfezionarono l’intesa, con l’impegno di Israele a ritirarsi da Gaza e dalla Cisgiordania. L’ANP Nel 1995 fu pertanto costituito, su territori della Cisgiordania lasciati liberi da Israele, il primo embrione di un nuovo Stato palestinese (detto, in attesa di divenire Stato a pieno titolo, Autorità nazionale palestinese), destinato ad accogliere i profughi. Yasser Arafat ne fu il primo presidente e lo restò fino alla morte, avvenuta nel 2004. Opposti estremismi La politica di pace avviata da Rabin e Arafat fu osteggiata dalle fazioni più oltranziste dei due popoli, contrarie a ogni accordo. Non cessarono quindi gli scontri e le violenze, di cui lo stesso Rabin rimase vitti-

Conflitti armati e terrorismi agli inizi del XXI secolo

L’accordo tra Rabin e Arafat, 1993 Il 13 settembre 1993 a Washington, alla presenza del presidente statunitense Bill Clinton, il leader palestinese Arafat e quello israeliano Rabin strinsero un accordo di pace fra i due popoli.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali ma nell’autunno 1995, ucciso da un fanatico israeliano durante una pubblica manifestazione. L’anno successivo, le elezioni in Israele segnarono la vittoria di una coalizione conservatrice, capeggiata dal leader del partito del Likud che si era opposto alle trattative con l’OLP, Benjamin Netanyahu; egli rimase Primo ministro fino al 1999 quando di nuovo si affermarono le forze progressiste, guidate dal laburista Ehud Barak. Anche sul fronte arabo ripresero vigore le posizioni estremiste: a iniziare dal 2000 in Israele e nei territori occupati ricominciarono gli attentati (che andarono sotto il nome di “seconda intifada”), opera del Movimento di resistenza islamico Hamas (ovvero ‘entusiasmo’) che teorizzava la distruzione dello Stato d’Israele come unica possibile soluzione alla questione palestinese. A tali gesti regolarmente seguivano contromisure militari da parte israeliana, con raid aerei sugli insediamenti palestinesi.

Sit-in di donne palestinesi davanti ai ritratti delle vittime della seconda intifada, Hebron, 11 dicembre 2000

Nuovi tentativi di pace Fu il presidente americano George Bush Jr a elaborare un nuovo piano di pace, detto “Road Map”, sulla base del principio «due popoli, due Stati» enunciato dall’ONU e dagli accordi del 1993. Intanto però il Primo ministro israeliano Ariel Sharon (2001-06) fece erigere un muro in Cisgiordania, per proteggere Israele dagli attacchi terroristici. Seguirono nuovi attentati, nuove rappresaglie. Nel 2005 i rapporti fra le due parti sembrarono di nuovo schiarirsi. Il nuovo governo di unità nazionale, costituito in Israele da Sharon con le forze di sinistra (tradizionalmente più sensibili alla mediazione e all’accordo con i palestinesi), avviò un piano di ritiro dell’esercito e delle colonie ebraiche dalla striscia di Gaza, che fu com-

I tempi della storia Israeliani e palestinesi: le date del conflitto 29 novembre 1947 Su deliberazione dell’ONU la Palestina viene divisa in due parti, una delle quali destinata ad accogliere il nuovo Stato ebraico. La Lega araba non accetta la decisione. 14 maggio 1948 Nasce lo Stato di Israele e subito scoppia la guerra con gli arabi. Durerà sette mesi. 1956 Seconda guerra fra Israele e gli Stati arabi. 2 giugno 1964 A Gerusalemme viene fondata l’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina). giugno 1967 Guerra dei Sei giorni: gli israeliani sconfiggono le truppe di Egitto, Siria e Giordania e occupano il Sinai, la striscia di Gaza, il Golan, la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme. 1972 Iniziano le azioni terroristiche dei palestinesi. ottobre 1973 Quarta guerra fra Israele e i paesi arabi. Egitto e Siria attaccano Israele. Gli israeliani si impadroniscono del canale di Suez (che abbandonano in dicembre dopo la fine della ostilità) e occupano stabilmente Gerusalemme. 1978 Accordo di pace stipulato a Camp David (Stati Uniti) fra il Primo ministro

israeliano Begin e il presidente egiziano Sadat. Begin e Sadat insigniti del premio Nobel per la pace. settembre 1982 L’esercito israeliano invade il Libano per eliminare i campi palestinesi a partire dai quali vengono organizzate le operazioni di guerriglia contro Israele. dicembre 1987 Nei territori occupati da Israele si acuisce la rivolta e la resistenza dei palestinesi (intifada). dicembre 1988 Il capo dell’OLP Yasser Arafat riconosce il diritto di esistenza dello Stato di Israele. Gli Stati Uniti aprono il dialogo con l’OLP. gennaio 1991 Guerra del golfo tra USA e Iraq. Diversi paesi arabi si schierano con gli americani e quindi, di fatto, con gli israeliani, attaccati dai missili iracheni. ottobre 1991 Si apre a Madrid la conferenza di pace tra Israele e gli arabi. Per la prima volta gli israeliani accettano di trattare con l’OLP. 13 settembre 1993 Il Primo ministro israeliano Rabin e il capo del’OLP Arafat si stringono la mano e riconoscono i rispettivi diritti. Lo storico incontro si svolge a Washington con la mediazione del presidente americano Clinton.

1995 Arafat è eletto presidente del primo embrione di Stato palestinese, detto “Autorità nazionale palestinese”, costituito su territori della Cisgiordania lasciati liberi da Israele. Rabin è assassinato da un estremista israeliano. 2000 Fallisce il vertice tra Israele e OLP sulle modalità di costituzione dello Stato palestinese in Cisgiordania. Riprendono gli attentati terroristici e le rappresaglie militari. 2005 Muore a Gaza Yasser Arafat. È eletto suo successore Abu Mazen. Gli israeliani abbandonano il territorio (“striscia”) di Gaza, occupato nel 1967. 2006 I movimenti integralisti islamici Hamas e Hezbollah si affermano, rispettivamente, nella striscia di Gaza e in Libano. Lanci di missili da entrambe le parti contro Israele, che risponde con rappresaglie e con l’attacco al Libano meridionale. 2011 L’UNESCO (agenzia ONU per l’educazione, la scienza e la cultura) ammette come proprio membro la Palestina, implicitamente riconoscendola come Stato sovrano. Israele e Stati Uniti in segno di protesta bloccano i finanziamenti all’UNESCO.

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente pletamente evacuata nel mese di settembre. Anche l’elezione di Abu Mazen alla guida dell’Autorità Palestinese, avvenuta dopo la scomparsa di Arafat, apparve una vittoria della parte moderata contro l’estremismo di Hamas.

L’affermazione di Hamas Lo spiraglio di pacificazione si richiuse immediatamente in seguito al risultato delle elezioni a Gaza e in Cisgiordania, dove nel 2006 si affermarono gli estremisti di Hamas, fermi nel rifiuto di riconoscere Israele e dichiarati illegali dallo stesso Abu Mazen. Dalla striscia di Gaza, ora non più occupata, si intensificarono i lanci missilistici contro lo Stato ebraico, che rispose con dure rappresaglie, mentre il dibattito politico tra i palestinesi consegnava l’intero controllo a Hamas. La guerra libanese Anche in Libano si consolidarono le posizioni integraliste antiebraiche, sostenute dal movimento sciita Hezbollah (termine che significa ‘partito di Dio’), appoggiato anche dalla Siria e armato dall’Iran. I lanci di missili contro Israele, a cui l’esercito israeliano per ordine del nuovo Primo ministro Ehud Olmert rispose attaccando il Libano meridionale, furono la conseguenza di tali posizioni politiche. Dal 2006 è di stanza nel paese una missione di pace (cui partecipano molti soldati italiani) voluta dall’ONU che ha ripristinato una tregua in Libano ma, dopo oltre mezzo secolo di conflitti, la questione palestinese appare tutt’altro che risolta.

30.8 Proteste e rivolte nel mondo arabo Il mondo arabo in fiamme Tra la fine del 2010 e gli inizi del 2011 il mondo arabo del nord Africa e del Vicino e Medio Oriente è stato attraversato da un’ondata di movimenti di protesta, sfociati talora in vere e proprie rivolte e in un caso (Libia) in una sanguinosa guerra civile. A determinare la crisi sono state la difficile situazione economica (a partire dal 2008, la crescita dei prezzi degli alimenti sul mercato internazionale ha reso più difficile la vita in molti paesi del mondo) e le rivendicazioni di libertà avanzate da popolazioni troppo a lungo oppresse da regimi autoritari e corrotti nell’esercizio dei diritti politici e civili. In alcuni paesi della fascia mediterranea (Tunisia, Egitto, Libia) le rivolte hanno portato, con vicende in diversa misura cruente, alla rimozione degli uomini al potere. Cambiamenti importanti appaiono all’orizzonte, in bilico fra nuove istanze democratiche e risorgenze islamiste, spesso in prima linea nelle richieste di libertà e di partecipazione politica. Un elemento nuovo in tutto ciò è stato anche l’uso di Internet e di social network per organizzare e comunicare gli eventi in corso, superando con la rete informatica i tentativi di repressione statale (anche se, a parere di alcuni osservatori, «il network della moschea, o del bazar, conta assai più di Facebook, Google o delle e-mail. La funzione di Internet è stata un’altra: informare all’estero su quanto stava avvenendo e dunque aumentare la pressione internazionale su Mubarak e Ben Ali»). La scintilla scoppia in Tunisia Il primo focolaio di rivolta si accende in Tunisia sul finire del 2010, quando un giovane ambulante di Sidi Bouzid (una città nella parte centrale della nazione), maltrattato dalla polizia per vendita abusiva, si dà fuoco di fronte al palazzo governativo e muore per le ustioni riportate. Da questo gesto di estrema disperazione e protesta prende avvio una sommossa popolare che rapidamente si estende a tutto il paese e alla capitale Tunisi, con violenti scontri che provocano un centinaio di morti. Nonostante le promesse di riforme, la protesta continua e nel gennaio 2011 costringe alla fuga il presidente Zine El-Abidine Ben Ali, al potere dal 1987, quando aveva deposto con un colpo di forza il presidente Burghiba [ 22.2], gravemente ammalato. Ben Ali era stato confermato per ben cinque volte consecutive, instaurando nel paese un regime autoritario, limitando le libertà e i diritti civili e soffocando le voci di opposizione, in particolare il partito islamista Ennahda (‘Rinascita’), accusato di complotto e messo al bando nel 1991. Nell’autunno 2011, le prime elezioni democratiche convocate dopo l’estromissione di Ben Ali sono vinte dallo stesso Ennahda, il cui leader Rachid Ghannushi, sostenitore di una politica moderata e di pacificazione nazionale, ha assicurato che il paese manterrà gli amichevoli rapporti intrattenuti con l’Europa dai suoi predecessori.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

BIELORUSSIA

POLONIA

GERMANIA

Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg)

FEDERAZIONE RUSSA

Guerra afghana Pakistan in bilico

Paesi invitati a entrare nel Ccg

UCRAINA

Basi Usa in Medio Oriente

KAZAKISTAN

FRANCIA ROMANIA

ITALIA

UZBEKISTAN

Caucaso Mar Nero

PORTOGALLO

GEORGIA

SPAGNA

ARM.AZERB.

TURCHIA

Oceano Atlantico TUNISIA

MAROCCO

Mar Caspio

TURKMENISTAN

SIRIA

Mar Mediterraneo LIBANO CISGIORDANIA

IRAQ GIORD.

ALGERIA

KUWAIT LIBIA

EGITTO

A R A B I A S A U D I T A

BAHREIN

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Intervento armato saudita

MALI MAURITANIA

AFGHAN.

I R A N

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O M AN

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CIAD

Guerra civile e intervento armato internazionale

SUDAN

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Ro

Transizioni in corso

ERITREA

Proteste e scontri limitati Scontri violenti

Flussi migratori dalla Libia

Forte repressione in corso

Flussi migratori verso la Libia

Proteste e riforma costituzionale

Instabilità caucaso-caspica

Y E M E N Mare Arabico

GIBUTI

SUD SUDAN

E.A.U.

ETIOPIA

SOMALIA ©Limes

Tsunami sul fronte Sud [© carta di Laura Canali, «Limes, la Rivista italiana di geopolitica»; con adattamenti; per gentile concessione]

La rivolta si estende all’Egitto Anche in Egitto la rivolta popolare ha portato a un rapido e imprevisto mutamento politico. Dal 1981, anno dell’assassinio del presidente Sadat, nel paese era stato decretato lo stato di emergenza e il nuovo presidente Hosni Mubarak [ 22.2] aveva instaurato un regime autoritario, annullando o limitando le garanzie e le libertà civili. Ciò aveva suscitato numerose proteste, a cui si incrociarono tensioni di natura religiosa legate agli scontri tra musulmani e copti, la minoranza cristiana emarginata e oppressa ai tempi di Sadat, che da Mubarak aveva ottenuto maggiore tolleranza e libertà di culto. A seguito della rivolta scoppiata nella vicina Tunisia, anche in Egitto sono esplose proteste per il carovita e la grave crisi di occupazione, accompagnate da rivendicazioni di libertà e diritti, contestazioni contro il privilegio e la diffusa corruzione dell’oligarchia al potere. Nel febbraio 2011 Mubarak si è dimesso lasciando il paese nelle mani di una giunta militare, in attesa che la Costituzione sia riformata e nuove elezioni siano convocate. Gravi scontri di piazza, con numerosi morti, precedono la convocazione elettorale.

30.9 La guerra civile in Libia La rivolta contro Gheddafi Eventi di particolare drammaticità segnano la rivolta scoppiata negli stessi giorni del febbraio 2011 nella Libia del colonnello Muhammar Gheddafi, al potere da oltre quarant’anni: dopo il colpo di Stato del 1969 [ 22.2] egli aveva instaurato un regime dittatoriale, perseguendo l’ambizioso progetto di diventare un punto di riferimento per l’intero mondo arabo nelle sue rivendicazioni di autonomia

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente dall’Occidente europeo e americano. In febbraio iniziano a Bengasi (città tradizionalmente poco fedele a Gheddafi, e maggiormente influenzata dalla cultura islamista) i primi scontri fra dimostranti e forze di polizia; manifestazioni a sostegno di Gheddafi contrastano le proteste contro il governo e in breve tempo scoppia una violenta guerra civile, che incendia l’intero paese e che Gheddafi combatte facendo ricorso anche all’aviazione e a bombardamenti contro le sedi dei ribelli.

La NATO sostiene i ribelli A fronte di questi eccidi interviene – a sostegno dei ribelli, e per proteggere la popolazione civile – una forza multinazionale di paesi della NATO, autorizzata dall’ONU, che impiega l’aviazione per bloccare i movimenti delle forze governative. I gruppi rivoluzionari sono ormai riconosciuti dalla comunità internazionale come controparte, e la stessa delegazione libica all’ONU prende le distanze dal proprio leader, considerato ormai un nemico del paese. La caduta di Gheddafi Dopo mesi di scontri furibondi, il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene catturato e ucciso nei pressi di Sirte, sua città natale. Mustafà Abd al-Jalil, già ministro della Giustizia, che fin dall’inizio aveva sostenuto il movimento di protesta, guida il governo provvisorio che dovrebbe guidare la transizione del paese alla democrazia, organizzando libere elezioni e redigendo una nuova Costituzione.

30.10 Un fermento diffuso Gli sviluppi in Algeria Anche l’Algeria – di cui è presidente dal 1999 Abdelaziz Bouteflika – è interessata dall’ondata di proteste scoppiate tra 2010 e 2011 nel nord Africa. Negli ultimi decenni il paese è stato attraversato da atroci violenze che hanno provato in maniera drammatica la popolazione. Dopo la rigida repressione politica che seguì all’instaurazione della giunta militare nel 1992 (che annullò la vittoria elettorale del Fronte di Salvezza Islamico), il generale Liamine Zéroual favorì a partire dal 1994 la riconciliazione nazionale e l’anno successivo, indette le prime elezioni pluripartitiche, divenne egli stesso presidente. La politica laica del governo tuttavia provocò l’opposizione dei gruppi islamici estremisti che si organizzarono in frange armate clandestine dedite alla guerriglia e (soprattutto fra 1994 e 1998) compirono clamorose operazioni terroristiche nei villaggi rurali e contro le comunità cristiane. Un governo di coalizione traghettò il paese verso le elezioni del 1999, in cui si impose Bouteflika. I gruppi armati vennero sconfitti agli inizi del 2000 e la guerra civile fu sedata, ma la popolazione algerina ancora oggi è in subbuglio e rivendica maggiore libertà e un maggiore impegno del governo nell’affrontare i tanti problemi sociali che affliggono il paese (disoccupazione, carovita, corruzione). Il Marocco democratico Il Marocco, unica monarchia fra i paesi arabi della sponda sud del Mediterraneo, si caratterizza ormai da tempo per il suo regime politico pluripartitico, e per la vita civile relativamente libera e democratica (anche in materia di diritti femminili). Nel 2010, allo scoppiare dell’ondata di protesta in Tunisia e in altri paesi, il sovrano Mohammed VI (salito al trono nel 1999, alla morte del padre Hassan II) si è rivolto al suo popolo assicurando un sempre maggiore sviluppo della democrazia. Altri focolai di protesta Come il Marocco, anche altri Stati del mondo arabo hanno scelto di intraprendere un percorso di apertura e di riforme, ponendo maggiore attenzione alle rivendicazioni politiche e sociali espresse dai propri cittadini. Altri governi hanno invece adottato gli strumenti della repressione: è il caso della Siria dove il presidente Bashar alAsad (in carica dal 2000), pur proclamando l’avvio delle riforme, non ha esitato a reprimere nel sangue le rivolte antigovernative. Proteste e sommosse si susseguono in numerosi altri paesi dell’universo arabo: Bahrein, Yemen, Giordania, Gibuti. Incidenti minori, ma sempre significativi di un clima politico e sociale di particolare fermento, avvengono in Arabia saudita, Oman, Mauritania, Sudan, Somalia, Iraq, Kuwait. Il futuro è tutto da scrivere.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Sintesi

Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

Le guerre civili nel corno d’Africa In Africa, la conquista della libertà portò nuovi drammatici conflitti. Nell’Africa subsahariana ripresero forza i conflitti etnici e tribali, principalmente per la mancanza di una forte classe politica e per la struttura sociale arcaica. Gli Stati infatti conservavano i confini forzati delle colonie e al loro interno convivevano etnie diverse e spesso in conflitto. L’instabilità politica che caratterizzò molti di questi Stati agevolò i colpi di Stato militari, le dittature, le guerre civili, complicate da odi etnici e religiosi. Libertà, tensioni, conflitti nell’Africa subsahariana In Sudan, le regioni del sud si sono ribellate agli arabo-musulmani del nord, detentori del potere e fautori di una islamizzazione forzata. Questa ribellione ha portato a spaventose stragi di massa nel Darfur (2003). Il Sudan meridionale ha ottenuto l’indipendenza nel 2011. In Ruanda, dopo l’indipendenza (1962), rimasero forti i contrasti – anche sollecitati dai belgi – tra la minoranza etnica dei Tutsi e la maggioranza Hutu. Ne scaturì un cruento conflitto civile che indusse l’ONU a mediare, spartendo il potere fra i due gruppi, ma la violenza non cessò. Nella Repubblica democratica del Congo (ex Zaire), nel 1997 una ribellione portò al potere Laurent-Désiré Kabila, che praticò una politica dittatoriale e populista. Il dissidio sfociò in una guerra (1998) che coinvolse ben otto Stati, interessati al controllo dei giacimenti d’oro e di diamanti presenti nella regione (“guerra mondiale africana”, 1998-2003). Nel 2003 sono state sospese le ostilità, ma il paese è tuttora un focolaio di violenze. In questo clima di generale incertezza, è un’eccezione la Nigeria che, in più occasioni, ha ricevuto dalle organizzazioni internazionali l’incarico di mediare tra i vari paesi in guerra. Il nuovo Sud Africa In Sud Africa, alla fine degli anni Ottanta, iniziò a sgretolarsi il sistema dell’apartheid. Nel 1990 il presidente Frederick de Klerk fece liberare Nelson Mandela, il leader del Comitato di liberazione dei neri, in carcere dal 1964. Dal 1993 anche ai neri fu concesso di organizzarsi in partiti e di partecipare alla vita politica del paese e nel 1994 fu eletto presidente dello Stato lo stesso Mandela. Le numerose riforme attuate hanno migliorato le condizioni di vita dei neri ma gravi problemi restano ancora nel paese:

