Troia, la Troade ed il Nord Egeo nelle tradizioni mitiche greche: Contributo alla ricostruzione della geografia mitica di una regione nella memoria culturale greca 3770561686, 9783770561681

Das Buch untersucht die mythischen Traditionen von Troia und der Troas in der Antike, um zu zeigen, wie das kulturelle G

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Troia, la Troade ed il Nord Egeo nelle tradizioni mitiche greche: Contributo alla ricostruzione della geografia mitica di una regione nella memoria culturale greca
 3770561686, 9783770561681

Table of contents :
TROIA, LA TROADEED IL NORD EGEO NELLE TRADIZIONI MITICHE GRECHE
Indice
Prefazione
Introduzione
1. Stato della ricerca
2. Il mito
3. La memoria comunicativa, la memoria culturale ed il ricordo fondante
4. I luoghi della memoria
5. I luoghi del sapere
6. Struttura e fini del lavoro
I Le tradizioni letterarie sull’origine di Troia e sul popolamento della Troade
1. La genesi di Ilio
2. La Troade nell’Alto Arcaismo tra Anatolia e Tracia
3. La genesi di Ilio in Diodoro
4. La testimonianza di Apollodoro
4a. La genesi di Ilio
4b. I regni di Ilo e di Laomedonte
4c. Il regno di Priamo
4d. La storia di Paride
5. Le tradizioni sui Teucri
5a. La tradizione autoctona
5b. La tradizione cretese
5c. La tradizione attica
5d. I Teucri a Cipro
5e. I Teucri nella realtà storica
6. Dardano ed i Dardani
6a. Diodoro e l’arrivo da Samotracia
6b. Dionigi di Alicarnasso e l’origine arcadica
6c. Mnasea ed Ellanico
6d. L’origine cretese di Dardano
6e. L’origine etrusca di Dardano
7. Le strutture temporali del mito: le tradizioni del popolamento di Creta, Rodi, Lesbo, Argo e Tebe a confronto
7a. Creta
7b. Rodi
7c. Lesbo
7d. Argo e l’Argolide
7e. Tebe
8. Conclusioni
Appendice 1: La geografia mitica dell’Egeo nelle tradizioni di popolamento di Creta, di Rodi e dell’Eubea
1. Creta
1a. Creta ed i Dattili
1b. Creta e gli dei
1c. Creta e gli eroi
1d. Le popolazioni storiche
2. Rodi
2a. La generazione dei Telchini
2b. Gli Eliadi e Cadmo
2c. Le vicende successive
3. Il Chersoneso rodio
4. I Cureti e l’Eubea
5. I Cureti: considerazioni di sintesi sulle tradizioni egee
Appendice 2: La protostoria mitica cretese
1. La geografia mitica di Creta e le fasi di popolamento
2. Le età di Idomeneo
3. Il culto di Idomeneo
3a. Cnosso
3b. Litto
3c. Festo
4. Gli Eteocretesi
5. I Cureti come fondatori di città
6. Conclusioni
II La Troade ed i suoi popoli: tra storia e mito
1. Le fasi di popolamento nelle tradizioni mitiche
2. Troia e la sua immagine nelle tradizioni locali greche
2a. Acusilao di Argo
2b. Ellanico di Lesbo
3. Troia e la Troade nella testimonianza di Strabone
3a. La geografia fisica
3b. La migrazione eolica
3c. I regni omerici
3d. Traci e altre popolazioni anelleniche in Troade
3e. I centri della Troade in Strabone
4. La geografia della Troade nel Catalogo delle navi
5. Dionigi di Alicarnasso
5a. La presa della città
5b. Il nuovo assetto della regione
5c. Il viaggio alla volta dell’Occidente
5d. I Troiani nel Lazio
5e. I Penati-Cabiri
6. Conclusioni
III I Fenici nel Nord Egeo
1. Le tradizioni letterarie sulla presenza dei Fenici nel Nord Egeo
2. I Phoinikes
3. I Fenici nell’Iliade
4. Le vie di contatto
5. I popoli fenici
6. Le rotte fenicie e le loro componenti etnico-culturali
7. Stratigrafia mitica delle tradizioni sui Fenici
8. Perché Tebe
9. I Fenici e l’origine della polis
10. I Fenici nell’Egeo settentrionale
11. Osservazioni in margine al “paesaggio fenicio” ed al paesaggio troiano
12. La genesi di Ilio secondo Platone ed il ruolo della montagna
13. Conclusioni
IV I Greci e gli altri
1. I Greci e la percezione del diverso in Asia Minore
2. Continuità e discontinuità nelle tradizioni e nella cultura della Troade postomerica
3. Arctino di Mileto
4. La tradizione logografica: Anassicrate, Conone, Ellanico
5. La continuità insediativa
6. Il problema dei Lidi
7. Acusilao di Argo
8. Sofocle
9. Menecrate di Xanto
10. Il caso di Scepsi e l’opera di Demetrio
11. I Dardanidi come realtà storica
12. Astianatte
13. Atene e la Troade
14. Troia: una discussione antica
15. Dissensi ed assensi: nota sulla storiografia sulla Troade e della Troade
16. Conclusioni
V Le tradizioni sui Cabiri nel Nord Egeo
1. I Cabiri e le collettività mitiche
2. Le tradizioni sui Cabiri
3. Le tradizioni fenicie
Filone di Biblo
4. I Cabiri di Lemno
5. I Cabiri di Samotracia
6. I Dattili ed i Cureti cretesi
6a. Eracle Dattilo
7. I Dattili Frigi e la Troade
8. Demetrio di Scepsi e la cretizzazione della Troade
9. Chi erano i Cabiri?
10. Dee in Arcadia, a Creta e nell’Egeo settentrionale
10a. I Grandi Dei in Arcadia
10b. Le Grandi Dee
11. Il motivo del paesaggio idaico
12. Conclusioni
Appendice: I Cureti e l’arte
VI La Troade ed i suoi monumenti
1. La Troade ed il paesaggio della memoria
2. I tumuli sepolcrali
3. I monumenti sepolcrali
3a. Monumenti sepolcrali all’interno di Troia
3b. Monumenti sepolcrali della piana di Troia
3c. Monumenti sepolcrali della regione
4. Gli edifici templari e le antichità troiane
4a. Il tempio di Atena e le antichità di Troia
4b. Antichità varie
4c. Il culto di Zeus herkeios
4d. Il tempio di Apollo
4e. Il culto di Enea
4f. Il culto di Ettore
4g. Achille
4h. Ganimede
4i. Il palazzo di Priamo
4j. Le mura di Troia
4k. Il tempio di Apollo Sminteo
5. Conclusioni
Conclusioni
Conclusions
Bibliografia
Indice dei nomi e delle cose notevoli
Indice degli autori, dei passi citati e delle fonti epigrafiche

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TROIA, LA TROADE ED IL NORD EGEO NELLE TRADIZIONI MITICHE GRECHE

MITTELMEERSTUDIEN

Herausgegeben von

Martin Baumeister, Mihran Dabag, Nikolas Jaspert und Achim Lichtenberger

BAND 16

Gian Franco Chiai

TROIA, LA TROADE ED IL NORD EGEO NELLE TRADIZIONI MITICHE GRECHE Contributo alla ricostruzione della geografia mitica di una regione nella memoria culturale greca

Wilhelm Fink | Ferdinand Schöningh

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar. Alle Rechte vorbehalten. Dieses Werk sowie einzelne Teile desselben sind urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung in anderen als den gesetzlich zugelassenen Fällen ist ohne vorherige schriftliche Zustimmung des Verlags nicht zulässig. © 2017 Ferdinand Schöningh, ein Imprint der Brill-Gruppe (Koninklijke Brill NV, Leiden, Niederlande; Brill USA Inc., Boston MA, USA; Brill Asia Pte Ltd, Singapore; Brill Deutschland GmbH, Paderborn, Deutschland) Internet: www.fink.de | www.schoeningh.de Einbandgestaltung: Evelyn Ziegler, München Printed in Germany Herstellung: Brill Deutschland GmbH, Paderborn ISBN 978-3-7705-6168-1 (Fink) ISBN 978-3-506-78654-8 (Schöningh)

Indice

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Stato della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il mito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La memoria comunicativa, la memoria culturale ed il ricordo fondante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. I luoghi della memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. I luoghi del sapere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Struttura e fini del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I Le tradizioni letterarie sull’origine di Troia e sul popolamento della Troade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. La genesi di Ilio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La Troade nell’Alto Arcaismo tra Anatolia e Tracia . . . . . . 3. La genesi di Ilio in Diodoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. La testimonianza di Apollodoro . . . . . . . . . . . . . . . . 4a. La genesi di Ilio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4b. I regni di Ilo e di Laomedonte . . . . . . . . . . . . . . . 4c. Il regno di Priamo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4d. La storia di Paride . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Le tradizioni sui Teucri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5a. La tradizione autoctona . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5b. La tradizione cretese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5c. La tradizione attica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5d. I Teucri a Cipro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5e. I Teucri nella realtà storica . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Dardano ed i Dardani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6a. Diodoro e l’arrivo da Samotracia . . . . . . . . . . . . . . 6b. Dionigi di Alicarnasso e l’origine arcadica . . . . . . . . . 6c. Mnasea ed Ellanico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6d. L’origine cretese di Dardano . . . . . . . . . . . . . . . . 6e. L’origine etrusca di Dardano . . . . . . . . . . . . . . . .

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INDICE

7. Le strutture temporali del mito: le tradizioni del popolamento di Creta, Rodi, Lesbo, Argo e Tebe a confronto . . . . . . . . 7a. Creta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7b. Rodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7c. Lesbo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7d. Argo e l’Argolide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7e. Tebe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Appendice 1: La geografia mitica dell’Egeo nelle tradizioni popolamento di Creta, di Rodi e dell’Eubea . . . . . . . . 1. Creta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1a. Creta ed i Dattili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1b. Creta e gli dei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1c. Creta e gli eroi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1d. Le popolazioni storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Rodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2a. La generazione dei Telchini . . . . . . . . . . . . . . . 2b. Gli Eliadi e Cadmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2c. Le vicende successive . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Il Chersoneso rodio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. I Cureti e l’Eubea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. I Cureti: considerazioni di sintesi sulle tradizioni egee . . .

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Appendice 2: La protostoria mitica cretese . . . . . . . . 1. La geografia mitica di Creta e le fasi di popolamento . 2. Le età di Idomeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Il culto di Idomeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . 3a. Cnosso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3b. Litto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3c. Festo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Gli Eteocretesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. I Cureti come fondatori di città . . . . . . . . . . . . 6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II La Troade ed i suoi popoli: tra storia e mito . . . . . . . 1. Le fasi di popolamento nelle tradizioni mitiche . . . 2. Troia e la sua immagine nelle tradizioni locali greche 2a. Acusilao di Argo . . . . . . . . . . . . . . . . . 2b. Ellanico di Lesbo . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Troia e la Troade nella testimonianza di Strabone . . 3a. La geografia fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . 3b. La migrazione eolica . . . . . . . . . . . . . . .

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3c. I regni omerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3d. Traci e altre popolazioni anelleniche in Troade . . . . . . 3e. I centri della Troade in Strabone . . . . . . . . . . . . . . 3e-1. Priapos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-2. Parion e Proconneso . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-3. Tereia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-4. Paisos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-5. Abido e la Dardania . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-6. Ilio e la sua veridicità storica . . . . . . . . . . . . . 3e-7. Dardano e gli altri centri . . . . . . . . . . . . . . . 3e-8. Ilio: menzogna o verità? . . . . . . . . . . . . . . . 3e-9. I Lelegi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-10. I Cilici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3e-11. Il tempio di Apollo Killaios e la città di Crise . . . . 4. La geografia della Troade nel Catalogo delle navi . . . . . . . . 5. Dionigi di Alicarnasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5a. La presa della città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5b. Il nuovo assetto della regione . . . . . . . . . . . . . . . . 5c. Il viaggio alla volta dell’Occidente . . . . . . . . . . . . . 5d. I Troiani nel Lazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5e. I Penati-Cabiri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III I Fenici nel Nord Egeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Le tradizioni letterarie sulla presenza dei Fenici nel Nord Egeo 2. I Phoinikes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. I Fenici nell’Iliade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Le vie di contatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. I popoli fenici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Le rotte fenicie e le loro componenti etnico-culturali . . . . . 7. Stratigrafia mitica delle tradizioni sui Fenici . . . . . . . . . . 8. Perché Tebe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9. I Fenici e l’origine della polis . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10. I Fenici nell’Egeo settentrionale . . . . . . . . . . . . . . . . . 11. Osservazioni in margine al “paesaggio fenicio” ed al paesaggio troiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12. La genesi di Ilio secondo Platone ed il ruolo della montagna . 13. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IV I Greci e gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. I Greci e la percezione del diverso in Asia Minore . . . . . . . 2. Continuità e discontinuità nelle tradizioni e nella cultura della Troade postomerica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Arctino di Mileto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La tradizione logografica: Anassicrate, Conone, Ellanico . . . La continuità insediativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il problema dei Lidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Acusilao di Argo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sofocle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Menecrate di Xanto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il caso di Scepsi e l’opera di Demetrio . . . . . . . . . . . . . . I Dardanidi come realtà storica . . . . . . . . . . . . . . . . . Astianatte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Atene e la Troade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Troia: una discussione antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dissensi ed assensi: nota sulla storiografia sulla Troade e della Troade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V Le tradizioni sui Cabiri nel Nord Egeo . . . . . . . . . . . . . . . 1. I Cabiri e le collettività mitiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Le tradizioni sui Cabiri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Le tradizioni fenicie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. I Cabiri di Lemno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. I Cabiri di Samotracia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. I Dattili ed i Cureti cretesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6a. Eracle Dattilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. I Dattili Frigi e la Troade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Demetrio di Scepsi e la cretizzazione della Troade . . . . . . . 9. Chi erano i Cabiri? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10. Dee in Arcadia, a Creta e nell’Egeo settentrionale . . . . . . . 10a. I Grandi Dei in Arcadia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10b.Le Grandi Dee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11. Il motivo del paesaggio idaico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Appendice: I Cureti e l’arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI La Troade ed i suoi monumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. La Troade ed il paesaggio della memoria . . . . . . . . . . . . 2. I tumuli sepolcrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. I monumenti sepolcrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3a. Monumenti sepolcrali all’interno di Troia . . . . . . . . . 3a-1. I sepolcri di Assaraco e di Ettore . . . . . . . . . . 3a-2. I sepolcri di Polissena e di Ganimede . . . . . . . . 3a-3. Cenotafio di Laomedonte . . . . . . . . . . . . . . 3b. Monumenti sepolcrali della piana di Troia . . . . . . . .

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INDICE

3b-1. Il sepolcro di Aisyetes . . . . . . . . . . 3b-2. Il sepolcro di Mirina . . . . . . . . . . . 3b-3. Il sepolcro di Ilos . . . . . . . . . . . . . 3b-4. Il sepolcro di Laomedonte . . . . . . . . 3b-5. Il sepolcro di Pentesilea e delle Amazzoni 3b-6. Il sepolcro di Euripilo . . . . . . . . . . 3b-7. Il sepolcro di Dardano . . . . . . . . . . 3b-8. I sepolcri di Cilla e di Munippo . . . . . 3b-9. Il sepolcro di Priamo . . . . . . . . . . . 3c. Monumenti sepolcrali della regione . . . . . . 3c-1. La tomba di Memnone . . . . . . . . . 3c-2. La tomba di Ecuba . . . . . . . . . . . . 3c-3. Il sepolcro di Ettore . . . . . . . . . . . 3c-4. La tomba di Aiace . . . . . . . . . . . . 3c-5. La tomba di Achille . . . . . . . . . . . 3c-6. La tomba di Paride . . . . . . . . . . . . 3c-7. Il sepolcro di Anchise . . . . . . . . . . 3c-8. Il sepolcro della sibilla Herophile a Crise 4. Gli edifici templari e le antichità troiane . . . . . . 4a. Il tempio di Atena e le antichità di Troia . . . . 4b. Antichità varie . . . . . . . . . . . . . . . . . 4c. Il culto di Zeus herkeios . . . . . . . . . . . . 4d. Il tempio di Apollo . . . . . . . . . . . . . . . 4e. Il culto di Enea . . . . . . . . . . . . . . . . . 4f. Il culto di Ettore . . . . . . . . . . . . . . . . 4g. Achille . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4h. Ganimede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4i. Il palazzo di Priamo . . . . . . . . . . . . . . . 4j. Le mura di Troia . . . . . . . . . . . . . . . . 4k. Il tempio di Apollo Sminteo . . . . . . . . . . 5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 Conclusions . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253 Indice dei nomi e delle cose notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297 Indice degli autori, dei passi citati e delle fonti epigrafiche . . . . . . . . 309

Prefazione

Il presente lavoro rappresenta la rielaborazione e l’ampliamento di una parte della mia tesi di dottorato in Storia Antica „Troia, la Troade ed il Nord Egeo: archeologia, storia e mito“, scritta sotto la direzione direzione del compianto Prof. Domenico Musti e discussa nell’ormai lontano 2002. La rielaborazione della seconda parte, inerente all’archeologia ed alla storia delle regioni dell’Egeo settentrionale nell’Alto Arcaismo è di prossima pubblicazione. La pubblicazione di questo lavoro, che chiuso in un cassetto avevo quasi dimenticato, non sarebbe stata possibile senza l’aiuto e l’incoraggiamento di diverse persone, che in questa sede ho il piacere di ricordare e di ringraziare. In primo luogo vanno menzionati i miei colleghi, ma soprattutto amici, Antonio Corso, Giorgio Ferri, Emanuela Calcaterra, Daniela Bonanno e Maria Luigia Dambrosio per aver assunto l’ingrato compito di leggere questo libro, liberandolo da molte pesantezze teutoniche, presenti nel testo. A loro devo anche preziosi consigli e indicazioni bibliografiche, che hanno contribuito a migliorare il contenuto. Un grazie va anche al Prof. Nicola Cusumano, per i suoi preziosi suggerimenti e incoraggiamenti a riprendere e pubblicare questo vecchio lavoro. Al Prof. Klaus Geus vanno i miei ringraziamenti per aver lasciato al suo assistente i tempi ed gli spazi per completare nel 2014 a Berlino la revisione di questo lavoro. Tra le altre persone che in questi anni mi sono state vicine, sostenendomi ed incoraggiandomi, ricordo Claudia Ciancaglini, Daniela kleine Burhoff, Orietta Cordovana, Anca Dan, Salvatore de Vincenzo ed Ekaterina Ilyushechkina. Un vivo ringraziamente va inoltre rivolto ai revisori anomini, che con le loro competenti e critiche osservazioni mi hanno aiutato a migliorare in molti punti il mio lavoro, ed al Prof. Achim Lichtenberger, per aver accettato di accogliere il libro in questa prestigiosa collana. Desidero poi ringraziare Bernd Lehnhoff per la professionalità e l’impegno non comune profuso nell’impaginazione del libro. Dedico infine questo libro alla memoria di mio padre, Giovanni Chiai, e a Claudia Kastl, mia paziente compagna per tanti anni. Berlino, Marzo 2016 Gian Franco Chiai

Introduzione

Questo libro si propone di analizzare le tradizioni attinenti a Troia, alla Troade e alle regioni dell’Egeo settentrionale, per rispondere alla domanda: chi erano i Troiani e come le loro origini e la loro storia erano raccontate e rappresentate nelle fonti letterarie? Considerato in una prospettiva storica, lo studio di queste tradizioni culturali permette anche di cogliere il modo con cui i Greci del periodo dell’Alto Arcaismo1 presero contatto con le popolazioni locali della regione, così come gli schemi e i filtri con i quali essi percepirono le alterità, le differenze, ma anche le analogie con la loro cultura, col loro essere Greci, con la loro identità. Come infatti vedremo, certe tradizioni, quali ad esempio quella della presenza dei Cureti e di un loro culto nella regione del monte Ida nella Troade, potevano essere funzionali a spiegare tutta una serie di elementi cultuali presenti in questi territori che mostravano analogie con l’antica Creta, tanto sul piano toponomastico di culto – l’oronimo Ida, connesso ad un culto montano – quanto a livello religioso, in questo caso in relazione al culto dei Cureti o Coribanti. Le scienze dell’antichità hanno ad esempio tentato di spiegare la presenza di tali analogie nei termini di persistenza di un comune sostrato culturale, convenzionalmente denominato “egeo”, che attraverso le ricerche archeologiche e linguistiche si riesce concretamente a cogliere. Per fare un esempio pratico, la cultura di Lemno appare in età arcaica ancora fortemente improntata su un modello di tipo “egeo”. Le decorazioni dei vasi mostrano forti affinità più con quelle della Creta minoica che con quelle in uso in età arcaica nell’area dell’Egeo settentrionale. In questo caso 1

In questo contesto uso il termine “Alto Arcaismo” nell’accezione culturale e cronologica indicata da Domenico Musti (Musti 1991, in part. p. 33): «La terminologia archeologica che distingue protogeometrico, geometrico, arcaico è in parte attinente alla ceramica, in parte di tipo storico. È difficile introdurre una nuova terminologia: ma, almeno sul piano della proposta teorica, andrebbe sostenuta l’opportunità di una definizione di “Alto Arcaismo” applicata ai secoli X–IX e prima metà dell’VIII, di “Medio Arcaismo” per quello che oggi è definito Alto Arcaismo (metà VIII–VII), per conservare quella di “Tardo Arcaismo” al secolo VI e a uno spicchio del V». Per un’applicazione di questa griglia cronologico-culturale allo studio delle tradizioni mitiche dei secoli bui cfr. Santucci 2010. Sulla necessità di una nuova seriazione cronologica sulla base di una ridefinizione dei fenomeni culturali dell’Alto Arcaismo cfr. osservazioni in Lemos 2002, 3–8, in relazione ai termini “submiceneo” e “protogeometrico”, nati soprattutto in rapporto alla catalogazione e datazione della ceramica.

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INTRODUZIONE

sin dagli anni Trenta, gli archeologi2 furono propensi ad ammettere la persistenza sull’isola di un forte sostrato “egeo”, eredità di un contatto con i palazzi minoicomicenei. Ora, quanto allora ipotizzato, si è in parte rivelato realtà: scavi archeologici recenti, infatti, hanno messo in luce sull’isola un insediamento miceneo di tipo emporico nell’antistante isoletta di Cuconissi3, inoltre, la decifrazione della Lineare B ha permesso di leggere sulle tavolette dell’archivio di Pilo, a sostegno dell’esistenza di tali rapporti, l’importante etnico raminja, che si riferisce a donne, forse profughe4, provenienti dall’isola, che si trovavano allora in Messenia e venivano impiegate nelle fabbriche palatine. Queste evidenze documentarie, che servono a chiarire in termini di continuità la presenza di elementi egei nella cultura materiale dell’isola ancora in età arcaica, aiutano a comprendere il motivo per cui un importante mito della grecità, quale quello degli Argonauti, fosse ambientato a Lemno, benché l’isola sino al momento della conquista ateniese del 510 a.C. fosse abitata da una popolazione anellenica.

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Stato della ricerca

Scrivere un libro sulle tradizioni mitiche della Troade rappresenta un’impresa difficile anche in quanto manca sinora un’opera che raccolga e commenti in maniera sistematica tutte le tradizioni greche e romane relative alla città di Priamo ed alla sua regione. Il libro di Antonio Aloni5 sulle tradizioni della Troade, edito nel 1986, che analizza molte delle tradizioni relative alla Troia post-omerica, ha il merito di mettere in evidenza l’importanza che, a livello locale (e non solo), le tradizioni relative alla continuità di popolamento dopo la caduta del regno di Priamo ebbero ai fini della formazione di un’identità culturale greca della regione in epoca storica. La nascita della Troade quale paesaggio letterario è stata indagata da Alessandra Trachsel6 nella sua monografia pubblicata nel 2007, senza considerare tuttavia i rapporti tra la genesi di queste tradizioni ed il contesto storicoarcheologico della regione in età arcaica. Lo stesso taglio prettamente letterario presenta l’importante libro di Elena Pallantza7, che si occupa della guerra di Troia nella letteratura greca dall’età arcaica sino al V sec. a.C. Il problema della storicità 2

Cfr. lo studio fondamentale di della Seta 1937; tra gli studi più recenti sulla cultura lemnia di età arcaica cfr. Messineo 1997; Beschi 1998a; Ficuciello 2010; ead. 2013 (con un’approfondita ricostruzione dei contesti archeologici). 3 Per quanto riguarda i materiali rinvenuti nel sito, la maggior parte dei quali si data al TE III A2 cfr. Boulotis, 1997, in particolare si segnala il rinvenimento di una statuetta a psi, che forse indicherebbe la presenza di una struttura religiosa nell’ambito di una comunità emporica; sull’argomento cfr. Boulotis 2009; id. 2010. 4 A riguardo cfr. le osservazioni di Sacconi 1985. 5 Aloni 1986. 6 Trachsel 2007. 7 Pallantza 2005.

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di Troia e della guerra di Troia è stato al centro di un acceso dibattito condotto, spesso con toni polemici, dagli archeologi dell’università di Tubinga, che negli ultimi venti anni hanno scavato nel sito di Troia, e dallo storico Frank Kolb8, che nella sua monografia pubblicata nel 2010 fa il punto della questione, criticando (e ridimensionando) molte delle ricostruzioni storiche proposte dai suoi colleghi preistorici. Il mio libro, che molto ha approfittato di questi lavori, non si propone di entrare nella questione inerente alla storicità della Troia omerica. Esso tenta piuttosto di indagare la genesi di queste tradizioni mitiche, poi tematizzate e fissate nel discorso letterario, ricostruirne la struttura in una griglia di coordinate mitico-temporali e mostrare come queste tradizioni ci permettano di cogliere il modo in cui la memoria storica greca, tramite il mito, avesse percepito, codificato e rappresentato la realtà storica di questi territori nell’epoca dell’Alto Arcaismo greco.

2.

Il mito

Il mito rappresentò per i Greci, soprattutto in età arcaica, una categoria mentale con cui pensare al passato, ma anche con cui percepire il presente, conferendogli una memoria fondante, come in particolare l’egittologo Jan Assmann ha mostrato nei suoi lavori. Si tratta in pratica di un mosaico, composto di tanti tasselli, che noi dobbiamo cercare di ricostruire e di riadattare per riavere una visione, seppure parziale, di un quadro andato perduto. I miti sono tradizioni di carattere collettivo9, legati a determinatati luoghi10, che a livello sociale possiedono un alto grado di polifunzionalità, fondando e spiegando l’identità e l’origine di un popolo, di un’istituzione (politica o religiosa), di un rituale11 etc. Il termine tradizione, usato spesso come sinonimo, oltre che come predicato, conferisce al mito prima di tutto una dimensione di tipo temporale: i miti rappresentano, infatti, racconti tradizionali12 tramandati (oralmente 8 9

Kolb 2010. La letteratura sul mito è immensa, in generale per una definizione cfr. Kirk 1970; Vernant 1978, 25–46; Burkert 1979; id. 1981; id. 1982; Veyne 1983; Burkert 1999; Graf 1985, 7–57; Bremmer 1996, 62–76; Kühr 2006, 15–35 (con un’ampia bibliografia). 10 La connessione a determinati luoghi differenzia per altro il mito dalla fiaba, che seppure inserita in una cornice paesaggistica (reame, foresta etc.), non è legata ad un luogo reale. Su questo tema cfr. Graf 1985, 12–14. 11 Sui legami tra mito e rituale cfr. Burkert 1979. 35–58; Bremmer 1996, 71–74. 12 A riguardo si possono ricordare le parole di Walter Burkert (Burkert 1982, p. 65): «Mythos als ‚angewandte Erzählung’, Erzählung als primäre Verbalisierung von überindividuellen, kollektiv wichtigen Aspekten der erfahrenen Wirklichkeit»; Burkert 1999, p. 12: «Mythos ist angewandte Erzählung, Erzählung als Verbalisierung komplexer, überindividueller, kollektiv wichtiger Gegebenheiten. In diesem Sinn ist Mythos begründend – ohne daß darum explizit von Urzeit die Rede sein muß – als ‚Charta‘ von Institutionen, Erläuterung von Ritua-

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INTRODUZIONE

o per iscritto) di generazione in generazione13. Questo implica che i miti possono essere anche considerati slegati dalla figura di un letterato o di un poeta, il quale ha fornito a essi una cornice narrativa, inquadrandoli in un genere letterario14. L’opera del letterato, sia esso uno storico o un poeta, può contribuire in maniera decisiva alla diffusione di un mito al di fuori dei confini della comunità. Si tratta di un’attività che le comunità cittadine promuovevano e finanziavano, come illustrato da un ricco patrimonio di testimonianze epigrafiche soprattutto per il periodo ellenistico-romano15. Da tali testimonianze si evince l’importanza che giocava l’elaborazione e la diffusione delle tradizioni mitiche di fondazione, celebranti le nobili origini greche di una polis specialmente in Asia Minore e nell’Oriente ellenistico, nell’ambito di quella che in ambiente accademico tedesco viene definita “Selbstdarstellung der Polis”16. Da questo punto di vista il mito, inteso come tradizione, assolve anche una funzione sociale, legittimando e spiegando l’esistenza o l’origine di una determinata comunità, di un’istituzione, di un rituale etc. Testimonianze epigrafiche attestano ad esempio l’uso di tradizioni mitiche (spesso contrastanti tra loro) quali argomenti di valore storico e giuridico nelle contese territoriali17; lo stesso Aristotele in un passo della Retorica (I, 15, 1375b) accenna all’uso di tali tradizioni, tramandate presso παλαιοὶ ποιηταὶ, quale argomento di valore giuridico nelle dispute territoriali tra comunità urbane18. Un altro importante elemento che caratterizza il mito riguarda la sua dimensione temporale posta al di fuori dei confini della storia: quanto narrato dai miti non è, infatti, verificabile di persona e si colloca al di fuori della dimensione temporale del saeculum, di cui si tratterà nel paragrafo successivo19. Tale diversità del tempo len, Präzedenzfall für Zaubersprüche, Entwurf von Familien- und Stammesansprüchen und überhaupt als wegweisende Orientierung in dieser und der jenseitiger Welt». 13 Tra le tante testimonianze si potrebbe ricordare un passo di Polibio (IV, 20, 8), in cui lo storico di Megalopoli narra che ancora ai suoi tempi i bambini in Arcadia imparavano a memoria e cantavano inni e poesie, nei quali si celebravano gli eroi e gli dei tradizionali. 14 Cfr. Graf 1985, p. 8: «Freilich ist der Mythos eine besondere Art Geschichte. Sie fällt nicht mit einem bestimmten Text und nicht mit einer bestimmten literarischen Gattung zusammen … Der Mythos ist nicht der aktuelle Dichtertext, sondern transzendiert ihn: er ist der Stoff, ein in großen Zügen festgelegter Handlungsablauf mit ebenso festen Personen, den der individuelle Dichter nur in Grenzen variieren kann». 15 Sull’argomento mi permetto per ulteriori riferimenti bibliografici di rimandare ad un mio recente lavoro Chiai 2013a. 16 Su questo fenomeno rimando in generale a Herrmann 1984. 17 Sull’argomento rimando ai seguenti documentati lavori di Chaniotis 2004a; id. 2008, 147– 165. Una lucida analisi dei documenti epigrafici in Jones 1999; Erskin 2002. 18 Il Filosofo menziona il caso degli Ateniesi, che usarono il testo di Omero nella contesa territoriale con Egina per rivendicare il possesso di Salamina. 19 In questo contesto possiamo ricordare le parole di Brelich 1958, p. 25: «Il mito è anzitutto un racconto che ha determinati caratteri di contenuto e di forma. Quanto al contenuto, il mito narra di eventi che presenta come svoltisi in un tempo antico, anteriore, generalmente, ai tempi di cui vive ancora il ricordo o di cui esiste una documentazione storica, ma soprattutto caratterizzato come diverso da quest’ultimo periodo; la diversità del mito si riflette nella di-

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mitico si riflette nella diversità dei personaggi che vi agiscono: nella cultura greca questi erano ad esempio dei ed eroi, che interagivano spesso direttamente tra loro. Gli eventi prodotti nel mito si differenziano poi da quelli della realtà quotidiana, per i quali essi in molti casi possono fungere da modello20. Quale esempio si potrebbe addurre l’uso presso i Greci di dedicare agli dei solo una parte della vittima sacrificata, così come aveva fatto Prometeo21. Il mito non è tuttavia solo il modello di un’azione da compiersi, ma rappresenta spesso esso stesso la fondazione di una situazione di fatto. Se il cielo e la terra sono due entità distinte, questo si deve, nella maggior parte dei miti di carattere cosmogonico all’intervento di un dio che ha separato i due elementi. Un ulteriore elemento che caratterizza l’universo mitico è la presenza di topoi narrativi, quali ad esempio: l’uccisione involontaria di un personaggio da parte di un altro; l’esposizione dell’infante, spesso di origine nobile o regale, salvato da una fiera e poi allevato da pastori etc.22 Si tratta di un elemento che accomuna il mito con la letteratura, che ugualmente funziona con topoi narrativi, e che nel caso della Grecia va studiato in relazione al carattere orale di gran parte della produzione poetica e letteraria dell’epoca arcaica23. La mitologia greca possiede caratteri differenti rispetto a quella delle religioni primitive24. I miti greci si conoscono, infatti, in forma sia scritta, tramandati in opere letterarie, che figurata (rappresentazioni vascolari, etc.). Questi testi, tuttavia, non sono stati redatti da un personale sacerdotale, come ad esempio nel caso delle mitologie ugaritica, ebraica, vedica etc., e neppure provengono da una determinata classe sociale. Essi sono stati prodotti da scrittori, poeti, drammaturgi, storici etc., i quali per altro si rivolgevano a pubblici differenti. Questo si riflette anche sul modo in cui i miti vengono trattati e presentati al pubblico: Pindaro, che usa un registro linguistico molto alto, si rivolge ad esempio ai maggiorenversità dei personaggi che vi agiscono, rispetto ai personaggi del tempo presente o comunque storico». 20 A tal riguardo possiamo ricordare le parole di Brelich 1958, p. 27: «la diversità dell’evento mitico dagli avvenimenti quotidiani consiste … unicamente nel fatto che lo stesso evento nel mito si produce per la prima volta, mentre nella realtà quotidiana esso avviene sul modello o per imitazione di quel primo accadimento.» 21 Sui miti greci relativi all’origine del sacrificio cfr. la documentazione raccolta in Rudhardt 1970. 22 Inutile aggiungere che tali topoi narrativi si ripetono non solo nell’ambito della mitologia greca, ma si ritrovano quasi identici anche nell’ambito di altre mitologie, quali quella vedica, egiziana, mesopotamica etc. 23 Su questo aspetto ci si soffermerà nelle pagine successive. Un utile quadro d’insieme sui topoi narrativi della mitologia greca in Brelich 1958, 295–307. Il Brelich sottolineava come i temi mitici siano da considerare delle astrazioni. La vicenda di Bellerofonte che uccide suo fratello poteva permetteva ad esempio di tematizzare il tema del fratricidio, punibile con l’esilio dalla comunità, etc. 24 Su questo tema rimando alle lucidi e sempre valide osservazioni di Brelich 1977. Sulle variazioni mitiche portate sulla scena dai tragediografi cfr. le osservazioni di Seidensticker 2005. Lo studioso propone usare il termine di “Mythenkorrektur” per designare le modificazioni del mito apportate dagli autori di letteratura.

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ti della città, mentre un filosofo tratterà e presenterà in maniera differente una tradizione mitica. La tematizzazione delle tradizioni mitiche locali greche nel discorso letterario ha fatto in modo che un grosso numero di narrazioni mitologiche (con relative varianti locali) potesse essere salvato e tramandato sino ai giorni nostri. Questo fa ad esempio la differenza con la mitologia egiziana, che conosciamo in parte grazie all’interesse che autori greci quali ad esempio Erodoto e Plutarco nutrirono per essa25. Se non fosse stato per tali autori, questa ci sarebbe in gran parte sconosciuta, sia in quanto non tematizzata in opere di carattere letterario, sia in quanto non tramandata nei testi di carattere rituale, i quali non narrano la mitologia di questa civiltà, ma la presuppongono. La Grecia non ci ha lasciato tuttavia un solo mito in un contesto rituale. Poeti ed artisti che in opere letterarie e figurative hanno tematizzato miti, lo hanno fatto dovendo obbedire a canoni letterari e solo in minima parte ispirandosi a criteri religiosi: tra il raccontare un mito in un contesto rituale e farne un’opera d’arte esiste una differenza sostanziale. Le rappresentazioni di una narrazione mitica sul palcoscenico dovevano infatti avvenire, ad esempio, secondo la famosa legge delle tre unità (di tempo, di luogo e di azione)26, mentre il mito originale può muoversi liberamente nel tempo e nello spazio. La tematizzazione dei miti nel discorso letterario ebbe come conseguenza anche la canonizzazione di determinate versioni del mito, legata al successo ed alla diffusione dell’opera letteraria, nella quale questo era tramandato. Non è un caso che Pindaro (Ol. I, 28) sottolineasse, in relazione alle diverse varianti di un mito, che solo una doveva essere quella giusta, mentre per le altre doveva trattarsi di invenzioni poetiche. La trattazione del mito nella letteratura ha anche fatto in modo che lo studioso moderno ha a che fare con una documentazione gigantesca, che quasi non ha pari con quella di altre culture, la quale, partendo da Omero ed arrivando all’epoca tardo antica (ma si potrebbe anche comprendere il periodo bizantino), abbraccia un arco cronologico di due millenni. In questo mare di testi si fatica a trovare un ordine ed una struttura delle singole vicende mitiche, rese ancor più complicate dalle innumerevoli varianti locali trasmesse. Un ulteriore elemento che caratterizza la narrazione mitica (non solo greca) è la sua stratificazione temporale: le vicende infatti possono svolgersi ed evolversi in un arco temporale molto ampio, coinvolgendo più generazioni. Ne sono un esempio le vicissitudini di Ulisse, che iniziano con la guerra di Troia, che dura un decennio, e che si protraggono per un altro decennio, coinvolgendo suo figlio Telemaco. A tal riguardo, va anche brevemente ricordato che la genealogia costituisce la struttura narrativa che permette di collegare il passato storico con quello mitico27, costruendo una continuità temporale ed in questo modo un 25

Cfr. l’utile opera di Merkelbach 1995; sull’argomento cfr. anche Hartog 1986; Assmann 2001; id. 2005. 26 Sull’argomento cfr. le sempre valide osservazioni di Brelich 1965. 27 Sul genere genealogico esiste un’ampia bibliografia, in generale cfr. osservazioni in Burkert 1981, 22–23. Va anche citata la lucida analisi di Cassola 1953; Brillante 1981; e i saggi raccolti

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ponte tra la storia (verificabile) e la memoria culturale, non verificabile, relativa al tempo in cui dei, eroi e uomini interagivano tra loro, creando con le loro azioni il passato mitico28. Accanto alla stratificazione temporale va anche ricordata l’estensione geografica dei miti greci, che riguardano non solo il continente greco, ma anche l’Anatolia, l’Africa, la lontana India, il Nord-Europa etc. Tutti territori con cui i Greci per ragioni storiche differenti ed in modi differenti entrarono in contatto. In questo caso, come vedremo meglio in seguito, il mito rappresentò, tra le altre cose, un’importante categoria (o strumento), con cui percepire e rappresentare l’alterità29. Va infine accennato il ruolo che l’accettazione e il riconoscimento del mito deve avere presso una comunità, affinché diventi elemento di coesione sociale: senza una tale accettazione non esisterebbe un passato mitico e con esso una memoria, determinante l’identità storica, culturale e religiosa della comunità. All’accettazione e all’uso che una comunità fa del mito si connette l’interpretazione del mito, inteso come rappresentazione producente identità, che Tonio Hölscher ha proposto in uno studio apparso nel 199930. Lo studioso, indagando il rapporto dei miti con il presente, distingue tra identificazione genealogica, identificazione locale e identificazione ideale31. Per identificazione genealogica s’intende l’uso di far risalire le proprie origini ad antenati mitici, che possono essere sia divinità che eroi, tanto a livello individuale – i re di Sparta e di Macedonia che affermavano di discendere da Eracle, oppure Augusto da Enea - quanto collettivo, come nel caso degli Ateniesi che dicevano di discendere da Cecrope ed Eretteo, o i Romani da Romolo. L’identificazione locale, che assume spesso un carattere eziologico, legava in un rapporto non necessariamente genealogico la figura di un eroe (o di una divinità) a un luogo in cui egli aveva soggiornato. Ne sono un esempio i luoghi di culto dedicati ad Agamennone ad Argo, a Menelao ed Elena a Sparta o ad Edipo ad Atene. L’identificazione ideale si ha, infine, quando una determinata figura mitica viene assunta come modello sulla base dei valori che essa rappresenta. In questo senso, Alessandro scelse Achille come suo modello ed Eracle assunse questa funzione per molti monarchi ellenistici. Tonio Hölscher giustamente sottolinea che queste figure eroiche rappresentavano dei paradigmi ideali, che il patrimonio mitico greco offriva a chi ne avesse avuto bisogno. Le tre categorie proposte non rappresentano, inoltre, degli schemi rigidi. in Melville – Rehberg 2004; sull’argomento cfr. anche il recente volume con un’aggiornata biblografia Renger – Toral-Niehoff 2014. 28 A riguardo si possono riportare le parole di Jan Assmann (Assmann 1992, p. 50): «Genealogie ist eine Form, den Sprung zwischen Gegenwart und Vergangenheit zu überbrücken und eine gegenwärtige Ordnung, einen gegenwärtigen Anspruch zu legitimieren, indem er naht- und bruchlos an Urspüngliches angeschlossen wird.» 29 A tal riguardo rimando alle utili osservazioni di Piccaluga 1982. 30 Hölscher 1999; lo studioso è poi tornato sull’argomento in Hölscher 2011. 31 Cfr. Hölscher 1999, 12–13: «I miti esprimono l’identità ponendo in rapporto specifico il mito e il presente. Tale processo può essere designato come ‘identificazione mitica’».

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INTRODUZIONE

Infatti, gli antenati genealogici possono essere degli eroi locali, legati al territorio, assolvendo allo stesso tempo anche una funzione esemplare. Augusto, ad esempio, rivendicò la propria discendenza da Enea, che al contempo poteva incarnare al meglio gli ideali di quella pietas tanto cara e preziosa per la propaganda e l’ideologia dell’epoca. Tanto l’identificazione genealogica che quella locale devono essere esplicitate in maniera univoca ed accettate a livello collettivo, diversamente da quella ideale, sempre strettamente legata alle esperienze del presente32. Tonio Hölscher usa come esempio le raffigurazioni di Ulisse nei vasi arcaici, dove la figura dell’eroe incarna quello spirito d’iniziativa avventuroso che caratterizza l’espansione coloniale greca. Questo rapporto del mito col presente si configura come implicito, in quanto le esperienze del presente conferiscono una nuova attualità al mito. Le peregrinazioni di Ulisse, infatti, canonizzate nella memoria mitica greca nell’Alto Arcaismo, rappresentavano un rimando ed un modello ideale per i viaggi di esplorazione in Occidente. Le rappresentazioni di Alessandro Magno con attributi di Eracle (elmo leonino) intendono invece stabilire un’identificazione esplicita tra l’eroe e il Macedone. Identificazione – che come detto, va inteso nei termini di produzione di un’identità – non significa tuttavia coincidenza: la storia di Eracle e quella di Alessandro, così come quella di Enea per Augusto, fungono da modello, ma si mantengono autonome e separate cronologicamente. Lo schema interpretativo elaborato da Tonio Hölscher è stato solo minimamente recepito nel mondo accademico. Questo sebbene, a mio avviso, esso abbia il merito di mostrare lucidamente come la creazione di un’identità collettiva tramite il mito avvenga quando una comunità (o anche un individuo) si identifica con determinati eventi e caratteri del passato mitico, operando una selezione, connessa a determinate circostanze storiche e culturali, nelle quali una data tradizione mitica può assumere attualità.

3. La memoria comunicativa, la memoria culturale ed il ricordo fondante Nel corso della presente ricerca si farà spesso ricorso a concetti dell’antropologia moderna, da tempo applicati al campo dell’antichistica. Iniziamo con la memoria comunicativa, che definisce un campo di esperienze relative a fatti vissuti, o di cui si può essere anche stati testimoni diretti nel corso della propria generazione33. 32 33

Cfr. Hölscher 1999, 13–15. Su questo concetto cfr. Assmann 1992, pp.ß 50–52: «Das kommunikative Gedächtnis umfaßt Erinnerungen, die sich auf die rezente Vergangenheit beziehen. Es sind die Erinnerungen, die der Mensch mit seinen Zeitgenossen teilt. Der typische Fall ist das GenerationenGedächtnis. Dieses Gedächtnis wächst der Gruppe historisch zu; es entsteht in der Zeit und vergeht mit ihr, genauer: mit seinen Trägern»; Walter 2004, 35–38 (che analizza le fonti

3. LA MEMORIA COMUNICATIVA

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In termini spazio-temporali questo concetto equivale a quello di saeculum: l’arco temporale in cui si trovano a convivere tre generazioni di persone, come anche Tacito attesta34 ricordando che, ancora ai suoi tempi, vivevano persone che erano state testimoni dirette del passaggio dalla Repubblica al Principato35. Si tratta di un sapere non specifico, i cui detentori sono persone comuni. Questo aspetto determina la differenza con la memoria culturale, la quale ha per oggetto le tradizioni culturali nelle quali una comunità riconosce (tramanda e custodisce) la propria identità36. Il sapere legato alla memoria culturale è detenuto in genere da personaggi non comuni, dalle caratteristiche particolari, che possiedono qualità che li contraddistinguono: ad essi compete per questo un ruolo di alto rango nella comunità di cui fanno parte. Quale esempio si potrebbe addurre la privilegiata posizione sociale di certi stregoni in villaggi indigeni dell’Africa, quali detentori del sapere e della storia delle origini del proprio popolo di appartenenza, sapere che è tramandato di generazione in generazione ad un parente stretto o ad un prescelto. Il sapere connesso alle due memorie differisce anche in termini di contenuti e di strutture temporali37. Mentre la memoria comunicativa ha, infatti, per oggetto le esperienze di un singolo, quella culturale è inerente al passato mitico ed alle origini. A livello di strutture temporali, mentre la prima può avere al massimo un orizzonte cronologico di 80–100 anni, la seconda non possiede delle precise barriere temporali, riferendosi alla preistoria mitica. Differenze si notano anche da un punto di vista formale. La memoria comunicativa, come indica il termine stesso, è nelle sue forme abbastanza informale e diretta, connessa generalmente ad un registro linguistico di non sofisticata elaborazione e di immediata comprensione. La memoria culturale è al contrario istituzionale, con un alto grado di formalizzazione, con un registro stilistico non semplice caratterizzato, ad esempio, relative al periodo della Roma republicana); Assmann 2008, 109–118; Erll 2011, 30–31. Cfr. Tac., Annales III, 75. Su questo passo cfr. Cancik-Lindemaier – Cancik 1987; osservazioni anche in Assmann 1992, 51. 35 Quale altro esempio si potrebbero addurre i due passi seguenti tratti dall’opera Rhetorica ad Herennium: (I, 13) historia est gesta res ab aetatis nostrae memoriae remota; (III, 4) Suadebimus quippiam, cuius rei gestae aut praesentem aut auditam memoriam poterimus habere; qua in re facile id, quod velimus, exemplo allato persuadere possumus. Cfr. osservazioni in Walter 2004, 35–36. 36 Su questo concetto cfr. Assmann 1992, 52–56; id. 2008; Erll 2011, 31–33. 37 Il possesso di determinate conoscenze determina, in termini sociologici, il ruolo di un individuo nell’ambito della società. Facendo un esempio concreto, dopo diversi anni di studio di medicina e di pratica negli ospedali si diventa medici: in questo caso le conoscenze e le esperienze acquisite hanno determinato il ruolo dell’individuo nella società. Per un’impostazione teorica dell’argomento cfr. Klein 1968, p. 17 sgg. Il possesso di “saperi” particolari, quali ad esempio quelli legati alla metallurgia, ancora oggi presso popolazioni indigene dell’Africa e della Nuova Guinea, determinano la posizione sociale di individui che vengono considerati alla stregua di stregoni. Sull’argomento cfr. le sempre valide osservazioni di Forbes 1964, 52–98, in cui si analizza lo stato degli artigiani nelle società antiche ed in quelle tribali dell’età moderna; tra gli studi più recenti che interessano l’antichità classica cfr. Blakely 2006.

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da un’elaborata ripetitività formulare38; essa è spesso legata ad una determinata festa o rituale, che contribuisce a conferirle un valore sacrale39. Un altro elemento importante che va considerato è quello della spazializzazione: esistono, infatti, dei luoghi della memoria, ai quali si legano le tradizioni culturali40. Si potrebbe a tal proposito pensare a certi luoghi totemici, quali montagne, sacre ancor oggi per popolazioni indigene dell’Africa. Questi concetti sono stati sviluppati soprattutto da Maurice Halbwachs con particolare riguardo alla topografia della Terra Santa41, la quale può essere considerata il mnemotopo per eccellenza. Un esempio concretamente adducibile, per quanto riguarda l’antichità classica, è quello del monte Ida. Si tratta di un oronimo che si ritrovava, identico, sia nella Troade che a Creta al quale, come si vedrà in seguito, si legavano analoghi elementi di caratterizzazione cultuale. La montagna cretese era considerata nelle tradizioni locali il luogo in cui Zeus, per volere di Rea, sarebbe stato nascosto, allevato e protetto dai Cureti, ministri del culto della dea42. La memoria culturale cretese legava a questo luogo il ricordo di fondazione di una festività e di un culto, nei quali la comunità dell’isola si riconosceva. In tal senso la montagna, con i suoi antri e le sue foreste, diventava un mnemotopo. Analoga situazione si ritrova nella Troade, dove al medesimo oronimo e ad un paesaggio analogo si legavano il culto della dea Cibele-Rea e dei Cureti, nonché la nascita stessa di Zeus, la quale veniva trasferita da Creta in Troade. Si ha anche in questo caso la creazione e l’elaborazione del mnemotopo mitico, contraddistinto dalle medesime caratteristiche di paesaggio e dalla presenza delle stesse divinità. Va inoltre aggiunto che tali analogie furono 38

Utili considerazioni applicabili a questo aspetto della memoria culturale si possono trovare nei lavori sulla lingua poetica indoeuropea di Schmitt 1968; tra gli altri studi cfr. in generale Campanile 1981; Lazzeroni 1994. 39 Cfr. osservazioni in Assmann 1992, 56–59. 40 Il concetto di luogo della memoria è divenuto famoso attraverso l’opera in sette volumi di Pierre Noras (1984–1992), cfr. Assmann 1999, 298–339; Erll 2011, 25–29; per l’antichità cfr. i diversi contributi nel volume miscellaneo Stein-Hölkeskamp – Hölkeskamp 2006; con un’ampia documentazione e bibliografia cfr. Hartmann 2010, 25–40. 41 Cfr. Halbwachs 1941, che riguarda lo studio della memoria collettiva dei Cristiani; l’autore dopo una ricognizione in Palestina, analizza nella sua evoluzione la localizzazione degli episodi della vita di Gesù. Nella sostanza la topografia leggendaria dei Vangeli avrebbe conosciuto tre fasi. Originariamente, ai tempi della formazione del Canone di questi testi, si sarebbe avuto un primo sistema di localizzazione, sulla base di ricordi giudaici preesistenti (memoria comunicativa). La seconda fase si sarebbe avuta in epoca costantiniana. La terza fase coincide con l’arrivo dei Crociati in Terra Santa. Le nuove localizzazioni avrebbero, secondo tale ricostruzione, obbedito a bisogni e a devozioni nati in Europa (ad esempio quello della via crucis di Cristo sul Calvario). I Pellegrini avrebbero voluto ritrovare e toccare con i loro sensi tutta l’iconografia religiosa delle cattedrali. Nel concreto lo studioso affermava una tesi mitologica delle origini cristiane, sulla base anche del fatto che in termini archeologici non si trovavano testimonianze autentiche, che testimonino del passaggio storico di Gesù in queste terre. Per una sintesi delle teorie di questo studioso cfr. Assmann 1992, 34–48; Marcel-Mucchielli 1999; Erll 2011, 16–21. 42 Su questa tradizione cfr. Diod. (V, 64)

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formalizzate e canonizzate nell’ambito delle tradizioni locali della Troade, come meglio vedremo in seguito, già in età arcaica. Un altro elemento da considerare nell’ambito della memoria culturale è quello della commemorazione dei morti43. Si potrebbe pensare al culto delle reliquie dei Santi, che caratterizza ancora oggi certi aspetti della religiosità cattolica44. Si tratta di un fenomeno già presente nelle società antiche45, le quali nel culto o nella commemorazione di un importante personaggio defunto potevano riconoscere o ricordare momenti della loro storia passata. Relativamente alla Grecia antica va menzionato il culto eroico46, del quale testimoniano non solo le fonti letterarie, ma anche l’archeologia, la quale ha messo in luce l’esistenza di offerte tributate in tombe di età micenea, che verosimilmente potevano rappresentare autentici reperti archeologici per un Greco del V sec. a.C. e che costituivano comunque strutture caratterizzanti il paesaggio sacro di un territorio. Un esempio concreto può venire dai tumuli della Troade, sepolcri collettivi o individuali, che spiccavano in un paesaggio pianeggiante47. La loro presenza va probabilmente ricondotta all’arrivo di nuovi gruppi etnici dai Balcani, i quali erano soliti seppellire i loro defunti in queste collinette artificiali. Si tratta di una consuetudine che trova diretta conferma in Erodoto (IV, 37), il quale descrive con ricchezza di particolari i rituali funebri dei Traci. La presenza di tali tumuli, stando alla testimonianza di Strabone48, era connessa all’esistenza del sepolcro di un eroe, che in genere era caduto ad Ilio, al quale si legava spesso un culto specifico ed una festività, caratterizzante e fondante l’identità cultuale delle comunità locali, come verrà mostrato nel sesto capitolo. A tali luoghi si legavano non solo tradizioni cultuali, ma anche il ricordo di determinati avvenimenti storici: abbiamo in questo caso una rilettura storica 43

Cfr. osservazioni in Assmann 1992, 60–63. Già Martin Nilsson (Nilsson 1967, p. 175) notava a proposito: «Die Ähnlichkeit des Heroenkults mit dem Heiligenkult der katholischen Kirche ist in der Tat sehr weitgehend und zeigt sich auch darin, dass das delphische Orakel einen neuen Heroenkult bestätigte, wie der Papst einen neuen Heiligen kanonisiert». Osservazioni in tal senso anche in Burkert 1977, p 393, che parla prudentemente di “strukturelle Verwandschaft“. 45 In particolare per l’antica Grecia cfr. Pfister 1909; sul culto dei morti nella Grecia arcaica cfr. il sempre valido lavoro di Andronikos 1968; con un’ampia documentazione ed un’aggiornata bibliografia cfr. Hartmann 2010, 264–393. 46 Sul culto eroico in Grecia si rimanda agli studi di Antonaccio 1994, 389–410; ead. 1995. Sull’argomento segnalo anche l’interessante studio di Thomas 1998, in cui attraverso la comparazione dei siti di Festo, Tirinto, Aghia Triada, Micene ed Atene, si mostra come sulle rovine dei palazzi micenei, visibili in epoca storica, venissero costruiti dei luoghi di culto a dimostrazione della sacralità di questi luoghi. Di particolare interesse è anche il fatto che tutti questi santuari siano dedicati a divinità femminili quali Era ed Atena. Tra gli studi più recenti sull’argomento cfr. Whitley 1995; Mazarakis Ainian 1999; Deoudi 1999; Boehringer 2001; von Mangoldt 2013. 47 Nella Troade si calcola la presenza di almeno quaranta tumuli, ventinove dei quali nel territorio circostante il sito di Troia, cfr. Aslan – Bieg 2003, in part. pp. 166–167. 48 Su questo tema rimando alla sezione di questo lavoro relativa alla costruzione mitica del paesaggio troiano.

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del paesaggio, sulla quale si fonda l’elaborazione delle tradizioni culturali delle popolazioni greche e di cultura greca che abitarono la regione. Altri interessanti paralleli si possono trovare nelle zone toccate dalla colonizzazione o dai viaggi di esplorazione dei coloni greci. A riguardo appare istruttiva la chiave di lettura in senso cretese delle tombe a tholos incontrate dai coloni rodio-cretesi nell’Agrigentino, le quali costituirono l’aggancio, o meglio ancora, la prova archeologica di un passaggio di Minosse in Sicilia49. Ancora in Sardegna possiamo ricordare le tradizioni mitiche che connettevano all’arrivo di Dedalo nell’isola la costruzione delle torri nuragiche, monumenti anch’essi che potevano suggerire un legame con analoghe costruzioni cretesi50. Tramite tali tradizioni mitiche i Greci poterono operare in un certo senso una grecizzazione del paesaggio archeologico che incontrarono nei territori da essi esplorati o colonizzati, giustificando anche a livello politico la presa di possesso del territorio, così come i conflitti con le popolazioni indigene. Interessante appare poi come questi nuovi miti, codificati molto probabilmente nel periodo di prima generazione dei coloni, fossero tutti connessi a cicli epici più antichi, in modo da costruire una sorta di continuità tra il tempo mitico e quello storico. Esemplari a tal proposito sono le molte tradizioni delle colonie greche in Italia ed in Sicilia, che si riallacciano al ciclo dei nostoi troiani51. Ancora, tramite il mito si poteva avere un controllo della storia, infatti, per dirla con le parole di Jan Assmann52: «Il passato non nasce spontaneamente ma è il risultato di una costruzione e rappresentazione culturale; esso viene sempre guidato da motivi, da attese, speranze e obiettivi specifici, ed è plasmato nel quadro di riferimento al presente». Si tratta nel complesso di una memoria di gruppo, che non ha alcuna base neuronale, ma che viene condizionata nella sua genesi e formazione da fatti legati all’ambiente, alla società ed alla cultura. Abbiamo precedentemente parlato di paesaggio e di riti. Proprio questi ultimi, soprattutto nell’ambito delle culture orali, garantiscono una riproduzione e circolazione del sapere. Tramite il rito e la festa53 si aveva, infatti, occasione di celebrare la memoria di un eroe, considerato magari l’ecista di una polis, rinnovandone la memoria e ricordando in tal modo a tutti i membri della comunità la storia delle loro origini: ripetizione della memoria culturale e ripetizione rituale possono in tal caso coincidere. Con l’avvento della scrittura e di forme di comunicazione legate al messaggio scritto la situazione può cambiare54. Il testo scritto di una data tradizione, 49 50 51

Su questo nucleo di tradizioni cfr. Musti 1988a; id. 1988–1989. Su questo nucleo di tradizioni cfr. in generale Nicosia 1981; Chiai 2001. Cfr. le osservazioni di Domenico Musti nell’introduzione a Musti 1988b. Su questo tema cfr. Dougherty 1993. 52 Cfr. Assmann 1992, 60. 53 Cfr. le osservazioni di Assmann 1991. 54 Su questo argomento cfr. il classico saggio di Havelock 1963; tra gli studi più recenti che affrontano questa tematica nel mondo antico cfr. i diversi contributi nel volume miscellaneo Gehrke-Möller 1996, in cui si affrontano problematiche legate appunto alla formazione e tradizione del ricordo nel mondo greco-romano e nell’Oriente antico; per quanto riguarda

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una volta fissato e canonizzato nei suoi contenuti essenziali, può, infatti, prestarsi a diverse interpretazioni. Inoltre, mentre nell’ambito delle tradizioni orali il potenziale di variazione di una tradizione resta in genere abbastanza limitato, con l’avvento della scrittura questo tende, invece, ad accrescersi. Nella sostanza, una tradizione, pur non cambiando nei contenuti generali, può tuttavia presentare varianti, che possono connettersi tanto alla volontà di un singolo, che a quelle della comunità. Si potrebbero ricordare, ad esempio, le complicate genealogie eroiche, che attribuiscono i natali di un eroe a questo o a quel dio, a questa o a quella regione. A tal proposito Pausania (IV, 33, 1) osservava l’impossibilità alla sua epoca di poter enumerare tutte le varianti mitiche locali relative alla nascita ed alla prima fanciullezza di Zeus, in quanto quasi ogni regione del mondo greco ne rivendicava i natali. Facendo un altro esempio concreto, si potrebbe pensare all’episodio del duello dei Sette a Tebe55, avvenuto presso le mura della città beotica. In questo caso il contenuto formale della tradizione non cambia: sette personaggi per vendicarsi marciano contro la città ed affrontano in duello i propri nemici. Cambia, tuttavia, il modo di rappresentare tali personaggi e di connotare l’immagine stessa del duello. Questo si lega, come è stato ben chiarito56, al modo in cui la cultura della polis percepisce il contenuto del mito ed in particolare il momento individuale del duello. La connotazione che troviamo espressa ad esempio nella tragedia eschilea di queste scene non è positiva: i duelli, quale simbolo di valore individuale, manifestato anche dalla presenza di semata sugli scudi dei contendenti, segni di distinzione e di appartenenza ad una casata, non potevano venir certo valutati positivamente dalla cultura che la polis esprime. Viceversa, se si leggono i poemi omerici, che più si avvicinano a un’ideologia aristocratica, i duelli vengono rappresentati con dovizia di particolari e vengono connotati positivamente: si tratta infatti di momenti in cui un eroe può dimostrare di fronte a tutti il proprio valore ed acquistare prestigio. In entrambi i casi, il concetto d’identificazione ideale, proposto da Tonio Hölscher, aiuta a comprendere e definire meglio questi fenomeni di uso del mito in relazione al presente. Per quanto riguarda, infine, l’identità collettiva, questa in genere si basa sulla partecipazione di più individui a un sapere e ad una memoria comuni. Essa si configura nel complesso come un processo attraverso il quale una data comunità dal l’ambito della legislazione, in cui la scrittura assume un ruolo particolare cfr. le osservazioni di Hölkeskamp 1994; sull’argomento con interessanti riflessioni sull’uso della scrittura in Creta arcaica segnalo anche Marginesu 2010, in part. p. 91 sgg. 55 Su questa tradizione e le sue varianti cfr. Kühr 2006, 134–156. 56 Mi riferisco ad una serie di osservazioni che il Prof. D. Musti ebbe modo di svolgere nell’ambito di un seminario avente per oggetto l’analisi di passi della tragedia eschilea dei “Sette a Tebe”, svoltosi a Roma nell’ a.a. 1996–97 nell’ambito di un corso monografico sull’Idea della polis, in parte riprese in Musti 2004, in part. pp. 273–274. Sul combattimento miceneo ed omerico mi limito qui a rimandare con un’ampia bibliografia al documentato contributo di Greco 2002; in generale sull’aspetto agonistico-guerriero dei miti eroici cfr. Brelich 1958, 90–94 ed allo studio monografico di Vonhoff 2008.

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suo interno si dà dei simboli esterni nei quali si riconosce. Questi possono essere legati tanto alla sfera della cultura materiale (vestiario, uso di una ceramica, etc.), che a quella delle tradizioni cultuali (feste, commemorazioni di defunti etc.). Per quanto riguarda i miti, per dirla ancora una volta con le parole di Jan Assmann57: «I miti hanno a che fare con l’identità: danno una risposta alla domanda su chi siamo “noi”, da dove veniamo e dove siamo collocati nel cosmo. Essi conservano le tradizioni sacre su cui un gruppo fonda la coscienza della propria unità e peculiarità». I miti, avendo inoltre un valore normativo, potevano improntare anche valori di vita. A riguardo è opportuno ricordare le considerazioni sviluppate in una serie di contributi dallo storico Hans-Johachim Gehrke il quale, in relazione al mito quale elemento costituente e costruente l’identità storica di un gruppo, usa il termine “storia intenzionale” (intentionale Geschichte), che egli prende in prestito dall’antropologia58. La storia intenzionale è la storia che, sulla base di una memoria collettiva o anche tramite una manipolazione delle tradizioni, un gruppo, un’etnia o uno stato si costruisce ed in cui riconosce le proprie origini. La storia intenzionale non ha bisogno di verosimiglianza o veridicità storica e neppure di riconoscimento dall’esterno: la sua nascita, esistenza e (in alcuni casi) sviluppo richiedono solo accettazione e cura da parte del gruppo, dell’etnia o dello stato che essa rappresenta ed a cui si riferisce.

4. I luoghi della memoria Il concetto di luogo della memoria si lega indissolubilmente alla monumentale opera in sette volumi, edita tra gli anni 1984–1992 da Pierre Nora59. Lo studioso francese riprende concettualmente la divisione tra storia e memoria operata da Maurice Halbwachs, considerando i due termini non come sinonimi o affini, ma piuttosto come tra loro opposti. Nella formula “lieux de mémoire” la parola “lieux” va intesa nel senso di loci, nell’accezione dell’antica mnemotecnica: essi evocano in questo caso le immagini del ricordo della nazione francese. In altre parole, con loci si intendono non solo i luoghi geografici, ma anche in un’accezione più ampia gli edifici, i monumenti, le opere d’arte, così come i personaggi storici, le festività, i testi letterari e filosofici etc. Versailles e la Tour Eiffel rappresentano luoghi della memoria, così come Giovanna d’Arco, la bandiera francese e la ricorrenza del 14 luglio. I luoghi della memoria non sono tuttavia in grado di costituire una memoria collettiva, nel senso inteso da Maurice Halbwachs, e nel 57

Cfr. (tradotto da) Assmann 1992, 111. Cfr. Gehrke 1994; id. 2001a; id. 2001b; da ultimo i diversi contributi in Foxhall – Gehrke – Luraghi 2010; utili osservazioni anche in Giangiulio 2010, 13–43, in relazione alle tradizioni ecistiche di epoca arcaica; id. 2011. 59 Cfr. Nora 1992. Per un riassunto delle sue teorie cfr. Erll 2011, 25–29. 58

5. I LUOGHI DEL SAPERE

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loro complesso costituiscono un insieme di elementi della cultura francese, che non producono tuttavia un quadro unitario del ricordo. Pierre Nora, che per altro rinuncia a fare una classificazione gerarchica di questi luoghi a seconda della loro importanza storica e culturale, enuncia tre criteri o meglio tre dimensioni di base, che ciascun luogo della memoria deve possedere per essere tale: 1. Dimensione temporale, da intendere in senso più ampio, non solo in riferimento alla materialità di oggetti quali libri e monumenti, ma anche alla dimensione temporale di avvenimenti del passato. 2. Dimensione funzionale, in quanto i luoghi della memoria devono poter assolvere nella società una funzione, come ad esempio un manuale di storia francese, dal quale gli studenti a scuola possono apprendere la storia della loro nazione. 3. Dimensione simbolica, che si riferisce a luoghi che in seguito a determinati avvenimenti storici o culturali assumono un valore simbolico. Questo accade tuttavia in seguito ad una volontà collettiva, che deve persistere affinché un dato luogo divenga un simbolo. I tre criteri sopra enunciati risultano tuttavia per molti versi abbastanza vaghi e imprecisi. Infatti ogni fenomeno culturale, sia esso materiale, sociale o mentale, è potenzialmente in grado di assurgere a ruolo di luogo della memoria, a patto che si lasci stabilire un rapporto con il passato o con l’identità nazionale. Quest’ultimo punto è stato ripreso ed approfondito successivamente da Aleida Assmann60 e da Patrick Schmidt61, i quali hanno distinto tra “Medien” e “Topoi” della memoria culturale, e con ciò mostrato come i “lieux de mémoire” di Pierre Nora siano intrinsecamente legati tra di loro. Nonostante queste ed altre critiche, l’opera dello studioso francese ha avuto il merito di aprire un ampio dibattito su questo concetto62, che ha investito anche l’ambito dell’antichistica, fornendo nuovi spunti di ricerca nello studio tanto dei testi classici quanto dei resti archeologici e della produzione artistica.

5.

I luoghi del sapere

Come per i luoghi della memoria, anche il concetto di luoghi del sapere si deve ad uno studioso francese, Christian Jacob, autore di due monumentali volumi che 60

Cfr. Assmann 1996. Cfr. Schmidt 2004. 62 Per l’ambito italiano possiamo ricordare i tre volumi curati da Mario Isnenghi (Isnenghi 1987–1997). 61

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INTRODUZIONE

portano il titolo programmatico di “Lieux de Savoir”63. Il sapere, inteso come campo di esperienza umana, possiede una dimensione spaziale, in cui esso si materializza ad esempio in un oggetto concreto (l’officina di un fabbro), si conserva (una biblioteca), si discute (la sala di conferenze in cui si tiene un convegno), si trasmette (iscrizioni, televisione, internet) etc. In tal senso l’espressione luoghi del sapere può riferirsi all’insieme dei luoghi e dei dispositivi in cui il sapere è prodotto, fissato, canonizzato e trasmesso. Anche questa categoria può essere applicata con risultati interessanti alle scienze dell’antichità. Un’iscrizione funeraria romana, posta davanti al sepolcro, può rappresentare da questo punto di vista (insieme al monumento tombale) un luogo del sapere: essa trasmette informazioni sul defunto (età, cursus honorum, stato civile etc.), preservandone la memoria tramite il suo supporto di pietra. Nel sesto capitolo del libro vedremo come questa categoria possa essere d’aiuto a comprendere meglio il significato storico e culturale dei monumenti della Troade, che rappresentavano il paesaggio mitico e sacro della regione.

6.

Struttura e fini del lavoro

Questo lavoro, come premesso, si propone di indagare il rapporto tra archeologia, storia e mito, in cui il mito è inteso come memoria culturale attraverso la quale un popolo costruisce la propria identità, percependo e costruendo il proprio passato. Il mito, infatti, nella sua struttura genealogica presenta una dimensione temporale che, in alcuni casi, permette di stabilire interessanti analogie e paralleli con la realtà e l’evoluzione storico-culturale del territorio in cui esso si situa. Partendo da questo presupposto, nel Cap. I, ho raccolto le tradizioni letterarie relative al popolamento della Troade e alla fondazione di Troia, mostrando come queste si inseriscano in un più ampio contesto di coordinate mitico-temporali, all’interno delle quali la fondazione di Ilio avviene in sincronia con quelle di Tebe e di Argo, riallacciandosi in tal modo all’arrivo di Cadmo in Grecia. Le tradizioni relative al popolamento di quest’area, pur nelle loro varianti locali, mostrano all’ unisono che nella memoria mitica greca la regione sarebbe stata occupata in due fasi successive. In una prima fase, denominata anatolica, si incontrano i Teucri, considerati nella maggior parte dei miti come autoctoni; in una seconda i Dardani, provenienti dalla Tracia, che si sovrappongono ai primi dopo aver sostato a Samotracia. Questi due popoli, ai quali si rapportano le dinastie fra loro imparentate di Priamo e dei Dardanidi, pur abitando pacificamente nella stessa regione vengono sempre percepiti come due realtà etniche differenti proprio per le loro diverse origini. In epoca più tarda la memoria mitica greca creerà per i Teucri un’origine cretese, probabilmente con l’intento di spiegare le analogie cultuali (culto 63

Jacob 2011.

6. STRUTTURA E FINI DEL LAVORO

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dei Cureti) e toponomastiche (presenza dell’oronimo Ida), che collegavano l’Egeo settentrionale a Creta. Tale stratificazione sembrerebbe trovare un interessante riscontro nella situazione storica della fine dell’età del Bronzo, in cui gruppi provenienti dai Balcani portatori della cosiddetta “Buckelkeramik” giungono nella Troade e, dopo appena una generazione, sembrano integrarsi nel contesto anatolico assimilandone la cultura locale. Successivamente, sono state raccolte e studiate le tradizioni relative ai Cureti nell’Egeo e a Creta, evidenziando come questi esseri semidivini, che appartengono alla generazione pre-eroica precedente alla fondazione della città, partendo da Creta, vadano a popolare Samotracia, l’Eubea, Rodi, e il Nord Egeo, facendosi portatori di un sapere legato alla lavorazione dei metalli e al culto della Madre degli dei, di cui sono i servitori. Anche in questo caso le tradizioni, pur nelle loro numerose varianti locali, mostrano come queste fasi di popolamento pre-cittadino avvengano nello stesso livello cronologico. Il Cap. II raccoglie e analizza le tradizioni successive relative all’immagine di Troia quale città greca. Esempio di questo tipo di analisi è lo studio della mancata recezione da parte di diverse città elleniche dello scadimento di Troia a rango di città barbara, o per meglio dire frigia, avvenuto ad Atene nel corso nel V sec. a.C. e dovuto principalmente alla propaganda antipersiana. Nelle testimonianze di Acusilao di Argo e di Ellanico di Lesbo relative ad Argo e a Lesbo, la città di Troia viene ancora considerata come una nobile polis greca, retta da una dinastia ellenica. Tramite l’analisi di Strabone viene ricostruita la geografia mitica della regione all’epoca del conflitto con gli Achei, quando il territorio era suddiviso fra numerose piccole dinastie locali, imparentate con la casata di Priamo e ad essa sottomesse. Un attento esame della testimonianza straboniana mostra la vitalità di tali tradizioni ancora in epoca augustea, quando queste piccole città andavano fiere delle loro origini troiane, come testimonia la storiografia locale (vedi in particolare l’opera di Demetrio di Scepsi). Partendo dal testo di Dionigi di Alicarnasso vengono poi indagate le numerose varianti locali relative al viaggio di Enea in Occidente e alle sue numerose tappe in Grecia, facendo brevemente cenno anche alle tradizioni secondo le quali i Dardanidi sarebbero rimasti nella Troade, succedendo ai Priamidi come signori della regione. Il Cap. III è dedicato all’analisi delle tradizioni mitiche relative all’arrivo e alla presenza dei Fenici nell’Egeo settentrionale. Riprendendo alcune considerazioni di Domenico Musti, la costruzione mitica realizzata da queste popolazioni sembra articolarsi in due momenti diversi. Vi è un primo livello preomerico e preurbano, che potremmo chiamare cadmeo, in cui si collocano l’arrivo di Cadmo a Samotracia, il suo matrimonio con Armonia e la fondazione (in contemporanea) di Tebe ed Ilio. In questo livello i Fenici sono visti come portatori di cultura e dell’idea di città. In tale quadro il passaggio di Cadmo a Samotracia, da cui arrivano poi i Dardani che, unendosi ai Teucri in Anatolia, fonderanno Troia, non appare essere casuale. Il secondo livello, quello omerico, vede uno scadimento

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INTRODUZIONE

culturale di queste popolazioni, viste come mercanti e pirati portatori di beni di lusso dall’Oriente. Non è forse un caso che nell’Iliade si dica che i Fenici sostino a Lemno: l’isola, infatti, governata dalla dinastia minia, si mantiene neutrale al conflitto e viene presentata con quelle caratteristiche di insularità aperta all’esterno, che realmente qualificano i centri emporici fondati e frequentati dalle genti fenicie in epoca arcaica. Il Cap. IV approfondisce lo studio delle varianti mitiche locali relative alla continuità insediativa della Troade in epoca post-omerica, analizzando il ruolo dei Dardani nelle tradizioni attestate sia nella storiografia locale che in altri autori come Conone ed Ellanico. Di particolare rilievo appare la presenza nella letteratura dell’epoca di un acceso dibattito storiografico relativo alla continuità insediativa nella regione, che sarebbe stata governata dapprima dalla dinastia dardanide, con la quale sarebbero poi venuti in contatto gli Eoli. Tali tradizioni mantengono la loro vitalità anche in epoca preellenistica, quando le dinastie locali traco-greche della regione sembrano voler valorizzare questo loro passato per sottolineare una continuità dinastica con i Dardanidi. Appare chiaro nel complesso che in una parte importante delle tradizioni della Troade e sulla Troade si credeva ad una continuità abitativa ellenica della regione. Questa, dopo la fine dei Priaminidi, sarebbe stata governata prima dai Dardanidi e poi sarebbe stata abitata dagli Eoli, giunti nella regione tre generazioni dopo la guerra contro gli Achei. Il Cap. V approfondisce le tradizioni relative ai Cabiri nell’Egeo settentrionale, distinguendovi una componente fenicia, una anatolica e una tracia. A tal riguardo vengono analizzate la complessa testimonianza di Filone di Biblo e le tradizioni locali relative al culto cabirico a Samotracia, Lemnos e Creta, evidenziando ancora una volta come tale insieme di tradizioni, pur nelle loro complicate varianti locali, si collochino all’interno di una griglia di coordinate cronologiche che forniscono al mito stesso una struttura temporale. Si ricostruisce poi quello che ho denominato paesaggio idaico, caratterizzato dalla presenza di una montagna e di una grotta, sacre ad una divinità femminile, servita ed adorata dai Cureti-Cabiri, i quali in seguito al sapere a loro trasmesso dalla dea, sapere in genere connesso alla lavorazione dei metalli, divengono più tardi loro stessi divinità. Si tratta di un paesaggio mitico che si riscontra non solo nell’Egeo settentrionale, ma anche a Creta e in Arcadia. Il Cap. VI è dedicato ai monumenti della Troade, che ancora in età storica sono attestati nella regione dalle fonti storico-letterarie. Tali artefatti rappresentavano la prova materiale della veridicità storica delle tradizioni troiane, contribuendo alla costruzione del paesaggio mitico e religioso della regione. La loro presenza, sebbene si tratti in gran parte di opere architettoniche di epoca più tarda, mostra l’importanza del paesaggio mitico troiano quale elemento d’identità culturale dei centri cittadini locali, che spesso si trovavano a competere con altri ben più importanti centri urbani della Grecia per l’ubicazione del sepolcro di qualche eroe. Particolarmente interessante è anche il modo in cui nelle tradizioni locali questi

6. STRUTTURA E FINI DEL LAVORO

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monumenti siano legati al territorio, alla sua fauna e ai resti archeologici di Ilio stessa, che all’epoca dell’arrivo dei coloni eolici nella regione, come le ricerche archeologiche dell’università di Tubinga hanno posto in rilievo, costituiva l’unico consistente centro urbano dell’area dotato di mura. Anche in questo caso i Greci dovettero chiedersi chi avesse costruito quella cinta muraria e da dove provenissero gli abitanti di Troia: la loro risposta assume la forma della narrazione mitica, attraverso la quale essi sono in grado di ripensare e costruire il passato della città e dell’intera regione.

Capitolo I Le tradizioni letterarie sull’origine di Troia e sul popolamento della Troade

1. La genesi di Ilio Quando inizia la storia di Troia64? O meglio, quando è stata fondata la città e da chi? A queste domande i Greci cercarono di dare una risposta tramite il mito. Quando i coloni eolici approdarono in Troade ed arrivarono a Troia65 si trovarono di fronte alle vestigia di un insediamento fortificato66 in un territorio non densamente abitato67. Certamente a questo punto dovettero interrogarsi su chi fossero i loro predecessori68. Carla Antonaccio69 nel suo prezioso lavoro ha raccolto un gran numero di testimonianze che, soprattutto sul piano archeologico, documentano come in molte regioni della Grecia le rovine dei siti micenei fossero ancora visibili e spesso fatte oggetto di culto, a partire dall’Alto Arcaismo 64

Non esiste ancora un’opera che raccolga in maniera completa tutte le tradizioni relative alla Troade; molta documentazione si trova in Aloni 1986, con interpretazioni storiche non sempre condivisibili. Utile il materiale raccolto in Cassola 1957a ed in Sakellariou 1958. 65 Per una ricostruzione archeologica di Troia nella fase VIII cfr. Hertel 2001, 81 sgg.; id. 2003; id. 2008, 125–137. 66 In questo contesto non voglio entrare sul problema di definizione di Troia come come città. L’evidenza archeologica mostra che si trattava di un insediamento fortificato di non grosse dimensioni, circondato da una cinta muraria. A Sud-Ovest dell’insediamento è stato scoperto un quartiere abitativo, sviluppatosi praticamente sulle pendici della rocca fortificata. Se da un lato l’importanza della Ilio storica va certamente ridimensionata (su questo rimando a Hertel – Kolb 2003), dall’altro va anche detto che nella Troade settentrionale questo insediamento doveva essere l’unico di un certa importanza. 67 In tal senso riprendo alcune argomentazioni di Gauer 1995, in part. pp. 530–534; lo studioso ha poi approfondito le sue riflessioni in Gauer 1997. 68 Sul modo in cui le vestigia archeologiche del passato potessero influenzare le ricostruzioni storiche dei Greci rimando in generale alla monografia di Boardman 2002. 69 Cfr. Antonaccio 1995 (utile per la raccolta del materiale è il secondo capitolo A Regional Survey of Tomb Cults, pp. 11–143); su questo tema cfr. anche il materiale raccolto e commentato da Boardman 2002, 44–78.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

sino all’Età Classica. Esempi analoghi sono stati studiati anche a Creta, dove molte rovine dei centri minoici si potevano ancora visitare in età storica70. A tali culti dovevano connettersi anche dei miti eziologici, finalizzati a spiegare il motivo della presenza sul luogo di quel determinato monumento, legandone la costruzione spesso al nome di un eroe o di una divinità. Si tratta di un processo ben documentato nell’ambito dello studio delle tradizioni popolari. Per fare un esempio pratico, si potrebbe pensare all’interpretazione che le genti della Sardegna hanno dato alle cosiddette tombe dei giganti, sepolcri collettivi di età nuragica, che la fantasia popolare ha interpretato come tombe di leggendari esseri giganteschi. Seguendo le categorie elaborate da Tonio Hölscher, queste tradizioni rappresentano un ottimo esempio d’identificazione locale, sulla quale verrà costruita, come poi vedremo,un’identificazione genealogica. Queste rovine assunsero, inoltre, il rango di mnemotopo, in quanto attestavano materialmente la presenza di una storia (o preistoria) e di una cultura preesistente nella Troade, con la quale i nuovi arrivati dovevano confrontarsi. Da questo punto di vista non meraviglia che la Troade, Creta ed il Peloponneso, le regioni del mondo greco più ricche di evidenze archeologiche, siano anche tra quelle più ricche di tradizioni mitiche. La Troade e il Peloponneso rappresentano inoltre i territori dai quali provenivano la maggior parte delle “ossa eroiche”, come ad esempio Francesco Neri ha sottolineato in un libro di recente pubblicazione71. Non stupisce da questo punto di vista, che gli Eoli nel creare per se stessi un’identità storica con l’elaborazione di tradizioni mitiche, avessero voluto dare un nome ai personaggi che avevano edificato quelle mura, le quali potevano richiamare alla mente ad esempio quelle ancora visibili di Tirinto o della rocca cadmea a Tebe: conseguenza di tali associazioni sono le evidenti connessioni mitiche.

2. La Troade nell’Alto Arcaismo tra Anatolia e Tracia La Troade che gli Eoli incontrarono al loro arrivo72 era una regione abitata da una popolazione mista traco-luvia (o traco-anatolica) con una cultura materiale 70 71 72

Cfr. le utili ricerche di Prent 2003; ead. 2005; in particolare su Cnosso cfr. Cucuzza 2012. Neri 2010. Per una ricostruzione del contesto storico ed archeologico della Troade e dell’Egeo settentrionale dal Tardo Bronzo all’Alto Arcaismo rimando al mio libro di prossima pubblicazione, Troia, la Troade e l’Egeo Settentrionale dalla fine dalla fine dell’Età del Bronzo all’Alto Arcaismo. Archeologia, storia e miti. Per una sintesi storica mi permetto di segnalare Chiai 2006, 276–290. Sui contesti archeologici rimando agli studi di Dieter Hertel, citati precedentemente. Per una ricostruzione della geografia linguistica della regione rimando in generale al documentato (benché tanto discusso) studio di Starke 1997. Tra gli studi successivi, che si cimentano anche con la problematica identificazione della Ilio omerica con la Wilusa, menzionata nei testi ittiti, mi limito a citare Hawkins 1998; Heinhold-Kramer 2004; Steiner 2007; id. 2011. Va poi citata la documentata ricostruzione storica di Kolb 2010, 87–150 con una discussione della bibliografia precedente. Da ultimo Rose 2014, 8–71,

2. LA TROADE NELL’ALTO ARCAISMO TRA ANATOLIA E TRACIA

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di matrice anatolica73. I numerosi toponimi di stampo tracio74, già riconosciuti come tali nell’antichità75, vanno verosimilmente ricondotti al periodo in cui, verso la fine dell’Età del Bronzo, gruppi provenienti dai Balcani, in due ondate migratorie, si stanziarono nella regione, portando con loro una cultura povera, caratterizzata da una ceramica denominata “Barbarian/Coarse Ware”, che fa la sua comparsa nella fase Troia VIIb1 e si trova attestata sino al Periodo di Troia VIII76. Il ruolo della Troade come terra di passaggio tra Oriente e Occidente sarà tematizzato secoli più tardi anche da Strabone (XII, 4, 4), il quale ha modo di notare che ancora ai suoi tempi gruppi di traci attraversavano i Dardanelli per andare ad abitare nella regione troiana, a testimonianza di una continuità di flussi migratori che persisteva ancora in epoca romana. A questo quadro multietnico e multiculturale andrebbero anche aggiunti gli elementi egei presenti nella cultura locale, dovuti ai rapporti commerciali e politici che la città di Troia intrattenne nel Tardo Bronzo con la Grecia micenea77, testimoniati ad esempio dalla produzione di una fine ceramica miceneizzante a cavallo del periodo VIg–VIh78, forse riconducibile alla presenza di artigiani o di una comunità micenea nella città in quest’epoca. Questa mistione etnica, anatolico-tracia, dovette essere percepita dai nuovi arrivati greci, che insediandosi nella regione ed entrando in contatto con le popolazioni indigene, dovettero codificare nelle tradizioni culturali questa realtà, creando una protostoria mitica che in una prospettiva di continuità grecizzava le origini di questi popoli, mettendone tuttavia al contempo in luce le diverse origini. Nei paragrafi successivi cercherò di dimostrare come il mito, attraverso le figure dei Teucri e dei Dardani e dei loro eroi eponimi, abbia codificato questa realtà etnica e culturale preesistente, integrandola nella protostoria greca. 73

A tal proposito cfr. il sempre prezioso studio di Bayne 2000, che sulla base della ceramica ricostruisce le culture locali dell’Egeo settentrionale. 74 Per una discussione di queste denominazioni di luogo cfr. Chiai 2006, 282–284, con bibliografia precedente; cfr. anche Gindin 1999, seppur con ricostruzioni storiche non sempre condivisibili. 75 Strabone (XIII, 1, 21) ad esempio, probabilmente riprendendo le analisi toponomastiche di Demetrio di Scepsi, descrivendo la geografia della regione aveva modo di accennare a tali corrispondenze con la Tracia in relazione a toponimi come Ebro, Arisbe etc. 76 Su questa ceramica ed in generale sulla cultura materiale di Troia e della Troade in questo periodo di passaggio cfr. Koppenhöfer 1997; Guzowska et al. 2003; Hänsel 2008, 57–92. 77 Sulla formazione di una koiné culturale egeo-anatolica rimando al documentato studio di Mountjoy 1998. 78 Su questa ceramica, a lungo considerata di importazione argolica, che le ricerche archeometriche hanno tuttavia mostrato essere di produzione locale cfr. Mountjoy 1997; Mommsen – Hertel – Mountjoy 2001; Mountjoy - Mommsen 2006. Attraverso un’analisi dei materiali d’importazione il compianto archeologo Manfred Korfmann aveva già sottolineato, in precedenza, il carattere multietnico ed emporico della città di Troia (Korfmann 1995). Per un quadro archeologico cfr. Koppenhöfer 2002.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

3.

La genesi di Ilio in Diodoro

Ma come nasce Troia nel mito? Diodoro (IV, 75) risponde a questa domanda inserendo in un excursus sulla genealogia di Pelope quella della casa regale di Troia79. Secondo questa tradizione il primo re della Troade sarebbe stato Teucro, figlio del fiume Scamandro e della Ninfa Idea, dal quale i popoli locali avrebbero tratto la denominazione di Teucri. Costui avrebbe avuto una figlia, Bateia, che sarebbe andata in sposa a Dardano, quando questi giunse da Samotracia nella Troade; da questa unione sarebbe nato Erittonio, personaggio del quale Omero80 ricordava le incredibili ricchezze; ad Erittonio sarebbe succeduto Tros, dal quale avrebbero preso nome i Troi, una popolazione che troviamo attestata successivamente in questi territori81. Tros avrebbe avuto tre figli, Ilo, Assaraco e Ganimede (quest’ultimo, ancora adolescente, rapito da Zeus). Ad Ilo sarebbe da attribuire la fondazione della città di Ilio, nella pianura dello Scamandro, il più illustre centro della Troade. Questi avrebbe avuto tre figli, Laomedonte, Titone e Priamo; di questi, Titone si sarebbe recato nel paese degli Etiopi a combattere, dove dall’unione con Eo nacque Memnone82, che successivamente troviamo tra gli alleati dei Troiani contro gli Achei; Laomedonte, dopo un periodo di reggenza sarebbe stato ucciso da Eracle e Priamo, infine, avrebbe regnato su Ilio fino alla sua distruzione. Da Tros la dinastia troiana si scinde poi in due casate. Assaraco, infatti, designato a regnare sui Dardani, avrebbe avuto un figlio, Capi, padre a sua volta di Anchise. La bipartizione della casata troiana è funzionale ai due centri, che nella tradizione mitica sono presentati come le due città più importanti della regione: Dardano e Troia. Entrambe le città, poste rispettivamente sulla costa e su di una pianura mesopotamica83, sono considerate nella tradizione come i due più antichi centri urbani di questo territorio e talvolta vengono considerate essere la medesima città. Queste tradizioni sono inserite da Diodoro nella narrazione della protostoria mitica di Samotracia, in cui si racconta che, in seguito al terribile cataclisma che avrebbe sconvolto il mondo, la civiltà umana avrebbe continuato a sopravvivere nelle zone di montagna e nelle isole, in particolar modo a Samotracia, dove regnava Elettra, di stirpe divina, madre di Dardano, Giasone e di Armonia. Dei suoi tre figli, Dardano, dopo il matrimonio della sorella, si sarebbe recato in Troade, dove, accolto da Teucro, ne avrebbe condiviso la regalità sposando la figlia 79

Cfr. le note di commento di Mariotta – Magnelli 2012, 267–269; osservazioni su queste tradizioni anche in Prinz 1979, 66–70, 187–205 (su Samotracia). 80 Cfr. Hom. (Il. XX, 220–221). 81 Cfr. Strab. (XII, 4, 4). 82 Su questo eroe cfr. il recente studio di Brunori 2007. 83 Sul paesaggio troiano cfr. Musti 1981a.

4. LA TESTIMONIANZA DI APOLLODORO

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e ricevendo una parte del regno. Qui egli avrebbe fondato la città di Dardano, successivamente chiamata Troia, divenendo eponimo dei Dardani. Giasone, invece, avrebbe sposato Cibele, dalla quale avrebbe avuto un figlio Coribante, col quale, emigrato in Asia, avrebbe professato la religione misterica, introducendo il culto dei Cabiri e della Dea Madre in Troade. Armonia, infine, unitasi in nozze a Cadmo giunto a Samotracia alla ricerca di Europa, si sarebbe recata poi con lui in Beozia a fondare Tebe. Il nucleo mitico, come si vede, nella sostanza resta invariato. Il popolamento della Troade è rappresentato come avvenuto in due fasi. Abbiamo la coscienza della presenza di un forte sostrato locale anatolico, riferito alla figura di Teucro, eponimo dei Teucri, ed autoctono, il quale non a caso viene considerato figlio di Scamandro e di Idea, esseri divini dai quali traggono i nomi rispettivamente il fiume e la montagna più importanti della regione. Dardano rappresenta, invece, l’elemento venuto dall’esterno, da Samotracia, culturalmente legata al mondo tracio. Interessante appare anche la sovrapposizione dei due centri di Dardano e di Troia, sovrapposizione che serviva ad anticipare di almeno due generazioni la fondazione di Ilio, collegandola direttamente alla venuta di Dardano nella regione e rendendola contemporanea alla fondazione della rocca Cadmea, il fulcro della futura Tebe, avvenuta per opera di Cadmo. Tale stratificazione sembrerebbe trovare un interessante riscontro nella situazione storica della fine dell’età del Bronzo, in cui gruppi provenienti dai Balcani giungono nella Troade e, dopo appena una generazione, come prima detto, sembrano integrarsi nel contesto locale assimilandone la cultura di matrice anatolica. Non mi sembra, infatti, casuale che questa stratigrafia mitica corrisponda a quella storica, che l’archeologia ha ricostruito per la Troade del Tardo Bronzo.

4. La testimonianza di Apollodoro Passiamo ora ad analizzare la testimonianza di Apollodoro (III, 12, 3-6), il quale nella Biblioteca fornisce una precisa descrizione della protostoria mitica della Troade, che, seppur breve, è molto ricca di particolari. Anche se forse superfluo, va in questa sede ricordato che l’autore della “Biblioteca Mitica”, databile probabilmente tra il I ed il II sec. d.C., va tenuto separato dal grammatico Apollodoro di Atene, vissuto nel II sec. a.C., autore di un’opera di riassetto e compendio della mitologia greca e di un ricco commento al catalogo delle navi omerico, utilizzato come fonte sia da Demetrio di Scepsi che da Strabone, come vedremo più avanti. Non è comunque da escludere che le informazioni che l’autore della “Biblioteca Mitica” ci trasmette siano state attinte da Apollodoro di Atene.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

4a. La genesi di Ilio Seguendo la versione canonica, il Mitografo collega il passato mitico della regione a Samotracia tramite la figura di Dardano. Questi, figlio di Elettra e di Zeus, dopo la morte del fratello, fulminato da Zeus per aver tentato di sedurre Demetra, avrebbe abbandonato Samotracia per recarsi nella Troade, dove regnava Teucro, figlio del fiume Scamandro e della ninfa Idea. L’autoctonia di Teucro viene anche in questo caso espressa attraverso una costruzione genealogica, che lega questo sovrano al fiume più importante ed alla montagna più alta del territorio: lo Scamandro ed il massiccio dell’Ida. Teucro è inoltre anche l’eponimo dei Teucri e della regione, che da lui prendeva il nome di Teucria. In questo caso, usando le categorie proposte da Tonio Hölscher per l’interpretazione del mito, l’identificazione genealogica coincide con quella locale. Dardano, accolto da Teucro, avrebbe preso in sposa sua figlia Bateia, condividendo in questo modo la regalità, e fondato la città di Dardano. Successivamente, dopo la morte di Teucro, tutta quanta la regione si sarebbe chiamata Dardania. Questa versione del mito, pur rispettando l’anteriorità canonica dei Teucri, mette in primo piano la figura di Dardano e fa di Dardano la più antica città della Troade. Bateia, la sposa di Dardano, è a sua volta l’eroina eponima di una località della Troade84. Dardano e Bateia avrebbero avuto due figli, Ilos ed Erittonio85, il primo dei quali sarebbe morto senza figli, mentre il secondo, asceso al trono, avrebbe sposato Astioche86, figlia del dio del fiume Simoenta, dalla quale avrebbe avuto un figlio Tros, eponimo della Troade e di Troia. Questa tradizione ci trasmette un altro esempio d’identificazione locale e genealogica, che permette inoltre di ricostruire un’interessante stratigrafia delle denominazioni mitiche della regione: Teucria, Dardania ed infine Troade. Va poi sottolineata la discendenza di Astioche dal dio del fiume Simoenta, che scorreva nella piana di Troia. Tale discendenza sembra ancora una volta mettere l’accento sull’autoctonia di questi personaggi mitici. Tros, ereditato lo scettro regale, avrebbe ribattezzato il nome della regione in Troade ed avrebbe sposato Calliroe, figlia del dio del fiume Scamandro. Anche in questo caso abbiamo la discendenza di una regina troiana da una divinità fluviale, segno dell’importanza di questi corsi d’acqua nella regione. Tros e Calliroe ebbero una figlia, di nome Cleopatra, e tre 84

Stessa versione si legge anche presso Stefano di Bisanzio (s.v. Δάρδανος), che cita il testo dello storico Mnasea, secondo il quale Dardano da Samotracia sarebbe giunto nella Teucria, dove sarebbe stato accolto da Teucro, il quale gli avrebbe concesso di sposare sua figlia Bateia e di fondare una città a lui omonima. Dopo la morte di Teucro, Dardano avrebbe ereditato il suo trono e cambiato il nome della regione in Dardania. La medesima versione si legge anche in un frammento di Conone (FGrHist 26, F XXI). Entrambe queste tradizioni saranno prese in esame nelle pagine successive. 85 Dionigi di Alicarnasso (I, 50, 3) affermava che i nomi dei figli di Dardano sarebbero stati Erittonio e Zacinto. 86 Il nome di Astioche, quale consorte di Erittonio, ci è noto anche da uno scolio all’Alessandra di Licofrone (Schol. ad Alex. 29), mentre Omero (Il. XX, 230) non menziona la madre di Tros.

4. LA TESTIMONIANZA DI APOLLODORO

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figli, Ilo, Assaraco e Ganimede, quest’ultimo rapito da Zeus. Anche in Apollodoro, a questo punto la casata reale troiana si divide in due rami dinastici. Assaraco avrebbe sposato Ieromene, figlia del dio del fiume Simoenta (di nuovo la discendenza di una regina troiana da una divinità fluviale), da cui sarebbe nato Capi. Capi avrebbe poi sposato Temiste, figlia di Ilo, dalla quale sarebbe nato Anchise, padre di Enea e di Lyros, che sarebbe morto senza figli.

4b. I regni di Ilo e di Laomedonte Ilo, il fratello di Assaraco, si sarebbe recato in Frigia, dove avrebbe vinto la gara di pugilato, organizzata dal re locale – va notato che questa tradizione, forse seguendo la geografia omerica, sembra presupporre la presenza del regno frigio come stato confinante della Troade – portando a casa come premio cinquanta giovinetti e cinquanta giovinette, ai quali il monarca frigio, in obbedienza ad un oracolo aggiunse una mucca pezzata87. L’oracolo aveva predetto che si sarebbe dovuto fondare una città nel luogo in cui la mucca si sarebbe distesa. Questo sarebbe avvenuto presso una collina della frigia Ate, dove Ilo avrebbe fondato la città omonima di Ilio. Ilo avrebbe poi pregato Zeus di dargli un segno: fu così che in pieno giorno cadde dal cielo il palladio, che andò a piantarsi davanti alla tenda del re88. A questo episodio Apollodoro fa seguire una breve descrizione del palladio, accompagnata dalla storia di questo oggetto sacro, che assicurava la protezione degli dei a Troia e per il quale Ilo fece costruire un apposito tempio. Apollodoro descrive il famoso simulacro come un’Atena armata89, che alza con la destra una lancia, mentre la sinistra tiene la conocchia ed il fuso: questi attributi forniscono l’immagine ambivalente della dea, patrona da una parte della guerra, e dall’altra protettrice delle attività femminili. Un’approfondita trattazione del problema del palladio esula dai fini di questo lavoro, in ogni caso va qui notato che il simulacro 87

Così intendo l’espressione βοῦς ποικίλη. Sull’origine celeste del palladio cfr. anche Ferecide (FGrHist 3, F 179); Etym. Magn., s.v. Παλλάδιον; Licofrone (Alex. 363); Dionigi di Alicarnasso (II, 66); Suda, s.v. Παλλάδιον; Cicerone (Scaur. 48); Varrone in Serv. ad Aen. II, 166; Ovidio (Fasti, VI, 421). Tra le diverse statue di culto, che la tradizione voleva essere cadute dal cielo, ricordiamo il simulacro di Atena Poliade, custodito nell’ala principale dell’Eretteo, al quale ogni anno durante le Panatenaiche veniva offerto un peplo (cfr. Paus. I, 26, 6), il βρέτας di Artemide Tauropolia (cfr. Eur., Iph. in Taur. 88, 1384 sgg.) ed il simulacro di Dioniso a Tebe, considerato la più antica immagine del dio, che secondo Pausania (IX, 12, 4) sarebbe caduta dal cielo insieme al fulmine che avrebbe colpito il talamo di Semele. La sacralità di queste statue di culto è anche sancita dal fatto che queste non sono state create dalla mano di un uomo (ἀχειροποίητος) e per tal motivo possono rivelare al meglio l’immagine divina. Su questo aspetto cfr. osservazioni in Gladigow 1979, in part. p. 105 sgg. 89 Sulla testimonianza apollodorea cfr. Bettinetti 2001. 88

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

descritto si discosta dall’iconografia convenzionale del palladio90, che non possiede fuso e conocchia come attributi. Mentre i palladia tradizionali sono statue di piccole dimensioni, facilmente trasportabili, quella descritta dal Mitografo è una statua alta tre cubiti (circa 1,40 metri), dalla composizione rigida con i piedi uniti, secondo lo schema tipico della statuaria arcaica. Questo potrebbe lasciar supporre che Apollodoro, esperto della geografia e della storia della Troade, abbia riportato la descrizione della statua di culto esposta ai suoi tempi nel tempio di Atena ad Ilio, che avrebbe offerto una commistione di elementi rapportabili alla sfera della guerra e della pace. Per completezza voglio qui brevemente ricordare la variante tramandata da Dionigi di Alicarnasso (I, 68-69), che si appoggia all’autorità di Arctino e di altri logografi antichi, secondo cui il palladio sarebbe stato portato dall’Arcadia in Troade da Dardano. Questo sarebbe stato custodito in un primo tempo a Dardano, per poi essere trasferito ad Ilio91. Tornando ad Apollodoro, nell’ambito del suo racconto va anche notata l’anteriorità di Dardano, capitale della casa regale dei Dardanidi, rispetto a Troia, fondata più tardi. Ilo avrebbe poi preso in sposa Euridice, figlia di Adrasto, dalla quale sarebbe nato Laomedonte. Questi avrebbe sposato Placia, figlia di Otreo, o secondo altri Leucippe, dalla quale avrebbe avuto cinque figli (Titone, Lampro, Clitio, Icetaone e Podarce) e tre figlie (Esione, Cilla ed Astioche); egli avrebbe, inoltre, avuto un altro figlio dalla ninfa Calibe. Eo, innamoratasi di Titone, lo avrebbe rapito e condotto in Etiopia; dalla loro unione sarebbero nati due figli, Ematione e Memnone, in seguito caduto a Troia.

4c. Il regno di Priamo Dopo la distruzione di Ilio ad opera di Eracle sarebbe succeduto al trono Podarce, chiamato anche Priamo, il quale avrebbe prima sposato Arisbe, figlia di Merope, da cui avrebbe avuto un figlio di nome Esaco, che avrebbe preso in moglie Asterope, figlia di Cebrene. Dopo la morte di Asterope, Cebrene a causa del dolore per la prematura scomparsa della figlia si sarebbe trasformato in un uccello. Priamo, dopo aver concesso la mano di Arisbe ad Irtace, si sarebbe sposato per la seconda volta con Ecuba, figlia di Dimante o, secondo altri di Cisseo o del dio del fiume Sangario e di Metope (anche in questo caso va notata la presenza di personaggi eponimi di località della Troade e dell’Egeo settentrionale nell’ambito della casata 90

L’iconografia tradizionale del palladio, infatti, raffigura Atena armata di lancia e scudo, con l’egida. In generale sugli aspetti iconografici rimando a Demargne 1984; cfr. anche il dettagliato studio di Riedel 2015. 91 Dionigi di Alicarnasso (I, 69) riporta la tradizione di Arctino, secondo cui il palladio sarebbe stato donato a Dardano da Zeus; l’autore sembra tuttavia propendere per la tesi dell’esistenza di due palladia, dei quali uno sarebbe stato rubato da Odisseo, mentre l’altro, salvato dalle fiamme da Enea, sarebbe giunto nel Lazio. Questi simulacri sarebbero stati il dono nunziale fatto a Crise dal padre, quando questa in Arcadia sposò Dardano.

4. LA TESTIMONIANZA DI APOLLODORO

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troiana). Il primogenito di Ecuba e Priamo fu Ettore; durante la gravidanza del secondogenito, Ecuba ebbe un sogno premonitore, in cui avrebbe partorito un fuoco, che avrebbe avvolto tutta la città. Priamo, volendo conoscere il significato del sogno, mandò a chiamare suo figlio Esaco, il quale aveva appreso l’arte di interpretare i sogni dal nonno Merope. Questi avrebbe vaticinato al padre che il figlio che stava per venire al mondo avrebbe causato la rovina di Troia e per tal motivo sarebbe stato meglio che l’infante fosse esposto. Priamo avrebbe affidato questo ingrato compito a un suo fidato servo di nome Agelao, il quale espose il neonato, che tuttavia si salvò grazie ad un’orsa, che lo allattò. Dopo cinque giorni il bimbo venne trovato ancora vivo dal servo, il quale lo prese con sé e lo portò nella sua fattoria, dove crebbe, divenendo il più forte e bello tra i coetanei della regione. Agelas gli diede il nome di Paride, che venne cambiato in Alessandro, in quanto questi in virtù della sua forza riuscì a difendere i pastori della zona dai banditi, che imperversavano nel territorio. Dopo non molto tempo, egli ritrovò i suoi veri genitori. Ecuba avrebbe poi avuto quattro figlie (Creusa, Laodice, Polissena e Cassandra, che ricevette da Apollo il dono della mantica) ed altri otto figli (Deifobo, Eleno, Pammone, Polite, Antifo, Ipponoos, Polidoro e Troilo). Priamo avrebbe inoltre avuto altri trentasei figli ed altre quattro figlie dalle sue concubine. Apollodoro si sofferma a narrare la storia della nascita di Paride, il quale, secondo uno schema narrativo che ricorre tra l’altro anche nella leggenda di Romolo e Remo, sarebbe stato esposto e allattato da un’animale selvaggio, in questo caso da un’orsa. Similmente ai gemelli di Rea Silvia, anch’egli è allevato nelle campagne dai pastori, distinguendosi dai suoi coetanei per la sua forza, che usa per difendere il territorio dai briganti: un modo per spiegare l’origine di Alessandro, il suo secondo nome. Il motivo del vaticinio, che conduce all’esposizione del neonato, così come quello del servo che s’intenerisce e accoglie nella sua famiglia il piccolo esposto, sono elementi topici, che ricorrono in molti altri miti e leggende: si pensi ad esempio al mito di Edipo, anch’egli esposto dopo la nascita in virtù di un simile vaticinio.

