Storia ecclesiastica e agiografia faentina dal XI al XV secolo 8821004279, 9788821004278

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Storia ecclesiastica e agiografia faentina dal XI al XV secolo
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STUDI E TESTI ----------------

252

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FRANCESCO LANZONI

STORIA ECCLESIASTICA E AGIOGRAFIA FAENTINA DAL XI AL X V SECOLO a cura di Giovanni Lucchesi

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 1969

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STUDI

E

TESTI

150. Cerulll, E. Il « Libro della Scala » e la que­ stione delle fonti arabo-spagnole della Di­ vina Commedia. 1949. pp. 574. 15 tav.

166-169. Rouet de Joumel, M. J., S. I. Nonciatures de Russie d’après les documents authentiques. 1922-52. voi. 4.

151. Diwan Abatur ...or Progress through thè Purgatories. Text with translation, notes and appendices by E. S. Drower. 1950. pp. VII, 45. Facs. 650 x 24 cm.

170. Maier, A. Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae. 1952. pp. VII, 496.

152. Loenertz, R. J., O. P. Correspondance de Manuel Calécas. 1950. pp. XII, 350. 153. Prete, S. Il Codice Bembino di Terenzio. 1950. pp. 110. 5 tav. 154. Mercati, G., card. Il frammento Maffeiano di Nestorio e la catena dei Salmi d’onde fu tratto. 1950. pp. C5I, 40. 155. Blum, R. La biblioteca della Badia Fioren­ tina e i codici di Antonio Corbinelli. 1951. pp. XII, 190. 156. Cian, V. Un illustre nunzio pontificio del Rinascimento: Baldassar Castiglione. 1951. pp. XI, 340. 157. Mercati, A. Dall’Archivio Vaticano. pp. 119.

1951.

158. Mercati, G., card. Alla ricerca dei nomi de­ gli « altri » traduttori nelle Omilie sui Salmi di s. Giovanni Crisostomo e variazioni su alcune catene del Salterio. 1952. pp. V ili, 248, 10 tav. 159. Rossi, E. Il « Kitab-i Dede Qorqut»; rac­ conti epico-cavallereschi dei turchi Oguz tra­ dotti e annotati con « facsimile » del ms. Vat. turco 102. 1952. pp. 2, [364],

171. Franchi de’ Cavalieri, P. Constantiniana. 1953. pp. 207, [li. 172. Graf, G. Geschichte der christlichen arabi­ schen Literatur. V. Bd. Register. 1953. pp. 1, 196. 173. Honigmann, E. pp. VII, 255.

Patristic

Studies.

1953.

174. Rossi, E. Elenco dei manoscritti turchi della Biblioteca Vaticana. 1953. pp. XXII, 416. 175. Franchi de’ Cavalieri, P. Note agiografiche. Fascicolo 9. 1953. pp. [5], 253. 176. The Haran Gawaita and The Baptism of Hibil-Ziwa ... translation, notes and commentary by E. S. Drower. 1953. pp. XI, 96. Facs. 177. Andreu, F., C. R. Le lettere di s. Gaetano da Thiene. 1954. pp. XXXIV, 144. 3 tav. 178. Mercati, A. I costituti di Niccolò Franco (1568-1570) dinanzi l’Inquisizione di Roma, esistenti nell’Archivio Segreto Vaticano. 1955. pp. [21, 242. 179. Patzes, M. M. Kpnoü toü naturi TwtoOxswoi;. Librorum LX Basilicorum summarium. Libros XXXIX-XLVIII edid. St. Hoermann et E. Seidl. 1955. pp. XXIV, 287. 180. Baur, C., O. S. B. Initia Patrum graecorum. Voi. I. A-A. 1955. pp. CXIII [2], 661.

160. Pertusi, A. Costantino Porfirogenito: De thematibus. 1952. pp. XV, 210. 3 tav.

181. ------Voi. II M -a 1955. pp. XLVI, 720.

161. Rationes decimarum Italiae. Umbria, a cu­ ra di P. Sella. I. Testo. 1952. pp. [4], 916.

182. Gullotta, G. Gli antichi cataloghi e i codici della abbazia di Nonantola. 1955. pp. XXVIII, 539.

162. ------II. Indice. Carta geogr. delle diocesi. 1952. pp. 204.

182-bis. Ruysschaert, J. Les manuscrits de l’abbaye de Nonantola. 1955. pp. 76.

163. Monneret de Villard, U. Le leggende orien­ tali sui Magi evangelici. 1952. pp. 262.

183. Devreesse, R. Les manuscrits grecs de l'Italie méridionale. 1955. pp. 67, 7 tav.

164. Mercati, G., card. Note per la storia di al­ cune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX. 1952. pp. [5], 190. 9 tav.

184. Biedl, A. Zur Textgeschichte des Laertios Diogenes. Das Grosse Exzerpt $ ... 1955. pp. 132, ili.

165. Miscellanea archivista Angelo Mercati. 1952. pp. XXVII, 462. ant. (ritr.), 10 tav.

185. Tarchnisvili, M. Geschichte der kirchlichen georgischen Literatur ... 1955. pp. 540.

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STUDI E TESTI --------------- 2 5 2 ---------------

FRANCESCO LANZONI

STORIA ECCLESIASTICA E AGIOGRAFIA FAENTINA DAL XI AL XV SECOLO a cura d i G iovanni L u c c h e s i

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 1969

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Imprimatur. t Josephus Battaglia, episc. favent. Faventiae, 29 maii 1969.

TIPOGRAFIA F.LLI LEGA - FAENZA 1969

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INTRODUZIONE

Della complessa attività scientifica di mons. Francesco Lanzoni (1862-1929), ed anche di tutti gli altri suoi scritti di carattere diverso, ci ha dato un quadro esauriente il nipote Evangelista Valli con la sua preziosa pubblicazione L’opera di Francesco Lanzoni. Bibliografia degli scritti e note, Faenza, F. Lega, 1934. Non senza meraviglia vi troviamo che all’autore di Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del sec. VII, di Le Vite dei quat­ tro Santi protettori della città di Faenza, di Genesi, svolgimento e tramonto delle leggende storiche e di La Controriforma nella città e diocesi di Faenza, sono da attribuirsi ben 760 scritti di vario genere, « nella massima parte produzioni d’occasione, per lo più estorte dalle pressioni più o meno importune di amici e di altre persone a cui non sapevo rifiutarmi » (F. L anzoni, Le memorie, Faenza 1930, pp. 83-84). Non tutti questi scritti, tuttavia, l’Autore avrebbe potuto defi­ nire «piuttosto che frutto di serie applicazioni, diversivi dagli studi agiografici e principali » (Le memorie, ib.). Fra di essi in­ fatti numerosi sono quelli propriamente storici, i quali, anche se di minor impegno che non le opere più famose, oppure stesi in uno stile più divulgativo e diretti a lettori meno preparati all’in­ dagine critica, lasciano pur sempre intravvedere la vastità d’in­ formazione, l’acutezza d’indagine, la sicurezza di sintesi del grande studioso faentino, e talvolta più che le opere maggiori si fanno ammirare per una felice spontaneità di dettato tanto rara negli studiosi. Del resto lo stesso Lanzoni mostrò interesse per questi suoi scritti minori sparsi su riviste, su periodici, su giornali o addi­ rittura inediti, ne conservò una copia che continuò a postillare man mano che gli si presentava l’occasione di rivederne dettagli, e negli ultimi suoi anni di vita li raccolse in grossi volumi rile­

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VI

Introduzione

gati in tela (ora nella Biblioteca Comunale di Faenza), con in testa a ciascuno l’Indice del materiale contenuto ed il motto che aveva guidato questa sua opera di recupero, di perfezionamento e di conservazione: Colligite fragmenta ne pereant! Questo stesso motto potrebbe caratterizzare il nostro progetto di riunire e ripubblicare le cosidette opere minori dell’illustre agiografo faentino, opere ora difficilmente reperibili persino in antiquariato, ed alcune anzi addirittura inedite: progetto varato da un discorso di Augusto Campana al Congresso di Studi tenuto in Faenza nel 1963 in occasione del primo centenario della na­ scita di Francesco Lanzoni; progetto fervidamente patrocinato dal card. Amleto Giovanni Cicognani, Segretario di Stato, calorosa­ mente accolto dal card. Eugenio Tisserant, Protettore della Biblio­ teca Apostolica Vaticana, dal p. Alfonso Baes S. J., Prefetto della medesima, ed infine fatto proprio da un comitato di studiosi sotto la presidenza di mons. Franco Gualdrini, rettore dell’Almo Colle­ gio Capranica, e sotto la direzione di mons. Michele Maccarrone, presidente della Pont. Commissione di Scienze Storiche. Ed invero la profonda influenza che esercitarono le ricerche lanzoniane sullo sviluppo della critica storica nel campo degli studi ecclesiastici della prima metà del nostro secolo, ed insieme la validità ancor saldamente attuale della maggior parte delle sue conclusioni, giustificano in pieno l’iniziativa, anche se di non lieve peso per gli editori. Del resto lo stesso Lanzoni prevedeva e preparava una nuova edizione di alcune di queste sue « opere m inori»: non di rado infatti, sulla copia postillata della Biblio­ teca Comunale di Faenza (il Valli, nella sua Bibliografia, ha cura di segnalare tutti i lavori su cui l’Autore ritornò, con la frase « cfr. stampa postillata »), egli scriveva di suo pugno « Copia per una seconda edizione » oppure « Con postille per una nuova edi­ zione » o simili. Così il nostro programma di ripubblicare riuniti gli scritti storici di mons. Lanzoni non fa che concretare un pro­ getto che fu già suo, utilizzando il materiale con cui lo stesso Autore si preparava all’impresa. È dunque per documentare la storia della cultura sacra in Italia, per rendere un concreto ser­ vizio agli studiosi e per un dovuto omaggio al Lanzoni che abbiam deciso di raccogliere con amore il suo invito: Colligite fragmenta ne pereant! Ed ora una parola sull’iter del nostro lavoro. Anzitutto abbiamo riunito in sei gruppi le numerosissime opere lanzoniane di carattere storico: 1. Agiografia e storia an­ tica della Chiesa in genere (e cioè non riguardante la Romagna);

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Introduzione

VII

2. Agiografìa e storia della Provincia ecclesiastica ravennate fino al sec. X; 3. Agiografia e storia ecclesiastica faentina dei secoli XI-XV; 4. Vita religiosa della città e diocesi di Faenza dal sec. XVI al XVIII; 5. Faenza e Valdilamone, cultura e storia faentina dei secoli XVIII e XIX; 6. Cronotassi di vescovi. Di ciascuna di queste sei parti si occupa uno studioso o un gruppo di studiosi, ed a ciascuna di esse sarà dedicato un volume. Insieme tuttavia abbia­ mo operato una specie di selezione tra i vari scritti, nell’intento di omettere tutti quelli che non fanno che ripetere in forma divul­ gativa quanto l’A. trattò più ampiamente e più scientificamente in altri, ed anche quelli che il Lanzoni in seguito rifece e ripub­ blicò sotto nuova forma. Così questo volume, che corrisponde alla terza delle sei se­ zioni previste nel nostro piano, comprende ventidue studi di mon­ signor Francesco Lanzoni sulla storia religiosa di Faenza nei se­ coli XI-XV, e precisamente due studi sui Santi protettori della città (pp. 1-174), sette sulla storia del Francescanesimo a Faenza (pp. 175-372) e tredici su monumenti, documenti e personaggi di quel periodo (pp. 375-451). In base ai criteri sopra accennati non ho ripubblicato i seguenti scritti, che pure trattano dei medesimi temi: Cenni sulla vita di s. Pier Damiano (del 1898, cfr. Valli, n. 9); La Romagna e s. Pier Damiano (pure del 1898, cfr. Valli, n. 10); Faenza e s. Pier Damiano (ancora del 1898, cfr. Valli, n. 11); Il sepolcro del nostro Patrono (e cioè di s. Pier Damiano, del 1922, cfr. Valli, n. 643); La canonizzazione di s. Pier Damiano (del 1928, cfr. Valli, n. 723); Panegirico di s. Pier Damiano (pub­ blicazione postuma a cura di C. Mazzotti, Faenza 1943); S. Savino e Faenza (del 1902, cfr. Valli, n. 133); Il mausoleo di s. Savino. Note storiche (del 1903, cfr. Valli, n. 190); S. Emiliano (del 1909, cfr. Valli, n. 425); S. Emiliano (del 1921, cfr. Valli, n. 634); S. Te­ renzio (del 1910, cfr. Valli, n. 436); S. Pietro (sul culto dell’Apo­ stolo in Faenza, del 1905, cfr. Valli, n. 279): tutto il materiale compreso in questi scritti o è confluito nei primi due studi che pubblichiamo o ne sono un sunto popolare. Riguardanti la seconda parte sono stati omessi: Sopra un manoscritto antico intorno alla vita del b. Nevolone faentino. Nota critica (del 1903, cfr. Valli, n. 189); Settimo Centenario della monacazione di s. Chiara (12121912) e della fondazione del Secondo Ordine (del 1912, cfr. Valli, n. 456); L’Ordine Francescano nella diocesi di Faenza (pure del 1912, cfr. Valli, n. 463); Il beato Nevolone (del 1921, cfr. Valli, n. 628); S. Francesco e Faenza (del 1926, cfr. Valli, n. 706): anche tutto questo materiale è studiato già particolarmente e diffusa­

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V ili

Introduzione

mente in tutta l’ampia parte di questo volume dedicata al France­ scanesimo in Faenza. E finalmente non ho pubblicato l’articolo Un ignoto scrittore faentino del sec. XIII (del 1925, cfr. Valli, n. 689), sunto dello studio del p. L. Oliger, Servasanto da Faenza O.F.M. e il suo Liber de virtutibus et vitiis, in Miscellanea Fran­ cesco Ehrle, I, Studi e Testi, 37, pp. 148-189. Ho invece riportato integralmente lo studio I primordi dell’ Ordine Francescano a Faenza, perché solo in parte (pp. 179-188) tratta di quanto sarà poi l’oggetto de II convento e il collegio di S. Chiara. Tra le opere pubblicate in questo volume rimangono, come si vedrà, articoli di giornali e di settimanali faentini, che del carat­ tere divulgativo e popolare conservano tutti i pregi e (dirà forse qualcuno) tutti i difetti. Ed infatti, a differenza che per gli studi sulle antichità ravennati o cristiane in genere, destinati ordina­ riamente a riviste di alto livello scientifico, il Lanzoni, di tutte le sue ricerche sull’ambiente faentino, cercava di interessare anche il popolo ed il clero di Faenza, ne scriveva sul settimanale citta­ dino Il Piccolo, sull’Auue/ure d’Italia, sul Bollettino Diocesano e su numeri unici destinati a particolari circostanze. E così, quando egli non ritornava sull’argomento per farne studi destinati a let­ tori di piena maturità scientifica, quello scritto popolare restava l’unico frutto (sempre piacevole) di una sua ricerca (sempre so­ lida), degno comunque di figurare accanto ad altri di maggior impegno. E quali criteri abbiam seguito per ripubblicare le opere del Lanzoni? Qui sta veramente il problema: fino a che punto pos­ sono giustificarsi eventuali interventi dell’editore? Immagino il nostro Manzoni levare il dito e sentenziare con arguta solennità: « Chiunque, senza esser pregato, s’intromette a rifar l’opera altrui...». Ma anche qui (« dobbiam dirlo a onor del vero») ci sembra di poter opporre ad eventuali obiezioni una « risposta trionfante »: abbiam cercato di ripubblicare il testo lanzoniano così come egli lo ha scritto o come lo ha corretto, senza nulla rifare, senza aggiunger nulla di nostro. Ci sono stati, sì, alcuni interventi da parte nostra, ma nessuno potrà negare che siano interventi semplicemente esterni, e cioè tipografici. Li elenchiamo sommariamente. Anzitutto abbiam cercato di unificare l’uso dei caratteri di stampa (il Lanzoni talora adopera il corsivo per tutti i testi ripor­ tati da altri autori); e così per l’uso delle lettere maiuscole, mentre nel nostro Autore talvolta non si riesce a distinguere un S. Savino, giorno dedicato alla celebrazione liturgica di quel Santo, oppure

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Introduzione

IX

pieve dell’Appennino, da un s. Savino martire di Spoleto; e così soprattutto per il sistema di citazione, scegliendone uno tra i molti che egli usò anche contemporaneamente. Abbiamo curato particolarmente la correzione di eventuali errori di stampa, quando ci è stato possibile individuarli; ed a questo proposito osservo che, avendo trovata una correzione di mano dell’A. della parola «sopratutto» in «soprattutto», così anche in altri casi ho ese­ guita, meo marte, la medesima correzione. Abbiamo incluso tra parentesi i puntini indicanti omissione di un testo riportato (...), ed anche, ma solo in pochissimi casi, abbiam cercato di rendere più facile la lettura con un’interpunzione più accurata. Altre osservazioni sulla presente ristampa. In margine a tutti gli scritti non pubblicati originariamente su giornali, abbiamo indicato la cifra della paginazione primitiva, in modo da facili­ tare le consultazioni in base ai soli riferimenti precedenti. Sola­ mente nel primo studio, per i motivi illustrati dall’Autore stesso nella sua Prefazione, abbiam posto le note dopo i singoli capitoli; negli altri, le abbiamo poste sempre a pie’ di pagina, con una nu­ merazione progressiva ed unica per tutto lo studio. Sotto alle note poi abbiamo scritto le eventuali postille, segnandole con let­ tere dell’alfabeto, in ordine progressivo per ogni singolo scritto; ed a proposito delle postille noto che esse sono state scritte così come si trovano nei testi della Biblioteca Comunale di Faenza, e cioè spesso in uno stato informe e senza alcuna preoccupazione di un periodare completo. Talvolta poi siamo stati obbligati ad aggiungere note nostre, specialmente per individuare passi citati e contenuti in questo medesimo volume e per indicarne la nuova paginazione: tali note (precedute da un asterisco quando si tro­ vino a pie’ di pagina) sono state scritte tra parentesi quadrate e con barra doppia [ ]. Alla ristampa dei ventidue scritti lanzoniani ho fatto seguire tre Indici, e cioè, oltre a quello dei nomi di persone e dei nomi di luoghi, anche un Indice degli scrittori e degli scritti anonimi (come Statuti, Vite di Santi, ecc.): dato il particolare carattere delle opere che pubblichiamo mi è parso utile anche un tale Indice, che in un certo modo viene a costituire la Bibliografia e l’Elenco delle Fonti dell’intero volume. Sui criteri seguiti nel compilare questi tre Indici vedi la nota che li precede. E, per chiudere questa Introduzione, è giusto rivolgere un vivo ringraziamento a quanti mi hanno aiutato in questo duro lavoro: e particolarmente alla dott. Giovanna Zama, Direttrice della Bi­ blioteca Comunale, che mi ha offerto ogni facilitazione per con­

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Introduzione

sultare i preziosi manoscritti del Lanzoni; alla Casa Editrice Zani­ chelli, che ci ha permesso la riedizione di Le Vite dei quattro Santi protettori di Faenza; alla Direzione delVArchivum Franciscanum Historicum, al cui permesso si deve la ripubblicazione del più importante fra il materiale sul Francescanesimo in Faenza. E termino coll’augurio dell’Editore del Cinquecento:. Securus igitur, candidissime lector, accede, eme, lege, fruere et laetare... D. Giovanni L ucchesi

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STORIA ECCLESIASTICA E A G IO G R A F IA FA E N TIN A D A L X I A L X V SECOLO

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SAN PIER DAMIANO E FAENZA M EM ORIE E NOTE CRITICHE

Giuseppe Montanari Editore, Faenza 1898, pp. XXIV-200 *

Ho raccolto in questo libretto il racconto delle cose operate da s. Pier Damiano nella nostra città e diocesi, del culto presta­ togli dal tempo della sua morte fino ad oggi, e delle diverse traslazioni delle sue ossa. Ho diviso la compilazione in due parti: testo e note. Nel testo racconto per la comune dei lettori, e però nella maniera più sem­ plice, senza citazioni d’autori, senza questioni critiche, e colla traduzione di tutti i testi latini ecc., quello che intorno all’argo­ mento propostomi \ mi è sembrato certo o almeno molto proba­ bile. Nelle note riporto alcuni documenti relativi, per intero, in sunto, o anche soltanto per semplice indicazione, secondo che mi è sembrato opportuno; discuto, per quanto permettono le biblio­ teche della città in cui vivo, alcuni punti controversi ed espongo il mio parere; e senz’amarezza e senz’ira rilevo le inesattezze e gli errori occorsi negli scritti di faentini o d’altri, che hanno scritto intorno al santo, senza pretendere di annoverarmi tra i fortunati che non cadono mai in errore. Confido di aver fatto opera gradita ai divoti di s. Pier Da­ miano e a tutti i miei concittadini nell’imminente traslazione delle reliquie del santo protettore nella nuova cappella del duomo. Spero anche di non aver fatto opera inutile per gli eruditi, che si occuperanno di s. Pier Damiano. Essi troveranno nel mio po­ vero lavoro raccolto insieme tutto ciò che | si riferisce al culto dei faentini verso il santo e alla traslazione delle sue reliquie; cose tutte che nelle vite più note del Damiano o non si trovano o con qualche inesattezza. Faenza, settembre 1898. * [P. V] A m.r Gioachino Cantagalli - vescovo di Faenza - celebrante il suo giubileo sacerdotale - nelle feste della solenne traslazione - delle ossa di s. Pier Damiano - dalla cappella di S. Carlo - alla nuova cappella a lui dedicata - nella cattedrale di Faenza - omaggio riverente - dell’autore.

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INDICE DEI LIBRI RIPETUTAMENTE CITATI

A madesius, Joseph Aloisius, In Antistitum Ravennatum chro-

xi

notaxim. Tomi tre. Faenza, Archi, 1783. B abini, Paolo, Del brefotrofio degli esposti di Faenza e della

chiesa di S. Maria anticamente detta foris portam. Libri due. Faenza, Conti, 1856. B alan, Pietro, Storia d’Italia. Modena, Toschi, 1875-1890. B aronius, Caesar, Annales Ecclesiastici. Tomo XI. Antverpiae,

ex Officina Plantiniana, 1608.“ Bullarium diplomatum et privilegiorum SS. Romanorum Ponti­ ficum. Taurinensis editio. Tomo XIII. Torino, A. Vecco et soc., 1868. Caietanus, Constantinus, Sancti Petri Damiani S.R.E. cardinalis

Opera Omnia. Tomi quattro. Bassano 1783. C apecelatro, Alfonso, Storia di S. Pier Da- \ miano e del suo tempo. Roma, Desclée, Levebvre e Cia, 1887. La prima edi­ zione è in due volumi (Firenze, Barbera, 1862). F abri, Girolamo, Le sagre memorie di Ravenna antica. In Venetia,

per Francesco Valvasense, 1664. F laminius , Joannes Antonius, Beati Petri Damiani Vita. Nel tomo primo del Gaetani, coll. CXLI bis-CLIV, e nel M ittarelli,

Rerum Faventinarum Scriptores, coll. 820-831. Il Gaetani pubblicò la Vita del Flaminio ex ms. autographo apud Faventinos. Questo esisteva tempo fa nell’archivio capitolare, ma ora disgraziatamente non vi si trova più. Nel Processus del 1701, p. 29, (vedi Indice dei manoscritti degli archivi e delle biblioteche di Faenza citati) è descritto in questa ma­ niera: «liber in folio parvo cartonis ex coramine rubeo coo­ pertus antiquae structurae, et circumcirca ac in medio aurea B iron , Réginald, Saint Pierre Damien. Paris 1908.

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San Pier Damiano e Faenza

3

ornamenta habens, in carta pergamena scriptus, foliorum 30, manuscriptus, cui titulus Jo. Antonii Flaminii Imolensis in vitam beatorum Therentii, Sabini, Aemiliani et Petri Da­ miani, incipiendo primo folco, in quo adsunt ornamenta an­ tiquae manifacturae ex auro | variisque coloribus confecta, his verbis Joannis Antonii Flaminii Imolensis in vitam beati levitae Therentii praefatio, et finiendo fol. 30 verso his ver­ bis (...) dictis dominis Procuratoribus indicantibus fol. 22 (...) Joannis Antonii Flaminii in vitam beatorum Aemiliani ac Petri Damiani praefatio, ecc. ». Il Mittarelli nel 1771 pub­ blicò la Vita di s. Pier Damiano con quella degli altri tre santi protettori di Faenza (ibid., coll. 800-831); e l’ab. Giuseppe Mac­ colini le tradusse tutte e quattro in italiano nel 1861 (Faenza, dalla Tipografia Nazionale).6 F ortunius, Augustinus, Historiarum Camaldulensium lib. V, part. II, a cap. VI ad XIV. In G aetani, tom. I, coll. CLV bisCLXVIII. F ournier, Paul, L’oeuvre canonique d’Yves de Chartres et son influence, in Revue des Questions Historiques, LXIII, Paris 1898, pp. 51-98, 384-405. C ardellini, Aloisius, Decreta authentica Congregationis Sacrorum Rituum. Voi. Ili, Romae, typis S. Congr. de Propag. Fide, 1857. G avantus, Bartholomaeus, Thesaurus Sacrorum Rituum. Venetiis, apud Franciscum Brogiollum, 1660. | G ibelli, Alberto, Monografia dell’antico monastero di S. Croce di Fonte Avellana. Faenza, Conti, 1896.c H enschenius, Godefridus, De B. Petro Damiano commentarius praevius e Annotata in Vitam Joannis. In Gaetani, tomo I, coll. XCVII-CXXVIII. I due lavori sono estratti dai Bollandisti: Act. SS. Febr. Ili, Venetiis, apud Sebastianum Coleti, 1836, pp. 406-427. Joannes monachus, Vita B. Petri Damiani. Il Gaetani (tom. 1, coll. CXXIX-CLX) pubblicò questa Vita, la più antica del santo, scritta dal discepolo Giovanni, ex duobus mss. Ravennate et Faventino; ma a Faenza questo manoscritto, per quanto so, più non esiste/

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XIV

6 F oglietti, Raffaele, Sancti Petri Damiani Ecclesiae doctoris autobiographia. Torino, Tipogr. Baglione, 1899. c Grandi, Guido, De S. Petri Damiani et Avellanitarum instituto camaldulensi, in Dissertationes Camaldulenses, IV, Lucca 1707, pp. 1-138. d K leinermanns, Joseph, Der heilige Petrus Damiani. Steyl 1822.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

L aderchi, Jacobus, Vita S. Petri Damiani in sex libros distributa,

tribus tomis comprehensa. Romae, apud Petrum Oliverium, 1702. La Vita di questo p. filippino di Faenza « tra un gran de­ siderio di encomiare (s. Pier Damiano) (C apecelatro, p. VII) ed un certo studio fatto sopra le sue Opere ci mostra come sul principiare del secolo XVIII gl’italiani non avessero an­ cora smessi i vizi che corruppero e fecero qualche volta risibile la letteratura del Seicento ». | Il nostro Valgimigli (Giunte, pp. 794-795 in nota) la definisce un centone di testi 0 modi tolti dalla Bibbia, dal Messale, dal Rituale ecc. non scevro di errori. Appena comparve la Vita del Laderchi, molti scrissero contro l’autore. Nel 1705 specialmente l’opera del nostro filippino fu assalita con furia da un dialogo latino, che si presentava in Italia come stampato a Parigi, ove si diceva d’aver trovato nella Vita del p. Laderchi nientemeno che settantasette errori (M ittarelli, An. Cam., tom. Vili, p. 528). Anche il p. Guido Grandi nel 1707 scrisse contro il Laderchi (in Gaetani, coll. XXV-XCVI). Questi poi nel 1705 stampò se­ dici lettere latine, colle quali aveva accompagnato il dono di un esemplare della sua Vita ad alcuni illustri personaggi. (Registrum epistolarum ad diversos etc. Romae, apud P. Oli­ verium, 1703: p. 3 al card. Durazzo, p. 23 al capitolo e clero faentino, p. 33 ai monaci di S. Maria, p. 47 ai Faentini). Nel­ l’archivio capitolare (Mantissa cartarum, p. 291, armad. Ili, n. 49) c’è una lettera latina in data 17 gennaio 1703, nella quale 1 canonici di Faenza ringraziano il p. Laderchi del suo regalo. Magnani, Romualdo Maria, Vite de’ santi, beati, venerabili e servi

di Dio della città di Faenza. In Faenza, presso l’Archi, 1741. | La Vita di s. Pier Damiano è a pp. 24-44. Magnum Bullarium Romanum Augustae Taurinorum editum. A. Vecco et Soc., vedi Bullarium Diplomatum. M etelli, Antonio, Storia di Brisighella e della Valle di Amone.