i terreni agricoli sono ancora in mano ai bianchi; sono aumentati i reati violenti e la diffusione dell’AIDS. Nonostante questo il Sud Africa è oggi la maggiore potenza economica africana. Il Medio Oriente e il terrorismo islamico In Afghanistan, nel 1988 scoppiò la guerra civile. Il paese era diviso in tribù musulmane e ognuna dominava su un territorio di influenza. Gli scontri di potere tra tribù erano complicati da dissidi religiosi. Nel 1996 assunse il potere il gruppo dei talebani (‘studenti di teologia’), sostenitori di un regime rigidamente teocratico e fondamentalista. Il governo dei talebani controllò in maniera rigorosa e dispotica la vita delle persone, proibendo ogni forma di comportamento vicino ai modelli “occidentali”. Inoltre il paese offrì rifugio ai terroristi islamici. Tra questi Al Qaeda, guidata da Osama Bin Laden, volta alla lotta definitiva contro le “potenze del male”, ossia Europa e Stati Uniti. L’attacco agli Stati Uniti e la guerra in Afghanistan L’11 settembre 2001, attentatori di Al Qaeda fecero schiantare due aerei contro le Twin Towers (‘Torri Gemelle’), a New York; contemporaneamente un terzo aereo fu fatto precipitare sul Pentagono e un quarto, diretto forse verso la Casa Bianca, precipitò in aperta campagna dopo la reazione dei passeggeri. Era la prima volta che gli USA erano attaccati sul loro territorio. Tra il settembre e il dicembre 2001, gli USA guidarono una coalizione internazionale che attaccò l’Afghanistan e rovesciò il regime dei talebani. L’obiettivo di catturare Bin Laden fu raggiunto solo nel 2011. Negli anni successivi l’Afghanistan si diede un nuovo governo, guidato dal 2004 da Hamid Karzai, che ha avviato una difficile opera di pacificazione nazionale, oggi ancora lontana. L’invasione dell’Iraq Dopo l’Afghanistan, gli USA attaccarono l’Iraq di Saddam Hussein, accusato di appoggiare il terrorismo islamico e di essere in possesso di “armi di distruzione di massa”. Nonostante il rifiuto dell’ONU di lanciare una “guerra preventiva”, nel marzo-maggio 2003 truppe statunitensi e inglesi invasero l’Iraq. A esse si aggiunsero contingenti di Spagna, Polonia, Italia, Giappone. Dopo pochi mesi il regime crollò e Saddam Hussein fu catturato (nel 2006, fu proces-

sato e giustiziato). L’Iraq fu occupato dai contingenti alleati con il progetto di traghettarlo alla vita democratica, con una “esportazione della democrazia” di fatto forzata. Nei mesi successivi il terrorismo islamico colpì le forze di occupazione (quelle italiane a Nassirya), ma anche l’Europa (a Madrid e a Londra). Nel 2005, le elezioni in Iraq hanno decretato la vittoria degli sciiti, ma la protesta dei sunniti rende il paese ancora instabile. In Iran, nel 2005 fu eletto presidente Ahmadinejad, fautore di un islamismo radicale e di una aspra politica anti israeliana. La questione palestinese Nel 1995 fu costituito in Cisgiordania – in seguito agli accordi tra il Primo ministro israeliano Itzhak Rabin e il capo dell’OLP Yasser Arafat (1993), con cui Israele si impegnava a ritirarsi da Gaza e dalla Cisgiordania – il nucleo di un nuovo Stato palestinese (Autorità nazionale palestinese). Le frange estremiste, sia israeliane sia arabe (Hamas) che non volevano raggiungere alcun accordo, continuarono la lotta violenta. Nel 2005 il nuovo governo di unità nazionale, costituito in Israele da Sharon con le forze di sinistra, ritirò l’esercito e le colonie ebraiche dalla striscia di Gaza. Alla guida dell’Autorità palestinese fu eletto il moderato Abu Mazen, ma lo spiraglio di pacificazione lasciò il passo a nuovi scontri in seguito alla vittoria di Hamas alle elezioni a Gaza e in Cisgiordania nel 2006. Anche in Libano si consolidarono le posizioni integraliste antiebraiche, sostenute dal movimento sciita Hezbollah. Dal 2006 è di stanza nel paese una missione di pace dell’ONU. Proteste e rivolte nel mondo arabo Tra il 2010 e il 2011, in nord Africa e nel Vicino e Medio Oriente sono esplose proteste, causate dalla difficile situazione economica e da rivendicazioni di maggiori libertà. Sul finire del 2010, la protesta è esplosa in Tunisia e ha costretto il presidente Zine ElAbidine Ben Ali alla fuga (gennaio 2011). Nell’autunno 2011, le prime elezioni democratiche sono state vinte da Rachid Ghannushi, sostenitore di una politica moderata e di pacificazione nazionale. In Egitto la rivolta popolare ha portato alle dimissioni di Hosni Mubarak, che aveva instaurato un regime autoritario. Mubarak ha lasciato il paese nelle mani di una giunta militare, in attesa che la Costituzione sia riformata e nuove elezioni siano convocate.

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

La guerra civile in Libia Nel febbraio 2011 la rivolta è scoppiata anche nella Libia di Gheddafi. In breve tempo si accende una violenta guerra civile fra dimostranti e sostenitori di Gheddafi. In seguito alla repressione violenta voluta da Gheddafi, nel paese è intervenuta la NATO. Dopo mesi di scontri furibondi, Gheddafi è stato catturato e ucciso (20 ottobre 2011). Mustafà Abdel Jalil, già ministro della Giustizia e poi sostenitore dei rivoltosi, guida il governo provvisorio.

Un fermento diffuso Anche l’Algeria – di cui è presidente dal 1999 Bouteflika – è interessata dall’ondata di proteste. Dal 1994, la strada laica intrapresa dal generale Liamine Zéroual provocò l’opposizione armata, tramite guerriglia, dei gruppi islamici estremisti (soprattutto fra 1994 e 1998). Nonostante i guerriglieri siano stati sconfitti nel 2000, ancora oggi la popolazione algerina rivendica una maggiore libertà e la soluzione dei tanti problemi sociali che affliggono il paese. In Marocco, unica

monarchia fra i paesi arabi della sponda sud del Mediterraneo, allo scoppiare delle proteste del 2010, il sovrano Mohammed VI (sul trono dal 1999) ha assicurato un percorso di apertura e di riforme. In Siria, invece, il presidente Bashar al-Asad (in carica dal 2000) ha represso nel sangue le rivolte antigovernative. Le proteste continuano in altri paesi: Bahrein, Yemen, Giordania, Gibuti. Incidenti minori, avvengono in Arabia Saudita, Oman, Mauritania, Sudan, Somalia, Iraq, Kuwait.

Esercizi Comprendere e ordinare Analizzare e produrre 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1990 1992 1993 1994 1995 1996 1998 2000 2001 4.1988 Completa la tabella riportando all’interno, nella posizione corretta, i termini indicati.

2003

2004

2005

2006

cavalieri • secolare • autonomia • corvées • decima • dipendenza • mestiere • taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei 1. indipendenza dell’Eritrea 9. talebani vanno al potere in Afghanistan Funzione sociale Vita quotidiana Condizione sociale 2. liberazione di Nelson Mandela 10. seconda Intifada 3. giunta militare in Algeria 11. invasione anglo-americana dell’Iraq I …...................….. erano educati al ……..................….. delle armi. Pratica……................................….. guerrieri 4.NOBILI attentati terroristici a Madrid 12. affermazione di Hamas nelle elezioni a Gaza e in vano la …….........................….. e i ……........................….. economica 5. attentato alle Twin Towers di New York Cisgiordania 6. Ahmadinejad al potere in Iran di diffusi Itzhak erano Rabin Avevano soprattutto obblighi. 13. Tra uccisione questi, i più ……................................….. 7.CONTADINI guerra civile in produttori Afghanistan 14. Nelson Mandela è eletto di beni le …….....................….. e il …….....................….. . Altri tributi erano la presidente del Sudafrica economica 8. scoppia la guerra civile nella Repubblica democratica del Congo ……........................….. e i ……........................….. Erano divisi in clero …….........................….. (monaci) e in clero

2.SACERDOTI Associa le seguenti parole chiave al……........................….. significato corretto. preghiera (preti). Sapevano leggere e scrivere. Godevano

…….................................…..

economica di una entrata specifica, la…….........................….. AIDS • animismo • ayatollah • fondamentalismo • genocidio • kamikaze • segregazione • signori della guerra • social network • talebani • teocrazia • zulu Capi tribali in lotta perenne tra loro Corrente religiosa caratterizzata da un rigido conservatorismo e dalla polemica contro le tesi evoluzionistiche Credenza religiosa che consiste nel considerare tutte le cose animate da spiriti vitali Studenti di teologia, sostenitori di un regime teocratico Separazione delle razze con netta disparità di diritti politici e civili in favore di una (specialmente in favore della razza bianca sulla nera) Autorità religiosa iraniana che esercita influenza politica sulla società civile Etnia presente in gran numero in Sudafrica Termine usato per indicare le forme di suicidio aggressivo Malattia infettiva che indebolisce le difese immunitarie dell’organismo Piattaforma di contatto tra utenti, sui nuovi media, che consente di gestire sia la propria rete sociale, sia la propria identità sociale Reato commesso allo scopo di sterminare un gruppo etnico, religioso, razziale e nazionale

451

452

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

3. Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti. Abu Mazen • Arafat • attacco • attentati • Autorità nazionale • Cisgiordania • colonie • diritti • esercito • Gaza • Hamas • Hezbollah • impegno • intervento • intifada • Israele • Libano • Likud • missili • Missione di pace • Nethanyahu • pace • popoli • Rabin • rappresaglie • riconoscimento • ritiro • Stato • trattative • vittoria

IL CONFLITTO TRA ISRAELIANI E PALESTINESI

EVENTI

1993

1995

2000

2005

2006

• Incontro tra ................ e ..................: ................................. dei ....................... dei due

Uccisione di ..................................

Fallimento del vertice tra OLP e Israele

Piano di ..................... per il ........................... di .................................. e .................................... da ................................. • .................................... (moderato) alla guida dell’.................. palestinese

................... elettorale di .................................. a Gaza e .................... • ....................... verso .................................. da .................................... e ................... (.................)

• .................................... elettorale di .................................. ( ..................................... ) contrario alle

• Seconda ................ • Emerge .................. (teorizza la distruzione di ..................... ) • .................................... palestinesi e .................................... israeliane

Distensione tra le parti

• .................................... israeliane • .................................... di .................................. al ..................................

........................................

• ............................ per la ..................................

CONSEGUENZE

•. ................................... : impegno di ............... da ................................. e .................................... • Autorità nazionale palestinese ( ...................................... presidente): primo nucleo di ................... palestinese

........................................

di

..................................

4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

........................................

meridionale • .................................... dell’ONU

l. Gli scontri tra ribelli e polizia in Libia nel 2011 iniziarono dalla città di Sirte.

V

F

m. L’Afghanistan nel 1988 era uno Stato unitario governato da un’autorità riconosciuta.

V

F

n. Il partito del Likud era favorevole alle trattative tra israeliani e OLP.

V

F

o. In Sudafrica fu concesso ai neri di partecipare alla vita politica del paese nel 1993.

V

F

p. Nel 2001 gli Stati Uniti attaccarono l’Afghanistan ma non riuscirono a catturare Bin Laden.

V

F

q. Nel 2005 ebbe luogo il ritiro dell’esercito e delle colonie ebraiche dalla Cisgiordania.

V

F

F

r. L’Autorità nazionale palestinese fu costituita su territori della Cisgiordania lasciati liberi da Israele.

V

F

V

F

s. L’Algeria è l’unica monarchia tra i paesi arabi della sponda meridionale del Mediterraneo.

V

F

i. Un elemento importante delle rivolte del mondo arabo avvenute nel 2011 è stato l’uso di Internet.

V

F

t. La “guerra mondiale africana” è caratterizzata da operazioni di gruppi autonomi e poco organizzati.

V

F

j. La Commissione per la verità e la riconciliazione aveva lo scopo di superare l’apartheid.

V

F

u. In Sudan gli arabo-musulmani del sud si sono ribellati alle regioni del nord che avevano il potere.

V

F

k. Osama Bin Laden aveva partecipato alla guerriglia afghana contro i sovietici.

V

F

v. I talebani proibirono ogni comportamento che sembrasse seguire i modelli occidentali.

V

F

a. I confini degli Stati dell’Africa subsahariana non considerano le dinamiche delle popolazioni locali.

V

F

b. La Nigeria è lo Stato leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale.

V

F

c. Nei paesi dell’Africa mediterranea si verificarono frequenti conflitti etnici e tribali.

V

F

d. Nel 1993 israeliani e palestinesi riconobbero i diritti dei rispettivi popoli.

V

F

e. Saddam Hussein nel 2003 fu trovato in possesso di armi chimiche e batteriologiche.

V

F

f. Kabila ripristinò il nome di Zaire e praticò una politica dittatoriale.

V

F

g. Prima dell’indipendenza del Ruanda i belgi sostennero prima i Tutsi e in seguito gli Hutu.

V

h. Nel settembre 2011 negli USA due arei precipitarono sul Pentagono e sulla Casa Bianca.

Capitolo 30 Conflitti e rivolte in Africa, guerra nel Medio Oriente

w. L’invasione dell’Iraq fu criticata da Francia, Germania e Gran Bretagna.

V

F

z. Il Sudafrica durante gli anni del regime dell’apartheid continuò a far parte dell’ONU.

V

F

x. Nel 2005 anche l’Etiopia è intervenuta nella guerra civile scoppiata in Somalia.

V

F

5. Associa i nomi del primo gruppo ai termini del secondo gruppo. Shimon Peres

Road Map

Rachid Ghannushi

African National Congress

Nelson Mandela

Primo ministro israeliano

Osama Bin Laden

Likud

Benjamin Netanyahu

populismo nazionalista

Ali al-Sistani

Costituzione federale

George W. Bush

Autorità nazionale palestinese

Mahmoud Ahmadinejad

Ennhada

Laurent-Désiré Kabila

pacificazione nazionale

Itzhak Rabin

islamismo radicale

Frederick de Klerk

muro in Cisgiordania

Ariel Sharon

OLP

Hamid Karzai

Nobel per la pace

Yasser Arafat

distensione

Abu Mazen

Al Qaeda

Analizzare e produrre 6. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3 righe per ognuna.

1. Che cosa ha caratterizzato l’indipendenza degli Stati dell’Africa subsahariana? Per quali motivi? 2. Quali novità ebbero luogo in Sudafrica all’inizio degli anni Novanta? Per merito di chi? Con quali conseguenze? 3. Chi erano i talebani? Dove governavano? Che cosa li caratterizzava? Quando e come terminò il loro potere? 4. Che cosa è Al Qaeda? Da chi è stata guidata? A che scopo è stata costituita? Che tipo di azioni compie? 5. Quali azioni di terrorismo internazionale sono avvenute in USA e Europa dal 2001 in poi? 6. Quali problemi interni hanno caratterizzato l’Afghanistan dopo la caduta dei talebani? 7. Chi è Ahmadinejad? Dove governa? Quali sono le caratteristiche del suo governo? 8. Che cosa caratterizza la situazione attuale dell’Algeria e del Marocco? 9. Quali sono le cause delle rivolte scoppiate nel mondo arabo tra 2010 e 2011?

10. Che cosa è accaduto in Tunisia alla fine del 2010? Per quali cause? Con quali conseguenze? 11. Che cosa è accaduto in Egitto all’inizio del 2011? Per quali cause? Con quali conseguenze? 12. Che cosa è accaduto in Libia all’inizio del 2011? Per quali cause? Con quali conseguenze?

7. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quando è scoppiata la guerra civile in Somalia? Tra chi? Perché? Quali episodi salienti la hanno contraddistinta? Quali sono state le conseguenze e le perdite umane? 2. Quando è scoppiata la guerra civile in Sudan? Tra chi? Perché? Quali episodi salienti la hanno contraddistinta? Quali sono state le conseguenze e le perdite umane? 3. Quando è scoppiata la guerra civile in Ruanda? Tra chi? Perché? Quali episodi salienti la hanno contraddistinta? Quali sono state le conseguenze e le perdite umane? 4. Quando è scoppiata la guerra civile nella Repubblica democratica del Congo? Tra chi? Perché? Quali episodi salienti la hanno contraddistinta? Quali sono state le conseguenze e le perdite umane?

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

GUERRE CIVILI IN AFRICA SOMALIA

SUDAN

RUANDA

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

QUANDO

...................................................

...................................................

...................................................

.........................................................

TRA CHI

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EPISODI SALIENTI

CONSEGUENZE

......................................................... ......................................................... .........................................................

8. Rispondi alle seguenti domande. 1. Da chi fu combattuta la guerra in Afghanistan del 2001? Per quale motivo scoppiò? Chi vinse? 2. Quali furono le conseguenze del conflitto? 3. Da chi fu combattuta la guerra in Iraq del 2003? Per quale motivo scoppiò? Chi vinse? Quali furono le conseguenze del conflitto? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

GUERRE ALL’INIZIO DEL XXI SECOLO

QUANDO PERCHÉ GLI SCHIERAMENTI L’ESITO FINALE

LE CONSEGUENZE

AFGHANISTAN

IRAQ

.............................................................................................................

.............................................................................................................

..........................................................................................................

.............................................................................................................

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.............................................................................................................

.............................................................................................................

Leggi il documento “La guerra asimmetrica” a p. 444 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4.

Che cosa si intende per “guerra asimmetrica”? Chi la combatte? Dove è combattuta? Che cosa sono le attività di intelligence? Che ruolo hanno in questo tipo di guerra? A quali conseguenze negative può portare l’uso della forza? Che cosa afferma in merito il giornalista Tiziano Terzani?

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla precedente tabella, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “Terrorismo e conflitti internazionali”.

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

31 Geografia della

Capitolo

455

disuguaglianza

Percorso breve In un mondo caratterizzato da straordinari progressi tecnici e scientifici, le risorse non sono distribuite in modo equilibrato: alcuni paesi godono di altissimi livelli di benessere, altri soffrono la miseria e la fame. Questa diseguaglianza, generata dallo sfruttamento coloniale, è ribadita dallo stato di dipendenza economica e finanziaria che molti paesi continuano a subire dopo il processo di decolonizzazione. La rivoluzione informatica e la globalizzazione hanno fatto aumentare le disparità, i diritti civili non sono gli stessi per tutti, l’allungamento della vita non riguarda tutti. La triade Nord America - Europa - Giappone (a cui si sta sostituendo la Cina) domina il mondo e ne controlla l’economia, promuovendo il “libero scambio” (che giova ai paesi ricchi) attraverso organismi come il WTO (Organizzazione mondiale del commercio). I cosiddetti movimenti “no global” contestano questo predominio e questa organizzazione dei rapporti internazionali. Si sviluppano movimenti che promuovono un’idea diversa di commercio, che sia “equo e solidale” e non guardi solo alla convenienza economica, ma anche a quella sociale. Il problema della fame nel mondo non è il numero delle persone da nutrire: siamo 7 miliardi e le risorse del pianeta consentirebbero di nutrirne 12. Il problema è l’accesso alle risorse, che ai paesi poveri è di fatto negato: essi sono costretti a indebitarsi per importare cibo dai paesi ricchi, a prezzi determinati dal meccanismo della domanda e dell’offerta all’interno del mercato globale, controllato dalle multinazionali della finanza, dell’industria, del commercio. La sperequazione tra ricchi e poveri, che per secoli ha attraversato le singole società, oggi si riproduce a livello mondiale tra paesi ricchi e paesi poveri. Perciò la nostra è l’età delle migrazioni: milioni di persone abbandonano i loro paesi per cercare migliori condizioni di vita nelle regioni più ricche del mondo: zone di partenza sono l’America centrale, l’Africa del nord e dell’ovest, l’Asia del sud-est; zone di arrivo sono l’Europa

Bambino etiope in un campo profughi in Somalia, 1988

occidentale, l’America del Nord, l’Australia. Il problema si può risolvere solo mettendo in moto politiche per condividere il benessere con i più poveri: lo scenario futuro (ma in parte già attuale) è quello di un mondo in cui i paesi poveri cercano di raggiungere il benessere dei ricchi, esattamente come, nelle società avanzate, gli strati poveri della popolazione hanno combattuto dure lotte sociali per partecipare almeno in parte al benessere collettivo. Che ciò avvenga in modo pacifico o attraverso scontri e conflitti, dipende solo da noi.

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

31.1 Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri All’origine della disparità In un mondo che ha conosciuto straordinari progressi tecnici e scientifici, e raggiunto livelli di benessere mai registrati prima, miliardi di persone vivono ancora sotto l’incubo della fame. Evidentemente, le risorse del pianeta non sono distribuite in maniera equilibrata. Lo squilibrio fra paesi ricchi e paesi poveri ha come prima causa storica il fenomeno del colonialismo: praticato già nel XVI-XVIII secolo dalle potenze marittime e commerciali europee, esso si sviluppò nel XIX secolo con il processo di industrializzazione, che dotò i paesi europei e gli Stati Uniti di una schiacciante superiorità economica, politica e militare. Sul finire dell’Ottocento erano in mani europee il 90% dell’Africa, l’Australia, le isole del Pacifico e gran parte dell’Asia, in tutto circa i tre quinti delle terre emerse del globo. I paesi colonizzati, obbligati a fornire materie prime alle potenze dominanti e ad acquistare da loro i prodotti finiti, furono rapidamente depauperati. «La nostra sorte era decisa da altri, secondo i loro interessi, che venivano prima dei nostri e ci costringevano a vivere nella miseria», così affermò il presidente indonesiano Sukarno (1945-67), uno dei capi del movimento per l’indipendenza dei popoli coloniali e tra i promotori della conferenza di Bandung [ 22.1]. La decolonizzazione e i suoi limiti Dopo la Seconda guerra mondiale il colonialismo è tramontato ma raramente al raggiungimento dell’indipendenza politica è coincisa una reale indipendenza economica, né, tanto meno, uno sviluppo tale da annullare il divario tra ricchi e poveri. Il divario, anzi, si è accentuato, in quanto, come ha osservato lo storico Massimo Salvadori (1936), «lo sviluppo genera sviluppo con un ritmo molto rapido, mentre il sottosviluppo, di fronte alle costosissime e sofisticate tecnologie d’oggi, appare sempre meno in grado di ridurre il fossato che lo divide dallo sviluppo». Squilibri dell’era globale Negli ultimi decenni del XX secolo la rivoluzione informatica e la globalizzazione hanno fatto ulteriormente aumentare le disuguaglianze fra i popoli. Almeno 500 milioni di persone oggi utilizzano Internet per lavorare ma la diffusione del mezzo è ineguale: secondo gli ultimi dati, il 10% della popolazione mondiale possiede oltre il 90% dei computer. La rete delle telecomunicazioni e la stessa energia elettrica non arrivano dappertutto: si pensi che il solo quartiere di Manhattan, a New York, possiede un numero di linee telefoniche pari a quello di tutto il continente africano. I risultati di questo squilibrio sono evidenti: attualmente l’80% dei beni prodotti nel mondo sono consumati dal 20% degli abitanti. La proporzione fra il reddito dei paesi ricchi e quello dei paesi poveri, che nel 1965 era di 30:1, oggi è 80:1. Disuguaglianze sociali e civili Forti ineguaglianze vi sono, oltre che nell’ambito economico, anche nell’educazione di base e nell’accesso all’istruzione: il tasso di alfabetiz-

I tempi della storia Una vita più lunga (ma non per tutti allo stesso modo) Nel corso del XX secolo l’aumento del benessere, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e i progressi della medicina (soprattutto con l’introduzione degli antibiotici, che, a iniziare dalla fine degli anni Trenta, hanno consentito di combattere efficacemente le malattie infettive) hanno notevolmente allungato la vita media delle persone, alzandola fino a vette un tempo impensabili. Ma tale aumento non è uguale in tutti i paesi del

mondo: il grafico mostra come esso sia molto più alto nei paesi industrializzati. In questi paesi, infatti, l’aspettativa di vita alla 80 nascita (cioè il numero di anni che mediamente ci 70 si può attendere di vivere) 60 è salita nell’ultimo cinetà quantennio fino a 70 anni 50 e oltre (e si presume che giunga a 80 verso il 2030);

nei paesi non sviluppati essa rimane decisamente al di sotto di questi livelli.