4d. La storia di Paride Ettore avrebbe sposato Andromaca, figlia di Eetione, mentre Alessandro Oinone, figlia del dio del fiume Cebreno. Quest’ultima, avendo ricevuto da Rea il dono della mantica, avrebbe sconsigliato a Paride di partire per Sparta; non essendo riuscita a convincerlo, gli avrebbe predetto che lui sarebbe tornato di nuovo da lei ferito, poiché lei sarebbe stata l’unica in grado di guarirlo. Il principe troiano, tornato da Sparta con Elena, fu la causa della guerra di Troia; in battaglia egli fu ferito da una freccia di Ercole, scoccata da Filottete, e fu portato da Oinone nel monte Ida. La sua consorte rifiutò tuttavia di curarlo e Paride, riportato a Troia, morì a causa di questa ferita. Oinone, pentita, corse a Troia per tentare di salvarlo, ma avendolo trovato morto si sarebbe impiccata per il dolore.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

La testimonianza di Apollodoro va integrata con quella di Conone (FGrHist 26, F XXIII), che aggiunge altri particolari a questa tragica vicenda. Oinone ed Alessandro avrebbero avuto un figlio di nome Korythos, che per bellezza superava anche suo padre. Sua madre avrebbe mandato il giovane da Elena, affinché facesse con lei amicizia e suscitasse in tal modo la gelosia del padre. Così avvenne che un giorno Alessandro, entrando nella camera del talamo vide suo figlio seduto accanto ad Elena e colto dalla gelosia lo uccise. Oinone maledisse il suo consorte per l’uccisione dell’unico figlio e abbandonò Troia, tornando a vivere nell’Ida, predicendogli tuttavia che egli sarebbe stato ferito gravemente dagli Achei e che presto avrebbe avuto bisogno delle sue arti mediche. In seguito, Alessandro, ferito in combattimento da Filottete, si fece condurre in condizioni disperate da lei. Oinone, dopo aver insultato l’araldo che l’aveva informata che Alessandro veniva trasportato nella sua dimora, disse che avrebbero fatto meglio a condurlo da Elena. In seguito, pentita per il suo comportamento, raccolse le erbe medicinali per preparare una pozione che guarisse Alessandro. Questi intanto era morto e Oinone, colta dai rimorsi, si impiccò con la sua stessa cintura. Anche questa tradizione offre un buon numero di elementi topici, quali ad esempio quello della gelosia del padre nei confronti del figlio avvenente, che potrebbe sedurre la matrigna (si pensi ad esempio alla storia di Fedra e di Ippolito). Per quanto riguardo Oinone, va ancora una volta rilevata la discendenza di un membro della casa reale priamea da una divinità fluviale. Nel suo complesso la testimonianza apollodorea si presta a diverse osservazioni. Prima di tutto, come prima accennato, va rilevata l’anteriorità della fondazione di Dardano rispetto a quella di Ilio. In secondo luogo è degno di nota come venga sottolineata l’autoctonia di molti dei membri della casa reale di Priamo, eponimi di località della Troade. Tale autoctonia, soprattutto nel caso delle principesse e regine, è spesso espressa attraverso una costruzione genealogica, che fa discendere la fanciulla da una divinità fluviale locale. Questo fatto può forse essere rapportato all’importanza che i fiumi avevano per l’economia locale o anche, come meglio vedremo in Strabone (XIII, 1, 1), per marcare i confini territoriali tra i nove distretti territoriali nei quali viene divisa la regione.

5. Le tradizioni sui Teucri Passiamo ora ad analizzare le tradizioni relative ai Teucri. Il popolo dei Teucri lega la sua origine a un personaggio eponimo, Teucro, il quale sarebbe stato il primo monarca della Troade. Riguardo alla sua origine, esistevano nell’antichità due tradizioni differenti: secondo la prima egli sarebbe stato autoctono; secondo la seconda, egli sarebbe provenuto da Creta, alla guida di un gruppo di genti. Le tradizioni su questo popolo sono state raccolte e analizzate da Friedrich Prinz92, 92

Prinz 1979, 56–78, 388–393.

5. LE TRADIZIONI SUI TEUCRI

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il quale ha sottolineato il carattere fittivo di questi miti, creati per lo più per fini eziologici e di propaganda politica. Analizziamo ora con ordine questi due filoni di tradizioni, nelle loro varianti.

5a. La tradizione autoctona Ellanico di Lesbo (FGrHist 4, F 24) narra che Dardano, giunto nella Troade da Samotracia, avrebbe sposato Bateia, figlia di Teucro, re di questa regione, dalla quale sarebbe poi nato Erittonio. Nel frammento in questione, tuttavia, lo storico di Lesbo non afferma l’autoctonia di Teucro. Diodoro (IV, 75) dice che il primo re della Troade sarebbe stato Teucro, figlio del fiume Scamandro e della ninfa Idea, dal quale avrebbe tratto la denominazione di Teucri il popolo che abitava quelle terre. Sua figlia Bateia avrebbe sposato Dardano, figlio di Zeus, proveniente da Samotracia. Stessa versione si legge anche presso Apollodoro (III, 12, 1). La discendenza di Teucro da una divinità fluviale, analoga per altro a quella di Foroneo da Inaco, lega questo eroe al territorio e ne sottolinea l’autoctonia93. Dionigi di Alicarnasso (I, 50; 61; 62 1-2) non accenna ugualmente ad un’origine straniera di Teucro quando narra del matrimonio tra Bateia, sua figlia, e Dardano.

5b. La tradizione cretese Come accennato, esisteva un’altra tradizione che faceva provenire Teucro da Creta, con un gruppo di coloni. Un’origine cretese per Teucro e per i Teucri poteva essere funzionale a spiegare tutta una serie di elementi, tanto di carattere toponomastico (la presenza ad esempio di un oronimo Ida) che cultuale (culto di Apollo Smintheus)94, che si ritrovavano anche a Creta. In questo caso potrebbe anche trattarsi di una tradizione nata con funzioni eziologiche. Servio Danielino (Ad Aen. III, 108) riporta due tradizioni sull’origine di Teucro: secondo la prima egli sarebbe stato figlio della Ninfa Idea e dei Cureti (il testo è qui corrotto); secondo altri, invece, tra cui Pompeo Trogo, egli sarebbe stato figlio di Scamandro, il quale a causa di una carestia a Creta, raccolto un terzo della popolazione, sarebbe partito alla ricerca di nuove terre, su monito di Apollo. Giunto in Troade, essendo stato 93

Sul ruolo delle divinità fluviali in relazione al rapporto tra genealogia e territorio cfr. osservazioni in Veneri 1997, che analizza la discendenza di Eaco da Asopo; sull’argomento cfr. anche Olivieri 2007; sulla stretta correlazione tra eponomia ed autoctonia nelle tradizioni eroiche cfr. anche le osservazioni di Brelich 1958, 131–141. 94 Sul culto di questa importante divinità, menzionata anche nell’Iliade (I, 39), rimando a Napolitano 2005, in part. pp. 248–254; Civitillo 2005. Considerazioni sull’epiteto cultuale Σμινθεύς insieme ad un’utile raccolta delle testimonianze letterarie si trovano in Quattuordio Moreschini 1984, 86–88. Va inoltre evidenziato che la tradizione lessicografica greca sembra in modo unanime considerare questo termine di origine cretese (cfr. ad esempio Etymologicum Magnum, p. 721, 16, Gaisford: Σμινθεὺς Ἐπίθετον Ἀπόλλωνος. Οὕτω καλοῦσι Κρῆτες τοὺς μύας).

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

attaccato durante la notte da una moltitudine di topi, avrebbe deciso, su interpretazione dell’oracolo, di fondare in quel luogo ubicato alle pendici del monte Ida una città. Dopo la costruzione della città, egli avrebbe dovuto combattere contro i Bebrici, una popolazione vicina, per ottenere pace e sicurezza per la sua gente. Pindaro (Nem. IV, 46) per primo attesta l’origine cretese di Teucro, menzionando il regno dell’eroe nell’isola. Friedrich Prinz, al quale si deve un’approfondita analisi di queste tradizioni, pone l’accento sul carattere eziologico di questo mito, che i coloni greci avrebbero costruito identificando con Apollo una divinità locale, di nome Sminteo, che proteggeva dai topi95. Secondo la sua interpretazione si tratterebbe in sintesi di una fittiva costruzione di carattere eziologico, finalizzata a dare un’identità greca a un culto indigeno.

5c. La tradizione attica Strabone (XIII, 1, 48) e Dionigi di Alicarnasso (I, 61, 4) riportano una tradizione di matrice attica attribuita a Fanodemo (FGrHist 325, F 8), secondo la quale Teucro sarebbe stato originario dell’Attica, in relazione all’omonimia tra suo figlio Erittonio ed il mitico re di Atene.

5d. I Teucri a Cipro Esisteva un filone di tradizioni che collegava i Teucri a Cipro96 attraverso il personaggio omerico di Teucro, fratello di Aiace, originario di Salamina, che compare in alcuni episodi di combattimento nell’Iliade (VIII 266; XIII 170 sgg., 266 sgg.; XV 437 sgg.). Egli viene descritto come un valido guerriero e arciere, al quale non spetta tuttavia una grossa porzione di gloria nella guerra contro Ilio, poiché le sue gesta sono offuscate da quelle del fratello. Le sue vicende assumono rilievo nel ciclo epico dei nostoi quando, tornato in patria, viene rimproverato dal padre di non essere stato in grado di proteggere dalla morte suo fratello e per questo bandito da Salamina. Teucro sarebbe giunto così a Cipro, dove avrebbe fondato la città di Salamina, omonima della sua patria. Si tratta molto probabilmente di un nucleo mitico di rielaborazione attica, rivalutato soprattutto nella politica ateniese di IV sec. a.C. a seguito dei legami tra Conone ed Evagora, il re cipriota greco che riuscì a recuperare parte dei territori conquistati dai Fenici nell’isola. Pausania (I, 3, 2), proprio menzionando una statua eretta nelle vicinanze del portico 95

Prinz 1979, 64: «Die in die kleinasiatische Troas einwandernden Griechen trafen dort auf einen Gott namens Smintheus, der als Abwehrer von Feldmäusen verehrt wurde. Nach ihrer Art identifizierten sie diesen Gott mit einem griechischen Gott. So entstand die Figuration des Apollon-Smintheus. Weiterhin entspricht es völlig der Eigenart der Griechen, sich mit der Identifikation allein nicht zufrieden zu geben, sondern zusätzlich ein Aition für den Kult zu ersinnen, wobei natürlich von den Mäusen auszugehen war.» 96 In generale sulle tradizioni mitico-letterarie relative a Cipro mi limito a rimandare a Gjerstad 1944, 107–123; a riguardo anche Prinz 1979, 60–62, che considera il mito un’invenzione cipriota, riconducibile ad un “Lokalpatriotismus”.

5. LE TRADIZIONI SUI TEUCRI

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del ceramico raffigurante il re cipriota, trova occasione di ricordare che la casata di Evagora poteva vantarsi di discendere da Teucro Telamonio che, arrivato a Cipro, avrebbe sposato Cinira, figlia del re dell’isola, e fondato Salamina. Nell’ambito della propaganda politica di IV sec. a.C. la figura di Teucro, in virtù delle sue origini attiche, dovette assumere un ruolo molto rilevante: diverse volte Isocrate97 si riferisce all’eroe paragonandolo ad Evagora che, a seguito delle sue gesta contro i Fenici, assurgeva al ruolo di campione della grecità nell’isola. L’atticizzazione di questo personaggio sembra essere parallela a quella del Teucro capostipite della casata di Priamo, che alcuni logografi ateniesi, come visto, ritenevano essere nato in Attica.

5e. I Teucri nella realtà storica I Teucri sono, o meglio furono, il popolo abitante la Troade, il cui nome ed in parte anche le cui vicende, si legano alla figura di Teucro. Concretamente non siamo in grado di poter identificare i Teucri con alcuna realtà etnica anatolica precisa, tuttavia sulla base dei dati della tradizione letteraria e con l’aiuto della linguistica, si può ipotizzare che essi fossero stati, sulla fine dell’età del Bronzo, un popolo di ceppo “anatolico” forse parlante luvio. Occorre anche far notare che Omero non conosce questo popolo, quale abitante la Troade e combattente a fianco di Priamo contro gli Achei. Si tratta di un dato abbastanza anomalo considerando che nell’Iliade (XV, 302) si fa menzione di un Teucro, originario dei dintorni di Pedaion, il quale aveva sposato una figlia illegittima di Priamo e che a seguito dell’arrivo dell’esercito acheo era stato costretto a trovare rifugio a Troia. Nelle tradizioni delle città greche d’Asia si serbava ancora in età arcaica il ricordo dei Teucri, quali antichi abitatori della Troade, i quali sarebbero stati originari di Creta. Questa tradizione è poi ripresa in età romana da Strabone (XIII, 1, 48), il quale ha modo di parlare dei Teucri in relazione alle tradizioni di fondazione del santuario di Apollo Sminteo a Crise. Secondo questa testimonianza, che per altro secondo il Geografo di Amasea si troverebbe attestata per la prima volta nelle Elegie di Callino (Fr. 7 West), i Teucri, originari di Creta, su responso oracolare, si sarebbero recati in Asia col fine di stabilirsi là dove sarebbero stati “insidiati” dagli abitanti del luogo; durante la notte un nugolo di topi avrebbe rosicchiato il cuoio delle tende e delle loro armi. Questo evento sarebbe stato connesso al volere del Lossia e per questo i Teucri si sarebbero qui insediati, fondando un tempio in onore del dio. Alla loro presenza potevano essere ricondotti diversi toponimi locali - primo tra tutti l’oronimo Ida - che avevano dei diretti corrispondenti a Creta. Secondo la testimonianza di Eraclide Pontico (Fr. 154 Wehrli), citato da Strabone (XIII, 1, 48), questa tradizione era da considerare veritiera, in relazione anche al simulacro del dio, visibile nel tempio a Crise, ai cui piedi era raffigurato un topo, un ani97

Cfr. Ev. 18; Nic. 88.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

male evidentemente sacro alla divinità98. Questo mito, che localizzava la sede dei Teucri nella piana di Tebe dove appunto si trovava la città di Crise, non accenna a Teucro e considera i Teucri come un popolo che, per ragioni non spiegate, sarebbe migrato da Creta alla ricerca di nuove terre. Interessante anche il fatto che questa versione della tradizione si trovasse attestata presso la storiografia locale della regione del Ponto, la quale evidentemente aveva interesse a grecizzare le origini dei popoli locali con cui i coloni eolici vennero a contatto. Anche Erodoto (VII, 20) conosce i Teucri come un’antica popolazione della Troade che, prima della guerra di Troia, insieme ai Misi avrebbe attraversato il Bosforo e sottomesso le popolazioni tracie sino al fiume Peneo. Lo Storico di Alicarnasso (V, 13) ha modo di accennare nuovamente a questa tradizione quando racconta della marcia di Dario attraverso la Tracia, in occasione di un’ambasceria dei Peoni, che abitavano i territori dello Strimone, i quali affermavano di discendere dai Teucri di Troia. Ancora nel VI sec. a.C., infine, esisteva nella Troade, nel territorio di Rhoiteion un popolo, di origine anatolica, i Gergiti, che era considerato discendente dei Teucri. Anche questa tradizione si trova presso Erodoto (VII, 122), il quale, si osservi bene, non accenna minimamente ad un’origine cretese dei Teucri, che appaiono come una popolazione autoctona. Va fatto anche notare che la tradizione della migrazione dei Teucri in Europa sembra far percorrere a questo popolo in senso inverso lo stesso percorso dei Frigi. I Teucri avrebbero comunque abitato prima dei Dardani la Troade e, nelle tradizioni mitiche, sono percepiti come il popolo più antico della regione. Quel che si evince da un esame complessivo delle fonti è che nella riflessione storiografica i Dardani, ai quali viene legata la figura di un eroe eponimo, Dardano, vengono sentiti come una realtà etnica insediatasi posteriormente nel territorio e fusasi con i Teucri, fusione che nel piano del mito è simbolicamente rappresentata, come visto, dal matrimonio tra Dardano e Bateia, figlia di Teucro. Le origini di entrambi questi popoli furono poi grecizzate, costruendo per Dardano radici arcadiche, come si legge in Dionigi di Alicarnasso (I, 64), mentre per i Teucri una provenienza da Creta, la quale poteva appoggiarsi ad elementi di toponomastica locale. Dardani e Teucri si fondono e sono percepiti agli occhi dei Greci d’Asia come una realtà unica, ma nello stesso tempo eterogenea. Nella realtà storica, se è possibile localizzare i Dardani in Europa a conferma della loro origine balcanica, per i Teucri il discorso si complica. Prima di tutto nella Troade non possediamo alcuna testimonianza inerente ad una popolazione con tale denominazione in età storica, tuttavia spostandoci a Sud, lungo le coste della Cilicia, Strabone (XIV, 5, 10) a proposito della città di Olbe narra che essa sarebbe stata fondata da Aiace, figlio di Teucro, e che nel territorio di quella città viveva un popolo che ancora ai suoi tempi aveva il nome di Teucri. Il Geografo di Amasea aggiunge, inoltre, che il santuario locale della città si vantava di essere stato fondato dallo stesso eroe e il sommo sacerdote di questa istituzione 98

Su questa famosa statua di culto, opera di Scopa, cfr. Lambrinudakis 1984.

6. DARDANO ED I DARDANI

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sacra, come anche accadeva in altri centri simili dell’Anatolia, apparteneva ad una famiglia che vantava nobili origini, appunto da Teucro. Questi dati vanno probabilmente connessi e spiegati con una testimonianza sempre di Strabone (XIII, 1, 14), secondo la quale la migrazione di popolazioni tracie in Troade, avvenuta in due ondate, avrebbe avuto come primo effetto la cacciata a sud delle popolazioni anatoliche, quali appunto i Lici ed i Cari, che precedentemente abitavano in questo territorio. Da notare che, seppure non più localizzabili storicamente nella regione, dei Teucri era rimasta traccia in espressioni quali Τευκρὶς γῆ, Τευκρὶς αἴα, designanti il territorio troiano99.

6. Dardano ed i Dardani Le tradizioni su Dardano100, pur presentando numerose varianti locali, permettono di ricostruire la morfologia eroica di questo personaggio. Dardano è da una parte un eroe eponimo, al quale riconducevano il proprio nome tanto una città dell’Ellesponto, quanto il popolo dei Dardani della Troade; dall’altra, in virtù del suo rapporto con il culto dei Cabiri di Samotracia, di cui promuove la diffusione nella regione, egli assume le caratteristiche di un eroe culturale. Secondo il testo omerico (Il. XX, 215) egli sarebbe stato il figlio di Zeus; questa testimonianza va integrata la notizia di Apollodoro (III, 12, 1.2)101, che attribuisce i suoi natali al signore dell’Olimpo e ad Elettra, figlia di Atlante. Più complessi sono invece i racconti relativi al suo luogo di nascita, individuato in Arcadia, in Attica o a Creta. Egli sarebbe comunque morto anziano nella Troade, dove sarebbe anche esistito il suo sepolcro102. Dardano avrebbe avuto due figli, Ilo ed Erittonio103, ai quali alcuni autori aggiungono un terzo, di nome Zacinto104, ed una figlia, di nome Idea105, che sarebbe divenuta la seconda moglie di Fineo. All’arrivo nella Troade egli avrebbe sposato Bateia, figlia di Teucro, o Arisbe106, sempre figlia di Teucro ed ugualmente eponima di una località della Troade. Tutta la tradizione è unanime nel far arrivare Dardano da Samotracia, dove si sarebbe rifugiato a seguito del diluvio di Deucalione, insieme a sua sorella Elettra e suo fratello Giasone. Una trattazione approfondita delle tradizioni mitiche 99

Cfr. Aischyl. Ag. 112 (Τευκρὶς αἴα); Hdt. II, 118 (Τευκρὶς γῆ); Steph. Byz. s. v. Τευκρὶς; Τεύκριον; poeticamente negli autori latini si rileva l’utilizzo di Teucria per indicare la città di Troia (Verg. Aen. I, 38, 89, 248; Ov. Met. XIII 705). 100 Le tradizioni letterarie su questo eroe si trovano esemplarmente raccolte in D. Musti, s.v. “Dardanos”, in Enciclopedia Virgiliana I, Roma 1984, 98–100. 101 Questa tradizione si trova anche attestata negli scoli all’Alessandra di Licofrone (Schol. ad Al. 72) ed alle Argonautiche di Apollonio Rodio (Schol. ad Apoll. Rhod. I, 916). 102 Questa tradizione si trova attestata negli scoli all’Alessandra di Licofrone (Schol. ad Al. 20). 103 Il. XX, 212; Dion. Hal. I, 61, 68, 69; Apoll. III, 12. 104 Dion. Hal. I, 5; Paus. VIII, 24, 3; Steph. Byz., s.v. 105 Apoll. III, 15, 3; Conone (FGrHist 26, F 21). 106 Licophr. (Alex. 1308).

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

relative a Samotracia esulerebbe dai fini di questo lavoro107, le fonti concordano nel dire che Dardano avrebbe lasciato l’isola in seguito alla morte di suo fratello Giasone, che aveva oltraggiato Demetra, e dopo le nozze di Armonia con Cadmo: dopo questi eventi egli si sarebbe recato in Troade, dove avrebbe diffuso il culto dei Cabiri e fondato la città di Dardano. Proprio il legame con Samotracia ed il culto dei Cabiri rappresenta la chiave di volta di tutte le tradizioni mitiche che ruotano intorno alla figura di questo personaggio e che qui intendo prendere brevemente in considerazione.

6a. Diodoro e l’arrivo da Samotracia Diodoro rappresenta una delle fonti principali per ricostruire la protostoria mitica dell’Egeo settentrionale. Egli riprende a parlare delle tradizioni relative a Samotracia nel libro V (47–48), completando il quadro dei miti che aveva iniziato nel libro precedente (III, 38)108. Secondo le sue fonti, l’isola si sarebbe chiamata originariamente Samo e sarebbe stata abitata da una popolazione autoctona, secondo altri invece la sua denominazione originaria sarebbe stata Saonneso, mentre il nome Samotracia le sarebbe derivato dalle genti, che, provenienti dalla Tracia e da Samo, l’avrebbero abitata più tardi109. Gli abitanti dell’isola avrebbero mantenuto l’antica lingua, che sarebbe stata addirittura quella ufficiale in uso nell’ambito delle celebrazioni cultuali. Si tratta di una testimonianza che ha trovato conferma nel rinvenimento, nel corso degli scavi archeologici nell’area del santuario dei Cabiri, di un buon numero di frammenti di ceramica iscritti in una lingua anellenica, che mostra affinità con le parlate tracie110. Nelle tradizioni locali si sarebbe conservato ancora il ricordo di un terribile cataclisma111, che avrebbe distaccato l’isola dal continente, conferendole la conformazione fisica attuale. A conferma di tale avvenimento, Diodoro, o la sua fonte, racconta che i pescatori trovavano nelle loro reti spesso frammenti di colonne degli edifici delle città che si erano inabissate a seguito di tale catastrofe. La popolazione locale si sarebbe salvata poiché avrebbe trovato rifugio nella parte alta della montagna, che sovrasta tutta quanta l’isola. Attribuendo la loro salvezza alla divinità, i superstiti avrebbero eretto alta107

Per quanto riguarda le tradizioni sui Cabiri rimando al quinto capitolo del libro. Per una trattazione più esaustiva dei miti su Samotracia rimando al mio libro sulla storia dell’Egeo Settentrionale nell’Alto Arcaismo, di prossima pubblicazione. Sulle tradizioni dei Cabiri di Samotracia cfr. anche Prinz 1979, 187–205. 108 Secondo questa tradizione il culto della Dea Madre, di cui i Cabiri sono i ministri, sarebbe stato introdotto a Samotracia dall’esercito delle Amazzoni, che, al comando di Mirina, avrebbero sostato nell’isola prima di passare in Asia. Questo nucleo di tradizioni verrà discusso nel capitolo successivo. 109 A livello linguistico va valutata la presenza del tema sa-, presente in diversi toponimi e nesonimi dell’Egeo, ad esempio Samo. 110 Su questi documenti epigrafici cfr. Oikonomides 1978; Frazer 1993. 111 Sulle tradizioni mitiche del diluvio rimando al documentato libro di Caduff 1986, in part. pp. 39–43, pp. 133–142, pp. 262–264, sulle vicende di Dardano.

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ri in suo onore in luoghi che erano ancora all’epoca di Diodoro considerati sacri. Appare a questo punto della tradizione la figura dell’eroe culturale: si tratta di Saone, figlio di Zeus e di una ninfa, secondo alcuni, di Ermes e di Rene, secondo altri, il quale avrebbe riunito le genti che abitavano sparse per l’isola, ripartendole in cinque tribù e imponendo a loro degli ordinamenti legislativi. Tali attività conferiscono a Saone le caratteristiche di un eroe culturale, che porta ordine nel caos causato dalla catastrofe naturale112. A questo punto del mito entrano sulla scena Dardano, Giasone e Armonia, figli di Elettra e di Zeus113. Di costoro, Dardano, avendo grandi prospettive, si sarebbe via mare trasferito in Asia, nella Troade, dove avrebbe fondato la città ed il regno omonimo, che in seguito avrebbe preso il nome di Troia, mentre lui stesso sarebbe divenuto eponimo dei Dardani. Egli avrebbe esteso la propria egemonia su altri popoli dell’Asia e i Dardani europei sarebbero stati coloni di quelli asiatici114. Per quanto riguarda Giasone, egli per volere di Zeus sarebbe stato iniziato ai misteri dell’isola, dei quali sarebbe divenuto un ministro. In seguito, giunto Cadmo alla ricerca di Europa, si sarebbero celebrate le nozze tra questi ed Armonia, nozze alle quali avrebbero partecipato in gran numero gli dei, recando ciascuno di essi un dono115. Dopo le nozze, seguendo quanto prescritto dall’oracolo, Cadmo si sarebbe recato in Beozia a fondare Tebe, mentre Giasone, sposata Cibele, avrebbe avuto da costei Coribante. Giasone sarebbe stato poi deificato, mentre Dardano, Cibele e Coribante sarebbero andati in Frigia, dove avrebbero fondato il culto della Madre degli Dei. Da Cibele avrebbe poi tratto nome l’omonima dea, mentre da Coribante si sarebbero chiamati i Coribanti, originariamente ministri del culto della Madre degli Dei. Coribante si sarebbe sposato con Tebe, figlia di Cilice, ed avrebbe importato la strumentazione degli auloi, ricevuta in dono da Ermes, in Frigia nella città di Lirnesso, che sarebbe stata distrutta da Achille nel corso della guerra di Troia. Nelle tradizioni raccolte da Diodoro risulta centrale la connessione di Dardano con Samotracia e con la cultura religiosa dell’isola, di cui si fa in un certo senso profeta. Egli, come prima accennato, non si fa solo portatore dell’idea della città come forma di vita comunitaria, ma diventa anche il propagatore del nuovo culto misterico dei Cabiri e della Madre degli Dei, che introduce in Frigia. In questo caso, come vedremo meglio nel quarto capitolo, il termine Frigia è probabilmente comprensivo della Troade, secondo un uso, affermatosi soprattutto in ambito attico nel V sec. a.C., di chiamare Frigi i Troiani. Dardano viene rappresentato come un eroe tra Oriente ed Occidente, legato da una parte al mondo tracio non a caso Diodoro considera l’eroe anche come eponimo dei Dardani di Tracia – e dall’altro alla nascita ed allo sviluppo di Troia. 112

A livello linguistico va anche notata la formazione del nome con un tema in sa-, che richiama quello del nesonimo. 113 Diodoro tace per altro sull’origine di Dardano, che comunque considera essere un eroe greco. 114 Per una raccolta delle fonti storiche su questo popolo cfr. Papazoglu 1978, p. 187 sgg. 115 Sulle nozze di Cadmo ed Armonia ci si soffermerà nel terzo capitolo.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

6b. Dionigi di Alicarnasso e l’origine arcadica Prendiamo ora in analisi la versione fornita da Dionigi di Alicarnasso (I, 61–62), il quale ha il merito di aver inquadrato in una cronologia mitica le vicende del popolamento di Samotracia. Egli tratta le tradizioni dell’isola in diretta connessione con quelle troiane, per dimostrare che Troia e i suoi abitanti sarebbero stati in origine Greci, originari del Peloponneso e passati in Asia attraverso la tappa intermediaria di Samotracia. Lo Storico narra che Atlante, il primo re dell’Arcadia, avrebbe abitato la regione intorno al monte Taumasio; costui avrebbe avuto sette figlie, tutte quante divenute stelle in cielo col nome di Pleiadi, una delle quali, Elettra, unitasi a Zeus, avrebbe concepito Giasone e Dardano. Di questi, il primo sarebbe rimasto senza moglie, mentre il secondo si sarebbe sposato con Crise, figlia di Pallante, dalla quale avrebbe avuto due figli, Idaio e Dimante, i quali alla morte di Atlante avrebbero regnato sull’Arcadia. In seguito al cataclisma dei tempi di Deucalione – che rappresenta la cornice mitico-cronologica – le pianure si sarebbero impaludate, rendendo le terre inadatte alla coltivazione. Per tal motivo gli Arcadi avrebbero deciso di dividersi in due gruppi, dei quali uno sarebbe rimasto in Arcadia, sotto Dimante, mentre l’altro avrebbe preso la via del mare, arrivando al golfo Melano, dove sarebbe sbarcato in un’isola antistante le coste della Tracia, la quale Dionigi, o la sua fonte, non sa affermare se fosse abitata o deserta. L’isola sarebbe stata chiamata Samo, dal nome del figlio di Ermes e della ninfa Rene. Trascorso un certo periodo, resisi conto che l’isola non offriva risorse sufficienti per tutti, si decise che solo una minima parte sarebbe rimasta, mentre la maggioranza avrebbe ripreso la via del mare, verso l’Asia, sotto la guida di Dardano. Giasone, infatti, sarebbe stato nel frattempo fulminato a causa del suo comportamento sacrilego nei confronti di Demetra. Gli Arcadi sarebbero quindi giunti in Frigia, dove si sarebbero nuovamente divisi. Un gruppo sotto il comando di Ideo, figlio di Dardano, avrebbe preso la via delle montagne, che da lui avrebbero preso il nome di Idee, dove avrebbero eretto un tempio in onore della Madre degli Dei, i cui riti misterici si sarebbero poi diffusi in tutta quanta la Frigia. Il secondo gruppo, sotto la guida di Dardano, su concessione del re Teucro avrebbe fondato la città a lui omonima. Come si vede il nucleo narrativo non cambia: cambiano solo le origini di Dardano e dei Dardani, che vengono arcadicizzate116. Dionigi (I, 61, 5) riporta anche la versione attica di questa tradizione, che aveva tratto dall’attidografo Fanodemo (FGrHist 325, F 8), secondo la quale Dardano sarebbe stato originario non dell’Arcadia, ma del demo attico di Ξυπέτη. Questi, dopo la morte della sua prima moglie, Crise, figlia di Pallante, avrebbe preso in sposa Bateia, figlia di Teucro, ereditando in questo modo il diritto di successione al trono. Da questo matrimonio sarebbe nato Erittonio, che avrebbe ereditato 116

Sull’importanza delle origini arcadiche, connesse alla connotazione autoctona degli Arcadi, mi limito a rimandare al lucido articolo di Scheer 2011.

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uno dei regni più ricchi della terra. Da Erittonio e da Calliroe, figlia di Scamandro, sarebbe nato Troos, eponimo del popolo dei Troiani. Troos, avrebbe sposato Acallaride, figlia di Eumedo, dalla quale nacque Assaraco. Da Assaraco e da Clitodora, figlia di Laomedonte sarebbe stato concepito Capi. Da Capi e dalla ninfa Ieromneme sarebbe venuto alla luce Anchise, padre di Enea. Anche in questo caso le varianti riguardano le origini dell’eroe, mentre il nucleo narrativo relativo alle vicende troiane resta di fatto invariato. Rispetto alle altre tradizioni, la versione di Dionigi sottolinea anzitutto le origini greche dei Troiani, i quali nascono dalla fusione di Arcadi e di Teucri, un popolo originario di Creta. Non è infatti un caso che il capitolo 61 del primo libro inizi con la frase seguente, veramente programmatica: Ὅτι δὲ καὶ τὸ τῶν Τρώων ἔθνος Ἑλληνικὸν ἐν τοῖς μάλιστα ἦν ἐκ Πελοποννήσου ποτὲ ὡρμημένον. Tutto quanto il mito si incentra sulla figura di Dardano, condottiero degli Arcadi dal Peloponneso in Troade attraverso Samotracia. La discendenza dei due fratelli da Elettra e da Zeus viene conservata, ma manca significativamente la figura di Armonia, alla quale si legava il passaggio di Cadmo nell’isola. Strabone (VII, Fr. 49) riporta una tradizione analoga a quelle precedenti, non menzionando tuttavia l’origine arcade dei Dardani e considerando Giasone e Dardano, fratelli, come nativi di Samotracia. In seguito alla morte del fratello a causa di un fulmine, Dardano si sarebbe recato in Troade, dove alle pendici del monte Ida avrebbe fondato la città di Dardano, trasmettendo ai Troiani il culto misterico. Anche in questo caso il popolamento della Troade e l’introduzione della polis come istituzione si legano indissolubilmente all’arrivo di Dardano da Samotracia, che porta con sé i culti misterici.

6c. Mnasea ed Ellanico Secondo un lemma di Stefano di Bisanzio, che riporta una versione dello storico Mnasea, vissuto a cavallo tra il III ed il II sec. a.C.117, Dardano era una città della Troade, che avrebbe preso nome da Dardano, il quale, dopo aver sottratto dal santuario di Atena il palladio, si sarebbe recato a Samotracia con Armonia e Giasone, dove si sarebbero celebrate le nozze tra Armonia e Cadmo. Successivamente questi con i suoi compagni si sarebbe recato in Asia da Teucro, re della regione. Teucro, riconosciuto Dardano, gli avrebbe dato in sposa sua figlia Bateia e alla sua morte gli avrebbe concesso di succedergli al trono. In Troade egli avrebbe fondato la città di Dardano, dalla quale avrebbe preso nome la regione circostante, che prima si chiamava Teucria. Di questa tradizione sfuggono purtroppo alcuni importanti particolari a causa delle lacune nel testo tradito dall’autore bizantino. Prima di tutto non viene detto da quale santuario o da quale città Dardano avrebbe sot117

FHG 28 = Fr. 37 Mehler = Cappelletto 2003, Fr. 41, pp. 92-93, pp. 288-292.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

tratto il palladio118, in secondo luogo vengono taciuti i particolari della sua sosta a Samotracia, infine non viene chiarito di quale ἀναγνωρισμός si tratti119. Anche in questa variante mitica Dardano, proveniente da una regione della Grecia, fa sosta sull’isola, mentre non si accenna al suo ruolo di propagatore del culto cabirico. Analizziamo infine la testimonianza di Ellanico (FGrHist 4, F 23), tramandata dagli scoli di Apollonio Rodio. Nel primo libro dei Troikà egli narrava che Elettra avrebbe avuto da Zeus tre figli, Giasone, chiamato anche Eetione, Dardano, che dagli abitanti del luogo era conosciuto anche col nome di Poliarce, ed Armonia. Di questi, Giasone sarebbe morto fulminato, Dardano si sarebbe recato nella Troade ed Armonia avrebbe sposato Cadmo. La testimonianza dello Storico di Lesbo, seppure molto breve, è importante, in quanto attesta come le tradizioni lesbie sembrino accettare e seguire la struttura canonica della tradizione, che vuole Troia fondata da Dardano dopo il suo arrivo da Samotracia.

6d. L’origine cretese di Dardano Servio120 riporta una variante mitica – per la verità abbastanza isolata – secondo cui Giasone e Dardano sarebbero stati originari di Creta e più precisamente della città di Iaso. Questa tradizione, nata probabilmente in virtù dell’assonanza tra il nome Iason ed il toponimo cretese, considerava i due fratelli essere figli di Elettra, ma attribuiva loro padri diversi: Zeus a Dardano, Corito a Giasone. Secondo 118

George Huxley (Huxley 1969) propose di integrare la lacuna testuale con ἐκ Σι[γίου] o Σι[γείου] e di indentificare in questo modo il tempio di Atena con un mitico predecessore, situato al capo Sigeo, del quale non si trova tuttavia menzione in altre fonti. 119 Non mi sembra convincente l’interpretazione di Pietro Cappelletto (Cappelletto 2003, p. 290), che vede in questo ἀναγνωρισμός una prova dell’origine di Dardano dalla Troade: in tale senso Teucro avrebbe riconosciuto un suo vecchio suddito. La tradizione è, infatti, unanime nell’attribuire a Dardano un’origine esterna. 120 Ad Aen. III, 167: propriae sedes perpetuae, quia infirmas et in Creta et in Thracia condidit. hinc dardanus ortus iasivsque pater Dardanus et Iasius fratres fuerunt Iovis et Electrae filii: sed Dardanus de Iove, Iasius de Corytho procreatus est, a cuius nomine et mons et oppidum nomen accepit. postea Iasium dicitur Dardanus occidisse. hi tamen fratres cum ex Etruria proposuissent sedes exteras petere, profecti. et Dardanus quidem contracta in Troia iuventute Dardaniam urbem condidit, a qua Troianorum origo crevit. Iasius autem Samothraciam cepit et ibi liberum locum imperio tenuit. alii dicunt utrumque ex Corytho, Iovis filio, procreatos et sicut dictum est relicta Italia profectos. sed Iasium Samothraciam imperio tenuisse, Dardanum vero in Phrygiam pervenisse ibique auxilio fuisse Teucro, Scamandri filio, qui tum finitimas gentes bello subigebat, filiamque eius duxisse in matrimonium, et post mortem soceri regnum adeptum Dardaniam Troianam regionem ab suo nomine appellasse. Graeci et Varro humanarum rerum Dardanum non ex Italia, sed de Arcadia, urbe Pheneo, oriundum dicunt; alii Cretensem; alii circa Troiam et Idam natum. sane per patris appellationem cognationem 〈significat〉.

7. LE STRUTTURE TEMPORALI DEL MITO

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altri autori, entrambi sarebbero invece stati figli di Corito. Da Creta Dardano si sarebbe recato in Troade, dove con l’aiuto di Teucro avrebbe fondato Dardano e sottomesso con le armi le popolazioni vicine; mentre Giasone sarebbe andato ad occupare Samotracia. Secondo un’altra variante, Dardano sarebbe invece stato nativo della regione dell’Ida. Questa tradizione, che come detto non trova altri riscontri, potrebbe essersi forse sviluppata in relazione al mito dell’origine cretese dei Teucri: in questo modo si sarebbero cretesizzate le origini dei due più antichi ed importanti popoli della Troade. Stesso discorso vale anche per la variante troiana, che avrebbe fatto dell’eponimo dei Dardani un autoctono della Troade, al pari di Teucro.

6e. L’origine etrusca di Dardano Il grammatico Servio121 riporta una tradizione di matrice etrusca, secondo la quale Dardano sarebbe stato il figlio di Elettra e di Corito, re dell’omonima citta etrusca (Cortona). Lasciata la sua patria, egli si sarebbe recato in Frigia, dove avrebbe fondato la città di Ilio, mentre suo fratello Iaso avrebbe preso possesso di Samotracia. In questa versione del mito il viaggio di Enea in Italia si configurava come un ritorno alla patria dei suoi antenati.

7. Le strutture temporali del mito: le tradizioni del popolamento di Creta, Rodi, Lesbo, Argo e Tebe a confronto Come più volte sottolineato, il mito rappresentò una categoria mentale con la quale i Greci ripensarono il passato, per fondare il presente, conferendogli un’identità storica e culturale. Come tale, esso non rappresenta in assoluto qualcosa 121

Ad Aen. VII, 207: Dardanus. Iuppiter cum Electra, Atlantis filia, Corythi regis Italiae uxore, concubuit. sed ex Iovis semine natus est Dardanus, ex Corythi Iasius. Dardanus profectus ad Phrygiam, Ilium condidit, Iasius vero Thraciam tenuit, ubi est Samos, quam Samothraciam nominavit: nam Iunonis alia est Samos insula. [quamquam civitas Thraciae, quae est in Cephallenia, Samo dicatur.] unde cum postea responsum esset “antiquam exquirite matrem”, et Aeneas Italiam peteret, profectus ad Thraciam est et Samothracas deos sustulit et pertulit secum propter originem matris: quod superius plenius dictum est. idaeas phrygiae penetravit ad urbes quia erat Ida et Cretae, addidit ‘Phrygiae’ ad discretionem. A cui si aggiunge anche Ad Aen. IX, 10: nec satis quia occurrebat ab Euandro eum facile posse remeare. corythi penetravit ut totam [in] Etruriam peragrasse videatur. Corythi autem montis Tusciae, qui, ut diximus, nomen accepit a Corytho rege, cum cuius uxore concubuit Iuppiter, unde natus est Dardanus. ‘penetravit’ autem bene, quia supra dixerat ‘penitus’.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

di astratto, ma è in un certo senso un microcosmo storico, in cui gli avvenimenti s’intrecciano e si susseguono seguendo i criteri temporali delle genealogie. In questo senso vorrei tentare di illustrare l’ambientazione mitica delle vicende troiane, facendo riferimento alle tradizioni culturali, relative a Creta, Rodi e Tebe, tramandate per la maggior parte nel cosiddetto “isolario” di Diodoro , contenuto nel quinto libro della Biblioteca Storica122. Come visto, l’arrivo di Dardano in Troade è contemporaneo alla partenza di Armonia e di Cadmo per la Beozia, così come all’atto di fondazione della rocca cadmea e della città di Troia. Per quanto riguarda Erittonio, questi è un contemporaneo di Minosse e il suo periodo di regno coinciderebbe con quello che, nella tradizione mitica, sarebbe stato il tempo della talassocrazia cretese123. Tros, suo figlio, si pone nella stessa linea generazionale di Teseo e soprattutto di Arianna e di Dioniso, dalla cui unione a Lemno sarebbero nati Toante ed Oinopione, che successivamente avrebbero governato sotto Radamante le isole dell’Egeo settentrionale. A questo livello mitico si collocava il popolamento cretese dell’Egeo: Ilo, il fondatore di Troia, sarebbe stato un contemporaneo di Toante e di Radamante. Alla generazione di Laomedonte124 e di Priamo si datava il passaggio degli Argonauti a Lemno e la distruzione delle mura della città da parte di Eracle. A Lemno si poneva poi la nascita della stirpe dei Mini e di un regno autonomo, che si manterrà neutrale alle vicende belliche di Ilio. Abbiamo infine la guerra di Troia, al cui termine si colloca il ciclo dei nostoi, al quale si collegano le fondazioni delle città in ambito coloniale.

7a. Creta Per quanto riguarda Creta125, abbiamo una complicata sequenza cronologica. I primi abitanti dell’isola, secondo la testimonianza diodorea (V, 64) sarebbero 122

Su questo libro e sul problema delle sue fonti rimando in generale a Bianchetti 2005; sul genere dei nesiotikà cfr. Ceccarelli 1989; Prontera 1989. Per la dipendenza dell’isolario diodoreo dall’opera di Apollodoro di Atene cfr. il documentato lavoro di Bethe 1899. 123 Sul fatto che soprattutto negli ambienti dorici dell’isola le tradizioni locali, relative al periodo di Minosse, sarebbero state volontariamente ribassate in termini genealogici, cfr. le osservazione fatte da Federico 1999, p. 32 sgg., inerentemente al personaggio di Idomeneo. Sulle tradizioni relative alla talassocrazia minoica rimando anche al datato, ma sempre valido, studio di Cassola 1957b con una lucida analisi delle tradizioni mitiche. 124 Cfr. Diod. (V, 64–78); sulla dipendenza di Diodoro da Apollodoro di Atene e da Epimenide cfr. Bethe 1899, 402–420 con un’attenta disamina dei passi, che vengono confrontati anche con la testimonianza di Strabone. 125 Non esiste ancora un’opera nella quale siano raccolte ed analizzate sistematicamente tutte le tradizioni mitiche relative a Creta ed alle sue città, per le quali si rivelano ancora utili (ed insostituibili) le approfondite introduzioni (scritte in latino), con le quali Margherita Guar-

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stati i Dattili Idei, cento di numero, che avrebbero tratto nome, secondo un’etimologia popolare, dalla parola greca indicante le dita. Costoro sarebbero stati gli scopritori del fuoco, del bronzo e del ferro e conoscitori delle tecniche che servivano a lavorare i metalli. Nella generazione successiva sarebbero seguiti i Cureti126, nove di numero, abitatori delle montagne e dediti alla pastorizia. In questo periodo è posta la nascita di Zeus nell’antro dell’Ida, dove il dio in fasce sarebbe stato loro affidato dalla madre Rea, perché fosse protetto dal padre ed allevato, coprendo col suono delle loro danze armate i vagiti del piccolo127. Contemporanei dei Cureti sono i Titani, anch’essi abitanti a Creta. Segue nel testo dello storico siceliota il racconto delle vicende mitiche relative alla detronizzazione di Crono ed alla divisione delle sfere di potere degli dei. Solo molte generazioni dopo si ha la nascita di Minosse e lo svolgimento delle vicende a lui legate. Di fatto la storia, chiamiamola umana, di Creta ha inizio con questo personaggio, che in linea generazionale è contemporaneo, come fatto notare in precedenza, ad Erittonio.

7b. Rodi Da Creta passiamo a Rodi. Anche qui, secondo Diodoro128, i primi abitanti dell’ isola sarebbero stati degli esseri mitici, semidivini, dalle caratteristiche fisiche non ducci faceva precedere le sillogi epigrafiche di ciascuna città cretese nei quattro volumi delle sue Inscriptiones Creticae. Molte tradizioni sono state raccolte ed analizzate in relazione ai culti in Willetts 1962; Verbruggen 1981. Tra gli studi più recenti cfr. Federico 1999; Guizzi 2001, 283–303 sulle tradizioni cultuali. Su Amnisos cfr. la raccolta delle fonti letterarie fatta da Chaniotis 1992, 52–57, 73–83. Tra gli studi più recenti cfr. Federico 2012, in cui lo studioso pone a confronto le diverse prospettive con cui le tradizioni mitiche sono state elaborate a Festo e a Cnosso; in relazione al problema della sostanziale assenza di rappresentazioni di miti cretesi a Creta (o per lo meno di immagini interpretabili con sicurezza quali miti cretesi) in età geometrica cfr. le riflessioni di Sporn 2012. Utili osservazioni inerentemente al modo in cui nelle tradizioni letterarie sono rappresentate le personalità eccellenti della storia arcaica dell’isola (Etearco, Entimo, Ametor, Talete, Epimenide ed Ibria) in Chaniotis 2012, il quale mostra la presenza di schemi narrativi legati probabilmente a topoi, con cui l’isola ed i suoi abitanti venivano percepiti (e rappresentati) sin dall’Alto Arcaismo. Sull’argomento cfr. anche l’utile studio di Perlman 2005, che studia il modo in cui le istituzioni politiche cretesi sono rappresentate negli autori di IV–III sec. a.C. (Platone, Aristotele ed Eforo), ricostruendo i topoi letterari sui quali si fondano tali rappresentazioni. 126 Sui Cureti rimando alla fondamentale raccolta delle testimonianze letterarie di Poener 1913, 257–262 sul contesto cretese; sul loro ruolo come educatori e protettori di Zeus cfr. anche Verbruggen 1981, 39–49 con una raccolta e discussione delle fonti. Il carattere di queste figure verrà trattato nel quinto capitolo, al quale rimando per ulteriori riferimenti bibliografici. 127 Sulla pirrica, cfr. Ceccarelli 1998, 108–115 sul contesto cretese; utile anche Shapiro et al. 2004; su questo tema con un’analisi delle testimonianze iconografiche cfr. Cruccas 2014, 36–43. 128 Cfr. Diod. (V, 55); per da dipendenza di Diodoro dall’opera di Apollodoro d’Atene cfr. Bethe 1899, pp. 427–437, con un’attenta analisi dei passi. Non mi è nota una monografia in cui siano state raccolte ed analizzate sistematicamente tutte le tradizioni mitiche relative a Ro-

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

ben definite, che si sarebbero differenziati dagli altri esseri umani per le conoscenze delle quali sarebbero stati depositari e i poteri magici dei quali sarebbero stati in possesso: essi sono i Telchini129. Alla generazione dei Telchini sarebbe seguita quella dei sette Eliadi, i quali venuti a conflitto tra loro ed a seguito della morte di alcuni di essi, in parte si sarebbero dispersi nel mondo. Makar si sarebbe recato a Lesbo, dove avrebbe fondato un proprio regno, Candale sarebbe andato a Cos, mentre Aktis in Egitto. Tempo dopo si sarebbe verificato il terribile cataclisma che sconvolse il mondo e l’isola sarebbe passata sotto il governo di Lindo, Ialiso e di Camiro, che l’avrebbero divisa in tre distretti. Nella generazione successiva si pone l’arrivo dall’Egitto di Danao e delle Danaidi, seguito da quello di Cadmo dalla Fenicia, il quale avrebbe lasciato un nucleo di coloni sull’isola, perché vi fondassero un insediamento. Abbiamo qui ora un punto di collegamento con Samotracia e con le successive vicende troiane. Va notato che un fattore di carattere cultuale accomuna le fasi di popolamento o comunque di definizione territoriale delle regioni sopra citate: la presenza, anche in età storica, non solo mitica, del culto dei Cureti. A Rodi infatti, come si è visto, le tradizioni considerano i Telchini come i più antichi abitanti dell’isola, esseri sovraumani dalle capacità sovrannaturali. Anche a Creta i più antichi abitanti sarebbero stati i Dattili Idei, dalle caratteristiche analoghe. Va notato che in termini di cronologia mitica ci troviamo sempre nel periodo precedente al cataclisma. A Samotracia le origini del culto cabirico si connettono alla figura di Giasone, considerato originario dell’isola, o dell’Arcadia, il quale avrebbe poi introdotto il medesimo culto nella Troade, in connessione con la migrazione di Dardano in Asia. Inoltre Diodoro (XVII, 7) attingendo forse da Demetrio di Scepsi, ricorda una tradizione secondo la quale presso il monte Ida in Troade avrebbero abitato i Dattili Idei, i quali per primi avrebbero lavorato i metalli, avendo appreso le tecniche per la loro lavorazione dalla Madre degli Dei. Per quanto riguarda Tebe, la fondazione della città stessa si collega all’arrivo di Cadmo da Samotracia ed all’introduzione nella regione del medesimo culto.

7c. Lesbo Analizziamo ora, in sintesi, le tradizioni relative al popolamento di Lesbo. Diodoro 130 racconta che l’isola anticamente sarebbe stata abitata da diversi popoli, di nel loro contesto e sviluppo cronologico, un quadro generale si trova in Gallas 1977; la centralità dell’isola in epoca ellenistica ebbe quasi sicuramente un ruolo importante nell’elaborazione di tali miti, come giustamente sottolineato da Bringmann 2002. In generale sulla storia ellenistica rodia cfr. Wiemer 2002. 129 Su questi esseri mitici cfr. Brillante 1993a; Musti 1999. 130 Diod. (V, 81); per la dipendenza da Apollodoro d’Atene cfr. Bethe 1899, 437–438.

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che si succedettero l’uno all’altro. I primi Greci a giungere sarebbero stati i Pelasgi di Argo che sotto la guida di Xanto, figlio di Triope, avrebbero occupato Lesbo, in quel momento deserta (eremos); questi avrebbe distribuito la terra tra il suo popolo e denominato l’isola, che precedentemente era conosciuta come Issa, Pelasgia. In termini di stratigrafia mitica questi avvenimenti si collocano sette generazioni prima del cataclisma di Deucalione, in seguito al quale, infatti, Lesbo si sarebbe nuovamente spopolata. L’espansione dei Pelasgi di Argo si pone prima di questo terribile avvenimento; una tradizione, tramandata da Strabone131 e riferita allo storico Menecrate di Elea, attribuiva a loro l’occupazione di tutta quanta la costa ionica e delle isole prospicienti, a partire dal promontorio di Micale. Va aggiunto che secondo quanto tramandato da Diodoro (V, 81), i Pelasgi argivi, prima di far rotta per Lesbo, avrebbero conquistato una parte della Licia. Dopo il cataclisma, sarebbe approdato nell’isola Makar, figlio di Crinaco, figlio di Zeus, il quale, sarebbe stato originario di Oleno, in Acaia, regione allora chiamata Iade. Sulla genealogia di Makar esistevano diverse tradizioni132. Secondo una versione di ambiente rodio, riferita dallo stesso Diodoro133, egli sarebbe stato uno dei sette Eliadi, che a seguito dell’uccisione di uno dei suoi fratelli sarebbe stato costretto ad abbandonare Rodi e a recarsi a Lesbo, dove avrebbe fondato un proprio regno134. Secondo Dionigi di Alicarnasso135 i Pelasgi provenienti dalla Tessaglia si sarebbero mischiati (ἀναμιχθέντες) ai Greci che, dalla Grecia, seguivano Makar a Lesbo per fondare una apoikia. Va solo aggiunto che secondo questo autore136 i Pelasgi sarebbero stati una popolazione greca137, autoctona, originaria del Peloponneso, la quale sarebbe poi migrata a Nord, in Tessaglia, regione dalla quale sarebbe stata scacciata in seguito all’arrivo dei Lelegi e dei Cureti e da dove sarebbe iniziata la diaspora di questo popolo. Nel complesso, la tradizione mitica conoscerebbe da una parte un’origine rodia per Makar, mentre secondo un’altra versione, forse più diffusa, questo personaggio sarebbe provenuto dal Peloponneso. 131 132

Cfr. Strab. (XIII, 1, 13). Su questo problema rimando al documentato lavoro di Ottone 2005, in part. pp. 52–60; si vedano anche le considerazioni di Coppola 2005. 133 Cfr. Diod. (V, 55 sgg.). 134 Questa tradizione riporta uno scarto di almeno una generazione rispetto alla versione argiva. Gli Eliadi, infatti, si collocano a ridosso del cataclisma, dopo il quale l’isola verrà ripopolata e riorganizzata da Lindo, Ialiso e Camiro. Lo sbarco a Lesbo di Makar sarebbe quindi immediatamente precedente al catastrofico evento. Il mito argivo, invece, colloca l’arrivo di questo eroe subito dopo il cataclisma, quando l’isola era spopolata. 135 Cfr. Dion. Hal. (I, 18, 1). 136 Cfr. Dion. Hal. (I, 18, 1). 137 Per quanto riguarda la grecità pelasgica e le finalità politiche della cernita delle tradizioni dionisiane cfr. Musti 1970.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

L’origine peloponnesiaca di questo eroe, seguendo un’idea di Filippo Cassola138, potrebbe forse essere connessa ad una forte presenza di elementi peloponnesiaci tra i Greci delle colonie settentrionali i quali, tramite questa tradizione, avrebbero potuto porre una continuità e comunque riallacciarsi sul piano mitico alla provenienza dal Peloponneso dei Pentilidi. Un elemento a favore di questa tesi è da leggersi forse in un verso dell’Inno Omerico ad Apollo139, in cui Makar è chiamato figlio di Eolo. Ad ogni modo, importa in questa sede sottolineare, in termini di coordinate temporali, come l’arrivo di Makar a Lesbo si ponga a ridosso di quello di Dardano a Troia: nella geografia mitica dell’Egeo settentrionale vediamo nascere il regno dei Teucri, quello dei Dardani e quello pelasgico-argivo di Makar a Lesbo nella stessa epoca; ad essi si aggiunse in una generazione successiva quello dei figli di Dioniso e di Arianna a Lemno. Questo è il modo in cui, in generale, i Greci nelle loro tradizioni mitiche configuravano la geografia politico-mitica dell’Egeo settentrionale nelle generazioni successive al diluvio.

7d. Argo e l’Argolide Passiamo ora ad analizzare in termini generali, senza addentrarci nei particolari delle numerose varianti, il contesto delle tradizioni argive140, quale presentato in primo luogo da Pausania. Interessa qui mettere in rilievo soprattutto come la struttura delle tradizioni locali di questa regione trovi degli interessanti punti di raffronto con i miti relativi all’ambiente troiano. Le tradizioni inerenti all’Argolide sottolineano il ruolo di primo piano detenuto da Argo nella regione. Esistevano tuttavia anche altri centri, quali Micene, Tirinto e Midea, che comunque potevano contendere a questa città il primato, almeno culturale, sul territorio, ben testimoniato dalle imponenti rovine visibili agli occhi di tutti. Soprattutto Micene141 e Tirinto142, circondate da mura ciclopiche, erano state sedi in epoca micenea di centri palatini. Per quanto riguarda le tradizioni mitiche, la storia di questi centri si lega sempre alle vicissitudini dinastiche di Argo e nel caso di Tirinto si interrompe addirittura con le imprese 138 139 140

Cfr. Cassola 1957a, 76 sgg. Cfr. Hymn. Hom. (III, 37). Sulle tradizioni argive esiste una nutrita bibliografia; in generale cfr. Piérart 1985; Sinatra 1994; Hall 1997, 67–107 (che indaga il valore delle tradizioni argive secondo le teorie moderne dell’antropologia); Dorati 2007 (con una ricca bibliografia); cfr. inoltre i ricchi contributi del convegno urbinate su Argo in Bernardini 2004, ed il volume edito da M. Piérart (Piérart 1992). Da ultimo anche Foderà 2013, che per altro sostiene che il testo di Acusilao insieme ad Esiodo ed all’epica arcaica non omerica abbiano rappresentato la fonte di Ecateo per le tradizioni argive. Per un tentativo di porre in relazione i monumenti archeologici di epoca micenea alla formazione delle leggende eroiche in Argolide cfr. Brillante 1983, 87–145. 141 Cfr. Fletcher 1941; Winniczuk 1968. 142 Sulle tradizioni mitiche ed i rapporti con Argo cfr. Sinatra 1991.

7. LE STRUTTURE TEMPORALI DEL MITO

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di Eracle, mancando qualsiasi altro riferimento alla città nel ciclo dei Troika e dei Nostoi. Inerentemente alle vicende successive, sappiamo da Erodoto143 che Tirinto fu presa da schiavi fuggiti da Argo agli inizi del V sec. a.C. e che partecipò con un contingente insieme a Micene alla battaglia di Platea144. Subito dopo le guerre persiane, Argo avrebbe poi inglobato nella propria chora il territorio di Midea, Tirinto e Micene, insieme a quello di altri piccoli centri della regione, per contrastare la loro politica filospartana145. Secondo le testimonianze storiche Tirinto146 e Micene147 sarebbero state distrutte e la loro popolazione costretta trasferirsi ad Epidauro. Interessante appare anche il modo in cui la tradizione insista sul motivo dell’invidia di Argo nei confronti di queste città. Veniamo ora ad analizzare in concreto le tradizioni quali ci vengono presentate da Pausania (II, 16)148. La prima fase di popolamento dell’Argolide è riferita a Foroneo149, figlio di Inaco, divinità fluviale, il quale avrebbe raccolto intorno a sé delle genti e popolato la pianura argiva. La città di Argo avrebbe tuttavia preso nome da Argo, un suo nipote, il quale gli sarebbe succeduto al trono. In seguito, la tradizione conosce tutta una serie di re, ai quali non viene tuttavia rapportato alcun avvenimento particolare. Questi sono Peiraso, Forba, Triopa (questi sarebbe il padre di Xanto, capo dei Pelasgi che avrebbero colonizzato l’isola di Lesbo: ecco un interessante collegamento con la zona troiana), Iaso, che Pausania considera essere il padre di Io150 e sotto il cui regno la principessa sarebbe stata rapita dai Fenici in Egitto, Agenore, Crotopo, Stenela, Gelanore (sotto il cui regno si ha l’arrivo di Danao dall’Egitto), Linceo (un contemporaneo di Dardano e di Cadmo), Abas; arriviamo infine ad Acrisio, sotto il quale la pianura argiva viene divisa in due parti, delle quali, una ad oriente, sul mare, comprendente i centri di Tirinto e di Micene, viene affidata a Preto, suo fratello, mentre la città di Argo ed il suo territorio restano sotto il controllo di Acrisio151. Acrisio muore poi incidentalmente 143 144 145

Cfr. Hdt. (VI, 83). Cfr. Hdt. (IX, 28, 4). Su questi episodi relativi alla storia argiva della prima metà del V sec. a.C. cfr. Zambelli 1971; id. 1975; per una valutazione delle fonti cfr. Moggi 1976, 127–131, a cui si aggiungono le osservazioni di Musti 1985a, p. 64 n. 7. Da ultimo cfr. i contributi nel volume miscellaneo Bearzot – Landucci 2006. 146 Cfr. Strab. (VIII, 6, 11); Paus. (II, 25, 8; VIII, 27, 1). 147 Cfr. Diod. (XI, 65, 2); Paus. (II, 16, 5). 148 Per il commento storico-filologico dei passi presi in considerazione si rimanda alle osservazioni di D. Musti – M. Torelli nell’edizione critica da loro curata per i Classici greci e latini della Lorenzo Valla; cfr., con un’aggiornata bibliografia, Dorati 2007, 41–44. Cfr. anche le osservazioni di Foderà 2013, 14–17. 149 Sulle genealogie argive rimando ai documentati lavori di Brillante 2004 e di Dorati 2007. A riguardo Marcel Piérart (Piérart 1984, 284) osservava: «La permanenza di tradizioni locali concernenti Inaco, Foroneo, Io, Danao, Perseo, Eracle, che risalgono ad epoca anteriore alla formazione delle epopee omeriche mi sembra sicura». 150 Va qui ricordato che Erodoto (I, 1) considera Inaco, re di Argo, il padre di Io. 151 Su tale divisione dell’Argolide cfr. il già menzionato Piérart 1984.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

per mano di suo nipote Perseo, destinato a succedergli al trono. L’eroe, talmente sconvolto dall’accaduto, decide di scambiare il suo regno con quello di suo cugino Megapente, che governava a Tirinto. Abbiamo in questo modo il passaggio nel settore orientale dell’Argolide di Perseo, il quale al suo arrivo avrebbe fondato Micene152. Facciamo ora delle osservazioni critiche su queste tradizioni. Va notato come la pianura argiva sia stata suddivisa in due settori, delimitati dal fiume Inaco. La parte orientale, come detto, si accentra intorno alla dinastia perseide, mentre quella occidentale sul ramo di Preto. Le due dinastie sono tuttavia sentite come vicine e apparentate, proprio come quelle dei Teucri e dei Dardanidi, seppure non sempre in un rapporto di amicizia e d’intesa, quale quello di Priamo e di Anchise. In secondo luogo, interessante è il fatto che il capostipite della dinastia argiva sia considerato figlio di una divinità fluviale, Inaco appunto, proprio come Teucro è detto figlio di Scamandro: questo sembra sottolinearne l’autoctonia. Infine, considerando la successione genealogica, vediamo, come in parte accennato, che Linceo è un contemporaneo di Dardano e di Cadmo; Abas lo è di Erittonio; Acrisio e Preto lo sono di Troos, mentre Perseo lo è di Ilo, il fondatore di Ilio. Ricollegando questa tradizione a quanto si legge in Diodoro (V, 47) inerentemente alla fondazione di Ilio da parte di un re eponimo della dinastia teucra di nome Ilo, vediamo che costui si pone nella stessa linea generazionale di Perseo: il sincronismo tra le due fondazioni è in questo caso evidente.

7e. Tebe Tebe offre anch’essa delle interessanti coordinate temporali153. Un’approfondita analisi dei miti tebani, precedenti l’arrivo di Cadmo, esulerebbe dai fini di questo lavoro; a tal proposito rimando ad un recente contributo di Luisa Breglia, che analizza in modo dettagliato il livello mitico precadmeo154. In questo contesto farò riferimento alle tradizioni tebane tramandate da Pausania, che rappresentano un po’ la sintesi di un antico dibattito sulla protostoria mitica beota. La Beozia secondo il Periegeta (X, 5, 1) sarebbe stata prima abitata dagli Ekteni155, una po152

La tradizione della fondazione di Micene da parte di Perseo si legge anche in Strabone (VIII, 6, 119). Per un’analisi di queste tradizioni cfr. Sansone di Campobianco 2003. 153 In generale sulle tradizioni tebane cfr. il classico libro di Vian 1963; sulle tradizioni tebane con un’ampia bibliografia rimando qui a Bernardini 2000, in particolare ai contributi di Hurst 2000, che tratta delle tradizioni relative alle mura della città ed al loro significato storico, e di Cingano 2000. Per una ricostruzione della storia della città, con un’analisi delle tradizioni mitiche e dei dati archeologici cfr. Buck 1979, in part. p. 45 sgg. Da ultimo con una ricca bibliografia Kühr 2006. 154 Breglia 2011. 155 La menzione di popolazioni barbare in Beozia è già presente in Ecateo (FGrHist 1, F 119), il quale considera la Cadmea una fondazione fenicia, mentre la Beozia abitata da Aones, Temmikes ed Hyantes. Un quadro analogo viene fornito anche da Strabone (IX, 2, 3), il quale, probabilmente attingendo da Eforo (FGrHist 70, F 119), dipinge l’immagine di una Beozia

8. CONCLUSIONI

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polazione autoctona, governata da un re di nome Ogige. Questo popolo sarebbe stato sterminato da una malattia e nella sua regione si sarebbero insediati gli Yantes e gli Aones156. Cadmo, giunto in questa terra, avrebbe combattuto contro gli Yantes, scacciandoli, mentre avrebbe permesso ai Fenici di unirsi agli Aones, che vivevano sparsi in villaggi; fatti unire i due popoli, egli avrebbe poi fondato la città Cadmea157. In seguito alla crescita di questo centro, dopo qualche generazione, la parte bassa dell’abitato sarebbe stata unita a quella alta tramite una cinta muraria, facendo in questo modo nascere la città di Tebe. Senza addentrarci ulteriormente nel labirinto delle tradizioni del ciclo tebano, va qui rilevata anzitutto la forte connessione tra il momento della fondazione urbana e l’arrivo di Cadmo nella regione, con tutte le implicazioni culturali ad esso connesse. Che Cadmo sia connesso al momento urbano viene anche messo in rilievo dal fatto che gli Aones vivono κατὰ κώμας, secondo una modalità insediativa precedente a quello della polis, che spesso nasce a seguito di un sinecismo dei villaggi circostanti, come nel caso di Atene ad opera di Teseo. Questi avvenimenti vengono collocati in un orizzonte mitico contemporaneo a quello della partenza di Dardano per la Troade, dove avrebbe introdotto il culto dei Cabiri e fondato Troia.

8. Conclusioni Le tradizioni connettono l’origine di Ilio come centro urbano della Troade alla fusione di due popoli: i Teucri, considerati autoctoni o come provenienti da Creta, ed i Dardani, giunti nella regione al seguito di Dardano. Rapportata alla realtà storica ed archeologica, questa stratigrafia (o costruzione) mitica sembra rappresentare il ricordo della fusione (o convivenza) tra la popolazione locale anatolica, di cultura egeo-anatolica, e i gruppi di migranti provenienti dai Balcani, che si insediano in due ondate nella regione alla fine dell’Età del Bronzo. La tradizione sottolinea, inoltre, l’autoctonia e comunque l’anteriorità dei Teucri attraverso una costruzione genealogica, che fa di Teucro il figlio del dio del fiume Scamandro. Nella griglia delle coordinate mitico-temporali, la fondazione di Troia non è un fatto isolato, ma avviene in contemporanea con quella di Tebe e di Argo e, per quanto riguarda l’ambito beotico, è connessa con l’arrivo di Cadmo abitata da barbari, provenienti da diversi paesi: Ἡ δ’οὖν Βοιωτία πρότερον μὲν ὑπὸ βαρβάρων ᾠκεῖτο Ἀόνων καὶ Τεμμίκων ἐκ τοῦ Σουνίου πεπλανημένων καὶ Λελέγων καὶ Ὑάντων ἔσχον οἱ μετὰ Κάδμου, ὃς τήν τε Καδμείαν ἐτείχισε καὶ τὴν ἀρχὴν τοῖς ἐκγοόνοις ἀπέλιπεν. 156 Ellanico (FGrHist 4, F 51) conosce Aonia come antico nome della Beozia. 157 Va qui ricordata tuttavia la variante eforea (FGrHist 70, F 119), trasmessa da Strabone (IX, 2, 3), secondo la quale sarebbero stati i discendenti di Cadmo e non Cadmo ad aver fortificato la Cadmea; si noti peraltro come il verbo usato sottolinei l’importanza delle mura per la definizione del centro. Sulla testimonianza di Eforo rimando alla documentata analisi di Parmeggiani 2011, 205–211.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

che sosta a Samotracia, dove sposa Armonia, sorella di Dardano. La connessione tra Dardano e i Cabiri, che verrà approfondita nel quinto capitolo, risulterà poi costituire la chiave di volta della geografia mitica dell’egeo settentrionale e delle sue connessioni con Creta. Dardano rappresenta da una parte un eroe ecista, che fonda il primo centro urbano della Troade, di cui è lui stesso eponimo, dall’altro assume i caratteri di un eroe culturale, che diffonde i culti di Samotracia nella Troade. A prescindere dalle numerose varianti locali, il suo mito sembra seguire il seguente schema tripartito: 1) nascita in una regione greca, che egli abbandona; 2) sosta a Samotracia, dove avviene il contatto con il culto dei Cabiri; 3) arrivo in Troade, fondazione di Dardano e diffusione del culto cabirico. L’analisi delle tradizioni ha permesso, inoltre, di rilevare che le fasi di popolamento di Creta, di Rodi, di Lesbo e della Troade sono state inserite dalla memoria mitica greca in una griglia di coordinate temporali, che permetteva di stabilire dei sincronismi probabilmente non casuali.

Appendice 1 La geografia mitica dell’Egeo nelle tradizioni di popolamento di Creta, di Rodi e dell’Eubea La memoria mitica greca articolò, come visto, le fasi di popolamento di Creta, di Rodi e della Troade in una griglia di coordinate temporali che permetteva di stabilire interessanti sincronismi. Questo si evince soprattutto da un’attenta lettura del testo di Diodoro, che rappresenta la fonte più importante per la conoscenza della geografia mitica dell’Egeo ad un livello preomerico. In quest’appendice mi propongo di considerare più in dettaglio il testo diodoreo, ai fini di approfondire questi sincronismi, per ricostruire il modo in cui la memoria culturale ellenica ricostruiva il popolamento di Creta e dell’Egeo.

1.

Creta

1a. Creta ed i Dattili Secondo lo Storico siceliota (V, 64 sgg.), i Cretesi stessi affermavano che i più antichi abitanti di Creta sarebbero stati gli Eteocretesi158, considerati autoctoni, sui quali anticamente avrebbe regnato Cres159, eponimo dell’isola, che, secondo una 158

Sugli Eteocretesi cfr. Duhoux 1982, con una trattazione sia delle tradizioni storico-letterarie che del materiale epigrafico. 159 Tra le diverse varianti del mito possiamo ricordare quella tramandata da Diodoro (III, 71, 2), secondo la quale Crete sarebbe stata la figlia del re dei Cureti dell’isola, che Ammone avrebbe

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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diffusa tradizione, sarebbe stato il re dei Cureti160. I primi che però avrebbero popolato Creta, secondo quanto tramandato a memoria, sarebbero stati i Dattili Idei, che abitavano nella regione del monte Ida. Diodoro, o la sua fonte, in questo caso sembrerebbe attingere a tradizioni locali orali (πρῶτοι τοίνυν τῶν εἰς μνήμην παραδεδομένων ᾤησαν τῆς Κρήτης περὶ ὴν Ἴδην οἱ προσαγορεθέντες Ἰδαῖοι Δάκτυλοι), nelle quali questi esseri venivano considerati come i più antichi abitanti dell’isola; essi sarebbero stati cento di numero161 ed il loro nome sarebbe derivato, come precedentemente detto, dalla parola daktylos. I Dattili erano tuttavia conosciuti anche fuori Creta e, secondo una tradizione che si leggeva in Eforo (FGrHist 70, F 149), essi sarebbero stati originari della Frigia, più precisamente della regione del monte Ida in Troade, da dove sarebbero passati in Europa guidati da Migdono. Questa testimonianza si potrebbe connettere con quanto si legge in Strabone162, secondo cui Rea avrebbe fatto venire dalla Frigia a Creta i Cureti, affinché si prendessero cura di Zeus. I Dattili Frigi sarebbero stati dei maghi, incantatori, praticanti riti misterici; essi avrebbero sostato a Samotracia, facendo uscire di senno gli abitanti dell’isola; loro discepolo sarebbe stato Orfeo, che si distingueva tra gli uomini per le sue capacità artistiche nel canto e nella musica, il quale, divenuto un iniziato, avrebbe introdotto i culti misterici presso i Greci. Nella tradizione eforea si sosteneva quindi un’origine microasiatica di queste disposato, dopo aver lasciato l’Egitto a seguito di una carestia. Una tradizione analoga si leggeva presso lo storico cretese Dosiade, che faceva di Crete la figlia di Esperide (FGrHist 458, F 4 = NH XXXVII, 58): Dosiades eam a Crete nympha, Hesperidis filia, Anaximander a rege Curetum, Philistides Mallotes et Crates primum Aeriam dictam, deinde postea Curetim. Questa variante mitica si trova poi in Solino (IX, 5), epitomatore di Plinio, ed in Marziano Capella (VI, 659: Curetum rex Cretes, a quo Creta primo, mox Curetim nuncupata), che riprende rielaborandolo il passo pliniano. Va infine menzionata la pseudo-etimologia che spiegava il toponimo Κρήτη come la forma sincopata di Κουρήτη. Steph. Byz.: Κρήτη ἡ μεγίστη νῆσος, ἣν Κρέτην ἔφη Ἀρχίλοχος κατὰ πλεονασμόν. οἱ μέν φασι ἀπὸ τοῦ Κούρης Κουρήτην καὶ Κρήτην κατὰ συγκοπήν, οἱ δὲ ἀπὸ Κρητὸς τοῦ Διὸς καὶ Ἰδαίας νύμφης παιδός, οἱ δ’ἀπὸ Κρήτης μιᾶς τῶν Ἑσπερίδων, οἱ δὲ ἀπό τινος γηγενοῦς Κρητός. La medesima tradizione viene riferita anche da Eustazio (Dion. Per. 498): Κρήτη δὲ λέγεται, ὡς οἱ παλαιοί φάσι, ἀπὸ τῶν ἐκεῖ οίκησάντων Κουρήτων, οἰονεὶ Κουρήτη, καὶ ἐν συγκοπῇ Κρήτη. Le testimonianze antiche su questa pseudo-etimologia sono state raccolte da Poerner 1913, 258–260. 160 Per una raccolta delle testimonianze letterarie rimando a Poerner 1913, 258–262; il culto dei Cureti, spesso associato a quello delle ninfe, è ampiamente attestato a Creta in epoca classica ed ellenistica, a riguardo rimando al materiale raccolto e commentato da Sporn 2002, 334– 336, p. 389 con una tabella sinottica. 161 Cfr. le osservazioni di Faure, 1959, in part. pp. 216–217, ove si sottolinea come questa tradizione si connetta al numero di città che nell’Iliade (II, 649) viene attribuito all’isola, mentre nell’Odissea (XIX, 174) queste sono novanta. 162 Cfr. Strab. (X, 3, 19): […] ἐν δὲ τοῖς Κρητικοῖς λόγοις οἱ Κουρήτες Διὸς τροφεῖς λέγονται καὶ φύλακες εἰς Κρήτην μεταπεμφθέντες ὑπὸ τῆς Ῥέας. Un cenno a questa versione del mito si ritrova anche in un passo di Diodoro (XVII, 7, 5), in cui si narra che i Dattili Idei, originari della Troade, avrebbero qui appreso dalla Madre degli Dei le tecniche per la lavorazione del ferro. Sul complesso della tradizione straboniana cfr. l’accurata esegesi di Mora 1993.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

vinità, le quali sarebbero state originarie dei territori dell’Ida in Troade. In questo caso la regione di Troia era considerata come la patria originaria dei primi abitatori di Creta, i quali non ricevevano tuttavia una connotazione positiva, essendo descritti come incantatori e maghi, che ekplettein «fanno uscire di senno» gli abitanti di Samotracia. Si tratta di una caratterizzazione che li avvicina e collega ai Telchini di Rodi, ai quali comunque sono comparabili, come vedremo in seguito, per altri aspetti. Sia la tradizione cretese, che quella frigio-troiana, insistevano sulla forte connessione dei Dattili con il paesaggio montano; tale connessione viene ancora più sottolineata tramite l’attributo idaios riferito al Dattili. Il problema consisteva a questo punto nello stabilire dove si dovesse ubicare l’originaria sede di questi esseri. Diodoro sembra propendere per Creta, anche se non può fare a meno di riportare l’autorevole parere di Eforo, prima preso in considerazione. Occorre tuttavia notare la diversa caratterizzazione dei Dattili della Troade, rispetto a quelli cretesi (opposizione resa peraltro tramite l’uso della particella avversativa δὲ nel testo163). Infatti, mentre i primi sono definiti goetes (maghi) e connessi alla danza, al canto e ai misteri, i Dattili Idei sarebbero stati gli scopritori del fuoco e della physis (natura) del ferro e del bronzo: in tal senso si ha una diversa caratterizzazione, che fa di essi dei protoi heuretai164. In seguito a tali scoperte, utili a tutta quanta l’umanità, essi avrebbero ricevuto dagli uomini onori divini165. Da questa testimonianza sembrerebbe che questi esseri non fossero, in origine, immortali, bensì degli uomini dal sapere superiore, in virtù del quale essi avrebbero ricevuto onori divini, secondo un modello interpretativo di matrice evemeristica. Interessante appare il nesso con la metallurgia e con la conoscenza dei metalli, che caratterizza in tutte le tradizioni queste figure: i Dattili conoscono i segreti del fuoco e dei metalli e sanno come si lavorano, essendo detentori di un sapere specialistico, non accessibile a tutti. Quest’aspetto, che merita un approfondimento, potrebbe ricordare la posizione privilegiata che possedevano nelle civiltà del Vicino Oriente antico gli artigiani che sapevano lavorare i metalli, quali detentori di un sapere specialistico, che veniva tramandato da generazione in generazione. Ancora un dato interessante è la localizzazione nelle regioni della costa tracia di questi personaggi, sempre gravitanti nella zona dell’Egeo settentrionale. Sempre 163

Diod. (V, 64, 5): οἱ δ’ οὖν κατὰ τὴν Κρήτην Ἰδαῖοι Δάκτυλοι παραδέδονται τὴν τε τοῦ πυρὸς χρῆσιν καὶ τὴν τοῦ χαλκοῦ καὶ σιδήρου φύσιν ἐξευρεῖν. 164 Sul motivo del protos heuretes cfr. il classico lavoro di Kleingünther 1933; in relazione a Diodoro cfr. le osservazioni di Ambaglio 1995, 90–92; su questo tema cfr. Thraede 1962; tra gli studi più recenti cfr. Müller 1988; id. 1994; id. 2003, in part. pp. 23–27. Sul tema utili osservazioni anche in Brelich 1958, 166–184, che raccoglie e commenta numerosi miti eroici. 165 Sul contesto evemeristico dell’opera di Diodoro cfr. con ulteriori riferimenti bibliografici Cohen-Skalle – de Vido 2011. Sul possibile influsso dell’evergetismo dei monarchi ellenistici su tali tradizioni cfr. le osservazioni di Corsaro 1998, in part. p. 428. Sul ruolo delle tradizioni religiose nell’opera diodorea cfr. l’utile materiale raccolto in Spoerri 1959.

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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secondo questa tradizione, uno dei Dattili sarebbe stato Eracle, il quale avrebbe fondato i giochi olimpici166. Si trattava tuttavia, come avverte anche lo stesso Diodoro, di una figura, da tenere distinta dall’eroe figlio di Alcmena e di Zeus, ed in stretta connessione con le celebrazioni di culti misterici e di magia. Dopo la generazione dei Dattili sarebbe seguita a Creta quella dei Cureti, che sarebbero stati in numero di nove. Secondo alcuni essi sarebbero stati gegeneis, ovvero figli della terra, autoctoni, o, secondo altri, semplicemente discendenti dei Dattili; i Cureti avrebbero abitato le zone di montagna, ricoperte di foreste, e si sarebbero distinti dagli altri uomini in quanto ad ingegno. Per primi avrebbero addomesticato e raccolto in greggi gli animali da allevamento e costruito le prime armi con cui potere andare a caccia. Essi sarebbero stati gli inventori del pugnale, della lancia e delle danze armate, con le quali avrebbero ingannato Crono, quando Rea affidò loro Zeus infante, affinché lo proteggessero dal padre e lo allevassero. I Cureti in questa tradizione rappresentano un momento successivo a quello dei Dattili; sono anch’essi mortali e si distinguono dal resto degli uomini per intelligenza. Si rileva in questo senso una certa continuità nella rappresentazione di questi personaggi, anche se i Cureti costituiscono un momento più evoluto: mentre i Dattili sono gli scopritori del fuoco e dei metalli, i Cureti sono gli artigiani che riescono a fondere questi metalli ricavandone oggetti, in questo caso armi da caccia, utili alla collettività umana. Esistono quindi affinità e differenze, come ad esempio nel numero: cento sono i Dattili, mentre nove sono i Cureti. Il discorso sui Dattili e Cureti cretesi verrà poi ripreso nella seconda appendice a questo capitolo relativa ai diversi livelli temporali delle tradizioni mitiche di Creta.

1b. Creta e gli dei Diodoro (V, 66), proseguendo la narrazione, afferma che nell’orizzonte mitico delle tradizioni dell’isola i Titani sarebbero nati nella stessa generazione dei Cureti. Questi avrebbero abitato nella regione della città di Cnosso, dove ancora in età storica erano visibili fondazioni attribuite a Rea: alcuni edifici ed un bosco di cipressi sacro alla dea da tempi molto antichi. Questi esseri, così come i Cureti - questo è un dato molto interessante - sarebbero stati nove di numero, nati da Urano e da Gea, o, secondo un’altra versione, da uno dei Cureti e da Titaia, dalla quale avrebbero tratto il nome. Di loro, cinque sarebbero stati maschi: Crono, Iperione, Koio, Iapeto, Crio ed Oceano; mentre quattro femmine: Rea, Themis, Mnemosine e Teti. Ciascuno di essi sarebbe stato dispensatore di un dono per l’umanità. La testimonianza diodorea, probabilmente in parte dipendente da Eforo, è quasi da considerare una vera e propria teogonia cretese, la quale riconduceva all’isola di Minosse le origini del progresso umano. A Creta si considerava il periodo del regno di Crono sugli uomini come un’era felice, caratterizzata da un 166

Questa tradizione si legge anche in Pindaro (Ol. X, 23–59) ed in Pausania (V, 7, 6–7); per ulteriori osservazioni rimando al quinto capitolo del libro.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

progressivo miglioramento della vita degli uomini sulla terra, che da uno stato selvaggio sarebbero passati ad un livello di vita più progredito. Senza scendere nei particolari, Diodoro ha modo di rilevare che ancora ai tempi dei Cartaginesi e dei Romani in alcune città cretesi erano celebrate feste in onore di Crono. Nelle tradizioni cretesi la nascita della maggior parte degli dei dell’Olimpo era localizzata nell’isola167, dove sarebbero nati Atena, Artemide, Efesto e Dioniso. Riguardo quest’ultima divinità si tramandava che fosse stato lo scopritore della vite e del processo di fabbricazione del vino. I Cretesi rivendicavano per la loro patria i natali del dio168, adducendo quale motivo il fatto che egli sarebbe stato l’eponimo di due isolette antistanti Creta. Egli sarebbe nato dall’unione di Persefone e di Zeus e, secondo una versione del mito che si faceva risalire ad Orfeo, sarebbe stato fatto a pezzi dai Titani. Diodoro a riguardo si limita ad osservare che presso i Greci esistevano diverse divinità col nome di Dioniso, tutte dal destino e dagli attributi differenti. In questo contesto va anche ricordato il famoso frammento della tragedia euripidea “I Cretesi”, in cui in un contesto misterico la nascita di Dioniso viene localizzata ugualmente a Creta ed il suo culto associato a quello di Zeus Zagreus169. Un’altra divinità nativa dell’isola170 sarebbe stata Britomartis, chiamata anche Dictinna171, figlia di Zeus e di Carme, figlia di Eubulo, figlio di Demetra; costei sarebbe stata una dea della caccia e avrebbe condiviso questa attività con Artemide, dea con la quale sarebbe stata anche identificata, tanto che in alcune località le due dee venivano adorate come se fossero state un’unica divinità. Un altro mito, ambientato a Creta, era quello dell’unione tra Demetra e Giasone172, avvenuto in un campo di Tripolo. Nella versione canonica di questa tra167

Cfr. Diod. (V, 75); a riguardo cfr. osservazioni in Willetts 1962, 50–53, che rapporta questo insieme di tradizioni sull’origine cretese degli dei olimpici ad un antico sostrato minoico. 168 Sul culto di Dioniso nell’isola cfr. Willetts 1962, 220-221; per l’età classica ed ellenistica cfr. Sporn 2002, 334, 288, tab. 14. 169 Cret. Fr. 475 Nauck = Porph., De abst. IV, 19; a cui va aggiunta la testimonianza di Firmico Materno (De err. 6). Su questo testo cfr. Cozzoli 1998; ead. 2001, 18–26, 79–93. Alla luce della presenza di un antico culto di Dioniso a Creta, testimoniato da una tavoletta micenea della Canea (KH Gh 3), in cui compare la forma di-wo-ni-so, non mi sembra condivisibile l’ipotesi di Maria Carla Gianmarco Razzano (Gianmarco Razzano 1996), che vede nei versi euripidei non più di un’elaborazione ed invenzione letteraria. Va anche citata l’approfondita analisi storico-religiosa di questa testimonianza fatta da Harrison 1922, 479–500. La menzione della triade divina in Euripide (Meter Oreia, Zeus, Zagreus) trova poi riscontri cultuali non solo a Creta (si pensi ad esempio alla triade adorata a Drero), ma anche in altre regioni della Grecia. Sappiamo ad esempio che a Lesbo veniva adorata una triade simile, la cui origine venne rapportata ad un sostrato miceneo da Carlo Gallavotti (Gallavotti 1956). 170 Cfr. Diod. (V, 76). 171 Sul culto di questa divinità a Creta cfr. Willetts 1962, 179–193, con un’ampia analisi delle testimonianze archeologiche, epigrafiche, numismatiche e letterarie; per l’epoca classica ed ellenistica cfr. Sporn 2002, 323–325, 383–384 con le tabelle sinottiche. 172 Cfr. Diod. (V, 77, 1–2).

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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dizione gli amori di Giasone con la dea erano consumati a Samotracia, dove l’eroe avrebbe trovato la morte a causa dell’oltraggio arrecato alla divinità. I Cretesi173 affermavano, in sintesi, che nella loro isola fossero nati non solo tutti gli dei, ma che fosse stata il luogo d’origine di tutte quante le pratiche e i riti misterici che si trovavano in Grecia ed in Anatolia. Secondo le loro tradizioni le celebrazioni misteriche di Eleusi e di Samotracia sarebbero nate in origine nella loro terra, da dove sarebbero state portate in quei luoghi. Persino i riti misterici celebrati in Tracia, presso i Ciconi, la cui introduzione veniva fatta risalire ad Orfeo, sarebbero stati originari di Creta, più precisamente della città di Cnosso. Tutti gli dei nati a Creta sarebbero successivamente andati per il mondo ad insegnare agli uomini cose di comune utilità. Demetra174, ad esempio, da Creta sarebbe andata prima in Attica, poi in Sicilia, e infine in Egitto, tutte terre che si distinguevano per la produzione del frumento. Afrodite avrebbe vissuto ad Erice in Sicilia, in Siria e nelle isole di Citera e di Cipro. Apollo175 aveva quali sedi preferite Delfi, Delo e la Licia; Artemide176, invece, Creta, Efeso, il Ponto e la Persia. Per questo motivo questi dei erano conosciuti con epiteti quali delio, pafia, licio e così via. Questa teogonia cretese va oltre un semplice Lokalpatriotismus, annullando la genealogia olimpica degli dei greci, che sembrano essere identificati con delle divinità locali cretesi attraverso un processo di interpretatio cretensis. L’autore di una tale identificazione genealogica e locale – anche in questo caso le categorie elaborate da Tonio Hölscher si rivelano utili – è da cercarsi sicuramente sull’isola e potrebbe forse essere identificato con Epimenide, a cui si riferiscono diversi scritti sulle divinità e sui culti cretesi, la cui autorità potrebbe aver contribuito alla diffusione della sua opera nel mondo antico177. Non possiamo stabilire con certezza, tanto se Epimenide sia l’autore di questa complessa costruzione mitica, quanto se Diodoro o la sua fonte (che potrebbe essere Eforo) abbiano letto ed usato le sue opere.

1c. Creta e gli eroi Sempre secondo le tradizioni cretesi, alcune generazioni successive alla nascita delle divinità prima ricordate, sarebbero vissuti a Creta diversi eroi, i più importanti 173 174

Cfr. Diod. (V, 77, 3 sgg.). Il culto di Demetra a Creta è testimoniato in età storica attraverso testimonianze epigrafiche e numismatiche ad Axos, Hyrtakina, Kydonia, Cnosso, Gortina, Rhaukos a Hieraptyna; sul culto della dea nell’isola cfr. Willetts 1962, 148–152. 175 Sul culto di Apollo a Creta cfr. Willetts 1962, 256–271; per l’epoca classica ed ellenistica cfr. Sporn 2002, 319–323, 380–381 con le tabelle sinottiche. 176 Sul culto di Artemide a Creta cfr. Willetts 1962, 272–277; per l’epoca classica ed ellenistica cfr. Sporn 2002, 323–325, 383–384 con le tabelle sinotiche. 177 Su Epimenide e la sua opera rimando ai documentati contributi contenuti in Visconti – Federico 2001.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

dei quali furono Minosse, Radamante e Sarpedonte178, figli di Zeus e di Europa, figlia di Agenore, la quale, rapita da Zeus nelle spoglie di un toro, sarebbe stata condotta nell’isola. A Minosse, il più anziano dei tre sarebbe toccata la reggenza sull’isola. Egli avrebbe fondato tre città: Cnosso sulla costa ad Est; Festo a Sud e Cidonia a Nord, prospiciente il Peloponneso. Egli avrebbe dato una legislazione ai Cretesi, che gli sarebbe stata direttamente ispirata da Zeus, venuto a colloquio con lui in una grotta. Minosse, primo tra tutti i Greci, avrebbe costruito una potente flotta e dominato i mari, conquistando la maggior parte delle isole. Secondo la tradizione179 egli sarebbe morto in Sicilia presso Cocalo. A lui sarebbe successo il fratello Radamante, al quale era pure attribuita un’attività legislativa e un allargamento del dominio dell’impero marittimo con la sottomissione delle altre isole e di una parte dell’Asia. In seguito egli avrebbe affidato i territori, per la maggior parte insulari nei quali si ripartiva il suo regno, ai propri figli: ad Eritro Eritre; ad Oinopione Chio; a Toante, figlio di Dioniso e di Arianna, Lemno; ad Euneo Cirno; a Stafilo Pepareto; ad Alceo Paro; ad Anio Delo e ad Andro l’isola di Andro. Il terzo fratello, Sarpedonte, con un esercito si sarebbe recato in Asia, dove avrebbe conquistato le regioni intorno alla Licia, fondando il suo regno. Morto, gli sarebbe succeduto il figlio Evandro, il quale, sposata Deianira, figlia di Bellerofonte, avrebbe avuto un figlio, Sarpedonte, che troviamo a combattere a Troia. Minosse avrebbe avuto due figli, Deucalione e Molo, i quali a loro volta furono rispettivamente padri di Idomeneo e di Merione, che parteciparono alla guerra di Troia e morirono dopo aver fatto ritorno in patria. A questi due eroi, narra Diodoro, era tributato a Cnosso un culto eroico. Il livello eroico cretese si riduce di fatto alla dinastia di Minosse, la cui regalità viene sancita e sacralizzata attraverso la sua discendenza da Zeus. Similmente alle divinità cretesi, gli eroi minoici assumono la morfologia di eroi civilizzatori: essi introducono leggi nell’isola, che portano ordine sociale e civile, la cui sacralità è connessa al fatto che esse siano state dettate da Zeus nell’Ida. L’attività civilizzatrice si esplica attraverso l’espansione sui mari ed in Anatolia, che porta Radamante e Sarpedonte a conquistare nuove terre e fondare propri regni. Va inoltre ricordato che, anche secondo Erodoto (I, 173), i Lici stessi si vantavano di discendere da coloni cretesi, costruendo tramite un’identificazione genealogica origini grecocretesi. Per il momento mi astengo dal fare altre considerazioni sul contenuto di questa tradizione, che ha trasferito ad un livello olimpico eroi locali appartenenti originariamente a livello preolimpico o curetico. Tale abbassamento cronologico è stato attuato, come vedremo nell’appendice dedicata alle tradizioni cretesi, creando per Minosse una discendenza dallo Zeus olimpico e facendo partecipare suo nipote, Idomeneo, alla guerra di Troia. 178 179

Cfr. Diod. (V, 78). Cfr. Diod. (V, 79).

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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1d. Le popolazioni storiche L’isola di Creta180 sarebbe stata popolata in epoche successive in tre fasi distinte da tre gene diversi: dagli Eteocretesi, considerati autoctoni; dai Pelasgi181, i quali, attraverso continue spedizioni e migrazioni avrebbero finito per occupare una parte dell’isola; dai Dori, che per ultimi sarebbero sbarcati a Creta sotto la guida di Tectamo, figlio di Doro. Questi stava a capo di genti provenienti dalle regioni dell’Olimpo, da quelle terre della Laconia popolate dagli Achei, ed aveva fissato la propria dimora sulla costa presso il capo Malea. A quanti elencati si dovrebbe aggiungere un quarto genos, quello dei Barbari, i quali, mischiatisi alla componente ellenica, avrebbero finito per adottarne la lingua ed i costumi. Dopo questi eventi, Minosse e Radamante sarebbero riusciti a riportare all’ordine queste genti e a riunirle in una sorta di confederazione facente capo a Creta. Dopo il ritorno degli Eraclidi, Argivi e Lacedemoni avrebbero inviato colonie nelle isole a fondarvi città. Sul significato storico di questa tradizione mi soffermerò nell’appendice dedicata alle tradizioni cretesi. Qui mi limito a sottolineare il modo in cui sono costruiti e rappresentati i personaggi di Minosse e di Radamante, quali eroi culturali e civilizzatori, che portano ordine nel caos. A differenza di altre parti della Grecia e addirittura della stessa Troade, Creta viene caratterizzata come una terra nella quale convivono greci e barbari secondo anche la tradizione omerica (Od. XIX, 172–177) che localizzava nell’isola popolazioni e lingue diverse.

2.

Rodi

2a. La generazione dei Telchini Sempre Diodoro (V, 55 sgg.) rappresenta la fonte principale per la ricostruzione delle tradizioni rodie. Secondo i miti da lui raccolti, i Telchini182 sarebbero stati i primi abitanti dell’isola; essi, figli di Thalatte, insieme a Cafeira, figlia di Oceano, avrebbero allevato Poseidone a loro affidato da Rea, quando ancora era bambino. La medesima genealogia ricorre anche in un frammento del poeta rodio Simmia183 e potrebbe a buon diritto essere considerata rodia, anche in virtù della dipendenza di Diodoro dall’opera di Zenone184. Anche i Telchini, come i Dattili 180

Cfr. Diod. (V, 80). Le tradizioni letterarie relative a questo enigmatico popolo, considerato pregreco, si trovano raccolte in von Hüttenbach 1960. 182 Sulle tradizioni relative ai Telchini si rimanda ai già menzionati Brillante 1993a e Musti 1999; utile per la raccolta delle fonti Blinkenberg 1915, che si incentra su questi esseri. 183 Coll. Al., fr. 11 Powell: ἀμμάς / Ἰγνήτων καὶ Τελχίνων ἔφυ ἡ ἁλυκη ζάψ. 184 Tra le altre genealogie va ricordata la discendenza da Ge e da Pontos, attestata presso Tzetzes (Th. 81–87), che li considera alla stregua delle Erinni essere nati dalle gocce di sangue di Ura181

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

a Creta, sarebbero stati scopritori di tecniche utili a tutti quanti gli uomini e per primi avrebbero posto delle immagini alle divinità, costruendo dei monumenti che ancora all’epoca di Diodoro portavano la loro denominazione. Troviamo in questo modo a Rodi culti quali quello di Apollo Telchinio a Lindo, di Era e delle Ninfe Telchinie a Ialiso, ed ancora Era Telchinia a Camiro. I Telchini sarebbero stati goetes, cioè ammaliatori185, e tra i loro poteri vi sarebbe stato quello di comandare i fenomeni atmosferici, causando piogge e tempeste, così come potevano fare i Magi in Persia; ancora, potevano mutare la loro forma fisica a piacimento ed erano phtoneroi (funesti) per gli uomini. Poseidone si sarebbe innamorato di Alia, una loro sorella, dalla quale avrebbe avuto sei figli maschi e una femmina, Rodo, la quale divenne eponima dell’isola. In questo periodo sarebbero nati nella parte Est dell’isola i Giganti. Si raccontava che Zeus, recatosi a Rodi per combattere i Giganti, si sarebbe unito ad una Ninfa di nome Imalia, dalla quale avrebbe avuto tre figli, Sparteo, Cronio e Kito. Sempre in contemporanea con questi fatti ad Afrodite, mentre da Citera si recava a Cipro, sarebbe stato impedito di mettere piede sull’isola dai figli di Poseidone, arroganti e violenti; secondo la tradizione la dea li avrebbe fatti impazzire, al punto che avrebbero usato violenza alla loro madre ed arrecato molti danni agli abitanti dell’isola. Poseidone, venuto a conoscenza dell’accaduto, avrebbe precipitato i suoi figli sotto terra nascondendoli nelle viscere di essa, dove sarebbero divenuti i “demoni dell’Est”; mentre la loro madre, Alia, suicidatasi in mare per la vergogna, sarebbe stata divinizzata ed adorata dalle genti di Rodi. Trascorso del tempo, i Telchini, presagendo l’imminente cataclisma186, avrebbero abbandonato l’isola, disperdendosi nel continente. Di essi, Lico, andato in Licia, avrebbe introdotto il culto di Apollo Licio nella zona delle foci del fiume Xanto. Sopraggiunta la catastrofe naturale, gran parte degli abitanti dell’isola sarebbe perita e solo pochi si sarebbero salvati trovando rifugio sulle alture; tra i superstiti ci sarebbero stati anche i figli di Zeus. Elio, secondo la tradizione, innamoratosi di Rodo, avrebbe fatto sparire l’acqua che faceva dell’isola una terra fangosa, rendendola fertile ed adatta all’agricoltura attraverso i suoi raggi. Le genti autoctone dell’isola sarebbero state per questo chiamate Eliadi. Un’approfondita trattazione delle tradizioni relative ai Telchini esulerebbe dai fini di questo lavoro, pertanto mi limiterò ad alcune osservazioni inerentemente alle analogie e differenze con i loro vicini cretesi. Come già Strabone (XIV, 2, 7) aveva modo di rilevare, la caratterizzazione di queste figure non era facile per gli antichi stessi187. Da un lato abbiamo, infatti, una loro connotazione come abili metallurgi, capaci di lavorare i metalli, tanto che ad essi veniva attribuita la no evirato. Secondo Bacchilide (Fr. 52 S.-M. = Tzetzes, Th. 86), essi sarebbero stati figli di Nemesis, figlia di Tartaro. 185 Su questo termine cfr. Graf 1996a, 27–29. 186 Cfr. Diod. (V, 56). 187 Cfr. osservazioni con rimandi bibliografici in Guizzi 2001, 297–298.

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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forgiatura della falce con la quale Crono avrebbe evirato Urano188, dall’altro essi vengono descritti come βάσκανοι e γόητες, dall’aspetto terrificante, secondo una tradizione tramandata da Svetonio, che li dipinge come degli anfibi dallo sguardo terribile189. Simmia, autore rodio di età ellenistica, affermava una loro origine cretese, contrapponendosi a quanti li ritenevano autoctoni. La teoria della provenienza cretese trova poi conferma nei lemmi di Stefano di Bisanzio (Τελχίς) e dell’Etymologicum Magnum (Τέλχιν), che ricordano Τελχινία come denominazione di Creta. A queste tarde testimonianze va connesso un passo di Ateneo (VII, 282), in cui si accenna ad una Τειλχινιακὴ ἱστορία attribuita ad Epimenide190. Un’altra analogia tra Telchini e Cureti è il loro numero: essi sono nove. Così come i loro vicini cretesi, anche i Telchini per volere di Rea proteggono un dio bambino, Poseidone, e sembrano essere propoloi di una dea, Atena Τελχινία, di cui essi secondo un frammento dello storico Nicola di Damasco (FGrHist 90, F 114) avrebbero costruito la statua di culto.

2b. Gli Eliadi e Cadmo Questa tradizione avrebbe spiegato la particolare venerazione della quale era oggetto Elio da parte degli abitanti dell’isola, che si consideravano suoi discendenti. 188

Su questo aspetto cfr. le osservazioni di Brillante 1993a, 11–13. Callimaco (Hymn. IV, 30–33) riporta la tradizione che i Telchini avrebbero fabbricato il tridente col quale Poseidone creò molte isole, facendole emergere dal mare. 189 Si –tratta di un lungo e complesso frammento dell’opera Περὶ βλασφημιῶν, che qui riporto integralmente: Τελχῖνες· οἱ 〈φθονεροὶ καὶ〉 ψογεροὶ καὶ γόητες καὶ φαρμακεῖς. 〈Στησίχορος δὲ (fr. 93 Bergk) τὰς κῆρας καὶ τὰς σκοτώσεις Τελχῖνας προσηγόρευσε.〉 Ὧν δύο γένη φασὶ γεγονέναι, τὸ μὲν βάναυσον καὶ χειρωνακτικόν, θάτερον δὲ λυμαντήριον τῶν καλῶν. Τούτους οἱ μὲν θαλάσσης παῖδάς φασιν, Ἀρμενίδης (FGH 378, 8) δ’ἐκ τῶν Ἀκταίωνος κυνῶν γενέσθαι μεταμορφωθέντων ὑπὸ Διὸς εἰς ἀνθρώπους· 〈τοῦτο δὲ διὰ τὸ ἀγρίως ἔχειν ὡς καὶ μυθεύεσθαι σκηπτοὺς ἀφιέναι καὶ ποτήριον δοκεῖν ἔχειν ἐν ᾧ ῥίζας κυκῶντες ἐφάρμασσον γοητευτικῶς. Ἀνατίθεται δὲ αὐτοῖς καὶ ἡ κατασκευὴ τῆς κατὰ τὸν Κρόνον ἅρπης ᾗ τὸν πατέρα Οὐρανὸν εὐνούχισε〉. Ἄλλοι δὲ τοὺς τὴν Ῥόδον οἰκοῦντας, ὅθεν καὶ Τελχινία ἡ νῆσος ἐλέγετο. Τινὲς δέ, ὧν ἐστι καὶ Σιμμίας (F 17 Fränkel) τοὺς τῆς Κρήτης οἰκήτορας. Εἰσὶ δὲ οἳ καὶ τὴν ἀγαλματοποιίαν καὶ τὴν τῶν μετάλλων εὕρεσιν εἰς τούτους ἀναφέρουσιν, ἀμφιβίους τε γεγονέναι καὶ παρηλλαγμένους ταῖς μορφαῖς λέγουσι· τὰ μὲν γὰρ δαίμοσι, τὰ δ´ ἀνθρώποις, τὰ δὲ ἰχθύσι, τὰ δὲ ὄφεσιν ἐμφερεῖς γίνεσθαι· εἶναι δὲ 〈αὐτῶν ἐνίους〉 καὶ ἄχειρας καὶ ἄποδας, πάντας δὲ γλαυκῶπας καὶ μεγαλόφρυας καὶ ὀξυδερκεστάτους καὶ μέσον τῶν δακτύλων δέρματα ἔχοντας ὥσπερ τοὺς χῆνας. 〈Οἱ δὲ εἰπόντες τρεῖς αὐτοὺς εἶναι ὀνόματα κομίζουσιν αὐτοῖς Χρυσὸν καὶ Ἄργυρον καὶ Χαλκὸν ὁμωνύμως ὕλῃ ἣν ἕκαστος εὗρε. Κατομβρηθέντες δὲ ὑπὸ Διὸς ἢ τοξευθέντες ὑπὸ Ἀπόλλωνος ὤλοντο〉. Τινὲς δ´ αὐτοὺς παρὰ τὸ θέλγειν Θελγῖνας ὀνομάζουσιν. Per una discussione su questa testimonianza cfr. Brillante 1993a, 8–11; utili osservazioni anche in Brelich 1958, 334–338. 190 Diogene Laerzio (I, 111) attribuiva ad Epimenide anche un’opera sulla nascita dei Cureti e dei Coribanti, che attesterebbe un interesse di questo autore per queste figure mitiche della protostoria mitica cretese.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

Come precedentemente accennato, il mito attribuiva ad Elio sette figli, conosciuti come Eliadi, i cui nomi erano Ochimo, Kerkapho, Makar, Aktina, Tenage, Triopa, Kandalos ed Elektrione, l’unica femmina, che sarebbe morta ancora vergine ed avrebbe ricevuto dai Rodii onori divini. Su volere del loro padre gli Eliadi avrebbero per primi tributato un culto ad Atena, dedicando alla dea offerte che venivano bruciate. Questa pratica, che si diffuse successivamente durante il regno di Cecrope anche ad Atene, sarebbe stata originaria di Rodi dove ad Atena, ancora all’epoca di Diodoro, venivano dedicate cerimonie particolari. La fonte di queste tradizioni, da quanto si legge nel testo diodoreo, sarebbe stato Zenone191. Gli Eliadi si distinguevano da tutti gli altri uomini per il sapere che possedevano, in virtù anche della loro origine semidivina; sulla base delle loro conoscenze astronomiche avrebbero suddiviso il giorno in ore ed introdotto utili innovazioni nel campo della navigazione. Tenage, che dalla natura aveva ricevuto le doti migliori, per invidia sarebbe stato ucciso dai fratelli ma, venuta allo scoperto la macchinazione, tutti quanti gli Eliadi, che avevano preso parte al delitto, avrebbero dovuto abbandonare l’isola: Makar sarebbe fuggito a Lesbo; Kandalos a Coo; Attis in Egitto, dove avrebbe fondato la città di Eliopoli, in onore del suo genitore ed insegnato agli Egizi la scienza dell’astrologia; Triope avrebbe preso la via per la Caria, dove avrebbe dato il nome al promontorio Triopio. Gli altri Eliadi sarebbero rimasti a Rodi, dove avrebbero fondato nel territorio di Ialiso la città di Achaia. Ochimo, il più anziano del gruppo avrebbe sposato una ninfa del luogo Egetoria, da cui avrebbe avuto una figlia Cidippe; ella avrebbe sposato suo fratello Cercafo, regnando sull’isola. Dopo la sua morte avrebbero ereditato il potere i loro tre figli, Lindo, Ialiso e Camiro. In questo periodo l’isola di Cirne sarebbe stata sommersa da una mareggiata, evento che avrebbe causato la morte della popolazione; l’isola, rimasta così deserta, sarebbe stata abitata dai Rodii, ai quali i tre re avrebbero distribuito la terra, fondandovi tre città loro omonime. In quel periodo dall’Egitto sarebbe giunto Danao con le sue cinquanta figlie il quale, durante la sua sosta a Lindo, avrebbe fondato un tempio e consacrato una statua in onore di Atena Lindia. Poco dopo sarebbe approdato Cadmo, spinto da una tempesta, con un contingente di Fenici, che navigava per i mari della Grecia alla ricerca di Europa; egli, in adempienza ad un voto fatto al dio dei mari per essere scampato ad una tempesta, avrebbe costruito a Ialiso un tempio in onore di Poseidone, lasciando sull’isola alcuni suoi compagni, affinché avessero cura del culto di questa divinità. Questi si sarebbero integrati con la popolazione della città, pur restando un genos a parte al quale spettava la prerogativa di servire, quali sacerdoti, il tempio. Cadmo avrebbe anche riempito di offerte sacre il santuario di Atena Lin191

Cfr. Diod. (V, 56).