Faenza, Conti, 1869-1872. Mittarelli, Johannes Benedictus et C ostadoni, Anselmus, Annales

Camaldulenses. Tomi nove. Venetiis, Jo. B. Pasquali, 1755-1773. Mittarelli, Jo. Ben., De literatura Faventinorum. Venetiis, apud

Modestum Fentium, 1775. — Rerum Faventinarum Scriptores. Venetiis, apud Modestum Fentium, 1771.

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San Pier Damiano e Faenza

5

Montanari, Antonio, Gli uomini illustri di Faenza. Volumi tre.

Faenza, Conti, 1882-1886. — Guida storica di Faenza. Faenza, Marabini, 1882. Mordani, Filippo, Vite di Ravegnani illustri. Ravenna, Roveri, 1837. M uratori, Lodovico, Annali d’Italia. Milano, G. B. Pasquali, 1744-

1749.e P astor, Lodovico, Storia dei papi dalla fine del medio evo. Volu­

mi tre, trad. it. Trento, 1890-1896. P ellegrini, Carlo, I santi Arialdo ed Erlembaldo. Storia di Milano

nella seconda metà del sec. XI. Milano, Palma, 1897. | R ighi, Bartolomeo, Annali della città di Faenza, Faenza, Mara-

xvii

bini, 1840. R ubeus, Hieronymus, Historiarum ravennatum liber quintus, in Gaetani, tom. I, coll. CLXIX-CLXXXII.

Andrea, Compendio della vita di S. Pier Damiano. Faenza, Conti, 1844.

S trocchi ,

— Memorie istoriche del Duomo di Faenza. Faenza, Montanari e Marabini, 1838. — Serie cronologica storico-critica de’ Vescovi Faentini. Faenza, Montanari e Marabini, 1841. T arlazzi, Antonio, Memorie sacre di Ravenna. Ravenna, tipografia

del Seminario, 1852. T onduzzi, Giulio Cesare, Historie di Faenza. In Faenza, per Gio-

seffo Zarafagli, 1675. V algimigli, Gianmarcello, Intorno alla città di Faenza, memorie

storiche. Faenza, per Pietro Conti, 1844. Un volume che de­ corre dai primordii della nostra storia fino al 1072 incl. Quando cito il primo tomo del Valgimigli intendo sempre questo stampato, che corrisponde al primo tomo ms.t Z auli, Dominicus, Observationes canonicae, civiles, criminales et

mixtae tam iuri communi | et legibus universalibus, quam statutis civitatis Faventiae accomodatae. Tomi duo. Romae, ex typographia R. Camerae Apostolicae, 1695.

xviii

e N eukirch, Franz, Das Leben des Petrus Damiani, Göttingen 1875. t V ogel, Albrecht, Peter Damiani. Jena 1856.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Ha scritto intorno a s. Pier Damiano anche il faentino Giambat­ tista Ragusi, abate di Classe in Ravenna ( M i t t a r e l l i , De Lit. Fav., col. 150); ma il suo lavoro non son riuscito a trovarlo. Chi ha la fortuna di conoscere la lingua tedesca può consultare con molta utilità i lavori riguardanti s. Pier Damiano in P o t t h a s t , Bibliotheca Medii Aevi. Berlino, Weber, 1896, p. 1519, 2a ed’., pubblicati quasi tutti in Germania dal 1860 al 1894.

INDICE DEI MANOSCRITTI DEGLI ARCHIVI E DELLE BIBLIOTECHE DI FAENZA CITATI

Aggiunta alla Cronaca di Faenza del cav. Carlo Zanelli (17601783). Tomi due. Nella biblioteca capitolare, scaffale chiuso. Appendix ad Martyrologium Romanum ad usum S. Faventinae Ecclesiae. È della fine del secolo XVIII. Nell’archivio capito­ lare, armadio II, n. 28. Appendix ad Martyr. Rom. ad usum S. Fav. Eccl. Del principio del secolo XIX. NelParch. cap., arm. II, n. 28. Appendix ad Martyr. Rom. ad usum S. Fav. Eccl. Scritto durante il pontif. di Clemente XIV. Nella bibl. cap., scaf. I. Atti capitolari. Nell’arch. cap. Atti consigliari. Nell’arch. municipale. | Rernardinus, Liber Rubeus sive collectanea historica de rebus Faventinorum. Nella bibl. cap., scaf. chiuso. La Vita di s. Pier Damiano fu compilata dall’Azzurini nel 1610 (fol. 108 vers.).

A z z u r r in i,

R o r s ie r i ,

Giambattista, Cronaca. Nella bibl. mun.

Breve racconto della solenne traslazione di S. Pietro Damiani dalla chiesa di S. M. dall’Angelo alla Capella Vescovile e da quella alla Cattedrale sull’altare maggiore e da quello alla nuova capella a tale oggetto accomodata di S. Carlo li 26 febrajo 1826 di d. Samorì maestro di sacre cerimonie. Arch. cap., arm. II, n. 22.

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San Pier Damiano e Faenza

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Breuiarium probabilissimamente del secolo XV senza frontispizio, mancante di molti fogli in calce, che si sarà adoperato nel coro della nostra cattedrale. Arch. cap., arm. IV.fl Capitoli e statuti del Monte di Pietà di Faenza, 12 ottobre 4491. Nella bibl. com. Carte importanti dal 1780 al 1887. Arch. cap., arm. Ili, n. 71. Collectio scripturarum quae spectant ad capit. et extant in ar­ chivio archidiaconatus. Arch. cap., arm. IV, scaf. II, n. 130. | Istrumenti dal 15W al 1552. Nell’arch. munic.

XXI

Lapidi che si trovano nella cattedrale di Faenza estratte nell’anno 1812 nel mese di agosto. Bibl. cap., scaf. chiuso. Lettera della Municipalità di Faenza, 23 febbraio 1797. NeH’arcb. vescovile. Mantissa cartarum. Nell’arch. cap., arm. Ili, n. 49. Matricola dell’arte della lana di Faenza, 1V70. Nella bibl. comunale. Matricula magnificorum dd. doctorum et notariorum Civitatis Faventiae, 19 mart. 1591. Neirarch. notarile. Memorie risguardanti il Capitolo e la chiesa Cattedrale. NeH’arch. cap., arm. IV, n. 124. Monumenta marmorea vel pietà in urbe Faventiae existentia a domino Angelo Maria Spada monaco Celestino collecta nunc in novum ordinem pluribus adiectis pluribus emendatis (accid..., che correzioni! aggiunge di suo carattere il can. Gi­ rolamo Tassinari) digesta a d. Andrea Zannonio eloquentiae in patria magistro, nec non a Caesare Antonio Mengolinio. Scaf. chiuso nella bibl. cap. In fine del manoscritto si legge: « Io Cesar Antonio Mengolini copiai questi |man. faentini da XXII un manoscritto del sig. conte Ridolfo Zauli, aggiungendovene alcuni altri, l’anno 1779 ». P eroni, Francesco, Libro di notizie istoriche (...) esposte (...) in

onore della patria dall’anno 952 a tutto il 1827 e più ol­ tre se ecc. Bibl. cap., scaf. chiuso. Processo della formale ricognizione e solenne traslocamento delle ossa di San Pier Damiani Vescovo, Cardinale, Protettore di a ora III.

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s»Jp!

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Faenza, dalla Chiesa di Santa Maria dall’Angelo alla Catte­ drale della stessa città incominciato li 5. agosto 1825. ed ul­ timato il 26. febbrajo 1826. Per gli atti di Angelo Morigi can­ celliere vesc. di Faenza. Nell’arch. della cane, vesc.; due copie nelParch. cap. (arm. II, n. 22, arm. IV, n. 149) e una nell’arch. mun. Processus super cultu immemorabili praestito Ven. Servo Dei Petro Damiano. Die 18 febr. 1701 -11 mai 1703. Nell’arch. della cane. vesc. Repertorium omnium gestorum, et decretorum per rmum dnum visitatorem apostolicum de anno Dni 1573, in visitatione cathedralis ecclesiae Faventinae, et totius eiusdem civitatis dioecesis. Due tomi nell’arch. cap. (scaf. chiuso): l’originale nell’arch. vesc. | Rogiti Alessandro Grossi 44 e 17 aprile e 28 luglio 1778. Nell’arch. not. Synodi ab anno 1565 usque ad 1597. Nell’arch. della cane. vesc. Statuti della città di Faenza, 4444. Nella bibl. com. Gianmarcello, Memorie storiche intorno alla città di Faenza. Tomi e fascicoli nella bibl. com.

V algimigli,

— Giunte alle Memorie. Ibid. — Promemorie, miscellanee, ecc. Ibid. Z anelli, Carlo, Libro di varie notizie della città di Faenza (1700-

1766). Copia del 1775 nella bibl. cap. (scaf. chiuso), tomi due. Z uccoli, Gregorio, Croniche di Faenza trascritte d’ordine del-

l’illmo sigr conte Giambattista Laderchi. In Faenza, 1730. Bibl. cap., scaf. chiuso. Il eh. ab. Gibelli (p. 60) fa menzione di un’antica cronaca ms. già esistente nell’episcopio di Faenza citata dall’ab. Andrea Vallemani.

M’incombe il grato dovere di rendere vivissime grazie a tutti i cu­ stodi degli archivi faentini della squisita cortesia che mi hanno dimostrato, e specialmente al gentilissimo sig.r d. Antonio Verna, bibliotecario comu­ nale, dell’affettuosa assistenza prestatami durante le mie ricerche.

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PIER DAMIANO NELLE SCUOLE DI FAENZA

Sul terminare dell’anno 1006 o in principio del 1007a nac­ que Pietro nella città di Ravenna di famiglia non ignobile.1 Nella sua fanciullezza ebbe a soffrire moltissimo, prima dalla madre, per lui piuttosto matrigna, poi da un fratello snaturato e dalla cognata, che lo cacciarono di casa a pascere i porci. Ma raccolto da un altro buon fratello, di nome Damiano (che divenne arci­ prete della chiesa Ravennate e dal quale sembra che Pietro abbia preso il cognome),6 fu avviato agli studi.2 Ad apprendere i rudimenti delle lettere fu mandato a Faenza. Il santo medesimo in una sua lettera ci ha tramandato questa | notizia raccontando un fatto edificante da lui appreso nella nostra città, mentre vi attendeva allo studio. «Mentre io — scrive il santo — da giovinetto dimorava nella città di Faenza per ¡stu­ diarvi le lettere, m’accadde di udire ciò che sono per narrare. Nata inimicizia tra due vicini, l’uno cavò gli occhi all’altro. Il cieco, poiché si vide troppo inutile al secolo, si rese monaco. Appresso anche colui che avea recato quella ingiuria, colto da una malattia, chiese ansiosamente l’abito monacale; ma non gli sembrava conveniente di entrare nello stesso monastero per causa di colui che aveva così crudelmente trattato; e i monaci secre­ tamente ne mormoravano. La fama di questa cosa pervenne alle acute orecchie del cieco. Costui allora cominciò a pregare calda­ mente e a scongiurare quanto poteva i fratelli, perchè accoglies­ sero quell’uomo con tutta carità e sé destinassero per suo custode e servo. Con queste importune preghiere ottenne finalmente quello che chiedeva; e così questo buon cieco coll’occhio acuto della sua carità cominciò a servire colui, cui non poteva vedere coll’oc­ chio del corpo. Come un servo diligente lo assisteva vicino al

a La data 25 genn. 1007 del Foglietti (p. 9) non mi garba. b o dal padre morto che si chiamava esso pure Damiano? (F oglietti, p. 279).

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

letto, | lo riscaldava colle coperte, gli porgeva tutto ciò che gli era necessario, lo provocava amorevolmente a prender cibo; e non isdegnava perfino di condurlo, quand’era malato, al luogo delle agiatezze e ricondurlo indietro. Così, così colui, che avea perduto ambedue gli occhi del corpo, risplendeva nell’animo, quasi di due occhi spirituali, della carità e della pazienza ».3 Presso quale scuola della città Pietro facesse i primi studi, nè egli ce lo ha detto, nè gli antichi scrittori ne hanno lasciato me­ moria. Si sa però che allora in Italia non esistevano quasi altre scuole che le vescovili e le monastiche; quindi si può congetturare con molta ragione che il giovinetto frequentasse, o la scuola ve­ scovile presso la cattedrale, o altra scuola monasteriale della città.4c Il santo, già divenuto cardinale, in una sua lettera a papa Alessandro II e al cardinale Ildebrando, che poi fu Gregorio VII, racconta un altro fatto avvenuto a Faenza intorno a questi tempi. « Due personaggi — dic’egli — de’ principali della città di Faenza, morti non piccol tempo fa, apparvero insieme in visione a un diacono. Parevano vestiti di pianete, alla foggia dei sa- | cerdoti, ma di ferro, fluenti fino al tallone.5 Il diacono domandò loro: voi che vi trovate nell’altra vita, benedite voi sempre il Signore? Risposero: noi, che siamo cruciati dal fuoco eterno del­ l’inferno, non benediciamo mai il Signore ».6 Da Faenza Pietro passò a compiere il corso degli studi a Parma, ove d divenne anche maestro. Ma dopo non molto tempo tocco dalla grazia e dall’ispirazione del cielo, si rese monaco nell’eremo di Santa Croce alla Fonte Avellana,7 situato allora nella diocesi di Gubbio;8 e pochi anni appresso ne divenne priore.96 NOTE 1 Nel 1741 fu stampata s. 1. una Lettera (in data 20 agosto dello stesso anno) nella quale si dimostra contro uno scrittore faentino, che Ravenna, e non Faenza fu la patria di S. Pier Damiani, in-4°, pp. 18. Questa lettera, come il Valgimigli ha notato di suo pugno nell’ esemplare che se ne con­ serva nella biblioteca comunale, e come dice espressamente nelle Memorie storiche (tom. I, p. 497 in nota), è dell’ abate Pier Paolo Ginanni di Ravenna, camaldolese. Lo scrittore faentino, contro cui scrisse il Ginanni, se doves-

c Ma vedi F oglietti, pp. 279-280. d o piuttosto a Ravenna? (vedi F oglietti, p. 12). e Novati F., Un dotto borgognone del sec. XI e Veducazione letteraria di S. Pier Damiani, in Mélanges Chabaneau, Erlangen 1907.

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San Pier Damiano e Faenza

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simo credere al Mittarelli (De litt. Fav., col. 139), sarebbe stato un anonimo, che in un opuscolo, stampato a Faenza nel 1741, avrebbe sostenuto quella strana opinione (scriptum quoddam Anonymi Faventini, ibid. e più sotto, hocce opusculum). Ma il Valgimigli medesimo, nel prezioso esemplare del Mittarelli da lui postillato (nella biblioteca comunale), ha notato in margine: « Lo scritto dell’Anonimo Faentino furono le Vite de’ Santi di Faenza di D. Romualdo M. Magnani », e lo ripete nelle Memorie storiche (I, p. 497). Dai brani poi del suo avversario, riportati dal Ginanni (p. 4, 11. 4-5; p. 6, 11. 16-17; pp. 10-11), confrontati col testo del Magnani, si rileva troppo chiaramente che l’illustre abate combatte appunto lo scritto del nostro Magnani. Dopo tutto questo non | si sa spiegare davvero, come il Mittarelli che conosceva benissimo l’opera del Magnani, recante in fronte a caratteri di scatola il nome dell’autore, e che aveva letto senza dubbio l’ opuscolo del Ginanni, cadesse in siffatto errore. Il Magnani poi veramente non contendit probare, come ha il Mittarelli, ibid.; ma riferisce semplicemente l’opinione altrui, quantunque mostri di aderirvi molto volentieri. E cco le parole del Magnani (pp. 24-25): «N acque Pietro (...) a Ra­ venna (...) e se vogliamo credere a qualch’uno che di lui scrisse (e cita in margine Ms. vet. cum Fantagutio in vit. Ss., p. 1), nacque sul territorio faentino». E più sotto: « E si rende molto probabile ciò, che si è detto di sopra, per essere stato secondo l’opinione d’alcuni (non cita alcuno), il fratello Damiano anche arciprete della diocesi Faentina, e per avere l’istesso s. Pierdamiano amata la città di Faenza (...) chiamandosi cittadino d’ essa (e reca l’ autorità di Lorenzo Longo nell’Italia sacra, p. 153) (...) il quale non contento di aver tanto amato questa città, ivi volle ancora morendo depositare il suo corpo ». Non era diffìcile al Ginanni dimostrare che l’ autorità del Longo, del Fantaguzzi e degli altri ms. antichi, citati dal Magnani, non avevano alcun valore contro il testimonio chiaro ed evidente di Giovanni, discepolo e famigliare di Pier Damiano, che nella vita del maestro, lo chiama aper­ tamente cittadino di Ravenna (Ravennae urbis civis, c. I), e Ravenna patria di lui (Ravennam patriam suam, c. XXI); e più contro l’autorità del santo medesimo che, due volte almeno, nelle sue opere chiama Ravenna sua patria o sua città (nostrae patriae, serm. XVII in princ., e urbem nostram, epist. V, 3)d Poteva aggiungere, ciò che del resto l’illustre abate non era obbligato a sapere, che il Fantaguzzi Pietro, citato dal Magnani, prete faentino, parroco di Felisio, che fiori alla fine del Seicento e in principio del secolo |passato, compilatore di alcune vite de’ faentini morti in concetto di santità (il ms. al tempo del Magnani si conservava nell’archivio del seminario, ma ora non c ’è più), in fatto di critica storica lasciava molto a desiderare, come dimostra evidentemente la sua Vita di S. Emiliana (cfr. Mittarelli, De litt. Fav., col. 75 e V algimigli, Memorie storiche, I, p. 496 in nota); e che pel Magnani solevano essere antichissimi i ms. di ap­ pena trecento anni indietro. Che poi il santo monaco di Avellana abbia amato la nostra città di speciale affetto e quivi sia morto, ognuno vede quanto sieno deboli argomenti per affermarlo cittadino di essa. Del resto come poteva il Magnani asserire che Pier Damiano volle, morendo, depo­ sitare il suo corpo a Faenza, mentre sappiamo di certo, da una lettera del

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t opusc. Gratissimus, c. 38.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

santo a’ suoi eremiti di Avellana, che egli desiderava, se altro non fosse piaciuto a Dio, di essere sepolto nella cara solitudine di quell’eremo (opuse. XIV, in Gaetani, III, col. 326)? Mi trattengo su questo argomento più di quello che sembrerebbe ne­ cessario, perchè nella nostra diocesi vi sono non pochi, che colla miglior buona fede del mondo ripetono ancora che s. Pier Damiano è nato nel territorio di Faenza e sanno anche indicare con gran precisione il luogo del suo nascimento, cioè l’ antica pieve del Godo, vicino a Ravenna, che prima del 1787 apparteneva alla diocesi di Faenza. Appare troppo evidentemente dal Magnani l’origine di questa erronea opinione. Si credette, vedremo p oi su quale fondamento, che s. Pier Da­ miano fosse nato di parenti poveri ed abbietti (Magnani, p. 25), cioè che fosse figlio di un contadino; e quindi si suppose che fosse nato nella cam­ pagna vicino a Ravenna. Siccome p oi nei secoli trascorsi il territorio della diocesi Faentina si estendeva molto più che al presente verso la città di Ravenna e si credeva così fosse | stato anche ai tempi del Damiano, e si opinava che la giurisdizione civile di una città si estendesse ab antico quanto si estendeva la giurisdizione ecclesiastica della medesima, si con ­ chiuse che Pier Damiano era nato nel territorio faentino. Il Magnani poi, per meglio sostenere la sua causa, allargò, del tutto arbitrariamente, l’ antico territorio ecclesiastico di Faenza, portandone il confine nientemeno che dentro le mura della metropoli e presso il palazzo arcivescovile! Ma il Ginanni dimostrò molto bene la vanità del fondamento di questa congettura. Fece rilevare al Magnani, che Giovanni, nella Vita, chiama il Damiano civis haud ignobilis, e honestis parentibus editus, e che dal racconto della fanciullezza e giovinezza del santo, come si ha nel medesimo Giovanni, risulta molto chiaramente che Pietro non potè esser figlio di contadini o d’ altri poveri ed abbietti genitori (Lettera, ecc., pp. 4-5).« Degli umili natali del santo parla quattro secoli e mezzo dopo la morte di lui pel primo il Flaminio, seguito dall’Azzurrini (Liber Rubeus, f. 104), dal Rubeus e dal Fortunius, i quali ultimi due sembra vogliano conciliare il Flami­ nio con Giovanni (« obscuro propter paupertatem loco sed ingenuo natus », dice il prim o; il secondo, «honestis quidem parentibus, sed parvis opibus praeditis»). Ma questi scrittori vissuti cinque secoli circa dopo la morte del Damiano hanno ben p oco peso contro l’ autorità di Giovanni, contempo­ raneo e discepolo del santo. Il Ginanni avverte ancora molto opportuna­ mente che Damiano, fratello di Pietro, fu certamente arciprete della Me­ tropolitana Ravennate; ma che fosse arciprete rurale della diocesi Faen­ tina nessuno l’ha mai scritto, e il Magnani lo asserisce senza recare neppure una prova della sua strana asserzione. Filippo Mordani, nella vita di Pier Paolo Ginanni {Vite di Ravegnani illustri, p. 190), dopo aver ricordato la Lettera, della quale ho parlato fin qui, | soggiunge che l’avversario gli si arrese per vinto. Così tutti i miei buoni diocesani, letta questa nota, cessino dal ripetere la stranissima opi­ nione del Magnani. Il cardinale Capecelatro (p. 30) pone la nascita di Pietro nel 1007, e cita per sè il Mittarelli (An. Cam., I, p. 282); il nostro Strocchi invece (Compendio, p. 3, Serie, p. 84) lo pone nel 1006, e cita anch’ egli gli* * Cfr. anche F oglietti, p. 10.