Nazioni industrializzate Europa dell’Est Cina America Latina e Caraibi India Resto dell’Asia Medio Oriente Africa subsahariana

40

30 1950

1990

2030

Capitolo 31 Geografia della disuguaglianza

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Numero server (hosts) pro capite nel mondo La cartina illustra la diffusione della Rete nel mondo e testimonia come il suo sviluppo sia maggiore nei paesi economicamente più ricchi.

nessuno meno del 12,5% 12,5-50% 50-87,5% più dell’87,5%

zazione è cresciuto nel mondo dal 50% al 72% nei tre ultimi decenni del XX secolo, ma rimangono dei vuoti spaventosi in certe aree dell’Africa e dell’Asia sud-orientale. A indicare il grado di sviluppo sociale, inoltre, concorre secondo l’ONU anche la questione nessuno della parità femminile. Il cosiddetto HDI (Human Development Index ovvero ‘Indice meno del 12,5% di Sviluppo Umano’), con cui viene valutato il livello di vita nei vari paesi del mondo, 12,5-50% include anche il tasso di effettiva uguaglianza fra i sessi come elemento di stima positiva 50-87,5% o negativa. In questa classifica virtuale, i paesi del Nord Europa sono ai primi posti. In più dell’87,5% fondo alla lista vi sono alcuni paesi di religione musulmana, che si rifiutano di aderire alla convenzione internazionale per eliminare le discriminazioni nei confronti delle donne. Su questo punto nessun compromesso è possibile e bisogna attivare ogni possibile strategia per riconoscere in tutte le società i diritti e la dignità femminile. Ciò va fatto con molta fermezza ma anche con molta umiltà, nella consapevolezza che questo processo anche in Europa è stato lungo e difficile. Non sono passati molti secoli da quando i teologi del Medioevo cristiano discutevano se anche la donna, come l’uomo, avesse un’anima. Barack Obama firma il Lilly Ledbetter Fair Pay Act alla Casa Bianca [© Ron Sachs/Pool/CNP/Corbis]

La lotta per l’uguaglianza dei diritti tra maschi e femmine si combatte anche attraverso le questioni del lavoro. Esemplare è stato in questo senso il primo atto ufficiale compiuto dal presidente statunitense Barack Obama che, il 29 gennaio 2009, ha firmato il Lilly Ledbetter Fair Pay Act con cui è stata sancita la parità salariale tra uomo e donna. Al momento della firma era presente anche Lilly Ledbetter, la donna che ha dato il nome alla legge e che ha scoperto di essere stata pagata per vent’anni il 40% in meno rispetto ai suoi colleghi maschi.

458

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

31.2 Centri e periferie. Il problema del “libero scambio” I padroni dell’economia mondiale Anche dopo la fine del colonialismo, i destini del mondo appaiono dominati dalle maggiori potenze industriali, che si concentrano nelle tre aree privilegiate del Nord America, dell’Europa e del Giappone (a cui sta oggi affiancandosi, o forse sostituendosi la Cina). Questa “triade”, come viene talvolta chiamata, controlla l’intera economia mondiale: la circolazione di capitali e gli scambi commerciali si svolgono per i 4/5 al suo interno, senza soluzione di continuità (basti pensare che, utilizzando gli strumenti informatici e giocando sul cambiamento di fuso orario, oggi è possibile operare in borsa 24 ore su 24 ininterrottamente, spostandosi da New York a Londra a Tokyo). I nuovi protagonisti Attorno a questi centri si delineano delle “periferie integrate”, ossia paesi emergenti che a poco a poco si sono inseriti nel sistema di produzione mondiale, vuoi perché interessati dai meccanismi di decentramento industriale e dagli investimenti stranieri, vuoi perché essi stessi si sono fatti protagonisti dello sviluppo: è il caso di paesi asiatici come la Corea del Sud, la Maleysia, la Thailandia, Taiwan, Singapore e, ultimamente, soprattutto la Cina, che si avvia a superare il Giappone come potenza industriale; inoltre il Brasile, il Messico, il Sudafrica. Un’integrazione più marginale, almeno per il momento, è quella degli altri paesi dell’America del Sud, della penisola arabica, dell’India. Del tutto esclusa rimane la maggior parte dell’Africa. Gli organismi internazionali per il commercio Negli ultimi decenni del XX secolo si sono costituite diverse associazioni internazionali, che raggruppano gli Stati di varie regioni del mondo allo scopo di favorire gli scambi commerciali, semplificando i meccanismi del mercato. Nel Nord America, una zona di libero scambio è stata creata fra Stati Uniti, Canada e Messico (ALENA); aree di mercato comune sono sorte fra i paesi dell’America del sud (MERCOSUR), fra gli Stati del sud-est asiatico (ASEAN), fra quelli del Pacifico (APEC); la

I modi della storia

Verso un commercio più equo e solidale

I princìpi del libero scambio, che operano in una logica puramente economica, non paiono sufficienti a tutelare i diritti dei più deboli, cioè dei paesi ex coloniali che per lungo tempo si sono visti sottrarre materie prime a costi estremamente bassi, fissati dalle aziende multinazionali, e a cui è stato impedito di sviluppare una politica commerciale autonoma. Per rimediare almeno in parte a questo gigantesco squilibrio mondiale si è a poco a poco affermata (per la prima volta in Olanda negli anni Settanta) l’idea di un commercio diverso, detto “equo e solidale”, volto a liberare i contadini e i produttori dei paesi poveri dal controllo delle grandi compagnie commerciali. In tale prospettiva si è promossa la costituzione di cooperative agricole e artigianali, che, saltando la mediazione delle compagnie internazionali, propongono i loro prodotti direttamente ad alcune aziende, le quali a loro volta pensano a distribuirli sul mercato. Tali progetti non sono di facile realizzazione, poiché mirano a stabilire un prezzo “equo”, ossia giusto, che

di fatto può risultare maggiore di quello delle merci normali. In questi casi, l’interesse dei consumatori non va valutato solamente in termini di convenienza economica, ma anche di solidarietà con i produttori. A questi progetti si affiancano iniziative di

natura finanziaria, indirizzate anch’esse a liberare i lavoratori dei paesi poveri dalla dipendenza nei confronti delle istituzioni di credito internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale), controllate e gestite dai paesi ricchi. Si sono pertanto sviluppati istituti come la Banca Etica, attenta agli interessi dei piccoli produttori, in una logica di solidarietà sociale più che di profitto economico.

Una prima selezione del caffè in un villaggio africano presso Nairobi [© Double’s, Milano]

Capitolo 31 Geografia della disuguaglianza

stessa Unione Europea nacque inizialmente come Comunità Economica Europea, cioè come area di libero scambio. Ulteriori accordi “incrociati” di scala interregionale sono in vigore fra un’associazione e l’altra (per esempio, fra l’Unione Europea e MERCOSUR).

1991-2009. Egemonia contestata della Triade. Emergere di un mondo policentrico [da L’Atlante di «Le Monde diplomatique / il manifesto», 2009; per gentile concessione]

Il WTO Allo scopo di uniformare i numerosi accordi in vigore, abolendo o riducendo le barriere doganali e tariffarie, nel 1995 è stato fondato un ente internazionale denominato WTO (World Trade Organization, ossia ‘Organizzazione mondiale del commercio’) che ha sede a Ginevra e conta attualmente 148 Stati membri. Il principio di base che regola l’azione del WTO è quello della «nazione più favorita»: ciascuno Stato si impegna a estendere a tutti gli altri Stati le condizioni commerciali applicate al paese più “favorito”, cioè quello a cui vengono applicate il minor numero di restrizioni.

Il commercio mondiale nel 2000

Il movimento no global Negli ultimi anni il WTO è stato oggetto di critiche e di proteste, anche violente, da parte del “movimento no global”, che si oppone alla globalizzazione dell’economia e al libero commercio, sostenendo che di fatto l’associazione è monopolizzata dai suoi membri più influenti (gli Stati Uniti, l’Unione europea, il Giappone) per favorire gli interessi dei paesi ricchi e delle multinazionali.

142

i paesi che aderiscono al Wto

+12,5%

Crescita del valore delle esportazioni mondiali di merci nel 2000 (il triplo rispetto al 1999)

+6%

Crescita delle esportazioni mondiali di servizi nel 2000

(commercio mondiale di merci nel 2000)

Valori in miliardi di dollari Stati Uniti Germania

551,5 479,2

Giappone Francia

298,1

Nel grafico sono illustrati i valori delle importazioni e delle esportazioni dei maggiori paesi aderenti al WTO. Come si nota, la Cina ha registrato nel 2000 l’incremento maggiore.

... E IMPORTATORI

I PRINCIPALI PAESI ESPORTATORI... Crescita annua

Valori in miliardi di dollari

781,1 +11%

Stati Uniti

+1%

Germania

+14%

Giappone

Crescita annua

1257,6 +19% 502,8 379,5

+6% +22%

-1%

Francia

Gran Bretagna

284,1

+6%

Gran Bretagna

Canada

276,6

+16%

Canada

Cina

249,3

+28%

Cina

236,5

+7%

Italia

237,8

+1%

Italia

225,1

+31%

337,0 305,4 244,8

459

+5% +4% +11%

460

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

I luoghi della storia

Il turismo: un aiuto ai paesi in via di sviluppo?

Una realtà tipica del nostro tempo è lo sviluppo del turismo e dei viaggi attorno al mondo. Le mete principali del turismo internazionale sono, nell’ordine, la Francia, la Spagna, gli Stati Uniti, la Cina, l’Italia, la Germania; ma anche i viaggi nei paesi “poveri” stanno aumentando. La questio-

ne è se il crescente flusso di denaro legato a tali attività possa aiutare questi paesi a crescere. La risposta può essere positiva se pensiamo alle numerose possibilità di impiego suscitate dal turismo, direttamente (agenzie, ristorazione, alberghi) e indirettamente (artigianato locale, ecc.).

Ma, fino a quando l’organizzazione dei viaggi sarà controllata – come oggi normalmente accade – da grandi gruppi multinazionali, i vantaggi economici andranno in massima parte a beneficio dei paesi ricchi. Si leggano in proposito le seguenti riflessioni di due studiosi francesi.

I

l turismo è diventato uno dei settori più importanti dell’economia mondiale: esso impiega il 7% della popolazione attiva e rappresenta il 10% del reddito mondiale, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale del turismo. Da qui a vent’anni si prevede che il turismo internazionale possa raddoppiare, passando da 700 milioni a 1,6 miliardi di arrivi. Il pianeta potrà sopportare questa evoluzione? Per certi paesi in via di sviluppo (Egitto, Kenya, Tunisia possono essere gli esempi migliori) il turismo internazionale è una manna insperata, che fa vivere milioni di famiglie. Tuttavia, l’economia locale non recupera che una minima parte delle risorse generate da questa attività, che rimangono nella tasca dei giganti del settore. La crescita del turismo pone, sempre più, dei problemi ambientali (saturazione dei siti storici, paesaggi sfigurati dalle costruzioni alberghiere, esaurimento di risorse naturali, ecc.), sociali (per esempio, prostituzione e lavoro infantile) o culturali (mancato rispetto delle pratiche locali, dei luoghi di vita, ecc.). Troppo spesso, la corsa all’oro del turismo avviene in condizioni poco favorevoli allo sviluppo economico e sociale dei paesi di accoglienza. C. Badet e L. Maurin, «Alternatives économiques» 54, 2002

Un mercato sulle barche a Bangkok, Thailandia

31.3 Il flagello della fame e il debito dei paesi poveri Primo obiettivo: vincere la fame La popolazione mondiale, che oggi conta 7 miliardi di persone, secondo gli studiosi dovrebbe continuare a crescere fin verso la metà del XXI secolo, dopo avere raggiunto i 9-10 miliardi. A quel punto dovrebbe stabilizzarsi. Ma quanto cibo è disponibile sulla Terra? La conferenza sull’alimentazione tenuta a Ottawa nel 1982 giunse alla conclusione, oggi generalmente condivisa, che l’agricoltura mondiale è in grado di nutrire 12 miliardi di persone. Di conseguenza, il flagello della fame nel mondo non è inevitabile. Se oggi un sesto degli abitanti del pianeta (1 miliardo) non mangia a sufficienza, se tutti i giorni più di 40 mila persone, soprattutto bambini, muoiono di fame, ciò dipende dalle drammatiche disuguaglianze economiche e sociali che si sono instaurate nel mondo negli ultimi due secoli: da una parte c’è abbondanza e talvolta addirittura spreco; dall’altra c’è chi soffre e muore di fame. Il debito estero I paesi minacciati dalla fame importano cibi dai paesi che ne hanno in abbondanza: in casi di emergenza scattano le solidarietà internazionali e milioni di tonnellate di alimenti, soprattutto cereali, vengono inviati a titolo gratuito; ma altri vengono acquistati di anno in anno. Il loro prezzo è determinato dal mercato e dipende dalla domanda e dall’offerta; quanto più alta è la domanda, tanto più alto è il prezzo. Si ricorre allora al sistema dei prestiti: i paesi poveri chiedono soldi alla Banca Mondiale e si riempiono di debiti che non potranno mai pagare. «Fondamentalmente – ha scritto il sociologo Jean Ziegler (1934) – a controllare questi meccanismi sono i gruppi multinazionali della finanza, dell’industria, del commercio, che esercitano il monopolio in numerosi settori dell’economia mondiale. I ricercatori delle Nazioni Unite hanno valutato che siano circa 160 le multinazionali che ricavano grandi profitti da questo ordine del mondo».

Capitolo 31 Geografia della disuguaglianza La cooperazione Il futuro dell’agricoltura mondiale, da cui dipende la soluzione del problema alimentare, richiede l’impegno della comunità scientifica e della ricerca tecnologica, ma è importante che i paesi poveri siano messi in condizione di trovare una propria via per rendersi autosufficienti. Non meno importante, da questo punto di vista, è che si instauri un dialogo tra i paesi in via di sviluppo, che diffonda le innovazioni positivamente sperimentate e inoltre faccia tesoro dei saperi tradizionali del mondo contadino. Forme di cooperazione di questo genere si sono dimostrate efficaci per risolvere brillantemente i problemi locali: per esempio, dal Viet Nam si sono diffusi nuovi tipi di macchine per la sarchiatura del riso, che hanno trovato impiego in altri paesi asiatici e africani; nel Bangladesh è stata realizzata una pompa a pedale per l’irrigazione, che è diventata un utensile popolare in Africa. Una straordinaria esperienza di condivisione è stata, nel 2004, la realizzazione del progetto “Terra Madre”, che, per iniziativa dell’associazione Slow Food (che si propone di rivalutare i saperi agricoli e alimentari tradizionali, in contrapposizione al modello industriale del fast food), ha riunito a Torino cinquemila comunità di piccoli produttori di tutti i continenti del mondo: agricoltori, pastori, pescatori. Da allora, l’incontro si tiene ogni due anni, con crescente partecipazione di comunità locali di tutto il mondo: quasi una versione “popolare” del processo di globalizzazione.

31.4 L’età delle migrazioni Condividere il benessere La differenza tra ricchi e poveri è sempre stata una costante della storia umana: per molto tempo ha attraversato le singole società, contrapponendo il benessere e la sicurezza di pochi alle difficoltà e alle incertezze di molti. Oggi, nei paesi sviluppati, queste differenze si sono affievolite. Le ritroviamo invece, su scala planetaria, nello squilibrio tra “Nord” e “Sud” del mondo (come talvolta vengono definiti, rispettivamente, i paesi avanzati e quelli in via di sviluppo). Le classi popolari, nei paesi dell’Occidente industriale, hanno a lungo lottato per ottenere il riconoscimento dei diritti economici e sociali, e conquistarsi un migliore

461

Correnti migratorie nel mondo [da L’Atlante di «Le Monde diplomatique / il manifesto», 2009; per gentile concessione]

Provenienti dai paesi più poveri, dove mancano occasioni di lavoro e solide prospettive di benessere, milioni di persone si riversano nelle aree ricche del mondo in cerca di fortuna e di migliori condizioni di vita. La cartina sintetizza l’intensità e le principali direttive di questo movimento: dall’America Latina e dal Pacifico orientale verso gli Stati Uniti e il Canada; dal nord Africa, dall’Europa dell’Est, dalla ex Jugoslavia, dalla Turchia e dal Medio Oriente verso l’Europa Occidentale; dall’Africa orientale, dall’India, dal Pakistan e dall’Asia del Sud-est verso i paesi arabi del Golfo Persico; dal Pacifico occidentale verso Hong Kong, Taiwan e Singapore.

462

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali tenore di vita. Non è difficile prevedere che questa lotta, trasferita su scala planetaria, sarà uno dei principali nodi storici dei decenni a venire. A nessuno conviene che essa si svolga in modi violenti, e perciò è indispensabile che le società ricche rinuncino, nel loro stesso interesse, a una parte dei propri privilegi, impegnandosi a ridistribuire le risorse e a condividere il benessere con gli altri.

I migranti Le aspettative di benessere che i paesi ricchi offrono – realmente o illusoriamente – riguardo alle possibilità di lavoro e alle condizioni di vita hanno sollecitato, e sollecitano tuttora, movimenti migratori dalle aree povere alle aree ricche del pianeta. Le regioni di partenza sono soprattutto l’America Centrale, l’Africa del nord e dell’ovest, Sud-est asiatico; quelle di arrivo sono l’Europa Occidentale, l’America del

Le vie della cittadinanza

A

La diversità come risorsa

ttualmente vivono in Europa circa 25 milioni di immigrati extracomunitari. L’Italia ne ospita un milione e mezzo. Nella maggior parte dei casi il fenomeno è assorbito con naturalezza, anche perché gli immigrati sono spesso impegnati in settori lavorativi (come l’agricoltura o l’assistenza agli anziani) in cui la manodopera locale risulta insufficiente. Tuttavia si creano anche tensioni e disorientamento, poiché la convivenza con genti di cultura, lingua, religione diversa richiede una capacità di adattamento e un’apertura mentale che non tutte le comunità e non tutti gli individui possiedono, soprattutto nei paesi in cui il movimento migratorio è di data recente. Negli Stati Uniti, per esempio, il problema dell’immigrazione è antico di secoli, quasi connaturato all’origine della nazione, formata pressoché interamente di emigranti europei, africani e in minor numero asiatici;

perciò in quel paese c’è stato tutto il tempo per “metabolizzare” culturalmente il fenomeno, predisponendo leggi e regole adatte a gestirlo. Altrove, invece, la presenza di immigrati è una novità e richiede un vero e proprio rovesciamento dei modi di pensare e di agire, sia sul piano legislativo, sia nelle forme quotidiane di vita. Così è in Italia, nonostante il nostro non sia, tutto sommato, un paese con un’alta percentuale di immigrati: solo il 2% della popolazione, di fronte all’8% di Germania e Francia (per avere un’idea di cosa ciò significhi si pensi che, per esempio, nel 2000 l’Italia ospitava 22.870 rifugiati, mentre nello stesso periodo la Germania ne contava 906.000). Il razzismo è un atteggiamento pericolosamente vivo in diversi paesi: l’ostilità per gli stranieri e in genere per i “diversi” è una tendenza sempre presente nei gruppi umani, e solo lo sviluppo civile e

culturale permette di superarlo, sostituendo la comprensione alla diffidenza. Il problema di fondo è individuare con chiarezza i diritti e i doveri di ciascuno, distinguendo fra diritti universali, nazionali e particolari: sui primi non può esservi alcuna discussione, poiché rappresentano la maggiore conquista della civiltà contemporanea (per esempio non si può ammettere che le donne siano escluse da alcuni diritti, o costrette a comportamenti familiari e matrimoniali incompatibili con i princìpi dichiarati dall’ONU); anche i diritti nazionali devono essere tutelati, poiché è dovere di ogni cittadino osservare le regole e le leggi del paese che lo ospita; a sua volta, ogni società è tenuta a rispettare l’identità culturale e le particolari abitudini di ogni nuovo arrivato: la lingua, il credo religioso, i modi di vestire, i costumi alimentari. Nel difficile equilibrio fra queste esigenze, l’obiettivo comune non può essere quello di annullare le differenze e di immaginare che siamo tutti uguali, bensì, al contrario, nel riconoscere che siamo tutti diversi ma che ciò non deve impedirci di vivere insieme. È proprio la storia a insegnarci che la diversità è una risorsa e che lo sviluppo civile dei popoli è stato tanto maggiore quanto più essi sono stati in grado di integrarsi con altri popoli e altre culture.