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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dia, lasciandovi, tra gli altri doni, un prezioso lebete sul quale si vedevano incise lettere fenicie, ancora in età romana.

2c. Le vicende successive Nelle tradizioni rodie relative ai figli di Elio, che a seguito dell’uccisione del loro fratello avevano scelto la via dell’esilio disperdendosi nelle varie parti del mondo, si è accennato ad Attis il quale, recatosi in Egitto, avrebbe fondato la città di Eliopoli, trasmettendo agli abitanti di quella terra le sue conoscenze astrologiche. La tradizione riporta inoltre che essendosi persa in Grecia a causa del cataclisma qualsiasi traccia dell’antico sapere, questi avrebbe tuttavia continuato ad esistere negli ambiti templari egizi, essendo depositari degli insegnamenti trasmessi da Attis; in questa prospettiva, l’astrologia egizia altro non sarebbe stata che un’antica disciplina originaria della Grecia. A seguito delle catastrofi naturali nell’Ellade si sarebbe persa pure la conoscenza della scrittura, la quale sarebbe stata reintrodotta dal fenicio Cadmo. Tempo dopo, l’isola di Rodi sarebbe stata infestata da un’invasione di serpenti velenosi, a causa dei quali sarebbe morta una gran parte della popolazione. Per responso oracolare, questo flagello avrebbe potuto essere debellato solamente da Forbante che, per tal motivo, venne fatto arrivare sull’isola. Costui era figlio di Lapito, re della Tessaglia, ed insieme ai suoi compagni sarebbe stato alla ricerca di una nuova terra in cui abitare. Giunto a Rodi avrebbe estirpato i serpenti, e per aver liberato l’isola da tale flagello, gli sarebbero state concesse delle terre ed il diritto di poter restare ad abitare; dopo la sua morte avrebbe ricevuto dalla popolazione rodia onori eroici. Un interessante collegamento con Creta è offerto dalla tradizione su Altame192 ne , figlio di Catreo, re di Creta (tradizione che si svolgeva dopo le vicende di Forbante). Costui, a seguito di un responso oracolare, secondo il quale egli volontariamente avrebbe tolto la vita al suo caro padre, con un gruppo di compagni si sarebbe recato a Rodi per evitare il compiersi di tale destino. Qui sarebbe sbarcato a Camiro e sul monte Ataribo avrebbe fondato un tempio dedicato a Zeus Ataribo. Questo culto si sarebbe distinto dagli altri dell’isola proprio per la particolare ubicazione del santuario, posto sulla cima di una montagna, dalla quale si potevano scorgere in lontananza le coste cretesi. Altamene e i suoi compagni sarebbero rimasti ad abitare a Camiro, dove sarebbero stati tenuti in grande considerazione dagli abitanti del luogo. Catreo, disperato per l’assenza del figlio, avrebbe fatto vela per Rodi, con la speranza di riportare Altamene a Creta; sbarcato a Camiro la notte, sarebbe venuto alle armi con gli abitanti della città, trovando la morte proprio per mano di suo figlio. Altamene, non sopportando il dolore della morte del padre, si sarebbe ritirato a vivere in dei luoghi deserti, dove avrebbe successivamente trovato la morte. A seguito di un responso oracolare, avrebbe ricevuto onori eroici dai rodiesi. 192

Cfr. Diod. (V, 59).

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

Poco tempo prima della guerra di Troia, Tlepolemo, figlio di Eracle, a seguito della morte di Licimio, sarebbe fuggito da Argo, facendo vela per Rodi. Qui accolto dagli abitanti dell’isola, sarebbe divenuto loro re e avrebbe suddiviso la terra secondo principi di uguaglianza. Alla fine, partito alla volta di Troia dove sarebbe caduto, avrebbe affidato la reggenza a Buta, un suo compagno argivo.

3.

Il Chersoneso rodio

Il Chersoneso rodio occupa la fascia costiera immediatamente antistante l’isola di Rodi; si trattava di una zona abitata in età storica da una popolazione di lingua luvia. Da un punto di vista di cultura materiale questa zona risentiva molto degli influssi di Rodi, con cui aveva avuto molti stretti legami. Il quadro mitico che ci offre Diodoro permette interessanti collegamenti con le tradizioni cretesi. La regione avrebbe preso nome da un re, Chersoneso, che anticamente avrebbe governato su questi territori; successivamente, sarebbero giunti da Creta ad abitare queste terre cinque Cureti, discendenti da coloro che avevano allevato e protetto sull’Ida Zeus. I Cureti sarebbero stati a capo di un numeroso contingente di uomini, i quali, giunti con una flotta, avrebbero scacciato la popolazione locale dei Cari e suddiviso la terra conquistata in cinque distretti, in ciascuno dei quali i Cureti avrebbero fondato una città. Non molto tempo dopo sarebbe giunto nel Chersoneso Kyrnos, incaricato da Inaco, re di Argo, di ritrovare la propria figlia Io, con l’imposizione di non far ritorno in patria prima di averla ritrovata. Dopo un lungo ed inutile girovagare, l’eroe sarebbe giunto in questa regione, dove gli sarebbe stata concessa una parte dei territori da abitare: Kyrnos avrebbe fondato una città e governato secondo principi democratici.

4.

I Cureti e l’Eubea

Esisteva una tradizione secondo cui la prima fase di popolamento dell’Eubea si sarebbe connessa a dei personaggi fantastici, di origine cretese, chiamati Cureti. La presenza di tali esseri nell’isola costituisce un capitolo poco sondato dei miti locali dell’isola. Iniziamo col premettere che a livello omerico i Cureti sono conosciuti come una popolazione etolica193 (ma non sono Etoli), che combatte a fianco degli Achei contro i Troiani, la cui origine, secondo quanto si legge in Strabone (X, 3, 1) era da ricondurre o a Creta o all’Eubea. Sempre il Geografo di Amasea (X, 3, 19) narra che i Cureti euboici sarebbero da identificare con i Kalchideis194 i 193

Cfr. Hom. (Il. IX, 549 sgg.); in generale sulle tradizioni attinenti ai Cureti etolici si rimanda al documentato libro di Antonetti 2004, in part. pp. 122–128. 194 Su questo complesso di tradizioni cfr. osservazioni in Breglia 2013.

APPENDICE 1. LA GEOGRAFIA MITICA DELL’EGEO

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quali, originari di Creta (o della Frigia), avrebbero introdotto nell’isola le conoscenze tecniche della lavorazione dei metalli per la fabbricazione delle armi: οἱ δ’οὐ τοὺς Κουρῆτας, ἀλλὰ τοὺς Κορύβαντας Φρύγας, ἐκείκους δὲ Κρῆτας, περιθέσθαι δ’ὅπλα χαλκᾶ πρώτους ἐν Εὐβοίᾳ∙διὸ καὶ Καλχιδέας αὐτοὺς κληθῆναι. Occorre tuttavia premettere che all’epoca in cui scriveva Strabone ormai non si distingueva più tra Cureti, Coribanti e Cabiri, per cui questi venivano tutti considerati essere le medesime divinità, adorate tuttavia con nomi diversi. Ad ogni modo, da queste due scarne informazioni si potrebbe desumere l’esistenza di una tradizione che conosceva in Eubea la presenza di Cureti provenienti da Creta, proprio come quelli di Rodi, ai quali venivano connesse quelle conoscenze tecniche per la lavorazione dei metalli, che avevano dato nome proprio ad uno dei centri più importanti dell’isola. Nonno di Panopoli mostra anch’egli di essere a conoscenza di miti che localizzavano in Eubea i Cureti. Nel XIII libro195 del suo poema, passando in rassegna i contingenti che componevano l’esercito di Dioniso, egli afferma che le truppe euboiche sarebbero state guidate da sette Coribanti: Primneo, Mimas, Akmone, Damneo, Ocito, Ideo e Melisseo. Accanto a loro avrebbero combattuto gli Abanti da Eretria e gli Ellopi. Secondo quanto si legge nel testo, questi Coribanti sarebbero stati originari della Frigia196, dove avrebbero servito Rea, protettrice delle montagne; qui essi avrebbero un giorno trovato in un antro, avvolto in un manto di porpora, Dioniso bambino e se ne sarebbero presi cura. Il dio sarebbe stato lasciato nella caverna da Io affinché lo trovasse Mystis, la madre di Corinto. Essi sarebbero stati scacciati dalla Frigia dal loro padre Sokos, insieme alla loro madre Kombe; nel corso del loro esilio sarebbero andati a Cnosso, successivamente da Creta di nuovo in Frigia ed infine ad Atene da Cecrope, il quale avrebbe posto fine al loro peregrinare uccidendo Sokos. Interessanti sono i versi nei quali si dice che i Cureti sono un chthonion genos, e che di essi è proprio il suono dei flauti, il rumore del ferro delle spade battute e i ritmi delle danze armate. Si tratta chiaramente di una tradizione che presenta elementi di tarda rielaborazione in cui, come anche in Strabone, si avverte la presenza di un’immagine ormai stereotipata di questi personaggi. Essenzialmente si rileva il loro ruolo di tutori, stavolta non solo di Zeus nell’Ida a Creta, ma di Dioniso in Frigia, sempre nell’ambito di un antro montano. Si tratta di elementi cultuali che caratterizzano il paesaggio rituale tanto dell’isola di Minosse che della Frigia; ancora da notare il loro ruolo quali propoloi di Rea. Da ultimo, classica, potremo dire, è la loro connessione con la lavorazione dei metalli e le danze sacre. Un richiamo all’Eubea potrebbe leggersi nella presenza di Io, quale nutrice del piccolo Dioniso, in relazione al fatto che in Eubea esisteva un antro consacrato all’eroina, come testimonia Strabone (X, 1, 3), 195 196

Cfr. Dionisiakà XIII, 135–170. Per un’analisi di questa tarda tradizione, che rispecchia la costruzione di un paesaggio mitico ellenico in Frigia, in cui viene trasferita la nascita di Zeus, rimando al dettagliato studio di Robert 1975, in cui si analizza questo mito in relazione alle locali emissioni monetali di tarda età imperiale, nei cui rovesci troviamo immagini riferentesi a questa tradizione.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

secondo il quale sulla costa dell’isola rivolta verso l’Egeo era ubicata una caverna nella quale Io avrebbe dato alla luce Epafo. Tra i nomi con i quali era conosciuta l’isola, lo Scoliasta all’Oreste di Euripide197 ricorda che l’Eubea era nota anche come Kouretis. Secondo un’altra tradizione riferibile ad un autore locale di nome Epafrodito198, citato in un lemma di Stefano di Bisanzio, in Eubea sarebbe stata scoperta la lavorazione del bronzo e sarebbero state fabbricate le prime armi; gli scopritori, fonditori del metallo, sarebbero stati i Cureti, che sarebbero giunti da Creta insieme a Zeus, il quale li avrebbe lasciati sull’isola, preponendoli alla custodia del santuario di Rea. Emerge ancora una volta il rapporto privilegiato di questi esseri con la metallurgia e con una divinità femminile, della quale sono ministri. Si potrebbe sempre a questo riguardo considerare una tradizione tramandata in Strabone199 e da lui riferita allo storico eubeo Archemaco, vissuto probabilmente nel III sec. a.C., secondo la quale i Cureti sarebbero stati l’ethnos che in origine avrebbe occupato la pianura di Calcide e che, in seguito alla guerra lelantina, trovandosi dalla parte perdente, avrebbero abbandonato l’isola, migrando in Etolia, nel territorio del monte Pleurone. Essi dovevano il loro nome alla chioma che li contraddistingueva e che dovettero tagliare in seguito all’esilio. In questa tradizione i Cureti sono considerati come un ethnos, o più semplicemente come un gruppo di aristoi, abitanti il territorio di Calcide, appartenenti al partito politico perdente la guerra per il possesso della piana lelantina. Sembrerebbe potersi ricavare a livello di realtà storica la presenza nel territorio calcidese di gruppi gentilizi, il cui prestigio sociale era connesso alla lavorazione metallurgica, i quali avevano assunto la denominazione di Cureti. L’origine euboica dei Cureti di Etolia, o meglio ancora, la genesi di tale tradizione potrebbe essere posta in relazione ad un effettivo interesse espansionistico euboico in queste regioni dove, tra l’altro, le fonti parlano esplicitamente di una presenza euboica a Corcira, località per la quale si è proposta un’identificazione con l’isola dei Feaci.

5.

I Cureti: considerazioni di sintesi sulle tradizioni egee

Le tradizioni mitiche connettono le più antiche fasi di popolamento di Creta, di Rodi, di Samotracia, della Troade e dell’Eubea alle figure dei Cureti. In que197

Schol. ad Eur. Or. 953. Steph. Byz.: Αἴδηψος, πόλις Εὐβοίας […] οἱ γὰρ Εὐβοεῖς σιδηργοὶ […] καὶ χαλκεῖς ἄριστοι. Ἐπαφρόδιτος δὲ μαρτυρεῖ ἐκεῖ χαλκὸν πρῶτον εὐρεθῆναι καὶ πρῶτοι χαλκὸν ἐκεῖ ἐνεδύναντο οἱ Κούρητες οἱ μετὰ Διὸς ἐλθόντες, οὕς φύλακας τῆς νήσου καὶ τοῦ ἱεροῦ τῆς Ῥέας κατέλιπεν∙ ἀφ’οὗ οἱ Χαλκιδεῖς ὠνομάσθησαν. 199 Strab. X, 3, 6: Ἀρχέμακος δ’ὁ Εὐβεύς φησι τοὺς Κουρῆτας ἐν Χαλκίδι συνοικῆσαι, συνεχῶς δὲ περὶ τοῦ Λελάντου πεδίου πολεμούντας, ἐπειδὴ οἱ πολέμιοι τῆς κόμης ἐδράττοντο τῆς ἔμπροσθεν καὶ κατέσπων αὐτούς, ὅπισθεν κομῶντας γενέσθαι τὰ δ’ἔμπροσθεν κείρεσθαι∙ διό καὶ Κουρῆτας ἀπὸ κοῦρας κληθῆναι∙ μεταοικῆσαι δ’εἰς τὴν Αἰτωλίαν, καὶ κατασχόντας τὰ περὶ Πλευρῶνα χωρία τοὺς πέραν οἰκοῦντας τοῦ Ἀχελῴου διὰ τὸ ἀκούρους φυλάττειν τὰς κεφαλὰς Ἀκαρνᾶνας καλείσαι. 198

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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sta sede importa soprattutto sottolineare l’omogeneità della struttura di tali miti, i quali presentano tutti innegabili elementi in comune. Anzitutto l’origine cretese: Creta costituisce il comune luogo d’origine quale base da cui partire per la loro espansione. Dall’isola provengono i Cureti di Rodi, dell’Eubea, e Dardano, al quale sono comunque connessi i Coribanti. Nelle nuove terre essi sono in genere latori di nuove conoscenze, legate alla lavorazione dei metalli, quasi sempre il bronzo – è questo un elemento da tenere bene in considerazione – col quale fabbricano armi; questo aspetto conoscitivo fa in genere di essi dei personaggi di spicco, che emergono nelle comunità locali in cui si inseriscono. A tal riguardo, come meglio vedremo nel quinto capitolo, la categoria di “lieu de savoir”, elaborata da Christian Jacob, risulta particolarmente adeguata nell’analisi della morfologia di queste figure mitiche. La loro presenza si pone in relazione ad una divinità femminile legata ad un paesaggio montano, di cui essi sono ministri del culto; in connessione a questo aspetto cultuale vengono celebrate danze sacre accompagnate dal suono delle armi o di strumenti musicali. Da porre in evidenza è che dappertutto, nelle prime fasi di popolamento, i Cureti non sono delle divinità o degli eroi, ma semplicemente degli uomini, mortali che, come accennato, si differenziano da tutti gli altri per il sapere che essi presiedono, un sapere esclusivo, posto sotto la tutela della divinità di cui essi sono ministri e per questo, in un certo senso, mistico e non accessibile a tutti.

Appendice 2 La protostoria mitica cretese 1.

La geografia mitica di Creta e le fasi di popolamento

Come prima accennato, non esiste ancora una monografia in cui le tradizioni culturali cretesi siano state sistematicamente raccolte e studiate. L’Iliade menziona le cento città di Creta200, suggerendo l’immagine di un’isola organizzata kata poleis, il cui frazionamento politico sembra quasi contrapporsi all’immagine unitaria dei regni dei sovrani achei che combattono a Troia; nel poema si fa menzione di Idomeneo il comandante del contingente cretese, composto da ottanta navi. Come Eduardo Federico201 ha posto in rilievo, analizzando le fonti letterarie202, il fatto che il sovrano di Cnosso stia a capo dei Cretesi sembra riflettere il momento storico della supremazia del centro nell’VIII sec. a.C. a Creta. La presenza di così tante città nell’isola, suggerisce tuttavia anche la presenza di altrettante tradizioni locali – purtroppo per la maggior parte sconosciute – che probabilmen200 201 202

Sul contingente cretese cfr. Sherratt 1996; Federico 1999, 278–307. Federico 1999, 276–284, p. 306 sgg.; id. 2012, 19–20. Cfr. Strab. X, 4, 7; Plat. (Minos 319b).

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

te offrivano varianti mitiche in contrapposizione a quelle cnossie203, delle quali si possono trovare diversi cenni nella letteratura. Un esempio è quello del culto eroico di Idomeneo e di Merione204, istituito a Cnosso per onorare i due reduci da Troia: in opposizione a questa eroizzazione Litto e Gortina narravano invece nelle loro tradizioni della cacciata dell’eroe dall’isola e Litto si vantava, inoltre, di aver dato i natali a Leukos, che aveva ordito una congiura proprio contro Idomeneo205. Tutte queste leggende riflettono l’immagine di un’isola frazionata politicamente in tante poleis, spesso in guerra tra loro, che facevano delle tradizioni mitiche, sapientemente rielaborate e manipolate, uno strumento di propaganda politica206. L’elaborazione di queste tradizioni si accompagna anche ad una percezione e riscoperta del passato legato ai palazzi minoici e micenei, le cui rovine dovevano essere ancora ben visibili in molte località dell’isola. In un acuto studio apparso nel 1996 Nicolas Coldstream ha sottolineato come il riuso di larnakes del Tardo Minoico IIIa–b nell’ambito di molte sepolture familiari nella necropoli settentrionale di Cnosso, a partire dal IX sec. a.C. utilizzate probabilmente solo per bambini, possa connettersi alla presa di coscienza della popolazione locale del glorioso passato, quanto Cnosso era sede di un grosso centro palaziale207. Lo studioso pone questo fenomeno in relazione con tre fattori, che caratterizzano la storia di Creta in questo periodo: l’incremento demografico, che determina l’affermarsi dell’incinerazione in urne quale rito funerario per gli adulti; una diffusa ricchezza (probabilmente a seguito dei commerci con l’Oriente) e l’utilizzo di tombe a camera, comunque troppo grandi per la sola deposizione delle urne cinerarie, che ricordano quelle in uso nel Tardo Minoico (dalle quali forse provenivano per altro le larnakes, di cui si è fatto sopra menzione)208. Questi dati archeologici relativi a Cnosso, ai quali va anche aggiunta la presenza di motivi tardominoici nella ceramica prodotta nell’isola in questo periodo209, mostrano come 203 204 205

A riguardo con osservazioni sulle fonti cfr. Huxley 1994. Cfr. Diod. V, 79, 4 e le osservazioni di Federico 1999, 305–307. Per una discussione delle fonti rimando a Federico 1999, 304–305. 206 Per la storia dell’isola nell’Alto Arcaismo, ricostruibile attraverso la difficile comparazione dei dati archeologici con quelli della tradizione mitica, cfr. le lucide pagine di Chaniotis 2004b, 48–57; il fenomeno della nascita della polis a Creta è studiato con dovizia di particolari in Kotzonas 2002, che prende in analisi le trasformazioni delle necropoli come indicatore di sviluppo di una nuova forma di insediamento a Creta. Sull’argomento cfr. anche Cucuzza 1997; Lefèvre-Novaro 2012; sulle tradizioni relative ai sinecismi cretesi cfr. Guizzi 2012. Sui contatti di Creta con l’Oriente e sul suo ruolo per la diffusione di elementi di cultura orientale nell’Egeo cfr. il quadro storico ricostruito da Morris 1993, 73–211. 207 Coldstream 1996; in parte ripubblicato in una versione più sintetica in Coldstream 1998. 208 Per una ricostruzione della ricca cultura di Cnosso nell’epoca cfr. Kotsonas 2006, che partendo dall’analisi del corredo funerario della tomba 2 della necropolis di Tekke ne ricostruisce il contesto storico. Un utile quadro d’insieme della cultura cnossia di questo periodo in Coldstream 1994. 209 Su questo affascinante tema, che esula tuttavia dalle mie competenze, rimando a Kotsonas 2012, con una ricca bibliografia; sottolinea le numerose reminiscenze minoiche nelle diverse

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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gli abitanti di questo centro tenessero in grande considerazione le vestigia del loro passato, che dovevano avere un valore sacrale e rappresentare sicuramente oggetto di riflessioni sulle proprie origini e sulla propria identità. Va inoltre rilevato, che se da un lato possiamo accertare la presenza di varianti mitiche epicoriche di un certo Lokalpatriotismus, dall’altro la storiografia locale sembra aver ricostruito la protostoria dell’isola secondo una prospettiva unitaria, come indicano del resto i titoli tramandati, che sono sempre Kretika e non Knosiaka, Phaistiaka, Lyktiaka etc210. Diverse espressioni, sparse nella letteratura greca soprattutto di V sec. a.C., sembrano del resto indicare che i Cretesi, probabilmente anche a causa della loro insularità, pur divisi politicamente nel loro interno, si percepissero come un ethnos unitario211. All’assenza di una diffusione del culto eroico212 per i membri della dinastia di Minosse nell’isola – fatta eccezione per Cnosso – che in parte forse si spiega col fatto che secondo il mito tutti i sovrani minoici (Minosse, Radamante, Sarpedonte, Crateo ed Androgeo) sono morti fuori Creta213, si contrappone l’importanza che la tipologia dell’eroe ecista assume nell’ambito delle tradizioni locali di molti centri cittadini, quali Festo214, Cidonia215, Litto216, Bienno217, Eleuthera218 etc., i quali fanno risalire le proprie origini ad un eroe eponimo. Prescindendo dal livello di forme artistiche (scultura, toreutica etc.) Blome 1982, 5–27. Cfr. le osservazioni di Huxley 1994, 123–124; sulla storiografia locale cretese cfr. anche Strataridaki 1988–1989. 211 Erodoto (VII, 169–170) narrando dell’ambasceria dei Cretesi a Delfi all’indomani delle guerre persiane usa l’espressione Κρῆτες δέ […] πέμψαντες κοινῇ θεοπρόπους ἐς Δέλφους; seppure di epoca augustea possiamo menzionare anche il passo di Diodoro (IV, 79, 3–4), nel quale si racconta della restituzione ai Cretesi (τοῖς Κρησίν) da parte di Terone delle ossa di Minosse. Su questo tema rimando a Perlmann 2005, 282–287 con bibliografia precedente; a riguardo cfr. anche le osservazioni di Kirsten 1942, 27–32, il quale in relazione al passo erodoteo sopra citato acutamente osserva (p. 27): «diese gemeinsame Aktion bezeugt uns, dass sich die Städte der Insel dem Ausland gegenüber als eine Einheit fühlten. Die kretischen Städte waren ja zu zahlreich, um auf sich allein gestellt Politik treiben zu können, so mußten sie nach außen hin möglichst geschlossen auftreten». 212 In generale sul culto eroico a Creta rimando ai dati raccolti da Sporn 2002, 339–342, 391, tab. 18. 213 Per una raccolta delle fonti cfr. Federico 1999, 357–365. 214 Secondo Stefano di Bisanzio la città sarebbe stata fondata da un omonimo figlio di Eracle (Φαιστὸς […] ἐκτίσθη ὑπὸ Φαίστου Ἡρακλέους παιδὸς). 215 Secondo Stefano di Bisanzio la città avrebbe preso nome dal figlio di Apollo e di Acacallide, figlia di Minosse (Κυδωνία, πόλις Κρήτης, ἡ πρότερον Ἀπολλωνία ἀπὸ Κύδωνος τοῦ Ἀπόλλωνος καὶ Ἀκακαλλίδος τῆς Μίνω θυγατρός). 216 Stefano di Bisanzio narra che la città avrebbe tratto nome da un figlio di Licaone (Λύκτος, πόλις Κρήτης, ἀπὸ Λύκτου τοῦ Λυκάονος). 217 Secondo Stefano di Bisanzio Bienno sarebbe stato il nome del Cureta, fondatore della città (Βίεννος, πόλις Κρήτης, οἱ μὲν ἀπὸ Βιέννου τοῦ τῶν Κουρήτων ἑνός). 218 Secondo Stefano di Bisanzio la città avrebbe tratto il nome da un Cureta (Ἐλεύθερνα, πόλις Κρήτης, ἀφ’ἑνὸς τῶν Κουρήτων).

210

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

cronologia e stratigrafia mitica in cui si pongono queste fondazioni, va rilevato come questi miti genealogici rappresentassero il trait d’union tra la protostoria dell’isola, che conosce una dinastia regnante, ed il presente storico, caratterizzato dal sorgere delle comunità cittadine.

2.

Le età di Idomeneo

Omero (Il. XIII, 449–453) è testimone della genealogia olimpica di Idomeneo, secondo la quale questi sarebbe stato figlio di Deucalione e nipote di Minosse. Questo personaggio può vantare un albero genealogico di prim’ordine, che lo connette a Zeus, sancendo la sacralità della sua regalità. L’originaria appartenenza dell’eroe ad un livello pre-olimpico e curetico è data in primo luogo dalla variante onomastica Ἰδαμενεύς219, che presenta un’evidente assonanza con l’oronimo Ida, suggerendo una connessione con i Cureti. L’attenta analisi delle tradizioni mitiche, condotta da Eduardo Federico220, ha inoltre mostrato la presenza di due livelli: uno curetico ed un altro olimpico. Nel primo Idomeneo viene considerato fratello di Crete221, figlia del re dei Cureti cretesi222 ed eponima dell’isola. Sua madre, una Esperide223, diviene anche amante di Zeus, al quale genera un figlio Kar, eponimo dei Cari224. A questo Idomeneo la tradizione attribuisce una figlia, Kleisithera, (“colei che imprigiona le fiere”) e un figlio, Lykos (“uomo lupo”). Successivamente abbiamo una rielaborazione della tradizione mitica, che viene cronologicamente abbassata e, tramite la partecipazione di Idomeneo alla guerra di Troia, connessa ad uno dei più importanti filoni di tradizioni epiche della Grecia arcaica. A questo livello mitico, come testimoniato nei versi dell’Iliade prima menzionati, Idomeneo viene inserito nella discendenza di Minosse e molto probabilmente, per iniziativa degli ambienti dorici, fatto garante della continuità più diretta con la storia antica di Creta. Dietro tale manipolazione, riconducibile con sicurezza a Cnosso – anche in virtù della prospettiva cnossocentrica con cui Creta fa la sua comparsa nei poemi omerici – si lascia intravedere la volontà di questa città di creare per il suo passato mitico e nell’ambito delle tradizioni culturali la figura di un eroe poliadico, attivo a Creta e, in virtù della sua discendenza da Minosse, connesso a Zeus. Obliterare i tratti preolimpici di questa figura, la cui cronologia veniva ribassata ad un livello omerico, 219

Per la documentazione cfr. Lochin 1990, in part. p. 644; von Kamptz 1982, 165–166, p. 340, in cui l’origine dell’antroponimo viene messa in relazione con l’oronimo Ida, al quale si sarebbe aggiunto un suffisso -mn-, particolarmente diffuso nella toponomastica cretese. 220 Cfr. Federico 1999, 268–276. 221 Apoll. (III, 3, 1). 222 Diod. (III, 71, 2). 223 Dosiades (FGrHist 458, F 4); Steph. Byz., s. v. Κρήτη. 224 Eliano (De natura animalium, XII, 30).

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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significava al contempo sottolinearne la grecità (o la doricità) in contrapposizione a quanti, come gli Eteocretesi, si consideravano gli originari e legittimi abitanti di Creta. Troviamo forse conferma di questa fine propaganda, che rispecchia probabilmente il periodo di espansione ed egemonia cnossia nell’isola, nel fatto che le città cretesi menzionate in un famoso passo dell’Iliade (III, 230–233: Cnosso, Gortina, Litto, Mileto, Lykastos, Festo e Rytios) si trovano tutte nella Creta centrale, mentre le parti Est e Ovest dell’isola, abitate rispettivamente dagli Eteocretesi e dai Cidoni, considerati autoctoni – secondo un frammento dello storico Stafilo di Naucrati (FGrHist 269, F 12) – non inviano contingenti a Troia. Tale esclusione, più che riflettere la memoria di una geografia storica di epoca micenea, andrebbe forse più verosimilmente connessa a rivalità politiche di età arcaica, che troverebbero riscontro nell’elaborazione di tradizioni che toglievano il privilegio di una partecipazione alla guerra di Troia ai centri dell’area occidentale ed orientale di Creta. Tornando ai Dori, attraverso una manipolazione delle (preesistenti) tradizioni mitiche essi dovettero tentare di creare una cerniera col passato dell’isola, valorizzando il livello olimpico, nel quale essi inserirono, rimodellandola, la figura (originariamente) curetica di Idomeneo, discendente di Minosse, figlio di Zeus, che con le sue leggi portò civiltà ed ordine a Creta. La tradizione conosceva inoltre altri avvenimenti, che connettevano Idomeneo ai monarchi achei della Grecia continentale. In alcuni versi dell’Iliade (III, 230–233) vengono ad esempio ricordate le visite che Idomeneo faceva a Menelao a Sparta, così come i rapporti di ospitalità (xenia), che i due re (in quanto pari) intrattenevano. Il sovrano spartano è, inoltre, imparentato con la casa regale cretese, in quanto sua madre, Aerope, sarebbe stata figlia di Catreo, figlio di Minosse225. Questa leggenda costruisce addirittura un rapporto di συγγένεια tra la famiglia reale spartiate e quella cretese, e deve essere rapportata a quel processo di doricizzazione delle tradizioni locali cretesi, portato avanti dai centri dorici dell’isola, soprattutto da Cnosso. Un altro interessante esempio di ingegneria mitica, operata in ambiente dorico, è offerto da una tradizione attestata in un frammento di Androne di Alicarnasso226, secondo il quale Tectamo, figlio di Doro, avrebbe condotto a Creta i Dori da quella parte della Tessaglia allora chiamata Doride, che successivamente prese il nome di Istiotide, quando sull’isola regnava ancora Cres. Questi avrebbe concesso la mano di sua figlia a Tektamos, ammettendolo a condividere la regalità e sancendo l’unione e la convivenze tra Dori e i Cretesi. Questi avvenimenti, che ricordano l’arrivo nella Troade di Dardano da Samotracia, sarebbero avvenuti due generazioni prima di Minosse227. In questo caso le tradizioni doriche tentano 225

Apoll. (III, 2, 2). Va inoltre ricordata una tradizione tramandata in un frammento esiodeo (Fr. 204, 56–62 Merkelbach – West = Igino, Fab. LXXXI), secondo cui Idomeneo si sarebbe recato da Tindaro per chiedere la mano di Elena. Come le altre, anche questa tradizione doveva contribuire a costruire tutta una serie di rapporti tra Creta ed il Peloponneso dorico. 226 FGrHist 10, F 16b = Steph. Byz., s. v. Δώριον; Diod. (IV, 60; V, 80) 227 Sulle tradizioni dei Dori a Creta cfr. Guizzi 1990.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

di proiettare ad un livello cronologico precedente la guerra di Troia il loro arrivo nell’isola, presentato come un pacifico convivere con la popolazione locale.

3.

Il culto di Idomeneo

Il frazionamento politico di Creta in tanti centri poliadici, 100 secondo l’Iliade e 90 secondo l’Odissea, si connette alle guerre intestine che vennero combattute nell’isola sin dal periodo arcaico e delle quali forniscono testimonianza le centinaia di arbitrati interstatali, che si conoscono soprattutto per il periodo ellenistico228. Queste guerre divennero proverbiali, contribuendo a diffondere nel mondo greco un’immagine stereotipa del cretese non certo positiva229. Tali rivalità sono anche rintracciabili nelle varianti mitiche relative alle vicende post-troiane di Idomeneo, che si devono molto probabilmente a Cnosso, Litto e Gortina, i tre centri che secondo la testimonianza di Strabone (X, 4, 7) per un lungo periodo si contesero l’egemonia dell’isola230.

3a. Cnosso A Cnosso, come abbiamo visto, l’eroe era considerato figlio di Deucalione e nipote di Minosse, mentre Merione lo era di Molo. Diodoro (V, 79, 4), che discostandosi dal testo omerico attribuisce all’eroe il comando non di 80, ma di 90 navi, afferma che per merito delle loro imprese troiane ai due eroi fu costruito un sepolcro monumentale, dove essi ricevettero un culto eroico. Idomeneo e Merione assurgono inoltre al ruolo di protettori della città, invocati pubblicamente in aiuto durante i pericoli di guerra. Lo Storico siciliano tramanda anche il testo dell’epitafio che sarebbe stato apposto sul monumento sepolcrale: Κνωσίου Ἰδομενῆος ὅρα τάφον. αὐτὰρ ἐγὼ τοι πλησίον ἵδρυμαι Μηριόνης ὁ Μόλου. Va notato come l’etnico Κνωσίου sia stato posto enfaticamente all’inizio del componimento per mettere in risalto l’origine cnossia del mitico sovrano. Proseguendo l’analisi testuale, si rinviene l’espressione ὡς ἥρωας ἐπιφανεῖς τιμῶσιν οἱ Κρῆτες διαφερόντως, θύοντες καὶ κατὰ τοὺς ἐν τοῖς πολέμοις κινδύνους ἐπικαλούμενοις βοηθούς, la quale sembrerebbe indicare che i due eroi, benché il loro sepolcro fosse ubicato a Cnosso, 228 229

Cfr. Chaniotis 1996. A riguardo rimando alle osservazioni di Chaniotis 1996, 5–32, che, seppure riferite al periodo ellenistico, possono essere tuttavia proiettate anche a quello arcaico. Sulla proverbialità delle guerre intestine cretesi riporto le due seguenti testimonianze letterarie: (Plut., De frat. am. 490, 19B) […] μιμούμενον αὐτὸ γοῦν τοῦτο τὸ Κρητῶν, οἵ στασιάζοντες ἀλλήλοις καὶ πολεμοῦντες, ἔξωθεν ἐπιόντων πολεμίων διελύοντο καὶ συνίσταντο∙καὶ τοῦτο ἦν ὁ καλούμενος ὑπ’αὐτῶν συγκρητισμός; (Etymologicum magnum, s.v.) Συγρητίσαι λέγουσι οἱ Κρῆτες, ὅταν ἔξωθεν αὐτοῖς γένηται πόλεμος. 230 Per un’analisi della testimonianza straboniana cfr. Cordano 1994.

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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fossero tuttavia adorati in tutta l’isola. L’epiteto cultuale βοηθοὶ sottolinea, inoltre, la loro funzione come eroi salvatori, che prestano aiuto durante la battaglia. Prudentemente, a tal proposito, vorrei qui proporre un parallelo con i Dioscuri: anch’essi sono due, anch’essi sono stati eroizzati e, secondo diverse tradizioni, avrebbero soccorso i loro fedeli in battaglia intervenendo di persona231. Il fatto poi che i Dioscuri siano originari di Sparta, centro della doricità, potrebbe forse aver influito nella costruzione della morfologia eroica di Idomeneo e Merione. La veridicità storica della testimonianza diodorea è stata, inoltre, confermata da un epigramma funerario del II sec. a.C.232 (IC I, 8, 33), in cui si celebrano le gesta di un Trasimaco, figlio di Leontio, al quale in virtù del suo valore in guerra nell’Ade viene concesso il privilegio di sedersi a fianco di Idomeneo, denominato πολισσούχος (πολιοῦχος), epiteto cultuale tipico delle divinità poliadiche233. Come evidente, questo personaggio è scelto da Cnosso come proprio eroe poliade, protettore e salvatore della città, in uno dei momenti di maggiore espansione politico-militare, quando, molto probabilmente, la città si trovava in forti contrasti con gli altri centri dell’isola. Le vicende che si susseguono a Cnosso, dopo il ritorno dalla guerra di Troia, fanno in modo che l’eroe, pur mantenendo le caratteristiche della regalità, assuma anche la morfologia dell’eroe civilizzatore, che riporta ordine nel caos, ristabilendo la giustizia e l’ordine. Queste tradizioni, seppur attestate in fonti relativamente tarde, sono state giustamente ricondotte ad un nucleo originario antico di origine cnossia234. Presso Licofrone (1214–1225) si legge la terribile profezia di Cassandra, che, adirata per gli atti sacrileghi degli Achei, rivolgendosi ad Idomeneo pronuncia: «La pena della mia rovina giungerà a Cnosso e alle case di Gortina e l’intera casa dei principi andrà in rovina. Infatti non con buone intenzioni il pescatore spingerà avanti la nave a due remi per raggirare il custode del regno, Leukos, accendendolo d’odio con falsi inganni. Questi, con animo infuriato, non risparmierà né i figli del re né la regina Meda, con la quale si unirà, e neanche la figlia Kleisithera di cui il padre acconsentirà amare nozze con il serpente allevato. Lui con mani sacrileghe ucciderà tutti straziati nel tempio della cavità onchea»235. Questa leggenda possiede molti elementi topici: un re assente, il quale affida il suo regno ad un reggente, promesso in sposo a sua figlia, che trama contro il legitti231

La tradizione vuole che essi abbiano preso parte alla Battaglia della Sagra tra le file dei Locresi e dei Reggini in battaglia contro i Crotonesi, avvenuta tra il 560 ed il 550 a.C. Per un’analisi su questa tradizione mitica rimando a Giangiulio 1983. 232 IC I, 8, 33: Θαρσύμαχος Λεοντίω. / οὐδὲ θανὼν ἀρετᾶς ὄνυμ’ ὤλεσας, ἀλλά σε φάμα / κυδαίνουσ’ ἀνάγει δώματος ἐξ Ἀΐδα, Θαρσύμαχε· τρανὲς δὲ καὶ ὀψαγόνων τις ἀείσει / μνωόμενος κείνας θού[ριδ]ος ἱπποσύνας, / Ἐρταίων ὅτε μοῦνος ἐπ’ ἠ[νε]μόεντος Ἐλαίου / οὐλαμὸν ἱππείας ῥήξαο φοιλόπιδ〈ο〉ς, / ἄξια μὲν γενέταο Λεοντίου, ἄξια δ’ ἐσθλῶν / ἔργα μεγαυχήτων μηδόμενος προγόνων. / τοὔνεκ[ά] σε φθιμένων καθ’ ὁμήγ〈υ〉ριν ὁ κλυτὸς Ἅδης / ἷ σ ε π ο λ ι σ σ ο ύ χ ῳ σ ύ ν θ ρ ο ν ο ν Ἰ δ ο μ ε ν ε ῖ. 233 Su questo epiteto cfr. Brackertz 1976, 203–211. 234 Cfr. la fine analisi di Federico 1999, 305–327. 235 Riporto la traduzione di Edoardo Federico.

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mo sovrano (che per altro lo aveva adottato), uccidendone i figli e violentandone la moglie. Questi topoi narrativi, che presentano interessanti analogie con il mito del ritorno di Agamennone in patria, sono stati sapientemente usati a Cnosso per modellare le vicende relative al periodo post-troiano di Idomeneo. Gli scolii al poema di Licofrone offrono indicazioni utili a ricostruire la genesi di questo processo236. Da essi apprendiamo che Leukos, figlio di Tantalo, sarebbe stato esposto e poi adottato da Idomeneo, che l’avrebbe allevato come un figlio. Alla sua partenza per Troia gli avrebbe affidato la cura del regno, promettendogli la mano sua figlia Kleisithera a suo ritorno in patria. Come anche Apollodoro (Ep. VI, 10-11) attesta, Nauplios per vendicare la morte del suo amico Palamede, avrebbe fatto in modo che le consorti dei capi achei fossero coinvolte in adulteri durante l’assenza dei loro mariti. A Cnosso Nauplios avrebbe così convinto Leukos a tradire il suo benefattore, seducendone la moglie, per poi ucciderla in modo sacrilego insieme ai suoi figli presso il tempio di Demetra Erinni237. Il personaggio di Leukos svolge una vicenda chiave: egli è colui che sterminando la famiglia del suo benefattore pone di fatto fine alle basi della regalità cnossia, facendo di Idomeneo l’ultimo legittimo re cnossio. Egli non viene tuttavia ucciso, ma accecato e bandito per sempre dal regno. Seppure con le dovute differenze, la sua vicenda ha dei tratti in comune con quella di Edipo: anch’egli giace con una regina in maniera sacrilega, pone fine alla regalità tebana e per punire le sue empietà si acceca e va in esilio. Quello cnossio è un processo di manipolazione mitica molto fine ed intelligente. Da un lato, infatti, si salva e si recupera il passato della regalità minoica, grecizzandolo o doricizzandolo; dall’altro, questa regalità è spostata ad un livello cronologico più basso, olimpico, facendo partecipare i sovrani cretesi alla guerra di Troia e ponendoli in questo modo al livello delle altre regalità achee. Successivamente, nel periodo post-troiano collegandosi al ciclo epico dei nostoi, si fa di Idomeneo l’ultimo re di Cnosso. Egli rappresenta inoltre l’ideale cesura di passaggio da una monarchia (che non può più esistere) alla nascita della polis, intesa come nuova struttura politico-istituzionale. Un altro filone di tradizioni, probabilmente sempre di matrice cnossia, narrava che dopo l’eccidio della famiglia regale Leukos avrebbe convinto dieci città del regno di Idomeneo a passare dalla sua parte, fondando in questo modo un proprio regno238. Il numero dieci potrebbe anche spiegare il motivo per cui mentre 236 237

Schol. in Lyc. 1215–1225. Il testo di Licofrone (1225) chiama Ὄγκαιος βόθρος (fossa onchea) il luogo in cui supplice la famiglia di Idomeneo si sarebbe rifugiata. Gli scolii spiegano l’aggettivo ὄγκαιος come ἐρινυώδης in riferimento al culto di Demetra Erinni nella città arcadica di Onchai: da questa interpretazione si ricava che verosimilmente l’uccisione della famiglia di Idomeneo sarebbe avvenuta nel tempio di Demetra Erinni. 238 La tradizione si trova attestata presso Apollodoro (Ep. VI, 10): καὶ δέκα πόλεις ἀποσπάσας τῆς Κρήτης ἐτυράννησε. L’uso della forma verbale ἐτυράννησε sottolinea in maniera pregnante l’illegittimità del governo di Leukos.

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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nell’Iliade Creta viene definita isola dalla cento città, nell’Odissea questo numero venga abbassato a novanta: si tratterebbe di quei centri che si troverebbero sotto l’illegittima basileia di Leukos. Uno scolio all’Odissea239 ci informa che questi centri cittadini avrebbero fatto capo a Littos – secondo Strabone (X, 4, 7) insieme a Gortina storica rivale di Cnosso – e che sarebbero poi stati riconquistati e distrutti da Idomeneo240. Lo scontro tra Idomeneo e Leukos per il controllo di Creta sembrerebbe rappresentare la traslazione mitica dei conflitti che opposero Cnosso e Litto. In un certo senso Cnosso riscriveva anche la protostoria mitica della sua rivale, narrando che la città, giustamente distrutta per il suo tradimento, sarebbe stata poi rifondata per volere di Idomeneo stesso: un atto di generosità immeritato.

3b. Litto La risposta di Litto non dovette farsi attendere e la conosciamo grazie ad alcuni cenni alla tradizione littia che troviamo in Virgilio, spiegati dai suoi commentatori più tardi. Nell’Eneide (III, 95–143) si narra del passaggio dei Troiani a Creta. Anchise, interpretando erroneamente l’oracolo, identifica con l’isola la terra promessa ed esorta i Troiani ad approdarvi. Creta viene descritta come una terra felice e priva di insidie, dopo la cacciata di Idomeneo. A seguito di una pestilenza i Troiani saranno poi costretti a lasciare l’isola e a continuare il loro viaggio alla volta dell’Occidente. Virgilio tace il nome della città, dalla quale Idomeneo sarebbe stato scacciato, tuttavia l’epiteto Lyctius con cui egli nomina l’eroe cretese241 costituisce un indizio importante per la paternità littia di questo mito. Servio aiuta a riscostruire questa tradizione narrando che Idomeneo, al ritorno da Troia a seguito di una tempesta avrebbe promesso a Poseidone, in cambio della salvezza della sua flotta, di sacrificare la prima cosa che gli sarebbe venuta incontro una volta tornato in patria242. Il fato volle che fosse proprio suo figlio e che per la crudeltà di 239

Schol. Hom. Od. XIX, 174: ἔνιοι δὲ φάσι Ἰδομενέα κατὰ τὸν ἐξ Ἰλίου ἀνάπλουν ἀπελαυνόμενον τῆς Κρήτης ὑπὸ Λεύκου, ὃν θετὸν παῖδα καταλελοίπει φύλακα τῆς βασιλείας, δέκα πόλεις πορθῆσαι […] μετὰ τὸν ἀνάπλουν οἱ μετὰ Ἰδομενέως ἐπόρθησαν Λύκτον καὶ τὰς πέριξ ἅς ἔχων Λεῦκος ὁ Τάλω πόλεμον ἤρατο πρὸς αὐτούς. οὗτος θετὸς ὤν Ἰδομενέως παῖς, ἀφεθεὶς ὑπ’ αὐτοῦ φύλαξ τῆς Κρήτης, ἐστασίασε πρὸς αὐτοὺς ἐπανελθόντας. μετὰ δὲ ταῦτα προσεκτίσθησαν αἱ δέκα. 240 Vale anche la pena di ricordare che in età ellenistica Litto aveva assunto un ruolo dominante nell’isola, al quale la cosiddetta guerra di Litto (221–219 a.C.) pose fine, nel corso della quale Cnosso organizzò una lega di città cretesi, riuscendo a sconfiggere e a distruggere la sua rivale. 241 Aen. III, 400-401: Et Sallentinos obsedit milite campos / Lyctius Idomeneus 242 Servio, Ad Aen. III, 121: pulsum regnis cessisse paternis non dicit quare. sed talis historia est: Idomeneus de semine Deucalionis natus, Cretensium rex, cum post eversam Troiam reverteretur, in tempestate devovit sacrificaturum se de re, quae ei primum occurrisset. contigit, ut filius eius primus occurreret: quem cum, ut alii dicunt, immolasset, ut alii vero, immolare voluisset et post orta esset pestilentia, a civibus pulsus regno Sallentinum Calabriae promunctorium tenuit, iuxta quod condidit civitatem, ut “et Sallentinos obsedit milite campos Lyctius Idomeneus”.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

questa azione venisse bandito dai suoi concittadini. Una discussione dettagliata di questa leggenda, che presenta interessanti punti di contatto con le tradizioni del Vicino Oriente e della Bibbia inerentemente al tema del sacrificio del figlio, esula dai fini di questo lavoro243. Il tema del sacrificio umano ritorna in un frammento dello storico ateniese Anticlede, il quale nei suoi Nostoi, forse anche riferendosi a questa tradizione, narrava che presso i Litti vigeva il costume di sacrificare uomini a Zeus244. Nell’ambito del patrimonio mitico di Litto va fatta notare l’esistenza di una fase regale, connessa alla figura di Idomeneo ed alla genealogia di Minosse. Si tratta di una fase che come a Cnosso termina con Idomeneo, in quanto questi viene cacciato a seguito della sua crudeltà ed empietà. Va anche aggiunto che tale cacciata sembra presupporre che il monarca non risiedesse a Cnosso, ma a Litto, che assurge in questo modo a capitale del regno della famiglia di Minosse. Considerate da questo punto di vista queste due varianti mitiche sembrano riflettere la rivalità storica dei due centri per il predominio sull’isola: ad ogni modo, in entrambe le tradizioni, seppure con connotazioni diverse, Idomeneo è visto come l’ultimo legittimo re di Creta.

3c. Festo La città di Festo offriva dal canto suo delle varianti mitiche che meritano di essere prese in considerazione. Pausania tramanda una genealogia del poeta spartano Cinetone245, secondo la quale Radamante sarebbe stato il figlio di Festo, a sua volta figlio di Talos, figlio di Kres246. Questa genealogia si discosta da quella omerica, relatio ergo historiae ad iniciendum Troianis Cretam eundi desiderium pertinet: et re vera aliter ad hostis provinciam ire non poterant. Servio, Ad Aen. XI, 264: Idomeneus rex Cretensium fuit: qui cum tempestate laboraret, vovit se sacrificaturum Neptuno de ea re quae ei primum occurrisset. casu ei primus filius occurrit: quem cum, ut alii dicunt, immolasset, ut alii, immolare vellet, ob crudelitatem regno a civibus pulsus est: unde est “fama volat pulsum regnis cessisse paternis Idomenea ducem”. alii dicunt quod abscedens cuidam suum commendaverat regnum, qui per eius absentiam occupavit imperium et reversum pepulit. ergo ‘versos penates’ aut eversos et funditus dirutos accipiendum: aut certe in aliena iura conversos. 243 Rimando alla dettagliata analisi di Federico 1999, 327–335. 244 FGrHist 140, F 7: Λυκτίους γάρ – Κρητῶν δὲ ἔθνος εἰσὶν οὗτοι –- Σντικλείδης ἐν Νόστοις ἀποφαίνεται ἀνθρώπους ἀποσφάττειν τῷ Διί. Al frammento tramandato presso Clemente Alessandrino (Protr. III, 42, 5) segue la notizia, che suona quasi una risposta al logografo ateniese, che i Lesbi avrebbero compiuto gli stessi sacrifici in onore di Dioniso. 245 Paus. VIII, 53, 5 = Kinaithon, Fr. 1 West: ἐς δὲ αὐτὸν Ῥαδάμανθυν Ὁμήρου μέν ἐστιν ἐν Πρωτέως πρὸς Μενέλαον λόγοις ὡς ἐς τὸ πεδίον ἥξοι Μενέλαος τὸ Ἠλύσιον, πρότερον δὲ ἔτι Ῥαδάμανθυν ἐνταῦθα ἥκειν: Κιναίθων δὲ ἐν τοῖς ἔπεσιν ἐποίησεν ὡς Ῥαδάμανθυς μὲν Ἡφαίστου, Ἥφαιστος δὲ εἴη Τάλω, Τάλων δὲ εἶναι Κρητὸς παῖδα. οἱ μὲν δὴ Ἑλλήνων λόγοι διάφοροι τὰ πλέονα καὶ οὐχ ἥκιστα ἐπὶ τοῖς γένεσίν εἰσι. Su questo testo rimando al documentato studio di Federico 2008. 246 Sulle tradizioni relative a Talos cfr. Federico 1989.

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che faceva di Radamante e di Minosse figli di Zeus, connettendo Radamante ad una genealogia curetica e proiettandolo ad un livello preolimpico. Tale tradizione, elaborata molto probabilmente a Festo, sembra sottolineare l’archaiotes della città, le cui origini vengono condotte ad un periodo precedente la nascita di Zeus. In questo contesto Talos non viene considerato più un automa, che per volere di Minosse protegge Creta, ma un umano (o un eroe), figlio del Cureta, eponimo dell’isola. L’importanza che questa figura assume nell’ambito delle tradizioni locali di Festo è testimoniata anche dalle monete locali, che numerose raffigurano questo personaggio247. La genealogia di Radamante va studiata in relazione ad un frammento di Eforo (FGrHist 70, F 147), trasmesso presso Strabone248, secondo il quale Minosse altro non sarebbe stato che un imitatore (mimetes) di Radamante, vissuto molto prima, che, stando a quando raccontato dallo storico cretese Sosicrate (FGrHist 461, F 3) sarebbe stato il più giusto e pio dei re. Elio Teone (Prog. 95 = FGrHist 70, F 31, 32, 34, 147), riferendosi ad Eforo, che avrebbe raccontato la protostoria cretese in termini evemeristici, riteneva che, come per Minosse, sarebbero esistiti due Radamante, dei quali quello cureta (il più antico) sarebbe stato un antico re e legislatore cretese. Se, come è probabile, la tesi che queste varianti mitiche siano state elaborate a Festo fosse veritiera, in questo caso Festo, distaccandosi da Cnosso e da Litto, avrebbe posto l’accento sull’antichità delle sue origini, precedenti la nascita di Zeus, ed avrebbe mantenuto ad un livello curetico i protagonisti della sua protostoria mitica, senza spostarli a livello olimpico, tre generazioni prima della guerra di Troia. L’opera del misterioso poeta cretese, Epimenide, ricca di spunti di Lokalpatriotismus può forse aver funto da modello. Sappiamo infatti che Epimenide, probabilmente nativo di Cnosso, sarebbe stato un sacerdote di Era e di Zeus (qui abbiamo un importante legame con le tradizioni preolimpiche), ed avrebbe composto delle opere in versi sulla nascita dei Cureti e dei Coribanti, così come sulle figure di Minosse e di Radamante. Da un frammento (FGrHist 457, F 18) apprendiamo anche che egli narrò dell’aiuto che i Cureti prestarono a Zeus nella lotta contro i Titani, avvenuta nel monte Ida. La teogonia da lui elaborata in contrapposizione a quella esiodea, che aveva un carattere panellenico, rapportava a Creta la nascita di tutti gli dei e di tutti gli eroi. Plutarco (de def. or. 409e) accenna anche alle critiche che il poeta muoveva all’oracolo di Delfi nella sua funzione quale ombelico del mondo, probabilmente rifacendosi ad una tradizione locale, secondo la quale Apollo, dopo aver ucciso il serpente Python si sarebbe recato a Festo per purificarsi. 247

Di particolare interesse sono tutta una serie di stateri (BMC 20), coniati a cavallo tra il IV ed il III sec. a.C., nei quali Talos viene raffigurato come un essere alato. In questo caso la raffigurazione sarebbe da riferire al mitico automa che proteggeva Creta. 248 Per un’analisi di questo testo cfr. Parmeggiani 2011, 240–243.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

4.

Gli Eteocretesi

Una trattazione approfondita delle tradizioni antiche relative a questo enigmatico popolo che ancora in epoca ellenistica abitava a Creta, come mostrano le iscrizioni redatte nella loro lingua (anellenica), non rientra nei fini di questo lavoro249. La loro presenza a Creta così come la loro riconosciuta autoctonia ha giocato un ruolo importante nell’elaborazione (e manipolazione) dei miti cretesi da parte Greci immigrati nell’isola. Omero nell’Odissea (XIX, 172–177) è il primo a menzionare gli Eteocretesi, laddove parla di Creta come di un’isola felice e ricca, in cui vivono molti uomini – la polyanthropia contribuisce ad una caratterizzazione positiva di Creta – ed esistono ben novanta città250. A Creta convivono anche cinque popoli diversi, che usano linguaggi differenti: gli Achei, i valorosi Eteocretesi, i Cidoni, i Dori e i Pelasgi. In questo passaggio va sottolineata, come accennato, la connotazione positiva di Creta, vista come un luogo felice, probabilmente in virtù della sua insularità. In secondo luogo va rilevata la sua caratterizzazione come una società multietnica – l’espressione ἄλλη δ’ἄλλων γλῶσσα μεμιγμένη pone in rilievo una mistione linguistica, dovuta alla convivenza di etnie parlanti lingue diverse – in cui sono assenti conflitti: gli Eteocretesi e i Pelasgi vengono addirittura denominati μεγαλήτορες e δῖοι (valorosi e gloriosi). La tradizione greca è unanime nel considerare gli Eteocretesi come il popolo autoctono di Creta, un titolo al quale molti popoli ambivano nell’antichità e che spesso era usato come argomento giuridico nelle dispute territoriali. L’autoctonia degli Eteocretesi si rifletteva, inoltre, nel loro stesso etnico: un composito greco che alla lettera significa “vero cretese”. Erodoto (I, 173), parlando di Creta, narra che l’intera isola era abitata anticamente da popolazioni barbare. Lo Storico di Alicarnasso si riferisce ad un’epoca di molte generazioni precedenti la guerra di Troia, quando gruppi di migranti ellenici non avevano ancora messo piede nell’isola251. Strabone (X, 4, 6), citando l’opera di Stafilo di Naucrati, uno storico ellenistico di III sec. a.C., ricostruisce la geografia linguistica di Creta, probabilmente ancora valida all’epoca di Stafilo: i Dori abitano la parte ad Est, i Cidoni quella ad Ovest, mentre gli Eteocretesi, ai quali appartiene la città di Prason, nel cui territorio si trovava il tempio di Zeus Dicteo, abitano il Sud. Il Geografo di Amasea specifica, inoltre, che solo gli Eteocretesi e i Cidoni 249

A riguardo rimando a Duxoux 1982, 7-24; tra i contributi più recenti cfr. Viviers 1996; per quanto riguarda la cultura materiale con considerazioni sull’etnicità degli Eteocretesi cfr. Whitley 1998; id. 2006. Per considerazioni inerenti alla ceramica ed ai costumi funerari degli Eteocretesi nel periodo geometrico con bibliografia precedente cfr. Tsipopoulou 2012, che mette in evidenza alcuni elementi di continuità culturale con il passato minoico; sui culti di Praisos cfr. Pilz 2012. 250 Sul modo in cui l’insularità abbia influenzato le rappresentazioni di Creta cfr. il recente contributo di Guizzi 2009. 251 In un altro passaggio Erodoto (VII, 92) identifica questi barbari con i progenitori dei Lici; egli narra (I, 172) che anche i Cauni affermavano di essere cretesi d’origine.

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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sarebbero stati autoctoni, mentre gli altri immigrati (ἐπήλυδες). La menzione di Praisos ci permette di tornare ad Erodoto (VII, 170–171)252, il quale ha occasione di parlare di questo centro nel racconto della spedizione in Sicilia che i Cretesi organizzarono per andare a recuperare le spoglie di Minosse, morto a Camiro. Lo Storico di Alicarnasso narra che solo due città non vi avrebbero partecipato: Policna e Praisos. Questa spedizione, avvenuta tre generazioni prima del conflitto troiano, è importante per la storia del popolamento dell’isola. Infatti, i Cretesi, dopo aver assediato inutilmente Camiro per cinque anni, decidono di tornare in patria, ma vengono colti da una tempesta che distrugge le loro navi, costringendoli a sbarcare nella terra degli Iapigi, dove si sarebbero insediati, fondando la città di Hyrie e fondendosi con i Messapi. A quanto affermano gli abitanti di Praisos, questa sarebbe stata la causa per cui a Creta, diventata disabitata (ἐρημωθεῖσα), sarebbero migrati altri uomini, soprattutto Greci. Tre generazioni dopo ha luogo la guerra di Troia, alla quale i Cretesi parteciparono, distinguendosi per il loro valore; tornati in patria furono tuttavia afflitti da una pestilenza e da una carestia che decimò la popolazione: ciò fece in modo che sull’isola potessero migrare nuove genti. Il testo erodoteo merita un’attenzione particolare, anche in quanto, come l’espressione ὡς λέγουσι Πραίσιοι indica, vengono riferite tradizioni locali degli Eteocretesi di Praisos, che si possono agganciare a quelle di Cnosso e Litto, analizzate precedentemente. Prima di tutto, riallacciandosi al ciclo dei nostoi, le tradizioni dei centri cretesi sembrano (all’unanimità) porre a Creta un periodo di instabilità e di debolezza interna dopo la guerra di Troia, a causa di una stasis interna, dovuta ad un usurpatore (come a Cnosso), di una pestilenza causata da un atto sacrilego (Litto) o da cause non precisate (Praisos). I periodi post-Minosse e post-Troia vengono avvertiti come delle cesure, nella quali Creta diviene una sorta di ἔρημος χώρα, nella quale giungono popolazioni straniere. I Greci che arrivano a Creta dopo la guerra di Troia sono i Dori, che come lo storico Androne di Alicarnasso in un frammento trasmesso da Strabone (X, 4, 6), prima citato, afferma, sarebbero provenuti dalla Tessaglia e avrebbero fondato sull’isola tre città: Erineo, Boio e Citinio. Il testo di Strabone (X, 4, 6), preso prima in considerazione, ad un’attenta analisi lascia intravvedere all’interno di Creta una divisione non solo linguistica, ma anche storico-culturale tra Greci-Dori (ἐπήλυδες) da una parte ed Cidoni ed Eteocretesi dall’altra, che si definiscono autoctoni e vanno fieri della loro autoctonia, pur essendo di fatto grecizzati. Questo passo si lascia considerare in connessione con la sezione dedicata a Creta nel quinto libro di Diodoro , anch’essa analizzata in precedenza, seppure sotto un altro punto di vista. Diodoro (V, 64) – lo si ricordi – inizia il capitolo affermando che gli abitanti di Creta (οἱ κατοικοῦντες) affermano che i più antichi (ἀρχαιοτάτους) tra loro siano gli Eteocretesi, che sono pure 252

Su questo testo cfr. ai documentati studi di Federico 1999; id. 2011, in part. pp. 165–176; a cui vanno aggiunte le osservazioni di Viviers 1995.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

autoctoni. Il loro sovrano, Kres, eponimo dell’isola, sarebbe stato il responsabile di grandi scoperte che avrebbero contribuito a migliorare la vita degli abitanti di Creta. Mi sembra probabile che Diodoro in questo contesto stia riportando una tradizione eteocretese e certamente non dorica; l’uso nella frase successiva della forma verbale μυθολογοῦσι, il cui soggetto potrebbero essere proprio gli Eteocretesi, costituisce a mio avviso un ulteriore indizio per un’interpretazione in tal senso. Gli Eteocretesi, riconosciuti come i più antichi abitanti dell’isola, avrebbero affermato nelle loro tradizioni non solo che un loro re avrebbe dato il nome all’isola, ma anche che un gran numero di divinità e di eroi sarebbe nato a Creta. Con la dovuta cautela, basandomi anche sui brillanti lavori di Edoardo Federico, sarei propenso ad estendere la denominazione di tradizioni curetiche a tutti quei miti cretesi, che proiettano ad un passato preolimpico (e pregreco) sia figure mitiche come quelle di Minosse e Radamante, sia fondazioni di città, i cui eponimi sono esplicitamente chiamati Cureti, come si vedrà del paragrafo successivo.

5.

I Cureti come fondatori di città

Esisteva un filone di tradizioni mitiche, ricostruibile purtroppo solo in maniera frammentaria per lo più grazie ad alcuni lemmi tramandati da Stefano di Bisanzio, nel quale la fondazione di diverse poleis cretesi era ricondotta all’opera dei Cureti253. Andando in ordine alfabetico, la città di Ἄωρος avrebbe tratto nome da una ninfa locale, mentre prima si sarebbe chiamata Ἐλευθήρα, da Ἐλευθῆρος, un Cureta254. Ἐλεύθερνα avrebbe fatto risalire le proprie origini ugualmente ad un Cureta255, così come Βίεννος256, situata sul versante meridionale dell’isola, Ἰτανός257 e 253

Per una raccolta delle testimonianze letterarie cfr. Poener 1913, 257–262, il quale sottolinea la forte connessione tra Cureti e Cretesi; una discussione di queste tradizioni soprattutto in relazione al centro di Hieraptytna in Guizzi 2001, 287–302. 254 Ἄωρος, πόλις Κρήτης, ἀπὸ Ἀώρας νύμφης. Μετωνομάσθη δ’ Ἐλευθήρα ἀπὸ Ἐλευθῆρος ἑνὸς τῶν Κουρήτων. Questa tradizione trova conferma in un altro lemma del dotto bizantino che si riferisce alla città beotica di Eleutherai: Ἐλευθηραί, πόλις Βοιωτίας, ἀπὸ Ἐλευθῆρος τοῦ Ἀπόλλωνος. ἔστι καὶ Κρήτης ἀπὸ Ἐλευθῆρος ἑνὸς τῶν Κουρήτων, ἥ τις καὶ Σάωρος ἐκαλεῖτο ἀπὸ Σαώρης νύμφης. Margherita Guarducci (IC II, p. 141) riteneva che in entrambi i lemmi si dovesse leggere un riferimento alla città di Ἐλεύθερνα, situata nella Creta centrooccidentale. 255 Ἐλεύθερνα, πόλις Κρήτης, ἀφ’ἑνὸς τῶν Κουρήτων. 256 Βίεννος, πόλις Κρήτης. οἱ μὲν ἀπὸ Βιέννου τοῦ τῶν Κουρήτων ἑνὸς. Su questa tradizione cfr. Guizzi 2001, pp. 290–291. 257 Ἰτανός, πόλις ἐν Κρήτῃ, ἀπὸ Ἰτανοῦ Φοίνικος, ἢ τῶν Κουρήτων ἑνὸς †μιγάδοις†. Su questa tradizione cfr. Guizzi 2001, 292–293.

APPENDICE 2. LA PROTOSTORIA MITICA CRETESE

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Cnosso258. Va infine citato il caso di Ἱεράπυτνα259 che originariamente si sarebbe chiamata Κύρβα260, traendo probabilmente il nome da Κύρνας, uno dei Telchini venuti da Rodi su richiesta di Rea per allevare e proteggere Zeus261. I Cureti, che come accennato in precedenza sono considerati come i più antichi abitanti dell’isola, nell’ambito delle tradizioni cultuali sono connessi anche all’idea di città, essendo essi stessi fondatori di alcuni centri urbani. Queste tradizioni, che trasferiscono la nascita della polis a Creta ad un livello preolimpico, connettendola alle figure dei Cureti, portatori oltre che delle conoscenze della lavorazione dei metalli, anche dell’idea della città, potrebbero forse rapportarsi, come sopra accennato, ad un nucleo di tradizioni mitiche di matrice etoecretese, che si contrapponeva a quelle greco-doriche, che operavano invece uno abbassamento cronologico di queste figure e della regalità ad un livello olimpico, connettendole ai cicli epici di Troia e dei nostoi.

6.

Conclusioni

L’analisi delle tradizioni mitiche analizzate permette di ricostruire il modo in cui la memoria mitica cretese si articola su tre livelli. Il primo, che possiamo definire preolimpico, è quello dei Dattili e dei Cureti, esseri vicini agli dei, dai quali, come visto, traggono il loro sapere che pongono a servizio dell’umanità. Essi sono datori 258

La fondazione di Cnosso ad opera dei Cureti si trova testimoniata presso Girolamo (Chronicon, p. 22b Helm: Creta dicta a Crete indigena, quem aiunt unum Curetarum fuisse, a quibus Iuppiter abscontibus est et nutritus. Hi Cnoson civitatem in Creta condiderunt et Cybelae matris templum) e Giorgio Sincello (Ecloga Chronographica 236, 19–237, 4 Dindorf: κατὰ τούτους τοὺς χρόνους ἐβασίλευσε Κρήτης Κρὴς αὐτόχθων, ὃν ἕνα λέγουσι τῶν Κουρήτων, παρ’ οἷς ὁ παρ’ Ἕλλησι λεγόμενος ψευδώνυμος θεὸς Ζεὺς κρυφθεὶς ἀνετράφη, καὶ Κρήτης ἐτυράννησεν. ἐξ αὐτοῦ τοῦ Κρητὸς ἡ νῆσος ὠνομάσθη Κρήτη. τοὺς αὐτοὺς φασι Κουρήτας κτίσαι πόλιν Κνωςὸν ἐν Κρήτῃ καὶ ἱερὸν Κυβέλης μητρὸς). Su questa tradizione e sulle testimonianze di Nonno di Panopoli (XIV, 33–35) e degli scoli sofoclei (Aiax 699), che alluderebbero ad una presenza stabile di Coribanti a Cnosso, rimando a Guizzi 2001, 293–294. 259 Cfr. Guizzi 2001, 283–288. 260 Ἱεράπυτνα, πόλις Κρήτης, ἡ πρότερον Κύρβα, εἶτα Πύτνα, εἶτα Κάμιρος, εἶθ’ οὕτως Ἱεράπυτνα τὸ ἐθνικὸν Ἱεραπύτνιος. Nella lista dei nomi risalta subito un rimando a Rodi, dove ad esempio esisteva una località di nome Κύρβη che, secondo una tradizione tramandata da Diodoro (V, 57, 7–8), avrebbe tratto nome da un’eroina eponima, figlia di uno degli Eliadi. Κάμιρος rimanda ugualmente a Rodi e a riguardo va menzionata la presenza nella città cretese di una tribù di nome Καμιρίς (IC III, 2, 1), che potrebbe far pensare ad una tradizione locale, sottolineante i rapporti con Rodi (in questo senso cfr. osservazioni in Jones 1987, p. 220 e p. 231, il quale suppone che una parte degli abitanti della città facesse risalire le proprie origini da Rodi). Per un’approfondita analisi cfr. Guizzi 2001, 285–287. 261 La tradizione è attestata presso Strabone (X, 3, 9), il quale accenna brevemente al fatto che questo mito offriva il pretesto ai Presii di sostenere nei confronti dei Rodii la discendenza dei Coribanti da Atena e da Elio. Su questa testimonianza cfr. Guizzi 2001, 287–288.

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CAPITOLO I. LE TRADIZIONI LETTERARIE SULL’ORIGINE DI TROIA

di civiltà, fondano città e centri cultuali. Il secondo livello è quello olimpico, a cui fanno da cesura le vicende legate a Crono ed alla nascita di Zeus, che viene allevato e protetto proprio dai Cureti, sempre presenti nella protostoria dell’isola (a tale livello olimpico appartiene la figura di Minosse, figlio di Zeus e di Europa). Il terzo livello è quello che vede l’estinguersi della dinastia minoica e l’arrivo dei Dori con le loro istituzioni nell’isola dopo la guerra di Troia. I Dori, nel tentativo di creare per Creta una protostoria eroica connessa a quella ellenica, sembrano aver operato una manipolazione delle tradizioni mitiche locali (minoiche o eteocretesi), abbassando ad un livello olimpico le cronologie degli eroi per potersi agganciare, come visto, al ciclo epico troiano ed a quello dei nostoi.

Capitolo II La Troade ed i suoi popoli: tra storia e mito

1.

Le fasi di popolamento nelle tradizioni mitiche

Lo studio delle tradizioni culturali ha permesso di fissare uno schema cronologico, o sarebbe meglio dire mitico-temporale, nel quale poter porre le fasi del popolamento della Troade e in parte dei territori ad essa confinanti. Si tratta di tradizioni molto antiche fondanti la memoria culturale e l’identità dei Greci che vivevano in questi regioni. Queste mitiche fasi di popolamento erano inserite in una griglia temporale e connesse a personaggi eponimi, in genere presentati come hegemones, guide di popoli migranti, che in seguito alla presa di possesso di un territorio ed alla fondazione di un centro abitato, acquistavano la dignità regale di basileis. Per quanto riguarda il territorio, questo poteva essere eremos, ossia deserto, ed in questo caso emerge, connesso all’insediarsi in una data terra, il concetto di autoctonia262, oppure già abitato, per cui i nuovi arrivati dovevano prendere contatto con la realtà preesistente. In tal caso, generalmente la fusione o comunque la pacifica convivenza tra i due ethne è suggellata dal matrimonio della figlia del sovrano locale col condottiero dei nuovi arrivati: motivo per cui questi acquista automaticamente dignità regale e diritto di successione al trono. Come si può notare, queste tradizioni seguono schemi narrativi ben precisi. Inerentemente alle fonti, come si è visto, le trattazioni più complete ed organiche si devono ad autori relativamente tardi di età augustea, quali Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso e Strabone. Costoro per motivi legati ora a finalità di propaganda politica, ora alla composizione di opere erudite sulla storia di una regione, hanno raccolto questi miti, attingendo a scrittori a loro antecedenti di diversi secoli, le cui opere già all’epoca non dovevano essere probabilmente di facile consultazione. Essi operarono una cernita delle tradizioni, che spesso presentavano diverse varianti, scegliendo in genere quella più consona alla propaganda politica 262

Sul concetto di eremos chora si rimanda alle osservazioni di Daverio Rocchi 1988; utile anche il materiale raccolto e discusso in Gallo 1980.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

o anche quella considerata più veritiera: nulla in pratica dovette essere inventato da Dionigi di Alicarnasso263 o da Diodoro Siculo264. Tornando al campo delle tradizioni letterarie e ricapitolando quanto detto nel capitolo precedente, la prima ondata di genti che avrebbe dato vita alla più antica fase abitativa della regione sarebbe stata quella dei Teucri. Sull’origine dei Teucri esistevano due versioni. Una locale, riferita da Strabone265 a Demetrio di Scepsi, autore di un’opera sulle tradizioni della Troade, secondo il quale costoro sarebbero stati di origine cretese e migrati in Troade, dove avrebbero introdotto il culto di Apollo Sminteo, su consiglio oracolare; ed un’altra, per cui i Teucri sarebbero stati autoctoni della regione. In ogni caso si tratta di due varianti di una stessa tradizione, che considerava i Teucri come i primi abitanti di questi territori. La seconda fase di popolamento si legava al personaggio di Dardano, capo dei Dardani e figlio di Zeus, il quale da Samotracia avrebbe guidato il suo popolo in Troade, dove avrebbe fondato la città di Dardano, in seguito chiamata Ilio, e sposato la figlia di Teucro, re della regione, acquisendo in questo modo il diritto alla successione regale. Esisteva poi una variante di questo mito, secondo la quale Dardano, suo fratello Giasone e sua sorella Armonia, sarebbero stati originari dell’Arcadia o di Creta. L’antichità di tali tradizioni potrebbe trovare conferma nel fatto che nell’Iliade266, in relazione ai Dardani, si fa menzione di un capostipite Dardano, figlio di Zeus. Questo potrebbe presupporre che ad un livello di Alto Arcaismo, il nucleo centrale di questi miti fosse già stato elaborato ed in un certo modo fissato. Alla comparsa di questi popoli e dei loro eroi eponimi viene connessa la memoria fondante di tradizioni cultuali e di elementi religiosi che contraddistinguevano la Troade e nello stesso tempo, per affinità, la connettevano ad altre regioni della Grecia, quali Creta o la Beozia. È il caso, ad esempio, del culto di Cibele e dei Coribanti, la cui introduzione nei territori del Nord-Egeo era connessa alla figura di Dardano. Creta gioca un ruolo molto importante nell’ambito delle tradizioni mitiche di queste regioni: all’isola vengono non solo connesse le origini di Teucro e Dardano e conseguentemente dei popoli a loro seguito, ma anche quelle dei culti di Apollo, dei Cureti e di Cibele. Creta appare punto di riferimento anche nelle tradizioni delle fasi di popolamento dell’isola di Lemno, dove la prima generazio263

In particolare su Dionigi di Alicarnasso si rimanda al saggio di Musti 1970; cfr. anche Gabba 1991. Tra gli studi più recenti con una più aggiornata bibliografia cfr. di Donadi 2010, VII– LVII; Wiater 2011. 264 Sulle problematiche relative al metodo storico di Diodoro Siculo si rimanda al documentato studio di Ambaglio 1995, in part. pp. 17–37 con un’analisi degli errori e delle contraddizioni presenti nell’opera; dello stesso studioso cfr. anche Diodoro Siculo, in Vattuone 2002; id. 2008; Cordiano 2004; Wiater 2006; Cordiano 2011; Sulimani 2011. 265 Cfr. Strab. (XIII, 1, 48). 266 Cfr. Hom. (Il. XX, 215); la fonte principale delle vicende di Dardano e dei Dardanidi è Diodoro Siculo (V, 65 sgg.).

1. LE FASI DI POPOLAMENTO NELLE TRADIZIONI MITICHE

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ne di uomini è quella che ha origine dallo hieròs gamos di Dioniso e di Arianna, consumato sull’isola, da cui sarebbe nato Toante, poi preposto da Radamante al ruolo di hegemòn del luogo267. Esiste un’altra tradizione, non a fondo valutata, che legava al passaggio delle Amazzoni nelle regioni del Nord-Egeo la fondazione di centri abitati e di culti268. La fonte principale per questi miti è Diodoro (III, 53–59), il quale racconta che le Amazzoni sarebbero state un popolo originariamente abitante in Libia269 la regione presso il lago Tritonide, al confine col regno degli Atlantidi. Secondo questa tradizione l’espansione delle Amazzoni sarebbe avvenuta sotto il regno di Mirina270, al tempo in cui in Egitto regnava Iside (si tratta per altro di una delle poche coordinate mitico-temporali fornite da Diodoro), la quale avrebbe condotto l’esercito di queste donne guerriere in Egitto, in Siria, nelle regioni del Tauro ed infine in Frigia dove, arrivate al mare, si sarebbero fermate per passare l’inverno scegliendo i luoghi migliori per fondare delle città, tutte quante ubicate nei territori alla foce del Caico. Alle Amazzoni venivano fatte risalire le origini di Cuma, di Pitana e di Priene sul continente; mentre sulle isole esse avrebbero occupato Lesbo, fondando Mitilene. Successivamente si sarebbero spostate a Samotracia, dove avrebbero introdotto il culto della Madre degli Dei. Il dominio delle Amazzoni su queste regioni sarebbe durato poco tempo; infatti, in esilio dalla Tracia, sarebbe sopravvenuto Mopso con un esercito con cui, dopo una serie di combattimenti nel corso dei quali avrebbe perso la vita la stessa Mirina, avrebbe costretto le schiere di queste donne guerriere a far ritorno in Libia. Questa tradizione, ricca di particolari, trova una probabile eco in un verso dell’Iliade271, nel quale si accenna ad una collina, posta di fronte ad Ilio, in cui si schierano le truppe achee, che ha il nome di Mirina, presso la quale è localizzato il tumulo funerario di questa regina guerriera. Anche in questo caso potrebbe trattarsi di una tradizione molto antica, il cui nucleo centrale sarebbe già stato fissato ad un livello cronologico di Alto Arcaismo. 267

Per questo mito cfr. Apollod. (Epit. I, 10). Su questo nucleo di tradizioni cfr. con un’utile raccolta delle fonti Klügmann 1870; tra i lavori cfr. Blok 1996; Moscati Castelnuovo 1999; Ragone 2005 con un’ampia bibliografia sull’argomento; Langner 2014. 269 Sulle tradizioni letterarie greche relative alla Lybie cfr. il documentato lavoro di Zimmermann 1999; va inoltre citato Ottone 2002. 270 Su questa tradizione cfr. Moscati Castelnuovo 1999, 150–151; Ragone 2005, 316–317, 346–351, i quali sottolineano seppure in prospettive diverse l’importanza di questa eroina nell’ambito delle tradizioni eoliche. 271 Cfr. Hom. (Il. II, 814); cfr. inoltre le parole di Strabone (XII, 8, 6): […] ἥν ἱστοροῦσι μίαν εἶναι τῶν Ἀμαζόνων ἐκ τοῦ ἐπιθέτου τεκμαιρόμενοι∙ εὐσκάρθμους γὰρ ἵππους λέγεσθαι διὰ τὸ τάχος∙ κἀκείνην οὖν πολύσκαρθμον διὰ τὸ ἀπὸ τῆς ἡνιοχείας τάχος. Per una raccolta e valutazione delle fonti cfr. Ragone 2005, 318–319. 268

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

2. Troia e la sua immagine nelle tradizioni locali greche Prendiamo in esame alcune singole testimonianze letterarie di autori, che si sono occupati o hanno in qualche modo trattato tematiche relative alle tradizioni troiane, nel tentativo di tracciare lo sviluppo delle connotazioni dell’immagine di questa città nei miti ellenici. Iniziamo da Erodoto. Il Logografo di Alicarnasso ha modo di far riferimento a Troia all’inizio della sua opera quando, allo scopo di rintracciare l’origine dell’ostilità tra Asia ed Occidente greco, prende in esame antiche tradizioni272. La causa originaria della diaphoré sarebbe da attribuire ai Fenici, i quali, trasportando merci egiziane ed assire, sarebbero giunti ad Argo, che in quel tempo era la città più potente di tutta quanta l’Ellade. Sbarcati a riva, avrebbero trascorso nella regione cinque giorni, durante i quali avrebbero intrattenuto commerci con gli abitanti del luogo; poco prima di partire avrebbero rapito alcune donne, tra le quali Io, figlia di Inaco re dei Pelasgi di Argo, che sarebbe stata portata in Egitto. Questo rapimento sarebbe poi stato ripagato dall’azione di alcuni cretesi che, recatisi in Fenicia, avrebbero condotto via con la forza alcune fanciulle del luogo, tra le quali Europa, la figlia del re di Tiro. In seguito, sempre i Greci, al comando di Giasone sarebbero giunti in Colchide, dove avrebbero rapito Medea, la figlia del re. Dalla Colchide sarebbe quindi giunta una delegazione per chiedere conto dell’offesa subita, ma ad essa sarebbe stato risposto che anche i Greci non avevano avuto giustizia del torto subito col rapimento della principessa argiva. Nella generazione successiva si collocherebbe il ratto di Elena da parte di Paride. Alle lamentele dei Greci sarebbe stato rinfacciato il ratto di Medea, anch’esso rimasto impunito. A ciò sarebbe seguito il conflitto troiano. Interessante notare anzitutto la stratigrafia mitica: 1) Pelasgi, considerati come un popolo greco, originario di Argo; 2) Argonauti; 3) Guerra di Troia. In secondo luogo si deve evidenziare la connotazione di Troia come una città anellenica dell’Asia. Infine la caratterizzazione di Medea come una donna barbara, sebbene la casata alla quale essa apparteneva potesse rivendicare un’origine ellenica. Interessante è rilevare il ruolo assunto da queste figure di principesse rapite, volenti o nolenti, dai loro regni: esso potrebbe rispecchiare l’importanza che avevano ad esempio le principesse di casata regale nella politica del Vicino Oriente antico, per sancire, tramite le loro nozze, alleanze politiche. Inoltre emergerebbe la conoscenza da parte dei ceti acculturati persiani di miti greci, da loro addirittura rielaborati e strumentalizzati. Nelle tradizioni ionico-persiane Troia, vista la sua ubicazione asiatica, sarebbe stata connotata come una città barbara e la guerra troiana vista come un conflitto tra Greci e Barbari, col quale i Persiani che, come Erodoto (I, 4, 4) stesso affer272

Per un’analisi dei passi erodotei relativi a Troia ed alla guerra di Troia rimando a Pallantza 2005, 124–174.

2. TROIA E LA SUA IMMAGINE NELLE TRADIZIONI LOCALI GRECHE

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ma, consideravano l’Asia una loro proprietà, avrebbero potuto ideologicamente giustificare l’invasione in Grecia273. La testimonianza erodotea è utile in quanto permette di constatare come, in ambiente ateniese, nel V sec. a.C., si fosse affermata un’immagine di Troia quale città barbara. Questo stava in fondo in contraddizione con il nucleo antico di tradizioni di fondazione e di popolamento, rispettivamente della città e della regione, presenti già nel testo di Omero, in cui le origini dei suoi abitanti erano state grecizzate o, comunque, ricondotte a dei progenitori di stirpe ellenica. L’atteggiamento erodoteo va connesso all’ambito storico-culturale in cui la sua opera si inserisce: quello di un’Atene, che seppure vincitrice, aveva dovuto subire l’onta della distruzione dei suoi templi e dei suoi monumenti da parte dell’invasore persiano. Si tratta, in fondo dello stesso atteggiamento di Euripide che pur conoscendo la discendenza mitica di Medea, la considera, in virtù dei suoi natali in Asia, alla stregua di una barbara. Tale visione negativa dell’Asia e delle sue culture, che si riflette nell’elaborazione di tradizioni mitiche di chiara propaganda politica si sarebbe sviluppata all’epoca delle guerre persiane, nell’ambito soprattutto della tragedia. Questa è ad esempio la tesi di fondo di un libro, pubblicato alla fine degli anni 80, opera di Edith Hall274 in cui, prendendo in esame le tradizioni mitiche, 273

Si tratta di una problematica che merita certamente un ulteriore approfondimento, pur esulando dagli scopi del presente lavoro. La presenza di città greche sulle coste anatoliche ed i continui scambi commerciali e culturali con le popolazioni dell’interno avevano condotto, infatti, alla formazione di un’unità culturale che, giustamente, aveva indotto Santo Mazzarino (Mazzarino 1947) a parlare di una koiné. In pratica Ioni, Eoli, Frigi, Cari e Lici, intrattenendo rapporti reciproci, trovandosi spesso a convivere gli uni e gli altri nello stesso territorio e addirittura nella stessa città, avevano sviluppato forme di cultura materiale analoghe, nelle quali riconoscevano la loro appartenenza ad un medesimo ambito territoriale. Questo anche prescindendo dalle diverse lingue parlate. Sotto la dominazione persiana, di fatto questa “unità culturale” venne rispettata ed anzi, è probabile che i nuovi signori si interessassero delle tradizioni culturali di ambito greco-anatolico. Si potrebbe a riguardo citare un interessante articolo di Vincenzo La Bua (La Bua 1980) in cui, partendo dall’analisi di alcuni passi erodotei (VII 61, 2–3; 150, 1–2 sulla discendenza dei Persiani da un eponimo Perse, cui si aggiunge VI, 53, concernente la tradizione persiana che faceva dell’eponimo Perseo un assiro, divenuto poi greco), relativi ai discorsi tenuti da alcuni messi persiani presso i Greci, alla vigilia dello sbarco di Serse, si evince che da parte persiana ci fu un tentativo di strumentalizzare alcune tradizioni greche, per creare una parentela mitica con i Medi, rendendo in questo modo legittima la conquista della Grecia, vista in fondo come una riunificazione. In particolare a riguardo un ruolo importante spetta alle figure di Medea e di Perseo, che per le loro assonanze fonologiche con gli etnici Medoi e Persai, si prestavano ad un utilizzo in tal senso. Sull’argomento cfr. de Siena 2001; tra i lavori più recenti pubblicati su questo tema cfr. Georges 1994, con un’ottima discussione delle fonti; Gruen 2011b; id. 2011c; Vannicelli 2013, 83–93. Sulla ricettività di elementi di cultura iranica nell’Atene del V sec. a.C. cfr. Miller 1997; su questo interessante tema cfr. le osservazioni di Tuplin 2011. 274 Cfr. Hall 1989, 38–47 sull’immagine di Troia; sul tema cfr. anche con rimandi bibliografici Miller 2011, in part. pp. 68–70; da ultimo anche Gruen 2011a, 20–21, in cui ridimensiona alcune posizioni di Edith Hall mostrando elementi se non di simpatia per lo meno di non negatività nella rappresentazione eschilea dei Persiani; questa sua interpretazione è stata ri-

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

a noi note attraverso soprattutto il teatro del V sec. a.C., si nota come l’Asia ed in generale l’asianicità, assumano una forte connotazione negativa, spesso in contrasto con tradizioni precedenti che creavano legami di parentela mitica tra popoli anatolici e Greci. In questo caso, le osservazioni della studiosa bene si adattano al caso della guerra di Troia, che non era più sentita come un conflitto tra Greci del continente e dell’Asia, ma tra Elleni e barbari, per la giusta liberazione di una donna greca rapita. In questo senso la spedizione degli Achei a Troia, che secondo la tradizione omerica era composta da diversi contingenti provenienti da tutte le parti del mondo greco, poteva assumere una connotazione panellenica, facilmente proiettabile alla situazione dei Greci uniti contro il comune nemico persiano275.

2a. Acusilao di Argo Prendiamo ora in considerazione la testimonianza di Acusilao di Argo276, per noi preziosa fonte storiografica sulle tradizioni argive, che considera le vicende troiane sotto un’ottica diversa277. FGrHist 2, F 39 (= Schol. ad Hom. Il. Y 307): ἤδη γὰρ Πριάμου γενέην ἤχθηρε Κρονίων νῦν δὲ δὴ Αἰνείαο βίη Τρώεσσι ἀνάξει καὶ παίδων παῖδες | Ἀφροδίτη χρησμοῦ ἐκπεσόντος ὅτι τῆς τῶν Πριαμιδῶν ἀρχῆς καταλυθείσης οἱ ἀπ’ Ἀγχίσου Τρώων βασιλεύσουσιν, Ἀγχίσῃ ἤδη παρηκμακότι συνῆλθεν. τεκοῦσα δ’ Αἰνείαν καὶ βουλομένη πρόφασιν κατασκευάσαι τῆς τῶν Πριαμιδῶν καταλύσεως, Ἀλεξάνδρῳ πόθον Ἑλένης ἐνέβαλε, καὶ μετὰ τὴν ἁρπαγὴν τῷ μὲν δοκεῖν συνεμάχει τοῖς Τρωσί, ταῖς δὲ ἀληθείαις παρηγόρει τὴν ἧτταν αὐτῶν, ἵνα μὴ παντελῶς ἀνελπίσαντες ἀποδῶσι τὴν Ἑλένην. ἡ ἱστορία παρὰ Ἀκουσιλάῳ. presa recentemente da Kim 2013, in part. pp. 25–26, n. 5. Nello studio delle immagini della pittura vascolare della seconda metà del V sec. a.C. Tonio Hölscher (Hölscher 2000, in part. pp. 300–314) ha notato che già a partire dal 425 a.C. le figure di orientali sulla ceramica attica non siano connotate più così negativamente come vent’anni prima: segno probabile di una riapertura ateniese alla cultura orientale. Sul significato etico politico delle guerre persiane per l’unità nazionale dei Greci cfr. le pagine sempre utili di Nenci 1979. Sull’intera questione con un’aggiornata bibliografia rimando a Erskine 2001, 61–92, e a Gehrke 2009. 275 Quest’immagine è particolarmente evidente se si esaminano ad esempio i versi della parodo dell’ “Ifigenia in Aulide” di Euripide (185 sgg.), in cui il poeta, seguendo il modello omerico del “Catalogo delle navi”, descrive come panellenico il contingente acheo, che va a lottare in Asia contro i Troiani-Frigi. Questa contrapposizione ritorna ancora in maniera più marcante nelle “Troiane” (565 sgg.), in cui alla gloria della Grecia si contrappone il dolore della “patria dei Frigi” (στέφανον ἔφερεν Ἑλλάδι κουροτρόφον, Φρυγῶν δὲ πατρίδι πένθος). Sulla complessa rappresentazione dei Troiani e della guerra di Troia nella tragedia del V sec. a.C. rimando a Pallantza 2005, 201–310, con un’analisi dei versi nei quali vengono tematizzati Troia ed i Troiani. 276 In generale sulle tradizioni argive trasmesse da questo autore cfr. Marchetti 2001; nello stesso volume cfr. anche Brillante 2001 (sulla figura di Danao); Calame 2004. 277 Su questa testimonianza cfr. Schmith 1981, 31–32; Vanotti 1995, 142; Bugno 2005, 366–369.

2. TROIA E LA SUA IMMAGINE NELLE TRADIZIONI LOCALI GRECHE

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Il Cronide aveva infatti preso ad odiare la stirpe di Priamo: ora regneranno sui Troiani la potenza di Enea ed i figli dei figli. Afrodite avendo saputo dall’oracolo che, dopo la caduta del regno dei Priamidi, avrebbero regnato sui Troiani i discendenti di Anchise, si recò da lui, quando questi era nel fiore della giovinezza. Ella concepì Enea e, volendo procurare un motivo per la caduta dei Priamidi, fece innamorare Alessandro di Elena. Dopo il rapimento fece in modo che sembrasse che ella combatteva al fianco dei Troiani, mentre in realtà contribuiva alla loro sconfitta, perché essi pieni di speranza non consegnassero Elena. Questa storia si trova presso Acusilao.

Secondo questa testimonianza Afrodite, venuta a conoscenza per oracolo che la dinastia dei discendenti di Anchise, una volta caduto il regno di Priamo, avrebbe regnato sulla Troade, avrebbe deciso di favorire la fine della dinastia di Priamo. Unitasi ad Anchise, dal quale ebbe un figlio, Enea, avrebbe fatto innamorare di Elena Paride, convincendolo a rapirla. La dea si sarebbe poi schierata nel corso della guerra dalla parte dei Troiani, affinché questi, sicuri del suo aiuto, non si facessero convincere a restituire la sposa di Menelao agli Achei. Questo frammento ci fornisce “l’immagine argiva” di Troia nel V sec. a.C., in cui la città sembra essere considerata greca a tutti gli effetti. Sarebbe, infatti, assurdo che una dea ellenica creasse i presupposti per la fine della dinastia di Priamo solo allo scopo di favorire una casata barbara. La dea avrebbe quindi svolto nella vicenda un ruolo centrale e tutto per favorire suo figlio e la dinastia dei Dardani, sperando forse di diventare in questo modo la divinità principale della Troade. Importante appare la distinzione tra una dinastia “Priamide” ed un’altra “Dardanide”, dietro le quali si possono intravvedere le figure di Teucro e di Dardano, ai quali si connettono le due fasi di popolamento della Troade. Va inoltre rilevato che l’azione della dea è finalizzata a che, dopo la guerra di Troia, i Dardanidi restino unici signori della regione. Questa tradizione sembrerebbe quindi ignorare le peregrinazioni di Enea in Occidente o, comunque, presupporre una continuità abitativa della Troade da parte delle popolazioni locali, dopo la partenza delle navi greche278. FGrHist 2, F 40 (= Schol. Q.V. Hom. Od. λ 520): ἀλλ’ οἷον τὸν Τηλεφίδην καλχῷ (s.c. Νεοπτόλεμος), ἥρω’ Εὐρύπυλον∙ πολλοὶ δ’ ἀμφ’ αὐτὸν ἑταῖροι Κήτειοι κτείνοντο γυναίων ἕνεκα δώρων | Εὐρύπυλος ὁ Ἀστυόχης καὶ Τηλέφου τοῦ Ἡρακλέους παῖς λαχὼν τὴν πατρώιαν ἀρχὴν τῆς Μυσίας προίστατο. Πυθόμενος δὲ Πρίαμος περὶ τῆς τούτου δυνάμεως ἔπεμψεν ὡς αὐτὸν ἵνα παραγένηται σύμμαχος. εἰπόντος δὲ αὐτοῦ ὡς οὐκ ἐξῆν αὐτῷ διὰ τὴν μητέρα, ἔπεμψεν ὁ Πρίαμος τῇ μητρὶ αὐτοῦ [Ἀστυόχῃ] χρυσῆν ἄμπελον. ἡ δὲ λαβοῦσα τὴν ἄμπελον τὸν υἱὸν ἔπεμψεν ἐπὶ στρατείαν, ὃν Νεοπτόλεμος ὁ τοῦ Ἀχιλλέως υἱὸς ἀναιρεῖ. ἡ δὲ ἱστορία παρὰ Ἀκουσιλάῳ. 278

Su questo nucleo di tradizioni ci si soffermerà più avanti, a riguardo in generale cfr. Schmith 1981; Aloni 1986.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

Ma Neottolemo (uccise) anche l’eroe Telefide, Euripilos. Molti altri suoi compagni caddero a causa dei doni fatti ad una donna. Euripilo, figlio di Astioche e di Telefo, figlio di Eracle, avendo ereditato il trono paterno regnava sulla Misia. Priamo, venuto a conoscenza della sua forza, lo mandò a chiamare, affinché come alleato venisse da lui. Avendo egli risposto che non gli era possibile a causa di sua madre, Priamo inviò ad Astioche come dono un grappolo d’uva dorato. Questa, accettato il dono, inviò a combattere il figlio, che venne ucciso da Neottolemo, figlio di Achille. Questa storia si trova presso Acusilao.

Acusilao dimostra in questa testimonianza di avere una buona conoscenza della geografia mitica dei territori anatolici all’epoca della guerra di Troia. Egli ricorda, infatti, la presenza di un regno dei Misi, popolazione di origine tracia, affine a quella dei Frigi e dei Dardani, a capo del quale stava Euripilo, figlio di Telefo e nipote di Eracle, un personaggio, quindi, che almeno per parte paterna, poteva essere autorevolmente considerato greco. Allo scoppio del conflitto Priamo, facendo appello alla madre, riesce a convincere il giovane re a schierare le sue truppe contro i Greci: decisione fatale, in quanto questi cadrà per mano di Neottolemo, figlio di Achille. A prescindere dagli interessanti particolari di questo mito, merita attenzione il fatto che Acusilao, non solo consideri Troia e la stirpe dei Troiani quali greci, ma che conosca e faccia agire nelle vicende troiane, da lui narrate, altri personaggi di “grecità anatolica” del periodo mitico. Questo fatto va valutato attentamente, anche in relazione alla posizione erodotea, prima analizzata, che evidentemente non doveva essere unilateralmente accettata o comunque considerata come la più vera da parte di tutti i Greci.

2b. Ellanico di Lesbo Di estremo interesse sono anche alcuni dei frammenti dell’opera di Ellanico di Lesbo279, storico forse contemporaneo di Tucidide280, che poté verosimilmente attingere al ricco patrimonio (scritto ed orale) di miti e di leggende della sua isola natale. Il luogo di provenienza di questo logografo è molto importante: non va dimenticato il ruolo svolto da Lesbo nell’ambito della colonizzazione eolica. Dall’isola, infatti, prese le mosse un grosso flusso di coloni che si stanziarono sulle coste della Troade, penetrando, in una fase successiva, seguendo il corso delle valli fluviali, verso l’interno con una rete capillare di piccoli insediamenti rurali e di singole fattorie. Il contatto e la quotidiana convivenza con le realtà locali condusse certamente all’elaborazione di un comune nucleo di tradizioni, nelle quali 279

In generale, per un’analisi dei singoli frammenti di questo logografo cfr. la monografia di Ambaglio 1980; sul suo metodo storico cfr. il documentato lavoro di Möller 2001; Ottone 2010 con un’ampia bibliografia; sui suoi Troika (FGrHist 4, F 23–31) cfr. Trachsel 2007, 131– 164. 280 Sulla cronologia di Ellanico, fissata a cavallo tra V e IV sec. a.C. cfr. Ambaglio 1980, 12–18; Ottone 2010, p. 62 sgg.

2. TROIA E LA SUA IMMAGINE NELLE TRADIZIONI LOCALI GRECHE

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queste genti riconoscevano e fondavano la propria identità culturale. Come prima detto, sicuramente un ruolo di primo piano dovettero svolgere le rovine di Troia. Va poi tenuto conto del conflitto decennale, che oppose Lesbo ad Atene per il possesso ed il controllo del Sigeo. Si tratta di una guerra, com’è stato sottolineato281, che venne combattuta anche con le armi della propaganda politica, rielaborando miti e tradizioni locali, che potessero avallare, a favore di una delle due parti, il possesso della regione contesa. Quando Ellanico scrive, la guerra del Sigeo era da tempo conclusa e Lesbo intratteneva buoni rapporti con Atene, tuttavia, di sicuro, gran parte del patrimonio di tali tradizioni mitiche doveva essere ancor vivo sull’isola. Prendiamo pertanto in analisi il contenuto di queste testimonianze letterarie282. FGrHist 4, F 23 (= Schol. Apoll. Rhod. I, 916): νῆσον ἐς Ἠλέκτρης Ἀτλαντίδος | τὴν Σαμοθράικην λέγει. ἐκεῖ γὰρ ὤικει Ἠλέκτρα ἡ Ἄτλαντος, καὶ ὠνομάζετο ὑπὸ τῶν ἐγχωρίων Στρατηγίς∙ ἥν φησιν Ἑλλάνικος Ἠλεκτρυώνην καλεῖσθαι. ἐγέννησε δὲ τρεῖς παῖδας, Δάρδανον τὸν εἰς Τροίαν κατοικήσαντα, ὅν καὶ Πολυάρχη φασὶ λέγεσθαι ὑπὸ τῶν ἐγχωρίων, καὶ Ἠετίωνα, ὃν Ἰασίωνα όνομάζουσι, καὶ φασὶ κεραυνωθῆναι αὐτὸν ὑβρίζοντα ἄγαλμα τῆς Δήμητρος (s. F 135). Τρίτην δὲ ἔσχεν Ἁρμονίαν, ἣν ἠγάγετο Κάδμος∙ καὶ ἀπὸ τῆς μητρὸς αὐτῆς Ἠλεκτρίδας πύλας τῆς Θήβης ὠνομάσθαι ἱστορεῖ Ἑλλάνικος ἐν πρώτῳ Τρωικῶν καὶ Ἰδομενεὺς [ἐν πρώτῳ Τρωικῶν]. Nell’isola di Elettra, della stirpe di Atlantide. (Il poeta) si riferisce a Samotracia. Qui infatti abitava Elettra, figlia di Atlantide, che dagli abitanti del luogo era chiamata Strategide. Ellanico la chiama Elettrione. Questa ebbe tre figli: Dardano, che si recò ad abitare Troia, il quale a sua volta dicono che venisse chiamato Poliarche dagli abitanti del luogo; Eetione, conosciuto anche come Giasone, che narrano fosse stato fulminato a causa dell’oltraggio da lui arrecato al simulacro di Demetra; Armonia, la terza, che sposò Cadmo. Ellanico ed Idomeneo nel primo libro dei loro Troikà narrano che dalla madre avrebbero tratto nome le porte Elettridi di Tebe.

La testimonianza di Ellanico merita un’attenzione particolare. Secondo la tradizione da lui riportata, Elettra avrebbe anticamente abitato a Samotracia, dove avrebbe concepito i suoi tre figli: Dardano, Eetione ed Armonia. Di questi, il primo avrebbe lasciato l’isola per andare ad abitare (o a fondare) Troia, il secondo avrebbe perso la vita a seguito di un sacrilegio arrecato al simulacro di Demetra, mentre la terza, sposato Cadmo, sarebbe andata in Beozia a fondare Tebe. Va in primo luogo qui rilevato il sincronismo tra la fondazione di Troia ed il popolamento del suo territorio da parte di Dardano e dei suoi compagni, con la fondazione di Tebe ed il relativo popolamento della sua regione da parte di 281 282

Cfr. il documentato studio di Antonelli 2000; da ultimo cfr. osservazioni in Aloni 2006. Su queste tradizioni cfr. Ambaglio 1980, 24–31; Schmith 1981, 28–31; Aloni 1986, 94–96; Vanotti 2005, 17–35; Fowler 2000, 163–171; Bugno 2005, 369–371; Ambaglio 2005, 135–144; Trachsel 2007, 143–164.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

Cadmo e dei Fenici. Il punto di collegamento è qui Samotracia ed il culto dei Cabiri, di cui, in altre tradizioni, questi due eroi sono considerati i propagatori ed i ministri. Tale sincronismo, presente evidentemente nelle tradizioni eoliche, non doveva essere casuale e va valutato con attenzione. Interessante anche il fatto che Ellanico, a differenza di Erodoto, consideri la città greca, in quanto fondata da Dardano, in altri autori, come visto, considerato figlio di Zeus. La tradizione di Ellanico si riallaccia alla più complessa ed articolata testimonianza di Diodoro Siculo (V, 47), relativa alla protostoria mitica di Samotracia; ad ogni modo, anche qui emerge quale punto centrale Samotracia e quale comune denominatore il culto dei Cabiri che unifica Tebe, Troia, la Troade, Lemno, Imbro ed in generale la cultura religiosa greco-anatolica dell’area dell’Egeo settentrionale. Altri frammenti permettono di ricostruire ulteriori particolari del popolamento mitico della Troade. Nel Fr. 24 a–b si legge ad esempio, che la città di Bateia, in Troade, avrebbe tratto il proprio nome dalla figlia di Teucro e di Creto, che Dardano al momento del suo arrivo nella regione avrebbe sposato283; mentre Cefalone di Gergis (FGrHist 45, F 4) conosceva la fanciulla col nome di Arisbe284. A prescindere dal vero nome della consorte di Dardano, appare qui interessante constatare come nell’ambito delle tradizioni lesbie, tramandate da Ellanico, il popolamento della Troade si sarebbe svolto in due fasi, delle quali la prima si rapportava ai Teucri, anatolici ed autoctoni, mentre la seconda ai Dardani, provenienti da Samotracia. Di particolare interesse risulta anche la toponomastica della regione, che nell’ambito delle tradizioni del logografo lesbio veniva rapportata a personaggi del mito. Il nome della madre di Bateia, Creto, rappresenta un chiaro richiamo onomastico a Creta e alle origini cretesi dei Teucri, evidentemente ammesse anche da Ellanico.

3. Troia e la Troade nella testimonianza di Strabone 3a. La geografia fisica Prendiamo ora in esame la testimonianza di Strabone, relativa al primo capitolo del XIII libro, interamente dedicato alla Troade ed alle sue tradizioni285. Si tratta senza dubbio della più omogenea e completa esposizione della storia della 283

Cfr. Fowler 2000, 164; Trachsel 2007, 145. Cfr. Trachsel 2007, 146–147. 285 Sull’argomento cfr. Leaf 1923; Cook 1973 con una ricostruzione storica dei centri abitati della regione; id. 1984, con un’analisi dei monumenti; cfr. anche i contributi nel volume miscellaneo Höhfeld 2009; Franco 2000. Sulla geografia della Troade cfr. anche il documentato contributo di Tenger 1999. Per le questioni filologiche inerenti al testo straboniano cfr. Buisson 1917, 5–32 (sull’Eolide), pp. 33–66 (sulla Ionia); Radt-Drijvers 1993; osservazioni anche in Ragone 2000, 306–309; Nicolai 2000.

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3. TROIA E LA TROADE NELLA TESTIMONIANZA DI STRABONE

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regione, a noi pervenuta, che parte dalla preistoria mitica per arrivare sino al periodo augusteo. In questo contesto non è mia intenzione addentrarmi a trattare il problema delle fonti di cui Strabone si è servito per ricostruire la protostoria mitica della regione: si tratta di un argomento molto complesso, che richiederebbe una trattazione a parte. In due studi recenti, Andrea Filoni ha nuovamente mostrato con argomenti molto convincenti l’importanza che ebbe il “Commento al Catalogo delle Navi” (Περὶ τοῦ θεοῦ καταλόγου) di Apollodoro di Atene (II sec. a.C.) come fonte per Strabone286. L’opera del dotto grammatico, articolata in dodici libri, ricostruiva il passato mitico della Grecia e dell’Anatolia di epoca omerica; essa venne, inoltre, ampiamente utilizzata da un’altra fonte del Geografo di Amasea, Demetrio di Scepsi, autore di un’importante Τρωικὸς διάκοσμος, al punto che Strabone stesso in un passo dell’ottavo libro287 quasi gli rimprovera di aver attinto la maggior parte delle sue informazioni da Apollodoro. Insieme ad Apollodoro e a Demetrio, Strabone dovette aver usato anche la “Storia Universale” di Eforo, nella quale poteva trovare una dettagliata ricostruzione della protostoria mitica dei Greci. La trattazione straboniana inizia con una descrizione geografica del territorio, di cui si indicano i confini fisici, per poi passare subito ad un’esegesi delle tradizioni omeriche. Da un punto di vista geomorfologico la regione appare caratterizzata da due fiumi, il Caico e l’Esopo, da un monte, l’Ida288, dal quale si domina tutta la regione, ma soprattutto in essa appare predominante l’elemento costiero. Sembrerebbe potersi desumere che l’Eolide continentale, che va tenuta distinta anche in termini linguistici da quella insulare, fosse compresa geograficamente nella fascia costiera della Troade, mentre a Sud il confine geografico con la Ionia è fissato presso la città di Focea. Il territorio troiano a livello omerico289, afferma Strabone, sarebbe stato diviso in otto o nove dynasteiai, tutte quante dipendenti da Ilio, città alla quale era assegnato un ruolo di centralità e di elemento guida. Geograficamente partendo dalla costa e seguendola – si noti sempre l’importanza dell’elemento costiero per la definizione del territorio – la Troade si sarebbe articolata in nove regni, tutti quanti vassalli di Ilio. Scendiamo ora nei particolari. Il Geografo di Amasea290 si preoccupa anzitutto di definire i contorni geografici della regione. Essa, ai tempi dell’autore, aveva inizio dalla regione cizicena, cioè dai territori percorsi 286

Con un’ampia bibliografia sull’argomento ed una discussione sul problema della stratigrafia delle fonti straboniane cfr. Filoni 2004; id. 2014. Tra gli studi precedenti, sempre utile per la quantità di materiale raccolto e discusso, mi limito a menzionare Niese 1877. 287 Strab. (VIII, 3, 6): Δημητρίου τοῦ Σκηψίου […] παρ’οὗ μεταφέρει [sc. Ἀπολλόδωρος] τὰ πλείστα. 288 Per una raccolta e studio delle fonti letterarie su questo monte rimando al recente contributo di Stauber 2014. 289 Sull’importanza di Omero quale fonte nell’opera straboniana, con una bibliografia cfr. Biraschi 2000; sull’argomento cfr. anche Nicolai 2000. 290 Cfr. Strab. (XIII, 1, 1).