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San Pier Damiano e Faenza

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An. Cam., I, p. 282; ma siccom e Pietro medesimo ci dice (opusc. LVII, c. V) che egli è nato cinque anni appena dopo la morte di Ottone III (« vix piane quinquennio ante meae nativitatis exortum humanis rebus exemptus est tertius Otto »), e Ottone III, come tutti sappiamo, morì il giorno 23 gennaio 1002, Pietro è nato senza dubbio o alla fine del 1006 o in principio del 1007. Nè diversamente hanno gli Ari. Cam.: «su b tìnem huius anni (1006), vel initio sequentis contigit ortus Petri Damiani ». Il Valgimigli (Mem. stor., I, p. 488) scrive: «a lla fine dell’anno 1006, o più giustamente al principio del su ccessiv o»: interpretando il vix piane, appena: pochi giorni prima, o dopo. Ma le parole del Damiano ammettono anche una maggiore larghezza, secondo l’interpretazione degli An. Cam.; ai quali mi sono attenuto. 2 I oannes, Vita, cc. I e II. 3 Opusc. LI, c. XIII. « Adolescentem me in Faventina urbe propter litterarum studia constitutum audire contigit quod enarro », ecc. Il Magnani suppone questo fatto avvenuto a Faenza, anzi (a pp. 74-75) tra le sue Vite di faentini morti in concetto di santità pone anche quella di questo mo­ naco paziente, ma non sa aggiungere altri particolari da quelli riferiti dal Damiano. Anche gli An. Cam. (II, p. 162) pare suppongano il fatto avvenuto nella nostra città, e notano che al tempo del Damiano i monasteri in Faenza erano parecchi, ove il fatto potrebb’ essere avvenuto, per esempio | quelli di S. Maria foris portam, e dei Ss. Ippolito e Lorenzo. Ma son congetture. 4 Quando Pietro venisse a Faenza e quando ne partisse sono cose in­ certissime. Lo Strocchi (Compendio, p. 4, Serie, p. 84) pone la venuta nel 1016 e 1017 e cita An. Cam., I, p. 282 (leggi 377): ma gli An. Cam. non suffragano punto alla sua opinione. Essi hanno riportato nell’anno 1016 tutta la seconda metà del c. I e la prima del c. II della Vita di Giovanni, ove si narrano i duri trattamenti fatti al fanciullo dallo snaturato fratello e dalla cognata, la pietà del fratello Damiano verso di lui, e gli studi a Faenza e a Parma; ma certo i dotti annalisti non hanno preteso che tutti questi fatti avvenissero nel 1016. Si vede ben chiaro che gli annalisti non sapendo come distribuire i fatti della fanciullezza e giovinezza di Pietro, ne posero tutta la storia nel 1016, per collocarla pure in qualche luogo; e nient’altro pretesero. Ad ogni modo mi sembra certo che il giovinetto venisse a Faenza dopo il 1016 o 1017. Giovanni da Lodi ci narra che Pietro fu mandato a scuola quand’ era già grandicello (quem porro iam grandiusculum litterarum apicibus tradidit imbuendum », c. II), anzi che era già grandicello quando dall’iniquo fratello e dalla sua degnissima consorte fu mandato in campagna a pascere i maiali («p o rr o cum iam grandiusculus sub tam iniquis licet oneribus fuisset affectus ad porcos pascendos eiicitur », c. I). Di più, come vedremo, Pietro non aveva ancora terminato i suoi studi nel 1034; il che suppone che li cominciasse tardi. Il Magnani (p. 26) ci vuol far credere che il fratello « lo applicò agli studi sotto buoni precettori, de’ quali allora la città era ripiena, e molto celebre per gli uomini illustri, che in essa fiorivano ». Ma l’ amor di cam­ panile fa dire al buon prete ciò che non si raccoglie da alcun documento antico (cfr. V ai.- | gim igli , Mem. stor., I, p. 401 in nota). Il Tonduzzi (Historie, pp. 174-175) per provare che a’ tempi del Damiano fioriva nella nostra città qualche scola nell’arte del ben dire riferisce un atto di un notaio faen-

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

tino del 1116, terso nella latinità, com ’ egli d ice; ma questo mi sembra vera­ mente poco. Piuttosto addurrei in prova le opere stesse del Damiano; se pure la valentia del discepolo è sempre prova sufficiente della valentia del maestro. Una cqrta dell’archivio capitolare, riguardante una donazione del vescovo Eutichio al capitolo, 23 aprile 1045 (T onduzzi, Historie, pp. 153-155) tra molti principali cittadini faentini presenti a quell’atto ricorda un Aldebrandus de Rainerio Grammatico, e reca le sottoscrizioni di un lldebrandus Scolasticus e di un Rusticus Scolasticus. Dove studiasse il giovinetto nessuno ne ha lasciato memoria. Che p oi il giovinetto stesse lungo tempo in Faenza, come ha il Ma­ gnani (p. 26), e che già fin d’allora riuscisse di gran lode presso tutti i faentini, nessun antico documento ci autorizza o ad affermarlo o a negarlo. Il santo ricorda nelle sue lettere il nome di due suoi maestri, Ivone (opuse. XLV, c. VI) e Manfredo (epist., V, 12), ma non dice se li avesse a Faenza o altrove. | 5 Cfr. Dante, Inferno, c. XXIII, vv. 61-67. Al tempo del Damiano la pianeta era come una cappa. 6 Opuse. XX, c. VI, che gli An. Cam. riferiscono al 1061. Il Magnani (p. 26), non so perchè, congettura che questi due principali faentini fossero sacerdoti. A proposito di questo e di altri fatti miracolosi narrati dal Damiano, non appartiene al disegno di questo opuscoletto esaminare l’ accusa di soverchia credulità datagli dal Muratori; cfr. se vuoi, Capecelatro, pp. 456-457. ^ Un anonimo scrittore del 1480 (Mittarelli, An. Cam., II, p. 347) scrive che il santo, rinunziato all’episcopato, si vesti monaco nel mona­ stero di S. Maria foris portam di Faenza! Un altro lasciò scritto che Pier Damiano prese l’ abito religioso nel medesimo monastero prima dell’epi­ scopato! È incredibile quante fiabe si sieno raccontate di s. Pier Damiano. Giovanni narra (c. IV) che Pietro, prima di chiudersi nell’eremo Avel­ lánense, per provare la sua virtù visse, come già fosse monaco, quaranta giorni in una cella. Il Fortunio h narra che ciò fu a Ravenna; ma il Valgimigli (Mem. stor., I, p. 411 in nota) dice che ciò è un errore, proveniente dalla confusione, che il Fortunio fa, come altri del suo tempo, di Pier Da­ miano con Pier degli Onesti. Secondo altri sarebbe avvenuto a Faenza (ibid.). Ma forse l’opinione del Valgimigli è più accettabile, cioè che avvenisse a Parma. Comunque sia, non mi pare che questo ritiro debba riferirsi al­ l’ anno 1034, come in An. Cam. (tom. II, pp. 27 e 40 e tom. IX, p. 4), ma differirsi ad anno posteriore. In fatti (opuse. XLII, c. VII) il Damiano, scrivendo a Landolfo capo della Pataria Milanese, gli narra, che mentre egli era allo studio di Parma, vicino alla sua casa « clericus quidam, Zeuzolinus nomine, pellicem suam habebat», e che «dum per quinqué |fere annorum lustra in hac luxuriosa voluptate vixissent, ante annum, cum commune ipsius urbis flagraret incendium (...) uterque simul igne consumpti sunt ». L’incendio di Parma avvenne nel 1058 (An. Cam., II, p. 28), quindi questa lettera fu scritta un anno dopo incirca, ante annum; e certamente dopo la celebre missione del Damiano alla metropoli Milanese; poiché scrive a Landolfo: « Mediolanensis civitas tune in seditionem versa, repentinum utique nostrum minabatur interitum ». Ora la missione del Damiano a Mih Cfr. F oglietti, p. 12.

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lano avvenne, come prova eruditamente il eh. Pellegrini (/ santi Arialdo ed Erlembaldo, pp. 312-315) negli ultimi mesi del 1059. Quindi la lettera fu scritta alla fine dell’ anno 1059, o forse anche ne’ primi giorni del 1060, quando il santo, come sappiamo, andava visitando alcune città della Lom­ bardia. Si noti che Pietro com incia la lettera dicendo: « Praestolatus sum et certum tenui, ut, iuxta condictum, sacri ordinis arriperes institutum ». Ora, se l’incendio di Parma avvenne nel 1058,' e per quasi venticinque anni prima durò la vita licenziosa di Zeuzolino, questa ebbe principio nel 1034 o in quel torno; e siccom e Pietro era studente quando quella vita scandalosa era cominciata, in quell’ anno 1034, secondo gli Ari. Cam., bisognerebbe collocare lo studentato di Pietro, il magistero, la sua conver­ sione, i quaranta giorni di ritiro e l’ entrata in Avellana. Ma come può esser questo, mentre Giovanni (c. II) ci racconta che il Damiano, « cum discendi fìnem ex omni liberali scientia peritus fecisset, mox alios erudire, clientum turbae ad doctrinae ipsius famam undique confluente, studiosis­ sime coepit » ; e che « inter ista dum favore populari efferretur, dum divitiarum copia comularetur », ecc.? come può esser avvenuto tutto questo in così breve spazio di tempo? È dunque necessario ritrarre l’anno della conver­ sione del Damiano ad epoca posteriore al 1034, forse al 1037 od anche 1038 (V algim igli , Mem. stor., I, p. 411 in nota). Certo | nel 1042 Pietro era già m onaco; poiché, nel prologo alla Vita di S. Romualdo, composta dal santo dopo avere già abbandonato il secolo, scrive: « e c c e tria jam fere lustra transacta sunt, ex quo beatus Romualdus ad aetherea regna mig ra v it»; e sappiamo che s. Romualdo è morto nel 1027. 1 8 II Mabillon e l’Helliot (V algim igli , Mem. stor., I, p. 405 in nota) posero l’eremo di Avellana nella diocesi di Faenza!!! 9 Senza dubbio prima del 15 febbraio m 1044. Infatti Pier Damiano, scrivendo a Gebeardo, arcivescovo di Ravenna (epist. Ili, 2), defunto in quel giorno (cfr. A m ad esiu s , voi. II, p. 175), ricorda di aver preso la direzione di un pauperculum locum, che si suppone l’ eremo di Avellana. I

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L’ EREMO DI GAMUGNO E IL MONASTERO DI ACERETO

Dalla giogaia d’Apennino che gli abitanti chiamano alpe di S. Benedetto, nella cosidetta Romagna-Toscana, si apre ad oriente una valletta, forse perchè ne’ secoli scorsi ingombra di àceri, chiamata valle di Acereto, percorsa da un torrente dello stesso nome. Questo giunto a Modigliana si congiunge col Tramazzo, che discende per la valle di Tredozio; e tutti e due formano il Marzeno, che vicino a Faenza scarica le sue acque nel Lamone.1 > 10 agosto (F oglietti, p. 11). 1 29 giugno (F oglietti, p. 16). m 20 die. (F oglietti, p. 282 e pp. 18 e 294).

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Pier Damiano, divenuto priore di Avellana, desideroso di propagare anche fuori di quell’eremo il fervore della vita mo­ nastica, fondati due eremi, l’uno nella diocesi | di Camerino, l’altro nel territorio di Perugia, intorno al 10532 pervenne in questa valletta, che allora faceva parte del territorio Faentino. A sinistra del torrente, sul dorso di una montagna selvaggia, chiamata Gamugno, donde nei giorni sereni e chiari si scopre parte della città di Faenza, la fertile pianura di Romagna se­ minata di ville e castelli, e il mare Adriatico che appare come una striscia verde azzurra confondentesi col cielo, vicino ad una cappella od oratorio dedicato a S. Barnaba apostolo e alla B. V. Maria,3 probabilmente in proprietà del conte Guido III di Modigliana, trovò un sito molto opportuno per la vita eremitica; e fattevi edificare delle cellette, diè principio ad un eremo, che prese il nome di eremo di S. Barnaba di Gamugno, e all’eremo diede un priore. Giù a valle, cinque chilometri circa da Gamugno e a pochi passi dal torrente, pure sulla riva sinistra, presso una cappella dedicata a S. Giovanni Battista, anch’essa, com’è molto proba­ bile, di proprietà del conte Guido, costruì un monastero, che ebbe nome monastero di S. Giovanni di Acereto, e sopra quei monaci pose un abate.4 | Oltre la religiosa liberalità del conte Guido, credo inducesse Pier Damiano a fabbricare colà un eremo e un monastero la me­ moria di s. Romualdo, suo concittadino e carissimo padre e mae­ stro nella vita eremitica, il quale nello scorcio del secolo decimo poco di là discosto aveva edificato un monastero, chiamato di S. Benedetto in Alpe e verso il 1021 l’aveva onorato di una sua visita.5 Distinguevasi allora, molto più accuratamente che ora non si faccia, un eremo da un monàstero; e molte volte l’eremo e il mo­ nastero erano due parti distinte e separate di una stessa fonda­ zione. Nel monastero o cenobio « era la chiesa e un chiostro con le celle per i monaci e tutte le parti necessarie agli usi privati e comuni di medesimi ». Nell’eremo, luogo più remoto e selvaggio del monastero, in discreta distanza da questo, abitavano gli ere­ miti in celle tra loro separate, per lo più a due a due per cella; e vi conducevano un vita più contemplativa e più austera dei cenobiti.6 A queste due religiose famiglie, o meglio porzioni della stessa famiglia, Pier Damiano diede le regole e le costituzioni, diverse per | l’una e per l’altra,7 che furono accettate;8 e si diede pre-

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mura, come egli stesso scrive, di farle osservare più tosto che di tramandarle per iscritto.9 Incredibili erano le austerità prescritte a’ suoi tìgli dal Da­ miano. Gli eremiti di Gamugno non mangiavano carne mai. Digiu­ navano, eccetto la domenica, quasi tutto l’anno; cioè dall’ottava di pasqua alla Pentecoste quattro giorni per settimana, che erano il lunedì, mercoldì, venerdì e sabato; dall’ottava di Pentecoste alla festa di S. Giovanni Battista cinque giorni la settimana, meno il giovedì; da questa solennità fino al giorno tredicesimo di set­ tembre di nuovo quattro giorni, e cinque dal tredici di settembre alla pasqua. Il digiuno di quegli eremiti consisteva nel mangiare soltanto pane, e questo anche misurato, sale e acqua: se si ag­ giungeva qualche altra cosa, il digiuno non era perfetto. Anzi nelle due quaresime antecedenti la pasqua e il natale, anche nei giorni liberi dal digiuno, come il giovedì, la domenica e poche altre solennità straordinarie, mangiavano una sola minestra, non toc­ cavano pesce o vino fuorché in quattro o cinque giorni soltanto, raris- |sime volte o mai facevano uso di cose cotte, ma di pomi, di radici d’erbe e di legumi o in funsione o alle volte bolliti.10 Era però in facoltà del priore di alleviare, secondo le regole della discrezione, tanto rigore di penitenza.11 Al digiuno aggiun­ gevano altre austerità, come genuflessioni frequenti, prostrazioni, llagelli e cose somiglianti.12 Vestivano poveramente, e nella cella, d’inverno e d’estate, stavano sempre a piè nudi e nude portavano le gambe sotto la tonaca monacale.13 Tenevano nella cella rigo­ roso silenzio, come neH’oratorio; cogli ospiti era proibito parlare.14 Oltre le ore canoniche recitavano nella cella insieme due salteri ogni giorno, l’uno pei vivi e l’altro pei defunti.15 Perfettissima in in essi la povertà,16 prontissima l’obbedienza,17 intima la carità fraterna.18 Malgrado tanti esercizi di penitenza e sì lunga salmodìa i figli di Pier Damiano trovavano il tempo per attendere anche allo studio e al lavoro manuale.19 Come a Fonte Avellana20 così ad Acereto, si rileva abbastanza chiaramente da una sua lettera, Pietro procurò si formasse una piccola biblioteca. Ma l’abate di Acereto, dopo aver | comprato i libri, non trovò la somma suffìciente per pagarne il prezzo, e si rivolse per aiuto al Damiano. Il Damiano anch’esso, quantunque già vescovo e cardinale, tro­ vandosi a corto di denaro, pensò di mandare l’abate a Goffredo, marchese di Toscana, consegnandogli questa lettera piena di fe­ stività, molto famigliare al santo dottore: «Questo nostro fi­ gliuolo — egli dice —, l’abate del monastero di S. Giovanni Bat-

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tisi a, ha comprato una biblioteca; ma perchè non può, causa l’inopia che lo preme, pagarne il prezzo, è stato costretto di ri­ correre a me. Ma io ciò che al presente non ho gli concedo licenza di domandare ad altri. Ciò che il povero figliuolo non può con­ seguire da noi, cioè da noi vescovi ricchi, ottenga almeno da voi, e sia consolato da voi, piccoli e poveretti». E dopo poche altre cose conchiude esortando il marchese a confidare non nel ferro o nelle armi, ma nelle opere di carità.21

Perchè l’osservanza regolare non si allentasse, Pier Damiano era solito di visitare spesso i suoi figliuoli, sparsi qua e là negli | eremi e monasteri da lui fondati, o per lettera, o per mezzo di qualcuno dei discepoli più fidi, o anche in persona. Nessun dubbio che egli non facesse altrettanto con le sue care istituzioni di Ace­ reto e di Gamugno, e specialmente con quest’ultima; poiché amava e raccomandava la vita eremitica molto più della monastica contento ne’ pensier contemplativi

come ben disse di lui l’Alighieri.22 Il santo era molto probabilmente a Gamugno,“ quando gli av­ venne il fatto maraviglioso, descritto da lui medesimo in una let­ tera a Rodolfo e Ariprando, monaci, suoi carissimi discepoli. Dopo aver detto che è proprio dell’amicizia comunicare ai fra­ telli i lieti e tristi avvenimenti, soggiunge in tono di piacevole scherzo: «V i partecipo, o fratelli, la beata storia di mia cala­ mità (...) Spesso aveva pregato Dio, perchè il vigore della celeste disciplina castigasse la petulante insolenza del mio corpo. E la di­ vina clemenza non ha disprezzato la mia preghiera, anzi (...) ha con usura adempiuto i miei voti. Essa mi ha dato una pentecoste, |non lieta, ma lugubre, e, se così posso dire, un giubileo, non risonante dei clangori delle trombe sacerdotali, ma piuttosto di sospiri e di gemiti. Un giorno di domenica colto dalla febbre mi posi a letto, e, dopo passate sette settimane, un giorno di domenica pa-

a Prima di tutto il Foglietti (p. 38 in nota) suppone l’ op. Gratissimus scritto a Gamugno nel 1052, luglio, prima ancora che, secondo gli Annales Camaldulenses, l’ eremo fosse edificato. Ma le ragioni della nota non mi sembrano convincenti. Non poteva Pier Damiano nominare coi nomi huius i viventi in Faenza e Imola e his la Romagna, perchè cose ad Enrico are. vicine?

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rimente, cioè cinquanta giorni dopo quella prima domenica, per grazia di Dio mi levai di letto. Ma violata per incuria, come i me­ dici asserivano, la legge della dieta, trascorsi appena tre o quat­ tro giorni di malferma sanità, rincappellai e per altri venti giorni soffrii la medesima malattia. Così dopo un giubileo, non di quiete ma di tempesta, si è compiuta in certo qual modo la settantesima settimana della cattività (...) Dio però mi ha concesso la grazia di non mormorare e di non lamentarmi mai, ma di sopportare tutto volentieri (...) Era nell’eremo un fratello di nome Leone, vecchio d’anni, ma più venerabile (...) per la purità e semplicità dell’animo. A costui apparve in sogno un personaggio ragguardevole, splen­ didamente vestito, che gli domandò che cosa facesse. A cui il fra­ tello rispose che dormiva, ma che era molto triste per la morte imminente del priore. Ed egli: di’ a Pier Damiano, di | cui mi parli, che non ponga nei medici alcuna speranza; dia da mangiare a cento poverelli e guarirà subito. A cui quel buon vecchio, piutto­ sto che di questa vita, sollecito della vita migliore, avendo doman­ dato: Signore, avrà egli il paradiso? rispose: oh in paradiso c’è quanto prima; ma digli che, non sì tosto avrà dato da mangiare a’ poveri, godrà della sanità primiera (...) Il fratello raccontò la vi­ sione ai fratelli; e la carità dei fratelli (...) fece l’elemosina agl’in­ digenti: (...) e così il giorno dopo, ritornata la sanità, guarii (...): ma per il languore dello stomaco non poteva prendere i consueti alimenti. Allora, non vi essendo pesci nell’eremo, i fratelli comin­ ciarono a importunarmi con calde e veementi istanze, perché al­ meno per tre giorni consentissi all’esausto corpo i cibi di grasso (...) Ma io raccontai loro la burla che fece tempo fa il conte Farolfo a certo monaco (...) Il conte, stando a mensa con quel monaco, cominciò a pregarlo che si cibasse di carne, come necessità richie­ deva, perchè pesci non c’erano. Il monaco da prima si ricusò, ma poi cominciò a poco a poco ad ammollirsi, e finalmente, mosso con gran diletto dalle esortazioni del conte, | piegò l’animo suo. Si portò in tavola un bel lombo di porco: e quel monaco poltrone alle lusinghe de’ commensali stoltamente si persuase quello non esser carne e però potersi mangiare senza colpa (...) Così adunque ingannato (...) quel fratello cadde e, come un uccello, s’invischiò nella pania.6 Da prima tingendo di rossore la faccia vereconda, e temendo gli occhi di coloro, che intorno intorno lo guardavano, cominciò a biascicare a fior di labbra; poi, presa una volta la

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b A p. 51 il Foglietti dice che Pier Damiano scrisse da Gamugno (1055) all’ arcidiacono Almerico (epist. V, 5): ma non accenna il perchè.

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libertà di mangiare, sciolse i freni della gola. Ma, mentre il mo­ naco avea già saziato il suo desiderio di carne, ecco lo scalco portò in tavola un grandissimo luccio, che rivolse verso di sè gli occhi dei commensali. Anche il monaco lo ammirava e con avida curio­ sità a bocca aperta piantava gli occhi sopra il pesce. Ma il conte disse: tu che hai mangiato la carne come un laico, perchè badi al pesce come un monaco? Oh, certo se tu riuscirai a mangiare anche il pesce, potrai cantare molto bene quel versetto del salmo: Meus est Galaath et meus est Manasses (Galaath è mio e mio è Manasse). Sappi ora che, se tu ti fossi astenuto dalla carne, 10 ti aveva preparato a bella posta questo pesce; | ma poiché colla carne hai saziato l’appetito della carne, dopo i ghiotti cibi di carne questo pesce non entrerà nella tua gola (...) Così, così forse, miei cari fratelli, farà con me il Signore, che, quando avrete ot­ tenuto che io mangi della carne, si degnerà mandarmi una bene­ dizione di pesci. E quando vedrò, per grazia di Dio, soprabbon­ darmi dei pesci, mi pentirò di aver violato per impazienza della gola il mio proposito. Detto fatto. Tre giorni dopo mi furono por­ tati da Guido conte d’Imola e dalla città di Faenza tanti pesci, che per molti giorni non mi mancò il companatico ». Questo fatto successe a Gamugno prima dell’elevazione del Damiano al vescovado d’Ostia e al cardinalato, avvenuta, secondo l’opinione più probabile, il 14 marzo 1058.230 Poco tempo dopo, nel 1060 come sembra, salì di nuovo la montagna di Gamugno. Fin a quel tempo l’eremo e il monastero avevano goduto in comune i beni, che il conte Guido III, e forse altri ancora, avevano donato al santo fondatore. Ma questo pos­ sesso in comune avea dato origine a’ dissapori e contese tra il priore e l’abate. Pier Damiano, per tórre ogni occasione a |future liti e discordie, alla presenza del conte Guido e di Ermellina, sua consorte, divise i beni tra il monastero e l’eremo, e rese indipen­ dente questo da quello. Ciò non ostante volle che d’ora in avanti l’abate di Acereto ricevesse con carità gli eremiti di Gamugno malati e li ritenesse nel monastero, finché fossero guariti, e che 11 priore accogliesse volentieri quei cenobiti, che volessero per qualche tempo menare nell’eremo vita più rigida e penitente.24d

c II Foglietti (p. 56) pone il vescovado nel dicembre 1057. E il fatto della malattia colloca (p. 113) nella fine del 1064 o principio del 1065. E a Gamugno scrisse l’ epist. I, 11. d A questo argomento, secondo il Foglietti, apparterrebbe anche l’ epist. II, 9 ad Ildebrando (p. 121).

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Anche nell’anno seguente, verso la fine di luglio o in principio d’agosto, il santo dimorava a Gamugno. Là gli occorse quel fatto maraviglioso raccontato da lui stesso nelle Vite dei ss. Rodolfo e Domenico Loricato, indirizzate ad Alessandro II poco dopo il 28 ottobre di quell’anno: « Gesù mi sia testimonio — scrive al papa —, non mento. Non sono ancora trascorsi tre mesi, che, soggiornando nell’eremo di Gamugno, vennero a me due giovani monaci, l’uno del ducato di Spoleto, come essi dissero, e l’altro della città di Pola nel do­ minio de’ Veneziani. Il veneto, di nome Michele, (...) nel principio di sua conversione si era stretto attorno attorno alla vita di | un cerchio di ferro e col pregare istantemente Dio, che, quando egli trovasse un luogo adatto alla salute dell’anima sua, di subito quel cerchio si spezzasse. Ora lo stesso giorno che entrò nell’eremo, dopo tre ore appena, mentre stava sillabando alla meglio la regola di S. Benedetto (...) subitamente per la compunzione si disciolse in lagrime; e nello stesso momento quel cerchio di ferro apparve spezzato. Non guari dopo gli comandai di andare a Ravenna per portarne i fardelli e le bazzecole, che uscito di nave vi aveva la­ sciato. Quivi presso le officine dei fabbri inventò nuovi legami di ferro, e (...) se ne strinse le membra. Due strisele di ferro gli pen­ devano dal collo giù per le spalle, da una parte fino al ventre, dall’altra fino al femore, e legavano il ventre colle reni. Due cer­ chi cingevano le coscie, due le braccia. Trincerato, direi quasi, da tanti legami, ritornò a noi secretamente; mostrò ciò che avea fatto; a stento ottenne che io non glieli facessi levare. Ma questi legami lo tormentavano oltre le sue forze; e dalle peste carni co­ minciò ad esalare cattivo odore (...) La fama di questo fatto co­ minciò a volare fuori dell’eremo, prima per bocca dei |fratelli, e poi di tutti quelli che capitavano all’eremo. Il buon fratello, spre­ giatore della vana gloria, turbossi fortemente, e pregò la miseri­ cordia di Dio onnipotente, perchè colla sua potenza gli indicasse e palesasse evidentemente la sua volontà intorno all’intrapresa penitenza. Mentre insisteva frequentemente in questa preghiera, due volte udì in sogno che quei legami di ferro erano già stati sciolti per virtù divina. Nel giorno della festa dei Ss. Simone e Giuda apostoli, che or ora abbiamo celebrato, mentre coi fratelli cantava l’ufficio notturno, ecco quei due ferri, che dagli omeri pendevano di qua e di là e stringevano il ventre colle reni, si spez­ zarono, l’uno in due, l’altro in tre parti. Gli altri cerchi non si

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e Penitenza con cerchi di ferro: Acta SS. Febr. I, p. 239, n. 10. 3

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ruppero, ma si allentarono in tal modo e divennero per una tal quale morbidezza così flessibili, che parevano piuttosto di piombo che di ferro, così che, se avesse anche voluto stringersi con essi, non avrebbe potuto ».25 A proposito di questa terribile peni­ tenza del discepolo di Pier Damiano vengono spontaneamente sul labbro le belle parole del Nazianzeno: «Perdona, o Cristo, ai pii uomini troppo rigidi e che troppo in se | medesimi incrude­ liscono, i quali sono così vinti dal fervore dell’animo che niuna forza, o niun freno li può tenere nei limiti. Quanto pochi sono coloro che abbisognano di questo perdono, e quanto è bello l’averne mestieri ».26f Due anni dopo, il 6 maggio 1063, Pier Damiano riceveva in Gamugno da Pietro, vescovo di Faenza, consenziente tutto il clero della sua diocesi, donazione di molte terre all’eremo di S. Bar­ naba, a condizione che i beni donati passassero al monastero di Acereto, se mai l’eremo venisse a mancare.27 In una di queste dimore, o in altra di cui non ci pervenne memoria, l’eremo di Gamugno fu onorato di un altro strepitoso miracolo, descritto da Giovanni da Lodi nella vita del maestro: « Un giorno — egli dice — mentre Pietro stava dentro la cella nell’eremo di Gamugno, comandò a un fratello, che lo ser­ viva, di portargli da bere. Costui andò subito alla fontana e re­ cògli da bere. Ma Pietro gustato che l’ebbe conobbe esser vino; cominciò allora a sgridare quel discepolo, che invece di acqua gli avesse portato | del vino. E siccome costui affermava di aver attinto dal fonte, il maestro gli porse la sua medesima bevanda, gli comandò di gustarla e di convincersi da se stesso della sua bugìa. Gustò egli, e, benché sentisse il sapore del vino, com’era in verità, tuttavia, ben conscio di ciò che aveva portato, asseverò di aver attinto quella bevanda dal fonte. Non gli si prestò fede. Si mandò un altro fratello al medesimo fonte, si comandò di te­ nergli dietro, perchè anch’egli similmente non ingannasse. Costui riempì un vasetto nel medesimo fonte, tornò in fretta e lo con­ segnò al maestro. Ma Pietro bevuto che ebbe trovò essere anche questo vino di buona qualità. Anche i fratelli che erano con lui, gustato del medesimo vaso, sentirono il vino generoso, e pieni di maraviglia e di allegrezza cominciarono a lodare e benedire il Signore. Ma Pietro, prostratosi in ginocchio davanti a loro, li sup-

f II Foglietti (p. 88) pensa che nell’ottobre 1061 s. Pier Damiano tor­ nasse a Gamugno ov’ era il 28 del mese; che di là scrivesse pure nel nov. 1061 ai Capellani di Goffredo (pp. 89-90).

