Storia moderna (1492-1848) 9788800740654

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Storia moderna (1492-1848)
 9788800740654

Table of contents :
Indice
Presentazione
Premessa alla nuova edizione
Parte prima - La lunga durata
1.
La popolazione
e le strutture familiari
1 Fonti e metodi
2 La popolazione europea nell'età moderna
3 La storia della famiglia
2. L'
economia dell'Europa
preindustriale
1 L'
agricoltura: risposta estensiva e risposta intensiva
2 Il regime fondiario e i rapporti di produzione. L'Europa
centro-occidentale
3 L'
Europa orientale
4 L'
economia urbana
5 Moneta, prezzi, mercato
3.
Ceti e gruppi sociali
1 Ordini, ceti, classi. La stratifìcazione sociale nell'Europa
d'antico regime
2 Nobili e «civili»
3 Poveri e marginali
4. Le forme di organizzazione
del potere
1
Stato e Stato moderno: problemi di definizione
2 L' evoluzione dei criteri di legittimazione: dalla monarchia
di diritto divino allo Stato di diritto
3 Funzioni e articolazioni del potere statale
5.
Religione, mentalità, cultura
1 Religione e magia
2 Cultura orale e cultura scritta
3 Produzione e trasmissione del sapere
Parte seconda -
Gli avvenimentie i problemi
6. Monarchie e imperi
tra XV e XVI secolo
1
I Regni di Francia, Spagna, Inghilterra e l'Impero germanico
2 La prima fase delle guerre d'Italia (1494- 1 5 16)
3 Carlo V: il sogno di una monarchia universale
4 Asburgo contro Valois: la ripresa della guerra in Italia
5 L' espansione della potenza ottomana
6 Guerre ed eserciti tra Medioevo ed età moderna
7.
I nuovi orizzonti geografici
1 Le conoscenze geografiche alla fine del Medioevo: l'Africa Nera
2 Le civiltà precolombiane in America
3 I viaggi di esplorazione e di scoperta
4 Spezie e cannoni: l'impero marittimo dei portoghesi
5 Le imprese dei conquistadores spagnoli
6 La colonizzazione spagnola del Nuovo Mondo
7 Le ripercussioni in Europa
8. I nuovi orizzonti spirituali :Rinascimento e Riforma
1
La civiltà del Rinascimento italiano
2 Aspettative e tensioni religiose alla fine del Medioevo:Erasmo da Rotterdam
3 La Riforma luterana
4 La rottura con Roma e le ripercussioni in Germania
5 Le correnti radicali della Riforma. La guerra dei contadini
6 La conclusione dei conflitti in Germania
7 Da Zwingli a Calvino: "il governo dei Santi"
8 La diffusione europea del protestantesimo.La Riforma in Inghilterra
9.
La Controriformae l'Italia del tardo Cinquecento
1
Speranze e propositi di rinnovamento religioso
2 I nuovi ordini religiosi: i gesuiti
3 Il concilio di Trento
4 La Chiesa e il papato nella seconda metà del Cinquecento
5 L'egemonia spagnola in Italia
10. L Europa nell' età di Filippo II
1
Filippo I I e i regni iberici
2 La battaglia di Lepanto e i conflitti nel Mediterraneo
3 La rivolta dei Paesi Bassi
4 L'
Inghilterra nell'età elisabettiana
5 Le guerre di religione in Francia
6 L'Europa orientale: Polonia e Russia
11. L' Europa nella guerra
dei Trent'anni
1 Il Seicento: un secolo di crisi?
2 La prosperità dell'Olanda
3 La monarchia francese da Enrico IV a Richelieu
4 La Spagna da Filippo III al duca di Olivares
5 L'Impero germanico e l'ascesa della Svezia
6 Le prime fasi della guerra dei Trent'anni (16 1 8- 1 629)
7 Dalla guerra di Mantova alla pace di Vestfalia
12.
Rivoluzioni e rivolte
1 L'Inghilterra
sotto la dinastia Stuart
2 Il regno di Carlo I e lo scontro tra corona e Parlamento
3 La guerra civile. Cromwell e la vittoria del Parlamento
4 Il decennio repubblicano: Cromwell al potere
5 La Francia a metà Seicento: il governo di Mazzarino e la Fronda
6 Le rivolte nella penisola iberica
13. L'Italia
del Seicento
1
La popolazione e le attività economiche
2 La vita sociale e la cultura
3 I domini spagnoli: Milano, Napoli e le isole
4 Le rivolte antispagnole a Napoli e in Sicilia
5 I principati indigeni: Ducato di Savoia e Granducato di Toscana
6 Le repubbliche oligarchiche e lo Stato della Chiesa
14. Imperi e civiltà dell'Asia
tra XVI e XVIII secolo
1 La Cina sotto le dinastie Ming e Manciù
2 Il Giappone nell' «era Tokugawa»
3 L'
Impero moghul in India
4 La Persia e l'Impero ottomano
5 Asia ed Europa
15. L'apogeo dell'assolutismo:
la Francia di Luigi XIV
1 Luigi XIV: il «mestiere di re»
2 La corte e il Paese
3 La direzione dell'economia
4 La direzione delle coscienze
5 La gloria militare: le guerre di Luigi XIV
6 Il tramonto del Re Sole
16.
I nuovi equilibri europei tra Sei e Settecento
1 La «gloriosa rivoluzione» e l'ascesa della potenza inglese
2 L'
espansione della monarchia austriaca
3 La guerra di Successione spagnola e i regni iberici
4 L'ascesa della Russia di Pietro il Grande e il declino della Svezia
5 La nascita dello Stato prussiano
17.
Una nuova epoca di espansione
1 L'
aumento della popolazione europea
2 L'
evoluzione dell'agricoltura
3 Prezzi e salari, moneta, trasporti
4 Il boom del commercio e lo sviluppo dell'America Latina
5 Le origini della Rivoluzione industriale
6 Dall'età del cotone all'età del ferro
7 Le ripercussioni sociali dell'industrializzazione
18.
La Civiltà dei Lumi
1 Fede e ragione
2 L'
uomo e la natura
3 La «pubblica felicità»
4 Una nuova scienza: l'economia
5 La circolazione delle idee
19. Francia e Inghilterra nel Settecento:
un duello secolare
1 La Francia dalla Reggenza al ministero Fleury
2 La Gran Bretagna nell'età di Walpole
3 I conflitti dei decenni centrali del Settecento
4 Il fallimento delle riforme in Francia
5 L'Inghilterra
nell'età di Giorgio III
20.
Assolutismo illuminato e riforme
1
La Prussia di Federico II
2 La monarchia austriaca sotto Maria Teresa e Giuseppe II
3 La Russia di Caterina II
4 Le spartizioni della Polonia e le riforme in Scandinavia
5 La crisi del papato e i Regni iberici
21. L'Italia
del Settecento
1
Il quadro politico e intellettuale nella prima metà del secolo.Le riforme in Piemonte
2 I Regni di Napoli e di Sicilia sotto i Borbone
3 Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca
4 La Toscana dalla Reggenza a Pietro Leopoldo
5 La società italiana alla fine del Settecento
22.
Nascita di una nazione:gli Stati Uniti d'America
1
Gli inizi della colonizzazione inglese e francese nel Nord America
2 I contrasti tra le tredici colonie e la madrepatria
3 La guerra di Indipendenza
4 Una Costituzione per gli Stati Uniti d'America
5 Lo sviluppo degli Stati Uniti tra Sette e Ottocento
23. La Rivoluzione francese: dall'antico
regime alla monarchia costituzionale
1
Economia e società in Francia al tramonto dell'antico regime
2 La crisi finanziaria e politica della monarchia
3 La Rivoluzione in marcia: il 1789
4 La ricostruzione dell'unità nazionale
5 La caduta della monarchia
24. Dalla Repubblica giacobina
al Direttorio
1 La lotta politica all'interno della Convenzione
2 Il governo rivoluzionario e il Terrore
3 Da Termidoro a Fruttidoro
4 La Rivoluzione francese e l'Europa
5 Il triennio rivoluzionario in Italia (1796- 1799)
6 La seconda coalizione antifrancese e il colpo di Stato di Brumaio
25.
La Francia e l'Europanell'età napoleonica
1 Napoleone primo console. Le basi del regime
2 Dal consolato all'Impero. La terza e la quarta coalizione antifrancese
3 Il blocco continentale, la guerra di Spagna e la quinta coalizione
4 La società francese all'apogeo dell'Impero
5 La riorganizzazione politico-territoriale della penisola italiana
6 L'
Europa centro-settentrionale
7 Dalla campagna di Russia al crollo del "
Grande Impero"
26.
L età della Restaurazione
1 Il congresso di Vienna e la riorganizzazione dell'Europa
2 Il clima ideologico e culturale della Restaurazione
3 Sviluppo economico e questione sociale
4 La questione nazionale e i primi moti per la libertà e l'indipendenza
5 L'emancipazione delle colonie latino-americane e lo sviluppo
degli Stati Uniti
27. I maggiori Paesi europeitra 1815 e 1848
1 Le isole britanniche
2 La Francia da Luigi XVIII alle rivoluzioni
3 L'
Europa centrale
4 La Russia zarista e la questione d'Oriente
5 Verso le rivoluzioni del 1848
28. L'Italia dalla Restaurazione
al Risorgimento
1
Il Regno Lombardo-Veneto e il Regno di Sardegna
2 I Ducati padani e l'Italia centrale
3 Il Regno delle Due Sicilie
4 Le società segrete e i primi moti per la libertà e l'indipendenza
5 Dai moti del 1831 all'insurrezione nazionale del 1848
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
INDICE DEI NOMI
INDICE DELLE CARTINE

Citation preview

Carlo Capra

Storia moderna

(1492-1848)

> Poveri e marginali

3 3 7 9 I3 13 16 18 20 24 30

Capitolo 4. Le forme di organizzazione del potere 2 3

Stato e Stato moderno: problemi di definizione Levoluzione dei criteri di legittimazione: dalla monarchia di diritto divino allo Stato di diritto Funzioni e articolazioni del potere statale

Capitolo 5. Religione, mentalità, cultura 2 3

Religione e magia Cultura orale e cultura scritta Produzione e trasmissione del sapere

41 43 47 47 49 53

VI

Indice Parte seconda

GLI AVVENIMENTI E I PROBLEMI Capitolo 6. Monarchie e imperi tra XV e XVI secolo I Regni di Francia, Spagna, Inghilterra e l'Impero germanico 2 La prima fase delle guerre d'Italia (1494-1516) Carlo V: il sogno di una monarchia universale 3 Asburgo contro Valois: la ripresa della guerra in Italia 4 Lespansione della potenza ottomana 5 Guerre ed eserciti tra Medioevo ed età moderna 6 La nascita dell'idea diEuropa I

5ì 5ì

6I 64 66 68 ìO ìi

Capitolo 1. l nuovi orizzonti geografici Le conoscenze gcografìche alla fine del Medioevo: l'Africa Nera 2 Le civiltà precolombiane in America I viaggi di esplorazione e di scoperta 3 Spezie e cannoni: l'impero marittimo dei portoghesi 4 Le imprese dei conquistadoresspagnoli 5 La colonizzazione spagnola del Nuovo Mondo 6 Le ripercussioni in Europa ì America spagnola eAmericabritannica

ì4 ì4

Capitolo8. l nuovi orizzonti spirituali: Rinascimento e Riforma La civiltà del Rinascimento italiano Aspettative e tensioni religiose alla fine del Medioevo: 2 Erasmo da Rotterdam 3 La Riforma luterana La rottura con Roma e le ripercussioni in Germania 4 Le correnti radicali della Riforma. La guerra dei contadini 5 6 La conclusione dei conflitti in Germania Da Zwingli a Calvino: «il governo dei Santi>' ì La diffusione europea del protestantesimo. La Riforma in Inghilterra 8 Le utopie nell'Europamoderna

9I 91

I

Capitolo9. La Controriforma e l'Italia del tardo Cinquecento Speranze e propositi di rinnovamento religioso 2 I nuovi ordini religiosi: i gesuiti Il concilio di Trento 3 La Chiesa e il papato nella seconda metà del Cinquecento 4 5 eegemonia spagnola in Italia L'Inquisizione inItalia

76 ì8

82

83 85 86 88

93 94

95 9ì 99 IOO IOJ 105 I09 ro9 no

n2

H3 II5 II9

Indice

Capitolo l O. I.:Europa nell'età di Filippo II 2 3 4 5 6

Filippo II e i regni iberici La battaglia di Lepanto e i conflitti nel Mediterraneo La rivolta dei Paesi Bassi Llnghilterra nell'età elisabettiana Le guerre di religione in Francia I.:Europa orientale: Polonia e Russia «Il nerbo dello Stato». Le p ubbliche finanze nell'Europa preindustriale

Capitolo Il. I.:Europa nella guerra dei Trent'anni 2 3 4 5 6 7

Il Seicento: un secolo di crisi? La prosperità dell'Olanda La monarchia francese da Enrico IV a Richelieu La Spagna da Filippo III al duca di Olivares Llmpero germanico e l'ascesa della Svezia Le prime fasi della guerra dei Trent'anni (1618-1629) Dalla guerra dì Mantova alla pace di Vestfalia Una rivoluzione scientifica e filosofica

(.àpitolo 12. Rivoluzioni e rivolte 2

3 4 5 6

Llnghilterra sotto la dinastia Sruart Il regno dì Carlo I e lo scontro tra corona e Parlamento La guerra civile. Cromwell e la vittoria del Parlamento Il decennio repubblicano: Cromwell al potere La Francia a metà Seicento: il governo di Mazzarino e la Fronda Le rivolre nella penisola iberica Il mondo alla rovescia. Le sette religiose nel Seicento inglese

v11

123 123 126 u8 129 132 134 137 140 140 142 145 147 148 150 152 154 158 158 160 162 164 166 168 169

Capitolo 13. Lltalia del Seicento

172

2

17 4 177

3 4 5 6

La popolazione e le attività economiche La vita sociale e la cultura I domini spagnoli: Milano, Napoli e le isole Le rivolte antispagnole a Napoli e in Sicilia I principati indigeni: Ducato di Savoia e Granducato di Toscana Le repubbliche olìgarchiche e lo Stato della Chiesa Gli ebrei nell'Europa moderna

172

179 181 182 18 4

Capitolo 14. Imperi e civiltà dell'Asia tra XVI e XVIII secolo

187

2

189

3 4

La Cina sotto le dinastie Ming e Manciù Il Giappone nell'«era Tokugawa» rimpero moghul in India La Persia e l'Impero ottomano

187 190 192

VIII

Indice

5

Asia ed Europa

Nomadismo e migrazioni nell:t storia dell'Asia

Capitolo 15. I.:apogeo dell'assolutismo: la Francia di Luigi XIV

r

2 3 4 5 6

Luigi XIV: il «mestiere di re>> La corte e il Paese La direzione dell'economia La direzione delle coscienze La gloria militare: le guerre di Luigi XIV Il tramonto del Re Sole

La fabbrica del Re Sole Capitolo 16. I nuovi equilibri europei tra Sei e Settecento 2 3 4 5

La «gloriosa rivoluzione>> e l'ascesa della porenza inglese L espansione della monarchia austriaca La guerra di Successione spagnola e i regni iberici I.:ascesa della Russia di Pietro il Grande e il declino della Svezia La nascita dello Stato prussiano

La guerra e gli eserciti nel Settecento

Capitolo 17. Una nuova epoca di espansione 2 3 4 5 6 7

Laumento della popolazione europea I.:evoluzione dell'agricoltura Prezzi e salari, moneta, trasporti Il boom del commercio e lo sviluppo dell'America Latina Le origini della Rivoluzione industriale Dall'età del cotone all'età del ferro Le ripercussioni sociali dell'industrializzazione

1 caratteri originali della Rivoluzione industriale

Capitolo 18. La Civiltà dei Lumi I

2 3

4

5

Fede e ragione L uomo e la natura La «pubblica felicità» Una nuova scienza: l'economia La circolazione delle idee

Un nuovo potere: L'opinione pubblica

Capitolo 19. Francia e Inghilterra nel Settecento: un duello secolare La Francia dalla Reggenza al ministero Fleury 2 La Gran Bretagna nell'età di Walpole l conflitti dei decenni centrali del Settecento 3 Il fallimento delle riforme in Francia 4

194 I97 ;:oo

200 203 205 206 207 210 m

214 214 216 218 220 224 226 229 229 2 31 23 3 235 237 239 242 244 247 247 249 251 253 255 257 260 260 261 263 266

Indice

5

Llnghilterra nell'età di Giorgio III

Corona e Parlamenti nella Francia d'antico regime

Capitolo 20. Assolutismo illuminato e riforme 2 3 4 5

La Prussia di Federico II La monarchia austriaca sotto Maria 1èresa e Giuseppe II La Russia di Caterina II Le spartizioni della Polonia e le riforme in Scandinavia La crisi del papato c i Regni iberici

La formazione della burocrazia moderna

Capitolo 21. l:Italia del Settecento 2 3 4

Il quadro politico e intellettuale nella prima metà del secolo. Le riforme in Piemonte I Regni di Napoli e di Sicilia sorto i Borbone Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca La Toscana dalla Reggenza a Pietro Leopoldo La società italiana alla fine del Settecento

Cicisbei Capitolo 22. Nascita di una nazione: gli Stati Uniti d'America 2 3 4 5

Gli inizi della colonizzazione inglese e francese nel Nord America I contrasti tra le tredici colonie e la madrepatria La guerra di Indipendenza Una costituzione per gli Stati Uniti d'America Lo sviluppo degli Stati Uniti rra Sette c Ottocento

D>

Il Codice Napoleone

Capitolo 26. L età della Restaurazione

I 2 3 4 5

Il congresso di V ienna e la riorganizzazione dell'Europa Il clima ideologico e culturale della Restaurazione Sviluppo economico e questione sociale La questione nazionale e i primi moti per la libertà e l'indipendenza Lemancipazione delle colonie latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti

Nazione e nazionalismi Capitolo 21. I maggiori Paesi europei tra 1815 e 1848

I 2

3 4 5

Le isole britanniche La Francia da Luigi XVIII alle rivoluzioni LEuropa centrale

La Russia zarista e la questione d'Oriente

Verso le rivoluzioni del

1 848

L'Impero britannico

Capitolo 28. Lltalia dalla Restaurazione al Risorgimento 2 3 4 5

Il Regno Lombardo-Veneto e il Regno di Sardegna I Ducati padani e l'Italia centrale Il Regno delle Due Sicilie Le società segrete e i primi moti per la libertà e l'indipendenza Dai moti del 1 83 1 all'insurrezione nazionale del 1 848

Nuovi orientamenti storiografici sul Risorgimento

Indicazioni biblio grafiche Indice dei nomi Indice delle cartine

339 340 343 3 43 345 3 47 3 48 350 353 3 56 360 3 62 362 364 366 369 37I 375 3 78 378 38I 383 385 387 388 3 92 392 395 3 96 397 400 402 4 05 4I7 43I

Presentazione

Questo manuale diStoria modernaè frutto della ristrutturazione e dell'aggiorna­ mento di un corso di storia moderna che, concepito per i Licei, ha riscosso negli anni scorsi notevole successo anche come testo universitario. La nuova articolazione del volu­ me in due parti risponde aLL'esigenza di individuare e di trattare separatamente gli aspetti della storia europea che, per la Loro natura di strutture di lungo periodo, sogget­ te almeno fino alla metà delXVlli secolo a un'evoluzione assai lenta, riesce malagevole imerire in un'esposizione ordinata cronologicamente. Nella prima parte sonoesaminate cinque di queste tematiche: la demografia, le attività economiche, la stratificazione sociale, lo Stato come forma dominante di organizzazione del potere, e infine quello spazio indeterminato che si estende trafidereligiosa, mentalità e cultura. E forse utile ribadire che la relativa fissità di tali «prigioni di lunga durata», per usare una celebre Locuzione di Fernand BraudcL comincia a disgregarsi sotto la pressione delle grandi mutazioni che la società europea conosce tra ilXVIII e ilXIX secolo: L11luminismo e Le riforme, la Rivoluzionefrancese, laRivoluzione industriale, temi ai quali è dedicato ampio spazio neiCapitoli 18 e seguenti. L'aggiornamento del vecchio corso, poi, corniste non solo nei ritocchi apportati ai capitoli che compongono la seconda parte, ma anche e soprattutto neLLo spostamento del terminus ad quem dal1815 aL 1848. Cade oppor tuno a questo punto discutere breve­ mente il concetto di((età moderna» e di«storia moderna", cui anche qui mi sono attenu­ to, e i problemi di periodizzazione che esso solleva. Per quanto riguarda il momento d'av­ vio, non posso che riformi alle considerazioni tante volteripetute dagli studiosi circa l'im­ portanza epocale di una serie di mutamenti verificatisi tra la metà delXV e i primi decenni delXVI secolo: la conquista turca di Costantinopoli e L'espamione deLL1slam, le esplorazioni geografiche e soprattutto la scoperta dell'America, L'invenzione della stampa, la dijfosione delle armi dafooco e le altre innovazioni nella tecnica militare, laforma­ zione di un sistema europeo diStati sovrani, ilRinascimento e laRiforma protestante: ce n'è abbastanza, mi sembra, per dimostrare L'esistenza di una cesura o di una ((grande transizione» tra L'età medievale e una nuova era, anche se taluni aspetti della vita asso­ ciata (i comportamenti demografici, le attività economiche, le mentalità e le culture del

XII

Presentazione

popolo) non registrano trasformazioni altrettanto rapide e profonde. E si può osservare, contro i sostenitori di una continuità di fondo tra i secoli del basso Medioeuo e l'età che noi chiamiamo moderna, che 14 coscienza di vivere in un'epoca nuova, segnata da valori, da comportamenti e da conoscenze diversi da quelli del passato, fo già dei più avvertiti tra i contemporanei di quel/4 svolta, che si trattasse degli umanisti e degli artisti rinasci­ mentali oppure dei conquistadores spagnoli o ancora degli osservatori del/4 scena politica o infine degli alfieri di una nuova religiosità. Più controverso è il momento conclusivo del/4 fase storica apertasi tra il Quattro e il Cinquecento. Una data periodizzante è certo i/1789 (piuttosto che i/1815 per lo più adottato nei vecchi manuali scoktici), che oltre a segnare il crollo dell'antico regime in Francia si colloca all'interno del/4 fose di decollo deL/4 Rivoluzione industriale inglese (I 780-1820 circa). Ma se si considera che a monte del/4 Rivoluzione.francese (e di quel­ w americana) vi è 14 diffosione delle nuove idee e del/4 nuova sensibilità riconducibili all1lluminismo, mi pare che si possa collocare più genericamente nel/4 seconda metà del Settecento 14 transizione da una prima età moderna (oggetto del/4 early modern history degli inglesi o del/4 friihmoderne Geschichte dei tedeschi) a una piena modernità che si dip s iega lungo il XIX secolo. Chi scrive è ben consapevole delle ambiguità e delle contrad­ dizioni implicite nel concetto di modernità, p s ecialmente se applicato a un'epoca in cui erano ben vive 14 credenza nei maghi e nelle streghe, 14 teoria del diritto divino dei re, 14 convinzione dell'esistenza di differenze naturali tra i gruppi umani (che giustificava tra l'altro 14 schiavitù dei neri), 14 prevalenza dei legami di parente/4 e di cliente/4 e delle strategiefomiliari sulle scelte individuali; né avrebbe obiezioni all'adozione di una deno­ minazione diversa da quel/4 di età moderna per i due secoli e mezzo tra 14 scoperta dell'America e l'avvio delle trasformazioni settecentesche. Ma l'ep s ressione di «antico regi­ me», proposta da alcum� oltreché troppo legata al/4 storia .francese e al/4 .frattura rappre­ sentata in essa dal/4 Rivoluzione del 1789, ha il dijètto di appiattire 14 realtà in senso opposto, cioè di svalutare implicitamente gli elementi di novità che pur emergono, lo si è detto, tra XV e XVI secolo e poi, tra Sei e Settecento, con 14 rivoluzione scientifica e filo­ sofica, con le due rivoluzioni inglesi, con 14 costruzione dello Stato assoluto. E altre defi­ nizioni condivisibili non sono finora emerse. Per cui sembra ancora il male minore atte­ nersi al/4 dizione, consacrata dall'uso, di età moderna, pur con l'avvertenza di spostarne in avanti il termine e di dividerne i quattro secoli in duefasi di disuguale lunghezza. In luogo de/1848, scelto qui per motivi di opportunità didattica, si potrebbe forse indicare negli ultimi decenni dell'Ottocento, o nel/4 prima guerra mondiale, il punto d'arrivo del/4 seconda età moderna e l'apertura di una nuova fase storica, ancora in atto e qualificabile quindi come età contemporanea (Zeitgeschichte in tedesco), se non si vuoi ricorrere a etichette più controverse e compromettenti come il postmoderno. Sarebbero indicatori di questa svolta, tra gli altri, 14 seconda rivoluzione industriale, incarnata dall'elettricità e dal motore a scoppio, l'avvento dei partiti e dei movimenti di massa, il venir meno del/4 fide nelprogresso e nel/4 razionalità delprocesso storico, e soprattutto il declino dell'egemonia europea nel mondo. Come osserva Paolo Vio/4 nel/4 Prefazione a una sintesi recente (LEuropa moderna. Storia di un'identità, Einaudi, Torino, 2004), «l'Età moderna è 14 prima che riguardi il mondo intero», ma è al tempo stesso quel/4 in

Presentazione

Xl!!

cui «tale processo di unificazione [. .}si può ancora narrare dal punto di vita dei vinci­ tori, i quali appunto l'hanno diretto e imposto», cioè dal punto di vista dell'Europa; men­ tre ciò non è più possibile dopo l'ascesa degli Stati Uniti e del Giappone a potenze mon­ diali e dopo l'avvio del processo di decolonizzazione. Valgano tali distinzioni a giustifica­ re lo spazio ridotto dedicato nel presente volume agli altri continenti, che vi figurano in prevalenza come oggetti deU'espamionismo europeo (anch e se non si è voluto rinunciare a uno sguardo sommario alfe civiltà asiatiche e a una considerazione più ravvicìnata della nascita e dello sviluppo degli Stati Uniti). Per il resto, inclusioni ed esclusioni, imposte queste ultime dalle ben note restrizioni Legate al sistema dei crediti, sono imputabili alfa semibilità dell'autore, che si lusinga comunque di aver ojjèrto uno strumento di lavoro agile e storiograficamente aggiornato. Sarò grato, naturalmente, a quei colleg hi e a quegli studenti che vorranno segna/armi errori, imprecisioni o lacune. .

Carlo C'apra

Premessa alla nuova edizione

Al lusinghiero successo ottenuto dalla prima edizione di questo manuale, più volte ristampata, si sono accompagnati alcuni rilievi e suggerimmti di colleghi e di studenti, dei quali si è voluto tener conto nell'allestire la presente nurml edizione. Si sono in primo luogo corretti refosi ed errori presenti, sia pure in numero limitato, nel precedente testo, che è stato qua e là ritoccato anche dal punto di vista stilistico. Si è aggiornata la biblio­ grafia finale, soprattutto con l'indicazione di nuovi strumenti per l'approfondimento di determinate tematiche. Ma l'aggiunta più cospicua è quella di schede informative su argomenti che per varie ragioni non avevano trovato spazio adeguato nella precedente versione del manuale. È bensì vero, come scrivevo nella presentazione originaria, che le principali «strutture di lunga durata» si trovano illustrate nei cinque capitoli che com­ pongono la prima parte del volume. Ma, come pure avvertivo, la loro trattazione verte soprattutto sulla «prima età moderna», lasciando in gran parte scoperto il secolo compre­ so tra i/1750 e i/1848. Inoltre, in quegli stessi capitoli ben poco si erapotuto dire su temi di notevole interesse come, perfore solo qualche esempio, la nascita dell'idea d'Europa, le utopie, la storia degli ebrei, la nascita dell'opinione pubblica, l1mpero britannico. A que­ sti e ad altri argomenti sono dedicate le schede di cui sono ora corredati i capitoli 6-28, alla redazione delle quali hanno collaborato i dottori Gianluca Albergoni e Marco Gentile, che hanno siglato i rispettivi contributi. Confido che in questa nuova veste il manuale soddisfi' ancor meglio di prima le aspettative di docenti e studenti universitari. Carlo Capra

Parte prima

La lun ga durata

La popolazione e le strutture familiari I

1

Fonti e metodi

Gli studi sulla popolazione c sui meccanismi che ne regolano l'andamento nel tempo (natalità, mortalità, nuzialità, fecondità, flussi migratori) hanno cono­ sciuto nell'ultimo mezzo secolo uno strordinario sviluppo, legato in parte alla for­ tuna storiografìca delle correnti neomalthusiane, più in generale all'interesse per la storia della società e della sua cellula elementare, la famiglia, e all'esigenza di integrare le fonti descrittive, «impressionistiche», con una documentazione di tipo quantitativo e seriale. Linglese Thomas Robert Malthus (1766-1834) diede voce col suo Saggio sul principio di popoldzione (1798) a una diffusa preoccupazione per lo squilibrio tra popola7..Ìonc e risorse alimentari. Tale squilibrio nasce per i\1_althus dal fatto che la popolaziqnc «se non controllata cresce in progressione geometrica», cioè come da l a 2, 4, 8, ecc., mentre le risorse necessarie alla sopravvivenza, soprattutto il cibo, «cre­ scono solo in progressione aritmetica», cioè come da l a 2, 3, 4, ecc. La messa a col­ rura di nuove terre (naturalmente meno fertili) e le innovazioni tecnologiche non possono influire durevolmente sulla spropoaione che così si crea, giacché per la legge dci rendimenti decrescenti ogni unità aggiuntiva di terra o di lavoro, al di là di una certa soglia, si traduce in incrementi produttivi via via minori. A frenare l'aumento incontrollato della popolazione intervengono inesorabilmente, presto o tardi, quelli che Malthus chiama freni «rcpressivi»: la carestia, le epidemie, le guerre, che ristabili­ scono temporaneamente l'equilibrio alterato, in attesa di un nuovo ciclo di incremen­ to demografico. I.:unica alternativa a questi periodici salassi è, secondo Malthus, l'adozione di freni «preventivi)), cioè la limitazione cosciente dei matrimoni e quindi della fecondità, che deve naturalmente riguardare la parte più povera della società: >, caratterizzata dalla compresenza di almeno due nuclei, per esempio una coppia dì coniugi anziani che abitano con un figlio e la sua sposa; infine le famiglie «Senza struttura)), alla cui base non vi è un rapporto matrimoniale (è il caso di una vedova che vive con una figlia nubile, o di due fratelli entrambi celibi), e i >, molto inferiore però a quella delle ragazze da marito) o rimanevano a vivere in famiglia come zitelle. La limitazione dei matrimoni, la trasmissione dei beni per linea maschile e la destinazio­ ne dei figli cadetti alle carriere militari, ecclesiastiche, giudiziarie, delle tìglie al nubi­ lato o alla monacazione costituivano gli assi portanti di una strategia familiare che attribuiva poi molta importanza alle alleanze matrimoniali e alle reti allargate di parentela agnatizia (legame di parentela tra i discendenti dallo stesso padre) e cagna­ tizia (cioè acquisita tramite unioni matrimoniali).

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La lung11 du rata

Ma le funzioni economiche e le consuetudini in materia di successione e di resi­ denza non esauriscono certo il vasto campo dei rapporti familiari. Michael Anderson, autore di un . fortunato volumetto intitolato Interpretazioni storiche della fomiglia (Rosenberg & Sellier, Torino, 1982), ha parlato di «approccio dei sentimenti» a pro­ posito di tutto un filone di studi volto a indagare i rapporti d'autorità e di affetto tra marito e moglie e tra genitori e figli, o anche tra padroni e servi. Molta fortuna ha avuto la tesi di Philippe Ariès, autore di una celebre opera su Padri e figli nell'Europa medievale e moderna (Laterza, Bari, 1 968), secondo la quale l'amore coniugale e la considerazione dell'infanzia come una fàse della vita avente caratteri propri e proprie esigenze, diverse da quelle degli adulti, non esistevano prima dell'età moderna e furo­ no il portato di una serie di circostanze nuove, tra cui la cultura umanistica e la scola­ rizzazione. Ma anche questa interpretazione, basata soprattutto su fonti iconografiche e letterarie, ha prestato il fianco a molte critiche: un forte investimento affettivo dei padri nei confronti dei figli (in particolare dei figli maschi) è emerso per esempio dai «libri di famiglia)) dei mercanti toscani del Due-Trecento, e anche per quanto riguarda il legame tra gli sposi il quadro si presenta oggi molto più sfaccettato e problematico. Per la Gran Bretagna un punto di riferimento o rmai classico è il grande libro di Lawrence Stone, Famiglia, sesso e matrimonio in lnghilten-a fin Cinque e Ottocento (Einaudi, Torino, 1 983), che distingue tre tipi di aggregato domestico che si sarebbe­ ro succeduti, in parte accavallandosi, in questo lungo periodo: la «famiglia a lignaggio aperto» ( 1 450- 1 630), caratterizzata dal formalismo e dalla freddezza dei rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli, dall'importanza attribuita al casato e dal controllo del parentado e della comunità sulla vita &miliare; la «famiglia nucleare patriarcale ristret­ ta>> ( 1 550-1 700), dove all'accentuazione dell'autorità del pater fomilias, riflesso del potere assoluto del monarca sulla società, si accompagnano lo sviluppo di legan1i affet­ tivi tra i coniugi e il grande risalto dato all'educazione cristiana e al disciplinamento della prole, anche per influsso della Riforma protestante; infine la «fàmiglia nucleare domestica chiusa» ( 1 620- 1 800) , il cui tratto distintivo è «l' individualismo affettiva>>, che si esprime nell'attenuarsi del divario gerarchico e in una nuova tenerezza sia tra il marito e la moglie, sie tra questi e i loro figli. Lo studioso americano Edward Shorter (Famiglia e civiltà, Rizwli, Milano, 1 978) sposta al tardo Settecento e all'Ottocento l a trasformazione delle relazioni familiari, che comporta d a u n lato l'erotizzazione dd rapporto di coppia, dall'altro la crescita dell'amore materno, e collega tali sviluppi con l'industrializzazione e il trionfo dei rapporti di produzione capitalistici. Si tratta, come si vede, di tesi suggestive, ma difficili da dimoStrare e soprattutto da applicare all'in­ sieme della società, data l'esistenza di diversi livelli di ricchezza e di cultura, di diverse tradizioni e forme di sensibilità. Analoga perplessità suscitano i recenti tentativi di applicare alle società europee d'antico regime i modelli e i metodi elaborati dagli antropologi per lo studio dei popoli primitivi, per quanto riguarda soprattutto i rap­ porti di parentela esterni all'aggregato domestico, le strategie matrimoniali, lo scambio delle donne come mezw per rinsaldare alleanze tra gruppi parentali, ecc. Ma proprio in questa problematicità e ricchezza di angoli visuali risiede il fascino della storia della famiglia, oggi più che mai al centro della storia della società.

L economia dell' Europa preindustriale 2

r

L agricoltura: risposta estensiva e risposta intensiva

L: agricoltura europea aveva compiuto nei secoli dopo il Mille notevoli progres­ si, che avevano consentito in particolare di sottoporre a coltura i terreni umidi e argil­ losi delle aree centro-settentrionali del vecchio continente: tra le innova zioni più importanti si possono ricordare l'aratro pesante, dotato di avantreno, di coltro e di versoio, la ferratura degli wccoli dei cavalli e la loro bardatura con collari fatti in modo da evitare la pressione sulla gola e quindi permettere uno sforw maggiore, la larga diffusione della rota zione triennale (un anno a frumento o segale, un anno a orzo o avena, un anno a riposo) . Nei Paesi mediterranei la scarsità di piogge e la natu­ ra friabile dei terreni ostacolarono però l'applicazione di queste tecniche: qui rimase­ ro imperanti la rota zione biennale, che lasciava la terra a riposo un anno su due, e l'aratro leggero, privo di ruote; in compenso assai maggiore rilievo vi ebbero le col­ ture arboree, dall'olivo alla vite agli alberi da frutta. Nei tre secoli compresi tra il 1450 e il 1 750 l'organizza zione produttiva nelle campagne non registrò grandi mutamenti, salvo che in aree limitate sulle quali si ritornerà più avanti. Lincremento demografico del > con la distinzione tra >, o dello Stato dell'Ottocento, in cui il potere appare più concentrato e più «autonomo». Esse sono viceversa caratteriz­ zate da un forte pluralismo di corpi, ceti e centri politici all'interno dello Stato stesso, titolari ognuno di autorità e di po teri

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Sono Stati, infatti, che anno­

verano fra i loro elementi costirutivi non solo il governo del principe, gli offìci, le magistrature, ma anche i corpi territoriali, i ceti, gli ordini privilegiati

città,

comunità, nobili, feudatari, ecclesiastici: onde la possibile interpretazione di que­ sti assetò statali in termini di dualismo, o di «Stato per ceti>>.

Stiindestaat, o Stato per ceti, è il termine solitamente impiegato per defin ire quelle formazioni politiche, configuratesi nel XIII e XIV secolo, in cui all'autorità del principe si contrappongono assemblee dette variamente diete, stati generali, cortes, parlamenti, ecc., composte per lo più di tre camere rappresentanti il clero, la nobiltà e le città, ma talvolta di due (per esempio in Inghilterra, dove gli arcivescovi e vesco­ vi siedono insieme ai nobili titolari nella Camera dei Lord) oppure di quattro, !adda­ ve (come in gran patte della Germania e delle province asburgiche) magnati e cava­ lieri formano due curie separare. Se in Castiglia e nel Regno di Francia queste assem­ blee cessano di adunarsi o tendono ad atrofizzarsi, nell'Europa centro-orientale con­ tinuano a funzionare fino al XVIII secolo, riunendosi con cadenza annuale o perio­ dica per votare le imposte chieste dal sovrano e deciderne il riparto e la riscossione, spesso affidati a loro deputazioni permanenti. Ma solo in Inghilterra e in Svezia i par­ lamenti riuscirono a trasformarsi tra il XVII e il XIX secolo da istanze cetuali in vere rappresentanze nazionali. Anche dove non esistevano parlamenti, come in gran patte dell'Italia centro-settentrionale, non si può parlare di un rapporto diretto tra principe e sudditi, ma di un rapporto mediato da corpi tra i quali un peso dominante hanno le città: il Granducato di Toscana (ma lo stesso si potrebbe ripetere per lo Stato di Milano o per la Repubblica Veneta) si presenta ancora nel Cinque-Seicento come «uno Stato di città, formatosi per aggregazioni progressive delle une alle altre e costi­ tuente quindi un mosaico di ordinamenti minori tenuti insieme da una fitta trama di vincoli pattizi» (L. Mannari, IL sovrano tutore. PLuraLismo istituzionale e accentra­ mento amministrativo nel Principato dei Medici (secc. XVI-XVIII), Giuffrè, Milano, 1994, p. 21). A simili formazioni territoriali mal si addice la definizione di «Stato modernO>> un tempo corrente nella storiografìa: meglio parlare di Stati rinascimenta­ li, o di Stati d'antico regime, o di «monarchie composite», come pure è stato propo­ sto. Maggiore cautela si impone anche nel ricorso ai termini di «monarchia > e «assolutismo», accettabili come indicazioni di un programma che però, come si vedrà a proposito della stessa Francia di Luigi XIV, deve scendere a patti nell' attuazio­ ne con il mantenimento e anzi il rafforzamento dei privilegi di territori e di corpi. Alcuni passi in direzione dello Stato moderno sono indubbiamente compiuti dai «despoti illuminati» del XVIII secolo, ma fu solcanto la Rivoluzione francese a &re

Le forme di organizzazione del potere

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piazza pulita delle istituzioni d'antico regime e a sgombrare il campo per l'erezione di un edificio politico interamente nuovo. Un'ultima questione conviene affrontare in questa sezione: è lecito parlare di (i re di Spagna), «defensor fìdei» (titolo concesso a Enrico VIII Tudor prima del suo distacco da Roma). Ancor più stretta fu l'associazione della religione con la suprema autorità politica nella Russia orto­ dossa, erede della tradizione cesaropapista dell'Impero bizantino. La simbiosi tra auto­ rità religiosa e potere secolare rimase salda anche dopo la Riforma protestante, anzi si trasformò in una vera e propria subordinazione della Chiesa allo Stato nei principati tedeschi e nei regni scandinavi, dove si affermò la dottrina luterana. La teorizzazione del diritto di resistenza al tiranno (identificato con l'oppressore della vera fede) da parte dei monarcomachi calvinisti, ma anche di vari esponenti della tarda scolastica spagnola Quan de Mariana, Francisco Suarez) , poggiava anch'essa sul presupposto dell'insepara­ bilità dei due poteri, religioso e civile, anche se certamente contribuì all'affermazione delle dottrine che riponevano nel popolo l'origine della sovranità delegata al monarca. La laicizzazione machiavelliana della politica, la raffigurazione dello Stato come un fine in sé, non poteva trovare accoglienza favorevole in un'Europa trasformata in

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La lunga durata

campo di battaglia tra fedi contrapposte. La responsabilità del monarca di fronte a Dio è, come si è visto, uno dei presupposti fondamentali della teoria dello Stato di Bodin. Anche i trattatisti italiani della ragion di Stato, pur derivando da Machiavdli molti pre­ cetti pratici, ne respingevano la spregiudicata affermazione dell'autonomia dell'agire politico. Fu solo nel XVII secolo, in cui pure la teorizzazione del diritto divino dei re raggiunse il culmine con opere come La politica tratta dalle parole stesse del/d Sacra Scrittura di Bossuet (1 679) o il Patriarca di Filmer ( 1 68 1 ) , che i fondamenti religiosi della sovranità cominciarono a vacillare, ad opera soprattutto degli sviluppi della dot­ trina contrattualista, poggiante a sua volta sul postulato dell'esistenza di un diritto di natura universale, autorevolmente riaffermata da Ugo Grozio nel De iure belli ac pacis (1625). Di queste leggi naturali cui tutti gli uomini sono soggetti, indipendentemente dallo loro fede e dalla loro nazionalità, faceva parte il principio che un obbligo, per essere davvero vincolante, deve essere stato liberamente assunto dalle parti contraenti. Il passaggio dall'originario stato di natura alla vita associata, in cui gli uomini si rico­ noscono reciprocamente diritti e doveri, deve essere avvenuto sulla base di un patto comune (pactum societatis), c la stessa origine contrattuale deve avere la delega dei pote­ ri a un monarca (pactum subjectionis). In base a queste premesse era possibile sia giu­ stificare l'autorità assoluta del monarca, sia postularc l'esistenza di limiti e vincoli alla sua volontà, a seconda che la delega dei poteri fosse vista come totale o parziale. Nella prima direzione la voce più influente c innovatrice fu quella dell'inglese Thomas Hobbes, autore del Levuuano ( 1 65 1) . Lo Stato di natura si configura per lui come una guerra incessante di tutti contro tutti: l'uomo di Hobbes è infatti un essere essenzial­ mente amorale, dominato dalla ricerca del proprio piacere e tornaconto. Per uscire da questa condizione di precari età e di pericolo, l'unica strada è la stipulazione di un pat­ to generale che comporti la rinuncia a rutti i diritti a favore di un potere supremo, in grado di cosuingere tutti all'osservanza delle leggi da esso stesso promulgate. Più che la teorizzazione del potere assoluto, furono gli argomenti addotti per giustificarlo a impressionare e sconcertare i contemporanei e i posteri: si trattava infatti di una visione rigorosamente materialistica e utilitaristica, che escludeva del tutto la tradizionale legit­ timazione del potere in termini religiosi. Una simile totale soggezione degli individui alla volontà del monarca era inconcepibile per il filosofo olandese, ma di origine ebrai­ ca, Baruch Spinoza (1 632-1677), che nel suo Trattato teoLogico-politico (1 670) interpre­ tava la concessione del monopolio della forza al monarca come una garanzia per il godi­ mento della tranquillità e della libertà di coscienza. Ma chi impresse alla teoria del con­ tratto una decisiva svolta in senso liberale fu l'inglese John Locke (1 632- 1704). Nei Due trattati sul governo, pubblicati nel 1 690, egli argomentò che i diritti alla vita, alla libertà e alla proprietà privata sono anteriori al costituirsi della società; la loro tutela deve essere quindi l'obiettivo principale del contratto che i sudditi stipulano con il sovrano; il riconoscimento del potere legislativo ed esecutivo al monarca è condiziona­ to al rispetto di questi diritti, e in caso di trasgressione i sudditi hanno il diritto di sol­ levarsi e deporre il sovrano (come era avvenuto nella rivoluzione inglese del 1 688-89). Nel XVIII secolo la più originale reinterprerazionc del contratto sociale, questa volta in senso decisamente democratico, fì.t dovuta al ginevrino Jean-Jacques Rousseau,

Le forme di organizzazione del potere

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il cui pensiero verrà esaminato nel quadro del capitolo 1 8 , dedicato all'Illuminismo. Ma più larga influenza ebbero altre correnti, in primo luogo la teorizzazione della monarchia temperata di modello inglese, ad opera soprattutto di Montesquieu, e l'esaltazione del dispotismo illuminato, da parte di Voltaire e della scuola fisiocratica tra gli altri. La concentrazione di tutti i poteri nelle mani di un monarca saggio e illu­ minato si giustificava con l'esigenza di combattere i particolarismi e i privilegi di terri­ tori e di ceti: solo chi sta al di sopra di tutti, si sosteneva, può avere una chiara visione degli interessi generali e agire efficacemente per il pubblico bene. Piuttosto che l'unto del Signore, il sovrano appare in quest'ottica il primo servitore dello Stato, definizione che sia Federico II sia Giuseppe II applicarono a se stessi. Il crollo delle istituzioni d'antico regime in Francia fu seguito da una serie di esperimenti politici (la monarchia costituzionale, la repubblica giacobina, il Direttorio, la monarchia amministrativa napoleonica) che si rifacevano comunque tutti, almeno formalmente, ai princìpi ormai acquisiti della sovranità popolare e della distinzione tra i poteri legislativo, esecutivo, giudiziario. Su queste basi poggeranno nel XIX seco­ lo i fondamenti del moderno Stato di diritto. 3

Funzioni e articolazioni del potere statale

Dobbiamo innanzi tutto chiederci quali fossero i poteri dello Stato nei secoli che ci interessano. Viene spontaneo a noi proiettare all'indietro l'immagine della pubblica autorità che ci è familiare, e includere tra le sue attribuzioni materie come la polizia, l'istruzione, la sanità, l'assistenza, la regolamentazione del lavoro. Ma nella società d'antico regime tali compiti erano svolti dalle comunità locali, dalle Chiese, dalle famiglie o dalle associazioni professionali. Ai governi, fossero essi di natura monarchica o aristocratica, erano riconosciuti il diritto-dovere della difesa del terri­ torio e quello del mantenimento dell'ordine e della pace al suo interno: il primo coincideva con gli strumenti della diplomazia e della guerra, il secondo era concepi­ to soprattutto come amministrazione della giustizia, cioè come composizione delle vertenze che potevano nascere tra i singoli o tra i gruppi, in modo da evitare il ricor­ so alla violenza privata. Come esempio di questa tendenza al monopolio della vio­ lenza legale, che secondo Max Weber è uno dei caratteri fondamentali dello Stato postfeudale, si può ricordare la dura lotta ingaggiata da Richelieu in Francia contro i duelli, che la mentalità aristocratica considerava come uno strumento indispensa­ bile per la tutela dell'onore. Il luogo dove la potenza del re si rende più manifesta è la corte, un tema sul quale la storiografia recente ha molto indugiato. > sarebbe stato subordinato all' appro­ vazione annuale della Dieta. Il sistema, in realtà, si dimostrò incapace di funzionare e il soldo comune cessò ben presto di essere pagato. Un certo accentramento del pote­ re fu conseguito solo negli Stati ereditari asburgici, con la creazione di un Consiglio aulico (Hofrat) e di una Camera aulica per l'amministrazione delle finanze. Con queste premesse, la volontà di Massimìliano di opporsi alle mire italiane dei re di Francia (motivata anche dalle sue seconde nozze con Bianca Maria S forza, figlia di Ludovico il Moro) rimase puramente velleitaria, e il suo tentativo di ridurre all'obbedienza i cantoni elvetici naufragò nel 1499 con la disfàtta di Dornach, pres­ so Basilea, che segnò l'inizio dell'effettiva indipendenza della Svizzera dall'Impero.