Manifestazione di migranti a Milano, 1° marzo 2010 [© Alessandro Tosatto/Contrasto]

Il 1° marzo del 2010 migliaia di lavoratori nati all’estero hanno manifestato a Milano per il primo ”sciopero dei migranti” allo scopo di sottolineare l’importanza del loro lavoro per l’economia italiana e contro le politiche del governo, che nel 2009 ha istituito il reato di clandestinità.

Capitolo 31 Geografia della disuguaglianza

463

Profughi albanesi a bordo della nave Lirjia, 1991 La caduta del comunismo e dei regimi a esso legati significò per molti paesi il tracollo economico. Questo accadde anche in Albania da dove, nell’estate del 1991, migliaia di persone iniziarono a fuggire, imbarcandosi pericolosamente su navi stracolme. Attratti dalle immagini televisive che facevano intravedere un paese ricco e pacifico, i profughi si diressero verso l’Italia e a migliaia sbarcarono sulle coste pugliesi.

Nord, l’Australia. Il 75% dei flussi migratori mondiali oggi avviene in queste direzioni, sostenuto dalla forte crescita demografica dei paesi poveri, dove la popolazione continua ad aumentare a ritmi elevati, mentre nei paesi avanzati tende a diminuire.

Le ondate migratorie L’Europa Occidentale è stata meta di immigrazione dall’Africa e dal mondo arabo. Fino agli anni Ottanta del XX secolo tale movimento riguardò quasi solo la Francia e l’Inghilterra, cioè i paesi che, già dotati di un grande impero coloniale, avevano mantenuto stretti rapporti economici, politici e culturali col mondo africano e orientale. In seguito il fenomeno ha cominciato a interessare anche paesi come l’Italia, la Spagna o la Grecia, che in passato erano stati paesi di emigranti piuttosto che di immigrati (tra il 1860 e il 1985 circa 30 milioni di italiani abbandonarono il paese per raggiungere l’America e altri Stati europei, come la Svizzera e il Belgio). In tempi recenti si è assistito a una seconda ondata migratoria, interna all’Europa: quella che, a iniziare dal 1989, con la disgregazione dell’URSS e il crollo dei regimi comunisti negli Stati dell’Est, ha portato migliaia di abitanti di quei paesi (Polonia, Ucraina, Romania, ecc.) a riversarsi nelle città occidentali. La migrazione dai paesi dell’Est è oggi maggiore di quella proveniente dall’Africa. Il fenomeno ha investito soprattutto la Germania, ma anche altri paesi tra cui, in maniera decisamente inferiore, l’Italia. Un fenomeno globale Movimenti migratori si verificano nelle altre regioni ricche del globo: gli Stati Uniti e il Canada, dove ogni anno arrivano folle di emigranti dai paesi dell’America centrale; l’Australia, dove giungono vietnamiti e indonesiani. Anche certi paesi in via di sviluppo dell’America Latina, come il Brasile, o del Medio Oriente, come l’Arabia Saudita e altri paesi petroliferi, sono divenuti una meta da raggiungere. Si stima che oggi siano circa 120 milioni le persone che vivono fuori dal proprio paese d’origine e il fenomeno ha ormai acquisito una dimensione globale, interessando contemporaneamente persone di ogni parte del mondo che si muovono in molteplici direzioni. È per questo che la nostra è stata definita l’età delle migrazioni.

Memo

Migrazioni Gli spostamenti di gruppi umani e talora di interi popoli da una parte all’altra della Terra sono un fenomeno antico. La stessa diffusione dell’agricoltura, nel periodo neolitico, pare essere stata provocata dall’espandersi dei primi gruppi di coltivatori, apparsi nel Medio Oriente asiatico, in nuove regioni del mondo. Ma poi pensiamo alle migrazioni delle genti germaniche e slave, che, in epoca tardo-romana e agli inizi del Medioevo, si riversarono dall’Asia nel continente europeo; pensiamo ai movimenti che a iniziare dal XVI secolo, dopo i viaggi di Colombo, videro emigrare numerose popolazioni europee verso l’America: spostamenti che aumentarono in misura vistosa nel corso dell’Ottocento, allorché milioni di irlandesi, tedeschi, polacchi, italiani varcarono l’Oceano in cerca di fortuna. Né va dimenticato il trasferimento in terra d’America – in questo caso forzato – di grandi masse di africani, catturati e venduti come schiavi.

464

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Sintesi

Geografia della disuguaglianza

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri Il mondo attuale è caratterizzato da uno squilibrio nella distribuzione delle risorse del pianeta, che porta a un forte divario tra paesi ricchi e poveri. Questo fenomeno è dovuto in primo luogo al colonialismo ottocentesco, che accrebbe il divario tra i paesi colonizzatori, dal forte sviluppo industriale, e le colonie, costrette all’acquisto di prodotti e alla cessione di materie prime. Nel secondo dopoguerra, l’indipendenza politica non portò questi paesi all’effettiva indipendenza economica. La rivoluzione informatica e la globalizzazione hanno poi aumentato le disuguaglianze tra i popoli, che riguardano il reddito, l’educazione e l’accesso all’istruzione e la parità femminile, considerata nell’Indice di Sviluppo Umano un fattore essenziale per determinare il livello di vita nei vari paesi del mondo. Centri e periferie. Il problema del “libero scambio” Il centro dell’economia mondiale è costituito dalle potenze industriali delle tre aree del Nord America, dell’Europa e del Giappone, che detengono il controllo dei 4/5 degli scambi finanziari e commerciali mondiali. Le periferie integrate sono costituite dai paesi emergenti in via di inserimento nel sistema economico mondiale, come le “tigri” del Sud-est asiatico

e soprattutto la Cina, ma anche Brasile, Messico e Sudafrica. Alla fine del XX secolo sono state costituite alcune associazioni internazionali allo scopo di favorire gli scambi e semplificare il mercato (ALENA, MERCOSUR, ASEAN, APEC) che possono stringere tra loro accordi incrociati. Nel 1995 è stato costituito il WTO, un ente internazionale finalizzato a uniformare i commerci e ad abolire le barriere doganali. Esso è stato criticato dal movimento no global, che lo ha accusato di favorire le multinazionali e le economie dei paesi ricchi. Il flagello della fame e il debito dei paesi poveri Nonostante l’agricoltura mondiale sia teoricamente in grado di nutrire l’intera popolazione del pianeta, uno dei principali problemi del mondo attuale è la diffusione della fame in diverse zone del globo. I paesi dove la fame è diffusa importano cibo dai paesi ricchi; il prezzo del cibo è aumentato dalla forte domanda e i paesi poveri sono costretti a ricorrere ai prestiti della Banca mondiale, contraendo debiti che non potranno poi pagare. Nei casi di emergenza la solidarietà internazionale provvede a fornire alimenti gratuitamente. Il futuro dell’agricoltura non potrà ignorare tale contraddizione; andrà intensificato l’impegno nella ricerca scientifica e tecnologica, ma anche il recupero dei saperi

tradizionali locali, per permettere ai paesi poveri di ottenere l’autosufficienza. L’età delle migrazioni Il forte squilibrio tra Nord e Sud del mondo ricalca, su scala planetaria, le lotte delle classi popolari avvenute nell’Occidente industriale per conquistare un migliore tenore di vita. Questa dinamica sarà centrale nei prossimi anni e sarebbe necessario che le società ricche rinunciassero a una parte dei propri privilegi, per evitare l’esplosione di forme violente di lotta. La speranza del benessere ha favorito le migrazioni dai paesi poveri ai paesi ricchi, acuite dalla forte crescita demografica del Sud del mondo. L’Europa Occidentale è meta di migrazioni dall’Africa e dal mondo arabo, allargatesi dopo il 1989 ai paesi in precedenza appartenenti al blocco socialista. Fino agli anni Ottanta Francia e Inghilterra erano i paesi di destinazione delle migrazioni. In seguito esse si sono allargate anche a Italia, Spagna e Grecia. Le migrazioni dai paesi dell’America Centrale si dirigono verso Canada e Stati Uniti, mentre vietnamiti e indonesiani si dirigono in Australia. Anche Brasile e Arabia Saudita sono raggiunti da immigrati. Si calcola che 120 milioni di persone nel mondo vivano fuori dal paese di origine. Il fenomeno ha raggiunto una dimensione globale.

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Associa le seguenti parole chiave al significato corretto. colonialismo • decentramento • demografia • globalizzazione • periferie integrate Paesi emergenti a poco a poco inseriti nel sistema di produzione mondiale Studio dei fenomeni riguardanti caratteri e variazioni della popolazione Scomposizione del processo produttivo in fasi poi assegnate a diverse imprese Fenomeno di omologazione, integrazione e interdipendenza di economie e mercati Conquista e sfruttamento dei paesi extraeuropei da parte delle potenze europee

Capitolo 31 Geografia della disuguaglianza

2. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Lo squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri ha come prima causa storica la globalizzazione.

V

F

b. L’Indice di Sviluppo Umano valuta il livello della vita nei vari paesi del mondo.

V

F

c. L’ALENA è una zona di libero scambio creata tra USA, Canada e Messico.

V

F

d. Il tasso di alfabetizzazione è cresciuto negli ultimi tre decenni del XX secolo fino al 50%.

V

F

e. Nei paesi poveri la popolazione tende ad aumentare a ritmi elevati.

V

F

f. La conferenza di Ottawa concluse che l’agricoltura mondiale è in grado di nutrire 10 miliardi di persone.

V

F

g. Le persone che nel mondo attuale vivono fuori dal loro paese di origine è di circa 120 milioni.

V

F

h. Il progetto “Terra madre” riunisce alcune comunità di grandi produttori di vari paesi del mondo.

V

F

i. Una seconda ondata migratoria interna all’Europa si è registrata a partire dal 2000.

V

F

l. La Cina oggi si sta affiancando al Giappone tra le aree privilegiate dell’economia mondiale.

V

F

m. I flussi migratori mondiali partono soprattutto dall’Africa del nord e dall’America Centrale.

V

F

n. I paesi colpiti dalla fame acquistano cibi ricorrendo ai prestiti della Banca mondiale.

V

F

o. Le forme di cooperazione tra paesi in via di sviluppo sono inefficaci per risolvere i problemi locali.

V

F

p. L’APEC è una zona di libero scambio creata tra i paesi dell’America del Sud.

V

F

Analizzare e produrre q. I paesi delle periferie integrate si sono fatti essi

r. Le colonie erano obbligate a fornire materie prime ai paesi dominanti e ad acquistare i loro prodotti.

V

F

s. La decolonizzazione ha portato ad un progressivo annullamento del divario tra ricchi e poveri.

V

F

3. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. Attualmente il 90% dei computer è posseduto dal: 5% della popolazione mondiale. 1% della popolazione mondiale. 15% della popolazione mondiale. 10% della popolazione mondiale. b. Il numero degli italiani emigrati tra il 1860 e il 1985 è stato di circa: 60 milioni.

45 milioni.

30 milioni.

c. La circolazione di capitali e gli scambi commerciali interni alla triade costituiscono: 2/5 del totale. 1/5 del totale.

4/5 del totale. 3/5 del totale.

d. Attualmente un’alimentazione insufficiente colpisce: 1/6 degli abitanti del pianeta. 1/5 degli abitanti del pianeta. 1/8 degli abitanti del pianeta. 1/10 degli abitanti del pianeta. e. La proporzione tra il reddito dei paesi ricchi e quello dei paesi poveri oggi è: 30:1.

70:1.

50:1.

80:1.

f. Il colonialismo si è sviluppato soprattutto nel: XVI secolo.

XVIII secolo.

XVII secolo.

XIX secolo.

g. Attualmente l’80% dei beni prodotti del mondo è consumato dal:

10% degli abitanti. V F stessi protagonisti dello sviluppo. 20% degli abitanti. 4. Completa la tabella riportando all’interno, nella posizione corretta, i termini indicati. cavalieri • secolare • autonomia • corvées • decima • dipenden4. za Indica sulla cartina, • mestiere • taglia contras• canone segnandoli due diversi • regolarecon • caccia • doni •colori, i paesi completamente intornei tegrati e quelli marginalmente integrati nel sistema delle “peFunzione sociale riferie integrate”.

20 milioni.

25% degli abitanti. 30% degli abitanti.

Vita quotidiana

Condizione sociale ……................................…..

NOBILI

guerrieri

I …...................….. erano educati al ……..................….. delle armi. Praticavano la …….........................….. e i ……........................…..

CONTADINI

produttori di beni

Avevano soprattutto obblighi. Tra questi, i più diffusi erano le …….....................….. e il …….....................….. . Altri tributi erano la ……........................….. e i ……........................…..

SACERDOTI

preghiera

Erano divisi in clero …….........................….. (monaci) e in clero (preti). Sapevano leggere e scrivere. Godevano di una entrata specifica, la…….........................….. ……........................…..

economica ……................................…..

economica …….................................…..

economica

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466

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 4 righe per ognuna.

1. Quali sono le cause storiche e le cause più recenti degli squilibri tra paesi ricchi e poveri? 2. Quali sono le principali diseguaglianze sociali e civili presenti nel mondo attuale? 3. Quali organismi internazionali si sono costituiti nel continente asiatico? A che scopo? 4. Per quali ragioni il debito estero dei paesi colpiti dalla fame aumenta? 5. Quali possibili soluzioni esistono al problema della diffusione della fame nel mondo?

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa è il WTO? Quando è stato fondato? Dove ha sede? Chi vi ha aderito? 2. Quali sono gli scopi del WTO? Quali principi guidano le azioni del WTO? 3. Che cosa è il movimento no-global? Quali critiche ha formulato verso l’azione del WTO? Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

WORLD TRADE ORGANIZATION FONDAZIONE

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SEDE

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MEMBRI

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SCOPI

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PRINCìPI

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CRITICHE

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Leggi il documento “Verso un commercio più equo e solidale” a p. 458 e rispondi alle seguenti domande. 1. Chi sono i soggetti più deboli nel sistema economico mondiale? Per quale motivo? 2. Quale idea di commercio mira a ridurre lo squilibrio mondiale? Quando e dove e nata? A che scopo? 3. Quali cooperative sono state promosse in base a tale prospettiva? Che cosa mirano a evitare? Quali difficoltà incontrano? 4. Quali iniziative si sono affiancate a tali progetti? A che cosa sono finalizzate? Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla tabella precedente, scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo “Forme del commercio internazionale”.

7. Verso il saggio breve Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali sono le cause delle migrazioni mondiali? Quali direttrici seguono? 2. Quali sono i principali flussi migratori presenti nel mondo attuale? 3. Quali tendenze demografiche caratterizzano i paesi ricchi e i paesi poveri? 4. Quali ondate migratorie si sono susseguite nella storia dell’Europa Occidentale? Quali direttrici hanno seguito? Da che cosa sono state causate? 5. Spiega il significato della definizione di “età delle migrazioni”. Indica sulla cartina le direttrici dei principali flussi migratori mondiali.

Capitolo 31 Geografia della disuguaglianza

Leggi la scheda “Le vie della cittadinanza” a p. 462 e rispondi alle seguenti domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Quanti immigrati extracomunitari vivono attualmente in Europa? Quanti ne vivono in Italia? Come è assorbito il fenomeno nella maggior parte dei casi? Per quale motivo? In quali casi il fenomeno può creare delle tensioni? Per quale motivo? Quali reazioni si hanno di fronte al fenomeno nei paesi dove esso è una novità? Che cosa ha caratterizzato la gestione di questo fenomeno negli Stati Uniti? Per quali ragioni storiche? Come è possibile superare il razzismo? Quali diritti vanno tutelati? In che modo? Quale deve essere l’obiettivo comune? Come deve essere tutelata la diversità?

Sulla base delle informazioni ottenute, scrivi un breve saggio di almeno 10 righe dal titolo “L’età delle migrazioni: cause, aspetti e prospettive”.

467

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

32 La questione

Capitolo

468

energetica e ambientale

Percorso breve Il progressivo esaurimento delle risorse energetiche (in particolare i giacimenti di combustibili fossili, che attualmente costituiscono la principale fonte di energia utilizzata nel mondo) richiede di puntare su energie alternative. Una possibilità, praticata fin dal 1954, è quella delle centrali elettronucleari, che sfruttano la reazione atomica per produrre energia. Tale scelta è da molti contestata, per varie ragioni: il costo iperbolico degli impianti, la possibilità di gravi incidenti (come quelli accaduti nel 1979 a Three Mile Island, nel 1986 a Chernobyl, nel 2011 a Fukushima) e soprattutto la difficoltà di smaltire le scorie radioattive. Altra possibilità è mettere a frutto forme di energia “naturale” fornita dal sole, dal vento, dal calore del sottosuolo. I pannelli solari e l’eolico si stanno diffondendo e presentano il vantaggio di essere utilizzabili, dato il costo accessibile, in microimpianti a livello locale; inoltre di non essere inquinanti, anche se lo smaltimento dei pannelli crea esso stesso problemi, così come la devastazione del paesaggio quando si tratta di impianti di ampie dimensioni). L’impatto umano sull’ambiente e le alterazioni provocate dallo sviluppo tecnologico e produttivo sono il vero problema del nuovo millennio. Sia l’agricoltura (con gli antiparassitari e i concimi chimici) sia, soprattutto, l’industria (con le scorie e i rifiuti tossici) hanno creato una vera modificazione dell’ecosistema: piogge acide, effetto serra che provoca surriscaldamento del globo, modificazioni del clima (che alcuni scienziati tuttavia tendono a minimizzare, o a riconoscere come fatto naturale). La tecnologia in questo modo si trasforma in una sorta di

Un’immagine della deforestazione in Amazzonia

boomerang, e una nuova coscienza ecologica si sta diffondendo: sempre più largamente si prende atto della dimensione epocale e planetaria del problema. Gli impegni presi a livello politico per ridurre le emissioni nocive (per esempio, il protocollo di Kyoto del 1997) sono difficili da realizzare anche per la mancanza di un “governo del mondo” che affronti su scala globale il tema dell’ambiente, superando gli interessi e gli egoismi nazionali. La Terra intanto è continuamente monitorata dallo spazio, grazie ai satelliti artificiali e alle sonde spaziali che osservano il pianeta e ne rappresentano i dati. Il nuovo modello di sviluppo che sta imponendosi all’attenzione del mondo è quello della crescita controllata e “sostenibile”, rispettosa sia dell’ambiente (con il recupero o la reinvenzione di una cultura del riuso, della riparazione, del riciclaggio) sia della dignità umana, troppo spesso calpestata in nome del profitto.

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

469

32.1 La questione energetica: le centrali nucleari Consumo e produzione d’energia Nel corso del XX secolo il consumo energetico mondiale è cresciuto di dieci volte; dal dopoguerra a oggi è quintuplicato e continua ad aumentare. Allo stesso tempo diminuiscono le risorse di combustibili fossili utilizzati per la produzione di energia: sulla base dei consumi attuali si è calcolato che la durata delle riserve di petrolio potrebbe non superare i 25 anni, quella del metano i 50, quella del carbone i 150. La questione, pertanto, è oggi più che mai aperta. Scienziati, tecnici, politici e gruppi di opinione sempre più numerosi ne stanno discutendo, tanto più che il problema energetico si intreccia con quello non meno importante dell’inquinamento e della difesa dell’ambiente. Nel dibattito sulle energie alternative, cioè non basate sull’uso di combustibile fossile, si distinguono due principali tendenze: i sostenitori dell’energia nucleare, artificialmente prodotta dall’uomo, e i sostenitori di energie “naturali”, solare e eolico soprattutto. Le centrali elettronucleari L’energia nucleare, infatti, non è stata utilizzata solo per scopi militari ma anche per fini civili, a iniziare dal 1954 quando in Unione Sovietica entrò in funzione la prima centrale elettronucleare, ossia un impianto che produce energia elettrica sfruttando il processo di reazione atomica. Tali impianti si moltiplicarono negli anni successivi in molti paesi. Ma l’impiego “pacifico” dell’energia dell’atomo pone una serie di problemi estremamente delicati, perché l’uomo non possiede ancora il pieno controllo dei processi di produzione di questa energia. Lo dimostrano i gravi incidenti accaduti, per esempio, nel 1979 a Three Mile Island in Pennsylvania (Stati Uniti) e nel 1986 a Chernobyl in Ucraina, dove il reattore nucleare si incendiò propagando vapori radioattivi che contaminarono piante, animali, cibi in vaste regioni dell’Europa, dalla Scandinavia al Mediterraneo, compresa l’Italia. Nella zona dell’incidente ci furono molti morti, e milioni di persone furono costrette ad abbandonare i propri paesi e a trasferirsi lontano, per proteggersi dalle mortali radiazioni provocate dall’incidente. Un incidente ancora più grave si è verificato nel 2011 in Giappone, dove un violento terremoto, seguito da un gigantesco maremoto, ha danneggiato gravemente le centrali nucleari di Fukushima.