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plico, anzi in virtù di santa obbedienza proibì loro di palesare ad alcuno l’avvenuto, finché fosse vivo. Per questo accadde — seguita il racconto di Giovanni — che prima della sua morte non potei saper nulla di questo fatto. Ma, dopo celebrata in Faenza la se­ poltura | del maestro, partitomene per tornare ad Avellana, mentre albergava nel monastero di Acereto, prima fermata del mio viaggio, mi fu riferito (...) da alcuni fratelli di quel monastero e da alcuni eremiti di Gamugno, che in quella circostanza erano convenuti nel monastero».28 Poco discosto dall’odierna chiesa parrocchiale di Gamugno scorre una fonte d’acqua purissima e freschissima, restaurata dalle lodevoli cure di quell’egregio par­ roco, creduta per antica tradizione la fonte miracolosa, donde l’acqua attinta dal discepolo di Pier Damiano mutossi in vino.29

Tra le lettere del santo se ne trovano due scritte agli ere­ miti di Gamugno. La prima, probabilmente del 1063, è una lettera di rimprovero e di esortazione. Pietro ha saputo da un personaggio venuto da Milano (si crede il celebre Erlembaldo) e salito a Gamugno per ritrovarlo, che quegli eremiti ne’ loro discorsi spesso e volen­ tieri si abbandonano a’ motti e a ciance oziose, e che anche coi secolari s’intrattengono in ischerzi e frascherie. Gli si è aggiunto, | che certe sue disposizioni relative alla temperanza monastica si sono colà del tutto poste in dimenticanza, come di non ber vino e mangiar pesce, e non prendere se non una minestra sola nei giorni delle due quaresime liberi dal digiuno, ed altre cose so­ miglianti; e di più che contro al suo volere gli eremiti ricevono elemosine dai secolari indifferentemente, e che cercano d’arric­ chire in pubblico e in privato. Pier Damiano così geloso dell’esatta e severa osservanza delle regole più minute della vita monastica, santamente sdegnato prende la penna e scrive agli eremiti di Ga­ mugno una lunga lettera rimproverandoli acerbamente. Dimostra loro con ragioni ed esempi come sia bella e proficua la povertà e l’austera temperanza monastica; li esorta caldamente a ritor­ nare allo stretto adempimento delle antiche costituzioni; e dopo i rimproveri amari chiude la sua lettera con queste dolci e soavi parole. «Perdonate alla mia bocca, dilettissimi: e, se forse ho ecceduto in qualche cosa i limiti della modesta correzione, ascri­ vetelo piuttosto a zelo e a fraterno amore che a livore dell’animo... Il medico delle anime, Dio onnipotente, questo assenzio delle |

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mie parole vi rivolga in dolcezza; e tutto ciò che in voi è freddo, tutto ciò che in voi è oscuro, colla fiamma del suo spirito illu­ mini e accenda ».30 La seconda lettera, scritta poco tempo prima della sua morte, porta questo titolo riboccante di umiltà e di amore fraterno: « Ai santi fratelli dell’eremo di Gamugno Pietro peccatore, monaco, il bacio di pace nello Spirito Santo. — E continua: — I conduttori delle case che si danno in pensione, o i procu­ ratori dei campi, nel tempo di loro castalderìa, non permettono che sieno diminuite le esazioni dei canoni. Anche noi, cui non è stata commessa la cura di cose di lieve momento, ma delle anime vostre, temiamo assai per noi stessi, se il reddito delle vostre biade da collocarsi ne’ granai del Signore si diminuisce, e se il penso di vostra servitù per la nostra colpevole connivenza, il che Dio tolga, non è adempiuto (...) Ma come è giusto che tenia­ mo noi (...) così è giusto che voi aneliate con grande allegrezza alla corona proposta alle vostre sante fatiche (...) Tra gli altri fiori di vostra santa conversazione, tra gli altri argomenti di pietà vi raccomando la regola dei quttro [ digiuni per ciascuna settimana, che nella mente di certuni già comincia a vacillare (...) Come nelle due quaresime di natale e di pasqua, quando si digiuna cinque giorni della settimana, cioè il lunedì, il martedì, il mercoldì, il venerdì e il sabato, nel martedì le menti dei deboli sono combat­ tute dalla tentazione di non digiunare in quel giorno, così negli altri tempi dell’anno quando si digiuna quattro giorni, il lunedì, il mercoldì, il venerdì e il sabato, i deboli sono combattuti dalla tentazione di non digiunare anche in quest’ultimo giorno ». Dopo questo principio il santo comincia ad encomiare con ragioni e con esempi l’antico uso monastico di digiunare quattro giorni della settimana, specialmente il venerdì in onore della Croce e il sabato in memoria della sepoltura del Salvatore; e conchiude: « Di quella grande e ardua vita degli antichi eremiti ornai non rimangono che tenui reliquie. Ricordatevi, o fratelli, che come noi non rimettiamo in vigore ciò che i nostri maggiori hanno tra­ lasciato, così i nostri successori non ristabiliranno ciò che verrà a perire per nostra negligenza (...) Ma se il rigore della vita eremi­ tica deve diminuirsi, [ cominci a rallentarsi e ammollirsi per opera d’altri: non siamo noi i primi di questa sacrilega frode (...) Non c’incresca digiunare il sabato. Castigando col digiuno i nostri corpi ci seppelliamo, per così dire, in questa vita col nostro Re­ dentore; ma poi risorgeremo con lui e banchetteremo con lui nel convito della gloria celeste ».31

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Prima di morire Pier Damiano scrisse da Avellana una let­ tera brevissima a tutti i suoi religiosi, sparsi negli eremitaggi da lui fondati o stabiliti sotto la sua custodia. Questa lettera sarà giunta senza dubbio anche a Gamugno e ad Acereto. In essa il santo vecchio si compiace che tutti i luoghi commessi alle sue cure, durante la sua vita sieno stati come un cuor solo e un’anima sola per il dolce vincolo della carità: e prega lo Spirito Santo che anche dopo la sua morte vigoreggi tra loro il medesimo fra­ terno amore. Tuttavia, poiché, rattiepidendosi la carità, non ab­ biano, per causa di privato amore della roba, a nascere tra loro contese o divisioni, li prega e li scongiura per il tribunale del­ l’Eterno Giudice, che, dopo la sua morte, qualunque luogo si tro­ verà, col suo permesso, in possesso di | qualche cosa da lui destinata ad altro luogo, subito con tutta semplicità gliela resti­ tuisca; e chi trasgredirà i suoi ordini sia scomunicato, finché non abbia dato congrua soddisfazione.32 *



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L’eremo di Gamugno e l’abazia di Acereto durarono in vita fino al principio del secolo XVI.33 Ma affievolita, come ben si può credere, l’antica osservanza monastica e diminuito il numero dei religiosi, Clemente VII estinse le dire antiche fondazioni del Da­ miano, e unì i loro beni alla mensa capitolare dei canonici di S. Lorenzo di Firenze.34 Parte dei beni formarono il fondo di due chiese parrocchiali rette da cappellani nominati e dipendenti dal capitolo medesimo, che ora hanno il titolo di parroci, e dal 1866, per le leggi sovversive dell’asse ecclesiastico, non dipendono più da quel capitolo.35 Nel 1428 la valle d’Acereto passò dalla signoria di Lodovico Manfredi, conte di Marradi, sotto il dominio della repubblica di Firenze,36 e nel 1854, erettasi da Pio IX a istanza di Leopoldo II, granduca, la nuova | diocesi di Modigliana, la giurisdizione ecclesiastica sopra la valle fu tolta ai vescovi di Faenza. A sommo della parete della chiesa di Gamugno a sinistra di chi entra, un’iscrizione latina, incisa a scalpello su di una pietra di quei luoghi, ricorda l’antica fondazione di Pier Damiano.37

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NOTE 1 Metelli, Storia di Brisighella, I, pp. 101-103. Il torrente ha origine nella parrocchia di Gamugno in un podere detto Poggiòlo del Forcone. 2 È una congettura in M i t t a r e l l i , Ari. Cam., II, pp. 134-135 e 233; Ber. Fav. Script., col. 401.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

3 Da una carta del 14 ottobre 1065 si apprende che l’ oratorio di Gamugno, oltre che a S. Barnaba, come si legge in tanti documenti, era sacro alla B. V. (Mittarelli, An. Cam., II, coll. 193-104; Rer. Fav. Script., col. 403). 4 I oannes, c. VII. L’ imperatore Lotario (t 855), secondo il Tolosano (Rer. Fav. Script., col. 23), « curtem Aceretam (...) ad pedes alpium positam faventino supposuit comitatui ». Il cardinale Capecelatro (p. 68) per una svista pone Acereto nel territorio di Rimini, e il eh. Mini (Marradi, Ca­ strocaro 1892) dà il nome di abazia a Gamugno e di eremo ad Ace­ reto (pp. 51-52). Il nome dell’eremo è Gamonium in Giovanni (cc. VII e V ili), nel Flaminio Gamunium, nel Fortunio Ganvinium, nunc Gavina, nel Rubeus Gavinium, nunc Gavina (questi due confondono evidetemente Gamugno con Cavina, villa del comune di Brisighella); il Mittarelli (Rer. Fav. Script., col. 705) scrive Gamundium, Pier Damiano Gamugnum (epist. VI, 36 e altrove), altri (An. Cam., II, App. coll. 191-193) Gamognum; il cardi­ nale Capecelatro ora Gamonio (p. 68), | ora Gammonio (p. 72), il Tonduzzi (p. 61) Gamundio, il Magnani Gamugno o Gamundio, altri in altro modo. Gli abitanti del luogo dicono Gamogna. Le carte topografiche della provincia di Firenze, ove trovasi adesso quella località, hanno Gamugno. Non è stato più fortunato presso gli scrittori il nome del monastero. Presso Giovanni e il Valgimigli è Acereta (Mem. stor., I, p. 373 in nota 2), e così dicono anche gli abitanti della valle. Nel Flaminio è A cerete, A rcere nel Fortunio, in un diploma di Onorio III, 1218 (in An. Cam., IX, p. 45), Agereto, e presso l’Azzurrini (Liber Rubeus, f. 106) Alcereto. Lo Strocchi, il Magnani, il Metelli, le carte topografiche della provincia hanno A cereto. Nel Saletti, Compendio della Storia di Brisighella, in un ms. del secolo passato presso il signor cav. Giuseppe Montanari leggo questa curiosa derivazione etimo­ logica di Acereto e Gamugno: «A cereta o Azereta quasi Azaleta da Azalo figlio di Arpaxeo, figlio di Samo, e così pronipote di Osiri. Gamogna, cioè Zamonia da Zame Nania figlia di Nino pronipote di Osiri » : Risum teneatis amici! Che il fondatore dell’ eremo e del monastero sia stato Pier Damiano è così chiaro per le parole di Giovanni (1. c. « in comitatu Faventino congruum reperii locum, qui nuncupatur Gamonium, ubi praeparatis habitaculis dei famulaturos constituit (...) et vicinum huic loco monasterium, quod Acereta dicitur, construxit »), che non so come gli An. Cam. (tom. II, p. 234), e il Valgimigli dopo di loro (Mem. stor., I, pp. 373-374) abbiano potuto metterlo in dubbio. Che ove sorsero il monastero e l’eremo esistes­ sero già due cappelle od oratori, di proprietà del conte Guido, non è certo im probabile; che il conte e la sua consorte fin da principio si sieno resi benemeriti delle due fondazioni con ricch i doni d i terre, è più che p ro­ babile; ma che per ciò i due coniugi debbano chiamarsi prim i fondatori (primi fundatores), colla debita riverenza agli illustri Annalisti, mi sembra un p o ’ troppo. Adducono in prova la carta di Cinamello notaio del ter­ ritorio faentino, ritrovata dal Ginanni (Capecelatro, p. 531) nell’archivio di S. Lorenzo in Firenze, ove passò dall’ antico archivio di Gamugno, e dal sillabo delle carte di quell’archivio riferita al 1060 (cfr. Mittarelli, An. Cam., App. al tom. II, coll. 171-173, che giudica | la carta di Cina­ mello opera di Pier Damiano, tom. II, pp. 233-235; forse volle dire che i sensi di quello scritto, specie in principio, furono suggeriti dal santo):

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« et abbas monasterii (Aceretani) et prior heremi (Gamugnensis) inter se invicem sepe dissentiunt quoniam et eorum subditi diversis utentes re­ gulis non eiusdem conversationis instituta custodiunt (...) heremus Gamugni eodem discrecionis moderamine et libera sit et subiecta. Libera quidem si in suo statu permaneat hoc est si conventum monachorum habuerit qui vitam heremiticam teneant et sub priore regulariter vivant. Subiecta vero in hoc tantum modo ut per unumquemque annum monasterium Acerete duedecim denarios Veneticorum pro pensione persolvat (...) Ita dividimus ut monasterium, que sui juris sunt, in circuitu cuncta possideat usque ad locum, qui Jumentella dicitur. Inde eciam per medium radium usque ad montem rotundum et usque ad flumen per rivum, ipso tamen monte in pos­ sessione monasterii permanente. Ab istis itaque locis omnia que ad montana contendunt heremus teneat idest a predicta Jumentella et predicto monte rotundo per ipsam currenciam fluminis usque ad montem Ceresam, alia vero alpes equaliter inter heremum et monasterium dividantur. Habeat etiam heremus ecclesiam Sancti Donati in Mutiliano cum omnibus suis pertinentiis, exceptis duobus molendinis, que ipsum monasterium tenet, et insulam iuxta molendina positam, in qua, qui ea custodiunt, modo habitare videntur, et que per donacionis paginam a donatoribus obvenit prefato heremo in loco Fagnaula et in Pozolo simili modo permaneat iam dicto monasterio nam campum Liverani permaneat heremo (...) Cuncta vero quecumque nostri juris sunt sive in Treudacio sive in Rivagutti sive in Resamo sive eciam in Castagnaria sive in Coreula (...) vel in quibus libet locis omnia monasterium sine ulla prorsus contradicione possideat cum toto iure quod habemus in monasterio Sancti Benedicti (...) ». Ma questa carta non prova, | a parer mio, ciò che si vorrebbe. Il notaio, dopo aver detto non essere meraviglia che tra l’ abate di Acereto e il priore di Gamugno fossero nate delle contese in causa delle possessioni, perchè i sudditi del­ l’ uno avevano regole diverse dai sudditi dell’ altro, soggiunge che Pier Damiano (venerabilis pontifex; certamente presente quantunque la carta noi dica), presenti e consenzienti il chiarissimo conte Guido ed Ermellina, sua serenissima consorte, stabilisce che l’eremo d’ora in avanti sia indipendente dal monastero, ma che ogni anno paghi al monastero dodici de­ nari veneti; divide i beni fino allora indivisi tra l’ eremo e il monastero, ecc. Ora dalla presenza e dal consenso di Guido ed Ermellina nell’ atto di di­ visione si può certo arguire che i due luoghi fossero in origine dei due coniugi e da loro donati al Damiano con altri poderi per edificarvi l’ eremo e il monastero; ma che da questo si debba dire che i due primi fondatori furono i due coniugi, non mi sembra certamente. Che poi le fondazioni suddette si facessero d’ accordo col vescovo Eutichio di Faenza e coi Faentini, come asserisce lo Strocchi (Serie, p. 91), non è certo incredibile; ma gli antichi scrittori non ne hanno parola. 5 An. Cam., I, pp. 181 e 402. 6 Gibelli, Monografia, pp. 17-18. 7 Vedi carta di Cinamello, nota 4 sopra; ed epist. VI, 32 di S. Pier Damiano in Gaetani, I, col. 228, 11. 4-6. 8 Epist. VI, 32, in Gaetani, I, col. 233, 11. 52-60. 9 Epist. VI, 32, in Gaetani, I, col. 228, 11. 13-14. 10 Opusc. XIV e XV, cc. 5, 6, 8, 15. 11 Opusc. XIII, c. 19; XV, c. 16.

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12 Opusc. XIV e XV, cc. 8, 18. 13 Opusc. XIV e XV, cc. 11, 12. | 14 Opusc. XIII, c. 17; XIV e XV, cc. 5, 10, 11, 18. 15 Opusc. XIII, c. 17; XIV e XV, c. 9. 16 Opusc. XV, cc. 11, 18. 17 Opusc. XIV e XV, cc. 11, 18. 18 Opusc. XIII, c. 24; XIV. 19 Opusc. XIV e XV, c. 18, in Gaetani, III, coll. 327 e 344; Gibelli, pp. 65-66. 20 Opusc. XIV, e Gibelli, 1. c. 21 Epist. VII, 13, riferita dagli An. Cam. al 1065. Mi sembra una felice congettura dei medesimi (II, 294) che l’ abate nominato dal Damiano sia quello di Acereto. Avverto che nella traduzione di questa e di altre lettere del Damiano ho conservato la varietà, con cui egli parla di sè stesso ora in prima, ora in terza persona. 22 Cfr. I oannes, c. VII; epist. VI, 12, 22 e altrove passim; Dante, Paradiso, c. XXI, v. 117. 23 Cfr. V algimigli, Mem. stor., I, pp. 433-437 in nota. Cfr. epist. VI, 19, riferita dagli An. Cam., II, pp. 169-169 al 1057. Certo non si può collocare dopo il 1061, anno della morte di Rodolfo, vescovo di Gubbio, nè prima del 1054, anno della sua entrata in monastero (cfr. Gaetani, II, col. 484, proemio alle Vite dei ss. R odolfo e Domenico Loricato): nè dopo l’elezione di Rodolfo al vescovato di Gubbio, che sembra avvenuta nel 1057 almeno, poiché sappiamo che Rodolfo, come vescovo, era presente al sinodo romano del 1059 sotto Nicolò II, e che quel santo vescovo, morto nel 1061 (ottobre) annualiter, come scrive il Damiano, synodum congregabat (c. Ili), il che lascia supporre alcuni anni di episcopato. Gli An. Cam. credono che il fatto narrato nella suddetta lettera sia avvenuto a Gamugno o ad Acereto. Meglio a Gamugno, perchè d ice: « frater quidam erat in eremo·». Narra lo Strocchi (Compendio, p. 7) che Pietro, tre anni prima della sua promo- | zione al vescovato, ne ebbe rivelazione a Gamugno. Ma Giovanni (c. XIV), che riferisce tale cosa, non parla di Gamugno. 24 Vedi carta di Cinamello (nota 4 sopra) scritta dopo il 14 marzo 1058, perchè dà a Pietro il titolo di venerabilis pontifex. Gli An. Cam. pensano che la data di questa carta, 1060, come ci è data dal sillabo delle carte dell’archivio di S. Lorenzo sia errata, e debba mutarsi in 1061; perchè in quest’anno Pietro era certamente a Gamugno. Ma quale difficoltà ci è ad ammettere che il santo abbia soggiornato in quell’eremo nel 1060 e nel 1061? Anzi, se si ammette la congettura degli stessi Annalisti in tom. II, p. 154, si ha una prova della sua dimora a Gamugno nel 1060. Essi credono che l’opusc. LUI del santo sia stato scritto, subito dopo la legazione di Milano, nell’eremo di Gamugno; e poiché essi credono che la legazione sia avve­ nuta in principio del 1059, collocano la composizione di quell’opuscolo negli ultimi mesi del 1059, e quindi negli ultimi mesi del 1059 la dimora del santo a Gamugno. Ma se, come prova il Pellegrini, la legazione avvenne negli ultimi mesi del 1059 e la dimora del Damiano in Lombardia si pro­ trasse fino al principio del 1060 (pp. 137-164), è chiaro che la composizione dell’opusc. LUI è del 1060, e dello stesso anno la dimora del santo a Gamugno.* Ma dalle parole di quell’opuscolo — ad eremum rediens cel« Foglietti (p. 72) pone la legazione nel luglio 1059.

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lulam... (tom. Ili, col. 835) festinus intravi — io non credo si possa con­ chiudere con sufiìcente ragione, che l’opuscolo è stato scritto a Gamugno; a meno che si dimostrasse che Pietro ricordando 1’eremum di sopra, non poteva alludere che a Gamugno. Ma com e? — Il priore di Gamugno riunì di nuovo Gamugno ad Acereto verso la fine del secolo XII senza il consenso del vescovo di Faenza: ma Celestino III, 3 gennaio 1195, concesse a Ber­ nardo, vescovo di Faenza, di rescindere l’unione (T onduzzi, p. 230). | 25 Vita Ss. Rodulphi et Dominici Loricati, cc. XI e XII, in Gaetani, II, coll. 496-497. È merito degli An. Cam. di avere invittamente dimostrato (tom. II, pp. 223-231) che le due Vite suddette furono scritte dal Damiano nell’ottobre del 1061, e mandate ad Alessandro II p oco dopo il 28 di quello stesso mese (« in festivitate beatorum apostolorum Simonis et Judae quam nuperrime celebravimus »). Scrivendo dunque il Damiano, alcuni giorni dopo il 28 ottobre 1061: «necdum tres menses elapsi sunt, ex quo ad me in Gamugni (...) eremo diversantem », nel luglio di quell’anno 1061 (An. Cam., II, p. 238) o meglio ne’ prim i giorni di agosto, egli era a Ga­ mugno, ed era presente al fatto miracoloso narrato alla fine del c. XI. Avvenuta intanto a Firenze la morte di Nicolò II (22 luglio in An. Cam., II, p. 238; 27 luglio in Balan, III, p. 55, nota 4) e recatane la nuova su a Gamugno, Pietro sarà partito di là nell’agosto per riunirsi ai cardinali e pensare all’ elezione del successore. Succeduto a Nicolò II Alessandro II, 1 ottobre 1061 (opusc. IV, in Gaetani, III, col. 64), il vescovo d’Ostia, come pensano gli An. Cam., II, p. 230, accompagnò a Lucca il nuovo papa, e da Lucca, passando per Firenze (cfr. proemio alle Vite), si ritrasse nella sua cara solitudine. Ma forse a Gamugno, come opinano gli An. Cam., II, p. 240, ove sarebbe stato presente al secondo m iracolo avvenuto nella per­ sona di Michele veneto, 28 ottobre (c. XII), e donde avrebbe scritto ad Alessandro le vite de’ due suoi cari discepoli? Oppure tornò ad Avellana, ove per la fama che si sparse del maraviglioso avvenimento (cfr. c. XII), fu informato del secondo m iracolo e ne scrisse al pontefice nei primi giorni di novembre incirca? L’ una e l’altra spiegazione è probabile: ma preferisco la seconda. — Il fatto poi di Michele veneto è, come ognun vede, un duplice Giudizio di Dio, che il santo non disapprova; ma a questo proposito I cfr. F ournier, pp. 75-79. Anche il nostro santo « erat (...) ferreorum vinculorum nexu undique attritus » (Anonymus Cluniacensis, in Gaetani, III, coli. 909-910). Cfr. anche le lezioni di s. Guglielmo abate nel Brev. Bom., 25 giugno. 26 Capeceeatro, p. 312, nota 3. 27 An. Cam., II, p. 280 e App. coll. 188-189: « dompnus Petrus (...) faventine ecclesie episcopus per consensum et voluntatem omnium presby­ terorum eiusdem episcopii concedere atque largiri dompno Petro Damiano Ostiensis ecclesie episcopo eiusque monacis heremitariis, qui in heremo Gamonio (...) medietatem de plebe Sancti Valentini nominatim cum medie­ tate de terra et decimatione sua et terra et quidquit ab eodem episcopio ha­ bere videtur in Biutilio infra comitatum Faventie, excepta quarta parte de­ cimationis et medietate de terra, quam detinet' archypresbiter ipsius epi­ scopii, et excepto Trebana et Madrignano et Vidiglano, sicuti traitur per stratam usque Cantulo, cetera vero medietate de omni decimatione et terra, sicuti ad ipsam medietatem de jam dicta plebe pertinere videtur ». La carta è del notaio Stefano, scrittore della Chiesa Bomana. Il santo era presente

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

senza dubbio, poiché nella carta si legge che i due Pietri « cartas dictave­ runt (...) easque propriis manibus roborantes (...) sibi invicem tradiderunt». 28 I oannes, c. V ili. Gli An. Cam., II, p. 238 riferiscono il prodigio al 1061: perchè? Il Flaminio (in Gaetani, I, coll. CXLV-CXLVI) e l’Azzurini (Liber Rubeus, f. 106) erroneamente lo pongono ad Acereto: anzi il secondo racconta che il prodigioso cangiamento avvenne due volte. Su quale fondamento? Il Valgimigli afferma che anche i miracoli esposti da Giovanni dal c. IX al XIII incl. avvennero a Gamugno; il Magnani (p. 29) che accadde ad Acereto quello del c. IX; il cardinale Capecelatro (p. 74 in nota) a Fonte Avellana il prodigio narrato nel c. VIII (leggi XII): ma Giovanni dice sempli- | cernente, che tutti quei fatti prodigiosi gli furono narrati nel monastero d i Acereto (c. V ili) pochi giorni dopo la morte del Damiano; e nient’altro. 29 Apprendiamo dal Tonduzzi (p. 161) che anche a’ suoi tempi si conservava a Gamugno il fonte d’onde l’acqua estratta (...) fu mirabilmente convertita in vino. Dista dalla chiesa parrocchiale un cento metri circa. I buoni montanari di vai d’Acereto contano che la fonte di Gamugno per tre giorni corse vino invece di acqua!! E quando parlano di fortuna grande desiderata e troppo difficile a conseguirsi, sogliono dire: che bisognerebbe avvenisse come a Gamugno, che la fonte tre dì menò vino! 30 Epist. VI, 32. Per intendere quanto fossero rigide le idee del Damiano intorno agli scherzi nella bocca degli eremiti cfr. epist. V, 2. Il vir a Me­ diolanensi urbe progrediens dell’ epist. VI, 32, come congetturano gli An. Cam., Il, pp. 289-290, era Erlembaldo, fratello di Landolfo capo della Pataria, che nel 1064, secondo gli An., o nella primavera del 1063, come prova il Pellegrini (pp. 516-518), viaggiò da Milano a Roma « per Dei .cul­ tores in eremo et monasteriis circumquaque degentes », ecc. 31 Epist. VI, 33, al. opusc. LIV. È scritta molto tempo dopo la fonda­ zione dell’ eremo di Gamugno, poiché vi si legge: «regulam (...) (c. Il) a vobis (...) per longa iam tempora custoditam, nolite dimittere » (An. Cam., Il, p. 181). 32 Epist. VI, 36. Il Gaetani (I, coll. 236-238) pensa che anche le due epist. VI, 34 e VI, 35 (al. opusc. LV) sieno state scritte dal Damiano ad ere­ m itas congregationis s u a e ; ma il titolo delle due lettere fratribus in erem o constitutis sembra doversi riferire ai soli eremiti di Avellana. Il Baronio (An. Eccles., Antuerpiae 1608, ad an. 1056), seguito dallo Strocchi (Serie, p. 100), narra che a Gamu- | gno (e il Magnani, p. 32, aggiunge di suo: Ad A cereto) Pier Damiano introdusse il costume di re­ citare VUffìcium parvum B. M. V. Ma il Baronio fu tratto in errore o da una cattiva lezione o da una falsa intelligenza di un passo dell’ epist. VI, 22, ove l’illustre annalista legge: « dicam et aliud quod in praefato contigit mo­ nasterio gamugense ( s ic )» ; ma ia parola Gamugense o Gamugnense manca affatto nel testo; e non ci può essere, perchè Gamugno era eremo, non mo­ nastero, e da tutto il contesto risulta troppo evidentemente che il praefatum monasterium è il monasterium B. Vincentii, ricordato p oco prima, quod non procul a monte, qui dicitur Petra pertusa, cernitur constitutum (L aderchi, I, col. XXXII, n. 7). E molto meno, come dice il Magnani (p. 33), Pier Damiano scrisse VUffìcium parvum per ordine di Gregorio VII, chè Pier Damiano morì prima che Ildebrando fosse papa. Si trova tra opere del santo (in Gaetani, IV, coll. 19-21) un Ufficio della B. V. da lui com posto;