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La prima fase delle guerre d'Italia

( 1 494- 1 5 1 6)

In Italia l'equilibrio sancito dalla pace di Lodi ( 1 454} durò sostanzialmente fino all'ultimo decennio del secolo. Nel 1 492 scomparvero due dei protagonisti di quella fase politica: papa Innocenw VIII, cui succedette lo spagnolo Rodrigo Borgia col nome di Alessandro VI ( 1 492- 1 503), uomo di vita scandalosa la cui maggiore preoccupazio­ ne fu quella di ingrandire la propria famiglia, e Lorenw de' Medici, considerato per la sua abilità e il suo prestigio i'«ago della bilancia)) dell'equilibrio italiano. La stabilirà del­ la penisola era inoltre minacciata dalle mire espansionistiche di Venezia e dalle ambi­ zioni del signore di Milano Ludovico Sform (detto il Moro) , che puntava a consolida­ re il potere usurpato al nipote Gian Galeazw. Pur di raggiungere i propri fin i, sia Venezia, sia Ludovico Sforza o il pontefice erano pronti a invoc:.ue l'aiuto di potenze straniere, come d'altronde era spesso accaduto in passato. Lerrore che si può imputare loro, più che quello di avere anteposto il proprio particolare tornaconto a un interesse nazionale allora sentito solo da pochi letterari, come Machiavelli e Guicciardini, è quel­ lo di non aver tenuto sufficiente conto della propria fragilità interna e di aver sottova­ lutato le nuove dimensioni politico-militari delle monarchie di Francia e di Spagna. Il re di Francia Carlo VIII intendeva far valere sul Regno di Napoli i diritti che gli derivavano dalla discendenza angioina, e per preparare le condizioni internazio­ nali favorevoli all'impresa aveva firmato nel 1493 la pace di Senlis con l'Impero e aveva ceduto alla Spagna alcune province di confine. Incoraggiamenti e aiuti gli ven­ nero anche da Venezia e da Milano, per morivi diversi desiderosi di vedere umiliato Ferrante d'Aragona, il re di Napoli ( 1 458- 1 494). Nell'agosto 1 494 Carlo passò le Alpi con un forre esercito, di cui facevano par­ te 5000 mercenari svizzeri, oltre a un parco di artiglieria del quale non si era mai visto l'uguale in Italia. Nel febbraio 1495, quasi senza incontrare resistenza, Carlo entrò a Napoli, accolto come un liberatore dai nobili, che pochi anni prima si erano solleva-

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Gli avvenimenti e i problemi

ti contro l'Aragonese. Solo allora gli Stati italiani si resero conto del comune perico­ lo: a fine marw venne stipulata a Venezia una Lega che comprendeva, oltre alla Serenissima, Milano, Firenze, lo Stato pontificio, la Spagna e l'Impero. Nel maggio 1 495 Carlo VIII, lasciati nel Regno di Napoli alcuni presidi, prese la via del ritorno; l'esercito della Lega, costituito per il grosso da truppe al servizio di Venezia, cercò invano di chiudergli il passo in uno scontro che si svolse presso Fornovo (6 luglio). Intanto Ferdinando II d'Aragona (1495- 1496), nipote di Ferrante, riusciva a ricuperare il regno con l'appoggio degli spagnoli e dei veneziani. Limpresa di Carlo VIII si chiudeva con un nulla di fatto; ma aveva comunque mostrato la fragilità dell'assetto politico italiano e aperto la via a successive invasioni. I contraccolpi dell'impresa furono sensibili soprattutto in Toscana, dove Piero de' Medici, l'inetto successore di Lorenzo il Magnifico, era stato cacciato dai fioren­ tini sdegnati per la sua condiscendenza alle richieste di Carlo VIII. Pisa, imitata da altre città suddire, si rifiutò di tornare sotto il dominio fiorentino e difenderà osti-

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Austria

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�Bem!vent& ·(stll't�.ilea: dovunque strinse relazione con i circoli colti e si acquistò un prestigio ineguagliato per la sua conoscenza dci classici e per l'eleganza del suo stile latino. Tra le sue opere più celebri sono l'Encomium moriae (Elogio della pazzia) e i CoLloquia (Dialoghi), opere satiriche i cui bersagli principali sono la pedanteria, l'intolleranza, il fanatismo, le a.musità teologiche, gli eccessi di devozione, le superstizioni, il fratismo, le ipocri­ sie di una religione tutta esteriore. Nell'Enchiridion miLitis christiani (Manuale del soldato cristiano) e nella lnstitutio principis christiani (Educazione del principe cristia­ no) Erasmo delineò il quadro di una morale che conciliava le influenze del mondo classico con l'insegnamento di Cristo, rivissuto nel suo spirito interiore c liberato dal­ le credenze superstiziose e dai riti fini a se stessi.

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GLi avvenimenti e i probLemi

Ma forse il contributo maggiore di Erasmo a questo ritorno alle fonti del cri­ stianesimo fu la sua edizione critica del testo greco e latino del Nuovo Testamento ( 1 5 1 6) , che servirà a Lutero per la sua traduzione della Bibbia in tedesco. Il cristia­ nesimo di Erasmo era tuttavia un ideale di vita pratica piuttosto che un insieme di dogmi, e per questo egli non volle mai separarsi dalla Chiesa cattolica. Eppure le sue opere verranno messe all'Indice dalla Chiesa di Roma: nel clima della Controriforma non vi sarà più posto per la sua proposta di un cristianesimo ragionevole, di una riforma religiosa e morale ispirata al Vangelo. L eredità erasmiana rivivrà semmai nel­ la cul tura europea del tardo Seicento e del Settecento, quando i conflitti religiosi avranno perso la loro asprezza e la voce della ragione tornerà a farsi sentire più forte di quella della fede.

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La Riforma luterana

Martino Lmero (Martin Luther) era figlio di un piccolo imprenditore minera­ rio ed era nato nel 1483 ad Eisleben, cittadina della Turingia, una regione imerna della Germania dove dominava una religiosità ancora medievale, coi suoi toni cupi e i suoi terrori del diavolo e del peccato. Lutero fu inviato a scuola prima a Mansfeld, dove la sua famiglia si era trasferita, poi a Magdeburgo. Nel 1 50 l si iscrisse alla facol­ tà di Giurisprudenza dell'Università di Erfurt. Ma nel luglio 1 5 05, improvvisamente, Lutero scelse di farsi monaco. La deci­ sione verrà da lui stesso attribuita a un voto fatto durante un temporale, quando un fulmine cadde a pochi passi da lui, ma in realtà dovette essere l'effetto di una più profonda crisi interiore. Ciò che lo tormentava era la sensazione della propria inade­ guatezza di fronte ai comandamenti divini, la paura del peccato e della dannazione eterna. «Non potevo amare il Dio giusto che punisce il peccatore - dirà in uno scrit­ tO autobiografico anzi lo odiavo. [ . . . ] Ero pieno di malevolenza verso Dio». Ordinato sacerdote ncl l 5 0ì, Lmero cercò la risposta ai propri dubbi negli stu­ di teologici: conseguito il grado di dottore, assunse a partire dal l 5 1 3 l'insegnamen­ to teologico a Wittenberg, in Sassonia. Nel 1 5 1 5- 1 5 1 6 tenne un corso suii'Epistokt ai Romani di san Paolo, e fu proprio l'interp retazione di un passo del tesro paolina a fornirgli la chiave per la soluzione dell'angoscioso problema della salvezza. «Meditai giorno e notte senza requie - ricorderà Lutero finché non feci attenzione al nesso delle parole, e cioè: la giustizia di Dio è rivelata nel Vangelo, secondo come sta scrit­ ro: 'Il giusto vivrà di fede'. [ . . . ] E notai che la cosa va intesa così: con il Vangelo è rivelata la giustizia di Dio, vale a dire la cosiddetta giustizia 'passiva', quella cioè che riceviamo e attraverso cui Dio per sua grazia e misericordia ci rende giusti tranlite la fede. [ . . . ] M i sentii allora completamente rinascere: mi si erano spalancate le porte, ero entrato in paradiso». La giustizia divina, in sostanza, andava intesa non come giudizio e punizione, ma come giusti ficazione, come il dono della grazia offerto, mediante il sacrificio di Cristo, al peccatore che riconosca la propria indegnità e si affidi alla sua misericor-

I nuo1JÌ orizzonti spirituali:

Rinascimento e Riforma

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dia. Anche secondo la tradizionale visione della Chiesa la grazia era indispensabile, ma l'uomo poteva meritarsela con le buone opere e così contribuire alla propria sal­ vezza. Invece per Lutero la natura umana è intrinsecamente malvagia, corrotta dal peccato originale, c nulla può fare da sé. Il giusto (nel senso di «giustificato») farà naturalmente il bene, per amore di Dio e del prossimo, ma ciò sarà una semplice conseguenza e non una causa del suo stato di grazia. Questo accento esclusivo posto sulla fede e questo pessimismo sulla natura umana saranno ribaditi da Lutero nel De servo arbitrio (Sulla schiavitù della volontà) in polemica con Erasmo da Rottetdam, autore del De libero arbitrio (Sul libero arbitrio) che sosteneva la vali­ dità dell'iniziativa umana. Alla luce di questa scoperta, tutta la Sacra Scrittura acquistava un nuovo signi­ ficno; doveva essere letta e spiegata senza tenere alcun conto delle interpretazioni ufficiali . Sola Scriptura (con la sola Scrittura) era l'altro grande principio che nella teologia lurcrana si aggiungeva a sola fide (con la sola fede): «un semplice laico arma­ to della Bibbia deve essere creduto più del papa o del concilio che ne siano privi». l:autorità esclusiva attribuita alla Rivelazione contenuta nei testi sacri cancellava di colpo il magistero della Chiesa in materia teologica, così come la dottrina della giu­ scitìcazione per fede ne annullava la funzione di intermediaria fra l'uomo e Dio. D'altro canto, era negata su tale base la possibilità di scorciatoie mistiche, di ogni illuminazione diretta dci credenti da parte dello Spirito Santo: sarà questo uno dei motivi fondamentali di contrasto tra Lurero e le correnti più radicali della Riforma. Dei sette sacramenti tradizionalmente ammessi dalla Chiesa, solo due si salva­ vano dalla rilcttura !merana dei testi sacri: il battesimo, come cerimonia di iniziazio­ nc alla vita cristiana, e l'eucarestia, che vede la presenza reale del Cristo nel pane e nel vino offerto ai fedeli. Di particolare rilievo era la soppressione del sacramento dell'Ordine: ne conseguiva il sacerdozio universale dei laici, l'idea cioè che chiunque potesse essere chiamato a celebrare le funzioni religiose. Era una negaz.ione ulteriore del ruolo della Chiesa come corpo separato dalla società, come istituzione divina distinta dalla semplice comunità dei cristiani. Tanto meno giustificabili erano i voti monastici: Lurero stesso alla metà degli anni Venti abbandonerà la vita claustrale c s i sposerà con una ex monaca. Naturalmente questo insieme di convinzioni non fu elaborato da Lurero tutto in una volta. La rottura con Roma avvenne per 'strappi' successivi e si consumò in un contesto politico-sociale di cui occorrerà ora esaminare le linee principali.

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La rottura con Roma e le ripercussioni in Germania

La vicenda che indusse Lutero a venire per la prima volta allo scoperto è assai indicativa del tipo di preoccupazioni che all'inizio del Cinquecento dominavano le istituzioni ecclesiastiche. Alberto di Hohenzollern, fratello del margravio di Brande­ burgo e già titolare di due vescovati, aspirava a diventare anche arcivescovo di Magonza. Papa Leone X accettò d i conferirgli la nomina dietro pagamento di

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Gli at'l'enimenti e i problemi

1 0.000 ducati per la dispensa dalla norma del diritto canonico che vietava il cumulo di cariche. Per metterlo in grado di raccogliere l'ingente somma, il pontefice gli con­ cesse l'appalto di una vendita di indulgenze, bandita in tutta la Germania allo scopo di finanziare la costruzione della basilica di San Pietro: metà del ricavato sarebbe rimasta ad Alberto, l'altra metà sarebbe toccata alla Camera apostolica. La teoria delle indulgeme era basata sul presupposto dell'esistenza di un tesoro di meriti accumulati dalla Vergine e dai santi, al quale la Chiesa poteva attingere per rimettere le pene ai peccatori pentiti e anche, secondo alcuni, per abbreviare le pene del Purgarorio. Ma i predicatori ingaggiati da Alberto non andavano tanto per il sot­ tile e giungevano a promettere il Paradiso a chiunque si fosse mostrato prodigo del proprio denaro. Il 3 1 ottobre 1 5 1 7 Lurero inviò ad Alberto di Hohenwllern 95 tesi, che secondo la tradizione affisse anche alla porta della chiesa del castello di Wit­ tenberg. Non solo vi era srigmatizzato il rraHìco delle indulgenze, ma vi era negata la facoltà del pontefice di rimettere le pene, al di fuori di quelle da lui stesso inflitte. All'insaputa del proponente, che aveva inteso solo avviare un dibattito accademico, le tesi furono stampate e riscossero grande successo in tutta la Germania, segno dell'esasperazione ormai suscitata dalla rapacità della Chiesa. A Roma si tardò a prendere coscienza dd pericolo. Solo nel giugno 1 5 20 fu emanata da Leone X la bolla Exsurge Domine (Lèvati, o Signore), che lasciava a Intero sessanta giorni per ritrattare prima che contro di lui fosse scagliata la scomu­ nica. Per tutta risposta, alla fine dell'anno Lutero bruciò pubblicamente la bolla insie­ me ai libri del diritto canonico. Nella seconda metà del 1 5 20 erano apparsi alcuni dei suoi scritti più imporranti: un appello Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca perché prendesse nelle sue mani la riforma della Chiesa; La cattività babikmm, una veemente requisitoria contro le falsità propagate dalla Chiesa di Roma, e in partico­ lare contro la dottrina dei sacramenti; La libertà del cristiano, un'appassionata espo­ sizione della teoria della giustificazione per fede. La scomunica giunse nei primi giorni del 1 52 1 . Ma il nuovo imperatore Carlo V, eletto nel giugno 1 5 19, aveva promesso a Federico il Saggio, elettore di Sassonia e protettore di Lurero, che avrebbe consentito a quest'ultimo di giustificar­ si alla sua presenza. IL memorabile incontro avvenne alla Dieta imperiale di Worms nei giorni 1 7 e 1 8 aprile 1 5 2 1 . Invitato dal delegato papale a riconoscere i propri errori, Lutero rispose come segue: «A meno che io non sia convinto con la Scrittura e con chiari ragionamenti - poiché no n accerto l'autorità di papi e di concili che si sono contraddetti l'un l'altro - la mia coscienza è vincolata alla parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né salutare andare contro la coscienza. Iddio mi aiuti. Amen». Non meno netta la presa di posizione del giovane imperatore. Leditto di Worms, promulgato qualche settimana più tardi, dichiarava Lutero al bando dell'Impero, il che significava che chiunque avrebbe potuto ucciderlo impunemente; ma già un drappello di cavalieri inviato dall'elettore di Sassonia lo aveva messo in sal­ vo nel castello della Warrburg, dove Lutero attese per circa un anno alla traduzione in tedesco del Nuovo Testamento e alla stesura di altri scritti.

l nuovi orizzonti spirituali: Rinascìmento

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Rijòrrna

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Frattanto la battaglia di Lutcro aveva suscitato in rutta la Germania una im mensa eco. Si calcola che dei suoi scritti fra il l 5 1 7 e il l 520 fossero state stam­ pate 300. 000 copie, in un'epoca in cui il numero dei tedeschi capaci di leggere non superava il mezzo milione. E dove non arrivava la parola scrirra, arrivavano le illustrazioni e le xilografìe, nonché la predicazionc dei numerosi ecclesiastici con­ vertiti che dipingevano il papa come l'Anticristo, la Chiesa di Roma come una meretrice, Lutero come il santo c il profeta inviato da Dio per suscitare un grande cambiamento nell'umanità, per introdurre quella «età dello spirito» che avrebbe preceduto la fìne del mondo. Cerro non rutti erano in grado di apprezzare le sottigliezze teologiche di Lutero, ma il suo messaggio toccava una corda profonda, faceva appello a un anticlericalismo diffuso in tutti i ceti e a un nascente nazionalismo germanico; e vasti consensi susci­ tava il richiamo al Vangelo come unica norma di vita, modello supremo di perfezio­ ne cristiana. Naturalmente, il messaggio !merano si colorava diversamente a seconda dei ceti e degli ambienti sociali nei quali penetrava. Molti principi territoriali, a cominciare dagli elettori di Sassonia e del Palatinato e dal langravio Filippo d'Assia, colsero l'oc­ casione per mettere le mani sugli estesi beni della Chiesa e per raHàrzarc la propria posizione nei confronti dell'autorità i mperiale. Un caso significativo fu quello dì Alberto di Brandeburgo, gran maestro dell'Ordine Teutonico, nella Prussia orientale, che nel 1 525 decise di sccolarizzare i beni dell'Ordine e di assumere il titolo di duca di Prussia, sotto la sovranità nominale del re di Polonia. I cosiddetti «cavalieri", piccoli feudatari la cui tradizione militare era messa in crisi dall'avvento dei mercenari c dci cannoni, c le cui entrare subivano i contraccol­ pi dell'ascesa dci prezzi, vedevano al contrario nella Riforma !merana la leva per una generale rivolta contro Roma e per una affermazione dell'idea nazionale tedesca su tutti i particolarismi. Nelle città, e soprattutto nelle città imperiali, l'iniziativa delle riforme liturgiche, dell'abol izione di conventi c monasteri c della nomina di ministri del culto di fede luterana fu per lo più assunta dai consigli mu nicipali e dalle corpo­ razioni artigiane e contribuì al rafforzamento di uno spirito di indipendenza c di una tradizione di autogoverno tipici di questi centri.

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Le correnti radicali della Riforma. La guerra dei contadini

Nelle campagne furono soprattutto i motivi evangelici dell'uguaglianza tra gli uomini e della polemica contro i ricchi e i grandi della terra a fare colpo e a raffor­ zare il movimento, che era già da tempo in atto, di resistenza contro i gravami feu­ dali e di difesa dell'autonomia delle comunità di villaggio. Fin dal 1 520 alcuni segua­ ci di Lutero cominciarono ad aizzare le folle non solo contro il clero e le istituzioni romane, ma anche contro tutte le ingius[izie e tutte le forme di oppressione: riforma religiosa e riforma sociale erano infatti strettamente congiunte per questi predicatori, che si proponevano di instaurare sulla terra il regno di Dio, basato sulla fratellanza e

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Gli avvenimenti e i problemi

sui princìpi del Vangelo. Molti di loro, inoltre, erano convinti che Dio non avesse parlato agli uomini una volta per tutte nella Bibbia, ma continuas�e a rivelarsi agli spiriti eletti attraverso l'illuminazione interiore. Tra questi era Thomas Miintzer ( 1 48 8 ca.- 1 525), un parroco visionario che, dopo aver peregrinato da una città all'al­ tra, si stabilì a Miihlhausen, in Turingia; qui nella primavera del 1 525 si pose alla testa di una sollevazione popolare che diede vita a un governo cittadino basato sull'uguaglianza universale e sulla comunione dei beni. Già da parecchi mesi, ormai, infuriava in varie regioni della Germania la guer­ ra dei contadini. Dai focolai iniziali, accesi nel 1 524 in Svevia e lungo il Reno, la rivolta dilagò rapidamente verso nord fino alla Turingia e alla Sassonia, c verso est fino alla Carinzia e al Tirolo. Gli insorti non erano spinti tanto dalla miseria (era dif­ fusa in quelle regioni la piccola e media proprietà contadina), quanto dalla volontà di ristabilire cofltro le rccemi usurpazioni dei signori (in molti casi ecclesiastici) che tendevano ad accrescere i prelievi feudali e a impadronirsi dei beni comunali, di difendere l'autonomia della comunità di villaggio, di realizzare la mora­ le evangelica. Il carattere in fondo moderato delle loro rivendicazioni economiche, ma anche il loro utopismo e millenarismo religioso trovano conferma nei 12 artico­ li pubblicati nel fèbbraio 1 525 a Memmingen e fàtti propri da gran parte del movi­ mento. Alla sollevazione presero parte, spesso con parole d'ordine più radicali, anche gli strati inferiori di molte città. Le violenze e i saccheggi perpetrati dai rivoltosi e il pericolo di un sovvertimen­ to delle gerarchie sociali indussero i principi, i prelati, la nobiltà e i ceti urbani supe­ riori a serrare le file e ad armarsi per stroncare il movimento, indebolim dalla man­ canza di unità delle bande contadine, che operavano ciascuna nel proprio territorio. Decisiva fu la sconfitta subita dagli insorti a Frankenhausen, in Turingia, il 1 5 mag­ gio 1 52 5 ; Thomas Miintzer, che aveva preso parte alla battaglia, ven ne catturato e messo a morte dopo atroci torture. La repressione fu durissima. Almeno centomila, secondo i calcoli più attendi­ bili, furono i contadini e i popolani massacrati durante e dopo gli scontri. Lo stesso Lutero, in uno scritto pubblicato nel maggio 1 52 5 e intitolato Contro le bande bri­ gantesche e assassine dei contadini, aveva esortato i principi e i signori e > era stato il potente primo segretario di Enrico VIII, Thomas Cromwell, a cui si dovettero anche il riordinamento del Consiglio privato della corona e il rafforzamento dell'apparato amministrativo. Caduto in disgrazia, Cromwell fu accusato di tradimento e giustiziato nel 1 540 (la stessa sorte toccò ad Anna Bolena, la seconda delle sei mogli di Enrico VIII) . Negli ultimi anni del suo regno Enrico VIII tornò a sperperare enormi somme nelle costo­ se e inutili avventure militari sul continente europeo, compromettendo così quello sforzo di costruzione di un assolutismo Tudor di cui lo scisma anglicano era stato la manifestazione più importante.

I nuovi orìzzollti. spirituali: Rinascimento e

Riforma

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Dal punto di vista religioso, la vera riforma ebbe luogo durante il breve regno di Edoardo VI ( 1 547- 1 5 53) , nato dalla terza moglie di Enrico VIII , Jane Seymour. La dottrina calvinista si difFUse allora largamente in Inghilterra e ispirò la redazione di un Libro di preghiere comuni e la formulazione dei Quarantadue articoli difede. Invano Maria Tudor ( 1 5 53- 1 5 5 8), che succedette a Edoardo e sposò i l re di Spagna Filippo II, si sforzò di riportare l'Inghilterra alla fede cattolica con numerose condanne a morte inflitte ai protestanti, che le meritarono il soprannome di Maria la Sanguinaria. Dopo la sua morte, come vedremo, assumerà una forma definitiva la Chiesa anglicana, separata da Roma e soggetta all'autorità del sovrano. Anche in Scozia alla fìne degli anni Cinquanta il calvinismo divenne la religio­ ne dominante, per effetto dell'infiammata predicazione di John Knox, un pastore educato a Ginevra. Nei Paesi scandinavi fu invece il luterancsimo a diventare religione di Stato, grazie agli intensi contatti culturali e commerciali con il mondo tedesco. Dal 1 397 le corone di Danimarca, Svezia c Norvegia erano collegate nell'Unione di Kalmar, sotto la supremazia dei re danesi. Nel 1 5 2 1 la nobiltà svedese elesse a proprio capo Gustavo Vasa, che nel 1 523 si fece proclamare re, staccandosi dall'Unione. Negli anni successivi egli procedette a riformare i n senso lurerano la lingua e il culto, seco­ larizzando le ricchezze della Chiesa; nel 1 5 44 la Svezia divenne ufficialmente un Paese luterano e contemporaneamente la corona venne dichiarata ereditaria nella dinastia dei Vasa. Tali deliberazioni si applicarono anche alla Finlandia, sottoposta alla sovranità svedese. In Danimarca la trasformazione degli ordinamenti ecclesiastici fu opera del re Federico di Holstein (I 523- 1 533) e soprattutto di suo figlio Cristiano III ( 1 534- 1 5 5 9), che nel 1 536 proclamò il luteranesimo unica religione di Stato. Contemporaneamente la Riforma fu introdotta anche in Norvegia c in Islanda, suddite della corona danese.

Le utopie nell Europa moderna '

Utopia, come abbiamo visto in questo capitolo, fu il nome che l'umanista inglese Thomas More diede all'isola immaginaria descritta nella celebre opera omonima, origi nariamente pubblicata in latino nel 1 5 1 6. More giocava sulla duplice etimo­ logia greca del termine da lui coniato: ou-topia, >, «luogo che non esi­ ste», ma anche eu-topia, «luogo (dove si sta) bene>>. Laurore narra di aver incon­ uato a Brugcs un portoghese già compagno di Amerigo Vcspucci, Raffàele Idodco, che si effonde i n una critica radicale della società inglese del tempo, carat­ terizzata dal dilagare della criminalità e della miseria a causa dell'espansione del­ l' allevamento ovino, dell'avidità dei grandi proprietari e delle guerre volute dal monarca per accrescere la sua potenza: mali che hanno tutti la loro origine nella proprietà privata e nelle disuguaglianze economiche. A questo quadro negativo si contrappone nel Libro II la descrizione dell'isola di Utopia, visitata da Itlodeo nel corso dci suoi viaggi. L:isola, a forma di mezzaluna, contiene 54 città, perfetta-

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Gli avvenimenti e i problemi

mente uguali l'una all'altra, abitate ciascuna da seimila famiglie. L economia è fon­ damentalmente agricola, e ogni utopiano alterna il lavoro nei campi ad altre atti­ vità manuali e inte1lettuali, che si esercitano in città. Tra città e campagna vi è uno scambio continuo di uomini e di prodotti; non esiste proprietà privata e non esi­ stono lussi: tutti indossano vestiti uguali e si nutrono degli stessi cibi, consumaci in loco o prelevati dai magazzini pubblici presenti in ogni città. Esiste la schiavitù, ma solo come punizione per i delitti più gravi. La giornata lavorativa è di sei ore, il resto del tempo è dedicato al riposo o all'istruzione, aHa conversazione e a1la musica. Il governo dell'isola è esercitato da un Senato e da consigli cittadini eletti dai capifamiglia. I matrimoni sono rigidamente regolati: è previsto il divorzio, ma l'adulterio è punito con la riduzione in schiavitù. Nell'isola vige una completa tol­ leranza in materia religiosa, anche se vi è una specie di religione naturale cui ade­ risce la maggior parte degli abitanti: «definiscono infatti virtù vivere secondo natura, giacché a questo noi siamo stati da Dio conformati». Taluni clementi della costruzione fantastica di More rimandano all'antichità clas­ sica, in particolare ai miti dì Atlantide e dell'età dell'oro e alla Repubblica di Platone. Altri trovano riscontro in immagini già largamente diffuse in Europa come il mondo alla rovescia c il paese di cuccagna, oppure nei progetti di città ideali del Rinascimento italiano (per esempio la Sforz.inda del Filarete). A tali antecedenti si aggiungono però, a spiegare la genesi dell'opera, la suggestione del­ le prime scoperte geografiche e le tensioni sociali e religiose del primo Cinquecento. L Utopia trovò presto imitatori nell'Europa sconvolta dalle guerre e dalla Riforma protestante, per esempo nella Wolfaria del monaco tedesco sfratato Eberlin ( 1 52 1 ) , nel Mondo dei pazzi di Anton Francesco Doni (1 552) o nella Cittàfelice di Francesco Patrizi ( 1 5 53) . Tra gli echi letterari di questo nuovo gene­ re possiamo anche ricordare l'abbazia di Thélème descritta nel Libro II del Gargantua e Pantagruel di Rabelais (1 534) , un luogo di assoluta libertà dove uomini e donne vivono a1legramentc aH' insegna del motto «Fà quel che vuoi>>, il saggio Dei cannibali di Montaigne (1 580) c La Tempesta di Shakespeare ( 1 6 1 0 ca.); qui Gonzalo, consigliere del duca di Milano salvatosi dal naufragio sull'isola di Prospero, immagina di essere re dell'isola e di governarla come un paese di cuc­ cagna, dove gli abitanti vivono dei frutti naturali senza leggi o magistrati, senza proprietà privata o commerci, senza guerre e senza lavoro. Il XVII secolo si apre con tre utopie di grande spessore e risonanza. La Città del sole ideata dal frate calabrese Tommaso Campanella (1 602) è costituita da sette wne concentriche disposte attorno a un tempio rotondo e retta da un governo teocratico, alla cui testa è un Metafisica coadiuvato da un triumvirato dì consi­ glieri. I Solari praticano il più completo comunismo e vivono fino a duecento anni, soggetti a una disciplina rigidissima; lavo rano quattro ore al giorno e dedi­ cmo il resto del tempo allo smdio, agli esercizi fisici e all'adorazione dì un unico Dio simboleggiato dal Sole. Non solo i bambini sono educati a cura dello Stato fin dall'età di un anno, ma i matrimoni sono combinati secondo le attitudini fi.si-

[ nuovi orizzonti spirituali: Rinascimento e Rijòrma

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che dei giovani e delle fanciulle, al fine di migliorare la razza, e persino i rapporti sessuali tra i coniugi devono rispettare i tempi stabiliti da astrologi e medici. La Cristianopolis immaginata dal protestante tedesco Johann Valentin Andreae (1619) è pure una società comunista governata da un regime teocracico, ma di stampo calvinista; vi è tuttavia largo posto per le arti, le lettere e le scienze e gran­ de rilievo è dato alle corporazioni che si autogovernano, così da configurare una «democrazia artigiana» (Lewis Mumford) . La Nuova Atlantide ( 1 621) del cancel­ liere e filosofo inglese Francis Bacon (Francesco Bacone) si ispira infine, come La Città del sole, a Platone e More e delinea una società fortemente gerarchica, ma ammette la proprietà privata e la libertà di culto; e soprattutto ha al suo centro la Casa di Salomone, una specie di tempio della scienza dove si studiano tutti i feno­ meni naturali e si com pio no ogni sorta di esperimenti. Le lotte politico-religiose e i moti rivoluzionari dci decenni centrali del Seicento stimolarono la produzione di nuove utopie, che soprattutto in Inghilterra si pre­ sentano anche come una trascrizione allegorica di progetti socio-politici: tale è la Repubblica di Oceana di James Harrington ( 1 656), che propone un limite legale all'estensione delle proprietà fondiarie e quindi il frazionamemto dei latifondi in lotti di valore non superiore alle 2000 sterline; il governo è di tipo parlamentare, capeggiato da un Lord protettore che ricorda da vicino Olivcr Cromwell. Due diverse proiezioni uropiche sono contenute nel celebre romanzo di Fénelon, Le avventure di Telenuzco (1699): la Betica appare una nostalgica rievocazione dell'età dell'oro; vi regna l'abbondanza, legata alla fertilità del suolo, non esiste il commercio, e le uniche occupazioni sono la pastorizia e l'agricoltura: «Vivono tUt� ti insieme, senza dividere le terre, e ogni famiglia è governata dal suo capo, che ne è il vero re [ . . . ] . Tutti i beni sono comuni [ . . . ]. Ogni famiglia è errante in questo beato paese e trasporta le tende altrove [ . . . ]. Essi sono rutti liberi e tUtti eguali». Una più forre colorazione politica (di opposizione al dispotismo e al militarismo di Luigi XIV) presenta l'altra utopia, rappresentata dalla città di Salento; qui la pace è pre­ ferita alla guerra c le tasse sono quindi ridotte al minimo; si dà grande importanza all'agricoltura c il commercio è del rutto libero; la popolazione è suddivisa in sette classi, distinte anche per il colore dell'abito; al vertice sta una nobiltà ereditaria. Alla voga del genere utopico contribuirono nel XVIII secolo la critica radicale degli assetti vigenti proposta dagli illuministi, l'esotismo stimolato dai sempre più intensi contatti con le civiltà orientali e col Nuovo Mondo, i resoconti dei viaggi in Paesi lontani, il mito del buon selvaggio e l'attrazione rousseauiana per una umanità primigenia e incorrotta. Sulla raffigurazione di comunità immaginarie prevale spesso l'intento satirico o l'inclinazione romanzesca, come nei Vìagg-i di l Gulliver di Jonathan Swift (1726) o nel Robinson Crusoe di Daniel Defoe ( 1 7 1 9). ' Altre volte è la visione di una società libera da divieti e costrizioni, dove uomini e donne vivono felici allo stato di natura, a ispirare grandi scrittori come Montesquieu, che narra la strana storia dei Trogloditi nei capitoli XI-XIV delle Lettere persiane (1 7 2 1 ) o Diderot, che descrive la vita beata dei Tahitìani nel

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Gli avvenimenti

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i problemi

Supplemento al viaggio di Bougainville (1 772). Una variante dell'utopia è l' ucronia, cioè la descrizione di una comunità lontana non nello spazio ma nel tempo: gran­ de successo ebbe L'anno 2440 di Louis Sébastien Mercier (1771) che immagina di addormentarsi una sera e di svegliarsi dopo un sonno di 670 anni in una Parigi tutta diversa, ordinata e tranquilla, retta da un monarca illuminato, dove tutto funziona al meglio, compresa la giustizia, e dove non esistono più Bastiglìe né conventi. Nel genere utopico sì cimentarono perfino libertini e avventurieri come Restif de la Bretonne, il marchese de Sade e Giacomo Casanova, autore deli'Ico­ sameron (1788). Se l a Rivoluzione francese parve per un momento destinata a realizzare l'utopia nel tempo presente, come credettero i giacobini e i protagonisti della cospirazione dell'uguaglianza diretta da Babeuf (1 796), nel XIX secolo furono soprattutto scrittori vicini al socialismo defin ito da Marx >, cioè come un'alternativa globale al complesso di dogmi, di istituzioni e di riti in cui si idemifìcava la religione tradizionale. Accanto all'influsso erasmiano agirono una serie di altri stimoli: l'ondata di profezie e di attese apocalittiche suscitate dalla predicazione di spiriti infervorati (come Gerolamo Savonarola a Firenze) , le sofferenze c le rovine portate dalle guerre d'Italia, l'anticlericalismo diffuso da tempo così nei circoli colti come negli strati popolari, la suggestione esercitata da alcune figure di ecclesiastici c di laici di elevata e intensa spiritualità: tra queste il cardinale veneziano Gasparo Comarini (14831 542); Gian Matteo Giberti ( 1 495- 1 5 43), dal 1 5 24 vescovo di Verona, dove si dedi­ cò a una fervida opera di istruzione e moralizzazione del clero c del popolo; lo spa-

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Gli awenimenti e i problemi

gnolo Juan de Valdés ( 1 490 ca.- 1 54 1 ) , attorno al quale si raccolse a Napoli un cir­ colo intellettuale caratterizzato da una forte tendenza al misticismo; l'inglese Reginald Pole ( 1 500- 1 558). Comuni a questi uomini, pur d iversi fra loro, e ai gruppi che in varie città si costituirono col nome di per dedicarsi alla preghiera e alle opere di carità, erano l'atteggiamento critico nei confronti delle preoccupazioni mondane della Chiesa, la svalutazione delle pratiche esteriori di devozione (in parti­ colare il culto dei santi e delle reliquie), l'accento posto sulle massi me evangeliche, sulla fede e sull'amore per Dio e per il prossimo. I:espressione forse più nota e più compiuta di tali orientamenti sarà il trattato Del beneficio di Gesù Cl·isto crocifisso, composto negli anni Trenta da un monaco, Benedetto da J\1antova, rivisto da Marc'Antonio Flaminio c pubblicato a Venezia nel l 543. Le speranze in un'iniziativa dall'alto per la riforma della Chiesa, fortemente sol­ lecitata come si è visto anche dall'imperatore Carlo V, si riaccesero con l'avvento al pontificato di Paolo III Farnese ( 1 534-4 9) . Oltre a nominare cardinali diversi espo­ nenti delle correnti riformarrici (tra cui Conrarini, Giberti e Pole) , egli manifestò infarti l'intenzione di convocare al più presto un nuovo Concilio ecumenico e costi­ tuì nel 1 536 una commissione (presieduta proprio da Gasparo Contarini) con il compito di studiare e proporre rimedi ai mali della Chiesa. Ne uscì un documento di notevole portata innovatrice, il Consilium deemendanda Ecclesia (Progetto per la riforma della Chiesa, 1 537), che rimase però ineseguito. Anche il concilio, convoca­ to una prima volta a Mantova per il 1 537, potrà riunirsi effettivamente, come vedre­ mo, solo alla fine del 1 545. 2

I nuovi ordini religiosi: i gesuiti

Questo clima di fervore e rinnovamento si espresse tra l'altro nella creazione di nuovi ordini regolari o nella riforma dei vecchi. A tale tendenza si può ricollegare l a nascita, intorno al 1 528, dell'ordine dei cappuccini, u n nuovo ramo della grande famiglia francescana: all'ideale della povertà assoluta, secondo lo spirito originario di san Francesco, i cappuccini univano quello dell'assistenza spirituale e materiale alla gente umile, attività che li rese presto molro popolari; nel l 6 1 9, quando si staccaro­ no definirivamenre dai conventuali, contavano già più di 500 case. La scelta della vita attiva caratterizza anche alrre congregazioni sorte nella prima metà del Cinquecento, formare per lo più da chierici «regolari", cioè da preti che decidevano di vivere secondo una regola. 1àli erano i teatini, i barnabiti, i somaschi, che tra i loro obiettivi principali avevano la formazione del clero, l'evangelizzazione delle plebi, l'assistenza ai malati e agli orfani e l'insegnamento. Al movimento non rimasero estranee le donne, alle quali si rivolse la bresciana Angela Merici, fondatrice nel 1 53 5 della congregazione delle orsoline. Ma l'ordine che più di ogni altro era destinato a incarnare lo spiriro della Controriforma fu la Compagnia di Gesù. Il suo fo ndatore, lo spagnolo Ignazio

La Controriforma e l'ltalia del tardo Cinquecento

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di Loyola ( 1 49 1 - 1 5 56) , era un tipico esponente di quel ceto d i hidalgos, caratte­ rizzati dalla vocazione delle armi e dallo spirito di crociata, da cui uscirono anche i conquistadores del Nuovo Mondo. Ferito all'assedio di Pamplona nel 1 5 2 1 , Ignazio decise di convertirsi a una vita di preghiera e di penitenza. A un periodo di ritiro in un romitaggio seguirono lunghi anni di studio nelle università spa­ gnole e a Parigi. Qui nel 1 534 Ignazio pronunciò insieme ad alcuni compagni i voti di povertà e castità e si impegnò a consacrare la propria vita alla liberazione della Terra Santa e, ove ciò non fosse stato possibile, al servizio della Chiesa e del suo pontefice. Dal 1 53 5 Ignazio e i suoi compagni soggiornarono in Italia: furono prima a Venezia, dove tentarono invano di imbarcarsi per la Palestina, poi a Roma, dove nel 1 540 la costituzione della Compagnia di Gesù venne solennemente approvata da papa Paolo III e dove, un anno dopo, Ignazio venne eletto suo primo generale. Fin dall'inizio i gesuiti si caratterizzarono come una milizia scelta al servizio del papa e della Controriforma. Ai tre voti tradizionali di povertà, castità e obbedienza essi ne aggiungevano un quarto, di fedeltà assoluta alle direttive del pontefice. Il lungo tirocinio previsto prima della professione dei voti e la tecnica di auto­ controllo e di ascesi interiore messa a punto da Ignazio con gli Esercizi spirituali (pub­ blicati nel 1 548) contribuivano a munire i membri dell'ordine di quelle doti di disci­ plina, di energia, di tenacia e di abnegazione che ne facevano uno strumento ideale per la difesa e la propagazione della fede cattolica. Alla morte di Ignazio i suoi seguaci erano già più di un migliaio. Cin­ quant'anni dopo essi disponevano di oltre 500 case e collegi sparsi in tutta Europa. Mentre le case professe, dove vivevano i gesuiti dediti ad attività diverse dall'inse­ gnamento, non potevano secondo la regola possedere beni, i collegi si configura­ vano invece come istituzioni fondate e dotate da benefattori; essi erano dedicati alla formazione non solo del clero, ma in generale dei giovani di nascita aristocra­ (ica o alto-borghese. La formazione delle classi dirigenti divenne col tempo, accan­ to alla presenza nelle corti in qualità di confessori e consiglieri dei principi, una specialità della Compagnia, che elaborò una propria efficace pedagogia, codificata a tìne Cinquecento nella Ratio studiorum e imperniata sull'insegnamento del lati­ no e dei classici, sull'emulazione tra gli studenti congiunta alla severa disciplina dei comportamenti. Grande fu anche il contributo dei gesuiti, e in genere degli ordini regolari, all'attività missionaria che costituì uno degli aspetti più significativi della Contro­ riforma. Già si è accennato all'opera di evangelizzazione e di protezione degli indigeni svolta nell'America spagnola. In Asia fu memorabile l'impegno dello spagnolo Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, che per vari anni percorse l' India e l'Indonesia predicando il Vangelo. Fu lui, nel 1 549, a introdurre in Giappone il cattolicesimo, che, opportunamente adattato alla cultura e alle tradizioni locali, fece un sorprendente numero di proseliti. In Cina fu un altro gesuita, l'italiano Matteo Ricci, a diffondere il cristianesimo tra il 1 5 83 e il 1 6 1 0.

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Gli >. Nel l 540, come si è visto, fu approvata da Paolo III la regola della Compagnia di Gesù. Nel 1 54 1 tàllì a Ratisbona l'ultimo tentativo di accordo tra protestanti e cattolici, nonostante la buona volontà dei rispettivi legati, �felantone e Contarini. Nel 1 542 venne creata a Roma, per dirigere c coordinare la repressione dell'eresia, la Congregazione del Sant'Uffizio o dell'Inquisizione di cui fece parte il cardinale Gian Pietro Carafà (il futuro Paolo IV), intransigente difenso­ re dell'ortodossia religiosa e del primato papale. Nello stesso anno Bernardino Ochino, generale dei cappuccini e predicatore tra i più famosi del tempo, fuggì cla­ morosamente a Ginevra rendendo pubblica la propria adesione al calvinismo. Ormai non vi era più posto in Italia per tentennamenti c posizioni intermedie. Lunica alternativa alla pratica del nicodemismo (l'atteggiamento di chi si conformava esteriormente al culto ufficiale, pur professando nel proprio intimo una fede diversa) , era l'esilio volon tario. fu questa la strada seguita da parecchi ;Olirica e sociale.