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dall’Esopo, estendendosi sino al golfo Adramittio. Interessante appare anzitutto la coincidenza geografica tra la Troade e l’Eolide: nei fatti, tuttavia, la Troade di epoca romana appare dilatata rispetto a quella omerica e di questo dato occorre tenere conto. In secondo luogo sono presi in considerazione gli elementi che fisicamente definiscono il paesaggio: questi sono i mari ed i monti, i quali delimitano i confini della regione stessa, oltre che delle nove ripartizioni nelle quali la regione si articola. Per quanto riguarda i monti, il territorio appare caratterizzato dalla presenza del massiccio dell’Ida, che spicca nel paesaggio pianeggiante. Merita attenzione il fatto che Strabone, nel descrivere le caratteristiche fisiche della regione, cerchi letterali corrispondenze nel testo omerico, che viene utilizzato quale base documentaria291.

3b. La migrazione eolica Dopo questi dati paesaggistici l’autore passa292 alla migrazione eolica che, secondo una cronologia attinta forse da Eforo293, viene considerata essere stata quattro generazioni precedente a quella ionica e guidata da Oreste. Soffermandoci sulla terminologia, l’espressione utilizzata ἄρξαι τοῦ στόλου294, non indica che il figlio di Agamennone era insignito di un potere regale, ma che era a capo di uno stuolo di genti, di provenienza diversa, che intorno a lui si erano riunite proprio in vista della partenza verso una terra migliore. Oreste muore tuttavia in Arcadia, e viene sostituito da suo figlio Pentilo, il quale avrebbe condotto questo stuolo di genti sino in Tracia. Questo movimento avviene in contemporanea alla discesa nel Peloponneso degli Eraclidi, sessanta anni dopo la guerra di Troia. Un dato da considerare è la permanenza e la morte di Oreste in Arcadia, luogo di raccolta degli Eoli: si potrebbe connettere questo dato alla tradizione, di matrice probabilmente locale, di un’origine arcadica dei Dardanidi, che avrebbe in fondo legittimato il possesso della Troade da parte di genti di provenienza arcadica. Riflettiamo ancora su un altro elemento, di carattere più strettamente cronologico: sessant’anni dopo la caduta di Troia, cioè due generazioni successive, avviene la migrazione 291

Sul rapporto tra Strabone ed Omero rimando agli studi di Biraschi 2000; ead. 2005. Sul tema cfr. anche le osservazioni di Tenger 1999, 106–108. 292 Cfr. Strab. (XIII, 1, 3); cfr. anche le osservazioni testuali di Ragone 2000, 295–297. 293 Sul tema cfr. de Fidio 2005. 294 Alfonso Mele (Mele 2005) fa giustamente notare che il nome degli Eoli si spiega col fatto che essi, provenienti da sedi diverse, erano vari. Ellanico (FGrHist 4, F 32) sosteneva ad esempio la loro origine da ἐκ ποικίλων τόπων, mentre Menecle Barceo (FGrHist 270, F 10) li definiva come ἐκ ποικίλων τινῶν καὶ μιγάδων ἀνθρώπων. Per una discussione delle fonti rimando alla dettagliata indagine di Mele 2005. In generale sulla migrazione eolica e sul problema delle fonti letterarie ed archeologiche cfr. Cassola 1958, 119–121; Bérard 1959; Vanschoonwinkel 1991; Bernadini 1999 ed i diversi contributi raccolti negli atti del convegno napoletano «Eoli ed Eolide, tra madrepatria e colonie» Napolitano – Visconti 2005; utile anche la ricostruzione storica di Tenger 1999, 121-126; da ultimo anche la buona sintesi di Vanschoonwinkel 2006, in part. pp. 119–120, pp. 130–133; Rose 2008.

3. TROIA E LA TROADE NELLA TESTIMONIANZA DI STRABONE

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dorica che di per sé non sembra toccare, se non in minima parte, l’Arcadia, da cui in contemporanea partono gli Eoli diretti in Troade: si tratta in termini di demografia mitica di una sorta di riequilibrio della regione la quale, se da un lato viene spopolata dalla migrazione dei Pentilidi, dall’altro viene ripopolata dagli Eraclidi. La migrazione eolica si articola in tre fasi: una prima, arcadica, di raccolta; una seconda, tracia, di passaggio ed una terza, in Troade, di insediamento. Quest’ultima avviene sotto la guida di Archelao, figlio di Pentilo, il quale si installa nella fascia costiera cizicena. Gras, il figlio più giovane di Pentilo, avanzando sino al fiume Granico del quale è eponimo, dopo aver rafforzato l’esercito, avrebbe poi occupato Lesbo. La penetrazione sarebbe avvenuta con l’attraversamento dell’Ellesponto, in un territorio che la geografia omerica attribuiva, in un famoso verso del Catalogo, ai Traci, ma che di fatto, sembra mantenersi ai limiti della Troade omerica: il territorio di Cizico non appartiene infatti alla regione troiana, i cui confini si era incerti se da attribuire all’Esopo o al Granico295. La migrazione eolica sembrerebbe avvenire, attraverso soste di una generazione, in due ondate. La prima sarebbe stata guidata dai cosiddetti Pentilidi, la seconda da Kleues, figlio di Doro, e da Malao, entrambi discendenti di Agamennone; quest’ultima si sarebbe mossa in contemporanea con quella di Pentilo, tuttavia, mentre questi per via terra sarebbe giunto in Tracia da cui poi sarebbe passato in Troade, Kleues e Malao si sarebbero fermati per lungo tempo in Locride, nella regione del monte Frichio, da dove poi sarebbero salpati per fondare la città di Cuma Friconide, che traeva la propria denominazione dal monte locrese. Nella sostanza, il primo contingente avrebbe percorso una via terrestre, mentre il secondo una via prevalentemente marittima. Strabone296 affermava che gli Eoli avevano occupato la regione σκεδασθέντες: con questo termine egli intende che essi avrebbero preso possesso del territorio nella forma di un insediamento sparso; va poi fatto notare come si faccia coincidere la Troade con parte di quel territorio che poi avrebbe preso il nome di Eolide. Sempre inerentemente ai confini della regione, come già è stato precedentemente messo in rilievo, esistevano presso gli Antichi opinioni diverse: Omero faceva iniziare la Troade dall’Esopo; Eudosso da Priapo (Fr. 336 Lassere), presso le foci del Granico; Damaste di Sigeo (FGrHist 5, F 9) dalle foci dell’Ermo sino al Lekton; Carone di Lampsaco (FGrHist 262, F 9) da Parion sino a Praktion; Scillace (Ps. Scylax 94 sgg.) ed Eforo (FGrHist 70, F 164) da Abido sino a Cuma. Dalle parole di Strabone297 si evincerebbe che la Troade, in termini geografici, è definita soprattutto dalle sue coste molto frastagliate, che si aprono in una miriade d’insenature, offrendo riparo alle navi. In questo contesto marittimo risalta soprattutto la presenza del massiccio dell’Ida, che spicca nel paesaggio troiano per la sua altezza e soprattutto, per la sua visibilità dalle coste, costituendo il primo elemento di paesaggio interno riconoscibile da un navigan295 296 297

Quest’ultimo fiume si trova citato insieme ad altri della Troade in Omero (Il., XII, 21). Cfr. Strab. (XIII, 1, 04). Cfr. Strab. (XIII, 1, 5).

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te. Il monte Ida – sul cui nome, che rimanda all’altrettanto famoso monte cretese, si tornerà in seguito – sarebbe stato sede, da quanto si ricava da un verso omerico, del culto di una dea, conosciuta come Meter Idaia298. Incontriamo ancora una volta un nesso con la dea della montagna, che compare nelle tradizioni locali della regione in relazione a culti, o meglio ancora, a santuari ubicati in montagne, che traggono la propria denominazione proprio da questa divinità. Sempre in termini paesaggistici, l’importanza di questa montagna risulta evidente anche dal fatto che essa dava il nome al golfo prospiciente: a chi avesse doppiato il Lekton appariva infatti un ampio golfo, il cui nome era Ideo, presso altri conosciuto però come Adramitteno. In questo golfo gli Eoli avrebbero fondato le loro città, che arrivavano sino alle foci dell’Ermo299. Va rilevato inoltre che l’Eolide risulta in termini geografici (ed in parte anche politici) una creazione successiva alla guerra di Troia. La sua identificazione e sovrapposizione al regno di Priamo era funzionale a legittimare l’occupazione del territorio da parte dei coloni Eolici che, guidati dai discendenti di Agamennone, avevano il diritto di possedere il suolo eroicamente conquistato dagli Achei300.

3c. I regni omerici Strabone sulla base della testimonianza omerica ricostruisce la geografia della Troade dell’età eroica. Egli afferma che tutta quanta la costa era sottoposta ai Troiani e che il loro regno si ripartiva in nove principati. Sarebbe opportuno procedere ad un’attenta analisi linguistica del testo straboniano301. In greco leggiamo l’espressione πᾶσαν τὴν παραλίαν, tutta quanta la costa: ecco che ancora una volta emerge una caratterizzazione della regione troiana essenzialmente come un fatto costiero. La costa si ripartiva in ben nove regni, retti ciascuno da una propria dinastia, che come poi vedremo è sempre in uno stretto rapporto di parentela con la casata di Priamo. Quest’ultimo appare essere l’unico personaggio egemone della regione, stando a capo delle nove dinastie. Emergono quindi due fattori fondamentali: quello del paesaggio costiero (ciascun regno si affaccia, infatti, sul mare ed occupa una frazione di costa) e quello della parentela o, sarebbe meglio dire, della syngeneia: ciascun regno ha una propria casa regnante che, per parentela, è legata e sottomessa alla casata di Priamo. La narrazione straboniana si articola in tre momenti: i Troiani hanno sottomesso tutta la costa, strutturata in un sistema di 298 299 300

Cfr. Hom. (Il. VII, 276). Cfr. Strab. (XIII, 1, 6). Su questo aspetto rimando al documentato contributo Bugno 2005, con bibliografia precedente. 301 Cfr. Strab. (XIII, 1, 7): […] πᾶσαν τὴν παραλίαν ταύτην ὑπὸ τοῖς Τρωσὶ γεγονέναι, διῃρημένην μὲν εἰς δυναστείας ἐννέα, ὑπὸ δὲ τῷ Πριάμῳ τεταγμένην Τροίαν. La priorità della costa, quale elemento paesaggistico caratterizzante questa regione, risulta grammaticalmente nel testo anche dal fatto che tutti quanti gli aggettivi verbali presenti sono declinati al femminile, in concordanza con paralia.

3. TROIA E LA TROADE NELLA TESTIMONIANZA DI STRABONE

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nove principati, che ai tempi della guerra di Ilio era sotto Priamo e che prendeva proprio dal centro più importante il nome di Troia. Troia ed Ida, oltre ad essere stati le denominazioni rispettivamente della città e del monte più importanti della regione, erano anche considerati nelle tradizioni locali i più antichi toponimi della costa e del golfo più grande che si incuneava nel continente. Strabone302 cita il testo omerico a riprova della veridicità di questa tradizione, quando il poeta chiama Troia, i territori antistanti l’isola di Lesbo, devastati dalla furia di Achille. Il primo dei regni che si affacciava sulla costa sarebbe stato quello facente capo alla città di Lirnesso, sul quale regnava Mines, figlio di Priamo e da cui proveniva Briseide, la schiava personale di Patroclo; essa stessa accenna alla sua provenienza da Lirnesso, mentre piange sul cadavere di Patroclo, ricordando i suoi natali ed il modo in cui Achille durante la presa di questa città uccise Mines303. Il secondo regno, anch’esso distrutto dalla furia del principe dei Mirmidoni, sarebbe stato quello di Tebe, avente come re Eetione. Questi nel testo omerico è il sovrano dei Cilici e padre di Andromaca, la sposa di Ettore304. La terza dynasteia sarebbe stata quella dei Lelegi, il cui sovrano ai tempi della guerra di Troia è Altes305. La tradizione vuole che Priamo avesse sposato una delle sue figlie, da cui avrebbe avuto due figli, Licaone e Polidoro. La quarta dinastia sarebbe stata quella dei Dardanidi, a capo della quale sta Enea, figlio di Anchise306. La quinta è rappresentata dai Lici, sotto Pandaro, i quali abitavano Zelea e i territori alle pendici dell’Ida, attraversati dal fiume Esopo307. La sesta dinastia sarebbe stata quella dei Troes, abitanti il territorio tra l’Esopo ed Abido, sui quali regnava Asio308 Nella città di Abido la tradizione voleva 302

Cfr. Strab. (XIII, 1, 7): […] (Il. IX, 328-329) δώδεκα δὴ σὺν νηυςὶ πόλεις ἀλάπαξ’ ἀνθρώπων / πεζὸς δ’ἕνδεκά φημι κατὰ Τροίην ἐρίβωλον. Τροίαν γὰρ λέγει τὴν πεπορθημένην ἤπειρον∙ πεπόρθηται δὲ σὺν ἄλλοις τόποις καὶ τὰ ἀντικείμενα τῇ Λέσβῳ τὰ περὶ Θήβην καὶ Λυρνησσὸν καὶ Πήδασον τὴν τῶν Λελέγων. 303 Cfr. Strab. (XIII, 1, 7): (Il. II, 690) τὴν ἐκ Λυρνησσοῦ έξείλετο∙ ἧς ἐν τῇ ἁλώσει τὸν Μύνητα καὶ τὸν Ἐπίστροφον πεσεῖν, φησίν, ὡς ἡ Βριησηὶς θρηνοῦσα τὸν Πάτροκλον δηλοῖ∙ (Il. XIX 295) οὐδὲ μὲν οὐδέ μ’ ἔασκες, ὅτ’ ἄνδρ’ ἐμὸν ὠκὺς Ἀχιλλεὺς / ἔκτεινεν, πέρσεν δὲ πόλιν θείοιο Μύνητος κλάιειν. ἐμφαίνει γὰρ τὴν Λυρνησσὸν λέγων πόλιν θειοιο Μύνητος, ὡς ἂν δυναστευομένην ὑπ’ αὐτοῦ, καὶ ἐνταῦθα πεσεῖν αὐτὸν μαχόμενον. Un’analisi dei passi omerici inerenti alle razzie di Achille nella Troade è ora offerta da Lucci 2011, 70–81, con una ricca bibliografia. 304 Cfr. Hom. (Il. XXII, 477-479): Ἀνδρομάχη θυγάτηρ μεγαλήτορος Ἠετίωνος / Ἠετίων, ὃς ἔναιεν ὑπὸ Πλάκῳ ὑληέσσῃ, / Θήβῃ Ὑποπλακίῃ, Κιλίκεσσ’ ἄνδρεσσιν ἀνάσσων. 305 Cfr. Hom. (Il. XXI, 86): Ἄλτεω, ὃς Λελέγεσσι φιλοπτολέμοισιν ἀνάσσει. 306 Cfr. Hom. (Il. II, 819): Δαρδανίων αὖτ’ ἦρχεν ἐῢς παῖς Ἀγχίσαο. 307 Cfr. Hom. (Il. ΙI, 824–827): οἳ δὲ Ζέλειαν ἔναιον ὑπαὶ πόδα νείατον Ἴδης, / Ἀφνειοί, πίνοντες ὔδωρ μέλαν Αἰσήποιο, / Τρῶες∙ τῶν αὖτ’ ἦρχε Λυκάονος ἀγλαὸς υἱός, / Πάνδαρος. Sulla localizzazione troiana di questo popolo anatolico cfr. Bryce 1977; Hiller 1993; Filoni 2004, 548–569 con un’ampia bibliografia; di recente anche il ricco articolo di Kolb 2014. 308 Cfr. Hom. (Il. ΙI, 835–837): οἳ δ’ ἄρα Περκώτην καὶ Πράκτιον ἀμφενέμοντο, / καὶ Σηστὸν καὶ Ἄβυδον ἔχον καὶ δῖαν Ἀρίσβην, / τῶν αὖθ’ Ὑρτακίδης ἦρχ’ Ἄσιος.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

che abitasse il figlio illegittimo di Priamo, Democonte, dedito all’allevamento dei cavalli309. Il settimo regno sarebbe stato quello di Adrasteia, sul quale regnano i due figli di Merope Percosio310; gli abitanti di questo territorio si sarebbero chiamati anch’essi Troes. Strabone rileva questa omonimia, chiarendo che le genti tra Abido ed Adrasteia si chiamavano tutte Troes, ma che politicamente erano divise in due distretti, l’uno sotto Asio, l’altro sotto i Meropidi311. Una bipartizione territoriale e politica si tramanda anche per i Cilici, che fanno capo rispettivamente a Tebe e a Lirnesso. Priamo secondo alcuni versi dell’Iliade312 avrebbe regnato su tutte quante queste regioni. Va posto ancora una volta l’accento sul modo in cui Omero costituisce la base documentaria con cui ricostruire la geografia mitica della regione, sottolineando sempre, là dove era possibile, gli elementi di continuità soprattutto a livello toponomastico. Interesse merita anche l’accurata cernita dei passi omerici operata dal Geografo di Amasea, funzionale alla ricostruzione delle dynasteiai troiane.

3d. Traci e altre popolazioni anelleniche in Troade Strabone313 descrive, poi, le successive metabolai intercorse tra la fine della guerra di Troia, col conseguente crollo di questa sorta di confederazione che faceva capo a Troia, e l’arrivo dei coloni greci in età storica. I territori intorno a Cizico sarebbero stati occupati dai Frigi, popolazione di origine tracia proveniente secondo la testimonianza di Erodoto (VII, 43) dalle regioni intorno la Macedonia, abitante la costa sino a Praktion; interessante da un punto di vista terminologico l’utilizzo del verbo ἐποικέω314 che, alla lettera, significa “aggiungersi nell’occupazione”; da rilevare poi la successiva distinzione che il Geografo introduce tra Frigi e Traci, specificando che furono questi ultimi ad occupare la regione intorno ad Abido. 309 310 311

Cfr. Hom. (Il. ΙV, 499–500). Cfr. Hom. (Il. ΙI, 831): υἶε δύω Μέροπος Περκωσίου. Cfr. Strab. (XIII, 1, 7): […] πάντες μὲν δὴ Τρῶες οἱ ἀπὸ Ἀβύδου μέχρι Ἀδραστείας, δίχα μέντοι διῃρημένοι, οἱ μὲν ὑπὸ τῷ Ἀσίῳ, οἱ δ’ ὑπὸ τοῖς Μεροπίδαις∙ καθάπερ καὶ ἡ τῶν Κιλίκων διττή, ἡ μὲν Θηβαϊκή, ἡ δὲ Λυρνησσίς∙ἐν αὐτῇ δ’ ἂν λεχθείη ἡ ὑπὸ Εὐρυπύλῳ ἐφεξῆς οὖσα τῇ Λυρνησσίδι. ὅτι δὲ τούτων ἁπάντων ἦρχεν ὁ Πρίαμος. 312 Cfr. Hom. (Il. XXIV, 543–545): καί σε, γέρον, τὸ πρὶν μὲν ἀκούομεν ὄλβιον εἶναι / ὅσσον Λέσβος ἄνω Μάκαρος πόλις ἐντὸς ἐέργει, / καὶ Φρυγίη καθύπερθε, καὶ Ἑλλήσποντος ἀπείρων. 313 Cfr. Strab. (XIII, 1, 8); su questo capitolo cfr. osservazioni in Leaf 1923, 60–63. 314 Cfr. Casevitz 1985, 153–160, il quale nota anzitutto l’impiego di questo verbo e dei suoi derivati nominali solo a partire da Tucidide, quindi dal V sec. a.C.; dal contesto degli esempi riportati si evince che il significato primo di questo verbo non è quello di indicare una fondazione primaria, ma piuttosto una seconda fase di popolamento, con l’aggiunta di nuovi coloni: gli epoikoi sono infatti i coloni che sopraggiungono in un secondo momento e si uniscono o si sovrappongono allo strato primario della popolazione preesistente. Mi pare utile rilevare queste sfumature di significato nel linguaggio dell’opera di Strabone, che possono portare ad interessanti conclusioni storiche. Sul lessico dell’insediamento in Strabone cfr. Boffo 2000.

3. TROIA E LA TROADE NELLA TESTIMONIANZA DI STRABONE

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Tuttavia sarebbero stati i Driopi ed i Bebrici315 per primi ad abitare questi territori, mentre nelle regioni confinanti si sarebbero insediati i Treri, anch’essi un popolo tracio. Si ricordi tra l’altro che Ecateo316 enumerava Driopi e Bebrici insieme ai Lelegi ed ai Pelasgi tra le popolazioni anticamente abitanti il Peloponneso; l’etnico Βέβρυκες si lascia poi confrontare con quello dei Bryges, gli antecedenti europei dei Frigi, secondo la testimonianza di Erodoto (VII, 43). Prima della migrazione dei Frigi e della formazione del loro impero, le tradizioni raccolte da Strabone registrano la presenza di avanguardie tracie nella regione, che potrebbero rappresentare la lenta infiltrazione nell’ambito delle civiltà anatoliche settentrionali di fine II mill. a.C. di elementi balcanici, le cui tracce, da un punto di vista della cultura materiale, stanno divenendo sempre più percettibili col progredire delle ricerche archeologiche in queste aree. A livello mitico la presenza dei Bebrici in territorio ciziceno è poi registrata nelle Argonautiche di Apollonio Rodio317, che comunque riflettono un nucleo di tradizioni successive rispetto a quelle omeriche. La pianura in cui sorgeva Tebe sarebbe stata abitata dai Lidi, che prima si chiamavano Meoni, e da un piccolo nucleo di Misi, superstiti di quella comunità che si sarebbe insediata in questo territorio sotto la guida di Telefo, figlio di Teutrante. Tornando ai confini della Troade318, sulla base di alcuni versi omerici Strabone deduce che la regione a Nord sarebbe stata delimitata dal fiume Esopo, che attraversava il territorio presso il quale abitavano i Lici. Essi secondo Omero (Il. II, 824–827) sarebbero stati gli abitanti di Zelea, alle pendici dell’Ida, ricco popolo che si dissetava presso le rive del nero Esopo, sul quale regnava Pandaro, figlio di Licaone. Strabone discute anche l’origine dell’aggettivo omerico aphneios col quale sono qualificati, intendendolo derivato dal toponimo Aphnitis, nome di una palude che si trovava nel loro territorio319, che presenta una formazione analoga a Daskylis, una località che si trova sempre nella regione. Egli si sofferma poi sulla città di Zelea, che ai suoi tempi sorgeva ad una distanza di circa ottanta stadi dalle foci del fiume Esopo320; il successivo tratto di costa sarebbe appartenuto al regno 315

Si potrebbe a riguardo ricordare un passo dello storico Carone di Lampsaco, che, come visto, faceva iniziare a Praktion il territorio della Troade, secondo il quale regione nella quale si trovava Lampsaco anticamente avrebbe tratto nome dai Bebrici: (Schol. Ap. Rhod. II, 2) Χάρων δέ φησι καὶ τὴν Λαμψακηνῶν χώραν πρότερον Βεβρυκίαν καλεῖσθαι ἀπὸ τῶν κατοικησάντων αὐτὴν Βεβρύκων, τὸ δὲ γένος αὐτῶν ἠφάνισται διὰ τοὺς γενομένους πολέμους. 316 Cfr. FGrHist. 1, Fr. 119 = Strab. VII 7, 1. 317 Cfr. Apoll. Rhod., Arg. II, 1 sgg. Il poeta ellenistico riporta la tradizione dell’incontro di pugilato disputato tra Besbico, re dei Bebrici ed Eracle, incontro volto chiaramente a favore dell’eroe greco. Sulle tradizioni mitiche di Apollonio Rodio cfr. il documentato studio di Norbert 1995. 318 Cfr. Strab. (XIII, 1, 9); su questo capitolo cfr. Leaf 1923, 63–64. 319 Cfr. anche la testimonianza di Stefano di Bisanzio: ἡ λίμνη ἡ περὶ Κύζικον Ἀφνίτης ἡ πρότερον Ἀρτυνία. 320 Cfr. Strab. (XIII, 1, 10): Ἡ μὲν δὴ Ζέλεια ἐν τῇ παρωρείᾳ τῇ ὑστάτῃ τῆς Ἴδης ἐστίν, ἀπέχουσα Κυζίκου μὲν σταδίους ἐνενήκοντα καὶ ἑκατόν, τῆς δ’ ἐγγυτάτω θαλάττης, καθ’ ἣν ἐκδίδωσιν

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dei figli di Merope Percosio, Adrasto ed Amfio, i cui domini, sulla base della testimonianza omerica321, avrebbero compreso Adrasteia, il paese di Apeso, Pitia ed il monte Tereia. In età storica questi territori facevano parte della chora di Cizico e di Priapo. Superate le foci dell’Esopo, si incontrava322 la tomba di Memnone, figlio di Titono, dal quale prendeva nome anche il vicino villaggio; tra l’Esopo e la città di Priapo sfociava il fiume Granico, che attraversava il territorio di Adrastea e presso le cui rive Alessandro il Macedone sconfisse l’esercito persiano. Presso questo fiume sorgeva la città di Sidene, che un tempo possedeva una vasta chora, ma che ai tempi di Strabone era in rovina. All’interno del territorio ciziceno era ubicata la città di Arpagia, in cui si raccontava fosse stato rapito in cielo Ganimede; diversamente altri sostenevano che egli fosse stato rapito nelle vicinanze di Dardano. Va posto ancora una volta qui in rilievo come le fonti storiche considerassero (in maniera unanime) l’arrivo delle popolazioni trace nella Troade come un evento successivo alla guerra di Troia, in un certo senso reso anche possibile a seguito del vuoto di potere seguito alla caduta della città di Priamo.

3e. I centri della Troade in Strabone 3e-1. Priapos Priapo323 era una città sul mare, dotata di un’insenatura naturale che fungeva da porto, fondazione degli stessi Milesi, che fondarono anche Abido e Proconneso; secondo altri la città sarebbe invece stata fondata da Cizico. Priapo avrebbe tratto nome dalla divinità omonima, il cui culto sarebbe stato importato da Ornea, località nei pressi di Corinto324, nella regione in quanto particolarmente adatta alla coltivazione della vite, probabilmente introdotta dagli stessi coloni greci. Secondo un’altra tradizione, presso gli abitanti di questo luogo sarebbe sorto un impulso ad onorare questa divinità, quale figlio di Dioniso e di una ninfa. Priapos era una divinità entrata di recente nel pantheon greco325, sconosciuta ad Esiodo ed Αἴσηπος, ὅσον ὀγδοήκοντα. Cfr. osservazioni in Leaf 1923, 64–68. Cfr. Hom. (Il. II, 828–831): οἳ δ’ Ἀδρήστειάν τ’ εἶχον καὶ δῆμον Ἀπαισοῦ / καὶ Πιτύαν εἶχον καὶ Τηρείης ὄρος αἰπύ, / τῶν ἦρχ’ Ἄδρηστός τε καὶ Ἄμφιος λινοθώρηξ, / υἷε δύω Μέροπος Περκωσίου. 322 Cfr. Strab. (XIII, 1, 11); cfr. osservazioni in Leaf 1923, 68–72. 323 Cfr. Strab. (XIII, 1, 12); su questo testo cfr. Leaf 1923, 73–76, con un’utile discussione delle fonti e dei dati topografici; con una raccolta delle fonti inerenti all’ubicazione della città nella Troade cfr. Detschew 1957, 379; cfr. anche i dati raccolti in Ehrhardt 1988, 37–38, 305. 324 A tal proposito cfr. il seguente passo di Strabone (VIII, 6, 24), che attesta il culto del dio nella città peloponnesiaca: Ὀρνεαὶ […] ἱερὸν ἔχουσαι Πριάπον τιμώμενον, ἀφ’ ὧν καὶ τὰ Πριαπεία ποιήσας Εὐφρόνιος Ὀρνεάτην καλεῖ τὸν θεὸν. L’epiteto cultuale orneates sottolinea lo stretto legame della divinità con questo centro cittadino. 325 Su questa divinità cfr. Herter 1954; id. 1972; Megow 1997. Il culto di questa divinità è particolarmente attestato a Lampsaco, che sul dritto delle sue emissioni in età ellenistica (in combinazione con Pegaso ed Apollo citaredo) raffigura la testa del dio (SNG Copenhagen 224-227; SNG France 1229). Da uno scolio di Eustazio (Schol. Hom. Il. VII, 459: παρὰ Ἀρριανῷ ἐν Βιθυ321

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analoga, secondo Strabone, a divinità attiche, quali Otannes, Conisalo e Tychon. In ogni caso appare improbabile che le origini del culto di questo dio vadano fatte risalire ad un contatto con il suddetto centro peloponnesiaco. Una probabile spiegazione la si trova forse analizzando un passo di Pausania (II, 25, 5), nel quale il Periegeta narra che la città di Ornes avrebbe tratto nome dall’ateniese Orneus, il nonno di Menesteo, l’eroe che avrebbe comandato a Troia il contingente ateniese326. Strabone (o Demetrio di Scepsi) riporta in questo caso forse una tradizione locale che, col riferimento ad una città greca che prendeva il nome da un eroe ateniese, probabilmente cercava da un lato di creare un legame con la Grecia, dall’altro di grecizzare le origini di una divinità locale.

3e-2. Parion e Proconneso Strabone (XIII, 1, 14)327 narra che questo centro ebbe a godere grossi privilegi sotto gli Attalidi, per il suo atteggiamento di sottomissione nei confronti della loro dinastia (rimarchevole risulta a tal proposito l’uso del termine therapeuontes), sotto la cui giurisdizione si sarebbe trovata anche la città di Priapo, alla quale sarebbe stata tolta una porzione di territorio a favore di Parion. Questo episodio si lascia tra l’altro interpretare quale indizio di una certa rivalità tra i centri della Troade, la quale può aver giocato un ruolo importante nell’elaborazione di varianti mitiche locali. La città sarebbe stata una fondazione congiunta di Milesi, Eritriesi e Parii. Tra le tradizioni locali (così è da intendere l’espressione ἐνταῦθα μυθεύουσι) il Geografo di Amasea ricorda poi il mito degli Ophiogeneis, un genos aristocratico locale, il cui capostipite, uno sconosciuto eroe, forse originario dalla Libia, da serpente si sarebbe tramutato in uomo. I maschi di questo genos avrebbero posseduto la capacità di guarire le persone morse da un serpente assorbendo, tramite il contatto fisico, il veleno del morso per essi innocuo.

3e-3. Tereia Il monte Tereia secondo Strabone (XIII, 1, 17)328 sarebbe stato da alcuni ubicato nel territorio montagnoso di Peirosso, appartente alla chora dei ciziceni e confinante con Zelea329, in cui i sovrani lidi e poi i Persiani avrebbero creato una riνιακοῖς, παρ’ ὧ καὶ ἐς Ἥλιον ἀλληγορεῖται ὁ Πρίεπος διὰ τὸ γόνιμον) apprendiamo che questa divinità era adorata in Bitinia come Πρίεπος. 326 Pausania (II, 25, 5-6) aggiunge che gli abitanti della città furono costretti a trasferirsi ad Argo, accennando alla presenza di un santuario di Artemide e di un tempio comune dedicato a tutti gli dei. Sempre il Periegeta (IX, 31, 2-3) menziona, senza aggiungere altri particolari, la presenza di una statua del dio nell’Elicona, 327 Cfr. Leaf 1923, 80–86; sempre da Strabone (X, 5, 7): ὑπὸ δέ Παρίων ἐκτίσθη Θάσος καὶ Πάριον ἐν τῇ Προποντίδι πόλις) apprendiamo che alla fondazione del centro insieme ad Eritre avrebbe preso parte anche l’isola di Paro; cfr. Ehrhardt 1988, 36–37, 303–305. 328 Cfr. Leaf 1923, 91–92. 329 Cfr. Ehrhardt 1988, 38, 305, che non considera il centro come una colonia milesia.

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serva reale di caccia. Secondo altri, invece, questa località sarebbe da identificare con una collina, distante quaranta stadi da Lampsaco, nella quale era ubicato un santuario dedicato alla Madre degli Dei, qui adorata con l’epiteto di tereie, derivante dal toponimo. Questa testimonianza mostra ancora una volta la presenza nella regione di più località con il medesimo nome, la cui identificazione risultava essere problematica ed oggetto di contese erudite.

3e-4. Paisos Proseguendo la sua descrizione, Strabone (XIII, 1, 19)330 fa menzione della città e dell’omonimo fiume Paisos. Di questa antica colonia milesia restavano solo rovine, essendosi i suoi abitanti trasferiti a Lampsaco. L’accenno a questo insediamento è funzionale al collegamento con due versi omerici (Il. II, 828; V, 612), nei quali troviamo rispettivamente menzionati un δῆμος Ἀπαισοῦ ed una città omonima, dalla quale anche il fiume avrebbe tratto il nome. Questo fornisce una conferma ulteriore di come l’autore usasse il testo omerico quale cartina di tornasole per la geografia storica della Troade. Strabone (XIII, 1, 21) deve in molti casi constatare che molti dei luoghi menzionati da Omero sono scomparsi, senza lasciare traccia. Nell’analisi del territorio sembrano in particolar modo destare la sua curiosità le numerose omonimie toponomastiche riscontrabili tra la Troade e le regioni confinanti. A Lesbo esisteva, ad esempio, una città chiamata Arisbe331, il cui nome rimandava al nome del fiume Arisbos, il quale scorreva nella regione dei Traci Cebreni332. Si trattava per altro di una delle tante assonanze toponomastiche riscontrabili tra la Troade e la Tracia. Le osservazioni straboniane sui nomi di luogo della regione lasciano intravedere lo spirito critico con cui questo autore pone a confronto le tradizioni mitiche con i reali elementi del territorio, quali appunto i toponimi, i quali potevano permettergli di ricostruire le migrazioni e gli sviluppi storici avvenuti nel corso dei secoli.

3e-5. Abido e la Dardania La città di Abido sarebbe stata fondata da coloni provenienti da Mileto i quali, su concessione di Gige, si insediarono sul sito333. A riprova della dominazione lidia 330 331

Cfr. Leaf 1923, 98–108. Cfr. Steph. Byz.: Ἀρίσβη, πόλις τῆς Τρωάδος, Μυτιληναίων ἄποικος∙ ἧς οἰκισταὶ Σκαμάνδριος καὶ Ἀσκάνιος υἱὸς Αἰνείου. κεῖται μεταξὺ Περκώτης καὶ Ἀβύδου […] ἔστι ἑτέρα ἐν Λέσβῳ ἀπὸ Ἀρίσβης∙ πόλις τῆς Μάκαρος θυγατρός […] τὸ ἐθνικὸν Ἀρισβαῖος. 332 Cfr. Strab. (XIII, 1, 21): […] ἔστι καὶ ποταμὸς Ἄρισβος ἐν Θρᾴκῃ, καὶ τούτου πλησίον οἱ Κεβρήνιοι Θρᾷκες. Cfr. anche l’utile raccolta delle fonti in Detschew 1957, 25; cfr. Anche osservazioni in Leaf 1923, 114–116; Ehrhardt 1988, 35, 302; Chiai 2006, 282–284, per una generale discussione sui toponimi traci della Troade. 333 Cfr. Strab. (XIII, 1, 22): Ἄβυδος δὲ Μιλησίων ἐστὶ κτίσμα, ἐπιτρέψαντος Γύγου, τοῦ Λυδῶν βασιλέως∙ ἦν γὰρ ἐπ’ ἐκείνῳ τὰ χωρία καὶ ἡ Τρωὰς ἅπασα, ὀνομάζεται δὲ καὶ ἀκρωτήριόν τι πρὸς

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sul territorio, il Geografo di Amasea cita il nome di un promontorio situato nei pressi di Dardano, chiamato Gygas334. Terminata la guerra di Troia questa regione sarebbe stata abitata dai Traci e successivamente in maniera stabile dai Greci; per ordine di Dario la città sarebbe stata data alle fiamme dai Persiani335. Dopo Abido si incontravano i territori intorno ad Ilio336 che formavano la Dardania, il regno di Enea. Questo regno avrebbe compreso, secondo Strabone che cita Omero337, la costa sino al Lekton, la pianura troiana e le terre alle falde dell’ Ida. Qui in età storica non restava traccia di alcuna città (νῦν μὲν γὰρ οὐδ’ ἴχνος πόλεως σώζεται αὐτόθι).

3e-6. Ilio e la sua veridicità storica Per quanto riguarda l’ubicazione dell’antica Ilio, il Geografo di Amasea (XIII 1, 25–26)338 si dichiara convinto che essa sia da ricercarsi trenta stadi ad Est da dove la città che ai suoi tempi aveva il nome di Ilio è ubicata. Egli riferisce che anche altri autori sono dell’opinione che la città sia stata più volte trasferita e che l’attuale insediamento risalga all’epoca di Creso. La città di Ilio appariva ai suoi occhi come un villaggio (l’uso del termine komè nel passo sembra assumere una connotazione ironica e negativa), che sorgeva intorno ad un tempio di Atena, piccolo e di poca importanza (μικρὸν καὶ εὐτελές), la cui fortuna risiedeva nell’antichità delle tradizioni che lo rendevano celebre. Alessandro il Macedone, dopo la vittoria conseguita sul Granico contro i Persiani, avrebbe arricchito il tempio con ricchi doni votivi (ἀναθήμασί τε κοσμῆσαι τὸν ἱερὸν), riconosciuto al villaggio lo statuto di polis, fatto costruire ricchi edifici e concesso l’esenzione dai tributi339. A seguito della definitiva sottomissione dell’ impero persiano, il Macedone, con l’invio di una lettera, avrebbe annunciato la sua volontà di far costruire un tempio monumentale e di istituire un agone. Dopo la sua morte, le sue promesse furono adempiute da Lisimaco, il quale fece cingere la città di una cinta muraria, erigere un monumentale tempio e trasferire nel centro con un forzato sinecismo gli abitanti delle antiche città vicine. Δαρδάνῳ Γύγας. Cfr. osservazioni in Leaf 1923, 125–133. Un ulteriore indizio, come suggerito in Leaf 1923, 126, dell’influenza lidia sulla Troade potrebbe essere rappresentato dal toponimo Daskyleion, che rimanda Daskylos, nome del padre di Gige; cfr. Ehrhardt 1988, 34, 316–317. 335 Cfr. Strab. (XIII, 1, 22): […] ᾤκουν δὲ τὴν Ἄβυδον μετὰ τὰ Τρωικὰ Θρᾷκες, εἷτα Μιλήσιοι. τῶν δὲ πόλεων ἐμπρησθεισῶν ὑπὸ Δαρείου, τοῦ Ξέρξου πατρός, τῶν κατὰ τὴν Προποντἰδα, ἐκοινώνησε καὶ ἡ Ἄβυδος τῆς αὐτῆς συμφορᾶς. 336 Strab. (XIII, 1, 24); cfr. osservazioni in Leaf 1923, 136–137. 337 Il. II, 819: Δαρδανίων αὖτ’ ἦρχεν ἐῢς παῖς Ἀγχίσαο; Il. VIII, 173: Τρῶες καὶ Λύκιοι καὶ Δάρδανοι ἀγχιμαχηταί; Il. XX, 215–216: Δάρδανον αὖ πρῶτον τέκετο νεφεληγέρετα Ζεύς, / κτίσσε δὲ Δαρδανίην. 338 Cfr. Leaf 1923, 138–144. 339 Sulla visita del Macedone alla città cfr. Hertel 2003, 237–244, con una ricca bibliografia ed una dettagliata analisi delle fonti storiche; a riguardo anche osservazioni in Leaf 1923, 145.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

Nel I sec. a.C. la città è definita, con un tono ironico, komopolis, in quanto si sarebbe trattato di un villaggio ingrandito, che non meritava gli onori ricevuti340. A tal proposito è riportato un aneddoto di Demetrio di Scepsi (Fr. 21 Gaede), il quale da ragazzo aveva visitato Ilio, restando impressionato dai suoi edifici in rovina, dai quali cadevano spesso tegole. La città venne poi duramente provata dalla conquista di Fimbria, che apportò non poche distruzioni, alle quali pose poi rimedio Silla. Cesare fece in seguito restaurare il centro, in quanto patria ancestrale della gens Iulia. Strabone sottolinea, a tal proposito, il grosso ruolo che le tradizioni mitiche avrebbero giocato nella decisione di far ristrutturare la città. Alessandro il Macedone si sarebbe infatti sentito legato ad essa a causa della sua parentela con la casata degli Eacidi, sovrani dei Molossi, alla quale sarebbe appartenuta Andromaca, moglie di Ettore. Cesare dal canto suo, quale emulo di Alessandro, avrebbe con tale atto sottolineato l’origine dei Romani da Enea. Il Geografo di Amasea, rivendicando un’esatta esegesi del testo omerico, si dice convinto dell’ubicazione della città omerica altrove, come prima accennato, affermando in tono categorico: ὅτι δ’οὐκ ἐνταῦθα ἵδρυτο τὸ παλαιὸν Ἴλιον.

3e-7. Dardano e gli altri centri Dopo Abido si incontra la Dardanis akra e la città di Dardano341. Tra il territorio delle due città scorreva il fiume Rhodios, nella cui foce si trovava il Kynos sema, da alcuni tuttavia interpretato come il sepolcro di Ecabe (ὅ φάσιν Ἑκάβης εἶναι τάφον). Dardano è considerata come una fondazione arcaica, ma senza importanza, ragion per cui i suoi abitanti sarebbero stati trasferiti ad Abido. L’attuale città sarebbe tuttavia sorta nell’antico centro. Nelle vicinanze si trovava una località di nome Ophrynion, in cui era ubicato un bosco sacro ad Ettore. Proseguendo, Strabone (XIII, 1, 30) menziona Rhoiteion, una località posta su di un colle sulla costa342, in cui si sarebbe trovato il sepolcro di Aiace con una statua dell’eroe343, fatta restituire da Cesare, dopo che Antonio l’aveva fatta portare in Egitto. Poco distante si trovava il Sigeo, in cui era ubicata una città, di cui restavano solo rovine. Qui sarebbe approdata la flotta degli Achei344. Su questo tratto di co340

Cfr. Strab. (XIII, 1, 27): Καὶ τὸ Ἴλιον δ’ὃ νῦν κωμόπολίς τις ἦν. In un passo precedente egli usa l’espressione (XIII, 1, 26) τὴν δὲ τῶν Ἰλιέων πόλιν τῶν νῦν τέως μὲν κώμην εἶναι φασι. Proprio l’uso dell’avverbio temporale νῦν sembra sottolineare, in termini un po’ ironici, quanto inverosimile fosse identificare un tale insignificante villaggio con la città omerica; cfr. Leaf 1923, 144–150. A proposito di tale elocuzione cfr. Pothecary 1997. 341 Cfr. Strab. (XIII, 1, 28); cfr. Leaf 1923, 150–152. 342 Livio (XXXVII, 37) menziona l’annessione del centro ad Ilio ad opera dei romani; cfr. l’utile quadro storico in Leaf 1923, 156–158. 343 Il sepolcro viene per altro anche menzionato da Plinio (NH V, 33): fuit et Aeantium a Rhodiis conditum in altero cornu, Aiace ubi sepulto, XXX stad. Intervallo a Sigeo. 344 Cfr. Strab. (XIII, 1, 31); cfr. l’utile commento di Leaf 1923, 158–164.

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sta si trovava il sepolcro di Achille. L’eroe presso il Sigeo avrebbe posseduto anche un tempio, nei cui pressi erano ubicati anche i sepolcri (mnemata) di Patroclo e di Antiloco. Questi eroi avrebbero ricevuto insieme ad Aiace dagli abitanti di Ilio onori cultuali345, dai quali restava escluso Eracle, in quanto distruttore di Ilio. Dopo aver trattato questo tratto di costa con i suoi monumenti, che ne definiscono il paesaggio, il Geografo di Amasea (XIII, 1, 33) passa a descrivere l’entroterra, e più precisamente la pianura troiana, che si estendeva sino alle falde dell’Ida, confinante a Sud con Scepsi e a Nord con Zelea, ovvero col regno dei Cilici. Sulla base di Omero (Il. II, 819–23) questo sarebbe stato, come prima detto, il regno dei Dardanidi; mentre il territorio sottostante (ὑπὸ δὲ ταύτῃ), che comprendeva Ilio sino ad arrivare a Cebrene, sarebbe stato sotto la giurisdizione della dinastia di Priamo, anche secondo quanto riferito da Demetrio di Scepsi (Fr. 22 Gaede). Qui sarebbero stati ubicati i sepolcri di Alessandro e di Oinone, la sua prima sposa346. La città di Cebrene347 avrebbe a sua volta tratto nome da Kebriones, figlio illegittimo di Priamo, menzionato da Omero (Il. XVI, 738). Anche in questo caso si riscontra un interessante nesso tra toponomastica locale e tradizioni mitiche, che deve venir posto in rilievo. Il fiume Scamandro avrebbe segnato il confine tra Cebrene e Scepsi. Strabone narra che tra le due città era in corso un conflitto, quando Antigono intervenne, costringendo gli abitanti dei due centri, con un forzato synoikismos, a trasferirsi ad Antigoneia, poi chiamata Alessandria. Successivamente, col permesso di Lisimaco, gli Scepsii poterono far ritorno nella loro patria. Come già accennato, Strabone, seguendo anche l’opinione di Demetrio di Scepsi, riteneva che la città di Ilio non fosse da identificarsi con la Ilio omerica, della quale non vi era rimasta traccia348 e con i cui materiali i Mililenesi avrebbero costruito, in maniera simbolica, una fortezza al Sigeo. 345

Cfr. Strab. (XIII, 1, 32): […] τοῦ μὲν οὖν Ἀχιλλέως καὶ ἱερόν ἐστι καὶ μνῆμα πρὸς τῷ Σιγείῳ, Πατρόκλου δὲ καὶ Ἀντιλόχου μνήματα, καὶ ἐναγίζουσι οἱ Ἰλιεῖς πᾶσι καὶ τούτοις καὶ τῷ Αἴαντι. Ἡρακλέα δ’οὐ τιμῶσιν αἰτιώμενοι τὴν ὑπ’αὐτοῦ πόρθησιν. 346 Secondo Apollodoro (III, 12, 5-6) questa sarebbe stata la figlia del dio del fiume Κεβρήν. 347 Cfr. anche Steph. Byz.: Κεβρηνία, χώρα τῆς Τρωιάδος, ἀπὸ Κεβριόνου τοῦ Πριάμου. Δίδυμος δὲ Κεβρῆνα τὴν πόλιν φησίν, Ἡρωδιανὸς δὲ ἀπὸ Κεβρῆνος ποταμοῦ, ὁ οἰκήτωρ Κεβρηνὸς καὶ Κεβρηνεύς καὶ Κεβρήνιος. Cfr. anche l’utile raccolta delle fonti in Detschew 1957, 236–237, che considera il toponimo di origine tracia (Polieno 7, 22, menziona ad esempio la popolazione tracia dei Κεβρήνιοι); secondo fonti più tarde (Vita Homeri, 20: τὰ δὲ Κεβρήνια τοῦτον χρόνον κτίζειν οἱ Κυμαῖοι παρεσκεθάζοντο πρὸς τῇ Ἴδῃ, καὶ γίνεται αὐτόθι σίδηρος) la città sarebbe stata fondata dai Focesi, qui attratti dai ricchi giacimenti metalliferi, a riguardo cfr. anche Leaf 1923, 150–152. 348 Cfr. Strab. (XIII, 1, 38): Οὐδὲν δ’ἴχνος σῴζεται τῆς ἀρχαίας εἰκότως∙ […] ταύτης δ’ἐκ βάθρων ἀνατετραμμένης οἱ λίθοι πάντες εἰς τὴν ἐκείνων ἀνάληψιν μετηνέχθησαν. Ἀρχεάνακτα γοῦν φασι τὸν Μιτυληναῖον ἐκ τῶν ἐκεῖθεν λίθων τὸ Σίγειον τειχίσαι. Su questo passo cfr. osservazioni in Leaf 1923, 186–188.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

Un altro importante luogo, menzionato dal Geografo di Amasea, era l’Achilleion, in cui si trovava il sepolcro di Achille, che costituiva uno dei monumenti più importanti del paesaggio mitico della Troade349.

3e-8. Ilio: menzogna o verità? Gli abitanti di Ilio, come riferisce Strabone, ritenevano che la loro città dovesse identificarsi con l’Ilio omerica, la quale non sarebbe stata distrutta completamente dagli Achei350. Testimonierebbe questo ad esempio la tradizione cultuale delle vergini locresi, inviate annualmente ad espiare il sacrilegio di Aiace351. Va per altro aggiunto, come poi vedremo meglio in seguito, che anche Ellanico (FGrHist 4, F 25b) era di questo parere, ma probabilmente solo per compiacere gli Iliensi, come ritiene il Geografo di Amasea352. Strabone (XIII, 1, 41)353 sostiene in maniera categorica che si tratti invece di una fondazione più tarda da datarsi durante il periodo della dominazione lidia, adducendo per altro tutta una serie di versi omerici, nei quali si trovano cenni alla completa distruzione della città (Il. IV, 164; VI, 448; XII, 15; Od. III, 130; XI, 533; XIII, 316), il cui territorio sarebbe stato spartito tra i centri vicini. Quale ulteriore prova archeologica adduce anche il fatto che l’attuale xoanon della dea, esposto nel tempio, non corrisponde alla descrizione omerica della statua di culto, raffigurante la dea in trono.

3e-9. I Lelegi Dopo il Sigeo, si incontravano le città di Andeira, Pioniai e di Gargaris, le quali sarebbero state ubicate nel territorio dei Lelegi, successivamente abitato dagli Eoli354. Strabone (XIII, 1, 58–59) narra che i Lelegi355, il cui territorio sarebbe già 349

Un’analisi dell’importanza di questo monumento verrà fatta nel sesto capitolo; in generale sui dati topografici rimando a Nagy 2010, 147–170, con una discussione delle fonti letterarie. 350 Cfr. Strab. (XIII, 1, 40): Λέγουσι δ’οἱ νῦν Ἰλιεῖς, ὡς οὐδὲ τελέως ἠφανίσθαι συνέβαινε τὴν πόλιν κατὰ τὴν ἄλωσιν ὑπὸ τῶν Ἀχαιῶν οὐδ’ἐξελείφθη οὐδέποτε. Va qui ancora una volta rilevato l’uso dell’espressione “gli Iliensi di oggi“. Per un’analisi complessiva di questa tradizione con le sue varianti rimando a Nagy 2010, 189–211. 351 Su questa tradizione cfr. Ragone 1996a; Mari 1997; da ultimo con una bibliografia aggiornata cfr. Daverio Rocchi 2013. 352 Cfr. Strab. (XIII, 1, 42); cfr. Leaf 1923, 198–199, il quale osserva: «The imputation against Hellanikos is presumably that, being an Aiolian of Mytilene, he was too favourable to the claims of the town which lay in the district which his fellow-citizens claimed as their own sphere». 353 Cfr. il commento di Leaf 1923, 194–196. 354 Cfr. Strab. (XIII, 1, 56); sul passo cfr. il commento di Leaf 1923, 284–289. 355 Su questa testimonianza cfr. il commento di Leaf 1923, 303–305, che discute le fonti straboniane, ricordando per altro l’identificazione dei Lelegi con i Cari presente in Erodoto (I, 171), alla quale si contrappone la distinzione tra i due popoli, attestata nella maggior parte delle fonti.

3. TROIA E LA TROADE NELLA TESTIMONIANZA DI STRABONE

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stato devastato dalla furia di Achille, dopo la guerra di Troia sarebbero emigrati a Sud, andando ad insediarsi nel territorio di Alicarnasso, dove avrebbero fondato la città di Pedasa; mentre Pedaso, abbandonata, sarebbe in questo modo scomparsa. In Caria e nella chora di Mileto essi avrebbero fondato almeno otto città ed in questi territori, afferma Strabone, esistevano ancora ai suoi tempi tombe e resti di insediamenti, attestanti la presenza di questo popolo nella regione.

3e-10. I Cilici Un altro popolo abitante la Troade, costretto ad emigrare a Sud dopo la distruzione di Troia sarebbe stato quello dei Cilici, il cui territorio sarebbe stato suddiviso politicamente in due regni, rispettivamente sotto Eetione e Mynes. Le capitali Tebe e Lirnesso sarebbero state anch’esse abbandonate e la regione, un tempo sotto il dominio della Lidia, sarebbe stata abitata dagli Eoli356.

3e-11. Il tempio di Apollo Killaios e la città di Crise Una particolare attenzione meritano le tradizioni inerenti ad Apollo Killaios, nate in relazione ai toponimi Killa e Killaios, denominazioni rispettivamente di uno luogo della piana di Tebe, in cui sorgeva il tempio dell’omonimo dio, e di una località di Lesbo, la quale avrebbe tratto il nome dal toponimo della Troade. Strabone (XIII, 1, 62)357 aggiunge poi che Killaion era il nome di una montagna, situata tra Gargara ed Antandros. Secondo una tradizione riferita allo storico Daes di Kolone (FHG 4, 376) il tempio di Apollo Killaios sarebbe stato fondato dapprima a Kolone dagli Eoli, giunti dalla Grecia. Anche nella città di Crise sarebbe tuttavia esistito un tempio dedicato a questa divinità, il quale si era incerti se da identificare con Apollo Sminteo. Le osservazioni di Strabone mostrano ancora una volta la stretta connessione tra divinità e territorio, che trova appunto espressione tramite l’utilizzo di epiteti cultuali derivati da toponimi, che sottolineano la funzione protettrice del dio sul territorio ed i suoi abitanti358. Per quanto riguarda la città di Crise, dove si trovava un santuario di Apollo Sminteo, Strabone (XIII, 1, 63)359 afferma che il suo territorio si presentava disabitato (ἠρήμωται δὲ νῦν τὸ χωρίον τελέως), mentre il tempio sarebbe stato trasferito nella nuova città di Crise, fondata presso Amaxitos, quando i Cilici, dopo 356 357

Cfr. Strab. (XIII, 1, 61); cfr. Leaf 1923, 305–310, con un’utile raccolta e discussioni delle fonti. Cfr. il commento di Leaf 1923, 311–313. 358 Sul concetto di legame della divinità del territorio (per il quale il tedesco usa il termine Ortsgebundenheit), spesso espresso da epiteti sacrali derivanti da toponimi o da etnici, mi permetto di rimandare al mio lavoro Chiai 2009, in cui è preso in esame il materiale epigrafico della Frigia di epoca romana. 359 Cfr. Leaf 1923, 313–316.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

la guerra di Troia, dovettero abbandonare la loro patria, emigrando a Sud, come detto precedentemente. A tal proposito il Geografo di Amasea nota in maniera pregnante: οἱ δ’ἀπειρότεροι τῶν παλαιῶν ἱστοριῶν ἐνταῦθα τὸν Χρύσην καὶ τὴν Χρυσηΐδα. Da queste parole si evince l’atteggiamento critico di Strabone nei confronti degli storici antichi, i quali senza alcuno spirito critico identificavano, sulla base di omonimie e di assonanze, i centri storici della Troade con quelli del mito, senza prendere in considerazioni metoikismoi o metabolai, che nel corso dei secoli potevano essere avvenuti. Tra i monumenti del territorio egli segnala il sepolcro di Cilla, un tumulo che sorgeva nei pressi del santuario di Apollo Cillaio. Questi sarebbe stato l’auriga di Pelope, poi diventato sovrano di questa regione.

4. La geografia della Troade nel Catalogo delle navi Gli studi attinenti alla seconda parte del secondo libro dell’Iliade, meglio conosciuta con la denominazione di Catalogo delle navi, per quanto riguarda gli aspetti storico-geografici hanno privilegiato l’esegesi della parte riguardante i popoli della Grecia continentale, parte che, come gli etnonimi e i toponimi evidenziano, potrebbe verosimilmente riflettere il quadro storico-politico del continente greco tra l’VIII ed ed VII sec. a.C.360 Riprendendo il discorso, fissiamo la nostra attenzione propriamente sul testo e sul suo contenuto. La parte relativa ai Troiani ed al loro esercito inizia dal verso 785. Omero narra che Iride, messaggera del volere di Zeus, giunse presso l’assemblea dei Troiani ad annunziare la cattiva notizia, che cioè l’esercito degli Achei era in marcia verso le mura della città. Essa aveva preso le sembianze di Polite, uno dei figli di Priamo, che in quel momento si trovava fuori città, appostato sulla vetta del sepolcro di Esieta, per spiare i movimenti delle truppe nemiche. Qui il poeta fornisce un dato interessante sul paesaggio troiano: la presenza dei tumuli sepolcrali, quale elemento caratterizzante il territorio della città di Troia. Il verso omerico (793) recita la formula: τύμβῳ ἐπ’ἀκροτάτῳ Αἰσυήταο γέροντος. Tornando alla narrazione, Iride esorta Ettore, lui che è il più forte tra tutti quanti i guerrieri che si battono alla difesa di Troia, a mettersi a capo dell’esercito e a correre incontro alle truppe nemiche: nugoli di uomini, numerosi come 360

La datazione di questo testo resta ancora per molti versi un problema aperto. Tra gli studiosi c’è chi propende a considerare questo documento come riflettente una realtà di epoca micenea (ad esempio Joachim Latacz), e chi invece lo rapporta alla situazione politica di VIII e VII sec. a.C. (come ad esempio Giovannini 1969, che ricostruisce un influsso delle liste delle delegazioni delfiche). Per una rassegna critica di queste opinioni rimando a Kullmann 2011, 91–94 con relativa bibliografia. Tra gli studi apparsi su questo tema rimando all’ampia ed esauriente trattazione di Kullmann 1993, 129–147; Visser 1997; tra le opere più recenti si segnala Eder 2003; Latacz 2010, 284–316. Per un’analisi del catalogo troiano cfr. Simpson – Lazanby 1970; Visser 2001.

4. LA GEOGRAFIA DELLA TROADE NEL CATALOGO DELLE NAVI

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le foglie ed i granelli di sabbia, che avanzano verso le mura della città. La dea rivolge il proprio discorso agli uomini degli eserciti alleati che si sono riuniti presso la rocca di Priamo, uomini di varia stirpe e di lingua diversa. Ecco che qui incontriamo uno dei pochi veri riferimenti concreti alla situazione poliglotta dell’Asia Minore361. La Grecia si differenziava ad esempio dall’Asia, per il fatto di essere un paese linguisticamente unificato e sostanzialmente omogeneo; non a caso, secondo Erodoto (I, 65) i Pelasgi, che erano dei barbari non greci, avevano assimilato la lingua ellenica, appunto ellenizzandosi. Uno dei fattori che stava alla base del cosiddetto pregiudizio ionico, così come lo espone Erodoto, consisteva nel fatto che i coloni avevano assimilato i molli costumi delle popolazioni asiatiche, mescolandosi a donne del luogo e contaminando anche la lingua. Chiaramente gli studi di dialettologia e di epigrafia greca hanno rivelato una situazione non propriamente unitaria, ma anzi frammentaria, mettendo in luce un quadro frammisto di dialetti locali, tra loro diversificati in particolarità epicoriche ed espressi sul piano alfabetico da grafemi differenti. Ettore scioglie l’assemblea, convinto dalle parole della dea e subito, aperte le porte della città, l’esercito si mette in marcia riunendosi presso una collina antistante la città, che gli uomini chiamavano Batiea, ma che gli dei conoscevano come il sepolcro della ninfa Mirina. Da questo punto in poi (verso 816) Omero elenca i vari contingenti dei quali si componeva l’esercito troiano. 1. I Troiani al comando di Ettore, figlio di Priamo. 2. I Dardani, sotto di Enea, figlio di Anchise e della dea Afrodite 3. I due figli di Antenore, Archeloco ed Atamante. 4. Gli abitanti di Zelea, ai piedi dell’Ida. 5. Troiani a capo dei quali stava Licaone. 6. Pandaro, re dei Lici, al quale Apollo aveva donato l’arco e le frecce. 7. Adrasto e Anfio, che regnavano su Adrasteia, sul paese d’Apeso, su Pitiea e sul monte Tereia (sede di un santuario dedicato alla Madre degli Dei). 8. I due figli di Merope Percosio, che si era opposto a che i figli andassero in guerra, conoscendo la sorte a loro predestinata. 9. Asio Irtacide, che regnava sulle genti di Percote, di Praktion, il cui regno si estendeva fino a Sesto, ad Abido e ad Arisbe. 10. Ippotoo e Pileo guidavano le schiere dei Pelasgi che provenivano da Larissa. 361

Cfr. Hom. (Il. II, 804): ἄλλη δ’ἄλλων γλῶσσα πολυσπερέων ἀνθρώπων.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

11. Acamante e Piroo comandavano i Traci, che abitavano dalla parte dell’Ellesponto europeo. 12. Eufemo era a capo dei Ciconi. 13. Pirecme era a capo dei Peoni, che provenivano dai territori attraversati dal fiume Assio. 14. Pilemene conduceva i Paflagoni, che provenivano dal paese degli Eneti, e che abitavano Citorio e le terre intorno al fiume Sesamo. 15. Epistrofo ed Odio guidavano gli Alizoni, che provenivano da Alibe. 16. Cromi e l’augure Ennomo guidavano i Misi. 17. Forci ed Ascanio erano a capo dei Frigi. 18. Meste ed Anfito guidavano i Meoni, che abitavano la regione del Tmolo. 19. Naste ed Anfimaco erano a capo dei Cari, che regnavano sulla regione di Mileto, del monte Ftiro e sulle terre attraversate dal Meandro. Anfimaco è rappresentato come andante alla guerra carico d’oro, in ostentazione delle proprie ricchezze: in punizione della sua abrosyne egli cadde ucciso dall’Eacide. 20. Sarpedone guidava i Lici che provenivano dalle terre attraversate dal fiume Xanto. Non è mia intenzione condurre un’approfondita analisi di questo catalogo, che meriterebbe uno studio monografico. Mi limito pertanto a fare delle considerazioni generali su alcuni elementi, poi ripresi e sviluppati nelle tradizioni mitiche di epoca successiva. Prima di tutto va rilevata la menzione delle due dinastie più importanti della Troade, quelle dei Priamidi e dei Dardanidi, i cui eserciti sono guidati dai rispettivi principi ereditari: Ettore ed Enea. Tale divisione sembra presupporre le tradizioni sulle due fasi di popolamento e suddivisione della Troade tra Teucri e Dardani, prima prese in considerazione. Wolfgang Kullmann, facendo notare la suddivisione in cinque parti del catalogo troiano362, ha giustamente evidenziato come la menzione dei Dardani, dei Frigi e dei Misi, non solo in questo contesto, ma in generale nell’Iliade, rispecchi la situazione etnica e politica della 362

La prima parte del catalogo, relativa ai versi 819–843, si riferisce alla Troade; la seconda, comprendente i versi 844–850; è relativa agli alleati europei dei Troiani, che vengono elencati da Est ad Ovest. La terza parte (vv. 851–861) tratta dei contigenti provenienti dall’Est dell’Anatolia, Paflagoni ed Alizoni. La quarta (vv. 862–866) menziona i Misi ed i Frigi, abitanti i territori situati a Sud-Est della Troade. Infine vengono menzionati i Meoni della regione del Tmolo, i Cari del territorio di Mileto ed i Lici.

5. DIONIGI DI ALICARNASSO

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Troade e delle regioni confinanti nell’Alto Arcaismo363. Come arcaismo andrebbe considerata invece l’assenza di importanti località greche dell’Egeo, quali Lesbo, Chio e Samo, così come di centri quali Efeso, Colofone, Smirna etc. Questa assenza va probabilmente spiegata con la convinzione che questi territori sarebbero stati occupati dai Greci in un periodo successivo alla caduta di Troia: in questo caso l’autore avrebbe volutamente arcaizzato il testo. L’esercito che combatte per Priamo è composto da popolazioni non greche anatoliche, quali Lelegi, Cari, Misi, Frigi, Lici, Paflagoni etc., ed europee, quali Traci, Ciconi, Pelasgi, i cui etnici sembrerebbero rispecchiare, come sopra accennato, la geografia storica dell’Anatolia e della regione al di là dell’Olimpo all’epoca dell’Alto Arcaismo. Secondo la tradizione storica, infatti, Lelegi e Cari furono le popolazioni con cui gli Ioni si scontrarono quando si insediarono nelle isole e nelle coste dell’Asia Minore, mentre nel caso dei Frigi, sembra improbabile poter parlare di una formazione politica frigia prima del X–IX sec. a.C. Lo stesso potrebbe dirsi dei Paflagoni, abitanti nel Ponto364, i cui primi contatti verosimilmente con i Milesi andrebbero datati certamente non prima dell’VIII sec. a.C. Rispetto alla coalizione achea, quella troiana si caratterizza quindi per una forte presenza di elementi non greci.

5.

Dionigi di Alicarnasso

5a. La presa della città Prendiamo ora in considerazione la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso che tratta in maniera sistematica le tradizioni relative alla fondazione di Roma,365 ricostruendo lo scenario mitico degli eventi che avrebbero portato alla fondazione dell’Urbe, a partire dalla fondazione di Troia, sino alla distruzione di questa. Il racconto366, che s’incentra sulla figura di Enea367, ha inizio con la descrizione della 363

Kullmann 1999. Egli sottolinea giustamente che (p. 200): «Der Dichter geht davon aus, daß die Dardaner, Thraker, Myser und Phryger seiner Zeit auch in der alten Zeit, in der seine Schilderung spielt, Troia umgaben. Er konnte nicht wissen, daß diese Stämme erst am Ende des 12. oder im 11. Jh. a.C. nach Anatolien eingewandert sind». 364 Per un quadro storico sui contatti tra Greci e Paflagoni rimando in generale al recente studio di Barat 2014. 365 Sull’importanza dell’archaiologia di Dionigi di Alicarnasso rimando a Gabba 1976, ed alla monografia di Vanotti 1995. 366 Cfr. Dion. Hal. (I, 46). 367 L’importanza della figura di questo eroe si riassume nella seguente affermazione di Nicholas Horsfall (Horsfall 1985, 221): «Ciò che soprattutto distingue e rende importante l’E. omerico è il fatto che sopravvive». Le varie leggende sulla storia ed il destino di questo eroe sono oggetto di una ricca bibliografia, in generale tra gli studi che raccolgono e analizzano le fonti antiche su Enea cfr. Galinski 1969; D’Anna 1980, 231–224; Wathelet 1988; Martin 1989; Vanotti 1995; Ballabriga 1996.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

presa della città da parte degli Achei, a seguito del tradimento degli Antenoridi368 e dell’inganno del cavallo di legno. Enea, insieme ad altri alleati provenienti dalle città di Dardano e di Ofrinio369, persa ogni speranza essendo stata la maggior parte dei guerrieri sorpresa ed uccisa nel sonno, si sarebbe rifugiato nell’acropoli di Pergamo, cioè nella parte alta della città, dove venivano custoditi il tesoro e gli oggetti sacri (ἱερὰ τὰ πατρῷα). Incontriamo qui un’indicazione topografica della città di Troia, che avremo modo di riscontrare più avanti, in cui la rocca che, come tratto distintivo assume un nome diverso dal resto della città, è il luogo adibito non solo a dimora del basileus, ma anche al culto delle divinità protettrici, che nel caso di Troia sono Atena, ma un’Atena dalle caratteristiche molto particolari, ed i Cabiri. Sulla base della descrizione dionigiana, pare doversi connettere al tempio pure una funzione di custodia del tesoro della città, una connotazione questa che avvicina la struttura troiana a quella dei complessi templari del Vicino Oriente Antico. Vista persa e comunque non difendibile la città, Enea decide di salvare la propria vita e il corredo degli oggetti sacri di Troia. Le donne, i vecchi ed i bambini vengono fatti andare avanti per la strada che conduce all’Ida, mentre i guerrieri dovranno da dietro proteggere la loro fuga. Al piccolo gruppo di superstiti370 si sarebbero aggiunti altri gruppi provenienti da Dardano, da Ofrinio e dalle al368

Sugli Antenoridi e sul ruolo da loro svolto per la caduta di Troia cfr. Vanotti 1995, 128-131, che analizza attentamente tutte le varianti del mito. Sulla figura di Antenore cfr. Scuderi 1976; Braccesi 1985. (con una raccolta delle fonti); id. 1984, 123–146. La tradizione che faceva di Antenore il traditore dei Troiani parte probabilmente dalla caratterizzazione omerica del personaggio (Il. III, 206; VII, 347–353), che mette in risalto la sua buona disposizione verso i Greci (su questo aspetto cfr. Vanotti 1995, 129, con una raccolta delle fonti). Strabone (XIII, 1, 53), probabilmente rifacendosi alla tragedia sofoclea Antenoridai, narrava che Antenore avrebbe posto una pelle di leopardo davanti alla porta della sua casa come segno di riconoscimento per i Greci, particolare per altro presente anche in un’altra tragedia sofoclea, “Aiace locrese”. Si tratta di una tradizione recepita anche nel campo delle arti figurative, come riferisce Pausania (X, 27, 3) nella descrizione della pittura eseguita da Polignoto per la Lesche dei Cnidi a Delfi, raffigurante appunto la presa di Troia. Il fatto tuttavia che il Periegeta sottolinei l’atteggiamento mesto e triste di Antenore e dei suoi familiari, porterebbe a presumere che il filone di tradizioni mitiche al quale egli si ispirava (probabilmente quello della Ilioupersis di Lesche) non facesse dell’eroe un traditore. Probabilmente questi particolari della tradizione furono manipolati per stigmatizzare Antenore in senso negativo. Dieter Hertel (Hertel 2008, 178– 180), che giustamente sottolinea il legame di questa nobile famiglia troiana con Atena (Teano, moglie di Antenore e figlia del re tracio Kisseus (Il. II, 221–230), è sacerdotessa della dea (Il. VI, 296–310)) così come la non cattiva caratterizzazione di questa famiglia nell’Iliade, ritiene possibile l’esistenza di una dinastia locale con questo nome nella Troade dell’Alto Arcaismo. Su questa tesi cfr. anche Espermann 1980, 101–105. 369 La città di Ofrinio, alleata di Troia, è menzionata anche da Strabone (XIII, 1, 29), che la localizza nelle vicinanze di Dardano e del fiume Rodio, ricordando per altro la presenza di un bosco sacro ad Ettore. La presenza di un culto dell’eroe in questo centro trova conferma presso Licofrone (Alex. 1208), che menziona il sepolcro dell’eroe. Su questo centro in relazione al paesaggio troiano cfr. osservazioni in Trachsel 2007, 344–347. 370 Cfr. Dion. Hal. (I, 47)

5. DIONIGI DI ALICARNASSO

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tre città troiane vicine: messi in allarme dal bagliore delle fiamme che si alzavano da Ilio, le genti di questi centri avevano prudentemente deciso di abbandonare le loro case. Dionigi sottolinea come in seguito all’arrivo dei nuovi arrivati si formasse in breve una consistente massa di gente371. Mancava il gruppo di Egesto e di Elimo, che avendo costruito una flotta prima della catastrofe aveva già abbandonato la Troade, con il quale Enea ed i suoi compagni si sarebbero poi ricongiunti in Sicilia. Incontriamo qui un altro dato del paesaggio troiano, già presente in Strabone: cioè una struttura territoriale che si articola in tanti piccoli centri, che si correlano ad una città più grande: Ilio. Va fatto poi notare, come in seguito si avrà l’occasione di approfondire, che Dionigi opta per la tradizione, presente per altro anche in Virgilio, che riteneva l’eroe in città al momento dell’attacco acheo.

5b. Il nuovo assetto della regione Gli Achei intanto dopo avere devastato il territorio e distrutto i phrouria, avrebbero preso contatto con Enea ed i fuggiaschi offrendo loro, in cambio del riconoscimento del possesso della terra conquistata, la possibilità, costruita una flotta, di poter partire indisturbati. Ad Enea parve tuttavia opportuno di rimandare il suo figlio maggiore Ascanio insieme al contingente di alleati, per la maggior parte frigi, nel territorio di Daskyleion, dove si trovava la palude Ascania e dove questi si sarebbe insediato come re della popolazione della regione. Emerge qui un altro particolare che connota i Troiani: essi sono presentati come una sorta di mixellenes: la loro dinastia ha origini elleniche, arcadiche addirittura, come sarà Dionigi stesso a dire, tuttavia la loro impurità etnica consisteva nel fatto che essi sarebbero stati costretti ad integrarsi con le popolazioni preesistenti, affinché i centri da loro fondati non restassero deserti. Una connotazione di frigicità li accompagna e questa componente orientale si connette alla tradizione, che meglio analizzeremo poi, di portatori del culto di Afrodite e dei Cabiri in Occidente. Per quanto riguarda la figura di Ascanio, come è stato opportunamente rilevato372, Dionigi sembra qui seguire la tradizione di Ellanico (FGrHist 4, F 31), il primo autore in cui è attestata la parentela tra Enea ed Ascanio373, che per altro faceva restare questo personaggio in Asia, mentre gli altri figli di Enea avrebbero seguito il padre nelle peregrinazioni in Occidente374. 371 372

Cfr. l’espressione: (I, 47, 2) δύναμίς τε αὕτη δι’ἐλαχίστου χρόνου μεγίστη τῶν Τρωικῶν ἐγένετο. Cfr. su questo frammento di Ellanico Ambaglio 1980, 124; Vanotti 1995, 132–133 (con la letteratura precedente); Coppola 1995, 18–20. 373 Il nome (cfr. Wathelet 1988, 179–235) è attestato nell’Iliade (II, 824, 862) in relazione a due guerrieri, provenienti rispettivamente dalla Misia e dalla Frigia. 374 A Catone (Fr. 9–11 Peter) si deve probabilmente l’identificazione con Ascanio del figlio di Enea, giunto in Italia.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

Ascanio sarebbe rimasto in quella regione per poco tempo: subito dopo sarebbero tornati infatti dalla Grecia Scamandrio ed altri membri della famiglia degli Ettoridi, rilasciati da Neottolemo, i quali si sarebbero reinsediati a Troia.

5c. Il viaggio alla volta dell’Occidente Enea, presi con sé gli altri figli, costruita una flotta, sarebbe salpato, facendo tappa nella Pallene375, dove sarebbe stato accolto dai Traci Crusei376, fidi alleati nella guerra contro gli Achei. Dionigi377 mette in guardia sulle molte versioni del mito, non sempre credibili, che circolavano inerentemente alla partenza di Enea per l’Italia. Egli sembra sostanzialmente seguire le tradizioni presenti in Ellanico378. Tra le altre alle quali accenna, riporta una serie di versi della perduta tragedia sofoclea Laomendonte, che meritano un’attenzione particolare379. Essi ritraggono la classica immagine dell’eroe presso le porte della città380, in fuga, con sulle spalle il padre, attorniato da una massa di servi e seguito da una moltitudine di Troiani, formanti una ἀποικία Φρυγῶν. Va posta anzitutto in rilievo l’assimilazione dei Troiani con i Frigi presso Sofocle, analoga a quella che si riscontra presso Euripide; in secondo luogo Sofocle portava molto probabilmente in scena una versione della tradizio375

Cfr. le osservazioni di Vanotti 1995, 138–139. Antonio Aloni (Aloni 1986, 74–77), è dell’opinione che la prima tappa europea del viaggio di Enea secondo la versione di Ellanico sia stata in realtà Ainos, dove egli poi fonderà il centro omonimo (da ultimo cfr. Voutiras 2007). Gabriella Vanotti (Vanotti 1995, 138) ritiene sulla base del fatto che Pallene fu teatro delle imprese di Pisistrato (Arist., Const. Ath. XV, 2; XVII, 4) che lo sbarco di Enea in questa località sia da riferire ad una tradizione di origine ateniese-pisistratica, la quale si poneva, in alternativa, o perlomeno arricchiva di una tappa la versione (probabilmente più accreditata) di Ellanico. A riguardo cfr. anche le recenti osservazioni di Aloni 2012, in part. pp. 40–42, che sottolinea il fatto che Ainos era in origine una fondazione lesbia, considerando il rapporto della città con l’eroe come secondario e collegato alla profezia che riceve Anchise da Afrodite, trasmessa nell’Inno Omerico alla dea, in cui al verso 168 si legge la pseudoetimologia che connette il nome dell’eroe all’aggettivo αἰνός. 376 Tucidide (II, 79, 4) conferma ancora ai suoi tempi la presenza di questo popolo nel territorio; cfr. anche l’utile raccolta delle fonti in Detschew 1957, 268–269. 377 Cfr. Dion. Hal. (I, 48). 378 L’espressione Ὁ μὲν οὗν πιστότατος τῶν λόγων, ᾧ κέχρηται τῶν παλαιῶν συγγραφέων Ἑλλάνικος ἐν τοῖς Τρωικοῖς sottolinea da un lato l’autorevolezza dei Troikà di Ellanico, dall’altro lascia anche intendere la difficoltà nel districarsi in un labirinto di varianti mitiche. 379 Su questo frammento esiste una nutrita bibliografia cfr. Vanotti 1979; Smith 1981, 32-33; Braccesi 1984, 47; id. 1986; id. 1994, 66–71; Vanotti 1995, 35, 140–141; Scafoglio 2006, 416–417; Voutiras 2007, 144. 380 Nauck Fr. 344 = Radt Fr. 373 = Dion. Hal. (I, 48, 2): νῦν δ’ ἐν πύλαισιν Αἰνέας ὁ τῆς θεοῦ / πάρεστ’ ἐπ’ ὤμων πατέρ’ ἔχων κεραυνίου / νώτου καταστάζοντα βύσσινον φάρος, / κυκλεῖ δὲ πᾶσαν οἰκετῶν παμπληθίαν / συμπλάζεται δὲ πλῆθος οὐχ ὅσον δοκεῖς / οἳ τῆσδ’ ἐρῶσι τῆς ἀποικίας Φρυγῶν. Ora sulle porte compare Enea, il figlio della dea, portandosi sugli omeri il padre, dal cui dorso cerunio pende un mantello di bisso; lo circondano una gran moltitudine di servi; lo accompagnano molti, non quanti diresti, che aspirano a questa colonia di Frigi (traduzione da Braccesi 2004, p. 47).

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ne attinta dall’Ilioupersis di Arctino di Mileto381, secondo la quale a seguito della morte di Laocoonte, su consiglio di Anchise Enea, la sua famiglia ed una parte della popolazione di Troia avrebbero lasciato la città per rifugiarsi nell’Ida, prima che questa venisse presa dagli Achei. Nel frammento appare anche interessante l’uso del termine ἀποικία, che presagisce, oltre al destino errante al quale l’eroe ed il suo seguito dovranno andare incontro, anche il fatto che i Troiani andranno a fondare in terra straniera una colonia382. Lo storico Menecrate di Xanto383 sosteneva invece che Enea avesse tradito Priamo e Troia a causa dei suoi dissapori con Paride e che solo in quanto precedentemente accordatosi con gli Achei, avrebbe potuto salvare se stesso e la sua famiglia384. Questa tradizione, come anche quella di Antenore, si sviluppa probabilmente partendo dal testo omerico, che potrebbe lasciar intendere la presenza di un certo risentimento da parte di Enea, dopo la morte di Ettore il più forte dei Troiani, nei confronti di Priamo che, per ovvie ragioni familiari, gli preferisce sempre Paride385. Il fatto inoltre che Omero non spieghi come Enea potesse essersi salvato dalla distruzione di Troia, potrebbe aver portato alla formazione di due 381

Proclo (Chrest. 239 Seve) = Bernabé Fr. 88 = West 144: […] ἐπὶ δὲ τῷ τέρατι δυσφορήσαντες οἱ περὶ τὸν Αἰνείαν ὑπεξῆλθον εἰς τὴν Ἴδην. Da ultimo rimando alle osservazioni di Vanotti 2007. 382 Cfr. a tal proposito faceva notare Lorenzo Braccesi (Braccesi 1986, p. 104): «Quindi in Sofocle per la prima volta nella tradizione ritroviamo il concetto preciso di una ‘colonia’ troiana che è filiazione di una città distrutta». Osservazioni anche in Coppola 1995, 17–18. 383 Dion. Hal. I, 48, 3 = FGrHist 769, F 3: Μενεκράτης δὲ ὁ Ξάνθιος προδοῦναι τοῖς Ἀχαιοῖς αὐτὸν ἀποφαίνει τὴν πόλιν τῆς πρὸς Ἀλέξανδρον ἔχθρας ἕνεκα, καὶ διὰ τὴν εὐεργεσίαν ταύτην Ἀχαιοὺς αὐτῷ συγχωρῆσαι τὸν οἶκον. Σύγκειται δὲ αὐτῷν ὁ λόγος ἀρξαμένῳ ἀπ’ Ἀχιλλέως ταφῆς τὸν τρόπον τόνδε∙ «Ἀχαιοὺς δ’ ἀνίη εἶχε καὶ ἐδόκεον τῆς στρατιῆς τὴν κεφαλὴν ἀπηράχθαι. ὅμως δὲ τάφον αὐτῷ δαίσαντες ἐπολέμεον βίῃ πάσῃ, ἄχρις Ἴλιος ἑάλω Αἰνείεω ἐνδόντος. Αἰνείης γὰρ ἄτιτος ἐὼν ὑπὸ Ἀλεξάνδρου καὶ ἀπὸ γερέων ἐξειργόμενος ἀνέτρεψε Πρίαμον∙ ἐργασάμενος δὲ ταῦτα εἷς Ἀχαιῶν ἐγεγόνει». Sull’opera di questo storico, attivo a Xantos nella prima metà del IV sec. a.C., o (più probabilmente) nella seconda metà del III sec. a.C. cfr. Mazzarino 1962, p. 580; Asheri 1983, 144–153 (con un’interessante ricostruzione del contesto culturale) e le considerazioni di Gabba 1976, 92–94. 384 Per un’analisi di questa tradizione cfr. Ussani 1947, (che raccoglie le fonti letterarie); Scuderi 1976, 39–40; Vanotti 1995, 139–140 (con la bibliografia precedente); Gabba 1991, p. 101, propende invece per una datazione più bassa dell’opera di questo logografo, rapportando il frammento col tema del tradimento eneadico all’epoca dei primi scontri tra Roma e l’Oriente, quando una simile tradizione sarebbe stata funzionale ad una propaganda antiromana; a tal proposito egli sostiene (Gabba 1976, pp. 92–93): «L’intenzione polemica, antiromana, di Menecrate sembra ovvia, ed essa si colloca bene in un momento storico nel quale la propaganda e la diplomazia romane sfruttavano a fondo la leggenda di una fondazione eneica di Roma. Egli può essere stato il primo ad inserire la versione del tradimento in un’opera storica: certamente l’attento Dionigi esemplifica con lui questa tendenza». Sulla questione rimando al dotto articolo di Scafoglio 2013, con un’approfondita analisi delle fonti ed un’aggiornata bibliografia. 385 Cfr. Ussani 1947, 105–106, che raccoglie e discute i passi dell’Iliade (II, 819; V, 247, 467 sgg.; VI, 77 sgg.; XI, 58; XIII, 481 sgg.; XX, 178 sgg., 293 sgg., 347).

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tipologie dell’eroe: l’eroe pio, che antepone la salvezza di suo padre e degli oggetti sacri a quella di sua moglie, e l’eroe traditore che, per risentimento e beneficio personale, consegna la sua patria al nemico386. La più antica menzione di questa tradizione si trova stranamente in uno storico non greco ed è attestata in un periodo relativamente tardo. La frammentarietà dell’opera di Menecrate di Xanto, autore di una storia della Lidia probabilmente in due libri, non ci permette purtroppo di conoscere il contesto, forse connesso con la partecipazione dei Lici alla guerra di Troia. Un debole indizio ci viene forse da una tradizione trasmessa presso Conone (FGrHist 26, F XLVI) e che verrà più avanti presa in considerazione, secondo la quale Priamo, presagendo la fine della città, avrebbe inviato in Lidia alcuni suoi figli affinché si salvassero. Finita la guerra e dopo il ritiro degli Achei questi sarebbero poi tornati nella Troade e l’avrebbero ripopolata. Tale tradizione, che collega la dinastia priamide con la Lidia, potrebbe forse essere stata trattata e valorizzata dall’erudito licio, che in questo modo avrebbe potuto mettere l’accento sull’antichità dei rapporti tra la Lidia e la Troade omerica. Si deve inoltre ricordare l’esistenza di altre tradizioni che facevano ritornare gli Ettoridi nella Troade, i quali avrebbero potuto giustamente rivendicare la dovuta regalità sulla regione nei confronti degli Eneadi, macchiatisi di tradimento. Dionigi accenna solo per completezza a questa leggenda, mentre Virgilio e gran parte della letteratura latina augustea la ignorano387; gli accenni ad essa negli scrittori di epoca successiva sono pochi ed hanno un sapore erudito, mentre in epoca tardo antica sembra aver luogo una rivalutazione di questa versione mitica388. 386

Rita Scuderi (Scuderi 1976, 36–37) sulla base del fatto che la più antica caratterizzazione di Antenore quale traditore si trova presso Licofrone (Alex. 344–347; cfr. osservazioni in Braccesi 1984, 48, 123–134, che connette l’origine della tradizione a Pirro), il quale definisce tuttavia Enea come (Alex. 1270) καὶ παρ’ ἐχθροῖς εὐσεβέστατος κριθεις (considerato piissimo anche presso i nemici), ritiene, come segue, che la nascita di tale tradizione debba datarsi al periodo ellenistico: «La necessità «ellenistica» di razionalizzare la caduta di Troia con un tradimento ed il significato nuovo che Troia, in quanto progenitrice di Roma, assume nella visone di un poeta filoromano (non dimentichiamo che Licofrone scrisse alla corte dei Tolomei alleati di Roma), potrebbero forse bastare per spiegare la trasformazione del personaggio di Antenore e l’odiosità della sua figura in Licofrone.» 387 Ussani 1947, p. 112, osserva a proposito: «Quando i Romani, nel IV secolo, adottarono la leggenda delle origini troiane, si trovarono dinanzi a due versioni: dell’Enea pius heros e dell’Enea proditor. La tradizione storico annalistica e la poetica furono ben sollecite a cancellare la leggenda della proditio, che non potevano ignorare, e poiché nel mondo greco, tra i principi troiani profughi dalla Troade, anche Antenore era considerato partecipe del tradimento, su quest’ultimo ne venne gettata tutta la colpa». Va tuttavia anche ricordato un famoso frammento dello storico Sisenna (F. 1 Peter = Beck-Walter, F 1, 246), secondo il quale: solum Antenorem prodidisse. Questo frammento attesta in maniera sicura la conoscenza ed il rifiuto di tale tradizione presso l’annalistica romana. 388 Si potrebbe ad esempio menzionare un passo di Tertulliano, in cui la valutazione dell’Enea proditor è chiaramente funzionale alla polemica antipagana: (Ad nat. II, 9) Sed et proditor patriae Aeneas invenitur, tam Aeneas dereliquit socios, feminae Punicae subiciendus […] Pius Aeneas ob unicum puerum et decrepitum senem, Priamo et Astyanactae destitutis? Sul tema

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Secondo Cefalone di Gergis389 (FGrHist 45, F 7) ed Egesippo (FGrHist 391, F 5), autori di una storia locale della Pallene, Enea una volta giunto in Tracia sarebbe morto. Dionigi riguardo alle sue due fonti fa notare che si trattava di autori antichi, ritenuti degni di menzione390. La citazione è comunque importante in quanto permette di constatare un interesse per i miti troiani, rivolto soprattutto alla figura di Enea, nell’ambito delle tradizioni locali di questa regione. Va infine ricordato che secondo Cefalone Roma sarebbe stata fondata da Romo, uno dei quattro figli di Enea, che avrebbe terminato il viaggio iniziato dal padre391. Secondo altri, dopo aver fatto sosta in questi territori, i Troiani si sarebbero diretti in Arcadia392, luogo d’origine della dinastia dei Dardani, dove avrebbero fatto sosta presso il territorio della città di Orcomeno e di Neso, tra fiumi e paludi. La tradizione voleva che i Troiani avessero fondato la città di Capua, che prendeva nome da Kapys393, uno dei capostipiti dei Dardani. Dionigi afferma di aver attinto queste notizie da Arieto (FGrHist 361, F 1), autore di una storia locale sull’Arcadia. Secondo il poeta arcadico Agatillo (FGrHist 321, F 2), Enea avrebbe lasciato a Neso in Arcadia i suoi due figli Antemone e Codone, per poi proseguire verso l’Occidente dove avrebbe avuto, come figlio, Romolo394. La tradizione che faceva sostare gli Eneadi nella regione doveva essere molto antica e diffusa anche nell’ambito dei miti locali arcadici. Ad essa fa cenno anche Strabone (XIII, 1, 53), sebbene egli escluda, a differenza di Dionigi, l’arrivo dell’eroe in Italia. Per quanto riguarda le tradizioni locali possiamo ricordare un passo di Pausania (VIII, 12, 8–9) in cui, descrivendo la strada per Orcomeno, si accenna alla presenza di un monte chiamato Anchise, nel quale sarebbe stato eretto il tumulo sepolcrale dell’eroe, qui morto. Secondo le testimonianze raccolte dal Periegeta Enea, diretto in Sicilia, avrebbe fatto sosta nel Peloponneso, dove avrebbe fondato le città di Afrodisia e di Etis; durante questa sosta Anchise, adducendo una scusa, si sarebbe fatto condurre presso il suddetto monte, dove sarebbe morto e gli sarebbe stato eretto un sepolcro. Il Periegeta aggiunge che ai suoi tempi vicino al monumento sepolcrale sarebbero esistiti i resti di un santuario dedicato ad Afrodite. L’autore fa notare come in molte tradizioni locali, nelle quali si sostiene il passaggio di Enea in una data regione, si adducano tekmeria, cioè prove archeologicfr. Anche le osservazioni di Braccesi 1984, 134–143. Cfr. Dion. Hal. (I, 49). 390 Ad essi viene infatti riferita l’espressione (I, 49, 1) ἄνδρες ἀρχαῖοι καὶ λόγου ἄξιοι. Su questo passo cfr. Vanotti 1995, pp. 143–144; cfr. anche le osservazioni di Gabba 1976, 88–90. 391 FGrHist 45, F 9. 392 Sulla sosta arcadica cfr. osservazioni in Coppola 1995, 30–38. 393 Come Gabriella Vanotti fa giustamente notare (Vanotti 1995, 146–147) la tradizione a riguardo presentava diverse varianti. Gli abitanti del luogo, come ad esempio racconta Pausania (VIII, 23, 3), ritenendosi di stirpe attica, indicavano in Cefeo, figlio di Aleo, il fondatore della loro città. Ecateo (FGrHist 1, F 62) faceva invece di Kapys il fondatore di Capua in Italia. 394 Per un’analisi del testo cfr. Vanotti 1995, 144–147. 389

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che, che testimoniano il suo passaggio395. Per quanto riguarda la sua sosta nella Pallene, durata tutto un inverno, le tradizioni locali vi connettevano la fondazione della città di Αἰνεία, distrutta in epoca ellenistica da Cassandro396, e l’erezione su di un promontorio di un tempio dedicato ad Afrodite, dato importante che, come vedremo, caratterizza il passaggio dei Troiani da Oriente ad Occidente, presentandoli come i diffusori di tale culto397. Questa divinità già dall’ubicazione stessa del suo santuario, punto di riferimento per i naviganti così come il tempio di Era al Lacinio, si presenta fortemente legata al mare. Dalla Pallene i Troiani, a primavera, sarebbero passati a Delo398, dove regnava Anio399. Anche qui sono molti i σημεῖα, i segni, lasciati del loro passaggio. Da qui i Troiani si sarebbero recati poi a Citera, fondando un santuario di Afrodite; costeggiando il Peloponneso uno dei compagni di Enea, Κίναιθος, sarebbe morto e da lui avrebbe preso nome uno dei promontori della costa pelopοnnesiaca400. Segue la breve sosta in Arcadia, dove essi avrebbero rinnovato il loro rapporto di syngeneia e dove alcuni di loro sarebbero rimasti. Interessante il fatto che l’Arcadia sia qui geograficamente in rapporto col mare: si tratta dell’Arcadia eroica, micenea, che aveva uno sbocco al mare e che aveva inviato un contingente di navi agli Achei a Troia. Dopo la sosta in Arcadia, i Troiani si sarebbero recati nell’isola di Zacinto, con i cui abitanti sarebbero stati in un rapporto di φιλία καὶ συγγένεια, per il fatto che 395

Sui tekmeria lasciati da Enea nel corso del suo viaggio alla volta dell’Occidente cfr. Hartmann 2010, 438–445. 396 Su questi passi cfr. il commento di Vanotti 1995, 148–152; su Ainos cfr. il già citato studio di Voutiras 2007, 144–157, che discute le tradizione locali, la cui vitalità risulta evidente anche dalle emissioni locali (tetradrammi), nei cui rovesci ritroviamo raffigurazioni rapportabili a questo mito. Su queste monete cfr. Gaebler 1935, 20–21; Canciani 1981, 382; Parise 1984, 73; Vanotti 1995, 31, n. 38 con una bibliografia. L’importanza di questa tradizione risiede anche nel fatto che una città greca (lo Pseudo Scillace (66) nel IV sec. a.C. definiva questo centro come πόλις Ἑλληνίς) sin dalla fine del VI sec. considerasse Enea come suo eroe fondatore. Aineia è menzionata da Erodoto (VII, 123) come il più settentrionale degli insediamenti della Cruseide, confinante con la Pallene; sulla localizzazione del centro cfr. in generale Zahrnt 1971, 142–144; Hammond 1972, 186–187. La leggenda della fondazione di Aineia da parte dei Troiani era anche narrata da Conone (FGrHist 26, F I), e doveva forse essere conosciuta anche ad Ellanico (FGrHist 4, F 31), cfr. osservazioni in Voutiras 2007, 149–151, il quale suppone che la fonte di Conone fosse Egesianatte. 397 I resti di un monumentale tempio ionico tardo-arcaico scoperti a Salonicco sono stati riferiti da Emmanuel Voutiras a questo santuario (cfr. Voutiras 2007, 152, n. 63–65, con i riferimenti bibliografici). 398 Cfr. Dion. Hal. (I, 50); cfr. Vanotti 1995, 153–154. 399 Su questo personaggio cfr. lo studio di Cassola 1954, 345–367. 400 Cfr. Vanotti 1995, 155, che richiama l’attenzione su una variante tramandata presso Pausania (III, 22, 10), secondo la quale il promontorio avrebbe tratto nome da Kinados, pilota di Menelao.

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l’eroe eponimo dell’isola, Zacinto, era con Erittonio uno dei due figli di Dardano e di Bateia401. Anche qui Enea ed i suoi compagni tributano onori ad Afrodite, compiendo sacrifici ed erigendo un tempio. Dionigi testimonia, presso le tradizioni religiose locali, la persistenza del culto della dea, in onore della quale gli efebi svolgevano annualmente agoni ed una corsa. Il vincitore riceveva il premio all’interno del tempio. Dagli abitanti del posto questa gara era chiamata Αἰνείου καὶ Ἀφροδίτης ὁ δρόμος. In seguito i Troiani sarebbero giunti nell’isola di Leucade, allora in mano agli Acarni; qui avrebbero costruito un santuario dedicato ad Afrodite Enea, che in epoca romana si trovava nell’isoletta tra Dioricto e la città402. Anche in questo caso, va notato lo stretto rapporto tra Afrodite ed il mare. Da qui sarebbero salpati alla volta di Azio dove, ormeggiata la flotta all’altezza del promontorio, si sarebbero recati a far visita ad Ambrax, re, per concessione di Eracle, della città di Ambracia403. Ad Azio avrebbero eretto un santuario di Afrodite e vicino ad esso un tempio dedicato ai Megaloi Theoi, che connota ancora di più, come orientali, le forme di culto di cui essi si fanno portatori in Occidente404; l’espressione “ancora ai miei tempi” potrebbe essere un indizio del fatto che Dionigi avesse visitato il luogo di persona405. Ad Ambracia sarebbe stato costruito sempre un tempio della dea ed un heroon, dedicato ad Enea, ubicato nelle vicinanze del piccolo teatro, presso cui si poteva ancora vedere una piccola statua lignea, molto antica, dell’eroe, alla quale gli abitanti del luogo tributavano un culto406. 401

Cfr. Dion. Hal. (I, 50): […] Δαρδάνῳ γὰρ τῷ Διὸς καὶ Ἠλέκτρας τῆς Ἀτλαντίδος δύο γενέσθαι φαςὶν ἐκ Βατείας παῖδας, Ζάκυνθόν τε καὶ Ἐριχθόνιον, ὧν ὁ μὲν Αἰνείου πρόγονος ἦν, Ζάκυνθος δὲ τῆς νήσου κτίστης. Cfr. il commento di Vanotti 1995, 155–156, con una discussione delle fonti. Questa tradizione è attestata in un lemma di Stefano di Bisanzio (s.v. Ζάκυνθος) ed in Pausania (VIII, 24, 3), il quale considera Zacinto originario di Psofide, città arcadica dalla quale avrebbe tratto poi denominazione la rocca di Zacinto. 402 Cfr. Dion. Hal. (I, 50): […] κἀν ταύτῃ πάλιν ἱερὸν Ἀφροδίτης ἱδρύονται τοῦτο, ὃ νῦν ἐστιν ἐν τῇ νησῖδι τῇ μεταξὺ τοῦ Διορύκτου τε καὶ τῆς πόλεως, καλεῖται δὲ Ἀφροδίτης Αἰνειάδος. L’uso di νῦν si chiarisce alla luce di un passo di Strabone (X, 2, 8), secondo il quale Leucade originariamente era una penisola dell’Acarnania dalla quale, in seguito a mutamenti geomorfologici, si sarebbe formata l’isola sulla quale si trovava il suddetto santuario, originariamente quindi ubicato in un promontorio. Su questo passo cfr. Vanotti 1995, 156–158. 403 Cfr. le note di commento in Vanotti 1995, 158–159. 404 Cfr. Dion. Hal. (I, 50): […] ἐν Ἀκτίῳ μὲν Ἀφροδίτης Αἰνειάδος ἱερὸν καὶ πλησίον αὐτοῦ θεῶν μεγάλων, ἃ καὶ εἰς ἐμὲ ἦν. 405 Cfr. Vanotti 1995, 160. 406 Cfr. Dion. Hal. (I, 50): ἐν δὲ Ἀμβρακίᾳ ἱερόν τε τῆς αὐτῆς θεοῦ καὶ ἡρῷον Αἰνείου πλησίον τοῦ μικροῦ θεάτρου, ἐν ᾧ καὶ ξόανον μικρὸν ἀρχαϊκὸν Αἰνείου λεγόμενον, καὶ αὐτὸ θυσίαις ἐγέραιρον αἱ καλούμεναι παρ’αὐτοῖς ἀμφίπολοι.

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Da Ambracia407 la flotta sarebbe salpata alla volta di Bouthroton, un porto dell’Epiro, dal quale poi via terra un gruppo, con Enea a capo, si sarebbe recato a Dodona per consultare l’oracolo; qua si sarebbero congiunti con un altro gruppo di Troiani a capo dei quali stava Eleno, lasciando ricchi doni al santuario alcuni dei quali, con le loro dediche iscritte, erano ancora visibili al tempo di Dionigi. Il viaggio a Dodona sarebbe durato quattro giorni. La sosta troiana in quei luoghi è testimoniata dalla toponomastica locale: Troia è il nome della collina in cui il resto dei Troiani, in attesa dei loro compagni, si sarebbe accampato408; da Anchise avrebbe preso invece nome l’insenatura nella quale era stata ormeggiata la flotta. Infine, come di consueto, sarebbe stato da essi innalzato un tempio ad Afrodite409. Successivamente, attraversato quello che è oggi chiamato canale d’Otranto e costeggiato il Salento, avrebbero fondato un λιμνὴν Ἀφροδίτης. Dionigi410 afferma che esistevano in questi luoghi molte tracce del loro passaggio, in particolare ἴχνη τινὰ κἀν τούτοις ὑπολειπόμενοι τοῖς τόποις, τῆς ἀφίξεως ἄλλα τε καὶ φιάλην χαλκῆν ἐν Ἥρας ἱερῷ411 γραφῇ ἀρχαίᾳ τοῦ δωρησαμένου τῇ θεῷ Αἰνείου τοὔνομα. Giunti in Sicilia412, i Troiani sarebbero stati sospinti da una tempesta a Drepano, dove si sarebbero congiunti con Elimo e Segesto, precedentemente giunti in questi luoghi ed entrati in buoni rapporti con la popolazione locale dei Sicani. I τεκμήρια del passaggio di Enea in Sicilia sarebbero stati numerosi. Dionigi413 ri407

Cfr. Dion. Hal. (I, 51); cfr. il commento di Vanotti 1995, 160–166, con un’approfondita discussione delle fonti. Ambracia, menzionata già presso Ecateo (FGrHist 1, 106), era utilizzata come scalo commerciale dai Corinzi; secondo una tradizione mitica, attestata presso Virgilio (Aen. III, 294–505), che tuttavia Dionigi non sembra prendere in considerazione, questo centro sarebbe stato la sede del regno di Eleno ed Andromaca, che qui avrebbero fondato una piccola Troia. Dionigi non menziona inoltre Andromaca, sebbene nella Ilias parva di Lesche (Fr. 21 (I) Bernabé = Schol. Lyc. Alex. 1268) si narrasse della venuta dell’eroina nella terra dei Molossi, come prigioniera di Neottolemo. Nell’Andromaca di Euripide (1243–1246) si menziona il suo terzo matrimonio con Eleno, dopo la morte del figlio di Achille, a riguardo cfr. con una ricca bibliografia Debiasi 2004, 179–187. 408 Cfr. Dion. Hal. (I, 51): […] δηλοῖ δὲ καὶ τὴν εἰς Βουθρωτὸν τῶν Τρώων παρουσίαν λόφος τις, ᾧ τότε στρατοπέδῳ ἐχρήσαντο, Τροία καλούμενος. Sul problema delle cosiddette città simili a Troia rimando a Musti 1981a. 409 Cfr. Dion. Hal. (I, 51): ἐκ δὲ Βουθρωτοῦ παρὰ γῆν κομισθέντες ἄχρι λιμένος Ἀγχίσου μὲν τότε ὀνομασθέντος, νῦν δ’ἀσαφεστέραν ἔχοντος ὀνομασίαν, ἱερὸν καὶ αὐτόθι τῆς Ἀφροδίτης ἱδρυσάμενοι. 410 Cfr. le note di commento in Vanotti 1995, 166–171. 411 Il qui citato tempio di Era dovrebbe essere verosimilmente identificato con quello di Era Lacinia, situato presso Crotone. Da notare che Virgilio a differenza di Dionigi non menziona alcuno sbarco dei Troiani sul luogo. 412 Cfr. Dion. Hal. (I, 52); cfr. Vanotti 1995, 171–178 sull’intero capitolo, con un’analisi delle tradizioni. 413 Cfr. Dion. Hal. (I, 53): Τεκμήρια δὲ τῆς εἰς Σικελοὺς Αἰνείου τε καὶ Τρώων ἀφίξεως πολλὰ μὲν καὶ ἄλλα, περιφανέστατα δὲ τῆς Αἰνειάδος Ἀφροδίτης ὁ βωμὸς ἐπὶ τῇ κορυφῇ τοῦ Ἐλύμου ἱδρυμένος καὶ ἱερὸν Αἰνείου ἱδρυμένον ἐν Αἰγέστῃ, τὸν μὲν αὐτοῦ κατασκευάσαντος Αἰνείου τῇ μητρί, τὸ δὲ ἱερὸν τῶν ὑπολειφυέντων ἀπὸ τοῦ στόλου τῇ μνήμῃ τοῦ σώσαντος σφᾶς ἀνάθημα ποιησαμένων. Cfr. Vanotti 1995, 179–180. Come Dionigi anche Virgilio attribuisce la costruzione del tempio

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corda ad esempio l’altare eretto sulla cima di Elimo in onore di Afrodite ed ancora i templi costruiti per Afrodite e per Enea. Gli Elimi sarebbero quindi di origine troiana e avrebbero tratto nome dal loro capo Elimo, nelle cui vene scorreva sangue regale414. Salpati dalla Sicilia, i Troiani avrebbero affrontato la navigazione del Tirreno: la prima tappa è Palinuro, il promontorio che prendeva nome da un compagno di Enea, caduto in mare ed annegato; successivamente avrebbero fatto sosta nell’isola di Leucasia, la quale avrebbe preso nome da una cugina di Enea, morta sul posto; infine avrebbero doppiato il Capo Miseno, anch’esso omonimo di uno dei compagni di Enea. Tra le altre tradizioni Dionigi ricorda quella che vuole che Gaeta prendesse nome da una donna troiana che era stata la nutrice di Enea415. Tutte queste tradizioni, oltre ad evidenziare la vitalità e la centralità del mito del viaggio di Enea nella creazione di una comune memoria culturale che legasse Oriente ed Occidente, Grecia, Sicilia ed Italia, mostrano come questi miti si allacciassero alla creazione (ed in alcuni casi alla manipolazione) di un paesaggio sacro, composto da monumenti archeologici comprovanti il passaggio dei Troiani, che aveva lasciato tracce anche nella toponomastica locale.