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ma molto differente da quello approvato da Pio V. Del resto i critici non consentono che il Damiano sia stato il primo a introdurre questa pratica divota, ma che soltanto ne fu propagatore e favoraggiatore.ft Il Gavantus (Thesaurus sacrorum rituum, Venetiis 1660, tom. I, pars I, tit. V, 2, s. ; e tom. II, sect. IX, c. II, 13) narra (e il Magnani lo segue, p. 32) che l’ uso di suffragare le anime del purgatorio colla santa messa il lunedi «ortum habet(...)a monachus Gamungensibus (sic) ex Petro Damiano 1056», e che « idem in An. notavit Baronius anno eodem ». Che il primo istitutore di questo pio esercizio sia stato Pier Damiano, altri lo mette in dubbio (C apecelatro, pp. 227-228), che però ne sia stato ardentissimo propagatore tra gli eremiti, suoi discepoli, è certissimo (opusc. XXVIII, c. Ili e altrove); ma che questo sia stato un uso peculiare di Gamugno |è falso. Nè il Baronio suffraga punto al Gavantus. Narra l’illustre annalista (erroneamente) che l’ uso di recitare YUfficium parvum B .M .V . com inciò a Gamugno; e, dopo interposte molte altre cose, soggiunge che anche per opera del Damiano ebbe principio il costume di suffragare i defunti il lunedì colla santa messa suorum monachorum et eremitarum institutione·, ma non dice che ciò av­ venisse a Gamugno. 33 Gamugno e Acereto non sono ricordati nella bolla d’Innocenzo II, 14 maggio 1139, che pone sotto la protezione della S. Sede i beni della Congregazione di Fonte Avellana; ma però se ne fa menzione in quella simile d’Onorio III, 7 febbraio 1218 (Gibelli, pp. 113-114, 142). Chi fosse vago di conoscere le vicende dell’eremo e del monastero cfr. Mittarelli, An. Cam., passim. In Rer. Fav. Script., coll. 705-706 trovasi una serie di priori di Gamugno dal 1063 al 1422, e di abati di Acereto dal 1114 al 1426. 34 Non Leone X, come ha il Magnani (p. 29), ma Clemente VII con suo breve 14 novembre 1532 (M ittarelli, An. Cam., V ili, p. 64, e Rer. Fav. Script., col. 592). 35 Al tempo della visita apostolica di mons. Ascanio Marchesini, ve­ scovo di Maiorca, 18 giugno 1573 (Repertorium, pars II, foli. 192-196), il ca­ pitolo di S. Lorenzo teneva nella chiesa di Acereto due cappellani ad nutum et arbitrium amovibiles l’uno agentem ac procuratorem, l’ altro curam animarum exercen tem : a Gamugno un cappellano del pari curam animarum exercentem . La chiesa di Gamugno era annessa a quella di Acereto, e il valor annuo delle due chiese era di 300 scudi. Il visitatore comandò che il capitolo nominasse un vicarius perpetuus secondo le prescrizioni del Concilio di Trento, e delle Bolle Apostoliche. Da una Descriptio Civitatis et D ioecesis Faventinae, 19 marzo 1653 (stampa nel ve- | stibolo dell’archivio capitolare di Faenza), si sa che nella chiesa di Acereto cura ani­ marum administrabatur a duobus capellanis; e che a Gamugno capellanus erat amovibilis. Nei documenti del secolo XVI e XVII le due chiese hanno ambedue il titolo di chiese abaziali (cfr. Synodi ab an. 1565 ad an. 1597; Repertorium ecc.; Descriptio c. s.; una bolla 23 aprile 1619 di Paolo V nell’ archivio parrocchiale di Gamugno, una nota delle parrocchie di Faenza

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h Pierre Batiffol, nella sua Histoire du Bréviaire romain (Paris 1895), dice che ciò che è sicuro intorno all’Ufficio della B. V. è questo che il primo a parlarne è s. Pier Damiano (pp. 184-187). Anche il Batiffol s’in­ ganna che il primo monastero ove si com inciò a recitare quell’ ufficio fosse Gamugno.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

nel secolo XVII nell’archivio capitolare, arm. I, n. 4, ecci). Fin dal 1195 Gamugno prende il nome di monasterium. Ora soltanto la chiesa di Acereto conserva il titolo di Badia della valle. 36 Metelli , I, p. 345. Le vicende politiche della valle nel mede­ simo passim. 37 Nel 1736 per cura del capitolo di S. Lorenzo fu restaurata dalle fondamenta la chiesa di Gamugno, e vi furono apposte due iscrizioni latine (An. Cam., V ili, p. 654) di Lorenzo Antonio Maria Biscioni canonico di S. Lorenzo e prefetto della biblioteca Mediceo-Laurenziana. La prima a sommo della parete della chiesa a sinistra di chi entra d ice: «E cclesiam hanc Deo, divoque Barnabae apostolo dicatam, ac apud monasterium ere­ mitarum Sancti Benedicti (cioè S. Benedetto in Alpe) aedificatam, in quo (il canonico Biscioni confonde qui evidentemente l’ eremo di S. Benedetto fondato da s. Bomualdo coll’eremo di Gamugno fondato da Pier Damiano) divus Petrus Damiani diu degit, temporis vetustate partim collapsam, partimque ruinam minitantem, Florentinae basilicae Sancti Laurentii canonici e solo reficiendam curarunt anno Domini M.DCC.XXXVI. ». La seconda: « Quum anno Domini M.DCC.XXXVI instaurationis gratia huiusce fere col­ lapsi templi altare vetus destrueretur, ac sub eius mensa quaedam sancto­ rum reliquiae in capsula lignea in lapidis cavitate reposita repertae fuerint una cum membranacea schedula, in j qua legebatur: I n honorem Ss. Be­ nedicti , Martini ac N icolai ; ne antiquissima memoria penitus deperiret, prior et canonici Florentinae basilicae S. Laurentii easdem reliquias fide­ liter servatas in eadem capsula et lapide sub novae arae mensa eodemque anno iterum reponendas mandarunt ». Nel 1787 (M etelli , III, p. 340) i canonici di S. Lorenzo vendettero gli antichi beni dell’abazia di Acereto conservando però il patronato sulla chiesa. La chiesa di Acereto è a m. 433 sul livello del mare, quella di Gamugno a m. 814. La parrocchia di Gamugno è ora situata parte nel comune di Marradi, parte in quello di P ortico; la chiesa è nel comune di Marradi. Anche la chiesa di Acereto è nel comune di Marradi. Questa dista da Ga­ mugno 5 chilometri, 8 da Marradi, dal torrente 50 metri circa, da Modigliana 10 chilometri. Gamugno dista da Marradi 7 chilometri e mezzo, da Modigliana 15. La parrocchia di Acereto conta 390 anime incirca (nel 1573, Repertorium ecc., ne contava 200 da com unione); Gamugno nell’ultimo censimento 483 (nel 1573, ibid., ne contava circa 100). Nelle due chiese non è alcun dipinto del Damiano, nè vi si celebra la sua festa, nè vi è memoria che vi sia stata celebrata mai. Accanto alla Badia della valle si scorge ancora l’ antico monastero convertito in casa padronale. Nella canonica di Gamugno, contigua alla chiesa parrocchiale, si veggono molto bene le tracce di un antico cenobio, cioè il chiostro, le porte delle celle che mettono nel chiostro, il refettorio, ecc. A tre quarti d ’ora incirca dalla chiesa parrocchiale più in alto in una piccola spianata c’è un podere chiamato l’Eremo. Io credo che l’ eremo fondato dal Da­ miano fosse situato attorno all’attuale chiesa parrocchiale di Gamugno (cfr. I oannes , c. VII, la carta di Cinamello citata in nota 4, 7 e 24, e nota 29); ma è molto probabile che col- I l’andar del tempo, costruitosi un chiostro intorno all’oratorio, come al presente si vede (Gamugno nei documenti prende il nome di monasterium fin dal 1195, An. Cam., IV,

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p. 156; V, p. 297, App. col. 414), l’eremo fosse trasportato in altro luogo discosto dal cenobio (come ad Avellana, ove gli eremiti dimoravano nelle celle lungi dall’oratorio, allato al quale era un p iccolo cenobio con chiostro, Gibelli , p. 20) e precisamente nel podere detto ora l’Eremo. Secondo il Metelli (I, p. 16) in quel podere nereggiano alcuni alberi di tasso, per quanto egli crede, avanzi di un’antica selva che cingeva l’ eremo di Gamugno. Ma quell’ egregio signor parroco mi scrive: « in questi monti ab­ bonda il faggio: vi sono castagni, querce, avellani selvatici, cerri e simili intorno a Gamugno e più in su. Mai si è veduto il tasso; solo vi è qualche vestigio di abete e abetella ». Regge ora la parrocchia di Badia della valle l’egregio signor don Giuseppe Cattani, e quella di Gamugno il degnissimo nipote don Ubaldo, al quale rendo vivissime grazie delle numerose notizie che gentilmente mi ha favorito intorno alle due fondazioni di s. Pier Damiano.1' [

III LETTERE DI PIER DAMIANO AL CLERO E POPOLO FAENTINO

Pier Damiano, passati gli ultimi due mesi del 1062 nel suo eremo prediletto di Fonte Avellana, nel principio dell’anno se­ guente salì a Monte Cassino,“ ove in compagnia di quei monaci e dell’abate Desiderio, suo amicissimo, passò la quaresima. Verso la pasqua si recò a Roma; donde, per ordine di Alessandro II, venne a Firenze in qualità di legato apostolico per sedare i tu­ multi sorti nella città dalle accuse dei monaci di Vallombrosa contro il vescovo di Firenze. Compiuta la sua legazione tornò a Roma, intervenne al sinodo tenuto dal papa contro gli abusi di quel tempo;6 e, chiuso il sinodo, si ricondusse di nuovo nella ' Gaudenzi Augusto, Il codice vaticano del monastero di Acereta, in Studi Medievali, III (an. 1909), pp. 301-312. p. 304: riporta la fondazione di Acereta al 1056 o 1057 perché S. Pier Damiano andò a fondarlo dopo aver risieduto nel monastero di Monte Regio. p. 306: suppone scritta da Acereta la lettera a Vittore II. Suppone scritto in Acereta tra il 1056-1057 l’opusc. De Fide Catholica. p. 308: a col. 4 v e 5 r e v con grandissima cura e con magnifici caratteri furono trascritti un carme in onore di S. Pier Damiani e una preghiera alla Madonna anch’ essa in versi, l’uno e l’altro composti da qualcuno dei monaci di Acereta. pp. 308-310: «In nomine Damini, Incipit exametralis micrologia ve­ nerabilis vita beati Petri Damiani cardinalis episcopi Hostie ». Col pro­ logo 31 versi leonini oscuri e contorti. Ine. « Saecula sub laetis vadiarunt prima prophetis ». Des. « In gremiis terrae dans terram pace Faenzae ». a Foglietti pone la gita a M. Cassino nel 1064 (S. Petri Damiani autobiographia, p. 109) b il Sinodo nel 1064 (ibid.).

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

sua beata salitu- |dine di Avellana; ma «così affranto, come egli stesso scrive al papa, così inaridito e disseccato, che la sua mente oppressa da tanti affari, indurata come un selce, nè si ammolliva per la rugiada della compunzione, nè poteva levarsi pure un poco sopra se stessa colla grazia della contemplazione».1 In questa disposizione di animo gli giunse un messo del clero e del popolo di Faenza. Quivi nel mese di maggio o di giugno era morto il vescovo Pietro, quel medesimo che il 6 maggio donava varie possessioni all’eremo di Gamugno.c Avvenuta la morte di Pietro, il clero e il popolo della città, non sappiamo per quale ragione, stabilirono di non procedere alla nuova elezione prima della venuta di re Arrigo in Italia; e mandarono a Pier Damiano l’abate di un monastero, probabilmente quello di Acereto, per richiederlo anche del suo parere in affare di tanta importanza, e per pregarlo a venire a Faenza ad esercitarvi, durante la vacanza, gli offici epi­ scopali. Pier Damiano all’improvvisa nuova (pochi giorni prima, il 6 maggio, si era trovato col vescovo di Faenza su a Gamugno) si turbò e pianse amaramente; lodò il disegno | dei Faentini di differire l’elezione del successore: ma per causa delle sue infer­ mità non potè moversi da Fonte Avellana e venire a Faenza, come essi avrebbero desiderato. Pertanto consegnò al loro inviato una breve lettera da portare a Faenza. Eccola nella sua integrità: « Pietro peccatore, monaco, saluta nel Signore i santi e ve­ nerandi fratelli, figli della Chiesa Faentina, clero e popolo. Non sì tosto apprendemmo la morte di Pietro nostro ve­ scovo di santa memoria, la nostra mente turbossi e venne meno. Rimanemmo sbalorditi all’improvviso accidente. Dolore e com­ passione fraterna commossero le nostre viscere. Il nostro vene­ rabile figliuolo, l’abate, che mi avete mandato, mi ha trovato, non solo per i passati languori, ma anche per certe fatiche, così conquassato e infranto, che ora, così presto, non posso venire a Faenza. E però con questa brevissima lettera vi significhiamo quello che, secondo il nostro debole parere, dovete fare, finché non ci sarà dato di venire al vostro servizio. Per quanto pos­ siamo intendere, è stato il medesimo spirito, che ha illuminato il nostro povero ingegno e |ha inspirato la vostra santa prudenza intorno a quello, che fra di voi avete patteggiato e convenuto, cioè di non eleggere il nuovo vescovo fino all’arrivo del re. Il Foglietti pone la lettera nel 1067 (ibid., p. 138).

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Questi toglierà via gli errori;d e voi e la vostra chiesa, sedate in ogni parte le contese, comporrà nella tranquillità, nella quiete e nella pace. E però dovete pregare anche il Signor nostro, il papa, perchè ora non vi dia vescovo, ma permetta, che in questo frattempo la vostra chiesa rimanga vacante e che voi ve ne stiate sotto l’ombra di sua benedizione. E poiché, per misericordia di Dio, avete tra di voi ecclesiastici zelanti, prudenti e dotti, eleg­ gete uno di questi, il più degno, che prenda sopra di sè la cura e sollecitudine di tutto il vescovato, e che amministri tutti gli affari necessari. Io intanto, se volete, quando sarà opportuno, verrò al vostro servigio, e forse lavorerò un poco per amor di Dio e per amor vostro, o a cresimare i fanciulli o negli altri uf­ fici episcopali ».2 Fa piacere sentire in bocca di Pier Damiano, del terribile fla­ gellatore di tutte le corruttele ecclesiastiche di quel tempo, lode sì bella del nostro clero.3 | Questa lettera del santo fu recata a Faenza probabilmente dallo stesso abate di Acereto. Ma i Faentini, non sappiamo per quale ragione, o avevano già cambiato il primo divisamente, o lo mutarono ben presto; perchè il 21 giugno di quell’anno stesso un altro vescovo, Ugo, era già succeduto a Pietro nella cattedra Faentina.

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In una seconda lettera lunghissima, a due ecclesiastici faen­ tini, che se ne erano doluti con lui, combatte con molte ragioni un abuso introdotto nella nostra città circa la celebrazione del matrimonio in tempo di quaresima.4

NOTE 1 Epist. I, 12. 2 Epist. V, 10. Per avere la data precisa di questa lettera (tutte le lettere di Pier Damiano ne sono senza) è necessario investigare l’ anno della morte di Pietro vescovo. L’ Ughelli nella sua Italia sacra (Ari. Cam., II, p. 309) dice che Pietro fiorì fino al 1056; ma dalla donazione di Pietro stesso, 6 maggio 1063, già citata, e dall’avere scritto il Damiano questa lettera dopo l’episcopato (vel in consignandis pueris, dice in fine, vel in aliis episcopalibus officiis; Pier Damiano poi, secondo l’ opinione più pro-

d errore dice Pier Damiano; Foglietti pensa sia quella ricordato dal santo nella seconda lettera (vedi p. 139 in nota).

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XY secolo

babile, fu creato cardinale e vescovo il 14 marzo 1058, sabato dei quattro tempi di quaresima), appare evidentemente falsa l’opinione delPUghelli. Il Tonduzzi (p. 160) la pone nel 1076, ma nel 1076 Pier Damiano era già morto! Gli An. Cam., II, p. 309, persuasi che ne’ primi anni del suo regno Arrigo IV non uscisse mai di Germania, nè pensasse mai di venire in Italia, ma che solo nel 1066 incirca (stando al testimonio di Leone Ostiense) meditasse la discesa in Italia, in appresso sospesa, posero la morte di Pietro nel 1066 circa. Ma dopo la scoperta fatta dal Fantuzzi nell’ archivio arcivescovile di Ravenna | di una carta, 21 giugno 1063, dalla quale ap­ pare, che già in quel tempo teneva la cattedra di Faenza Ugo, la morte di Pietro deve collocarsi tra il 6 maggio e 21 giugno dello stesso anno (S trocchi, Serie, p. 101). L’abate ricordato nella lettera è, secondo il Magnani, p. 76, l’ abate di S. Maria foris portam di Faenza, a quel tempo monastero di Benedettini neri·, ma non sarebbe meglio intendere l’abate di Acereto, poiché lo chiama filius noster (An. Cam., II, p. 309)? Il Tonduzzi (p. 161) dice la lettera scritta da Gamugno, il Ma­ gnani (p. 76) da Gamugno o da Acereto; lo Strocchi (Serie, p. 101) da Monte Cassino, e cita a sproposito gli An. Cam.: ma s’ingannano. La cro­ nologia della vita di Pier Damiano nel 1063 è molto controversa, ma credo si possa determinare, almeno probabilmente, in questa maniera: 28 ottobre 1062: Pier Damiano, reduce dalla legazione di Francia,e rientra nell’eremo di Avellana (An. Cam., II, p. 261; cfr. epist. VI, 5, in Gaetani, I, col. 183); intorno alla festa di Natale del 1062 avviene ad Avellana il fatto narrato nell’epist. VI, 32, in Gaetani, I, coll. 228; 5 marzo 1063, mercoldì delle ceneri; Pietro in principio di quare­ sima va a Monte Cassino (An. Cam., II, p. 263); in questa quaresima avviene il passaggio di Erlembaldo per Ga­ mugno, se ammettiamo l’opinione del Pellegrini (c. s.) (cfr. epist. VI, 32, ove tra le altre cose raccontate da Erlembaldo al Damiano a carico degli eremiti di Gamugno si annoverano varie trasgressioni spettanti alle re­ gole dell’astinenza quaresimale); il successivo incontro di Erlembaldo col Damiano o a Monte Cassino o a Roma, donde il santo scrive la lettera di rimprovero agli eremiti di Gamugno; | verso la pasqua, 20 aprile 1063, Pier Damiano viene a Roma (An. Cam., II, p. 264); Alessandro II lo manda a Firenze per quetare i tumulti sorti per le accuse dei Vallombrosani al vescovo d i quella città. Il santo persuade il vescovo a ricorrere al giudizio del papa nel sinodo imminente (An. Cam., II, P- 264); 6 maggio 1063: Pier Damiano profitta della breve dimora a Firenze per venire a Gamugno, ove nel suddetto giorno riceve la donazione del nostro vescovo Pietro (c. s.); interviene al sinodo romano (An. Cam., II, p. 265) tenuto certamente nel 1063 (Man si , Sacrorum conciliorum collectio, XIX, Venetiis 1774, coll. 1023-1027), quantunque s’ignori il mese e i giorni;

e la legazione di Francia Foglietti la pone nel 1063- (p. 106); S. Pier Damiano in Francia nel 1063, in Anal. Boll., XIII, 1894, p. 185.

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dopo il sinodo si riconduce a Fonte Avellana (An., Cam., II, p. 274), e scrive ad Alessandro II (epist. I, 22): «ita (...)a synodo, cui vestrae Sancti­ tatis auctoritas praefuit, contritus nuper et arefactus abscessi, ut mens mea tot oppressa negotiis, more solicis obdurata », ecc. Non era dunque a Gamugno, nè ad Acereto, nè a monte Cassino, quando gli giunse il messo dei Faentini, ma a Fonte Avellana, dopo tanti viaggi e fatiche, « non modo praeteritis languoribus sed et quibusdam laboribus conquassatum atque confractum, ut nunc, tam cito, ad vos venire non possim » (epist. V, 10). Perchè i Faentini, si domanda lo Strocchi, elessero il vescovo contro il consiglio del Damiano? E risponde (Serie, p. 101): «p e rch è la lettera arrivò già eletto il vescovo ». Ma questo non può essere. Non avevano già i Faentini, prima della lettera del Damiano, come dalla medesima appare troppo evidentemente, deliberato di non eleggere il nuovo vescovo prima dell’arrivo del re? — Ma perchè dunque mutarono il loro primo divisa­ mente? — Forse si seppe che il re non sarebbe venuto in Italia, come in verità non venne? Forse | perchè l’ arcivescovo di Ravenna Enrico, il metropolitano di Faenza, che teneva per l’ antipapa Onorio II, non s’im­ mischiasse nell’ elezione del vescovo suffraganeo e non eleggesse o facesse eleggere un vescovo scismatico (V algim igli , pp. 386-387)? Di certo nulla sappiamo. 4 II dott. Enrico Brück (Manuale di Storia Ecclesiastica, prima tradu­ zione italiana del sacerdote Carlo Castelletti, Bergamo 1897), dice (p. 293) che s. Pier Damiano ha fatto della vita de’ chierici scostumati di quei tempi una dipintura forse troppo cruda ed esagerata. Troppo cruda pa­ zienza, ma esagerata non direi. Lo stesso eh. Brück non rimanda il let­ tore (p. 294, nota 4), che voglia farsi un’ idea delle condizioni pubbliche di quei tempi, a un passo della Vita di Leone IX, che nella sua cruda bre­ vità fa un quadro tale del secolo XI, che non ha nulla da invidiare a quanto ha scritto Pier Damiano? E poiché mi è caduto il discorso su questo manuale non posso tacere il disgusto grandissimo che ho provato, riscon­ trando in questa traduzione italiana adottata in tutti i Seminari della provincia ecclesiastica lombarda nonché in molti altri d’Italia molti e molti errori di stampa, anche nei nomi e nelle date, cosa tanto dannosa a’ giovani studenti. Per esempio se l’egregio conte De Mun potesse avere tra le mani questa traduzione italiana, non leggerebbe con immenso stu­ pore a p. 780, nota 8, che fin dall’ anno 1887 egli è già passato nel nu­ mero dei più??? 4 Epist. V, 2 (al. opusc. XLI), riferita dal Mittarelli in An. Cam. all’ anno 1066 (II, pp. 309-310) e in Rer. Fav. Script., col. 404, all’anno 1063 incirca. Il titolo è: Domnis V. et P. religiosis Faventinae ecclesiae clericis Petrus peccator monachus fraterne caritatis obsequium. Ma chi sieno que­ sti V. e P. è ben diffìcile indovinarlo. Il Mittarelli (Rer. Fav. Script., col. 404) va pescando con | infinita pazienza nelle poche carte contemporanee dei nostri archivii nomi di ecclesiastici, che com incino con V. o P. e ne trova parecchi. In quanto poi alla teoria esposta da Pier Damiano in questa let­ tera cfr. P. F ournier , p. 97 in nota. |

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

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MORTE E SEPOLTURA DI PIER DAMIANO

Pier Damiano, nelle costituzioni da lui scritte 1 per gli ere­ miti di Fonte Avellana, esprime il desiderio di essere sepolto, se a Dio non piacerà altrimenti, in quella tanto a lui cara solitudine. Ma il Signore appunto dispose altrimenti; e la nostra città ebbe la ventura di accogliere fino al presente le spoglie mortali del santo monaco. Negli ultimi mesi del 1071 Pier Damiano dimorava a Monte Cassino, ove insieme coll’abate Desiderio, che poi fu Vittore III, con Ildebrando cardinale, che divenne, dopo un anno e mezzo appena, Gregorio VII, e con Alessandro II assisteva alla solenne consacrazione della nuova basilica del monastero.2 | Nel principio dell’anno seguente, tornato a Roma con papa Alessandro,3 si seppe che a Ravenna era morto l’arcivescovo Enrico,4 pervicace fino alla fine nello scisma di Onorio II antipapa, e già scomuni­ cato in un sinodo romano. Alessandro II, per riconciliare la sede di S. Apollinare colla sede di S. Pietro, divisò di mandare ai Ra­ vennati un suo legato con autorità di assolverli dalle censure, nelle quali erano incorsi comunicando coll’arcivescovo scismatico e seguendo le parti dell’antipapa. Non conobbe d’intorno a sè persona più degna e atta a questa importante legazione del car­ dinale vescovo d’Ostia, molto più che il Damiano aveva altra volta pregato il papa ad usare clemenza ai Ravennati5 ed era loro concittadino. Il santo, quantunque affranto, più che dall’età, dalle malattie, dalle penitenze e dalle fatiche, ubbidì volentieri al comando del papa, lieto, come nota Giovanni,6 di potere con­ traccambiare in qualche modo i grandi benefizi ricevuti da quella chiesa, che, pia madre, l’aveva rigenerato a Cristo col santo bat­ tesimo. Giunse felicemente a Ravenna, accompagnato dal disce­ polo, che ne scrisse la vita. I cittadini lo accolsero con gran gioia; saputa la causa del suo ar- | rivo, ne resero immense grazie a Dio e al vicario di Cristo, che aveva loro mandato un tale e tant’uomo; chiesero della loro colpa umilmente la penitenza, l’ottennero e furono assolti dalla scomunica in mezzo all’esul­ tanza di tutta la città. Compiuta la sua legazione, il giorno 14 febbraio abbandonò Ravenna per tornare a Roma a darne conto al papa. Fece la prima fermata a Faenza, ricevuto convenientemente dai Renedettini neri di S. Maria foris portara·, ma appena entrato nel mo-

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San Pier Damiano e Faenza

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nastero, fu colto dalla febbre. Nei giorni appresso il male crebbe sempre più. Si cominciò a disperare di salvarlo. Sparsa la triste novella, accorsero a S. Maria i suoi discepoli del monastero di Acereto per assisterlo nell’ultima malattia, per vederlo l’ultima volta. Intorno alla mezzanotte tra il 21 e il 22, giorno sacro alla commemorazione della cattedra di S. Pietro, conoscendo che si avvicinava l’ora del suo passaggio, mentre Giovanni, il fedele discepolo e i monaci di Acereto circondavano il suo letto, co­ mandò loro di recitare con lui il mattutino di quella solennità, e, poco dopo terminato l’ufficio divino, rese a Dio l’anima santa.7 | Erano le prime ore del 22 febbraio 1072, mercoldì, festa della cattedra di S. Pietro; il santo era entrato probabilmente nel­ l’anno sessantesimo sesto di sua età.8 Recata subito nella città la notizia della morte da quelli che abitavano presso il monastero, subito tutta la città uscì fuori e venne al monastero a celebrarne le esequie, perchè si temeva che i monaci di Acereto, secondo la viva e indiscreta divozione di quei tempi, ne trafugassero il cadavere e lo recassero a seppel­ lire nel loro monastero. La chiesa, ove il cadavere fu esposto, subito si riempì della moltitudine degli accorsi. Giovanni il di­ scepolo, che era presente, così ci descrive la divozione dei nostri antenati verso il santo vescovo : « Siccome tutti si adoperavano, egli dice, di giungere i primi al cataletto, così tutti si spingevano indietro a vicenda, come le onde del mare. Quanto più presto al­ cuno col far tumulto s’ingegnava di accostarsi, tanto più tardi gli riusciva. Quelli, cui toccava in sorte di avvicinarsi al defunto e di toccare il cataletto, vi deponevano doni e baciavano pia­ mente i piedi e il lenzuolo che copriva la salma ». Intanto gli si preparò un mausoleo con | ogni onore. Da una lontana basilica (dagli antichi cronisti non si può raccogliere nè ove fosse nè a chi dedicata) trasportarono con maravigliosa facilità, come si trattasse di cosa leggerissima, non senza mara­ viglia, dice Giovanni, di quelli stessi, che lo portarono, un im­ mane bacino di sasso di splendida bianchezza, e lo collocarono convenientemente nella chiesa di S. Maria dirimpetto al coro vi­ cino ai gradini dell’altare. Quivi in mezzo all’esultanza di tutti fu riposto e chiuso con riverenza il venerabile corpo, mentre tutti con salmi ed inni levavano alta la voce e con tutte le forze lodavano e ringraziavano Dio di averli arricchiti di un tanto tesoro.9