Scritta antinucleare a Caorso, 1979

Il disastro nucleare di Fukushima, Giappone 2011

Il comune di Caorso (Piacenza) ospita, dal 1978, una centrale nucleare entrata in attività nel 1981. Dopo cinque anni, nel 1986, la produzione di energia fu bloccata a seguito dell’esito del referendum con il quale gli italiani si schierarono contro l’uso dell’atomo per la produzione di energia elettrica. Oggi la centrale di Caorso, come altre in Italia e nel mondo, pone il pesante problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi stoccati nelle strutture da smantellare.

[© Air Photo Service/Jana Press/Handout/ZUMA Press/Corbis]

L’11 marzo 2011, a seguito del più grave sisma mai registrato in Giappone seguito da un devastante tsunami, l’impianto nucleare gestito dalla Tokyo Electric Power Co (TEPCO), istallato a Fukushima nel distretto di Okuma, non ha retto e i noccioli di tre dei sei reattori presenti si sono fusi. L’incidente è stato gravissimo e ha provocato la fuoriuscita a più riprese di nubi radioattive; l’inquinamento delle acque, dell’aria e dei terreni circostanti ha raggiunto livelli altissimi e la zona è stata interdetta.

470

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali Le scorie radioattive Al problema della sicurezza – che nelle centrali costruite negli ultimi decenni viene affrontato con maggior rigore che in passato – si aggiunge quello dello smaltimento delle scorie, che restano radioattive per secoli: di solito esse vengono chiuse dentro enormi fortini di cemento sepolti sotto terra, ma le garanzie che tutto ciò sia senza conseguenze per l’equilibrio ambientale e per la salute degli uomini non sono assolute. A questi dubbi e timori si aggiunge la constatazione che l’uranio e il plutonio – i materiali dai quali si ricava l’energia nucleare – sono sostanze rare in natura, e secondo gli esperti potrebbero esaurirsi in meno di mezzo secolo. Per tutti questi motivi, non solo di ordine tecnologico, alcuni paesi hanno preferito non investire nelle ricerche sull’energia atomica: in Italia, questa volontà è stata espressa da un referendum popolare nel 1987 ed è stata ribadita da un secondo referendum nel 2011. La Germania, anche in conseguenza della devastazione di Fukushima, ha programmato la chiusura degli impianti esistenti sul suo territorio.

I modi della storia

I dieci maggiori inquinanti

Anidride carbonica Risulta dalla combustione di diversi composti, usati specialmente per le industrie e per il riscaldamento (per esempio, nafta, gasolio, carbone, ecc.). L’accumulo di questo gas può surriscaldare l’atmosfera ed elevare la temperatura della superficie terrestre con conseguenze catastrofiche: scioglimento dei ghiacci polari, aumento del livello degli oceani, colossali allagamenti. Ossido di carbonio Prodotto soprattutto dalla combustione del petrolio, della benzina, della nafta e del carbone. Si trova in grandissima quantità nei gas di scarico degli automezzi, delle industrie metallurgiche e delle raffinerie di petrolio. È un gas nocivo all’uomo, può provocare gravi malattie all’apparato respiratorio. Anidride solforosa Emana dalla combustione del carbone, specialmente nelle officine e negli impianti di riscaldamento. Provoca affezioni alle vie respiratorie nell’uomo; intacca gli alberi e le piante. Ossido di azoto Proviene dai motori a combustione, dall’uso eccessivo di fertilizzanti e da procedimenti industriali. Produce lo smog, può dare origine a diverse malattie delle vie respiratorie; dannoso specialmente per i neonati. Fosfati Si trovano nelle acque di rifiuto cariche di detergenti e in quelle provenienti da terreni agricoli eccessivamente concimati. Danneggia gravemente le acque dei laghi e dei fiumi producendo la morte dei pesci. Mercurio Deriva dall’uso di combustibili fossili (per esempio, il carbone), dall’industria dei coloranti, dalle miniere, dalle raffinerie, dalle cartiere. Il mercurio è un veleno che, quando si trova concentrato in alta quantità nelle acque, viene assorbito specialmente dai pesci e dai crosta-

cei. Da questi può passare nell’organismo umano con gravi danni per il sistema nervoso. Piombo Proviene specialmente dalla combustione della benzina super (che per questo è stata proibita in molti paesi, sostituita dalla cosiddetta benzina verde), dalle industrie metallurgiche e chimiche. È un veleno che si deposita specialmente nelle acque dolci e nei sedimenti marini. Se colpisce l’organismo umano può danneggiare l’intero sistema dei processi di assimilazione. Petrolio Proviene dalle petroliere, dalle raffinerie, dall’estrazione del petrolio in mare. Ha effetti disastrosi: inquinamento delle spiagge, avvelenamento dei pesci, dei mammiferi, degli uccelli marini e di tutto l’insieme degli organismi vegetali e

animali che vivono sulla superficie e sul fondo del mare. DDT e altri insetticidi Se dai terreni agricoli giungono alle acque, provocano l’avvelenamento dei pesci e la contaminazione degli alimenti dell’uomo. Possono anche causare una diminuzione del numero degli insetti utili, suscitando in tal modo la comparsa di nuove malattie vegetali. Parecchi insetticidi favoriscono la formazione del cancro (il DDT è stato vietato nel 1972 negli USA e nel 1978 in Italia). Radiazioni Sono dovute essenzialmente alla produzione e agli esperimenti di armi atomiche e ai motori marini azionati da energia atomica (oltre che, ovviamente, dagli incidenti alle centrali nucleari). Se superano un certo livello, possono provocare modificazioni nei processi vitali.

Una raffineria di petrolio [© Double’s, Milano]

La raffineria più grande del mondo a Baton Rouge, USA.

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

471

Dalla fissione alla fusione atomica Diversi scienziati si stanno orientando verso un sistema di produzione dell’energia dell’atomo diverso da quello attuale. Si tratta della “fusione” del nucleo, un processo che, anziché spezzare gli atomi come accade nella “fissione”, al contrario li unisce assieme. I vantaggi di questo processo sarebbero due: da un lato esso sarebbe privo di rischi, dall’altro impiegherebbe come materia prima l’idrogeno, uno degli elementi maggiormente presenti in natura (essendo, con l’ossigeno, uno dei due componenti dell’acqua).

32.2 La questione energetica: altre fonti di energia L’energia solare In attesa che l’energia “pulita” prodotta dalla fusione nucleare dell’atomo diventi una realtà (la fase di sperimentazione di questa nuova tecnologia è ancora agli inizi e, secondo gli studiosi, occorreranno almeno altri vent’anni per appurarne la fattibilità), la ricerca di altre forme di energia si è rivolta specialmente all’energia solare, praticamente inesauribile e non inquinante. Gli impianti solari sono di impiego sempre più diffuso, sia per uso aziendale sia per uso domestico, dato che si possono realizzare in dimensioni anche molto ridotte. Sono usati per scaldare e illuminare singole abitazioni o piccole comunità (soprattutto quelle che vivono in zone isolate, dove portare l’elettricità per vie tradizionali costerebbe somme assai più alte di quelle richieste dall’installazione di impianti solari autonomi), nonché per far funzionare stabilimenti e imprese di limitata dimensione. La produzione di energia solare è cresciuta a ritmi elevatissimi negli ultimi anni, non senza porre delicate questioni di carattere ambientale, quando non ci si trova di fronte a piccoli impianti domestici ma a strutture di più ampia portata: in certi casi i pannelli solari hanno letteralmente invaso il territorio rurale, sostituendo le coltivazioni e deturpando il paesaggio; anche i problemi dello smaltimento (dopo quindici-vent’anni l’impianto va sostituito) non sono ancora stati seriamente affrontati. Peraltro va detto che la produzione di energia solare ha una incidenza ancora molto bassa rispetto all’effettivo fabbisogno energetico, e non è competitiva con i livelli di produzione forniti dalle centrali nucleari. Per questo sono necessarie politiche che incentivino la ricerca e lo sviluppo tecnologico, oltre che l’applicazione di fonti di energia “pulita”. L’Italia, per esempio, produce solo il 20% dell’energia di cui ha bisogno e perciò dipende dalle forniture che acquista dagli altri paesi, mentre investe solo l’1% del PIL nel settore ricerca e sviluppo (gli altri paesi europei, nonostante la crisi, si attestano al 2-3%). L’energia del vento e del sottosuolo Altre fonti di energia alternativa, su cui si concentrano le attenzioni dei ricercatori, sono l’eolico (ossia la forza del vento) e la geotermia (il calore del sottosuolo). Come il sole, le riserve eoliche e geotermiche sono fonti rinnovabili e pulite, praticamente inesauribili, ma presentano lo svantaggio di una disponibilità maggiormente localizzata (l’Italia, per esempio, difficilmente potrà utilizzare su larga scala l’eolico perché sono pochi i luoghi in cui i venti sono forti e costanti). Torri per la produzione di energia eolica in California [© Double’s, Milano]

La ricerca scientifica e tecnologica per produrre energia da fonti alternative non si concentra “solo” sulle possibilità offerte dal vento, dal Sole e dal calore sotterraneo della Terra, ma coinvolge anche le risorse idriche, le maree, il moto ondoso e le biomasse (i rifiuti biologici), che costituiscono risorse energetiche praticamente inesauribili.

472

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali Produzione di energia nucleare [da Worldwatch database]

Produzione di energia eolica [da BTM Consult]

Produzione di energia solare [da Maycock]

I tre grafici mostrano la crescita della produzione mondiale dell’energia nucleare (espressa in gigawatt), eolica (espressa in megawatt) e solare (espressa in megawatt) nel corso degli ultimi venti anni. Mentre la crescita dell’energia nucleare sembra essersi fermata, la produzione eolica e solare è in vertiginoso aumento. Neutrone Nucleo di uranio 235

Energia liberata

Fissione Neutroni

Nuclei di idrogeno

Viene liberata energia

Viene espulso un neutrone

I nuclei di idrogeno si fondono

Si forma il nuovo nucleo

Modelli di reazione nucleare Il disegno mostra la reazione di fusione e di fissione. Nella fissione si adoperano nuclei pesanti, come quelli dell’uranio e del plutonio, che vengono scissi in due o tre nuclei più leggeri; nella reazione, la massa del nucleo iniziale è maggiore della somma delle masse dei nuclei più leggeri, e la differenza viene liberata come energia. Nella fusione si adoperano nuclei leggeri, per esempio deuterio e trizio o elio privato di un neutrone, per formare un elemento più pesante. Parte della materia iniziale si perde nella reazione e si trasforma in energia. A tutt’oggi gli scienziati sono riusciti a rendere praticabile soltanto la reazione di fissione, che tuttavia presenta gravi rischi. La reazione di fusione, che pare non sia né inquinante né pericolosa e pertanto preferibile a quella di fusione, è tuttora in fase di sperimentazione.

350 300

10.000

Energia nucleare

180

Energia eolica

150

8000 (produzione in megawatt)

(produzione in gigawatt)

250

120

6000

200

90

150

4000

60

100 2000

50 1980

Energia solare

(produzione in megawatt)

1990

2000

1980

30

1990

2000

1980

1990

2000

Auto ecologiche Anche per le automobili si stanno studiando fonti di energia alternativa alla benzina e al gasolio (derivati dal processo di raffinazione del petrolio). Le fasi di produzione del petrolio (estrazione, raffinazione, trasporto), infatti, sono spesso all’origine di disastri ambientali. Uno dei più gravi è accaduto nel Golfo del Messico nel 2010, quando dalla piattaforma petrolifera marina Deepwater Horizon si sono riversati in mare circa 700 milioni di litri di greggio. Le conseguenze sono state devastanti non solo dal punto di vista economico (per la stessa compagnia petrolifera e per l’industria e il turismo dei paesi affacciati sul golfo) ma anche e soprattutto per l’ecosistema marino e costiero, con danni alla salute degli esseri umani, della fauna e della flora marina. I gravi problemi ambientali causati dallo sfruttamento di fonti energetiche come il petrolio hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica e degli organismi internazionali le tematiche della salvaguardia dell’ambiente naturale, sollecitando la ricerca di nuovi sistemi non inquinanti. Così è stato costruito il prototipo di un’auto ecologica che utilizza come carburante l’idrogeno, scaricando solo vapore acqueo e riducendo in modo drastico l’inquinamento ambientale. Sempre più diffusi sono inoltre i modelli di auto a energia elettrica oppure “ibridi” (che possono utilizzare energia elettrica o in alternativa benzina o gasolio). Progetti come questi, tuttavia, stentano a decollare, non solo per difficoltà di ordine tecnologico, ma soprattutto perché si scontrano con gli interessi dell’industria petrolifera.

32.3 L’inquinamento ambientale L’impatto umano sull’ecosistema Uno dei problemi più preoccupanti della nostra epoca è l’inquinamento ambientale. È stato osservato, specialmente negli ultimi decenni, che in molte zone della Terra l’ambiente biofisico sta subendo alterazioni tali da mettere in pericolo le condizioni stesse della vita animale e vegetale. Il fenomeno, che per la sua ampiezza e importanza non ha precedenti nella storia, è dovuto all’incontrollato sviluppo tecnologico e produttivo. Nel campo agricolo, l’uso massiccio degli antiparassitari e dei concimi chimici è risultato dannoso sia per l’uomo, che assieme ai cibi rischia di introdurre nell’organismo sostanze velenose, sia per il terreno, che vede impoverita la propria fertilità e i cicli biologici naturali, mentre le falde idriche si inquinano. Ma è soprattutto l’enorme crescita industriale a provocare il diffuso inquinamento. Ogni giorno, senza interruzione, vengono scaricati nella terra, nell’acqua, nell’aria rifiuti di ogni genere, liquidi, solidi, gassosi, in così grosse quantità e con tali caratteristiche di velenosità che la natura non è più in grado di assorbirli né di distruggerli. La conseguenza è che tutto viene contaminato, con pericolose ripercussioni sugli esseri viventi. I danni al clima Le scorie velenose emesse a tonnellate in tutto il mondo industrializzato dalle ciminiere delle fabbriche, dai camini delle case, dai tubi di scappamento delle automobili si addensano nelle nubi e ritornano sulla Terra sotto forma di piogge acide, distruggendo le piante, corrodendo i monumenti, minacciando la salute dell’uomo.

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

14,6

473

Temperatura media della Terra (gradi Celsius)

14,4

14,2

14,0

13,8 1950

1975

2000

L’andamento della temperatura media della Terra, 1950-2000 [da Goddard Institute for Space Studies]

Un esempio di desertificazione Le conseguenze del cambiamento climatico in atto, che vedono tra i principali problemi quello della graduale desertificazione di alcune zone del pianeta, hanno messo in evidenza la necessità di un’azione globale che veda protagonisti i governi di tutto il mondo.

Da questa immissione di gas nell’atmosfera deriva il cosiddetto “effetto serra”, cioè un surriscaldamento dell’aria che comporta un aumento della temperatura della superficie terrestre. Se tale aumento andasse oltre un certo limite, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche: in seguito allo scioglimento dei ghiacciai, provocato dalla temperatura più alta, il livello delle acque marine si innalzerebbe e molte terre abitate finirebbero sommerse. Ipotesi come questa si scontrano con altre, che prevedono scenari del tutto diversi: c’è chi pensa non a un riscaldamento, ma a un raffreddamento della superficie terrestre; c’è chi tende a minimizzare i rischi. Ma al di là delle diversità di opinioni, ciò che soprattutto importa è che il mondo abbia definitivamente preso coscienza del problema e lo abbia individuato come un nodo fondamentale da risolvere: uno di quelli su cui si giocano il futuro e il benessere dell’umanità. Fotografie da satellite del distacco di un iceberg (indicato dalle frecce rosse) dal Tavolato di Ross, 2000 [© ESA / Rutherford Appleton Research Laboratory]

Il Tavolato di Ross (Ross Ice Shelf) è una spessa coltre di ghiaccio di 330.000 km2 che ricopre il mare di Ross nell’Antartico. Il 23 marzo del 2000 un gigantesco iceberg, grande quanto l’Abruzzo, si staccò dal Tavolato andando alla deriva e mettendo a rischio le rotte di navigazione. Al primo ne sono seguiti altri indicando lo scioglimento dei ghiacci delle calotte polari e confermando l’innalzamento della temperatura del pianeta.

474

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

I modi della storia

La plastica: una geniale invenzione che crea problemi epocali

Una geniale invenzione del XX secolo, rivelatasi di grande utilità in molti campi, è quella delle sostanze plastiche. L’uomo, sin da quando esiste sulla Terra, per soddisfare le necessità dell’esistenza quotidiana ha sempre utilizzato i materiali che si trovano in natura: il legno per costruire utensili, arredi, mobili; l’argilla per fabbricare stoviglie; i metalli per gli arnesi da lavoro. Le sostanze plastiche, invece, sono del tutto artificiali, cioè opera dell’uomo. Non esistono in natura. Sono una conquista della chimica: si costruiscono utilizzando elementi ricavati dall’aria o dall’acqua, come l’ossigeno e l’idrogeno, o da prodotti di scarto del petrolio o del carbone; sono dette “plastiche” perché si lasciano modellare con grande facilità. Le prime furono il nylon, usato per fabbricare tessuti; il moplen, usato per costruire tazze, secchi e altri oggetti di uso quotidiano; il teflon, impiegato tra l’altro negli interventi chirurgici, in sostituzione di vene o arterie difettose; molte sostanze ancora, studiate in rapporto a usi specifici. L’invenzione delle sostanze plastiche è dovuta alle ricerche di molti scienziati europei e americani; tra

gli italiani, particolare importanza hanno avuto gli studi del chimico Giulio Natta, insignito nel 1963 del premio Nobel. La plastica offre numerosi vantaggi: costa pochissimo e permette di non intaccare le risorse naturali; si può produrre in quantità pressoché illimitata; si può realizzare con qualsiasi caratteristica (forme, colori, durezza, ecc.) richiesta dall’uso particolare che se ne deve fare: per esempio, è possibile fabbricare oggetti trasparenti, se devono contenere dei liquidi; elastici, se devono essere usati come filati; isolanti, se devono proteggere dal caldo, o dal freddo, o dalla corrente elettrica. Il vero problema che la plastica pone è di carattere ambientale, legato allo smaltimento dei rifiuti, che, non essendo di origine naturale, non sono “biodegradabili”, ossia non possono essere riassorbiti dal terreno. Su questo problema si concentrano oggi le attenzioni di molti ricercatori, per scongiurare il rischio di inquinamento che l’uso eccessivo della plastica – qualora non la si possa riciclare per altre fabbricazioni – inevitabilmente comporta.

L’attrice americana Janis Paige pubblicizza le nuove calze di nylon Il nylon, una fibra sintetica brevettata nel 1931, fu inizialmente molto utilizzato nell’industria bellica (resistente ed elastico, era ottimo per confezionare i paracadute). Alla fine della guerra però nylon significò soprattutto calze da donna e la nuova fibra si impose sul mercato tessile per il suo basso costo (rispetto alle calze in seta e in cotone) e la sua leggerezza.

32.4 Una nuova coscienza ecologica La difesa dell’ambiente La lotta all’inquinamento è un problema di dimensione locale e mondiale al tempo stesso. Locale, perché solo una precisa e dettagliata conoscenza del territorio, che unicamente i suoi abitanti possiedono, consente di attuare misure efficaci di vigilanza, di prevenzione, di intervento a difesa dell’ambiente. D’altra parte, i contraccolpi di ogni aggressione all’ambiente riguardano l’intera comunità umana: basti pensare all’abbattimento di vaste zone della foresta amazzonica, iniziata fra gli anni Quaranta e Sessanta del Novecento per sfruttare le risorse minerarie e il pregiato legname della regione, nonché per aumentare le superfici coltivate e creare nuovi insediamenti agricoli, per ospitare coloni venuti da tutto il paese su terre che appartenevano alle locali comunità indie. Tale intervento, progettato dal governo brasiliano, ha già distrutto un quinto della foresta e sta provocando danni incalcolabili non solo alla sopravvivenza delle popolazioni locali, ma all’intero equilibrio climatico del pianeta (l’Amazzonia, chiamata anche il “polmone della Terra”, comprende da sola i due terzi delle foreste tropicali mondiali e il 15% dell’acqua dolce del pianeta). Di fronte a problemi di tale natura è evidente la necessità di interventi coordinati e della collaborazione internazionale. Per ogni luogo della Terra si potrebbe ripetere quanto lo scrittore Aldous Huxley (1894-1963) affermò a proposito dell’Amazzonia: «essa appartiene a tutta l’umanità e non soltanto al Brasile». L’impegno dell’Unione Europea L’urgenza politica della questione è stata ormai riconosciuta dall’Unione Europea, che ha assunto la protezione dell’ambiente come «componente essenziale delle politiche comunitarie», si tratti di agricoltura, di industria, di trasporti o di qualsiasi altra materia. Questo si legge in un documento firmato a Parigi nel 1986 e confermato con il trattato di Maastricht del 1992 [ 24.1]. Su questa linea, oltre 200 direttive e consistenti aiuti finanziari hanno permesso, nell’ultimo ventennio,

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

475

di conseguire risultati significativi su temi quali la qualità dell’acqua, l’inquinamento atmosferico, l’eliminazione dei rifiuti, la biodegradabilità dei detergenti, il carburante per automobili (proibizione della benzina addizionata con piombo).