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Gli avvenimenti e i problemi

Gli efl-ètti di questo spirito militame furono subito evidenti nel po ntificato di Pio V Ghislieri ( 1 5 66- 1 572), che era stato l'ispiratore dello spietato massacro di cir­ ca duemila valdesi in Calabria ( 1 5 6 1); oltre a dare un grande contributo alla vittoria cristiana di Lepamo contro i mrchi ( 1 5 7 1 ) , Pio V non esitò a ripubblicare nel 1 5 68 la medievale bolla In Coena Domini, affermazione in termini oltranzisti della supre­ mazia del papa sui sovrani temporali, e a scomunicare nel 1 5 70 la regina d'Inghilter­ ra Elisabetta I, sciogliendo i suoi sudditi dal dovere dì obbedienza. Questi indirizzi furono proseguiti da Gregorio XIII ( 1 572- 1 5 8 5 ) , no m tra l'altro come il riformato­ re del calendario, da lui detto gregoriano. Ma il papam della Controriforma raggiunse il suo apogeo con il combanivo ed energico Sisto V ( 1 5 85-90). Non solo egli diede nuovo impulso all'anività missiona­ ria e alla comrofl-ènsìva catwlica nell'Europa centro-settentrionale (particolarmente in Polonia), ma attuò una profonda riorganizzazionc della curia romana: il numero dei cardinali venne fissato a settanta, e quello delle congregazioni cardinalizie (corri­ spondenti ai moderni dicasteri) venne portato a quindici, delle quali nove sì occupa­ vano della Chiesa universale (Congregazioni del Concilio, dell'Indice, della Santa Inquisizione, ecc.) e le altre sei degli afl-àri interni dello Stato pontificio (fisco, anno­ na, ponti e strade, ecc. ). Così il collegio cardinalizio non rappresentava più, come era stato nel Medioevo, un contrappeso e un limite all'autorità del pontefice, ma dive­ niva uno strumento del suo potere. Con spietata energia venne condotta sotto Sisto V e sotto Clemente VIII ( 1 592- 1 605) la lotta contro i l brigantaggio che infestava le p rovince; furono ulterior­ mente ridotte le autonomie delle città suddite e delle residue signorie feudali, e, all'estinzione della discendenza legittima degli Este (1 598), Ferrara venne annessa allo Stato della Chiesa; speciali cure furono infine dedicate all'abbellimento del­ l'Urbe, dove furono aperte nuove strade, costruiti palazzi, chiese, acquedotti e fonta­ ne, ereni obelischi, completata la costruzione della cupola di San Pietro; Roma, che a fine Cinquecento superava ormai i 1 00. 000 abitanti, si avviava così ad acquistare il nuovo volto (cui il genio barocco di Bernini e Borromini darà gli ultimi tocchi) di splendida capitale del cattolicesimo posrridemino. Ma il significato della Controriforma non si esaurisce nell'accentramento dei poteri a Roma e nella persona del pontefice. In molte diocesi si registra nella seconda metà del Cinquecento l'avvento di vescovi e arcivescovi animati da grande zelo pasto­ rale e da una forre carica riformatrice, il cui modello apparve già ai contemporanei san Carlo Borromeo ( 1 538-1 584). Appartenente a una ricca famiglia della nobiltà milanese, tù cream cardinale dallo zio materno, il papa Pio IV, ed ebbe grande parte nella conclusione del concilio di Trento, alle cui norme scelse di conformarsi, lascian­ do la curia di Roma e andando a risiedere nella sua diocesi quando, nel 1 5 65, fu nominato arcivescovo di Milano. Il suo ventennale episcopato fu contrassegnato dalla forte suggestione che ema­ navano la sua austerità di vita e la sua pietà, dalla instancabile azione svolta per la rior­ gani:zzazione e la moralizzazione del clero, attraverso l'istituzione dei seminari e la riu­ nione frequente di sinodi diocesani e di concili provinciali, dall'impegno personale nel-

La Controrijòrma e L'Italia de! tardo Cinquecento

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la visita delle circa 800 parrocchie della diocesi, dalla severa vigilanza su monasteri e conventi, dalla lotta intransigente contro le infiltrazioni «eretiche» dal territorio svizze­ ro e dalla Valtellina, dall'affermazione altrettanto intransigente della giurisdizione eccle­ siastica sulle istituzioni assistenziali e sulle confraternite laicali, da un tentativo sistema­ tico di assoggettare all'autorità religiosa anche la vita familiare e privata dei fedeli. L abnegazione e lo spirito di carità dimostrati dall'arcivescovo in occasione del­ la peste che imperversò nel 1 576- 1 5 77 valsero ad accrescerne il prestigio e la fama di santità, ma la sua insofferenza di limiti e controlli nell'esercizio della propria autorità (che si esprimeva tra l'altro nella pretesa di disporre di una propria polizia armata) lo pose a più riprese in conflitto sia con frazioni dello stesso clero, sia con il Senato, il tribunale supremo dello Stato di Milano, e con il governatore spagnolo, in un susse­ guirsi di gesti clamorosi di rottura, scomuniche, momentanee riconciliazioni, maneggi diplomatici a Roma e a Madrid. In realtà, la concezione borromaica di una Chiesa incardinata sulla figura del vescovo e, in sottordine, del parroco doveva rive­ larsi a lungo andare incompatibile anche col centralismo romano. Lo sforzo di penetrazione capillare in ogni settore della popolazione vede impe­ gnati in prima fila anche i nuovi ordini regolari, che organizzano vere e proprie mis­ sioni nelle campagne e nelle borgate, con prediche, penitenze e devozioni collettive, per indottrinare e «convertire>> plebi spesso assai superficialmente cristianizzate. Nel culto della Vergine e dei santi, visti come taumaturghi e dispensatori di grazie e di miracoli, in pratiche devozionali come le processioni per invocare la pioggia o il bel tempo, le preghiere ai defunti, la recitazione del rosario, le «Quarantore>> di adora­ zione, continuarono in realtà a sopravvivere, in forme diverse, credenze magiche di origine assai remota. Escluse dalla conoscenza diretta dei testi sacri e dalla compren­ sione di una liturgia imperniata su una lingua sconosciuta (il latino), spettatrici più che partecipi di cerimonie e di riti in cui larga parte aveva l'elemento spettacolare ed emotivo, avvolte in una fitta rete di precetti e di divieti (attinenti, questi ultimi, soprattutto alla sfera sessuale) , le masse popolari italiane si avviavano a fare propria una religiosità spesso intensa e sincera, ma povera di sostanza morale, intrisa di super­ stizione e di fede ingenua nell'irruzione del soprannaturale in questo mondo. 5

L'egemonia spagnola in Italia

La pace eli Cateau-Cambrésis, stipulata tra Francia e Spagna nel 1 559 (cfr. cap. 10, par. 1), sancì una egemonia spagnola destinata a durare fino agli inizi del XVIII secolo. La Spagna controllava direttamente quasi metà del territorio italiano, e cioè i Regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, il Ducato di Milano, oltre al minuscolo, ma strate­ gicamente importante Stato dei Presidi (comprendente Talamone, Orbetello e l'Argen­ tario). Degli altri Stati, solo Venezia poteva considerarsi veramente indipendente, giac­ ché i sovrani di Savoia e di Toscana dovevano a Carlo V e a Filippo II i loro titoli e il loro ingrandimento, Genova era legata a filo doppio a Madrid a causa dei suoi interes­ si finanziari, mentre i Ducati padani (quello dei Farnese a Parma e Piacenza, quello dei

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Gli avvenimenti e i problemi

Gonzaga a Mantova, quello degli Este a Ferrara, Modena e Reggio, poi ridotto alle sole Modena e Reggio in seguito all'annessione di Ferrara al Papato nel l 598) erano troppo piccoli per contare stùla scena politica; quanto allo Stato pontificio, la sua subordina­ zione, anche finanziaria, alla funzione universale della Chiesa ne rendeva inevitabile, nonostante le velleità di alcuni papi, l'alleanza con la monarchia spagnola, che in Europa e nel Mediterraneo rappresentava il maggiore baluardo del cattolicesimo. È troppo semplicistico, tuttavia, ridurre la storia italiana del pieno e tardo Cinquecento all'egemonia culturale della Chiesa e all'egemonia politica della Spagna. Va ricordato, innanzi tutto, che alle difficoltà e alle crisi dei primi decenni del secolo seguì un periodo abbastanza lungo di ripresa demografica ed economica. In secondo luogo, proprio la stabilizzazione dell'assetto politico-territoriale conseguente alla vit­ toria della Spagna sulla Francia favorì all'interno dei singoli Stati, o almeno in alcuni di essi, un'opera di rafforzamento e ammodernamento delle strutture istituzionali e di ricomposizione delle classi dirigenti sulla quale, più che in passato, si concentra oggi l'attenzione degli storici. Ciò vale, in una certa misura, anche per i possedimenù diretti della Spagna. Lautorità sovrana era qui rappresentata da un viceré (a Napoli, Palermo e Cagliari) o da un governatore (a Milano), e dai comandanù dell'esercito, generalmente provenien­ ù dall'alta nobiltà spagnola. Ma le magistrature giudiziarie e finanziarie erano in misu­ ra preponderante formate da elementi indigeni, che con la loro esperienza degli affari locali e la loro lunga permanenza in carica (mentre il viceré o governatOre cambiava di regola ogni tre anni) e, dal 1 5 56, con l'appoggio di «reggenti)) tratti dalle magistrature locali e distaccati presso il Consiglio d'Italia a Madrid, riuscivano spesso a contrappor­ si vittoriosamente al rappresentante del sovrano. Al monarca, in sostanza, si riconosce­ va la suprema autorità legislativa e il diritto-dovere della difesa e quindi del prelievo delle risorse necessarie; ma la facoltà di applicare e interpretare le leggi e di ripartire e riscuotere le imposte era considerata prerogativa degli organi di governo locali. A Napoli grande autorità e prestigio aveva il Consiglio collaterale, cui il viceré doveva obbligatoriamente sottoporre tutti gli aHàri di un certo rilievo. A Milano era il tribunale supremo, il Senato, a svolgere il ruolo di interlocutore principale dell'au­ torità sovrana. Sia il Senato e il Consiglio collaterale, sia le minori magistrature (com­ presi i dicasteri finanziari) erano composti da «togati)), cioè da laureati in giurispru­ denza, che in Lombardia provenivano quasi sempre dalle ftle del pauiziaro urbano, mentre nel Mezzogiorno costituivano un ceto distinto e rivale del baronaggio. Quest'ultimo aveva i suoi punti di forza nel Parlamento, che si riuniva periodicamen­ te per approvare i donativi richiesti dal monarca, e nell'amministrazione della città di Napoli, che con i suoi 250.000 abitanti era a fine Cinquecento il più grande cen­ tro europeo dopo Istanbul e Parigi. Se nelle campagne meridionali, e in quelle delle isole, assai grave rimaneva il peso economico e sociale della feudalità, il governo spagnolo nel Cinquecento riuscì tuttavia a spezzarne la forza politica e a !imitarne i peggiori abusi con l'intervento sia pur lento e macchinoso della giustizia regia. Nello Stato di Milano il predominio del-

La Controriforma e l1talia del tardo Cinquecento

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le città fu attenuato dall'attuazione del catasto ordinato nel 1 545 da Carlo V, e in campo istituzionale con la creazione di un organo rappresentativo, la Congregazione dello Stato, in cui sedevano i rappresentanti dei contadi accanto a quelli delle città. Più accentuata fu l'evoluzione verso lo Stato assoluto in Toscana e in Piemonte, dove il principe risiedeva in loco e agiva direttamente e non attraverso rappresentan­ ti. Ai Medici, riportati a Firenze dalle armi spagnole, come si ricorderà, venne rico­ nosciuto nel 1 530 il titolo ducale e nel 1 569 quello di granduchi di Toscana. Già nel 1 532 fu attuata una riforma costituzionale che, pur mantenendo in vita le antiche magistrature repubblicane, sovrapponeva ad esse due consigli formati dagli esponen­ ti delle famiglie più ragguardevoli: il Consiglio dei duecento e il Consiglio dei qua­ ranrotto (o Senato).

Mar Tirreno

Mar Mediterraneo

Lltalia dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559).

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Gli avvenimenti e i problemi

Ma fu soprattutto Cosimo I ( 1 537- 1 574) a sviluppare il regime in senso asso­ lutistico, svuotando questi organi dì ogni potere effettivo e governando attraverso i propri segretari, di origine sociale spesso modesta, e dal 1 545 attraverso la «Pratica segreta», un nuovo consiglio di carattere informale. Un considerevole successo del Principato mediceo fu l'annessione di Siena e del suo terrìtorio ( 1 5 57) , che manten­ nero tuttavia le proprie leggi e le proprie istituzioni. Glì i ndirizzi di Cosimo I fino no prosegui ti dai due fìgli Francesco I ( 1 574- 1 5 87) e Ferdinando I ( 1 587- 1 609) . cui si devono la nascita e lo �vilu ppo del porto di Livorno. Lo Stato sabaudo, occupato da francesi e spagnoli durante le guerre d'Italia, venne ricostituito sotto il duca Emanuele Filiberto ( 1 553-1 580) alla pace di Cateau­ Cambrésis ( 1 5 59; cfr. cap. l O, par. 1). Egli spostò il baricentro del ducato al di qua delle Alpi, trasferendo la capitale da Chambéry a Torino; soppresse o limitò molte autonomie locali c centralizzò il controllo finanziario in una Camera dei conti. L:aumento delle imposte e l'impulso dato alle attività economiche resero possibile la costituzione di un p ic.:colo, ma disciplinato esercito permanente. Il successore Carlo Emanuele I ( 1 5 80� 1 630) cercò di sfruttare questa nuova compattezza dd duc.:ato per una serie di iniziative espansionistic.:he spesso avventurose. Fallì nel tentativo di sottomettere Gi nevra ( 1 589), ma ri uscì nel l 60 1 a ottenere dalla Francia il Marchesato di Saluzzo in cambio della cessione di akuni territori i n Savoia.

Perfino nelle repubblic.:he oligarchiche, per loro natura più conservatrici sul pia­ no polirico-ìscituzionale, non mancarono alcune importanti novità. A Genova i tra­ dizionali contrasti tra le fazioni nobiliari, e in particolare tra nobiltà vecchia e nuova, sfociarono nel 1 575 i n gravi disordini, c.:he indussero i nobili vecc.:hi ad abbandonare la città e portarono in primo piano, accanro ai n uovi, gli strati popolari c.:he esigeva­ no sgravi fisc.:alì e provvidenze a favore delle arti. Infine nel 1 576 si giunse ad un accordo che modificava i meccanismi di elezione e sorteggio all'interno dd compli­ cato sistema dì governo genovese; ciò diede l'avvio a una effettiva ricomposizione del ceto dei «magnifici,, (i nobili genovesi) , dove alle alleanze verticali del periodo prece­ dente si sostituì una stratific.:azione orizwntale basata sui diversi livelli dì ricchezza. Questa evoluzione andò dì pari passo con la crisi delle attività manif.muriere e con la definitiva affermazione della grande finanza, legata alla Spagna, c.:ome elemen­ to trainante dell'economia genovese. Qualche parallelo con la situazione genovese sì può scorgere nella c.:ontrapposi­ zione tra i due partiti dei •> e quelli dei complici; e già negli anni Cinquanta prese forma una rete di confessori che lavoravano a tempo pieno per gli inquisitori,

La Controrifonna e llta!ia del tardo Cinquecento

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anche su precisa delega di questi ultimi. In questo modo si incoraggiavano le autodenunce esoprattutto le delazioni, creando un clima di paura e di sospetto che favorl l'atcività repressiva. Tra la fine deLXVI secolo e l'inizio del XVII l'Inquisizione romana dispiegò il proprio enorme potenziale repressivo nel campo della morale, dei costumi e della disciplina interiore: entrarono cosl nel mirino del Sant'Uffizio la bestemmia e l'irriverenza verso il clero, ma anche i rituali tradizionali, da ciò che oggi defi� niremmo folklore o superstizione a pratiche magiche e stregonesche, e furono prese di mira le feste, i balli, il Carnevale e il teatro - in una parola, la cultura popolare nel suo complesso. Tale massiccia opera di disciplinamento sociale e di moralizzazione dei comportamenti individuali e collettivi si accompagnò al grande sforzo condotto dagli inquisi tori, con la fattiva collaborazione degli or­ dini religiosi e in particolare dei gesuiti, per la cattolicizzazione delle campagne italiane (cfr. sopra, p. 1 1 5). Alla coercizione delle coscienze si affiancò una non meno sistematica opera di controllo della cultura e della stampa. Nel l 572 l'Inquisizione {che già nel 1 5 59 aveva predisposto un primo Indice dei libri proibiti, poi mitigato nel 1 564 a Trento) fu affiancata dalla Congregazione dell'Indice, che si occupò dell'aggior.:. namento delle proibizioni e del con trollo sulla stampa: il terzo Indice fu redatto nel 1 5 96. Se all'inizio i divieti riguardarono la produzione di autori protestanti e di tipografi sospetti d'eresia, la censura si estese progressivamente ad ogni campo dello scibile: furono così espurgate o vietate (e distrutte) numerosissime opere letterarie, scientifiche e filosofiche, col risultato di impedire la pubblicazione di nuovi scritti e di imporre di fatto agli autori l'autocensura preventiva; oltreché, sul lungo periodo, di provocare il crollo della fiorente industria tipografica ita­ liana (con l'eccezione di Venezia) , di isolare gli intellettuali italiani dai dibatti-' ti culturali europei e di ostacolare i processi di alfabetizzazione. Di particolare rilievo, in questo senso, fu la proibizione della lettura della Bibbia in volgare, incoraggiata invece per ovvi motivi nei Paesi protestanti. Negli ultimi anni, la disponibilità di nuove fonti, e in particolare l'apertura agli studiosi dell'Archivio Centrale del Sant'Uffizio nel 1998, ha sollecitato gli storici italiani ad intraprendere nuovi bilanci e riletture della storia dell'Inquisizione romana, sulla scorta della revisione della «leggenda nera» compiuta sull'Inqui­ sizione spagnola. Da una parte la maggiore disponibilità di · dati ha condotto a ridimensionare il numero dei roghi e delle condanne capitali, suggerendo una considerazione più equilibrata del fenomeno, soprattutto nel confronto con gli eccessi perpetrati dai tribunali secolari. D'altro canto, occorre tener presente che la relativa mitezza dei tribunali inquisitoriali rispetto ai tribunali penali scaturisce dalla profonda diversità di ciò che costituiva l'oggetto della repressione: gli inqui­ sirofi, infatti, non perseguivano i reati criminali, ma le opinioni non conformi all'ortodossia, e i processi non miravano a punire i colpevoli ma a costringerli all'abiura. Come ha sottolineato Elena Brambilla (La giustizia intollerante. Inqui-

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Gli avvenimenti e i problemi

sizione e tribunali conjèssionali in Europa (secoli IV-XVIII), Carocci, Roma, 2006, p. 1 3 1 ) «per definizione viene mandata al rogo solo una piccola minoranza dei processati: quelli così eroici da rifiurarsi di tradire, confessare, abiurare; o quelli che dopo una prima condanna sono ricaduti nell'eresia. I roghi sono soltanto quelli in cui l'inquisizione ha fallito». M. G.

L Euro p a nell' età di Filipp o II IO

Filippo I I e i regni iberici Tra il 15 55 e il 1 5 56 Carlo V abdicò a tutti i suoi titoli e rese effettiva la divisio­ ne dei suoi immensi domini che aveva da tempo decisa. Mentre il fratello Ferdinando diveniva imperatore col titolo di Ferdinando I ( 1 5 5 5-1 564) ed ereditava cogli Stati ereditari asburgici le due corone di Boemia e d'Ungheria, al figlio Filippo II toccava la corona di Spagna con i suoi i mmensi possedimenti nel Nuovo Mondo e in Europa \Ducato di Milano, Regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, Franca Contea, Paesi Bassi). Il nuovo re dì Francia Enrico II, succeduro a Francesco I nel 1 547, volle tentare una volta ancora la sorte delle armi: sconfitto a San Quintino (1 557) dovette rassegnarsi a firmare la pace di Cateau-Cambrésìs ( 1 5 59), che assicurava alla Spagna una schiac­ ciante supremazia in Italia e il possesso della Franca Contea e dei Paesi Bassi. Il poten­ z iale demografico e militare della Castiglia (in cui si reclutavano in gran parte i famo­ si tercios, la fanteria migliore dell'epoca), il controllo delle aree più ricche e urbanizza­ te d'Europa, l'appoggio dei banchieri di Anversa e di Genova, il flusso crescente dì metalli preziosi dalle Americhe mettevano a disposizione di Filippo II un complesso di risorse quale nessun altro governo europeo poteva neppur lontanamente vantare. Se il disegno di ricondurre l'Inghilterra all'obbedienza cattolica e di farne una compo­ nente del sistema asburgico venne frustrato dalla premat ura scomparsa ( 1 558) d i \!aria Tudor, l a seconda moglie d i Filippo, i n compenso la monarchia francese, l a sua maggiore rivale, venne durevolmente indebolita dalle divisioni religiose interne e da una successione di re m inori o incapaci dopo la morte accidentale dì Enrico II ( 1 5 59). Dal padre Carlo V Filippo II aveva ereditato la wtale dedizione al mestiere di re, la preoccupazione di rendere ai sudditi una giustizia imparziale, i l senso di una missione da compiere della quale bisognava rendere conto a Dio. Ma a differenza del padre il figlio, nato ed educato a Valladolid, si sentiva ed era intimamente spagnolo, anzi castigliano: alla nobiltà castigliana lo accomunavano la gravità del portamento e l' austerità del costume, una concezione esclusiva e gelosa del potere, una religiosità intensa ma angusta e intollerante.

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Gli avvenimenti e i problemi



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Proprio a imporre l'ortodossia religiosa furono rivolte, all'interno, le prime misure di rilievo del suo regno. Tra il 1 558 e il 1 560 fu rafforzata in Spagna l'Inqui­ sizione, furono proibiti i viaggi all'estero degli studenti e l'introduzione dei libri stra­ nieri, vennero disperse e colpite da condanne a morte alcune comunità protestanti scoperte a Valladolid e Siviglia. Dieci anni dopo, la repressione si abbatté con la stes­ sa forza sui moriscos dell'Andalusia che, nonostante la conversione ufficiale al catto­ licesimo, avevano mantenuto la loro lingua e le loro usanze. Le persecuzioni cui furo­ no sottoposti dopo la metà del secolo e la crisi dell'industria serica, cui molti di loro erano addetti, li indussero nel 1 568 a ribellarsi. Con una vera e propria campagna militare la loro resistenza fu vinta e i sopravvissuti furono deportati nelle regioni set­ tentrionali della Castiglia, preludio alla loro definitiva espulsione dal regno che verrà decretata nel 1 609. Sarebbe errato, tuttavia, vedere in Filippo II nient'altro che un fanatico e cie­ co strumento della Controriforma cattolica. Era infatti convinzione corrente a quell'epoca che l'unità religiosa fosse la condizione e il presupposto dell'unità poli-

L'Europa neLL'età di Filippo II

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tica e la migliore salvaguardia contro le discordie civili. Geloso com'era della pro­ pria autorità, Filippo II si mostrò in più occasioni tutt'altro che docile verso la Santa Sede; per esempio i decreti del concilio di Trento furono pubblicati in Spagna con due anni di ritardo e con la riserva che la loro applicazione non doveva ledere in nulla le prerogative regie. Inoltre, l'intransigenza in materia religiosa non faceva che rispondere a un'aspirazione profonda del popolo castigliano, eredità della recon­ quista: una tendenza non priva di risvolti razzisti, dato che la purezza della fede si faceva coincidere con la limpieza de sangre, con una discendenza non contaminata da sangue moro o ebraico. È da osservare che le restrizioni alla libertà di pensiero e di espressione non ebbero in Spagna gli effetti soffocanti sulla vita intellettuale che si registrarono in Italia; nella sua storia letteraria e artistica, il periodo che va dalla metà del Cin­ quecento alla metà del Seicento è noto come il «secolo d'oro», illustrato da nomi come quelli del romanziere Miguel de Cervantes, l'autore del Don Chisciotte, dei drammaturghi Lope de Vega e Pedro Calderon de la Barca, dei pittori El Greco, Velazquez, Zurbaran. Tornato dai Paesi Bassi nel 1 5 59, Filippo II non si mosse quasi più dalla Castiglia. Da Valladolid, la sede della corte e del governo fu trasferita a Madrid, fino allora una cittadina senza importanza, che aveva però la caratteristica di trovarsi esat­ tamente al centro della Spagna. E nei pressi di Madrid il sovrano si fece costruire una grandiosa residenza estiva, l'Escorial, metà palazzo e metà monastero. Di qui egli dirigeva gli affari della sua immensa monarchia, leggendo gli estratti delle varie pra­ tiche preparati dai suoi segretari e apponendovi la propria decisione, che i sudditi, date le distanze e le lentezze burocratiche, avrebbero conosciuto dopo settimane, mesi o anche anni di attesa. Tale accentramento del potere decisionale nella persona del monarca non deve essere confuso con il centralismo politico e istituzionale al quale tenderanno le monarchie assolute nei secoli XVII e XVIII. Filippo II rimase sempre fedele alla con­ cezione imperiale di Carlo V, secondo cui ogni singolo Paese doveva mantenere la propria individualità e i propri ordinamenti ed essere unito agli altri solo nella per­ sona del sovrano. Venne esteso e perfezionato durante il suo regno il sistema dei Consigli, com­ posti in prevalenza da giuristi ed ecclesiastici spesso di famiglia modesta. Oltre al Consiglio di Stato, competente per la politica estera, al Consiglio dell'Inquisizione e al Consiglio di azienda (ovvero di finanze) , vi erano Consigli preposti ai diversi com­ plessi territoriali (Consigli di Castiglia, di Aragona, delle Indie, delle Fiandre, d'Italia) in cui sedevano, significativamente, rappresentanti dei Paesi interessati, dei cui privi­ legi si consideravano naturali difensori. Nei vari territori, poi, all'autorità dei rappre­ sentanti diretti del sovrano, viceré o governatori, si contrapponeva quella delle magi­ strature locali, che godevano di una larga autonomia. Nel 1 5 80, quando, in seguito all'estinzione della dinastia regnante, il Portogallo con i suoi vasti possedimenti coloniali fu annesso alla corona spagnola, anch'esso mantenne inalterate la sua forma di governo e le sue leggi, e venne sottoposto a un

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Gli avvenimenti e i problemi

nuovo Consiglio formato interamente di portoghesi. Così pure, rimase del tutto separata l'amministrazione dell'Aragona, dove nel 1 59 1 Filippo II fu costretto a intervenire militarmente per sedare una rivolta fomentata dai signori feudali. Il sepa­ ratismo aragonese, tanto più pericoloso in quanto poteva trovare facili appoggi nella vicina Francia, rimarrà sempre una spina nel fianco della potenza spagnola. Nella stessa Castiglia, l'indubbia popolarità del «re prudente» fu messa a dura prova dai sacrifici sempre più gravosi richiesti al Paese in termini di uomini e di dena­ ro. La quota dei metalli preziosi americani spettante alla corona, nonostante il con­ sistente aumento delle importazioni (cfr. cap. 2, par. 5) non superò mai il 20-25% delle sue entrate complessive. Il resto era costituito da imposte dirette (da cui era esente la nobiltà) e indirette (che colpivano soprattutto i generi di prima necessità) , dai contributi del clero e dai prestiti a breve o lunga scadenza cui la monarchia era continuamente costretta a ricorrere. Lammontare di queste entrate aumentò di oltre sei volte tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta del secolo, superando quindi net­ tamente il pur forte rialzo dei prezzi. Il sistema tributario era congegnato in modo da penalizzare i ceti produttivi e da privilegiare le rendite parassitarie. A ciò si aggiunga che i denari così prelevati era­ no spesi in gran parte altrove, a causa degli impegni militari della monarchia, e anda­ vano così ad arricchire altri Paesi; infine la stessa mentalità imperiale, da soldati vin­ citori, prevalente in Castiglia rafforzava la tendenza a importare manufatti e persino derrate agricole dall'estero. Non ci sorprenderemo, dunque, di rilevare già in quest'epoca la decadenza di alcune attività industriali prima fiorenti in Castiglia, come le sete andaluse e le lane di Segovia e di Burgos, o il fatto che il commercio internazionale era quasi tutto nelle mani di stranieri. Ma la stessa agricoltura, già poco favorita dalle condizioni geologiche e climatiche, doveva cedere enormi spazi all'allevamento transumante delle pecore, di cui beneficiavano poche grandi famiglie riunite nella corporazione della Mesta. A partire dal 1 570 circa la Spagna divenne un Paese importatore di cereali, e l'ultimo decennio del Cinquecento fu segnato da terribili carestie e pesti­ lenze, che avviarono un secolare declino della popolazione e dell'economia iberica e in particolare castigliana. 2

La battaglia di Lepanto e i conflitti nel Mediterraneo

Lormai indiscussa egemonia spagnola in Italia e il possesso diretto del Regno di Napoli, della Sicilia e della Sardegna garantivano a Filippo II una posizione domi­ nante nel Mediterraneo ma lo rendevano al tempo stesso più esposto agli attacchi dei corsari barbareschi e della potenza ottomana. Dopo un tentativo fallito di pren­ dere Malta, la flotta ottomana al comando del successore di Solimano il Magnifico, Selim II ( 1 566- 1 574) , sferrò nel 1 570 un improvviso attacco contro l'isola di Cipro, avamposto orientale di Venezia e della cristianità, mentre Tunisi, espugnata da Carlo V nel 1 535, cadeva nelle mani del bey di Algeri, vassallo del sultano.

L'Europa nell'età di Filippo Il

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Per iniziativa dell'energico papa Pio V ( 1 566- 1 572) si costituì allora una «san­ ta lega>> in cui entrarono, oltre a Venezia e alla Spagna, la Repubblica di Genova, il duca di Savoia e l'ordine di Malta. Il 7 ottobre 1 57 1 , quando già Cipro era caduta in mano ai turchi, la flotta cristiana al comando di don Giovanni d'Austria (un figlio naturale di Carlo V) e quella ottomana si affrontarono nei pressi di Lepanto (oggi Nafpaktos), all'imboccatura del golfo di Corinto. Più di duecento galere, metà delle quali veneziane, inalberavano il vessillo crociato; le galere ottomane erano quasi 250, ma la loro superiorità numerica era compensata dalla maggiore potenza di fuoco del­ la flotta cristiana. Il confronto, comunque, fu risolto dai furibondi corpo a corpo impegnati sui ponti scivolosi delle navi. Lepanto fu l'ultima grande battaglia della storia che vide protagoniste le navi a remi e che fu combattuta con la tecnica dell'abbordaggio. Spaventosa fu la carnefici­ na da una parte e dall'altra, ma alla fine della giornata si delineò schiacciante la vit­ toria delle forze cristiane. Più di 1 50 unità nemiche erano state prese e affondate, forse 30.000 erano i morti o prigionieri, 1 5.000 schiavi cristiani erano stati liberati. La vittoria cristiana apparve come una sanzionv divina degli ideali della Controriforma e fu esaltata da letterati, poeti e artisti. Ma assai più modesti furono i risultati sul piano politico e militare, anche per i dissidi subito insorti fra gli alleati. Venezia, preoccupata per i suoi possedimenti nel Mediterraneo orientale, preferì fir­ mare una pace separata (marzo 1 573), rinunciando a Cipro e tornando alla sua tra­ dizione politica di buon vicinato con lstanbul. Negli anni successivi i due maggiori antagonisti, il re di Spagna e il sultano, dovettero rivolgere la loro attenzione l'uno alle vicende nord-europee, l'altro al rinnovato conflitto con la Persia. La tregua che fu stipulata nel 1 578 doveva durare, per questi motivi, fino al termine del secolo. Il Mediterraneo, come ha dimostrato la grande opera di Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II (Einaudi, Torino, 1 953) , rima­ se per tutto il Cinquecento un crocevia di scambi e di traffici. Non soltanto le spezie e le sete orientali, ma anche derrate di prima necessità come il grano e il sale riempi­ vano le navi che solcavano le sue acque in lungo e in largo, col favore dell'alto livello dei prezzi e della larga disponibilità di buone monete spagnole. Proprio questa perdurante prosperità, tuttavia, rendeva più aggressiva e più intensa l'attività piratesca; secondo un altro autorevole storico, Alberto Tenenti, il periodo successivo a Lepanto «è quello in cui l'insicurezza della navigazione raggiun­ ge la fase più acuta». La guerra di corsa (distinta dalla semplice pirateria in quanto rivolta contro un Paese nemico e autorizzata dal proprio governo) era esercitata non soltanto dagli Stati barbareschi, ma da navigli maltesi, genovesi, toscani; essa non faceva troppe distinzioni tra cristiani e infedeli e metteva il bottino al di sopra del­ l'ideologia religiosa; a queste azioni si aggiungevano quelle degli uscocchi, pirati di razza slava che operavano, con la protezione dell'imperatore, lungo la costa dalmata. Nell'ultimo ventennio del XVI secolo, infine, si registra la penetrazione in for­ ze nel Mediterraneo degli olandesi e soprattutto degli inglesi: al tradizionale scontro tra ottomani e cristiani si sovrapponeva quindi la rivalità fra protestanti e cattolici. Veloci, manovrieri, ben armati e soprattutto economici, i velieri nordici fecero appa-

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Gli avvenimenti e i problemi

rire ben presto sorpassate le galere veneziane e si assicurarono una larga fetta dei pro­ fitti del commercio mediterraneo. Una terza forza veniva così a inserirsi tra i grandi Imperi ottomano e spagnolo; e anche le sorti del Mediterraneo sarebbero dipese in larga misura dai conflitti in cor­ so sulle sponde della Manica e del mare del Nord. 3

La rivolta dei Paesi Bassi

Alle origini dell'insurrezione olandese contro la Spagna, che è stata definita la prima rivoluzione borghese dell'età moderna, vi furono essenzialmente tre fattori. Il primo è il fattore religioso. I Paesi Bassi, come si è visto, erano stati fin da principio un terreno fertile per la diffusione delle dottrine riformate, in particolare del calvinismo, soprattutto nei centri industriali delle Fiandre e del Brabante. Natu­ ralmente non poteva mancare la risposta repressiva di Filippo Il, strenuo difensore dell'ortodossia religiosa. Il secondo fattore da considerare è quello politico. Il monarca aveva affidato il governo dei Paesi Bassi alla sorellastra Margherita, moglie del duca di Parma Ottavio Farnese. Ma al suo fianco aveva posto il cardinale di Granvelle, che diresse la lotta contro l'eresia rafforzando l'Inquisizione e mostrando scarso rispetto per le tradizio­ nali autonomie cittadine e per le prerogative degli Stati provinciali. Ciò suscitò l'ir­ ritazione e l'opposizione dei patriziati urbani e dell'alta nobiltà, pur fedeli nella gran­ de maggioranza al culto cattolico. Il governo degli Asburgo veniva ora avvertito (diversamente che al tempo di Carlo V) come straniero e oppressivo. Malgrado l'al­ lontanamento del Granvelle, ottenuto nel 1 564, i nobili fiamminghi il 5 aprile 1 566 invasero in armi il palazzo della governatrice e pretesero l'abolizione dell'Inquisizione e la mitigazione delle leggi contro i protestanti. Il terzo fattore infine, che contribuì in modo determinante a trasformare la pro­ testa in rivolta, fu la crisi economica che verso la metà degli anni Sessanta colpì i cen­ tri urbani e soprattutto Anversa, a causa del trasferimento ad Amburgo del fondaco inglese (il luogo di raccolta dei panni semilavorati da tingere e da finire) e della tem­ poranea chiusura del Baltico legata a una guerra in corso tra Svezia e Danimarca. Nell'estate del 1 566, mentre ancora Filippo II studiava la risposta da dare alle richie­ ste della nobiltà, ad Anversa e in altre città folle di calvinisti si diedero a devastare le chiese e a distruggere le immagini sacre, ritenute manifestazioni di idolatria. Di fronte alla ribellione aperta, Filippo II decise di ricorrere alla forza e inviò nelle Fiandre un forte esercito al comando del terribile duca d'Alba. Giunto a Bruxelles il 22 agosto 1 567, l'Alba fece arrestare i capi dell'opposizione, ivi compresi molti cattolici, e istituì un tribunale straordinario, il Consiglio dei torbidi, che in pochi mesi pronunciò oltre un migliaio di condanne a morte. I metodi spietati del «duca di ferro» parvero in un primo tempo avere successo, ma una nuova ondata di malcontento fu suscitata nel 1 569 dall'imposizione di tasse per mantenere l'esercito spagnolo, e in particolare dall'istituzione di un'imposta del

L'Europa nell 'età

di J.zlìppo Il

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l 0% su tutte le transazioni commerciali. Approfittando della situazione di fermento, il principe Guglielmo di Orange-Nassau, un grande aristocratico che era fuggito all'estero per sottrarsi alle persecuzioni del duca d'Alba, riuscì ad allestire una flotta e a invadere le province settentrionali dal mare, facendosi proclamare nel 1 572 Jta­ tolder (cioè governatore militare) delle province di Olanda c di Zelanda e converten­ dosi l'anno seguente al calvinismo. In quelle zone acquitrinose, che avevano una difesa naturale nei grandi estuari del Reno c della Mosa, i «pezzenti,,, come gli spagnoli chiamavano con disprezzo i rivoltosi, riuscirono a resistere all'esercito del duca d'Alba e, grazie anche all'aiuto degli ugonotti francesi e dei protestanti inglesi e tedeschi, reseto ben presto le coste della Manica impraticabili per le navi nemiche. Per la Spagna fu giocoforza rifornire l'esercito attraverso la lunga e costosa via di terra, che da Genova portava all'Europa del Nord attraverso la Lombardia, la Svizzera e la Franca Contea. Ma nel l 5 75, dopo aver speso infruttuosamente oltre l O milioni di ducati nella guerra, Filippo II fece bancarotta: ai primi del 1 5 76 i soldati, rimasti senza paga, si ammutinarono e sac­ cheggiarono orribilmente Anversa, ponendo fine per sempre alla sua prosperità. Proprio in quei giorni veniva stipulata tra cattolici e protestanti un'intesa per la comune lotta contro l'oppressore. Il comportamento prepotente dei calvinisti, che si impadronivano del governo di una città dopo l'altra estromettendone i pattizi rima­ sti fedeli al cattolicesimo, e l'abile politica del nuovo governatore inviato a Bruxelles alla fine del l 578, Alessandro Farnese, figlio di Ottavio e di Margherita, misero però rapidamente fine all'accordo. Nei primi mesi del 1 579 si giunse alla defirùtiva scissione del Paese. Mentre le dieci province meridionali, corrispondenti all'incirca all'attuale Belgio, tornavano l'una dopo l'altra all'obbedienza, le sette province settentrionali continuarono la lotta, raf­ forzate anche dal flusso di profughi calvinisti proveniente dalle Fiandre e dal Brabante. Neppure l'assassinio di Guglielmo d'Grange, perpetrato da un sicario il 1 0 luglio 1 5 84, modificò la situazione, che evolveva ormai verso l a piena indipendenza dell'Olanda e delle aÌtre province del Nord. Del resto ogni residua possibilità della Spagna di risolvere a proprio favore la lotta venne frustrata dall'apertura di nuovi fronti in Inghilterra c in Francia.

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e Inghilterra nell'età elisabettiana

Nata nel 1 5 33 dalla seconda moglie di Enrico VIII, Anna Bolena, Flisaberta salì al trono dopo la morte di Maria Tudor, alla fine del 1 5 58 . Dichiarata figlia ille­ gittima alla nascita, aveva conosciuto nella prima giovinezza la prigione e l'esilio ed era già divenuta maestra nell'arte della dissimulazione c del calcolo politico. Il suo governo si caratterizzò per un notevole equilibrio tra l'esigenza di tenere buoni rap­ porti con il Parlamento (che tuttavia fu convocato solo 1 3 volte in 45 anni) e la ten­ denza a concentrare i po teri decisionali nel Consiglio privato della corona, il cui membro più autorevole e ascoltato fu William Cccii, poi Lord Burghlcy.

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Gli avvenimenti e i problemi

Il problema più urgente che stava di fronte a Elisabetta era quello religioso. Per dare al Paese pace e stabilità la regina adottò una soluzione di compromesso che fissò in maniera definitiva i tratti della Chiesa anglicana: riaffermò la supremazia del sovra­ no in materia religiosa, ma mantenne l'episcopato e con l'Atto di uniformità del 1 559 impose il Libro dellepreghiere comuni, largamente rispettoso della liturgia tradizionale; sul piano dottrinale, invece, i Trentanove articoli di fede, formulati nel 1 562 e pro­ mulgati nel 1 57 1 , accolsero i motivi fondamentali della teologia calvinista. Il dissen­ so religioso fu ampiamente tollerato, e i seguaci di Roma cominciarono a essere seria­ mente perseguitati solo dopo la ribellione dei «conti del nord>> nel 1 568-1 569, ultimo soprassalto dell'Inghilterra cattolica e feudale, e dopo la scomunica lanciata contro la regina da Pio V ( 1 570). Il compromesso elisabettiano lasciava insoddisfatti i calvinisti più intransigenti, detti puritani, che reclamavano l'abolizione dei vescovi e l'eliminazione dal culto di ogni residuo di «papismo>>. Ma solo nel XVII secolo, come vedremo, il puritanesimo si trasformerà in una forza di opposizione alla monarchia. Al problema religioso era strettamente legato il problema della successione. Il rifiuto di Elisabetta di concedere la sua mano a qualcuno dei numerosi pretendenti (tra gli altri, lo stesso Filippo II) faceva temere una ripresa delle discordie civili dopo la sua scomparsa. La taccia d'illegittimità che pesava sulla sua nascita dava inoltre corpo ai disegni di quanti, all'interno e all'estero, speravano in un nuovo rovescia­ mento degli indirizzi politico-religiosi. Naturale punto di riferimento di queste tra­ me era la regina di Scozia, Maria Stuart, che era di fede cattolica e poteva vantare una discendenza legittima da Enrico VII Tudor. Dichiarata decaduta nel 1 568 dalla nobiltà scozzese calvinista, Maria riparò in Inghilterra dove, benché strettamente sor­ vegliata, non cessò di intrigare con gli oppositori del regime e con gli emissari delle potenze cattoliche. In seguito a ciò, nel 1 587 Elisabetta si decise a firmarne la con­ danna a morte, un gesto che, come vedremo tra poco, portò all'immediata apertura delle ostilità da parte della Spagna. Ma intanto l'educazione protestante impartita in Scozia al figlio di Maria Stuart, il futuro Giacomo I, aveva fornito la garanzia di una successione indolore al trono d'Inghilterra. In campo finanziario, vanno ascritte a merito del governo elisabettiano la stabiliz­ zazione della moneta (1 563) e la moderazione dei tributi: alle spese straordinarie si fece fronte con la vendita dei residui beni della corona e con la compartecipazione ai profit­ ti del commercio e della guerra di corsa piuttosto che con inasprimenti fiscali. In gene­ rale, la politica interna di Elisabetta fu tale da secondare il grande moto di espansione dell'economia e della società inglese. Al raddoppio della popolazione nell'arco di poco più di un secolo (da 2,3 milioni di abitanti agli inizi del Cinquecento a oltre 4,5 verso il 1620) si accompagnarono una forte mobilità sociale e il rafforzamento dei ceti imer­ medi: i medi e grandi proprietari terrieri che formavano la gentry (la nobiltà rurale non titolata), i gruppi mercantili, gli uomini di legge. La nobiltà titolata dei pari d'Inghil­ terra, invece, perse molto del suo potere politico ed economico, penalizzata come fu dall'inflazione e costretta o indotta a trasferirsi a corte, col doppio risultato di rovinarsi a causa delle spese eccessive e di allentare i propri legami con le regioni di origine.

L'Europa nell'età di Filippo I!

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I nuovi proprietari fondiari, acquirenti di beni della corona, coltivatori arricchi­ ti, mercanti che investivano nella terra, accorpavano spesso gli appezzamenti sparsi in aziende compatte, recintavano le loro terre, accrescevano la produzione e la desti­ navano a mercati distanti (soprattutto quello londinese) anziché al consumo locale. Là dove avevano luogo le recinzioni, che eliminavano gli usi collettivi del suolo, i contadini poveri non riuscivano più a sussistere e dovevano cercare lavoro altrove o darsi al vagabondaggio e alla mendicità. Per controllare questi fenomeni furono pro­ mulgate da Elisabetta le prime leggi sui poveri. Un'integrazione al lavoro agricolo era offerta in alcune regioni dalla diffusione nelle campagne della filatura e della tessitura della lana, la tradizionale industria inglese che ancora a fine Cinquecento copriva oltre i tre quarti delle esportazioni. �otevoli progressi fecero anche l'estrazione del carbone, impiegato in Inghilterra anche per il riscaldamento domestico, la siderurgia, la distillazione della birra. Più che nell'industria, tuttavia, nel commercio e nella navigazione l'età elisabet­ tiana segna l'inizio di una nuova era. La Compagnia di Moscovia, istituita nel 1 553, fu la prima di una serie di Compagnie privilegiate tra le quali sono almeno da ricordare la Compagnia del Levante ( 1 5 8 1 ) e la Compagnia delle Indie orientali (1 600). Non si trattava più di semplici corporazioni di mercanti, bensì di vere e proprie società per azioni che ottenevano dalla corona il «privilegio» esclusivo di commerciare con una cer­ ta area del globo, in cambio di prestiti e compartecipazioni agli utili (cfr. cap. 2, par. 5). Assai numerosi erano anche i mercanti che agivano a tirolo individuale, e spes­ so si dedicavano al contrabbando con le colonie spagnole ed esercitavano la pirateria sia nell'Atlantico sia, come si è visto, nel Mediterraneo. Alcuni di questi uomini sali­ rono a grande fama con imprese come la seconda circumnavigazione del globo ( 1 577- 1 580) di cui fu protagonista Francis Drake, che saccheggiò al passaggio le coste occidentali dell'America del Sud. Fallì invece per allora il tentativo di impiantare colo­ nie inglesi nel Nord America, raggiunto nel 1 585 da una spedizione al comando di Walter Raleigh, che battezzò quelle terre Virginia in onore della , dominati, specie in Olanda e in Zelanda, dai rappresentanti delle città, e pre­ sieduti da un Gran Pensionario; e larghissime erano le attribuzioni dei consigli citta­ dini, in cui sedevano gli esponenti delle famiglie più ricche, un patriziato mercantile che solo nel tardo Seicento perderà il suo carattere di ceto aperto all'emergere di nuo­ ve forze sociali. Gli Stati Generali, che si riunivano all'Aja e che comprendevano i deputati del­ le sette province, avevano poteri limitati e dovevano prendere le loro decisioni all'unanimità. Il sistema avrebbe potuto portare alla paralisi, se non fosse stato per il peso preponderante della provincia d'Olanda, che da sola pagava più di metà delle imposte federali e il cui statolder (luogotenente) rappresentava la massima autorità militare. Come quelli delle altre province, lo statolder d'Olanda era quasi sempre un membro della famiglia d'Orange, che godeva di grande popolarità e nei momenti di emergenza tendeva ad assumere poteri quasi monarchici. Nella dialettica tra gli Stati Generali (e provinciali) e gli statolder si riassume per gran parte la vita politica inter­ na delle Province Unite. In un'Europa dominata nel XVII secolo dalle monarchie assolute e dalle aristo­ crazie, le Province Unite rappresentavano una felice eccezione con la loro prosperità (ben presto oggetto, come vedremo più avanti, degli invidiosi attacchi di Inghilterra e di Francia), con la loro civiltà essenzialmente cittadina e borghese, con la loro ade­ sione ai valori della libertà e della tolleranza. In tale contesto si colloca l'eccezionale sviluppo della vita intellettuale e artistica, e in modo particolare della produzione di quadri destinati a decorare non le chiese o i palazzi pubblici, ma le pareti domestiche di ambienti borghesi. «l�Olanda divenne la patria del miracoloso realismo che dipin-

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geva l'insetto posato sul fiore, l'iridescenza del guscio di un'aragosta, le rughe sul vol­ to di una vecchia» (Charles Wilson). Nei più grandi maestri, quali Harmenszoon van Rijn Rembrandt ( 1 606- 1 669) e Jan Vermeer (1 632- 1 675) questo realismo si trasfor­ ma in intensità lirica, in ricerca del mistero e del tragico che si celano dietro le appa­ renze della vita quotidiana.

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La monarchia francese da Enrico IV a Richelieu

Dopo il travagliato periodo delle guerre di religione, la Francia sotto la ferma guida di Enrico IV di Borbone ( 1 589- 1 6 1 0) riguadagnò rapidamente quella posi7jo­ ne dominante sulla scena europea che le assegnavano la sua popolazione (circa 1 8 milioni di abitanti, dieci volte quella delle Province Unite) , le sue tradizioni e la sua vitalità economica. Al rifìorire delle attività economiche, prima fra tutte l'agricoltura, contribuirono gli sgravi fìscali, la soppressione di molti dazi e il programma di costruzioni stradali avviato dal primo ministro di Enrico IV, l'ugonotto Maximilien de Béthune, duca di Sully ( 1 559- 1 64 1 ) . La grande nobiltà venne guadagnata con una politica d i favori e d i elargizioni fìnanziarie, ma anche intimidita con alcune condanne esemplari; e ai governatori delle province, esponenti delle grandi casate aristocratiche, cominciarono ad essere affiancati per compiti specifici dei «commissari)) straordinari, preannuncio dei futu­ ri intendenti. I detentori di uffici venali, un ceto, come si è visto, particolarmente numeroso e potente in Francia, si videro riconoscere nel 1 604, dietro il pagamento di una moderata tassa annua (detta «paulette»), il diritto di trasmettere ereditariamente la loro carica; e poiché le più elevate cariche giudiziarie o finanziarie (come quelle di consigliere di un Parlamento o di tesoriere di Francia) conferivano automaticamente la nobiltà, se non subito alla terza generazione, ne ricevette grande impulso la fo rma­ zione di una nobiltà di toga che rivaleggiava con la nobiltà di spada (di origini più antiche e dedita alla professione delle armi) . Col trattato di Lione, firmato nel 1 60 l dopo una breve guerra col Piemonte sabaudo, Enrico IV ottenne la Bresse e il Bugey in cambio della cessione del Mar­ chesato di Saluzzo. Negli anni seguenti evirò ogni intervento militare diretto, ma non rinunciò a esercitare la propria influenza in Germania e in Italia. Si accingeva a muo­ vere guerra agli Asburgo d'Austria e di Spagna quando cadde vittima di un frate fana­ tico, François Ravaillac, che lo assassinò mentre transitava in carrozza per le vie di Parigi ( 1 4 maggio 1 6 1 0) . Lcrede a l trono, Luigi XIII ( 1 6 1 0- 1 643), era allora u n bambino di nove anni. La reggenza fu assunta in suo nome dalla vedova di Enrico IV, Maria dc' Medici, che inaugurò una polit ica fìlospagnola e si appoggiò ad alcuni favoriti venuti con lei dal­ la Toscana, principalmente Concino Concini. La s udditanza alla Spagna e la presenza di questi stranieri che spadro neggiava­ no a corte suscitarono il risentimento dei principi dì sangue reale e delle grandi casa-

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Gli avvenimenti

e

i problemi

te aristocratiche, che come sempre nei periodi di reggenza rialzarono la testa e cerca­ rono di riguadagnare il potere politico perduto. Un punto centrale delle loro riven­ dicazioni fu la richiesta di una convocazione degli Stati Generali del regno, che furo­ no riuniti, ma con scarsi risultati, tra il l 6 1 4 e il 1 6 1 5 . Furono questi gli ultimi Stati Generali nella storia di Francia prima del 1 789. Nell'autunno 1 6 1 6 Maria de' Medici poté così affidare le redini del governo al Concini, che l'anno seguente fu però assas­ sinato per ordine del giovane re, stanco di regnare sotto tutela. Nel confuso periodo che seguì si impose, come mediatore dei contrasti tra Luigi XIII e la madre, un gio­ vane vescovo che si era messo in luce come portavoce del clero agli Stati Generali: Armand-Jean du Plessis duca di Richelieu ( 1 585-1 642) . Nel 1 622 Luigi XIII otten­ ne per lui la nomina a cardinale; nel 1 624 lo inserì nel Consiglio della corona, all'in­ terno del quale Richelieu assunse in pochi mesi una posizione dominante accentran­ do nelle proprie mani la direzione della politica francese interna ed estera. Due erano le linee di condotta alternative che si presentavano al cardinale­ ministro. La prima, sostenuta dalla regina madre e dal partito detro dei «devoti», con­ sisteva nell'appoggio alla politica di restaurazione cattolica degli Asburgo di Spagna e d'Ausrria; ciò avrebbe evitato alla Francia gravosi impegni militari e avrebbe quin­ di consemiro di concentrarsi sul risanamento delle finanze e sulle riforme che rutti invocavano. La seconda linea considerava al contrario inevitabile una contrapposi­ zione al disegno egemonico degli Asburgo e subordinava a questo obiettivo ogni esi­ genza di politica interna. Fu quest'ultima, in sostanza, la linea scelta e perseguita con inflessibile coerenza da Richelieu. Il ritorno della Francia a una politica estera aggressiva presupponeva innanzi tutto il rafforzamento dell'autorità monarchica all'interno del Paese e l'eliminazione di ogni potenziale focolaio d'opposizione. Furono dunque stroncate con implacabile energia (e con decine di condanne a morre) le trame nobiliari e le manifestazioni d'anarchia feudale; e con una vera e propria guerra (assedio e presa di La Rochelle, roccaforte calvinista, 1 628) fu debellata l'organizzazione politico-militare degli ugo­ notti. Ai protestanti venne concessa una «pace di grazia», che manteneva la liberrà di culto nei limiti sanciti dall'editto di Nantes, ma toglieva di mezzo le garanzie politi­ che e militari (compreso il possesso di piazzeforti) da questo previste. La campagna contro gli ugonotti e il progressivo coinvolgimento della Francia (come vedremo più avanti) nei teatri di guerra tedesco e italiano ebbero come con­ seguenza un rapido aumento della pressione fiscale e in particolare della taglia, che gravava quasi esclusivamente sulle campagne. Si consideri la seguenre tabella:

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29.428.000

1 6.940.000 4 2 .734.000 56.9 1 5 .000

L'Europa nella guerra dei Trent'anni

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Fu questa la causa principale della grande ondata di rivolte popolari che scosse la Francia a partire dal 1 625 circa, estendendosi a volte a intere regioni, come il sud­ ovest nel 1 636-1 637 o la Normandia nel 1 640. «Viva il re e abbasso la gabella)) era una delle parole d'ordine dei rivoltosi, che vedevano i loro principali nemici negli agenti del fisco ed erano spesso inquadrati e guidati da elementi della nobiltà. Ma il bisogno di mantenere l'ordine, di garantire la riscossione delle imposte, di ammini­ strare una pronta e severa giustizia e di assicurare all'esercito i necessari approvvigio­ namenti e i servizi logistici fu a sua volta all'origine della graduale estensione a tutto il Paese dei «commissari)) istituiti da Enrico IV, che si chiamarono ormai intendenti di giustizia, polizia e finanza e si avviarono a diventare le principali cinghie di tra­ smissione della volontà sovrana nelle province del Paese. A questo gigantesco sforzo di accentramento e rafforzamento del potere monarchico, che per tanti aspetti anticipa l'opera di Luigi XIV, si possono ricondur­ re anche le benemerenze di Richelieu in campo culturale (fondazione nel 1 635 dell'Accademia di Francia, col compito primario di fissare i caratteri della lingua nazionale), così come gli impulsi da lui dati al commercio, con l'istituzione di Compagnie privilegiate e le costruzioni navali, e alla penetrazione coloniale francese in Africa (Senegal), nelle Antille (Martinica, La Guadalupa, Santo Domingo) e nel Canada. Ma tutto, nella sua mente, era subordinato al grande confronto con la potenza asburgica, sul quale dovremo tornare tra breve.