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Pier Damiano avea composto il suo epitaffio in versi latini;“ ma, per quanto si sa, non fu scolpito sul suo sepolcro. Diceva così: «Io fui ciò che ora tu sei, diventerai ciò che io sono; non aver fede alcuna in queste cose periture. Le frivolezze vanno innanzi alle cose serie, i sogni alla verità;6 ai tempi brevi suc­ cedono gli eterni. Vivi memore della morte, perchè tu possa viver sempre; tutto ciò che è in questo mondo passa, ecco s’ap­ pressa quello che rimane. | Oh come provvede bene a se stesso chi ti ha lasciato, o mondo malvagio; chi elesse morire colla mente alla carne prima di morire colla carne a te, o mondo. Alle cose terrene anteponi le celesti, le durabili alle caduche; la mnte libera ritorni al suo principio. Lo spirito si levi in alto, corra al fonte donde uscì; disprezzi tutto che lo spinge in basso. Sii, prego, memore di me, riguarda pietoso le ceneri di Pietro, di’ con preghiere e con lagrime: gli perdona, o D io » .10 Pochi anni dopo la morte del santo, nell’agosto del 1080, narra l’antica leggenda di Pier Damiano, un monaco di nome Ungano, negli anni addietro abate del monastero di S. Gregorio di Rimini, presso il Conca, fondato dallo stesso Damiano, ebbe una visione. Vide tra una moltitudine di vescovi vestiti di bianco Pietro seduto colla mitra in capo e col pastorale in mano in atto d’insegnare a quelli le cose di Dio. Avendolo l’abate salutato con leggero movimento di capo, Pietro disse agli altri vescovi: questo monaco, che io ho molto amato, poiché fu partito da me, non è più tornato: ed egli non solo, ma molti altri, |che io ho edu­ cato e nutrito, sono stati ingrati a’ miei benefizi. Di poi disse al monaco: perchè non venisti a me nel luogo, ove io sono? Ma il monaco rispose: o mio Signore, dal tempo che ci hai abbando­ nati noi non sappiamo ove abiti, come dunque poteva venire a trovarti?0 Allora Pietro gli disse: o stupido, e non sai che io

a Act. SS. Mai IV, p. 342, c ’è un epitaffio di Alcuino somigliantissimo a quello di s. Pier Damiano. Altro epitaffio simile a quello di s. Pier Da­ miano: Act. SS. Aug. I, p. 238. b Frivoli sonni vanno innanzi a serie verità. c Le Vite di s. Giovanni da Lodi, scrittore'della Vita di S. Pier Damiani, vissuto fino al 1006, scritte quindi dopo questo tempo, mostrano eviden­ temente che in questo tempo a Fonte Avellana Pier Damiano non era ancor venerato come santo. Infatti queste Vite (in Acta. SS. September III, p. 165, n. 16) lo chiamano Petrus Damianus (cfr. anche ibid., p. 168, n. 27), Domnus Petrus (ibid., p. 168, n. 27), vir venerabilis et sacerdos Dei altissimi, domnus Petrus Damianus, virtutibus ornatus et S. Scripturis eruditus florebat sancti­ tate et scientia (2a Vita, ibid., p. 171, n. 3), tantus vir (ibid., n. 4), venerabilis pater (ibid.) reverendus Dei sacerdos (ibid.), devotus pastor (ibid., p. 172, n. 5), reverendus pater (ibid.), sanctum magistrum (ibid.), columna lucida heremi, reverendus prior (ibid., n. 10), sicut seraphim divina caritate in-

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San Pier Damiano e Faenza

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abito nella Camera di Maria Vergine e dimoro nel suo sacrario? 10 abito nella casa di lei e sono il suo Cameriere. In questa il monaco si destò. Non guari dopo vide di nuovo in sogno Pier Damiano, che gli diceva: e non ti dissi che mi venissi a trovare? e perchè non sei venuto? Il monaco tacque. Allora Pietro, quasi con ira, lo punse sotto l’orecchia sinistra colla punta del pasto­ rale, che teneva in mano. Per questo colpo si sentì così turbato, come se da una lancia o da un’altra terribile punta fosse stato trafitto. Tutta la mascella colla gola gli si enfiarono tanto che quasi si disperava della sua vita. Il monaco prostrato innanzi all’altare della chiesa di S. Gregorio, con tutto il cuore rivolto a Dio, con grandi gemiti diceva: o Signore, Dio onnipotente, che creasti il cielo e la terra e tutto ciò che in essi si trova, | se la vita del mio signore Pier Damiano, come noi crediamo, piacque agli occhi tuoi, per i suoi meriti deh! liberami da questo dolore. Disse, e dopo non lungo tempo ogni tumore e dolore svanì, come se alcuno colla mano gli avesse tolta la ferita della mascella e della gola. Il monaco cominciò subito a darne gloria a Dio e al suo servo Pier Damiano, che si era degnato prima di castigarlo e poi di guarirlo. Il giorno dopo venne a Faenza, si prostrò in terra avanti all’altare di S. Maria foris portam, ov’era sepolto 11 corpo di Pietro, e con molte lagrime colla faccia per terra adorò, lodò e benedisse Dio. Tornato da Faenza a Rimini co­ minciò a narrare al preposto e agli altri fratelli del suo monastero tutto ciò che gli era avvenuto. Udite tali cose, lodarono e bene­ dissero Dio, che si era degnato di mostrare cose meravigliose per mezzo del suo servo Pietro; poscia vennero a Faenza, entrarono nella chiesa di S. Maria, sonarono tutte le campane, posero delle faci di cera ed altri lumi innanzi all’arca di Pier Damiano, lo invocarono come santo, e, celebrando delle messe, offrirono so­ lenni ostie a Dio in assoluzione dell’anima di Ungano, |che aveva meritato i rimproveri del Damiano.11

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La chiesa ove fu sepolta la salma di s. Pier Damiano era il luogo più sacro e venerabile della città. Secondo il nostro più flammatus (ibid.), venerabilis Petrus (ibid., p. 173, n. 11), vir Dei feliciter migrans de saeculo ad caelestia evolavit et vivit cum Christo in aeter­ num (ibid.), sanctus pater Petrus Damianus (ibid.), Petrus Damianus ob­ servantiae institutor (ibid., p. 174, n. 15). Mai è detto sanctus o beatus. Ciò pure persuade che il capitolo di Ungano sia stato aggiunto alla Vita non in Avellana ma in Faenza ove Pier Damiano sarebbe stato canonizzato.

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antico cronista,12 la chiesa di S. Maria foris portam fu la cat­ tedrale di Faenza fino alla metà circa del secolo ottavo, e forse il primo tempio cristiano edificato in Faenza dopo la pace data da Costantino alla Chiesa. Ma per le scorrerie e devastazioni dei Longobardi papa Zaccaria comandò che la cattedrale si trasferisse dentro le mura; e l’abbandonata chiesa di S. Maria fu consegnata ai monaci Benedettini, così detti neri, che vi abitavano ancora nel 1072, quando morì Pier Damiano. Il santo conosceva benis­ simo questa chiesa e questo monastero; e chi sa quante volte al tempo de’ suoi studi avrà visitato questo luogo; o nelle sue con­ tinue peregrinazioni, fermandosi nella nostra città, avrà preso al­ loggio presso quei monaci. In un suo opuscolo, scritto verso il 1052, indirizzato ad Enrico arcivescovo | di Ravenna, ricorda con affetto un Eleucadio abate del monastero di S. Maria foris por­ tam, da lui chiamato, « personaggio onestissimo e degnissimo di riverenza ».13 Al tempo del Damiano la chiesa e il monastero erano situati fuori di una porta della città, detta del leone, e però si chiama­ vano chiesa e monastero di S. Maria foris portam. Ebbero anche il nome di S. Maria dall’Angelo, o degli Angeli per un’antica im­ magine della Madonna, ivi venerata, dipinta, secondo la tradi­ zione, da un angelo. Ora sono dentro le mura, fin dal tempo che i Manfredi, signori della città, verso la metà del secolo XV allar­ garono la cinta.14 Il monastero però non è più abitato da reli­ giosi e la chiesa si chiama volgarmente S. Maria vecchia. Nel 1168 per opera di Ramberto, vescovo di Faenza, col con­ senso dei canonici, dei consoli del comune e di tutta la città, ai Benedettini neri furono sostituiti i monaci di Avellana, che abi­ tarono presso le ceneri del loro padre fino al 1469.15 Galeotto, divenuto signore della città, nel 1478 v’introdusse i canonici regolari Portuensi di Ravenna; ma questi religiosi ne | partirono molto presto, e il monastero rimase di nuovo e per molto tempo senza abitatori.16 Ma quando la città venne sotto il diretto dominio dei pontefici, i Faentini fecero istanza a Giulio II che conferisse quella chiesa e quel monastero, in somma devo­ zione presso il popolo, a una famiglia di religiosi osservanti; e questa dimanda fu esaudita. Alla fine del 1514 o in principio dell’anno seguente ci vennero i monaci Cisterciensi toscani, che abitarono il monastero e officiarono la chiesa fino al 1778.17

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NOTE 1 Opusc. XIV, in Gaetani, III, col. 326, II. 34-36. 2 Capecelatro , p. 489. 3 Mittarelli, An. Cam., II, pp. 341-342. 4 Enrico probabilmente mori il primo giorno di gennaio 1072 (cfr. A madesius , II, pp. 185-187). 5 Epist. I, 14, in Gaetani, I, coi. 22. 6 I oannes , c. XXI. 7 I dem, c. V ili e XXII. Il Rubeus (in Gaetani, I, coll. CLXXIIICLXXIV) scrive: «Ravenna tandem discedens ad Pontiflcem aditurus, ne iter esset omnino inane, monachos invisit quos Faventiae constituerat, extra urbis portam », ecc. (cfr. anche F ortunius , in Gaetani, I, coll. GLXVCLXVI); ma è un errore, perchè gli Avellaniti vennero a S. Maria solo nel 1168. L’Azzurini (Liber Rubeus, ff. 107-108), peggio ancora, racconta che il santo ricoverossi presso un monastero da sè edificato, e che, dopo morto, fu portato secretamente a seppellire in S. Maria foris portam. Gli An. Cam., V ili, p. 76 narrano che nel 1433 a Faenza si credeva che la chiesa di S. Maria fosse stata edificata dal Damiano! Alcuni hanno scritto (An. Cam., II, p. 347) che il santo, rinunziato il cardinalato, si fece monaco a S. Maria e vi m orì! Si è scritto perfino che Pier Damiano fu vescovo di Faenza (cfr. F ortunius , in Gaetani, I, coll. CLXI-CLXII)!!! | 8 Quantunque altri abbiano scritto diversamente (cfr. An. Cam., II, pp. 344-347), non si può più dubitare nè del giorno nè dell’ anno della morte del Damiano, avvenuta il 22 febbraio 1072. Così attestano Giovanni, il discepolo di Pier Damiano, che fu presente alla sua morte (c. XXII) e Bertoldo da Costanza, cronista contemporaneo (in Gaetani, I, coll. CLXXXVCLXXXVI): così richiedono tutti gli avvenimenti sincroni. I nostri scrit­ tori prima dello Strocchi (Tonduzzi, Magnani ecc.) collocarono la morte del Damiano nel 1080, indotti dalla falsa opinione che Pietro, vescovo di Faenza, fosse morto nel 1076. Cfr. anche la nota 2 del terzo capitolo di questo lavoro. Quando il santo morì era abate di S. Maria foris portam un certo Andrea (An. Cam., IX, p. 32).

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9 Ioannes, c. XXII. 10 L’epitaffio in distici latini in Gaetani, IV, coll. 51-52. Il cardinale

Capecelatro (p. 499) crede che sulla tomba fosse posto appena il nome del santo. Il Valgimigli (p. 481 in nota) e il eh. abate Gibelli (p. 94 nota 1) credono poter dire che l’ epitaffio metrico non fu inciso sul sepolcro. 11 Ioannes, c. XXIII. È evidente, che l’ultimo capitolo della vita, ove bisogna correggere indictione quarta in tertia, è una giunta o di Giovanni stesso (t 1105, Gibelli, p. 104, che avrebbe già compiuto la Vita del santo prima del 1080; nel 1076 secondo gli An. Cam., II, p. 376), o di un altro scrittore (H enschenius, in Gaietani, I, col. CXXVIII). Il monaco è chia­ mato Uganus da Giovanni o dall’ anonimo, Unganus in altri documenti (cfr. Gibelli, p. 332) Ungarus seu Unganus, in An. Cam., II, p. 339 e III, p. 8; dal Fortunio (in Gaietani, I, coll. CLXV-CLXVI) e dal Fabri (p. 378) è chiamato Urbanus. Il capo aggiunto alla vita del Damiano termina con queste parole: « Denique praepositus cum praedicto abbate Ugano (...) ac fratribus, ingressus ecclesiam sanctae Dei Genitricis, pulsa- | veruni omnia signa et posuerunt ceroptata (cioè faces ex cera confectas) cum lumina-

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ribus ante arcam ipsius Sancii Petri Damiani: et celebrantes missas, obtulerunt solemnes hostias Deo in odorem suavitatis pro animae eius absolutione ». L’ Henschenius giustamente domanda: eius, cioè an abbatis Ugani, quem B. Petrus culpaverat? Mi è parso doversi rispondere affermativa­ mente, e così ho tradotto nel testo il passo di Giovanni o delPanonimo. Il titolo di santo dato al Damiano nel passo citato (la prima volta nei do­ cumenti che abbiamo di lui) dimostra chiaramente, che non si trattò in quel giorno di un solenne funerale per suffragare l’ anima di un defunto, ma di una festa in onore di un santo. Il Fortunio, narrato il fatto del mo­ naco Ungano, soggiunge (I, coll. CLXVII-CLXVIII) : « Beatus vero Petrus exinde ab omni Ecclesia pro Sancto habitus et inter Caelicolas receptus est». Il Magnani (p. 42) si die’ a credere che il Damiano fosse canonizzato da Gregorio VII in quell’anno 1080 insieme coi ss. Gregorio Magno e Colom­ bano: ma egli non intese il Sigonio (presso il Gaetani, IV, p. V ili) che scrisse semplicemente: «H om ines sanctorum in numerum relati ferme ex Italia. Gregorius Magnus Pontifex 604. Romanus Columbanus Scotus abbas Bobii 614 (...) Petrus Damiani Monachus et Cardinalis Ravennas 1080 ». Ma gli anni 604, 614, 1080 sono gli anni rispettivi della morte dei tre santi: e si credeva, come ho detto di sopra, che il Damiano fosse morto nel 1080. Ma egli non fu canonizzato mai. Lo stesso Sigonio (De regno Italiae, Fran­ cofurti ad Moenum 1575, p. 227), posta erroneamente nel 1080 la morte del Damiano, soggiunge: «P ost mortem miraculis inclytum pro Divo ho­ mines habuerunt ». 12 In M ittarelli, Rer. Fav. Script., coll. 13-14. 13 Opuse. VI, c. XVIII. Il Magnani, p. 29, narra che il santo s’era anche adoperato per introdurre in questo monastero la | riforma Avellá­ nese, ma non vi son prove. Il monastero di S. Maria foris portam è ricor­ dato per la prima volta in un documento del 883 in M ittarelli, Rer. Fav. Script., col. 394. Cfr. la nota 7 del c. IV di questo lavoretto. 14 T onduzzi, p. 17; V algim igli , I, pp. 152, 162. La porta del leone sorgeva ove trovasi la soppressa chiesa di S. Severo, e chiamavasi del leone dall’impresa della città ivi collocata. 15 Cfr. T onduzzi, pp. 201-202, e An. Cam., IV, p. 26. L’ultimo abate dei Benedettini neri si chiamava Drudone (An. Cam., IX, p. 32). Probabil­ mente gli Avellaniti furono sostituiti ai Benedettini per riformare il mo­ nastero (cfr. V algim igli , II, pp. 107-108, e An. Cam., ibidem). Federico Manfredi, fratello di Carlo signore della città, nominato abate commen­ datario di S. Maria foris portam, espulse i monaci Avellaniti nel 1469 (T onduzzi, p. 19; M ittarelli , An. Cam., VII, p. 283). L’ultimo abate rego­ lare avellanita si chiamò Giovanni Bartoli (An. Cam., IX, p. 33). 15 Galeotto Manfredi, che fu signore di Faenza dal 17 novembre 1477 fino al 31 maggio 1488 (T onduzzi, pp. 514-532), per molte obligationi, che professava (I dem , p. 19) ai canonici Portuensi, fino dal 22 febbraio 1478 si adoperò presso il pontefice Sisto IV, perchè l’ abazia di S. Maria foris portam fosse loro ceduta (I dem , p. 515; V algim igli , Atti legali pubblici, p. 13); e nell’ anno stesso, nonostante l’opposizione dell’abate commenda­ tario, il cardinale Giuliano della Rovere, ve li allogò (T onduzzi, p. 517). Può essere che oltre le grandi obligationi, che Galeotto professava a’ quei padri, come scrive il Tonduzzi, ibid., i canonici Portuensi fossero chia­ mati a S. Maria, perchè allora si credeva che l’istitutore di quei religiosi

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fosse stato Pier Damiano (cfr. D. Spreti, De Amplitudine Urbis Ravennae, ed. 1479, in Riv. Bibliograf. Italiana, n. 10, an. Ili, | p. 291). Questi religiosi pare sieno partiti poco dopo la morte di Galeotto (V algim igli , XIII, pp. 178-180. 17 I Faentini domandarono a Giulio II che il monastero di S. Maria, quod semper fuerit in summa devotione ipsius Civitatis et Populi, fosse conferito a qualche religiosa famiglia osservante; e il pontefice rescrisse, 10 marzo 1510, che si riformasse ad ordinem Sancti Benedicti de Obser­ vantia (T onduzzi, p. 588). Questa domanda dei Faentini fu esaudita, se­ condo il medesimo Tonduzzi, nel 1513 (p. 19); nel 1513 o nel 1514 incirca, secondo il Mittarelli (Rer. Fav. Script., coll. 590 e 704); secondo il Babini (p. 90) e il eh. Montanari (Guida, p. 99) nel 1519; ma veramente, come prova il Valgimigli (XIV, p. 180), negli ultimi mesi del 1514 o ne’ primi del T5. I

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PRIMA TRASLAZIONE DELLE OSSA DI S. PIER DAMIANO

La spoglia mortale di s. Pier Damiano rimase nel suo primo sepolcro fino alla metà del secolo XIV.1 Il giorno 13 aprile 1354,2 era il giorno di pasqua, l’abate, che presiedeva agli Avellaniti di S. Maria foris portam, un certo Matteo da Cagli, tolse le reliquie del Damiano dall’antico sepolcro e con pompa le trasferì in uno nuovo e più ornato. Questo nuovo sepolcro, lavoro, a quanto sembra, di Bonaven­ tura de’ Filippi, scultore imolese,3 consisteva in un’arca di marmo greco berrettino con vene bianche, sopra un fondo di marmo bianco d’Istria.“ Dalla cornice inferiore correvano alla cornice supe- | riore alcune colonnelle scanalate a vite; e il coperchio, della forma di un prisma triangolare, recava sul prospetto Imma­ gine in rilievo di s. Pier Damiano vestito pontificalmente.4 Nel giro esteriore della base fu scolpita quest’iscrizione, che traduco dal latino: «Il giorno 13 aprile del 1354 fu trasferito in que­ st’arca il corpo di s. Pier Damiano di Ravenna dottore in S. Scrit­ tura, vescovo d’Ostia e legato della Sede Apostolica, dell’ordine di S. Croce alla Fonte Avellana da Matteo da Cagli abate di questo monastero ».5 L’arca, incastrata nel muro dietro l’altar

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a Scartafaccio nell’Archivio Comunale 1353, fol. 33 in lib. f in arch. S. M. foris portam : «Magister Bonaventura quondam Jacobini de Filippis de Imola promisit et convenit Rev. viro domno Joanni Matheo Abbati mo­ nasteri S. M. foris portam de Faventia facere et fabricare arcam de lapidibus marmoreis albis in qua poni debet corpus s. Petri Damiani cardinalis prò precio 142 lib. bon. parvorum ».

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

maggiore in alto sotto l’imagine taumaturga di S. Maria dall’An­ gelo, si vedeva da tutta la chiesa.6 Sotto l’arca in una lista di marmo greco fu scolpita quest’altra iscrizione in versi latini: « Nell’anno 1354, sorta la tredicesima aurora di aprile, il clero trasportò in quest’arca te dotto nelle sacre pagine, o presule d’Ostia, cui fregia il cardinalato. O Pietro Damiano, te bea la croce dell’ordine di Fonte Avellana. Tu finalmente legato ancora della Sede Apostolica, ora sei chiuso dentro questo marmo. Al tempo della traslazione era abate Matteo da Cagli ».7 | Quivi nel novembre del 1433 venerò la sacra spoglia del Da­ miano il celebre fra Ambrogio Traversari, abate generale dei Camaldolesi, venuto a Faenza per la visita de’ suoi monasteri.8 I monaci Avellaniti, che abitavano il monastero di S. Maria foris portam, mostrarono al dotto e sant’uomo un codice antichissimo, che si diceva di mano del Damiano medesimo, contenente tutti i suoi opuscoli. Il Traversari, diligentissimo indagatore di codici an­ tichi, ottenne di recarlo seco nella casa del suo ospite Bartolomeo Viarani per esaminarlo con maggior diligenza. Partito da Faenza, lasciò il codice in casa del Viarani; ma dopo pochi giorni gli scrisse che restituisse il prezioso cimelio all’abate di S. Maria. Questo rimase nel monastero fino alla fine del secolo XVI, nel qual tempo fu portato a Roma per ordine di Clemente V ili (15921605), perchè Cesare Baronio, l’illustre oratoriano, se ne giovasse per la compilazione degli Annali della Chiesa, e, dalle mani del Baronio per comando pure del papa, fu collocato nella biblio­ teca Vaticana, ove ancora si conserva.9 L’arca del santo fu aperta in sul finire | del secolo XVI; e dal corpo di lui, trovato intero, fu spiccato un braccio, e chiuso dentro una teca argentea, che cominciò ad esporsi alla venera­ zione dei fedeli e a darsi a baciare il giorno della festa del santo, come si fa anche al presente.10b b Statuto di Brisighella (di Giov. Galeazzo Manfredi, 1411, copia del 1567 nell’Archivio Comunale di Brisighella). Lib. II, rubrica XIV, De feriis et diebus feriatis: «Feriatos dies in civilibus esse volumus (...) diem sancti Petri Damiani (...)» (in margine d’ altro carattere : « que est 23 febr. »). Cfr. Bollettino Diocesano, II, pp. 112-117. [in questo volume a pp. 417-423J Lib. IIII, rubr. 17, De festivitatibus cellebrandis: «Statuimus et ordi­ namus quod in nostra Valle Hamonis in diebus paschalibus cuiuscumque Paschatis et diebus dominicis et in festivitatibus gloriosissimae Mariae semper Virginis, et in festivitatibus omnium apostolorum et in festivitatibus beati Michaelis archangeli et in beati Francisci et beati Petri Damiani nemo audeat laborare vel laborarium exercere poena contrafacienti decem solidorum bononorum ipso facto a contrafacientibus extorquenda et do­ minus vicecom es et eius miles vel notarius teneatur de (peractis?) inqui­ renda et h oc statutum precise facere observare ».

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San Pier Damiano e Faenza

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NOTE 1 Almeno pare che fino al 1354 il corpo di Pier Damiano riposasse presso i gradini dell’ altar maggior nell’immane labrum lapideum (I oannes , c. XXII) del 1072, nè si conosce traslazione anteriore (V algim igli , V ili, p. 70). 2 Correggi così il 13 febbraio 1353 in Capecelatro (pp. 470 e 502; 1353 anche in Gaetani, III, VI); e il 3 aprile in Mordani (Vita di Pier Damiano, in Vite di Ravegnani illustri, p. 33). Il nome dell’abate è Matteo Am ici nello Strocchi (Compendio, p. 11); ma il buon canonico confonde l’abate Matteo del 1354 coll’abate don Marsilio Amici, che riedificò la chiesa di S. Maria dopo la metà del secolo XVII. 3 V algimigli, fase. 74, p. 35. 4 La descrizione dell’arca è in un rog. 11 e 13 dicembre 1673 (che ri­ porterò nella nota del capo seguente), e nel Processus (pp. 124-151). 5 Quest’iscrizione è riportata dai nostri scrittori con alcune varianti, quantunque lievi; ma non posso confrontarle coll’ originale perchè l’ arca del 1354 non esiste più per quanto si sappia. Il Tonduzzi (p. 18) leggeva: A. D. M.CCC.LIIII. DIE XIII. APRILIS (forse APLIS) TRANSLATVM FVIT CORPVS S. PETRI DAMIANI RAVENNAT. IN SAC. (Gaetani legge SANCTA; ma il Pro- | cessus ecc., che riporta l’iscrizione quattro volte, legge costantemente SAC.) SCRIPTURA (Mittarelli, VI, p. 35: IN SACRAM SCRIPTVRAM) DOCT. ET HOSTIEN. EPISCOPI AC APOST. SEDIS LEGATI ORD. S. >J< FONTIS AVELLANAE (AVELLANE meglio in Valgimigli, V ili, p. 71) IN PRAESENTEM (Valgimigli, ibidem PRESENTEM) ARCAM (il Processus anche PRESENTI ARCA) A REV. P. (il Processus invece di A REV. P. talvolta legge F. T. (?) ) D. MATHEO (forse MATEO; il Pro­ cessus MATEI) DE CALLIO HIC ABB. 6 Se è vero, secondo il Babini (p. 108), che nel 1354 l’urna fu addos­ sata ad una parete laterale dell’altar maggiore, bisogna dire che in tempo a noi sconosciuto fu di là rimossa e collocata nel muro dietro l’altar mag­ giore sotto l’imagine della B. V. dall’Angelo, ove si trovava già nel 16 feb­ braio 1527, come in un rog. Vincenzo Viarani citato dal Valgimigli, dal quale s’apprende che l’imagine della B. V. dall’Angelo era « posita super archa vel urna beati petri damiani in dieta ecclesia post altare maius ». Si dice (V algim igli , V ili, p. 70), ma non saprei con quale fondamento, che le due colonne di marmo, che oggidì sostengono l’orchestra davanti alla porta maggiore, sostenessero allora l’urna di s. Pier Damiano. Nel 1673 l’urna era certamente sostenuta da due mensoloni di marmo (vedi nota 2 del capo seguente). Coloro che la videro prima della seconda traslazione del 1673 (nel Processo e in Gaetani, III, p. VI) dicono che essa sovra­ stava l’altar maggiore, sicché vedevasi da tutta la chiesa, e che sopra il sepolcro correva una balaustrata che facea ornamento e dava comodità di giungere all’ancóna di legno dorato, dentro la quale conservavasi l’imagine di S. Maria dall’Angelo. | 2 Anche questa seconda iscrizione è riportata dagli scrittori con alcune varianti; ma il vero testo è il seguente, come si raccoglie dalla tavola

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

di marmo, alta 24 cent, e lunga 73, che si trova nella chiesa di S. Maria vecch ia : Q V I ( n )QVE

DENIS

M IE L E . TE RC E N T IS

ET

QVATVOR

TERTIVS A P (R l)L IS . CVM A DECIMO FLVSERAT

(sic)

A N N IS .