Il protocollo di Kyoto» Un importante accordo internazionale per la protezione dell’ambiente fu il cosiddetto “protocollo di Kyoto”, negoziato nella città giapponese nel 1997 da oltre 160 paesi. Esso prevede che i paesi industrializzati riducano progressivamente le emissioni di gas inquinanti, per limitare il riscaldamento del pianeta e l’effetto-serra: a tal fine vengono periodicamente fissate delle soglie massime che ciascun paese deve rispettare. Purtroppo, però, vari Stati non hanno ancora aderito all’accordo, preoccupati di danneggiare il proprio sistema industriale: fra essi quelli che inquinano di più, ossia India, Cina e Stati Uniti, questi ultimi responsabili di oltre il 35% dei gas scaricati nell’atmosfera. Le associazioni ambientaliste In diversi paesi si sono formate associazioni e movimenti che si propongono di agire sui governi per l’elaborazione di nuove leggi in difesa dell’ambiente, e anche di intervenire direttamente per impedire l’attuazione di progetti ritenuti pericolosi per l’equilibrio ecologico. Tale è, per esempio, l’impegno del WWF o World Wildlife Fund (‘Fondo mondiale per la natura’), mentre altri gruppi, denominati “Verdi”, si sono affacciati sulla scena politica, costituendo, in diversi paesi, dei veri partiti, che pongono la difesa dell’ambiente come problema politico prioritario. In Italia, oltre al WWF, operano altre associazioni, come Legambiente e Italia Nostra (che persegue anzitutto la tutela del patrimonio culturale, oggi però non disgiungibile dal patrimonio ambientale). Grande sviluppo ha avuto anche un’organizzazione internazionale chiamata Greenpeace ( ‘pace verde’), per indicare che le sue finalità sono pacifiste ed ecologiste insieme. Nata nel 1971, essa è presente in quindici nazioni e conta oltre un milione di aderenti, con i maggiori punti di forza negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania. Dispone di navi, rimorchiatori, mongolfiere e ha fatto molto parlare di sé compiendo imprese clamorose, spesso pericolose per l’incolumità degli attivisti. Per esempio, negli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, i battelli di Greenpeace sono riusciti – sfidando le proibizioni del governo di Parigi – a penetrare nelle acque di Mururoa, un isolotto del Pacifico, per fotografare le esplosioni atomiche sperimentali francesi e denunciarle al mondo. Manifesto dell’associazione Legambiente L’intento di questo manifesto, realizzato nel 2001 da Legambiente, era quello di allertare la popolazione sui rischi della manipolazione genetica e sull’acquisto di alimenti biologicamente non naturali.

476

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

I luoghi della storia

La Terra monitorata dallo spazio

La salvaguardia dell’ambiente naturale è, probabilmente, la sfida più importante del XXI secolo. Monitorare lo stato di salute del nostro pianeta raccogliendo dati relativi al clima e ai suoi cambiamenti è una questione prioritaria e la tecnologia aerospaziale, unita ai risultati della ricerca missilistica, dà in questo senso un aiuto fondamentale, grazie all’utilizzo di satelliti artificiali e sonde spaziali. Gli inizi di tale vicenda si inseriscono nella competizione fra Stati Uniti e Unione Sovietica per la supremazia mondiale. Anche la “corsa spaziale” fu un aspetto di questo confronto, avviato nel 1957 con il lancio in orbita da parte dei sovietici del primo satellite artificiale, lo Sputnik; gli americani risposero, nel 1958, costituendo la NASA (National Aeronautics and Space Administration), agenzia governativa incaricata di progettare veicoli spaziali. In questa “corsa”, due date furono particolarmente significative: il 1961 e il 1969. Il 12 aprile 1961 fu compiuto il primo volo spaziale della storia: il pilota russo Yuri Gagarin, a bordo di uno speciale veicolo contrassegnato dalla sigla Vostok 1, mosso da un nuovo tipo di apparecchio per volare, il razzo o missile, si innalzò nel cielo a un’altezza mai raggiunta dall’uomo, 302 km, e compì un’intera orbita intorno alla Terra, impiegando, complessivamente, 1 ora e 48 minuti dalla partenza al ritorno. Sulla strada aperta da Gagarin altri astronauti, russi e statunitensi, compirono altri voli, con navicelle perfezionate e apparecchiature per raccogliere dati e informazioni scientifiche. Il 21 luglio 1969 l’uomo mise piede sulla Luna. Tre americani, Neil Armstrong, Edwin Aldrin, Michael Collins, traspor-

tati dall’astronave Apollo 11, viaggiarono per circa tre giorni nello spazio, guidati e controllati da Terra da un gruppo di scienziati e di tecnici con l’ausilio di elaboratori elettronici, e scesero sul suolo lunare a 400.000 km dalla Terra. La memorabile impresa fu seguita in tutto il mondo in diretta televisiva, trasmessa da una speciale telecamera azionata dagli stessi astronauti. Dopo 21 ore e mezzo di permanenza sul satellite, impiegate a fare fotografie, esami e prelievi di materiali, gli esploratori ripartirono ammarando dopo 195 ore di volo in un punto prestabilito dell’Oceano Pacifico, dove furono raccolti da una portaerei. Finito il periodo della guerra fredda e della competizione fra USA e URSS, l’esplorazione spaziale proseguì in maniera meno clamorosa e talvolta sotto il segno della reciproca collaborazione. Molti strumenti scientifici e tecnologici messi a punto in questo settore sono oggi impiegati per fornire agli scienziati utilissimi dati per lo studio dell’ambiente terrestre. Speciali capsule dette “sonde”, munite di sofisticati strumenti (telecamere, rivelatori di radiazioni, misuratori di onde, ecc.), vengono lanciate in orbita nel sistema solare, intorno a Marte, a Giove e ad altri pianeti; di là esse trasmettono dati, misure, analisi, fotografie alle antenne radio-telescopiche predisposte sulla Terra. Satelliti artificiali volano regolarmente intorno alla Terra e i loro apparecchi, sensibili alle diverse bande dello spettro elettromagnetico, registrano le radiazioni riflesse dal suolo terrestre e le trasformano in segnali per le stazioni sulla Terra; una volta ricevuti i dati, ogni frequenza di radiazione è contrassegnata da un colore diverso e il computer

Edwin Aldrin impegnato nella prima escursione sul suolo lunare, 21 luglio 1969 Il 4 ottobre 1957 il primo satellite artificiale – lo Sputnik 1, una sfera di 58 cm del peso di soli 84 g – fu messo in orbita attorno alla Terra. Impiegò circa 90 minuti per compiere il giro completo, viaggiando alla sorprendente velocità di circa 29.000 km all’ora. Un mese dopo l’URSS era in grado di lanciare in orbita un essere vivente, la cagnetta Laika, aprendo così all’uomo la strada nello spazio. Nel luglio del 1969 l’Apollo 11 portò sulla Luna gli astronauti americani Aldrin, Collins e Armstrong, il quale, poggiando piede sul suolo lunare, esclamò: «questo è un piccolo passo per l’uomo, un balzo gigantesco per l’umanità».

elabora una mappa a colori di ciò che è stato rilevato. Molti di questi satelliti artificiali hanno funzioni pratiche: trasmissioni e telecomunicazioni fra i continenti, osservazioni meteorologiche, osservazioni della superficie terrestre per scoprire nuovi giacimenti di petrolio, falde d’acqua sotterranee e fonti di inquinamento. Tutto ciò concorre a darci una precisa e approfondita conoscenza del nostro pianeta. In qualche modo si può dire che il rapporto della Terra con lo spazio si è invertito: se negli anni Cinquanta-Sessanta, agli inizi della “corsa spaziale”, gli uomini erano ansiosamente alla ricerca di mondi lontani da noi, oggi lo spazio ci serve soprattutto per conoscere il mondo in cui viviamo.

La città di New York e la costa atlantica Questa fotografia è stata scattata dal satellite artificiale Landsat a un’altezza di 917 km dalla Terra. Alle diverse frequenze inviate dal satellite è stato attribuito un colore specifico: le zone rosse corrispondono alle foreste e ai prati, quelle azzurre all’area metropolitana di New York, quelle in nero all’acqua dei fiumi, dei bacini e dell’Oceano Atlantico. L’immagine così ricostruita offre importanti informazioni per lo studio e il controllo dell’ambiente.

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

477

32.5 Un nuovo modello di crescita: lo sviluppo sostenibile La riduzione dell’impatto ambientale La necessità di ridurre l’effetto che le azioni umane hanno sull’ambiente è oggi un dato collettivamente acquisito. Le stesse industrie, che sono tra le principali cause di inquinamento, hanno inserito nelle procedure amministrative una valutazione d’impatto ambientale, finalizzata a prevedere e limitare gli effetti sull’ambiente di un’opera in progetto. D’altra parte, anche relativamente ai prodotti industriali, la via maestra per giungere a un nuovo rispetto dell’ambiente sta nel recupero di un valore tradizionale quale la cultura del riuso, della riparazione, del riciclaggio, che non consideri gli oggetti nella prospettiva consumistica dell’usa-e-getta, ma li rispetti come frutto del lavoro dell’uomo cercando di valorizzarli anche al termine della loro vita. Il risparmio energetico La strada per la salvaguardia e la tutela dell’ambiente non è dunque univoca e molteplici sono le strategie da mettere in campo. Tra queste è importante individuare nuove modalità per conseguire un risparmio energetico nelle varie fasi produttive. La commissione istituita dall’ONU nel 1988 per lo studio dei cambiamenti climatici (l’Intergovernmental Panel on Climate Change) ha calcolato che se gli edifici e gli elettrodomestici fossero progettati in maniera più attenta all’ambiente si potrebbe ridurre il consumo energetico di oltre il 50% entro il 2050 e che entro lo stesso anno le energie rinnovabili potrebbero arrivare a coprire l’80% del fabbisogno energetico globale sfruttando solo il 2,5% dell’energia prodotta dalla Terra (in Europa il primato per la produzione di energia da fonti rinnovabili spetta alla Germania, seguita dall’Italia). Lo sviluppo sostenibile Si ricercano insomma, sia in campo agricolo (attraverso l’agricoltura biologica e la cosiddetta “lotta integrata”, che riduce l’uso di antiparassitari), sia in campo industriale, modi di produzione e di consumo che siano “sostenibili” sul piano ambientale, cioè che non portino al degrado delle risorse naturali (il che in ultima analisi si ritorce contro la produzione stessa) bensì mirino alla loro preservazione. L’idea di uno “sviluppo sostenibile” non riguarda, peraltro, solo il rispetto dell’ambiente, ma anche il rispetto degli uomini impiegati nei processi produttivi: gli orari eccessivamente lunghi, i salari miseri, lo sfruttamento dei minori sono fenomeni che non solo accompagnarono l’avvio dell’industrializzazione fra XVIII e XIX secolo, ma che ancora oggi si trovano in molte parti del mondo. Accanto alla devastazione dell’ambiente, queste forme di ingiustizia sociale devono essere tenacemente combattute.

Veduta aerea della barriera corallina di Bora Bora, Tahiti (Polinesia Francese) [© Frans Lanting/Corbis]

La straordinaria bellezza e ricchezza ecologica del nostro pianeta poggia su un equilibrio fragile e delicato, costantemente minacciato dai meccanismi di sovrasfruttamento delle risorse naturali che, se non arrestati, rischiano di comprometterne l’esistenza.

478

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

Sintesi

La questione energetica e ambientale

La questione energetica: le centrali nucleari Nel corso del XX secolo il consumo energetico mondiale è cresciuto di dieci volte, mentre diminuiscono i combustibili fossili usati per produrre energia. Il problema energetico si intreccia con quello dell’inquinamento e della difesa dell’ambiente. Nello studio di fonti alternative di energia si sono sviluppate due correnti, tra i sostenitori dell’energia nucleare e delle energie “pulite” (eolico, geotermico, solare). L’energia nucleare suscita dubbi, perché l’uomo non è ancora padrone del processo produttivo e diversi incidenti alle centrali elettronucleari lo dimostrano. Un ulteriore problema è lo smaltimento delle scorie radioattive, che non garantisce con certezza la mancata contaminazione dell’ambiente. Infine, uranio e plutonio, materie prime per la produzione di energia nucleare, sono fonti non rinnovabili e rare. Per questi motivi, alcuni paesi, tra cui l’Italia, hanno rinunciato al nucleare. Sempre in ambito nucleare, oggi si sta studiando la “fusione” del nucleo, un processo che unisce gli atomi tra loro anziché spezzarli, che sarebbe privo di rischi e si baserebbe sull’idrogeno, di cui l’atmosfera è ricca. La questione energetica: altre fonti di energia La ricerca di altre forme di energia si è rivolta specialmente all’energia solare, inesauribile e non inquinante. La produzione di energia solare pone però questioni di carattere ambientale: a volte i pannelli solari hanno invaso il territorio rurale, deturpandolo; anche i problemi dello smaltimento non sono ancora stati risolti; inoltre la produzione di energia solare non è ancora competitiva. Altre fonti di energia alternativa sono l’eolico (ossia la forza del vento) e la geotermia (il calore del sottosuolo), entrambe rinnovabili e pulite, praticamente inesauribili, ma con lo svantaggio di una disponibilità molto localizzata. Anche per le automobili si

stanno studiando fonti di energia alternativa alla benzina e al gasolio, come l’auto ecologica che utilizza come carburante l’idrogeno, ma questi progetti stentano a decollare. L’inquinamento ambientale Negli ultimi decenni, in molte zone della Terra l’ambiente biofisico sta subendo alterazioni tali da mettere in pericolo le condizioni stesse della vita animale e vegetale. Il fenomeno è dovuto all’incontrollato sviluppo tecnologico e produttivo. Nel campo agricolo, l’uso massiccio di antiparassitari e concimi chimici è risultato dannoso per l’uomo, per il terreno e per le falde idriche. Ma è soprattutto la crescita industriale a provocare l’inquinamento. Ogni giorno vengono scaricati nella terra, nell’acqua, nell’aria rifiuti liquidi, solidi, gassosi: la conseguenza è che tutto viene contaminato, con pericolose ripercussioni sugli esseri viventi. Le scorie velenose si addensano nelle nubi e ritornano sulla Terra sotto forma di piogge acide. Da questa immissione di gas nell’atmosfera deriva l’“effetto serra”, cioè il surriscaldamento dell’aria che comporta un aumento della temperatura della superficie terrestre, con conseguenze che, a lungo andare, risulterebbero catastrofiche (come lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello delle acque marine). Una nuova coscienza ecologica La lotta all’inquinamento è un problema di dimensione al tempo stesso locale, perché solo una dettagliata conoscenza del territorio consente di attuare misure efficaci di intervento a difesa dell’ambiente, e mondiale, perché i contraccolpi di ogni aggressione all’ambiente riguardano l’intera comunità umana; ne è un esempio l’abbattimento della foresta amazzonica, che provoca danni incalcolabili all’intero equilibrio climatico del pianeta. L’Unione Europea,

con lo stanziamento di aiuti finanziari, ha conseguito risultati significativi su temi quali la qualità dell’acqua, l’inquinamento atmosferico, l’eliminazione dei rifiuti, la biodegradabilità dei detergenti, il carburante per automobili. Nel 1997 molti paesi hanno firmato il “protocollo di Kyoto”, un accordo che prevede la riduzione progressiva delle emissioni di gas inquinanti, con soglie massime periodicamente fissate che ciascun paese deve rispettare. Ma India, Cina e Stati Uniti, i paesi che inquinano di più, non hanno aderito all’accordo. Esistono diverse associazioni e movimenti che si propongono di agire sui governi per l’elaborazione di nuove leggi a difesa dell’ambiente e di intervenire direttamente per impedire l’attuazione di progetti ritenuti pericolosi: per esempio il WWF, Greenpeace, che ha finalità pacifiste ed ecologiste e, in Italia, Legambiente e Italia Nostra. Un nuovo modello di crescita: lo sviluppo sostenibile La necessità di ridurre l’effetto delle azioni umane sull’ambiente è oggi un dato acquisito. Le stesse industrie hanno inserito nelle procedure amministrative una valutazione d’impatto ambientale, finalizzata a prevedere e limitare gli effetti sull’ambiente di un’opera in progetto. Ma la via maestra per giungere a un nuovo rispetto dell’ambiente sta nel recupero di valori come la cultura del riuso, della riparazione, del riciclaggio. Inoltre è importante l’individuazione delle modalità per conseguire un risparmio energetico nel processo produttivo. Per questo è stata istituita nel 1988 dall’ONU una commissione per lo studio dei cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change). L’idea di uno “sviluppo sostenibile” riguarda sia il rispetto dell’ambiente sia il rispetto degli uomini impiegati nei processi produttivi.

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

Esercizi Comprendere e ordinare 1. Colloca sulla linea del tempo gli eventi elencati in ordine sparso. 1954

1971

1979

1986

1987

1988

1. 2. 3. 4.

incidente nucleare a Chernobyl referendum popolare sull’uso dell’energia atomica in Italia costruzione della prima centrale elettronucleare istituzione della commissione ONU sullo studio dei cambiamenti climatici 5. nascita di Greenpeace

6. 7. 8. 9. 10.

1992

1997

2010

2011

trattato di Maastricht incidente nucleare a Fukushima disastro ambientale nel Golfo del Messico incidente nucleare a Three Mile Island protocollo di Kyoto

2. Associa alle seguenti parole chiave il significato corretto. effetto serra • elettronucleare • fissione • fusione • fabbisogno • geotermia • impatto ambientale • protocollo • radiazioni • riciclaggio • scoria • sostenibilità Effetti sull’ambiente di un’opera in progetto Residuo del processo di estrazione, lavorazione o affinazione dei metalli Emissione di energia sotto forma di onde elettromagnetiche o particelle Calore del sottosuolo Produzione di energia elettrica dal processo di reazione atomica Recupero e immissione nel ciclo produttivo di materiali di scarto o di rifiuto Processo che unisce insieme gli atomi Analizzare e produrre Surriscaldamento dell’aria

4. Completa la tabella riportandoDocumento all’interno,diplomatico nella posizione corretta, termini indicati. che attesta uni raggiunto accordo internazionale cavalieri • secolare • autonomia • Tutto corvées decima • dipendenza • mestiere taglia • canone • regolare • caccia • doni • tornei ciò•che è necessario per svolgere una•determinata attività che spezza gli atomi Funzione socialeProcesso Vita quotidiana NOBILI

guerrieri

Condizione sociale

Preservazione delle risorse naturali I …...................….. erano educati al ……..................….. delle armi. Praticavano la …….........................….. e i ……........................…..

……................................…..

economica

Alcune europee hanno proibito 3. Indica se le seguenti affermazioni sono veresoprattutto o false. obblighi.g.Tra Avevano questi,direttive i più diffusi erano ……................................…..

V l’uso .della addizionata con piombo. Altri benzina tributi erano la produttori di beni le …….....................….. e il …….....................….. CONTADINI economica a. Le risorse di combustibili fossili usati……........................….. per produrre e i ……........................….. h. L’effetto serra produce un abbassamento V F energia sono in diminuzione. V della temperatura della superficie terrestre. Erano divisi in clero …….........................….. (monaci) e in clero b. L’incidente dei Chernobyl fu causato dall’incendio …….................................….. i. Laleggere “lotta integrata” riduce l’uso di antiparassitari preghiera ……........................….. V (preti). e scrivere. Godevano SACERDOTI F Sapevano di un reattore nucleare. economica V in agricoltura. di una entrata specifica, la…….........................….. c. L’uranio e il plutonio potrebbero esaurirsi in più j. Le centrali elettronucleari producono energia V F per un secolo. V elettrica dalla fusione dell’atomo.

F F F F

d. È stato costruito il prototipo di un’auto ecologica che usa come carburante l’idrogeno.

V

F

k. Greenpeace è presente in venti nazioni e conta circa un milione di aderenti.

V

F

e. L’energia solare è impiegata esclusivamente per usi domestici.

V

F

l. L’inquinamento ambientale è dovuto allo sviluppo tecnologico e produttivo incontrollato.

V

F

f. I pannelli solari presentano dei problemi di smaltimento ancora non risolti.

V

F

m. La Germania ha programmato la chiusura degli impianti nucleari sul suo territorio.

V

F

479

480

Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

n. La lotta all’inquinamento è un problema di dimensione soprattutto mondiale.

V

F

o. L’energia solare è competitiva con i livelli di produzione forniti dalle centrali nucleari.

V

F

p. I modelli di auto “ibridi” possono usare o energia elettrica o gasolio.

V

F

q. La valutazione di impatto ambientale considera gli effetti sull’ambiente di un’opera in progetto.

V

F

r. Italia Nostra persegue anzitutto la tutela del patrimonio culturale.

V

F

s. Al Protocollo di Kyoto hanno aderito i principali paesi industrializzati.

V

F

t. L’abbattimento di parti della foresta amazzonica danneggia l’intero equilibrio climatico del pianeta.

V

F

u. La fusione nucleare impiegherebbe come materia prima l’idrogeno e non comporterebbe rischi.

V

F

v. Le energie alternative sono basate sull’uso di combustibile fossile.

V

F

z. La prima centrale elettronucleare fu costruita in Unione Sovietica.

V

F

4. Nelle frasi seguenti, segna il giusto completamento. a. L’Italia investe nel settore ricerca e sviluppo: l’1% del PIL. lo 0,5% del PIL. il 3% del PIL. l’1,5% del PIL. b. In Amazzonia è presente: il 5% dell’acqua dolce del pianeta. il 10% dell’acqua dolce del pianeta. il 15% dell’acqua dolce del pianeta. il 20% dell’acqua dolce del pianeta. c. Nel 2010 nel Golfo del Messico si sono riversati in mare: 200 milioni di litri di greggio. 500 milioni di litri di greggio. 600 milioni di litri di greggio. 700 milioni di litri di greggio. d. Le riserve di petrolio potrebbero non superare i: 30 anni. 15 anni.

25 anni. 20 anni.