5d. I Troiani nel Lazio I Troiani, giunti infine a Laurento, si sarebbero accampati quattro stadi distanti dal mare, in un luogo che prenderà poi il nome di Troia. Un’analisi approfondita del testo di Dionigi esula dai fini di questo lavoro; pertanto, come nei paragrafi precedenti, voglio limitarmi a discutere solo taluni aspetti delle tradizioni riportate dal nostro autore. Dionigi avverte che esistevano diverse e divergenti versioni del mito, inerentemente alle sorti di Enea dopo l’arrivo in Italia: vi era chi, ad esempio, raccontava che l’eroe, dopo esser giunto nelle coste, sarebbe tornato indietro in Frigia dove avrebbe regnato sino a quando, morto, gli sarebbe successo Ascanio416. Chi di Venere Ericina ad Enea, mentre Diodoro (IV, 83) la ascrive ad Erice, figlio di Afrodite e Bute, dicendo che Enea avrebbe arricchito il santuario con ricche offerte. Va anche notato che solo Dionigi nomina la dea con l’attributo di Aineias, mentre il resto della tradizione univocamente designa la dea come Venus Erycina. 414 Sul complesso mitico delle origini troiane degli Elimi esiste una nutrita bibliografia, in generale Braccesi 1990, 107–114; Luraghi 1991, 41–62; Mele 1993–1994, 71–109; Vido 1997, 98–114; Sammartano 1998, 54–86 (su Ellanico), 187–191 (su Antioco), 233–246 (su Tucidide); Vanotti 2002, 91–101; ead. 2011, 317–347 (con un’ampia bibliografia sull’argomento); da ultimo D’Aleo 2014, 643–666. 415 Per un’analisi di questo passo rimando in generale a Vanotti 1995, 181–186. 416 Cfr. Dion. Hal. (I, 53, 4): […] εἰσὶ δ’οἱ τὸν ἐξ Ἀφροδίτης Αἰνείαν λέγουσι καταστήσαντα τὸν λόχον εἰς Ἰταλίαν ανακομισθῆσαι πάλιν οἴκαδε καὶ βασιλεῦσαι τῆς Τροίας, τελευτῶντα δὲ καταλιπεῖν Ἀσκανίῳ τῷ παιδὶ τὴν βασιλείαν, καὶ τὸ ἀπ’ἐκείνου γένος ἐπὶ πλεῖστον κατασχεῖν τὴν ἀρχὴν∙ ὡς μὲν εἰκάζω τοῖς Ὁμήρου ἔπεσιν οὐκ ὀρθῶς λαμβανομένοις παρακρουσθέντες. Cfr. osservazioni in Vanotti 1995, 191–193.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

sosteneva questa tesi si basava essenzialmente sulla nota profezia di Poseidone, secondo la quale Enea e la sua stirpe avrebbero regnato in futuro sulla Troade. Il nome dell’autore di questa tradizione è taciuto: probabilmente doveva trattarsi di una rara variante, circolante in ambienti eruditi. Essa è tuttavia interessante in quanto mostra quanto diffuse e ramificate fossero le tradizioni che facevano continuare a regnare in Troade la dinastia dardanide. Dionigi417 narra poi che, attraverso una politica matrimoniale, i Troiani si sarebbero fusi con le popolazioni del luogo, le quali del resto potevano comunque vantare antiche origini greche. Gli Aborigeni, ad esempio, che avevano scacciato dalle loro sedi originarie i Siculi, provenivano dal Peloponneso, più precisamente dall’Arcadia, e sarebbero giunti in Italia sotto la guida di Enotro. Seguivano i Pelasgi, che provenivano dalla Tessaglia, all’epoca chiamata Aimonia. E per ultimi quelli arrivati con Evandro, dalla città di Pallantio. Dopo questi, c’erano le genti al seguito di Eracle: cioè Epei, Feneati ed alcuni Troiani; una generazione più tardi abbiamo l’arrivo dei Troiani con Enea. Dionigi418 racconta che, secondo una tradizione antichissima, i Troiani erano un ἔθνος Ἑλληνικόν, proveniente dal Peloponneso, dall’Arcadia; in tal senso segue un’arcaica genealogia che connetteva la stirpe dei Dardanidi a questa regione, dalla quale sarebbero partiti alla volta di Samotracia, per poi infine arrivare in Frigia. Secondo tale tradizione, Atlas sarebbe stato il primo re dell’Arcadia, il cui regno si trovava nella regione del monte Kaykon. Questi avrebbe avuto sette figlie, divenute in seguito stelle, col nome di Pleiadi; una di queste Elettra, unitasi a Zeus, avrebbe generato due figli, Dardano e Giasone419. Di questi, Giasone non avrebbe preso moglie, mentre Dardano avrebbe sposato Crise, figlia di Pallante, dalla quale sarebbero nati due figli, Ideo e Dimante. Entrambi avrebbero ereditato da Pallante il potere regale sino a quando, sopravvenuto il diluvio, gran parte della terra sarebbe stata allagata. Gli uomini, che si erano rifugiati nelle montagne – si noti il nesso, montagne ed Arcadi – avrebbero deciso di dividersi in due gruppi, dei quali uno sarebbe rimasto in Arcadia con Dimante mentre l’altro, con una grande flotta, avrebbe preso la via del mare. Costoro arrivarono in un’isola, della quale Dionigi non sa dire se fosse abitata o deserta: l’isola di Samotracia. 417

Cfr. Dion. Hal. (I, 60), in generale per un commento a questo capitolo con una discussione delle diverse varianti mitiche cfr. Vanotti 1995, 227–231; a differenza di Virgilio, dove nel quadro tracciato da Evandro (Aen. VIII, 314–336) l’unico popolo di origine greca è quello degli Arcadi guidati da Evandro, Dionigi grecizza le origini di tutte le popolazioni abitanti nel Lazio. Persino gli autoctoni Aborigeni vengono da lui presentati come un ethnos greco. 418 Cfr. Dion. Hal. (I, 63). 419 Cfr. Vanotti 1995, 232–234, che discute le diverse varianti del mito; osservazioni anche in Battistoni 2010, 128–137, che ricostruisce la strumentalizzazione politica di questo insieme di tradizioni.

5. DIONIGI DI ALICARNASSO

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L’isola non avrebbe offerto tuttavia grosse risorse; per questo la maggior parte di essi, sotto la guida di Dardano, avrebbe deciso di emigrare nell’antistante Asia. Giasone, rimasto con pochi nell’isola, sarebbe stato colpito da un fulmine, avendo oltraggiato Demetra. Sbarcati in Asia, Ideo con una parte dell’esercito si sarebbe recato nei monti, che da lui avrebbero tratto il nome di Idei, dove avrebbe eretto un santuario dedicato alla Madre degli Dei, introducendo nella regione il suo culto, che sarebbe divenuto il più importante in Frigia: ἔνθα Μητρὶ θεῶν ἱερὸν ἱδρυσάμενος ὄργια καὶ τελετὰς κατεστήσατο, αἵ καὶ εἰς τόδ χρόνον διαμένουσιν ἐν ἀπάσῃ Φρυγίᾳ. Dardano avrebbe fondato nella Troade una città a lui omonima, per concessione di Teucro, re della regione, da cui quella terra anticamente traeva nome. Questa versione del mito doveva essere quella nota anche ad Atene, se l’attidografo Fanodemo (FGrHist 325, F 13)420 fissava la data del passaggio di Dardano dall’Arcadia in Troade sotto l’arconte Xypetaios. In seguito la stirpe dardanide, tanto per ragioni di alleanza con le popolazioni locali che per popolare il territorio, si sarebbe mischiata con le genti del posto: κρατήσαντα δὲ χώρας συχνῆς τε καὶ ἀγαθῆς καὶ οὐ πολὺ τὸ ἐπιχώριον ἐχούσης γένος ἀσμένως τὸν Δάρδανον ἰδεῖν καὶ τὸ σὺν αὐτῷ παραγενομένον Ἑλληνικόν, τῶν τε πρὸς τοὺς βαρβάρους πολέμων συμμαχίας ἕνεκα καὶ ἵνα ἡ γῆ μὴ ᾗ ἔρημος. Successivamente, morta Crise421, sposa di Dardano, dalla quale sarebbero nati i primi figli, egli avrebbe sposato Bateia, figlia di Teucro. Dal nuovo matrimonio sarebbe nato Erittonio, che la tradizione greca considerava il più felice degli uomini e che per parte di madre poteva aspirare al trono del nonno. Dal matrimonio di Erittonio con Calliroe, figlia di Scamandro, sarebbe nato Tros, eponimo del popolo dei Troiani; da Tros e da Acallaride sarebbe nato Assaraco; da questi e da Clitodora, figlia di Laomedonte, Kapys; quest’ultimo e la ninfa naiade Ieromneme sarebbero stati i genitori di Anchise. Da Anchise e da Afrodite sarebbe stato concepito Enea. Questa lunga digressione etnografica sulle origini tanto dei popoli italici che dei Troiani è forse funzionale a sottolineare le origini greche di questi ultimi che, come precedentemente messo in rilievo, specialmente nell’ambito delle tradizioni ateniesi del periodo posteriore alle guerre persiane, erano stati assimilati ai Frigi e considerati dei barbari. Quella operata da Dionigi è in fondo una costruzione erudita, che attribuisce a tutti i popoli arcaici abitanti il Lazio un’origine greca, nobilitando in questo modo le origini della città che poi dominerà l’ecumene: Roma. 420 421

Cfr. la discussione in Vanotti 2005, 237–238. Cfr. Dion. Hal. (I, 63); cfr. la discussione delle fonti in Vanotti 1995, 238–240.

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CAPITOLO II. LA TROADE ED I SUOI POPOLI: TRA STORIA E MITO

5e. I Penati-Cabiri Dionigi422 parla delle forme di culto importate in Italia dai Troiani, ed in primo luogo tratta del culto dei Penati. A Lavinio Enea avrebbe fatto erigere un tempio, con un sotterraneo nel quale poter riporre al sicuro i simulacri di questi dei, che dai Romani sarebbero stati chiamati Penati. Il testo423 contiene anche le descrizioni delle immagini dei Penati troiani visibili a Roma: si sarebbe trattato di due neaniskoi seduti, armati di lancia, secondo i moduli arcaici. Dionigi stesso rileva, sulla base anche di testimonianze precedenti, un possibile parallelo iconografico con le immagini dei Cabiri di Samotracia. Esisteva una tradizione secondo la quale Crise avrebbe portato in dote al suo sposo Ἀθηνᾶς τε Παλλάδια καὶ τὰ ἱερὰ τῶν Μεγάλων Θεῶν διδαχθεῖσαν αὐτῶν τὰς τελετάς. Dopo aver lasciato l’Arcadia ed essersi trasferiti a Samotracia, Dardano avrebbe eretto sull’isola un tempio dedicato alla celebrazione dei riti dei Grandi Dei, rendendo arretous impronunciabili i loro nomi. Emigrato in seguito in Troade, avrebbe lasciato a quanti erano rimasti nell’isola la prerogativa di poter celebrare i riti di questi dei; tuttavia avrebbe portato con sé in Asia i simulacri di queste divinità. Dardano424, fondata l’omonima città, vi avrebbe costruito un tempio, dove porre questi simulacri sacri che, in seguito, sarebbero stati trasferiti ad Ilio dopo la fondazione della città. Ad Ilio sulla rocca sarebbe stato eretto un tempio, dove essi sarebbero stati riposti e custoditi, in quanto su di essi si fondava la salvezza del centro stesso. Enea, vista perduta la città, avrebbe tratto dagli adyta i simulacri dei Cabiri e il palladio, quello dei due che Odisseo non aveva sottratto, e li avrebbe portati con sé in Italia. Secondo una tradizione tramandata da Arctino, il palladio sarebbe stato donato da Zeus a Dardano, tuttavia questi ne avrebbe fatto preparare una copia perfetta: questa sarebbe stata quella che gli Achei sottrassero. Da Enea sarebbe stato quindi introdotto in Italia il culto dei Megaloi Theoi, lo stesso che era praticato in Grecia a Samotracia, con riti orgiastici; il palladio sarebbe stato invece custodito nel tempio delle Vestali425.

6. Conclusioni Un’attenta analisi delle tradizioni relative a Troia ed alla Troade, tramandate nei frammenti di Acusilao e di Ellanico, ha mostrato come l’immagine di Troia qua422

Cfr. Dion. Hal. (I, 67, 3): τοὺς δὲ θεοὺς τούτους Ῥωμαῖοι μὲν Πενάτας καλοῦσιν∙ οἱ δ’ἐξερμηνεύοντες εἰς τὴν Ἑλλάδα γλῶσσαν τοὔνομα οἱ μὲν Πατρῴους ἀποφαίνουσιν, οἱ δὲ Γενεθλίους, εἰσι δ’οἵ Κτησίους, ἄλλοι δὲ Μυχίους, οἱ δὲ Ἑρκείους. […] σχήματος καὶ μορφῆς αὐτῶν πέρι Τίμαιος μὲν ὁ συγγραφεὺς ὧδε ἀποφαίνεται∙κηρύκια σιδηρᾶ καὶ χαλκᾶ καὶ κέραμον Τρωικὸν εἶναι τὰ ἐν τοῖς ἀδύτοις τοῖς Λαουïνίῳ κείμενα ἱερά, πυθέσθαι δὲ αὐτὸς ταῦτα παρὰ τῶν ἐπιχωρίων. 423 Cfr. Dion. Hal. (I, 68). 424 Cfr. Dion. Hal. (I, 69). 425 Sulle tradizioni letterarie ed iconografiche sul palladio o sui palladia rimando in generale ai documentati lavori di Assenmaker 2007; id. 2010.

6. CONCLUSIONI

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le città barbara, elaborata soprattutto ad Atene come reazione alla propaganda ed all’attacco dei Persiani, non sembra sia stata accettato in tutto il mondo greco. Infatti ad Argo e nell’Eolide, posto che le tradizioni tramandate da Acusilao ed Ellanico non siano espressione di un’opinone personale dell’autore, sembra persistere ancora l’immagine di Ilio come città greca, fondata, in sincronia con Tebe, da Dardano, che avrebbe sposato la figlia di Teucro, re dei Teucri, di origine cretese. Queste tradizioni sono state riprese più tardi, soprattutto nel periodo augusteo – ma anche in quello tardo repubblicano – e valorizzate nella letteratura dell’epoca, particolarmente nelle opere letterarie di Diodoro, Strabone e Dionigi di Alicarnasso, che si confrontano con il complicato tema delle tradizioni troiane, per poi servire come base per la composizione dell’Eneide. Strabone426 che non a caso nel tredicesimo libro ha raccontato in forma di un lungo e dettagliato excursus la storia mitica della regione, mette in luce la vitalità e l’importanza di queste tradizioni a livello locale, ancora ai suoi tempi. Il Geografo di Amasea, usando il testo omerico e servendosi, come fonti, delle dotte opere di Apollodoro, Eforo e Demetrio di Scepsi, sembra non prendere neppure in considerazione l’immagine di Ilio come città barbara, che sicuramente dovette giocare un ruolo molto importante nell’ambito della propaganda politica, ma tende piuttosto a sottolineare la continuità di popolamento del territorio da parte delle popolazioni elleniche. I Troiani sono e restano un popolo greco, che abita in Asia e che intrattiene buoni rapporti con le popolazioni vicine, tracie ed anatoliche, i cui contingenti vengono enumerati nel catalogo delle navi. Proprio questo testo, non a caso, sembra fungere da cartina di tornasole per la ricostruzione della geografia mitica della Troade presso Strabone. Stesso discorso vale anche per Dionigi di Alicarnasso, il quale con dovizia di particolari narra del viaggio di Enea alla volta dell’Occidente. Nel costruire l’immagine di Enea, come eroe civilizzatore e culturale, egli non sembra minimamente prendere in considerazione la possibilità che Troia fosse una città non greca, ed anzi, rifacendosi alle tradizioni eoliche, raccolte da Ellanico di Lesbo, alla pari di Strabone ammette una continuità insediativa ellenica nella regione.

426

Per un’attenta ricostruzione dell’importanza della propaganda augustea per le descrizioni geografiche ed etnografiche del Geografo di Amasea rimando in generale ai documentati lavori di Engels 1999; id. 2007.

Capitolo III I Fenici nel Nord Egeo

1. Le tradizioni letterarie sulla presenza dei Fenici nel Nord Egeo Le testimonianze letterarie sui Fenici427 nelle regioni dell’Egeo settentrionale mostrano come una presenza fenicia, o comunque levantina, potesse trovare spazio ad un livello cronologico di IX sec. a.C. in questi territori. Si tratta di una presenza che è prettamente commerciale e mira ad una presa di contatto con le popolazioni indigene, solo ed esclusivamente per scopi connessi allo scambio e all’acquisizione di materie prime428. A tal proposito vedremo come tale frequentazione sia stata percepita e codificata dal pensiero storico greco nell’ambito delle tradizioni culturali. In questo contesto va inoltre rilevato e sottolineato il ruolo centrale che ebbe il mare quale via di comunicazione, di contatto e di scambio, senza il quale lo sviluppo storico e culturale del Mediterraneo non avrebbe potuto aver luogo: esso infatti rappresentò (e venne percepito) non solo come un elemento divisorio, ma anche come una via da percorrere per esplorare nuovi territori ed acquisire nuove conoscenze429. I protagonisti di questa storia soprattutto nell’Alto Arcaismo ed all’epoca dei viaggi di esplorazione e di colonizzazione greca e fenicia in Occidente furono un variegato popolo di (spesso anonimi) avventurieri430, che contribuirono non poco a scrivere la storia del Mediterraneo in questo periodo. 427

Tutte le tradizioni letterarie sui Fenici si trovano raccolte in Mazza – Ribichini – Xella 1988; tra i diversi studi tesi ad approfondire la visione che i Greci ebbero dei Fenici cfr. Mazza 1988; sul differenziato uso di Fenicio e di Punico nelle fonti classiche cfr. le osservazioni di Moscati 1988; Liverani 1998, con una rassegna critica degli studi sull’argomento. 428 Sull’argomento cfr. il buon quadro d’insieme di Coldstream 1982; in generale sull’espansione fenicia con una ricca bibliografia cfr. Niemeyer 1999; Markoe 2005; ed i diversi contributi nel recente volume Bondì 2009; un’ottima introduzione storica in Morstadt 2015. Va poi citato Sommer 2015, che applica il concetto di “network” all’espansione fenicia nel Mediterraneo. 429 Penso qui allo stimolante libro di Horden – Purcell 2000; cui si aggiungono le considerazioni di Purcell 2003, che mette al centro della riflessione la nozione di “connectivity”. 430 Sulla multietnica mobilità mediterranea rimando in generale ai lavori di Giangiulio 1996 e di Dominguez 2007. Un’utile recente sintesi anche in Malkin 2011.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

2.

I Phoinikes

La questione su chi fossero i Phoinikes e quale fosse la loro origine è annosa ed esula dai fini di questo lavoro. In termini generali Phoinikes è la denominazione che i Greci diedero agli abitanti della Phoinike, ovvero di quella striscia costiera corrispondente grosso modo all’odierno Libano431. Si tratta di un termine attestato sin dall’epoca micenea, quando nelle tavolette degli archivi in Lineare B compare con l’accezione di “rosso”. Va detto, preliminarmente, che non si è accertato ancora definitivamente se l’aggettivo fosse qui usato col valore di etnico, ma sono altrettanto veri anche due fatti: i Fenici chiamavano se stessi in un’altra maniera e la realtà fenicia di età storica, quella che i Greci conobbero in età arcaica (VIII sec. a.C.), nel suo retroterra storico-politico era ben differente da quella dell’età del Bronzo. I Greci scelsero di designare quali “rossi” una serie di popoli originari delle coste del Levante, i quali ad un livello cronologico di Alto Arcaismo erano attivi commercialmente con le loro navi nell’Egeo e nel Mediterraneo; la parola dovette riferirsi in un primo tempo al colore rossiccio della pelle di queste genti, per poi passare a denominazione comune dei popoli abitanti la suddetta zona, popoli tra loro differenti ed aventi designazioni proprie diverse. Storicamente tra i Phoinikes della tradizione greca si devono, infatti, distinguere popolazioni diverse, quali Filistei, Aramei e Siriani, oltre che gli abitanti delle città stato della Fenicia in senso stretto. Sempre affrontando la questione in termini generali, dalle fonti orientali (bibliche in primo luogo) sappiamo che gli abitanti della zona costiera compresa tra la Siria e la Palestina erano designati come Cananei. Nei testi accadici dell’archivio di Nusi il termine kinahnu significa rosso. Nel complesso, come una tradizione di studi specialistici sull’argomento ha messo in luce, già a partire dalla seconda metà del II millennio Canaan si era affermato quale designazione dell’area fenicia432. Il greco sembrerebbe calcare sul nome locale sia la designazione della regione, sia quella del colore433. La ricerca archeologica ha inoltre messo in rilievo l’esistenza di rapporti reciproci tra il mondo egeo, quello dominato dai palazzi minoici e micenei, e quello siro-palestinese, situato tra i due potenti imperi 431

Sull’origine dei fenici si è negli anni accumulata una vasta bibliografia, in generale cfr. Moscati 1963; Garbini 1980a; id. 1993, con bibliografia precedente (si tratta di lavori in cui il filologo semitico riprende e sviluppa la vecchia tesi di Sabatino Moscati). Sulla questione, sulla quale si è accumulata una bibliografia non indifferente, rimando a Xella 2014. 432 Per essere precisi, nel II millennio il termine “Canaan” è attestato in una lettera di Mari e nell’iscrizione di Idrimi re di Alalakh ed all’epoca amarniana esso sembra designare tutta la Palestina e la costa settentrionale del Levante sino a Beirut. Su questi testi cfr. Dossin 1973; Dietrich et al. 1985, 501–504. Sulla questione anche Xella 1995, il quale sottolinea che „Cananei“ come etnonimo è tuttavia assente nelle fonti fenicie. 433 Riguardo all’etimologia di Phoinikes, se si tratti di una parola greca, di origine indoeuropea, o di un termine anellenico di sostrato o di prestito, si è affermata la tesi della derivazione ellenica. Dubita dell’origine ellenica Vandersleysen 1987, il quale propende per una derivazione dal termine egizio fenkhou, anch’esso significante ‘rosso’. Sull’intera questione cfr. Ercolani 2015.

2. I PHOINIKES

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di Hatti e dell’Egitto, che nel II millennio elaborò comunque istituzioni politicoculturali proprie ed autonome434. Per menzionare un concreto esempio d’interscambio culturale, si potrebbero ricordare alcuni frammenti di pareti affrescate, alla maniera minoica, rinvenuti a Tell Kabri in Palestina, nei quali si intravede la raffigurazione di un labirinto e di altri motivi tipici della pittura minoica435. Si tratta della prova evidente del fatto che ad artisti cretesi fosse stata commissionata una tale opera e che per questo si fossero recati sul posto a eseguirla. Altre pitture analoghe sono state riconosciute nei palazzi mesopotamici: segno ulteriore dell’estensione di tali rapporti e della conoscenza diretta, da parte del mondo egeo, dei popoli e delle culture del Vicino Oriente436. Questi dati devono essere valutati con attenzione, in quanto se da un lato mostrano che la realtà mediorientale non era estranea a contatti diretti con le culture egee, dall’altro è pur vero – come già aveva fatto notare Sabatino Moscati437 – che non possiamo proiettare la realtà fenicia del periodo dell’Alto Arcaismo, conosciuta dai Greci sulle rotte della colonizzazione, al Tardo Bronzo, quando le città fenicie si inserivano in un contesto storico e culturale ben diverso da quello col quale i Greci presero familiarità. In altri termini, anche se il poinikijo delle tavolette micenee può essere riferito a una realtà etnica del Vicino Oriente dell’età del Bronzo, l’evoluzione tecnica e culturale nelle città fenicie, dopo gli sconvolgimenti seguiti ai movimenti dei Popoli del mare, che mutarono radicalmente l’assetto del bacino orientale del Mediterraneo, fa di questa realtà etnica un’entità sicuramente ben diversa da quella del periodo miceneo. Tra il X e il IX sec. a.C. i Fenici rappresentarono sicuramente l’elemento nuovo e più attivo in tutto il bacino del Mediterraneo; e pure qui occorrerebbe saper ben distinguere (non sempre ci è possibile) tra Fenici e Fenici. Quella ellenica, come precedentemente posto in rilievo, è infatti una denominazione comune per popoli e genti diverse, talvolta non sempre parlanti una lingua unitaria. La Fenicia di questo periodo non può essere considerata un’entità politica, essendo suddivisa in una serie di città stato, sotto il dominio di un re e territorialmente limitata alla fascia costiera dell’odierno Libano. In questa regione si parlavano una serie di dialetti semitici, da centro a centro si riscontravano anche tradizioni scrittorie alfabetiche diverse; inoltre la varietà stessa dei panthea dei singoli centri è chiara manifestazione della forte identità locale438. Il fatto che all’espansione 434 435

Per un quadro storico cfr. Liverani 1988, p. 693 sgg. Su queste pitture rimando in generale allo studio di Morgan 1995. 436 Sulla questione degli artisti minoici attivi nei regni del Vicino Oriente e nelle corti egizie cfr. il documentato lavoro di Cline 1995. 437 Cfr. Moscati 1963, p. 485: «perché il problema delle origini di un popolo non si risolve proiettando fittiziamente addietro di millenni un’entità che non risulta se non in epoca relativamente tarda della storia, bensì indagando in qual modo tale entità si sia costituita, attraverso il convergere di componenti etniche e culturali, di condizioni ambientali, di stimoli e di reazioni convergenti». 438 Ovunque nei centri fenici si riscontra la preminenza di una coppia divina poliade, costituita da diverse figure e panthea differentemente articolati. A Biblo troviamo Baalat, denomina-

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

commerciale fenicia avessero preso parte elementi aramaici e siriani, rende ancora di più l’idea dell’eterogeneità che si nasconde dietro la designazione ellenica. Va detto che la tradizione greca conosce un’altra denominazione per questo popolo, geograficamente ben precisa e limitata: quella di Sidoni. Troviamo, infatti, i Sidoni menzionati nell’Iliade (VI, 288–295), in relazione alle belle e preziose stoffe da loro vendute ai Troiani. Avremo modo di tornare tra poco su questa testimonianza, per il momento ci si può limitare a far notare come a livello di tradizioni omeriche si abbia il riflesso di una precisa conoscenza della geografia della costa siriana, con la distinzione, nell’ambito di una denominazione generale, di una realtà etnica particolare, quale quella dei Fenici di Sidone.

3.

I Fenici nell’Iliade

Le tradizioni dell’Iliade conoscono una realtà fenicia presente nelle regioni dell’Egeo settentrionale durante la guerra di Troia. Si tratta qui di un’entità in un certo senso marginale, che non partecipa attivamente al conflitto e che intrattiene buoni rapporti con entrambe le parti. Dei Fenici-Sidoni si lodano le merci preziose delle quali essi sono tramite, in primo luogo i variopinti pepli tessuti dalle donne sidonie, che Alessandro avrebbe di persona acquistato in Fenicia quando, di ritorno ad Ilio con Elena, avrebbe fatto tappa in Egitto. Si trattava di tessuti degni di una principessa, tra i quali Ecabe sceglie il più prezioso per consacrarlo ad Atena, sperando in tal modo di guadagnarne la benevolenza. La testimonianza va analizzata a fondo e va posta in primo luogo in relazione ad una tradizione, tramandata in uno scolio439, secondo cui Paride, recatosi nel Peloponneso, sarebbe stato accolto da Menelao, il quale, dovendo recarsi a Creta per compiere sacrifici in onore del suo avo Asterio, re dei Cretesi, avrebbe lasciato solo il suo ospite a Sparta; questi, vista Elena, se ne sarebbe innamorato e l’avrebbe rapita per poi via mare raggiungere Sidone e Tiro, prima di far ritorno a Troia. Interessante notare come questa tradizione sembra far eco a quella del ratto di Io da Argo da parte di mercanti fenici, narrata da Erodoto440: anch’essi, infatti, dopo una sosta nel Peloponneso, dove erano stati bene accolti dalle autorità del palazzo argolico, ricambiano l’ospitalità rapendo la figlia del re. Ora, lo scoliasta non attribuisce la tradizione ad alcun autore, per cui non si è in grado a priori di stabilirne l’antichità, o per lo meno se l’epoca della sua elaborazione vada posta a un livello omerico. A questo zione locale di Astarte con influssi egiziani (Hathor, Iside) e Baal. A Sidone e a Tiro Melqart ed Astarte. A questa coppia divina si accompagnavano poi una serie di divinità minori. 439 Argum. Il. (Cramer III, p. 100): Ἀπελθὼν οὖν Ἀλέξανδρος εἰς Σπάρτην ξενίζεται παρὰ Μενελάῳ∙ ὁ γοῦν Μενέλαος τῷ τότε μέλλων ἀποπλεῦσαι πρὸς Κρήτην ὅπως θύσῃ τῷ αὐτοῦ προπάππῳ Ἀστερίῳ βασιλεῖ Κρητῶν, κατέλειψε τὸν Ἀλέξανδρος ἐν Σπάρτῃ. ὅς ἰδὼν τὴν Ἑλένην κατερχομένην ἐπὶ δείλης ἠράσθε αὐτῆς, ἐρασθείσης καὶ ἐκείνης αὐτοῦ∙ καὶ ἁρπάξας αὐτὴν διὰ Σιδῶνος καὶ Τύρου φυγὼν, ἐν ὅλῳ χρόνῳ ἀπῆλθε πρὸς τὴν Τροίαν. 440 Cfr. Hdt. (I, 2)

3. I FENICI NELL’ILIADE

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si rapporta – in quanto attestata nell’Iliade – solo la notizia di un soggiorno del principe troiano nelle città della Fenicia, dove questi avrebbe acquistato dei beni di pregio, ma nient’altro. La tradizione del passaggio in Fenicia sembra presupporre dei rapporti diretti (quasi di tipo personale) con le città della Fenicia storica (quella appunto di Tiro e di Sidone) e comunque l’uso della parola ὁδὸς in relazione al percorso fatto dal principe troiano dalla Fenicia a Troia, potrebbe indicare l’esistenza di una specifica rotta commerciale marittima, che metteva in contatto le regioni dell’Egeo settentrionale con le coste siriane, questo anche in quanto Paride carica la propria nave di oggetti e merci preziose acquistate in Fenicia. Si tratta, lo ripetiamo, di beni di prestigio, connotanti in un certo senso l’alto rango sociale delle aristocrazie troiane, che sottolineano la funzione di queste genti quali tramite anche di elementi culturali delle civiltà orientali. I Fenici, come mercanti, sono menzionati in altri versi dell’Iliade (XXIII, 740–745)441 in relazione a un prezioso cratere, opera raffinata degli artigiani di Sidone, che essi avrebbero donato a Toante (re dell’isola di Lemno, verosimilmente in cambio della possibilità da questi offerta di utilizzare l’isola quale approdo) il quale ne avrebbe a sua volta fatto dono ad Achille. Anche in questo caso si tratta di un bene di prestigio, opera di artisti fenici, che viene donato ad un sovrano locale, il quale lo acquisisce, a simbolo del suo rango sociale e a sua volta ne fa dono ad un suo pari. Ancora una volta emerge la connessione tra Fenicia e beni preziosi. Interessante anche in questo caso il fatto che essi instaurino, in un certo senso, un rapporto di tipo personale con le aristocrazie del luogo, offrendo ad esse oggetti preziosi, dei quali si comprende subito il valore e la rarità. Vale la pena qui soffermarci sulla particolare posizione di Lemno nell’Iliade. L’isola è sede di un regno, indipendente da quello di Priamo, sul cui trono siedono Issipile, la figlia di Toante, ed i figli da lei avuti con Giasone; la posizione particolare di Lemno nell’ambito dei poemi omerici è stata oggetto di un dettagliato articolo di Jacques Heurgon442, il quale si è soffermato soprattutto ad indagare i rapporti di consanguineità che legano la famiglia regnante sull’isola con le casate regali dei palazzi greci. Di particolare rilievo è che l’isola, pur sotto il dominio di una stirpe ellenica, mantenga una posizione neutrale nel conflitto contro la città di Priamo. Lemno, infatti, pur intrattenendo un rapporto amichevole con gli Achei giunti in Troade – si pensi sempre all’aristocratico dono del cratere d’argento fatto da Euneo ad Achille – non invia truppe d’appoggio all’assedio. Interessante anche che l’isola fosse la sede di un mercato di schiavi, dove, come lamenta Ecuba, alcuni figli di Priamo sarebbero stati venduti da Achille. Il fatto che poi questi nobili schiavi fossero stati acquistati dal padre stesso, che evidentemente, se non di persona, aveva in ogni modo la possibilità di poter inviare suoi rappresentanti nell’isola, pone l’accento ancora di più sulla 441

Per un quadro critico relativo alle fonti storiche sui Fenici si rimanda a Bunnens 1979, in particolare su Omero p. 92 sgg. Utili osservazioni anche in Musti 1981b, p. 27 sgg. Sui Fenici in Omero cfr. lo studio di Niemeyer 1984 al quale rispose Moscati 1985. 442 Cfr. Heurgon 1988; per le tradizioni su Lemnos rimando in generale a Masciadri 2005.

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neutralità dell’isola rispetto al conflitto in corso. Qui va posto in rilievo come la presenza dei Fenici nell’isola non sia casuale, ma si connetta da una parte a tale atteggiamento di neutralità tenuto dai dinasti dell’isola nei confronti del conflitto in corso, poco distante dalle loro coste, dall’altra al suo carattere di porto franco, aperto a tutti. In sostanza i Fenici scelgono Lemno, in quanto qui trovano le condizioni politiche ed economiche favorevoli allo sviluppo dei loro commerci nel territorio, e prendono contatto con le autorità locali, donando loro dei beni di prestigio, i quali a loro volta circolano in una cerchia aristocratica. Lemno, inoltre, con la sua insularità e la breve distanza dalle coste del continente, realizza anche quella condizione di “modo di contatto” adottata storicamente da queste genti, le quali – come narra Tucidide (VI, 1, 6) – prima di prendere contatto con le realtà locali della terraferma erano solite appostarsi in isolette antistanti. Insularità e porto franco rappresentano gli elementi caratterizzanti la presenza fenicia in questa zona dell’Egeo, registrata e codificata nelle tradizioni mitiche443. Vedremo poi in seguito come questa presenza si adatti anche alla situazione storica ed archeologica di queste regioni nell’Alto Arcaismo. Da Omero passiamo ad Erodoto444, il quale è anch’egli per noi testimone di una serie di tradizioni che registrano una diffusa presenza fenicia non solo nelle regioni dell’Egeo settentrionale, ma anche in Beozia e nel Peloponneso. Per quanto riguarda i territori oggetto della nostra ricerca, sono da ricordare in primo luogo le tradizioni relative all’isola di Taso. Lo Storico di Alicarnasso (II, 44) ricorda, in occasione del suo viaggio a Tiro, di aver interrogato i sacerdoti del tempio di Eracle circa le origini e le tradizioni locali di tale culto nella loro patria, spinto soprattutto dall’aver ammirato la ricchezza e la magnificenza delle ricche offerte deposte nel santuario. Essi risposero che si trattava di un culto molto antico, risalente addirittura al periodo di fondazione della città, vecchio perciò circa 2300 anni. In città lo Storico di Alicarnasso segnala la presenza di un altro tempio dedicato ad Eracle, qui adorato con l’epiteto di Tasio. Secondo la tradizione, infatti, i Fenici alla ricerca di Europa sarebbero giunti a Taso e qui avrebbero fondato, insieme alla città che dava il nome all’isola, anche un tempio dedicato ad Eracle. Tali avvenimenti si collocavano cinque generazioni prima della nascita dell’Eracle ellenico, figlio di Anfitrione. Questo si spiegava col fatto che occorreva distinguere all’interno delle tradizioni due Eracle: il primo, il più antico, sarebbe stato una divinità, mentre il secondo, nel tempo più recente, sarebbe stato un eroe, mortale. Per tale motivo, a detta di Erodoto, facevano bene quei Greci che celebravano riti distinti all’Eracle olimpio ed all’Eracle eroe. In un passo del sesto libro445 Erodoto 443

Su questa testimonianza cfr. le osservazioni di Musti 1991, 161–168; tra gli ultimi studi apparsi sull’argomento cfr. Guzzo 2008-2009; Bonnet 2009; Bondì 2012a. 444 Sulle tradizioni erodotee relative ai Fenici cfr. il documentato contributo di Bondì 1990; a riguardo cfr. anche le osservazioni di Mele 1979, p. 87 sgg. 445 Cfr. Hdt. (VI, 47): Εἶδον τὰ μέταλλα ταῦτα, καὶ μακρῷ ἦν αὐτῶν θωμασιώτατα τὰ οἱ Φοίνικες ἀνεῦρον οἱ μετὰ Θάσου κτίσαντες τὴν νῆσον ταύτην, ἥτις νῦν ἐπὶ τοῦ Θάσου τούτου τοῦ Φοίνικος τὸ οὔνομα ἔσχηκε. (2) Τὰ δὲ μέταλλα τὰ Φοινικὰ ταῦτα ἐστι τῆς Θάσου μεταξὺ Αἰνύρων τε χώρου

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connette la presenza di queste genti in questo ambito territoriale allo sfruttamento delle risorse minerarie della regione: scopi commerciali, legati al procacciamento dei metalli, avrebbero spinto i Fenici a Taso e nei territori limitrofi. Nel caso dell’isola è interessante notare la caratterizzazione cultuale che assume la tradizione relativa all’origine del culto di Eracle, ricordata precedentemente. Si potrebbe a proposito in questa sede ricordare una tesi, proposta in anni passati e che fece discutere, relativa ad un’attiva partecipazione delle istituzioni templari delle città stato fenicie alle imprese coloniali446. Nei fatti, i santuari fenici, specie quelli di Tiro, le cui ricchezze erano famose nell’antichità447, potrebbero avere investito parte delle loro risorse economiche finanziando viaggi di esplorazione e spedizioni coloniali ed in particolare la casta sacerdotale del tempio di Melqart a Tiro potrebbe avere giocato un ruolo centrale in tal senso. L’ipotesi certamente va valutata, ma in ogni caso accolta nei termini di una partecipazione indiretta di tali elementi sacerdotali al movimento di colonizzazione. Nel complesso occorre anche tenere conto del fatto che la tradizione sull’Eracle di Taso venne raccolta da Erodoto proprio in Fenicia, nel corso di una discussione con i sacerdoti addetti al culto di Melqart: si trattava senza dubbio di una tradizione di ambito templare, che presuppone in ogni caso per lo meno la conoscenza da parte dei sacerdoti di Tiro dell’esistenza nell’isola di Taso di un culto affine. Un’altra isola in cui i Fenici agiscono è Samotracia. Le tradizioni relative all’ isola sono state precedentemente in parte analizzate. Si ricorda qui in sintesi che καλεομένου καὶ Κοινύρων, ἀντίον δὲ Σαμοθρηίκης, ὄρος μέγα ἀνεστραμμένον ἐν τῇ ζητήσι. Su questo passo cfr. le osservazioni in Bonnet 1988, che analizza in maniera approfondita l’intera tradizione sull’Eracle fenicio di Taso. Per una sintesi sulle tradizioni di Thasos rimando a Müller 2010. 446 Cfr. Acquaro 1988, 187–89, per un punto sulla questione; la tesi dello studioso non ha trovato, tuttavia, unanimi consensi; Sandro Filippo Bondì, ad esempio, pur ammettendo la partecipazione di una componente templare alle imprese di colonizzazione, ma soprattutto di esplorazione - componente che si badi bene, avrebbe solo finanziato i viaggi - sottolinea la presenza nelle città fenicia di una ricca classe mercantile, talvolta abbastanza indipendente dal potere centrale, la quale a causa dell’espansionismo assiro si sarebbe fatta promotrice delle imprese di colonizzazione; a riguardo Bondì 1978, una posizione che lo studioso ha poi ribadito in Bondì 2001; stessa posizione di dovuta cautela o comunque di ridimensionamento di una preponderante partecipazione della componente templare è pure espressa da Piero Bartoloni nelle sue considerazioni sulla precolonizzazione fenicia (Bartoloni 1990). Per un’analisi delle fonti letterarie ed archeologiche attestanti l’eccezionale ricchezza dei santuari fenici e punici cfr. il documentato studio di Grottanelli 1981, 109–133, in part. p. 130. Per quanto riguarda ancora il fenomeno della precolonizzazione cfr. la messa a punto di Ridgway 2000. Sull’uso (ed abuso) del termine precolonizzazione ha avuto luogo negli ultimi anni un acceso dibattito, che in questa sede non si intende ripercorrere; in generale alcuni studiosi preferiscono ad esso termini meno impegnativi come ad esempio “frequentazione”, sulla questione rimando in generale a de Vido 2013, in part. pp. 70–71; difende invece l’uso del termine Bondì 2012b, in part. pp. 41–42. 447 Sulle ricchezze e sul ruolo dei santuari fenici quale luogo d’incontro e di scambi con le culture straniere utile il quadro storico-culturale tracciato da Grottanelli 1981.

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secondo la tradizione, tramandata da Diodoro Siculo (V, 45), Cadmo, alla ricerca di Europa, sarebbe giunto in quest’isola, dove avrebbe sposato Armonia448, sorella di Giasone e Dardano e figlia di Zeus e di Melibea. La presenza fenicia a Samotracia nelle tradizioni si connette alla nascita di importanti istituzioni cultuali, quali i riti misterici relativi ai Coribanti e alla Grande Dea. Il matrimonio tra Cadmo ed Armonia, al quale partecipano le divinità dell’Olimpo, sancisce in un certo senso la fusione e la coesione tra l’elemento locale dell’isola con quello straniero, che viene dall’Oriente. Secondo il mito sarebbero, quindi, esistite sull’isola tre componenti etniche: quella greca, quella locale (tracia) e quella fenicia. L’elemento religioso costituisce in questo senso il denominatore comune di fondo, che unifica questi tre elementi. Come a Taso, anche a Samotracia è interessante rilevare che se da un lato le tradizioni greche percepiscono e codificano nel mito la presenza di elementi fenici nei culti locali, dall’altro storicamente abbiamo da parte ellenica una ripresa e una continuazione di tali culti, segno forse di una volontà, per lo meno nella prima generazione di coloni, di integrarsi con le culture locali con cui si veniva a contatto, con questo mondo dell’altro, del quale si coglievano non solo le differenze, ma spesso anche inspiegabili analogie, da rapportare ad un comune antico sostrato culturale.

4. Le vie di contatto Soffermiamoci ora in breve sulle vie percorse dai Fenici. Si è detto che il mare costituiva il canale privilegiato, attraverso il quale entrare in contatto con le culture ed i popoli stranieri. A tal proposito, proprio in relazione alle regioni dell’Egeo settentrionale ed in modo più specifico alla Troade, si è precedentemente visto come il poeta dell’Iliade conoscesse, forse, una rotta, che lungo le coste dell’Asia Minore, collegava le città fenicie ad Ilio: si tratta della via percorsa nel viaggio di ritorno da Paride con Elena. Doveva trattarsi di una via commerciale, in quanto in maniera esplicita nei versi in questione si dice che la nave sulla quale viaggiava il principe troiano era carica di stoffe e di altre merci preziose. Per il resto non dimentichiamo il ruolo dell’isola di Cipro, che si fece mediatrice per la Grecia di molti elementi di cultura levantina e la presenza di una comunità fenicia nell’isola di Rodi a Ialiso449, presenza che trova riscontro non solo nella cultura materiale dell’isola, ma anche in una serie di tradizioni letterarie, in parte trattate 448

Sulle tradizioni relative al matrimonio di Cadmo e di Armonia si rimanda al lavoro di Rocchi 1989; Calasso 1991 con un’attenta analisi di tutte le varianti mitiche. 449 Su questa comunità cfr. lo studio di Coldstream 1969, 1–15; va ricordato a proposito che esisteva una tradizione mitica secondo la quale Cadmo avrebbe fondato sull’isola il santuario di Posidone (cfr. Diod. V, 58, che afferma di aver attinto all’opera di uno storico locale di nome Zenone). Per quanto riguarda i materiali rinvenuti sul luogo, lo studioso inglese nota una grande affinità con la ceramica di Cipro che funse forse da tramite con la Fenicia.

4. LE VIE DI CONTATTO

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in precedenza. Comunque nel complesso la tradizione di età arcaica è unanime nell’assegnare ai Fenici una grande familiarità con i mari. Tuttavia, è bene non dimenticarlo, è anche vero che esisteva un’altra via di penetrazione attraverso l’interno dell’Anatolia450. Sappiamo sino all’VIII sec. a.C. dell’esistenza di una serie di regni, non molto estesi, situati nella zona di confine tra la Siria e l’alto corso dell’Eufrate, comunemente chiamati stati neoittiti451. Essi nacquero in sostanza dopo la fine dell’impero ittita e sul piano delle tradizioni dinastiche, a quanto possiamo apprendere dall’onomastica e dalle titolature imperiali452, questi monarchi tentavano di presentarsi come i continuatori legittimi della casata imperiale ittita. Sulla loro storia e cultura siamo abbastanza informati non solo dalle fonti imperiali assire, ma anche da un nutrito numero di iscrizioni453, redatte in un tipo di scrittura chiamato luvio geroglifico, di contenuto in genere celebrativo. In questi regni si parlava una lingua, il luvio, che seppure con diverse sfumature dialettali, nel complesso appare essere abbastanza unitaria. Stando in una zona di confine e di transito è logico che la cultura materiale di queste regioni risentisse degli influssi delle civiltà vicine, quella assira e quella dei regni aramaici della Siria454, come comunque già da tempo è stato posto in evidenza. Questi territori divennero poi oggetto della lenta, ma costante, infiltrazione di tribù aramaiche – si trattava di nomadi, dediti in genere all’allevamento, che spesso seguivano le vie della transumanza, ma che poi finirono spesso per insediarsi stabilmente in Anatolia – le quali contribuirono a variegarne il quadro etnico455. Oltre che con gli stati siriani, i regni neoittiti intrattenevano rapporti diplomatici e commerciali con le città fenicie ed anzi la lingua fenicia sembra considerata, accanto all’aramaico, una lingua di prestigio culturale, importante non solo per i commerci. A testimonianza di ciò si possono ricordare le epigrafe bilingui di Karatepe e di Cineköy456, datate tra X e IX sec. a.C. e redatte in 450

Sulle vie commerciali percorse dai Fenici in Anatolia cfr. Kestemont 1972; id. 1985, 141 sgg.; Lebrun 1987; Botto 1988; sui rapporti con l’Assiria Pettinato 1975. 451 Sui regni neoittiti cfr. la sintesi storica di Hawkins 1982; Mazzoni 1981; cfr. anche il quadro storico tracciato da Liverani 1988, 736–750; utile con una discussione delle iscrizioni luvie di contenuto storico Jasink 1995; da ultimo cfr. i diversi contributi con una ricca bibliografia in Melchert 2003 e Bryce 2012. 452 Sulle titolature luvie che ricalcano quelle imperiali ittite cfr. lo studio di Jasink 1998. Per quanto riguarda la continuità cultuale cfr. lo studio sempre di Jasink 1991. 453 Cfr. Hawkins 2000. 454 Sui regni luvio-aramaici della Siria cfr. con un’ampia bibliografia i seguenti lavori di Mazzoni 1994b; ead. 1995; ead. 1997, 307–338. 455 Sull’espansione aramaica di X–IX sec. a.C. cfr. la sintesi storica di Liverani 1988, 715–735; per approfondimenti si rimanda a Dupont – Sommer 1949; Sader 1984; Garbini 1993b, con una serie di saggi per la maggior parte di carattere linguistico ed epigrafico, interessanti le riflessioni sull’arte aramaica alle pp. 203–219. Tra gli studi più recenti cfr. Dion 1997; Lipinski 2000. 456 Sulla bilingue di Karatepe esiste una bibliografia immensa, in generale per un inquadramento oltre che linguistico, anche storico-culturale del documento si rimanda allo studio di Amadasi

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luvio geroglifico da una parte e in alfabeto fenicio (tirio) dall’altra, che documentano in maniera inequivocabile la presenza di elementi fenici in questo stato, in uno dei momenti di massima espansione commerciale delle città stato della costa levantina. Massimo Botto457 ha ad esempio posto in evidenza come la politica espansionistica assira, che nel 706 a.C. condusse all’assoggettamento dell’ultimo regno neoittita, avesse avuto come immediata conseguenza per l’economia fenicia la sottrazione ai mercanti di Tiro e di Sidone delle ricchezze metallifere e boscose delle regioni del Tauro e dell’Amano. Inoltre l’eliminazione di tutte quante le più importanti casate aramaiche e luvie toglieva loro in ogni caso la possibilità di smerciare presso queste ricche corti i prodotti di lusso del loro artigianato. Fu, infatti, la chiusura del mercato anatolico che spinse Tiro a potenziare i suoi commerci verso l’Occidente458 (Iberia, Etruria). Tornando all’iscrizione di Karatepe, André Lemaire459, sottolineando l’importanza di trovare documenti alfabetici in Cilicia, ad un livello cronologico così alto, ha suggerito la possibilità che la tradizione fenicia, già presente in queste regioni, possa avere giocato un ruolo nella genesi delle altre tradizioni scrittorie epicoriche anatoliche, quali quella della Licia460, della Lidia461 e della Frigia462, sulla constatazione anche del fatto che prima del blocco assiro elementi levantini potevano liberamente circolare nelle corti dei dinasti anatolici. Si tratta di una pista che potrebbe essere seguita in futuro, anche in connessione ad altri elementi presenti tanto nella cultura materiale locale che nelle tradizioni greche. Tornando ancora alla questione dell’espansione interna, si è prima accennato ad una penetrazione di elementi aramaici in Anatolia, i quali, seppure in genere nomadi, erano pur sempre portatori di proprie tradizioni ed avevano una propria identità. Ora nelle fonti greche si trovano menzionati i Siri, tra i popoli abitanti Guzzo – Archi 1981; sull’iscrizione di Cineköy con un’aggiornata bibliografia cfr. Lanfranchi 2007; id. 2005, con una ricostruzione del periodo storico; una trattazione a parte meriterebbe un’iscrizione in luvio imperiale (Kark. A 6, 2–3; Kark. A 15b, 4) rinvenuta a Karkemish, in cui Jarili, il dinasta locale, si vanta della conoscenza di ben dodici lingue e di quattro sistemi scrittori; di particolare interesse risulta la denominazione della lingua dei Fenici, quale “lingua dei Siri” (Surazza), accanto alla quale compaiono la lingua dei Lidi (Musazza) e quella dei Frigi (Muskazza), significativamente il nostro principe sembra ignorare il greco; per un’analisi storico-linguistica di questo importante documento cfr. Starke 1997. Per un’analisi complessiva dei reperti archeologici ed epigrafici del sito cfr. la documentata monografia di Çambel – Özyar 2003, 57–115 (catalogo dei monumenti figurativi), 123–140 (analisi dei rilievi). 457 Cfr. Botto 1990, in part. p. 165 sgg.; cfr. anche la recente sintesi storica di Aubet 2008, 247– 259. 458 Per le influenze culturali levantine cfr. in generale con un’utile raccolta dei materiale Botto 2000, 63–98; id. 2008, 157–179, con un’ampia bibliografia. 459 Cfr. Lemaire 1991. Cfr. anche le osservazioni di Garbini 1978a. 460 Sulla scrittura licia cfr. Carruba 1978. 461 Sull’alfabeto lidio cfr. Gusmani 1978. 462 Sulla tradizione scrittoria frigia cfr. Lejeune 1978.

4. LE VIE DI CONTATTO

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l’Anatolia, fra i quali sulla base del colore della pelle si distinguono i Leukosyroi, localizzati a Nord verso la Colchide ed i Syroi, la popolazione della Cappadocia. Interessante è soprattutto la documentazione erodotea. Lo Storico di Alicarnasso (I, 6) fa menzione dei Siri quali abitanti della Cappadocia, ponendoli tra i popoli non soggetti a Creso; egli si rende conto dell’omonimia e nel secondo libro afferma che tra i popoli abitanti la Palestina ci sono i Fenici ed i Siri, che sostanzialmente parlano la stessa lingua, mentre nell’Anatolia del Nord, verso il paese dei Colchi è localizzata una popolazione di Siri, il cui territorio è attraversato dal fiume Termodonte463. Egli poi aggiunge che i Greci indicano col nome di Siri anche gli abitanti della Cappadocia464, i quali sono anche noti come Siri Cappadoci (Syroi Kappadokai): si trattava di un uso tuttavia invalso anche presso i Persiani, come si legge in un passo del libro settimo465. Ora di questi Siri a tutti gli effetti non sappiamo quasi niente, si potrebbe pensare ad una sorta di denominazione comune che indicava quegli elementi etnici parlanti una lingua analoga all’aramaico, immigrati in Anatolia. Una conferma in tal senso potrebbe forse venire da una testimonianza di Strabone (XIII, 4, 6), secondo la quale i Siri erano conosciuti anche col nome di Arimoi, analogo a quello di Aramaioi; infatti i Cilici che avevano partecipato alla guerra di Troia si sarebbero stanziati in Siria e quella parte della regione da loro abitata avrebbe preso il nome di Cilicia. Il Geografo di Amasea cita poi un passo dello storico Callistene, secondo cui gli Arimi erano da localizzarsi nei pressi del territorio dove si trovava l’antro Coricio e che da essi avrebbero tratto nome i monti Arimi. Di questa testimonianza è in primo luogo d’interesse l’accostamento dei Siri con gli Aramei, in secondo luogo il fatto che la Cilicia era considerata in antico appartenere alla Siria, dalla quale se ne sarebbe staccata in seguito all’occupazione di una popolazione anatolica, quella dei Cilici appunto, di ritorno da Troia. La problematica meriterebbe qui maggiore spazio, tuttavia varrebbe la pena di rilevare che la Cilicia nel IX sec. a.C.466 era sede di un regno luvio, che intratteneva stretti rapporti commerciali e politici con la Siria e con la Fenicia, e che da qui proviene l’iscrizione di Karatepe, alla quale si è prima accennato, in cui – elemento da valutare molto attentamente – i Fenici, come del resto in uso anche in altri documenti luvi contemporanei, vengono chiamati Syrawa, ovvero Siri. I Fenici in Anatolia da parte luvia erano infatti conosciuti non con la denominazione di Phoinikes, che è di ambito ellenico, ma con quella di Siri. Riassumendo, sulla base delle fonti greche, sappiamo dell’esistenza di una 463

Cfr. Hdt. II, 104. Cfr. Hdt. I, 72. 465 Cfr. Hdt. VII, 72. 466 Sulla Cilicia cfr. Jasink – Desideri 1990. Sulla presenza di comunità greche nella regione in questo periodo cfr. Jasink 1988; ead. 1989; da ultimo su questo tema con una valutazione delle fonti assire ed un’ampia bibliografia cfr. Rollinger 2001; id. 2003; su questo tema cfr. anche Lanfranchi 2000; Rollinger 2007.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

popolazione chiamata Syroi, abitante i territori della Cappadocia pontica e della Cilicia; all’interno di essa va poi distinta un’altra componente etnica, che a causa del colore della pelle prendeva il nome di Leukosyroi467.

5. I popoli fenici Naviganti fenici, o sarebbe meglio dire siro-palestinesi, frequentavano l’Egeo e la Grecia, potendosi spostare con una certa libertà nell’ambito delle compagini politiche dell’Anatolia. Occorrerebbe tuttavia ben distinguere, come precedentemente rilevato, le diverse componenti siro-levantine che si nascondevano dietro la denominazione di Phoinikes, sempre restando in un ambito cronologico di X–VIII sec. a.C. In tal senso, Giovanni Garbini è ad esempio, da tempo, uno dei fautori della tesi aramaica: sulle navi fenicie potevano infatti trovare posto non solo tiri e sidoni, ma anche aramei, Ciprioti e Filistei468. Alcune lettere apposte su frammenti di ceramica di VIII sec. a.C., rinvenuti a Pitecussa, sono state interpretate proprio dallo studioso di Roma, come relative ad una tradizione alfabetica aramaica, facendo ipotizzare che sull’isola fossero presenti elementi aramaici, in possesso della propria tradizione scrittoria469. Un altro caso significativo è dato dalla bardatura di fattura siriana del paramento di un cavallo470, offerta come dono nel santuario di Era a Samo e proveniente – com’è stato ricostruito – dal tesoro del palazzo reale del regno aramaico di Damasco, saccheggiato dagli Assiri nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. Maria Giulia Amadasi471 ha interpretato l’iscrizione apposta sull’oggetto come aramaica, ipotizzando che fosse stata dedicata alla divinità del santuario da qualche ricco mercante di passaggio. Non dimentichiamo, infine, la presenza di comunità fenicie in ambito greco. Si può ricordare quella presente a Rodi, più precisamente a Ialiso, documentata archeologicamente. Di grande im467

Su questi popoli cfr. Olshausen 1999, che raccoglie le fonti storiche; sull’argomento cfr. anche il recente documentato studio di Dan 2011. 468 Cfr. Garbini 1988. Per quanto riguarda gli oggetti con iscrizioni cfr. lo studio di Bisi 1989, la studiosa sottolineava che non sempre è possibile distinguere con chiarezza se si tratti di fenicio o di aramaico, tuttavia si tratta sempre di oggetti di pregio, che circolavano esclusivamente in ambienti aristocratici. La Bisi richiamava anche l’attenzione sul fatto storico che nel 732 a.C. il regno di Damasco venne conquistato dagli Assiri e che il tesoro regale si disperse: non sarebbe per questo da escludere che alcuni oggetti preziosi di questo tesoro circolassero indipendentemente da tramiti aramei. In generale sulle iscrizioni semitiche rinvenute in contesti non semitici cfr. Amadasi Guzzo 1987. 469 Garbini 1978b, l’interpretazione di Giovanni Garbini non è stata tuttavia accettata da tutti. In generale sulla questione della presenza di una comunità di Orientali a Pitecussa rimando con una messa a punto della questione ed una ricca bibliografia a Caraffa 2008. 470 Cfr. Röllig – Kyrieleis 1988, per quel che concerne l’iscrizione pp. 62–75. 471 Cfr. Amadasi Guzzo 1987, 18 sgg.

6. LE ROTTE FENICIE E LE LORO COMPONENTI ETNICO-CULTURALI

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portanza è inoltre l’esistenza di una comunità fenicia a Tekke, nell’isola di Creta, la quale oltre ad aver lasciato delle testimonianze scritte, possedeva anche un proprio centro cultuale, al quale sono stati dedicati degli studi specifici472. Per quanto riguarda i Fenici in senso stretto – con riferimento in questo caso alle genti abitanti le città stato delle odierne coste siro-libanesi –- sappiamo, come accennato, che essi erano divisi in piccoli regni indipendenti, di poca estensione territoriale, in genere aventi come fulcro un grosso centro urbano. Queste città stato erano rette da una monarchia; di tali monarchi troviamo menzione nelle fonti bibliche473, quando ad esempio, si legge che Salomone si sarebbe rivolto al re di Tiro per avere artigiani che costruissero a Gerusalemme il tempio. Si pensa che le città di Tiro e Sidone fossero rette da un unico re, residente a Tiro, città quest’ultima che ebbe un ruolo da protagonista nell’espansione di queste genti sui mari. Sono, infatti, marinai di Tiro a condurre in Fenicia Ino, figlia del re di Argo. Un altro centro urbano che dovette, seppure marginalmente, prendere parte all’espansione fenicia sui mari fu quello di Biblo474, riguardo al quale Stefano di Bisanzio475 tramanda un’interessante tradizione secondo cui l’isola di Melos sarebbe stata abitata da un nucleo di genti levantine provenienti da questa città. Si tratta di una tradizione isolata, che non trova riscontro in altre fonti e che sinora, a quanto è dato di sapere, non ha trovato alcuna conferma archeologica.

6.

Le rotte fenicie e le loro componenti etnico-culturali

Si è precedentemente posto in rilievo come con la denominazione comune dei Fenici i Greci designassero tutta una serie di elementi etnici, di origine aramaica, siriana, cananea, filistea ed anatolica, in una prospettiva storica in un certo modo abbastanza generalizzante. Il progredire delle ricerche archeologiche ha permes472

Per un inquadramento archeologico del sito cfr. Shaw 1989, utile soprattutto per l’illustrazione del materiale rinvenuto; interessante appare la presenza di un edifico templare di tipologia fenicia, analogo a quelli messi in luce in Occidente, in cui sono state rilevate tre fasi di rifacimento, a dimostrazione della continuità insediativa della comunità semitica nel sito; dello stesso studioso cfr. anche Shaw 1998; id. 2000; a riguardo cfr. anche il documentato lavoro di di Vita 1992-1993, con un’ampia bibliografia; Kourou 2000; Stampolidis – Kotsonas 2006. Per quanto riguarda i materiali epigrafici cfr. Sznycer 1979; d’interesse è anche il fatto che nell’ambito del santuario locale si siano emersi una serie di frammenti ceramici inscritti, rapportabili però ad alfabeti non solo cretesi, ma anche della Grecia centrale, cfr. Csapo 1991; id. 1993. Su queste iscrizioni cfr. anche le osservazioni di Lazzarini 1999, in part. p. 55 sgg. Si segnala inoltre la pubblicazione di tre volumi sui materiali neolitici e minoici del sito, AA.VV. Kommos, I–III, Princeton 1990–1995. 473 Per una discussione sulle fonti bibliche si rimanda al libro Bunnens 1979, 66 sgg. 474 Su Biblo cfr. Acquaro et al. 1994, in part. per quanto riguarda l’espansione coloniale della città cfr. Bondì 1994a, secondo cui la città cadde in uno stato di crisi a partire dal IX sec. a.C. 475 Cfr. Steph. Byz.: Μῆλος, νῆσος μία τῶν κυκλάδων ὀμώνυμον ἔχουσα πόλιν. Φοίνικες οὖν οἰκισταὶ πρότερον, ὅθεν καὶ Βυβλίς ἐκλήθη ἀπὸ τῶν Βυβλίων Φοινίκων.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

so, in tempi anche relativamente recenti, di poter distinguere in termini di cultura materiale tali componenti, andando oltre l’appiattimento storico di tale designazione comune. Parte degli sforzi degli studiosi si è indirizzata ad individuare le rotte e le correnti commerciali, che partendo dalla costa levantina, interessarono la Grecia e l’Occidente. Nel complesso sulla base dei dati archeologici ed epigrafici si riescono a distinguere quattro grosse linee commerciali476, cronologicamente databili all’inizio del I millennio. La prima, che interessa l’area della costa settentrionale del levante, ha come protagonisti centri quali Al-Mina, Ras Ibn Hani, Tell Sukas, antichi porti fluviali dell’Oriente, che intrattenevano rapporti commerciali anche con la Grecia; tale corrente commerciale era composta da elementi siriani, aramei e fenici e promossa dai sovrani damasceni477. Scendendo lungo la costa si incontra il territorio delle città filistee, anch’esse attive nei traffici con l’Occidente: su tali centri e su quelli della Palestina a Sud del Carmelo faceva perno la seconda corrente commerciale, che possiamo definire filistea. La terza è quella fenicio-cipriota, alla quale prendevano parte tanto elementi dei centri fenici dell’isola, con le loro tradizioni e con la loro cultura, quanto gli abitanti dei centri costieri del continente antistante: a tale corrente si deve secondo la tradizione la fondazione di Cartagine. Abbiamo infine la linea commerciale di Tiro e del suo regno, che comprendeva diversi centri della costa, tra i quali Sidone. Il quadro che emerge non è, come si vede, lineare e facile da semplificare: fu, infatti, la tradizione greca, come ha sottolineato giustamente Giovanni Garbini478, ad accorpare in una sincronia fittizia i partecipanti a questi quattro gruppi, definendoli come Phoinikes. Le componenti di tutti questi gruppi si diversificavano, infatti, tanto in termini di tradizioni culturali, quanto sotto l’aspetto della cultura materiale ed anche della lingua. Per fare un esempio concreto, riguardo ai costumi funerari, i Fenici-Ciprioti di Cartagine usavano l’inumazione, mentre presso la maggior parte dei Fenici d’occidente si praticava l’incinerazione. Abbiamo anche differenze d’approccio e di presa di contatto col territorio: nel caso delle correnti siriana e filistea, si tratta di attività connesse con imprese commerciali; mentre, nel caso delle altre due, si ha l’evoluzione a veri e propri stanziamenti coloniali, che differiscono di poco dalle quasi contemporanee colonie greche. Si ha anche una differenziazione cronologica: le prime due correnti sono attive soprattutto tra il XII ed il IX sec. a.C. e sono più varie e composite; quelle fenicie non sem476

Sul tema delle rotte commerciali fenicie e delle loro componenti etniche si rimanda al documentato studio di Bartoloni 1995; id. 2009. 477 Va anche tenuta conto della presenza di comunità greche, essenzialmente di artigiani e di mercanti, che risiedevano in questi centri e che sicuramente svolsero un grosso ruolo nella trasmissione degli elementi di cultura orientale in Grecia; non scendo qui nei dettagli sulla natura e sul ruolo della presenza greca in queste città mercantili del Vicino Oriente antico, presenza giudicata in varia maniera dagli studiosi, in generale rimando allo studio di Boardman 2001. 478 Cfr. Garbini 1993a, p. 74.

6. LE ROTTE FENICIE E LE LORO COMPONENTI ETNICO-CULTURALI

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brano invece consolidate fino alla fine del IX sec. a.C. Questa cronologia è valida soprattutto per la corrente fenicio-cipriota, che si concretizza con la fondazione di Cartagine allo scorcio del IX sec. a.C. Per quanto riguarda la corrente tiria, etnicamente e politicamente più omogenea, in Sardegna, Sicilia e Spagna, la sua azione si colloca cronologicamente verso la fine del IX sec. a.C. Nell’ambito della corrente nord-siriana si rilevano elementi rodi, molto evidenti soprattutto a Pitecussa. Proprio a Pitecussa479, ad esempio, tra i materiali orientali, quelli propriamente definibili fenici sono veramente molto pochi e quasi tutti databili al Tardo Geometrico II. Questo dato si associa a quello di Al Mina, in cui accanto ad un repertorio vasto di oggetti ciprioti la ceramica propriamente fenicia è poco rappresentata. Come detto, una componente rodia si rileva nella rotta siriana, questo in quanto l’isola di Rodi era una tappa importante e quasi obbligata nella rotta settentrionale, che partendo dalle coste del levante arrivava in Occidente. Da Rodi480 la rotta si biforcava: a Nord per le Cicladi, l’Eubea e l’Egeo settentrionale481 (da ciò le tradizioni dei Fenici a Taso e a Samotracia); a Sud per Scarpato e Creta. Da Creta l’itinerario si dipartiva ancora una volta in due direzioni. Attraverso la prima, si risaliva il Peloponneso passando per Citera, per ricongiungersi con la rotta settentrionale, che transitava per lo stretto di Messina, appoggiandosi alle Lipari, per poi giungere in Sardegna. Attraverso la seconda, si arrivava all’arcipelago maltese, per poi raggiungere la Sicilia e la Sardegna. Storicamente, l’insediamento di Pitecussa rappresenta uno degli ultimi esempi ai quali partecipa la corrente nord-siriana, che si esaurisce nel momento in cui gli Eubei passarono dalla fase mercantile a quella coloniale, quasi in concomitanza con la sottomissione politica dei regni aramaici della Siria – primo tra tutti quello di Damasco – alla potenza politica assira. Il centro pitecussano rappresenta, infatti, l’ultimo insediamento noto con vocazione commerciale a carattere misto, piuttosto che la prima colonia di popolamento in Italia, quale fu alcuni decenni più tardi Cuma. 479

In generale sulla cultura materiale di Pitecussa si rimanda al libro di Ridgway 1984; tra gli studi più specifici che rilevano il carattere misto della cultura dell’isola mi limito a citare Buchner 1975; Coldstream 1994; Greco 1994; Mele 2003; Schweizer 2006, 147–163 (sugli aegyptiaka); Carafa 2008; Granser 2016, sulla necropoli di San Montano. 480 A proposito di Rodi vanno segnalati Peserico 1996; ead. 2000, in cui la studiosa, partendo dall’analisi dell’evoluzione della ceramica fenicia d’uso di produzione rodia, considerata quindi non come bene di prestigio, ma come oggetto di uso quotidiano, in relazione alla presenza ed allo spostamento di genti dalle comunità fenicie dell’isola, individua un vero e proprio flusso migratorio di elementi levantini dall’isola tanto verso Creta che in direzione delle colonie d’Occidente. 481 A tale rotta andrebbero ricondotti anche tutta una serie di manufatti artigianali databili tra VIII–VII sec. a.C. rinvenuti nell’Artemision di Efeso, che attestano una frequentazione di questo santuario da parte di genti levantine, sulla questione cfr. Bammer 1985; da ultimo con una ricca bibliografia cfr. Schweizer 2006, 176–181.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

7.

Stratigrafia mitica delle tradizioni sui Fenici

A livello di stratigrafia mitica la tradizione ha posto il momento di massima espansione fenicia nell’Egeo all’epoca di Cadmo482, connettendo il suo avvento ad un viaggio di ricerca di una principessa tiria rapita, un motivo topico e dai tratti fiabeschi. Il suo livello cronologico nel mito è legato alla fondazione di grossi centri (Ilio e Tebe), che nascono nel contempo sia come luoghi di culto che come centri urbani. Si tratta certamente di un dato che occorre tenere sempre ben in considerazione. Sempre a livello “cadmeo”, la presenza fenicia si mostra localizzata in determinate zone, prima insulari (Taso, Thera e Samotracia), poi continentali; essa è portatrice – come rilevato in precedenza – di elementi cultuali, prima trasmessi alla popolazione del luogo e poi ripresi e continuati dai Greci. Successivamente la tradizione a livello omerico registra la presenza di elementi fenici da Sidone a Lemno, un’isola – come fatto precedentemente notare – che resta neutrale nel conflitto che si stava svolgendo poco lontano dalle sue coste, e che ha le caratteristiche di un porto franco aperto a tutti. La loro attività si caratterizza in questo caso in termini puramente mercantili, limitandosi infatti a rapporti commerciali con entrambi i contendenti e non prendendo parte attiva al conflitto; i Fenici dell’Iliade non sono connessi alla figura di qualche eroe o combattente, essi hanno rapporti diretti con le aristocrazie, alle quali vendono merci preziose di provenienza orientale e di fine manifattura, quale il prima citato cratere di Euneo, che i nobili possono esibire come beni di prestigio, in rappresentanza della loro classe sociale. Un’altra importante caratteristica di queste genti, a livello epico, è che esse non stanno in rapporto con alcun ambito o istituzione di tipo cultuale. Si ha, in un certo senso, uno “scadimento” culturale di queste genti, le quali non fungono più da tramite di valori o di elementi culturali, ma solo di merci: riflesso probabilmente della realtà storica dell’Egeo e del Mediterraneo tra IX ed VIII sec. a.C. Un quadro ancor più negativo emerge dall’Odissea, in cui essi vengono dipinti come pirati terribili e senza scrupoli. Si tratta in pratica di due facce ed aspetti differenti dei Fenici nella rappresentazione che di essi diedero i Greci nelle loro tradizioni, le quali riflettono come queste genti venissero percepite agli occhi degli Elleni e come il loro contributo alla nascita della cultura greca e della sua relativa identità culturale venisse codificato nel mito. Cadmo rappresenta in un certo senso una svolta: la sua figura si connette – come precisato – alla fondazione di centri urbani e di importanti istituzioni cultuali. La connotazione di questo personaggio è nella cultura ellenica più che positiva e contrasta con quell’immagine di “mercanti-pirati” che l’Iliade e l’Odissea hanno dato dei Fenici. Egli è pure un benefattore: con l’insegnare l’arte della scrittura ai 482

Sulla figura di Cadmo esiste un’ampia bibliografia: per un’utile raccolta e discussione delle tradizioni letterarie relative a questo personaggio cfr. Edwards 1979; da ultimo Kühr 2006, 83–133 con una bibliografia aggiornata.

8. PERCHÉ TEBE

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Greci, fornisce ad essi uno strumento importante per il progresso culturale: del resto da un certo punto di vista la scrittura è un mezzo con cui fare cultura o per lo meno con cui potere “fissare” e rendere in maniera più semplice ed accessibile ad altri un sapere. In questo senso si potrebbe segnalare un’altra forse significativa connessione tra Cadmo ed il culto cabirico. Nella sezione di questo lavoro dedicata ai culti dell’area dell’Egeo settentrionale si vedrà, a proposito dei culti misterici dei Coribanti, come il loro carattere misterico si colleghi soprattutto al grado di sapere che hanno gli iniziati. Il “sapere”, inteso qui come mistica conoscenza del contenuto di questi riti, non era accessibile a tutti: in altre parole il grado di quanto uno sa determina la sua gerarchia in questi culti. Si è visto come i Cureti (o Coribanti) fossero in origine dei sacerdoti, dediti al culto della Grande Dea, i quali in virtù delle loro conoscenze in campo soprattutto metallurgico fossero stati successivamente divinizzati. Con Cadmo abbiamo una situazione in parte analoga: anch’egli appartiene alla categoria dei Cabiri, Cureti o Coribanti, è in un rapporto privilegiato con le divinità dell’Olimpo, le quali partecipano in gran numero alle sue nozze, ed al suo passaggio a Samotracia è connessa la fondazione dei culti misterici. Cadmo si distingue, ancora, dagli altri mortali, in quanto detentore di un sapere, quello appunto della scrittura, un sapere che era considerato in Egitto tra i più sacri ed accessibile solo ad una casta ristretta di individui, un sapere che egli tuttavia trasmette, facendone partecipi i Greci. Ritengo che tale valutazione possa ben mettere in luce due elementi: il primo, che nelle tradizioni culturali greche si sentì forte la connessione tra “sapere”, “conoscenza” ed Oriente; il secondo, che tale “sapere” si caricava di forti connotazioni simboliche, legandosi ad istituzioni cultuali483.

8.

Perché Tebe

Certamente la scelta di Tebe non è casuale, quale luogo di trasmissione della scrittura e scenario di contatto con queste genti del Vicino Oriente. Non si vuole in questa sede discutere sull’origine della scrittura greca, né sui modi di contatto e di trasmissione e neppure tanto meno sul dove questo sarebbe avvenuto, se veramente in Beozia o in un’altra parte della Grecia, come ad esempio a Creta, dove per altro a tutti gli effetti è attestata a partire dal X sec. a.C. la presenza di una comunità fenicia con propri culti e tradizioni. Come si diceva, la scelta di questa città nella versione erodotea, che sicuramente doveva avere una certa eco in Grecia 483

Sul problema della presenza di eroi orientali in Grecia rimando al recente studio, con una documentata bibliografia, di Brillante 2001, in particolare lo studioso fa notare come questi personaggi siano sempre apportatori di importanti realizzazioni ed innovazioni culturali; un dato che li accomuna è che essi lascino dietro di loro solo una discendenza femminile. In questo senso si potrebbe notare anche una connessione con Teucro, il sovrano troiano, che accetta di condividere la propria regalità con Dardano, in quanto non ha eredi maschi diretti.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

e godere di credito, non era casuale. Già dal nome stesso si aveva un riferimento diretto all’Egitto, a quel mondo delle piramidi che tanto affascinava i Greci e che pure era in rapporto diretto con i Cabiri, il cui culto, non solo in ambito tebano, era rilevante e connesso alle regioni dell’Egeo settentrionale, con i famosi santuari di Samotracia, Lemno ed Imbro. Dell’antichità del toponimo, comunque anellenico, fanno fede le attestazioni di esso nelle tavolette in Lineare B, dove si legge la forma te-qa. Al dato linguistico va associato in questo caso quello archeologico: Tebe, come le recenti scoperte archeologiche dei resti di un archivio di tavolette hanno confermato, era sede di un centro palaziale miceneo484, abbastanza importante e ricco economicamente, come mostra anche la gran quantità di oggetti preziosi, per lo più avori di matrice orientale, rinvenuti nei resti degli ambienti del palazzo485. Il numero degli oggetti eburnei, come detto straordinariamente alto, non sembra per il momento trovare confronti nei contesti degli altri palazzi; di fatto, tali manufatti sembrerebbero documentare uno spiccato gusto da parte della corte del basileus tebano per la cultura o comunque per i beni di prestigio orientali, mostrando una forte propensione di Tebe per il Vicino Oriente e per la sua raffinata cultura.

9. I Fenici e l’origine della polis La connessione che la tradizione mitica pone tra la nascita di Tebe, come città, e l’arrivo di Cadmo da Samotracia, al quale si attribuisce anche l’invenzione della scrittura, può condurre a fare ulteriori osservazioni sull’influenza che i Fenici ebbero sulla nascita della polis quale nuova forma di organizzazione politicoistituzionale in Grecia. In uno studio apparso nel 1996, Linde-Marie Günther486 ha sviluppato, con argomenti a mio avviso convincenti, l’idea che i Greci avrebbero adottato dai Fenici nell’Alto Arcaismo l’idea di polis, come organismo politico autonomo. Le città fenicie, rette da monarchie, rappresentano effettivamente un modello istituzionale per molti versi nuovo, che potrebbe aver ispirato i Greci. A questi ultimi va comunque riconosciuto il merito di aver sviluppato le istituzioni politiche, diffondendo il modello poliadico nel Mediterraneo occidentale attraverso la fondazione delle colonie. Del resto i Fenici di Tiro hanno fatto la stessa 484

Sulla geografia della Beozia dell’età del Bronzo alla luce delle nuove scoperte Godart – Sacconi 1999. 485 Sulla scoperta a Tebe di un nuovo archivio palaziale cfr. Aravantinos 1996; Aravantinos et al. 1995; Godart – Sacconi 1997; Deger-Jalkotzy – Panagl 2006. Sulla straordinaria quantità di manufatti orientali rinvenuti nel sito cfr. Aravantinos 2000. La presenza di numerosi sigilli orientali ha fatto anche presumere la presenza di rapporti diplomatici con il sovrano assiro Tukkulti Ninurta I, che con l’invio di doni avrebbe cercato di assicurarsi la benevolenza e l’alleanza delle autorità palaziali di Tebe, su questa tesi cfr. Porada 1981. 486 Cfr. Günther 1996; sull’argomento cfr. anche le osservazioni di Gschnitzer 1988.

10. I FENICI NELL’EGEO SETTENTRIONALE

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cosa con Cartagine, dimostrando la trasferibilità del modello della città-stato nella fondazione di una colonia487.

10.

I Fenici nell’Egeo settentrionale

Resta ora da rispondere alla domanda: cosa fanno i Fenici nell’Egeo settentrionale? A tale interrogativo si è in parte già risposto, in riferimento ai due livelli mitici di tradizioni che contraddistinguono la presenza di queste genti in Grecia. Si è visto che nel livello più antico, chiamato cadmeo, i Fenici sono portatori di riti e di elementi cultuali, ma anche di una nuova idea di centro abitato488, quello della polis, che viene realizzato da Cadmo e dai suoi discendenti nella fondazione di Tebe, che si articola nel giro di due generazioni: prima nella costruzione della rocca, la parte alta della città sede del palazzo del principe e dei templi (connessione topografica della regalità al sacro), successivamente si sviluppa la parte bassa, abitata dai cittadini, la quale viene cinta da mura, che hanno nel caso di Tebe sette ingressi. Le mura amalgamano ed unificano in un unico centro sia la parte alta, la rocca, che la parte bassa (asty); esse sono un importante elemento costitutivo della città, presentandola come un organismo chiuso verso l’esterno, in cui è arduo entrare, ma le cui porte offrono ai suoi abitanti una via di comunicazione verso l’esterno. Il fatto poi che gli ingressi siano molteplici è funzionale ad una certa vitalità e sviluppo del centro. Come detto, questo rappresenta il livello più alto di rappresentazione dei Fenici nelle tradizioni greche e si connette al momento dell’introduzione di importanti istituzioni di culto, quale quella dei Cabiri e dei riti misterici, che in una koinè religiosa sembrano accomunare in età storica le regioni dell’Egeo settentrionale. Il secondo livello, cronologicamente più basso di molte generazioni, vede una sorta di scadimento culturale dei Fenici, ridotti al ruolo di mercanti, seppure in diretto contatto con le ricche aristocrazie sia greche che troiane. Questo livello riflette, come sottolineato, la realtà storica delle genti levantine di IX–VIII sec. a.C., quali furono conosciute dai Greci e denominate con una designazione generalizzante Phoinikes. Si è visto come in questo secondo livello la loro presenza sia diffusa nell’Egeo, ma non vincolata ad un determinato luogo o ad un’isola: essi frequentano Lemno, ma solo in virtù del suo porto franco e quale zona neutrale. Comunque va ad essi riconosciuta una familiarità con i mari di queste regioni. Il fenomeno può avere delle basi storiche, che tenteremo ora di prendere in esame. Come la ricerca archeologica ha posto in rilievo, le regioni dell’Egeo settentrionale nella tarda età del bronzo subirono la lenta infiltrazione di elementi etnici di origine balcanica, i quali dovettero insediarsi in un primo momento in Troade, 487 488

A riguardo rimando alle osservazioni di Gschnitzer 1988, 301–302, e di Günther 1996. Su questo complesso problema cfr. con una ricca bibliografia il documentato lavoro di Raaflaub 2004.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

introducendo la già menzionata Buckelkeramik, una produzione vascolare che in un primo momento andò a frapporsi a quella locale, per poi a poco a poco assimilarsi ad essa e sparire nel giro di due generazioni. Archeologicamente sembra dimostrabile, come visto, che la regione troiana conoscesse due grosse ondate principali di popoli dai Balcani. Nel complesso si riscontra dopo un iniziale scadimento culturale, un’integrazione ed un’omogeneizzazione con la cultura locale. La presenza maggioritaria di queste componenti balcaniche sembra trovare traccia soprattutto nella toponomastica, che nella maggior parte dei casi appare essere di origine tracia, anche se non mancano certo esempi di nomi di luogo di chiara origine anatolica: in questo senso i dati archeologici sembrerebbero collimare con quelli linguistici. Fatta eccezione per la Frigia, dove tuttavia abbiamo delle condizioni storicoculturali ben determinate, le tribù tracie non dettero vita a nessuna forma di potere centralizzato: la Troade dell’inizio dell’età del ferro non era sede di alcuno stato politicamente unitario, ma era abitata da tutta una serie di popolazioni nomadi e continuava, ininterrotto, il flusso di genti da una parte all’altra delle sponde dei Dardanelli. Si tratta di una situazione che perdurava ancora in età romana, come riferiva Strabone (XII, 4, 4) circa l’impossibilità di definire confini precisi tra le popolazioni tracie della regione, per il fatto che si trattava di nomadi, bellicosi e senza fissa dimora. L’elemento greco in età arcaica (X–IX sec. a.C.) prende contatto con questa realtà politicamente frammentaria e con le vestigia culturali di un grande passato (le rovine di Troia), ma si limita ad occupare la fascia costiera e non si inoltra all’interno. Nel complesso i Greci preferiscono convivere e talvolta integrarsi con le realtà preesistenti, che nel caso di Lemno ed Imbro (ed in parte anche di Samotracia) erano ricche culture, in contatto commerciale con l’Oriente e la Grecia, che avevano sviluppato una forte koinè culturale, ma che non avevano comunque prodotto alcuna unità o comunque alcun blocco politico489. Si trattava, come posto in rilievo, di territori ricchi di materie prime, che dovettero attirare l’interesse di prospektors levantini, i quali – non è da escludersi – forse dovettero impiantare qualche attività emporica ed officine di lavorazione dei metalli in contesti indigeni. Non si deve neppure dimenticare l’attività euboica in queste regioni, che soprattutto recenti scoperte degli anni 90 del secolo scorso fanno datare tra 489

Un’eccezione potrebbe essere rappresentata forse proprio da Lemno, la sola delle isole dell’Egeo settentrionale ad aver sviluppato una cultura materiale qualitativamente alta e ad avere una rete di commerci di ampio respiro. Si tratta della sola realtà politica locale di una certa consistenza presente nell’area, la sola che fosse in grado di trattare da pari con i Greci e di porsi sullo stesso piano. Ci sarebbe da chiedersi se le tradizioni relative alla pirateria tirrenica lemnia nell’Egeo, oltre a connettersi all’attività commerciale dell’isola, non possano venir poste in relazione ad un’attività dell’isola volta a preservare il proprio ruolo in questi territori e ad affermare la propria autonomia nei confronti dei Greci, che nel VII sec. a.C. stavano espandendosi politicamente con l’occupazione delle coste dei Dardanelli, della Propontide e delle isole di Samotracia e di Taso.

11. OSSERVAZIONI IN MARGINE AL “PAESAGGIO FENICIO”

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X e IX sec. a.C., alla quale in centri quali Mende e Sindos490 si deve nell’ambito di comunità indigene l’impianto di piccoli emporia, integrati nel contesto locale; di interesse sono delle fornaci, nei siti prima menzionati, connesse ad ambienti ed a materiali che farebbero pensare a delle officine, destinate alla lavorazione ed alla raffinazione delle materie prime dell’interno. Emergono qui nuovi dati. Prima di tutto la compresenza euboica e fenicia nelle tradizioni dell’Alto Arcaismo nell’Egeo settentrionale, con una delimitazione areale in senso insulare dei Fenici (Taso, Samotracia, Lemno) e continentale degli Eubei (penisola calcidica); in secondo luogo la connessione di entrambe queste presenze “precolonizzatrici” ai metalli ed al loro procacciamento, cosa che troviamo riflessa a livello di tradizioni cultuali nella connessione tra Cadmo ed il rito cabirico di Samotracia e nella localizzazione dei Ciclopi e delle loro attività in Calcidica. Da notare che la compresenza di questi due elementi nella stessa zona si codifica a livello di tradizioni in miti, tutti anteriori alla guerra di Troia, ed a figure semidivine sempre connesse alla lavorazione dei metalli ed alle conoscenze ad essa relative (Cureti e Ciclopi). A questo quadro mitico va corrisposta una realtà storica di spazi aperti e liberi, in un contesto etnico variegato di elementi traci ed anatolici, che non aveva dato luogo ad alcuna formazione politica unitaria, in grado di porsi quale unico interlocutore con questi moti precoloniali. L’arrivo dei Greci non dovette nei fatti cambiare di tanto questo quadro. L’Eolide vera e propria si costituiva infatti politicamente tra l’isola di Lesbo e la regione continentale antistante, non toccando nei fatti in termini territoriali l’interno della Troade, Lemno e le altre isole a settentrione. Nel VII sec. a.C. si colloca la colonizzazione milesia, samia e megarese della regione dei Dardanelli e della Propontide, restando comunque limitata alle coste; sempre approssimativamente in questo periodo si datano l’occupazione greca di Taso e, forse un po’ prima, la conquista di Samotracia. Solo Lemno riuscirà a conservare la sua indipendenza sino alla fine del VI sec. a.C., periodo in cui la grecizzazione politica di quest’area, limitatamente però alle isole ed alle coste anatoliche – con chiaramente le sue riserve – può dirsi conclusa.

11. Osservazioni in margine al “paesaggio fenicio” ed al paesaggio troiano Esisteva nell’antichità, come ha ben mostrato Domenico Musti491 in un particolareggiato studio sul paesaggio troiano, un’idea ben definita di Troia quale città che 490

In generale sull’attività euboica nell’Egeo settentrionale si rimanda ai contributi in Bats – D’Agostino 1998, in particolare su Sindos Tiverios 1998; su Mende cfr. Moschonissioti 1998, d’interesse è l’analisi delle tradizioni letterarie fatta da Mele 1998, per un quadro storico d’insieme cfr. Soueref 1998. Tra gli studi più recenti rimando a Tiverios 2008; Kourou 2012. Per un’analisi delle tradizioni mitiche relative a quest’area, che si collegano alla lavorazione dei metalli cfr. Mele 1981, in part. pp. 25–33. 491 Cfr. Musti 1981a.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

s’inseriva in un contesto paesaggistico ben preciso, funzionale a definirla nelle sue caratteristiche esterne. Troia era una città nota a tutti i Greci dai poemi omerici, che avevano reso celebri le sue mura e le sue vallate, scenari di tanti eroici duelli. Di fatto un greco della Cirenaica o di Siracusa, anche senza essersi mai mosso dalla sua patria, poteva avere un’idea di Ilio e dei suoi territori proprio grazie alle descrizioni particolareggiate che poteva udire nelle piazze della propria città492 durante le recitazioni aediche. Domenico Musti ha poi mostrato come a livello d’idea di città la descrizione del paesaggio troiano si riscontri in centri di origine indigena, caratterizzati da un’ubicazione collinare, intersecata da due fiumi. Nel caso dei centri fenici, anche qui siamo in grado, questa volta su base però soprattutto archeologica, di ricostruirne le tipologie abitative e d’insediamento. In un libro ormai datato Pierre Cintas493 aveva introdotto la definizione di “paesaggio punico” in relazione soprattutto agli insediamenti del Nord Africa, definizione che faceva perno su una serie di evidenze fisiche, quali la presenza di promontori, di isolette prossime alle coste e di ampie cale, possibilmente ai margini di specchi d’acqua lagunosi. La ricerca allora condotta pioneristicamente aveva prodotto dei risultati nuovi ed interessanti, che comunque al giorno d’oggi, sulla base soprattutto delle nuove evidenze archeologiche, non conviene estendere a tutto il mondo fenicio occidentale. Nuovi studi494 hanno infatti posto in rilievo come accanto ad un modo di “percepire il paesaggio” da parte delle genti di Tiro e di Sidone si affiancasse un tipo di presa di contatto con le realtà locali495. Le ricerche topografiche hanno consentito di individuare un nuovo modello tanto diffuso da non poter essere ritenuto casuale, applicato ai centri fenici della Sardegna e della Spagna. Si tratta dell’abitato sito in prossimità di una foce fluviale, in una posizione che permettesse da un lato l’utilizzo del corso d’acqua come via di comunicazione verso l’interno, dall’altro la creazione di un porto sicuro e relativamente protetto (come a Kition nell’isola di Cipro). Tale impianto abitativo si riscontra soprattutto in Sardegna, come evidenziato soprattutto dagli studi di Piero Bartoloni – ad esempio a Bosa alla foce del Termo o a Sarcapos, presso il Flumendosa – ed in Spagna (Villaricos e Toscanos). Questo tipo di insediamento va connesso all’esigenza di controllo e di collegamento di una fascia territoriale sublitoranea, finalizzata alla protezione delle navi, alla presa di contatto con i centri indigeni dell’interno ed allo sfruttamento delle risorse naturali. 492

Per quanto riguarda la circolazione dell’epica e delle sue forme specialmente nelle colonie d’Occidente cfr. il documentato studio di Cassio 1994; id. 1998; id. 1999, al quale si rimanda per ulteriori approfondimenti sul tema; utile anche Citti 1966. 493 Cfr. Cintas 1954, in part. p. 10 sgg. 494 In particolare cfr. alcuni interessanti e documentati contributi, recentemente editi, sull’argomento di Bondì 1994a; id. 2000. Lo studioso tenta sulla base dei dati archeologici a disposizione di ricostruire l’idea, che i Fenici avevano della città in Occidente e soprattutto come la strutturazione del centro abitato vada posta in diretta connessione col rapporto da loro instaurato con le popolazione autoctone. 495 In tale prospettiva cfr. il contributo di Bondì 1983.

12. LA GENESI DI ILIO SECONDO PLATONE ED IL RUOLO DELLA MONTAGNA

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Per quanto riguarda Troia, come accennato in precedenza, lo studio di Domenico Musti ha avuto il merito di richiamare l’attenzione su quelle componenti, per così dire “paesaggistiche” e non solo topografiche, per le quali una città o un centro abitato potesse venir definito, come nel caso di Siri, “una città simile a Troia”496. Ilio, infatti, si configura e prende forma non solo in termini di topografia urbana, quale città posta su un’altura, con una rocca sulla quale sono ubicati i templi ed il palazzo reale, ma anche in relazione ad un paesaggio mesopotamico, strettamente connesso col mare. Paesaggi di tipo troiano sono registrati nelle fonti a Butroto, in Epiro, a Segesta, in Sicilia e sul continente italiano a Lavinio ed a Padova. Butroto è considerata nella tradizione una fondazione di Elleno, che avrebbe modellato la città come Troia, ponendola in un’altura intorno alla quale scorrevano due fiumi: egli avrebbe creato una parva Troia. Come anche la toponomastica sia importante per l’elaborazione di una tradizione culturale si evince anche da una testimonianza di Strabone (XIII, 1, 59), secondo cui alcuni Troiani, sbarcati in Sicilia, avrebbero occupato Erice e Lilibeo, ridenominando i fiumi locali Scamandro e Simoenta. In questo caso abbiamo una caratterizzazione del paesaggio in senso troiano, ma non dei centri, che mantengono le loro caratteristiche originarie, anche in quanto essi vengono “occupati“ (κατασχεῖν) e non fondati.

12.

La genesi di Ilio secondo Platone ed il ruolo della montagna

Platone497, commentando la testimonianza omerica, ritiene che Ilio sia stata fondata in pianura, e per la precisione in una grande e bella pianura, con molti fiumi affluenti dal monte Ida, anche se originariamente essa sarebbe stata ubicata in un luogo alto. Questo sarebbe successo quando gli uomini, dopo il cataclisma, discesi dai monti in pianura, avrebbero costruito le loro città presso i fiumi che scorrevano dalle montagne. Parallela allo sviluppo di Ilio è anche la fioritura degli altri centri urbani non solo della regione, ma anche di tutta quanto la Grecia. La guerra di Troia si configura come un fattore di destabilizzazione: il conflitto non avrebbe, infatti, solo portato alla caduta di una città, ma anche in molti altri centri della Grecia sarebbero sopravvenuti momenti di crisi, causati dalla prolungata assenza degli eroi dai loro palazzi. È interessante notare come in Tucidide (I, 7) lo sviluppo economico della Grecia venga connesso con lo spostamento dei centri lungo la costa, che si sarebbero arricchiti grazie ai commerci e che per questo sarebbero stati fortificati. Va fatta notare l’esistenza di un nucleo di tradizioni mitiche, relative al diluvio e ai suoi esiziali eventi, nell’ambito delle quali l’idea 496 497

L’espressione ricorre in Licofrone (Alex. 984): πόλιν δ’ὁμοίαν Ἰλίῳ. Cfr. Plat. (Nom. III, 681 E – 682); su tale tradizioni cfr. osservazioni anche in Franco 2000, p. 272 sgg; Trachsel 2007, 150–151, 360–363. Su questo tema cfr. anche Trotta 2000.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

di progresso, o meglio ancora di riacquisizione di uno stato “civile” si connette al progressivo spostamento dei centri abitati dalle montagne alle coste498. Tali tradizioni contrappongono in un certo senso il modus vivendi delle montagne a quello delle città costiere, dando un’immagine negativa della montagna, connessa sempre a uno scadimento culturale. Strabone499, riprendendo quanto in precedenza detto da Platone500, racconta che dopo il cataclisma si sarebbero sviluppate tre forme di governo. Alla prima, semplice e selvaggia (ἀπλοῦν καὶ ἄγριον), avrebbe corrisposto un tipo d’insediamento ubicato, per ovvie ragioni dopo il diluvio, sulle cime dei monti, dove gli uomini si erano rifugiati temendo l’acqua che aveva invaso le pianure. Durante la seconda fase i centri abitati sarebbero stati trasferiti sulle pendici dei monti, quando le pianure stavano iniziando a prosciugarsi. Nella terza fase sarebbe avvenuta la discesa definitiva in pianura ed, infine, con la quarta e la quinta, la fondazione di città sulle coste e nelle isole. Il Geografo di Amasea aggiunge che man mano che ci si avvicina al mare si possono notare cambiamenti notevoli nei costumi e nelle forme di governo degli uomini: ἐστι δέ τις διαφορὰ καὶ παρὰ τούτοις τῶν ἀγροίκων καὶ μεσαγροίκων καὶ πολιτικῶν. Al primo tipo di governo si può riferire la società dei Ciclopi, che abitano in spelonche e che hanno un’economia di sussistenza (αὐτοφυεῖς νεμομένων καρποὺς καὶ τὰς ἀκρωρείας κατεχόντων ἐν σπηλαίους τισίν). Alla seconda andrebbe riferita la città fondata da Dardano, Dardanie501, situata sulle pendici del monte Ida. Abbiamo infine il livello iliadico, corrispondente alla fondazione di Troia in pianura ad opera di Ilo, il cui sepolcro era ubicato nello stesso luogo in cui egli volle fondare la città. A questo punto s’impongono alcune considerazioni, relative al ruolo della montagna nell’immaginario greco. La montagna, quale luogo elevato, spesso ricoperto di boschi impenetrabili e dalle cime talvolta innevate o non visibili, in quanto coperte da nubi, ha stimolato non poco l’immaginazione dei popoli. Nell’ambito delle culture anatoliche la montagna ha un significato sacro, non solo quale sede degli dei, ma anche quale luogo magico, connesso direttamente alla regalità502. Sono noti i santuari montani ittiti, alcuni dei quali sopravvivevano 498 499 500 501 502

Utili osservazioni in Gallo 1980. Cfr. Strab. (XIII, 1, 25) Cfr. Plat. (Nom. III, 67–79) Cfr. Hom. (Il. XX, 216). Sul ruolo simbolico della montagna nell’ambito delle religioni anatoliche dell’età del Bronzo cfr. Gonnet 1968, in cui si prendono in analisi i testi religiosi ittiti relativi a divinità che rappresentano personificazioni delle montagne; su tali culti cfr anche le osservazioni di Gurney 1977, in cui si affronta il problema del sostrato relativo a queste credenze, in particolare riferendosi all’iconografia di tali divinità, quale appare in sigilli ed in rilievi sacri; di particolare interesse è il fatto che si tratta sempre di dei barbuti, che compaiono spesso con determinati attributi, quali ad esempio un elmo cornuto, simbolo di regalità. Lo studioso sottolinea inoltre l’esclusiva sfera maschile del culto della montagna nelle religioni siro-ittite, rapportando questo fatto alla forte persistenza di un sostrato locale e, soprattutto, mostrando interessanti

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ancora all’età di Strabone, il cui personale sacerdotale era spesso depositario di antichi saperi e godeva di privilegi e di onori di carattere regale503. Dalla letteratura ittita504 siamo a conoscenza di diverse festività dedicate alle montagne, personificate dalla figura di qualche divinità. Non va infine dimenticato il culto della Dea Madre, tanto diffuso soprattutto in ambito anatolico, che era strettamente connesso con la montagna, dalla quale spesso la dea traeva l’epiteto cultuale. Ancora alla montagna si connette il culto dei Cabiri, ministri e conoscitori dei misteri della dea, ai quali, come Domenico Musti ha messo in rilievo505, si riferiscono pure aspetti vitalistici e di fertilità. In ambito greco, si possono citare le ricerche di Maria G. Rocchi506, nelle quali si analizza il ruolo della montagna nell’ambito della religione e delle tradizioni elleniche: anche qui la montagna si connette al culto delle divinità (il monte Olimpo è del resto la dimora degli dei), dalle quali è spesso personificata. Esiste, tuttavia, come accennato, una caratterizzazione negativa della montagna, vista come uno stadio di regresso e di scadimento cultuale. Quale esempio si potrebbero prendere in considerazione le tradizioni relative ai Greci in Sardegna507. L’isola sarebbe stata anticamente colonizzata da genti elleniche, che al seguito di Iolao avrebbero fondato città ed abitato le fertili pianure; in seguito all’arrivo dei Fenici, che avrebbero occupato questi territori, la parte greca della popolazione, pur di non sottomettersi avrebbe preferito trovar rifugio sulle impervie montagne del centro, trasformandosi, in questo modo, secondo le parole di Pausania (X, 17, 5), da agricoltori in nomadi pastori, e cibandosi, anziché di farina e di pane, di latte e di carne. La tradizione qui, in maniera evidente, sottolinea il regresso dei Greci in Sardegna, che si imbarbariscono abbandonando le pianure e trasferendosi a vivere in montagna. punti di contatto con raffigurazioni di divinità maschili barbute dell’età di Mari. Sul ruolo del sostrato urrita cfr. la documentata monografia di Hass 1982, con molti paralleli con le civiltà egee e che sottolinea gli aspetti di continuità con le più tarde civiltà di età storica, ancora dello stesso studioso va segnalata la monumentale opera Hass 1994, 460–464 sulle “Naturgottheiten”; tra gli altri studi cfr. Lombardi 1996; ead. 1997; Popko 1999, con una ricca bibliografia. 503 Sugli aspetti di continuità culturale dei santuari montani dell’Anatolia interna cfr. il documentato studio di Archi 1975; per gli aspetti di continuità insediativa in età ellenistica cfr. Boffo 1985, in part. p. 80 sgg. sugli stati templari e p. 53 sgg. sulle città sacre indigene. 504 In generale si rimanda alla consultazione di Pecchioli Daddi – Polvani 1990. 505 Cfr. Musti 2001. 506 Cfr. Rocchi 2001, con una ricca bibliografia, la quale sottolinea giustamente la singolarità della tradizione esiodea dei “Grandi Monti”, soprattutto in relazione al fatto che nell’ambito dell’arte greca sono rare le raffigurazioni di divinità, quali personificazioni di monti (a riguardo cfr. Kossatz – Deissmann 1987); sull’argomento, con un’analisi della tradizione letteraria greca in rapporto con rappresentazioni iconografiche anatoliche di età ittita cfr. il lavoro di Clarke 1997. Utile anche Roux 1999, Rocchi 2005, con una ricca bibliografia. 507 Cfr. Chiai 2001; sulla visione greca della montagna, correlata ad un determinato modus vivendi rimando qui al documentato lavoro di Meißner 1996.

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CAPITOLO III. I FENICI NEL NORD EGEO

In relazione a quanto detto, l’ubicazione di Ilio in una fertile pianura mesopotamica, che presenta analogie col cosiddetto “paesaggio fenicio”, sembra atta a sottolineare il livello superiore di cultura urbana che la città esprime, differenziandosi ad esempio dalla sua rivale Dardano, ubicata sulle pendici di un monte ed appartenente ad un paesaggio montano. Troia incarna, infatti, l’idea di un progresso di vita cittadina, che si distacca da forme di esistenza agreste, percepite in connessione alla montagna: da questo punto di vista essa rappresenta l’ultimo stadio dello sviluppo insediativo umano, che dalle montagne si sposta verso le coste.

13.

Conclusioni

Le tradizioni sui Fenici nell’Egeo settentrionale analizzate in questo capitolo hanno permesso di distinguere due livelli cronologici, ai quali corrispondono due differenti modi di rappresentazione dei Fenici nelle tradizioni mitiche. Il primo livello, denominato cadmeo e rappresentato dalla figura di Cadmo, conosce una rappresentazione dei Fenici in quanto portatori di importanti elementi culturali, quali l’idea di città e l’alfabeto. Essi sono inoltre connessi al rito dei Cabiri, dei quali si fanno in parte anche propagatori in Grecia e nell’Egeo. Nel secondo livello abbiamo uno scadimento nelle rappresentazioni di queste genti, in un certo senso degradate al rango di mercanti, che commerciano oggetti di lusso (nell’Iliade), e di pirati (nell’Odissea), che rapiscono persone. La figura di Cadmo, quale fondatore di Tebe, è inoltre connessa ed imparentata con Dardano, che in contemporanea, dopo aver anch’egli abbandonato Samotracia, si reca in Troade per fondarvi una città.

Capitolo IV I Greci e gli altri

1.