ORTVS.

T R A N S T V L L IT ( s i c ) T E C LERVS. DOCTVM IN PAGIN A SACRA.

OSTIENSIS PRESVL. QVEM DOTAT CARDINALATVS. 0 PE TRE D A M IA N E . TE CRVX IN ORDINE F O N T IS .

AVELLANE BEAT. TV LEGATVS QVOQVE TANDEM. SEDIS APOSTOLICE. PETRA NVNC CLAVDERIS ISTA. INSTAT TVNC ABBAS . MATEVS DE CALLIO NATVS.

Il Gaetani, III, p. IX, riferita questa e la precedente iscrizione, p. VI, riporta due altre iscrizioni latine, che non sono mai state intorno al se­ polcro del santo. Dal Gaetani le ha tradotte il cardinale Capecelatro (p. 502). 8 N eir/fodoeporico/i citato dagli An. Cam., II, pp. 3-4: «Monasterium quoque insigne Sanctae Mariae perreximus, sepulchrumque Petri Damiani in antiqua et ornata atque ab ilio (ut ferebatur) — ma sopra abbiam visto che ciò è falso — constructa basilica venerati sumus (’’che avanti a quello orando con molte lagrime baciasse più volte quel sacro deposito” , è una giunta del Magnani, p. 236). Codicem illic vetustum ipsius, ut ferebatur, manu scriptum, in quo omnia opuscula eius haberentur, in conspectum dedere », ecc. La visita di fra Ambrogio a Faenza durò dal mezzogiorno incirca del giorno 21 novembre al dopopranzo del 22. Il giorno 9 dicembre da Ravenna ingiungeva al Viarani di restituire il codice all’abate di S. Maria (An. Cam., VI, pp. 75-78). Il cardinale Alessandro Farnese (7 ot­ tobre 1520 t 2 marzo 1589), giovane di ventidue anni appena, avendo chiesto ad Antonio Ugolino, tesoriere di Romagna, | una copia delle opere di s. Pier Damiano, il magistrato di Faenza, mandavagliene una copia di mano del celebre filosofo e medico faentino Pier Nicola Castellani (su que­ st’uomo cfr. M i t t a r e l l i , De Lit. Fav., pp. 44-50). A p. 144 degl’/strumenti dal 1540 al 1552 dell’ archivio municipale si legge: « d ie 7 febr. 1543. Cum civitas Faven. requisita fuerit a domno Antonio Ugulino Thesaurario di­ gnissimo provintie romandiole ut eidem trasmittere vellet opera composita per divum petrum damianum in unum librum redactum in cartis edinis foliorum 442 scriptorum indice seu tabula dicti libri non computatis in eis foliorum duorum script, manu, ex.mi domni Magistri Petri Nicolae Ca­ stellani colligatum (...) et coopertum pelle alba pro transmittendo dictum librum ad urbem R.mo Ill.mo Cardinali Farnesio (...) volentes magci D. Antiani (...) com placere (...) R.mo D. Cardinali comparuerunt in presentia no­ strorum notariorum et testium dicti Antiani (...) dederunt et consignaverunt dicta opera (...) advocato fiscali in civitate faven. presenti et acceptanti et secum portanti promittens (...) Thesaurarius transmittat dictum librum (...) integrum ad omnem libitum (...) ultra quatuor menses proxim e futuros, sub poena lib. 1000 auri quae poena (...) pro reficere etc. Actum Faventiae in Camera viridi palatii populi ». Il Fortunio, che pubblicò la seconda parte della sua Hist. Cam. nel 1579, narra che l’ autografo del Damiano a quel tempo si conservava ancora nel monastero di S. Maria.’

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San Pier Damiano e Faenza

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9 È ora « nella biblioteca Vaticana al numero 3797 (Capecelatro, p. 533).c Tale manoscritto mostra tutta la sua antichità: ha molte parole cancellate e molte altre aggiunte qua e là, sicché si vede che è di mano di autore non di copista. Nel fine del volume sono queste parole: ’’Mona­ sterii Sanctae Mariae de Angelis Faventiae, anno 1113” . Sì fatte parole si veggono aggiunte appresso, essendo di altro carattere, ed indicano non il tempo in che fu scritto il libro ma quando | fu rinvenuto (secondo il Mittarelli, An. Cam., II, p. 4, l’anno 1113 indica l’ anno della recensione di quel codice e degli altri della biblioteca o il tempo in cui il monastero venne in possesso del codice). A questo manoscritto è aggiunto anche un Sermone di San Bernardo, il quale mostra caratteri più recenti, e certo fu quivi aggiunto dopo il 1113, poiché in quell’anno San Bernardo appena avea indossato l’abito monastico in F rancia».

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10 II Gaetani (praefatio al tom. Ili, pubblicato nel 1615, p. VII; Ari. Cam., V ili, p. 214) scrive: «com plurium religiosorum fides, qui testa­ tissime et oculate testantur, cum ab hinc fere annis viginti (dunque nel 1595, dice il cardinale Capecelatro, p. 503; nel 1596, il Laderchi, II, p. 272; il 13 aprile 1596, aggiunge il Magnani, p. 42) hoc sepulchrum aperiretur (’’ coll’intervento de’ deputati del vescovo e del magistrato” , Magnani, ibid.), inventum fuisse Petri Damiani corpus incorruptum (’’intiero ed incorrotto” , Magnani, ibid.). Ne vero oculos deceptos fuisse quis existimet, ipsimet mo­ nachi, qui rem totam curiosius inspexerunt, affirmant, eundem Dei virum parva esse corporis statura: unum que ab eo tunc illi abstraxere bra­ chium », ecc. (’’ quod, soggiunge il Laderchi, che scriveva nel 1702, II, p. 272, mirum in modum, non denigratum sed carne et nervis ac si viventis incorruptione paucissimis concessa indutum conspicitur” ). Il braccio del santo (il Processo lo chiama sempre mano) si conserva ora presso il te­ soro della cattedrale in un reliquiario d’argento a foggia di braccio che benedice, sorgente verticalmente da una base pure d ’argento di stile ba­ rocco in cattivo stato. Nella base si legge quest’iscrizione: | BRACHIVM S. PETRI DA(M)IANI

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EPISCOPI.

R.mus P. Abbas D. Leopol dus. Bambagini. F. F. Anno 1709 Anche nel 1616 (Liber Rubeus, ff. 199-200) il braccio del santo era involutus in cooperta argentea. Nel 1729 mons. Lomellino ne estrasse una parte per appagare i desideri e le richieste di Benedetto XIII (Ma­ gnani, p. 43). Ho cercato in tutti i nostri archivii l’atto autentico di questa im por­ tante recognizione del 1595 o ’96, ma senza frutto. I

c Su questo ms. vedi Rassegna Gregoriana, fase, mag.-giugno 1908, coll. 262-264.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

VI SECONDA TRASLAZIONE

A metà del secolo XVII gli abati di S. Maria dall’Angelo riedificarono dai fondamenti la chiesa e il monastero labenti per vecchiaia. Alla chiesa nuova, più ampia dell’antica, mutarono orientazione; nel muro dell’abside dell’antica chiesa aprirono la porta maggiore, e dove si apriva l’antica porta rivolta a ponente innalzarono l’altar maggiore della nuova chiesa.1 Per questo l’imagine taumaturga della B. V. dall’Angelo, 13 agosto 1673, fu tolta dal muro orientale dell’antica chiesa; e quattro mesi dopo fu levata anche l’arca del santo, che stava sotto l’imagine della B. V., per trasportarla nella cappella della crociera a sinistra di | chi entra nel tempio, destinata a raccogliere le spoglie mortali di Pier Damiano. Col permesso della S. Congregazione de’ Vescovi e Begolari, 17 novembre 1673, che consentì si facesse la traslazione, ma secre­ tamente e senza pompa, nelle prime ore di notte dell’l l dicembre successivo, a porte chiuse, alla presenza del cardinale Bossetti, del magistrato della città, dei monaci e di altre poche persone la cassa marmorea fu tolta dal muro e consegnata all’abate, perchè da macchina appositamente fabbricata la facesse trasportare alla nuova cappella. Il giorno 13 poi, compiuto il trasporto, alla pre­ senza del medesimo cardinale e del magistrato l’arca fu collocata a suo luogo.2 Era essa incastrata nel muro di prospetto della cappella, dal suolo della medesima circa nove palmi romani. Per tre scalini di pietra addossati al muro si poteva salire fino a baciare l’urna, e, secondo il costume dei nostri antenati, fino ad appoggiarvi il capo. L’altare di pietra era discosto dal muro circa due metri e mezzo. Nel prospetto della cappella sopra la tomba in alto e dentro cornice a contorni ba- | rocchi fu dipinta la scritta: FECIT ET DOCVIT, operò ed insegnò.3 Nella parete a sinistra di chi entra nella cappella fu ritratta col pennello quest’iscrizione, che traduco dal latino: «A Dio Ottimo Massimo. Perchè questa tavola, quantunque marmorea, già da gran tempo collocata sotto l’arca di s. Pier Damiano, là ove al presente si apre la porta maggiore di questo sacro tempio, dalla voracità del tempo non fosse consumata, Dionisio Pacifici abate, trasportata l’urna del sacro corpo in questo altare, collocò

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qui vicino nell’anno 1673»; e sotto questa iscrizione fu incastrata nel muro l’antica iscrizione metrica latina del 1354, che cono­ sciamo.4 Nella parete a destra di chi entra fu dipinta quest’altra iscrizione, ove si sente molto bene l’odore del seicento; la tra­ duco in Italiano : « A Dio Ottimo Massimo. O viandante, venera dell’augusto tempio l’augustissima cappella. Ben tu sei straniero al cristianesimo se ignori il nome e la gloria di Pier Damiano cardinale vescovo d’Ostia, del gran Benedetto grandissimo fi­ gliuolo. Qui col consenso della S. Congregazione de’ Vescovi e Begolari, per suggerimento del- | l’eminentissimo e reverendissimo cardinal Bossetti, vescovo incomparabile, alla presenza dell’illu­ strissimo senato di Faenza e de’ monaci del cenobio il sacro corpo chiuso in antico sepolcro, confermato l’atto di traslazione dal rogito fedele di tre notai, il giorno 11 dicembre 1673 alla tua e alla pubblica venerazione trasferì Dionisio Pacifici abate ci­ sterciense.5 Le ossa di s. Pier Damiano rimasero in questa cappella fino al 1778.

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NOTE 1 II monastero antico fu distrutto e ne fu edificato uno nuovo dal­ l’ abate Pierdamiano Castellani, faentino (t 1649), e dall’abate Marsilio Amici, suo successore, pure faentino. I lavori com inciarono nel 1646. L’ abate Amici nel 1651 intraprese da’ fondamenti anche la fabbrica di una nuova chiesa, conservando soltanto l’antico campanile. Il suo successore abate Adriano Ansaioni (non Ascaloni, come ha il Babini, p. 100) p ro­ seguì i lavori, 1659-1670, e l’abate Dionigi Pacifici da Padova li compì (T onduzzi, p. 20; V algimigli, fase. 74, pp. 23-27). 2 « A l nome di Dio adì 11 dicembre 1673. Volendo il R.mo P. D. Dio­ nisio Pacifici dell’Ordine Cisterciense, Abbate del Venerabile Monastero di Santa Maria dell’Angelo anticamente detta foris Portam di Faenza, prosseguire la Fabrica della Chiesa di detto Monastero ridota dall’antica alla forma moderna dalla bona memoria dell’Abbate D. Marsilio Amici faen­ tino, con stabilirla doue bisogna, et aprire la Porta Maggiore, già dissegnata e distinata alla noua facciata di detta Chiesa, che guarda Oriente, et hauendo di già à tal effetto li 13 Agosto prossimo passato à tal effetto leuata da detta muraglia Orientale l’antica Immagine della Gloriosa Ver­ gine Maria dell’Angelo Protetrice antichissima di questa Città in tutti li suoi bisogni, ma principalmente ne’ pericoli di | guerra, con la douuta ueneratione trasportata all’Altare Maggiore nouamente fabricato in luogo chiamato il Paradiso, doue era la Porta Maggiore antica di detta Chiesa, e restando ancora in detto muro Orientale la Cassa con il Corpo del Glo­ rioso S. Pietro Damiano parimenti Protettore della medesima Città da tra­ sportarsi, come il suddetto P. Abbate Dionisio intende di trasportare al

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luogo destinatoli, cioè nella Capella della Crociera di detta Chiesa al Corno dello Euangelio per poter apprire la Porta Maggiore in detto luogo, doue adesso si troua la medema Cassa. Perciò seruendosi della licenza à questo effetto ottenuta dall’E.mo e R.mo Sig. Cardinale Rossetti Vescovo di detta ' Città, in uigore della facoltà a S. E. concessa dalla Sacra Congregazione, e con la presenza, assistenza ed interuento del medesimo E.mo e R.mo Si­ gnore Cardinale Rossetti presente, e degli 111.mi Signori Antiani, e Magi­ strato di detta Città (...) fece per mezzo de Muratori separare dal Muro la Cassa di Marmo suddetta, la quale separata e uista, fù trouata com e segue: Il fondo che era sopra due Mensaioni fù trouato longo piedi 4 d. 7, largo piedi 2 d. 4, di marmo bianco d’Istria con lettere intorno antiche: A. D. MGCCLIIII (...) Il resto della Cassa era di marmo greco Berettino suenato di bianco con cornice sotto e sopra, con Collonnette scannellate à uite di molti pezzi, e la parte di dietro della Cassa fù trouata di pietra cotta murata a gesso, nel Coperchio della Cassa ui è la figura in rilieuo del medesimo S. Pietro Damiano in habito Episcopale con Mitra, Pastorale, Pianeta, Guanti, Sandali etc. et essendo il tutto ben commesso fù la Cassa inuolta in Coperte e Stuore, e bene immagliata con corde sigillate à tutti li nodi con Cera di Spagna con li sigilli deH’E.mo Vescouo, delPIll.ma Co­ munità e del Monastero suddetto, essendo chiuse tutte le Porte della Chiesa, e così Segnata, Legata e Sigillata la detta Cassa fù lasciata alli medesimi P. Abbate e Monaci e Muratori, ad effetto che li medemi Muratori con l’as­ sistenza di detti Monaci la trasportassero sopra le Mac- | chine preparate 99 al luogo destinato senza però aprirla et à Porte chiuse, come promisero di fare in ogni migliore modo et essendo presenti à tutte le sudette cose il Sig. Antonio Maria Benedetti, S. Alessandro Malli celli et altri Signori. Adi 13 dicembre suddetto l’E.mo e R.mo Sig. Cardinale Rossetti es­ sendosi portato alla suddetta Chiesa di Santa Maria dell’Angelo con la presenza dei medesimi Ill.mi Signori Antiani, et hauendo trouata la Cassa suddetta portata et alzata al luogo doue intende detto P. Abbate resti si­ tuata, et hauendo riconosciuti i sigilli alli Capi delle Corde non guasti, non alterati e non sospetti, ordinò che fossero leuati, come fù esseguito, e smagliata la Cassa si trouò non hauere patito in parte alcuna, e però essendosi trattenuto sino che da Muratori fù aggiustata al suo luogo in detta Capella si ritirò, et hauendo fatte al Santo Corpo le douute genu­ flessioni e uenerationi, si partì essendo sempre presenti li suddetti testimonii ». Quest’atto fu rogato da tre notai, cioè Giovanbattista Benedetti, Pier Maria Cavina e Cristoforo Mondini (nel Processo, pp. 16-23, e in V algimigli, fase. 74, p. 32). L’istanza dell’abate Pacifici col rescritto originale della S. Congregazione de’ Vescovi e Regolari è nel Processo, pp. 18-19. Si concede la traslazione, « ita tamen, ut predicta translatio secrete, et sine pompa fìat. Romae 17 novembris 1673 ». Il Babini (p. 109) vuole che alla traslazione assistesse anche il governatore della città mons. Ruota; ag­ giunge che nel giorno della traslazione l’abate Pacifici di buon mattino cantò la messa dello Spirito Santo; erra nel porre i due atti distinti della traslazione nei giorni rispettivi 9 e 11 dicembre. Dell’urna esiste un di­ segno nel Processo (p. 128). 3 II Processo aggiunge che al coperchio dell’urna erano appesi dieci voti d’ argento; che sopra il sepolcro una ta- | bella appesa portava la 100

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scritta « altare privilegiatum die lunae », e sopra l’arco o fornice della cappella ne era un’ altra colla scritta «unum ex septem altaribus»: e che nei due pilastri che sostengono l’arco della cappella erano due tabelle ap­ pese, l’una a cornu evangelii con dieci voti d’ argento, l’ altra a cornu, epi­ stolae con sette. Della cappella, almeno com ’era nel 1701, esiste un disegno nel Processo (p. 126). In alcune memorie ms. leggo che nel 1716 i monaci ornarono la cappella con statue e stucchi di Antonio Marinetti Ravignano e che il 19 marzo di quell’ anno l’altare fu consecrato dall’abate Bernardo Barba. 4 D. O. M. |NE TEMPORIS EDACITATE ABSVMATVR |MARMOREA QVANTVMVIS TABVLA | IAMDVDVM SITA SVB ARCA [ S. PETRI DA­ MIANI |QVO NVNC S. AEDIS MAIOR PATET IANVA |DIONYSIVS ABBAS PACIFICI |TRANSLATA SACRI CORPORIS VRNA |PROPE HIC COLLO­ CAVIT |MDCLXXIII. Per una svista il Valgimigli (Giunte, p. 741) afferma che sotto quest’iscrizione era incastrata nel muro l’antica iscrizione latina del 1354, che com incia: A. D. MCGCLIII ecc.; mentre, come sappiamo, quest’iscrizione girava attorno alla base dell’urna. Aggiunge che l’iscri­ zione — Ne temporis edacitate — si trovava a cornu epistolae; ma è un errore. Il Processo la pone a cornu evangelii, ove si trova anche al presente l’iscrizione metrica del 1354. 5 D. O. M. |TEMPLI AVGVSTI AVGVSTISSIMVM VENERARE SACELLVM |VIATOR |S. PETRI DAMIANI CARDINALIS EPISCOPI OSTIENSIS | FILII E BENEDICTO MAGNO TER MAXIMI |CHRISTIADViM ADVENA ES SI NOMEN SI TE GLORIA LATET | (il Valgimigli, fase. 74, p. 34, legge: « Christiadum advena si te nomen et gloria latet»; ma i Monumenta mar­ morea | ecc., p. 5, e il Processo, che per cinque volte riporta l’iscrizione suddetta, leggono come sopra; il Babini, p. 109, molto erroneamente legge: « filii e Benedicto magno ter maximo |Christiadum advena sit nomen et gloria | latet | h ic») HIC | SACRA CONGREGATIONE EPISCOPORVM ET REGVLARIVM ANNVENTE | E.MO ET R(E)V.MO CARD. ROSSETTO | ANTISTITE INCOMPARABILI DICTANTE |ILL.MO SENATV FAVENTINO ET COENOBII MONACHIS |ADSTANTIBVS |SACRVM CORPVS ANTIQVO REPOSITVM CONDITORIO | TRIVM NOTARIORVM ROGITV FIDELI | ADSPORTATIONE FIRMATA |TVAE AC PVBLICAE TRANSTVLIT ADO­ RATIONI |ANNO MDCLXXIII DIE XI (ma era meglio XIII; vedi il rogito della traslazione in nota 2 sopra) DECEMBRIS |DIONYSIVS PACIFICI CISTERCIENSIS ABBAS.

Lo Strocchi (Compendio, p. 12), dopo recata l’iscrizione metrica del 1354, tira una lineola sotto la medesima e aggiunge quest’altra iscrizione metrica: L V S T R IS C V M S E P T E M G E M IN IS P O S T SAECLA B IS OCTO A N N IS AC TR IBV S VNDENA LA BE N TE DECEM BRIS PR A E SV LE R OSSETTO GE STIS QVI PVLGET ET OSTRO PERCVLTAEQVE V RB IS VENERANDO ORNANTE SEN ATV VNDIQVE PERC E LEB R IS P E T R I E X W I A S D A M IA N I SE VRGENTES IN TE R POPVLOS DIO NYSIVS ABBAS P A C IF IC I T R IN I C A L A M I SO LE M N IB V S A CTIS IP S A QVA S IG N ATA E AN TIQ VA HVC T R A N S T V L IT VRNA

(lo Strocchi però legge erroneamente: ipsa qva signante antiqve etc.); ma non dice nè dove sia, nè perchè sia stata posta. Quest’iscrizione, che

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non è altro, come ognun vede, che una p oco felice riduzione in versi, sulla foggia di quelli del 1354, della infelice iscrizione del 1673 «T em p li augusti » | etc., al tempo del Processo non esisteva, altrimenti se ne sa­ rebbe fatta menzione nella minutissima descrizione della cappella: nè vi poteva essere, perchè racchiude un errore manifesto: undique (...) se ur­ gentes inter populos, mentre la Congregazione comandò (vedine il rescritto in nota 2 sopra) che il trasporto si facesse secreto et sine pompa, e il rescritto fu scrupolosamente osservato. Quando dunque fu collocata que­ st’iscrizione metrica nell’ antica cappella del santo? I Monumenta mar­ morea ecc. (p. 5), trascritti nel 1779, cioè un anno dopo la terza trasla­ zione delle ossa del santo da S. Maria alla chiesa dei Gesuiti, ci avvertono che le due iscrizioni «N e temporis » etc. e «T em p li augusti» etc. non esistevano più, ma che nel muro a cornu epistolae (ma leggi evangelii) era rimasta solo l’iscrizione del 1354, e che a cornu evangelii (ma leggi epistolae) si leggeva incisa in marmo l’iscrizione suddetta: « Lustris cum septem » etc. Si può quindi pensare che, p oco dopo avvenuta la terza traslazione, si cancellassero le due iscrizioni dipinte nel muro, e che, per mantenere nella cappella memoria delle due traslazioni, si conservasse a cornu evangelii, ove ancora si trova, l’iscrizione metrica del 1354, e a cornu epistolae s’incastrasse nel muro una tavola di marmo con incisa la suddetta iscrizione « Lustris cum septem » etc. in versi artificiosa­ mente antiquati, come quelli del 1354, rimembrante la traslazione del 1673. Il poeta aggiunse del suo: undique (...) se urgentes inter populos. Anche il cardinale Capecelatro (p. 503) racconta che nel 1673 le ossa del santo furono traslocate con gran pompa. Ma vedi il rescritto sopra. Nella Vita deH’ e.mo Capecelatro non si trova alcuna menzione delle seguenti trasla­ zioni del 1778 e 1826. |

VII CULTO DEI FAENTINI A S. PIER DAMIANO

La canonizzazione di Pier Damiano, per quanto si sa, non fu mai celebrata.1 Egli fu, per così dire, canonizzato dal senti­ mento universale e costante di tutta la Chiesa cattolica; cioè fin dal tempo della sua morte fu tenuto da tutta la Chiesa in conto di santo e come tale venerato. Questo culto venne molto più tardi approvato dall’autorità dei Sommi Pontefici. I primi atti di culto egli li ebbe a Faenza dai faentini il giorno de’ suoi funerali, quando tutta la città si versò nella chiesa di S. Maria foris portam, anziché a pregare per l’anima sua, a ve­ nerarne la salma e ringraziare Dio di avernela concessa quasi | prezioso deposito.2 E nel 1080, dopo la miracolosa guarigione dell’abate Ungano, i lumi accesi innanzi al sepolcro dalla grati­ tudine del monaco graziato e de’ suoi confratelli e il suono delle

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campane e le messe celebrate, piuttosto che suffragi per un de­ funto furono onori resi a un uomo, che già si credeva tra i santi del cielo, e cominciavasi ad invocare come santo.3 Ne’ secoli se­ guenti il culto a s. Pier Damiano crebbe sempre nella nostra città, e argomento certo ne è la traslazione del corpo fatta nel giorno solenne di pasqua del 1354 coll’intervento di tutto il clero, dall’antico sepolcro terragno in nuova arca marmorea ornata e collocata in alto dietro l’altar maggiore sotto l’imagine taumatur­ gica della B. V. dall’Angelo. Quando l’abate Matteo da Cagli, fa­ cendo scolpire nel nuovo monumento le lodi del Damiano, l’ono­ rava del titolo di santo, egli esprimeva senza dubbio la comune credenza di tutto il popolo faentino. Circa il principio del se­ colo XV fu dipinta in tavola di legno l’imagine del santo, la più antica“ che di lui si conosca, conservatasi fin al secolo passato nella sagrestia di S. Maria foris portam. Rappresentava il Da- | miano vestito pontificalmente in atto di benedire con un’aureola 105 dorata intorno al capo, nella quale leggevasi in giro : « S. Petrus Damianus».46 Quando in Faenza cominciasse a celebrarsene la festa le antiche memorie non ci hanno tramandato. È certo però che nel 15125 già si faceva nella nostra città la festa del Damiano; non il giorno della sua morte, 22 febbraio, perchè sacro da tempo antichissimo alla cattedra di S. Pietro apostolo, ma il giorno se­ guente come si fa anche ora da tutta la Chiesa. È probabilissimo che la festa di S. Pier Damiano per la prima volta in tutta la Chiesa siasi celebrata in Faenza. * Un secolo e mezzo appena dopo la traslazione del 1354 la divozione dei Faentini a s. Pier Damiano era talmente cresciuta che la sua intercessione fu invocata nelle pubbliche sciagure, la sua festa celebrata come di precetto e il suo nome annoverato tra i patroni della città. La festa di precetto cominciò a celebrarsi a Faenza il giorno 23 febbraio 1513 per voto solenne | di tutta la cittadinanza emesso nei terribili avvenimenti, che funestarono la Romagna nell’aprile dell’anno prima.