Analizzare e produrre 5. Rispondi alle seguenti domande. 1. Quali scorie industriali vengono riversate nell’ambiente? Con quali conseguenze? 2. Perché la crescita industriale aumenta i rischi di inquinamento ambientale?

3. Che cosa sono le piogge acide? Da che cosa sono causate? Quali effetti producono? 4. Che cosa è l’effetto serra? Da che cosa è causato? Quali conseguenze produce? Con quali rischi futuri?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente mappa concettuale.

INDUSTRIALIZZAZIONE E INQUINAMENTO AMBIENTALE CRESCITA INDUSTRIALE ......................................................................................... .........................................................................................

INQUINAMENTO ................................................................................... ...................................................................................

MODIFICAZIONI CLIMATICHE PIOGGE ACIDE

EFFETTO SERRA

..................................................

...................................................................................

...................................................................................

..................................................

...................................................................................

...................................................................................

.................................................. .................................................. .................................................. ..................................................

Capitolo 32 La questione energetica e ambientale

6. Rispondi alle seguenti domande. 1. Che cosa sono le energie alternative? 2. Quali tendenze si distinguono nel dibattito sulle energie alternative? Che cosa sostengono? 3. Come funzionano le centrali elettronucleari? Che cosa producono? 4. Quali incidenti si sono avuti nelle centrali nucleari? Con quali conseguenze? 5. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi legati all’uso dell’energia nucleare?

6. Che cosa è la fusione atomica? Quali prospettive potrebbe aprire? 7. Come funzionano i pannelli solari? Che cosa producono? Per quale tipo di utilizzo? 8. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi legati all’uso dell’energia solare? 9. Quali altre fonti di energia alternativa esistono? Che cosa le caratterizza? 10. Quali fonti di energia alternative si stanno studiando per le automobili?

Sulla base delle informazioni ottenute, completa la seguente tabella.

ENERGIE ALTERNATIVE A CONFRONTO

COME SI OTTIENE

VANTAGGI

SVANTAGGI

ENERGIA NUCLEARE

ENERGIA SOLARE

..............................................................................................................

..............................................................................................................

..............................................................................................................

..............................................................................................................

..............................................................................................................

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..............................................................................................................

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..............................................................................................................

..............................................................................................................

..............................................................................................................

..............................................................................................................

Scrivi un breve testo di almeno 8 righe dal titolo “Le energie alternative: funzionamento, possibili usi e prospettive future”.

7. Rispondi alle seguenti domande con un testo di massimo 3

Leggi il documento “La Terra monitorata dallo spazio” a p. 476 e rispondi alle seguenti domande.

1. Quali sono le dimensioni spaziali interessate dall’inquinamento? Per quale motivo? 2. Quale progetto è stato attuato nella foresta amazzonica? Quali conseguenze ha prodotto? 3. Quali forme di intervento sono necessarie di fronte al problema dell’inquinamento? 4. Quali impegni ha preso l’Unione Europea in materia di protezione ambientale? 5. Che cosa prevede il protocollo di Kyoto? Quali problemi accompagnano la sua applicazione? 6. Quali sono le principali associazioni ambientaliste? Quali scopi si propongono? 7. Che cosa è la valutazione di impatto ambientale? 8. Che importanza assume la cultura del riuso, della preparazione e del riciclaggio? 9. Che cosa si intende per “sviluppo sostenibile”? Quali aspetti riguarda? Quali modi di produzione e consumo sostenibili sono stati introdotti?

1. In che modo si può monitorare lo stato di salute del pianeta? 2. Quali contributi sono offerti dalla tecnologia aerospaziale? 3. Che cosa sono le sonde? Di quali strumenti sono muniti? A che scopo sono utilizzati? 4. Che cosa registrano i satelliti artificiali? Che cosa viene elaborato tramite i computer? Quali sono le funzioni pratiche dei satelliti artificiali? 5. In che contesto storico si sono specializzate le tecnologie aerospaziali?

righe per ognuna.

Sulla base delle informazioni ottenute, integrandole con quelle ricavabili dalla mappa concettuale dell’esercizio n. 5, scrivi un testo di almeno 10 righe dal titolo “La coscienza ecologica e lo sviluppo sostenibile”.



481

La discussione storiografica

Economia, ambiente, sostenibilità L

a questione ambientale si impone all’attenzione degli studiosi da almeno mezzo secolo, incrociandosi con la riflessione sulla crescita economica e sui suoi limiti. Nel 1972 un gruppo di studiosi del MIT (Massachusetts Institute of Technology), coordinato da Donella H. Meadows (1941-2001), pioniere delle scienze ambientali, pubblica una ricerca commissionata dal “Club di Roma” (che riunisce scienziati di fama internazionale) per disegnare le linee di tendenza della demografia, della produzione industriale, dei consumi energetici nel prossimo futuro. Il risultato è allarmante anche se, in un certo senso, ovvio: il mondo non è infinito, le sue risorse neppure; allo sviluppo è necessario porre un limite. I limiti dello sviluppo (Mondadori, 1972) è, appunto, il titolo del volume che condensa i dati elaborati dall’équipe americana. Vent’anni dopo, il tema è ormai nell’agenda delle principali istituzioni politiche mondiali: in vista della Conferenza dell’ONU su Ambiente e sviluppo, prevista a Rio de Janeiro nel 1992, un altro prestigioso osservatorio di ricerca americano, il Worldwatch Institute di Washington, elabora l’annuale rapporto sullo stato del pianeta, curato da Lester R. Brown, Christopher Flavin e Sandra Postel, intitolandolo Un pianeta da salvare (Franco Angeli, 1992). Il sottotitolo, Per un’economia globale compatibile con l’ambiente, pone con semplicità e chiarezza il problema: o si elabora un modello di sviluppo economico «compatibile con

l’ambiente» (è il concetto oggi espresso con l’aggettivo “sostenibile”) o presto dovremo fare i conti con l’esaurimento delle risorse energetiche e con il depauperamento globale della Terra. Attenzione, il tempo è poco, avvertono gli autori di questo studio: «Abbiamo a disposizione solo pochi, brevi anni per superare gli ostacoli politici, economici e sociali che si frappongono al reale progresso, per porre le basi di una società fondamentalmente migliore. Quando le tendenze del degrado ambientale e dell’approfondirsi della povertà, che si alimentano l’una con l’altra, si saranno consolidate, solo uno sforzo sovrumano potrà interrompere il circolo e invertirle». Ottimisti e pessimisti discutono, polemizzano. L’economista Emilio Gerelli (1929) ritiene di poter osservare un’inversione di tendenza nel rapporto uomo-natura, «una fase di cambiamento radicale» consistente nel «passaggio dalla società di produzione di massa a quella delle nuove tecnologie, tendenzialmente più favorevoli al risparmio delle risorse ambientali e materiali» (Società postindustriale e ambiente, Laterza, 1995). Più catastrofica l’immagine proposta dallo storico Piero Bevilacqua (1944), che intitola Il grande saccheggio un saggio del 2011 sul «capitalismo distruttivo», che «dissolve le strutture della società, cannibalizza gli strumenti della democrazia, desertifica il senso della vita», degradando al tempo stesso l’ambiente fisico e quello umano. La crisi che da alcuni anni (in particolare

dal 2008) ha investito il mondo industrializzato non è, a parere di alcuni studiosi, semplicemente un “momento difficile” come tanti altri ce ne sono stati in passato, ma forse un punto di svolta che richiede di mettere in discussione i princìpi su cui si basa il capitalismo industriale, l’idea della crescita come obiettivo da perseguire sempre e comunque, moltiplicando all’infinito uno sviluppo che contrasta le possibilità fisiologiche (oltre che economiche) di aumento dei consumi individuali, giunti, nei paesi sviluppati, a un livello ormai non più espandibile, mentre l’estensione del medesimo modello ai paesi emergenti rischia di far precipitare la catastrofe ambientale. Sempre più spesso, perciò, si sente oggi parlare di “decrescita”, un nuovo modello di sviluppo che non ponga a tutti i costi la crescita come obiettivo dell’economia, ma colga l’occasione della crisi per ridimensionare e ripensare l’intero sistema produttivo. Tra i maggiori teorici della «decrescita» si annovera l’economista e filosofo francese Serge Latouche (1940), autore di numerosi saggi dai titoli significativi: La scommessa della decrescita (Feltrinelli, 2007), Economia e decrescita (Datanews, 2007), Breve trattato sulla decrescita serena (Bollati Boringhieri, 2008), Come si esce dalla società dei consumi: corsi e percorsi della decrescita (Bollati Boringhieri, 2011). In ogni caso non c’è dubbio che sia questo il problema del futuro, anzi del futuro prossimo, talmente prossimo da sconfinare nel presente.

rico (che indaga i caratteri e le vicende delle società umane) deve necessariamente confrontarsi con studiosi di altre discipline, introducendo nuovi punti di

vista nelle sue riflessioni. L’economista americano Jeremy Rifkin (1945) sostiene che è scorretto misurare l’energia (e quindi i bisogni degli uomini e il

I testi I due testi che proponiamo sono opera, rispettivamente, di un economista e di un biologo. Quando oggetto della storia diventa l’ambiente, infatti, lo sto-

La discussione storiografica Economia, ambiente, sostenibilità

loro impatto sull’ambiente) con le leggi della meccanica statica, come sempre si è fatto in maniera più o meno esplicita, poiché sono le leggi della termodinamica (che studia gli effetti esercitati dal calore sulla materia, nonché la trasformazione del calore in energia meccanica e viceversa) a farci capire come funziona il rapporto fra economia e ambiente. Secondo queste leggi, non tutta l’energia può trasformarsi in lavoro, poiché essa in questo passaggio si modifica, diventando in parte non utilizzabile e dunque producendo scorie. Ne consegue che le attività umane necessariamente impoveriscono l’ambiente. Considerazioni di questo genere sono una sorta di dimostrazione scientifica della necessità di ridurre la produzione (di perseguire, direbbe Latouche, la «decrescita») giacché uno «sviluppo sostenibile» di fatto non può

esistere. Quella espressione, sembra dire Rifkin, è un ossimoro: ogni «sviluppo» genera depauperamento ambientale, portando «disordine» nel mondo. Il biologo Jared Diamond (1937) getta uno sguardo sulle società del passato, intendendole quasi come organismi biologici, per sostenere che nel corso dei secoli ogni «collasso di civiltà» è stato determinato, o almeno favorito da un impatto ambientale giunto a un livello critico di non-sostenibilità. In questa «teoria del collasso ambientale» Diamond individua otto modi ricorrenti di sfruttare eccessivamente l’ambiente, a cui, nella società contemporanea, se ne aggiungono altri quattro, legati alla maggiore potenza e invasività della nostra tecnologia rispetto a quella del passato. Proprio per questo, conclude Diamond, la tecnologia può rivelarsi

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un boomerang: noi, oggi, abbiamo una capacità di distruzione ambientale infinitamente maggiore, e il danno che possiamo fare all’ambiente può diventare totale. Sia Diamond sia Rifkin, che non sono storici, insistono sull’importanza di imparare dalla storia quali possono essere gli esiti dei comportamenti umani. È vero che ogni epoca è uguale solo a sé stessa, e che il rapporto con l’ambiente, se spiega molto, non spiega però tutto, perché alle catastrofi ecologiche si sovrappongono, con forza anche maggiore, le catastrofi causate direttamente dalla violenza degli uomini su altri uomini. Tuttavia non è inutile prendere atto che, a parere di entrambi gli studiosi, le società che sopravvivono meglio e più a lungo sono quelle che riescono a instaurare un rapporto più rispettoso con la natura.

Economia, ambiente, termodinamica Jeremy Rifkin

La teoria economica classica è fondata sulla fisica della meccanica newtoniana e non ha mai fatto i conti con le leggi della termodinamica. Mutuando da Newton il concetto per cui a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, economisti classici come Adam Smith e JeanBaptiste Say paragonavano il mercato a un meccanismo in cui domanda e offerta si equilibrano continuamente: se la domanda dei consumatori di un bene o di un servizio aumenta, i venditori aumentano il prezzo; se il prezzo aumenta troppo, la domanda diminuisce e i venditori sono costretti ad abbassarlo per stimolare i consumi. La medesima logica è applicata allo sfruttamento delle risorse naturali: se una risorsa comincia a scarseggiare, il suo prezzo aumenta, e questo incentiva i venditori a ricorrere a nuove tecnologie per sfruttare più efficientemente le poche risorse disponibili o per trovare risorse alternative. La base di risorse è considerata inesauribile e sempre disponibile, in qualche forma, al giusto prezzo. Per contro, l’entropia è considerata, ammesso che lo sia, esclusivamente come un epifenomeno [fenomeno secondario] dello scambio, del tutto marginale rispetto al vantaggio generale che se ne trae. Le leggi della termodinamica ci raccontano una storia molto diversa. L’attività economica consiste semplicemente nel prendere a prestito dall’ambiente input di energia a bassa entropia, per trasformarla in prodotti e servizi tem-

poranei che hanno un valore. Nel processo di trasformazione viene spesa e dispersa nell’ambiente più energia di quanta ne sia incorporata nel bene o nel servizio prodotto. Perfino i prodotti finiti e i servizi sono temporanei nella loro natura e, attraverso l’uso e il consumo, si dissipano o si disintegrano, tornando alla fine all’ambiente sotto forma di energia decaduta o di scoria. Ora, che conclusioni dobbiamo trarre a proposito del prodotto interno lordo (PIL)? Siamo tutti convinti che il PIL sia una misura della ricchezza generata da una nazione in un anno, ma da un punto di vista termodinamico si tratta, più verosimilmente, di una misura del valore dell’energia temporaneamente incorporata in beni e servizi prodotti, con conseguente diminuzione delle riserve energetiche disponibili e accumulo di scorie entropiche. Se, alla fine, anche i beni e i servizi che produciamo confluiscono nel flusso dell’entropia, il bilancio di quello che consideriamo il progresso economico non potrà che chiudere in rosso. In altre parole, nel momento in cui tutti gli elementi sono presi in considerazione, ogni civiltà finisce inevitabilmente per sottrarre all’ambiente più ordine di quanto riesca a crearne, impoverendo la terra per il semplice fatto di esistere. Le società che sopravvivono più a lungo sono quelle che si avvicinano maggiormente a una condizione di equilibrio fra le esigenze della natura e quelle dell’uomo, date

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Modulo 8 Nuovi scenari mondiali

le inevitabili restrizioni imposte dalla seconda legge della termodinamica. […] È un bilancio che non può mai essere in pareggio, a causa della penalizzazione energetica intrinseca al processo di trasformazione. Eppure, alcune società – soprattutto le piccole comunità di cacciatori-raccoglitori e quelle agricole fondate sul nucleo familiare allargato – si sono mantenute per tempi molto lunghi, prima di esaurire il proprio regime energetico. Le grandi civiltà della storia

umana hanno avuto meno successo. Osservare la loro ascesa e caduta attraverso la lente della termodinamica può essere di grande aiuto per chiarirsi le idee riguardo alla crisi con cui si sta confrontando il nostro sistema sociale, in progressivo avvicinamento allo spartiacque di un regime energetico fondato sullo sfruttamento dei combustibili fossili. J. Rifkin, Economia all’idrogeno, Milano 2002, pp. 59-64.

Ecocidio e suicidio ecologico Jared Diamond

Il fenomeno del crollo di una società è la forma estrema tra vari e meno gravi tipi di decadenza […]. In ogni civiltà si possono riscontrare fasi di ascesa e declino, […] ecco un primo elenco di civiltà che per generale consenso hanno avuto un crollo: gli anasazi e i cahokia nel territorio che oggi corrisponde agli Stati Uniti, i maya nell’America centrale, i moche e tiwanaku nel Sudamerica, la Grecia micenea e la Creta minoica in Europa, lo Zimbabwe in Africa, Angkor Wat e le città della cultura Harappa nella valle dell’Indo in Asia, e l’isola di Pasqua nel Pacifico. […] L’opinione prevalente su queste fini misteriose ne ha individuato l’origine, almeno in parte, in problemi di tipo ecologico, ovvero nei danni che le civiltà coinvolte hanno causato alle risorse naturali da cui dipendevano. Questo sospetto di suicidio ecologico non voluto, o ecocidio, ha trovato conferma in alcune scoperte effettuate negli ultimi decenni da archeologi, climatologi, storici, paleontologi e palinologi (cioè gli scienziati che studiano i pollini). Le pratiche attraverso cui le società passate hanno messo a rischio sé stesse, distruggendo il loro ambiente, rientrano in otto categorie, la cui rispettiva importanza varia da caso a caso: deforestazione e distruzione dell’habitat, gestione sbagliata del suolo (con conseguente erosione, salinizzazione e perdita di fertilità), cattiva gestione delle risorse idriche, eccesso di caccia, eccesso di pesca, introduzione di specie nuove, crescita della popolazione umana e aumento dell’impatto sul territorio di ogni singolo individuo. I crolli del passato seguono tutti, tendenzialmente, percorsi simili, tanto da sembrare variazioni su uno stesso tema. […] I problemi ambientali che ci troviamo ad affrontare oggi sono gli stessi otto pericoli che minacciarono le società del passato, con l’aggiunta di altri quattro: cambiamenti climatici dovuti a intervento umano, accumulo di sostanze chimiche tossiche nell’ambiente, carenza di risorse energetiche ed esaurimento della capacità fotosintetica della Terra. Si ritiene che la maggior parte di queste dodici minacce raggiungerà uno stadio critico, a livello planetario, entro i prossimi decenni: non ci resta che risolvere questi problemi prima di allora. […]

Si discute animatamente sulla gravità dei problemi ambientali odierni. I rischi sono molto esagerati oppure sottovalutati? Non è forse evidente che i sette miliardi di individui che compongono l’attuale popolazione umana, con la loro potente tecnologia moderna, stanno distruggendo l’ambiente a livello globale molto più rapidamente di quanto abbiano fatto i pochi milioni di persone del passato, che con i loro strumenti di pietra e di legno non potevano che agire a livello locale? La tecnologia moderna eliminerà tutti i nostri problemi o ne sta invece creando di nuovi più velocemente di quanto non possa risolvere quelli che già esistono? […] È evidente che la scomparsa delle gloriose civiltà antiche assume un significato molto più profondo di quello nascosto nel romantico mistero delle loro rovine. La caduta di questi popoli può forse fornire lezioni pratiche alle società del presente. […] Ci sono ovvie differenze tra il mondo moderno e l’antichità, così come tra i problemi di oggi e quelli di un tempo, e non siamo così ingenui da credere che lo studio del passato ci fornirà soluzioni semplici, direttamente trasferibili al presente. Oggi ci differenziamo dalle società del passato per certe caratteristiche che ci espongono a un rischio minore rispetto a quello affrontato dai nostri antenati; a questo proposito, tutti riconoscono i vantaggi della nostra potente tecnologia (ovvero, dei suoi lati benefici), della globalizzazione, della medicina moderna e della conoscenza della storia passata e dei suoi errori. Ma queste stesse caratteristiche ci espongono anche a dei rischi maggiori rispetto ai nostri antenati: la nostra potente tecnologia ha anche effetti (non intenzionalmente) distruttivi, la globalizzazione è tale che persino un disastro nella lontana Somalia si ripercuote sugli Stati Uniti e sull’Europa, la medicina moderna è essenzialmente per la sopravvivenza di milioni (e presto miliardi) di noi, ma ha anche determinato un enorme aumento della popolazione umana. Forse possiamo ancora imparare dal passato, ma soltanto se riflettiamo attentamente sul suo insegnamento. J. Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Torino 2005, pp. 5-10

Indice Memo e Parole Memo caste 423 dispotismo illuminato 360 Grande trasformazione 421

Impero ottomano 47 Impero zarista 375 migrazioni 463

Patto Atlantico 349 Patto di Varsavia 349 sciiti 320, 444

sunniti 320, 444

fondamentalismo 319 giudei 316 HIV 440 israeliani 316 israeliti 316 kamikaze 441 loggia massonica 390 maggioritario 395

menscevichi 74 populismo 96 Prodotto Interno Lordo 425 proporzionale 395 protettorato 48 pulizia etnica 369 reddito pro capite 422 sandinismo 304

sionismo 97 soviet 76 Terzo Mondo 311 Terzo Reich 169 Viet Nam 298

Parole AIDS 440 autarchia 152 ayatollah 319 bilancia commerciale 123 bolscevichi 74 ebrei 316 embargo 330 enciclica 13

Indice dei nomi I numeri in corsivo si riferiscono alle occorrenze in didascalia e in scheda.

A

Abdul-Hamid II, imperatore ottomano, 48. Abu Mazen, Mahmud Abbas noto, 446, 447. Adenauer, Konrad, 255, 257, 349. Agca, Ali Mehemet, 362. Agnelli, Giovanni, 33. Ahmadinejad, Mahmoud, 444. Al-Asad, Bashar, 449. Albertario, Davide, 22. Aldrin, Edwin, 476. Alessandro II, zar, 73, 74. Alfonsín, Raul, 304. Al-Jalil, Mustafà Abd, 449. Allende, Salvador, 304, 333. Al-Sadat, Anwar, 312. Al-Sistani, Ali, ayatollah, 444. Al-Zawahiri, Ayman, 442. Amendola, Giovanni, 130, 155. Andreotti, Giulio, 393. Andropov, Jurij, 360. Arafat, Yasser, 317, 317, 318, 445, 445, 446, 447. Arendt, Hannah, 189, 190. Armstrong, Neil, 476. Artusi, Pellegrino, 6. Asburgo-Este, Francesco Ferdinando, arciduca d’Austria, 46, 48. Asburgo-Lorena, Carlo I, imperatore d’Austria-Ungheria, 56, 63. Asburgo-Lorena, Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, 20, 48, 56. Attlee, Clement, 240, 253, 295. Aznar, José Maria, 353.