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La Spagna da Filippo III al duca di Olivares

Con l'inetto e incolore Filippo III (1 598- 1 62 1 ) , figlio e successore di Filippo II, si inaugura in Spagna l'era dei privados o validos, cioè dei favoriti onnipotenti, a cui sovrani incapaci di governare delegano tutti i poteri di decisione e di comando. Il favorito di Filippo III fu Francisco G6mez de Sandoval duca di Lerma, un cor­ tigiano dai modi suadenti che in vent'anni riuscì ad accumulare una ingente fortu­ na e ad arricchire amici e parenti, a scapito naturalmente delle casse regie. Egli pose fine alle guerre in corso stipulando la pace con l'Inghilterra ( 1 604) e la tregua di dodici anni con le Province Unite ( 1 609). Ma nello stesso 1 609 prese la grave deci­ sione di espellere dalla penisola iberica i moriscos, cioè i sudditi di origine araba con­ vertiti al cristianesimo, che in talune regioni, come la Valencia, costituivano un'in­ dispensabile manodopera specializzata per l'agricoltura e per l'industria. Furono quasi 300.000 i moriscos che lasciarono la Spagna per il Nord Africa o altre desti­ nazioni, aggravandone così d'un colpo il declino economico e demografico. Con l'avvento del nuovo sovrano Filippo IV ( 1 62 1 - 1 665), si affermò l'onnipo­ tenza di Gaspar de Guzman, conte di Olivares e poi duca di San Lucar, spesso desi­ gnato per questo col titolo di «conte-duca)), A differenza di Lerma, Olivares era un uomo energico, pieno di zelo per il bene pubblico, ed era intimamente persuaso del­ la necessità di introdurre profondi mutamenti nelle strutture economiche e politiche della monarchia. Egli era però, al tempo stesso, l'erede della tradizione imperiale spa-

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Gli avvenimenti e i problemi

gnola, che non poteva assistere indifferente al saccheggio del dominio coloniale ibe­ rico da parte degli olandesi né restare neutrale di fronte al conflitto acceso nel centro dell'Europa tra cattolici e protestanti. Così, oltre ad appoggiare militarmente la con­ troffensiva degli Asburgo di Vienna contro gli insorti boemi (cfr. oltre, Paragrafo 7), fu deciso a Madrid di non rinnovare la tregua di dodici anni con le Province Unite, che scadeva nel 1 62 1 . Convinto che sarebbe stato impossibile finanziare una guerra su diversi fronti per un lungo periodo continuando a gravare, come per il passato, sull'esausta econo­ mia castigliana, nel 1 626 l'Olivares presentò al re un progetto noto come UnùJn de las armas (Unione delle armi), che assegnava a ciascuna provincia un contingente di soldati da reclutare ed equipaggiare a proprie spese, in modo da raggiungere un tota­ le di 1 40.000 effettivi. Per un momento alle iniziative di Olivares parve arridere una possibilità di suc­ cesso. Le operazioni militari avviate contro l'Olanda e contro i protestanti tedeschi avevano un andamento favorevole e la situazione debitoria della corona venne alleg­ gerita nel 1 627 con una nuova bancarotta. Ma nel 1 628 l'apertura di un nuovo fron­ te in Italia (guerra per la successione di Mantova) e la cattura da parte degli olandesi della flotta che trasportava l'argento americano diedero il tracollo alle finanze spa­ gnole, mentre l' Uni6n de las armas incontrava, soprattutto in Portogallo e nelle pro­ vince aragonesi, una crescente opposizione. Negli anni seguenti l'affannosa ricerca di denaro a tutti i costi, il peggioramento della situazione militare e il crescente malcon­ tento delle province porteranno a una serie di rivolte e avvieranno il definitivo decli­ no della monarchia spagnola. 5

L'Impero germanico e l'ascesa della Svezia

Alla morte di Ferdinando I ( 1 564), la dignità imperiale era andata con le corone di Boemia e Ungheria e con i ducati austriaci al figlio Massimiliano II ( 1 564- 1 576), cui succedette Rodolfo II ( 1 576- 1 6 1 2) . Quest'ultimo, rigido asser­ tore del cattolicesimo, dovette far fronte a una larghissima diffusione del luterane­ simo e, in Ungheria e Boemia, anche del calvinismo: verso il 1 580 ormai la grande maggioranza della nobiltà nei domini asburgici aveva abbandonato la Chiesa cat­ tolica. Come in Francia e altrove, anche in questi territori la scelta delle aristocrazie non era solo un affare di coscienza, ma andava di pari passo con la rivendicazione di più ampi poteri per le assemblee dei ceti (o >) , dalla conoscenza della realtà materiale, concepita in termini rigorosamente meccanicistici. Anche nella storia del pensiero politico il XVII secolo segna una tappa fonda­ mentale, sotto un duplice aspetto. Da un lato l'olandese Ugo Grozio (Huig van Groot, 1 583- 1645), autore del Dejure belli et pacis, sviluppò in un senso nuo­ vo e compiutamente laico la dottrina del diritto naturale, conforme alla legge divina ma deducibile dalla natura razionale e sociale dell'uomo, e gettò le basi del diritto internazionale; dall'altro l'inglese Thomas Hobbes (1 588-1679) fornl col Leviatano una giustificazione del potere assoluto basata non su un disegno provvidenziale, ma su una spregiudicata analisi degli appetiti e della ricerca egoi­ stica del piacere che determinano uno stato di guerra perpetua fra gli uomini,

L'Europa nella guerra dei Trent'anni

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superabile solo con una ddega al sovrano di tutti i poteri. La teoria contrattuali­ stica dello Stato fu poi compiutamente rielaborata dal tedesco Samuel Pufendorf ( 1 632- 1 694), che resterà il punto di riferimento principale per i giusnaturalisti settecenteschi, e modificata in direzioni nuove da Spinoza e da Locke, come si è detto nel cap. 4, par. 2.

Rivoluzioni e rivolte 12

I

einghilterra sotto la dinastia Stuart

Giacomo I Stuart (1 603- 1 625) era già re di Scozia, col nome di Giacomo VI, quando succedette sul trono inglese alla regina Elisabetta, che era rimasta nubile e non lasciava quindi eredi diretti. C unione nella stessa persona delle due corone non comportò, peraltro, la fusione dei due Paesi sotto il profilo politico e amministrativo, fusione che verrà awiata soltanto con l'unificazione dei due Parlamenti nel l 707. Diversi fattori dovevano rendere impopolare il nuovo sovrano presso gli ingle­ si. Lorigine straniera, le inclinazioni omosessuali, le prodigalità nei confronti di favoriti avidi e incttì, e quel misto di pedanteria e di volubilità che caranerizzava la sua condotta. Fin dai primi anni del regno di Giacomo I si ripresentarono le due questioni che già negli ultimi tempi di Elisabetta avevano reso difficili i rapporti tra corona e Parlamento: la questione religiosa e la questione finanziaria. La legislazio­ ne contro i cattOlici venne inasprita dopo la scoperta di una congiura che mirava addirittura a far saltare in aria il primo Parlamento convocato da Giacomo (Congiura delle polveri, 1 605); non ebbero però soddisfazione le richieste dci puri­ tan i (i calvinisti intransigenti) per una più radicale riforma della Chiesa d'Inghilter­ ra, che eliminasse dal culto le vestigia di «papismo», abrogasse o almeno riducesse l'autorità dei vescovi e lasciasse alle singole congregazioni maggior libertà nella scel­ ta di ministri e predicatori. Nel corso dei primi decenni del XVII secolo il puritanesimo, inteso come sti­ le di vita c atteggiamento morale piuttosto che come sistema teologico, si venne diffondendo sempre più largamente tra la gentry c tra i ceti mercantili e artigianali delle città, alimentando un crescente senso di estraneità e di ostilità nei confronti di una corre sfarzosa e corrotta. Non pochi furono coloro che, disperando ormai della possibilità di realizzare in patria le loro aspirazioni, decisero di emigrare nell'America settentrionale: tra questi i cosiddetti padri pellegrini che nel 1 620, a bordo della nave Mavflower, attraversarono l'oceano e andarono a fondare la colo­ nia del Massachusett�.

Rit,oluzìoni e rivolte

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I costi della guerra contro la Spagna avevano creato una difficile situazione finanziaria, che neppure la pace stipulata da Giacomo I nel 1 604 riuscì ad alleviare. Al centro del problema era l'insufficienza delle entrate a fronte di spese in continuo aumento, anche per effetto della tendenza al rialzo dei prezzi. Se infatti il gettito dei dazi era in espansione, grazie allo sviluppo dci traffici, le massicce vendite di terre della corona effettuate sotto la dinastia Tudor avevano di molto assottigliaro gli inrroiti di origine deman iale. In questa situazione sarebbe s tato necessario reperire nuove entrate, e in primo luogo tassare la rendita fondiaria, ch e aveva conosciuto negli ultimi decenni un rapido in cremento. Ma ogni forma stabile di imposta fon­ diaria trovava un ostacolo insuperabile nel Parlamenro, che si limitava a vo tare sussi­ di straordinari in situazioni di emergenza, legate di solito a esigenze belliche. Ai problemi di natura religiosa e finanziaria si aggiunsero, a partire dal secondo decennio del secolo, le ripercussioni di una congiuntura economica negativa. Da un lato la popolazione inglese continuò ad aumentare fin verso il 1 650, quando rag­ giunse la cifra di cinque milioni di abitanti (Scozia esclusa) ; e ancor più spettacolare fù la crescita di Londra, che nella prima metà del secolo passò da poco più di 200.000 a 450.000 abitanti. Ma tra il 1620 e il 1 650 l'incremento demografico non fù più accompagnato da un parallelo sviluppo delle attività produttive: l'esportazione di pannilani, pilastro del commercio inglese con l'estero, si dimezzò nel giro di pochi anni anche a causa dello sconvolgimento delle tradizionali correnti di traffico deter­ minato dallo scoppio della guerra dei Trent'anni. Sotto il successore Carlo I, inoltre, gli effetti di una serie di cattive annate agri­ cole accrebbero la miseria dei ceti inferiori, già colpiti dal divario tra prezzi e salari e, in molte località, dal movimento delle recinzioni (cfr. cap. 1 7, par. 2) . I quattro successivi Parlamenti convocati da Giacomo I ( 1 604- 1 O, 1 6 14, 1 62 1 , 1 624) si rifiutarono sempre d i soddisfare, se non in modo parziale e provvisorio, le richieste finanziarie della corona e denunciarono invece con crescente energia i feno­ meni di corruzione e gli sprechi presenti nella corte e nel governo. Il problema finan­ ziario diventava così, per la monarchia inglese, un problema politico. Il circolo vizio­ so in cui essa si dibatteva consisteva da un lato nella mancanza degli strumenti neces­ sari per imporre ai sudditi un aumento della pressione fiscale (un esercito permanen­ te, una burocrazia docile), dall'altro nell'impossibilità di munirsi di tali strumenti a causa della mancanza di denaro. Per turare le falle del bilancio c soddisfare le brame dei cortigiani, il monarca e i suoi ministri erano indotti a fare continuo ricorso a espedienti che gettavano sem­ pre maggior discredito sulla corte: prestiti forzosi, concessione di privilegi economici (come l'impopolare monopolio della fabbricazione e della vendita del sapone) i n cambio di sovvenzioni o compartecipazioni agli utili, multe per l a mancata osservan­ Z. "l di vecchie leggi (per esempio quelle che proibivano le recinzioni), vendite di uffi­ ci e di titoli nobiliari. Così il numero dei lord fù più che raddoppiato nel corso di pochi decenni (da una sessantina scarsa, quali erano sotto Elisabetta, a quasi 130 nel 1 628) e nel 1 6 1 1 venne creato un nuovo titolo, quello di baronetto, appositamente per essere venduto.

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Gli avvenimenti e i problemi

Il regno di Carlo I e lo scontro tra corona e Parlamento

Il generale malcontento fu accresciuto, negli ultimi anni di Giacomo I, dall'ascendente acquistato a corte dal giovane e vanitoso favorito del re, il duca di Buckingham, e da una politica estera ritenuta troppo remissiva nei confronti della Spagna. Il figlio e successore di Giacomo, Carlo l ( 1 625- 1 649), uomo colto e non privo di intelligenza, ma di carattere debole e anch'egli dominato dai favoriti, si vide addirittura negare dal Parlamento, alla sua ascesa al trono, la tradizionale concessione vitalizia della facoltà di riscuotere i dazi doganali sulle importazioni di vino e di altri articoli, noti come Tonnage and Poundage. Nel tentativo di guadagnare il sostegno dei puritani, Carlo dichiarò guerra alla Spagna e organizzò una spedizione navale per soccorrere gli ugonotti di La Rochelle, assediati dalle truppe del re di Francia (cfr. cap. 1 1 , par. 3) . Il disastroso fallimento di queste operazioni militari, intraprese senza mezzi e senza adeguata preparazione, convinse i più che del nuovo re e del duca di Buckingham, che continuava a spadro­ neggiare a corte, non c'era in alcun modo da fidarsi. Il Parlamento convocato nel 1 628 condizionò ogni votazione di ulteriori sus­ sidi all'accettazione da parte del re di un documento in quattro punti, denominato Petizione di diritto, che dichiarava illegali le tasse imposte senza il consenso del Parlamento stesso, gli arresti arbitrari, il ricorso alla legge :narziale e l'acquartiera­ mento forwso di soldati in case private. Il re si piegò a sottoscrivere la petizione, ma subito dopo aggiornò il Parlamento all'anno seguente. Nell'agosto 1 628 il duca di Buckingham venne pugnalato a mor­ te da un ufficiale di marina; e quando le sedute ripresero, Carlo I, esacerbato dalle manifestazioni popolari di giubilo che ne erano seguite e dall'ostinazione del Parlamento nell'attaccare tutta la sua politica, decise di scioglierlo definitivamente. Una drammatica scena concluse l'ultima seduta (2 marw 1 629) , allorché lo speaker (il presidente della Camera dei Comuni) venne trattenuto sulla sua sedia a forza mentre veniva letta una durissima protesta in tre punti. Da allora e per undici anni, fino all'aprile 1 640, Carlo l governò senza Par­ lamento, appoggiandosi al Consiglio privato della corona e all'azione dei tribunali regi che giudicavano i reati di lesa maestà (la Camera Stellata in campo civile, la Corte di alta commissione in campo ecclesiastico). Due consiglieri soprattutto riscos­ sero la sua fiducia in questo periodo: Thomas Wentworth, poi conte di Strafford, governatore in Irlanda dal 1 633 al 1 639, fautore di una energica politica assolutisti­ ca, e William Laud, nominato nel 1 633 arcivescovo di Canterbury, cioè capo spiri­ tuale della Chiesa d'Inghilterra. Non mancarono negli anni del governo personale di Carlo utili riforme, che eli­ minarono parte delle inefficienze e degli sprechi ereditati dal regno di Giacomo I. Grazie a tali misure e alla pace frettolosamente conclusa con la Francia e con la Spagna alla fine degli anni Venti, le spese poterono essere finalmente contenute, mentre le entrate beneficiarono non soltanto di una più oculata amministrazione, ma anche del reperimento di nuovi cespiti, primo fra tutti quello relativo all'estensione a tutto il

Rivoluzioni e rivolte

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Paese della cosiddetta Ship money («tassa per le navi»), un tributo per la costruzione di navi da guerra che prima rivestiva carattere eccezionale e riguardava solo alcuni porti. Parallelamente, Laud procedeva a riorganizzare la Chiesa d'Inghilterra secondo linee gerarchiche e autoritarie. Erano sistematicamente p referiti per i seggi vescovili i seguaci della dottrina arminiana (protestanti seguaci del teologo olandese Arminius, contrari alla teoria calvi nista della predestinazione) , erano rimesse in onore pratiche di devozione e forme liturgiche p roprie della Chiesa cattolica (come i paramenti sacerdotali, o le balaustre che separavano il celebrante dai fedeli), erano perseguitati dai tribunali ecclesiastici i predicatori puritani. Il sospetto che si volesse così prepa­ rare un ritorno al cattolicesimo era alimentato dall'ascendente che su Carlo I eserci­ tava la moglie francese Enrichetta Maria, che professava il culto cattolico e si circon­ dava di gesuiti e di emissari della Chiesa di Roma. Ciò rafforzava l'opposizione dei puritani, convinti ormai che la corte fosse schierata con le forze del male. Alla fine degli anni Trenta poteva sembrare che anche l'Inghilterra degli Stuart, come la Francia di Richelìeu e la Spagna di Olivares, si avviasse verso un regime di tipo assolutistico. Ma si opponeva a questo disegno la fragilità dell'apparato militare, burocratico e finam1ario su cui la monarchia poteva contare; e l'ostilità dei sudditi era evidente nel diffuso rifiuto di pagare le imposte, ritenute illegali in assenza dell'approvazione parlamentare, e nella crescente impopolarità di Laud e delle alte gerarchie ecclesiastiche. Proprio le novità religiose imposte da Laud suscitarono nel 1 638 una rivolta nella Scozia presbiteriana. Falliti i tentativi di conciliazione, Carlo I si decise nell'aprì­ le 1 640 a convocare un nuovo Parlamento per ottenere i mezzi necessari a condurre la guerra contro gli scozzesi. Il Parlamento riunito nell'aprile 1 640 fu detto «Breve Parlamento» perché Carlo I, di fronte a un'opposizione ancor più risoluta che nel 1 628-29, lo sciolse dopo poche settimane. Ma l'esercito raccogliticcio messo insieme con grandi sforzi dal monarca e dal conte dì Strafford fu messo in rotta, nei mesi successivi, daglì scoz­ zesi. In questa situazione, resa più grave da una crisi commerciale e dal rifiuto della City di Londra di fare nuovi prestiti alla corona, non rimase a Carlo I altra via che co nvocare nuovamente la rappresentanza della nazione. Il Parlamento che si aprì a Westminster il 3 novembre 1 640 è passato alla storia come il «Lungo Parlamento» perché rimase in carica, sia pure attraverso successive epurazioni, fino al 1 653. Nella Camera dei Comuni erano in netta maggioranza gli avversari della politica assolutistica dd sovrano. Guidati da uomini politici esperti, come John Pym e John Hampden, e sostenuti da una p ressione popolare abilmeme orchestrata, i Comuni seppero intimidire e trascinare la Camera dei Lord e procedet­ tero in pochi mesi a smantellare rutti i capisaldi del potere regio: Strafford e Laud \'ennero accusati di tradimento e imprigionati (il primo verrà messo a morte il l O maggio 1 64 1 , il secondo qualche anno più tardi); furono soppressi i tribunali sotto­ posti all'influenza diretta del monarca, a cominciare d alla Camera stellata, e venne decretata l'inamovibilità dei giudici; furono dichiarate illegali e abolite la Ship money e le altre imposte introdotte nell'ultimo decennio; i vescovi vennero estromessi dalla

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Gli avvenimenti e i problemi

Camera dei Lord, e il re venne privato del diritto di sciogliere il Parlamento senza il consenso di quest'ultimo. Nel frattempo, la caduta delle restrizioni alla libertà di stampa aveva dato la stura a una pubblicistica dai toni veementi e spesso scurrili, che contribuì insieme agli incita­ menti dei predicatori puritani a mantenere alta la temperatura a Londra e in tutto il Paese e a impedire una riconciliazione con la monarchia, cui i Lord e una parte crescen­ te dei Comuni sarebbero stati inclini. Alla fine del 164 1 lo scoppio di un'insurrezione cattolica in Irlanda pose il delicato problema di chi dovesse condurre la repressione: pri­ ma di votare i sussidi per la costituzione di un esercito, il Parlamento intendeva costrin­ gere il monarca a cedere il controllo delle forze armate, che tradizionalmente gli spettava. Lo Stuart ritenne allora giunto il momento di reagire, e il 5 gennaio 1 642 si presentò in Parlamento con un drappello di armati per arrestare i capi dell'opposi­ zione; ma il colpo andò a vuoto perché questi ultimi, avvertiti in tempo, si erano messi in salvo. Il Parlamento si trasferì allora nella City, tra grandi manifestazioni popolari di sostegno, mentre il re lasciò la capitale, deciso ormai a risolvere con la forza la partita, e chiamò a raccolta i sudditi a lui fedeli. 3

La guerra civile. Cromwell e la vittoria del Parlamento

La guerra civile vera e propria ebbe inizio nell'estate del 1 642 e sembrò in un primo tempo volgere a favore del re, che poteva contare su una cavalleria valorosa, composta di nobili («cavalieri>> furono detti in generale i realisti, mentre ai loro avver­ sari venne affibbiato il nomignolo di «teste rotonde>> a causa delle loro capigliature tagliate corte). Ma il protrarsi delle ostilità doveva inevitabilmente far pendere la bilancia dalla parte del Parlamento, che poteva contare sul sostegno finanziario della City e sulla maggiore capacità contributiva delle contee sud-orientali, oltreché sull'al­ leanza con gli scozzesi, sancita nel 1 643 da un patto solenne (Covenant). Il primo importante successo venne ottenuto il 2 luglio 1644 nel nord, a Marston Moor, grazie al valore dei reparti di cavalleria guidati da Oliver Cromwell ( 1 599-1 658), un gentiluomo di campagna dotato di un grande talento militare e organizzativo oltreché di una saldissima fede calvinista. Fu lo stesso Cromwell a costi­ tuire l'anno seguente l'«esercito di nuovo modello>> (New ModelArmy), caratterizzato da una disciplina ferrea e dalla precedenza data al merito rispetto alla nascita e ani­ mato dalla convinzione dei soldati di combattere per una causa giusta: le schiaccian­ ti vittorie ottenute sui realisti a Naseby e a Langport (giugno-luglio 1 645) posero praticamente fine alla guerra civile. Vista inutile ogni ulteriore resistenza, Carlo I pre­ ferì un anno dopo arrendersi agli scozzesi, che lo consegnarono al Parlamento di Londra; ma non smise per questo di intrigare né di intavolare trattative ora con il Parlamento stesso, ora con gli scozzesi e ora con i generali dell'esercito, nella speran­ za di dividere gli avversari e metterli l'uno contro l'altro. Ben pochi, infatti, erano coloro che ritenevano si potesse fare a meno della monarchia: i più, e tra loro lo stesso Cromwell, erano favorevoli a un accordo con il

Rivoluzioni e rivoltt:

- Arei! controllate dai realisti Noventbre 1644

controUate dai realisti

- Aree maggio 1643

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- Aree controllate dalle forze

- Aree controllate dalle forze del Parlamento Novembre 1 644

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Mare

del Nord

della guerra civile in Inghilterra e Galles (1643-1645).

re sconfitto, che salvaguardasse le conquiste della rivoluzione. Sul nuovo assetto poli­ tico e soprattutto religioso da dare al Paese non vi era però unanimità di vedute. Nel Parlamento era predominante la corrente presbiteriana, che dopo l'abolizione dell'episcopato, decretata nd 1646, intendeva riorganizzare la Chiesa d'Inghilterra con un sistema di consigli (presbiteri) saldamente gerarchizzati e con la rigida impo­ sizione del credo calvinista. A costoro si contrapponevano gli indipendenti, che ave­ vano nei quadri dell'esercito la loro roccaforte ed erano sostenitori di una larga tol­ leranza delle opinioni religiose (esclusi però i cattolici) e dell'indipendenza delle sin­ gole congregazioni di fedeli. Va ricordato che il clima di effervescenza e di relativa libertà creato dallo scon­ tro tra corona e Parlamento aveva favorito la proliferazione di sette e conventicole religiose, spesso a sfondo millenaristico, che con le loro opinioni radicali parevano mettere in pericolo i fondamenti dell'ordine sociale oltreché i dogmi del cristianesi­ mo (cfr. oltre, scheda).

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Gli avvenimenti e i problemi

Evidenti sono agli occhi degli storici (e lo erano già per i contemporanei) i lega­ mi tra queste tendenze eterodosse in campo religioso e il radicalismo politico che si espresse soprattutto nel movimento dei livellatori (levellers). Il termine, già nell'uso per designare coloro che abbattevano le siepi e colmavano i fossati posti a difesa dei terreni recintati, venne a indicare verso la metà degli anni Quaranta quanti erano accusati di voler cancellare le distinzioni sociali e livellare Le fortune. In verità, i livel­ latori non misero mai in discussione La proprietà privata. Essi reclutavano i loro adep­ ti soprattutto tra le file dell'artigianato cittadino e dei piccoli proprietari coltivatori; pur non essendo contrari alla monarchia, rivendicavano la sovranità popolare, chie­ devano La soppressione di tutti i privilegi, una semplificazione delle leggi e un'istru­ zione per tutti; c soprattutto esigevano l'allargamento del diritto di voto a tutti i maschi adulti, ad esclusione solo dei mendicanti e dei servi (un termine di significa­ to ambiguo, che sembrava includere tutti i salariati alle dipendenze altrui) . Dopo la vittoria sul re, la propaganda dei Livellatori fece molti proscliti nell'«eser­ cito di nuovo modello)), soprattutto quando, nella primavera del l 647, divenne chiara L'intenzione del Parlamento di scioglierlo o di spedirlo in Irlanda a combattere contro i cattolici, senza neppure saldare Le paghe arretrate. I vari reparti nominarono allora degli «agitatori)) (sorta di rappresentanti sindacali) incaricati di trattare con i capi per giunge­ re a una piattaforma comune dell'esercito; nel giugno successivo questo occupò Londra c si impadronì con la forza della persona del re. Il dibattito che si svolse a Putney nell'ot­ tobre 1 647 mostra come L'ostacolo principale a una unificazione delle proposte fosse proprio La questione del suffragio, nella cui estensione Cromwell e Henry Ireton, suo genero, vedevano il pericolo di un sovvertimento delle gerarchie sociali. Le discussioni furono interrotte, alla fine di quell'anno, dalla fuga del re, che con L'appoggio degli scozzesi cercò di riaccendere La guerra civile. Ma le fo rze realiste vennero sconfitte in pochi mesi. Questa volta, Cromwell e gli altri capi militari erano decisi a farla finita. Il Parlamento venne epurato con la forza degli elementi più mode­ rati nel dicembre 1 648 e il troncone rimastone (detto appunto Rump, cioè mozzico­ ne) decretò sotto La minaccia incombente delle armi L'istituzione di un'Alta Com­ missione di giustizia per processare il re. Carlo I venne condannato a morte c giusti­ ziato il 30 gennaio 1 649. Era la prima volta nella storia d'Europa che un monarca veniva giudicato e condannato in nome della sovranità del popolo. Il gesto era troppo rivoluzionario per essere approvato dalla massa della popolazione inglese, alla quale lo sventurato sovrano, che si era comportato sul patibolo con coraggio e dignità, appar­ ve circondato dall'aureola del martire. Il successivo decennio doveva dimostrare tutta la difficoltà di governare con istituzioni repubblicane un Paese saldamente attaccato alla tradizione monarchìca e a una concezione gerarchica della società.

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Il decennio repubblicano: Cromwell al potere

L esecuzione del re fu seguita dalla creazione di un Consiglio di Stato (febbraio 1 649), che prendeva il posto del Consiglio privato della corona, dalla soppressione

Rìvoluzìonì e rìvoùe

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della Carnera dei Lord (marzo 1 649) e nel maggio, finalmente, dalla proclamazione della Repubblica unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda (Commonwealth) . Non erano però affatto risolrì i contrasti tra i moderati (solo momentaneamente sconfitti), i capi dell'esercito («i Grandi>>) e i livellatori. Il primogeniro di Carlo I, rifugiatosi nei Paesi Bassi, non aveva tardato ad assu­ mere il titolo regio di Carlo II ed era stato riconosciuto sia dagli scozzesi sia dagli irlandesi, in armi fin dal 1 64 1 . Per scongiurare la minaccia di un'invasione realista e per sottomettere quei due territori c'era bisogno di una forza armara compatta e docile al volere dei generali . All'arresto dei capi del movimento livellatore fece dun­ que seguito la repressione sanguinosa, ad opera di Cromwell, dell'ammutinamento dì alcuni reparti dell'esercito a Burford (maggio 1649). Lo stesso Cromwell guidò personalmente, nel 1 649- 1 650, la campagna contro gli insorti irlandesi, che fu segnata da massacri indiscriminari di catrolici, da lui considerati alla stregua di «spre­ gevoli barbari», e seguita da deportazioni in massa e confische di terre a beneficio di protestanti inglesi (tra cui molti soldati) . Fu una specie di genocidio (si calcola che 600.000 furono gli irlandesi morti o costretti all'emigrazione, su una popolazione di 1 .400.000) in cui uova origine e spiegazione l'odio inestinguìbile dei cattolici irlan­ desi per la dominazione inglese. Ugualmente rapida e vittoriosa fu la successiva cam­ pagna di Cromwell in Scozia: per la prima volta nella storia si apriva così la via per una unificazione politica, e non solo dinastica, delle isole britanniche. La nuova potenza militare inglese, posta al servizio di un espansionismo aggres­ sim che agli imperativi religiosi congiungeva quelli economici, non tardò a rivolger­ si anche in altre direzioni. Nel settembre 1 65 1 venne promulgato l /ltto di nat,igazio­ m:, che riservava alla madrepatria il commercio con le colonie nordamericane e ammetteva nei porri inglesi solo navi britanniche o dei Paesi da cui provenivano le merci. Era un colpo diretto contro gli olandesi, che esercitavano su larga scala il com­ mercio d'intcrmediazionc; e infatti scoppiò subito la prima delle tre guerre navali anglo-olandesi ( 16 5 2 - 1 654, 1 66 5- 1 667, 1 672- 1 674), che finiranno per sancire la superiorità marittima britannica. Alcuni anni dopo ( 1 6 5 5), l'Inghilterra di Cromwell entrò in guerra contro la Spagna, già duramente provata dal conflitto con la Francia (cfr. cap. 1 1 , par. 7) , e le srrappò l'isola di Giamaica, destinata a divenire ben presto il fulcro della tratta intcr­ .::ondnentale degli schiavi. Se si tien conto inoltre dei trattati commerciali stipulati .::o n il Portogallo e con i Paesi baltici, si può affermare che gli anni dell'interregno x:gnarono l a ripresa in grande stile dell'espansione marittima c commerciale iniziata sotto Elisabetta c inaugurarono l'era dell'imperialismo britannico. Assai meno soddisfacenti furono i risultati ottenuti nella politica interna. Nel 1 653 venne finalmente sciolto quanto restava del «Lungo Parlamento» e al suo posto ·;enne inscdìara un'assemblea di 1 44 membri, tutti scelti dai capi dell'esercito: fu il .:: osiddetro ,Parlamento Barebone>> (o «all'osso»), che dun') solo cinque mesi a causa dei contrasti interni e dci timori suscitati dai suoi progetti di radicali riforme. Alla !Ìnc di quello stesso anno, una carta costituzionale stesa in fretta e furia p roclamò Oliver Cromwell Lord Protettore del Commonwealth di Inghilterra, Scozia e Irlanda:

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Gli avvenimenti e i problemi

fu lo stesso Cromwell a scegliere a sua volta i membri del Consiglio di Stato, quasi tutti capi dell'esercito. Il potere militare si idemifìcava così strettamente col potere politico, e scarso successo ebbero i nuovi tentativi per affiancare all'esecutivo un Parlamento che fosse al tempo stesso docile ai suoi voleri e in qualche modo rappre­ sentativo della nazione. Con il protettorato ebbe fine la relativa libertà di cui aveva fino allora goduto la stampa e anche il dissenso religioso cominciò ad essere perseguitato. C esercito ven­ ne epurato degli elementi più radicali e tutto il territorio inglese venne suddiviso in undici distretti, ciascuno dei quali fu sottoposto a un maggiore generale. La dittatura militare non rispondeva però ai desideri della gentry, che voleva per sé il potere ed era ostile al mantenimento di una forte pressione fiscale: le spese per l'esercito e per la marina infàtti, non bastando i proventi delle confische e delle vendite dei beni dei vescovi, della corona e dei realisti, erano state coperte fin dai primi anni della guerra civile con l'introduzione di tasse sui beni di largo consumo e di un'imposta fondiaria. Alla morte di Ollver Cromwell (3 settembre 1658) venne designato a succeder­ gli il figlio Richard, che non aveva però l'autorità del padre e si dimostrò incapace di porre un freno alle forze centrifughe che spingevano il Paese verso l'anarchia. Dopo l'abdicazione di Richard, l'unica soluzione possibile apparve il richiamo di Carlo I I Stuart, che con l a dichiarazione d i Breda (aprile 1 660) si impegnò a governare di concerto con il Parlamento, a concedere una larga amnistia e a tollerare una cena libertà religiosa.

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La Francia a metà Seicento: il governo di Mazzarino e la Fronda

Come si è visto nel capitolo precedente (cap. 1 1 , par. 3), lo spietato aumento della pressione fìscale imposto ai francesi dal governo di Richelieu aveva provocato una serie di rivolte popolari, talvolta estese a intere regioni ma pur sempre geografi­ camente circoscritte e fondamentalmente spontanee. Un carattere in parte diverso ebbero i disordini della «Fronda» (dal francese ftonde, iìonda, lo strumento usato dai ragazzi per lanciare pietre), che videro protagoniste le classi dirigenti e interessarono contemporaneamente la capitale e la maggior parte del Paese. Alla morte di Luigi XI I I (maggio 1 643), preceduta di pochi mesi da quella di Richelieu (dicembre 1 642), la reggenza in nome del piccolo successore Luigi XIV venne assuma dalla vedova del defunto monarca, Anna d'Austria. Fin dai primi gior­ ni questa affidò la direzione degli affari a una creatura di Richelieu, il cardinale di origine abruzzese Giulio Mazzarino ( 1 602- 1 66 1 ) . Egli si mantenne nel complesso fedele agli indirizzi politici del Richclieu, pur sostituendo alla durezza di questi la diplomazia e l'arte del compromesso; e ne ereditò così l'impopolarità, accresciuta dal­ la provenienza straniera e dalla modesta estrazione sociale. Come già sotto la reggenza di Maria de' Medici, i principi del sangue e i nobi­ li presero ad agitarsi e a complottare per impadronirsi del potere politico. Gli officiers (detentori di uffici venali) protestavano contro l'autorità concessa agli intendenti e

Rivoluzioni e rivolte

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contro la continua creazione di nuove cariche, che portava al deprezzamento delle vecchie. I rentiers (possessori di cartelle del debito pubblico) lamentavano gli enormi ritardi con cui erano pagati gli interessi cui avevano diritto. Tutti, poi, denunciavano gli scandalosi arricchimenti dei finanzieri e degli appaltatori delle imposte, dei cui servizi la corte non poteva fare a meno. La situazione divenne esplosiva nel 1 648, l'anno stesso in cui si avviava a con­ clusione la guerra dei Trent'anni. Di fronte a un nuovo pacchetto di misure fiscali, delle quali faceva parte una trattenuta di quattro anni sugli stipendi dei magistrati in can1bio del rinnovo della paulette (la tassa che garantiva l'ereditarietà degli uffici vena­ li) , il Parlamento di Parigi prese la testa del movimento di opposizione e concertò con le altre corti sovrane risiedenti nella capitale un comune programma di riforme. Le rivendicazioni contenute nei 27 articoli formulati nel giugno-luglio 1648 presentano non poche analogie con quelle avanzate dal Parlamento inglese, benché assai diversa, come sappiamo, fosse la natura dei Parlamenti francesi, semplici tribu­ nali d'appello sprovvisti di ogni carattere rappresentativo. Si trattava, in particolare, della soppressione degli intendenti, della diminuzione delle imposte e del rifiuto del sistema degli appalti, dell'invalidità di ogni tassa che non avesse ottenuto l'assenso dei Parlamenti, della illegalità degli arresti arbitrari: un programma che, se attuato, anebbe bloccato il cammino verso l'assolutismo della monarchia francese. La regina e Mazzarino reagirono decretando l'arresto di uno dei più autorevoli e popolari esponenti della magistratura parigina, Pierre Broussel, ma la piazza si ribel­ ìò e a Parigi sorsero le barricate (27-28 agosto). Di fronte alla sommossa la corte fu -.:osuetta a lasciare la capitale e a piegarsi alle richieste del Parlamento (Dichiarazione regia del 22 ottobre) . La pace firmata a Saint-Germain il l o aprile 1 649 chiudeva, con la sconfitta apparente della monarchia, la Fronda detta «parlamentare», per il ruolo di primo pia­ !10 che in essa aveva giocato il Parlamento di Parigi. Ma le ambizioni rivali del prin­ -.:ipe di Condé e degli altri grandi nobili e l'odio comune verso il favorito della regina Jo\-evano di lì a poco accendere la > la colpa di avere ripudiato e mes­ so a morte il Crisro, e la loro tenacia nel difendere la fede e i costumi dei padri era vista come una diabolica ostinazione nel peccato. A questa macchia incancellabile si aggiungevano accuse infamanti diffuse in Europa sin dal Basso Medioevo, come quelle di avvelenare i pozzi, di profanare le ostie consacrate o di rapire e uccidere bambini cristiani al fine di utilizzarne il sangue per i loro riti. Un episodio fàmoso, e oggetto di un recente acceso dibattito storiografico, fU la presunta uccisione nel 1 485 del piccolo Simone (in seguito beatificato) da parte degli ebrei di Trento, che diede luogo a un processo e a diverse condanne al rogo. Lostilità popolare si rivolgeva poi contro talune attività economiche esercitate dagli ebrei, soprattutto

L1talia del Seicento

185

il prestito su pegno, ed era alimentata nel XV-XVI secolo dagli ordini mendicanti

(francescani, domenicani); particolare efficacia ebbe nel tardo Quattrocento la pre­ dicazione di san Bernardino da Feltre a favore dell'istituzione dei Monti di Pietà come alternativa ai banchi feneratizi ebraici. Anche dove erano tollerati, gli ebrei erano soggetti a interdizioni e vessazioni umilianti; non potevano acquistare beni immobili né sposare o avere al proprio servizio donne cristiane; dovevano spesso portare speciali indumenti o segni di riconoscimento e pagare esosi tributi. La Ri­ forma protestante e la Controriforma cattolica portarono a un aggravamento delle loro condizioni. Mentre l'Inquisizione spagnola e quella portoghese infierivano contro i conversos sospetti di «giudaizzare» in segreto, in Germania si succedevano i tumulti popolari antiebraici spesso sfocianti in saccheggi e massacri (in seguito chiamati con vocabolo russo pogrom); in Italia gli Stati che ancora ammetteva­ no minoranze israelitiche (la Repubblica veneta, lo Stato pontificio, la Toscana, i Ducati estensi e gonzagheschi; gli ebrei furono invece cacciati da tutte le regioni soggette alla Spagna) le rinchiusero nei ghetti, speciali quartieri cittadini circondati da mura i cui portoni venivano chiusi al tramonto. Il primo ghetto (il nome sem­ bra derivare da un «getto», o fonderia, originariamente presente in quell'area) fu istituito a Venezia fin dal 1 5 1 6, gli altri seguirono dopo la metà del secolo. Una certa attenuazione degli atteggiamenti persecutori si registrò in alcune aree d'Europa a fine Cinquecento e nel Seicento a seguito, tra l'altro, del movimento di secolarizzazione nella politica e nella cultura e della diffusione nelle sfere di governo degli indirizzi mercantilistici, che facevano apparire conveniente ricorrere alle disponibilità finanziarie e alle reti di relazioni delle comunità ebraiche per incrementare il commercio internazionale. A grande potenza e ricchezza assursero i maggiori esponenti della comunità ebraica di Amsterdam, attivi nel commercio delle spezie e nell'importazione e lavorazione dei diamanti; i suoi 12.000 membri costituivano il 6% della popolazione urbana e disponevano di splendide sinago­ ghe. Di poco inferiore era la prosperità dei 3000 ebrei di Livorno (il 20% della popolazione locale nel tardo Seicento, la percentuale di gran lunga più elevata tra le città dell'Europa occidentale) , gli unici in Italia a non essere rinchiusi in un ghetto. Ma anche nell'Impero germanico, travagliato dalle vicende della guerra dei Trent'anni ( 1 6 1 8- 1 648) , gli ebrei si resero indispensabili nel finanziamento delle operazioni militari e nell'approvvigionamento delle truppe. Tra i cosiddetti «ebrei di corte» si distinse soprattutto Samuel Oppenheimer ( 1 630- 1 703), che fu tra i maggiori artefici dell'ascesa della monarchia asburgica con i servizi finanziari e le forniture belliche che offrl largamente all'imperatore Leopoldo l. Non emersero figure di uguale rilievo nei territori della Polonia-Lituania, dove la numerosissima popolazione ebraica era per lo più dispersa in borgate e villaggi (nei quali a volte costituiva la maggioranza degli abitanti) e monopolizzava in larga misura le at­ tività mercantili e artigianali. I più benestanti erano qui coloro che appaltavano la gestione delle tenute nobiliari e la riscossione delle imposte. Identificati con il potere monarchico e con l'oppressione feudale, essi furono il bersaglio principale

186

Gli am,enimentì

e

ì problemi

della rivolta dei cosacchi del Don capeggiati da Bogdan Chmel' nickij nel 16481 649; con almeno 50.000 morti, fu questo il maggiore massacro di ebrei nella storia europea prima della Shoah. La vita interna delle comunità, oggetto di molti studi recenti, era contrassegnata dal primato della religione, dall'autorità riconosciuta ai rabbini come guide spi­ rituali e interpreti della Torah, la Legge sacra contenuta nei primi cinque libri delJa Bibbia, dall'osservanza dei riti di passaggio (dalla circoncisione ai fu nerali) , delle festività settimanali (il Sabbath) e annuali (come la Pasqua ebraica, diversa da quella cristiana), e delle rigide norme alimentari proprie della cucina kasher. All'isolamento e all'ostilità dell'ambiente si contrapponeva una forte solidarietà Ìntra e intercomunitarìa. Numerose erano le confraternite che assistevano i poveri e gli infermi, e più alti che fra i cristiani erano in genere i livelli di alfabetizzazione e di istruzione. Tra le espressioni più caratteristiche della cultura ebraica erano lo studio del Talmud (il complesso delle dottrine e degli insegnamenti postbiblici, la cui raccolta più antica risale al V secolo) e la Cabala (Qabbafah), un'interpre­ tazione esoterica e mistica di tale patrimonio dominale. l:esperienza dei ghetti sovraffo llati, le sofferenze e le tribolazioni acuivano il senso di un'identità separata, intensificavano l'attesa del Messia che avrebbe redento e riunifìcato il popolo elet­ to. Un'eco enorme suscitò tra le com unità di tutta Europa la vicenda dì Sabbatay Zevi ( 1 626- 1 676), un ebreo di Smirne che sotto l'influenza dì un dotto cabalista, Nathan di Gaza, proclamò nel maggio 1 665 di essere il Messia. Altrettanto grande fu la delusione quando l'anno seguente egli si convenì: all'ìslamismo, benché non pochi sì ostinassero a credere in lui e in Nathan. Tra Sei e Settecento l'ebraismo conobbe sviluppi diversi. Se la fìlosofìa dell'ebreo di Amsterdam Baruch Spinoza sì colloca decisamente al di fì.wri dell'ortodossia e a fondamento delle correnti più radicali del pensiero settecentesco, due orientamen­ ti contrapposti furono nel XVIII secolo lo chassidismo, una sorta di via mistica alla santità e alla salvezza personale che comportava non poche innovazioni in campo liturgico e rituale e che conta ancor oggi numerosi seguaci; e la haskalah, sorta dì versione ebraica dell'illuminismo che faceva leva sulle istanze razionalistiche e sul superamen to delle barriere culturali, e che continuò a esercitare la sua influenza per gran parte dell'Ottocento, in parallelo con l'emancipazione degli ebrei d'Eu­ ropa dalle tradizionali condizioni di inferiorità. Le successive vicende del mondo ebraico, dal movimento sionista, che predicava il ritorno degli ebrei alla terra degli avi e la fondazione di uno Stato israelicico, allo sviluppo di un nuovo antisemi­ tismo destinato a sfociare nell'immane tragedia della seconda guerra mondiale, traval1cano di molto i limiti cronologici del presente volume.