I Greci e la percezione del diverso in Asia Minore

Quando si pensa ai Greci di ambito coloniale ed alle loro tradizioni mitiche, che, come più volte ribadito, rappresentavano la loro memoria culturale, si deve anzitutto prendere atto del fatto che, tra l’VIII ed il VII sec. a.C., queste tradizioni avevano già assunto una forma scritta; gli Ioni e gli Eoli avevano inoltre, in quanto ethnos, assunto una propria fisionomia e la realtà, che li circondava, era già stata inquadrata in schemi e categorie mitiche508. Queste realtà coloniali avevano poi, a loro volta, dato vita a dei movimenti coloniali509 che condussero alla fondazione di nuovi centri ed all’esplorazione di nuovi territori, ai quali si connettevano rielaborazioni di tradizioni mitiche già esistenti510. Nel complesso tra VIII–VII sec. a.C., seguendo il quadro costruito da Santo Mazzarino511, si potevano distin508

Sull’importanza del mito per la formazione di un’identità culturale collettiva rimando alle considerazioni ed alla bibliografia nell’introduzione del libro. Gli studi apparsi su questo tema negli ultimi decenni relativamente al mondo antico sono innumerevoli, in generale cfr. Scheer 1993, che tratta dei fondatori mitici delle città dell’Asia minore in epoca ellenisticoromana; tra gli altri lavori cfr. anche il ben documentato studio di Leschhorn 1984. Per quanto riguarda i criteri di determinazione di appartenenza etnica, che stabilivano se un greco appartenesse o meno ad un determinato genos, rimando qui allo studio di Daverio Rocchi 1998, la quale riprende ed approfondisce considerazioni precedentemente svolte in Daverio Rocchi 1988, p. 15 sgg. Negli ultimi decenni sul tema dell’identità nel mondo classico si è sviluppata un’immensa bibliografia, in generale cfr. Hall 1989; id. 1997; Jones 1997; Asheri 1997; Malkin 1998; id. 2001; Hall 2002; Gruen 2005; id. 2011a; id. 2011b; Almagor – Skinner 2013. 509 Si pensi ad esempio all’opera colonizzatrice di Mileto, che interessò la Propontide e le coste del Mar Nero; sulla colonizzazione milesia si rimanda al quadro storico ricostruito da Ehrhardt 1988. 510 Soprattutto gli episodi legati al viaggio degli Argonauti alla volta della Colchide, la cui rotta seguita toccava soprattutto le coste del Ponto Eusino si prestarono chiaramente ad una rielaborazione in ambito soprattutto milesio, come ha mostrato Ehrhardt 1995. 511 Cfr. Mazzarino 1947, 19 sgg. Va citato a riguardo, seppur relativo al periodo achemenide, il bel lavoro di Asheri 1983, in part. 15–65, in relazione alla nozione di “fascia intermedia” relativa a

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

guere tre mondi greci. Partendo da Est, troviamo gli Ioni, gli Eoli, i Frigi e i Lidi, che avevano elaborato forme di cultura affine, che affondavano le loro radici nella lontana età del bronzo, ai tempi dell’impero ittita e di Ahhijawa, come sulla base dei dati archeologici Penelope Mountjoy è riuscita a mostrare per il periodo del Tardo Bronzo512. Al centro abbiamo la Grecia, che soprattutto nel periodo orientalizzante si mostra aperta alla ricezione di motivi culturali dall’Oriente, fenomeno al quale non resta estranea neppure la conservativa Sparta, se pensiamo alle poesie di Alcmane o, in termini di cultura materiale, al gran numero di oggetti orientalizzanti rinvenuti nel santuario di Artemide Orthia513. Il terzo polo è chiaramente quello delle colonie in Italia ed in Sicilia. A questo elenco andrebbero aggiunti altri territori di grecità, che si potrebbe chiamare periferica514, come la Spagna515, la Cirenaica516 o il Bosforo517. Tornando ai contesti orientali, i Greci ebbero contatti e scambi culturali con le popolazioni e con le culture loro contemporanee in Oriente, e a tal proposito sarebbe bene fare una distinzione tra i diversi mondi orientali con i quali le genti elleniche entrarono in contatto. L’Oriente non si riduceva, infatti, solo ai popoli anatolici (Lidi, Cari, Frigi) con i quali i Greci dovettero rapportarsi, quando le loro navi sbarcarono sulle coste dell’Asia Minore: esistevano infatti altri ricchi e potenti imperi, culture e civiltà raffinate, con i quali essi stabilirono dei contatti. Santo Mazzarino518, in questa prospettiva, aveva distinto due Orienti: uno quello spazio geografico, compreso tra le coste anatoliche e le regioni interne della penisola, in cui si formò una cultura mista di elementi anatolici di sostrato e greco-orientali. 512 Cfr. Montjoy 1988. La studiosa mostra, soprattutto sulla base dei dati archeologici la presenza di una koinè culturale che investiva le coste dell’Anatolia ed il bacino egeo nel Tardo Bronzo, koinè che consisteva in una cultura mista di elementi minoico-micenei e anatolici, i quali si erano fusi, a testimonianza storica di continui contatti e scambi culturali tra i popoli di questi territori. 513 Su questi ritrovamenti cfr. Dawkins 1929, in part. p. 197 sgg., con un elenco, corredato da ricche illustrazioni, dei numerosi oggetti in bronzo ed in avorio, molti dei quali di importazione orientale, rinvenuti nel corso degli scavi del santuario e che si fanno datare per la maggior parte tra VIII–VII sec. a.C. 514 In generale sulla grecità cosiddetta periferica cfr. la chiara introduzione di Braccesi 2003. 515 Sull’attività dei Greci in Spagna si rimanda a Bellido 1948, più recente e con una bibliografia aggiornata cfr. Antonelli 1997, in part. p. 41 sgg. su Tartesso. Si segnala anche contributo di Rouillard 2000; Antonelli 2008 con un’ampia bibliografia e il chiaro quadro storico tracciato da Dominguez 2006. 516 Sulla grecità cirenaica cfr. gli atti del convegno urbinate in Gentili 1990, con saggi di L. Bacchielli, C. Brillante ed altri. Per un quadro storico delle tradizioni relative ai Greci in Africa cfr. Haider 1988; Gras 2000, con bibliografia precedente; sulle tradizioni mitiche cfr. i documentati contributi di Ottone 2004; ead. 2007. 517 Sul regno bosforano cfr. Gajdukevic 1974 (trad. dal russo); per un quadro generale cfr. il libro tradotto in italiano di Pipidi 1971. 518 Cfr. Mazzarino 1947, 21 sgg.; tale tesi è stata più di recente ripresa da Burkert 1998. Per una considerazione d’insieme delle fonti storico-letterarie in connessione con i contesti archeolo-

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microasiatico, noto per il tramite della cultura ionica519, e un altro, più lontano, babilonese, assiro e più tardi persiano, che aveva come corrispondente e tramite il mondo fenicio. Si trattava di due sfere che s’intersecavano e si compenetravano, ma che comunque venivano avvertite come due entità distinte. Quanto questi mondi s’integrassero a livello culturale, e quanto (in senso figurato) parlassero un’unica lingua, lo mostrano ad esempio i modelli greci che si riscontrano nell’arte frigia520, i titoli ufficiali che si leggono sulle iscrizioni locali521, o ancora la genealogia eraclide della dinastia lidia dei Mermnadi522. Si trattava di un contesto in cui, seppure si parlavano lingue differenti, purtuttavia esisteva un patrimonio culturale comune, che poteva fungere da denominatore comune per tutti quanti questi popoli. L’Anatolia, infatti, si configura come una terra in cui le componenti anatoliche, siriache e mesopotamiche sono presenti e concorrono tutte a creare una cultura mista. Spostandoci nei territori eolici, vediamo, ad esempio, come le poesie di Saffo ed Alceo, al di là dei problemi esegetici dei loro testi, ci permettono di constatare in che misura le culture urbane di queste regioni fossero permeate di elementi culturali lidi, che sicuramente contribuivano a differenziarle dalle contemporanee culture cittadine del continente greco. Per Saffo523 era naturale donare alla figlia una mitra lidia, un copricapo sicuramente diffuso tra le aristocrazie greche anatoliche, e che non doveva certo ai loro occhi apparire come un oggetto esotico. Va anche tenuto conto dei processi di ellenizzazione che portarono alla formazione di una grecità barbarizzata, quale ad esempio quella della Cilicia524 e della Panfilia, regioni in cui venivano parlate delle lingue miste, dalla cultura di forte connotazione ellenica. L’interesse etnografico dei Greci per i popoli e le culture straniere è antico e non risale in prima istanza solo alle opere di Ecateo e di Erodoto. Si tratta di un interesse che dovette venir sviluppato – come è del resto comprensibile – soprattutto gici cfr. il documentato contributo di Smarczyk 2000; Luraghi 2000; Ehrhardt 2005; Lemos 2007; Cobet 2007. 519 Per una considerazione sui materiali archeologici protogeometrici della Ionia, con particolare riferimento ad Efeso si rimanda ai documentati contributi di Kerschner 2005; id. 2006a; id. 2007, il quale mostra la presenza di situazioni di convivenza e di acculturazione. 520 Questa è chiave di lettura che ad esempio Akurgal 1955, propone per tutta quanta la cultura figurativa frigia, che altro non sarebbe che un insieme di elementi locali, di tradizione ittita, aramaica, per influsso dei confinanti stati luvio-aramaici, ed infine ellenici. 521 Ci si riferisce ad esempio al titolo di wanaktes attribuito nelle iscrizioni funerarie di Gordion a personaggi di alto rango sociale e forse connesso alla regalità locale, come visto in precedenza. Non si dimentichi inoltre che la tradizione scrittoria frigia nasce, probabilmente, su un modello ellenico. 522 Su questo tema si rimanda al documentato libro di Talamo 1979; sui problemi relativi alla cronologia ed alle fonti di questa dinastia esiste una nutrita bibliografia, tra gli studi degli ultimi decenni cfr. Lombardo 1980; Vannicelli 2001; Burkert 2004; da ultimo con un’ampia bibliografia cfr. Gazzano 2011. 523 Saph. Fr. 98 Lobe-Page. 524 Per un quadro dell’evoluzione culturale di questa regione si rimanda al documentato libro di Desideri – Jasink 1990.

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

nell’ambito delle colonie, là dove le popolazioni elleniche entrarono in contatto con culture e popoli stranieri, con una realtà del “diverso” con la quale dovettero confrontarsi e talvolta integrarsi. Con Callino di Efeso si possono in un certo senso individuare i prodromi di un’ingenua critica storica. Originario di Efeso e autore di elegie, fu attivo nella seconda metà del VII sec. a.C. e fu testimone di importanti avvenimenti storici, quali ad esempio la migrazione dei Cimmeri in Asia e i capovolgimenti politici e storici che questa provocò525. Un altro poeta che mostrò interesse per gli avvenimenti politici a lui contemporanei fu Mimnermo, autore di un poema, la Smirneide526, che aveva come tema l’attacco che Gige, re dei Lidi, aveva sferrato contro le poleis della Ionia. Questo poeta con spirito storico si pose il problema del motivo dell’ostilità dei popoli d’Asia contro i Greci. Suo è il famoso frammento in cui si racconta che gli Ioni, abbandonando l’antica città di Neleo, Pilo, in Messenia, sarebbero giunti a Colofone, conquistando con la hybris quella terra e successivamente estendendo il loro dominio su Smirne, città eolica527. In questo senso, in una prospettiva veramente storicistica di ricerca delle cause, Mimnermo528 individuava nell’atto di conquista dei colonizzatori greci la causa prima della conflittualità con i popoli d’Asia. Va ricordato anche il clima politico in cui vivono queste personalità, clima dominato dallo strapotere di gruppi (gene) aristocratici529, i veri dominatori di queste città, dal grande potere economico, che decidevano sulla politica di questi centri e che facevano risalire le proprie origini ad eroi o ad antenati mitici: questo fa comprendere l’importanza dello studio delle tradizioni mitiche, quale elemento fondante dell’identità di gruppo di questi clan familiari. Si trattava in pratica, riprendendo il discorso, di una serie di fatti, concatenati l’uno all’altro, tutti rapportabili in ultima analisi ad un atto di hybris. La violenza dei primi coloni ionici nei confronti delle popolazioni locali resterà un motivo topico nella storiografia, che ricorrerà ancora in Erodoto nel racconto della conquista di Mileto da parte di Neleo, conquista che avrebbe portato allo sterminio di tutta quanta530 la componente maschile della popolazione caria ed all’asservimen525

Sulle tradizioni greche relative ai Cimmeri cfr. il lavoro di Cozzoli 1971; per un’analisi comparata delle fonti assire e greche relative a questo popolo si rimanda ai documentati lavori di Lanfranchi 1990 e di Ivantchik 1993. 526 L’opera va datata probabilmente intorno al 585 a.C., sul contesto storico del poeta cfr. le osservazioni di Mazzarino 1962, pp. 39–42; sulla datazione del poeta si rimanda allo specifico studio di Dihle 1962. 527 Per un’approfondita analisi storica e filologica del frammento cfr. Brillante 1993b. 528 Mimn. Fr. 9 West = Strab. (XIV, 1, 4). 529 Sul tema delle eterie aristocratiche soprattutto a Lesbo rimando in generale allo studio di Aloni 1983; sul pubblico di Saffo e di Alceo cfr. gli importanti lavori di Rösler 1975; id. 1980. 530 Su questa tradizione cfr. Paus. (VII, 2, 5–6); per quanto riguarda il ruolo dell’elemento femminile soprattutto nelle prime generazioni di coloni cfr. lo studio di van Compernolle 1983; osservazioni sull’argomento anche in Cusumano 1994, 94–104; tra i lavori più recenti sull’argomento cfr. i diversi contributi in Ulf – Rollinger 2002. Si potrebbe a riguardo far notare il

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to delle donne531. Che questo genere di riflessione maturasse soprattutto in Ionia è naturale, per i motivi prima detti: Efeso, Mileto e Colofone erano città in cui vivevano elementi indigeni, che mantenevano la propria lingua e le proprie tradizioni, frequentando i santuari cittadini e lasciando dediche nella propria lingua locale. Callino, ancor più di Mimnermo, mostrò interesse per le popolazioni locali, indagando le tradizioni a loro relative. Possiamo immaginare che la nascita e l’espansione dello stato dei Lidi dovette suscitare un grande interesse presso i Greci. I Lidi532, in fondo, altro non erano che una popolazione anatolica, dai costumi abbastanza ellenizzati, come i Frigi, che avevano appreso dai Greci la scrittura. Presso gli Ioni ci si dovette domandare perché dei barbari erano riusciti a creare un impero così potente, che si estendeva sino ai confini dell’Alis, formando un’unità territoriale compatta, molto vasta, e in fondo estranea all’esperienza greca. In questo clima si ebbe, di certo, l’elaborazione di tradizioni culturali che ricercassero gli antichi progenitori di queste popolazioni e che dessero loro un’identità etnica: in un certo senso i Greci avevano il bisogno di sapere con chi avessero a che fare o se esistessero antichi legami di sangue con antenati ellenici. Del resto dall’espansione lidia trasse profitto, ad esempio, Efeso, che, secondo Callino533, si sarebbe alleata con Gige per attaccare la ionica Magnesia, città corrotta e colfatto che essendo il sistema onomastico greco di tipo patronimico, della partecipazione dell’elemento femminile indigeno al processo di popolamento dei primi insediamenti non restò chiaramente alcuna traccia. Alla presenza di donne indigene nell’ambito di queste antiche comunità vanno anche connessi fenomeni di bilinguismo, in quanto è comprensibile che esse parlassero in privato con i loro figli nella loro lingua madre; un esempio al contrario ci viene dato da Erodoto, il quale racconta che i figli delle ateniesi rapite dai Tirreni a Brauron parlavano greco, motivo per il quale essi vennero scacciati dall’isola. Sui rapporti di convivenza tra Greci colonizzatori ed indigeni in Anatolia cfr. Virgilio 1987; Salmieri 1994; sempre sull’argomento cfr. infine Ragone 1996b, con una ricca documentazione. 531 Cfr. Hdt. (I, 146). La medesima tradizione è riferita anche da Pausania (VII, 1, 2) nel suo excursus sulla Ionia, a tal proposito si rimanda allo studio di Moreschini 1994. Sul medesimo argomento cfr. anche Moggi 1996; un’attenta analisi di queste tradizioni anche in Momigliano 1932-1933, il quale sottolineava la comune matrice della civiltà della costa anatolica e di Creta; Cassola 1957c, in part. pp. 201–204, che propendeva per un’antica origine cretese di Mileto. Da ultimo sulle tradizioni Santucci 2010, 37–52, 265–274. Sul topos letterario della conquista violenta della Ionia cfr. Mac Sweeney 2014, il quale insiste sul carattere di fittivo di queste tradizioni letterarie, rielaborate in gran parte durante il periodo dell’espansionismo ateniese nell’Egeo, mentre le testimonianze archeologiche mettono in luce rapporti di convivenza e di integrazione. Sul caso dei Cari a Mileto cfr. Ehrhardt 2006. Sul problema della nascita e sviluppo dell’identità ionica cfr. Crielaard 2009. Utile per un’analisi attenta dei testi letterari Corsaro 1991. 532 Sui Lidi, le loro tradizioni e la loro cultura cfr. Radet 1893; Mazzarino 1947, 167–182; Talamo 1979; Carruba 2003. 533 Cfr. Strab. (XIV, 1, 4).

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

pevole di hybris. Non si dimentichi, poi, che Gige estese i propri domini sulla Troade e che fu a lui che i Milesi dovettero rivolgersi per ottenere il permesso di fondare colonie sull’Ellesponto534. La Lidia era in questo modo divenuta padrona dei territori che secoli prima, secondo l’immaginario greco, avevano visto gli Achei sbarcare in Asia per intraprendere una lotta decennale contro Troia. Callino si pose anche il problema dell’origine della popolazione della Troade – non sappiamo purtroppo in quale contesto – e sulla base della presenza dell’oronimo Ida, connesso anche qui al culto dei Coribanti, concludeva che la più antica popolazione della regione, i Teucri, sarebbe provenuta da Creta e che si sarebbe stabilita in quei territori a seguito di un responso oracolare, introducendo il culto di Apollo Sminteo535. Non sappiamo se il poeta di Efeso trattasse anche delle altre popolazioni, quali ad esempio dei Dardani, tuttavia appare significativo il suo interesse per le origini dei popoli con i quali gli Eoli erano per primi entrati in contatto. Non solo, ma le sue considerazioni evidenziano come già intorno al 650 a.C. presso i Greci fosse presente una tendenza all’indagine scientifica sugli etnici e sui toponimi. La testimonianza di Callino non resta isolata: Erodoto536, parlando del passaggio di Serse nell’Ellesponto, accenna alla presenza nella zona di una popolazione dall’etnico di Teucri Gergiti. La linguistica storica spiega la presenza di toponimi comuni in aree così lontane nei termini di persistenza di un sostrato egeo o pregreco: si tratta in genere di denominazioni di luogo di origine non indoeuropea, talvolta grecizzate tramite un suffisso, il cui uso si sarebbe mantenuto in età storica. Tali responsioni erano state naturalmente notate dai Greci, che in genere tendevano a spiegarle elaborando tradizioni eziologiche di migrazioni di popoli o di passaggio di eroi greci in quei luoghi. Le corrispondenze non esistevano solo sul piano della toponomastica, ma anche su quello della cultura materiale e dei culti locali, dei quali talvolta possediamo documenti archeologici. Ricordo, a proposito, la famosa statuetta di dea con le braccia alzate da Lemno537, che poteva testimoniare anche agli occhi dei Greci, in un contesto anellenico, la persistenza di elementi egei nella cultura dell’isola, persistenza, che a sua volta veniva spiegata tramite il mito.

534

Cfr. Strab. (XIII, 1, 22). Cfr. Strab. (XIII, 1, 48). Sull’importanza del culto di Apollo in Eolide ancora in età ellenisticoromana cfr. Ragone 1990; Özgünel 2003; osservazioni anche in Masciadri 2005, 74–80. 536 Cfr. Hdt. (V, 122); sui Teucri Gergiti cfr. Hdt. (VII, 42). Le tradizioni su questa popolazione sono state esaminate accuratamente da Faraguna 1995. 537 Sugli aspetti “egei” dell’arte di Lemno si rimanda in generale a della Seta 1937. 535

2. CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ NELLE TRADIZIONI E NELLA CULTURA

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2. Continuità e discontinuità nelle tradizioni e nella cultura della Troade postomerica Le tradizioni letterarie relative alla Troade postomerica, inerenti ai fatti mitici intercorsi tra la caduta di Ilio e le fondazioni eoliche di età storica, si inseriscono nel ciclo dei nostoi, che narrano le vicissitudini affrontate dagli eroi nel corso dei viaggi di ritorno verso la loro patria. Tali miti sono stati elaborati particolarmente in ambito magnogreco dalla storiografia locale, servendo alla fondazione di una memoria e di un’identità storica538 per le colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia, che in questo modo potevano proiettare in epoca eroica le loro origini, connettendole a questo ciclo epico. Esisteva una tradizione, con diverse varianti locali, probabilmente di matrice eolica, secondo la quale dopo la distruzione di Ilio e dei suoi centri abitati, la Troade sarebbe stata ripopolata e le sue città ricostruite dalle genti scampate ai massacri degli Achei, guidate dai figli di Enea e di Ettore539. Tale tradizione poneva un’assoluta continuità abitativa nella regione, che di lì a poco sarebbe stata colonizzata dagli Eoli. Prendiamo ora in esame le testimonianze dei singoli autori, distinguendole tanto cronologicamente che arealmente, in modo da tracciare un’evoluzione di questa tradizione nelle sue varianti locali540. Preliminarmente va detto che un cenno a questo mito sembra essere già presente nell’Iliade541, nella famosa predizione di Poseidone, il quale vaticina che in futuro sulla Troade è destino che regni la dinastia di Enea e dei suoi figli; stessa predizione si legge anche nell’Inno Omerico ad Afrodite542. In questo contesto va menzionata la discussa 538

Si rimanda a tal proposito alle osservazioni che D. Musti conduce nelle pagine introduttive di Musti 1988b. 539 Sull’argomento con una ricca bibliografia cfr. Bugno 2005, 359–374; per un’utile raccolta ed analisi delle testimonianze letterarie cfr. Nagy 2010, 187–211. 540 Lo studio più documentato sull’argomento, come in parte detto nel capitolo precedente, si deve a Smith 1981. Lo studioso raccoglie le singole testimonianze in ordine cronologico, cercando di tracciare uno sviluppo della tradizione nelle sue varianti regionali e cercando di inserirle in un contesto storico; sull’argomento cfr. anche Ballabriga 1996, e le considerazioni di Hertel 2008, 167–178 sugli Eneadi. Sulle tradizioni della Troade si rimanda al libro di Aloni 1986. In generale sul „Nachleben“ delle tradizioni sulla guerra di Troia cfr. con una buona bibliografia Burges 2001; Erskine 2001; Jahn 2007; Trachsel 2007; una buona sintesi anche in Zimmermann 2004. 541 Cfr. Hom. (Il. XX, 307–308): νῦν δὲ Αἰνείαο βίη Τρώεσσιν ἀνάξει / καὶ παίδων παἰδες, τοί κεν μετόπισθε γένωνται. Su questi versi esiste un’ampia bibliografia, in generale cfr. Smith 1981, 17–25 (con bibliografia precedente); Aloni 1986, 21–25; Ballabriga 1996, 29–30; Bugno 2005, 359–362 (con la bibliografia più recente). 542 Cfr. Hymn. Hom. (V, 195–196): σοὶ ἔσται φίλος υἱὸς ὅς ἐν Τρώεσσι ἀνάξει / καὶ παῖδες παιδέσσι διαμπερὲς ἐκγεγάονται. Su questa testimonianza cfr. Hoekstra 1969, 39–40 (che sottolinea le somiglianze formulari con i versi dell’Iliade); Pavese 1974, p. 121 sgg., p. 153 sgg.; Cassola 1975,

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

tesi di Wilamowitz543, secondo la quale tanto l’autore del XX canto dell’Iliade che quello dell’Inno omerico ad Afrodite avrebbero operato alla corte di un principato locale, quello degli Eneadi, ellenizzato, da localizzarsi presso Scepsi. Questi dinasti avrebbero avuto interesse a presentarsi come i legittimi eredi della famiglia di Enea, riallacciandosi alla dinastia dardanide. Questa tesi, accettata e sviluppata da Felix Jacoby544 e Karl Reinhardt545, un po’ ridimensionata da Lutz Lenz546 ed in tempi recenti criticamente ridiscussa da Dieter Hertel (il quale ritiene storicamente verosimile la presenza di tali dinasti nella Troade dell’VIII sec. a.C.)547 non è stata accolta da tutti. Peter Smith, ad esempio, in un lungo articolo pubblicato nel 1981, ha fatto notare l’inconsistenza storica sulla quale poggia una tale ipotesi, non supportata né dalle fonti letterarie e neppure da quelle documentarie548. Per quanto affascinante, la tesi che sia esistita una dinastia locale degli Eneadi, che abbia promosso la composizione del libro XX dell’Iliade e dell’Inno ad Afrodite, va considerata pertanto con un dovuta prudenza.

246–251; Nagy 1979, 265–275; Horsfall 1985, p. 222; Aloni 1986, 35–38; Zanetto 1996, p. 46, p. 50; Ballabriga 1996, 31–35; Bugno 2005, 361–362. 543 Wilamowitz-Moellendorf 1913, 83–87. Lo studioso così scriveva (p. 83): «Es ist gar nicht anders denkbar, als dass ein halbhellenisiertes Herrscherhaus von Aeneaden in der Troas, ich denke mir nicht bei Ilion, sondern etwa in Skepsis, […] diese Personen [Aineias and Anchises], ihre Ahnen, in die Reihe der Troer eingeführt hat, deren Reich sie in gewissem Sinne fortführten. […] Der Dichter des Y und der des Aphroditehymnus dichten an ihrem Hofe zu ihren Ehren, schöne Belege für die Eroberung des Asiatentums durch die hellenische Kultur und Dichtung». 544 Jacoby 1933, in part. 42–53; lo studioso notava (p. 43): «daß der Iliasdichter zu diesem Geschlecht in persönlichen Beziehung gestanden, daß er an seinem Hof vielleicht nicht nur vorgetragen, sondern gelebt hat». 545 Reinhardt 1961, 507–510, il quale proponeva una datazione più tarda per questa parte dell’Iliade, che sarebbe stata ispirata e voluta, come l’Inno ad Afrodite, da un committente locale. 546 Lenz 1975, il quale se da un lato sottolineava l’indipendenza dell’Inno ad Afrodite, composto per essere recitato in un contesto cultuale, dal canto dell’Iliade, appartenente al genere epico, separando in tal modo i due componimenti e sottolineando l’unità del testo iliadico, dall’altro ammetteva l’esistenza di una dinastia locale (p. 266): «da aber ohne persönliche Beziehung zu den Aineiaden ein Singer kaum ein durchschlagendes Interesse an der Weitergabe des Auskunft Y 307 f. gehabt haben dürfte». 547 Hertel 2008, 173–175, al quale si rimanda anche per la bibliografia precedente. 548 Smith 1981, il quale costruisce la sua argomentazione attraverso un’attenta analisi delle tradizioni trasmesse nel testo di Dionigi di Alicarnasso e di Strabone. Anche l’omerista Wolfgang Kullmann ha di recente espresso il proprio scetticismo nei confronti di questa tesi (Kullmann 2011, 103–104, con letteratura precedente): «[…] andere nehmen unabhängig davon an, daß der Dichter zur Klientel einer Aineiadenfamilie gehörte. Dafür bietet die Ilias jedoch keinen Anhaltspunkt, sie legt aber nahe, daß die Dardaner zur Zeit des Iliasdichter weiterlebten».

3. ARCTINO DI MILETO

3.

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Arctino di Mileto

Arctino di Mileto era un poeta epico vissuto probabilmente nel VI sec. a.C, al quale la tradizione attribuisce due poemi del ciclo troiano, l’Etiopide549 e la Distruzione di Ilio550. Dionigi di Alicarnasso551 afferma che si trattava del più antico autore ad aver trattato la storia dei Penati e del palladio. Secondo la tradizione da lui tramandata552, sarebbe esistito un solo palladio ed esso sarebbe stato donato da Zeus a Dardano. L’artefatto, che avrebbe garantito l’inespugnabilità di Ilio, sarebbe stato custodito nell’ἄβατον del tempio della rocca. Arctino aggiungeva che per motivi di sicurezza i Troiani avrebbero sostituito l’originale con una copia, fatta talmente bene da poter trarre in inganno chiunque; gli Achei avrebbero sottratto questo falso, che trovarono esposto nel tempio, e non l’originale tenuto invece ben nascosto in una cella. In tempi recenti Andrea Debiasi553, analizzando in maniera approfondita il testo dionigiano, in cui è tramandato il frammento, ha potuto dedurre con argomenti a mio avviso convincenti, che Arctino (che Sofocle utilizzò come fonte) faceva partire alla volta dell’Italia Enea con i simulacri dei Grandi Dei ed il palladio554. L’interpretazione dello studioso padovano si fonda sul valore avversativo di δὲ, che compare nella frase Ἀρκτῖνος δὲ φησιν, che introduce la tradizione dell’esistenza di un solo palladio, donato da Zeus a Dardano555, come detto in precedenza556. 549

I frammenti dell’Etiopide sono consultabili nelle seguenti edizioni moderne: Bernabé 1987, 65–71; Davies 1988, 45–48; West 2003, 108–113. L’opera avrebbe compreso cinque libri secondo un passo di Proclo (chrest. suppleta ex Apollod. Epit. 5.1–6: ἐπιβάλλει δὲ τοῖς προειρημένοις Ἰλιὰς Ὁμήρου∙ μεθ’ ἥν ἐστιν Αἰθιοπίδος βιβλία πέντε Ἀρκτίνου Μιλήσίου). A riguardo cfr. osservazioni in Burges 2001, 140–142; Debiasi 2004, 123–136. 550 I frammenti dell’Iliupersis sono consultabili nelle seguenti edizioni moderne: Bernabé 1987, 82–92; Davies 1988, 61–66; West 2003, 142–153. L’opera avrebbe compreso due libri stando alla testimonianza di Fozio (chrest. suppleta ex Apollod. Epit. 5.16–25: ἕπεται δὲ τούτοις Ἰλίου πέρσιδος βιβλία δύο Ἀρκτίνου Μιλησίου περιέχοντα τάδε). 551 Cfr. Dion. Hal. (I, 68, 2) = Iliupersis Fr. 1 Allen = Fr. 142 West: παλαιότατος δὲ ὧν ἡμεῖς ἴσμεν 〈ὁ〉 ποιητὴς Ἀρκτῖνος. 552 Su questa tradizione cfr. Smith 1981, 25–28. 553 Cfr. Debiasi 2004, 146–155 con una ricca bibliografia. 554 Questo contro la communis opinio della maggior parte degli studiosi (cfr. ad esempio Horsfall 1979). 555 Per completezza riporto integralmente il testo di Dionigi (I, 69): […] Ἀρκτῖνος δέ φησιν Ἀρκτῖνος δέ φησιν ὑπὸ Διὸς δοθῆναι Δαρδάνῳ Παλλάδιον ἓν καὶ εἶναι τοῦτο ἐν Ἰλίῳ τέως ἡ πόλις ἡλίσκετο κεκρυμμένον ἐν ἀβάτῳ· εἰκόνα δ’ ἐκείνου κατεσκευασμένην ὡς μηδὲν τῆς ἀρχετύπου διαφέρειν ἀπάτης τῶν ἐπιβουλευόντων ἕνεκεν ἐν φανερῷ τεθῆναι καὶ αὐτὴν Ἀχαιοὺς ἐπιβουλεύσαντας λαβεῖν. τὰ μὲν οὖν εἰς Ἰταλίαν ὑπ’ Αἰνείου κομισθέντα ἱερὰ τοῖς εἰρημένοις ἀνδράσι πειθόμενος γράφω τῶν τε μεγάλων θεῶν εἰκόνας εἶναι, οὓς Σαμοθρᾷκες Ἑλλήνων μάλιστα ὀργιάζουσι, καὶ τὸ μυθευόμενον Παλλάδιον, ὅ φασι τὰς ἱερὰς φυλάττειν παρθένους ἐν ναῷ κείμενον Ἑστίας. 556 Questa interpretazione permette di considerare sotto un’ottica diversa anche i rapporti tra Arctino e Stesicoro, facendo constatare per altro un’interessante continuità tra i due autori, che facevano salpare l’eroe troiano alla volta dell’occidente.

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

La frammentarietà delle testimonianze sulla sua opera non ci permette tuttavia di stabilire, se Arctino facesse restare nella Troade una parte dei Troiani, stabilendo in tal senso una continuità insediativa.

4.

La tradizione logografica: Anassicrate, Conone, Ellanico

La tradizione letteraria conferisce ai figli di Enea e di Ettore, rimasti in Troade, un ruolo di primo piano nel processo di ripopolamento della regione. Anassicrate, Conone ed Ellanico costituiscono le fonti più importanti per ricostruire tali vicende mitiche. Anassicrate (FGrHist 307, F 1), uno storico di età ellenistica, autore di un’opera su Argo, raccontava che dopo la caduta della città, le genti superstiti si sarebbero riunite intorno ad Enea e a Scamandrio, il maggiore dei figli di Ettore. Va detto che il passo in questione a livello di tradizione manoscritta presenta delle difficoltà testuali ed è per questo di non facile interpretazione. Nel testo si legge che Scamandrio sarebbe stato un figlio illegittimo di Ettore, il quale avrebbe guidato il gruppo di Troiani superstiti nell’Ida, mentre Enea si sarebbe diretto nei territori dei Dardani. Va inoltre fatto notare come questo nome sottolinei l’autoctonia ed il forte legame col territorio di questo personaggio. La versione fornita da Conone (FGrHist 26, F XLVI), uno storico ateniese del V sec. a.C., è più chiara e ricca di particolari557. Prima della presa di Troia, Priamo avrebbe inviato al sicuro in Lidia due figli di Ettore, Scamandrio ed Ofrinio, probabilmente dopo la morte del padre. In seguito, caduta la città, Enea per sfuggire agli Achei si sarebbe rifugiato nei territori montuosi dell’Ida, mentre i due Ettoridi avrebbero fatto ritorno in patria per rivendicare i diritti regali paterni sulla Troade. Enea avrebbe allora deciso di seguire la volontà della madre e, abbandonata la sua patria, avrebbe preso la via del mare, attraversando l’Ellesponto, per giungere al golfo di Terme, dove Anchise sarebbe stato sepolto e dove dalla popolazione locale tracia gli sarebbe stata offerta la regalità su quei territori, da lui rifiutata. Conosciamo la versione di Ellanico di Lesbo558 in maniera molto dettagliata grazie a Dionigi di Alicarnasso, il quale attinse in gran parte – come visto nel capitolo precedente – alle tradizioni tramandate dal logografo lesbio per ricostruire la protostoria mitica di Roma. Secondo tale versione del mito, Troia sarebbe stata presa dagli Achei grazie all’inganno del cavallo di legno ed al tradimento degli Antenoridi559, che avrebbero favorito l’ingresso in città dei nemici, i quali una volta penetrati in forze, avrebbero compiuto l’eccidio dei Troiani e dei loro alleati, 557 558 559

Per un commento al frammento cfr. Kenneth Brown 2002, 309–320. Cfr. FGrHist 4, F 31 = Dion. Hal. (I, 45, 4–48, 1). Per le tradizioni relative ad Antenore ed agli Antenoridi si rimanda al lavoro di Braccesi 1984 ed alla bibliografia citata nel capitolo precedente.

5. LA CONTINUITÀ INSEDIATIVA

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mentre questi stavano dormendo nei loro letti. Enea, tuttavia, si sarebbe salvato ed insieme ad un gruppo di Troiani e di Dardani, salito sulla rocca di Ilio, avrebbe posto in salvo ta hiera patroa e quanti più oggetti preziosi possibile del tesoro reale. In seguito l’eroe avrebbe condotto fuori dalla città in fiamme questa schiera di profughi, ai quali si sarebbero aggiunti anche gli abitanti dei centri vicini, quali Dardano ed Ofrinio, messi in allarme dai bagliori dei fuochi. Compatto, il gruppo avrebbe trovato rifugio sui monti del massiccio dell’Ida, confidando di ridiscendere in pianura, dopo che, distrutti e saccheggiati i centri abitati, gli Achei fossero ripartiti. Questi, intanto, caduta Ilio, avrebbero distrutto anche le altre cittadine della Troade. Gli Achei, evidentemente stremati in seguito ai lunghi anni di guerra, avrebbero cercato di giungere ad un accordo con questo manipolo di superstiti, inviando loro dei messi: Enea ed i suoi compagni avrebbero potuto abbandonare la loro regione e sostare sui territori e sui mari posti sotto la giurisdizione greca, solo se avessero loro consegnato le ricchezze del tesoro di Priamo, da loro recuperate, ed avessero abbandonato i phrouria da loro presidiati sulle montagne. Enea, accettate tali condizioni, costruita una flotta, avrebbe abbandonato la Troade con la maggior parte della popolazione, mentre suo figlio Ascanio, con una parte degli alleati, la maggior parte dei quali era di origine frigia, si sarebbe trasferito a vivere nella regione di Daskyleion, dove dalla popolazione locale avrebbe ricevuto il titolo di basileus. Qui Ascanio sarebbe vissuto per molto tempo. Successivamente, lasciati liberi da Neottolemo, Scamandrio ed altri figli di Ettore sarebbero tornati ad abitare la Troade. Costruita una flotta ed attraversato l’Ellesponto i Troiani sarebbero dapprima approdati nella Pallene, regione abitata dalla popolazione tracia dei Krousaioi, fedeli alleati di Priamo nella guerra contro gli Achei.

5. La continuità insediativa Vediamo ora di condurre alcune osservazioni su questa tradizione, a noi nota in tre varianti. Anzitutto si individua un nucleo centrale, che è quello della continuità del popolamento da parte delle popolazioni locali. Questo si spiega in relazione al fatto che la regione, dopo la caduta di Troia, non venne occupata dagli Achei, i quali distrutte Ilio e le città alleate preferirono far ritorno a casa. Dopo dieci anni di guerra, la Troade è una regione devastata, senza più un centro urbano e politico che garantisca un’unità territoriale: essa è divenuta in termini politici una sorta di eremos chora. Come detto, l’elemento più rilevante nel complesso di questi miti sta nel fatto che essi sottolineano la continuità di popolamento, continuità nella quale comunque vanno distinte una componente dardanide, la quale fa capo alla casata di Enea, ed un’altra, che si potrebbe definire ettoride, che garantisce una continuità dinastica alla stirpe di Priamo. Questa dualità, sia etnica che dinastica, si riallaccia in fondo al nucleo delle tradizioni mitiche dell’originario

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

popolamento della regione, che veniva ricondotto, come precedentemente analizzato, ad un’originaria componente anatolica, autoctona, quella dei Teucri, e ad una esterna, proveniente dalla Tracia, quella dei Dardani. Entrambi questi popoli facevano capo a regni e a dinastie differenti, tuttavia legati tra loro da vincoli matrimoniali. La tradizione nel suo complesso lascia chiaramente intravedere una situazione di decadenza e di scadimento politico e culturale, dopo la caduta di Ilio; tuttavia la regione continua a essere abitata dalle medesime popolazioni e governata, seppure in termini differenti, dalle medesime casate reali: si avverte una continuità insediativa e dinastica.

6. Il problema dei Lidi Come detto, Conone (FGrHist 26, F XLVI) riferiva che Scamandrio ed Ofrinio, figli di Ettore, sarebbero stati inviati da Priamo in Lidia affinché si salvassero, e che, successivamente tornati, avrebbero rivendicato i diritti regali paterni. Lo storico ateniese non specifica il momento in cui questo fatto sarebbe avvenuto (probabilmente comunque dopo la morte di Ettore), e neppure fornisce altre informazioni sui rapporti che eventualmente Troia avrebbe avuto con i Lidi. Ad ogni modo, questo presupporrebbe che il re di Ilio avesse inviato i suoi nipoti, presagendo la caduta della città dopo la morte del più valoroso dei suoi combattenti, in un regno sicuro, capace di difenderli nel caso gli Achei avessero voluto sterminare tutta la sua famiglia. Si tratta, come è chiaro, di un evidente anacronismo: la nascita della Lidia quale stato egemone non si data prima del VII sec. a.C., ovvero quando a seguito dell’invasione dei Cimmeri si ha un vuoto politico in Anatolia, che viene colmato dal formarsi di questa nuova compagine politica. Dall’Iliade sappiamo che Priamo intratteneva rapporti col regno di Frigia, che sino al VII sec. a.C. rappresentava storicamente in Anatolia uno stato unitario, capace di fare fronte all’espansionismo assiro in questi territori. Il vecchio sovrano ricorda, infatti560, che ai tempi della sua giovinezza, quando era un guerriero forte e valoroso, si era recato in qualità di alleato in Frigia, terra ricca di viti, per combattere a fianco dell’esercito di Otreo sulle rive del fiume Sangario contro le Amazzoni. Ancora i Frigi sono ricordati nel catalogo tra gli alleati dei Troiani, a capo dei quali stavano Forci ed Ascanio, che veniva dalla lontana Ascania561. Nell’Iliade la Frigia viene rappresentata come un regno ricco ed unito, in cui Priamo ha potuto vendere i tesori della sua città per finanziare la guerra (Il. XVIII, 288– 292) e dove si trovano città “ben abitate” (Il. III, 400–401). Ecuba, la seconda sposa di Priamo, sarebbe provenuta dalla Frigia, facendo sì che la casata troiana e 560 561

Cfr. Hom. (Il. III, 182–190). Cfr. Hom. (Il. II, 862–863).

6. IL PROBLEMA DEI LIDI

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quella Frigia fossero imparentate. Si deve aggiungere inoltre che nell’Iliade i Lidi in quanto tali non sono mai nominati e sono conosciuti con la loro antica denominazione di Meoni. Questo fatto potrebbe costituire un valido elemento con cui poter per lo meno collocare approssimativamente la nascita di tale tradizione, che presuppone non solo la presenza di un forte stato lidio in Anatolia, ma anche una sua qualche influenza nei territori della Troade. La connessione storica infatti esiste ed è molto forte: Strabone562 afferma che i Milesi poterono colonizzare Abido solo previa concessione di Gige, re dei Lidi, dal momento che in quel periodo, continua il Geografo di Amasea, la Troade ed i territori limitrofi stavano sotto la giurisdizione della Lidia e dal sovrano lidio avrebbe preso il nome di Gygas un promontorio nei presso di Dardano. Esistette pertanto un tempo in cui la zona settentrionale dell’Anatolia era controllata dal regno di Lidia; probabilmente in tale epoca andrebbe collocata la nascita di tale tradizione, epoca in cui, come si è visto, questa zona era oggetto dell’espansione commerciale e coloniale di Mileto, che impiantava sulle coste i propri empori, probabilmente inserendosi all’interno di strutture insediative locali preesistenti. Strabone afferma che la piana della città di Tebe era abitata dai Lidi, che allora si chiamavano Meoni: in questo caso si tratta di una popolazione da tenere distinta dai Lidi del regno di Gige, poiché non sarebbe stato verosimile che Priamo avesse inviato i suoi nipoti presso i Meoni di Tebe, anche in quanto la città era stata già presa dagli Achei, guidati da Achille. Va notato, inoltre, a favore della posterità della tradizione di Conone, che Scamandrio ed Ofrinio non sono personaggi eponimi, ma traggono piuttosto il nome da località preesistenti. In un altro verso dell’Iliade (VI, 402) Astianatte, il figlio di Ettore, è ricordato anche come Scamandrio, un secondo nome con cui affettuosamente era chiamato dal padre. La questione si pone ora nei termini se si debba identificare Scamandrio con Astianatte o no. La risposta dovrebbe, a mio avviso, essere negativa, visto che tutta quanta la tradizione, non solo letteraria, ma anche figurativa, concorda nel far morire Astianatte per mano di Neottolemo. Inoltre, per lo meno a livello omerico, non sono noti, o comunque menzionati, altri figli di Ettore concepiti da Andromaca. Ecco quindi che la tradizione, successivamente, avrebbe elaborato una variante mitica per cui Ettore, come del resto suo padre Priamo, potrebbe aver avuto figli da altre donne, schiave o concubine, che sarebbero stati inviati da Priamo in Lidia affinché si salvassero. Soffermiamoci ancora sulla Lidia di età storica. Sulla base delle testimonianze sia storiche che archeologiche sappiamo, come precedentemente accennato, che la Lidia in quanto stato unitario ed egemone nasce nel VII sec. a.C. sulle ceneri del regno frigio, caduto a seguito dell’avanzata dei Cimmeri. La maggior parte delle 562

Cfr. Strab. (XIII, 1, 22): Ἄβυδος δὲ Μιλησίων κτίσμα, ἐπιτρέψαντος Γύγου, τοῦ Λυδῶν βασιλέως∙ ἦν γὰρ ἐπ’ἐκείνῳ τὰ χώρια καὶ ἡ Τρωὰς ἅπασα, ὀνομάζεται δὲ καὶ ἀκρωτήριον τι πρὸς Δαρδάνῳ Γύγας. Su questo centro milesio cfr. Ehrhardt 1988, 32–33. Per una ricostruzione storica delle dinamiche del periodo della dominazione lidia cfr. Tenger 1999, 127–130.

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

informazioni provengono da Erodoto, il quale riferisce che ai tempi di Creso lo stato lidio si estendeva sino alle rive dell’Alis, suo confine naturale, oltre il quale si localizzavano le tribù dei Siri e dei Paflagoni. Creso sarebbe poi stato, a giudizio dello Storico di Alicarnasso, il primo ad avere iniziato “delle opere ingiuste contro gli Elleni”, imponendo alle città eoliche, ioniche e doriche d’Asia, che sino a quel momento sarebbero state libere, il pagamento di un tributo. I successori di Creso avrebbero dal canto loro perseguito una politica di espansione ai danni delle poleis elleniche. Gige avrebbe, infatti, conquistato Colofone ed attaccato Mileto e Smirne563; ad Ardys viene attribuita la conquista di Priene e l’aggressione di Mileto564. Sadiatte avrebbe a sua volta iniziato una lunga guerra contro Mileto, terminata dopo la sua morte565; Aliatte avrebbe infine a sua volta continuato la guerra contro Mileto566 ed occupato Smirne567: il rapporto con la Lidia si configura dunque come pieno di conflittualità, ma anche di reciproci scambi ed integrazioni culturali. Elementi anatolici, come messo precedentemente in rilievo, convivevano accanto agli Elleni nelle poleis ed erano perfettamente grecizzati. I grandi santuari della Ionia, come ad esempio l’Artemision di Efeso, erano frequentati anche da pellegrini lidi, che hanno lasciato delle testimonianze epigrafiche del loro passaggio568. Per quanto riguarda il modo di vestire, Erodoto ricorda ad esempio come a Samo gli Ioni si distinguessero dagli altri Greci per le loro acconciature lidie. Ancora, si potrebbe nuovamente ricordare la mitra lidia, che Saffo voleva donare alla sua allieva come simbolo del suo affetto. Né tanto meno va dimenticato che i Lidi avevano mutuato dai Greci la scrittura. Si trattava, insomma, di un mondo pieno di conflitti politici, ma culturalmente caratterizzato da una koinè culturale, come insisteva Mazzarino. Va ricordato, inoltre, che in Lidia si ebbe lo sviluppo di una storiografia locale in lingua greca, segno comunque del prestigio che la cultura ellenica aveva in questo paese569. I miti greci dovevano quindi essere conosciuti nelle corti dei monarchi lidi e sicuramente rielaborati. La versione di Ellanico, come notava Dionigi di Alicarnasso (I, 48, 1), doveva essere quella più apprezzata e conosciuta presso gli antichi. Anche nelle tradizioni lesbie la Troade, caduta Troia, non veniva occupata dagli Achei, i quali si limita563

Cfr. Hdt. (I, 14, 4). Cfr. Hdt. (I, 15). 565 Cfr. Hdt. (I, 18, 2). 566 Cfr. Hdt. (I, 17–18; 25). 567 Cfr. Hdt. (I, 16, 2), in generale sulla testimonianza erodotea cfr. Talamo 1978; Lombardo 1988. Sull’elaborazione di tali tradizioni in Occidente cfr. Sammartano 2000, in part. p. 169 sgg.; sulle connessioni con Troia cfr. anche Burkert 1995, 139–148. 568 Sulle dediche lidie ad Artimul, ovvero ad Artemide, cfr. Gusmani 1964, p. 63 sgg. Sulla frequentazione lidia degli oracoli greci cfr. il recente contributo di Rosenberger 2003; sui materiali lidi rinvenuti nei santuari greci cfr. Kerschner 2006b; id. 2005, 129–141. 569 A tal proposito rimando al documentato contributo di Mehl 2003. Tra gli studi più recenti cfr. i documentati contributi di Gazzano 2009a; ead. 2009b; ead. 2010.

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6. IL PROBLEMA DEI LIDI

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vano solamente a saccheggiarla e a devastare i centri cittadini. Abbiamo anche in questo caso un’idea di decadimento generale, che coinvolge tutta quanta la regione, che diviene politicamente una eremos chora, connessa ad una vera e propria deurbanizzazione del territorio, i cui abitanti sono costretti ad abbandonare le loro residenze cittadine per trovare rifugio sui monti, occupando phrouria, ovvero postazioni fortificate, con uno scadimento chiaramente della qualità della vita. Da notare come la tradizione lesbia sottolineasse l’attaccamento di Enea ai valori familiari e religiosi: i suoi primi pensieri sono infatti di trarre in salvo la famiglia e gli oggetti sacri, simbolo della religiosità del suo popolo. Questo costituì certo uno dei motivi di fondo che spinse Dionigi di Alicarnasso a scegliere tra le tante varianti al mito proprio quella di Ellanico, che maggiormente poteva confarsi ai valori della società romana. Quel che qui preme sottolineare è come nelle tradizioni lesbie fosse presente questa idea di continuità di popolamento della regione, da parte delle stesse genti e delle medesime dinastie. Enea, come si è visto, a seguito dell’accordo contratto con gli Achei, abbandona la Troade, ma solo una parte del popolo lo segue: alcuni decidono, infatti, nonostante tutto, di restare, e vengono inviati con Ascanio nei territori di Daskyleion, perché vi abitino. Interessante è anche il fatto che Ellanico specifichi che la maggior parte delle genti al seguito di Ascanio a Daskyleion fosse di origine frigia. Nell’Iliade, come visto, i Frigi sono conosciuti come una presenza lontana, forte ed amica; essi combattono a fianco dei Troiani contro gli Achei e non li abbandonano, neppure quando Ilio è caduta. Ora il collegamento tra i Frigi e Daskyleion che emerge da questa tradizione lesbia trova un riscontro storico molto interessante. Sappiamo che questo centro in età storica fu sede della satrapia persiana, che vi venne eretto un palazzo e che per questo, in quanto sede amministrativa, rivestì una certa importanza. Successivamente in età ellenistica questo centro dovette decadere a favore delle città costiere. Gli scavi che da qualche tempo una missione turca sta conducendo nel sito hanno messo in luce le strutture del palazzo e di parte dell’abitato; qui in anni recenti sono emerse tutta una serie di testimonianze epigrafiche, in lingua frigia, databili in un arco cronologico che va dal VI al IV sec. a.C., che hanno permesso di constatare l’esistenza a Daskyleion già dal VI sec. a.C. di una comunità linguistica frigia570. Questo dato si connette a quanto raccontava Strabone (XII, 1, 15) inerentemente a questo territorio, che ancora ai suoi tempi era abitato da una serie di 570

Sulle iscrizioni frigie rinvenute nel sito cfr. Gusmani – Polat 1989, con una descrizione dei materiali archeologici rinvenuti sul sito, scavato da una missione turca; sempre di Gusmani 1991; id. 1999. Per un inquadramento storico delle epigrafi cfr. Brixhe 1996. Per un’analisi complessiva del contesto archeologico cfr. Nollé 1992; il rinvenimento di un consistente numero di bullae d’argilla ha, inoltre, permesso di ricostruire la presenza dell’archivio della satrapia in questo centro (cfr. i due volumi curati da Kaptan 2002). Sulla presenza dei Persiani nella Troade e sui loro influssi culturali rimando al documentato studio di Bieg 2006. Per una ricostruzione storica cfr. Tenger 1999, 131-142.

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

popolazioni nomadi di origine tracia, che non risiedevano stabilmente in nessun luogo, ma che andavano di qua e di là per l’Ellesponto. Tra queste, come anche precedentemente visto, il Geografo di Amasea menziona i Dolioni ed i Frigi. La tradizione di Ellanico sembra tenere conto della reale situazione etnica del territorio di Daskyleion, che in effetti conosceva la presenza stabile di comunità frigie. Nella versione lesbia, inoltre, i figli di Ettore avrebbero fatto ritorno dalla Grecia perché rilasciati da Neottolemo e non vengono posti in alcun rapporto con i Lidi, che comunque vengono giustamente avvertiti come una presenza posteriore nel tempo ai Frigi.

7. Acusilao di Argo Acusilao di Argo571 fu autore di un’opera sulle tradizioni argive, purtroppo a noi nota solo in frammenti. Si trattava di un’importante raccolta delle tradizioni mitiche, inerenti alla protostoria di questo centro, in cui si ricostruiva il passato mitico dell’Argolide e la sua memoria culturale. Argo nella prima metà del V sec. a.C., quando Acusilao è attivo, rappresentava un po’ l’altra faccia del Peloponneso e un’alternativa politica e culturale a Sparta. Secondo una tradizione a lui attribuita, per altro già considerata nel capitolo precedente, ad Afrodite sarebbe stato predetto da un oracolo che, caduto il regno di Priamo, sarebbe toccato ai discendenti di Anchise di regnare sui Troes e questo sarebbe avvenuto quando questi si trovava in tarda età. Essendo la dea madre di Enea e volendo per questo provocare la caduta di Troia, essa avrebbe fatto innamorare Alessandro di Elena, inducendolo a rapirla e scatenando in questo modo il conflitto decennale. Secondo questa variante argiva572, la causa della guerra di Troia si riduceva essenzialmente all’ambizione di una singola divinità. Di rilievo è il fatto che in ambiente argivo circolava, codificata per iscritto, la tradizione di una continuità dinastica della dinastia dardanide in Troade.

8. Sofocle Con Sofocle573 ci spostiamo nel clima dell’Atene del periodo pericleo e della guerra del Peloponneso. Sofocle ebbe modo di trattare delle tradizioni sulla guerra di Troia in una tragedia, purtroppo andata perduta, intitolata Laocoonte. Si tratta, come appare evidente, di una testimonianza che, seppure frammentaria, è per noi molto preziosa in quanto rappresenta in un certo senso la versione “ufficiale” 571 572 573

Sulle tradizioni troiane da lui trattate cfr. le osservazioni di Smith 1981, 31–32. Cfr. FGrHist 2, F 39. Cfr. Fr. 344 Nauck = Dion. Hal. (I, 48, 2). Su questa fonte cfr. le osservazioni di Braccesi 1994, p. 51 sgg.

10. IL CASO DI SCEPSI E L’OPERA DI DEMETRIO

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codificata ad Atene della guerra di Troia e delle vicende ad essa successive. Secondo quanto si legge in Dionigi di Alicarnasso, che ci ha tramandato il frammento, Enea, poco prima che gli Achei s’impadronissero definitivamente della città, obbedendo a suo padre, il quale era stato avvisato da Afrodite, avrebbe tratto in salvo dalla rocca gli arredi sacri del culto e con un manipolo di Troiani si sarebbe rifugiato nell’Ida. Quelli in questione sono versi molto incisivi e drammatici, i quali restituiscono un senso di disperazione e di amor paterno, nella rievocazione dell’immagine dell’eroe che sulle spalle si è caricato il fardello del padre. Si trattava del resto di una scena che gli Ateniesi potevano ammirare sull’acropoli tra i rilievi del Partenone e che rappresentava da un punto di vista figurativo una tradizione accolta ad Atene. Probabilmente, come in Stesicoro574, anche in Sofocle Ascanio sarebbe partito alla volta dell’Occidente col padre, come troviamo raffigurato nella tavola iliaca.

9.

Menecrate di Xanto

Menecrate di Xanto575, vissuto nel IV sec. a.C., è autore di un’opera sulle tradizioni della Lidia. Dionigi di Alicarnasso menziona una sua versione del mito, secondo la quale Enea, per odio verso Paride, colpevole di averlo escluso da certi onori, avrebbe consegnato la città agli Achei, che in cambio gli avrebbero concesso l’incolumità. Nel testo altro non si legge, per cui non sappiamo se l’eroe sia restato in Troade o sia partito per il lontano Occidente. Va detto che tale tradizione sembra parallela a quella degli Antenoridi, la nobile famiglia troiana, alla quale dopo il tradimento gli Achei avrebbero concesso incolumità e la possibilità di andare in Occidente a fondare un proprio regno.

10. Il caso di Scepsi e l’opera di Demetrio Prendiamo ora in considerazione il caso particolare di Scepsi576, una città della Troade interna, che, come visto, secondo una tradizione mitica di probabile matrice eolica, sarebbe stata ricostruita dai Dardanidi dopo la guerra di Troia. Il motivo per cui questo centro è conosciuto deriva dal fatto che qui nacque Demetrio Su Stesicoro e l’Occidente cfrl̇e osservazioni di Rossi 1998; negli stessi atti cfr. anche il contributo di Braccesi 1997, 81–95. Sui rapporti con la tavola iliaca cfr. Galinsky 1969, p. 106 sgg. 575 Cfr. FGrHist 2, F 39 = Dion. Hal. (I, 48, 3). 576 Per la storia della città nelle sue linee generali cfr. Ehrhardt 1988, 29.

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di Scepsi577, un intellettuale di età ellenistica, autore di un’opera letteraria in cui erano raccolte tutte le tradizione mitiche della regione. Si trattava di un’opera, come possiamo ben immaginare, erudita e di una certa importanza, alla quale Strabone attinse largamente, soprattutto per la redazione della prima sezione del tredicesimo libro sulla Troade, ma con la quale spesso non si trovava d’accordo, in quanto non poche volte contrastante con la testimonianza omerica. Per tal motivo il Geografo di Amasea578 si mostra particolarmente informato circa i fatti di storia locale della città. L’antico centro cittadino non sarebbe stato originariamente ubicato dove sorgeva l’abitato di epoca ellenistico-romana, ma nei pressi dell’Ida, vicino alla citta di Policne. Dopo la guerra di Troia, la città sarebbe stata rifondata da Ascanio e da Scamandrio circa settanta stadi più a Nord della sede originaria. Scepsi sarebbe stata retta dalla diarchia delle famiglie degli Ettoridi e dei Dardanidi, rimaste al potere per lungo tempo. Successivamente sarebbe stato instaurato un regime oligarchico, che si sarebbe poi evoluto in una democrazia, in seguito all’arrivo dei Milesi in città. Interessante appare il fatto che i membri del genos regale avrebbero continuato a mantenere il titolo di basileis e a conservare parte dei loro privilegi. Secondo Demetrio, a causa della sua posizione centrale Scepsi sarebbe stata la capitale del regno di Enea. Dal sintetico quadro tracciato da Strabone sembra potersi desumere che il centro, dopo una fase di eolizzazione, alla quale sarebbe da ascrivere il governo monarchico, si sarebbe ionizzato a seguito dell’affacciarsi di Mileto nello scenario dell’Ellesponto e, dopo una fase oligarchica, vi si sarebbe instaurato un regime democratico. Tale ricostruzione storica sembra trovare una conferma nella numismatica: le monete recano infatti sino al V sec. a.C. la scritta ΣΚΑΨΙΩΝ, che successivamente diventa ΣΚΗΨΙΩΝ, a conferma di un’avvenuta ionizzazione della popolazione. Walter Leaf579 riteneva che i Milesi presenti in città in quel periodo potessero essere stati dei profughi, fuggiaschi da Mileto, che era stata data alle fiamme dai Persiani. Che la ionizzazione della città possa datarsi al V sec. a.C. sembrerebbe confermarlo anche l’epigrafia: è a partire da quest’epoca che si riscontrano in città tutta una serie di nomi di origine milesia. Per quanto riguarda l’archeologia, non possediamo dati sufficienti e soprattutto nel centro non sono stati condotti ancora scavi sistematici. Si rimanda per questo ai dati raccolti da James Cook580, il quale era dell’opinione che, da un punto di vista materiale, la presenza di genti lesbie a Scepsi non andasse datata prima del VII sec. a.C. Gli Eoli avrebbero allora introdotto il proprio sistema politico, caratterizzato dalla presenza di una famiglia reale, all’interno di un regime aristocratico. 577

Sulla figura di questo storico cfr. Pfeifer 1968, 249–251; Trachsel 2007, 200–212, con ulteriori riferimenti bibliografici. Cfr. anche le considerazioni di Nagy 2010, 197–202. I frammenti dello storico si trovano raccolti in Gaede 1880. 578 Cfr. Strab. (XIII, 1, 52–53). 579 Cfr. Leaf 1923. 580 Cfr. Cook 1975, 776–782.

11. I DARDANIDI COME REALTÀ STORICA

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L’intento di Demetrio, per cui non sempre Strabone può accettare quanto dice, era chiaramente quello di grecizzare581, o meglio costruire un’identità ellenica alla sua città, alla sua regione ed alla sua gente: egli fa questo creando varianti mitiche di tradizioni talvolta molto antiche, che addirittura si leggevano nel testo di Omero. Tanto per iniziare egli fa risalire alla voce greca skeptomai l’etimologia del nome della sua città, spiegando che il luogo in cui originariamente sorgeva il centro era visibile a tutti anche da lontano. Il toponimo si sarebbe poi fissato definitivamente quando nella zona i barbari cominciarono ad usare parole greche. Lo scopo di questa operazione era quello di dare un’idea di continuità insediativa linguistica e dinastica: gli abitanti di Scepsi sono greci in quanto discendono dagli Eneadi e per un certo periodo la città era stata sede della diarchia EneadiEttoridi. A tale proposito, è bene ricordare che Demetrio aveva grecizzato anche le origini dei Teucri, considerandoli una popolazione originaria di Creta e migrata in Troade, dove avrebbero introdotto il culto di Apollo Sminteo. Un altro dato interessante che emerge dal materiale epigrafico e storico-letterario a disposizione è quello della presenza di Atena quale divinità poliade, il cui culto era topograficamente ubicato nella rocca. Si potrebbero a proposito ricordare un’iscrizione pubblicata alla fine dell’Ottocento, rinvenuta nella parte alta del centro, in cui si menziona Atena, ed un passo che si legge nelle Elleniche di Senofonte582, in cui si narra che quando Dercillida prese la città, a sancire ufficialmente la sua occupazione, celebrò sull’acropoli dei sacrifici in onore di Atena.

11. I Dardanidi come realtà storica La tradizione per cui i Dardanidi583 sarebbero stati predestinati a regnare in Troade dopo la caduta di Ilio e della dinastia regnante era molto antica e, come visto, attestata già in Omero, dove Poseidone predice alla discendenza di Enea la dominazione sulla Troade. Successivamente, ritroviamo la medesima predizione 581

Gruen 1993, 40–42, cosidera le sue posizioni come ostili ad Ilio, mentre Gabba 1976, p. 88 sgg. giudica il suo atteggiamento quale antiromano. Della stessa opinione si dimostra anche Erskine 2001, 106–108. 582 Cfr. Xen. (Hell. III, 1, 21): Ὁ δὲ Δερκυλίδας θύσας τῇ Ἀθηνᾷ ἐν τῇ τῶν Σκηψίων ἀκροπόλει. 583 Su Dardano ed i Dardanidi cfr. l’analisi condotta nel primo capitolo; a riguardo va segnalata la presa di posizione di Aloni 1991, il quale ritiene, sulla base del fatto che, come si è visto, Dardanos è una forma linguisticamente rapportabile ad un sostrato tracio, che i Dardanidi fossero stati una dinastia locale, realmente esistita, la quale, grecizzatasi, linguisticamente e culturalmente, avrebbe a sua volta promosso l’elaborazione di tradizioni mitiche, finalizzate a creare un’identità greca o comunque a grecizzare le origini della loro casata. Si tratta, va detto, di una posizione alla quale non mi sento di aderire, anche in quanto, fatta eccezione per le città greche, in età arcaica non abbiamo comunque in Troade delle realtà urbane di rilievo, o comunque delle formazioni politiche unitarie, o comunque delle élites talmente grecizzate da produrre opere letterarie greche.

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

nell’inno omerico a Venere. Senofonte584 in un passo delle Elleniche menziona i Dardanidi, in relazione a due personaggi, un uomo ed una donna, Zenis e Mania, che hanno due nomi chiaramente traci. Si tratta di una testimonianza purtroppo isolata che ci permette tuttavia di constatare la presenza in epoca storica di un gruppo familiare avente un nome dalle risonanze mitiche. Ritengo che la scelta di questo nome da parte di membri dell’aristocrazia locale non sia casuale e possa essere, verosimilmente, ricondotta alla vitalità che tali tradizioni avevano nei centri della Troade ancora nel V sec. a.C., quando la regione è sotto il dominio persiano. Il fatto che questa dinastia locale nell’VIII sec. a.C. fosse talmente ellenizzata da promuovere l’elaborazione di tradizioni mitiche, che connettessero le loro origini a quelle di un’antica casata troiana, verosimilmente per motivi di propaganda politica, resta per ora un’ipotesi, che come detto, non sembra venir supportata dai dati archeologici.

12.

Astianatte

Astianatte nella tradizione omerica è considerato il figlio di Ettore, ucciso da Neottolemo, figlio di Achille, la notte in cui Ilio venne conquistata dagli Achei. I poemi del ciclo e Stesicoro seguono tutti questa tradizione e con la morte del piccolo pongono in un certo senso la fine della dinastia priamide nella Troade. Ellanico di Lesbo, nella testimonianza prima presa in considerazione, sembra essere stato il primo ad essersi discostato dalla versione tradizionale, facendo tornare Astianatte dalla Grecia, a rifondare in Troade la sua dinastia. Si trattava probabilmente di una tradizione locale eolica, forse anche molto antica, che comunque mostra l’esistenza di tradizioni contrastanti sull’argomento. In questo filone mitico forse dovette incanalarsi anche Atene, che, come detto, nutriva determinati interessi politici per i territori dell’Egeo settentrionale. Un autore di età ellenistica, Lisimaco (FGrHist 382, F 9) raccontava che Acamante, figlio di Teseo, avrebbe aiutato Ascanio e Scamandrio (Astianatte) a rifondare Troia e Dardano; tuttavia, a causa delle proteste dei suoi concittadini, egli avrebbe proceduto alla ricostruzione degli altri centri della Troade. Acamante è un personaggio sconosciuto ad 584

Cfr. Xen. (Hell. III, 1, 10): Ἡ δὲ Αἰολὶς αὕτη ἦν μὲν Φαρναβάζου, ἐσαστράπευε δ’αὐτῷ ταύτης τῇς χώρας, ἕως μὲν ἔζη, Ζῆνις Δαρδανεύς, ἐπειδὴ δὲ ἐκεῖνος νόσῳ ἀπέθανε, παρασκευαζομένου τοῦ Φαρναβάζου ἄλλῳ δοῦναι τὴν σαστραπείαν, Μανίαν ἡ τοῦ Ζήνιος γυνή, Δαρδανὶς καὶ αὐτή. Come si legge, i due personaggi, che come detto hanno nomi immediatamente riconoscibili come traci, facevano parte della nobiltà locale dell’Eolide. Va tuttavia anche detto che Δαρδανεύς potrebbe essere inteso anche come etnico e riferito all’origine di queste persone dalla città di Dardano (su questo problema esegetico cfr. anche Tenger 1999, 126). D’interesse appare certo l’attestazione del nome Manes in un’epigrafe frigia scoperta di recente a Daskyleion; dal contesto senofonteo sembrerebbe capirsi che si tratta comunque di personaggi dalla cultura ellenica.

13. ATENE E LA TROADE

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Omero e potrebbe essere connesso alla propaganda politica ateniese, che tramite questo personaggio avrebbe potuto vantare diritti mitici sui centri da lui rifondati. Di questa variante mitica va valutata soprattutto la compresenza di Astianatte e di Ascanio, in una tradizione di chiara matrice ateniese.

13.

Atene e la Troade

Atene in età pisistratea nutrì degli interessi politici per i territori dell’Egeo settentrionale, interessi particolarmente rivolti alla regione del promontorio del Sigeo, importante luogo di passaggio per le navi dirette verso il Ponto Eussino per rifornirsi di grano. Questi territori si trovavano sotto la giurisdizione di Mitilene, alla quale Atene dovette strappare con la forza questo importante lembo di terra. La guerra cosiddetta del Sigeo rappresenta un conflitto tra i meno conosciuti della storia ateniese, ma non per questo meno importante: esso segna di fatto l’ingresso politico della città di Teseo nelle regioni dell’Egeo settentrionale. Ogni conflitto è sempre accompagnato da una propaganda politica, che anche in questo caso non mancò: Atene tentò attraverso la manipolazione di antiche tradizioni mitiche di legittimare le sue mire espansionistiche in questi territori, a spese di Lesbo. L’intera vicenda è stata studiata in maniera approfondita da Luca Antonelli585, che ha proposto un’interpretazione convincente delle fonti. Abbiamo visto in precedenza come da parte eolica si tendesse a valorizzare un filone di tradizioni che ricostruisse una continuità insediativa nella Troade. Infatti, come Strabone scrive (XIII, 1, 38–39) gli Eoli rivendicavano nei confronti degli Ateniesi la fondazione di quasi tutti gli insediamenti delle Troade, molti dei quali in epoca augustea non esistevano più. Atene da parte sua s’insinuò nel seno delle tradizioni eoliche elaborando una variante, trasmessa in un frammento dello storico del IV sec. a.C. Dionisio di Calcide586 (ma forse già presente in Damaste di Sigeo), secondo la quale il re ateniese Acamante in virtù dell’affetto che egli nutriva per Laodice, figlia di Priamo (διὰ τὴν πρὸς Λαοδίκην οἰκειότητα), avrebbe accolto in 585

Sulla guerra del Sigeo e sulla relativa propaganda politica rimando al documentato studio di Antonelli 2000, p. 20 sgg. con la bibliografia precedente; Pastorio 2001; cfr. anche Mazzarino 1939, che fu uno dei primi a mettere l’accento sul modo in cui i Pisistratidi fecero un uso politico-propagandistico del mito troiano per il Sigeo; Aloni, 1984, 109–148; id. 1986, 114 sgg.; Biraschi 1989, 25–42; Nagy 2010, 189–193; Aloni 2012, 46–48. Sulla localizzazione di questa località cfr. con nuovi dati archeologici Bieg-Aslan 2006. 586 Schol. ad Eur. Androm. 10 (ed. Schwartz 1891): Διονύσιος δὲ ὁ Χαλκιδεὺς τὸν Ἀκάμαντα παρὰ Ἑλένου καὶ Ἀγχίσου φησὶ 〈διὰ〉 τὴν πρὸς Λαοδίκην οἰκειότητα Σκαμάνδριον τὸν Ἕκτορος εἰληφότα καὶ Ἀσκάνιον τὸν Αἰνείου ἐπιχειρῆσαι μὲν Ἴλιον καὶ Δάρδανον τειχίζειν, τῶν δὲ Ἀθηναίων αὐτὸ παραιτησαμένων, τηνικαῦτα τῆς ἐπιβολῆς ἀποστάντα τῆς Τρῳάδος Γέργιθα καὶ Περκώτην καὶ Κολωνὰς καὶ Χρύσην καὶ Ὀφρύνιον καὶ Σιδήνην καὶ Ἄστυρα καὶ Σκῆψιν καὶ Πολίχναν καὶ πρὸς τούτοις Δασκύλειον καὶ Ἰλίου κολώνην καὶ Ἀρίσβαν οἰκίσαντα ἀναγορεῦσαι οἰκιστὰς Σκαμάνδριον καὶ Ἀσκάνιον.

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

città Scamandrio, figlio di Ettore, ed Ascanio, figlio di Enea, aiutandoli a tornare in patria ed a ricostruire le città di Ilio e di Dardano. Il sovrano sarebbe stato tuttavia dissuaso da questo progetto dai suoi concittadini, contrari alla ricostruzione della città di Ilio. Egli avrebbe allora deciso di fondare in Troade i centri di Gergite, Percote, Colone, Crise, Ofrinio, Sidene, Astira, Scepsi, Policne, Dascilio, Iliocolone ed Arisbe, proclamandone come ecisti Scamandrio ed Ascanio. Se da un lato questa tradizione recupera quella continuità insediativa della Troade ad opera dei Dardanidi (e dei Priamidi), tanto cara agli Eoli, dall’altro ne attribuisce di fatto l’origine all’iniziativa degli Ateniesi587. Eschilo nelle Eumenidi588 riporta inoltre un’altra tradizione, secondo la quale la terra intorno al fiume Scamandro, al termine della guerra di Troia, sarebbe stata donata dagli Achei ad Atena ed ai figli di Teseo. Secondo questo mito la Troade sarebbe quindi appartenuta in modo legittimo ad Atene e sarebbe stata consacrata ad Atena. Entrambe le tradizioni, di chiara matrice ateniese, sembrano fornire la legittimazione mitica (e giuridica) alle mire espansionistiche ateniese nella Troade, che si concretizzarono in un primo conflitto sul finire del VII sec. a.C. (intorno al 610 a.C.), a cui tra l’altro prese parte il poeta Alceo. Successivamente, probabilmente intorno alla metà del VI sec. a.C., i Lesbi dovettero riconquistare i territori perduti, per poi perderli di nuovo a seguito di una guerra voluta dai Pisistratidi, nel corso della quale il Sigeo venne riconquistato. Questi miti aiutano anche a capire meglio il passo erodoteo (V, 94), nel quale si narra che gli Ateniesi in guerra con i Mitilenesi non riconoscevano i diritti di questi sulla Troade, argomentando che essi non solo avrebbero partecipato alla guerra di Troia, ma che dopo la guerra avrebbero anche contribuito al ripopolamento ed alla riurbanizzazione della regione. In questo filone di tradizioni andrebbe forse inserita un’interessante variante mitica, trasmessa negli scolii omerici, sulla quale recentemente Antonio Aloni589, sottolineando come «non sia possibile attribuire ai Lesbi di VII–VI sec. a.C. una sola e monolitica tradizione», ha richiamato l’attenzione, secondo la quale gli Eoli avrebbero cacciato i discendenti di Enea al loro arrivo nella Troade590. Questa tradizione, che comunque ammette una continuità insediativa da parte della dinastia dardanide, potrebbe essere stata elaborata in ambiente eolico ed essere stata usata dagli Eoli per rivendicare la legittimità del loro possesso della Troade, acquisito attraverso una conquista. Poiché lo Scoliasta non ha, pur587

Cfr. le osservazioni di Antonelli 2000, p. 45 sgg. Eum. 397-404: πρόσωθεν ἐξήκουσα κληδόνος βοὴν / ἀπὸ Σκαμάνδρου, γῆν καταφθατουμένη, / ἣν δῆτ’ Ἀχαιῶν ἄκτορές τε καὶ πρόμοι, / τῶν αἰχμαλώτων χρημάτων λάχος μέγα, / ἔνειμαν αὐτόπρεμνον ἐς τὸ πᾶν ἐμοί, / ἐξαίρετον δώρημα Θησέως τόκοις / ἔνθεν διώκουσ’ ἦλθον ἄτρυτον πόδα / πτερῶν ἄτερ ῥοιβδοῦσα κόλπον αἰγίδος. 589 Aloni 2012, 44–46. 590 Schol. Hom. Il. XX, 307–308: οἱ δὲ ὅτι Αἰολεῖς ἐξέβαλον τοὺς ἀπογόνους Αἰνείου. Su questa tradizione cfr. anche Nagy 2010, 199–200. 588

14. TROIA: UNA DISCUSSIONE ANTICA

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troppo, riportato ulteriori elementi di questa leggenda, non conosciamo in quale contesto gli Eoli siano entrati in contatto con i Dardanidi.

14.

Troia: una discussione antica

Leggendo i frammenti degli storici autori di Troikà risulta subito in maniera evidente come molte di queste testimonianze siano state trasmesse da Dionigi di Alicarnasso, autore di una monumentale opera sulle Antichità di Roma. Va detto, a livello di metodo, che chiaramente Dionigi, che scrive in età augustea, non inventa nulla, o comunque molto poco, ma raccoglie e filtra materiale tratto da autori greci, di secoli anteriori a lui, scegliendo di una tradizione mitica la versione a lui più congeniale, secondo precisi intenti di propaganda politica591. Egli vuol dare un’immagine di Roma, quale città greca, in cui confluiscono comunque anche elementi troiani, i quali sono comunque ellenici. Il tema, affrontato indirettamente da Dionigi di Alicarnasso, circa la grecità o la barbarità di Troia è il riflesso di una discussione avvenuta nel V sec. a.C., soprattutto in ambiente attico. Particolare attenzione merita il libro di Edith Hall592, in cui, come detto in precedenza, si pone in rilievo come la barbarizzazione di Troia a livello di tradizioni culturali sarebbe da datare al periodo delle guerre persiane, periodo in cui emerse o comunque si fece più forte la nozione di una comune grecità593 da difendere e da valorizzare contro il nemico invasore proveniente dall’Oriente. In questa prospettiva la guerra di Troia venne letta quale un conflitto che anticamente aveva opposto i Greci all’Oriente e che aveva visto vittoriosi i primi. Si ricordi a proposito quanto scriveva Erodoto nei primi capitoli della sua opera, quando ricercava le cause del conflitto che vide contrapposti Greci e Persiani. Non va dimenticata, inoltre, come vedremo meglio, l’omologazione dei Troiani con i Frigi, attestata nel teatro attico, che va connessa ad una equiparazione della popolazione di Ilio con i popoli confinanti. Infatti, i Troiani nella prima metà del V sec. a.C. da una parte delle tradizioni ateniesi vengono considerati come dei barbari. In realtà, sino ad allora, le tradizioni erano unanimi nel riconoscere un’identità greca ad Ilio ed alla sua dinastia regnante; non emergono inoltre, ad un’analisi interna dell’Iliade, elementi che possano contraddistinguere i Troiani dai Greci, quali barbari. Tanto a livello di genealogie – si pensi ad esempio alla discendenza di Enea da Afrodite – quanto in termini di tradizioni culturali (i Troiani adorano le medesime divinità dei Greci e partecipano al patrimonio di tradizioni e di valori comuni) non esistono sostanziali distinzioni tra i due popoli. Va piuttosto notato che Troia è comunque una città situata non in Grecia, ma in Anatolia e che come tale viene avvertita più vicina alle civiltà orientali, con le quali intrattiene rapporti di allean591 592 593

Su questo problema molto dibattuto cfr. Gabba 1974; Musti 1981c. Cfr. Hall 1989, p. 38 sgg. Su questo tema cfr. le osservazioni sempre valide di Nenci 1979, p. 12 sgg.

186

CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

za. L’esercito di Priamo non è inoltre omogeneo, ma è composto da una serie di contingenti stranieri, di genti che parlavano lingue diverse, come ricorda l’autore del “Catalogo”. Va anche notato che a livello iconografico, soprattutto nella pittura vascolare, l’orientalizzazione dei Troiani inizia a comparire solo nel V sec. a.C.594 Esiste nell’Iliade certamente una nozione di alterità e di percezione del diverso, pensiamo ai Cari “balbuzienti” che provengono da Mileto, o ai Sinti “dalla parlata selvaggia”, che abitano Lemno, ma certamente i Troiani non ricorrono in questa categoria: essi sono greci per genealogia e per cultura. La grecità della gente di Ilio era un dato accettato da tutti ed indiscusso in età arcaica, prima delle guerre persiane. Va ricordata a proposito un’altra testimonianza epica, contenuta nell’Inno ad Afrodite595, dove la dea, presentandosi a Priamo nelle sembianze della figlia di Otreo, re dei Frigi, afferma di essere in grado di parlare col sovrano di Ilio in quanto da piccola aveva avuto una nutrice troiana: Frigi e Troiani vengono qui presentati come due popoli distinti, che parlano lingue diverse. La confusione tra le due popolazioni non risaliva al patrimonio epico, ma sarebbe stata introdotta nella tradizione per la prima volta da Eschilo, secondo quanto sembra potersi desumere da uno scolio596. Che comunque tale variante sia da attribuirsi non all’epica, ma ad autori di teatro è confermato indirettamente da Strabone597, il quale rimprovera ai tragediografi attici di avere assimilato ai Frigi tutte le popolazioni gravitanti nell’area nord-occidentale dell’Asia Minore. In realtà, come Maria Staltmayr ha convincentemente mostrato598, nelle tragedie superstiti eschilee non si ricava alcun elemento probante, circa l’assimilazione dei due ethne. Sappiamo solo che nella tragedia perduta “I Frigi, ovvero il riscatto 594

Su questo tema cfr. Miller 1995, in cui viene studiata l’evoluzione dell’iconografia di Priamo soprattutto nella pittura vascolare. In generale sul tema della demonizzazione della figura dei Troiani ad Atene a seguito delle guerre persiane cfr. le osservazioni di Erskine 2001, 61 sgg., che tratta di questo fenomeno sia in relazione alla letteratura ed al teatro attico che alle arti figurative, fornendo una ricca bibliografia. Su questo tema cfr. anche Knittlmayer 1997; Brian Rose 2002; Muth 2006. 595 Cfr. Hymn. Ad Aphr. V, 113-116. 596 Cfr. Schol. Hom. Il. II, 286: ὅτι οἱ νεώτεροι τὴν Τροίαν καὶ τὴν Φρυγίαν τὴν αὐτὴν λέγουσιν, ὁ δὲ Ὅμηρος οὐχ οὕτως δὲ συνέχεεν; Schol. Hom. Il. II, 862: τοὺς Φρύγας ὁ ποιητὴς διαστέλλει, ὁ δὲ Αἰσχύλος συνέχεεν. A riguardo cfr. Hall 1988, in cui si conduce un’attenta discussione su un’integrazione proposta dal von Wilamowitz-Möllendorf 1914 al carme di Alceo su Elena (v. 15 οἱ δ’ἀπώλοντ’ἀμφ’ Ἐ[λέναι Φρύγες τε.) Questa integrazione viene, a ragione, respinta, in quanto tale identificazione, come gli scolii sopra citati mostrano, si incontra solo a partire da Eschilo. 597 Cfr. Strab. (XIV, 3, 3): οἱ ποιηταὶ δὲ μάλιστα οἱ τραγικοὶ τὰ ἔθνη, καθάπερ τοὺς Τρῶας καὶτοὺς Μυσοὺς καὶ τοὺς Λυδοὺς Φρύγας προσαγορέουσιν, οὕτω καὶ τοὺς Λυκίους Κᾶρας. 598 Cfr. Staltmayr 1991; cfr. osservazioni in Hall 1989, 39-40. Già Helen Bacon tuttavia faceva notare che (Bacon 1961, 101, n. 45): «Troy and Phrygia are synonyms in Aeschylus only in fr. 446 inc.».

14. TROIA: UNA DISCUSSIONE ANTICA

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di Ettore”, questi costituivano il coro della tragedia, prendendo poi parte attiva alla scena, accompagnando Priamo nella tenda di Achille599. La prassi di chiamare i Troiani con il nome di Frigi si riscontra poi in Sofocle600 e, soprattutto, in Euripide601. A tal proposito, si ricordi che Strabone distingueva una Phrygia megale da una Phrygia mikrà, quest’ultima localizzata nell’Ellesponto602, e che tale distinzione sembra essere riferita al periodo del regno di Mida, re dei Frigi. Non sarebbe quindi da escludere che tale denominazione geografica abbia influito o meglio facilitato l’assimilazione dei Troiani ai Frigi nell’ambito della propaganda ateniese del V sec. a.C. Sappiamo inoltre da Ellanico (FGrHist 4, F 31) che esisteva una tradizione, di probabile matrice eolica, che attribuiva ai Frigi un ruolo importante nel ripopolamento della Troade: costoro avrebbero infatti aiutato Ascanio, figlio di Enea, a ripopolare ed a ricostruire le città distrutte della regione. Può forse trovare una connessione in questo contesto il frammento di Xanto di Lidia (FGrHist 765, F 14), nel quale si afferma che i Frigi sarebbero giunti dall’Europa solo dopo la guerra di Troia, ad occupare quei territori una volta sotto il controllo della casa di Priamo. A ben riflettere, come ho già in parte rilevato in precedenza, la Troade dopo la caduta di Ilio si configura in un certo senso come una eremos chora, un territorio deserto, spopolato, che in quanto tale non va occupato con la forza, ma nel quale ci si deve semplicemente stabilire. In effetti l’ingresso dei Frigi nella regione non viene presentato come un atto di forza, ma piuttosto come un processo abitativo pacifico, di integrazione con il sostrato troiano sopravvissuto e sul quale regna legittimamente la casata dardanide. Integrazione significa fusione con gli elementi preesistenti ed in questo senso anche continuità abitativa. Questo corrisponde con la realtà storica di queste terre (come quella descritta da Strabone in età romana) le quali erano popolate da una serie di popolazioni traco-frigie, nomadi, come più volte è stato posto in rilievo. La Troade era nella realtà storica del V sec. a.C. abitata da una serie di popolazioni nomadi di stirpe frigia, le quali, nell’ambito del processo di “barbarizzazione” di Troia, devono essere state considerate quali discendenti degli antichi Troiani di Priamo: Frigi e Troiani sono il medesimo popolo barbaro. Le tradizioni eoliche, come visto, consideravano la regione come abitata da sempre dai Troiani, i quali, seppur di origine ellenica, avevano finito per mischiarsi con le popolazioni locali anatoliche, soprattutto dopo la guerra di Troia, tuttavia nel complesso un fondo di grecità era sempre rimasto. In questo filone di tradizioni 599

Staltmayr 1991, 368 considera i Frigi che compaiono nella tragedia come degli schiavi. Su questo tema, stranamente non trattato nella bella monografia di Elena Pallantza, e che ben meriterebbe una trattazione monografica, mi limito a rimandare a Bacon 1961, 101–104, con una raccolta dei passi in questione; cfr. anche il materiale raccolto da Staltmayr 1991. 601 A riguardo mi limito a rimandare alla raccolta dei passi in Bacon 1961, 115–172. 602 Sul problema delle fonti letterarie relative ai confini della Frigia cfr. il contributo di LamingerPascher 1990; da ultimo con una discussione delle fonti cfr. Vitale 2012, 65–79.

600

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CAPITOLO IV. I GRECI E GLI ALTRI

si ammetteva la continuità insediativa, ma solo nel senso che questi territori erano stati da sempre abitati da genti non greche. La questione non è semplice e non facilmente risolvibile, sappiamo che Ellanico, di origine lesbia, ma vicino a posizioni ateniesi, tendeva a privilegiare tradizioni che chiaramente collimassero con gli interessi della città di Teseo. In questo senso i viaggi verso occidente di Enea potevano connettersi a temi di propaganda politica ateniese. Ellanico avrebbe in questo senso cercato da un lato di salvare il nucleo originario della tradizione eolica, secondo la quale la Troade dopo la guerra di Troia sarebbe stata ripopolata e governata dai Dardanidi, in una prospettiva di continuità, ma dall’altro avrebbe diviso la popolazione superstite, facendone salpare una parte al comando di Enea verso l’Occidente, mentre la restante sarebbe rimasta, governata da Ascanio.

15. Dissensi ed assensi: nota sulla storiografia sulla Troade e della Troade Esistette una storiografia della Troade, ovvero di storici nativi della regione, che in fatto di tradizioni mitiche avevano elaborato o raccolto testimonianze locali spesso divergenti. Si è più volte ricordato Demetrio di Scepsi, un letterato del II sec. a.C., per via della sua opera in trenta libri a commento dei versi del Catalogo relativi al contingente troiano. Demetrio si era espresso per una continuità della dinastia degli Eneadi nella regione, ma soprattutto negava che Enea si fosse recato in Italia. Le sue opinioni si contrapponevano a quelle di Egesianatte di Alessandria della Troade, di Polemone di Kio e di Agatocle di Cizico. Egesianatte (FGrHist 45), vissuto tra II-I sec. a.C. fu autore di un’opera sulla protostoria mitica della Troade, in cui sosteneva che Enea, partito dalla regione, sarebbe morto in Tracia e che sarebbero stati i suoi figli a raggiungere l’Italia. Polemone (FHG III, F 37) faceva raggiungere ad Enea l’Italia, dopo una sosta in Arcadia. Secondo Agatocle (FGrHist 472), Enea, lasciato suo figlio Ascanio a regnare in Troade, insieme ad un gruppo di Frigi avrebbe raggiunto l’Italia con la figlia di uno di questi, Rhome, eponima della città. Va notato che si tratta di autori vissuti in epoca romana e soprattutto a ridosso della data del 204 a.C., anno in cui si data l’introduzione del culto della Magna Mater a Roma. Si trattava certamente di un periodo in cui da parte romana l’interesse per la Troade e per le tradizioni relative a questa terra, in termini di propaganda politica e di legittimazione ideologica delle conquiste asiatiche, era molto alto.

16. CONCLUSIONI .

16.

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Conclusioni

Le tradizioni relative alla Troia post-omerica, pur presentando una miriade di varianti locali, segno della vitalità e dell’importanza della figura di Troia nella cultura greca, nel complesso sono concordi nel rappresentare in una prospettiva di continuità la vita insediativa della Troade. Dopo la distruzione di Troia, la regione viene infatti abitata ancora dai Dardanidi, – questo anche in accordo con la famosa profezia data ad Afrodite – i quali tuttavia sembrano fondersi e convivere con gli elementi frigi, che arrivano ad abitare un territorio in gran parte spopolato. L’analisi delle tradizioni mitiche ha inoltre posto in rilievo anche in questo caso come la rappresentazione dei Dardanidi ed in generale dei Troiani post-omerici come barbari, quale propagata in particolar modo dal teatro ateniese di V sec. a.C., non viene recepita ed accettata in altre parti della Grecia. Seppure nelle loro varianti locali, le tradizioni argive ed eoliche considerano, infatti, i Dardanidi come una stirpe greca, che per volere degli dei continuano a regnare sulla Troade, seppur non più con gli sfarzi di un tempo.

Capitolo V Le tradizioni sui Cabiri nel Nord Egeo

1.

I Cabiri e le collettività mitiche

Le tradizioni sui Cabiri e la Madre degli Dei nella Troade e nelle regioni dell’Egeo settentrionale in età arcaica rappresentano il tema di questo capitolo, nel quale ci si soffermerà sul modo in cui l’origine del culto di queste divinità fu percepito, rappresentato e connesso con altre regioni della Grecia, come Creta, la Beozia e l’Arcadia. Le fonti mitiche testimoniano, inoltre, l’elaborazione di un modello di paesaggio sacro, attestato in diverse parti del mondo greco, che rappresenta lo spazio nel quale sono localizzati gli eventi del mito. Gli elementi paesaggistici che compongono questo spazio sono: la montagna, la fonte, il bosco sacro e soprattutto la caverna, luogo di nascita della divinità e di celebrazione dei riti misterici. Al centro delle celebrazioni troviamo, in genere, una divinità femminile, affiancata da dei propoloi (i Cureti o Dattili della tradizione), i quali sono detentori di un sapere connesso ai metalli ed alla magia. Si tratta di uno schema mitico che è possibile riscontrare non solo nelle regioni dell’Egeo settentrionale, ma anche a Creta ed in Arcadia. Per quanto riguarda le testimonianze letterarie, è da notare che queste sono per la maggior parte di autori di epoca romana: per tal motivo esse devono essere valutate con cautela, in quanto redatte in un’epoca in cui fattori di sincretismo avevano da tempo livellato le differenze locali tra questi culti. Lo studio dei fenomeni religiosi, soprattutto delle aree periferiche e di frontiera, permette anche di comprendere meglio l’atteggiamento dei Greci nei confronti delle credenze delle popolazioni locali e anche come i culti di determinate divinità si siano fusi o siano stati integrati con quelli dei coloni ellenici. In questo senso mi rifaccio in particolare al concetto di “traducibilità” delle religioni politeistiche, rielaborato in anni recenti soprattutto da Jan Assmann603. Lo studioso 603

Cfr. Assmann 1998, in part. p. 17 sgg. Si tratta di quel processo che in epoca imperiale Tacito, trattando della religione dei Germani, definiva col termine di interpretatio. Sulla interpretatio esiste una bibliografia sterminata; tra i lavori apparsi negli ultimi anni che tentano di fare il

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

mostra come presso gli Egizi, i Babilonesi o gli Ittiti, la medesima divinità potesse essere adorata con diversi nomi, conservando ciononostante la sua riconoscibilità e la sua identità. Un mercante siro poteva recarsi in Anatolia e recare offerte presso il tempio di Inana, in quanto dea omologa di Ishtar. Possiamo anche pensare alle dediche lidie604 ad Artimul, ovvero ad Artemide, nel santuario della dea ad Efeso, o ancora all’iconografia di Cibele605, che ha assunto le sembianze di una divinità greca. Nelle sue ricerche Jan Assmann606 ha dimostrato in una prospettiva interculturale come le culture non producano solo Fremdheit, ovvero estraneità e distanza rispetto all’alterità, ma sviluppino anche delle tecniche di traduzione. Aspetti e nomi degli dei possono differire, in quanto le lingue e le culture degli uomini sono molteplici, ma le funzioni delle divinità possono essere simili e suggerire per questo analogie. L’avvento del cristianesimo, in quanto religione monoteistica, segnò la fine di questa interscambiabilità607. Prima di iniziare ad addentrarci ad analizzare i complessi miti cabirici vorrei brevemente fare menzione del concetto di collettività mitiche, che Angelo Brelich introdusse per definire un gruppo di esseri divini, semidivini ed in generale mitologici dalle caratteristiche analoge, che agiscono in gruppo e che si confondono tra loro608. Alla categoria delle collettività mitiche appartengono ad esempio i Titani, i Cabiri, i Centauri ed i Satiri. Nell’ambito dei gruppi divini possono tuttavia distinguersi singoli personaggi come ad esempio Prometeo, per i Titani, Chilone per i Centauri e Sileno per i Satiri. Lo studioso di Roma sottolineava a ragione l’incertezza dello status di queste figure, che nel caso dei Titani, pur appartenendo al genere divino, raramente vengono definiti come θεοὶ. Queste collettività mitiche, pur distinte tra esse, presentano tuttavia delle evidenti analogie. La lavorazione dei metalli accomuna i Titani con i Ciclopi ed i Cureti-Cabiri. I Ciclopi conducono un’esistenza selvaggia, proprio come i Satiri, essi inoltre lavorano i metalli, sono deformi e dal carattere violento proprio come i Telchini di Rodi. L’aspetto teriomorfo accomuna poi Sileni, Satiri e Centauri. Queste figure punto della situazione, in generale cfr. Burkert 1985, 121–132; Graf 1998; Ando 2005; Chiai – Häussler – Kunst 2012; sull’argomento cfr. anche i diversi contributi in Bricault – Bonnet 2013. 604 Cfr. Gusmani 1964, p. 63 sgg. 605 Sull’iconografia di Cibele cfr. il documentato libro di Naumann 1983; tra i contributi più recenti che trattano della grecizzazione dell’iconografia di questa dea di origine frigio-anatolica cfr. Roller 1999; Vikela 2001, 67–123; Xagorari-Gleißner 2008. Sull’iconografia della Madre degli Dei anatolica cfr. la fondamentale monografia di Fleischer 1973. 606 Cfr. Assmann 1998, p. 18: «Kulturen erzeugen nicht nur Fremdheit in Bezug auf die anderen Kulturen, sondern sie entwickeln auch Techniken der Übersetzung». 607 Cfr. Assmann 1998, p. 20: «Während der Polytheismus oder besser “Kosmostheismus” die verschiedenen Kulturen einander transparent oder kompatibel machte, blockierte die neue Gegenreligion interkulturelle Übersetzbarkeit. Unwahre Götter kann man nicht übersetzen». 608 Cfr. Brelich 1958, 325-351.

3. LE TRADIZIONI FENICIE

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hanno anche atteggiamenti e comportamenti simili. Titani e Giganti conducono una guerra contro gli dei, non rispettando la loro autorità; Telchini e Ciclopi sono tacciati di ὕβρις e non si curano degli dei. Sileni e Satiri abitano nei boschi ed hanno spesso un atteggiamento lascivo. Questo elenco, lungi dall’essere completo, può aiutare a far comprendere il motivo per cui nelle tradizioni mitiche questi esseri vengono spesso confusi e non possiedono uno statuto definito, come quello degli dei e degli eroi.

2. Le tradizioni sui Cabiri Nelle tradizioni sui Cabiri609 vanno distinte tre componenti: una fenicia, una anatolica ed una tracia. Un’analisi delle tradizioni letterarie permette di mostrare non solo come tali componenti siano distinguibili l’una dall’altra, ma anche come queste si riscontrino in maniera differenziata a seconda dei contesti geografici: da qui l’esigenza di uno studio areale delle testimonianze relative a queste divinità. Per quanto riguarda i testi letterari, come prima accennato, se si prescinde dai poemi omerici, in cui comunque non si riscontrano elementi di diretta connessione con queste figure, non possediamo fonti anteriori al V sec. a.C. In quest’epoca, per fare un esempio, i Fenici erano una realtà culturalmente e politicamente di secondo piano, almeno rispetto al ruolo da loro giocato nel Mediterraneo a cavallo tra IX ed VIII sec. a.C.610 Questo dato storico va considerato attentamente per una puntuale e prudente valutazione delle tradizioni mitiche, che – come più volte ribadito – rappresentano lo specchio e la memoria storica, codificata nel mito, di una realtà culturale che oramai era scomparsa da secoli.

3.

Le tradizioni fenicie

Non possediamo purtroppo fonti fenicie dirette sulle tradizioni relative ai Cabiri. Il fenicio è, infatti, una lingua attestata solo per via epigrafica: si parte dal XII sec. a.C. con l’iscrizione del sarcofago di Ahiram, per arrivare al III sec. d.C., con le epigrafi neopuniche rinvenute in Sardegna e nell’Africa settentrionale611. 609

Le fonti letterarie ed epigrafiche sui Cabiri sono per la maggior parte state raccolte e discusse nel libro di Hemberg 1950; per un inquadramento storico archeologico del culto in Samotracia in epoca storica cfr. l’opera di Cole 1985, nella quale giustamente si sottolinea l’appartenenza al sostrato locale dell’isola di tali culti; da ultimo, con una bibliografia più aggiornata ed una discussione delle fonti epigrafiche, Dimitrova 2008; sugli aspetti archeologici cfr. Cruccas 2014. 610 Per una bibliografia e una discussione sull’argomento si rimanda alle pagine precedenti di questo lavoro relative alle tradizioni sui Fenici nell’Egeo. 611 Per un quadro evolutivo dell’epigrafia semitica cfr. il contributo di Amadasi 1999; con un’aggiornata bibliografia cfr. Krebenik 2007. Sull’argomento cfr. anche Garbini 1979.

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

Da testimonianze letterarie sappiamo inoltre che dialetti punici erano ancora in uso nelle campagne africane sino all’età di S. Agostino. Si potrebbe in teoria risalire ancora più in alto, prendendo in considerazione i testi di Ugarit612, che si datano tra il XIII–XII sec. a.C.: essi redatti in un cuneiforme alfabetico, testimoniano l’utilizzo di una lingua semitica, analoga alle parlate della Fenicia storica, che aveva raggiunto un alto livello di raffinatezza stilistica. Questi testi di vario contenuto (amministrativo, storico, cultuale e mitologico) si caratterizzano pertanto per un alto grado di elaborazione letteraria. Nella terra di Baal esistevano miti antichissimi, codificati per iscritto, che costituivano il patrimonio culturale di queste genti, le quali in tali tradizioni riconoscevano e esprimevano la propria identità storica613. Il fenicio, seppure conosciuto solo per via epigrafica, dovette possedere una letteratura614, della quale purtroppo ci sono rimasti solo pochi cenni nelle opere degli scrittori greci e latini. Plutarco615, ad esempio, accenna all’esistenza di scritti punici sacri, custoditi nei templi, alla cui lettura poteva accedere solo il personale templare. Quest’ultima è una testimonianza molto interessante, che tuttavia non dovrebbe stupire. Infatti, l’esistenza di una letteratura sapienziale di ambito templare, accessibile solo ad una ristretta cerchia di persone, è un fenomeno comune soprattutto nelle culture orientali, che per certi versi si collega anche alle caratteristiche misteriche del culto cabirico, in cui solo agli iniziati era concesso accedere alla conoscenza.

Filone di Biblo L’accostamento tra il nome dei Cabiri ed il semitico kbr, radice attestata in vari dialetti del semitico meridionale, quali aramaico ed accadico, dal significato di “forte”, “grande”, “potente”, merita interesse ed un adeguato approfondimento616. La questione linguistica è complicata e non può certamente essere trattata in questa sede con la dovuta competenza. Tuttavia, ritengo che anche un non addetto ai lavori non possa non restare impressionato dalla corrispondenza di significato tra kabirim e Megaloi Theoi, (Grandi Dei), come sono note nella tradizione letteraria le divinità di Samotracia617. 612

Sulla civiltà ugaritica cfr. la chiara sintesi di Xella 1984. In generale sulla mitologia ugaritica cfr. Xella 1988; per quanto riguarda le concezioni dell’oltretomba di Ugarit cfr. sempre di Xella 1987. 614 Sull’esistenza di una storiografia fenicia cfr. lo studio di Garbini 1980b; in generale sulla letteratura fenicia cfr. Krings 1995, 31-38. 615 Cfr. Plut. (mor. 942e). 616 La tradizionale origine semitica è stata in un recente studio negata e l’origine del teonimo è stata connessa con la forma pregreca *Kabar(y)-, cfr. Beekes 2004. 617 Per un’approfondita discussione delle caratteristiche “semitiche” dei Cabiri, sulla base soprattutto del testo di Filone di Biblo, cfr. Collini 1990; a riguardo cfr. anche Astour 1965, 613

3. LE TRADIZIONI FENICIE

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Come detto, non siamo purtroppo in possesso di una letteratura in lingua fenicia che ci tramandi in maniera diretta le tradizioni culturali di questo popolo, tuttavia esse ci sono in parte note per il tramite di autori più tardi, originari delle città del Levante, che avevano redatto le loro opere in greco, quali ad esempio Filone di Biblo, o Massimo di Tiro. Per quanto riguarda la genesi e lo sviluppo delle figure dei Cabiri nell’ambito della cultura fenicia l’opera di Filone di Biblo rappresenta una fonte molto importante. Questi visse in epoca adrianea e scrisse un’opera dal titolo Φοινικὴ ἱστορία, in cui raccontò la storia del progresso del genere umano, dalle origini primordiali sino al raggiungimento di uno stato civile, descrivendo anche la protostoria mitica della sua terra e le lotte degli dei (di Urano e di Crono) per il conseguimento del dominio sugli uomini e sulla terra618. Per Filone i Cabiri erano originariamente uomini, che in virtù delle loro conoscenze ed invenzioni sarebbero stati divinizzati. Costoro, discendenti di Sydek, il “giusto”, sarebbero stati gli scopritori della navigazione ed i primi ad aver costruito delle imbarcazioni619 con le quali poter esplorare i mari; essi avrebbero poi trasmesso tali conoscenze ai loro discendenti. Il loro sapere non si limitava all’ambito marittimo, ma si estendeva anche al settore biologico, avendo essi studiato il modo di ricavare pozioni curative da erbe e piante. I Cabiri sarebbero inoltre stati anche dei maghi, capaci di lanciare incantesimi. Per meglio comprendere il contesto della teogonia di Filone, ritengo opportuno analizzare il contesto in cui si inserisce la genealogia cabirica, a partire dal paragrafo 11 del frammento due in cui si narra della nascita di Ἀγρεύς e di Ἀλιεύς, inventori della caccia e della pesca, dai quali avrebbero tratto le denominazioni tali attività. La grecizzazione dei nomi di questi esseri fa supporre che Filone ne abbia tradotto in greco le corrispettive denominazioni fenicie di queste attività. Da costoro sarebbero poi nati due fratelli, inventori del ferro e delle tecniche di lavorazione metallurgica; di questi Χρυσώρ avrebbe esercitato l’arte della parola, fatto incantesimi e praticato la mantica, mentre Efesto avrebbe costruito la prima imbarcazione e, primo tra tutti i mortali, avrebbe intrapreso la navigazione sui mari. Per questo motivo dopo la sua morte fu adorato come una divinità, con l’appellativo di Zeus Meilichios. Secondo un’altra versione mitica, i due fratelli sarebbero stati i primi ad erigere mura in mattoni. 155–159. Su Filone di Biblo esiste una nutrita bibliografia, in generale cfr. Troiani 1974; Ebach 1979; Brizzi 1980; Baumgarten 1981; Troiani 1983; Ribichini 1986; Schiffmann 1986; tra gli studi più recenti cfr. Contini 1993 e l’approfondito studio di Ribicchini 1999, con la bibliografia precedente. 619 Per la ben nota connessione dei Cabiri con le arti cfr. lo studio di Brillante 1993a; si segnala la recente interpretazione di queste divinità in senso “vitalistico”, proposta da Domenico Musti (Musti 2001), sulla base dell’analisi delle fonti letterarie e di alcune raffigurazioni vascolari, provenienti da Tebe. Per una rassegna critica degli studi su Samotracia ed il suo santuario, con una ricca bibliografia archeologica cfr. Mari 2001; da ultimo cfr. Cruccas 2014, 102–129. 618

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

Iniziamo a condurre le prime osservazioni critiche. In primo luogo si nota come lo schema generazionale filoniano corrisponda ad un’idea di progresso, legato all’evoluzione delle conoscenze che portano l’uomo a migliorare il proprio livello di vita e che si legano a personaggi eponimi, dai quali tali attività traggono appunto la loro denominazione. A prescindere dall’influenza che Evemero di Messene esercitò sul nostro autore, come giustamente sottolineato ad esempio da Lucio Troiani620, è naturale comunque connettere l’idea di progresso a quella dell’evoluzione delle tecniche e delle conoscenze. Da porre in particolare rilievo è la relazione tra Efesto, i metalli ed il mare: egli sarebbe infatti stato il primo dei mortali ad essersi avventurato in mare, ad aver costruito le prime imbarcazioni e ad essersi impratichito nelle tecniche metallurgiche. Tale relazione tra metalli e navigazione potrebbe venir connessa alla stretta relazione tra la ricerca dei metalli ed i moti precoloniali micenei, fenici e greci621. Efesto e suo fratello sono collegati, oltre che alla raffinazione dei metalli, anche alla costruzione delle prime mura in mattoni. In questo caso si potrebbe ravvisare una connessione con l’idea di città: è qui che nascono le imprese artigianali e commerciali e vengono costruite le navi. A riguardo si potrebbe ricordare anche la connessione a livello iconografico tra Efesto ed i Pateci, collocati sulle prore delle navi fenicie, cui accenna Erodoto622, sulla quale avremo poi modo di soffermarci in maniera approfondita, quando passeremo all’analisi delle tradizioni letterarie relative alla famiglia cabirica di Lemno. La connessione erodotea sembra confermare il rapporto che legava le figure dei Cabiri al mare anche nell’ambito della cultura fenicia. Seguendo il racconto di Filone623, una generazione successiva sarebbero nati Τεχνίτης e Γήινος Αὐτόχθων, ai quali viene attribuito il perfezionamento delle tecniche costruttive (passando dai blocchi di pietra ai mattoni d’argilla fatti essiccare al sole) e la costruzione dei primi tetti. Dei loro discendenti si ricorda l’opera di Ἀγρός, al quale vengono ricondotti i primi xoana e l’erezione dei primi templi in Fenicia. Costui era noto presso i Fenici di Biblo con l’epiclesi di ὁ μέγιστος. In questo periodo624 sarebbero state anche ampliate le abitazioni con l’aggiunta di cortili e la caccia e l’agricoltura sarebbero progredite come tecniche. Questa generazione era conosciuta anche come quella degli Aletai e dei Titani. 620

Cfr. Troiani 1974, in part. sulle figure di Chrysor e di Efesto p. 110 sgg. A riguardo è da segnalare l’interessante studio di Fourgos 1984, il quale sottolinea come nella mitologia greca, in genere, i personaggi detentori di sapere o di tecniche, in questo caso legate alla lavorazioni dei metalli, siano caratterizzati da delle imperfezioni o addirittura deformazioni fisiche, che li distinguono dagli altri esseri umani; lo studioso si pone sulla stessa linea interpretativa di Detienne – Vernant 1974, in part. p. 243 sgg. 621 Su tali temi si rimanda agli atti più volte citati in Acquaro et al. 1988. 622 Cfr. Hdt. (III, 37). 623 Cfr. Phil. (FGrHist 790, F 2, 12) 624 Cfr. Phil. (FGrHist 790, F 2, 13).

3. LE TRADIZIONI FENICIE

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Successivamente, incontriamo Amynos e Magos, ai quali si riconducevano komai e poimnai. Dopo costoro vengono menzionati Μισώρ e Συδύκ, i quali per primi avrebbero scoperto l’utilità del mare. Da Μισώρ625 sarebbe nato Τάαυτος, l’inventore della scrittura626, noto presso gli Egizi col nome di Θώυθ, presso gli Alessandrini come Θώθ, presso i Greci come Ermes. Da Συδύκ sarebbero invece nati i Dioscuri, conosciuti anche con le denominazioni di Cabiri e di Coribanti. Costoro sarebbero stati gli inventori della navigazione e di farmaci, ricavati dalle piante. Possiamo fare a questo punto ulteriori annotazioni critiche. I Titani vengono posti due generazioni prima dei Cabiri, i quali appartengono comunque alla stessa progenie. Per quanto riguarda Ermes, invece, già Erodoto (II, 51) ne aveva posto in relazione il culto con quello delle divinità di Samotracia, ma qui il dio è considerato direttamente un Cabiro, al quale si lega la scoperta della scrittura. Va inoltre messo in rilievo il fatto che per Filone Cabiri, Coribanti e dei di Samotracia sono denominazioni differenti per le medesime divinità. L’autore non specifica il numero dei Cabiri, che possiamo tuttavia presumere essere due, non solo sulla base del fatto che tutti gli esseri elencati nelle generazioni anteriori sono due, ma anche in virtù dell’identificazione con i Dioscuri, sempre due. Due sono inoltre anche i Cabiri adorati a Tebe. Riguardo a Biblo, Filone627 afferma che il centro avrebbe acquistato lo statuto di polis, solo dopo che Crono avrebbe circondato l’abitato con le mura628. In questo contesto andrebbe sottolineata la connessione tra mura e idea di polis, che emerge quasi identica ad esempio nel racconto della fondazione di Tebe, città che acquista lo statuto di polis solo dopo che i discendenti di Cadmo unificarono l’acropoli con la parte bassa dell’abitato tramite un circuito murario629. Durante il regno di Crono, i discendenti dei Dioscuri avrebbero preso la via del mare e si sarebbero trasferiti ad abitare nella regione del monte Cassio, dove avrebbero eretto un tempio. Va notato qui, ancora una volta, il legame dei Cabiri non solo con il mare, ma anche con la montagna, dove costruiscono un tempio per onorare gli dei. Va infine ricordato il passo in cui Filone afferma che la città di Berito sarebbe stata donata da Crono a Poseidone630 ed ai Cabiri, Agrotai ed Halieis, i quali consacrarono in città i resti di Pontos. In uno dei frammenti finali Filone racconta che Crono, dopo la vittoria su Urano, avrebbe donato tutta quanta la terra d’Egitto a Τάαυτος affinché qui fon625

Cfr. Phil. (FGrHist 790, F 2, 14). Su questa tradizione cfr. Ribicchini 1993. 627 Cfr. Phil. (FGrHist 790, F 2, 17, 19). 628 Sul legame di questa divinità con Biblo cfr. il documentato studio di Fick 2005. 629 Cfr. Paus. (IX, 2, 3). 630 Va segnalata per altro la presenza di raffigurazioni di Poseidone sulle monete di età romana rinvenute nella città, cfr. Hill 1920, pl. IX–X.