B

Badoglio, Pietro, 220, 221, 222. Bakiyev, Kurmanbek, 379. Bakunin, Michail, 12, 74. Baldini, Raffaele, 150. Baldovino I, re del Belgio, 315. Baldwin, Stanley, 107, 143. Balfour, Arthur James, 97. Barbousse, Henri, 54. Barraclough, Geoffrey, 341, 342. Barre, Siad, 314, 438. Barthes, Roland, 286, 288-289. Batista, Fulgencio, 95, 302, 303, 303. Bava Beccaris, Firoenzo, 22, 23. Begin, Menachem, 318.

Beltrame, Achille, 47. Ben Ali, Zine El-Abidine, 447. Ben Bella, Ahmed, 313. Bendjedid, Chadli, 313. Benedetto XV (Giacomo Della Chiesa), papa, 56. Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), papa, 362. Beneš, Eduard, 256. Berlinguer, Enrico, 391. Berlusconi, Silvio, 395, 396, 397. Bettiza, Enzo, 426-427. Beveridge, William, 253. Bevilacqua, Piero, 41, 42-43, 482. Biagi, Marco, 391, 392, 397. Bin Laden, Osama, 441, 442, 444. Bismarck, Otto von, 20, 171. Blair, Tony, 352. Bloch, Marc, 116, 200. Blum, Léon, 143. Bobbio, Norberto, 300, 403. Bocca, Giorgio, 235, 272. Bonomi, Ivanoe, 129, 225. Borbone, Juan Carlos di, re di Spagna, 353. Boris III, re di Bulgaria, 158. Borrelli, Saverio, 395. Borsellino, Paolo, 393. Bose, Subhas Chandra, 294. Boselli, Paolo, 52. Bottai, Giuseppe, 150. Boudiz, Sidi, 447. Boumédienne, Houari, 313. Bourke-White, Margaret, 138. Bouteflika, Abdelaziz, 449. Brandt, Willy, 350, 350. Breda, Ernesto, 4. Bresci, Gaetano, 23. Breznev, Leonid, 334-335, 360. Brown, Gordon, 352. Brown, Lester R., 482. Brutus, Dennis, 315. Brzezinski, Zbigniew K., 189. Bucharin, Nikolaj, 182. Burghiba, Habib, 313. Buruma, Ian, 342. Bush, George H.W., 333, 360, 380. Bush, George Jr, 380, 380, 443, 446.

C

Cadorna, Luigi, 52. 61, 64. Caetano, Marcelo, 353.

Calamandrei, Piero, 266. Calchi Novati, Gian Paolo, 342, 343. Calderón Hinojosa, Felipe, 428. Cameron, David, 352. Cammarano, Michele, 20. Camporesi, Piero, 6. Capa, Robert, 143. Cárdenas, Lázaro, 96. Cardoso, Fernando, 430. Carlos, John, 281. Carmona, Antonio Oscar, 158. Carol II, re di Romania, 158. Carter, Jimmy, 318, 332. Casaroli, Agostino, 156. Castro, Fidel, 280, 292, 302, 303, 303, 381, 430. Cavestro, Giordano, 222. Cavour, Camillo Benso, conte di, 5, 7, 8. Ceausescu, Nicolae, 367. ˇechov, Anton, 74, 376. C Cederna, Antonio, 253. Cempodonico, Angelo, 54-55. Cernenko, Konstantin, 360. Chamberlain, Neville, 143, 195. Chaplin, Charlie, 110, 245. Chavez, Hugo, 429-430, 429. Chiang Kai-shek, 91, 92, 93, 295. Chirac, Jacques, 351. Chou En-lai, 310. Churchill, Winston, 201, 224, 252. Ciampi, Carlo Azeglio, 396. Ciano, Galeazzo, 201, 202. Clemenceau, Georges, 54, 64. Clinton, Bill, 333, 369, 380, 445, 445. Colajanni, Napoleone, 23. Collins, Michael, 476. Colombo, Gherardo, 395. Coolidge, Calvin, 111. Coppino, Michele, 7, 8. Corti, Paola, 41. Cosola, Demetrio, 7. Costa, Andrea, 12. Craxi, Bettino, 156, 393, 393. Crispi, Francesco, 21-22. Croce, Benedetto, 36, 63, 235. Cvetkovic, Mirko, 369.

D

D’Alema, Massimo, 395. D’Annunzio, Gabriele, 50, 67, 125-126, 125, 127. D’Antona, Massimo, 391, 392. Da Bove, Lorenzo, 155. Dalai Lama (Tenzin Gyatso), 427, 427.

Indice dei nomi Dalla Chiesa, Carlo Alberto, 393. Darnton, Robert, 366. Davigo, Pier Camillo, 395. Dawes, Charles, 112. De Andreis, Luigi, 22. De Cristoforis, Tommaso, 21. De Felice, Renzo, 235. De Gasperi, Alcide, 130, 264, 265, 266, 268. De Gaulle, Charles, 200, 223, 254, 255, 255, 298, 350. De La Rua, Fernando, 430. De Nicola, Enrico, 266, 266. De Sica, Vittorio, 264. De Valera, Éamon, 108. De Viti De Marco, Antonio, 10, 10. Deng Xiao-ping, 425, 425, 426, 426. Depretis, Agostino, 6, 7-9, 7, 20, 21. Di Pietro, Antonio, 395. Di Rudinì, Antonio, 22. Diamond, Jared, 483, 484. Diaz, Armando, 61, 63. Díaz, Porfirio, 95. Dollfuss, Engelbert, 158. Dostojevskij, Fedor, 74, 376. Duarte, Eva detta Evita, 96, 96, 303. Dubcek, Alexander, 329, 329, 365. Dylan, Bob, 300.

E

Ebert, Friedrich, 109. Ehmsen, Heinrich, 103. Einstein, Albert, 169, 230, 278-279. Eisenhower, Dwight, 214, 223. Eisner, Will, 98. Ejzenštejn, Sergej, 74. Eltsin, Boris, 361, 375, 375, 377, 380. Erhard, Ludwig, 257, 349.

F

Facta, Luigi, 129. Falcone, Giovanni, 392, 392. Febvre, Lucien, 116. Ferdinando I di Bulgaria, 48. Fermi, Enrico, 230, 278. Fernández, Cristina, 430. Fisher, Herbert A., 52. Flavin, Christopher, 482. Ford, Gerald, 332. Ford, Henry, 110. Fortunato, Giustino, 33. Fox, Vicente, 428. Franco, Francisco, 157-158, 158, 173-174, 268, 353. Frank, Anna, 210. Frank, James, 169. Friedrich, Carl J., 189. Fumimaro, Konoe, 94. Fusco, Giancarlo, 214.

G

Gagarin, Yuri, 476.

Galli della Loggia, Ernesto, 236. Gallup, Georges, 412. Gambogi, Raffaello, 11. Gandhi, Indira, 294, 423. Gandhi, Karamchand noto Mahatma, 89-90, 89, 90, 293, 294, 295, 424. Gandhi, Raijv, 423. Gandhi, Sonia, 424. Garibaldi, Giuseppe, 21. Gasparri, Pietro, 156. Gentile, Giovanni, 154, 154. Gentiloni, Vincenzo Ottorino, 32. Gerelli, Emilio, 482. Geremek, Bronislaw, 117, 118-119. Ghannushi, Rachid, 447. Gheddafi, Muhammar, 313, 313, 448-449. Giolitti, Giovanni, 27-36, 27, 28, 36, 50, 126-127, 130. Giovanni IV, negus, 21. Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), papa, 170, 360, 362, 363, 363. Giovanni XXIII (Angelo Roncalli), papa, 282, 282. Giscard d’Estaing, Valery, 350. Glazunov, Ilja, 376. Göbbels, Joseph, 168. Gobetti, Piero, 155. Gogol, Nikolaj, 376. Gonzales, Felipe, 353. Gorbacˇëv, Michail, 360-361, 360, 361, 364, 368, 375, 380, 426. Göring, Hermann, 167, 168, 168. Gorkij, Maksim, 74. Gorrieri, Ermanno, 235. Gramsci, Antonio, 124, 155, 235. Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni), papa, 76. Guevara, Ernesto detto El Che, 302, 303. Gunder Frank, Andrè, 342.

H

Haber, Fritz, 169. Harding, Warren, 111. Hassan II, re del Marocco, 313, 449. Haushofer, Karl, 165. Havel, Vaclav, 365. Herriot, Édouard, 105. Himmler, Heinrich, 209. Hindenburg, Paul von, 54, 166. Hirohito, imperatore del Giappone, 230. Hitler, Adolf, 98, 165-172, 167, 168-169, 172, 173, 194, 195-201, 198, 199, 202, 207, 207, 209, 213, 221, 224, 226. Ho Chi Minh, 293, 298, 302. Hohenzollern, Guglielmo II, re di Germania, 47, 49, 63, 108. Hoover, Herbert, 111, 137. Horty, Miklós, 158. Höss, Rudolf, 210. Hu Jintao, 426. Huerta, Victoriano, 96. Hugo, Vistor, 348.

Husak, Gustav, 364. Hussein bin Ali, Sayyd, 97. Hussein, Saddam, 320-321, 321, 333, 443, 444. Huxley, Aldous, 474.

I, J

Irving, David, 212. Jacini, Stefano, 8, 9. Jaruzelski, Wojciech, 363. Jiang Zemin, 426. Jodl, Alfred, 207. Johnson, Lyndon B., 280, 299, 300, 332. Jospin, Lionel, 351.

K

Kabila, Joseph, 439. Kabila, Laurent-Désiré, 439. Kaczy´ski, Lech, 363. Kadar, Janos, 364. Kagame, Paul, 439. Kahlo, Frida, 184. Karagjorgjevic, Alessandro I, re di Jugoslavia, 158. Karimov, Islom, 379. Karzai, Hamid, 442. Keitel, Wilhelm, 207. Kemal, Mustafà, 68, 68. Kennedy, John F., 257, 279-280, 279, 280, 332. Kennedy, Robert, 281. Kerenskij, Aleksandr, 76, 77. Keynes, John Maynard, 140-141. Khomeini, Ruhollah, ayatollah, 319, 319, 320, 444. Kiesinger, Kurt Georg, 349. Kim Il-sung, 246. King, Martin Luther, 280, 281, 281. Kirchner, Nestor, 429, 430. Kirov, Sergej, 185. Klerk, Frederik de, 316, 440. Kohl, Helmut, 350, 350, 365. Koizumi, Junichiro, 422. Komorowski, Bronislaw, 363. Korda, Alberto, 302. Kornilov, Georgevic, 76. Kostunica, Vojislav, 369. Kruscev, Nikita, 276, 277-278, 277, 279, 279, 280, 280, 334. Kuliscioff, Anna, 12, 12. Kwa´niewski, Aleksander, 363.

L

Latouche, Serge, 482. Lawrence, Thomas Edward (Lawrence d’Arabia), 97. Le Bon, Gustave, 116, 117-118. Le Pen, Jean-Marie, 351. Ledbetter, Lilly, 457. Lenin, Vladimir Il´icˇ Ul´janov noto, 74, 76, 77, 77, 78, 80, 81, 92, 184.

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Indice dei nomi

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Lennon, John, 300. Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci), papa, 13, 13. Leopoldo II, re del Belgio, 315. Levi, Carlo, 172, Levi, Primo, 210. Liebknecht, Karl, 109. Liu Shaochi, 297. Lloyd George, David, 54, 64, 107. Ludendorff, Erich, 54. Lugo, Fernando, 430. Lumumba, Patrice, 315. Luxembourg, Rosa, 109. Luzzatti, Luigi, 33.

M

Mac Luhan, Marshall, 409. MacDonald, James Ramsay, 90, 107, 142143. Mack Smith, Denis, 152. MacMahon, Arthur, 97. Madero, Francisco, 95. Major, John, 352. Makeba, Miriam, 315. Malcolm X, Malcolm Little noto, 281. Mancini, Pasquale, 20. Mancioli, Corrado, 348. Mandela, Nelson, 440, 440. Mannheim, Karl, 117. Mao Tse-tung, 87, 91, 92, 93, 93, 295, 295, 296, 297, 302, 328, 425. Marcos, Ferdinand, 298. Marcos, subcomandante (identità incerta), 428, 428. Marcuse, Herbert, 328. Margalit, Avishai, 342. Marshall, George, 252. Martino, Gaetano, 255. Marx, Karl, 76, 77. Masaryk, Jan, 256. Matteotti, Giacomo, 130, 155. Mauro, Ezio, 403, 404. Mazowiecki, Tadeusz, 363. Mazzini, Giuseppe, 348. McCarthy, Joseph, 245, 245. Meadows, Donella H., 482. Medvedev, Dmitrij, 380, 381. Menelik II, negus, 21, 22, 22. Meném, Carlos, 304. Menghistu, Haylè, 437. Menotti Serrati, Giacinto, 124. Merkel, Angela, 366, 366. Metaxas, Ioannis, 158. Meyer, Henri, 21. Milosevic, Slobodan, 368, 369. Minghetti, Marco, 21. Minzoni, Giovanni, 155. Miró, Joan, 173. Mitterand, François, 332, 350. Mobutu Sese Seko, Marshal, 315, 439. Mohammed VI, re del Marocco, 449.

Molnár, Farkas, 109. Molotov, Vjacˇeslav, 198. Monti, Mario, 397. Morales, Evo, 429, 429. Morishima, Michio, 228. Moro, Aldo, 272, 391, 391. Mosaddek, Mohammed, 319. Mubarak, Hosni, 312, 447, 448. Mugabe, Robert, 316. Mussolini, Benito, 50, 52, 122, 126, 126, 129-130, 129, 149-155, 150, 152, 154, 156, 157, 167, 172, 172, 173, 196-197, 200, 202, 202, 220, 220, 221, 221, 222, 226.

N

Nagy, Imre, 278. Napolitano, Giorgio, 397. Nasser, Gamal Abd el, 311, 311, 312, 312, 317, 318. Natta, Giulio, 474. Nazarbaev, Nursultan, 379. Nehru, Jawaharlal, 293, 294, 294, 295, 311, 423. Nenni, Pietro, 155. Netanyahu, Benjamin, 446. Ngakame, Lionel, 315. Nicola II, zar, 75, 79, 98. Nitti, Francesco Saverio, 125, 126. Nixon, Richard, 300, 332, 333, 425. Noriega, Manuel, 333. Nyýazov, Saparmyrat, 379.

O

Obama, Barack, 381, 457. Oberdan, Guglielmo, 20. Obregón, Alvaro, 96. Olmert, Ehud, 447. Orbán, Viktor, 364. Orlando, Vittorio Emanuele, 61. Ortega y Gasset, José, 116-117. Ortega, Daniel, 304, 333, 429. Otunbayeva, Roza, 379.

P

Packard, Vance, 287, 288. Pankhurst, Emmeline, 107. Papandreou, George, 354. Papini, Giovanni, 51. Parri, Ferruccio, 155, 265. Pasolini, Pier Paolo, 272, 410. Pavelic, Ante, 158. Pavone, Claudio, 235, 236, 237. Pelloux, Luigi, 23. Peres, Shimon, 445. Perón, Juan Domingo, 96, 96, 303, 304. Pertini, Sandro, 155, 155. Pétain, Philippe, 200. Picasso, Pablo, 174, 246. Pieterson, Hector, 316.

Pilsudski, Jozef, 158. Pinochet, Augusto, 304. Pinsker, Leon, 97. Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), papa, 13. Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto), papa, 31. Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti), papa, 155, 155. Pirelli, Giovanni Battista, 10. Poincaré, Raymond, 106. Pol Pot, Saloth Sar noto, 301. Pompidou, Georges, 350. Postel, Sandra, 482. Procacci, Giuliano, 270, 272. Prodi, Romano, 395, 397. Putin, Vladimir, 380, 380.

R

Rabin, Itzhak, 445, 445. Rafsanjani, Akbar Hashemi, 444. Ragionieri, Ernesto, 235. Rahmonov, Emomalii, 379. Rajov, Mariano, 353. Rakosi, Matyas, 278, 278. Ramírez, Pedro, 96. Reagan, Ronald, 327, 332-333, 332, 334, 350, 360, 361, 380. Remarque, Erich Maria, 66. Reza Pahlavi, 319, scià, 319. Ribbentrop, Joachim von, 198. Rifkin, Jeremy, 482, 483-484. Rigoni Stern, Mario, 214. Rivera, Miguel Primo de, 157. Rodchenko, Aleksandr, 80. Rodriguez, Andrés, 304. Röhm, Ernst, 165, 168. Romein, Jan, 341. Rommel, Erwin, 202. Roosevelt, Franklin Delano, 136, 140-142, 141, 224, 227, 230, 252. Roosevelt, Theodore, 95. Rosenberg, Alfred, 165. Rosenberg, Ethel, 245. Rosenberg, Julius, 245. Rosselli, Carlo, 155, 155, 173. Rosselli, Nello, 155. Rossellini, Roberto, 264. Rousseff, Dilma, 430. Rublëv, Andrej, 376. Rust, Bernhard, 168-169.

S

Sacco, Nicola, 112, 112. Sadat, Anwar, 318. Salandra, Antonio, 52. Salazar, Antonio de Oliveira, 158, 268, 353. Salinas de Gortari, Carlos, 428. Salvadori, Massimo L., 403, 404, 405, 456. Salvadori, Riccardo, 30.

Indice dei nomi Salvatorelli, Luigi, 221, 235. Salvemini, Gaetano, 33, 36, 154, 155. Saragat, Giuseppe, 269. Sarkozy, Nicolas, 351. Sarocco, Giuseppe, 23. Savoia, Amedeo di, duca d’Aosta, 129. Savoia, Margherita di, regina d’Italia, 129. Savoia, Umberto I, re d’Italia, 20, 22. Savoia, Umberto II, re d’Italia, 266. Savoia, Vittorio Emanule II, re d’Italia, 20. Savoia, Vittorio Emanule III, re d’Italia, 23, 51, 129, 129, 220, 266. Schatchman, Max, 184. Schlegel, Friedrich, 348. Schmidt, Helmut, 350. Schröder, Gerhard, 366. Segni, Antonio, 255. Selassié, Hailé, re d’Etiopia, 202. Sella, Quintino, 21. Sen, Amartya, 424. Sharon, Ariel, 446. Shevardnadze, Eduard, 360. Shils, Edward, 117. Shiva, Vandana, 424. Shostakovicˇ, Dimitrij, 212. Silva, Luiz Inacio da, detto Lula, 429, 430. Singh, Manmohan, 424, 424. Smith, Adam, 141, 332. Smith, Tommie, 281. Solženicyn, Aleksandr, 185. Somoza, Anastasio, 95. Spadolini, Giovanni, 393. Stachanov, Aleksej, 181. Stakhievicˇ Orlov, Dmitrij noto Moor, 79. Stalin, Iosif Vissarionovicˇ Džugašvili noto, 77, 80, 81-, 81, 180, 181-185, 207, 224, 240, 246, 252, 256, 257, 277, 277, 278. Stimson, Henry L., 228. Stroessner, Alfredo, 303, 304.

Sturzo, Luigi, 13, 31, 64, 123, 155, 264. Suharto, Haji Mohammad, 298. Sukarno, Ahmed, 298. Sun Yat-sen, 91, 91, 93. Szilard, Leo, 230.

T

Talabani, Jalal, 321, 444. Tasca, Angelo, 127, 235. Taylor, Alan J., 50, 104. Taylor, Frederick, 110. Tejero, Antonio, 353. Terracini, Umberto, 155. Terzani, Tiziano, 444. Thabo Mbeki, 440. Thatcher, Margaret, 327, 332, 351, 352. Thomson, David, 244. Thyssen, Fritz, 166. Tito, Josip Broz noto, 253, 256, 256, 265, 311, 367. Toaff, Elio, 170. Todorov, Tzvetan, 189, 190-191. Togliatti, Palmiro, 36, 124, 225, 264, 269, 269. Tolstoj, Lev, 74, 376. Tomlinson, Ray, 414. Tranfaglia, Nicola, 235. Treves, Claudio, 50. Trotzkij, Lev Davidovicˇ Bronštejn noto, 74, 77, 78, 79, 81, 184, 185. Truman, Harry, 227, 228, 240. Turati, Filippo, 12, 12, 22, 61, 155, 155.

U, V

Ungaretti, Giuseppe, 54-55. Valsecchi, Pierluigi, 342, 343. Van der Wee, Herman, 287.

Vanzetti, Bartolomeo, 112, 112. Vargas, Getulio, 303. Vargas, Getulio, 96. Vertone, Saverio, 366. Vileda, Jorge Rafaél, 304, 351. Villa, Pancho, 95, 95. Visconti, Luchino, 265. Vo Nguyen Giap, 298. Volpe, Gioacchino, 41, 42. Von Paulus, Friedrich, 213.

W, Y

Walesa, Lech, 363, 363. Warburg, Heinrich, 169. Watson-Watt, Robert, 200. Wilson, Woodrow, 56, 64, 65, 88, 111. Wolf Ferrari, Teodoro, 32. Yamaguchi, Tsutomu, 228. Yuan Shi-kai, 91.

Z

Zagrebelsky, Gustavo, 403, 404. Zanardelli, Giuseppe, 21. Zapata, Emiliano, 95, 428. Zapatero, José Luis, 353. Ždanov, Andrej, 183. Zéroual, Liamine, 449. Ziegler, Jean, 460. Zivkov, Todor, 367. Zuma, Jacob, 440.

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