Imperi e civiltà dell'Asia tra XVI e XVIII secolo

1

La Cina sotto le dinastie Ming e Manciù

Dei circa 550 milioni di uomini che, secondo le stime più attendibili, popola­ vano il nostro pianeta introno al 1 600, almeno 370 milioni, oltre due terzi, abitava­ no l'immenso continente asiatico. I popoli dell'Asia avevano dato vita a grandi e mil­ lenarie civiltà, per molti aspetti più evolute, ancora all'epoca di cui ora ci occupiamo, di quelle dell'occidente europeo, e da esso profondamente diverse per strutture eco­ nomico-sociali, religione e cultura. La più antica e la più prestigiosa era quella del «Celeste Impero>> cinese, che proprio nell'età moderna raggiunse la sua massima estensione. Tra il 1 400 e il 1 600 la popolazione cinese si era all'incirca raddoppiata, pas­ sando da 80 a 1 60 milioni di abitanti. Un tale sviluppo era stato reso possibile essenzialmente dalla perfezione cui era stata portata soprattutto nelle regioni meri­ dionali, bagnate da grandi fiumi, la coltura del riso, del quale, grazie all'irrigazione, si potevano ottenere due raccolti l'anno. La risicoltura intensiva esigeva d'altra par­ re l'impiego di una manodopera abbondante per le operazioni di regolazione delle acque, mondatura e mietitura, e si adattava dunque alle eccezionali densità umane raggiunte nelle regioni del «fiume giallo>> e del «fiume azzurro>>. Accanto al riso e alle altre piante alimentari (frumento, soia nelle terre aride) , notevole sviluppo ave­ vano altre coltivazioni come quelle del tè, la bevanda nazionale, e del cotone. Molto minore che in Europa era l'impiego del bestiame da lavoro, e anche nell'alimenta­ zione le scarse proteine non vegetali erano fornite quasi esclusivamente da suini e pollame oppure dal pesce. La centralità dell'agricoltura nell'economia cinese non impedì peraltro, nel periodo corrispondente al Medioevo europeo, l'accumulo di sofisticate conoscenze tecniche e artigianali. In Cina ebbero origine molte scoperte cruciali per l'evoluzione della civiltà materiale: tra queste la bussola ad ago magnetico, la carta, la stampa, la polvere da sparo. I cinesi avevano inoltre raggiunto livelli ineguagliati in Europa nel­ la fusione del ferro, nella manifattura di porcellane e nella tessitura serica. Anche il

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Gli avvenimemi e i problemi

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Territorio originario dei manciù



Conquiste manciù fino a l 1 644



Massima espansione dell'Impero (1 760 circa)

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. Loy, nel 1 9 1 1 . I manciù imposero inizialmente la propria superiorità di popolo conquistatore, obbligando tra l'altro i cinesi a portare come segno di riconoscimento il cranio a merà rasato e il famoso codino. Ma il loro numero era troppo scarso per mantenere a lungo una distinzione etnica, e si dimostrò d'altra parte impossibile fare a meno dei servizi della burocrazia cinese. Gli esami di concorso vennero dunque ripristinati fin dal l 656 e anche la tradizione confuciana venne ristabilita con l'Editto sacro promul­ gato nel 1 669 dal grande imperatore K'ang-tsi ( 1 662-1 722). La popolazione riprese a crescere, superando verso il 1 7 5 0 i 200 milioni. Ciò fu dovuto sia all'acclim atamento di nuove piante alimentari, tra cui il mais e la patata, sia all'ulteriore perfezionamento della risicoltura. Sotto il lungo regno di Ch'ien-lung ( 1 736- 1 796) , l'Impero raggiunse la sua massima espansione con la sottomissione del Sinkiang, del Turkestan e del Tibet nell'Asia centrale. Limmagine d i ordine, di pro­ sperità e di potenza che la Cina offriva agli occhi pieni di ammirazione dell'Occiden­ te nascondeva però un irrigidimento crescente delle strutture economiche e sociali, un esasperato tradizionalismo così nella sfera intellcrtuale come in campo tecnologi­ co, che finirà per condannare alla stagnazione e al declino quella grande civiltà.

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Il Giappone nell' «era Tokugawa»

Lo Stato giapponese si era costituito nel Vll secolo sul modello di quello cine­ se. Dalla Cina era venuro anche il buddhismo, che si fuse con una religione indigena di ripo politeistico, lo scintoismo. Diversamente che in Cina, tuttavia, nel lungo «Medioevo giapponese» l'autorità dei funzionari regi venne a poco a poco eclissata da quella dei grandi signori fondiari (ddimyo) , che potevano contare sulla devozione e i servizi di una classe dì guerrieri di professione, i samurai o bushi. La frammenta­ zione del potere, lo stabilirsi di rapporti di vassallaggio e le guerre incessanti tra i vari signori dererminarono una situazione molto simile a quella dell'Europa feudale. A partire dalla fine del Xli secolo accanto all'imperatore (mikadn), remotO e inaccessibile nel suo palazzo di Kyoto, troviamo la figura del «generalissimo, (shogun), esponente d i una delle maggiori casate feudali, che deteneva il potere effettivo. Ciò porrò a violente guerre intestine, finché nel 1 603 il tirolo di shogun fu assunto da Tokugawa leyasu, che lo trasmise ai suoi discendenti fino al 1867. Nella storia giap-

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Gli avvenimenti e i problemi

ponese questo lungo periodo è appunto noto come «eta Tokugawa» o anche Edo, dal nome della nuova capitale (l'odierna Tokyo) nella quale essa pose la sua sede. L«era Tokugawa)) fU caratterizzata al tempo stesso dalla persistenza delle strut­ ture feudali e da un forte accentramenro statale. La famiglia Tokugawa controllava direttamente circa un terzo del Paese: gli altri due terzi erano suddivisi fra oltre 250 daimyo, che all'interno dei rispettivi territori esercitavano un'autorità pressoché asso­ luta c prelevaevano dai villaggi contadini le imposte in natura necessarie per il man­ tenimento delle loro corti c dei numerosi samurai al loro servizio, concentrati nelle città-fortezze in cui i signori risiedevano. La fedeltà dei daimyo agli shogun era garan­ tita dall'obbligo in cui erano di lasciare alcuni loro familiari a Edo, in qualità di ostag­ gi, e di trasferirvi periodicamente essi stessi la loro residenza. Un ulteriore carattere dell'«era Tokugawa)) fU la chiusura delle frontiere verso l'esterno. Non solo venne proibito ai giapponesi di recarsi all'estero, ma i missionari giunti dall'Europa nel corso del XVI secolo fUrono cacciati o messi a morte. Anche i rapporti commerciali vennero rìdotti al minimo: dopo il 1 640 ai soli olandesi fU consentito di tenere una piccola colonia nell'isoletta di Dcshima, di fronte a Nagasaki, e di inviarvi alcune navi ogni anno. Questo isolamento non impedl tuttavia all'economia giapponese di continuare a svilupparsi, dato che il mercato interno era di per sé abbastanza vasto. La popolazione dai 1 7 milioni di abitanti dd 1 500 giunse infàtti a sfiorare i 30 milioni nel corso del XVIII secolo, e di questi una pane relativamente cospicua viveva nelle città. Edo supe­ rava già allora le 700.000 anime, e un mezzo milione ciascuna ne contavano Kyoto e Osaka. Benché i mercanti occupassero l'ultimo posto nella gerarchia sociale, le esigenze di beni e di credito delle sfarzosc residenze dei daimyo a Edo e nelle province, da un lato, e dall'altro lato l'espansione nelle campagne di colture rivolte al mercato come il cotone, la canapa, la canna da zucchero, le piante olcaginose, gli ortaggi, il tè, favorirono la cre­ scita di una borghesia degli aflàri e la diffUsione delle attività manifatturiere. Parallela­ mente si accentuava nei villaggi il divario tra i coltivatori più facoltosi, proprietari di vaste tenute, e le masse dci contadini poveri, spesso ridotti alla condizione di braccianti. Nel Giappone dell'«era Tokugawa)) andavano quindi maturando, caso forse unico al di fUori del mondo europeo, le condizioni per il passaggio al sistema di pro­ duzione capitalistico. Saranno tuttavia necessari il crollo dell'impalcatura feudale e la riapertura dei contatti con l'esterno, nell'Ottocento inoltrato, per impartire a tale processo una decisiva accelerazione. 3

l:Impero moghul in India

Il subcontinente indiano era innanzi tutto, come la Cina, un grande serbatoio di uomini: compresi gli attuali territori del Pakistan, del Bangla Desh, del Nepal e del Bhutan, la popolazione si aggirava nel 1 500 sui l 00 milioni, che diventeranno 1 30 nel 1 600 e 1 60 nel 1 700. Molto più della Cina l'India era inoltre un crogiolo di razze, di lingue, di religioni diverse.

Imperi e civiltà dell'Asia tra XVI e XVIII secolo

I9 I

A partire dall'Vlll-IX secolo si diffuse da nord-ovest con le conquiste turche l'islamis mo, che all'inizio dell'età moderna era praticato da circa un quarto degli indiani: esso presentava agli occhi di molti il vantaggio di rifiutare la divisione della società in caste, radicata nella mentalità indù e ancor oggi non del tutto superata. Ma tra il Quattro e il Cinquecento il panorama religioso del subcontinente fu ulterior­ mente complicato dall'affermazione del movimento sikh, assertore di un rigido monoteismo e animato da un proselitismo militante, e dalla comparsa del cristiane­ simo portato dai mercanti e dai missionari europei. Al pluralismo religioso faceva riscontro la frammentazione politica. Un sulta­ nato turco-musulmano si era insediato a Delhi alla fine del XII secolo; esso estende­ va la sua influenza sul Punjab e nel bacino superiore del Gange, ma doveva fare i conti con la bellicosa presenza dei rajput, un'aristocrazia guerriera organizzata in signorìe semi-indipendenti. Nella penisola del Deccan, invece, la potenza dominan­ te era l'Impero detto di Vijayanagar, dal nome della sua splendida capitale. Tra le due formazioni maggiori, almeno una dozzina erano gli Stati minori che si estendevano in tutta la parte centro-occidentale dell'India. Il precario equilibrio tra queste diverse forze fu improvvisamente rotto dall'ir­ ruzione di un capo militare afghano, Babur (1 486- 1 5 30), discendente di Tamerlano, che tra il 1 5 26 e il l 530 gettò le fondamenta dell'Impero moghul, destinato a dura­ re fino al XVIII secolo. Il suo maggiore artefice fu però Akbar il Grande ( 1 5 561 605), che da un lato sottomise tutta l'India centro-settentrionale, dall'altro riuscì a dare a questo immenso territorio un inquadramento statale relativamente saldo, con la creazione di un'alta burocrazia civile-militare in cui confluirono sia i conquistato­ ri musulmani, di razza turca, sia l'aristocrazia locale. Akbar si sforzò anche di fàvori­ re l'integrazione tra musulmani e indù abolendo la tradizionale imposta islamica sugli infedeli c facendosi promotore di un nuovo culto religioso che univa elementi delle due religioni ed era imperniato sulla divinizzazione del monarca. Questo sistema di governo si sovrappose, senza sostanzialmente modifìcarla, alla tradizionale cellula di base della società indiana, la comunità di villaggio, che viveva in un regime di autoconsumo producendo da sé i generi alimentari (riso, gra­ no, ortaggi) e i manufatti rudimentali necessari alla sua sussistenza. La generale arre­ tratezza dell' agricolrura, l'entità del prelievo fiscale, la pressione demografica e le fre­ quenti calamità naturali (in particolare le ino ndazioni apportate dalle torrenziali piogge estive) mantenevano queste masse contadine in condizioni di estrema miseria. Solo in alcune aree, in prevalenza sulle terre dell'aristocrazia, si diffusero colture spe­ cializzate con l'utilizzo di manodopera salariata (frutta pregiata, canna da zucchero, indaco, tabacco, cotone). Notevole fu per contro, in epoca moghul, lo sviluppo manifatturiero, stimola­ to dallo sfarzo della classe dirigente c in misura crescente anche dalla domanda euro­ pea: soprattutto le mussole e le cotonate indiane, stampate a vivaci colori, conquista­ rono i mercati occidentali nel XVIII secolo. Insieme con gli scambi crebbe una clas­ se media di mercanti, usurai, armatori di navi che alcuni studiosi hanno paragonato alla nascente borghesia europea.

Gli avvenimenti e i probkmi

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[apogeo dell'Impero moghul coincise con il lungo regno di Aurangzeb (1658- 1 707), il quale unificò sotto il proprio scettro qua­ si tutto il subconrinente indiano combattendo a lungo conrro la stir­ pe guerriera dei Maratha, abitatori delle montagne sud-occidentali. Lo splendore della corre del «Gran Mogol» impressionava i viaggiatori europei, e della raffinatezza artistica raggiunta dalla civiltà indiana nel corso dei secoli XVI-XVII sono testimonianza monumenti come il celebre Taj Mahal. Ma con la morte ( 1 7 1 2) del successore di Aurangzeb, Bahadur Shah, l'Impero moghul cominciò a sfasciarsi. Nel 1 736 la stessa Delhi fu presa e saccheggiata dal monarca persiano Nadir Shah, e nuove invasioni sopraggiunsero dall'Afghanistan verso la metà del secolo. Intanto era iniziata la pene­ trazione francese e soprattutto inglese, destinata come vedremo a segnare profondamente la storia dell'India.

La Persia e l'Impero ottomano

A dividere la Persia dei safawidi dall'Impero ottomano era non solo la lunga e mal ddìnita frontiera che dal Caucaso scendeva fino al golfo Persico, ma la contrap­ posizione religiosa tra islamismo sciita e sunnita (cfr. cap. 6, par. 5). Lo scià Abbas il Grande (1 587-1629) ottenne importanti successi militari contro i turchi riconqui­ stando il Daghestan, la Georgia, l'Azerbaigian; trasferì la capitale a Isfuhan, abbellita di splendidi edifici, e diede impulso all'economia persiana con l'incoraggiamento alle esportazioni di sete e tappeti pregiati, con la costruzione del porto che da lui prese il nome di Bandar Abbas, con lo scavo di canali per l'irrigazione dei campi. Gran par­ te della popolazione rimase tuttavia allo stadio nomade-pastorale. Nel 1 722 la dina­ stia safawide venne rovesciata ad opera di un invasore afghano, il già citato Nadir Shah, e ne seguì un confuso periodo di lotte intestine.

Imperi e civiltà dell'Asia tra XVI e J..'VII! secolo

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Proprio la preoccupazione per il fronte orientale indusse l'Impero ottomano a chiudere nel 1 606 senza alcun vantaggio territoriale, anzi con la rinuncia al tributo tìno allora percepito, la nuova guerra ingaggiata contro gli Asburgo in Ungheria nel 1 593. La fine dell'espansione territoriale determinò gravi conseguenze in una forma­ zione politica fondata sulla «guerra santa>> e sulla conquista. La leggendaria disciplina e compattezza dei giannizzeri, la fanteria scelta agli ordini del sultano, cominciò ad in(rinarsi (anche per effetto del progressivo abbandono del sistema del devshirme: cfr. cap. 6, par. 5); e sempre più spesse essi si sollevarono per ottenere aumenti di paga ed altri privilegi. Anche le concessioni territoriali (timàr) cessarono di essere il corri­ spettivo del servizio militare a cavallo e andarono per lo più a cortigiani e notabili locali. Negli uffici statali si diffusero a ogni livello la venalità e la corruzione. Pedìno l'autorità del sultano fu indebolita da un decisivo mutamento nel siste­ ma di successione. Esso tradizionalmente prevedeva che i fìgli del regnante sultano fossero inviati ad amministrare le province. Alla morte del padre, quello fra loro che si era conquistato maggior seguito e prestigio si impadroniva del potere ed eliminava tìsicamente i fratelli e i loro fìgli maschi. Questa usanza crudele, ma che garantiva l'avvento sul trono dei più capaci ed energici, fu abbandonata agli inizi del XVII secolo a favore del seniorato: a un sultano non succedevano più i fìgli, ma i fratelli

194

Gli avz;enimenti

e

i problemi

in ordine di età; e questi erano ormai allevati nel palazzo reale, immersi nei piaceri c senza alcuna esperienza di governo. Si spiega così che la maggior parte dei sovrani del XVII e XVIII secolo furono uomini inetti, che si lasciavano governare dalla madre, dalle favorite dell'harem o dagli eunuchi che ad esso sovraintendevano. La direzione del governo fu così per l unghi periodi nelle mani del Gran Visir (una sorta di primo ministro con funzioni di consigliere del sultano) ; si distinsero in questo ruolo, nella seconda metà del XVII secolo, alcuni membri della famiglia Kopriilli, protagonisti della vittoriosa guerra contro Venezia per il possesso dell'isola di Creta (dr. cap. 1 3, par. 6) . Di fronte allo spettacolo poco edificante della corruzione e degli intrighi di palaz­ zo si ergeva l'autorità morale degli u!ema, i giuristi-teologi che amministravano la shar'ia, la sacra legge islamica. Ma questa autorità agiva nel senso della fedeltà alla tradizione e dell'ostilità verso ogni innovazione. Basti dire che la prima tipografia con caratteri arabi fu installata a Istanbtù solo nel l 727 e dopo 1 5 anni dovette essere chiusa proprio per la reazione degli ulcma. Sul piano militare, la superiorità acquisita dagli occidentali nell'armamento e nella tattica è una delle chiavi che spiegano le sconfitte subite dagli eserciti ottomani in Ungheria alla fine del XVII secolo, di cui si parlerà più avanti. Il XVIII secolo vedrà da una parte accenruarsi l'autonomia dell'Egitto, della Siria e degli Stati barbareschi, dall'altra l'inizio della gara tra le potenze europee (Austria e Russia in primo luogo) per spattirsì le spoglie della parte balcanica dell'Impero ottomano. 5

Asia ed Europa

Si può affermare con sicurezza che per tutta l'età moderna l'Asia diede all'Eu­ ropa molto più di quanto ne ricevette. «Fino al XIX secolo ha scritto lo studioso indiano K.M. Panikkar il traffico con l'Asia si svolse essenzialmente in una sola direzione. Nessun paese asiatico chiedeva merci europee in grande quantità». Dì qui la necessità per i mercanti europei di saldare in monete argentee il divario tra impor­ tazioni ed esportazioni: ancora tra ìl 1 7 1 9 e il 1 762, il 72% del valore totale delle esportazioni inglesi in India e in Cina era costituito dall'argento, contro il 28% in merci. Dall'oriente venivano tessuti prcgiati di seta e di cotone, porcellane (significa­ tivo è il fatto che il termine inglese per la porcellana sia ancor oggi chìna) , gemme e perle, oggetti di lacca e di avorio, essenze profumate, spezie, e in misura crescente tè e caffè (coltivato in Arabia e a Giava prima che in Brasile, dove fu Ìntrodouo nel 1 723) . La larga diffusione di queste due bevande eccitanti fra le classi superiori euro­ pee a partire dal tardo Seicento i nteressò il costume oltreché la struttura dci consumi, stimolando la nascita di nuovi riti sociali c di nuovi luoghi dì ritrovo. I prodotti e le immagini di quelle civiltà raffinate, i resoconti sempre più det­ tagliati di missionari e viaggiatori non solo influenzarono le arti figurative e l'arreda­ mento, ma fornirono spumi importanti alla riflessione politica. Limpero cinese, in particolare, diverrà per molti scrittori occidentali il modello di uno Stato autoritario, ordinato e pacifico, una sorta di prototipo del dispotismo illuminato settecentesco.

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tempo. La conquista della Cina da parte dei Q'ing e il quasi immediato scontro fra i Manciù e l'Impero russo nel 1 652 nel bacino dell'Amur segna una data de­ cisiva per la sorte dei nomadi eurasiatici, ormai accerchiati nei loro tradizionali terriwri da due grandi imperi stanziali. La distruzione dell'impero dei pastori no­ madi di ceppo mongolico occidentale (Zungari, Olod, Calrnucchi) fu compiuta dalla dinastia Q' i ng alla metà del XVIII secolo. Ncl l7 '57 l'imperatore Ch'ien-lung sconfisse gli Zungari e si annesse il Turkestan orientale nel l 759: q uella campagna segnò la definitiva cessazione, p er la Cina, della minaccia costituita dai nomadi delle steppe. La vittoria dei Manciù sui mongoli occidentali provocò la migrazione verso oriente di gran parte dei Calmucchì che all'inizio del Seicento, all'epoca dei Torbidi (cap. l O, par. 6), si erano stabiliti nell'area tra il basso Volga e il basso Don. Col trattato russo-turco di Ki.içiik del l774 (cap. 20, par. 3) il Khanato di Crimea passò dall'Impero ottomano alla Russia. Nello stesso periodo, la conversione dei m ongoli al buddhismo contribuì ad estinguere le loro propensioni guerriere e ne allentò la pressione demografica, aprendo tramite il monachesimo la via del celiba­ to ai giovani. Fu questo un ulteriore fattore di riduzione della bellicosità dei pastori nomadi eurasiatici, che contribuì alla scomparsa dal «Vecchio mondo» di un ele­ mento dinamico che per migliaia di anni aveva giocato un ruolo di p ri m o piano. M.G.

L apogeo dell'assolutismo : la Francia di Luigi XIV 15

1

Luigi XIV: il «mestiere di re»

Luigi XIV, figlio d i Luigi XIII e di Anna d'Austria, aveva appena cinque anni quando ereditò la corona, nel l643; ne aveva ventitré quando assunse personalmen­ te il potere, alla morte di Mazzarino, nel l 66 1 . Poiché morì nel 1 7 1 5, il suo regno durò ben 72 anni, di cui 54 vissuti alla testa degli affari. Per comune consenso, questo lungo regno rappresentò l'apogeo dell'assolutismo monarchico e fu anche il periodo in cui la Francia giunse più vicina a esercitare una supremazia sul resto dell'Europa. Questo disegno, come vedremo, venne alla fine scon­ fitto dalla coalizione delle altre potenze; ebbe invece durata ben maggiore (per tutto il XVIII secolo e oltre) il ruolo di nazione guida che la Francia assunse allora in fatto di cultura, di gusto, di cucina e di moda. Basti pensare alla reggia di Versailles, che diven­ ne il modello (anche architettonico) a cui si ispirarono le altre dinastie regnanti, e al primato raggiunto dal francese come lingua comune a tutti gli europei colti. l:educazione del Re Sole (come Luigi XIV venne spesso chiamato) non eta sta­ ta molto curata, ma ne aveva fatto parte la lettura dei teorici del diri tto divino dei re, cioè di quegli scrittori politici che &cevano derivare il p otere del monarca diretta­ mente da Dio; grande efficacia ebbero inoltre le lezioni pratiche nell'arte di governo ricevute da Mazzarino, il suo vero maestro. Quando il cardinale spirò, il 9 marzo 1 66 1 , il giovane Luigi XIV manifestò subito la propria volomà di governare da solo, senza più delegare a nessuno il proprio potere. E a questo «mestiere di re>> si dedicò con assiduità e metodica applicazione per tutta la vita. Luigi XIV preferì servirsi di ministri di nascita modesta, che a lui solo dovesse­ ro la propria elevazione e fossero quindi più docili ai suoi voleri. La direzione delle finanze, per esempio, fu affidata fin dal 1 66 1 al figlio di un mercante, Jean-Baptiste Colbcrt, che al titolo di controllore delle finanze assommerà poi altre cariche, fino a diventare una sorta di «su per ministro» dell'economia e degli affari interni. Accanto a quello degli uomini, importante fu il ruolo del Consiglio, o piutro­ sto dei Consigli in cui quesro, teoricamente unitario, si articolava. Il Consiglio supe-

L'apogeo dell'assolutismo: la Francia di Luigj XIV

201

riore ( Conseil d'en haut) era un organo molto ristretto, comprendente i ministri del­ la guerra, degli affari esteri, delle finanze e presieduto sempre dal re, che al suo inter­ no decideva i più importanti affari di Stato. In determinati giorni della settimana si riunivano poi il Conseil des dépéches (letteralmente Consiglio dei dispacci), che esa­ minava la corrispondenza ricevuta dalle province, il Conseil des parties (delle parti) , competente nelle questioni giuridiche, e il Consiglio delle finanze. Gli intendenti, preposti alle généralités nelle quali era suddivisa la Francia ai fini amministrativi (una trentina in tutto: vedi la carta a p. 202), durano in carica più a lungo e rafforzano il proprio potere sotto il regno di Luigi XIV; la loro autorità si estende ai settori più svariati, dalla giustizia alla fiscalità, dalle forniture militari ai lavori pubblici, e si avvale della collaborazione di uomini di fiducia, i sotto-delegati, scelti tra i notabili locali. Nominati dal re e revocabili a suo piacimento, gli intenden­ ti sono per eccellenza le cinghie di trasmissione della volontà regale, gli occhi e le mani dell'amministrazione centrale nelle province; ma sono al tempo stesso i porta­ voce degli interessi locali, in particolare di quelli delle élite sociali, di fronte all' ammi­ nistrazione centrale. Per la capitale provvede, a partire dal 1 667, un luogotenente generale di polizia munito di ampi poteri per tutto quanto riguarda l'ordine pubbli­ co, la sicurezza, gli approvvigionamenti, la viabilità, le costruzioni. Diversi da questi funzionari, e ben più numerosi (almeno 40.000 in tutta la Francia) , sono gli officiers, cioè i detentori di uffici venali, ereditati o acquistati per denaro. Rientrano in questa categoria i consiglieri e i presidenti dei tribunali supe­ riori e innanzi tutto dei Parlamenti, corti d'appello il cui numero salì da l O a 1 2 sot­ to Luigi XIV Tra le loro attribuzioni rientrava la registrazione degli editti regi. Di questa prerogativa i Parlamenti potevano valersi per sospendere l'entrata in vigore di leggi a loro sgradite, presentando delle rimostranze al re; ma Luigi XIV impose loro di registrare le leggi prima di fare eventuali rimostranze. Benché la venalità delle cariche fosse diffusa anche in altri Paesi, in nessun luogo essa raggiunse le dimensioni che ebbe in Francia sotto i Borbone. Gli officiers compo­ nevano quasi una forza intermedia tra la società e lo Stato, un ceto che alla monarchia doveva la sua legittimazione, ma che dal possesso ereditario delle cariche e dai privilegi a queste connessi (tra cui la nobilitazione per i gradi più elevati) traeva non solo pre­ stigio, ma anche la possibilità di una certa autonomia dallo stesso potere monarchico. Essenziale era dunque, per il funzionamento del sistema, assicurarsi la fedeltà degli offi­ ciers mediante un delicato dosaggio di manifestazioni di forza e di legami clientelari. La celebre affermazione attribuita a Luigi XIV, > e del clero di Francia, era il permanere nel Paese di una forte minoranza protestante. I calvinisti, detti in Francia ugonotti, erano circa un milione, e in talune città e regioni del sud e dell'ovest costituivano la maggioranza della popolazione. Fin dai primi anni del regno di Luigi XIV le clausole dell'editto di Nantes (cfr. cap. 1 0 , par. 5) che assicu­ ravano loro la libertà di culto cominciarono ad essere interpretate in modo più restrittivo, finché nel 1 68 5 venne emanato l'editto di Fontainebleau, che annullava di fatto l'editto di Nantes e faceva obbligo a tutti i francesi di riconoscere e praticare il culto cattolico. Oltre duecentomila furono gli ugonotti che, per non abiurare la propria fede, scelsero la via dell'esilio. Si trattava per lo più di artigiani, mercanti, professionisti che andarono ad arricchire dei loro capitali e delle loro conoscenze tec­ niche Paesi come l'Olanda, l'Inghilterra e la Prussia. In Francia il calvinismo soprav­ visse clandestinamente. Ad esso si ispirarono, tra il 1 702 e il 1 705, i rivoltosi delle Cevenne (una regione montuosa della Linguadoca) passati alla storia col nome di camisardi a causa delle camicie bianche indossate da molti di loro. 5

La gloria militare: le guerre di Luigi XIV

Nel pensiero di Luigi XIV la coesione interna, la prosperità e il rafforzamento del Regno non erano che la necessaria premessa per l'attuazione di un disegno ege­ monico che aveva i suoi principali strumenti nella diplomazia e nella guerra. Ingenti somme furono spese dagli ambasciatori e dagli agenti del Re Sole per assicurarsi l'al­ leanza dei principi tedeschi, degli Stati baltici e dello stesso re d'Inghilterra Carlo II, per corrompere e ricattare ministri e diplomatici stranieri, per suscitare rivolte nei Paesi nemici. Ma assai più massicce furono naturalmente le spese militari, quasi mai inferiori alla metà del bilancio e negli anni di guerra (che furono ben 37 sui 54 com­ plessivi) accresciute fino a divorarne i due terzi o i tre quarti. Lesercito fu sistematicamente riorganizzato; i suoi effettivi passarono gradual­ mente dai 65 .000 uomini del 1 667 ai 280.000 del 1 678 e ai 400.000 del 1 705. Alle

208

Gli avvenimenti

e

i problemi

vecchie forme di reclutamento (volontariato; arruolamento più o meno forzoso di vagabondi, disoccupati, orfani ; «acquisto» di reggimenti stranieri, soprattutto svizze­ ri) si aggiunse, dal 1 688, un embrione di coscrizione obbligatoria, la «milizia>>, con compiti di difesa locale, basata sul sorteggio da effettuarsi tra i celibi all'interno di ogni parrocchia. I soldaò di Luigi XIV, vestiti di uniformi e meglio armati ed equi­ paggiati, non erano più gli straccioni dell'epoca della guerra dei Trent'anni, e pote­ vano con tare su servizi logistici di una certa efficienza. Grande sviluppo ebbero i cor­ pi dell'artiglieria e del genio, e le piazzeforti, soprattutto lungo i contìni nord­ orientali, vennero potentemente fortificate dal più grande architetto militare dell'epoca, il maresciallo Sébastien Le Prestre di Vauban. La prima occasione per mettere alla prova questa poderosa macchina bellica venne offetta dalla «guerra di devoluzione» contro la Spagna, così chiamata perché basata sulla rivendicazione di parte dell'eredità spagnola da parte di Luigi XIV in nome della moglie Maria Teresa, figlia di primo letto del defunto re di Spagna Filippo IV. Loccupazione francese della parte meridionale dei Paesi Bassi ( 1 667) pre­ occupò l'Olanda e l'Inghilterra che, insieme all'imperato re Leopoldo [, esercitarono forti pressioni su Luigi XIV perché interrompesse la sua avanzata. Con la pace di Aquisgrana ( 1 668), furono riconosciuri al re di Francia i vantaggi territoriali tìno allora acquisiti nelle Fiandre. Ma il risentimento del Re Sole nei confronti dell'Olanda, che aveva tra l'altro osato rispondere con ritorsioni commerciali alla guerra tariHària ingaggiata da Colbert, portò di lì a pochi anni alla riapertura delle ostilità. Nel marzo 1 672 la Francia c l'Inghilterra, che avevano attirato nell'alleanza anche il re di Svezia, dichia­ rarono guerra alle Province Unite. All'invasione del loro territorio, gli Stati Generali olandesi opposero allora (estate 1 672) la decisione disperata di aprire le dighe che riparavano dalle acque le province di Uuecht e della Gheldria, trasformando così l'Olanda propriamente detta in un'isola difficilmente accessibile. Il ruolo di guida assunto dallo starolder (governatore) Guglielmo III d'Orangc, sostenuto dalle masse popolari e fautore della guerra a oltranza, l'entrata in guerra di Spagna e Impero con­ tro la Francia, la decisione dell'Inghilterra di firmare una pace separata con l'Olanda e la scontìtta dell'alleato svedese imposero infine a Luigi XIV la firma della pace di Nimcga ( 1 678). A farne le spese fu ancora una volta la Spagna, costretta a cedergli la Franca Contea oltre ad altri lembi delle Fiandre. Luigi XIV riprese quasi subito la sua politica di espansione, questa volta in direzione dell'I mpero, occupando una serie di territori, tra cui di particolare impor­ tanza Strasburgo e Casale nel Monferrato. Nel 1 683- 1 684 riaprì inoltre le ostilità contro la Spagna: Gen ova, alleata di quest'ultima, fu sottoposta a un pesante bom­ bardamento dal mare. Ma di fronte alla rinnovata politica d'aggressione del re francese, fu inevitabile il ricostituirsi di una nuova coalizione europea, e ad affrettarla contribuì non poco l'eco internazionale suscitata dalla persecuzione degli ugonotti. Nel luglio 1 686 ven­ ne stipulata ad Augusta una lega difensiva tra Spagna, Impero, Svezia c Olanda. Erano così poste le premesse per il riaccendersi di un conflitto su scala continentale.

L'apogeo dell'assolutismo: la Francia di Luigi XI V

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Il fattore scatenante fu costituito dall'invasione militare del Palatinato ordina­ ta da Luigi XIV nell'autunno 1 688. Nel corso del 1 689, quando le ostilità ebbero inizio, alla Lega d'Augusta aderirono anche l'Inghilterra, in seguito all'ascesa al tro­ no dello statolder d'Olanda Guglielmo d'Orange (cfr. capitolo seguente) e il duca di Savoia Vittorio Amedeo II, desideroso di sottrarsi alla tutela francese. Le prime fasi del conflitto videro le armi francesi all'offensiva; in Irlanda esse appoggiarono lo sbarco effettuato dallo spodestato re d'Inghilterra Giacomo II Stuart, ma quest'ultimo dovette lasciare l'isola dopo la sconfitta subita nella battaglia della Boyne del luglio 1 690 (ricorrenza ancor oggi celebrata dai protestanti «orangisti>> dell'Irlanda del Nord); sul mare la flotta francese venne distrutta da quella inglese a La Hougue nel maggio 1 692; anche nei Paesi Bassi, dopo alcuni iniziali successi, gli eserciti di Luigi XIV incontrarono un'accanita resistenza. Nel 1 696 Luigi XIV stipulò una pace separata col duca di Savoia, cui cedette la fortezza di Pinerolo. La pace generale, firmata a Ryswick nell'autunno 1 697, ristabilì per il resto la situazione ante­ cedente il conflitto e annullò gran parte delle annessioni francesi degli anni Ottanta.

210

6

Gli avvenimenti e i problemi

Il tramonto del Re Sole

Le vicende della guerra di Successione spagnola, che occuparono l'ultimo quin­ dicennio del regno di Luigi XIV, saranno riferite nel capitolo seguente. Qui dobbia­ mo osservare che il peso diretto e indiretto della guerra divenne per i sudditi sempre più intollerabile. Non bastando i vecchi e nuovi espedienti per far denaro, tra i qua­ li la vendita massiccia di cariche e di titoli nobiliari, le manipolazioni della moneta, il ricorso al credito a tassi elevatissimi, si istiuirono nuove imposte: nel 1 695 la capi­ razione (imposta sull'individuo), nel l 7 1 0 il decimo, concepiro come un prelievo i n percentuale su qualsiasi tipo di reddito. Al malessere generale determinato dalla miseria, dalla guerra, dalle tasse e dalle carestie (terribile quella del 1 709- 1 7 1 O, che secondo alcuni studiosi spazzò via un quinto della popolazione francese) fa riscontro un incupirsi della vita di corre a Versailles, dove il vecchio re, morta nel 1 683 la prima moglie Maria Teresa d'Asbur­ go, era caduto sotto l'influenza della bigotta madame Françoise d'Aub igné de Maimenon, da lui sposata morganaticamente nel 1 684, e di confessori gesuiti. ropposizione sorda, ma diffusa, contro l'a�solutismo di Luigi XIV si manife­ stava in vari modi: nelle sommosse popolari spontanee, provocate dalla miseria e dal­ la disperazione, nella contestazione, da parte degli operatori economici, di una poli­ tica che sacrificava l'agricoltura al commercio e imprigionava ogni attività in una gabbia di regolamenti e di divieti, nella rivendicazione di maggiori poteri da parte di esponenti dell'alta aristocrazia come il duca di Saim-Simon e l'arcivescovo di Cambrai Fénelon, autore di un romanro di grande successo pubblicato nel l 699 , le Avventure di Telemaco.

Intanto, anche nella filosofia, nella vita religiosa, nella letteratura e nell'arte si affermavano nuovi ind irizzi che sempre più apertamente ponevano in discussione i princìpi sostenuti e imposti dalla corte. Basti accennare al Dizionario storico-critico ( 1 696- 1 697) pubblicato in Olanda dall'ugonotto emigrato Pierre Bayle, che già pre­ annuncia il clima dell'Illuminismo. Gli ultimi anni di Luigi XIV furono contristati, oltre che dai rovesci subiti nel­ la guerra di successione spagnola, da lutti familiari, quali la scomparsa del gran Delfino ( 1 7 1 1) seguita l'anno dopo da quella del duca di Borgogna, il nipote. Il l a settembre 1 7 1 5 a Parigi e nei dintorni si accesero fuochi di gioia alla notizia della morte del vecchio despota. Il successore era un bambino, Luigi d'Angiò, il secondo figlio del duca di Borgogna: per la Francia si profilava dunque un'altra reggenza, la terza in poco più di cento anni.

L'apogeo dell'assolutismo: la Francia di Luigi XIV

21 1

La fabbrica del Re Sole

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Strumento non secondario della politica assolutistica di Luigi XIV fu la complessa costruzione dell'immagine pubblica del sovrano, che è stata oggetto di un accurato studio di Peter Burke (La fabbrica del Re Soie, Il Saggiatore, Milano, 1 993) . Lo storico inglese ha analizzato «le rappresentazioni contemporanee di Luigi XIV e i modi in cui la sua immagine venne raffigurata nella pietra, nel bronzo, nei dipinti e persino nella cera», senza dimenticare la figura del re quale emerge da diversi testi coevi e da «altri media (balletti, opere liriche, cerimoniale di eone e altre forme di spettacolo)» (ivi, p. 7). Prendendo in considerazione i numerosi generi che furono adattati all'esigenza di celebrare Louis le Grand - attributo per antonomasia del nome proprio, peraltro frequentemente scritto a caratteri cubitali (LOVIS) - gli artefici della glorificazio­ ne del re ebbero certamente presenti i precedenti rappresentati da Luigi XIII in Francia o da Filippo N in Spagna, rispettivamente padre e zio/suocero di Luigi XIV; debitori del Rinascimento italiano, rielaborarono talvolta modelli mutuati dalla tradizione classica, romana in particolare, come nel caso dei trionfi, ovvero delle entrate pompose in città attraverso un arco appositamente eretto, o ancora delle statue equestri (quella più famosa di Luigi XIV, eretta in piace des Vìctoires, fu - come altre - direttamente ispirata a quella di Marco Aurelio posta in Campi­ doglio). Anche la pittura - soprattutto attraverso la ritrattistica (celebri i ritratti di Hyacinthe Rigaud, di Joseph Verner e di Pierre Mignard) - e la letteratura gioca­ rono un ruolo di primo piano. Tutti i generi dell'encomiastica, in versi e in prosa, furono sfruttati: panegirici, orazioni, sermoni, ma anche opere storiche e iscrizioni furono adoperati per lo scopo di magnificare le gesta e la figura del re. Paragonato ad Augusto come ad Alessandro Magno, a Cesare come a Costantino, ma anche in un'ottica maggiormente legata alla tradizione francese - a Clodoveo (primo re cristiano di Francia), a Carlo Magno o a san Luigi (Luigi IX, re di Francia nel XIII secolo) , il Re Sole non mancò naturalmente di essere accostato, secondo modelli iconografici ben consolidati eppur, se necessario, riletti in ottica moderna, a divi­ nità antiche quale Apollo, Giove, Ercole o Nettuno. La costruzione del sistema «mediatico» atto a promuovere l'immagine di Luigi XIV trovò in Jean-Baptiste Colben, nominato «sovrintendente alle costruzioni», colui il quale «ebbe la regia del patronato sovrano delle arti, fungendo da Mecena­ te al suo Augusto» (ivi, p. 75). Attorno a lui, che peraltro anche in quest'ambito si adoperò per tenere in mano tutti i fili, figure di primo piano furono alcuni suoi uomini di fiducia: Charles Le Brun, nominato «primo pittore del re>> e pure direttore delle celebri manifatture dei Gobelins (le quali del resto contribuirono a magnificare il monarca attraverso la famosa serie dell'histoire du roi tradotta in forma di arazzi) , fu il responsabile per la pittura e la scultura; Charles Perrault, più noto oggi quale divulgatore di favole popolari come Cappuccetto rosso, fu allo­ ra controllore generale all'edilizia ovvero primo consigliere di Colbert nel campo

212

Gli avvenimenti e i problemi

dell'architettura; Jean Chapelain sovrintese infine alle questioni letterarie, mentre Jean-Baptiste Lully ebbe il controllo in campo musicale, compresi il balletto e l'opera. Questo fu l'articolato organigramma che Burke non esita a definire un vero e proprio «dicastero della gloria» (ivi, p. 89) e che a partire dagli anni in cui Luigi XIV; dopo la morte di Mazzarino (9 marzo 1 66 1), assunse personalmente la direzione del governo, ne curò l'immagine. Molti dei momenti essenziali del regno di Luigi XIV furono oggetto di messe in scena studiate nei minimi dettagli: dalla cerimonia di incoronazione e consacra­ zione che ebbe luogo nel 1 654, come da tradizione, nella cattedrale di Reims, all'ingresso del monarca e della regina a Parigi nel 1660. La «propaganda» ufficiale non dimenticò nemmeno di diffondere l'immagine di Luigi durante la cerimonia tradizionale di «guarigione» dei malati di scrofola (studiata dallo storico francese Mare Bloch nel celebre volume I re taumaturghz). Gli anni delle vittorie militari furono naturalmente oggetto di celebrazioni altiso­ nanti. Così ad esempio durante la guerra di devoluzione (1667- 1668) il re si fece accompagnare da Le Brun e dall'artista fiammingo van der Meulen, che ritrasse Luigi XIV in trincea durante l'assedio di Douai. La letteratura - sono gli anni di Corneille, Racine, Boileau, Furetière - contribuì in vari modi, con versi ma anche con scritti «storici», ad esempio da parte dello storiografo regio Charles Sorel, tesi a dimostrare i diritti di conquista del re di Francia. Particolarmente significativa, dal punto di vista della propaganda, fu la spedizione contro l'Olanda della secon­ da metà degli anni Settanta, durante la quale il re portò con sé, quali storiografi regi, Boileau e Racine. Il «passaggio del Reno» del 1 672 venne celebrato come un'impresa epica, incommensurabile: l'Accademia Reale di pittura e di scultura indisse un concorso a tema; la Grande Galerie di Versailles avrebbe poi ospitato 9 quadri di Le Brun sulla guerra olandese e l'epopea regia, in sostituzione del già progettato programma iconografico di tipo mitologico sulle fatiche di Ercole. E la retorica spesa a celebrare la spedizione, il tono trionfalistico delle rappresentazioni ufficiali fu - non per caso - inversamente proporzionale all'effettiva riuscita della campagna (cfr. sopra, par. 5). Lo spettacolo del potere si trasferì - durante gli anni Ottanta - a Versailles, dove ogni momento della giornata del re seguiva un'apposita etichetta, secondo coreo­ grafie minuziose. Dal risveglio del re (il lever du roz), al pranzo, cui assistere era considerato un grande privilegio, al momento in cui si coricava (coucher du roz) . La corte di Versailles fu insomma il luogo della rappresentazione dello splendore regale, tanto nei confronti delle potenze straniere che dei nemici interni (la nobiltà riottosa). Frattanto cambiarono alcuni dei principali artefici della fabbrica: Jules Hardouin-Mansart venne nominato dal 1 675 architetto di corte e in tale veste fu il maggior responsabile della ristrutturazione di Versailles (con la celebre e già ricordata Grande Galerie, le sale della Pace e della Guerra, la non meno famosa, per le sue decorazioni, scala degli ambasciatori). Nel 1 683 scomparve Colbert e dopo di lui toccò al marchese di Louvois il ruolo di «primo regista». I.:ultima grande

L'apogeo dell'assolutismo: la Francia di Luigi XIV

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213

impresa da segnalare per la orificazione del re fu l'Histoire du roy Louis le Grand par !es médaifles, pubblicata nel 1 689 da Menestrier. Lopera fu poi promossa dai periodici ufficiali come la >). Due sono i presupposti fondamemali della dottrina fisiocratica: il primo è la convinzione che solo l'agricoltura sia produttrice di nuova ricchezza, memre le mani­ fatture e il commercio si limitano a trasformare quella esistente (sorto forma di mate­ rie prime) e a trasferire i prodotti: la massima produttività dell'agricoltura, rurravia, sottolinea Quesnay, è condizionata dalla formazione di aziende compatte e di grandi dimensioni, come quelle inglesi, condotte da fittavoli con immissione di capitali e di scorte e con impiego di manodopera salariata. Il secondo presupposto è che il surplus derivato in queste condizioni dall'attività agricola, chiamato dai fisiocratici prodotto netto, costituisce la rendita fondiaria che i fittavoli devono ai proprietari del suolo a titolo di compenso delle anticipazioni fondiarie, cioè delle spese sostenute all'origine per rendere coltivabili le terre. Su queste premesse si basa il Tableau économique, lo schema elaboraro da Quesnay di circolazione delle ricchezze tra le tre classi econo­ miche, la , la «classe produttiva>> (gli addetti all'agricoltura) e la «classe sterile», composra dagli artigiani e dai commercianti. Quali erano le conseguenze della teoria fisiocratica sulla politica economica dei governi? In primo luogo, questi non dovevano danneggiare l'attività agricola con tas­ se e balzelli mal congegnati: l'unica imposra legittima, per i fisiocratici, è quella che preleva direttamente dai proprietari una parre del prodotto netto (dovuta al re come «comproprietario» dei terreni). In secondo luogo, essi dovevano lasciare completa­ meme libero il commercio delle derrate, sia per quanro riguarda la circolazione imer­ na, sia per quamo riguarda l'importazione e l'esportazione: questa direttiva, che urta­ va contro la prassi consolidata delle aurorità statali e cittadine dell'epoca, preoccupate di assicurare il pane a basso costo alle popolazioni, era giustificata dalla considerazio­ ne che solo il libero gioco del mercato consente ai prodotti agricoli di raggiungere il loro «giusro prezzO>>, cioè un prezzo remunerativo per i coltivatori, che saranno così incentivati a produrre di più: il vero modo di sconfiggere le carestie non era, secondo i fisiocratici, quello di impedire le esportazioni e tenere bassi i prezzi, ma quello di non intralciare il movimento dei grani, che accorrono spontaneamente là dove i prez­ zi sono alti, e di promuovere al tempo stesso l'incremento della produzione. La tendenza liberista propria dei fisiocratici fu rielaborata in una visione più ampia dei fatti economici dallo scozzese Adam Smith ( 1 723- 1 790) nella sua grande opera Ind:zgine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1 776) . Accanto alla proporzione dei lavoratori produttivi sul totale della popolazione, il più importante fattore di progresso economico è secondo Smith la divisione del lavoro: specializzandosi in un'unica operazione, l'operaio impara a eseguirla rapida­ mente e perfettamente. Si riduce così il tempo totale dedicato alla manifattura, e in corrispondenza si abbassa il prezzo delle merci, giacché per Smith la misura fonda­ mentale del valore di un prodotto è la quantità di lavoro in esso incorporato. Nella determinazione del prezzo entrano però anche, insieme al salario dei lavoratori, la remunerazione del capitale investito dagli imprenditori (il profitto) e la rendita dovu­ ta ai proprietari del suolo. Le tre classi «naturali» di Smith, quindi, non coincidono

La

Civiltà dei Lumi

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con quelle di Qucsnay, il quale limitava al settore agricolo il lavoro produttivo e non distingueva gli imprenditori dai salariati. In comune con i fisiocratici Smith ha invece la fede nell'esistenza di un ordine naturale benefico: ciascun operatore economico agisce per il proprio tornaconto, ma senza saperlo promuove al tempo stesso l'interesse generale della società, come se fosse guidato da una «mano invisibile». È perciò necessario che i governi lascino agire libe­ ramente i meccanismi della domanda e dell'offerta di beni e servizi, e non intralcino il gioco del mercato con dazi, vincoli o privilegi. Il grande successo riscosso dall'opera di Smith, prima in Inghilterra poi, tra Sette e Ottocento, anche sul continente, è chia­ ramente in rapporto con la sua rispondenza ai caratteri della nascente società industria­ le e con la giustificazione scientifica che forniva alla ricerca del profitto.