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

dasse il suo regno. Tutti questi avvenimenti sarebbero stati inoltre registrati dai sette Cabiri, figli di Sydek, e dal loro ottavo fratello Asclepio, per volere di Τάαυτος in persona. D’interesse è la connessione con l’Egitto, soprattutto in relazione alla scrittura, della quale, come ricordato, Tot sarebbe stato l’inventore. Il compito di registrare per iscritto gli avvenimenti viene affidato dalla divinità ai Cabiri, esseri tra l’umano ed il divino, detentori dello strumento scritto, i quali – come più volte rilevato – hanno la caratteristica di distinguersi dal resto dei mortali per le conoscenze in loro possesso. Dall’analisi dei frammenti della teologia filoniana si evince un quadro particolare dei Cabiri. Prima di tutto si tratta di esseri dapprima mortali, divinizzati in un secondo tempo in virtù delle scoperte con cui contribuirono al progresso del genere umano. Non esiste, inoltre, una componente femminile tra i Cabiri, che non sono mai messi in rapporto con divinità femminili, come ad esempio in Anatolia o in Samotracia. Forte appare la connessione con il mare, che viene avvertito come connesso ai metalli: progresso delle tecniche marittime e metallurgia procedono su due piani paralleli.

4.

I Cabiri di Lemno

Prendiamo ora in considerazione le tradizioni letterarie relative ai Cabiri di Lemno631, nelle quali questi esseri divini possiedono una genealogia e caratteristiche cultuali differenti. Anche in questo caso le più antiche testimonianze risalgono ad autori della prima metà del V sec. a.C., in un periodo in cui fattori di sincretismo erano attivi da tempo, livellando le differenziazioni locali. Questo discorso è valido soprattutto per Lemno, sede di una fiorente civiltà anellenica sino alla fine del VI sec. a.C., quando nel 510 a.C. venne conquistata da Milziade632. Sofocle633 per primo trattava dei Cabiri di Lemno in una tragedia andata perduta intitolata “Issipile”, facendoli comparire sulla scena vestiti come Satiri, che inducevano gli Argonauti ad ubriacarsi. Va qui notata prima di tutto la connessione dei Cabiri con l’antico sostrato culturale dell’isola, corrispondente al livello 631

Sul culto dei Cabiri a Lemno ed in generale nell’area dell’Egeo settentrionale cfr. la vecchia ma ben documentata monografia di Petazzoni 1909, 635–740. 632 Sulla conquista ateniese dell’isola cfr. lo studio di Lanzilotta 1977; cfr. anche Rausch 1999, in cui propone con argomentazioni storiche non sempre convincenti di datare la presa dell’isola da parte di Milziade all’anno 498 a.C., durante la sollevazione ionica. Sull’operazione di Milziade cfr. anche le osservazioni di Salomon 1997, 31–37. 633 Cfr. Fr. 95-97 Nauck = Athen. (X, 428 f); Schol. Pind. Pyth. IV, 303. Il dramma doveva far parte di una trilogia, insieme all’“Issipile” e all’“Argo” ed aveva come argomento il soggiorno sull’isola degli eroi ed il loro incontro con le Lemnie. Secondo un’informazione di Plutarco (Quaest. conv. II, 1, 7), Sofocle per primo forse proprio in questa tragedia avrebbe rappresentato sulla scena delle persone ubriache; sull’argomento cfr. anche Masciadri 2005, 170–174; Blakely 2006, 32–38.

4. I CABIRI DI LEMNO

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preargonautico, in secondo luogo la descrizione di queste divinità come Satiri, o comunque come degli esseri ibridi, semidivini. Il frammento sofocleo trova interessanti raffronti archeologici con delle teste di statuette fittili che si trovano esposte al Museo Nazionale di Atene, rinvenute nella stipe del Cabirion di Efestia e che si datano al VI sec. a.C., raffiguranti un Cabiro con le sembianze di un satiro634. Il reperto trova a sua volta un parallelo con delle immagini di Cabiri, datate al VI sec. a.C., provenienti dal tempio dei Cabiri di Tebe, nelle quali il dio, denominato Kabiros, viene raffigurato nelle sembianze di un essere barbuto con l’aspetto satiresco635, al quale si affianca un giovinetto, indicato col nome di Pais. Si tratta di paralleli dei quali occorre certamente tenere conto anche nella valutazione delle fonti letterarie, che attestano la presenza di rapporti tra le due aree636. Acusilao e Ferecide si sono occupati della genealogia dei Cabiri di Lemno, fornendo versioni nel complesso non divergenti di tanto l’una dall’altra. Secondo Acusilao637 Kammilos, figlio di Efesto e della ninfa Καβειρώ, sarebbe stato il padre di tre Cabiri e di tre Ninfe Cabirie. Secondo Ferecide638, invece, Καβειρώ, figlia di Proteo, avrebbe generato con Efesto i tre Cabiri e le tre Ninfe Cabirie. Le tradizioni letterarie consideravano i Cabiri dell’isola figli di Efesto e di una divinità femminile locale, figlia di Proteo e da connettere al mare. Appare chiaro sin da subito che trattandosi di figli di divinità i Cabiri di Lemno sono anch’essi degli esseri divini ed in quanto tali venerati come dei. L’unione di Efesto con la dea dell’isola dovrebbe rapportarsi al momento in cui il dio fu scagliato da Zeus sull’isola, dove sarebbe stato accolto, secondo la tradizione, dai Sinti “dalla parlata selvaggia”. La presenza di Efesto, divinità che sta al centro del sistema teologico dell’isola, si connette sin da subito alla lavorazione dei metalli e al sapere ad essi connesso639. Come noto, l’isola era nell’antichità famosa come sede di bellicosi pirati, in possesso di terribili armi di ferro, fatto questo che aveva contribuito a creare la 634

Sull’arte lemnia del periodo arcaico cfr. il documentato articolo di Beschi 1993, 48–76; in particolare sull’iconografia ed il culto dei Cabiri cfr. Beschi 1993, 34–48; id., 1998b, 45–58 con un’analisi delle testimonianze archeologiche, epigrafiche e letterarie inerenti al santuario dei Cabiri; da ultimo cfr. Cruccas 2014, 88–102. 635 Sempre dal Cabirion di Tebe si segnalano tutta una serie di pitture vascolari raffiguranti i Cabiri nelle sembianze di Satiri, cfr. Daumas 1998, 52, figg. 8–9; sulle iconografie dei Cabiri tebani e le loro connessioni con Dioniso cfr. il recente contributo di Jaccottet 2011, 1–16; Blakely 2006, 38–58, e da ultimo Cruccas 2014, 24–35, 72–77. 636 Si segnala il rinvenimento di ceramica lemnia dall’area del Cabirion tebano; su questi materiali cfr. Beschi 1985, 51–64. 637 Cfr. FGrHist 2, F 20 = Strab. (X, 3, 21). 638 Cfr. FGrHist 3, F 48 = Strab. (X, 3, 21). 639 Per un’analisi delle tradizioni cfr. Masciadri 2005, 259–293.

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

pseudo-etimologia, tradita in un frammento di Ellanico (FGrHist 4, F 71), che accostava l’etnico Sintoi al verbo greco σύνομαι (danneggiare). Va tra l’altro ricordato l’epiteto ἀμιχθαλόεσσα con cui Omero si riferisce all’isola, che potrebbe stare in relazione con le attività estrattive e di lavorazione dei metalli nelle officine640. Questo dio riporta comunque ad un contesto di lavorazione dei metalli, topico dei Cureti. Ricordiamo ancora che in Filone Efesto, fratello di Χρυσώρ, è posto in relazione con la scoperta del ferro, con la fabbricazione delle armi e con la magia, oltre che essere stato il primo ad aver intrapreso la navigazione del mare. Metalli e navigazione sono elementi che si integrano l’uno con l’altro e che troviamo anche a Lemno. Sempre restando in ambito orientale, si ricordi la testimonianza erodotea (III, 87)641, secondo la quale nel tempio di Efesto a Menfi Cambise avrebbe dato alle fiamme le immagini sacre di questa divinità, straordinariamente somiglianti a quelle dei Pateci fenici, che le genti levantine erano solite porre sulle prore delle loro navi per scongiurare i pericoli delle tempeste. Il dio che nel testo erodoteo è identificato con Efesto è Ptah, la principale divinità menfitica, identificata con Osiris, i cui figli erano gli Khnumu, i “modellatori del mondo”. Si tratta, anche in questo caso, di divinità non ben definite, la cui caratteristica più appariscente era la deformità, che aveva provocato le risa del sovrano persiano al momento del suo ingresso nel tempio. Bes è un altro dio che per le sue fattezze fisiche può essere per alcuni versi accostato ad Efesto. Questa divinità, il cui culto era molto popolare soprattutto negli strati bassi della popolazione egizia, è stata assimilata nel pantheon levantino e la troviamo attestata in particolare nell’ambito delle colonie fenicie d’occidente. Bes642 è una divinità che protegge gli uomini dagli animali feroci e velenosi e per questo viene spesso rappresentato mentre afferra un serpente. Nelle raffigurazioni del periodo saitico il dio è spesso in lotta con uno o più animali, secondo un’iconografia che troviamo largamente diffusa in ambito siro-levantino. La figura di Bes, come aveva modo di notare Santo Mazzarino643, andava connessa all’espansione fenicia nel Mediterraneo. Va ricordato che Omero menziona a Lemno l’attività di mercanti fenici, che sfruttando la neutralità dell’isola al conflitto intrattenevano rapporti commerciali tanto con i principi troiani, che con i comandanti dell’esercito acheo. Di tale attività sembra essere rimasta traccia a livello archeologico in una serie di figurine fittili, raffiguranti appunto Bes644, data640

Su questo epiteto cfr. le osservazioni di Beschi 1997. Sull’immagine dell’Egitto nell’immaginario greco, specialmente nella rappresentazione erodotea, cfr. le osservazioni di Assmann 2001, p. 36 sgg. 642 Sull’iconografia di Bes cfr. Wilson 1975, 77–103; Stern 1976. Per quanto riguarda l’Egitto cfr. Bonnett 1952, 101, sulla diffusione di questo culto in epoca achemenide cfr. Graziani 1978; da ultimo cfr. considerazioni in Blakely 2006, 147–151. 643 Cfr. Mazzarino 1947, 258–259. 644 Su questi materiali cfr. Mustilli 1938, p. 100 sgg. 641

5. I CABIRI DI SAMOTRACIA

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bili tra VIII–VII sec. a.C., provenienti dalla necropoli ad incinerazione di Efestia, scavata dagli archeologi italiani negli anni trenta. Tornando ad Efesto, questi ha anche caratteristiche di divinità salutare; secondo le tradizioni, infatti, sull’isola veniva estratta un’argilla ferruginosa, molto rossa, la Λημνία σφραγὶς, alla quale erano attribuite qualità medicamentose. All’estrazione sembra che presiedesse una sacerdotessa, a riprova del carattere sacro di questo farmaco. Anche le Ninfe Cabirie appaiono connesse al campo della medicina: secondo la notizia contenuta in uno scolio, infatti, Medea si sarebbe rivolta a loro per far cessare una pestilenza a Corinto645. Ricordiamo infine la testimonianza di Mnasea646, storico di età ellenistica, il quale in un frammento tramanda i nomi delle divinità lemnie: Axieros, Axiokersos, Axiokersa, Kasmilos, corrispondenti rispettivamente a Demetra, ad Ade, a Persefone e ad Ermes.

5.

I Cabiri di Samotracia

Passiamo ora all’analisi delle tradizioni sui Cabiri di Samotracia. A Lemno, come rilevato, i Cabiri sono degli esseri divini, figli di Efesto e di una dea locale, i quali hanno delle sorelle, anch’esse dee. A Samotracia, invece, i Cabiri647 non sono sin da subito delle divinità, ma dei ministri del culto della dea, che, in virtù del loro sapere e del loro stato, furono divinizzati. Come già accennato, al centro del culto sta una divinità femminile, il cui culto venne introdotto sull’isola dalle Amazzoni al comando di Mirina648: si tratta di un culto locale, appartenente al sostrato culturale incontrato dai Greci al momento del loro arrivo, e come tale 645

Cfr. Schol. Pind. Olymp. XIII, 74. Cfr. FHG 154, Fr. 27 = Fr. 33 Mehler-Cappelletto 2003, Fr. 30, pp. 85–86, pp. 244–246: Δάκτυλοι Ἰδαῖοι∙ἑκατέρους πέντε φασὶ τούτους εἶναι, δεξιοὺς μὲν τοὺς ἄρσενας, ἀριστεροὺς δὲ τὰς θηλείας. Φερεκύδης (FGrHist 3, F 47) δὲ τοὺς μὲν δεξιοὺς κ’ λέγει, τοὺς δὲ εὐωνύμους λβ’. γόητες δὲ ἦσαν καὶ φαρμακεῖς, καὶ δημιουργοὶ σιδήρου λέγονται πρῶτοι καὶ μεταλλεῖς γενέσθαι∙ ἀριστεροὶ μὲν αὐτῶν, ὥς ησι Φερεκύδης, οἱ γόητες, οἱ δὲ ἀναλύοντες δεξιοί. ὠνομάσθησαν δὲ ἀπὸ τῆς μητρὸς Ἴδης. ὡς 〈δὲ〉 Ἑλλάνικος (FGrHist 4, F 89) φησι, Ἰδαῖοι Δάκτυλοι ἐκλήθησαν, ὅτι ἐν τῇ Ἴδῃ συντυχόντες τῇ Ῥέᾳ ἐδεξιώσαντο τὴν θεὸν καὶ τῶν δακτύλων αὐτῆς ἥψαντο λέγονται ἀπὸ τοῦ πατρὸς Δακτούκου καὶ τῆς μητρὸς Ἴδης, ὁ δὲ τὴν Φορωνίδα συνθεὶς γράφει οὕτως […] μυοῦνται δὲ ἐν τῆι Σαμοθράικηι τοῖς Καβείροις, ὧν Μνασέας φησί καὶ τὰ ὀνόματα. τέσσαρες δ᾽ εἰσὶ τὸν ἀριθμόν, ᾽Αξίερος Αξιοκέρσα ᾽Αξιόκερσος· ᾽Αξίερος μὲν οὖν ἐστιν ἡ Δημήτηρ, ᾽Αξιοκέρσα δὲ ἡ Περσεφόνη, ᾽Αξιόκερσος δὲ ὁ ῞Αιδης. ὁ δὲ προστιθέμενος τέταρτος Κάσμιλος ὁ Ἑρμῆς ἐστιν, ὡς ἱστορεῖ Διονυσόδωρος (FGrHist 68, F 1). A riguardo cfr. anche Hemberg 1950 87–89, che considera queste denominazioni non come i veri nomi cabirici, ma come formule di invocazione e di acclamazione, recitate in un contesto rituale. 647 Va notato che nelle iscrizioni dell’isola non viene mai utilizzata questa denominazione per designare queste divinità, sull’argomento cfr. le considerazioni di Hemberg 1950, 31–33, al quale si rimanda anche per un’analisi di Diod. (V 47–9), fonte principale per le tradizioni sull’isola. 648 Su questa tradizione cfr. Diod. (III, 55, 8).

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

codificato nel mito. Ai tempi del diluvio di Deucalione sarebbero giunti sull’isola dall’Arcadia649 Giasone, Dardano ed Armonia, ai quali è connessa la fondazione e la diffusione in Troade dei culti misterici della Grande Dea650. Va rilevato, inoltre, che quando Erodoto (II, 51) parla dei Cabiri di Samotracia, connette questi con Ermes e con i Pelasgi, una popolazione antichissima della Grecia, preesistente all’arrivo dei Greci: questo si accorda col livello preolimpico di Eracle Dattilo, le cui tradizioni verranno prese in considerazione tra breve.

6. I Dattili ed i Cureti cretesi Le tradizioni relative a questi esseri sono già state prese in esame nella parte precedente, relativa alle fasi di popolamento della Troade, di Samotracia e di Creta, per cui le testimonianze letterarie verranno qui prese in considerazione in maniera sintetica. I Dattili dell’Ida appartenevano, secondo le tradizioni cretesi raccolte da Diodoro Siculo651, al più antico strato di popolamento dell’isola, essi erano dieci, proprio come le dita di una mano (da qui la denominazione di daktyloi) ed erano in possesso di conoscenze speciali, che permettevano loro di lavorare il bronzo ed il ferro652 (metalli di cui tra l’altro sarebbero stati gli scopritori653) e che li rendevano contemporaneamente dei maghi e degli incantatori, capaci di lanciare incan649

L’origine arcadica di questi personaggi, attestata presso Ellanico di Lesbo e per questo forse da connettere ad un nucleo di elaborazione eolica, va connessa, come anche rilevato in precedenza, al culto delle Megalai Theai, Demetra e Core, a Mantinea, quale testimoniato da Pausania. 650 Per i dati archeologici sulla diffusione del culto dei Cabiri a Troia cfr. Cruccas 2014, 130–140. 651 Cfr. Diod. (V, 64). Su tali tradizioni cfr. l’informativo studio di Hember 1952; Courtieu 2004, in cui si sottolinea il profondo legame dei culti con il paesaggio montano ed il toponimo Ida. Sul rinvenimento archeologico di un antico altare in pietra posto in relazione al culto di Zeus Ideo cfr. Judeich 1907. 652 Interessante il fatto che nella realtà geologica l’isola di Creta risulti abbastanza povera di materie prime, non a caso fu la scarsità di giacimenti locali che spinse, secondo la ricostruzione di diversi studiosi, le genti minoiche e micenee sui mari alla ricerca dei metalli, si potrebbe però osservare che non solo nel Tardo Bronzo, ma anche nell’Alto Arcaismo Creta fu sede di ateliers di raffinati bronzisti e che per questo andrebbe valutata nelle tradizioni sui Cabiri cretesi maggiormente l’aspetto della conoscenza delle tecniche di lavorazione; richiama la povertà dei giacimenti minerali cretesi in contrasto con quelli anatolici Forbes 1964, p. 182 sgg. 653 Sul tema del protos heuretes nell’opera di Diodoro Siculo si rimanda sempre alle osservazioni di Ambaglio 1995, 90 sgg., dove si fa notare come nell’ambito dell’opera dello storico di età romana le figure degli heuretai rappresentano la forza trainante del cambiamento nella vita dei popoli.

6. I DATTILI ED I CURETI CRETESI

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tesimi654. Tra essi veniva enumerato anche Eracle. In questa generazione sarebbe da collocare pure Orfeo, che avrebbe appreso le sue arti da incantatore proprio dai Dattili cretesi. Una generazione successiva avrebbero fatto la loro comparsa sull’isola i Cureti, i quali vengono definiti gegeneis ed apogonoi dei Dattili.

6a. Eracle Dattilo La tradizione dell’esistenza di due Eracle, quale riportata da Erodoto a proposito del culto di Eracle a Taso era molto antica e risaliva addirittura ad Onomacrito655, un autore del VII sec. a.C., autore di testi orfici, secondo il quale l’Eracle più antico, da tenersi distinto dall’eroe figlio di Zeus, sarebbe stato uno dei Dattili Idei di Creta, custode nell’Ida di Zeus bambino, su richiesta di Rea. Si recupera in questo modo per Eracle656 un livello di religiosità addirittura preolimpica, che rende possibile connettere questo personaggio alle figure dei Coribanti, a Creta, all’antro Ideo e a tutta quella serie di elementi cultuali che accomunano l’isola di Minosse, a livello di tradizioni cultuali, all’antico sostrato religioso delle regioni dell’Egeo settentrionale. La connessione di Eracle con i Cabiri permette inoltre di porre in relazione il culto di Eracle Tasio a quello dei Cureti, essendo questi connessi con il Melqart di Tiro, riportando in questo modo gli elementi cultuali dell’isola al comune sostrato locale, che si ritrova a Lemno, ad Imbro, a Samotracia e nella Troade. Per quanto riguarda le testimonianze letterarie657, da Pausania658 siamo a conoscenza della presenza a Megalopoli in Arcadia di una statua del dio alta un cubito, evidentemente ancora visibile in epoca romana. Ancora il Periegeta narra che Eracle ed i suoi quattro fratelli, i Cureti, avrebbero fondato i giochi olimpici in 654

Il collegamento tra magia e lavorazione dei metalli, o meglio tra magia e conoscenza delle tecniche metallurgiche, lo troviamo attestato ancora ai giorni nostri in alcune popolazioni indigene della Guinea e dell’Africa, dove il sapere relativo ai metalli ed alla loro lavorazione è ancora appannaggio di determinate classi, che se lo tramandano di generazione in generazione, ed i detentori di questo sapere sono considerati alla stregua degli stregoni, sull’argomento cfr. Forbes 1964, p. 69 sgg.; cfr. anche da ultimo Blakely 2006, 163–191. Da un punto di vista sociologico è interessante notare come il possesso di determinate conoscenze, che si acquisiscono o per diritto di classe o per capacità personali, determinino i ruoli nell’ambito della società di appartenenza, su questo concetto si rimanda a Klein 1968, in part. p. 27 sgg. 655 A questo proposito si rimanda alle osservazioni di Mazzarino 1962, p. 37 sgg. 656 Su Eracle fenicio si rimanda al documentato libro di Bonnet 1988, che raccoglie tutte le testimonianze letterarie, epigrafiche ed archeologiche relative alla diffusione ed all’evoluzione del culto di Melqart nel Mediterraneo. 657 Cfr. sull’argomento con una trattazione delle fonti cfr. Hemberg 1952; Grottanelli 1972; Bisi 1980; più recente Tzavellas-Bonnet 1985; Blakely 2006, 137–151. 658 Cfr. Paus. (VIII, 31, 3): ἔστι δὲ καὶ Ἡρακλῆς παρὰ τῇ Δήμητρι μέγεθος μάλιστα πήχεος∙ τοῦτον τὸν Ἡρακλέα εἶναι τῶν Ἰδαίων καλουμένων Δακτύλων Ὀνομάκριτος φησι ἐν τοῖς ἔπεσε. Interessante anche l’accostamento topografico al tempio di Demetra, divinità per molto versi accostabile alla frigia Cibele.

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

un’età anteriore a quella di Endione659, sempre ad Olimpia gli venivano attribuiti la costruzione dell’altare di Zeus olimpio, fatto con le ceneri delle vittime sacrificate al dio, e l’introduzione dell’olivo660. Pausania, a proposito del santuario di Eracle a Tespie in Beozia, raccontava che a questa divinità erano stati consacrati templi anche ad Eritre ed a Tiro, il culto della città ionica sarebbe stato legato all’arrivo del simulacro del dio dal mare, a bordo di una zattera661, proveniente da Tiro; nella stessa testimonianza si ricorda il carattere egizio dell’iconografia della statua. Interessante appare il legame Egitto-Fenicia relativo all’immagine sacra, così come lo stretto legame di Eracle col mare, quale codificato in maniera chiara dal mito. Sempre Pausania accosta poi il culto di Eracle Tirio, di origine fenicia, con quello dell’Ida662. Sulla base della testimonianza del Periegeta, a Megalopoli in Arcadia, ad Eritre nella Ionia, a Taso, a Tebe663 ed a Tespie in Beozia era attestato in età storica un culto di Eracle Dattilo, connesso con quello di Tiro, sul piano iconografico rappresentato, secondo una maniera egiziana, come un nano. Oltre Pausania, anche Diodoro Siculo664 si è occupato di Eracle Dattilo. Secondo questo storico sarebbero in realtà esistiti tre Eracle, dei quali uno sarebbe stato di origine egizia (il quale avrebbe girato per il mondo compiendo varie imprese), il secondo sarebbe stato originario di Creta e si sarebbe dovuto identificare con uno dei Dattili Idei, fondatore dei giochi olimpici, il terzo sarebbe infine stato l’eroe, figlio di Alcmena, vissuto prima della guerra di Troia. Interessante il fatto che in questa tradizione Eracle Dattilo venga esplicitamente connesso con la magia e considerato come un mago capace di fare incantesimi, in quanto i Dattili sarebbero stati tutti quanti in grado di compiere prodigi e di fabbricare amuleti magici; essi sarebbero inoltre stati i maestri di Orfeo665. Da queste testimonianze si ricava che l’Eracle Dattilo non solo era in rapporto con la navigazione, ma era anche connesso con la magia e con l’Egitto. Nelle tradizioni fenicie tramandate da Filone di Biblo si narra che i Cabiri sono connessi con la navigazione, essendo essi i primi costruttori di zattere e di imbarcazioni; essi sarebbero inoltre stati considerati dei maghi (goetes) capaci di operare incantesimi e di costruire potenti talismani666. Si tratta dei medesimi elementi che si ritrovano nelle tradizioni elleniche relative ad Eracle Dattilo. Per quanto riguarda l’Egitto, va ricordata ancora 659

Cfr. Paus. (V, 7, 6–10). Cfr. Paus. (V, 77). 661 Cfr. Paus. (VII, 5, 4–8). 662 Cfr. Paus. (V, 25, 12–13). 663 Pausania (IX, 27, 8) definisce “Dattilo” l’Eracle adorato a Tebe. 664 Cfr. Diod. (III, 74, 4), sulla tradizione di Eracle egizio cfr. anche (I, 24). 665 Cfr. Diod. (V, 64; 76). 666 Si ricordi infatti il loro approdo sul monte Cassio, luogo in cui la tradizione testimoniava l’esistenza di un culto dedicato al dio della tempesta, di tradizione ittita, successivamente identificato con Zeus, sull’argomento cfr. la relativa voce curata da Röllig 1975, 241 sgg. e le osservazioni di Burkert 2001, in part. p. 24 n. 13.

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7. I DATTILI FRIGI E LA TROADE

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una volta la testimonianza di Erodoto667 sui Pateci, figure dall’aspetto di nani, poste sulle prore delle navi fenicie e messe in relazione col culto di Efesto cabirico a Menfi. Nel complesso la tradizione letteraria mette in luce un forte legame di questa divinità con Creta e con il culto locale dei Dattili Idei, divinità che trovano delle corrispondenze cultuali con la Fenicia e con l’Egitto. Santo Mazzarino668, come si è visto, aveva giustamente espresso l’opinione che occorresse distinguere a livello culturale tra i diversi contesti orientali, con i quali i Greci entrarono in contatto. Esisteva, infatti, un Oriente anatolico, frigio e lidio, nel quale si era formata una certa omogeneità culturale ed in cui gli elementi ellenici si erano compenetrati e fusi con quelli della tradizione locale; esisteva, però, anche un Oriente babilonese ed egizio, del quale i Fenici fecero in gran parte da tramite: la loro, soprattutto in campo religioso, era una cultura fortemente mista669 e tale doveva apparire anche agli occhi dei Greci. La centralità cretese, in questo contesto, non dovrebbe stupire, tenuto conto che sull’isola in età storica, come detto precedentemente, vivevano delle comunità fenicie, che avevano impiantato degli empori commerciali.

7.

I Dattili Frigi e la Troade

Consideriamo infine un frammento della Foronide, trasmesso negli scolii ad Apollonio Rodio, il quale aggiunge interessanti particolari circa la connessione di queste figure con la Troade e la Frigia670: Ἔνθα γόητες Ἰδαῖοι, Φρύγες ἄνδρες ὀρέστεροι, οἰκί’ἔναιον / Κέλμις, Δαμναμενεύς τε μέγας, καὶ ὑπέρβιος Ἄκμων, / Εὐπάλαμοι θεράποντες ὀρείης Ἀδρηστείης. / Οἳ πρῶτοι τέχνην πολυμήτιος Ἡφαίστοιο / εὖρον ἐν οὐρείῃσι νάπαις, ἰόεντα σίδηρον / ἢνεγκάν τ’ἐς πῦρ καὶ ἀριπρεπὲς ἔργον ἔδειξαν. Qua i maghi I Dattili Frigi sono uomini delle montagne, dove essi hanno le loro dimore, / Kelmis, Damnameneus, il grande, e Akmon, il prode, / gli abili inservienti della montana 667

Cfr. Hdt. (III, 37). Cfr. Mazzarino 1947, 21 sgg. 669 Per quanto riguarda gli elementi egizi presenti nella religione fenicia si rimanda ai contributi citati nelle note precedenti. 670 Fr. 2 Bernabè = Fr. 2 West = Schol. Ap. Rhod. 1, 1126-1131b. Su questo frammento rimando a Blakely 2006, 192–214 con indicazioni bibliografiche. 668

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

Adrasteia. / Essi, per primi, scoprirono nelle valli montane il ferro violaceo, / lo misero sul fuoco e portarono alla luce l’utile opera671.

La Foronide, un poema epico datato verso la prima metà del V sec. a.C., incentrato sulle tradizioni argive relative a Foroneo, trattava delle figure dei Dattili dell’Ida probabilmente in un excursus dedicato alla Madre degli Dei. In questo frammento troviamo l’ambientazione delle tradizioni dell’Ida non più a Creta, ma nella Troade. I Dattili sono considerati uomini che abitano in montagna, nell’Ida, dove sono i servitori della dea Adrasteia672. Essi sono tre, Kelmis, Damamneus e Akmon, ed ad essi si devono sia la scoperta del ferro che della tecnica per la lavorazione di questo metallo. L’aggettivo πρῶτοι, oltre a far di loro dei protoi heuretai, fornisce in questo contesto un’importante indicazione cronologica: essi avrebbero scoperto il ferro e le tecniche per la sua lavorazione prima di Efesto. In tal senso questa tradizione ci permette di ricostruire anche per la Troade un livello preolimpico, legato alle figure dei Dattili, che accomuna questa regione a Creta, a Rodi ed all’Eubea. Secondo la tradizione, Adrasteia, qui considerata come la dea della montagna, per ordine di Rea avrebbe protetto ed allevato Zeus sull’Ida. Nelle tradizioni di ambientazione cretese essa è considerata figlia del re cretese Melisseo e di Ida, eponima della montagna673. Apollonio Rodio (III, 135–141) narra che Adrasteia avrebbe dato in dono a Zeus bambino una sfera, con la quale il dio avrebbe giocato. Un’analisi approfondita delle testimonianze relative a questo personaggio mitico, che assumerà poi la morfologia di una Madre degli Dei, esula dai fini di questo lavoro; in questo contesto vorrei solo richiamare brevemente l’attenzione sulla vitalità di questa tradizione in epoca imperiale, quando diverse città della Frigia (Aizanoi, Akmonia674, Apameia, Laodicea sul Lico) operano una manipolazione delle tradizioni mitiche, trasferendo sul loro territorio la leggenda della nascita di Zeus attraverso la costruzione di un paesaggio mitico675. Le monete coniate in queste città raffigurano sui rovesci spesso proprio questi tre Dattili insieme ad Adrasteia, riconoscibile proprio dalla sfera da lei donata a Zeus. Tornando al nostro testo, va ricordato, come visto in precedenza, che anche Eforo (FGrHist 70, F 149) era uno dei sostenitori dell’ambientazione troiana del mito dei Dattili, i quali, anche in questo caso, mantengono la loro caratterizzazione di maghi e metallurgi. 671

L’espressione ἀριπρεπὲς ἔργον ἔδειξαν indica che Dattili trasmisero all’umanità questa loro scoperta. 672 Su Adrasteia cfr. in generale Graf 1996b, 129–130. 673 Cfr. Apoll. (I, 1, 6). 674 Akmoneia, sfruttando l’assonanza del suo nome con quello del Cureta, arrivò a considerare questi come il suo fondatore, localizzando nel suo territorio la nascita di Zeus. Per un’analisi di queste tradizioni cfr. Robert 1975, in part. 188–192. 675 Su questo tema cfr. Nollé 2003, 635–643, con un’utile raccolta e discussione delle testimonianze numismatiche ed epigrafiche.

9. CHI ERANO I CABIRI?

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8. Demetrio di Scepsi e la cretizzazione della Troade Come già detto in precedenza, questo intellettuale originario della città di Scepsi scrisse un’opera antiquaria sulle tradizioni e le antichità troiane, trattando anche i miti relativi ai Cabiri, come si apprende da un passo di Strabone676, nel quale si riporta la versione di Stesimbroto di Taso, secondo la quale l’origine di questi esseri sarebbe da connettere non a Samotracia, ma al monte Kabeiros, situato nella Berecintia, un territorio della Troade presso il massiccio dell’Ida. Demetrio di Scepsi ambientava inoltre le tradizioni relative a Rea ed alla paidotrophia di Zeus non più a Creta, ma nella Troade, adducendo quali prove tutta una serie di omonimie tra i toponimi cretesi e quelli troiani: il monte Ida; la collina Pytna, da confrontarsi col nome del centro cretese di Hierapytna; Hippokorona una località situata nella regione di Ἁδραμύττιον e Hippokoronion a Creta; Samonion, nome del promontorio orientale di Creta e denominazione di una pianura nel territorio di Neandria. Come altri autori, anch’egli considera i Cureti quali propoloi al servizio della Madre degli Dei. A questa testimonianza va poi aggiunto un passo di Diodoro Siculo (XVII, 7, 5)677, probabilmente sempre tratto dall’opera di Demetrio di Scepsi, in cui si narra che il monte Ida nella Troade fu abitato anticamente dai Dattili Idei, i quali avrebbero per primi appreso dalla Madre degli Dei le tecniche per la lavorazione del ferro.

9. Chi erano i Cabiri? Estrapolare una definizione di questi esseri semidivini dalle fonti appare molto arduo, anche in quanto occorre ben distinguere ed individuare i diversi strati della tradizione mitica e le componenti culturali che essa presuppone. La migliore definizione è forse nel seguente passo di Strabone (X, 3, 7): προπόλους θεῶν τοὺς Κουρῆτάς φασιν οἱ παράδοντες τὰ Κρητικὰ καὶ τὰ Φρύγια. Secondo il Geografo di Amasea i Cureti sono prima di tutto gli inservienti degli dei, coloro ai quali è stato concesso il privilegio di essere a contatto con il divino; di particolare interesse è anche l’accento posto sulle tradizioni cretesi e frigie, in cui a queste figure era dato un posto di primo piano. Cureti, Dattili Idei, Coribanti, Telchini e Cabiri sarebbero poi state – sempre a detta di Strabone (X, 3, 7)678 – tutte denominazio676

Cfr. Strab. (X, 3, 20). Diod. (XVII, 7, 5): γενέσθαι δ’ἐν τούτῳ λέγεται καὶ τοὺς Ἰδαίους Δακτύλους, οὓς σίδηρον ἐργάσασθαι πρώτους, μαθόντας τὴν ἐργασίαν παρὰ τῆς τῶν θεῶν μητρὸς. 678 Strab. (X, 3, 11): τοσαύτη δ’ἐστιν ἐν τοῖς λόγοις τούτοις ποικιλία, τῶν μὲν τοὺς τοῖς Κουρῆσι τοὺς Κορύβαντας καὶ Καβείρους καὶ Ἰδαίους Δακτύλους καὶ Τελχῖνας ἀποφαινόντων, τῶν δὲ συγγενεῖς ἀλλήλων, καὶ μικράς τινας αὐτῶν πρὸς ἀλλήλους διαφορὰς διαστελλομένων. τοὺς προπόλους καὶ χορευτὰς καὶ θεραπευτὰς τῶν ἱερῶν ἐκάλουν Καβείρους καὶ Κορύβαντας καὶ Πᾶνας καὶ Σατύρους καὶ Τιτύρους, καὶ τὸν θεὸν Βάκχον καὶ τὴν Ῥέαν Κύβελην καὶ Κύβηβην καὶ τῆς Μητρὸς

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

ni differenti per esseri tra loro syngeneis, i quali avrebbero abitato territori diversi: questi esseri, come visto, pur abitando in territori diversi, di fatto assumono le medesime caratteristiche, assolvendo le stesse funzioni. Il testo straboniano si arricchisce poi di osservazioni relative alle caratteristiche cultuali dei Cureti, che presuppongono non solo una certa riflessione dell’autore su questo problema, ma anche una selezione critica delle diverse tradizioni. Interessante è ad esempio il passo, prima preso in considerazione, relativo ai Berecinti679, una popolazione della Troade che viveva nella regione dell’Ida: il Geografo di Amasea racconta che questi adoravano in particolare Rea, da loro chiamata Madre degli Dei, Agdistis o Grande Dea Frigia, la quale assume spesso epiteti cultuali derivati dal luogo in cui viene adorata; i suoi propoloi – viene aggiunto – vengono chiamati anche dai Greci Kouretai. Questa testimonianza va certamente connessa con quanto narrato da Diodoro (V, 48), secondo il quale in origine Coribante, figlio di Giasone e di Cibele, sarebbe stato l’addetto alla celebrazione dei riti misterici a Samotracia, che in seguito sarebbero stati da lui stesso portati nella Troade.

10.

Dee in Arcadia, a Creta e nell’Egeo settentrionale

In precedenza, analizzando le tradizioni sui Cabiri, abbiamo visto come a questi esseri, che si distinguono dal resto dei comuni mortali in quanto a conoscenze, in genere attinenti al campo della metallurgia, si leghino le prime fasi di popolamento di Creta, di Rodi, d’Eubea, di Samotracia ed in misura minore della Troade. Come detto, si tratta di mortali, il cui sapere non è nettamente distinto dalla magia. Le tradizioni attinenti a questi personaggi, che vanno distinte arealmente, connettono tra di loro regioni spesso lontane, in cui comunque emergono a livello di cultura materiale elementi di sostrato egeo, i quali probabilmente “ripensati” nella categoria del mito, vennero avvertiti e codificati dai Greci come relativi ad un passato comune. Penelope Mountjoy680 ha mostrato in tal senso come un τὸ παιδίον παραδοὺς τὰ τοῦ Διονύσου καὶ αὐτός. ἐν δὲ τοῖς Κρητικοῖς λόγοις οἱ Κουρῆτες Διὸς τροφεῖς λέγονται καὶ φύλακες, εἰς Κρήτην ἐκ Φρυγίας μεταπεμφθέντες ὑπὸ τῆς Ῥέας∙ οἱ δὲ Τελχίνων ἐν Ῥόδῳ ἐννέα ὄντων, τοὺς κουροτροφήσαντας Κουρῆτας ὀνομασθῆναι […] ἔτι δὲ Κρόνου τινὲς τοὺς Κορύβαντας, ἄλλοι δὲ Διὸς καὶ Καλλιόπης φασὶ τοὺς Κορύβαντας, τοὺς αὐτοὺς τοῖς Καβείροις ὄντας∙ ἀπελθεῖν δὲ τούτους εἰς Σαμοθρᾴκην, καλουμένην πρότερον Μελίτην, τὰς δὲ πράξεις αὐτῶν μυστικὰς εἶναι. Su questo passo rimando alle osservazioni di Brelich 1958, 328–329; a cui si aggiungono le considerazioni di Mora 1994, 152–156. 679 Strab. (X, 3, 12): Οἱ δὲ Βερέκυντες Φρυγῶν τι φῦλον καὶ ἁπλῶς οἱ Φρύγες καὶ τῶν Τρώων οἱ περὶ τὴν Ἴδην κατοικοῦντες Ῥέαν μὲν καὶ αὐτοὶ τιμῶσι καὶ ὀργιάζουσι ταύτῃ, μητέρα καλοῦντες θεῶν καὶ Ἄγδιστιν καὶ Φρυγίαν θεὸν μεγάλην, ἀπὸ δὲ τῶν τόπων Ἰδαίαν καὶ Δινδυμήνην καὶ Σιπυληνὴν καὶ Πεσσινουντίδα καὶ Κυβέλην [καὶ Κυβήβην]. οἱ δ’ Ἕλληνες τοὺς προπόλους αὐτῆς ὁμωνύμως Κουρῆτας λέγουσιν, οὐ μήν γε ἀπὸ τῆς αὐτῆς μυθοποιίας, ἀλλ’ ἑτέρους ὡς ἂν ὑπουργούς τινας, τοῖς Σατύροις ἀνὰ λόγον· τοὺς δ’ αὐτοὺς καὶ Κορύβαντας καλοῦσι. 680 Cfr. Mountjoy 1998.

10. DEE IN ARCADIA, A CRETA E NELL’EGEO SETTENTRIONALE

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vasto territorio, che si estendeva dalla Troade a Rodi, comprendendo l’Egeo intero, avesse alla fine dell’Età del Bronzo sviluppato una cultura materiale incredibilmente omogenea, pur essendo le regioni che lo formavano politicamente distinte e linguisticamente diverse. Analizzati “gli inservienti” delle dee, passiamo ora alle dee. Esistono anche in questo campo tutta una serie di tradizioni letterarie, sparse in diversi autori e non facili da rintracciare, dalle quali emerge una caratterizzazione analoga delle figure femminili divine, le quali per elementi topografici del culto e per origini mitiche presentano interessanti analogie, pur essendo venerate in regioni distanti tra loro. A livello paesaggistico ricorre sempre uno scenario montano, con degli antri sacri in cui avvengono le celebrazioni in onore di queste divinità. A riguardo, prendiamo in considerazione l’Arcadia681.

10a. I Grandi Dei in Arcadia Dell’Arcadia sono ben noti il conservatorismo e l’arcaicità dei costumi, dovuti all’isolamento ed alla lontananza dal mare: chiusi nelle loro montagne, gli Arcadi mantennero tradizioni cultuali molto antiche682. Va detto che il culto dei Cabiri stranamente ha qui una diffusione molto limitata683. Pausania684 menziona un tempio dedicato ai Dioscuri, qui venerati con la denominazione di Megaloi Theoi, distante quattro stadi dal centro di Kleitor, nel quale egli segnalava la presenza di immagini in bronzo delle divinità; a parte questa testimonianza, che resta isolata, le tradizioni cultuali su questi esseri non hanno vitalità nella regione. Si deve comunque ricordare che, secondo una tradizione che troviamo attestata in 681

Sui culti arcadici rimando alle fondamentali monografie di Stiglitz 1967; Jost 1985. In generale per un quadro della cultura arcadica cfr. i diversi contributi in Østby 2005; per un quadro storico cfr. Nielsen 2002. 683 Cfr. i dati raccolti da Cruccas 2014, 142–146 (sui centri di Kleitor, Mantinea e Megalopoli). 684 Cfr. Paus. (VIII, 21, 4); ad un culto dei Dioscuri in Arcadia accenna genericamente anche Erodoto (VI, 127). Per quanto riguarda la documentazione archeologica da Kleitor provengono delle monete sulle quali è stata raffigurata la testa di un cavallo, figura che è stata connessa chiaramente col culto di queste divinità. Per una discussione di questo materiale cfr. Hemberg 1950, 45. Per quanto riguarda i contatti tra l’Arcadia e Creta in età arcaica si segnala il rinvenimento di tutta una serie di armi e di frammenti di armatura di fabbricazione cretese, la maggior parte dei quali databili tra VIII–VII sec. a.C., rinvenuti nella stipe votiva del tempio arcadico di Bassae, dedicato ad Apollo, ai confini con la Messenia ed interpretati come riferibili a mercenari che avevano preso parte alle guerre messeniche; sull’argomento cfr. lo studio di Snodgrass 1974. Pausania ricorda l’occupazione di Figalia in quel periodo da parte delle truppe spartane, rendendo in questo senso probabile l’interpretazione dello studioso inglese di tali armi, quali appartenenti a mercenari, che potevano però stare tanto al soldo dei Lacedemoni che degli stessi Arcadi. Ad ogni modo non si segnalano altri materiali cretesi in territorio arcade a quel livello cronologico. 682

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

diversi autori685, Dardano, al quale si deve la diffusione del culto dei Cureti, sarebbe stato originario dell’Arcadia, sebbene venisse iniziato ai misteri della Grande Dea solo a Samotracia: la regione è per questo indirettamente legata al culto di queste divinità. Esistono comunque anche altri elementi. Sempre il Periegeta686, descrivendo Megalopoli, menziona il culto delle Megalai Theai, identificate con Demetra e con Kore, ed accanto alla statua di Demetra ricorda il simulacro di Eracle Dattilo. Si tratta di un dato importante, al quale va prestata la dovuta attenzione. Come messo in rilievo, la tradizione aveva distinto un Eracle cureta, più antico di molte generazioni dell’eroe figlio di Zeus, che insieme ai suoi fratelli avrebbe allevato nell’Ida, a Creta, per desiderio di Rea, il futuro sovrano degli dei. Eracle Dattilo, che va posto in termini di cronologia mitica ad un livello preolimpico, si connette al culto dei Cabiri, quali propoloi della gran dea; inoltre il fatto che la sua immagine di culto sia posta non lontano da quella di una delle Megalai Theai è certamente un fatto non casuale. A tal proposito il Periegeta687 descrivendo Licosura, una delle città più antiche dell’Arcadia, ricorda una tradizione locale, secondo la quale Zeus non sarebbe stato allevato a Creta, nell’Ida, ma sul monte Liceo, nel territorio della città, in un luogo chiamato dagli abitanti del posto “cretese”, in cui si trovava una grotta sacra, e le sue balie sarebbero state tre ninfe: Θεισόα, Νέδας, Ἁγνώ. Sulla destra della grotta si trovava un bosco, consacrato ad Apollo, mentre sulla cima della montagna era stato edificato un altare in pietra, davanti al quale erano state poste due colonne, presso cui si celebravano i sacrifici in onore della divinità, secondo un rito segreto688. Sulle pendici del monte sorgeva il santuario vero e proprio, in cui venivano allevati degli animali sacri alla divinità, ed il cui accesso non era consentito a tutti: si tratta di evidenti elementi in comune col culto dei Cureti cretesi. Anzitutto va rilevata l’ambientazione montana, la presenza di una grotta e di un bosco sacri, luoghi dell’infanzia di Zeus; qui il dio cresce protetto non più dai Coribanti, ma da tre ninfe montane, che forse costituiscono il corrispettivo femminile dei Cureti dell’Ida. Anche se la tradizione non dà altri particolari, un collegamento forse può essere istituito con le Megalai Theai incontrate a Megalopoli. Interessante appare, inoltre, la caratterizzazione misterica del culto nel suo complesso e le due colonne poste davanti all’altare, che rimandano alla funzione sacra svolta da questo elemento ar685

La tradizione dell’origine arcadica di Dardano si trova nell’Iliupersis Fr. 1 PEG, in Strabone (VIII 3, 19) ed in Varrone (Serv. Aen. III, 167); Ellanico (FGrHist 4, F 23) faceva, invece, nascere questo personaggio a Samotracia. Su Dardano rimando alla trattazione delle tradizioni letterarie condotta nel primo capitolo. 686 Cfr. Paus. (VIII, 31, 1): Τὸ δὲ ἔτερον πέρας τῆς στοᾶς παρέχεται τὸ πρὸς ἡλίου δυσμῶν περίβολον θεῶν ἱερὸν τῶν Μεγάλων. αἱ δὲ εἰσι αἱ Μεγάλαι θεαὶ Δημήτηρ καὶ Κόρη, καθότι ἐδήλωσα ἤδη καὶ ἐν τῇ Μεσσήνίᾳ συγγραφῇ. […] (3) ἔστι δὲ καὶ Ἡρακλῆς παρὰ τῇ Δήμητρι μέγεθος μάλιστα πήχυν∙τούτον τὸν Ἡρακλέα εἶναι τῶν Ἰδαίων καλουμένων Δακτύλων Ὀνομάκριτός φησιν ἐν τοῖς ἔπεσι. 687 Cfr. Paus. (VIII, 38). 688 Cfr. Paus. (VIII, 38, 7).

10. DEE IN ARCADIA, A CRETA E NELL’EGEO SETTENTRIONALE

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chitettonico nei templi di tradizione minoico-micenea. Il tutto, compresa anche la denominazione dell’antro come “cretese”, offre elementi di analogia con i culti celebrati a Creta in onore di Zeus ideo e connessi alle figure dei Coribanti.

10b. Le Grandi Dee Sempre in ambito arcadico, interessante appare la descrizione fatta da Pausania689 dei culti e delle relative tradizioni del santuario di Despoina, distante quattro stadi dal centro di Akakesios. Una volta entrati nello spazio templare690, la prima immagine che si incontrava era quella di Artemide hegemone, con in mano una torcia; seguivano poi le statue delle Moire, di Zeus moiragetes e di Eracle, quest’ultimo raffigurato in un rilievo in atto di contendere il tripode profetico ad Apollo. Davanti all’edificio templare erano posti tre altari, dedicati a Demetra, a Despoina ed alla Megale Meter. All’interno del tempio si trovava un celebre gruppo statuario opera di Damofonte691, raffigurante le divinità venerate nel santuario. Despoina e Demetra erano effigiate sedute in trono: Demetra recava una torcia nella mano destra, mentre la sinistra era rivolta verso Despoina, la quale reggeva in mano uno skeptron, e sulle ginocchia aveva una kiste. Vicino alla madre di Kore era posta Artemide, vestita di una pelle di cervo, con una faretra sulle spalle, una torcia in una mano e due serpenti nell’altra. Dalla parte del simulacro di Despoina era stata posta l’immagine di Anytos692, uno dei Titani, il quale secondo le tradizioni locali l’avrebbe allevata in Arcadia; si trattava, specifica Pausania693, di una divinità particolarmente adorata presso gli Arcadi. Sempre secondo le credenze del posto, Artemide non sarebbe stata figlia di Leto, bensì di Demetra. Poco distante dall’edificio templare, sorgeva un megaron, in cui venivano celebrate teletai e thysiai in onore di Despoina. Il Periegeta afferma che, secondo le tradizioni locali, Despoina sarebbe stata figlia di Demetra e di Poseidone e che in realtà tale epiclesi divina costituiva solo una denominazione di culto, in quanto, trattandosi di riti misterici, il vero nome della dea era noto solo ad un ristretto numero di iniziati694. Intorno al santuario si trovava un bosco sacro, in cui erano stati eretti diversi altari a Poseidone Ippio. 689

Cfr. Paus. (VIII, 37). Cfr. Paus. (VIII, 37, 1). 691 Su questo gruppo statuario, famoso nell’antichità, del quale nel corso di scavi ottocenteschi sono stati rinvenuti diversi frammenti, che ne hanno permesso, sulla base anche della descrizione di Pausani,a una ricostruzione complessiva, cfr. lo studio di Dickins 1906–1907, 357–404. 692 Su questa figura cfr. Loucas-Durie 1989. 693 Cfr. Paus. (VIII, 37, 5). 694 Cfr. Paus. (VIII, 37, 9): ταύτην μάλιστα θεῶν σέβουσιν οἱ Ἀρκάδες τὴν Δέσποιναν, θυγατέρα δὲ αὐτὴν Ποσειδῶνος φασιν εἶναι καὶ Δήμητρος. Ἐπίκλησις ἐς τοὺς πολλούς ἐστι αὐτῇ Δέσποινα, […] τῆς δὲ Δεσποίνης τὸ ὄνομα ἔδεισα ἐς τοὺς ἀτελέστους γράφειν.

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CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

Le caratteristiche del culto sono chiaramente misteriche695; esse risaltano non solo dagli elementi che caratterizzano l’iconografia delle divinità raffigurate, quali le torce, la cista ed i serpenti, ma anche dall’indicazione stessa del Periegeta, secondo la quale solo agli iniziati era concesso di conoscere il vero nome della divinità. In secondo luogo va notata la generazione “titanica” nella quale viene collocata la nascita e l’infanzia di Despoina, la quale nelle celebrazioni di culto viene addirittura accostata ad Anytos, il titano che l’aveva allevata. Demetra, Despoina ed Artemide costituiscono una sacra famiglia e una sorta di corrispettivo femminile di Efesto e dei suoi figli, i Cabiri di Lemno. Poseidone, qui ricordato come padre della dea, è pure presente nel culto, seppure collocato ai margini del santuario, in un bosco sacro. Alla medesima tradizione religiosa si connette il culto di Demetra melaina, di cui parla Pausania696, spostandosi nel territorio di Figalia. Il santuario dedicato a questa divinità si trovava sul monte Elaion, distante trenta stadi dal centro, dove era situato un antro a lei consacrato. Secondo le tradizioni locali in questo luogo sarebbe avvenuta l’unione tra Demetra e Poseidone e qui sarebbe nata Despoina; sempre in questa montagna la dea si sarebbe rifugiata, vestita di nero, in lacrime per la scomparsa della figlia. Il Periegeta menziona all’interno della caverna una statua di legno, antichissima, raffigurante la dea seduta, con la testa di cavallo, che teneva in una mano un delfino, nell’altra un uccello. Davanti all’ingresso della grotta era stato costruito un altare, sul quale erano deposte le offerte; in onore della dea avvenivano celebrazioni misteriche, aperte a un ristretto numero di iniziati. Intorno all’antro si trovavano, inoltre, un bosco sacro ed una sorgente. In questo caso, interessante è prima di tutto ancora una volta la collocazione di questo luogo di culto, sempre extraurbano, in un contesto montano, all’interno di un antro, in cui vengono celebrati riti misterici, circondato da un bosco sacro e corredato di una sorgente; in secondo luogo, è da sottolineare l’iconografia teriocefala della divinità: veramente singolare e senza altri riscontri è infatti questa dea dalla testa equina. È giunto il momento di fare un bilancio conclusivo. Prima di tutto, le tradizioni mettono in rilievo una preponderanza di culti di divinità femminili, alle quali si connettono celebrazioni di carattere misterico; in genere i luoghi culto sono situati su delle montagne, hanno come sede degli antri e comunque si tratta sempre di santuari, posti al di fuori delle mura della città. Gli elementi paesaggistici – montagna e caverna – sembrano rimandare a Creta, dove i culti nelle caverne sono attestati sin dal periodo neolitico697. A configurare il paesaggio di culto in senso 695

Sui culti misterici in generale cfr. Burkert 1989 e più di recente con una ricca bibliografia Graf 1996c. 696 Cfr. Paus. (VIII, 42). 697 Cfr. Faure 1964; Godart – Tzedakis 1992, in part. sulle grotte cretesi pp. 44–51, 75–81.

11. IL MOTIVO DEL PAESAGGIO IDAICO

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“cretese” concorrono anche le denominazioni di luogo. Va ricordato ad esempio che a Licosura l’antro del monte Liceo, in cui secondo le tradizioni locali sarebbe nato Zeus, prendeva il nome di “cretese”. Ancora si potrebbe menzionare il mito dei figli di Tegeate, eroe eponimo della città di Tegea: essi a seguito di una serie di disgrazie, dall’Arcadia sarebbero andati ad abitare a Creta i centri di Gortina, Cidonia e di Archedio, che da essi avrebbero tratto il nome. Va anche ricordato che a questa tradizione arcadica Creta ne opponeva una locale, secondo la quale queste città avrebbero preso il nome dai figli di Radamante e di Minosse698.

11. Il motivo del paesaggio idaico Si è visto come nelle tradizioni arcadiche esista sempre in qualche modo un rimando a Creta, in particolar modo per quel che riguarda i santuari montani (il cui numero comunque non stupisce, vista la morfologia montuosa della regione) dove in genere si trova un antro, in cui è posto il simulacro della divinità, attorniato da un bosco sacro e munito di una sorgente. Spesso, l’antro ha visto anche la nascita della divinità adorata, così ad esempio nel caso di Zeus nella grotta del monte Liceo. È però a Creta che troviamo le più antiche testimonianze di un uso cultuale delle grotte699, risalenti addirittura all’età neolitica. Per quanto riguarda le tradizioni letterarie, non dimentichiamo che la fonte più antica al riguardo, l’Odissea700, rimanda a Creta, all’antro sacro della dea Ilizia ad Amniso. Pausania701 integra poi la testimonianza omerica, dicendo che secondo i Cretesi la dea sarebbe nata ad Amniso, verosimilmente proprio in quella grotta. Un altro caso di nascita di una divinità femminile collegata ad una caverna sacra, proprio come in Arcadia, lo si incontra nell’antro di Demetra melaina, dove sarebbe stata data alla luce Despoina. Un’altra tradizione, molto conosciuta nell’antichità, attestata già a partire da Esiodo, era quella relativa alla nascita di Zeus sul monte cretese dell’Ida, dove sarebbe stato partorito da Rea ed affidato alle cure dei Cureti, propoloi, ovvero ministri del culto della dea. Montagna posta sotto la protezione di una divinità femminile, bosco sacro, antro e fonte sono gli elementi che nella tradizione letteraria concorrono a formare il paesaggio sacro, che proporrei di definire “idaico”. Lo stesso paesaggio, 698

Secondo la tradizione locale, riportata da Pausania (VIII, 53, 4), diversi figli di Tegeate sarebbero morti in delle contese fratricide e per mano degli dei, per cui i superstiti avevano ritenuto che la cosa migliore fosse quella di trasferirsi a Creta. 699 Sui luoghi di culto cretesi del periodo minoico-miceneo cfr. Rutkowski 1986; per la continuità di cultuale dei santuari montani di tradizione minoica in età storica cfr. Levi 1976. 700 Cfr. Hom. (Od. XIX, 188-899). 701 Cfr. Paus. (I, 18, 5).

214

CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

con le stesse caratteristiche cultuali, è riscontrabile, oltre che a Creta, anche, come si è visto, in Arcadia, a Samotracia e nella Troade. La comunanza di un paesaggio sacro, con le stesse caratteristiche naturalistiche, e talvolta con le medesime denominazioni di luogo, si connette alla volontà di un popolo di costruire la propria identità etnica, ma anche nel contempo di facilitare fenomeni di sincretismo con le culture locali e di integrazione con le popolazioni autoctone. Il fatto poi che questo processo investa in primo luogo la sfera del sacro, va posto in relazione con quanto sottolineato da Jan Assmann702, circa la compenetrabilità e la reciproca traducibilità delle religioni politeistiche nel mondo antico. Nella sostanza un paesaggio montano, con caverne, fonti e boschi, poteva suggerire ad un colono greco che metteva piede nella Troade un rimando allo spazio sacro cretese, anche in virtù della corrispondenza toponomastica. Ancora va aggiunto che in ambito anatolico il culto delle divinità femminili è spesso associato alle montagne sin dall’età ittita. La comunanza del paesaggio e delle divinità costituiva certamente un fattore che favoriva l’ambientamento e nel contempo l’integrazione nel territorio dei nuovi arrivati.

12. Conclusioni In questo capitolo sono state analizzate le tradizioni relative ai Cabiri ed alla formazione del motivo del paesaggio idaico, che si riscontra a Creta, in Frigia, nella Troade ed in Arcadia. La struttura della tradizione appare chiara: una montagna sacra, dotata di antri e ricoperta da una foresta, sede privilegiata del culto di una divinità femminile, ai cui inservienti viene affidato il compito di proteggere dal suo genitore il dio bambino, appena nato; questi esseri, considerati spesso come i primi abitanti del territorio, sono in possesso di conoscenze particolari, connesse alla magia ed alla lavorazione dei metalli, che li contraddistinguono da tutti gli altri uomini. Il livello mitico in cui si collocano tali tradizioni è quello preolimpico, precedente ovvero all’ascesa di Zeus, quale sovrano del pantheon ellenico. L’ambientazione cretese di questo mito, quella più accreditata nella tradizione letteraria, veniva tuttavia contestata da Demetrio di Scepsi, il quale sulla base di elementi sia paesaggistici che toponomastici opera una vera e propria cretizzazione della sua regione, facendo della Troade non solo il luogo d’origine di questi esseri, ma anche la regione da cui si diparte la civiltà e la cultura umana. Gli elementi strutturali della tradizione restano comunque sempre gli stessi: ad essere discussa è solo la sua localizzazione.

702

Cfr. Assmann 1998, 17 sgg.

APPENDICE: I CURETI E L’ARTE

215

Appendice I Cureti e l’arte In un interessante articolo apparso nel 1993 nella rivista «Aufidus», Carlo Brillante connetteva emblematicamente nel titolo le figure dei Telchini all’origine delle arti. Dopo aver considerato le tradizioni su Telchini, Cureti, Dattili e Coribanti, sorge quasi spontanea la connessione tra queste figure e quella dell’artista e del suo statuto nel mondo antico703. Un carattere che accomuna queste figure è in primo luogo l’estrema mobilità. Come gli artisti, infatti, anche i Cureti, partendo da Creta o da Rodi, si spostano nell’Egeo e nel Mediterraneo per arrivare in nuove terre, nelle quali essi sono latori di un sapere. Una tale caratterizzazione accomuna, ad esempio, i Cureti agli scultori cretesi della generazione successiva a Dedalo – ma in realtà si potrebbe considerare la stessa figura di Dedalo704 –, i quali, come ad esempio i fratelli Dipeno e Scilli, allievi diretti di Dedalo, furono chiamati a realizzare le loro opere fuori dall’isola, soprattutto nel Peloponneso: a Sicione, a Cleone vicino a Corinto705, ad Argo e a Tirinto706. La tradizione vuole, inoltre, che essi reclutassero allievi in loco, ai quali trasmisero il loro sapere (in questo caso la tecnica scultorea), fondando così nel Peloponneso delle scuole locali707. Le fonti attestano che un loro discepolo, lo spartano Doriclede, avrebbe realizzato una statua per il tempio di Era ad Olimpia708, e che altri due loro apprendisti, Tecteo ed Angelione, sarebbero stati gli autori della celebre statua di culto di Apollo a Delo709. In questo caso il dato archeologico sembra confermare la veridicità delle tradizioni letterarie. Creta fu uno dei centri più fiorenti della cultura artistica di VIII e VII sec. a.C.; infatti, come indicano i rinvenimenti archeologici, sull’isola dovettero risiedere ed essere attivi artigiani levantini, ai quali si devono ad esempio gli splendidi scudi ed oggetti in bronzo rinvenuti nell’Ida ed ai cui influssi ed al cui insegnamento è debitore lo sviluppo delle diverse scuole e botteghe artistiche locali710. Prima dell’invenzione della fusione in bronzo, a 703

Sullo statuto dell’arte denominata τέχνη e connessa ad un sapere acquisibile, così come sullo statuto dell’artista nell’antichità classica esiste una bibliografia molto vasta; tra i lavori più significativi mi limito a rimandare a Schweitzer 1925; Hölscher 1974; i diversi contributi raccolti in Coarelli 1980; Tanner 1999; D’Agostino 2001; Guidetti 2009. 704 Su Dedalo cfr. Becatti 1953–1954; Frontisi-Ducroux 1975; Willers 1996. Va, inoltre, fatto notare il fatto che Dedalo, a differenza dei Cureti, rappresenta non solo la prima personalità d’artista del mondo greco – questo a prescindere dal problema della sua reale esistenza –, ma anche il primo personaggio umano che crea arte, applica ed insegna un sapere. 705 Plinio (NH XXXVI, 9); Paus. (II, 15, 1). 706 Paus. (II, 22, 5); Clem. Alex. (Protrep. IV, 42). 707 Su questo fenomeno rimando in generale a Shapiro 1996. 708 Paus. (V, 17, 1–2). 709 Paus. (IX, 35, 3); Plut. (de musica 14p., 1136a). 710 Sulla cultura artistica di Creta nel periodo arcaico rimando a Morris 1993, 150–194 ed ai diversi contributi in Niemeier et al. 2012. Sulla dibattuta presenza di artigiani levantini a Creta cfr.

216

CAPITOLO V. LE TRADIZIONI SUI CABIRI NEL NORD EGEO

Creta si sperimentò la tecnica nota come σφυρήλατον, consistente nella battitura di lamine di bronzo su una sagoma lignea, fino a produrre una figura quasi a grandezza naturale711. Uno dei più famosi esempi di questa tecnica è stato rinvenuto nel tempio di Apollo a Drero: si tratta della famosa triade di Drero, riproducente Apollo, Leto ed Artemide, le tre divinità adorate nel santuario712. Un altro elemento che accomuna gli artisti ai Cureti è, inoltre, il contesto sacro, nel quale essi svolgono, soprattutto nel periodo arcaico, la loro attività. Infatti, tutte le statue che le fonti attribuiscono agli scultori di questo periodo rappresentano esseri divini e queste opere finiscono spesso per divenire le statue di culto (molte delle quali conservate sino ad epoca romana), nelle quali le comunità cittadine riconoscevano le immagini delle loro divinità. Il lavoro degli artisti risulta, inoltre, non solo indissolubilmente legato a quello della sfera del sacro, ma in molti casi avere una connotazione magica. Questa connotazione magica si connette alla qualità artistica delle immagini stesse, talmente elevata che esse potevano essere scambiate per la divinità stessa. Un’attenta analisi dei molti aneddoti legati alle statue nel mondo antico, fatte, ad esempio, oggetto di attenzioni erotiche in virtù della loro bellezza, o addirittura legate, affinché non fuggissero, esulerebbe dai fini di questo lavoro713: si tratta del topos dell’imago vera, presente nella letteratura greca sin dal periodo arcaico e che continua ad esistere sino al Rinascimento714, epoca in cui le opere di scultura classica assurgono nuovamente a canone del bello. Ad ogni modo, questi aneddoti rivelano come l’opera dell’artista fosse percepita come connessa alla magia, in quanto capace di riprodurre immagini che sembrano vive o che, muovendosi, prendendo vita. Del resto, non dimentichiamo, il talento artistico, sia esso legato alla sfera delle arti figurative o delle arti letterarie, e l’ispirazione erano visti come un dono concesso dagli dei, i quali si rivelavano all’artista in luoghi isolati, lontani dagli occhi dei più715. Esiodo, racconta, in modo paradigmatico del suo incontro con le Boardman 1961, 134–137 (cfr. Kotzonas 2006, che ha attribuito con argomenti convincenti il sepolcro non alla famiglia di un orefice del Levante, ma ad un membro dell’aristocrazia locale); id. 1967, 63–67; id. 1970, 14-25, che suppone la presenza di una comunità di artigiani, proveniente dalla Siria settentrionle; su questo argomento cfr. Hoffmann 1997, 153–190, che divide a seconda dei manufatti gli artigiani in categorie. Sul tema con alcune puntualizzazioni cfr. Whitley 2012, 412–415. 711 Cfr. Papadopoulos 1980. 712 Tra gli studi più recenti cfr. D’Acunto 2002–2003. 713 Plinio (NH XXVI, 21–22) narrava di un giovane di Cnido, che si sarebbe innamorato della statua di Afrodite, custodita nel santuario locale; lo stesso autore (NH XXXV, 65) raccontava che Parrasio avrebbe dipinto un quadro, raffigurante delle viti in maniera così reale, che degli uccelli sarebbero andati a posarvisi sopra. Una raccolta di questi aneddoti è stata fatta da Bettini 1992, 213–253; per una rassegna delle fonti cfr. anche Morris 1993, 215–237, la quale sottolinea il rapporto tra arti figurative e magia. Il valore magico ed apotropaico delle immagini è ben illustrato in Faraone 992. 714 Su questo concetto mi permetto di rimandare al mio studio Chiai 2013b. 715 Sulla concezione del Künstlerisches rimando alle sempre attuali considerazioni di Schweitzer 1925, 60–132.

APPENDICE: I CURETI E L’ARTE

217

muse sul monte Elicona: le dee sono la fonte del suo sapere e della sua ispirazione poetica716. La stessa terminologia greca aiuta a ricostruire questa percezione. La parola per arte è τέχνη, termine alquanto generico, che si connette ad un sapere che si può comunque insegnare ed apprendere; con μανία si intende invece quell’ispirazione, simile per molti versi ad un invasamento (ἐνθεία)717, che proviene dalla sfera del divino e che permette alla τέχνη di dare forma all’opera artistica, sia essa figurativa o letteraria. Un’altra caratteristica che accomuna Cureti ed artisti è la loro marginalità rispetto alla sfera del mondo normale. Tale loro marginalità è connessa a quel sapere di cui sono portatori e che li rende vicini al mondo del divino, dal quale traggono ispirazione nella realizzazione delle loro opere. Le cose non cambiano di molto se consideriamo i poeti, le cui performances, richieste, ad esempio, nelle feste cittadine, portavano questi intellettuali a girare tutto il mondo greco, compreso quello delle colonie718. Insieme a questi vanno considerati anche i medici, anch’essi, spesso, figure itineranti, spesso accomunati a maghi e a negromanti719.

716

Su questo argomento esiste una nutrita bibliografia; in generale rimando a Falter 1934, con un’utile raccolta delle testimonianze letterarie; Murray 1981; Brillante 1992; Aloni 1998, 11–63. 717 Su questo aspetto rimando a Brillante 1992. 718 Sulla mobilità di poeti, storici e retori nel mondo antico cfr. la fondamentale raccolta di testimonianze di Guarducci 1926; tra gli ultimi studi apparsi sull’argomento cfr. Chaniotis 2009. 719 Su questo tema mi limito a rimandare al documentato lavoro di Giamellaro 2001–2002.

Capitolo VI La Troade ed i suoi monumenti

1.

La Troade ed il paesaggio della memoria

Il lungo excursus dedicato alla Troade, come è stato messo in evidenza nel secondo capitolo, mostra come Strabone si fosse dettagliatamente informato sulle tradizioni locali della regione. In questa descrizione paesaggistica meritano particolare attenzione i monumenti di epoca eroica, i quali formavano quello che, usando un termine moderno, possiamo definere paesaggio sacro della memoria, intorno al quale erano sorte molte delle tradizioni mitiche locali. Questo capitolo si propone di analizzare il modo in cui questo paesaggio si è formato e la sua importanza per la nascita di un’identità culturale della Troade in età storica. L’analisi di questi mirabilia inizierà dai monumenti sepolcrali, in seguito verranno analizzati i templi e le antichità.

2. I tumuli sepolcrali Il paesaggio mitico della Troade si caratterizza anzittutto per la presenza di numerosi monumenti sepolcrali eroici, quasi tutti connessi alla saga della guerra di Troia. Ad essi si legavano leggende di carattere eziologico (per la maggior parte note grazie a Strabone), indicative non solo del ruolo che le comunità cittadine locali ebbero nel creare tali tradizioni, ma anche dell’interesse che esse potevano suscitare presso viaggiatori o osservatori eruditi720, quali appunto il Geografo di Amasea. La piana di Ilio, connessa al ciclo epico più famoso del mondo greco, era, infatti, il luogo in cui molti eroi avevano trovato la morte. Filostrato (Her. 8, 13) testimonia che ancora in epoca imperiale si mostravano e veneravano le tombe di molti personaggi omerici: segno che la regione era meta di una sorta di turismo intellettuale, interessato a visitare le tangibili vestigia di un passato eroico. Come 720

Su questo tema rimando alla documentata sintesi di Brena 2004; cfr. anche l’approfondita trattazione di Zwingmann 2012, 31–106.

220

CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

ed anche più della Troade, il Peloponneso era la regione della Grecia che poteva vantare il più ricco patrimonio di monumentali resti archeologici, ancora visibili in epoca romana, che rappresentavano la testimonianza materiale dell’epoca eroica. Non è un caso che le vicende dei più importanti cicli epici della Grecia (Pelopidi, Danaidi, Eraclidi etc.), siano ambientate anche nella penisola peloponnesiaca. Questi eventi mitici potevano essere associati alle monumentali rovine dei palazzi e delle tombe di epoca micenea, che costituivano gli elementi fondanti del paesaggio sacro locale e sin dall’epoca arcaica erano oggetto di culto, come l’archeologia ha posto in luce721. La presenza di attività cultuali, legate a queste vestigia archeologiche, ha aperto, infatti, la strada a nuove teorie, circa la nascita e lo sviluppo delle tradizioni mitiche722. Anthony Snodgrass723, ad esempio, ha sostenuto la tesi che la nascita e lo sviluppo del culto eroico nella Grecia arcaica non deriverebbe dai grandi cicli epici, ma sia piuttosto da connettere a questi monumenti sepolcrali ed alle relative tradizioni eziologiche (anche in questo caso la categoria “identificazione locale” di Tonio Hölscher ben si adatta allo studio di questo fenomeno). Lo studioso ritiene che non la diffusione dell’epica, ma la presenza sul territorio di questi resti archeologici avrebbe rappresentato lo stimolo principale per la riscoperta, lo studio e la valorizzazione del passato eroico. Non è inoltre casuale il fatto che non si riscontri alcuna inflenza dei cicli epici nella localizzazione, nel ritrovamento e nella traslazione delle reliquie, in cui, al contrario, in molti casi i responsi oracolari giocano un ruolo fondamentale724. Tali tradizioni sarebbero, inoltre, sorte parallelalmente allo sviluppo delle attività agricole ed all’occupazione del territorio in ambiente rurale. Questi monumenti avrebbero, infatti, contribuito alla sacralizzazione del territorio, fungendo anche come “landmakers”. In questo contesto va brevemente menzionato il ruolo che queste vestigia ebbero in Messenia quali simboli dell’identità locale durante i secoli dell’occupazione spartana, come è stato giustamente di nuovo sottolineato da Nino Luraghi725 in anni recenti: esse rappresentavano la prova materiale di un glorioso passato, col quale i Messeni potevano mantenere e salvaguardare la propria identità. La ricostruzione di Anthony Snodgrass si integra con quanto osservato da François de Polignac726, il quale ha notato che le aree nelle quali il culto eroico si manifesta sono quelle in cui si riscontra il fenomeno della nascita della polis. Questi monumenti sepolcrali avrebbero quindi contribuito alla consacrazione e demarcazione del territorio da parte delle autorità cittadine. 721 722

A riguardo rimando alle osservazioni ed alla bibliografia dell’introduzione al presente libro. Per una buona sintesi delle teorie sviluppatesi in relazione al rapporto tra sepolcri monumentali micenei e tradizioni eroiche cfr. Boehringer 2001, 13–15. 723 Snodgrass 1982; id. 1988. 724 A riguardo rimando alle osservazioni di Neri 2010, p. 155 sgg. 725 Cfr. Luraghi 2008; un buon quadro d’insieme anche in Boehringer 2001, 243–371. 726 Cfr. de Polignac 1984, 151–176. Contra cfr. le osservazioni di Boehringer 2001, 374, il quale osserva, che i gruppi che si identificavano in tali pratiche «nicht in die Polis integrierbar waren und sich auflösten, als sich ein funktionierendes staatliches Institutionsgefüge etablierte».

2. I TUMULI SEPOLCRALI

221

In stretta connessione col culto e la traslazione delle reliquie in Grecia va infine ricordata un’acuta osservazione di Nicholas Coldstream727, secondo la quale il culto delle tombe micenee poteva nascere solo dove la pratica di sepoltura (in questo caso l’inumazione) e la stessa architettura funeraria erano così cambiate da far considerare questi sepolcri qualcosa di appartenente al passato eroico del territorio. Queste stimolanti teorie inducono ad iniziare l’analisi del paesaggio della Troade proprio dai monumenti sepolcrali. Da un punto di vista prettamente archeologico, molti di questi monumenti, interpretati come sepolcri eroici, erano in realtà tumuli eretti tra il Bronzo Medio e Tardo. I tumuli sono collinette di terra e pietre, spesso di grandi dimensioni, erette sopra una sepoltura in modo da formare una montagnetta artificiale; essi possono avere una forma circolare o allungata e si riscontrano a partire dall’età preistorica in molte regioni dell’Europa e dell’Asia. Questi monumenti funerari appaiono in Grecia a partire dal Tardo Bronzo e la loro apparizione viene ricondotta a gruppi provenienti dai Balcani, che si sarebbero trasferiti nel continente greco728. Il termine tumulus compare già in Servio729 con la moderna accezione archeologica; mentre Omero usa per tali monumenti, che testimoniano il rango e la gloria (κλέος) del defunto, i termini σῆμα, κολώνη e τύμβος. Per quanto riguarda la Troade, le ricognizioni di superficie, condotte nell’ambito del “Trojas-Projekt” dell’università di Tubinga, hanno portato al censimento di almeno quaranta tumuli, ventinove dei quali ubicati nel territorio circostante il sito di Troia730. Molte di queste collinette sono state datate tra il Medio ed il Tardo Bronzo in connessione con le fasi VI–VIIa di Troia. La presenza di questi monumenti sepolcrali, il cui numero doveva essere presumibilmente più grande all’epoca dell’arrivo dei coloni eolici nella regione, insieme ai resti murari di Ilio, l’unico centro di carattere urbano della Troade, dovette contribuire all’elaborazione di un paesaggio sacro al quale si legavano miti locali di carattere eziologico atti a spiegare e a dare un nome a questi tumuli, il cui numero e grandezza dovette impressionare i Greci, suggerendo forse anche rimandi e connessioni con monumenti analoghi che si trovavano nella Grecia continentale. Questi sepolcri possono essere, inoltre, studiati anche come “lieux de savoir”, secondo la categoria cognitiva proposta da Christian Jacob: essi, infatti, erano percepiti dagli Antichi come gli spazi in cui il passato si materializzava, fornendo informazioni sulla protostoria della regione. Va inoltre ricordato che le attività cultuali, che certamente si svolgevano presso questi monumenti funerari, in forma ad esempio di libagio727

Cfr. Coldstream 1976. Su questo tema esiste una vasta bibliografia, in generale rimando ai documentati lavori di Müller Celka 1989 (fondamentale articolo di sintesi); ead. 2007; ead. 2011a; ead. 2011b. 729 Ad Aen. III, 22: Tumulus autem dicendo, uno hoc sermone et collem et sepulcrum fuisse significat [Vergilius]. potest enim tumulus et sine sepulcri interpretatione collis interdum accipi: nam et terrae congestio super ossa ‘tumulus’ dicitur. 730 Cfr. Aslan – Bieg 2003; Bieg 2009, 240–244; ed il recente documentato lavoro di Zwingmann 2015, in part. pp. 385–387. 728

222

CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

ni, di lamentazioni funebri, processioni etc., oltre a rappresentare un importante elemento di coesione per le popolazioni locali, serviva a perpetuare il ricordo di questi eroi, oltre che a mantenere vivo il ricordo di questi miti miti731.

3.

I monumenti sepolcrali

I monumenti sepolcrali della Troade si prestano ad essere studiati e catalogati soprattutto sulla base della loro ubicazione rispetto ad Ilio. Ho pertanto distinto tra sepolcri ubicati nella città, sepolcri presenti nella piana di Troia ed infine monumenti sepolcrali localizzati nella regione circostante. Dieter Hertel e Nicola Zwingmann in anni recenti hanno pubblicato degli studi approfonditi su questi monumenti, cercando di collegare le numerose fonti letterarie con le evidenze archeologiche. Per tal motivo ho evitato (nei limiti) di fare un puro catalogo e, concentradomi sulle fonti, ho cercato di individuare in esse gli elementi di riflessione sul significato storico e culturale di queste vestigia archeologiche. Come accennato, Omero menziona tutta una serie di monumenti sepolcrali, relativi tanto ai Priamidi, quanto a personaggi di rango dell’esercito acheo caduti in battaglia732. Questi σήματα, che, seppur appartenenti ai Troiani, sono rispettati dagli Achei in virtù della loro sacralità, rappresentano già nei poemi omerici gli elementi costitutivi del paesaggio sacro della Troade e come tali vengono rappresentati. In tal senso è possibile ricostruire anche una sensibilità, presente sin dall’Alto Arcaismo, verso le caratteristiche paesaggistiche del territorio, che vengono interpretate e connesse alla protostoria della regione. Questi tumuli rappresentano pertanto non solo semplicemente dei luoghi della memoria, ma anche dei “lieux de savoir”, che custodiscono e trasmettono informazioni storiche.

3a. Monumenti sepolcrali all’interno di Troia All’interno della città, secondo la testimonianza di Quinto Smirneo, sarebbero stati ubicati diversi monumenti sepolcrali. Nel poema si trovano purtroppo solo brevi cenni a questi σήματα, senza purtroppo precise indicazioni topografiche. La maggior parte di questi sepolcri sono relativi a predecessori di Priamo, che ricevettero l’onore di una sepoltura all’interno delle mura, o ad eroi, morti durante la guerra, che per ovvie ragioni non potevano essere sepolti all’esterno della città. Quinto Smirneo, pur fornendo in alcuni casi dati topografici, non trasmette purtroppo quasi alcun dato descrittivo. La precisione con cui il poeta localizza questi sepolcri fa, inoltre, supporre che egli abbia attinto a delle tradizioni molto 731

Utili osservazioni in Brelich 1958, 80–90, il quale fa giustamente notare che un culto eroico si concentra in un gran numero di casi intorno alla tomba di un eroe, anche se esistono eroi che non possiedono un sepolcro e culti eroici che non hanno come punto di riferimento un monumento sepolcrale. 732 Per un elenco esaustivo dei passi rimando a Zwingmann 2015, 383–385.

3. I MONUMENTI SEPOLCRALI

223

antiche, nelle quali questi monumenti rappresentavano gli elementi costituenti lo spazio mitico troiano. Va tuttavia aggiunto che le altre fonti letterarie non accennano alla presenza di queste tombe nella Ilio storica, in cui vengono descritti altri monumenti. Questo potrebbe forse essere uno dei motivi per cui un erudito come Strabone, sulla scia di Demetrio di Scepsi, non era d’accordo con l’identificazione della nuova Ilio con la città di Priamo, nella quale in effetti non era dato di riscontrare molti di questi edifici.

3a-1. I sepolcri di Assaraco e di Ettore All’interno delle mura si sarebbe trovatο il sepolcro di Assaraco, che viene citato insieme a quello di Ettore come se si trovasse nei pressi del tempio di Atena e dell’altare di Zeus herkeios733. Nel complesso questi versi sembrerebbero consentirci di ricostruire la presenza di un complesso sacro di edifici templari e di tombe. Sul sepolcro di Ettore, qui citato, venne probabilmente eretto il tempio che più avanti prenderemo in considerazione.

3a-2. I sepolcri di Polissena e di Ganimede Quinto Smirneo (XIV, 324–328) narra che Polissena sarebbe stata sepolta all’interno di Troia e che la sua tomba si sarebbe trovata presso il monumento sepolcrale di Ganimede nelle vicinanze del tempio di Atena. Anche in questo caso sembrerebbe potersi presumere la presenza di un insieme di edifici sepolcrali e templari.

3a-3. Cenotafio di Laomedonte Quinto Smirneo (XII, 480–485) menziona la presenza di un cenotafio costruito dai Troiani per Laomedonte ed i suoi figli, situato davanti al tempio di Apollo.

3b. Monumenti sepolcrali della piana di Troia La maggior parte dei tumuli presenti nella piana di Troia furono interpretati già all’epoca della redazione dei poemi omerici sia come sepolcri dei sovrani della dinastia priaminide che come le tombe degli eroi caduti in guerra. Questo è un dato molto importante che si lega, come prima accennato, ad una lettura e ad un’interpretazione di tipo archeologico del paesaggio circostante Troia. Questi tumuli rappresentavano infatti la prova materiale che la guerra di Troia aveva realmente avuto luogo e che gli eroi achei avevano combattuto per dieci anni in questi luoghi una sanguinosa guerra. 733

VI, 145–147: σῆμα παρ’Ἀσσαράκοιο καὶ Ἕκτορος αἰπὰ μέλαθρα / νηόν τε ζάθεον Τριτωνίδος, ἔνθα οἱ ἄχρι / δώματ’ἔσαν καὶ βωμὸς ἀκήρατος Ἑρκείοιο.

224

CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

3b-1. Il sepolcro di Aisyetes Secondo calcoli moderni questo monumento sepolcrale si trovava ad una distanza di cinque stadi (1 km) da Troia734. Aisyetes sarebbe stato il padre di Alkathoos, che combatteva nell’esercito di Priamo. Nell’Iliade (II, 792–793) si racconta che Polite, figlio di Ecuba e di Priamo, si sarebbe appostato sulla cima di questo tumulo per spiare i movimenti dell’esercito acheo. Strabone (XIII, 1, 34) cita questo monumento, usandolo come prova del fatto che la Ilio dei suoi tempi non doveva essere indentificata con quella omerica: non avrebbe avuto infatti senso rischiare la vita per vedere da questa posizione quanto dalla città moderna si sarebbe potuto vedere meglio e senza correre rischi.

3b-2. Il sepolcro di Mirina Questo sepolcro si sarebbe trovato davanti alle porte scaie, ubicato tra i fiumi Scamandro e Simoenta. Tale tumulo sarebbe stato considerato come la tomba di Mirina, variante onomastica di Bateia, la figlia di Teucro e la sposa di Dardano. Va inoltre ricordato che Myrina era il nome della regina delle Amazzoni che da Samotracia sarebbero giunte nella Troade.

3b-3. Il sepolcro di Ilos Sulla pianura dello Scamandro sarebbe stato ubicato il sepolcro di Ilos, il mitico fondatore della città di Ilio735. Teofrasto e Plinio736 narrano che sulla sommità del monumento si trovavano delle quercie secolari, che sarebbero state ivi piantate subito dopo la fondazione della città. I due autori menzionano quali altri esempi di piante secolari ancora esistenti ai loro tempi: il sacro ulivo ad Atene, la palma di Delo (dove Leto avrebbe partorito Apollo ed Artemide), l’ulivo selvatico ad Olimpia ed il platano di Agamennone a Delfi. Anche queste piante dovevano appartenere ai mirabilia della regione ed essere parte del suo paesaggio sacro. La menzione di questo monumento presso Strabone (XIII, 1, 34) e Plinio il Vecchio (NH, XVI, 238) ne rendono certa la sua esistenza per l’epoca imperiale. 734 735

Cfr. Zwingmann 2012, 65. Cfr. Hom. (Il. XX, 208–240; X, 414–417; XI, 166–168; XXIV, 349–351). Su questo monumento cfr. Erskine 2001, 98; Mannsperg – Mannsperg 2002, 1076–1079; Hertel 2003, 183–184; Zwingmann 2012, 65–66, n. 205 con una menzione delle fonti. 736 Plin. (NH, XVI, 238): Sunt auctores et Delphicam platanum Agamemnonis manu satam et alteram in Caphya Arcadiae loco. sunt hodie ex adverso Iliensium urbis iuxta Hellespontum in Protesilai sepulchro arbores, quae omnibus ex eo aevis, cum in tantum adcrevere, ut Ilium aspiciant, inarescunt rursusque adolescunt. iuxta urbem autem quercus in Ili tumulo tunc satae dicuntur, cum coepit Ilium vocari. Theoph. (de plantis IV, 13, 2): φηγοὺς δὲ τὰς ἐν Ἰλίῳ τὰς τοῦ Ἴλου μνήματος.

3. I MONUMENTI SEPOLCRALI

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3b-4. Il sepolcro di Laomedonte Quinto Smirneo (I, 788. 802), durante la descrizione dei funerali di Pentesilea, accenna alla presenza del sepolcro (σῆμα) di Laomedonte737, padre di Priamo, le cui spoglie (ὄστεα), secondo un’indicazione di Servio738, avrebbero riposato in un tumulo presso le Porte Scaie. La menzione del monumento funerario del sovrano troiano presso Quinto Smirneo potrebbe far ipotizzare che il poeta attingesse ad una fonte antica, che conosceva l’ubicazione del sepolcro di fronte a Troia, alla cui esistenza accenna anche il commentatore di Virgilio.

3b-5. Il sepolcro di Pentesilea e delle Amazzoni Quinto Smirneo (I, 783–810), sempre nella descrizione dei funerali a Pentesilea, accenna all’esistenza di un sepolcro, che i Troiani, durante una tregua a loro concessa dagli Achei, avrebbero eretto per l’amazzone uccisa da Achille. Nella piana di Troia sarebbero poi state seppellite anche le altre amazzoni cadute.

3b-6. Il sepolcro di Euripilo Quinto Smirneo (IX, 39–44) accenna alla presenza del sepolcro di Euripilo, un alleato tessalo dei Troiani, che si sarebbe trovato sulle sponde dello Scamandro dalla parte delle Porte Dardanidi.

3b-7. Il sepolcro di Dardano Nell’Alessandra di Licofrone (72) si accenna alla presenza di un τάφος Ἀτλαντίδος, che lo scoliasta interpreta essere il sepolcro di Dardano739, così chiamato in virtù della sua discendenza da Atlante. Si tratta dell’unica menzione di questo monumento sepolcrale che possediamo.

3b-8. I sepolcri di Cilla e di Munippo Nell’Alessandra di Licofrone (316–322) troviamo un breve cenno alla tomba di Cilla e di Munippo, ubicata sul tumulo di Ilos740, dove si trovavano le querce secolari. Lo scolio relativo al verso 319 tramanda una tradizione, secondo la quale Priamo avrebbe avuto una relazione con Cilla, sorella di Ecuba e sposa di Thymoitos, dalla quale sarebbe nato Munippo. Avendogli l’oracolo predetto che per salvare la regalità egli avrebbe dovuto uccidere la madre e l’ultima progenie appena nata, decise allora di far morire costei con suo figlio, risparmiando Ecuba, che aveva da poco dato alla luce Paride. 737

Zwingmann 2012, 66, n. 209. Ad Aen. II, 241: […] nam novimus integro sepulcro Laomedontis, quod super portam Scaeam fuerat, tuta fuisse fata Troiana. 739 Zwingmann 2012, 66, n. 209. 740 Zwingmann 2012, 66, n. 209. 738

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

3b-9. Il sepolcro di Priamo Un epigramma dell’Antologia Palatina741 accenna alla presenza di un sepolcro di Priamo ad Ilio. Se si prescinde da un non ben chiaro cenno di Orazio (Carm., III, 3, 37–44), si tratta dell’unica testimonianza letteraria su questo monumento funerario.

3c. Monumenti sepolcrali della regione Come Troia e la piana di Troia, anche il resto della Troade si mostrava ricco di vestigia archeologiche relative al passato mitico della regione. Tali monumenti mostrano inoltre la vitalità dei centri greci della regione nello sviluppare varianti locali che, spesso in polemica con quelle ufficiali o dei centri vicini, localizzavano un sepolcro eroico nel proprio territorio. La fonte principale per la ricostruzione delle tradizioni locali è Strabone, che, quasi per mano, sembra guidare il lettore a visitare queste località, illustrandone i monumenti e le tradizioni.

3c-1. La tomba di Memnone742 Strabone (XIII, 1, 11) narra che presso le foci del fiume Esopo743 era ubicata la tomba di Memnone, figlio di Titone, e non lontano da essa si trovava un villaggio, chiamato kome Memnonos. L’espressione usata dal geografo di Amasea (τάφος δείκνυται) «viene mostrata la tomba» sembra alludere ad una guida locale, che con orgoglio mostra al Geografo il monumento sepolcrale; merita attenzione anche la presenza di un toponimo correlato all’eroe sepolto, il quale mostra la stretta connessione di questa variante mitica col territorio: toponomastica ed evidenza archeologica sono i due elementi che suffragano e rafforzano la pretesa di questo territorio ad ospitare la tomba dell’eroe. Il luogo della memoria diviene in tal senso un luogo del sapere, che trasmette elementi determinanti per l’identità religiosa locale. Una tradizione parallela, che ubicava il sepolcro del re etiope in questa località della Troade, si legge presso Pausania (X, 31, 6), il quale, commentando una pittura che ritraeva questo eroe, in una digressione parla di una specie di uccelli migratori, chiamati memnonides, che una volta all’anno farebbero sosta nell’Ellesponto alle foci dell’Esopo, proprio nel luogo in cui si trovava questo monumento, confermandone dunque l’ubicazione. Il Periegeta coglie poi l’occasione per riferire un’altra interessante variante mitica, secondo la quale Memnone sarebbe giunto ad Ilio non direttamente dall’Etiopia, ma da Susa in Persia, passando 741

Anth. Pal. VII, 136: Ἥρωος Πριάμου βαιὸς τάφος οὐχ ὅτι τοίου / ἄξιος, ἀλλ’ ἐχθρῶν χερσὶν ἐχωννύμεθα. 742 Su questo monumento cfr. Hertel 2003, 270; Erskine 2001, 109. 743 Per una descrizione della geografia del territorio cfr. Leaf 1923, 68.

3. I MONUMENTI SEPOLCRALI

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per le terre attraversate dal fiume Choaspes e sottomettendo durante il suo viaggio le popolazioni di questi territori. Tale tradizione era nota anche presso i Frigi: infatti, Pausania aggiunge che i Frigi mostravano la via percorsa dal suo esercito attraverso il loro regno. Va infine presa in considerazione la testimonianza di Eliano (De natura animalium V, 1) il quale, trattando dei memnonides, una specie di uccelli dal piumaggio nero che vive nel territorio intorno a Cizico, narra che i loro stormi con l’avvento dell’autunno si spostano presso le foci dell’Esopo, dove si trova il sepolcro di Memnone, presso il quale ingaggiano sanguinosi combattimenti. Questo sepolcro sarebbe tuttavia un cenotafio: infatti, – aggiunge Eliano – gli stessi abitanti del luogo narrano che, dopo la sua morte, il corpo sarebbe stato trasportato dalla madre Eo a Susa, dove in suo onore sarebbero state istituite le feste Memnoneie. Si noti per altro l’espressione usata dall’autore: λέγουσι δὲ οἱ τὴν Τρωάδα ἔτι οἰκοῦντες, atta a sottolineare l’origine locale di tale leggenda. L’ubicazione di un monumento funebre dedicato a Memnone nella Troade risulta, infine, essere nota anche ad Esiodo: infatti, in un passo tramandato da Lattanzio si legge che le sorelle dell’eroe, per intercessione della Madre Eo presso Zeus, si sarebbero tramutate in uccelli nelle vicinanze delle ceneri del rogo dell’eroe, assumendo il nome di memnonides. Ogni anno, stormi di questi volatili si sarebbero recati presso il sepolcro di Memnone, dove avrebbero inscenato sanguinosi combattimenti. Esiodo, che conosceva questa tradizione, ubicava il sepolcro in Frigia744, denominazione probabilmente da intendere come sinonimo per la Troade.

3c-2. La tomba di Ecuba La tomba di Ecuba, sposa di Priamo, veniva localizzata nel territorio della città di Dardano745, nei pressi di una località chiamata Kynos Sema. Il mito, infatti, vuole che Ecuba, affidata ad Odisseo come schiava, avesse evitato il suo destino gettandosi dalla nave in mare in prossimità di questo tratto di mare e che sulla costa le fosse stato eretto un sepolcro. 744

Hes. (Fr. 353 M.-W.): Memnon Tithoni at Aurorae filius, Priamo ferens auxilium ab Achille occiditur. mater ergo precibus inducendae lucis ab Iove impetrat, ut in cineres eius adusto sorores convertantur in volucres Memnonides nomine. quae memores belli cum quotannis ad sepulcrum eius conveniunt, et inter se dimicantes sanguine suo manibus eius frequentia parentant et ipsa mater eius matutinis temporibus lacrimas desiderio filii sui Memnonis transmutat in rorem. quod tamen monumentum in Phrygia constituit eius, ut Hesiodus vult. 745 Le fonti letterarie sono concordi circa l’ubicazione di questo momumento funerario: Plinio (NH IV, 49) parla di un Hecubae tumulus; Ammiano Marcellino (XXII, 8, 4) usa l’espressione ubi sepulta creditur Hecuba; Strabone (VII, Fr. 55). Euripide (Hec. 1270-5) sembra alludere a questa tradizione con l’espressione κυνὸς ταλαίνης σῆμα, la quale sembra effettivamente ricalcare il toponimo della Troade Kynos-Sema.

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

3c-3. Il sepolcro di Ettore Nel territorio di Dardano si trovava il centro di Ophrynion, nelle cui vicinanze era ubicato un bosco consacrato ad Ettore746. Licofrone (Alex. 1208) conosce una tradizione, secondo la quale il figlio di Priamo sarebbe stato sepolto con grandi onori in questa località, ed in seguito le sue spoglie sarebbero state tuttavia trasferite a Tebe in obbedienza ad un oracolo747. Questa versione del mito trova conferma in Pausania (IX, 18, 5), il quale, nel descrivere la topografia di Tebe, si sofferma sulla tomba di Ettore748, che sorgeva nei pressi della fontana di Edipo. Il Periegeta, ai fini di spiegare la presenza di questo monumento in città, riporta il testo di un oracolo dato ai Tebani, secondo il quale, affinchè potessero vivere in pace ed in prosperità, secondo il volere di Zeus avrebbero dovuto portare nella loro patria le spoglie di Ettore e tributare loro un culto eroico. Probabilmente quello che Strabone menziona come un bosco consacrato ad Ettore era l’antica sede del sepolcro dell’eroe, prima che i suoi resti venissero trafugati e trasportati in Beozia. Lo Scoliasta all’Alessandra di Licofrone749 offre ulteriori particolari, che ci aiutano a ricostruire il contesto in cui il trasporto delle reliquie sarebbe avvenuto. Secondo questa tradizione, durante l’infuriare di una terribile pestilenza in Grecia, l’oracolo di Apollo avrebbe vaticinato che il morbo avrebbe avuto fine solo se le spoglie di Ettore fossero state portate da Ofrinio in una città della Grecia, che però non avesse preso parte alla guerra contro Troia. I Greci avrebbero per questo scelto Tebe, rimasta neutrale al conflitto, istituendo in questo centro un luogo di culto dove deporre i resti mortali dell’eroe. In questa variante del mito viene nuovamente posto in rilievo non solo il ruolo svolto dall’oracolo per l’istituzione di tale culto a Tebe, ma anche nuovamente indicata Ofrinio quale originaria ubicazione del sepolcro dell’eroe nella Troade. Va infine menzionata la testimonianza di Aristodemo di Tebe (FGrHist 384, F 7) il quale, localizzando il sepolcro dell’eroe in un luogo della città chiamato gonas Dios, rapporta la fondazione di questo culto eroico al volere dell’oracolo, anche in questo caso visto come unico mezzo per allontanare da Tebe una terribile pestilenza. 746

Strabone (XIII, 1, 29); sul testo straboniano cfr. le considerazioni di Leaf 1923, 153–155, con una panoramica delle tradizioni letterarie. Su questo monumento cfr. anche le osservazioni Pfister 1912, 193–194; Cook 1973, 72–77; Lindner 1994, 36; Erskine 2001, 109, n. 70; Hertel 2003, 179; Nagy 2010, 147–189. 747 Sul fenomeno del trasferimento di reliquie nell’antichità cfr., con osservazioni critiche ed una bibliografia sull’argomento, Neri 2006; Hartmann 2010, 246–263. 748 Sul culto tebano di Ettore, con una trattazione delle fonti ed una panoramica sulle diverse interpretazioni degli studiosi, cfr. Schachter 1981, 233–234. 749 Schol. in Lyc. 1194: φασὶν ὅτι λοιμοῦ κατασχόντος τὴν Ἑλλάδα ἔχρησεν ὁ Ἀπόλλων τὰ τοῦ Ἕκτορος ὀστᾶ κειμένα ἐν Ὀφρωνῷ τόπῳ Τροίας μετενεγκεῖν ἐπὶ τινα πόλιν Ἑλλησίδα ἐν τιμῇ μὴ μετασχοῦσαν τῆς ἐπὶ Ἴλιον στρατείας, οἱ δὲ Ἕλληνες εὑρόντες τὰς ἐν Βοιωτίᾳ Θήβας μὴ στρατευσαμένας ἐπὶ Ἴλιον ἐνεγκόντες τοῦ ἥρωος λείψανα ἔθηκαν αὐτὰ ἐκείσε. Stessa tradizione viene riportata anche in Schol. Lyc. 1208. Su queste tradizioni cfr. osservazioni in Erskine 2001, 124–125.

3. I MONUMENTI SEPOLCRALI

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In questa sede importa tuttavia rilevare l’esistenza di un culto eroico tributato a questo eroe troiano, non solo in Troade, ma anche a Tebe in Beozia. Questo mostra la presenza di tradizioni al di fuori di Atene, che consideravano gli eroi troiani alla stregua di eroi greci: è, infatti, Zeus stesso che ordina agli abitanti della città di Cadmo di istituire in città un culto dedicato all’eroe. Sebbene la città di Tebe stia al centro dell’elaborazione di questa tradizione, va tuttavia sottolineata l’esistenza in età storica ad Ofrinio di un bosco sacro, consacrato ad Ettore; la rappresentazione della figura dell’eroe su alcune monete coniate in epoca ellenistico-romana potrebbe venir connessa all’importanza che questo eroe rivestiva nell’ambito della tradizioni culturali di questo piccolo centro750.

3c-4. La tomba di Aiace Secondo Strabone (XIII, 1, 30) nelle vicinanze della città di Rhoiteion si trovavano la tomba ed un tempio dedicati ad Aiace, l’eroe greco che si tolse la vita sotto le mura di Troia. Il Geografo di Amasea narra che la statua dell’eroe sarebbe stata portata da Marco Antonio in Egitto e poi restituita da Giulio Cesare alla comunità dei Rotiesi. Le fonti letterarie751 sono concordi nel localizzare questo monumento in una località costiera del territorio di Rhoiteion, che doveva essere ben visibile e caratterizzare il paesaggio circostante752. Pausania (I, 35, 4-5) riporta la notizia che ai suoi tempi il mare aveva inondato una parte della tomba, rendendo addirittura visibili le gigantesche ossa dell’eroe753. Sempre il Periegeta riferisce una tradizione mitica, appresa dagli Eoli “che più tardi colonizzarono Ilio”, secondo la quale Odisseo sarebbe naufragato e le armi di Achille, oggetto della triste contesa, sarebbero state trasportate dalla corrente marina presso la tomba di Aiace. L’origine eolica di questa tradizione, sottolineata nel testo pausaniano, si potrebbe rapportare alla lettura in chiave “troiana” di elementi paesaggistici ed archeologici della regione, attuata dagli Eoli, nel momento in cui presero contatto con le realtà locali dell’interno. Anche in questo caso la mitizzazione del paesaggio si connette ad una sua sacralizzazione; non a caso Strabone usa l’espressione μνῆμα καὶ ἱερὸν, in cui non è chiaro se la tomba vada distinta dal santuario, o se l’edificio sepolcrale sorgesse all’interno di un’area templare.

3c-5. La tomba di Achille Proseguendo nella descrizione della geografia della Troade, Strabone (XIII, 1, 32) ha occasione di accennare all’esistenza della tomba e di un santuario dedicato ad 750 751

Sulle monete di Ophrynion raffiguranti Ettore cfr. Head 1911, 547–548. Cfr. Plinio (NH V, 125); Paus. (I, 35, 4-5); Pomp. Mela (I, 96); Luciano (Charon 23); Lucano (Phars. IX, 962); Quinto Smirneo (V, 655). 752 Su questo monumento con una disamina delle fonti letterarie cfr. Leaf 1923, 155–158; Cook 1973, 89 sgg.; Erskine 2001, 111; Hertel 2003, 176–178; Zwingmann 2012, 77–78. 753 Sulle ossa gigantesche, veri fossili preistorici spesso interpretati come resti di eroi o di mostri cfr. Mayor 2000; Boardman 2002, 33–43; Hartmann 2010, 83–86.

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

Achille754 πρὸς τῷ Σιγείῳ, nelle vicinanze del promontorio Sigeo, un luogo anch’esso carico di un forte valore simbolico per la protostoria mitica della regione: secondo la leggenda fu qui che gli Achei sarebbero sbarcati ed avrebbero innalzato le loro tende; l’ubicazione di un luogo di culto dell’eroe non risulta quindi essere casuale. Il Geografo di Amasea menziona inoltre la presenza nei dintorni dei mnemata di Patroclo e di Antiloco; eroi tutti oggetto di culto insieme ad Aiace da parte degli abitanti di Ilio; questi non tributavano però onori ad Eracle, in quanto responsabile della distruzione della loro città. L’ubicazione di tale monumento in questo territorio viene peraltro confermata da diverse fonti letterarie755, che considerano il sepolcro quale parte integrante del paesaggio; del resto già nell’Odissea, quando si descrive la cerimonia funebre per Patroclo, si accenna alla magnificenza del tumulo eretto in suo onore, un monumento destinato a durare al tempo, che i naviganti potevano vedere da lontano (Od. XXIV, 80–84). Questo luogo venne poi visitato da Alessandro, che celebrò un sacrificio in onore dell’eroe, mentre simbolicamente Parmenione, il suo compagno, avrebbe pregato presso la tomba di Patroclo. Interessante è infine la testimonianza di Filostrato (Her. 51, 12), il quale narra che i Tessali si recavano annualmente in questa località per tributare onori ad Achille: questa forma di pellegrinaggio si connette certamente all’erezione di un tempio, al quale accenna Strabone, verosimilmente non distante dalla tomba. Dall’insieme delle fonti si ricostruisce un paesaggio sacro di tombe di eroi achei, presso le quali venivano celebrati dei culti; a tale costruzione si conforma anche la toponomastica locale: va infatti ricordata l’esistenza di un centro chiamato Achilleion, la cui prima menzione si ritrova per altro presso Erodoto (V, 94), in relazione ad una battaglia svoltasi in questa località che vide opposti i Mitilinesi agli Ateniesi, nel corso della cosiddetta guerra del Sigeo. Strabone (XIII, 1, 39) definisce κατοικία μικρά questo centro. Anche in questo caso toponomastica locale, vestigia archeologiche e tradizioni locali si connettono nella creazione di una serie di luoghi della memoria, mediante i quali le genti di questa regione costruiscono la loro identità culturale ed il loro passato. Va peraltro fatto notare che i culti eroici, ai quali le fonti letterarie prima considerate accennano, si riferiscono a degli eroi achei, caduti nel tentativo di conquistare la città di Priamo. Ciò può in effetti apparire contraddittorio an754

Sulla localizzazione di questo monumento con una panoramica sulle fonti e sulle ricerche archeologiche Hertel 2003, 161; Leaf 1923, 165. 165; Erskine 2001, 111; Nagy 2010, 147-189, il quale sulla base della testimonianza di Strabone (XIII, 1, 32, e 39; cfr. Nagy 2010, 177–189) ricostruisce la presenza di due monumenti sepolcrali relativi ad Achille, localizzabili rispettivamente al Sigeo e presso l’insediamento di Achilleion (p. 179): «The tomb of Achilles that Strabo locates ‘at Sigeion’ (13.1.31–32) is not to be confused with the tomb of Achilles that he locates at Akhilleion (13.1.39). This other tomb is situated on the promontory of the Bay of Beşike, some ten kilometres farther south along the Sigeion Ridge»; Zwingmann 2012, 60-62, che discute le fonti ed i dati topografici, senza tuttavia presuporre la presenza di due differenti monumenti sepolcrali. 755 Hdt. V, 94; Plut., Alex. 15,9; Arr., Anab. I, 12, 1; Plinius NH V, 125; Amm. Marc. XXII, 8, 4.

3. I MONUMENTI SEPOLCRALI

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che in relazione al fatto che, come Strabone aveva osservato, ad Eracle non veniva attribuito alcun onore cultuale in quanto distruttore di Ilio. Una possibile spiegazione sarebbe da ravvisare nella notorietà degli eroi qui sepolti, i cui monumenti funerari erano conosciuti e venivano visitati da persone provenienti da diverse parti del mondo greco-romano: sebbene in un contesto locale, proprio in virtù della notorietà delle tradizioni omeriche questi monumenti possedevano un’importanza extraregionale, che potrebbe spiegare il motivo per cui la popolazione del luogo si preoccupasse di queste antichità. Per Achille sono attestati nel mondo greco diversi luoghi di culto, specialmente nei territori coloniali, che dimostrano l’importanza di questo personaggio nell’immaginario collettivo greco756. Va inoltre aggiunto che proprio l’origine tessala di Achille avrebbe potuto costituire un ideale anello di collegamento per gli Eoli nel rivendicare e giustificare il possesso della Troade in epoca storica.