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La circolazione delle idee

Due fenomeni tipici deU'età dei Lumi furono la circolazione delle idee e delle conoscenze in strati sociali molto piu ampi che non per il passato e la formazione di un'opinione pubblica permeata dalla fede nella ragione e nel progresso, che nella seconda metà del Settecento sempre piu si atteggia, a partire dalla Francia e dall'In­ ghilterra, come una sorta di infallibile tribunale della verità, autorizzato a emettere sentenze non soltanto su questioni estetiche o morali, ma anche in campo filosofico e politico (cfr. scheda di questo capitolo). L opinione così intesa esprime il consenso delle persone colte e illuminate e si forma attraverso la lettura di libri e giornali, la conversazione, gli scambi epistolari, le manifestazioni di socialità di cui il Settecento è particolarmente ricco. Largamente dominate dalla tradizione rimasero le istituzioni scolastiche e in par­ ticolare le università, dove si mantenne la vecchia triparcizione nelle facoltà di Teologia, Giurisprudenza e Medicina; tuttavia qua e là si fondarono nuove cattedre e si ammodernarono i contenuti e i metodi dell'insegnamento. Cattedre di «scienze camerali» (l'attuale economia politica) vennero introdotte nelle università prussiane fin dal 1 727; in Italia la prima cattedra di economia venne istituita a Napoli per Antonio Genovesi nel 1754. Più tardivo, tranne che in Piemonte, in Prussia e in Austria, fu l'interessamento dello Stato per l'istruzione elementare e secondaria, lascia­ ta alla Chiesa o alle scuole private. Tuttavia l'alfabetizzazione fece notevoli progressi nel XVIII secolo: in Francia la percentuale dei maschi adulti capaci di fare la propria fir­ ma salì dal 30% al S Oo/o circa; nelle Province Unite e soprattutto nei Paesi scandinavi la grande maggioranza delle persone era in grado di leggere alla fine del Settecento. Naturalmente non bisogna confOndere il numero degli alfabetizzati con il numero, molto piu esiguo, dei lettori di libri. Ma anche quest'ultimo si deve essere molto accresciuto nel XVIII secolo, a giudicare dal forte aumento delle pubblicazio­ ni (cfr. cap. 5, par. 2). Grande fortuna ebbero soprattutto le opere di divulgazione, tra le quali si può far rientrare la celebre Enciclopedia diretta da d'Alembert e Diderot. Quest'opera monumentale uscì in 1 7 volumi di testo e in 1 1 di illustrazioni tra il

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Gli avvenimenti e i problemi

1 7 5 1 e il 1 772, superando crisi interne (come il ritiro di d'Alembert nel l753) e dif­ ficoltà con la censura, e coinvolse accanto ai due direttori molti dei più celebri phi­ !mophes (tra cui Montesquieu, Rousseau, Quesnay, d'Holbach). Il sottotitolo, Dizio­ nario ragionato delLe scienze, delLe arti e dei mestieri, indic.'1 l'impronta prevalentemen­ te tecnico-scientifica che soprattutto Didero t volle dare all'impresa, non rinunciando però alle critiche contro le posizioni tradizionali in campo politico e religioso. l\'onostante il costo dell'opera, superiore al guadagno annuo di un manovale, la tira­ tura della prima edizione fu di oltre 4000 copie, tutte vendute; tra ristampe, revisio­ ni (due videro la luce anche in Italia) , contraffazioni, si superarono probabilmente le 30.000 copie. Un posto di rilievo nell'editoria settecentesca spetta alla stampa periodica: accanto alle gazzene (bollwini di notizie politiche, diplomatiche, militari), si molti­ plicarono i giornali lerrerari, che informavano i lettori sulle novità librarie oppure facevan o posto a memorie scientifiche, saggi, articoli di attualità o di costume. Anche l'Italia ebbe i suoi: tra i più tàmosi, «La frusta letteraria>> di Giuseppe Bareni, che uscì a Venezia dal 1 763 al 1 764, e il milanese «Il Caffè» dei fratelli Verri e di Beccaria (1 764- 1766). Ma forse l'espressione più caratteristica della Civiltà dei Lumi sono i nuovi cen­ tri di aggregazione sociale: i saloni, che soprattutto a Parigi morano per lo più intor­ no a gentildonne colte e raffinare; le accadem ie, che si propagano nelle città di pro­ vincia e orientano i propri interessi sempre più verso oggetti di pubblica utili tà, l'agri­ coltura, le manifatture, l'assistenza; le logge massoniche infine, che uniscono al gusto del mistero e dei riti iniziaticì ideali pitl o meno vaghi di rìgenerazione m orale, di fratellanza e dì filantropia. La prima vera associazione massonica fu la Grande Loggia di Londra, fondata nel 1 7 1 7 da due pastori protestanti; il nome (ftee-rnasonry, «libera muratoria») e i simboli (il compasso, la squadra, il martello, ecc.) si richiamavano alla tradizione del­ le corporazioni medievali e in particolare a quella dei muratori, così come l'obbligo del segreto e la distinzione fra i tre gradi di apprendista, compagno e maestro. Dall'Inghilterra la massoneria si diffuse negli an ni Venti e Trenta sul continente, por­ tando anche alla prima condanna da pane della Chiesa di Roma ( I 738). Alcune affi­ liazioni assunsero caratteri politicamente eversivi (come la setta degli «illuminati di Baviera», costituita nel 1 776), altre fecero largo posto alle scienze occulte, a tendenze irrazionalistiche e mistiche e persino alla ciarlataneria più smaccata: significativo il caso dell'avventuriero siciliano Giuseppe Balsamo (I 743- 1 795) derro Cagliosrro, che divenne ricco e celebre esercitando in tutta Europa arti di guaritore e di mago e fon­ dando una massoneria dì rito egiziano, della quale si proclamò Gran Cofto. Tali deviazioni non devono però tar dimenticare che della massoneria fecero parre molr\ dei migliori ingegni del secolo e perfino sovrani (come l'imperatore Francesco I e Federico II di Prussia), né l'esistenza di una vera e propria cultura massonica di al m livello, uno dei cui prodotti fu Ilflauto magico di Mozarr. Proprio le logge massoniche c le altre forme di sociali[à tipiche dd secolo sono la migliore confutazione di una rigida definizione dell'Illuminismo come cultura bor-

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ghese. In esse si mescolavano infatti liberamente nobili, borghesi ed ecclesiastici, acco­ munati dalle stesse letture e dagli stessi gusti; così come alla nobiltà appartengono mol­ ti dei più noti philosophes (tra gli altri Montesquieu, Condillac, d'Holbach, Beccaria, Verri, Filangieri) . Come si è già avuto occasione di osservare, dall'aristocrazia e dalle corti vengono i modelli di gusto e di comportamento che, nel Settecento e anche in seguito, conquistano le altre classi. Attacchi contro i privilegi legati alla nascita e con­ tro l'ozio e l'alterigia dei nobili certo non mancano nel Settecento e si fanno più fre­ quenti nella seconda metà del secolo: ma pochi sono animati da un conseguente egua­ litarismo (è il caso ad esempio di Rousseau) ; per lo più si mira alla costituzione di una nuova élite sociale, un'aristocrazia del denaro e dei Lumi, in cui possano confluire la parte più ricca e più colta della nobiltà e gli strati superiori del ceto medio. Sarà un tale programma a fare le sue prove e a fallire nei primi anni della Rivoluzione francese. Un nuovo potere: l'opinione pubblica !

Luso del termine «opinione pubblica» cominciò ad imporsi in tutta Europa durante l'età dei Lumi, come attesta la quasi simultanea diffusione nelle principali lingue dei ceti colti continentali (opinion publique, public opinion, ojjèntliche Mei­ ' nung). Esso è diventato un oggetto di discussione storiografìca solo a partire dagli ' anni Sessanta del XX secolo, in virtù dell'attenzione dedicatagli da Reinhart Kosel­ leck e, soprattutto, da Jiirgen Habermas (con un'impostazione prevalentemente sociologica) . Per definire i confini del sintagma «opinione pubblica» è necessario precisare che esso si compone di due nozioni autonome il cui accostamento, a par­ tire dalla seconda metà del Settecento (nella prima metà è comunque già presente in Saint-Simon), produsse una nuova categoria del discorso politico attraverso un progressivo slittamento di senso rispetto agli usi precedenti. Da un lato il concet­ to di «opinione>>, che tradizionalmente - da secoli - rivestiva il connotato negati­ vo di credenza incerta, indimostrabile, fallace e come tale del resto era ancora ben presente nella voce opinione dell'Encyclopédie (dove si trovava contrapposta alla scienza), cominciò ad acquisire uno statuto di veridicità, indissolubilmente legato alle proprietà distintive di chi tale opinione enunciava pubblicamente (gli uomini di lettere, i philosophes). Fu principalmente nella Francia dei Lumi che la nozione si impose con maggior forza, rendendo superati gli usi risalenti all'Inghilterra del XVII secolo, la cui singolare esperienza polirica tanto avrebbe influenzato peraltro i pensatori francesi del XVIII secolo: venne così accantonata tanto la riflessione di Hobbes (1651), che sensibile al paradigma dell'opinione come pregiudizio/super­ stizione l'aveva severamente condannata quale fonte del disordine politico, quan­ to quella di Locke, che dal canto suo definì l'opinione come il fondamento morale comunemente accettato in una data società. In seguito il concetto perse la precipua attribuzione al campo della morale e prese ad assumere un significato marcatamente politico, allargando così a dismisura il campo al quale il potere della critica poteva applicarsi.

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Gli avvenimenti e i problemi

Un altro elemento centrale - e che rinvia invece alla nozione di «pubblico" - con­ ce rne la p ubb licizzazione delle opinioni. Fu soprattutto Kant, nella sua celebre risposta al ques i to Che cose l1lluminismo?, a sottolineare la centralità della comu� nicazione scritta per la prop agazione delle idee suscettibili di far. circolare la veri­ tà tra gli uomini dotti per poi diffonderla presso un pubblico più ampio. Il ruolo fondamentale della stampa in tutte le sue forme non esclude tuttavi a l'esistenza di altri canali, che in effetti assunsero nel Sett ecento europeo un'importanza cresc en­ te: sal otti, caffe, gabinetti di lettura, logge, accademie funzionarono come l uoghi di produzione, scambio e a mfronto di idee, contribuendo senza dubbio a far fun­ zionare nella pratica il concetto di · opi nione pubblica. Occorre inoltre sottolineare come il concetto di pubblico non si contrapponga, nel caso dell' op inione pubblica, a «privato»,. bensl abbia come controparte l'idea di ciò che è «nascosto)) e. «segreto»: la pubblicità ovvero la pub blicazione a mezw stampa (segnatamente q uella delle sentenze dei tribunali e delle rimostranie dei Parlamenti) è considerata l'opposto degli arcantJ imperiì, del segrero dell'azione politica dello Stato (o della Chiesa). La. correlazione tra il dibattito di problemi politici precedentemente sottrattial pubblico e l'emergenza dell'opinione pubblica è testimoniata dalle discussioni che videro la comp ars a del co ncetto medesimo nella · Francia di metà Settel:en.:. to, nel corso della pol emica riguardante il rifiuto di dare i sac ramenti ai gianse­ ni sti e a proposito della controversa questio ne della liberali.zzazio ne del commer� cio dei grani. Senza dimenticare il ruolo giocato, pou r cause, dai frequenti affàires giudiziari, che videro ad esempio Voltaire protagonista del ten tativo di riabilitate il condannato a morte Jèan Calas e ii cavaliere La. Barre; eventi che mostrano la persistente centrali tà dell' azi one gi udi ziaria nella. definizione del concetto diopi­ nione pubblica, definita non a caso in questi stessi anni attraverso la metafora del «tribunale>> (non solo in Malesherbes ma anche in Filangierì si parla del tribunale dell'opinione pubblica). La. Francia - come ha mostrato Keith Michael Baker - fu inso mma percotsa nel secondo Settecento da di battiti iL cui verdetto sembrava spettare sempre pio a un'entità · as tratta, 1' opi nione pubblica, capace di . imp o rsi come autorità supe­ rio re anche di fronte al monarca, a sua volta paradossalmente costrerto trami� te i suoi ministri a «difendere» il proprio op erat o con la produzi on e di discor­ si a stampa. Se dunque è legi t tim o vedere nell' ascesa dell'opinione pubblica uno degli elementi di lenta disi n tegrazione dello Stato assolutista, è altrettan­ to opportuno sottolineare che il regno dell' o p inione pubblica accompagnò in al tri Paesi europei l' att uazi one dell'assolutismo illuminato senza assumere quei caratteri di netta contrapposizione con il.sovrano che ebbe inFranc:ia. Cosl, se la rifl essi one di Kant aveva avuto quale interlocutore ideale Federico II, in alcu;; ni S tati italiani fu il riformismo asburgico a «dialogare" con i portavoce dell'opi� nione p ub blica desiderosi di servirsi liberamente della ragione e, all'occorrenza, di farsi consiglieri del p ri ncipe. .

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[opinione pubblica non va necessariamente riferita - come fece ad esempio Habermas - a .una classe sociale (la borghesia), ma - secondo alcuni studiosi (in particolare Baker) - va considerata una fonte astratta di legittimazione in una cul­ tura politica in via di trasformazione, nella quale il concetto di «pubblico» tende a promuovere la nascita di un nuovo sistema d'autorità. I.:idea che l'opinione pub­ blica altro non fosse che l'espressione di una discussione aperta, pubblica, di que­ stioni politiche, il libero esercizio della critica e ddl'uso della ragione sulla condu­ zione quotidiana degli affari di pubblico interesse obbliga tuttavia a interrogarsi sui protagonisti di tale discussione. Sin dal 1 767 Duclos nelle Considératiom sur !es moeurs aveva sostenuto che gli uomini di lettere formavano la «pubblica opinione». Anche Louis Sébastien Mer­ cier nel Tableau de Paris ( 1 78 1), parlando della forza dell'opinione pubblica in tutta Europa, ne attribuiva il merito a quegli scrittori illuminati decisi ad afferma­ re i diritti della ragione. E così già Voltaire e d'Alembert si trovavano d'accordo sul fatto che l'opinione governasse il mondo, precisando però che erano «i saggi, gli uomini che pensano» a governare l'opinione. Se il consenso gtmerale su chi governasse l'opinione appare evidente, più p roble­ matico e gravido di conseguenze è lo iato tra l'ineguale distribuzione degli stru­ menti d'accesso alla ragione e la pretesa all'universalità della pubblica opinione. Come ha scritto Roger Chartier (Le origini culturali della Rivoluzione ftaruese, p. 37), «proprio perché è definita come un'entità concettuale [ . . . ] la nozione d'opi­ nione pubblica [ . . . ] nei due o tre ultimi decenni dell'Ancien Régime, opera come un potente strumento di divisione o di legittimazione sociale». Essa costituisce, di fatto, l'autorità di tutti coloro che, affermando di riconoscere soltanto i suoi decreti, �on questa stessa azione, si pongono come delegati ad esprimere i suoi giudizi. E costruendo l'opinione pubblica come un pubblico unificato, illumina­ to, sovrano, che i lette rati hanno potuto diventare, come dice Tocqueville, 'i prin­ cipali uomini politici del paese'. In altre parole, se il concetto d'opinione pubblica appare eminentemente performativo - nel senso che crea una realtà nel momen­ to stesso in cui la evoca con la parola -, esso tende a legittimare i detentori della parola stessa, chiamati ad agire in uno spazio ancora limitato nel Settecento la cui democratizzazione assumerà tuttavia nella società post-rivoluzionaria un'impo r­ tanza crescente; e che nelle società odierne di specialisti dell'opinione pubblica tende a trasformarla in una vera e propria ideologia professionale. GA.

Francia e Inghilterra nel Settecento: un duello secolare

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La Francia dalla Reggenza al ministero Fleury

Alla morte eli Luigi XIV, nel 1 7 1 5 , si rese necessaria l'istituzione di una Reg­ genza, giacché i l successore, il pronipote Luigi XV (17 1 5- 1 774), aveva appena cin­ que anni. Il Parlamento di Parigi proclamò reggente unico un nipote del defunto monarca, Filippo d'Orléans ( 1 674- 1 723) , che in compenso restituì ai Parlamenti la facoltà di avanzare rimostranze prima di registrare gli editti del re. Anche la grande aristocrazia, mortificata dal dispotismo del Re Sole, pretendeva ora la sua parte nel governo del Paese. In un primo tempo il reggente accolse queste rivendicazioni, facendo largo postO ai nobili di più alto lignaggio in consigli di nuova istiruzione; ma dopo alcuni anni li sciolse e rornò al sistema dei ministri segretari di Staro. Rispeno al clima tetro e bigotto che aveva caratterizzato gli ultimi anni dd regno di Luigi XIV, il periodo della Reggenza fu contrassegnato da una relativa liber­ tà di opinione e di critica, come d imostrano le Lettere persiane dì Montesquieu, pub­ blicate nel 172 1 , satira maliziosa dei costumi e delle istituzioni francesi (non esclusa la religione) . Si può datare da questi anni, in cui anche Voltaire fece il suo esordio letterario, l'inizio dell'Illuminismo vero e proprio in Francia. Il problema più assillante per Filippo d'Orléans e per il suo governo era quello finanziario: nel 1 7 1 5 le entrate della corona risultavano già impegnate per diversi anni e il debito pubblico aveva raggiunto cifre da capogiro. In questa situazione, il reggente diede mano libera a John Law, un geniale avventuriero scozzese che gli pre­ sentò una serie di arditi progetti di risanamento finanziario. Alla base del cosiddetto >, che pose fine alla tradizionale inimicizia tra le dinastie degli Asburgo e dei Borbone e che segnò l'inizio della guerra dei Serre anni (1 756- 1 763). Le operazioni si svolsero inizialmente in modo favorevole alla coalizione, finché la chiamata a Londra di William Pitt al ministero degli affari esteri, nel 1757, segnò un cambiamento di rotta nella conduzione della guerra da parte inglese: cioè il disimpegno dalle questioni continentali e una lotta a fondo in difesa dei propri i n te­ ressi marittimi e commerciali. Animato da un implacabile odio antifrancese, Pitt seppe unire la nazione dietro di sé e dirigere al più completo successo lo sforw militare britannico. Lasciate prive di rinforzi dalla madrepauia, le guarnigioni francesi dovettero soccombere agli attac­ chi del nemico sia nell'America settentrionale, sia in India. Neppure l'entrata in guer­ ra della Spagna a fianco della Francia, nel 176 1 , mutò le soni del conflitto: negli ultimi anni gli inglesi si impadronirono anzi di Martinica e dell'Avana nelle Antille e inviarono una spedizione a Manila, nelle Filippine. Le dimissioni rassegnate da Pitt nell'ottobre 176 1 avevano frattanto favorì m favvio di negoziati di pace, che si conclusero col trattato di Parigi del tèbbraio 1 763. La Francia otteneva la restituzione di Marrinica e della Guadalupa, ma doven dare \·ia libera all'espansione britannica in India e si vedeva completamente estromessa dall'America settenuionale: il Canada e la valle dell'Ohio passavano infatti sotto il dominio inglese, mentre la Spagna doveva cedere la Florida, ricevendo in compenso i cerritori sulla destra del Mississippi. Sullo scacchiere europeo la pace di Hubertusburg ; febbraio 1 763) confermò il dominio di Federico II sulla S lesia.

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Gli avvenimenti e i problemi

Il fallimento delle riforme in Francia

In questa situazione, le riforme di cui si sentiva il bisogno, più volte messe in cantiere dai ministri di Luigi X\� fallirono quasi sempre sotto il fuoco incrociato del­ la nobiltà di corte, del clero, dei Parlamenti, che difendevano i loro privilegi, e di un'opinione pubblica illuminata che in misura crescente metteva in discussione le basi stesse del potere assoluto. La Francia era uscita umiliata dalla guerra dei Sette anni e in condizioni finan­ ziarie disastrose; né bastarono a sanare le ferite inferte all'orgoglio nazionale l'an­ nessione della Lorena, alla morte di Stanislao Leszczynski ( 1 7 66), e l'acquisto della Corsica, ceduta nel 1 768 dalla Repubblica di Genova. Inoltre, i Parlamenti non disarmavano, anzi si può dire che negli anni Sessanta la loro opposizione al gover­ no assunse un carattere cronico, polarizzandosi prima, come già nel decennio pre­ cedente, intorno alle questioni religiose e fiscali, poi investendo le fondamenta stes­ se dell'assolutismo monarchico. In campo religioso i Parlamenti, custodi della tra­ dizione gallicana e permeati di simpatie gianseniste, presero la testa della campagna contro i gesuiti, già cacciati dal Portogallo, ottenendo nel 1 764 un editto di espul­ sione dell'ordine. Per quanto riguarda le finanze, netta e intransigente fu la loro ostilità a tutti i disegni di riforma elaborati nelle sfere di governo fin dagli anni di guerra. E deboli e incerti furono i tentativi dei ministri di Luigi XV di applicare le dottrine fisiocratiche (su cui cfr. cap. 1 8 , par. 4), liberalizzando il commercio dei grani all'interno del Paese e promulgando una legislazione favorevole alle recinzio­ ni dei campi aperti e alla privatizzazione dei beni comunali. Le agitazioni popolari scoppiate alla fine degli anni Sessanta, in conseguenza del rincaro dei prezzi legato a un cattivo raccolto, indussero il governo a ripristinare in gran parte i vincoli al commercio dei cereali. In questa situazione di estrema tensione maturò il «colpo di Stato» del cancel­ liere René-Nicolas-Charles-Augustin de Maupeou. Il re decise di sopprimere il Parlamento di Parigi e di smembrarne la giurisdizione, che copriva oltre un terzo del­ la Francia, in sei circoscrizioni giudiziarie affidate a Consigli superiori di nomina regia ( 1 77 1 ); analoghe riforme furono decretate a carico di altri Parlamenti in docili. Il governo venne assunto da un «triumvirato>> composto da Aiguillon, Maupeou e dal controllore delle finanze Terray, che con misure autoritarie riuscì a operare una forte riduzione del deficit. A Luigi XV, morto il l O maggio 1 774, succedette il nipote Luigi XVI , un gio­ vane di vent'anni, ben intenzionato ma timido e di non grande intelligenza. Per ingraziarsi l'opinione pubblica, il nuovo re decise il richiamo dei vecchi Parlamenti, mettendo così a repentaglio la possibilità di continuare l'opera di riordinamento del­ le finanze e dell'amministrazione intrapresa negli anni precedenti dalla monarchia. D'altra parte volle dimostrare la sua propensione al nuovo nominando control­ lore delle finanze un esponente di spicco del movimento illuminista, Anne-Robert­ Jacques Turgot ( 1 727- 1 78 1 ) . Ispirandosi al programma fisiocratico, Turgot ristabilì la libertà di commercio dei grani (ottobre 1 774) , ma l'applicazione di questo editto

Francia e Inghilterra nel Settecento: un duello secolare



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Regno d'Inghilterra

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Le circoscrizioni parlamentari nella Francia del Settecento.

coincise con un cattivo raccolto, i cui effetti sui prezzi vennero attribuiti all'iniziativa del governo e suscitarono agitazioni e sommosse in tutra la regione di Parigi. Turgot proseguì comunque nella sua azione, dichiarando tra l'altro sciolte le corporazioni di mestiere e sostituendo alla corvée regia un'imposta sui proprietari terrieri. Ma la pres­ sione degli interessi colpiti o minacciati dalle riforme (i Parlamenti, la grande finan­ za, la corte) indusse a questo punto Luigi XVI a ritirare il suo appoggio al ministro, che il l O maggio 1 776 rassegnò le dimissioni. Lesperimento riformatore di Turgot coincise con un mutamento della con­ giuntura economica francese: a un periodo di espansione e di crescita seguì una fase di ristagno, di cattive annate agricole, di fluttuazione dei prezzi, di difficoltà nel com­ mercio internazionale. La sua caduta può dunque essere considerata come il preludio della crisi finale della monarchia d'antico regime in Francia.

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GLi tlwmimenti

e

i probLemi

Llnghilterra nell'età di Giorgio III

Al contrario della Francia, la Gran Bretagna era uscita molto rafforzata dalla guerra dei Sette anni: padrona dei mari, lanciata ormai verso la Rivoluzione indu­ striale, non aveva più rivali nell'America settentrionale e in India, dove la Compagnia delle Indie orientali estese rapidamente la sua influenza (vd. scheda cap. 27). Lo sviluppo economico non impedì peraltro l'insorgere di forti tensioni interne, legate sostanzialmente a tre ragioni. In primo luogo il nuovo re Giorgio III (17601 820), nato ed educato in Inghilterra a differenza dei predecessori, manifestò subito l'intenzione di esercitare un ruolo più attivo nella politica nazionale, suscitando l'op­ posizione del Parlamento e della pubblica opinione. Il secondo fattore è la formazione, accanto all'opposizione whig, di una corrente più radicale, che contestava lo stesso ordine politico uscito dalla «gloriosa rivoluzione>> del 1 688- 1 689 e si agitava per una rcdistribuzione dei seggi parlamentari, per un allargamento dd suffragio e per un'estensione delle libertà religiose e civili. Il portavoce più popolare di questo schie­ ramento fu il giornalista e deputato John Wilkes (1 725-1797) , arrestato nel 1 763 per i suoi attacchi contro la eone ma liberato dalla sentenza di un tribunale e poi riperu­ tamente eletto al Parlamento. La terza causa del malessere politico fu la disastrosa con­ duzione della crisi nordamericana da parte del governo di lord North (1 770-1 782). La vittoriosa lotta per l'indipendenza dei coloni (cfr. cap. 22) stimolò tra l'altro le rivendicazioni autonomistiche degli irlandesi, che sì agitavano per ottenere il ricono­ scimento dell'indipendenza del loro Parlamento e la concessione del voto ai cattolici. C impopolarità dd governo di lord Nonh e i timori suscitati da disordini scop­ piati a Londra nel 1 780 convinsero alla fine Giorgio III ad affidare la formazione di un nuovo governo a William Pitt il Giovane (figlio del precedente William Pi rt) . Durante la sua lunga permanenza al governo (1783- 1 80 l e poi di nuovo 18041806), Pitt il Giovane fu protagonista di una notevole attività riformatrice: accolse in gran parte le richieste degli irlandesi, combatté in ogni campo la corruzione e gli sprechi e introdusse nel 1 797 una nuova e più equa imposta proporzionale ai reddi­ ti di qualunque narura. D'altra parte, Pitt sarà a partire dal 1793 il più tenace e implacabile nemico della Francia rivoluzionaria, e il timore di un contagio delle idee fiancesi lo porterà ad adottare anche all'interno un atteggiamento molto rigido nei confronti delle agitazioni operaie e dei movimenti di opposizione.

Nella Francia di antico regime, i Parlamenti costituivano il grado più alto della giurisdizione ordinaria ed erano i tribunali più importanti dd Regno. I magistrati dei Parlamenti esercitavano la giurisdizione in qualità di rappresentanti diretti del sovrano, ed essi soli potevano giudicare secondo equità, senza attenersi alla lettera del dettato legislativo. I Parlamenti erano competenti nelle cause d'appello pro-

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venienti dalle circoscrizioni dipendenti dalla loro giurisdizione territoriale, quali i balivati e i siniscalcati regi e i tribunali signorili; alla loro sentenza non era previ­ sto appello, all'infuori della grazia concessa dal sovrano; esercitavano inoltre comi piti di polizia (nell'accezione ampia comprendente fra l'altro l'ordine pubblico, la sanità, gli approvvigionamenti alimentari e la viabilità) nelle città dove avevano sede. Il più importante tra essi, il parlamento di Parigi, era competente in prima istanza nelle cause riguardanti i principi del sangue, i pari e i grandi ufficiali della corona, oltre che per crimini di lesa maestà; veniva inoltre consultato in materia di successione al trono. Istituito nel XIII secolo da Luigi IX il Santo, il Parlamento di Parigi fu affiancato a partire dal XV secolo da Parlamenti provinciali, insedia­ ti a Tolosa, Grenoble, Bordeaux, Digione, Rouen, Aix-en-Provence e Rennes, ai quali si aggiungeranno nel XVII secolo Pau, Metz e Besançon, e nel XVIII Dou­ ai e Nancy. Il Parlamento di Parigi rimase tuttavia il più importante sia sul piano delle competenze sia sul piano della giurisdizione, estesa all'incirca su metà del territorio francese: verso la metà del XVIII secolo, esso contava circa 250 membri. Tra le funzioni esercitate dai Parlamenti, la più delicata e gravida di conseguen­ ze politiche concerneva la registrazione degli editti regi: senza questa formalità, infatti, gli editti non erano applicabili nelle rispettive giurisdizioni. Compito dei Parlamenti era verificare che la nuova norma non ledesse i diritti e i privilegi dei sudditi e che fosse compatibile con le leggi del Regno. Qualora la registrazione dell'editto sollevasse obiezioni, il Parlamento presentava le proprie >) si mescolano con un moderno spirito garantista e razionalizzatore. Altri meriti di Federico il Grande furono l'estensione considerevole della liber­ tà di stampa e i progressi compiuti dall'istruzione elementare, resa obbligatoria per tutti. Non aveva dunque del tutto torto Immanuel Kant, professore nell'Università di Konigsberg e forse il più illustre tra i suoi sudditi, a considerare «l'età dell'Illumi­ nismo» come sinonimo dell'«età di Federico il Grande>>. 2

La monarchia austriaca sotto Maria Teresa e Giuseppe II

Le guerre di Successione polacca e austriaca (cfr. cap. 1 9 , par. 3) avevano segna­ to una grave crisi per la monarchia degli Asburgo, costretta a rinunciare alla Slesia e a buona parte dei possedimenti italiani di recente acquisiti. Tuttavia proprio la durissima prova attraversata nei primi anni di regno convinse la giovane fìglia di Carlo VI, Maria Teresa (1 740-1 780), che non sarebbe stato possibile mantenere all'Austria il rango di grande potenza europea senza un potenziamento dell'apparato militare e senza incisi­ vi mutamenti nelle strutture amministrative e finanziarie che lo rendessero possibile. Maria Teresa non era certo una sovrana «illuminata>> come Federico II, ma uni­ va a un robusto buon senso una grande determinazione, un'istintiva capacità di sce­ gliere gli uomini giusti e una solìecitudine quasi materna per il bene dei suoi popoli. Già negli ultimi anni di guerra i nuovi e devoti collaboratori che la circondavano avevano avviato una serie di riforme nell'organizzazione dell'esercito. Nel 1 748 Maria Teresa costrinse i «ceti>> di ciascun Land (territorio) , cioè le rappresentanze

Assolutùmo illtmtinato e riforme

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La Prussia agli inizi del Settecento

Territori conquistati nel 1720

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REGNO. DI DANIMAR.Cf'-

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REGNO DI SVEZIA

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IMPERO RUSSO

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Tr;�nsilva,ia Territori conquistati nel 1772-1779 - Confini dell'Impero Territori ecclesiastici

la Prussia e la monarchia austriaca tra il

l740 e il l790.

dell'alta e della piccola nobiltà, del clero e delle città, a votare le imposte non più ogni anno, ma per un intero decennio, lasciando a organi regi di nuova istituzione - i governatorati, a loro volta suddivisi nei «circoli)) o distretti provinciali - il compito di effettuare il riparto e l'esazione dei tributi. Al centro le due cancellerie boema e austriaca vennero sostituite nel 1749 da un unico Direttorio, modellato su quello prussiano, che assommava funzioni ammi­ nistrative e finanziarie. La nobiltà, esautorata sul piano politico e costretta a pagare l'imposta fondiaria da cui era in precedenza esente, fu tuttavia compensata con la preferenza accordatale nel conferimento delle cariche civili e militari: per la sua edu­ cazione vennero fondati nel 1 750 un collegio detto Theresianum e nel 1 752 un'Ac­ cademia militare a Wiener-Neustadt. I risultati finanziari delle riforme furono ben presto evidenti, giacché in quindici anni il gettito delle imposte dirette aumentò del 60%. Ma soprattutto si era affermata una nuova concezione unitaria dello Stato, sia pure limitata al complesso territoriale austro-boemo (l'Ungheria e i possedimenti ita­ liani e belgi non furono compresi nella ristrutturazione) .

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Gli avvenimenti e i problem i

Se nella prima parte del regno teresiano furono determinanti le esigenze di accentramento amministrativo e finanziario, nella seconda metà venne in primo piano il motivo della > del 1 723 e del 1 729. Ladozione di una serie di provvedimenti di natura mercantilistica (dazi sulle importazioni di manufatti, agevo­ lazioni all'esportazione e concessione di privilegi agli imprenditori) favorì infine lo sviluppo delle manifatture, soprattutto nei settori cotoniero e laniero. Sotto il successore Carlo Emanuele III ( 1 730- 1 773) proseguì il rafforzamento delle tendenze assolutistiche: in Savoia si giunse nel 177 1 all'abolizione della feuda­ lità, e la Sardegna fu oggetto durante il ministero di Giovanni Battista Bogino ( 1 7591 773) di provvedimenti intesi a limitare il potere baronale, a ridurre i privilegi della Chiesa, a combattere il brigantaggio e a diffondere l'istruzione. 2

I Regni di Napoli e di Sicilia sotto i Borbone

Nel Regno di Napoli, il riacquisto dell'indipendenza sotto un «re propria>>, gra­ zie all'insediamento di Carlo di Borbone nel 1 734, favorì una spinta rinnovatrice che in un breve volgere di anni portò alla limitazione delle giurisdizioni baronali, alla ripresa della politica giurisdizionalistica (concordato del 1 74 1 ) , alla riforma degli stu­ di nell'Università di Napoli, all'avvio di una catastazione delle terre e dei beni. I lavo­ ri per la redazione di nuovi catasti in tutte le comunità del regno si trascinarono però a lungo senza portare a miglioramenti consistenti nei metodi di riparto e di esazione dei tributi, anche a causa dell'arretrato impianto tecnico dell'opera. Molto vivace e ricca rimase la vita intellettuale a Napoli. A partire dalla metà del secolo si registra l'emergere in primo piano delle scienze naturali, dell'economia, della statistica. Due avvenimenti indicativi delle nuove tendenze possono essere con­ siderati la pubblicazione del trattato Della moneta ( 1 75 1 ) di Ferdinando Galiani

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Gli avvenimenti e i problemi

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1738 Pace di Vienna 1748 Pace di Aquisgrana

Napoli .

Cltalia dopo Le guerre di Successione.

( 1 728- 1 787) e il conferimento della nuova cattedra universitaria di «meccanica e commercio», nel 1754, all'abate Antonio Genovesi ( 1 7 1 3- 1 769). Dalla scuola del Genovesi usciranno alcuni dei maggiori illuministi napoletani del tardo Settecento, tra cui Giuseppe Maria Galanti, autore della Nuova descrizione storica e geografica del­ le Sicilie ( 1786-94), e Gaetano Filangieri (cfr. cap. 1 8, par. 3). Assai maggiore che per il passato era ora l'attenzione della classe intellettuale alla realtà delle province, alle necessità dei ceti produttivi e commercianti, alle condizioni di vita spesso tragiche e primitive delle masse contadine. E sempre più chiara e diffusa era la percezione che nella feudalità stava il nodo cruciale che bisognava sciogliere per aprire nuove pro­ spettive di sviluppo alla società meridionale. Quando Carlo di Borbone divenne re di Spagna col titolo di Carlo III (1 759), il toscano Bernardo Tanucci, già dal 1 75 5 ministro de i esteri, divenne la figura più autorevole del «Consi io di reggenza,> istituito in considerazione della minore età del succeso s re Ferdinando N (re di Napoli dal 1 759 al 1 806, poi re delle Due Sicilie col nome di Ferdinando I dal 1 8 1 6 al 1 825). Intransigente difensore dei diritti dello Stato nei confronti della Chiesa, come dimostrano l'espulsione dei gesuiti nel 1767 e la legge sulle manimorte del 1 769, Tanucci era però alieno da riforme radicali sul piano economico e sociale: la gravissima carestia del 1 763- 1765 venne così affronta-

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L'italia del Settecento

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ta, nonostante le esortazioni del Genovesi, con rimedi di tipo tradizionale; e nessuna misura incisiva venne adottata nei confronti dei baroni. Il giovane Ferdinando IV sposò Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d'Austria: l'orientamento filoaustriaco impresso al governo dalla regina, che fece licenziare il Tanucci nel 1 776, portò in un primo tempo alla ripresa dell'azione riformatrice, che si avvalse della collaborazione di intellettuali come Giuseppe Palmieri e Gaetano Filan­ gieri. A misure liberalizzatrici in campo commerciale e all'istituzione di un «Monte frumentario» per il credito ai coltivatori, schiacciati dall'usura, si accompagnarono la fondazione di manifatture regie e l'erezione, con i beni confiscati agli enti ecclesiastici, di una «Cassa sacra» per la Calabria, colpita nel 1 783 da un disastroso terremoto. Anche in Sicilia il periodo di viceregno di Domenico Caracciolo ( 1 78 1 - 1 78 5) fu contrassegnato da importanti iniziative, come l'abolizione dell'Inquisizione e l' av­ vio di un catasto, poi fallito per l'opposizione della nobiltà. Né in Sicilia, né nel Mezzogiorno continentale le riforme giunsero tuttavia a mettere in discussione il per­ manere delle strutture feudali nelle campagne e a liberare lo Stato dal groviglio di interessi privati (di appaltatori, finanzieri, detentori di uffici e di entrate fiscali alie­ nate) che ne limitava e condizionava l'autorità. 3

Illuminismo e riforme nella Lombardia austriaca

Dopo la pace di Aquisgrana del 1 748 (cfr. cap. 19, par. 3), la monarchia austriaca rimaneva in possesso dello Stato di Milano (sia pure amputato delle pro­ vince oltre Ticino e oltre Po, cedute al Piemonte) e del Ducato di Mantova, uniti sotto uno stesso governo a formare la Lombardia austriaca. Nell'orbita asburgica rientrava però anche il Granducato di Toscana, assegnato nel 1737 a Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa. Nel 1 753, inoltre, un accordo stipulato col duca di Modena Francesco III d'Este ( 1 737-1 780), che prevedeva il matrimonio della nipote ed erede di quest'ultimo con un arciduca della dinastia imperiale, inserì anche i Ducati di Modena e Reggio nella sfera d'influenza austriaca. Una prima ondata di riforme investì lo Stato di Milano tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta. Nel 1 7 49 fu riordinata l'amministrazione delle finanze e abo­ lita la vendita delle cariche, che dovevano essere conferite d'ora in poi solo in base a requisiti di capacità e di merito. Al risanamento finanziario contribuirono sia la con­ centrazione degli appalti dei dazi in un'unica > (i possessori dei fondi) sotto il controllo di funzionari regi detti «cancellie­ ri delegati» o «cancellieri del censo», che dipendevano da un dicastero centrale. Un contributo importante alla diffusione dei Lumi venne negli anni seguenti da un gruppo di giovani nobili, in polemica col sapere e il costume dei padri, che a partire dal 1 76 1 - 1 762 si raccolse intorno a Pietro Verri ( 1 728- 1 797), spirito irre­ quieto e versatile, attratto in particolare dalla nascente scienza economica cui darà un importante contributo con le Meditazioni sull'economia politica ( 1 77 1 ) . Nel clima di calda amicizia e di entusiasmo per le nuove idee proprio di questo sodalizio nacque l'esperienza giornalistica del «Caffè» ( 1 764-1 766) e apparve, nel 1 764, l'immortale operetta di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, al cui successo europeo già si è avuto modo di accennare. Ma anche intellettuali estranei al gruppo, come il poeta Giuseppe Parini, l'autore del Giorno e delle Odi, assecondarono il moto delle riforme affermando esigenze di progresso civile e di giustizia sociale. È innegabile però che l'impulso al cambiamento venne soprattutto da Vienna, da dove nel 1 759 venne inviato a Milano, come ministro plenipotenziario, un uomo di idee avanzate e di vasta e raffinata cultura, il conte trentino Carlo di Firmian. La ristrutturazione delle magistrature avviata nei decenni centrali del secolo culminò nel 1 77 1 con la separazione degli affari giudiziari, riservati al Senato, da quelli amministrativi e finanziari, affidati a un rinnovato negli uomini e nelle competenze: tra i compiti di quest'ultimo rientrava, oltre alla direzione del sistema censuario, anche la gestione delle imposte indirette, per le qua­ li venne posto fine al sistema degli appalti. Ciò permise di portare anche in questo settore quell'ordine e quella equità che il sistema censuario aveva realizzato nell'im­ posizione diretta: vennero gradualmente riscattate le cosiddette >, che puntava sul movimento e sul­ la sorpresa, era d'altra parte, in larga misura, un portato della Rivoluzione piuttosto che un'invenzione di Bonaparte. La leva in massa decretata nel 1 793, il rinnovamen­ to dei quadri e l'amalgama dei vecchi con i nuovi reggimenti avevano infatti reso impraticabile lo schieramento in linea, che presupponeva un lungo addestramento e una ferrea disciplina; mentre l'entusiasmo rivoluzionario e la mentalità offensiva dei giovani ufficiali e dei soldati avevano riportato in auge la formazione in colonna, che correva addosso al nemico e cercava il combattimento all'arma bianca. Un altro elemento di cui tener conto è il grande potenziale demografico del­ la Francia, accresciuto ancora dalle conquiste e dalle annessioni dell'età rivoluzio­ naria e napoleonica. Nel settembre 1 798 fu introdotto un sistema di coscrizione obbligatoria basato sulla formazione di liste di tutti i maschi dai 20 ai 25 anni, all'interno delle quali speciali commissioni arruolavano mediante sorteggio i con­ tingenti d'anno in anno stabiliti. Accanto ai reggimenti di fanteria e di cavalleria vi erano i corpi d'élite (la famo­ sa Guardia imperiale) e le armi tecniche (l'artiglieria, il genio, la gendarmeria). Nel

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1 805 la «Grande Armata>> era composta da 592.000 uomini; successivamente, grazie anche al contributo dei Paesi annessi o vassalli, si arrivò a toccare 1 . 1 00.000 uomini nel maggio 1 8 13. Si calcola che tra il 1 798 e il 1 8 1 3 nella sola Francia furono chia­ mati alle armi complessivamente 2.834.000 uomini, una cifra che non tiene conto però dei diffusi fenomeni di renitenza alla leva e di diserzione; vicine al milione furo­ no nello stesso periodo le perdite, dovute in parte preponderante, più che alle morti in battaglia, alle malattie e alla mancanza assoluta di igiene negli ospedali militari. 3

Il blocco continentale, la guerra di Spagna e la quinta coalizione

Dopo la pace di Tilsit l'unica potenza ancora in guerra con l'Impero francese era la Gran Bretagna. Nell'impossibilità di contrastarne il dominio sui mari, Napoleone aveva deciso di piegarne la resistenza con l'arma economica. Nel novem­ bre 1 806 egli aveva infatti dichiarato l'Inghilterra in «stato di blocco>>: ciò significava che era proibito ai sudditi dell'Impero ogni commercio con le isole britanniche. Al blocco aderirono successivamente la Russia, la Prussia, la Danimarca e la Spagna. Per essere veramente efficace, tuttavia, il blocco richiedeva il controllo di tutte le coste europee, un'impresa al di sopra del pur formidabile apparato militare napo­ leonico. Il contrabbando era di fatto onnipresente, soprattutto in prossimità di isole controllate dagli inglesi, come Malta nel Mediterraneo o Helgoland nel Baltico. Lo stesso Napoleone fu costretto a concedere licenze d'importazione per alcuni generi, come il cotone, indispensabile per l'industria francese. Infine il blocco non poteva essere applicato al Nuovo Mondo e al continente asiatico. Pur essendo colpita da una grave crisi, l'economia britannica resistette e poté di nuovo respirare quando la penisola iberica insorse contro la Francia e quando i por­ ti russi si riaprirono alle sue esportazioni. Nel 1 806 era scomparso William Pitt, ma la guerra a oltranza contro la Francia trovò un nuovo campione nel ministro della guerra (poi degli esteri) Robert Stewart visconte Castlereagh. Fallito tra il novembre 1 807 e il 1 808 il tentativo di occupare il Portogallo, tra­ dizionale alleato dell'Inghilterra, Napoleone riuscì a impadronirsi nei mesi successivi della Spagna, spodestando Carlo IV e proclamando re nel maggio del 1 808 il fratel­ lo Giuseppe. Ma nello stesso mese il popolo di Madrid si sollevò contro la presenza francese, e dalla capitale l'insurrezione dilagò rapidamente nelle province. Iniziava così contro «Bonaparte l'Anticristo>> una spietata guerriglia, organizza­ ta dalla nobiltà e dal clero, che faceva leva sull'ombroso nazionalismo e sul sentimen­ to religioso degli spagnoli, offeso anche dal trattamento inflitto al papa. Nel gennaio 1 808, infatti, truppe francesi, col pretesto di imporre l'applicazione del «blocco con­ tinentale>>, si erano impadronite dello Stato pontificio, che verrà annesso l'anno seguente all'Impero francese, mentre Pio VII, che aveva osato scomunicare Napo­ leone, verrà imprigionato a Savona. Nonostante l'intervento diretto di Napoleone in Spagna ( 1 809), la guerriglia, sostenuta militarmente e finanziariamente dagli inglesi, non disarmò; fra atrocità

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Gli avvenimenti e i problemi

da ambo le parti, di èui sono testimonianza memorabile i quadri e le incisioni di Goya, l'insorgenza spagnola continuò a costituire una spina nel fianco del «sistema continentale» napoleonico e a inghiottire ingenti risorse umane della Francia e dei Paesi alleati. I.:Austria era ansiosa di vendicare l'umiliazione subita col trattato di Presburgo e nell'aprile 1 809, annodata una nuova coalizione con l'Inghilterra, invase la Baviera, alleata della Francia. Napoleone passò immediatamente alla controffensiva e il 1 2 maggio entrò per la seconda volta a Vienna. I l 6 luglio 1 809 l'arciduca Carlo, il migliore comandante austriaco, subì una decisiva sconfitta a Wagram. Con la pace di Vienna ( 1 4 ottobre), l'Austria perdeva la Galizia settentrionale, riunita al Granducato di Varsavia, e inoltre la Carinzia, la Carniola, Fiume e Trieste, che insie­ me all'Istria e alla Dalmazia, separate dal Regno d'Italia, entrarono a far parte del­ l'Impero francese col nome di Province Illiriche. Nel tentativo di ammorbidire il vincitore, il nuovo cancelliere austriaco, Klemens Wenzel Lothar conte (più tardi principe) di Metternich ( 1 773- 1 8 59), offrì a Napoleone, che aveva già deciso il divorzio da Giuseppina Beauharnais, la mano di una figlia di Francesco l, l'arciduchessa Maria Luigia. Dal matrimonio, celebrato il l o aprile 1 8 1 O, nacque l'anno seguente il sospirato erede, Napoleone Francesco Carlo Giuseppe, che ebbe il titolo di «re di Roma». La potenza di Napoleone sembrava dunque più salda che mai e destinata a pro­ iettarsi nel futuro. In realtà le sue basi avevano già cominciato a sgretolarsi. Al gine­ praio spagnolo e all'implacabile ostilità inglese si aggiungeva la crescente freddezza dello zar di Russia. La pacificazione religiosa era stata compromessa dalla rottura col pontefice. Un po' dovunque il sentimento nazionale si risvegliava contro la pretesa francese di dominare l'Europa. Ma anche nella stessa Francia cominciavano ad affio­ rare segni di stanchezza e di disaffezione. 4

La società francese all'apogeo dell'Impero

Con le annessioni del 1 809 e del 1 8 1 O (Stato pontificio, Province Illiriche, Olanda, regioni tedesche affacciate sul mare del Nord) l'Impero francese raggiunse il suo massimo sviluppo; esso comprendeva 1 30 dipartimenti e circa 44 milioni di abi­ tanti, senza contare naturalmente gli Stati vassalli. La Francia propriamente detta contava alla fine del periodo napoleonico circa 30 milioni di abitanti. Al vertice della società era la corte imperiale, sempre più simile a quelle d'anti­ co regime. Alla istituzione della Legion d'onore, decretata nel 1802 per premiare i servizi resi allo Stato, fece seguito nel marzo 1 808 la creazione di una nobiltà impe­ riale, nella quale entrarono di diritto ministri, senatori, arcivescovi e vescovi, ecc. Di questa aristocrazia fecero parte non pochi degli antichi nobili (22,5%) accanto a una maggioranza di borghesi (58%) e a una significativa proporzione di individui di estrazione popolare ( 1 9,5%), che dovevano la loro ascesa a quel grande veicolo di promozione sociale che era l'esercito.

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A differenza che nella Francia prerivoluzionaria, il conferimento della nobiltà era strettamente legato al censo, cioè al possesso di una rendita graduata secondo il titolo. La proprietà fondiaria accanto alla funzione pubblica (militare o civile) era il requisito fondamentale per l'appartenenza all'élite sociale, tanto a livello nazionale che a livello locale, dove in base alla Costituzione del l 802 i collegi elettorali di dipar­ timento, sostituiti alle «liste di confidenza», dovevano essere obbligatoriamente com­ posti dai maggiori contribuenti. Forte del consenso di questi notabili, Napoleone continuò a esercitare perso­ nalmente il potere, dando prova di una prodigiosa capacità di lavoro e di un'atten­ zione per ogni dettaglio dell'amministrazione. Dopo la proclamazione dell'Impero scomparve ogni traccia di opposizione. Il Tribunato venne soppresso nel 1 807 e il Corpo legislativo, così come il Senato, divenne una cassa di risonanza della volontà del padrone. Poco più che esecutori dei suoi ordini erano i ministri, tra i quali le più forti personalità, come Jean-Antoine Chaptal, ministro dell'Interno dal 1 800 al 1 804, Joseph Fouché, ministro della Polizia dal l 800 al l 802 e dal l 804 al l 8 1 0, e Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, ministro degli Esteri dal 1 800 al 1 807, vennero messe da parte e sostituite con uomini più docili e scoloriti. Dai ministeri le direttive del regime si diramavano nelle province attraverso la rete dei prefetti, dei sottoprefetti e dei sindaci, tutti di nomina governativa. I.:asservimento della stampa divenne completo nel l 8 1 0 con la limitazione dei giornali a uno solo per dipartimento (quattro a Parigi) e l'istituzione della erano dichiarati i tre collegi elettorali dei possidenti, dei commercianti e dei dotti, che attraverso una complicata procedura dovevano eleggere i membri del Corpo legislativo; a questa assemblea era demandata l'approvazione delle leggi pre­ parate da un Consiglio legislativo di nomina presidenziale. La presidenza della Repubblica venne assunta dallo stesso Bonaparte, che nominò vicepresidente un patrizio milanese di grande prestigio, Francesco Melzi

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d'Eril ( 1 753- 1 8 1 6) . Costui seppe guadagnare al nuovo regime le simpatie dei ceti abbienti, favoriti nella distribuzione delle cariche di governo. Nella Repubblica Italiana furono introdotti istituti e ordinamenti analoghi a quelli francesi: l'accentra­ mento amministrativo mediante i prefetti; la coscrizione militare (una sgradita novi­ tà per i popoli della Lombardia e dell'Emilia); la riorganizzazione degli studi supe­ riori (licei e università); il riordinamento delle finanze imperniato sull'imposta fon­ diaria (molto più moderata che nel periodo cisalpino) , sulle privative del sale e del tabacco e sui dazi di consumo; il consolidamento del debito pubblico; un concorda­ to con la Santa Sede ( 1 803) che ristabiliva il cattolicesimo come religione di Stato pur mantenendo la libertà dei culti. Nel marzo 1 805 la Repubblica Italiana venne trasformata in Regno d'Italia; Napoleone, che ne cinse la corona, si fece rappresentare a Milano col titolo di viceré dal figliastro Eugenio di Beauharnais. Vennero creati nuovi organi di governo: un Consiglio di Stato, con il compito precipuo di elaborare i progetti di legge, e un Senato, composto di almeno due rappresentanti per dipartimento scelti anch'essi dal re, che prese il posto del soppresso Corpo legislativo. Nonostante la riduzione degli spazi di libertà e di autonomia, il Regno si distin­ se dalla Repubblica per una più decisa opera di ammodernamento e razionalizzazio­ ne nei vari settori. Venne dato impulso all'istruzione elementare; fu ristrutturato il sistema giudiziario e furono adottati il Codice Napoleone e gli altri Codici francesi; vennero portati a compimento o avviati grandi lavori pubblici, quali la strada del Sempione, il canale tra Milano e Pavia, l'inalveamento del fiume Reno nel Po. Milano venne assumendo il volto di una grande capitale, sede di una burocra­ zia numerosa ed efficiente e di prestigiose istituzioni culturali. Tra i letterati e i dotti di ogni parte d'Italia che vi fecero soggiorno basti ricordare i nomi di Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, Vincenzo Cuoco, Melchiorre Gioia, Gian Domenico Romagnosi. Nel 1 806 il Regno d'Italia venne ingrandito con l'aggregazione di tutto il Veneto, dell'Istria e della Dalmazia. Nel 1 808 gli furono aggiunte le Marche. Nel 1 809, allorché l'Istria e la Dalmazia entrarono a far parte del territorio delle Province Illiriche, il Regno d'Italia venne compensato col Tremino e l'Alto Adige. I suoi 24 dipartimenti comprendevano ormai oltre sei milioni e mezzo di abitami, un terzo abbondante della popolazione della penisola italiana. I.:agricoltura, che rimaneva l'occupazione principale, soffrì in alcune regioni (il Veneto in particolare) per la tassazione eccessiva e per la perdita degli sbocchi tradi­ zionali, ma fu stimolata dalla richiesta di generi alimentari per l'esercito e di seta greg­ gia per l'industria francese, e registrò l'immissione di un certo spirito imprenditoria­ le àd opera degli acquirenti dei beni nazionali, confiscati alla Chiesa. Gli altri settori dell'economia presentavano pure ombre e luci, giacché alla rovina dei porti e al decli­ no dell'industria serica, incapace di sostenere la concorrenza francese, bisogna con­ trapporre l'espansione della produzione laniera e dell'estrazione mineraria. Le condizioni di vita delle classi popolari non conobbero significativi muta­ menti, se non per la maggiore durezza della legislazione sul lavoro e la mendicità e per l'esperienza nuova del servizio militare, che interessò, dal 1 797, oltre 200.000

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LEuropa centro-settentrionale

Le regioni dell'area tedesca che più profondamente subirono l'influenza fran­ cese furono quelle poste sulla riva sinistra del Reno, invase dagli eserciti rivoluzio­ nari fin dal 1 792- 1 793. Ma sotto Napoleone tale influenza si andò rapidamente estendendo ai territori della Germania centro-occidentale, producendo notevoli cambiamenti. Va innanzitutto ricordata la radicale riorganizzazione dell'assetto politico-terri­ toriale dell'Impero germanico, varata nel febbraio 1 803: i principati ecclesiastici, la maggior parte delle città libere, i piccoli feudi e molti staterelli vennero «mediatizza­ ti», cioè sottoposti alla sovranità degli Stati territoriali più grandi. Il Sacro Romano Impero, dopo un millennio di vita, venne ufficialmente disciolto nell'agosto 1 806; il mese precedente si era costituita la Confederazione del Reno, una associazione di sedici Stati sotto la protezione dell'imperatore francese, che ne dirigeva la politica estera e vi reclutava un esercito di 63.000 uomini. Dopo la sconfitta della Prussia entrarono a far parte della Confederazione anche l'elettorato di Sassonia, trasforma­ to in regno, e il nuovo Regno di Vestfalia. La recente storiografia ha rivalutato questa esperienza, tradizionalmente vista come estranea allo sviluppo nazionale tedesco, e vi ha visto un'origine del movimen­ to liberale ottocentesco e un contrappeso alle tendenze autoritarie prussiane.

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e

i problemi

Dopo il 1 807 conservavano la propria indipendenza politica, nell'area germani­ ca, solo l'Impero austriaco (fin dal 1 804 Francesco II aveva assunto il nuovo titolo di imperatore d'Austria, come Francesco I) e la Prussia. Il primo, amputato come si è visto di molte province, trovò nel principe di Metternich un abile ministro degli este­ ri, che dal 1 809 al 1 8 13 si mantenne apparentemente fedele all'alleanza con la Francia, inviando persino un piccolo corpo di spedizione in Russia accanto alla «Grande Armata». All'interno, tuttavia, non vi furono sviluppi di rilievo in senso riformatore. Ben diversa fu la reazione della Prussia al disastro di Jena ( 1 806). Il re Federico Guglielmo III (1797-1 840), che già in precedenza aveva inaugurato una politica di pru­ denti riforme, tra cui l'emancipazione dei contadini del demanio regio, decise la ristrut­ turazione degli organi di governo centrali e delle amministrazioni locali, la soppressione della servitù della gleba anche nelle proprietà private, la formazione di poderi contadini autosufficienti, l'abbattimento dei vincoli all'iniziativa economica e alla libera compra­ vendita delle terre. Persino l'esercito venne in una certa misura democratizzato. Alla rinascita della Prussia diedero un notevole impulso gli intellettuali: il filo­ sofo Johann Gottlieb Fichte infiammò il sentimento nazionale con i suoi Discorsi alla nazione tedesca ( 1 808), mentre l'umanista e linguista Wilhelm von Humboldt ispirò la riforma dell'istruzione, con l'istituzione dei ginnasi e la fondazione dell'Università di Berlino. La Prussia si accingeva così a respingere l'egemonia francese e a proporsi, alla caduta di Napoleone, come guida politica e morale dell'intera Germania. Più efEmera doveva rivelarsi la rinascita della Polonia sotto forma di Granducato di Varsavia, costituito da Napoleone (1 807- 1 809) con le terre già polacche inglobate dalla Prussia e dall'Austria in occasione delle spartizioni di fine Settecento (cfr. cap. 20, par. 4). L:abolizione del servaggio, proclamata alla fine del 1 807, rimase qui in buona parte sulla carta e più superficiale che nella Germania occidentale fu la modernizzazio­ ne delle istituzioni. Potente fu però l'impulso dato al sentimento nazionale polacco, che ispirerà nel 1 8 3 1 la rivolta contro il dominio russo (cfr. cap. 27, par. 4) . Lenumerazione degli Stati vassalli della Francia deve essere completata con la Confederazione elvetica, ristabilita da Napoleone con !'«atto di mediazione» del feb­ braio 1 803, il cui stato di semilibertà poté mantenersi per tutta l'età napoleonica. Meno fortunata fu un'altra repubblica «sorella>>, la Repubblica Batava: nel 1 806 fu tra­ sformata in Regno d'Olanda, la cui corona fu assunta da un altro fratello di Napoleone, Luigi; nel 1 8 1 0 l'Olanda fu definitivamente annessa all'Impero. Per questo Paese marittimo particolarmente gravi furono le ripercussioni del «blocco continentale>>. In questo periodo anche la Danimarca e la Svezia gravitavano nell'orbita politica della Francia. Ma questo «sistema continentale>>, che sembrava erigere contro il nemi­ co inglese un formidabile bastione, appena indebolito sul fianco occidentale dall'insor­ genza spagnola, dimostrerà tutta la sua fragilità non appena il mito dell'invincibilità del suo artefice e dominatore si infranse nel disastro della campagna di Russia. Se in Francia, come si è detto, il dominio napoleonico significò soprattutto il ritorno alla stabilità e all'ordine dopo la bufera rivoluzionaria, profondamente diver­ si furono i suoi effetti sugli altri Paesi europei. Nel resto dell'Europa non si era assi­ stito nell'ultimo decennio del Settecento a uno sconvolgimento delle gerarchie socia-

Ln Francia e l'Europa nell'età napoleo11ica

Impero francese

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REGNO DI SICILIA

CEuropa all'apogeo dell'Impero napoleonico (1810).

li, delle strutture politico-amministrative, degli atteggiamenti mentali e dei valori dominanti di portata lontanamente paragonabile con quanto era accaduto entro i confini della monarchia di Luigi XVI. I princìpi di uguaglianza giuridica, di riforma fiscale, di uniformità e razionalità delle leggi e degli ordinamenti si affermarono pie­ namente, in molti Paesi, solo come conseguenza dell'invasione napoleonica, anche se il terreno era stato in varia misura preparato dalle riforme settecentesche. D'altra parte lo scarso riguardo mostrato dai conquistatori per le istituzioni, le tradizioni, la fede religiosa delle popolazioni soggette, il pesante tributo di denaro e di uomini da loro imposto, le conseguenze economiche dell'occupazione dovevano suscitare inevitabilmente, in vasti strati sociali, reazioni di ostilità e di rivalsa. Non sempre queste assunsero la forma della resistenza armata, come in Spagna, ma in gran parte d'Europa e perfino oltreoceano stimolarono la nascita di un sentimento nazionale e di un bisogno di indipendenza che sono all'origine dei movimenti di liberazione e di unificazione del XIX secolo.

356

7

Gli awenimenri e i problemi

Dalla campagna di Russia al crollo del «Grande Impero))

Il giovane zar Alessandro I ( 1 8 0 1 - 1 82 5 ) , educato da precettori francesi nell'at­ mosfera cosmopolita della eone di Caterina II, aveva dimostrato nei primi anni di regno tendenze riformatrici, che si erano espresse tra l'altro in un rafforzamento dei poteri di controllo del Senato c nel forte impulso dato all'istruzione pubblica. Tuttavia i più ambiziosi propositi riformatori, maturati nel clima di riavvìcinamento alla Francia dopo gli accordi di Tilsit, tra cui la promulgazione di una carta costitu­ zionale, rimasero inattuati. Si ebbe invece a partire dal 1 809, con la conquista della Finlandia strappata alla Svezia, una ripresa della politica d'espansione. Nel 1 8 1 2 si conclusero le operazioni militari condotte a partire dal 1 806 contro la Turchia e contro la Persia con l'annes­ sione della Bessarabia, della Georgia e dell'Azerbaigian. tespansionismo russo, accanto alla ripresa dei contatti commerciali con l'Inghilterra che era stata decisa alla fine del 1 8 1 O, fu all'origine del raf!Ìeddamento di Napoleone nei confronti dì Ales..�andro I, che nel marzo 1 8 1 2 decise di firmare un trattato di alleanza con la Svezia. Di fronte al «tradimento» dello zar, che comprometteva tutta la strategia del «blocco continentale••, l'imperatOre francese si risolse ancora una volta alla guerra. Nella tarda primavera del 1 8 1 2 si concentrò tra l'Oder e la Vistola il più grande eser­ cito mai visto, forte di quasi 700.000 uomini reclutati io una ventina di Paesi diver­ si (solo circa metà erano francesi). Il 24 giugno Napoleone varcò il fiume Niemen alla testa delle sue truppe. I generali russi si ritirarono ordinatamente senza dare bat­ taglia, ma distruggendo o portando via i raccolti nelle loro retrovie, in modo da pri­ vare il nemico dei rifornimenti. Questa tattica sfuggente e l'i mmensità degli spazi da attraversare misero in crisi la strategia di Napoleone, che aveva sperato in una rapida vittoria come preludio a una trattativa con lo zar. Solo il 7 settembre, a Borodino, i russi affrontarono la . di Varsavla [arma ideologica, che i AUSTRIA francesi avevano impiega­ to con successo nei confronti delle monarchie La campagna di Russia. d' antico regime, si ritorceva ora contro di loro, col fuvore della propaganda inglese che prometteva ai popoli libertà e indipendenza. Richiedendo alla Francia e agli Stati vassalli un supremo sforzo, Napoleone riu­ sd nella primavera del 1 8 1 3 ad avere in armi un milione di uomini. La battaglia decisiva, che fu detta «la battaglia delle nazioni», si svolse presso Lipsia tra il 1 6 e il 1 9 ottobre 1 8 1 3. Napoleone non ricevette in tempo i rinforzi sperati e fu abbando­ nato all'ultimo momento dai soldati della Sassonia e del Wiirttemberg, che passaro­ no al nemico. Sconfitto, dovette ripiegare sul Reno, mentre tutta la Germania, la Svizzera e l'Olanda si sollevavano contro il suo dominio. [offensiva del generale inglese duca di Wellington e la guerriglia avevano intanto costretto i francesi a evacuare la Spagna, dove nel dicembre Ferdinando VII fu risrabilito sul trono. Perfino il re di Napoli, Gioacchino Murar, trattava con l'Au­ stria nella speranza di conservare il suo regno. Alla fine del 1 8 1 3 tre eserciti alleati varcarono il Reno, mentre gli inglesi pene­ travano in Francia da sud. Napoleone tentò di galvanizzare lo spirito nazionale, ma la risposta fu molto tiepida: la stanchezza per le guerre interminabili, la coscrizione, il peso delle tasse era ormai generale e guadagnava terreno il favore per una restaura­ zione dei Borbone. Il 20 marzo 1 8 14 Napoleone, dopo una strenua difesa, subì una decisiva sconfitta ad Arcis-sur-Aube e Parigi accolse il 3 1 marzo gli invasori, al cui seguito erano lo zar di Russia, il re di Prussia e l'imperatore d'Austria. Il 3 aprile 1 8 14 il Senato, manovrato da Talleyrand, proclamò la decadenza dell'imperatore. Il 6 aprile Napoleone, riciratosi a Fomainebleau, abdicò senza con­ dizioni, ma con l'impegno dei coalizzati a conferirgli la sovranità dell'isola d'Elba insieme a un lauto appannaggio. Lo stesso giorno i l Senato invitò Luigi XVIII, i l fra•



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.

·



358

Gli avvenimenti e i problemi

tello minore di Luigi XVI, a occupare il trono sulla base di una nuova Costituzione ispirata al modello inglese e al principio della sovranità popolare. Il re, tuttavia, con­ trappose a questo il principio della legittimità monarchica e promulgò il 4 giugno una diversa Coscltuzione, presentata come una «graziosa concessione». I confini del­ la Francia erano stati riportati, con un trattato firmato il 30 maggio, alla situazione del 1 789, con l'aggiunta di Avignone e della Savoia. Per il resto, il nuovo assetto del­ l'Europa era rinviato a un congresso internazionale da tenersi a Vìenna. Si erano decise, nel frattempo, anche le sorti del napoleonico Regno d'Italia. Il 1 6 aprile, appresa l'abdicazione di Napoleone, il viceré Eugenio firmò con l'Austria un armistizio che lo Lasciava padrone della Lombardia e del Veneto fìno all'Adige, i n attesa che le potenze fissassero il destino del regno. Ma l e sue speranze di ereditare la corona italica furono vanifìcare da una sommossa popolare esplosa co ntro il suo

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PRINCIPALI

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PRINCIPALI

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la Prussia e la Spagna

Olanda, Spagna,

rAia (16-5-1 795)

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con l'Olanda

( 18-10-1797) con l'Austria II coalizione

1799-I801

Inghilterra,

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con l'Ausrria

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Battaglia di Marengo

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(14-6- 1800)

con l'Inghilterra

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IIl coalizione

1 80 5

Inghilterra,

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IV coalizione

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l Ausrrìa, Russia,

(26- 1 2- 1 805)

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: con l'Austria

1806-1807 Inghilterra, , Prussia, Russia

V coalizione VI coalizione

: 1 809

Inghilterra, Ausuia

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v1I coalizione

Svezia

1815

Battaglia di Lipsia

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con gli alleati

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Inghilterra,

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(18-6- 1 8 1 5)

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Parigi (30-5-1 8 1 4)

2a pace dì Parigi (20-1 1 - 1 8 1 5)

L,z Francia e l'Europa neltetà napoleonica

359

governo a Milano, dove il ministro delle Finanze Giuseppe Prina, detestato per le sue esazioni, venne linciato dalla folla (20 aprile). Eugenio, sfiduciato, decise allora di abbandonare l'Italia: il 26 aprile il maresciallo Annibale Sommariva prese possesso di Milano in nome dell'imperatore d'Austria. Nel frattempo anche il papa Pio VII, il re di Sardegna Vittorio Emanuele I e il granduca di Toscana Ferdinando III riprendevano possesso dei loro Stati. Incerta rimaneva la sorte del Regno di Napoli, ma sempre più chiara si delineava la volontà delle grandi potenze di procedere anche qui alla restaurazione degli antichi sovrani. Invano nel Mezzogiorno, in Lombardia c altrove si agitavano le società segrete (di cui parleremo ancora: cfr. cap. 28, par. 4), in larga parte composte da militari. Lultimo atto del dramma si consumò nel l 8 1 5, quando già i ministri delle gran­ di potenze, riuniti a Vienna dal novembre precedente, stavano decidendo i destini dell'Europa. In Francia il sollievo per il ritorno della pace aveva rapidamente lasciato il posto a un diflùso malcontento, a causa della preferenza data negli impieghi e nei gra­ di militari ai nobili c al filoborbonici, della disoccupazione provocata fra gli operai dall'inondazione delle merci inglesi, dei timori di una restaurazione dei diritti feudali e di una rivendicazione da parte degli emigrati dei beni alienati durante la Rivoluzione. Informato di tutto questo, Napoleone decise di tentare di nuovo l'avventura. Abbandonata l'isola d'Elba con pochi seguaci, sbarcò nei pressi di Cannes. La popo­ lazione lo accolse entusiasticamente e un esercito inviato per arrestarlo passò dalla sua pane. Entrato a Parigi il 20 marzo, Napoleone era ben consapevole di dover affron­ tare le forze unite dell'Europa: il 25 marzo si era già riformata una coalizione anti­ francese (la settima della serie) comprendente tutti i suoi vecchi nemici. n grosso del­ le forze alleate, 90.000 uomini, si concentrò nel Belgio. Napoleone, alla testa di 125.000 soldati, sferrò il suo attacco prima che arrivassero i rinforzi austriaci e russi, ma a Waterloo, il 1 8 giugno 1 8 1 5, non riuscì a impedire la congiunzione tra inglesi e prussiani e subì una rovinosa disfatta. Ritornato a Parigi, egli abdicò una seconda volta il 22 giugno. L8 luglio, esattamente cento giorni dopo l'effimera resurrezione dell'Impero, Luigi XVIII rientrò definitivamente nella capitale francese. Consegnatosi agli i nglesi, l'ex imperatore fu deportato questa volta in un'isola sperduta dell'Atlantico, Sant'Elena, dove scriverà le proprie memorie c morirà in solitudine il 5 maggio 1 82 1 . Una ripetizione in tono minore dell'ultima avventura napoleonica fu la vicenda che vide protagonista in Italia Gioacchino Murar. Nel timore di essere spodestato dalle grandi potenze, il 1 5 marzo 1 8 1 5 egli dichiarò improvvisamente guerra all'Au­ stria, esortando gli italiani a unirsi sotto le s ue bandiere per conquistare l'indipenden­ za nazionale. Lappello cadde nel vuoto, e a nulla valse la tardiva concessione ai napo­ letani di una Costituzione liberale, il 1 2 maggio. Pochi giorni dopo i generali dell'esercito napoletano, sconfitto dagli austriaci a Tolentino, firmavano la conven­ zione di Casa Lanza, che sanciva il ritorno sul trono di Ferdinando N di Borbone. Rifugiatosi in Corsica, Murar tentò uno sbarco in Calabria nell'ottobre successivo, ma venne immediatamente catturato dal borbonici e fucilato.

360

Gli avvenimenti e i problemi

ll Codice Napoleone

Fin dal XVII e XVIII secolo la pluralità delle fonti del diritto (legislazione regia, consuetudini locali, diritto comune ossia diritto romano, diritto canonico) e l'ec­ cessiva libertà lasciata ai giudici in sede di interpretazione e applicazione delle nor­ me giuridiche erano state avvertite come punti deboli nelle costruzioni statali e come ostacoli a una razionale organizzazione della vita sociale. Consolidazioni del diritto, parziali o totali, si erano avute in Francia con le celebri ordinanze dì Luigi XIV, nello Stato sabaudo con le Costituzioni del 1 723, del 1729 e del 1770, nel Ducato di Modena con il cosiddetto «Codice estense» del 1 77 1 . Si dà il nome di comolidazione a una raccolta di leggi già esistenti, che miri ad assicurarne la coe­ renza c la sistematicità, ma senza una pretesa di esaustività. Un Codice in senso proprio è invece un complesso organico di norme giuridiche che si impone come fonte unica ed esclusiva del diritto, non integrabile col ricorso ad altri sistemi. I primi Codici moderni in questo senso furono il Codice penale austriaco del 1 787 e il Codice civile prussiano del 1794. Ma senza paragone maggiore è stata l'in­ fluenza sulle legislazioni contemporanee dei Codici napoleonici, e in particolare del Codice civile. Limpresa, invano tentata a più riprese dalle assemblee rivoluzionarie, fu condotta a termine in poco più di tre anni grazie alla ferma volontà del primo console e all'alto livello dei giuristi chiamati a parteciparvi. Il testo fu preparato da una spe­ ciale commissione insediata il 1 4 agosto 1 800, sottoposto alle osservazioni dei tri­ bunali di Cassazione c dì Appello, discusso nel corso di oltre cento sedute (spesso alla presenza dello stesso Bonaparte) dal Consiglio dì Stato, approvato dal Corpo legislativo e infine promulgato il 2 1 marzo 1 804. Il Codice civile dei francesi, ribattezzato nel 1 807 «Codice Napoleone», consta di 228 1 articoli cd è suddiviso in tte libri: Delle persone; Dei beni e delle differenti modificazionì della proprietà; Dei differenti modi coi quali sì acquista la proprietà.

Dal punto dì vista tecnico-giuridico, le formulazioni del Codice realizzavano una felice sintesi tra il diritto romano e il diritto consuetudinario vigente in molte par­ ti della Francia. Più in generale, come tutta l'opera politica e amministrativa di Napoleone, esse rappresentavano un compromesso tra i principi gerarchici e auto­ ritari derivati dalla tradizione dell'antico regime e i valori affermatisi nell' erà dei Lumi e durante la Rivoluzione francese: laicità dello Stato, eguaglianza di tutti i cittadini dì fronte alla legge, libertà di coscienza, libertà di lavoro e di intrapresa, carattere sacro e inviolabile della proprietà e dei contratti. In nessun campo la commistione tra vecchio e nuovo è così evidente come nelle parti del Codice che riguardano il diritto di famiglia, cioè i rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli, l'eredità e le successioni. Da un lato erano affermati senza incertezze il carattere civile del matrimonio e la possibilità del divorzio (sia pure in casi determinati), dall'altro molte norme sancivano l'autorità assoluta del padre dì famiglia e l'inferiorità giuridica della donna, incapace di stare in giudizio e di

La Francirl

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!'Europrl nell 'età ntlpoleonica

361

compiere qualsiasi atto importante senza l'autorizzazione del marito. Quest'ulti­ mo era considerato amministratore unico dei beni patrimoniali conferiti ai coniu­ gi, a meno che la moglie richiedesse con atto giudiziale la separazione dei beni. Erano tassativamente vietati i fedecommessi (cioè l'obbligo fatto all'erede di tra­ smettere a sua volta il patrimonio a persona designata dal testatore) e l'articolo 745 stabiliva la divisione in parti uguali dell'eredità tra tutti i figli, maschi e fem­ mine; ma l'articolo 9 1 3 consentiva al genitore di sottrarre dall'asse ereditario, per donazione tra vivi o disposizione testamentaria, fìno alla metà dei beni di sua pro­ prietà. Totale era la subordinazione ai genitori dei figli fìno alla maggiore età, sta­ bilita a ventuno anni, e il consenso dei primi era indispensabile per contrarre matrimonio fìno ai venticinque anni compiuti per i maschi. Il Codice civile francese dovette la sua fortuna alla chiarezza e al vigore dell'enun­ ciato oltreché alla sua aderenza ai caratteri della società uscita dalla Rivoluzione. Esso fu applicato in tutti i Paesi soggetti o vassalli dell'Impero, e anche dopo la sua caduta fu mantenuto in vigore in Francia e rimase un modello per l'elabora­ zione dei Codici di molti Paesi europei ed extraeuropei; il primo Codice dell'Italia unita, promulgato nel 1 865, ne riprendeva l'impianto generale e ne riproduceva letteralmente molti articoli, e tracce importanti ne conserva anche il Codice del 1 942, tuttora vigente. Non si sbagliava dunque Napoleone quando scriveva, nell'esilio di Sant'Elena: «La mia vera gloria non consiste nell'aver vinto quaranta battaglie. [ . . . ] Ciò che nulla potrà cancellare, ciò che vivrà in . eterno è il mio Codice civile».

L età della Restaurazione

1

Il congresso di Vienna e la riorganizzazione dell'Europa

Le potenze che avevano sconfitto Napoleone e abbattuto il suo impero si trovaro­ no di fronte al gravoso compito di costruire sulle macerie un nuovo ordine europeo, che scoraggiasse nuovi tentativi egemonici e nuove spinte rivoluzionarie e garantisse l'equi­ librio e la conservazione. I governi della Russia, dell'Austria, della Prussia e dell'Inghil­ terra ebbero la saggezza di associare a questa impresa la Francia, considerata essa stessa vittima dell'avventura napoleonica. Tale disegno fu favorito dalla consumata abilità diplomatica del suo rappresentante nei negoziati di pace, quello stesso Talleyrand che era stato uno dei protagonisti della Rivoluzione e poi negli anni del consolato il mini­ stro degli esteri di Napoleone, e che seppe trovare un' ottima intesa con il suo omologo austriaco, il principe di Metternich, e con quello inglese, visconte Castlereagh. Le deliberazioni del congresso di Vienna, che si aprì tra grandi festeggiamenti nel novembre 1 8 1 4 e proseguì i suoi lavori anche durante i Cento giorni della ripre­ sa del potere da parre di Napoleone, per concludersi a ridosso della battaglia di Waterloo (giugno 1 8 1 5) furono in pratica il risultato degli accordi tra queste cinque potenze, le stesse che avevano dominato la scena politica europea nel Settecento. Il principio generale di legittimità, cioè del ritorno alla situazione anteriore alla Rivoluzione francese, ebbe un'applicazione soltanto parziale e rispettosa degli interes­ si delle nazioni dominanti. La Francia venne riconsegnata alla monarchia borbonica e riportata alle frontiere del 1 792, il che le consentì di conservare Avignone e parre della Savoia, e gli Stati posti ai suoi confini orientali furono opportunamente raffor­ zati in modo da costituire una barriera contro eventuali tendenze espansionistiche: il Belgio venne unito all'Olanda, eretta in Regno dei Paesi Bassi sotto la dinastia degli Orange; al Regno di Sardegna, ricostituito per Vittorio Emanuele I di Savoia, venne annesso il territorio dell'antica Repubblica di Genova. La difesa della riva sinistra del Reno restava affidata alla Prussia, cui toccò la parte maggiore del napoleonico Regno di Vestfalia, e alla Baviera, anch' essa ingrandita col Palatinato. Non venne resuscitato il Sacro Romano Impero, né si tornò all'antico frazionameflto dell'area germanica: in



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Confini della Confederazione germanica



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>) fun­ zionanti sulla base della divisione dei compiti e della distribuzione egualitaria del prodotto; altri ancora, principalmente Pierre-Joseph Proudhon ( 1 809- 1 865) , autore del celebre scritto Che cosa è la proprietà? ( 1 840) , puntavano sulla funzione del cre­ dito e sulla libera associazione tra produttori e lavoratori per eliminare le sovrastrut­ ture rappresentate dai governi e incentivare la diffusione della piccola proprietà. 4

La questione nazionale e i primi moti per la libertà e l'indipendenza

Fin dal Medioevo era diffusa l'idea che esistessero pregi e difetti, caratteri e umori propri di ciascun popolo, di ciascuna : lo spagnolo austero e geloso, il francese leggero e volubile, il tedesco rozzo e ubriacone, ecc. E molto aveva signi­ ficato, per la formazione di un'identità nazionale, l'unità politica precocemente rag­ giunta: come si è accennato (cap. 4, par. 1), in Paesi come la Francia e l'Inghilterra lo Stato precede la nazione e in una certa misura contribuisce a crearla, con la sua lenta opera di uniformazione linguistica, giuridica e amministrativa. Ma anche in aree caratterizzate da un persistente frazionamento politico, in primo luogo la Germania e l'Italia, si può dire che fin dal tardo Medioevo esistesse una nazione cul­ turale, percepita come unitaria dai ceti intellettuali molto prima che assumesse con­ cretezza l'idea di uno Stato nazionale tedesco o italiano.

370

Gli avvenimenti e i problemi

Perché ciò avvenisse, perché lo sbocco unitario apparisse a gruppi via via più ampi della popolazione uno scopo per cui valesse la pena lottare e addirittura rischia­ re la vira, era necessario che agissero in profondità quelle forze storiche che abbiamo cercato di evocare in questo e nei precedenti capitoli: l'idea della nazione come detentrice esclusiva della sovranità che fu il porrato delle rivoluzioni americana e francese, l'aspirazione a una libertà garantita dalla partecipazione dei cittadini al potere legislativo; ma anche la reazione all'egemonia imposta dalla Grande Nazione e dal regime napoleonìco, e insieme la valorìzzazìone delle tradizioni storiche dei vari popoli, la ricerca dì un'anima nazionale attraverso lo studio della lingua e dei monu­ menti letterari che furono tra le tendenze principali del movimento romantico; e infine la rottura dell'isolamento delle piccole comunità locali, la molriplicazione dei contatti tra gli individui e i gruppi determinate dal processo di modernizzazione eco­ nomica e amministrativa. La complessità del concetto di nazione che si andò affer­ mando nei primi decenni dell'Ottocento, e che risulta dalla confluenza di compo­ nenti etnico-naturalisrìche, linguistico-culturali, storico-religiose, è ben rappresenta­ ta dai celebri versi di Alessandro Manwni, riferiti all'Italia, nell'ode Marzo 1821: «Una d'arme, di lingua, d'altare Di memoria, di sangue, di cor». Vedremo nel capitolo 28 come l'idea nazionale operasse nell'Italia della Restau­ razione, particolarmente attraverso il pensiero e l'azione di Giuseppe Mazzini. Qui dobbiamo esaminare le sue prime manifestazioni in altri contesti, le prime scosse all'ordine instaurato dal congresso di Vienna e tutelato dalla Santa Alleanza e dalla Quadruplice Alleanza. Uno dei primi segnali venne dalla Spagna, dove il re Ferdinando VII ( 1 808, 1 8 14- 1 833) si era affrettato non solo, come si è detto, ad abrogare la Costituzione di Cadìce del 1 8 1 2 e a sciogliere le Cortes, ma anche a ripristinare l'Inquisizione, il potere dell'ordine dei gesuiti (resuscitato da papa Pio VII nel 1 8 1 4) e gran parte dei privilegi della nobiltà e del clero. Il malcontento suscitato da tale comportamento nei ranghi dell'esercito e negli strati della borghesia più avanzata si tradusse il l o gennaio 1 820 nella ribellione di alcuni reparti militari di stanza a Cadice, da dove avrebbero dovuto imbarcarsi per andare a reprimere l'insurrezione delle colonie americane. La rapida diffusione del movimento a tutto il Paese costrinse il sovrano nel marzo 1 820 a ristabilire la Costituzione del 1 8 1 2 e a indire le elezioni per l'assemblea delle Cortes. I:esperimento liberale fu però di breve durata, giacché le forze fedeli all'assolutismo organizzarono una controrivoluzione, spingendo la Spagna sull'orlo dì una guerra civile. Le potenze della Santa Alleanza, riunite a congresso a Verona nell'autunno del 1 822, autorizzarono un intervento militare, alla cui esecuzione si era candidata la Francia di Luigi XVIII. Nell'aprile del 1 823 un forte esercito francese varcò i Pirenei e in pochi mesi spezzò la resistenza dei liberali spagnoli. La vita politica in Spagna sotto Ferdinando VII rimase asfittica e agitata da con­ trasti continui tra liberali e carlisti (nome iberico dei fautori della reazione), che alla morte del re portarono a una vera e propria guerra civile (prima guerra carlìsta, 1 8331840). I:equivalente portoghese del carlismo fu il miguelismo, così chiamato dal nome

L'età della Restaurazione

371

di don Miguel, figlio secondogenito del re Giovanni VI ( 1 8 1 6-1 826). Il regime costi­ tuzionale instaurato da quest'ultimo nel 1 8 2 1 fu rovesciato da don Miguel, che si impadronì del governo tra il 1 828 al 1 834, approfittando del fatto che don Pedro, il fratello maggiore, aveva deciso di rimanere in Brasile. Nel 1 834 don Pedro impose la promulgazione di una nuova carta costituzionale, che però non venne accettata dai miguelisti e diede luogo a un periodo confuso di lotte protrattosi fino al 1 8 5 1 . Un'altra area di tensioni e potenziali conflitti erano i Balcani, che la decadenza dell'Impero ottomano, ancora immenso sulla carta ma indebolito dalle ambizioni autonomistiche dei vari Stati che ne facevano parte e dai vistosi fenomeni di corruzio­ ne che contrassegnavano il suo apparato amministrativo, apriva alle velleità espansio­ nistiche della monarchia austriaca e della Russia, autoproclamatasi protettrice dei Paesi di religione ortodossa. Già la Serbia e il Montenegro avevano ottenuto tra Sette e Ottocento un'indipendenza di fatto da Istanbul e si governavano con dinastie proprie. Ma una risonanza molto maggiore ebbe nell'opinione pubblica dell'Europa colta e liberale, per le associazioni con la storia antica, la lotta per la libertà della Grecia. I.:insurrezione contro il dominio turco divampò in tutta la Grecia continentale nel 1 82 1 , e nel gennaio 1 822 un'assemblea panellenica riunita a Epidauro proclamò l'in­ dipendenza nazionale. Le forze ottomane intervennero con successo per domare la rivolta, grazie soprattutto all'invio di un corpo di spedizione da parte del pascià d'Egit­ to Mehmet Alì (1 825); ma gli atti di gratuita ferocia cui esse si abbandonarono (nell'aprile 1 822 era stata massacrata quasi per intero la popolazione dell'isola di Chio) suscitarono una vasta indignazione in Europa, da dove partirono molti volontari per appoggiare la resistenza ellenica: il poeta inglese George Byron e il patriota piemonte­ se Santorre di Santarosa, tra gli altri, lasciarono la vita in Grecia. Nel 1 827 la Francia e l'Inghilterra, rinunciando alla propria tradizionale politica di difesa dell'integrità dell'Impero ottomano, si accordarono con la Russia per un intervento armato: nell'ot­ tobre di quell'anno le loro forze navali distrussero nella rada di Navarino la flotta turco­ egiziana, e l'anno seguente un esercito russo penetrò in territorio otto mano, mentre i francesi sbarcavano nel Peloponneso. Nel 1 829 la pace di Adrianopoli chiuse le ostili­ tà sancendo l'indipendenza della Grecia, che fu dichiarata solennemente nel febbraio 1 830, benché le regioni settentrionali e molte isole restassero sotto il dominio ottoma­ no. La Repubblica, proclamata dai patrioti greci nel 1 827, fu di breve durata, giacché nel 1 832, approfittando delle loro discordie interne, le tre potenze vincitrici imposero l'elezione di un monarca nella persona del principe bavarese Ottone di Wittelsbach. 5

Lemancipazione delle colonie latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti

I.:Arnerica Latina poteva contare all'inizio del XIX secolo venti milioni di abitan­ ti, dei quali tre milioni circa erano creoli, cioè bianchi di origine spagnola nati nel Nuovo Mondo, due milioni erano schiavi neri, quattro-cinque milioni i meticci di san-

Gli avvenimenti e i problemi

372

gue misto, e oltre dieci milioni gli indios, immer­ � ..• :· Britannica si in condizioni di spaven­ �et1ellin · Olandese Venez Uela tosa miseria. Linvasione �ogota ? �· L Francese della penisola iberica da 8( ' _, Territorio conteso Colombl'a tra Francia e rasile parte delle truppe napo­ �1 � 311 leoniche nel 1 808 aveva m $ ' ml6 . . : j ._:., Be.l e' . ' Rip ��-"!"�-· �o Luis avuto come conseguenza, j183�·.:; .-' !r NegrÒ ." . . .. Para "_ '''-''-"'· è.._ti,J ,_� Ceara nell'America spagnola, la Maran.... o Rio / Impero formazione di Ginnte che, Grande Piaui de� · � col pretesto di mantenersi B rasi , e Pernambuco ...-r · ; � l fedeli alla deposta dinastia Bahia Limati · c u.zco Mato Grosso Goias borbonica, si svincolaro­ • Piscoe Salvador ArequJpa . ol" · � no di fatto da ogni dipen­ P � denza dalla madrepatria. Ari ca • / Minas Gerais • Lautonomia rispondeva Potosi Sao Pau/o agli interessi delle aristo­ ragu Antofa�sta 1' "-..... 181 1 S� n Rio de Janeiro crazie creole, fino allora Paolo Tuc�ma n A�n�--- ../ escluse dalle maggiori Oceano Oceano Argentina Atlantico Pacifico cariche pubbliche a bene­ • Porto ficio dei funzionari venuti . Alegre CordÒ ba Santi a .� ideo dalla Spagna o dal Porro­ Mendoza Cile Buenos gallo; ma essa favorì anche -� Aire � 1 82 lo scoppio di moti insur­ rezionali a sfondo più I1 828I Anno della indipendenza radicale e popolare, come Repubblica della avvenne nel 1 8 1 O a Cara­ Grande Colombia Patagonia 1818-30 cas, nel Messico e nel Rio de la Placa, e il sorgere di Isole Falkland conflitti per il controllo (G. B.) dei territori tra le varie province dei quattro vice­ reami (cfr. cap. 17, par. 4), !.:America Latina verso il 1 840. che una dopo l'altra pro­ clamarono la propria indipendenza. Nella confusa situazione che si venne così a creare furono determinanti, soprattutto dopo il 1 8 14, la ridotta capacità di resistenza delle for­ ze lealiste, a causa dei problemi interni della Spagna, e le qualità militari e organizzative di alcnni grandi personaggi carismatici, principalmente l'argentino José de San Martin (1778-1 850) e il venezuelano Sim6n Bolivar (1783-1 830), detto il libertador, ai cui sforzi congiunti si dovettero tra il 1 8 1 8 e il 1 824 i vittoriosi attacchi alle ultime rocche­ forti spagnole nel Cile e nel Perù (battaglia di Ayacucho, dicembre 1 824). Il programma di Bolivar prevedeva l'unione delle ex colonie spagnole in una for­ te organizzazione federale sul modello statunitense, preannunciata dalla Grande

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L'età della Restaurazione

373

Colombia di cui egli assunse la presidenza nel 1 8 1 9; ma i particolarismi regionali, i conflitti di natura etnica e sociale, la pressione degli interessi inglesi e nordamericani determinarono il fallimento di questo disegno al Congresso continentale da lui con­ vocato a Panama nel 1 826. Intorno al 1830-1 840, quando ormai il dominio della Spagna si era ridotto alle isole di Cuba e Portorico e la presenza europea alle tre Guiane (olandese, francese e britannica), i quattro ex vicereami si erano ormai definitivamen­ te frazionati in una dozzina di Stati, che si reggevano in parte a repubbliche (ma con governi fortemente autoritari), in parte con ordinamenti monarchici. I.:arretratezza della vita economica, le enormi distanze sociali tra una minoranza di grandi proprie­ tari e una moltitudine di contadini poveri e analfàbeti, il peso degli apparati militari e la soggezione agli interessi dei Paesi capitalistici avanzati dovevano rendere la vita di queste formazioni politiche, nella maggior parte dei casi, instabile e travagliata. In parte diversa fu la vicenda del Brasile, la cui separazione dal Portogallo fu frutto dell'iniziativa stessa della dinastia di Braganza, rifugiatasi oltreoceano nel 1807. Nel 1 8 1 5 Giovanni VI proclamò il Brasile regno autonomo, e nel 1821 lasciò la reg­ genza al figlio primogenito don Pedro, che l'anno seguente si autoproclamò impera­ tore del Brasile col titolo di Pietro L La Costituzione fortemente autoritaria da lui promulgata nel 1 824, i suoi persistenti legami con la politica portoghese e l'insucces­ so della guerra sostenuta con l'Argentina nel 1 825- 1 828 per impedire la secessione dell'Uruguay dal Brasile resero assai tesi i suoi rapporti con l'aristocrazia creola, indu­ cendolo ad abdicare nel 18 3 1 a favore del figlio Pietro II ( 1 83 1 - 1 889), ancora bam­ bino, il cui lungo regno, iniziato di fatto solo nel 1 847 dopo un periodo di reggenza e di lotte interne, assicurerà al Paese un lungo periodo di stabilità e di progresso. All'evoluzione del continente latino-americano guardavano con grande atten­ zione non solo la Gran Bretagna, interessata a esportare la sua produzione e i suoi capitali, ma anche gli Stati Uniti, in piena espansione territoriale, demografica ed economica. Grazie all'ingrossarsi del flusso migratorio dall'Europa (in particolare dalle isole britanniche, dalla Germania e dalla Scandinavia) la popolazione statuni­ tense quadruplicò in quaram'anni, passando dai sette milioni abbondami del 1 8 1 O ai 3 1 milioni del 1850 (di cui quattro milioni di schiavi neri) . Proseguì parallelamen­ te l'espansione verso ovest, che portò alla creazione di nuovi Stati che andarono ad aggiungersi a quelli già esistenti: tra il 1 8 1 5 e il 18 50 furono una dozzina i nuovi Stati ammessi a pieno titolo nell'unione, dal Michigan e dal Wisconsin nella regione dei Grandi Laghi alla Florida (acquistata dalla Spagna nel 1822) e alla Louisiana lungo le coste caraibiche. Non tutti gli ingrandimenti territoriali avvennero con mezzi paci­ fici: l'annessione unilaterale del Texas ( 1 845) portò a una guerra contro il Messico (1 846-1 848) che fruttò l'acquisto del Nuovo Messico, con l'Arizona e il Colorado, e della California. La colonizzazione di questi territori, da cui furono cacciate le popolazioni indie (tra l'altro con lo sterminio delle mandrie di bisonti da cui dipen­ deva la loro sussistenza) acuì i contrasti tra il sud agricolo e schiavista, interessato ad acquisire nuove terre per estendere le piantagioni di tabacco e di corone, e il centro­ nord dove si andava sviluppando un'economia mercantile e industriale, che faceva

374

Gli avvenimenti e i problemi

CANADA

entro il 1803

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lo sviluppo de# Stati Uniti

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entro il 1845 entro i1 1860 entro il 1 890 Territori non istituiti in Stetl

�1783-1890).

leva anche sullo spirito inventivo degli americani: tra gli altri ritrovati ricordiamo il battello a vapore, già menzionato, il telegrafo elettrico dovuto a Samuel Morse ( 1 844), la macchina tipografica a vapore ( 1 846). La rete ferroviaria superò ben pre­ sto per estensione quella inglese. Nella vita pubblica l'egemonia del partito repubblicano continuò con il dupli­ ce mandato presidenziale di James Monroe ( 1 8 17 -1 825), passato alla storia soprat­ tutto per il famoso manifesto del 2 dicembre 1 820 in cui si rivendicava il preminen­ te interesse statunitense alle sorti della parte centro-meridionale del nuovo continen­ te, secondo la formula «l'America agli Americani». A Monroe succedette nel 1 825 John Quincy Adams, portavoce degli interessi imprenditoriali e finanziari del nord­ est. Ma il peso crescente nella popolazione americana dei piccoli coltivatori, dei ceti operai e artigianali e dei protagonisti della colonizzazione dell'ovest portò alla presi­ denza negli otto anni successivi ( 1 829-1837) Andrew Jackson, uno dei padri del par­ tito democratico che da allora in poi avrebbe conteso la supremazia al partito repub­ blicano. Tra le misure attuate dai governi democratici merita ricordare la diffusione dell'istruzione elementare gratuita e obbligatoria, l'allargamento del suffragio, il rico­ noscimento dei diritti sindacali e altri provvedimenti a favore dei lavoratori. Superata la difficile prova della guerra civile tra Nord e Sud (guerra di Secessione, 186 1-1 865), gli Stati Uniti avrebbero ben presto affermato il proprio diritto a essere considerati una delle maggiori potenze economiche e politiche del mondo.