3c-6. La tomba di Paride Dopo aver descritto le coste della Troade sino al Promontorio del Sigeo, Strabone (XIII, 1, 33) sposta l’attenzione del lettore sulla chora interna, abbastanza montagnosa, che all’epoca della guerra di Troia si trovava sotto il dominio della dinastia dardanide. Il regno di Anchise si sarebbe esteso, infatti, secondo Demetrio di Scepsi, citato quale fonte nel testo straboniano, sino al centro di Kebrene. Proprio in questa località erano ubicati i sepolcri di Paride e di Oinone, la prima moglie del principe priamide, poi ripudiata a causa di Elena. Il verbo utilizzato dal Geografo di Amasea δείκνυσθαι, ci indica che in questo passo viene riferita una tradizione locale. Sempre di matrice locale appare essere un mito, tramandato in Omero (Il. XVI, 738) ed in un Lemma di Stefano di Bisanzio, secondo il quale il nome della chora Kebrenia sarebbe derivato da un omonimo Kebrenios, figlio di Priamo757. Il territorio di Kebrene si sarebbe esteso in epoca storica sino a Scepsi e lo Scamandro sarebbe servito da confine naturale tra i due centri, i quali sarebbero stati a lungo in contrasto tra loro per questioni territoriali. In seguito Antigono con un forzato sinecismo avrebbe trasferito gli abitanti delle due città ad Antigoneia, sua omonima neofondazione, che in seguito avrebbe preso il nome di Alexandreia. Tempo dopo col permesso di Lisimaco gli Scepsii avrebbero fatto ritorno nella loro vecchia città, ripopolandola. Quanto a Kebrene, questa viene ritenuta da Eforo (FGrHist 70, F 10) una fondazione di Cumani, che si sarebbero interessati a questo territorio a causa dei suoi 756

Sul culto di Achille con particolare riferimento alla zona del Ponto Eussino cfr. Hedreen 1991; Rusyeva 2003; da ultimo cfr. i diversi contributi in Hupe 2006. Per una ricostruzione della morfologia mitica di questo personaggio, a metà tra eroe e dio, rimando al fondamentale studio di Hommel 1980. 757 Steph. Byz. s. v. Κεβρηνία.

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

giacimenti di ferro758. È interessante notare ancora una volta la vitalità delle tradizioni omeriche, che si appoggiano non solo alle vestigia archeologiche, ma anche alla toponomastica locale: ciò è ancor più da sottolineare alla luce della successiva presenza di Eoli, interessati alle risorse minerarie della zona. Strabone (XIII, 1, 33), seguendo l’opinione di Demetrio di Scepsi (Fr. 22 Gaede), localizzava sull’Ida il comune sepolcro di Paride e di Oinone, la sposa da lui ripudiata per Elena. Questo sepolcro viene menzionato anche da Quinto Smirneo (X, 483–488), il quale narra che le ossa dei due sarebbero state raccolte in un cratere d’oro, sul quale sarebbe stato eretto il σῆμα sepolcrale759. Secondo Ditti Cretese760 il sepolcro di Paride si sarebbe invece trovato a Troia, dove sarebbe stato pianto da Elena. Ricordiamo infine le pretese di Parion nel voler localizzare nel proprio territorio il sepolcro dell’eroe. Secondo la tarda testimonianza di Atenagora (Leg. 26) esisteva tuttavia un altro centro nella Troade, di nome Parion, nella cui agora sarebbe stata ubicata la tomba di Paride, presso la quale si trovava una statua, cui venivano attribuiti poteri terapeutici e che avrebbe addirittura parlato, dando oracoli761. Questo monumento sarebbe divenuto un luogo di culto, dove venivano celebrate feste e sacrifici, nonché meta di pellegrinaggio per gli abitanti della Troade. In virtù dei suoi poteri terapeutici questo eroe, secondo le parole di Atenagora, sarebbe stato adorato come un epekoos theos762.Va peraltro rilevata l’esistenza di un’altra tradizione letteraria, attestata presso la Suda (s. v. Parion), che considerava il nome stesso della città quale derivato da Paride.

3c-7. Il sepolcro di Anchise Eustazio763 ubica il sepolcro di Anchise sull’Ida, dove questi verosimilmente sarebbe morto dopo la distruzione di Troia. Pausania (VIII, 12, 9) è a conoscenza di 758

Si tratta di una testimonianza storica che trova diretta conferma in un passo della pseudoerodotea Vita Homeri (c. 20): τὰ δὲ Κεβρήνια τοῦτον χρόνον κτίζειν οἱ Κυμαῖοι παρεσκευάζοντο πρὸς τῇ Ἴδῃ, καὶ γίνεται αὐτόθι σίδηρος. 759 Un cenno a questo monumento sepolcrale, senza la menzione di Oinone, si trova anche nel poemetto Etna (591–594): miramur Troiae cineres et flebile victis / Pergamon exstinctosque suo Phrygas Hectore: parvum / conspicimus magni tumulum ducis: hic et Achilles / impiger et victus magni iacet Hectoris ultor. Da un breve cenno di Orazio (Carm. III, 3, 40) sembra potersi desumere la tradizione che Paride sarebbe stato sepolto da solo. 760 XXXV: postera die Priamus Alexandrum in oppido sepelit, quem magno ululatu Helena prosecuta est, quoniam ab eo honorifice tractata sit. 761 Su questa testimonianza cfr. anche le osservazioni di Jones 1985, 40–45. 762 Su questa tradizione cfr. Weihnreich 1909, 140 sgg.; Pfister 1912, 286. 763 Schol. Hom. Il. XII, 98: ἐδείκνυτο δέ, φασι, τάφος Ἀγχίσου ἐν τῇ Ἴδῃ καὶ ἐτίμων αὐτὸς οἱ ποιμένες καὶ βουκόλοι κατὰ πᾶν φθινόπωρον τὸν τάφον αὐτοῦ στέφοντες. νεώτεροι δέ τινες ἐν Σικελίᾳ φασὶ τετελευτηκέναι αὐτόν.

4. GLI EDIFICI TEMPLARI E LE ANTICHITÀ TROIANE

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un monumento sepolcrale di Anchise in Arcadia, mentre Virgilio (Aen. V, 760) fa morire l’eroe in Sicilia764.

3c-8. Il sepolcro della sibilla Herophile a Crise Pausania765 localizza presso il tempio di Apollo Sminteo a Crise la tomba della sibilla Herophile, alla quale Ecabe si sarebbe rivolta quando, incinta di Paride, avrebbe sognato l’incendio di Troia. Il Periegeta riporta anche l’epigramma apposto sul sepolcro.

4. Gli edifici templari e le antichità troiane Come il testo della “Cronaca di Lindo” mostra, uno degli elementi che poteva contribuire a far accrescere il prestigio di un’istituzione templare era il possesso di artefatti appartenuti ad un eroe o ad una divinità766. Nel caso dell’epigrafe rodia abbiamo ad esempio un catalogo di oggetti, le cui iscrizioni di dedica fanno risalire questi artefatti a personaggi del mito. Queste antichità destavono l’interesse di storici ed eruditi nell’antichità, che spesso intraprendevano dei viaggi appositamente per vederle e, se possibile, studiarle. Sulla scia dello studio pionieristico di Friedrich Pfister, Andreas Hartmann ha pubblicato nel 2010 una monumentale monografia dedicata a questo tema. Da un punto di vista terminologico egli ha giustamente distinto tra “Reliquien” e “Relikt”, intendendo con il primo termine le reliquie degli eroi, fatte oggetto di venerazione e spesso traslate da un luogo all’altro, mentre col secondo gli artefatti, come ad esempio armi, tazze, etc., appartenuti a personaggi del mito e spesso esposti nei templi. Nicola Zwingmann è tornata nel 2012 su tale questione terminologica, rilevando in primo luogo come il termine reliquie sia troppo legato al culto dei santi per poter essere applicato allo studio di questo fenomeno: essa pertanto propone di usare il termine (neutro) 764

Cfr. Zwingmann 2012, 67, n. 215 con riferimenti bibliografici. Paus. (X, 12, 5–6): τὴν δὲ Ἡροφίλην οἱ ἐν τῇ Ἀλεξανδρείᾳ ταύτῃ νεωκόρον τε τοῦ Ἀπόλλωνος γενέσθαι τοῦ Σμινθέως καὶ ἐπὶ τῷ ὀνείρατι τῷ Ἑκάβης χρῆσαί φασιν αὐτὴν ἃ δὴ καὶ ἐπιτελεσθέντα ἴσμεν. αὕτη ἡ Σίβυλλα ᾤκησε μὲν τὸ πολὺ τοῦ βίου ἐν Σάμῳ, ἀφίκετο δὲ καὶ ἐς Κλάρον τὴν Κολοφωνίων καὶ ἐς Δῆλόν τε καὶ ἐς Δελφούς: ὁπότε δὲ ἀφίκοιτο, ἐπὶ ταύτης ἱσταμένη τῆς πέτρας ᾖδε. [6] τὸ μέντοι χρεὼν αὐτὴν ἐπέλαβεν ἐν τῇ Τρῳάδι, καί οἱ τὸ μνῆμα ἐν τῷ ἄλσει τοῦ Σμινθέως ἐστὶ καὶ ἐλεγεῖον ἐπὶ τῆς στήλης:“ἅδ᾽ ἐγὼ ἁ Φοίβοιο σαφηγορίς εἰμι Σίβυλλα τῷδ᾽ ὑπὸ λαϊνέῳ σάματι κευθομένα, / παρθένος αὐδάεσσα τὸ πρίν, νῦν δ᾽ αἰὲν ἄναυδος, / μοίρᾳ ὑπὸ στιβαρᾷ τάνδε λαχοῦσα πέδαν. / ἀλλὰ πέλας Νύμφαισι καὶ Ἑρμῇ τῷδ᾽ ὑπόκειμαι, / μοῖραν ἔχοισα κάτω τᾶς τότ᾽ ἀνακτορίας.” ὁ μὲν δὴ παρὰ τὸ μνῆμα ἕστηκεν Ἑρμῆς λίθου τετράγωνον σχῆμα: ἐξ ἀριστερᾶς δὲ ὕδωρ τε κατερχόμενον ἐς κρήνην καὶ τῶν Νυμφῶν ἐστι τὰ ἀγάλματα. 766 Sul ruolo dei templi come musei, nei quali venivano custoditi artefatti del passato mitico, cfr. Arafat 1990; Scheer 1996; Shaya 2005; Hartmann 2010, 107–119. 765

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

“Antiquaria” per denominare questi oggetti. Riprendendo le considerazioni della Zwingmann, ho anch’io preferito utilizzare il termine generico di “antichità” in riferimento a tali artefatti del passato eroico.

4a. Il tempio di Atena e le antichità di Troia Molte delle antichità di Ilio si trovavano esposte nel tempio di Atena, che doveva rappresentare la meta privilegiata di un turismo di tipo intellettuale. La costruzione di questo edificio767 viene datata dagli archeologi all’età geometrica (in ogni caso non prima dell’VIII sec. a.C.). In questo santuario doveva essere esposta anche una statua di culto, verosimilmente uno xoanon, raffigurante la divinità seduta secondo i canoni iconografici dell’epoca. I dati archeologici mostrano che il tempio fu oggetto di una radicale ristrutturazione nella prima età ellenistica. Il promotore di questa iniziativa fu Lisimaco, che, come attesta Strabone (XIII, 1, 20. 26), volle probabilmente adempiere ad una promessa fatta da Alessandro. L’edificio dovette essere adornato con circa 64 metope, raffiguranti sul lato Est una gigantomachia, sul lato Nord una Iliupersis e sugli altri lati scene di combattimento tra Greci/Macedoni e Persiani/Asiatici. I dati archeologici non ci permettono con sicurezza di sapere con quali sculture fossero adornati i frontoni. La struttura doveva inoltre essere circondata da una struttura porticata, i cui resti sono stati in parte rinvenuti. Tra i mirabilia presenti al suo interno va in primo luogo ricordato il palladio, che non sarebbe stato un’opera di età ellenistica, bensì una scultura di epoca arcaica, miracolosamente sopravvissuta alla distruzione della città ad opera di Fimbria nell’anno 85 a.C. Possediamo inoltre raffigurazioni di questa statua in emissioni monetali di epoca augustea ed antonina768, che la rappresentano con una lancia nella mano destra ed un fuso nella mano sinistra. Gli abitanti della città identificavano questo simulacro con quello omerico, sebbene questa iconografia, che Apollodoro (III, 12, 5), come ricordato nel primo capitolo, attribuiva al palladio, corrisponda a quella di una Atena ergane. Nel tempio di Atena ad Ilio si trovavano anche esposte delle armi antiche, che stando all’espressione ἱεροὶ ὅπλοι che troviamo in Arriano, dovevano possedere un valore sacro769. Alessandro, nel corso della sua visita ad Ilio, portò via questi 767

Per un’analisi approfondita dei dati archeologici rimando ai documentati lavori di Hertel 2003, 94–134; id. 2004, che ricostruisce la storia di questo complesso architettonico, rispondendo alle critiche di Rose 2003. Precisazioni sulla decorazione architettonica di questo edificio in Aylward 2005. 768 Cfr. RPC I, 2307 (epoca augustea – la dea è armata di lancia e tiene sulla sinistra un fuso); RPC I, 38 (epoca dei Gordiani – la dea è armata di lancia e tiene sulla sinistra un fuso). 769 Diod. XVII, 18, 1: ὁ δ᾽ Ἀλέξανδρος ἀποδεξάμενος τὴν τοῦ μάντεως πρόρρησιν τῇ μὲν Ἀθηνᾷ λαμπρὰν ἐπετέλεσε θυσίαν καὶ τὸ μὲν ἴδιον ὅπλον ἀνέθηκε τῇ θεῷ, τῶν δ᾽ ἐν τῷ νεῷ κειμένων ὅπλων τὸ κράτιστον ἀναλαβὼν καὶ τούτῳ καθοπλισθεὶς ἐχρήσατο κατὰ τὴν πρώτην μάχην, ἣν διὰ τῆς ἰδίας ἀνδραγαθίας κρίνας περιβόητον ἔσχε τὴν νίκην. ἀλλὰ ταῦτα μὲν ὕστερον ἡμέραις ὀλίγαις

4. GLI EDIFICI TEMPLARI E LE ANTICHITÀ TROIANE

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artefatti, per poi usarli in battaglia, sostituendoli con le sue armi770 ed arricchendo il tempio con ricchi doni771. Nel “Romanzo di Alessandro” dello Ps.-Callistene (1, 42, 6) si narra della delusione di Alessandro nel vedere lo scudo di Aiace, anch’esso esposto probabilmente nel tempio di Atena. Nello stesso edificio sarebbe stata custodita anche la lira appartenuta a Paride, secondo un aneddoto tramandato da Eliano772, che tuttavia il Macedone non volle vedere, in quanto il Troiano avrebbe usato lo strumento per conquistare le donne e non per cantare gesta eroiche: egli avrebbe infatti preferito vedere la lira appartenuta ad Achille, che aveva celebrato le imprese di uomini valorosi773. A prescindere dalla loro veridicità storica, questi aneddoti mostrano il carattere museale di questo edificio sacro, nel quale era custodito un gran numero di artefatti di età eroica. Il fatto che il tempio venisse aperto a Giuliano (Ep. 19), quando l’imperatore visitò la città, potrebbe forse essere indizio del fatto che proprio a causa della presenza di queste antichità il tempio non fosse sempre accessibile al pubblico.

4b. Antichità varie Stando ad una notizia tramandata da Ampelio774, in un luogo non ben precisato di Ilio sarebbe ancora esistita una pietra, nella quale Cassandra sarebbe stata incaἐπράχθη; XVII, 21, 2: ὁ δὲ καίπερ πολλοῖς καὶ μεγάλοις κινδύνοις συνεχόμενος ὅμως οὐκ ἐνικᾶτο τοῖς πλήθεσι τῶν πολεμίων, ἀλλὰ δύο μὲν ἔχων εἰς τὸν θώρακα πληγάς, μίαν δὲ εἰς τὸ κράνος, τρεῖς δ᾽ εἰς τὸ καθαιρεθὲν ὅπλον ἐκ τοῦ νεὼ τῆς Ἀθηνᾶς ὅμως οὐκ ἐνεδίδου, ἀλλὰ τῷ παραστήματι τῆς ψυχῆς ἐπαιρόμενος παντὸς δεινοῦ κατεξανίστατο); Arriano (An. I, 11, 7): λέγουσι δὲ καὶ πρῶτον ἐκ τῆς νεὼς σὺν τοῖς ὅπλοις ἐκβῆναι αὐτὸν ἐς τὴν γῆν τὴν Ἀσίαν καὶ βωμοὺς ἱδρύσασθαι ὅθεν τε ἐστάλη ἐκ τῆς Εὐρώπης καὶ ὅπου ἐξέβη τῆς Ἀσίας Διὸς ἀποβατηρίου καὶ Ἀθηνᾶς καὶ Ἡρακλέους. ἀνελθόντα δὲ ἐς Ἴλιον τῇ τε Ἀθηνᾷ θῦσαι τῇ Ἰλιάδι, καὶ τὴν πανοπλίαν τὴν αὑτοῦ ἀναθεῖναι ἐς τὸν νεών, καὶ καθελεῖν ἀντὶ ταύτης τῶν ἱερῶν τινα ὅπλων ἔτι ἐκ τοῦ Τρωικοῦ ἔργου σωζόμενα; VI, 9, 3; VI, 10, 2, dove si parla di una ἀσπὶς ἱερὰ). 770 Arriano (An. I, 11, 7) parla di πανόπλια, in tal caso si potrebbe supporre che il Macedone avesse consacrato il suo intero armamento: scudo, spada, lancia, elmo, cimieri etc. Diodoro (XVII, 18, 1) si limita ad usare il termine neutro di ὅπλον. 771 Cfr. Strabone (XIII, 1, 26), che il quale afferma che dopo la battaglia del Granico Alessandro avrebbe ἀναθήμασί τε κοσμῆσαι τὸ ἱερὸν. Stranamente il Geografo di Amasea non accenna all’aneddoto delle armi di Achille. 772 Hist. Varia IX, 38: ὁ μὲν Ἀλέξανδρος ἐς τὴν Ἴλιον ἦλθεν. ἀνασκοποῦντι δὲ αὐτῷ φιλοπόνως τῶν τις Τρώων προσελθὼν τὴν λύραν ἐδείκνυεν Ἀλεξάνδρου. ὃ δὲ ἔφη ῾προτιμησαίμην ἂν μᾶλλον ἰδεῖν τὴν Ἀχιλλέως.᾿ ὑπέρευγε τοῦτο Ἀλέξανδρος: ἐπόθει γὰρ κτῆμα ἀγαθοῦ στρατιώτου, ᾧ συνῇδεν ἐκεῖνος τὰ τῶν ἀγαθῶν ἀνδρῶν κλέα. τοῦ δὲ Πάριδος τί ἄρα ᾖσεν ἡ λύρα, εἰ μὴ μέλη μοιχικὰ καὶ οἷα αἱρεῖν γυναῖκας καὶ θέλγειν; […] 773 Plut. (Alex. 15, 4): […] εἰ βούλεται τὴν Ἀλεξάνδρου λύραν ἰδεῖν, ἐλάχιστα φροντίζειν ἐκείνης ἔφη, τὴν δὲ Ἀχιλλέως ζητεῖν, ᾗ τὰ κλέα καὶ τὰς πράξεις ὕμνει τῶν ἀγαθῶν ἀνδρῶν ἐκεῖνος. 774 8, 11: Ilio lapis est quadratus, ubi Cassandra fuit alligata; quem si ante [tangas id est aut] fricueris, lac demittit; ex altera autem parte similiter si frices, [ac si] sanguinem demittit. Iuxta autem mare locus qui Rhoeteon vocatur; ibi est Achillis et Patrocli tumulus et flumen Scamandrus.

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

tenata; se sfregata questa pietra avrebbe trasudato da una parte sangue e dall’altra latte. Ampelio usa l’espressione lapis quadratus, che potrebbe far presumere che si fosse trattato di un artefatto lavorato. Eustazio775 narra che sempre in un luogo non ben precisato di Ilio le guide locali avrebbero mostrato i μύδροι (le sbarre di ferro), con le quali Zeus avrebbe incatenato Era in cielo e che sarebbero poi qui cadute, dopo che la dea fu liberata. Il commentatore di Omero parla di periegetai che avrebbero mostrato agli interessati questi artefatti; anche Eliano usa inoltre un’espressione simile (τις Τρώων προσελθὼν τὴν λύραν ἐδείκνυεν Ἀλεξάνδρου) narrando della visita di Alessandro, la quale lascia ugualmente intendere la presenza di guide locali, che accompagnavano i visitatori a visitare tali mirabilia, raccontando probabilmente le tradizioni locali ad essi legate. Infine va ricordata la menzione della pietra, sulla quale gli Achei avrebbero giocato a tirare i dadi, un gioco che Palamede avrebbe inventato per tirare su il morale degli Achei, che soffrivano la fame. Lo storico ellenistico Polemone avrebbe visto questa pietra in un luogo non ben specificato di Ilio, che ugualmente doveva essere mostrata dalle guide locali776. In questo caso non sembra trattarsi di un artefatto, ma semplicemente di una pietra, probabilmente piatta, che dovette essere stata interpretata come il piano usato per il gioco. Nicola Zwingmann ritiene che più verosimilmente questa pietra si sarebbe trovata non in città ma nel luogo in cui la tradizione localizzava il campo acheo777.

4c. Il culto di Zeus herkeios Omero menziona l’altare di Zeus herkeios778, il quale sarebbe stato situato all’interno del palazzo di Priamo e presso il quale in maniera sacrilega Priamo sarebbe stato ucciso da Neottolemo. Gli scavi archeologici non hanno portato alla luce alcuna struttura riferibile a questo monumento (né tantomeno un palazzo). Arriano tuttavia racconta che Alessandro il Macedone avrebbe celebrato un sacrificio nel 334 a.C. su di un altare di Zeus herkeios779; Lucano (IX, 977–979) narra che l’altare sarebbe stato distrutto nell’85 a.C., per poi essere riedificato così come il tempio di Atena. Va inoltre citata l’attestazione epigrafica di un culto dedicato a questa divinità in età imperiale780; in questo testo compare l’epiteto cultuale 775

Schol. Hom. Il. XV, 19, p. 1003: καὶ δείκνυταί, φασι, ὑπὸ τῶν περιηγητῶν οἱ τοιοῦτοι μύδροι, οὓς ἀνωτέρω ἄκμονας εἶπεν. 776 Polemone (FHG III, F 32 = Eust. Ad Iliadem II, 308): ἐπεὶ τοἳ καὶ Παλαμήδους ἐπινοησαμένου κυβείαν καὶ πεττείαν ἐν Ἰλίῳ εἰς παραμύθιον λιμοῦ κατασχόντος τὴν στρατίαν λίθος ἐκεῖ έδείκνυτο, καθὰ Πολέμων ἱστορεῖ. 777 Cfr. Zwingmann 2012, 53. 778 Hom. (Il. XXII, 172; XXIV, 306); su questo monumento cfr. Hertel 2003, 154–155; Zwingmann 2012, 54–56. 779 Cfr. Arriano (An. I, 2, 8): θῦσαι δὲ αὐτὸν καὶ Πριάμῳ ἐπὶ τοῦ βωμοῦ τοῦ Διὸς Ἑρκείου λόγος κατέχει, μῆνιν Πριάμου παραιτούμενον τῷ Νεοπτολέμου γένει, ὅ δὴ εἰς αὐτὸν καθῆκεν. 780 Cfr. I.Ilion 144: Ἡ κρατίστη βου ‖ λὴ ὑπὲρ τοῦ κοι ‖ νοῦ Ἑρκείῳ Διὶ ‖ προπάτορι.

4. GLI EDIFICI TEMPLARI E LE ANTICHITÀ TROIANE

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propator attribuito alla divinità, il quale sottolinea il legame del dio con la città, nonchè l’antichità del suo culto. La presenza di un culto di Zeus herkeios, che dovette attirare l’attenzione del Macedone, andrebbe connessa alla costruzione di una memoria culturale, composta da miti e da luoghi del mito, sapientemente condotta dagli abitanti di Ilio, in relazione alla quale, come visto precedentemente, Strabone mostra un ostentato scetticismo (XIII, 1, 40; 52–53).

4d. Il tempio di Apollo Nell’Iliade (V, 445. 512; VII, 81–83) viene menzionato anche un tempio di Apollo, dotato di un adyton. Nelle fonti letterarie più tarde non si trova alcun cenno sulla continuità di questo culto ad Ilio. Un’iscrizione di dedica dell’epoca di Seleuco I (oppure II) contiene tuttavia un accenno al dio781, che ha fatto pensare alla presenza di un tempio dedicato alla divinità nella città782, del quale non è stata documentata però alcuna struttura. Se tuttavia ricerche future portassero alla luce testimonianze materiali di un tale culto, questo confermerebbe il modo in cui anche in campo cultuale gli Iliensi si fossero orientati verso Omero.

4e. Il culto di Enea Sulla base di una statua raffigurante Enea si legge la seguente iscrizione: (I.vIlion 143) Ἰλιεῖς τὸ[ν ‖ πάτριον θε[ὸν] ‖ Αἰνείαν. Questa testimonianza ha permesso di ricostruire ad Ilio la presenza di un culto di Enea, il cui legame con la città viene per altro sottolineato tramite l’uso dell’epiteto cultuale patrios. Tale istituzione cultuale si connetteva ad un nucleo di tradizioni, analizzate nelle pagine precedenti, nelle quali si narrava che una parte dei Dardanidi sotto la guida di Ascanio fossero rimasti nella Troade a ripopolare la regione, mentre il resto dei superstiti sarebbe partito con Enea alla volta dell’Occidente. Proprio in virtù di tale continuità Enea riceveva ad Ilio un culto. Va inoltre rilevata la presenza della sua effigie sulle monete della città783.

4f. Il culto di Ettore Filostrato (Her. 19, 3-4) riferisce della presenza di una statua di culto di Ettore ad Ilio784, la quale in occasione degli agoni festeggiati in suo onore avrebbe trasudato sudore. Il fatto inoltre che l’effigie dell’eroe venisse raffigurata sulle monete785 del781

Cfr. I.Ilion 31, 13–15: [ἐν ἧι δ’ἡμέραι ἡ θυσία συν]τελεῖται τοῦ ‖ [γένους αὐτοῦ Ἀπόλλωνος πομπ]εύειν μὲν τὰ δώδεκα ‖ φύλας. In cui tuttavia appare chiaro che si tratta del culto dell’archegetes del genos regale. 782 Cfr. Erskine 2001, 103; Hertel 2003, 155. 783 Cfr. Lindner 1994, 28. 784 Erskine 2001, 103; Hertel 2003, 155–156; Zwingmann 2012, 56–59. 785 Cfr. Lindner 1994, 28.

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

la città solo a partire da regno di Adriano, fa supporre che l’istituzione di questo culto sia da datare al II sec. d.C. Probabilmente esso doveva trovarsi in concorrenza con quello dell’eroe ad Ofrinio, in cui, come visto precedentemente, erano localizzati il suo sepolcro ed un santuario a lui dedicato. Va infine ricordata la tarda testimonianza di Giuliano (Ep. 19), in cui viene menzionato un piccolo Heroon di Ettore in città786. Luciano accenna al culto dell’eroe (De conc. deorum 12) con la generica espressione θυοῦσιν, quando parla del fiorire dei culti eroici alla sua epoca, che facevano concorrenza a quelli delle divinità tradizionali. Le ricerche archeologiche non hanno sinora condotto alla scoperta dei resti di alcun edificio che possa essere identificato con il suddetto luogo di culto. Secondo la testimonianza dello scoliasta di età augustea Aristonico, la casa di Ettore sarebbe stata la sede dell’attuale prytaneion di Ilio787, che in tal modo poteva ancora una volta sottolineare l’antichità della città e le sue nobili origini. L’esatta ubicazione di questo edificio non è stata tuttavia ancora individuata788. La descrizione filostratea del simulacro presenta diversi elementi che meritano una discussione più approfondita. L’eroe, al contrario di quanto si legge nell’Iliade, è calvo; la statua, che si sarebbe trovata in un heroon, avrebbe trasudato sudore e sarebbe stata eretta davanti ad un simulacro di Achille. Questi elementi trovano conferma nelle fonti più tarde. Sinesio (De calv. 19) afferma ad esempio che ogni Iliense avrebbe subito mostrato ad un visitatore della città il tempio di Ettore, dove si trovava questa celebre statua, raffigurante l’eroe senza capelli. In questa testimonianza merita attenzione l’espressione εὐθὺς εἰσιόντι πᾶς Ἰλιεὺς ἡγεῖται τὴν ἐπὶ τὸν νεὼν τὸν Ἑκτόρειον, che attesta ancora una volta la presenza di un turismo intellettuale, interessato a visitare i luoghi dell’Iliade, così come la menzione di un tempio dedicato all’eroe. Stando ad un’indicazione topografica contenuta in un epigramma di Luxurius (Anth. Lat. 376), le statue di Ettore e di Achille si sarebbero trovate al centro della città (Ilion in medium). Questo testo poetico conferma la calvizie del simulacro, che avrebbe sudato realmente (Priamidis statuam sed verum sudor inundat) così come la sua posizione di fronte ad Achille. Entrambe le statue sarebbero state di marmo ed il sudore sarebbe stato dovuto all’emozione di Ettore di trovarsi di fronte all’immagine del suo uccisore. Diversa era invece la spiegazione fornita da Filostrato (Her. 19, 3–4), secondo il quale la statua avrebbe sudato a causa della voglia di voler prendere parte agli agoni celebrati in onore dell’eroe. Durante la sua visita ad Ilio, accompagnato da una guida locale, l’imperatore Giuliano (Ep. 19) visitò il tempietto in onore di Ettore. Il fatto che si tratti del primo monumento visitato potrebbe forse essere un’indicazione del fatto che questo edificio occupava in effetti una posizione centrale nel tessuto urbano di Ilio. Giuliano afferma che la statua di Ettore, posta in uno stretto naiskos, era di 786

Ep. 19: Ἡρῷόν ἐστιν Ἕκτορος, ὅπου χαλκοῦς ἕστηκεν ἀνδριὰς ἐν ναΐσκῳ βραχεῖ. Cfr. Hom. Schol. Il. VI, 317b. 788 Cfr. Hertel 2003, 160, il quale suppone che questo edificio sia stato eretto tramite l’utilizzo di antichi materiali delle mura, che dovevano conferirgli un aspetto vetusto.

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4. GLI EDIFICI TEMPLARI E LE ANTICHITÀ TROIANE

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bronzo, era ubicata nel cortile interno del tempio e che davanti ad essa si trovava un simulacro di Achille789. Nel complesso le testimonianze letterarie permettono di accertare la presenza di un tempio dedicato al figlio di Priamo, ubicato verosimilmente al centro della città (forse nell’agorà). Questo tempio aveva un cortile interno, in cui in un’edicola era esposta la statua di culto dell’eroe alla quale era attribuita la capacità di sudare. Essa, probabilmente di marmo (e non di bronzo), raffigurava Ettore calvo. In età imperiale, per volere di Caracalla, nel cortile fu eretta una statua di Achille, provocatoriamente posta davanti a quella di Ettore. In onore di Ettore avrebbe, inoltre, avuto luogo un agone e sarebbero stati celebrati sacrifici.

4g. Achille Stando alla testimonianza di Giuliano (Ep. 19), nel cortile interno del tempio di Ettore si trovava una grossa statua di Achille, che sembrava occupare prepotentemente tutto lo spazio. Molto probabilmente si tratta della statua fatta erigere dall’imperatore Caracalla790 in occasione della sua visita in città. Il motivo della sua mole (così come della sua insolita posizione davanti ad Ettore) risiedeva nel fatto che in tal modo si intendeva sottolineare la grandezza e la superiorità dell’eroe rispetto al Priaminide. Queste testimonianze, pur non permettendoci di stabilire se l’eroe ricevesse ad Ilio un culto eroico791, attestano la presenza di una sorta di imitatio Achilli da parte di quell’imperatore. Erodiano narra che, dopo aver visitato il santuario di Asclepio a Pergamo, Caracalla sarebbe giunto nella Troade, dove avrebbe voluto subito visitare il monumento sepolcrale di Achille, ornandolo con corone e con fiori, in quanto egli nutriva una grande ammirazione per questo eroe (così come per Alessandro792). Durante il suo soggiorno ad Ilio, accadde che uno dei suoi più fidati liberti di nome Festo morì nel sonno a causa di una brutta malattia che gli avrebbe divorato il corpo o, secondo la versione 789

Ep. 19: […] ἀπὸ τῆς Τρῳάδος ὄρθρου βαθέος διαναστὰς ἦλθον εἰς τὸ Ἴλιον περὶ πλήθουσαν ἀγοράν. ὁ δὲ ὑπήντησέ μοι καὶ βουλομένῳ τὴν πόλιν ἱστορεῖν – ἦν γάρ μοι τοῦτο πρόσχημα τοῦ φοιτᾶν εἰς τὰ ἱερά – περιηγητής τε ἐγένετο καὶ ἐξενάγησέ με πανταχοῦ. ἄκουε τοίνυν ἔργα καὶ λόγους, ἀφ̓ ὧν ἄν τις εἰκάσειεν οὐκ ἀγνώμονα τὰ πρὸς τοὺς θεοὺς αὐτόν. Ἡρῷόν ἐστιν Ἕκτορος, ὅπου χαλκοῦς ἕστηκεν ἀνδριὰς ἐν ναΐσκῳ βραχεῖ. τούτῳ τὸν μέγαν ἀντέστησαν Ἀχιλλέα κατὰ τὸ ὕπαιθρον. 790 Cfr. Cassio Dione (LXXVIII, 16, 7: ὅτι ἐς τὴν Θρᾴκην ἀφίκετο ὁ Ἀντωνῖνος μηδὲν ἔτι τῆς Δακίας φροντίσας, καὶ τὸν Ἑλλήσποντον οὐκ ἀκινδύνως διαβαλὼν τόν τε Ἀχιλλέα καὶ ἐναγίσμασι καὶ περιδρομαῖς ἐνοπλίοις καὶ ἑαυτοῦ καὶ τῶν στρατιωτῶν ἐτίμησε, καὶ ἐπὶ τούτῳ ἐκείνοις τε, ὡς καὶ μέγα τι κατωρθωκόσι καὶ τὸ Ἴλιον ὡς ἀληθῶς αὐτὸ τὸ ἀρχαῖον ᾑρηκόσι, χρήματα ἔδωκε, καὶ αὐτὸν τὸν Ἀχιλλέα χαλκοῦν ἔστησεν); Herodianus (IV, 8, 4–5). Su questo episodio cfr. le osservazioni di Halfmann 1986, 224–227. 791 Cfr. Erskine 2001, 253; Hertel 2003, 156. 792 Erodiano (IV, 9, 3) accenna alla sua smisurata ammirazione per Alessandro, che lo spinse, lasciata Ilio e dopo una sosta ad Antiochia, a recarsi ad Alessandria per celebrare opulenti i sacrifici presso la tomba del Macedone.

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di altri, per effetto di un veleno appositamente somministratogli. Caracalla fece costruire una monumentale pira funeraria e celebrare una cerimonia funebre di tipo omerico in onore del suo liberto, facendo sacrificare animali di ogni genere ed elevando una preghiera ai venti. In seguito avrebbe fatto erigere statue raffiguranti Silla ed Annibale, gli strateghi che più ammirava. Cassio Dione accenna brevemente agli onori tributati ad Achille, presso il suo sepolcro, aggiungendo che Caracalla avrebbe fatto erigere una statua di bronzo dell’eroe ad Ilio. Lo storico tace la sua ubicazione, che verosimilmente doveva essere presso il tempio di Ettore. Questa notizia potrebbe inoltre farci supporre che la statua in bronzo menzionata da Giuliano in realtà non fosse quella di Ettore ma quella di Achille. Queste due testimonianze attestano l’importanza del culto di Achille nella regione, così come l’ammirazione che in epoca imperiale ancora si provava per questo eroe omerico, ammirazione che poteva spingere ad intraprendere un viaggio nella Troade.

4h. Ganimede Al II sec. d.C. viene anche datata l’introduzione del culto di Ganimede, al quale venne dedicato un tempio, situato davanti a quello di Atena793. A partire da questo periodo si datano inoltre le prime raffigurazioni di Ganimede sulle monete della città794. Esistevano tuttavia alcune varianti mitiche, che localizzavano il luogo del rapimento del giovinetto non più nella Troade, ma a Creta e in Eubea. Lo storico cretese Dosiade (FGrHist 458, F 5) sosteneva ad esempio che l’adolescente era stato rapito da Minosse presso una spiaggia, che da questo avvenimento avrebbe poi tratto il nome di Arpagias, una località che Dosiade localizzava verosimilmente a Creta. La stessa variante mitica si trovava nell’opera di Echemene, autore di Kretika (FGrHist 459, F 1 = Athen. XIII, 77), il quale affermava che sarebbe stato Minosse e non Zeus ad aver rapito il giovane; con questa versione egli sembra voler contrastare la leggenda dei Calcidesi, secondo la quale il rapimento di Ganimede sarebbe avvenuto per opera di Zeus in Eubea, in un luogo chiamato Ἁρπάγιον. Del resto, come Strabone ricorda, anche nella stessa Troade esistevano tradizioni contrastanti, che sulla base del toponimo Ἁρπάγια localizzavano questo mito in Dardania o sulla costa. Tutte queste varianti si riconducono alla creazione (e manipolazione) di un paesaggio sacro in cui attraverso una sapiente denominazione dei luoghi viene creato uno scenario, in cui poter trasferire e localizzare miti (spesso in concorrenza con altri centri cittadini), creando così una memoria culturale. 793

Un accenno al suo culto è da leggersi in Quinto Smirneo (XIV, 325). Sull’argomento cfr. Hertel 2003, 157. 794 Lindner 1994, 67.

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4i. Il palazzo di Priamo Del palazzo di Priamo non abbiamo alcun cenno nella letteratura post omerica: esso sembra essere stato definitivamente distrutto dagli Achei al momento della conquista della città. Lucano795 menziona “le case di Assaraco”, che alla sua epoca si sarebbero tuttavia trovate in rovina, ricoperte da cespugli ed erbacce. Resta comunque incerto se il poeta si riferisca ad un monumento antico esistente in rovina, o se si tratti semplicemente di un’invenzione letteraria.

4j. Le mura di Troia La parte alta del sito di Troia era circondata da una cinta muraria796 per un perimetro di 550 m, che si è in parte ben conservata sul lato Nord-Est, dove si ergeva anche un bastione della lunghezza di 20 m. ed alto 13 m. Questa cinta muraria venne costruitata nel corso dei secoli, per la maggior parte durante la fase VI (1570–1420 a.C.); danneggiata probabilmente a seguito di un evento sismico verso il 1300 a.C., fu poi restaurata nella fase VII. Alla fine di quest’ultima fase, verso il 1190 a.C., le mura subirono nuovi danni. Nella fase VIII questa cinta muraria era ancora funzionante, conferendo al centro l’aspetto di una rocca fortificata, e dovette apparire ai Greci come molto antica. Dieter Hertel797 fa notare come queste mura per grandezza ed altezza non dovevano avere pari nel continente greco. Questo dato archeologico permette anche di comprendere il motivo per cui secondo la tradizione omerica queste mura sarebbero state erette da Poseidone su invito di Laomedonte. Presumibilmente questa cinta muraria venne restaurata in epoca ellenistica e (sicuramente) in epoca augustea a seguito dei danni arreccati alla città nell’85 a.C. dalle truppe di Fimbria. Anche questo monumento, sebbene esso non venga menzionato nelle fonti, se si prescinde da un rapido cenno presso Lucano (IX, 965: magna … vestigia muri), dovette costituire una delle attrazioni di Troia, non da ultimo a causa del suo vetusto aspetto.

4k. Il tempio di Apollo Sminteo Anche edifici templari con le relative istituzioni religiose, connessi a dei miti, possono fungere da luoghi della memoria ai fini della costruzione di un paesaggio mitico. Un ottimo esempio è dato dal santuario di Apollo Smintheus, una delle divinità più importanti della Troade798, situato nel territorio della città di Crise la cui fondazione, stando alla dettagliata descrizione straboniana (XIII, 1, 48), veniva fatta risalire ad un gruppo di Teucri, provenienti da Creta, i quali su responso 795

IX, 966–967: Assaraci pressere domos, et templa deorum / iam lassa radice tenent: ac tota teguntur. 796 Sugli aspetti archeologici rimando all’approfondita sintesi in Hertel 2003, 43–93. 797 Cfr. Hertel 2003, 63. 798 Su questo luogo di culto cfr. Leaf 1923, 243, con una panoramica delle fonti letterarie.

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CAPITOLO VI. LA TROADE ED I SUOI MONUMENTI

oracolare si sarebbero dovuti insediare nella località in cui fossero stati attaccati dai nativi del luogo (gegeneis); ciò sarebbe avvenuto presso Ἁμαξιτόν, quando durante la notte una moltidudine di topi avrebbe roso il cuoio delle loro armi e del loro equipaggiamento, costringendo in questo modo i coloni cretesi a restare. Questa tradizione, già presa dettagliatamente in considerazione nella sezione relativa alle tradizioni mitiche della Troade, con tutte le sue varianti, sottolinea l’importanza di questo santuario, quale luogo della memoria culturale, in cui i Greci della Troade vedevano il posto in cui i loro lontani antenati cretesi erano sbarcati, fondando un’importante istituzione religiosa; va per altro ricordato che proprio ai Teucri cretesi veniva ricondotta l’origine dell’oronimo Ida. Ai tempi del Geografo di Amasea questo tempio era ancora molto frequentato, di particolare valore era inoltre una statua della divinità, opera di Scopa di Paro. Il culto di Apollo Sminteo, oltre che nella Troade, era attestato anche a Rodi, dove nella città di Lindo, secondo quanto riporta Strabone (XIII, 1, 48) si celebravano annualmente degli smyntheia. Riguardo alla fondazione di questo culto esisteva anche un’altra tradizione, probabilmente di matrice locale, riportata dallo scoliasta all’Iliade (Schol. I, 39) e riferita allo storico Polemone, secondo la quale Apollo, adirato con gli abitanti della città di Crise, avrebbe inviato un’orda di topi, che avrebbero divorato i raccolti; in seguito il dio stesso avrebbe allontanato questa piaga, ottenendo in cambio l’istituzione di un nuovo santuario, in cui il dio sarebbe stato adorato con l’appellativo di Smintheus, epiteto derivato dalla parola sminthos, con la quale gli abitanti del luogo indicavano i topi. Il santuario sarebbe stato inoltre sede di un oracolo, consultato da Priamo in diverse occasioni. Presso il promontorio di Lekton, non lontano da questo santuario, si sarebbe trovato un altare, che secondo le tradizioni locali sarebbe stato eretto da Agamennone in onore dei Dodici Dei.

5.

Conclusioni

La Troade era una regione, per dirla con le parole di Lucano (IX, 973), in cui nullum est sine nomine saxum. Le tradizioni mitiche si proponevano per l’appunto di dare dei nomina a quei saxa, che sin dall’età arcaica dovettero impressionare non poco i coloni greci, i quali tentarono di attribuire ad essi una storia, un passato mitico, mediante i quale creare un’identità anche per se stessi. Le mura di Troia, ancora visibili nell’età arcaica, sarebbero quindi state erette dai Ciclopi; i tumuli, che si ergevano nella pianura troiana, sarebbero stati in realtà i vetusti monumenti sepolcrali degli antichi eroi e sovrani, che avevano dimorato in questa regione. I monumenti creavano il passato ed erano funzionali al presente. Serse visita Troia ed offre una ricca ecatombe ad Atena, quasi promettendole di punire i sacrile-

5. CONCLUSIONI

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gi commessi dagli Achei nel suo tempio secoli prima799. Questo accadeva in un periodo in cui in ambito attico i Troiani venivano demonizzati e considerati, in quanto Frigi, alla stregua di barbari. Tale considerazione tuttavia non sminuiva il valore simbolico di Ilio, che prescindeva dalla sua reale grandezza o dalla sua vera importanza politica. Ugualmente in chiave simbolica deve essere considerata la visita di Alessandro alla città, una città greca da lui liberata dai barbari persiani, in cui le statue dei tiranni asiatici erano state abbattute. Strabone (XIII, 1, 40; 52–53) forse considerava Ilio con un atteggiamento troppo critico: per lui si trattava di un piccolo villaggio, assurto immeritatamente a un ruolo di primo piano. Il suo spirito critico non poteva accettare di vedere adorata come una dea omerica un’immagine che non corrispondeva alle descrizioni iliache, segno e prova tangibile della mendacia delle tradizioni locali. Armi omeriche, statue trasudanti ed antichi xoana mostrano tuttavia come la comunità iliense portasse avanti, forse anche in competizione con altri centri della regione, la costruzione del proprio passato, facendo parlare e dando un nome a quei saxa, senza i quali non esisterebbe gran parte della letteratura classica. Le numerose menzioni di guide locali, che mostrano agli imperatori i mirabilia locali, potrebbe farci presumere la presenza di una sorta di organizzazione quasi di tipo turistico, dal momento che molti di questi visitatori eccellenti contribuirono finanziariamente al restauro ed al decoro urbano della città.

799

Hdt. VII, 43, 1. Su questo passo rimando alle considerazioni di Pallantza 2005, 142–145.

Conclusioni

Le tradizioni culturali su Troia e la Troade ricostruivano la protostoria mitica dell’Egeo settentrionale e le sue fasi di popolamento come connesse all’arrivo dei Teucri e dei Dardani. I Teucri vengono considerati autoctoni o originari della Creta del periodo curetico e preminoico; essi sono inoltre i portatori del culto di Apollo Sminteo, una delle divinità più importanti della Troade di epoca storica, che trova diverse volte menzione in Omero. L’arrivo dei Dardani e del loro eponimo Dardano, per il quale il mito ha costruito un’origine arcadica, si connette alla fondazione di Troia (o di Dardano) nella Troade ed alla diffusione del culto della Madre degli Dei e dei Cabiri. Tutta la tradizione è univoca a far sostare l’eroe a Samotracia, dove avviene la sua iniziazione ai misteri cabirici, per poi andare in Troade dopo il matrimonio tra sua sorella Armonia e Cadmo. Qui egli viene accolto da Teucro, re dei Teucri, che gli concede in sposa sua figlia, rendendogli in questo modo possibile l’accesso alla regalità. La mistione tra Teucri e Dardani sembra rappresentare il ricordo, filtrato attraverso il mito, della situazione storica della Troade sul finire del Tardo Bronzo, quando la regione venne raggiunta da un’ondata migratoria di genti provenienti dai Balcani, portatori di una cultura materiale molto povera, che nel giro di tre generazioni finiscono per integrarsi nel contesto locale anatolico, assimilando la cultura locale. L’origine autoctona dei Teucri e quella balcanica dei Dardani sembrano dunque rappresentare la rimembranza di quel periodo storico di contatti tra la Troade e le popolazioni dei Balcani. La fondazione di Troia, così come questi movimenti migratori nell’Egeo settentrionale, vengono inseriti dalla memoria culturale greca in una griglia di coordinate temporali mitiche, che ponevano ad esempio in sincronia le fondazioni di Troia e di Tebe ad opera rispettivamente di Cadmo e di Dardano, dopo che questi avevano abbandonato Samotracia. Il nucleo originario di tradizioni mitiche sulla Troade dovette probabilmente essere opera degli Eoli, che nell’ambito della prima colonizzazione greca approdarono nella regione e presero contatto con le culture ed i popoli locali. Le imponenti rovine di Ilio così come il paesaggio della piana troiana, caratterizzato dalla presenza di numerosi tumuli sepolcrali che sin dall’epoca della composizione dei poemi omerici vennero considerati come sepolcri eroici, dovettero probabilmente ispirare molte di queste tradizioni. Agli Eoli va forse anche attribuita la costru-

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CONCLUSIONI

zione di un’origine ellenica per i Teucri e per i Dardani, inventando per i primi un’origine da Creta, mentre per i secondi origini arcadiche, inserendo Dardano nella genealogia della casa regale arcadica. In seguito alla propaganda antipersiana condotta da Atene nel V. sec. a.C., abbiamo uno scadimento culturale dell’immagine di Troia e dei Troiani, che negli autori tragici vengono spesso assimilati con i Frigi e considerati barbari. La barbarizzazione dei Troiani, portata avanti da Atene, non riuscì tuttavia ad affermarsi in tutto il mondo greco, come ad esempio indicano le tradizioni argive e lesbie tramandate nei frammenti di Acusilao e di Ellanico, che accettando le genealogie greche dei Troiani, continuano ancora a considerarli greci. In questo contesto vanno anche considerate le tradizioni post-omeriche su Troia e la Troade, un filone di queste poneva una continuità di popolamento nella regione, che dopo la distruzione di Ilio – in accordo con la famosa profezia di Poseidone – sarebbe stata ancora abitata dai Dardanidi, una parte dei quali sarebbe rimasta, fondendosi con i Frigi e non seguendo Enea nelle sue peregrinazioni alla volta dell’Occidente. La presenza dei Dardanidi nella Troade potrebbe essere stata anche funzionale ad una certa propaganda greca, che, ai fini di giustificare l’occupazione di questi territori da parte dei nuovi coloni ellenici, avrebbe costruito una continuità abitativa greca. Un capitolo poco esplorato delle tradizioni culturali dell’Egeo settentrionale riguarda la presenza dei Fenici a Samotracia ed a Lemno, per i quali si sono potuti ricostruire due diversi modi di rappresentazione. I Fenici che arrivano con Cadmo a Samotracia sono caratterizzati positivamente, in quanto portatori di importanti elementi culturali quali la scrittura e l’idea della città: Cadmo conferisce infatti a Tebe lo statuto di una polis, cingendo di mura il suo abitato. I Fenici che operano a Lemno nel periodo della guerra di Troia sono invece dei mercanti, che commerciano con le aristocrazie locali oggetti di prestigio. Nell’Odissea abbiamo poi un ulteriore scadimento culturale di queste genti, considerate pirati e rapitori di genti. Lo studio delle tradizioni sui Fenici permette anche una migliore comprensione dei miti relativi ai Cabiri ed ai loro culti nell’Egeo settentrionale, per i quali è possibile distinguere un filone fenicio, uno lemnio ed uno samotracio. La sostanziale differenza consiste nel fatto che mentre a Lemno i Cabiri, in quanto figli di Efesto e della dea locale, sono da subito divinità, a Samotracia essi risultano essere originariamente degli inservienti della Madre degli Dei, che in virtù del loro sapere sono più tardi divinizzati. Lo stesso schema di carattere evemeristico è riscontrabile anche nelle genealogie dei Cabiri, trasmesse da Filone di Biblo, il quale considera questi esseri come mortali, che in seguito alle conoscenze che essi trasmisero agli esseri umani furono divinizzati. Alle figure dei Cabiri-Cureti e della Madre degli Dei si lega la creazione di quello che ho definito “paeasaggio idaico”, caratterizzato dalla presenza di un antro, situato in una montagna, di una fonte e di un bosco sacro, che rappresentano lo spazio mitico in cui nasce il dio bambino. Questo tipo di paesaggio si rinviene in particolare a Creta, in Arcadia

CONCLUSIONI

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e (più tardi) nella Troade, dove le tradizioni mitiche locali (in concorrenza le une con le altre) localizzavano la nascita di Zeus, protetto dai Cureti, gli inservienti della Madre degli Dei. Le figure dei Dattili-Cureti, che nelle fonti più tarde vengono identificati con i Cabiri ed i Coribanti, giocano un ruolo fondamentale nell’ambito delle tradizioni cretesi: essi, caratterizzati come inservienti della Madre degli Dei, appartengono al livello preolimpico delle tradizioni dell’isola e le loro figure vengono connesse alla fondazione di diversi centri cittadini di Creta. I Cureti sono, inoltre, caratterizzati come artigiani, che conoscono le tecniche per la lavorazione dei metalli, capaci anche di gettare incantesimi. A Cureti provenienti da Creta sono inoltre attribuite le prime fasi di popolamento del Chersoneso rodio e dell’Eubea. I Telchini di Rodi, in virtù della loro connessione con la magia e le arti, si prestano inoltre per molti versi ad essere assimilati ai Cureti. A seguito dell’ascesa di Roma e della dinastia giulia abbiamo un fiorire di scritti eruditi che trattano di Troia e dell’origine dei Troiani. Non è infatti un caso che le trattazioni più complete sulle genealogie e sui miti troiani siano da attribuire a tre autori di epoca augustea: Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso e Strabone. Diodoro tratta della genealogia della casa reale di Ilio in stretta connessione alla figura di Dardano e delle tradizioni su Samotracia; Dionigi di Alicarnasso, ricostruendo le origini elleniche di Roma (e della maggior parte delle popolazioni italiche) e descrivendo in dettaglio le peregrinazioni di Enea alla volta dell’Occidente, ha occasione di trattare delle origini di Troia e della dinastia dardanide, sottolineandone le origini greche. A Strabone dobbiamo, infine, un lungo excursus sulla protostoria mitica della regione, in cui, basandosi probabilmente sull’opera dell’erudito locale Demetrio di Scepsi, viene ricostruita la geografia mitica della regione all’epoca della guerra contro gli Achei. Di particolare interesse è inoltre l’attenzione rivolta dal Geografo di Amasea alle rovine ed ai monumenti archeologici della Troade: emblematico è il caso dei tumuli sepolcrali che caratterizzavano il paesaggio della piana di Troia, i quali sin dall’epoca della composizione dell’Iliade furono considerati come i sepolcri di personaggi mitici. Questa percezione del paesaggio è indizio del fatto che la genesi delle tradizioni mitiche locali debba essere spesso studiata in connessione con le caratteristiche del paesaggio e dei monumenti antichi in esso esistenti. L’incredibile concentrazione di monumenti funerari così come di artefatti del periodo eroico dovette infine favorire il sorgere di una sorta di turismo intellettuale nella Troade. I centri della Troade, spesso in concorrenza tra loro nell’elaborazione di tradizioni mitiche che localizzavano nel proprio territorio un accadimento mitico o la tomba di un eroe, sembrano inoltre essersi organizzati con l’istituzione di un sistema di guide, che mostravano ai visitatori i monumenti ed i luoghi del mito, narrandone le tradizioni ad essi relativi, come le fonti lasciano spesso intendere. Il mito di Troia e le tradizioni sui Troiani si lasciano ben studiare in una prospettiva mediterranea, non solo in quanto Enea per arrivare nel Lazio attraversa il

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CONCLUSIONI

Mediterraneo, ma anche in quanto i Romani senza il mito di Troia non sarebbero potuti esistere. Il modo poi in cui le tradizioni troiane attraverso un complesso sistema di genealogie e di coordinate cronologiche si riallacino al altre regioni della Grecia continentale ed insulare mostra la mobilità di queste tradizioni.

Conclusions

The cultural traditions on Troy and on the Troad reconstructed the mythical prehistory of the Northern Aegean Sea and its phases of population. According to these traditions, the Teucrians have been said to be autochthonous or (according to another mythical variant) hailing from Crete. Moreover, they are considered the bearer of the cult of Apollo Smintheus, who was one of the most important gods of the Troad, mentioned by Homer. The arrival of Dardanos and of the Dardanians in the Troad was connected to the foundation of Troy as well as to the introduction of the cult of the Mother of gods and of the Cabirians in the region. According to the mythical tradition, Jason was staying in Samothrace, where he was initiated into the mysteries of the Mother of gods. After the celebration of the wedding of his sister Armonia with the Phoenician Cadmos, Jason left the island to go to the Troad, where he was received by Teucros, the Teucrian king, who gave him his daughter and made him king. This union between Teucrians and Dardanians seems to represent the mythical memory of the historical situation of the Troad during the end of the Bronze Ages. In this period, the region has been invaded by peoples from the Balkan, who had a poor material culture. This people integrated themselves into the local Anatolian population and adopted its culture. The Anatolian and Balkan origin respectively of Teucrians and Dardanians could represent the mythical memory of this contact period. In the framework of the Greek cultural memory, the foundation of Troy as well as these migrations from the Northern Aegean Sea are said to have happened at the same time as the foundation of Thebes in Boeotia. The nucleus of these mythical traditions must have been elaborated by the Aeolians after having arrived in the Troas and havingmade contact to the local inhabitants. Probably, the archaeological remains of Troy that characterised the landscape and the numerous sepulchral tumuli must have impressed the Greeks and inspired the elaboration of these mythical traditions. Within their traditions, the Aeolians could probably have constructed a Greek origin both for the Teucrians and for the Dardanians. They invented that the Teucrians came from Crete, whereas the Dardanians were originally Arcadians. Indeed, Dardanos is said to be a member of the Arcadian royal family. In the time of the Persian wars, the Greek image of the Trojans changed. Due to the Athenian propaganda, the Trojans are assimilated with the Phrygians and considered barbarians, as particularly the tragic

250

CONCLUSIONS

authors testify. This barbarisation of Troy and of the Trojans was not accepted everywhere in the Greek world, as the fragments of Akousilaos and Hellanikos show, according to which Troy is again considered a Greek city. These texts are very important, because they prove that within the Argivian and Lesbian traditions the Trojans are considered Greeks and not barbarians. According to the mythical traditions, after the fall of Troy and the destruction of the city, a part of the Dardanians remained in the region to repopulate it, while another part under Aeneas left the region and migrated to the Occident. This tradition emphasized the continuity in the population of the Troad according to the prophecy of Poseidon, conveyed in the Iliad. Constructing a continuity of the Dardanians’ presence in the Troad could be advantageous for the political propaganda of the Greeks in order to justify the occupation of these territories. Mythical traditions localize the presence of Phoenicians in the Northern Aegean Sea particularly in the islands on Samothrace and Lemnos. These traditions represent the Phoenicians in two different manners. The Phoenicians, who come to Samothrace with Cadmos, are characterized positively: they bring the alphabet and are connected to the foundation of Thebes. The Phoenicians, who are present in Lemnos during the Trojan war, are merchants, who do business with the local aristocracy. In the Odyssey, we find a negative representation of the Phoenicians, characterized as pirates and ransoming. The mythical traditions about the Phoenicians in the Northern Aegean help us to understand also the traditions about the Cabirians and their cults in this area. The traditions permit to distinguish different manners to represent the Cabirians. The Lemnian Cabirians are for example sons of Hephaistos and of the local goddess Lemnos and are considered gods for their divine origin . The Cabirians of Samothrace are not gods, but servants of the Mother of the gods, and only later became gods. The same euhemeristic characterisation is applied to the traditions about the Phoenician Cabirians, conveyed by Philon from Biblos. In this case, too, the Cabirians are humans, who received their wisdom by the gods. Connected to the CabiriansCuretes (since the archaic times, the literary sources do not distinguish anymore between Cabirians, Curetes and Coribants), we have the creation of a sacred landscape, that I name “Idaic landscape”. The Idaic landscape is located in a mountain and includes a sacred wood, a spring and a cave: this is the natural scenery, in which the birth of Zeus takes place. According to the literary sources, such a landscape is attested not only in Crete, but also in Arcadia, in the Troad, in Phrygia and in other regions of the Greek world, which claim to be the birth place of Zeus. Within the Cretan traditions, the Curetes are the servants of the Mother of the gods; moreover, they belong to the pre-Olympic level of the mythical Cretan traditions and are related to the foundation of several cities on the island. By these mythical traditions the Curetes are said to be artisans, able to work the metals, and wizards. The mythical traditions attribute the Cretan Curetes the first population

CONCLUSIONS

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phases of Rhodes, of the Rhodian Chersonesos and of the Euboea. Furthermore, due to their connection to the metals and to the magic, the Telchinians of Rhodes can be associated with the Cretan Curetes. As a consequence of the rising of Rome and the Julian dynasty, we have a flourish of well elaborated pieces of literature that deal with Troy and the Trojans’ origin. It is indeed not by coincidence that the most complete treatises in terms of genealogy and the Trojan myth have been written by three authors of the Augustan period: Diodorus Siculus, Dionysios of Halicarnassus, and Strabo. Diodorus writes about the royal origin of the dynasty of Ilium in close connection to the person of Dardanos and the Samothrace traditions. Dionysios of Halicarnassus, in contrast, reconstructs the Greek origin of Rome (and hence of the major part of the Italian peoples) and describes Aeneas’ odyssey to the east in great detail. This method grants him the opportunity to talk about the origin of Troy and the Dardanian dynasty and emphasizes the Greek origin. Strabo, at last, gives us a long excursus on the pre-history of the region the mythical geography of which, probably based on the work of the local Demetrius of Scepsis, is reconstructed as far back as to the times of the war against the Achaians. Yet, the work of the Geographer of Amaseia is of particular interest, as it deals with the ruins and the archaeological monuments in the Troad. The best example for this is the case of the sepulchral tombs that are typical of the Trojan planes, as they have been considered as tombs of mythical persons from the earliest times of the Trojan War. This perception of the landscape reveals that the construction of mythical origins must have been dealt with in connection to the typical features of landscapes and the old monuments inside them. Such an unbelievably dense number of funeral monuments from the ancient and heroic times must have led to the rise of some kind of intellectual tourism in the Troad. The centres of the Trojan region often rivalled each other for their mythical traditions that localized a mythical event or a hero’s tomb inside their territory; yet, they seem to have had some kind of common guide that led the visitors to the monuments and the mythical places that were said to have been related to one another, which the literary sources often tend to not mention. The myth of Troy and the Trojan traditions may well be studied from a Mediterranean point of view not only for Aeneas’ arrival in Latium, but also for the fact that the Romans could not have existed without the Trojans as those are their mythical ancestors. The way these Trojan traditions refer themselves to other continental and insular Greek region by a complex system of genealogy and chronical coordinates demonstrates the mobility of these traditions.

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Indice dei nomi e delle cose notevoli

Abas 59, 60 Abido 105, 107, 108, 110, 112–114, 119, 175 Aborigini 132 Acaia 57 Acallaride 51, 133 Acamante 120, 182, 183 Acarni 129 Achaia (città) 72 Achei 36, 45, 69, 74, 88, 98, 106, 114, 116, 122–126, 128, 134, 141, 168, 169, 171–173, 175–177, 179, 182, 184, 222, 225, 230, 236, 241, 243, 247 Achille 19, 49, 100, 107, 115–117, 141, 175, 182, 187, 225, 229–231, 235, 238–240 Achilleion 116 Achise 107, 133, 233 Acrisio 59, 60 Ade 201 Adramitteno 106 Adramittio 104 Adrastea 110 Adrasteia 108, 119, 206 Adrasto 40, 110, 119 Adriano 238 Aerope 81 Afrodisia 127 afrodite 123 Afrodite 67, 70, 99, 119, 127–131, 133, 178, 179, 185, 189 Agamennone 19, 84, 104–106, 224, 242 Agdistis 208 Agelao 41 Agenore 59, 68 Ἀγρεύς 195

Ἀγρός 196 Agrotai 197 Ahhijawa 164 Ahiram 193 Aiace 44, 46, 114–116, 229, 230, 235 Aimonia 132 Αἰνεία 128 Aisyetes 224 Aizanoi 206 Akakesios 211 Akmon 205, 206 Akmonia 206 Aktis 56 Alceo 68 Alcmane 164 Alcmena 65, 204 Alessandria Troade 115 Alessandro (Paride) 41, 115, 140, 178 Alessandro il Macedone 19, 20, 110, 113, 114, 230, 234–237, 239, 243 Alessandro Oinone 41 Aletai 196 Alexandreia (Troade) 231 Alia 70 Aliatte 176 Alibe 120 Alicarnasso 117 Ἀλιεύς 195 Alis 176 Alizoni 120 Alkathoos 224 Altamene 73 Altes 107

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INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Alto Arcaismo 13, 15, 20, 33, 34, 94, 95, 121, 137–139, 142, 154, 222 Amaxitos 117 Amazzoni 95, 174, 201, 224, 225 Ambracia 129, 130 Ambrax 129 Amfio 110 Amniso 213 Amynos 197 Anatolia 34 Anchise 36, 39, 51, 60, 85, 99, 119, 125, 127, 130, 172, 178, 232 Andeira 116 Andro (eroe) 68 Andro (isola) 68 Androgeo 79 Andromaca 41, 107, 114, 175 Anfimaco 120 Anfio 119 Anfito 120 Anfitrione 142 Angelione 215 Anio 68, 128 Annibale 240 Antandros 117 Antemone 127 Antenore 119, 125 Antenoridi 122, 172, 179 Antigoneia 115, 231 Antigono 115, 231 Antiloco 115, 230 (M.) Antonio 114 Anytos 211, 212 Aones 61 Ἄωρος 90 Apameia 206 Apeso 119 Apollo 67, 87, 94, 119, 210, 211, 215, 216, 223, 224, 228, 237, 242 Killaios 117, 118 Licio 70 Sminteo 233 Smintheus 43, 94, 117, 168, 181, 241, 242, 245 Telchinio 70 Aramaioi 147

Aramei 138, 147 Arcadi 50, 51, 132, 211 Arcadia 47, 50, 94, 104, 127, 128, 132–134, 188, 191, 202–204, 208–211, 213, 214, 233, 246 Archedio 213 Archelao 105 Archeloco 119 Ardys 176 Argivi 69 Argo 19, 28, 29, 57–59, 61, 74, 96, 135, 140, 172, 178, 215 Argo (eroe) 59 Argolide 58, 178 Argonauti 14, 96, 198 Arianna 54, 58, 68, 95 Arimi 147 Arimi (monti) 147 Arimoi 147 Arisbe 40, 47, 102, 119, 184 Arisbe (città) 112 Arisbos 112 Armonia 36, 37, 48, 49, 51, 52, 54, 62, 94, 101, 144, 202, 245 Arpagia 110 Arpagias 240 Artemide 66, 67, 192, 211, 212, 216, 224 hegemone 211 Orthia 164 Artimul 192 Ascania 123, 174 Ascanio 120, 123, 131, 173, 174, 177, 179, 180, 182–184, 187, 188, 237 Asclepio 198, 239 Asio 107, 108 Asio Irtacide 119 Assaraco 36, 39, 51, 133, 223, 241 Assio 120 Asterio 140 Asterope 40 Astianatte 175, 182, 183 Astioche 38 Astira 184 Atamante 119 Ataribo 73 Ate 39

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Atena 66, 72, 113, 122, 140, 181, 184, 223, 234, 236, 240, 242 ergane 234 Lindia 72 Atene 19, 29, 72, 101, 135, 179, 183, 184, 223, 224, 229, 235, 246 Ateniesi 179, 183, 184 Atlante 47, 50, 225 Atlas 132 Attica 45, 47, 67 Attis 72, 73 Augusto 19, 20 Axieros 201 Axiokersa 201 Axiokersos 201 Azio 129 Baal 194 Babilonesi 192 Balcani 156, 245 Bateia 36, 38, 43, 46, 47, 50, 51, 102, 129, 133, 224 Bateia (città) 102 Batiea 119 Bebrici 44, 109 Bellerofonte 68 Beozia 49, 54, 101, 142, 153, 191, 204, 228, 229 Berecinti 208 Beritto 197 Bes 200 Biblo 149, 196, 197 Bienno 79 Βίεννος 90 Boio 89 Bosa 158 Bosforo 164 Bouthroton 130 Briseide 107 Britomartis 66 Buta 74 Butroto 159 Cabiri 37, 47–49, 61, 62, 75, 102, 122, 123, 134, 153–155, 162, 191–199, 201–204, 207–210, 212, 214, 245–247 Cabiro 197

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Cadmo 28, 37, 48, 49, 51, 52, 54, 56, 59–61, 72, 73, 101, 102, 144, 152, 153, 155, 157, 162, 197, 229, 245, 246 Cafeira 69 Caico 103 Calcidica 157 Calliroe 38, 51, 133 Cambise 200 Camiro 56, 70, 72, 73, 89 Canaan 138 Cananei 138 Candale 56 Capi 36, 39, 51 Capo Miseno 131 Cappadocia 147 pontica 148 Capua 127 Caracalla 239, 240 Cari 47, 120, 121, 164, 186 Caria 72, 117 Carme 66 Cartagine 150, 155 Cassandra 83, 235 Cebrene 40, 115 Cebreno 41 Cecrope 19, 72 Centauri 192 Cercafo 72 Cesare 114 Chersoneso 74 Chersoneso rodio 74, 247 Chilone 192 Chio 68, 121 Choaspes 227 chora Kebrenia 231 Χρυσώρ 195, 200 Cibele 22, 37, 49, 94, 192, 208 Cibele-Rea 22 Cicladi 151 Ciclopi 157, 192, 193, 242 Ciconi 67, 120, 121 Cidippe 72 Cidoni 81, 88, 89 Cidonia 68, 79, 213 Cilice 49 Cilici 108, 117, 147

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INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Cilicia 46, 146–148, 165 Cilla 118, 225 Cimmeri 166, 174, 175 Cineköy 145 Ciprioti 148 Cipro 44, 67, 70, 144, 158 Cirenaica 158, 164 Cirne 72 Cirno 68 Cisseo 40 Citera 67, 70, 128, 151 Citinio 89 Citorio 120 Cizico 105, 108, 110, 227 Cleone 215 Cleopatra 38 Clitodora 51, 133 Cnosso 65, 67, 68, 75, 77–79, 81–87, 89, 91 Cocalo 68 Codone 127 Colchi 147 Colchide 96, 147 Colofone 121, 166, 167, 176 Colone 184 Conone 44 Coo 72 Coribante 37, 49, 208 Coribanti 13, 75, 77, 94, 144, 153, 168, 197, 203, 207, 210, 211, 215, 247 Coricio 147 Corinto 110, 201, 215 Corito 52, 53 Cortona 53 Cos 56 Crateo 73, 79, 81 Cres 62, 81 Creso 113, 147, 176 Creta 13, 22, 29, 34, 42, 43, 45–47, 51, 52, 54–56, 61–63, 65, 67, 69, 70, 73–77, 81, 85, 86, 88–90, 94, 140, 149, 151, 153, 181, 191, 202–208, 210–216, 240, 241, 245, 246 Crete 80 Cretesi 140 Creto 102

Crinaco 57 Crio 65 Crise 46, 50, 117, 132–134, 184, 233, 241, 242 santuario di Apollo Smintheus 45 Cromi 120 Cronio 70 Crono 55, 65, 71, 195, 197 Crotopo 59 Cuconissi 14 Cuma 95, 105, 151 Cuma Friconide 105 Cureta 87 Cureti 13, 22, 29, 43, 55–57, 63, 65, 74–77, 80, 87, 90, 91, 94, 153, 157, 191, 192, 200, 203, 207, 208, 210, 213, 215–217, 246, 247 dell’Ida 210 Damasco 148, 151 Damnameneus 205, 206 Damofonte 211 Danaidi 56, 220 Danao 56, 59, 72 Dardanelli 156, 157 Dardani 28, 35–37, 46, 47, 49, 50, 53, 61, 94, 100, 102, 119, 120, 127, 168, 172–174, 245, 246 Dardania 38, 113, 240 Dardanidi 28, 29, 40, 60, 99, 107, 132, 179–182, 184, 185, 188, 189, 237, 246 Dardanis akra 114 Dardano (città) 36, 37, 40, 42, 48, 51, 53, 62, 77, 94, 110, 113, 114, 122, 160, 162, 173, 175, 182, 184, 227, 228, 245 Dardano (eroe) 36–38, 40, 43, 46–54, 58–62, 81, 94, 99, 101, 102, 129, 132–135, 144, 160, 162, 171, 202, 210, 224, 225, 245–247 Dario 113 Dascilio 184 Daskyleion 123, 173, 177, 178 Dattili 63–65, 69, 91, 191, 202–204, 206, 215, 247 dell’Ida (Troade) 206 frigi 206 Frigi 63, 205

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Idei 55, 56, 63, 64, 203–205, 207 Dea Madre 37, 161 Dedalo 24, 215 Deianira 68 Delfi 67, 224 Delo 67, 68, 128, 215, 224 Demetra 38, 48, 50, 66, 67, 101, 133, 201, 210–212 melaina 212, 213 Demetra Erinni 84 Democonte 108 Dercillida 181 Despoina 211–213 Deucalione 47, 50, 68, 80, 82, 202 Dimante 40, 50, 132 Dioniso 54, 58, 66, 68, 75, 95, 110 Dioricto 129 Dioscuri 83, 197, 209 Dipeni 215 Dodona 130 Dolioni 178 Dori 69, 81, 88, 89, 92 Doriclede 215 Doride 81 Doro 69, 81, 105 Drepano 130 Drero 216 tempio di Apollo 216 Driopi 109 Eacide 120 Eacidi 114 Ecabe 114, 140 Ecuba 40, 141, 174, 224, 225, 227, 233 Edipo 19, 41, 228 Eea 113 Eetione 41, 52, 101, 107, 117 Efeso 67, 121, 166, 167, 176, 192 Efestia 199, 201 Efesto 66, 195, 196, 199–201, 205, 206, 212, 246 Egesto 123 Egetoria 72 Egitto 59, 67, 72, 96, 139, 140, 205 Egizi 72, 192 Ekteni 60

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Elaion 212 Elena 19, 41, 42, 96, 99, 140, 144, 178, 231, 232 Eleno 130 Elettra 36, 38, 47, 49, 50, 52, 53, 101, 132 Eleusi 67 Eleuthera 79 Ἐλευθήρα 90 Ἐλεύθερνα 90 Ἐλευθῆρος 90 Eliadi 56, 57, 72 Elimi 131 Elimo 123, 130, 131 Elio 70, 71, 73 Eliopoli 72, 73 Elleno 159 Ellesponto 105, 180, 187, 226 Endione 204 Enea 19, 20, 29, 39, 51, 53, 99, 107, 114, 119, 121–125, 127–135, 169–173, 177–180, 184, 185, 187, 188, 237, 246, 247 Eneadi 126, 127, 170, 181, 188 Eneide 135 Eneti 120 Ennomo 120 Enotro 132 ἐνθεία 217 Eo 36, 40, 227 Eoli 34, 104, 106, 116, 117, 163, 164, 168, 169, 180, 183, 184, 229, 231, 232, 245 Eolide 104–106, 135, 157 Eolo 58 Epei 132 Epimenide 67 Epiro 130, 159 Epistrofo 120 Era 70, 148, 236 Telchinia 70 Eracle 19, 20, 36, 40, 54, 59, 74, 100, 115, 129, 132, 142, 203, 204, 211, 230, 231 cureta 210 Dattilo 202, 204, 210 tasio 203 Tasio 142, 143, 203 Tirio 204 Eraclidi 69, 104, 220

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INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Ercole 41 Eretteo 19 Erice 67, 159 Erineo 89 Eritre 68, 204 Eritriesi 111 Eritro 68 Erittonio 36, 38, 44, 47, 50, 54, 55, 60, 129, 133 Ermes 49, 50, 197, 201, 202 Ermo 105, 106 Esaco 40, 41 Esieta 118 Esiodo 110 Esope 105 Esopo 103–105, 107, 109, 110, 226 Eteocretesi 62, 69, 81, 88–90 Etiopia 226 Etis 127 Etolia 76 Ettore 41, 107, 114, 118, 119, 125, 169, 172–175, 178, 182, 184, 223, 228, 229, 237–240 Ettoridi 124, 126, 172, 180 Eubea 29, 74–76, 151, 206, 208, 240, 247 Eubei 151, 157 Eubulo 66 Eufemo 120 Eumedo 51 Euneo 68, 141, 152 Euridice 40 Euripilo 100, 225 Europa 37, 49, 68, 72, 96, 144 Evagora 44, 45 Evandro 68, 132 Feneati 132 Fenici 59, 61, 72, 96, 102, 137–145, 147, 149, 151, 152, 154, 155, 157, 161, 162, 193, 196, 246 Fenicia 56, 96, 138–141, 143, 147, 149, 194, 196, 205 Festo 68, 79, 81, 86, 87 Festo (eroe) 86 Festo (liberto di Caracalla) 239 Figalia 212

Filistei 138, 148 Filotette 41, 42 (C. Flavius) Fimbria 114, 234, 241 Fineo 47 Focea 103 Forba 59 Forci 120, 174 Foroneo 43, 59, 206 Frichio 105 Frigi 46, 100, 108, 109, 120, 121, 124, 133, 164, 167, 174, 177, 178, 185–188, 227, 243, 246 Frigi (= Troiani) 49 Frigia 39, 49, 50, 53, 63, 75, 95, 131–133, 146, 156, 174, 205, 206, 214, 227 Ftiro 120 Gaeta 131 Ganimede 36, 39, 110, 223, 240 Gargara 117 Gargaris 116 Gea 65 Γήινος Αὐτόχθων 196 Gelanore 59 Gergite 184 Gergiti 46 Gerusalemme 149 Giasone 36, 37, 47–53, 56, 66, 94, 96, 132, 133, 144, 202, 208 Giganti 70, 193 Gige 112, 166–168, 175 Giulio Cesare 229 gonas Dios 228 Gortina 78, 81, 85, 213 Grande Dea 144, 153, 202, 210 Frigia 208 Grandi Dei 171, 194 Granico 105, 110, 113 Gras 105 Grecia 131 Gygas 113, 175 Ἁδραμύττιον 207 Ἁγνώ 210 Halieis 197 Ἁμαξιτόν 242 Ἁρπάγια 240

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Ἁρπάγιον 240 Hatti 139 Herophile 233 Ἱεράπυτνα (Hierapytna) 91, 207 Hippokorona 207 Hippokoronion 207 Hyrie 89 Iade 57 Ialiso 56, 70, 72, 144, 148 Iapeto 65 Iaso 52, 53, 59 Ida 13, 22, 29, 38, 41, 51, 53, 55, 56, 63, 74, 80, 103–105, 107, 113, 115, 119, 125, 159, 168, 172, 173, 179, 180, 203, 204, 206–208, 210, 213, 215, 232, 242 Idaio 50 Idea 37, 38, 43, 47 Idee 50 Idei 133 identificazione genealogica 19, 20, 34, 38, 67, 68 ideale 19, 20, 25 locale 19, 20, 34, 38, 67 Ideo 50, 106, 132, 133, 203 Idomeneo 68, 77, 78, 81, 83–86 Ieromneme 51, 133 Ilio 23, 28, 36, 37, 39, 40, 42, 53, 60, 61, 94, 103, 107, 113–116, 123, 134, 135, 140, 144, 152, 158, 159, 169, 171, 173, 174, 177, 181, 182, 184–187, 219, 223, 224, 226, 230, 231, 234–240, 243, 245–247 tempio di Atena 40 Iliocolone 184 Ilizia 213 Ilo 36, 38, 39, 47, 54, 60, 160, 224, 225 Imalia 70 Imbro 102, 154, 156, 203 Inaco 43, 59, 60, 74, 96 Inana 192 Ino 149 Io 59, 74, 75, 96, 140 Iolao 161 Ioni 121, 163, 164, 166, 167, 176 Ionia 167, 176, 204 Iperione 65

Ippotoo 119 Iride 118 Ishtar 192 Iside 95 Issa 57 Issipile 141 Italia 24, 131 Itarce 40 Ittiti 192 Καβειρώ 199 Kabeiros (monte) 207 Kammilos 199 Kandalos 72 Kapys 127, 133 Kar 80 Karatepe 145–147 Kasmilos 201 Kaykon 132 Kebrene 231 Kebrenios 231 Kelmis 205, 206 Khnumu 200 Killa 117 Killaion 117 Killaios 117 Κίναιθος 128 Kition 158 Kito 70 Kleisithera 80 Kleitor 209 Kleues 105 Koio 65 Kolone 117 kome Memnonos 226 Kore 210 Korythos 42 Kouretai 208 Kouretis 76 Kres 86, 90 Kynos sema 114 Kynos Sema 227 Κύρνας 91 Kyrnos 74 Lacedemoni 69 Lacinio

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INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

tempio di Era 128 Laconia 69 Lampsaco 112 Laocoonte 125, 178 Laodice 183 Laodicea sul Lico 206 Laomedonte 36, 40, 51, 54, 133, 223, 225, 241 Larissa 119 Laurento 131 Lavinio 134, 159 Lazio 133, 247 Lekton 105, 106, 113, 242 Lelegi 57, 107, 116, 121 Lemno 13, 14, 54, 68, 94, 102, 141, 142, 152, 154–157, 168, 186, 196, 198–201, 203, 212, 246 Leontio 83 Lesbi 184 Lesbo 29, 56–59, 62, 72, 95, 101, 105, 107, 112, 117, 121, 157, 183 Leto 211, 216, 224 Leucade 129 Leucasia 131 Leucippe 40 Leukos 78, 84, 85 Leukosyroi 147, 148 Libia 95, 111 Licaone 107, 119 Liceo (monte) 210, 213 Lici 47, 107, 119–121, 126 Licia 57, 67, 68, 70, 146 Licimio 74 Lico 70 Licosura 210, 213 Lidi 109, 164, 166, 167, 174–176 Lidia 117, 126, 146, 168, 172, 174–176, 179 Lilibeo 159 Linceo 59, 60 Lindo 56, 70, 72, 242 Lipari 151 Lirnesso 49, 107, 108, 117 Lisimaco 113, 115, 231, 234 Litto 78, 79, 81, 85–87, 89 Locride 105 luoghi del sapere 5, 27

luoghi della memoria 5, 26 Lykastos 81 Lykos 80 Lyros 39 Macedoni 234 Macedonia 108 Madre degli Dei 49, 50, 56, 95, 112, 119, 133, 191, 206–208, 245–247 Magna Mater 188 Magnesia 167 Magos 197 Makar 56–58, 72 Malao 105 μανία 217 Mania 182 Marco Antonio 229 Meandro 120 Medea 96, 201 Megalai Theai 210 Megale Meter 211 Megaloi Theoi 129, 134, 209 Megalopoli 203, 204, 210 Megapente 60 Melibea 144 Melisseo 206 Melos 149 Melqart 143 di Tiro 203 Memnone 36, 110, 226, 227 Memnoneie 227 memnonides 226, 227 memoria comunicativa 20, 21 culturale 21, 23, 28 Mende 157 Menelao 19, 81, 99, 140 Menesteo 111 Menfi 200, 205 Meoni 109, 120, 175 Merione 68, 78, 82, 83 Mermnadi 165 Merope 41 Merope Percosio 108, 110, 119 Messene 166 Messeni 220

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Messenia 14, 220 Meste 120 Metope 40 Micene 58–60 Mida 187 Midea 58 Migdono 63 migrazione dorica 105 eolica 105 Milesi 110, 111, 121, 168, 175, 180 Mileto 81, 112, 117, 120, 167, 175, 176, 180, 186 Milziade 198 Mines 107 Minosse 24, 54, 55, 65, 68, 69, 79–82, 86, 87, 89, 90, 203, 213, 240 Mirina 95, 119, 224 Mirmidoni 107 Misi 100, 109, 120, 121 Μισώρ 197 Mitilene 95, 183 Mitilenesi 184 Mnemosine 65 Moire 211 Molo 68, 82 Molossi 114 Mopso 95 Munippo 225 Mynes 117 Mystis 75 Naste 120 Nauplios 84 Neandria 207 Νέδας 210 Neleo 166 Neottolemo 100, 124, 173, 175, 178, 182, 236 Neso 127 Ninfe Cabirie 199, 201 Nusi 138 Oceano 65, 69 Ochimo 72 Odio 120 Odisseo 134, 227, 229

305

Ofrinio (Ophrynion) 114, 122, 172, 173, 184, 228, 229, 238 Ofrinio (eroe) 174, 175 Ogige 61 Oinone 41, 42, 115, 231, 232 Oinopione 54, 68 Olbe 46 Oleno 57 Olimpia 204, 215, 224 Olimpo 69 Onomacrito 203 Ophiogeneis 111 Orcomeno 127 Oreste 104 Orfeo 63, 67, 203, 204 Ornea 110 Ornes 111 Orneus 111 Osiris 200 Otranto canale di Otranto 130 Otreo 40, 174, 186 Padova 159 Paflagoni 120, 121, 176 Paisos 112 Palamede 84, 236 Palestina 138, 139, 147, 150 Palinuro 131 palladio 39, 51, 52, 134, 171, 234 Pallante 50, 132 Pallantio 132 Pallene 124, 127, 128 Pandaro 107, 119 Panfilia 165 Paride 41, 96, 99, 125, 140, 141, 144, 179, 225, 231–233, 235 Parii 111 Parion 105, 111, 232 Parmenione 230 Paro 68 Pateci 196, 200, 205 Patroclo 107, 115, 230 Pedasa 117 Peiraso 59 Peirosso 111

306

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Pelasgi 57, 59, 69, 88, 96, 119, 121, 132, 202 Pelasgia 57 Pelope 36, 118 Pelopidi 220 Peloponneso 34, 50, 68, 127, 128, 132, 140, 142, 151, 178, 215, 220 Penati 134, 171 Pentesilea 225 Pentilidi 58, 105 Pentilo 104, 105 Peoni 120 Pepareto 68 Percote 119, 184 Pergamo 122, 239 Persefone 66, 201 Perseo 60 Persia 67, 226 Persiani 96, 113, 135, 147, 180, 185, 234 Phoinike 138 Phoinikes 138, 147, 148, 150, 155 Pilemene 120 Pileo 119 Pilo 14, 166 Pioniai 116 Pirecme 120 Piroo 120 Pisistratidi 184 Pitana 95 Pitecussa 148, 151 Pitiea 119 Placia 40 Pleiadi 132 Pleurone 76 Podarce 40 Polemone (storico) 242 Poliarce 52 Policna 89 Policne 180, 184 Polidoro 107 Polissena 223 Polite 118, 224 Ponto 67 Ponto Eussino 183 Poseidone 69, 70, 72, 85, 132, 169, 181, 197, 211, 212, 241, 246 Ippio 211

Praisos 89 Praktion 105, 108, 109, 119 Prason 88 Preto 59, 60 Priamidi 184, 222 Priamo 14, 28, 29, 36, 40–42, 45, 54, 60, 99, 100, 106–108, 110, 115, 118, 119, 121, 125, 126, 141, 172–175, 178, 183, 186, 187, 222–228, 230, 231, 236, 239, 241 Priapo 110, 111 Priapos 110 Priene 95, 176 Proconneso 110 Prometeo 17, 192 propoloi 208 Propontide 157 Proteo 199 Ptah 200 Pytna 207 Radamante 54, 68, 69, 79, 86, 87, 90, 95, 213 Rea 22, 55, 65, 69, 75, 76, 91, 203, 206–208, 210 Rea Silvia 41 Remo 41 Rene 49, 50 Rhodios 114 Rhoiteion 46, 229 Rhome 188 Rodi 29, 54–57, 62, 64, 69, 72–76, 91, 144, 148, 151, 192, 206, 208, 209, 242, 247 Rodii 72 Rodo 70 Roma 121, 127, 185, 247 Romani 19, 248 Romo 127 Romolo 19, 41, 127 Rytios 81 Sadiatte 176 saeculum 16, 21 Salamina 44 Salento 130 Salomone 149 Samo 48, 50, 121, 148, 176 Samonion 207

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Samotracia 28, 36–38, 43, 47–53, 56, 62–64, 67, 76, 94, 95, 101, 102, 132, 134, 143, 144, 151–154, 156, 157, 162, 194, 197, 198, 201–203, 207, 208, 210, 214, 224, 245–247 Sangario 40, 174 Saone 49 Saonneso 48 Sardegna 24, 34, 151, 158, 161, 193 Sarpedone 120 Sarpedonte 68, 79 Satiri 192, 193, 198, 199 Scamandrio 124, 172–175, 180, 182, 184 Scamandro 37, 38, 43, 51, 60, 61, 115, 133, 159, 184, 224, 225, 231 Scarpato 151 Scepsi 115, 170, 179–181, 184, 207, 231 Scilli 215 Scopa di Paro 242 Segesta 159 Segesto 130 Seleuco I 237 Seleuco II 237 Serse 168 Sesamo 120 Sestio 119 Sicani 130 Sicilia 24, 67, 68, 89, 123, 127, 130, 131, 151, 159, 233 Sicione 215 Siculi 132 Sidene 110, 184 Sidone 140, 141, 146, 149, 150, 152, 158 Sidoni 140 Sigeo 101, 114–116, 183, 184, 230, 231 Sileni 192, 193 Sileno 192 Silla 114, 240 Simoenta 38, 159, 224 Sindos 157 Sinti 186, 199 Siracusa 158 Siri 146, 147, 159, 176 Siria 67, 138, 145, 147, 151 Siriani 138 sminthos 242

307

Smira 121 Smirne 166, 176 Smirneide 166 Sofocle 187 Spagna 158, 164 Sparta 19, 41, 81, 83, 140, 164, 178 Sparteo 70 Stenela 59 storia intenzionale 26 Susa 226, 227 Συδύκ (Sydek) 195, 197, 198 syngeneia 106 Syrawa 147 Syroi 147, 148 Τάαυτος 197, 198 Talos 86, 87 Tantalo 84 Taso 142–144, 151, 152, 157, 203, 204 Taumasio 50 Tebani 228 Tebe 25, 28, 34, 37, 49, 54, 60, 61, 101, 102, 107–109, 117, 135, 152–155, 175, 197, 199, 204, 228, 229, 245, 246 τέχνη 215, 217 Τεχνίτης 196 Tectamo 69, 81 Tecteo 215 Tegea 213 Tegeate 213 Tekke 149 Telchini 56, 64, 69, 70, 91, 192, 193, 207, 215, 247 Telchinie (ninfe) 70 Telefo 100, 109 Telemaco 18 Temiste 39 Tenage 72 Tereia 111, 119 Termodonte 147 Teseo 54, 182–184 Tespie 204 Tessaglia 57, 81, 132 Tessali 230 Teti 65

308

INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Teucri 28, 35, 37, 38, 42–46, 51, 53, 60, 61, 94, 102, 120, 135, 168, 174, 181, 241, 242, 245, 246 Gergiti 168 Teucria 51 Teucro 36–38, 42–47, 50, 51, 53, 60, 61, 94, 99, 102, 133, 135, 224, 245 Teutrante 109 Thalatte 69 Θεισόα 210 Themis 65 Thera 152 Θώθ (Tot) 197, 198 Thymoitos 225 Tirinto 34, 58, 59, 215 Tiro 96, 140–143, 146, 149, 154, 158, 204 Titaia 65 Titani 55, 65, 87, 192, 193, 196, 197, 211 Titone 36, 110, 226 Tlepolemo 74 Tmolo 120 Toante 54, 68, 95, 141 Toria 89 Traci 105, 108, 120, 121 Cebreni 112 Crusei 124 Tracia 28, 34, 48, 67, 104, 112, 174, 188 Trasimaco 83 Tricope 57 Triopa 59 Triope 72 Troade 13, 14, 22, 23, 28, 29, 33, 34, 36–40, 42, 43, 45–49, 51, 53, 54, 56, 61–64, 76, 93, 94, 99, 100, 102–105, 109–112, 116–118, 123, 126, 132–135, 141, 144, 155–157, 162, 168, 169, 172, 173, 175–179, 181–184, 187–189, 191, 202, 203, 205–209, 214, 219–222, 224, 226–229, 231, 232, 237, 239–242, 245–247 Troes 107, 178

Troi 36 Troia 13–15, 18, 28, 29, 33, 36–38, 40, 49, 50, 52, 54, 58, 61, 68, 80, 81, 83, 89, 92, 96, 98, 100–102, 104, 106–108, 110, 118, 121, 122, 124, 125, 128, 131, 134, 135, 140, 141, 147, 156–160, 162, 168, 172–174, 176, 178–180, 182, 184, 185, 187, 189, 204, 219, 221, 223, 225, 226, 228, 231–234, 241, 242, 245–248 Troia (Bouthroton) 130 Troiani 13, 36, 51, 74, 85, 106, 118, 119, 123–125, 127–135, 140, 159, 171–174, 177, 185–187, 189, 222, 223, 225, 243, 246, 247 Troos 51, 60 Tros 36, 38, 54, 133 tumuli 221–223 Ulisse 18, 20 Urano 65, 71, 195 Xanto 57, 59, 120 Xanto (fiume) 70 Ξυπέτη 50 Yantes 61 Zacinto 47, 128 Zacinto (eroe) 129 Zelea 107, 109, 111, 115, 119 Zenis 182 Zeus 22, 25, 38, 39, 43, 47, 49, 50, 52, 55, 57, 63, 65, 66, 68, 70, 74, 76, 80, 81, 87, 91, 92, 94, 118, 132, 134, 144, 171, 199, 203, 204, 206, 207, 210, 211, 213, 214, 227–229, 236, 240, 247 Ataribo 73 Dicteo 88 herkeios 223, 236, 237 Meilichios 195 moiragetes 211 Zagreus 66

Indice degli autori, dei passi citati e delle fonti epigrafiche

Acusilao di Argo 29, 134, 246 FGrHist 2, F 39 98, 178 FGrHist 2, F 40 99 FGrHist 2, F 20 199 Agatillo FGrHist 321, F 2 127 Agatocle di Cizico FGrHist 472 188 Alceo 165, 184 Ampelio 8,11 235 Anassicrate FGrHist 307, F 1 172 Androne di Alicarnasso FGrHist 10, F 16b 81 Anth. Pal. VII, 136 226 Anticlede FGrHist 140, F 7 86 Apollodoro 39, 41 III, 12, 1 43 III, 12, 1.2 47 III, 12, 3–6 37 III, 12, 5 234 Ep. VI, 10–11 84 Apollodoro di Atene 37, 103, 135 Apollonio Rodio III, 135–141 206 Arg. II, 1 sgg. 109 Archemaco 76 Arctino di Mileto 40, 125, 171 Aithiopis 171 Ilioupersis 171 Argum. Il. (Cramer III, p. 100) 140

Arieto FGrHist 361, F 1 127 Aristodemo di Tebe FGrHist 384, F 7 228 Aristonico Hom. Schol. Il. VI, 317b 238 Aristotele Retorica I, 15, 1375b 16 Arriano An. I, 2, 8 236 I, 11, 7 235 Atenagora Leg. 26 232 Ateneo VII, 282 71 Callino di Efeso 166–168 Fr. 7 West 45 Carone di Lampsaco FGrHist 262, F 9 105 Cassio Dione LXXVIII, 16, 7 239, 240 Cefalone di Gergis FGrHist 45, F 4 a–b 102 FGrHist 45, F 7 127 FGrHist 45, F 9 127 Clemente Alessandrino Protrep. IV, 42 215 Conone FGrHist 26, F XXI 38 FGrHist 26, F XXIII 42 FGrHist 26, F XLVI 126, 172, 174 Daes di Kolone

310

INDICE DEGLI AUTORI, DEI PASSI CITATI E DELLE FONTI EPIGRAFICHE

FHG 4, 376 117 Damaste di Sigeo 183 FGrHist 5, F 9 105 Demetrio di Scepsi 29, 37, 56, 94, 103, 135, 180, 181, 188, 207, 214, 223, 247 Fr. 21 Gaede 114 Fr. 22 Gaede 115, 232 Diodoro Siculo 62, 93, 247 I, 24 204 III, 38 48 III, 53–59 95 III, 74, 4 204 IV, 75 36, 43 V, 45 144 V, 47 60, 102 V, 47–48 48 V, 47–84 54 V, 48 208 V, 55 55 V, 55 sgg. 57, 69 V, 56 69, 70 V, 56, 3 sgg. 72 V, 59 73 V, 60 74 V, 64 54, 89, 202 V, 64 sgg. 62 V, 64, 3 63, 64 V, 64; 76 204 V, 65 sgg. 94 V, 66 65 V, 66, 5 66 V, 75 66 V, 76 66 V, 77, 1–2 66 V, 77, 3 sgg. 67 V, 78 68 V, 79 68 V, 79, 4 82 V, 80 69 V, 81 56, 57 XVII, 7, 5 207 XVII, 18, 1 234 XVII, 21, 2 235 XVII, 7 56 Dionigi di Alicarnasso 29, 93, 121, 135, 185, 247

I, 18, 1 57 I, 46 121 I, 47, 2 122, 123 I, 48 124 I, 48, 1 176 I, 49 127 I, 50 43, 128, 129 I, 51 130 I, 52 130 I, 53 130 I, 53, 3 131 I, 53, 4 131 I, 60 132 I, 61, 1 51 I, 61,4 44 I, 61, 5 50 I, 61; 62 1–2 43 I, 61–62 50 I, 63 132, 133 I, 64 46 I, 67, 3 134 I, 68 134 I, 68, 2 171 I, 69 134, 171 I, 68–69 40 Dionisio di Calcide Schol. ad Eur. Androm. 10 (ed. Schwartz 1891) 183 Ditti Cretese XXXV 232 Dosiade FGrHist 458, F 5 240 Ecateo FGrHist. 1, Fr. 119 109 Echemene FGrHist 459, F 1 240 Eforo 65, 103, 104, 135 FGrHist 70, F 10 231 FGrHist 70, F 147 87 FGrHist 70, F 149 63, 64, 206 FGrHist 70, F 164 105 Egesianatte di Alessandria FGrHist 45 188 Egesippo FGrHist 391, F 5 127

INDICE DEGLI AUTORI, DEI PASSI CITATI E DELLE FONTI EPIGRAFICHE

Eliano De natura animalium V, 1 227 Hist. Varia IX, 38 235, 236 Elio Teone Prog. 95 87 Ellanico di Lesbo 29, 100, 124, 134, 135, 176, 182, 188, 246 FGrHist 4, F 23 52, 101 FGrHist 4, F 24 a–b 102 FGrHist 4, F 25b 116 FGrHist 4, F 31 123, 172, 187 FGrHist 4, F 71 200 FrGHist 4, F 24 43 Epimenide 71 FGrHist 457, F 18 87 Eraclide Pontico Fr. 154 Wehrli 45 Erodiano IV, 8, 4–5 239 IV, 9, 3 239 Erodoto 18, 96, 102, 176 I, 2 140 I, 6 147 I, 26 176 I, 4, 4 96 I, 146 166 I, 173 68, 88 I, 65 119 II, 44 142 II, 51 197, 202 III, 37 196, 205 III, 87 200 IV, 37 23 V, 13 46 V, 94 184, 230 V, 122 168 VI, 47 142 VI, 83 59 VII, 20 46 VII, 43, 1 243 VII, 72 147 VII, 122 46 VII, 170–171 89 VII, 43 108, 109 IX, 28,4 59

Eschilo Eum. 397–404 184 Esiodo Fr. 353 M.-W. 227 Etymologicum Magnum Τέλχιν 71 Eudosso da Priapo Fr. 336 Lassere 105 Euripide 187 Cret. F 475 Nauck 66 Eustazio Schol. Hom. Il. XII, 98 232 XV, 19 236 Evemero di Messene 196 Fanodemo FGrHist 325, F 13 133 FGrHist 325, F 8 44, 50 Ferecide di Siro FGrHist 3, F48 199 Filone di Biblo 195, 204, 246 FGrHist 790 195 FGrHist 790, F 2, 12 196 FGrHist 790, F 2, 13 196 FGrHist 790, F 2, 14 197 FGrHist 790, F 2, 17, 19 197 Filostrato Her. 8, 13 219 19, 3–4 237, 238 51, 12 230 Foronide 206 Giuliano Ep. 19 235, 238–240 Hymn. Hom. III, 37 58 V, 36 200 V, 113–116 186 V, 195–196 169 I.Ilion 31, 13–15 237 143 237 144 236

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INDICE DEGLI AUTORI, DEI PASSI CITATI E DELLE FONTI EPIGRAFICHE

IC I, 8, 33 83 Isocrate Ev. 18 45 Nic. 18 45 Licofrone 1214–1225 83 Alex. 72 225 Alex. 316–322 225 Alex. 1208 228 Lisimaco FGrHist 382, F 9 182 Lucano IX, 965 241 IX, 966–967 241 IX, 973 242 IX, 977–999 236 Luciano De conc. deorum 12 238 Luxurius Anth. Lat. 376 238 Marziano Capella VI, 659 63 Massimo di Tiro 195 Menecrate di Elea 57 Menecrate di Xanto 126 FGrHist 2, F 39 179 FGrHist 769, F 3 125 Mimnermo Fr. 9 West 166 Mnasea di Patrasso FHG 154, Fr. 27 201 Mnasea, FHG 28 51 Nicola di Damasco FGrHist 90, F 114 71 Nonno di Panopoli Dionisiakà XIII, 135–170 75 Omero Il. II, 215–216 113 II, 221–230 122 II, 494–877 118 II, 792–793 224

II, 814 95 II, 819 107, 113 II, 819–23 115 II, 824 105 II, 824–827 107, 109 II, 828 112 II, 828–831 110 II, 835–837 107 III, 206 122 III, 230–233 81 III, 400–401 174 IV, 164 116 V, 445. 512 237 V, 612 112 VI, 288–295 140 VI, 296–310 122 VI, 402 175 VI, 448 116 VII, 81–83 237 VII, 276 106 VII, 347–353 122 VIII, 173 113 VIII, 266 44 IX, 328–329 107 IX, 549 sgg. 74 XII, 15 116 XIII 170 sgg., 266 sgg. 44 XIII, 449–453 80 XV, 302 45 XV, 437 sgg. 44 XVI, 738 115, 231 XVIII, 288–292 174 XX, 215 47, 94 XX, 220–221 36 XX, 307–308 169 XXI, 86 107 XXII, 172 236 XXII, 477–479 107 XXIII, 740–745 141 XXIV, 306 236 Od. III, 130 116 XI, 533 116 XIII, 316 116 XIX, 172–177 69, 88 XIX, 188–899 213

INDICE DEGLI AUTORI, DEI PASSI CITATI E DELLE FONTI EPIGRAFICHE

XXIV, 80–84 230 Orazio Carm. II, 3, 37–44 226 Pausania 58 I, 3, 2 44 I, 18, 5 213 I, 35, 4-5 229 II, 15, 1 215 II, 16 59 II, 22, 5 215 II, 25, 5 111 IV, 33, 1 25 V, 7, 6–10 204 V, 17, 1–2 215 V, 25, 12–13 204 V, 77 204 VII, 5, 4–8 204 VIII, 12, 9 232 VIII, 12, 8–9 127 VIII, 21, 4 209 VIII, 31, 1 210 VIII, 31, 3 203 VIII, 37 211 VIII, 37, 5 211 VIII, 37, 9 211 VIII, 38 210 VIII, 42 212 VIII, 53, 4 213 VIII, 53, 5 86 IX, 18, 5 228 IX, 27, 8 204 IX, 35, 3 215 X, 5, 1 60 X, 12, 5–6 233 X, 17, 5 161 X, 27, 3 122 X, 31, 6 226 X, 31, 7 227 Pindaro 17 Nem. IV, 46 44 Ol. I, 28 18 Platone Nom. III, 681 E – 682 159 Plinio

NH XVI, 238 224 XXVI, 21–22 216 XXXV, 65 216 XXXVI, 9 215 Plutarco 18 de def. or. 409e 87 de musica 14p., 1136a 215 mor. 942e 194 Polemone FHG III, F 32 236 Polemone di Kio FHG III, F 37 188 Ps. Scylax 94 sgg. 105 Ps.-Callistene 1, 42, 6 235 Quinto Smirneo 222 I, 783–810 225 I, 788. 802 225 VI, 145–147 223 IX, 39–44 225 X, 483–488 232 XII, 480–485 223 XIV, 324–328 223 XIV, 325 240 Saffo 165, 176 Fr. 98 Lobe-Page 165 Schol. ad Eur. Or. 953 76 Schol. Ap. Rhod. 1, 1126–1131b 205 Schol. Hom. Il. I, 39 242 II, 286 186 XX, 307–308 184 Schol. Hom. Od. 19, 174 85 Schol. in Lyc. 1194 228 1208 228 1215–1225 84 Schol. Pind. Olymp. XIII, 74 201 Senofonte Hell. III, 1, 10 182

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INDICE DEGLI AUTORI, DEI PASSI CITATI E DELLE FONTI EPIGRAFICHE

Hell. III, 1, 21 181 Servio Danielino, Ad Aen. II, 241 225 III, 22 221 III, 108 43 III, 121 85 III, 167 52 VII, 207 53 IX, 10 53 XI, 264 86 Simmia 71 Simmia, Coll. Al., fr.11 Powell 69 Sinesio De calv. 19 238 Sofocle 124 Fr. 344 Nauck 178 Fr. 95–97 Nauck 198 Solino IX, 5 63 Sosicrate FGrHist 461, F 3 87 Stafilo di Naucrati 68, 88 FGrHist 269, F 12 81 Stefano di Bisanzio 51 Αἴδηψος 76 Ἄωρος 90 Βίεννος 90 Ἐλεύθερνα 90 Ἱεράπυτνα 91 Ἰτανός 90 Κεβρηνία 231 Κρήτη 63 Μῆλος 149 Τελχίς 71 Stesicoro 179 Stesimbroto di Taso 207 Strabone 23, 29, 37, 93, 135, 219, 223, 237, 247 IV, 1, 8 87 VII, Fr.49 51 VIII, 3, 6 103 VII, 6, 24 110 X, 1, 3 75 X, 3, 1 74 X, 3, 6 76 X, 3, 7 207

X, 3, 11 207 X, 3, 12 208 X, 3, 19 63, 74 X, 3, 20 207 X, 4, 6 88, 89 X, 4, 7 82, 85 XII, 1, 15 177 XII, 4, 4 35, 156 XII, 8, 1 187 XIII, 1 102, 180 XIII, 1, 1 42 XIII, 1, 1–70 135 XIII, 1, 4 105 XIII, 1, 5 105 XIII, 1, 6 106 XIII, 1, 7 106–108 XIII, 1, 8 108 XIII, 1, 9 109 XIII, 1, 10 109 XIII, 1, 11 110, 226, 240 XIII, 1, 12 110 XIII, 1, 13 57 XIII, 1, 14 47, 111 XIII, 1, 17 111 XIII, 1, 19 112 XIII, 1, 20. 26 234 XIII, 1, 21 112 XIII, 1, 22 112, 175 XIII, 1, 24 113 XIII, 1, 25–26 113 XIII, 1, 26 114 XIII, 1, 27 114 XIII, 1, 28 114 XIII, 1, 29 122 XIII, 1, 30 114, 229 XIII, 1, 31 114 XIII, 1, 32 115, 229–231 XIII, 1, 33 115, 231, 232 XIII, 1, 34 224 XIII, 1, 38 115 XIII, 1, 38–39 183 XIII, 1, 39 230 XIII, 1, 40 116 XIII, 1, 40; 52–53 237, 243 XIII, 1, 41 116 XIII, 1, 42 116

INDICE DEGLI AUTORI, DEI PASSI CITATI E DELLE FONTI EPIGRAFICHE

XIII, 1, 48 44, 45, 94, 241, 242 XIII, 1, 52–53 180 XIII, 1, 53 122, 127, 181 XIII, 1, 56 116 XIII, 1, 58–59 116 XIII, 1, 59 159 XIII, 1, 61 117 XIII, 1, 62 117 XIII, 1, 63 117 XIII, 4, 6 147 XIV, 2, 7 70 XIV, 3, 3 186 XIV, 5, 10 46 Suda Πάριον 232 Svetonio

Περὶ βλασφημιῶν 71 Teofrasto de plantis IV, 13,2 224 Tucidide 100 I, 7 159 VI, 1, 6 142 Vergilio Aen. III, 95–143 85 III, 400–401 85 V, 760 233 Xanto di Lidia FGrHist 765, F 14 187 Zenone 69, 72

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