L'età della Restaurazione

375

Nazioni e nazionalismi Benché del termine «nazione» siano documentabili usi sin dall'antichità e nono­ stante nel Medioevo la parola fungesse da principio di classificazione all'interno delle università (nelle quali esistevano raggruppamenti per >, capace di annullare la distanza tra le classi, rimaneva alquanto generico e in particolare non teneva abbastanza conto dei problemi specifici dei contadini, che costituivano la par­ te di gran lunga preponderante del popolo italiano. Ma nel pensiero mazziniano > lo ha fatto assurgere alla dignità di oggetto storiografìco. Più recentemente l'attenzione si è così spostata, complice l'apertura interdiscipli­ nare e internazionale dei nuovi orizzonti di studio, su quella che è stata definita la cultura «profonda» dell'Italia dell'Ottocento, esaminata nella sua relazione con le lotte per l'indipendenza nazionale. In quest'ottica., l'analisi degli aspri conflitti ideologici tra i . protagonisti della politica ha lasciato il posto ad un'indagine pun­ tuale di quello che si potrebbe definire il patrimonio condiviso degli attori, ovve­ ro ciò su cui essi stessi, a prescindere dalle più o meno marcate divergenze di opi­ nione, si ritiene non potessero non concordare, manifestando nei fatti - in manie­ ra più o meno cosciente - un consenso di fondo «radicale», cioè una sorta di sen­ so comune indiscusso in grado di agire a livello prelogico (e prepolitico) e di deter­ minare l'orizzonte complessivo entro il quale si muovevano indistintamente tutti i protagonisti del Risorgimento. È stato soprattutto un importante volume di Alberto Mario Banci (La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onort all'origine dell1taiia unita, Einaudi, Torino, 2000) ad aprire definitivamente questo nuovo orizwnte analitico, poi affermato­ si con la «consacrazione>> rappresentata dal recente volume degli Annali della Sto­ ria d'italia Einaudi dedicato per l'appunto al Risorgimento. Nei suoi studi Band si pone il problema dell' origine del Risorgimento e, pur sen­ za voler accantonare le risposte «classiche» legate ai molteplici fattori interni ed esterni che a suo giudizio resero possibile il processo di unificazione nazionale, si interroga su un elemento determinante per il successo del movimento indipen­ dentista, ovvero l'entusiasmo �> ricavabile dalla letturà dei testi suddetti. l:emergere di una serie di «configurazioni ricorrenti» l'oppressione nazionale, la divisione interna degli italiani, la minaccia all'onore della nazione, i tentativi di riscatto organizzate in strutture narrative collaudate è ciò che permette al discorso della nazione di sfruttare un patrimonio discorsivo consolidato perché appartenente ad altre costellazioni semantiche da tempo fami­ liari al lettore (esemplare, in tal senso, il martirologio risorgimentale) . rimpostazione di Bami è dunque in generale maggiormente attenta agli aspetti «consensualh> e tende a sottolineare un elemento fondamentale dello Stato-nazio­ ne erede della Rivoluzione francese, ovvero il fatto che la sovranità appartiene al «popolm>, identificato sempre più spesso nel corso dell'Ottocento con il termine «nazione>>. Inoltre, a differenza della storiografia impegnata a enumerare le «man­ canze>> , la Hnea storiografica promossa da Banti e dalla sua scuola ha posto l'accen­ to sul consenso crescente intorno al movimento risorgimentale tra il 1796 e il 1861, il quale grazie alla moltiplicazione degli strumenti atti a formare l'opinione pubblica si sarebbe rivelato in grado di trasformarsi - rispetto ai parametri dell'epoca - in un movimento «di massa>> e di coinvolgere soggetti a lungo esclu­ si dalla cittadinanza e dalla partecipazione politica, in particolare i ceti popolari urbani e le donne (nonostante un discorso della nazione che, come è messo in evidenza in questi studi, era marcaramente wirilista») . Pur condividendo molti degli assumi di fondo e delle linee guida di questa sto­ riografia - in particolare la volontà di slegare il Risorgimento da una visione > - un · imporrante volume curato da Mario Isnenghi ed Eva Cecchinato (Fare l1talia: unità e disunità nel Rìsorgimento, Utet, Torino, 2008} ha invece tentato di fare una sorta di passo indietro, valorizzando il conflitto rispetto al > e pubblicati dal Mulino di Bologna, rispettivamente 1 979, 1 978 e 1 9 8 1 ; Storia degli antichi stati italiani a cura di G. Greco e M. Rosa, Laterza, Roma-Bari, 1 996; Storia d'italia. 1: Le premesse dell'unità, dalla fine del Settecento al 1861 , a cura di G. Sabbatucci e V. Vidotto, Laterza, Roma-Bari, 1 994. Non sfigurano accanto a queste imprese collettive le fatiche di singoli studiosi, spesso stranieri o residenti all'estero: segnaliamo tra le altre V. REINHARDT, Il Rinascimento in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004; G. HANLON, Storia dell1talia moderna, 1550-1800, Il Mulino, Bologna, 2002; D. SELLA, L'italia del Seicento, Laterza, Roma-Bari, 2000; D. CARPANETTO - G. RicuPERATI, L'italia del Settecento, Laterza, Roma-Bari, 1 986; G. CANDELORO, Storia dell1talia moderna, voli. I, II e III, Feltrinelli, Milano, 1 956- 1 960; G. PÉcouT, Il lungo Risorgimento. La nascita dell1talia contemporanea (17701922), Bruno Mondadori, Milano, 1 999; L. RIALL, Il Risorgimento. Storia e interpretazioni, Donzelli, Roma, 1 997; A.M. BANTI, Il Risorgimento italiano, Laterza, Roma-Bari, 2004. Un'utile introduzione al mondo delle corti e delle dinastie regnanti è A. SPAGNOLETTI, Le dinastie italiane nella prima età moderna, Il Mulino, Bologna, 2003. Di carattere più specialistico sono altre opere collettive o di sintesi, come le seguenti: L. DEL PANTA et al., La popolazione italiana dal Medioevo a oggi, Laterza, Roma-Bari, 1 998; L. DEL PANTA, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX) , Loescher, Torino, 1 980; Storia dell'agricoltura italiana, a cura di G. Pinto, C. Poni, U. Tucci, vol. II, Il Medioevo e l'età moderna, Polistampa, Firenze, 2002; P. MALANIMA, L'economia italiana: dalla crescita medievale alla crescita contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2002; A. GuENZI - P. MAssA - A. Mmou (a cura di), Corporazioni e gruppi projèssionali nell'italia moderna, FrancoAngeli, Milano, 1 999; C. DoNATI, L'idea di nobiltà in Italia, secoli XIV­ XVIII, Roma-Bari, Laterza, 1 988; A. BARTOLI LANGELI - X. TosCANI (a cura di), Istruzione, aljàbetismo, scrittura. Saggi di storia dell'aljàbetizzazione in Italia (secc. XV-XIX), FrancoAngeli, Milano, 1 99 1 ; M. RosA, Clero e società nell1talia moderna, Laterza, Roma-Bari, 1 992; G. DE RosA - T. GREGORY - A. VAUCHEZ, Storia dell1talia religiosa, II, L'età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1 994; O. NICCOLI, La vita religiosa nell1talia moderna (secoli XV-XVIII), Carocci, Roma, 1 998.

Indicazioni bibliografiche

407

Sezione Il - La lunga durata IL l . Demografia, economia, società

Una buona introduzione allo studio della popolazione è L. DEL PANn

-

R. RETIAROU,

Introduzione alla demografia storica, Laterza, Roma-Bari, 1 994. Per l'approfondimento della storia della popolazione e del suo rapporro con le risorse alimentari si può partire da M. LIVJ BAcCI, Storia minima

della popolazione del mondo, Il Mulino, Bologna, 1 998; IDEM, Popolazione e alimentazione. Saggio sulla storia demografica europea, Il Mulino, Bologna, 1 993; M. MoNTANARI, La fome e l'abbondd.nza. Storia dell'alimentazione in Europa, Larerza, Roma-Bari, 1 994. Sulle malattie, altro furrore condizionante

dello sviluppo demografico, J. Ro uFFI F. - ].C. SouRNIA, l!pidemie nella storia d'Europa, Editori Riuniri, Roma, 1 9 8 5 ; G. CosrviACINI, La medicina e la sua storia, Rizzoli, Milano, 1 989; W. NAPHY - A. SP!CER,

La peste in Europa, Il Mulino, Bologna, 2006.

Opere generali di sroria economica: Storia economica

e

sociale del mondo direrra da P. Léon, 3

voli., Late=, Roma-Bari, 1980- 1 9 8 1 ; Storia economica Cambridge, 7 voli. , Einaudi, Torino, 1 974 ss.;

Storia economica d'Europa diretra da C.M. Cipolla, 5 voli., UTET, Torino, 1974 ss.; l. WALLERSTEIN, Il sistema mondiale dell'economia moderna, 3 voli. , Il Mulino, Bologna, 1 983- 1 995 (per un'interpretazione

rnarxisra); V. CASTRONOVO (a cura di), 5'toria dell'economia mondiale, vol. I I, Dall'economia mondia le

alla crescita degli scambi, vol. III, La rivoluzione industriale, Roma-Bari, Larerz.a, 1 997 e 1 999; I DEM ,

Le rivoluzioni del capitalismo, Laterza, Roma-Bari, 2007. Sui condizionamenti geografici, le strutture

economiche e i rapporri di produzione norevoli opere d'insieme sono E.L. JoNES, Il miracolo europeo.

Ambiente, economia, geo-politica nella storia euro-asiatica, Il Mulino, Bologna, 1 983; R. CAMERON

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NEAL, Storia economica del mondo. Dalla preistoria ad oggi, Il Mulino, Bologna, 2002;

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La leva della ricchezza. Creatività tecnologica e progresso economico, Il Mulino, Bologna, 1 995; V. S>.m,

Storia dell'energia, I l Mulino, Bologna, 2000. Un classico di sempre utile lettura è F. B RAUDEL, Civiltà

materiale, economia e capitalismo, secoli XY-XVI/1, 3 voli., Einaudi, Totino, 1977- 1982. Tra le storie

economiche dell'Europa sono da segnalare: C.M. CIPOLLA, Storia economica dell'Europa preindustria&, Il

Mulino, Bologna, 1 997; P. MAI.ANII'>IA, Uomini, risorse, tecniche nell'economia europea dalXal XIX secolo, Bruno Mondadori, Milano, 2003.

Tra gli studi specificamente dedicati all'agticoltura tengono ancora il campo B. SLJCHER VAN

BATH, Storia agraria dell'Europa occidentale, Einaudi, Torino, 1972, e W. ABEL, Congiunture agrarie e

crisi agrarie, Einaudi, Torino, 1 976; un classico imramomabile è M. B wcH , l camtterì originali della

storia rurale ftancese, Einaudi, Torino, 1 973; per un'agile sintesi vd. D. GIUGG, Storia dell 'agricoltura occidentale, I l Mulino, Bologna, 1 994; una prospettiva nuova in M. AMBRosou, Scienziati, contadini

e proprietari. Botanica e agricoltura nell'Europa occidentale, 1350-1850, Einaudi, Torino, 1 992. Sulla

proroindustria è fondamenrale P. KluEDTE

H. ME DI CK

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Sct!LUMBOHM, L'indusrrU!Iizzazùme

prima dell'industrializzazione, Il Mulino, Bologna, 1994. Sui problemi della moneta, della finanza e del

credito P. VJLAR, Oro e moneta nella storia, 1450-1920, Laterza, Bari, 1 97 1 ; C H.P. KINDLEBERGER, Storia

dellafinanza nell'Europa occidentale, Cariplo-Laterza, J\.Iilano, 1 987. Per quamo riguarda l'evoluzione del pensiero economico, basteràqui il rinvio a due opere classiche:

].A. ScHUMPETER, St01ia dell'analisi economica, 3 voli., Boringhieti, Torino, 1 959-1 960, e K PruBRA.'>f, Storia delpensiero economico, vol. I: Nascita di una disciplina, 1200-1800, Einaudi, Torino, 1988.

Collegata alla storia demografica è la storia della famiglia, che ha conosciuto negli ultimi decenni

un'eccezionale fortuna, ran to da ispirare opere collettive in più volumi, come la Storia universale della

fomiglid diretta da A. Burguièrc, Ch. Klapisch-Zubcr, M. Ségalen, F. Zonabend, 2 voli., Mondadori,

Milano, 1 987-1988 (il II volume è dedicato all'età moderna e contemporanea) , e monumenrali monografic come E. SHORTER, Famiglia e civiltà, Rizzoli, Milano, 1 978,

c

L. STONE, Famiglia, sesso

e

matrimonio in

Inghilterra fta Cinque e Ottocento, Einaudi, Torino, 1983. Tì:a gli studi p iLI recenti W. USEY, La fomiglìa nella storia, Laterza, Roma-Bari, 1 9 9 1 ; M. BARBAGLI

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Indicazioni

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storia della vira privata, su cui disponiamo di una vasta opera collettiva in cinque volumi diretta da Ph. Arìès e G. Duby, Storia del/d vita privata, Laterza, Roma-Bari, 1987- 1 989. Un ricchissimo filone di studi è costituito dalla storia delle donne: anche qui sì può partire da un'opera ìn più volumi, Storia delle donne

in occidente, diretta da G. Duby e M. Perrot, di cui è da vedere in partic. il III volume, Dal RiiUlJcìmento

all'età moderna, a cura di N. Zemon Davìs e A. Farge, Laterza, Roma-Bari, 1 9 9 1 . Per un'informazione più

rapida cfr. O. HuFTON, Destinifemminili. Storia delle donne in Europa, 1500-1800, Mondadori, Milano, 1996; M. E. WrESNER,

Le donne nell'Europa moderna,

150().. 1 750, Einaudi, Torino, 2003.

Molti sono gli studi sulla vira quotidiana, la cosiddetta culrura materiale e i consumi: Due lavori

recenti di sintesi sono D. RocHE, Storia delle cose haMli. La nascita del comumo in Occidente, Editori

Riuniti, Roma, 1 999, e R. SARTI, Vìta di casa. Abitare, mangiare, vestire nell'Europa moderna, Laterza, Roma-Bari, 2006. A cavaliere tra storia eco nomica e storia sociale sono la storia delle campagne

e

delle

città. Per la prima, olrre ai testi di storia dell'agricoltura elencati sopra, si tenga presente W. RéisENER,

l contadini nella storia d'Europa, Laterza, Roma-Bari, 1 995. Per la seconda si rinvia soprattutto a P. M . HoHEMBERG

L.H. LEES, La città europea dd! medioevo a oggi, Laterza, Roma-Bari, 1987, e al grande

affresco di M. BEREN GO, L'Europa delle città. Il volto della società urbaM europea tra Medioevo ed età

moderna, Einaudi, Torino, 1999. Per la storia dei gruppi e delle classi sociali si può fure riferimento a G. HuPPERT, Storia sociale

dell'Europa nel/d prima età moderna, Il Mulino, Bologna, 1 989. Tra i numerosi studi sulla nobilrà e sui ceri borghesi si citano O. BRUNNER, Vita nobiliare e cultura europea, Il Mulino, Bologna, 1 972;

].

DEWALD,

La nobiltà europea in età moderna, Einaudi, Torino,

200 1 ; J. KocKA (a cura di) Borghesie

europee dell'Ottocento, Marsilio, Venezia, l 989. Altrettanto numerose le indagini sul mondo dei poveri

e dei devianti: oltre alle opere pionieristiche di M. FouCAULT, Storia dellafollia nell'età clmsica, Rizz.oli,

Milano, 1 976, e Sorvegliare e punire. Nascita del/d prigione, Einaudi, Torino, 1993, si tengano presenci C. Lis - H. SoLY, Povertà e capitalismo nell 'Europa preindustriale, Il Mulino, Bologna, 1986; B. GEREMEK,

La pietà e laforca. Storia del/d miseria e della carità in Europa, Laterza, Roma-Bari, 19 86; M.R. \'1:-'ErsSER, Criminalità e repressione nell'Europa moderna, Il Mulino, Bologna, 1 989. Sulle minoranze ebraiche da consultare J .J. lsRAEL, Gli

ebrei d'Europa nell 'età moderna,

Il Mulino, Bologna, 199 1 ; A. FoA, Ebrei in

Europa. Dalla peste nera all'emancipazione, Laterza, Roma-Bari, 1 992; P. STEFAN, Gli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2006; G. BossoNG, l sifarditi, Bologna, Il Mulino, 20 10.

Si elencano infine alcuni titoli riguardanti la sroria dei sentimenti e dei comportamenti: N. EL!AS,

IL processo di civilizzazione, Il Mulino, Bologna, 1 988; M. VoVELLE, La morte e L'Occidente, Laterza,

Roma-Bari, 1986; J.L. FLANDR!N, Il sesso e l'occidente, Mondadori, Milano, 1 9 83; J. DEWMF.AU, Il

peccato

e

Id paura. L'idea di colpa in occidente. Dal XIII al XVIII secolo, Il Mulino, Bologna, 1 987; P.

PRODI (a cura di), Disciplina dell'anima, discipliM del corpo e discipliM della società tra Medioevo ed età

moderna, Il Mulino, Bologna, 1 994; A. lAURENT, Storia dell'individualismo, Il Mulino, Bologna, 1 994. IL 2. Politica, religione, culture La storia delle idee politiche

e

la storia del diritto costituiscono due discipline a sé stanti, per le

quali ci si limita a poche segnalazioni. Sempre urile è la Storia delle idee politiche, economiche

e socirtli

diretta da Luigi Firpo, 6 voli., UTET, Torino, 1 972 ss. Due sintesi fortunate sono G. H. SABINE,

Storia delle dottrine politiche, 2 voli. , Ecas, Milano, 1 983, e ] .] . CHEYALLIER, Le grandi opere del pemiero

politico: da Machiavelli ai nostri gjomi, Il Mulino, Bologna, 1 968. Due mo numenrali ricostruzioni della tradizione «repubblicana» sono J.G.A. PococK, Il momento machiavellirtno. Ilpensiero politicofiorentino

e Id tradizione repubblicana anglosassone,

2 voli., Il Mulino, Bologna, 1 980;

Q.

SKINNER,

Le origini del

pmsiero politico moderno, 2 voli., Il Mulino, Bologna, 1 989; su alcuni temi specifici vd. J.W GouGH,

Indicazioni bibliografiche

409

Il contratto sociale. Storia critica di una teoria, Il Mulino, Bologna, 1 986; M. VIROLI, Dalla politica alla Ragion di Stato: la scienza del governo tra XIII e XVII secolo, Donzelli, Roma, 1 994; M. BAzzou, Il pensiero politico dell'assolutismo illuminato, La Nuova Italia, Firenze, 1 986. Sul versante della storia giuridica: A. CAVANNA, Storia del diritto moderno. Lefonti e ilpensiero giuridico, Giuffrè, Milano, 1 982; R.C. VAN UENEGEM, Introduzione storica al diritto privato, Il Mulino, Bologna, 1 995; ].M. ISisi, santo, 1 1 O



Francesco Saverio, santo, 1 1 1



Francesco I, imperatore (già Francesco





1 1 0, 1 1 3, 170, 1 7 1 , 1 84 1 5 0, 1 5 8, 1 59, 160 2 1 4, 2 1 5, 26 1

Srefà.no, duca di Lorena, granduca di



Gianni, Prete, 74

Toscana), 256, 264, 274, 285, 289, 291



Giannone, Pietro, 286

Francesco I d'Asburgo-Lorena, imperarore



d'Austria (già Francesco II, imperatore del



S.R.L), 275, 322, 348, 354, 364, 384, 392



Ginzburg, Carlo, 50, 5 1

Francesco I di Borbone, re delle Due Sicilie,



Gioacchino Murar, re di Napoli, 253, 357,

Francesco I de' Medici, granduca di



Gioberti, Vincenzo, 40 1

359

397 •

Gìansenìo (Cornelis Jansen), 206

Giberti, Gian Matteo, l 09, l l O

Toscana, 1 1 8, 1 8 1



Gioia, Melcbiorre, 3 5 1 , 394



Francesco I d'Orléans, re d i Francia, 57, 64,



Gio rgio I dì Hannover, re d'Inghilterra,



Francesco II d'Orléans, re di Francia, 132



Giorgio II di Hannover,



Francesco II Sfùrza, duca di Milano, 68



Giorgio III dì Hannover, re d'Inghilterra,



Francesco III d'E$te, duca di Modena, 289



Francesco IV d'Austria-fute, duca di

26 1 , 298

66, 67, 1 0 1 , 1 23



Franklin, Benjamin, 25 1 , 302 Fugger, famiglia di banchieri, 36, 64



Furet, François, 323, 3 24, 341



Furetière, Antonie, 2 1 2

d'Inghilterra, 26 1

268, 30 1 •

Modena, 364, 395, 399, 400 •

re

Giorgio IV di Hannover, re d'Inghilterra, 379



Giovanna, detta la Pazza , regina di Castiglia,



Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo



Giovanni II di Aviz, re del Portogallo, 79,

5 9 , 64 V, 1 27 80

G



Giovanni III, re dì Polonia 217



Gainot, Bernard, 34 1



Galanti, Giuseppe Maria, 288



Ga!asso, Giuseppe, 365



Galeno, 293



Galiani, Celestino, 248



Galiani, Ferdinando, 284, 287



Galilei, Galileo, 1 20, 1 5 5 , 1 5 6, 176, 1 8 2



Galvani, Luigi, 2 5 1 , 293

Oan Sobieski),



Giovanni IV d i Braganza, re del Portogallo,



Giovanni V di Braganza, re del Portogallo,



Giovanni VI dì Braganza, re del Portogallo,

1 68 220

3 7 1 , 373 •

Giovanni Sigismondo dì Hohenzollern, elettore del Brandeburgo, 1 49

Indice dei nomi



G iova n ni Szapolyai, principe di



Transilvania, 68, 69





Giu lio Il, papa (Giuliano della Rovere), 63



G iu lio III, papa (Giovanni Maria de'

• • •



Giulio Cesare, Gaio, 2 1 1



Giuseppe l d'Asburgo, impera t ore , 2 1 9, 264 Giuseppe II d'Asburgo-Lorena, im peratore,





Giuseppe l, re del Portogallo, 28 1

di Svezia, 105

Gurenberg, Johann, 5 1 , 52

Gutton, Jean-Pierre, 3 6

H

Giuseppe B o naparte, re di Napol i , re di



Spagna, 346, 347, 352, 396



Giuseppina Bcauharnais, impe ratrice dei

re

Gustavo III Vasa, re dì Svezia, 279 G ustavo Adolfo Vasa, re di Svezia, 1 49, 1 50 , 1 5 2 , 1 53

Ciocchi del Monte), 1 1 2, 1 20

43, 46, 272, 274, 275, 283, 290, 292, 384 •



Gustavo I Vasa,

Haberrnas, jiirgen, 257, 259 Hajna4 ]ohn, l O

• H am ilton, Alexander, 303

francesi, 335, 348



Hamilton, Ear!J , 26

o

Godunov, Boris, 1 37



Hampden, John, 1 6 1



Goerhe, Johann Wolfgang, 284, 365



Hannover, casara, 1 39, 262



Go ldo ni, Carlo, 292, 295



Hardenberg, Karl Augus t von, 383



Go ldsmith , Olìver, 242



Hardouin-Mansart, J ules, 2 1 2



Go nzaga , casa[3, 92, 1 1 6, 1 8 1 , 1 83

" Harvq, William, 1 5 5



Goya y Lucientes, Francisco, 348





Gramsci, Antonio, 402



Granvclle, Antoine Perrenot de, 1 28



Greco, El, Dome nicos Theowkopoulos



Heine, Heinrich, 365

detm, 1 25



Hclvétius, Claudc-Adricn, 250

Gregorio XIII, papa (Ugo Boncompagni),



Hastin gs, Warren, 390 Hébert, Ja cques-René, 3 1 8, 328, 330

Hegel. Georg Wilh elm Frìedrich, 365

ll4

Herder, Johann Gonfrie d, 284, 365, 376

Grego rio XVI , papa (Bartolomeo Albeno



Cappellari) , 396



" Grey, Ed ward, 379



Hobsbawm, Eric J, 376

Hofitddter; Richard, 307

p

Grìmm, Friedrich Melchior, 365





Grim m, Jacob, 365





Grazi o, Ugo (Huig de Groot), 42, 1 56

Hobbes, Thomas, 42, 1 56, 2 1 5, 257

Holbach, Pau! Heinrich Dierrich , barone di, 248, 256, 257 Hontheim, Johann Nikolaus von Oustinus

Guerci, Luciano, 342



Huizinga, johan, 65

Guglielmo III d'Grange, re di Inghilterra,



Humboldr, Wtlhelm von, 354, 383

208, 209, 2 1 5



Hume, David, 249, 250

Guardi , Francesco, 292 Guardi, Giovanni Antonio, 292

• •

Guglielm o N di Hannover, re d'Inghilterra,

Febronius), 28 1



Hunt, l'l'l'In, 324

379



liuppen, Georg� 47





Guicciardini, Franc esco, 59, 6 1 , 92, 93



Guisa, casara, 13 2, 13 3



Guisa, Cado di, detto cardinale di Lorena ,



Guisa, Enrico, duca dì (XVI secolo), 1 33



Guisa, Enrico, duca di (XVII secolo), 1 80

133



Hiff, Christopher, 1 69



• •



423

Huxley, Aldous , l 08 Huygens, Chrisriaan, 1 56

I

Guiwt, François Pierre GuillaLtme, 366,



Ignazio di Loyola, samo, I l O, l l l

383, 388



Ingham, Srephens e C., ditta, 397

424



Indice dei nomi

Innocenw Vlii, papa (Giovanni Banista

L

Cybo), 6 1 •

Instimr, Heinrìch, 48

"

Ippocrate, 72, 293



La Barre, Jean-François Lefebvre d'Ormesson, cavaliere di, 258

' lreton, Henry, 1 64

' Labrousse, Emest, 234

' Isabella d'Asburgo, figlia di Filippo II, 1 34



La Bruyère, Jean de, 203



Isabella, detm la Catmlica, regina di



La Fayene, Marie-Joseph, marchese di, 3 1 5,



Isabella Aviz, infama del Portogallo, 65





lsmail I, scià di Persia, 68



Lamarck, Jean-Baptiste, 249



Lameth, Alcxandre, 3 1 8

Castiglia, 58, 59, 79, BO



lsnenghi, Mario, 404



Ivan Ili, il Grande, zar di Russia, 1 3 5



Ivan

Isocrate, 7 2

IV,

il Terribile, zar di Russia, 1 3 5 , 136,

137, 221

3 1 7, 3 1 8 , 3 2 1 , 3 8 2 Laffìne, ]acq ues, 382



La Mettrie, Julien Offroy de, 249



Lancaster, casata, 60

• • •

La Rochefoucau[d, François de, 203

Las Casas, Barrolomé de, 8 5 , 90 Las!ett, Peter, 9, l O

' Laud, Wìlliam, 1 60, 1 6 1

J



Jackson, Andrew, 374 • •

Launay, Bernard- René Jordan, marchese di, 315

Jane Seymour, regina d'Inghilterra, l 05

jedin, Hubert, l 09



Law, John, 260, 26 1



Le Brun, Charles, 2 1 1 , 2 1 2 Le Paigc, Louis Adrien, 269



Jefferson, Thomas, 305





Jenner, Edward, 230



K

Lavoisier, Antoine-Laurem, 250



Le Roy Ladurie, Emmanuel, I l



Lcblanc, Nicolas, 25 1



Leeuwenhoek, Antony van, 156



Lefebvre, Georges, 309, 323 Léon, Pierre, 3 1 1



K' ang-tsi, imperatore della Cina, 1 89



Leonardo da Vinci, 92



Kam, Immanud, 247, 258, 272, 284,



Leone X, papa (Giovanni de' Medici) , 57,

333 •

Kaunitz-Rinberg, Wenzel Amon von, 265,

64, 95, 96 •

Leone XII, papa (Annibale Sermattei della Genga) , 396

274 •

Kay, ]oh n, 240





Kempis, Tommaso da, 93





Keplero, Giovanni Qohannes Kepler), 1 55

U'Opardi, Giacomo, 365 Leopoldo I d'Asburgo, imperarore, 1 8 5, 208, 2 1 7, 2 1 8



Kertzer, David l, l O



Khayr-al-Din, detto Barbarossa, 69



Kìng, Gregory, 4

granduca di Toscana), 275, 29 1 , 292, 395,



Knox, John, 1 0 5

402



Koselleck, Reinhard, 257



Koprlilii, famiglia, 1 94



Kosciuszko, Tadeusz, 279



Kossuth, Lajos, 3 8 5



Kriedte, Peter, l 7

Kro� Thonu.u, 403

' Kubilai Khan, sovra no mongolo, 1 98

" Leopoldo I I d'Asbu rgo-Lorena, imperatore (già Pietro Lcopoldo,



Leopoldo I di Sassonia-Cobu rgo, re del Belgio, 382



Lerma, Francisco Go mez de Sandoval, duca di, 1 47



Leszczynski, Stanislao, vd. Stanislao



Linneo, Carlo

Leszczynski, re di Polonia

(Cari von Linné),

250

Indice dei nomi













































Liverpool, Robert Banks Jenkinson conte di, 378 Livi Bacci, Massimo, 7 Locke, ]oh n, 42, 1 57, 2 1 5, 247, 249, 257, 366 Loménie de Brienne, Étienne-Charles, 3 1 3 Lorena, cardinale di, vd. Guisa, Carlo di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, 6 1 , 62 Louvois, François-Michel Le Tellier, marchese di, 2 1 3 Loyseau, Charles, 3 1 , 38 Ludd, Ned, 243 Ludovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano, 6 1 , 63 Luigi II Jagellone, re d'Ungheria e di Boemia, 68 Luigi IX, detto il Santo, re di Francia, 269 Luigi XI di Valois, re di Francia, 57 Luigi XII di Valois, re di Francia, 57, 63 Luigi XIII di Borbone, re di Francia, 145, 146, 1 5 1 , 1 66, 200, 2 1 1 Luigi XIV di Borbone, re di Francia, 34, 40, 43, 54, 107, 1 38, 1 39, 147, 166, 1 68, 1 80, 200, 20 1 , 203, 204, 205, 206, 207, 208, 209, 2 1 0, 2 1 1 , 2 1 2, 2 1 3, 2 1 8, 2 1 9, 252, 260, 263, 269, 300, 360 Luigi XV di Borbone, re di Francia, 206, 260, 26 1 , 263, 264, 265, 266, 270 Luigi XVI di Borbone, re di Francia, 266, 267, 27 1 , 309, 3 16, 3 17, 3 18, 320, 322, 326, 332, 355, 358, 381 Luigi XVIII di Borbone, re di Francia, 357, 359, 366, 370, 38 1 , 382 Luigi Filippo d'Orléans, re dei francesi, 382 Lully, Jean-Baptiste, 2 1 2 Lutero, Martino (Martin Luther), 4 1 , 52, 66, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 1 0 1 , 102, 105, 109













• •





'



• •











• •















M •



Machiavelli, Niccolò, 4 1 , 42, 6 1 , 73, 92, 93, 1 54, 339 Madison, James, 303, 305





425

Magellano, Ferdinando (Fernando Magalhaes), 82, 1 96 Magris, Claudio, 384 Mahmoud II, sultano turco, 385 Maintenon, Françoise d'Aubigné, marchesa di, 2 1 0 Ma/anima, Paolo, 14, 23 Malesherbes, Chrétien-Guillaume de Lamoignon de, 258 Malpighi, Marcello, 1 76 Malthus, Thomas Robert, 3, 8, 234, 245, 246 Manciù, dinastia, 1 87, 198, 1 99 Mannori, Luca, 40 Manuzio Aldo, 52 Manzoni, Alessandro, 176, 177, 370, 401 Maometto, 68 Maometto II, detto il Conquistatore, sultano turco, 68 Marat, Jean Pau!, 3 1 8 , 320, 329 Marco Aurelio, imperatore, 2 1 1 Margherita di Valois, regina di Francia, 132 Margherita d'Asburgo, zia di Carlo V, 65 Margherita d'Asburgo, moglie di Ottavio Farnese, 1 28, 1 29 Maria di Borgogna, 60 Maria de' Medici, regina di Francia, 145, 146, 166 Maria Leszczynska, moglie di Luigi XV, 265 Maria Stuart o Stuarda, regina di Scozia e di Francia, 130, 1 3 1 Maria I I Stuart, regina d'Inghilterra, 2 1 5 Maria Tudor, detta la Sanguinaria, regina d'Inghilterra, 105, 1 23, 1 29 Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena, regina di Francia, 3 13, 3 1 8, 329 Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, regina di Napoli, 289, 337 Maria Luigia d'Asburgo-Lorena, imperatrice dei Francesi, poi duchessa di Parma, 348, 364, 395 Maria Teresa d'Asburgo, regina d'Ungheria e di Boemia, 46, 264, 272, 274, 275, 285, 289, 29 1 , 384 Maria Teresa d'Asburgo, moglie di Luigi XIV, 168, 208, 2 1 0 Mariana, Juan de, 4 1

426

Indice dei nomi



Marlborough, John Churchill duca di, 2 1 9





Marlowe, Chrisropher, 1 32





Maroncelli, Pietro, 399



Mokyr, }oel, 24 Molièrc, Jean-Bapciste Poquelin detto, 203

Misley, Enrico, 399

Mohlo, Anthony, 39



Marx, Karl, 1 08, 323, 333, 369, 387





Masaniello, 1bmmaso Aniello detto, 1 80





Massimiliano di Wittelsbach, duca



Mo maigne, Miche! de, 87, l 06

di Baviera, 1 49, 1 5 1



Momecuccoli, Raimondo, 2 1 7



Massimiliano I d'Asburgo, imperatore, 60,

6 ! , 63, 64 •

Mo nroc, James, 374



Montefeltro, casata, 92



Montesquieu, Charles-Louis Secondat, barone di, 39, 43, 73, 1 07, 25 1 , 256, 257,

Massimiliano II d'Asburgo, imperatore, 1 48

'

Mathiez, Alhert, 323



Marria d'Asburgo, imperatore, 1 48, 1 5 0





Maupeou, René-Nicolas-Charles-Augusrin



de, 266, 270



Monti, Vincenzo, 3 5 1



Monrmorency-Chàtillon, casata, 1 32



More, Thomas (Tommaso Moro), 93 , 105,



Mo rgagni, Gian1battisra, 293



Morgan, Lady Sydney, 297



Mazzarino, Giulio Raimondo, l 66, 1 67,



Mazzini, Giuseppe, 370, 387, 400, 401



McE'vedy, Coiin, 230

1 68, 1 8 0, 200, 2 1 2

' Medici, casata, 40, 64, 66, 67, 1 17, 1 8 1 , •

260, 263, 270, 277 Mo nteverdi, Claudio, 1 77

Momezuma Il, imperatore aueco, 83, 84

1 06, 1 07

264, 285



Morone, Giovanni, 1 1 3, 1 1 9, 1 20

Medici, Luigi dei, 396



Morse, Samuel, 374

Mosse, George L., 3 77



Mehmct Alì, pascià d'Egitto, 37 1 , 386, 387





Melantone, Filippo (Philipp Schwarzerd),



Mozarr, Wolfgang Amadeus, 256

98, 99, 1 0 1 , l l 2

Muchembled, Robert, 51



Meulen, Adam Frans van der, 2 1 2

• •

Mumfi1rd, Lewis, 1 07



Mdzi d'Eri!, Francesco , 3 5 1 , 352



Miintzer, Thomas, 98, 99



Murar, Gioacchino, vd. Gioacchino Murar,



Murarori, Lodovico Anronio, 248, 275,



Mcncstrier, Claude-François, 2 1 3



Ménérra, Jacques, 50



Menorti, Ciro, 395, 399, 400



Mercier, Louis Sébastien, l 08



Merici, Angela, I l O



Meriggi, Marco, 403



Mesmet, Franz Amon, 2 5 1



Mettemich, Klemens Wenzel Lothar,

re di Napoli 2 8 1 , 286

N

principe di, 348, 354, 3 56, 362, 383, 3 84,



N adir, scià di Persia, 1 92

396, 398, 4 0 1



Napoleone I Bonaparre, imperatore dei

' Michele I d i Braganza, re del Portogallo

francesi, 43, 44, 222, 305, 308, 330, 332,

(don Miguel), 371





334, 335, 336, 339, 340, 342, 343, 344,

Michele III Romanov, zar di Russia, 1 3 7,

345, 346, 347, 348, 349, 350, 35 1 , 352,

220

353, 354, 355, 356, 357, 358, 359, 360,

Mìchelet, jules, 9 1 , 322

361 , 362, 364, 366, 367, 368, 370, 38 1 ,

Mignard, Pierre, 2 l l •

383, 394, 395, 400

Miguel don, vd, Michele l di Braganza



Nathan di Gaza, 1 8 6

Ming, dinastia cinese, 74, 1 87, ! 88, 1 89,



Necker, Jacques, 3 1 2, 3 1 4, 3 1 5, 3 16

! 98

"

Nclson, Horatio, 339, 345



Neri, Pompeo, 289, 29 1



Newporr, Chrisropher, 88

' Mirabeau, Honoré-Gabriel Riqueti, come di, 308, 3 1 5, 3 1 8, 375

Indice dei nomi

o









Newton, Isaac, 1 55, 250 Niccoli, Ottavia, 47 Nicola I, zar, 385, 386 Nikon, patriarca di Mosca, 22 1 Nora, Pierre, 375 North, Frederick, 268

Peel, Robert, 378, 380 Pellico, Silvio, 394, 399 Penn, William, 89, 1 7 1 , 299 Pepe, Florestano, 398 Pepe, Guglielmo, 398 Perrault, Charles, 2 1 1 Petrarca, Francesco, 9 1 Petty, William, 4 Pietro I, il Grande, zar di Russia, 220, 22 1 , 222, 223, 224, 252, 276 ' Pietro III, zar di Russia, 276, 277 " Pietro I, imperatore del Brasile, 373 Pietro II, imperatore del Brasile, 373 Pietro II, re del Portogallo, 2 1 9 Pigafetta, Antonio, 82 Pio II, papa (Enea Silvio Piccolomini), 72 Pio IV, papa (Gian Angelo Medici), 1 13, 1 14 Pio V, papa (Antonio Ghislieri), 1 14, 120, 1 27, 1 30 Pio VI, papa (Giovanni Angelo Braschi), 292, 335, 337 Pio VII, papa (Barnaba Chiaramonti), 345, 347, 349, 359, 370, 394, 396 Pio VIII, papa (Francesco Saverio Castigliani), 396 Pio IX, papa (Giovanni Maria Mastai­ Ferretti), 388, 402 Pitt, William, 265, 268, 389 Pitt, William il Giovane, 268, 339, 347 ' Pizarro, Francisco, 78, 84 Platone, 9 1 , l 06, l 07 Pale, Reginald, 1 1 0, 1 1 3, 120 Polignac, Auguste Jules Armand Marie, principe di, 382 Poliziano, Angelo, 92 Polo, Marco, 74 Pombal, Sabastiao ]osé De Carvalho e Melo, marchese di, 281 Pompadour, Jeanne Antoinette Poisson, marchesa di, 265 Porro Lambertenghi, Luigi, 394 Prina, Giuseppe, 359 Proudhon, Pierre-Joseph, 369 Pufendorf, Samuel von, 1 57, 253 Pugaéev, Emeljan, 19, 277 Pym, John, 1 6 1







'

o •

















O'Connor, Feargus, 380 Ochino, Bernardino, 1 1 2, 1 1 9 Olavide, Pablo de, 282, 284 Olivares, Gaspar de Guzman come di (poi duca di San Lucar), 147, 148, 1 52, 1 6 1 , 168 Oppenheimer, Samuel, 185 Orange, casata, 144, 362 Orange-Nassau, Guglielmo, 1 29 Orléans, Filippo di, 260, 26 1 , 269 Ortu, Gian Giacomo, 43 Orwell, George, l 08 Osman I, sovrano turco, 68 Ottavio Farnese, duca di Parma, 128, 129 Ottone di Wittelsbach, re di Grecia, 371 Oxenstierna, Axel, 1 50



'











p





























Pagano, Mario, 339 Paine, Thomas, 322 Palmerston, Henry, 380 Palmieri, Giuseppe, 289 Panikkar, Khavalam Madhava, 194 Paoli, Pasquale, 33 5 Paolo I Romanov, zar di Russia, 339 Paolo III, papa (Alessandro Farnese), 1 1 O, 1 1 1 , 1 12, 1 19 Paolo IV, papa (Gian Pietro Carafa), 1 12, 1 1 3, 1 20 Paolo V, papa (Camillo Borghese, 1 82 Paolo, santo, 94 Parini, Giuseppe, 290, 29 1 , 295, 296 Parry, fohn. H, 79 Pasca!, Blaise, 206 Patrizi, Francesco, l 06

427





'



• •





428

Indice dei nomi

Q





Ruffo, Fabrizio, 338, 339 Russo, Vìncemio, 339

dìnasria cinese, 1 8S, I S9, 1 9 9 Quesnay, Françoìs, 253. 254, 255, 2 5 6

s • Sade, Don aden Alphonse François de, 108

R

























Rabelais, François, l 06



Racine, Jcan, 203, 2 1 2









Raleigh, Walrer, 1 3 1



Rameau, Jean-Philippe, 2 4 8







Ravaillac, hançois, 14 5



Razin, Stenk.a, 1 9



Rrìnhard, "Woljgang, 39



Rembrandt, Harmenszoon van Rijn, 1 4 5





Resdf de L1 B retonne, Nicola.s-Edme Retif





Reubell, Jean-François, 332



Rhodes, Cedi, 391



Riall, Lucy, 402











Savoia, Eugenio dì, 2 1 7, 2 1 8, 2 1 9 Savonarola, Gerolamo, 63, 1 09 Schdling, Friedrich Wilhelm Joseph, 365

Schiera, Pierangelo, 39 • Schlegd, Augusr Wìlhelm, 365

li



Ricci, Scipione de', 293



Richelìeu, Armand-Jean du Plessis, duca dì,



34. 43, 54, 1 4 5 , 1 46, 1 47, 1 5 1, 1 5 2, 1 53,



1 6 1 . 1 66



Richelieu, Armand Emmanuel du Plessis,





Denis, 323



Rigaud, Hyadnthe, 2 1 1

Selim Il, sultano rurco. 1 26 Sema. Pit'Tre, 341 Serveto. Michele, l 03

Sfot7.a,

casara,

92

Shakespeare, William, 31, 1 06, 1 3 2 Shdlcy, Percy Bysshc, 3 65



Sidney, Phìlip. 132 Sieyès, Fmmanud-Joseph, 308, 3 1 4, 3 1 5, 340, 343. 375

Rocco. santo, 48 Rodolfo Il d'Asburgo,

Schlegel, Friedrich, 365 Sdìm l, sultano turco, 68

Shorter, Edward. 1 2

Robespìcrre, Maximìlìcn, 3 1 8, 320, 32 1 ,



148



Romagnosi, Gian Domenico, 35 1 , 394

Sigismondo II Jagdlone, re di Polonia, 1 3 5 Sigìsmondo IIl Vasa, re d ì Polonia e dì Svezia, 149

Romanov, casata, 220



Romeo, Rosario, 87



Rosm inì, Antonio, 40 1 •

Savoia, casata, 1 1 5, 1 8 1 , 285, 337, 350,



Ricardo, David, 369

322, 323, 326. 328, 329, 330, 33 1 , 335,



Samarosa, Santorre dì, 371, 398 Sanzìo, Raffaello, 92

395

Rettaroli, Romd/4, 6

3.16, 340, 3 4 1 •

San Martin , ]osé de, 372

Sarpì, Paolo, 1 82

Ressi, Adcodaro, 399

Richet,

Saim-Sìmon. Louìs de Rouvroy, duca di, 210

duca dì, 382 •

Saint-Simon, Claude Henrì de, 257, 369, 400

Ranger, Terenc;e, 376

Ricci, Marteo, •

Saint-Jusr, Louis-Antoine, 326, 328, 330, 3 3 1 , 3_36, 340

deno. 1 0 8 •

Saitta, Annando, 342



Rousseau, Jcan-Jacques, 42, 2 5 1 , 252. 253.

Sìlvestro I, papa, 9 2 Simon, Richard, 247 Sismondi, Jean-Charles-Léonard Simonde de, 2 9 5

2 5 6, 257. 340, 365, 375



Roux, Jacqucs, 329



Rudi Fernand, 3 1 6



Sisto V, papa (Felice Peretti), 1 14

Smirh, Adarn, 29, 24 5, 254, 2 5 5 Smith. Anthony D., 376

Indice dei nomi



Soboul, Albert, 323, 324



Solimano I, detto il Magnifico, sultano



turco,



68, 69, 1 26 Sombart, Werner, 36 Sommariva, Annibale, Sorel, Charles,



Sozzini (o Socini), Fausto,







1 89 1 20, 1 30, 1 55 1 76 Toscane!li, Paolo dal Pozzo, 79

TorriceUi, Evangelista,





359

212

' Toussainr Louverture, Pierre-Dominique,

1 12 Sozzini (o Socini), Lelio, 1 1 2 Spallanzani, Lazzaro, 250, 29 1, 293 Spenser, Edrnund, 132 Spinoza, Baruch, 42, 1 57, 1 86, 247 Sprenger, Jacob, 48 Stanislao Leszczynski, re di Polonia,

307 •



383





Srrafford, Thomas \117entworth, conte di,



Smart, dinastia,

'

1 39, 149, 16 1 , 1 7 1 , 2 14 ,



Valdés, Juan de, l l O,

1 20 91 Valois, casata, 66, 1 32 Vasa, casata, l 05 Valla, Lorenzo,

Vauban, Sébastien Le Prestre, visconte di,

208

26 1 •

Suarez, Francisco,



Sully, Maximilien de Bédmne, duca di, l 4 5

41

Siissmilch, Johann Peter, •

245, 266,

v

Stone, Lawrence, 1 2

1 60, 1 6 1 •

1 67

lùrgot, Anne Robert-]acques,

263,

279



1 04, 1 37, 1 59, 232

Turenne, Henri de la Tour d'Auvergne,

267, 31 1 , 3 1 2

Stanislao Poniarowski, re di Polonia, 278, Stein, Heinrich Friedrich Karl von,

Tudor, casata, visconte di,



264, 265, 266



Tokugawa Ieyasu, imperatore del Giappone,

' Tolomeo, Claudio,





429

4

Swift, Jonathan. l 07 Széchenyi, lstvan, 385

v EdwardA., 244, 245, 246

y York, usata, 60



Yuan, dinastia cinese, 198

z •

Zevi, Sabbatay. 1 86 Zurbacin, Francesco, 125 Zwinglì, Ulrich, l 00, 10 l

INDICE DELLE CARTINE



I centri di produzione di metalli nel Cinque e Seicento



Indice di svalutazione delle monete di conto in termini di argento, 1450-1750



l:Europa verso il 1 500

'

l: Italia intorno al 1 500

" l domini di Carlo V in Europa l:espansione dell'impero ottomano • •

62 67

l:Africa nell'età moderna

69 75

Gli Imperi precolombiani

77

I principali viaggi di esplorazione e conquista tra 1400 e 1 500 •

23 25 59

Situazione religiosa dell'Europa a metà Cinquecento

'

L:ltalia dopo la pace di Cateau-Cambrésis ( 1 559)



l:Europa dopo la pace di Cateau-Cambrésis ( 1 559)



Le guerre di religione in Francia

' La Russia dal regno di lvan Ili alla fine del XVI secolo La Germania durante la guerra dei Trent'anni Gli sviluppi della guerra civile in Inghilterra e Galles ( 1 643- 1 645) •

l:Italia nel XVII secolo



t:lmpero cinese dalla conquista Ming alla dinastia Q'ing t:lmpero moghul in India verso il 1700 L: Impero ottomano intorno al 1700

" Possedimenti coloniali europei in Oriente dopo il 1650

81 104 II7 124 I33 136 1 53 163 178 188 192 193 19 5

Généralités, pays d'états e pays d'éléction

202



l:espansione verso est della Francia di Luigi XIV

209



l: espansione della monarchia austriaca

21 7

'

l:impero russo sotto Pietro il Grande

221



Spostamenti territoriali dopo la