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“ Ma cfr. F oglietti, p. 299. b Negli Statuti di Brisighella (1411-1417) tra i giorni feriati c’è un diem sancii Petri Damiani (cfr. F. Canzoni, I giorni feriati ecc., in Bollett. dioces. di Faenza, II, 1915, pp. 112 ss.), se il nome del santo non fu ag­ giunto nella copia del 1567 perchè gli Statuti sino a noi pervenuti in una copia di quell’anno. Però il notaio scrive che nulla aggiunge — nihil addito — alla copia. Cfr. pure la rubr. 17 del lib. Ili, qui p. 86.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

È noto come alla fine di gennaio 1512 entrassero in azione anche in Romagna le milizie della Lega santa conchiusa l’anno prima, 4 ottobre 1511, tra Giulio II papa, Ferdinando il cattolico re di Spagna e la repubblica di Venezia contro le mene scisma­ tiche di Luigi XII re di Francia. Ne’ primi giorni di febbraio Gastone di Foix, comandante supremo dell’esercito francese, li­ berava la città di Bologna, in mano a’ Bentivogli devoti a Francia, dall’assedio postovi da Raimondo di Cardona, viceré di Napoli, comandante dell’esercito spagnolo-pontificio e costringevalo a piegare verso Imola. Negli ultimi di marzo Gastone moveva di nuovo alla volta di Romagna, dopo avere nel frattempo vinto i Veneziani e presa loro e saccheggiata orrendamente la città di Brescia, 19 febbraio. Il Cardona per evitare 1’incontro del suo bravo avversario e per guadagnar tempo finché giungessero aiuti, si ritirò a Faenza vicino a porta Ravegnana tra le mura della città e la Cerchia, come in luogo forte. Ma Gastone lo seppe |for- 107 zare a battaglia. Dopo avere espugnato e saccheggiato Russi, ca­ stello situato tra Faenza e Ravenna, e messivi a fil di spada più di ducento terrazzani, colle artiglierie del duca di Ferrara, parti­ giano anch’esso di Francia, cominciò a stringere e a battere la città di Ravenna, dov’erano i magazzini per il vettovagliamento delle milizie degli alleati; e così costrinse il Cardona ad abban­ donare il campo trincerato di Faenza per venire in soccorso della piazza. Le milizie alleate giunsero a quattro miglia da Ravenna la sera del dieci aprile. La mattina dopo, era il giorno di pasqua, a otto ore Gastone le attaccò. L’esercito francese, composto in gran parte di mercenari tedeschi, francesi e italiani contava venticinquemila uomini incirca, ventimila quello della lega. Dopo la battaglia, terminata sulle ore quattro del pomeriggio, diecimila cadaveri ricoprivano il campo, un terzo di soldati francesi, due terzi dei loro nemici. Era questa la battaglia « più sanguinosa di quante dai giorni delle immigrazioni dei popoli sul suolo d’Italia si fossero mai combattute ».6 L’esercito francese aveva vinto, ma il suo capitano Gastone era caduto nel | bollore della mischia.7 108 Nella notte i Ravennati si arresero; ma il mattino seguente per poca guardia delle mura entrati nella città i soldati vincitori, Ravenna fu orrendamente devastata. Moltissimi cittadini furono massacrati, altri torturati, perchè manifestassero le nascoste ric­ chezze: insultate le donne, i fanciulli, le sacre vergini dei mo­ nasteri. Le case saccheggiate completamente, a molte appiccato il fuoco: il Monte di Pietà derubato. Non si perdonò neppure alle chiese: per involarne gli ori e gli argenti si gettarono in terra

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San Pier Damiano e Faenza

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le ossa dei santi, quelle di alcuni santi arcivescovi specialmente, e perfino le sacre particole.8 Questi avvenimenti gettarono in tutta Romagna costernazione e commovimento incredibili. I Faentini, temendo di cadere nelle mani dell’esercito vincitore ed essere trattati come i disgraziati abitanti di Brescia, Russi e Ravenna, ricorsero all’aiuto del cielo, come in simili frangenti aveano fatto altre volte, specialmente du­ rante il lungo assedio del duca Valentino. Nei dubbi eventi di quella guerra (novembre 1500 - aprile 1501), narra un testimonio oculare,9 mentre correva pericolo la vita dei cittadini, da | tutti si facevano voti a Dio, alla Beata Vergine e ai santi per non ca­ dere nelle mani del barbaro nemico. Di più, mentre i giovani ro­ busti notte e giorno attendevano alla difesa delle mura e della rocca, le giovinette vestite di bianco coi capelli disciolti a piè nudi di rione in rione percorrevano tutta la città invocando supplichevoli l’aiuto di Dio e dei santi, e i fanciulli anch’essi a due a due scalzi sotto il vessillo della croce ogni giorno andavano attorno implorando il divino aiuto. Similmente dev’essere avvenuto nel­ l’aprile del 1512, quando pervenne nella città la notizia della bat­ taglia e del sacco di Ravenna. Erano allora in grande venerazione nella chiesa cattedrale le ossa di s. Savino vescovo e martire, nelle chiese parrocchiali rispettive quelle di ss. Emiliano vescovo e Terenzio diacono, e nella chiesa abaziale di S. Maria dall’Angelo il corpo di s. Pier Damiano. Nell’imminente pericolo adunque tutto il popolo, o il magistrato a nome di tutto il popolo coll’ap­ provazione del vescovo Giacomo Pasi, nostro concittadino, fece voto di celebrare come feste di precetto i giorni sacri alla me­ moria di quei quattro |santi, se la bontà di Dio scampasse la città dalla strage, dal saccheggio e dall’incendio. Le preghiere furono esaudite; risparmiati alla città il tremendo sacco e gli orrori che inevitabilmente l’accompagnavano. A perenne memoria del rice­ vuto benefìzio fu incisa sopra una tavola di sasso dorato e posta nella cattedrale quest’iscrizione, che traduco dal latino : « Sovra­ stando alla città per opera dell’esercito francese pericolo di strage, saccheggio e incendio, tutto il popolo faentino fece voto di ce­ lebrare la festa dei Ss. Savino, Emiliano, Terenzio e Pier Da­ miano non meno solennemente che si debba e sia solito farsi nelle domeniche; se Dio onnipotente scampasse dalla ruina. Il che Dio fece. Nell’anno 1512». Promisero anche i Faentini, quan­ tunque l’iscrizione non ne faccia parola, di andare ogni anno processionalmente il giorno della festa dei quattro santi alle chiese ove si veneravano le loro reliquie.10

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Faenza continuò a celebrare la festa dei Ss. Emiliano, Te­ renzio e Pier Damiano come di precetto fino al 1644. Moltipli­ catisi di troppo nella Chiesa i giorni festivi, Urbano Vili, 13 set­ tembre 1643,11 ne re- |strinse il numero, e comandò che le città,® 111 solite celebrare varie feste di santi patroni come di precetto, si limitassero ad una sola. Faenza tolse le altre tre e conservò la festa di S. Savino. Anche le processioni, meno quella di S. Savino, cessarono nel 1767. Mons. Cantoni, vescovo della città, mosso dalla poca convenienza e divozione, colle quali facevansi a suo tempo, con suo decreto approvato da Clemente XIII le commutò in altre pie opere. Invece della processione di S. Pier Damiano fu ingiunto a tutti i sacerdoti della città e diocesi di aggiungere nella messa il giorno della festa del santo la colletta, come dicesi in linguag­ gio liturgico, prò gratiarum actione, cioè le orazioni solite a re­ citarsi dalla Chiesa in rendimento di grazie a Dio. Ciò si usa anche al presente.12 Non tornerà discaro a’ miei concittadini conoscere come si facesse questa processione, almeno nel secolo XVII, di cui ci ri­ mane memoria: La mattina del 23 febbraio si cantava all’altare maggiore della cattedrale la messa solenne del santo in musica, e dopo la messa tutto il clero secolare e regolare con tutte | le confra- 112 ternite della città e dei sobborghi, col magistrato cittadino e molte volte anche col vescovo, movevano dal duomo ordinatamente e pel Corso di porta Imolese (ora G. Mazzini) e per la via Orfa­ notrofi giungevano a S. Maria. Durante il percorso il clero can­ tava l’inno Iste confessor e le confraternite le litanie dei santi col­ l’invocazione « S. Petre Damiane, ora prò nobis ». Molto po­ polo seguiva la processione e molto la precedeva, sicché quando si entrava nella chiesa di S. Maria, sontuosamente addobbata per la circostanza, quel sacro tempio rigurgitava di gente. La pro­ cessione andava diritto al sepolcro del santo. A due a due ge­ nuflessi sulla predella dell’altare baciavano il braccio del santo, di cui ho parlato di sopra, presentato loro da un monaco ve­ stito di cotta e stola, mentre le confraternite cantavano : « S. Pe­ tre Damiane, ora prò nobis ». A questa processione si narra prendessero parte non solo cittadini e diocesani di Faenza, ma anche delle diocesi confinanti.13 | c Un atto del 1525 (presso il T onduzzi, p. 620 ma 610) è redatto Faventiae in camera quae vocatur S. Petri Damiani palatij populi ecc.

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Dopo i fatti del 1512 e in conseguenza dei medesimi i Faentini cominciarono ad invocare i quattro santi Savino, Emiliano, Terenzio e Pier Damiano come difensori e protettori speciali della città escluso s. Apollinare, primo vescovo di Ravenna, che da tempo immemorabile veneravasi come patrono insieme con s. Terenzio e anche con altri santi.14 E venti anni appéna dopo il voto deT 1512, Giovanni Antonio Flaminio imolese, illustre uma­ nista di quei tempi, a’ istanza del clero faentino scrisse in ele­ gante latino le vite dei quattro santi protettori e le dedicò al capitolo dei canonici, al consiglio generale e a tutto il popolo della città.15 Verso il medesimo tempo il celebre fra Sabba da Castiglione, cavaliere gerosolimitano e commendatore della Ma­ gione nel borgo d’Urbecco (1517-1554), facendo dipingere al Trivigiano la cappella dell’altar maggiore della sua chiesa, nella pa­ rete a destra di chi entra volle ritratti a chiaroscuro i quattro santi protettori.16 Anche nel pubblico palazzo furono dipinti i quattro santi, cioè nella cappella, ove il magistrato era solito ascoltare la messa, e nella gran sala sopra la porta insieme colla B. Vergine e il bambino | in braccia colla scritta in latino «moltiplicati gl’intercessori largirai grazia e p ace».17 Eziandio negli stendardi della città si ritrasse talora l’imagine dei quattro santi;18 e, perchè in quei tempi tutti gli atti della vita pubblica si volevano consecrati dalla religione, anche l’edificio di legno, che nel secolo passato racchiudeva la fiera di S. Pietro apostolo nella piazza maggiore, era adorno delle statue dei quattro pro­ tettori.19

Dopo questi fatti la divozione dei nostri maggiori verso s. Pier Damiano crebbe anche più. Testimoni oculari e degnis­ simi di fede del secolo XVI, XVII e XVIII narrano che presso il sepolcro del santo ardeva sempre una lampada, alla quale i di­ voti attingevano olio e lo portavano a casa per ungerne i malati. Nessuno o quasi nessuno entrava nella chiesa di S. Maria dal­ l’Angelo che, dopo aver fatto la visita al SS. Sacramento e all’imagine taumaturga della B. V. dall’Angelo, non s’inginocchiasse davanti all’urna del santo e non ne venerasse le [ ossa e l’imagine scolpita sopra il coperchio dell’arca, o non baciasse il sepolcro, o non vi appoggiasse divotamente il capo, o non l’abbracciasse in atto di figliale confidenza. Le mamme e le governanti prende-

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vano i fanciulli in braccio e li facevano baciare o toccare colla testolina il marmo del sepolcro. Non pochi Faentini digiunavano la vigilia del santo, 22 febbraio, anche quando cadeva nel tempo del carnevale. Molti quasi ogni giorno, o almeno spessissimo, spe­ cialmente nei giorni festivi, andavano a S. Maria dall’Angelo per visitarne il sepolcro, e vi conducevano i loro figliuoli. Ogni giorno si vedeva gente pregare intorno al sepolcro, venuta non di rado anche da lontani paesi. In molte famiglie conservavasi gelosa­ mente la vita manoscritta del santo, o in latino o in volgare, e davasi per tempo a’ leggere ai figliuoli.20 Ma la divozione dei nostri antenati verso s. Pier Damiano dimostravasi specialmente coll’invocare l’aiuto di lui per essere liberati o preservati dal dolore di capo. Non si conosce bene l’ori­ gine di questa divota costumanza, ma sembra doversi attribuire al fatto seguente della vita del santo. Narra | Giovanni, suo di- 116 scepolo, che Pietro, resosi monaco a Fonte Avellana, cominciò a vegliare le notti con tanto ardore e così a lungo nella preghiera e nello studio che contrasse un fierissimo mal di capo da perdere quasi il sonno: ma che, guarito poi con opportuni rimedi, prese a diportarsi più discretamente.21 Il Flaminio narra, che fin dal suo tempo Dio operava molti prodigii al sepolcro del santo. Possiamo ben credere che riguardassero guarigioni da dolori di capo.22 Il Magnani racconta che molti al suo tempo, 1741, rice­ vevano la sanità nell’atto stesso che toccavano la sacra urna.23 Più tardi, verso il 1775, avvenne la guarigione di Lorenzo Ignazio Thjulen, protestante svedese, convertito alla fede cattolica dal padre Emanuele Iturriaga, gesuita, e resosi anch’egli della Com­ pagnia. Mi piace riferirla colle stesse parole del Thjulen: «Giunto la prima volta in Faenza, un cortese cittadino si esibì per condurmi a veder ciò, che di più riguardevole si trovava in quella illustre città (...) Egli mi condusse alla cattedrale e a varie altre chiese, fra le quali entrammo in una assai bella ove in una delle cappelle al lato destro dell’altar maggiore vidi un | magni- 117 fico monumento di marmo, ciocché mi stimolò a domandare alla mia guida cosa in esso si conteneva. Mi rispose che in essa si conservavano le reliquie di s. Pietro Damiano, santo miracolo­ sissimo per quelli, che soffrivano dolori di capo. Io, che di quel male già da tre anni quasi continuamente pativa, e che attual­ mente n’era tormentato, pregai la mia guida di trattenersi alcun poco (...) Inginocchiato innanzi all’urna con gran fiducia pregai il santo ad impetrarmi la liberazione di quel male (...) e feci anche un picciol voto (...) M’alzai poco dopo, e rimasi come attonito a

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sentire il capo affatto libero da ogni dolore (...) Da quel momento in poi, che è quanto dire per cinquanta e più anni — scriveva nel 1826 —·, nonostante un’applicazione indefessa e forse talvolta anche indiscreta agli studi, posso assicurare (...) di non aver mai più sofferto il menomo dolor di capo ».24 Lo stesso Thjulen, ancor vivo nel 1829, scriveva da Bologna, 11 marzo, al canonico penitenziere di Faenza Bartolomeo Archi: «L a figlia del fu dottor Giuseppe Atti per nome Angiola soffriva da molto tempo di quando in quando dolori di testa assai gravi (...) final- |mente 118 questo male per due o tre settimane infierì tutti i giorni. Allora io nella mia cappella privata feci un giorno accendere delle can­ dele ed esporre in tempo della messa la reliquia di s. Pier Da­ miano, finita la quale feci venire la giovane e mettersi in ginoc­ chio a piede dell’altare e la benedii colla santa reliquia, e da quel punto fu ella intieramente liberata da quel continuo male ».25 S’intende bene, che io, conformandomi ai saggi decreti d’Urbano Vili, non attribuisco a questi racconti altra fede che l’umana. Segno di molteplici grazie ricevute pendevano una volta vi­ cino al sepolcro del santo molte tabelle votive, e innanzi all’urna ardevano del continuo moltissime candele, sicché già nel prin­ cipio del secolo XVII l’iscrizione girante intorno alla base pel fumo delle medesime era diventata quasi illeggibile.26

Queste dimostrazioni di riverenza non parvero sufficienti al­ l’affetto e alla gratitudine dei Faentini verso il santo patrono. Alla fine del secolo XVII i canonici della | cattedrale si fecero promotori di un aumento di culto al Damiano; deliberarono di domandare alla S. Sede la facoltà di recitare nell’ufficio e nella messa del santo, che da tempo antico27 si dicevano nella città e nella diocesi, come suol dirsi in linguaggio liturgico, de com­ muni confessoris pontificis, nel secondo notturno del mattutino le lezioni proprie e nella messa pure l’orazione propria. È da sapersi che papa Urbano V ili nel 1625 aveva proibito di prestare culto pubblico agli uomini di Dio non beatificati o canonizzati dalla Chiesa, eccetto a quelli, che si veneravano o per comune consenso della Chiesa, o per immemorabile o lun­ ghissimo corso di tempo, sapendo e tollerando la S. Sede o l’Or­ dinario del luogo. Quando poi si chiedesse alla S. Congregazione dei Riti l’ufficio o la messa propria di alcuno di quei santi, la medesima Congregazione esigeva che prima se ne provasse il

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culto. La discussione della causa, in cui dovevasi determinare che il culto prestato all’uomo di Dio era antichissimo, almeno di cento e più anni antecedente il decreto d’Urbano Vili, si di­ scuteva in prima istanza presso il tribunale vescovile.28 | Uno dei santi compresi nel decreto del 1625 era il nostro Pier Damiano, come quello che non fu mai canonizzato, ma con­ siderato come santo e come santo invocato dai fedeli fin da tempi antichissimi. I canonici adunque, 29 gennaio 1701, fecero istanza al cardinale Marcello Durazzo, allora nostro vescovo, per­ chè volesse introdurre la causa presso il suo tribunale. La do­ manda fu esaudita. Cominciato il processo il giorno 18 febbraio 1701, si chiuse con sentenza favorevole il 23 giugno dell’anno seguente.29 Mandato a Roma alla S. Congregazione de’ Riti non si ottenne così presto ciò che si desiderava. Solo nel 1741, 22 aprile, papa Renedetto XIV concesse a tutti i sacerdoti della città e diocesi la messa e l’ufficio proprio del santo.30 Fu s. Pier Damiano il primo dei nostri santi quattro protettori, di cui si sia recitato l’ufficio e la messa propria nella diocesi.

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NOTE 1 Cfr. nota 11 del c. IV. 2 Cfr. I oannes , c. XXII.

3 Cfr. nota 11 del c. IV. 4 Nel giorno 15 giugno 1701 Carlo Cignani, pittore bolognese, così nel Processo (pp. 158-160) descrive quest’antica tavola di S. Pier Damiano: « Havendo io vedute, osservate, et attentamente considerate queste quat­ tro tavole di legno che, all’ entrare in questa sacristía (di S. M. foris portam) hò veduto appese in un istesso ordine alle muraglie di questa sacristía, dalle quali distaccate hò presa ciascheduna di esse per le mani, tutte quattro della medesima lunghezza e larghezza cioè alte tré palmi romani in circa e larghe due, in una delle quali vi ho veduto e vedo esservi dipinta l’imagine di S. Pietro apostolo (...): nell’altra vi ho veduto l’imagine di S. Paolo apostolo (...): e nell’ altra (...) l’imagine di S. Benedetto (...): e nel­ l’ altra v’ è dipinta l’ imagine d’huomo dipinto da Vescovo, che mostra essere l’imagine di S. Pietro Damiano apparato con camise, dalmatica e pianeta rossa, che si vede essere antichissima, e nella croce d’ avanti di essa vi sono dipinte dieci mezze figurine piccole (Felice, figliuolo di Carlo, anch’esso pittore bolognese, nel medesimo Processo, pp. 160-161, dice: ’’nella croce d’ avanti (...) che è dorata e ponteggiata coll’ ago vi sono dipinte nove mezze | figurine di santi, oltre Vecce homo in petto per traverso della croce” ) con mitra in capo pretiosa, (gemmata, dice Felice) e sopra di essa il ca­ pello cardinalitio rosso, e nelle mani tiene li guanti ricamati (Felice ag­ giunge: nella pianta), et hà un’ annello nel deto di mezzo della mano dritta in atto di dare la benedittione, e con la mano sinistra nelli deti medio et annulare della quale ha due altre annella, e in pugno il pastorale, et at-

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torno il capo v’hà pure la laureola (sic) dorata nella medesima maniera, che hanno gli altri tré santi, nella qual laureola o diadema leggo scritte queste parole ’’ Sanctus Petrus Dami” non essendo finita l’iscrittione e parola Damianus, poiché venendo occupata e coperta la parte superiore del diadema dal capello cardinalitio, l’autore nella restante parte del dia­ dema non hà avuto sufficiente luogo di formar l’altre lettere, e finire la parola Damianus, onde considerate tutte quattro queste imagini, dico, rifferisco e affermo, che tutte quattro queste imagini son d’un medesimo mae­ stro, et originali e che le medesime e ciascheduna di loro furono dipinte circa il principio dell’anno 1400 (o voleva dire circa il principio del 1400? Felice d ice: ’’ saranno circa quattrocento anni che tutte quattro (le ima­ gini) furono dipinte” ) così conoscendo dalla semetria della pittura di dette tavole, dal modo di vestire e panneggiare, e dalla maniera di con ­ torno tagliente e crudo, osservando che tanto nel panneggiamento, quanto nelle carni v’è il medesimo ordine di contorno ». Il Laderchi (tom. Ili, c. XXX, n. 2 e dopo di lui il Capecelatro, p. 504) credendo che questa tavola sia stata dipinta nel secolo XIV, nel tempo stesso della prima tra­ slazione del corpo di s. Pier Damiano, 1354, dice che era somigliantissima al santo, perchè il pittore avea potuto tratteggiarne le fattezze e l’aria del volto guardando il morto corpo, che dopo | presso che tre secoli era ancora fresco e parlante. Ma su quale fondamento egli asserisca una cosa tanto straordinaria non si sa. Da quell’ antica tavola fu tolta l’incisione che si vede preposta al tomo I della Vita del Laderchi, e delle Opere del santo, edizione di Bassano. L’incisore del secolo XVIII però ha levato il cappello cardinalizio dalla poco estetica posizione, ove l’ avea posto l’an­ tico artista, e l’ha collocato sopra un tavolo coperto da largo tappeto a sinistra del santo con un crocifisso, una disciplina di cordicelle e due vo­ lumi: a destra ha aggiunto un ricco panneggiamento e in fondo una scan­ sìa di libri con sopravi il titolo delle principali opere del Damiano. Nella sagrestia del duomo di Velletri ho veduto una tela del secolo passato, che riproduce esattamente l’incisione nel Laderchi. Anche la tela, che ora si conserva nella sagrestia del Brefotrofio in S. Maria vecchia, rappresentante il santo in mezza figura, è una riproduzione di quell’antica tavola. Della medesima Clemente IX, come racconta il Laderchi, fece prender copia. Ma ora purtroppo è sparita, forse dal 1798, e nessuno a Faenza ne ha più memoria. d L’ abate Gibelli (p. 169 in nota) ricorda un’ altra tavola an­ tica del santo, 1524, conservata nel monastero di S. Croce di Sassoferrato. 5 Appare evidentemente dall’iscrizione del 1512. Vedi note seguenti. 6 B rosch, Papst Julius II, in P astor, voi. III, p. 602 in nota 1. ? P astor, voi. III, pp. 600-603; Balan, voi. V, pp. 484-486; H. R ubeus , Hist. Rav., Venetiis 1589, pp. 662-672; Z uccolo, pp. 271-272; Muratori, Annali, ad an. 1512. 8 R ubeus , Hist. Rav., pp. 672-674; Muratori, Annali, ad an. 1512 | 9 II piissimo canonico faentino Sebastiano di Zaccaria (aprile 1457 t 12 settembre 1531), maestro di Astorgio III, in due epistole, l’ una a un padre domenicano, 14 maggio 1501, l’ altra a un padre dell’Osservanza, 31 maggio 1501, intorno all’oppugnazione della rocca di Faenza (Ad excel­ lentissimum Principem Eustorgium Manfredum Faventie Dominum D.

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d Credo debba ravvisarsi in quello di Antonio di Fabriano (sec. XV) nella Pinacoteca di Ravenna.

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suum colendissimum opus varium et perutile ad salutem: editum per Sebastianum Zacharie Presbyterum Faventinum Preceptorem suum sibi de­ ditissimum. Impraessum (sic) Faventiae cura et impensa Domini Sebastiani Zachariae auctoris, per Joannem Mariam de Simonettis Cremonen. M.D.XXIII. die XXIII Decemb. a f. XLII-XLIII), scrive: «Inter dubios belli eventus, ubi vitae periculum instabat, vota Deo, matriq. eius, ac ceteris sanctis dedimus (...) puellae innuptae, passis a tergo crinibus, regionatim, in albis, pedibus nudis errabant, Deum et sanctos invocantes (...) pueri nudis pe­ dibus sub crucis vexillo bini singulis diebus regionatim progredientes» etc. (Cfr. intorno a quest’ uomo R. M. Magnani, Vite de’ Santi (...) della Diocesi di Faenza, Faenza 1742, pp. 174-175; Mittarelli, De Litt. Fav., col. 186; T onduzzi, pp. 556, 559, 562; Strocchi, Duomo, pp. 146-147; Montanari, Vom. ili., voi. I, parte II, p. 48; e specialmente V algimigli, XIV, pp. 66-81). Il Magnani racconta (pp. 3, 37, 69, 147) che durante l’assedio del duca Valentino «si fecero vedere in faccia degli assalitori sulle mura alcuni uomini venerabili armati con una vaga matrona, verso i quali sparando i nemici archibugi e bombarde, ma sempre invano, gridavano: Iddio cer­ tamente, e i Santi di questa città combattono a favore d’ essa. E questi di­ cono che fossero i suddetti quattro Santi, e S. Nevolone Faentino, colla B. Vergine dell’A n g elo»; e cita in margine i manoscritti di un certo Paolo Pasi e di altri. Questi manoscritti si sono perduti, e non si può stabilire quanto fossero antichi e di quale autorità; d ’altronde il Magnani, quantun- | que benemerito della nostra agiografia, in fatto di narrazioni mira­ colose non era solito guardarla pel sottile; ho quindi omesso nel testo il racconto di questo fatto. Ma i nostri buoni vecch i lo fecero ritrarre in duomo dal pittore ravennate Andrea Barbiani nella parete a cornu epi­ stolae della cappella del b. Nevolone. E quando il giorno 28 giugno 1765 si scopersero i dipinti della cappella, li onorarono di molti sonetti lau­ dativi! (V algimigli, fase. 83, pp. 23-27). Che però durante l’assedio del Valentino i Faentini ricorressero alla B. V. dall’Angelo, invocata fin d’ allora nei pericoli della guerra, e ai ss. Savino, Terenzio, Emiliano, Pier Da­ miano e Nevolone, de’ quali conservavano i corpi in diverse chiese della città, credo possa rilevarsi sufficientemente dalle due epistole surricor­ date di Sebastiano di Zaccaria, e dal Flaminio che nella Vita di s. Emi­ liano (Mittarelli, Per. Fav. Script., col. 819) scrive: «cu iu s (S. Aemiliani) praesenti ope ingruentibus liberata calamitatibus Faventina civitas ex­ perta e s t»: e nell’epistola al cardinale Pucci (ibid., col. 833): «quorum (cioè dei quattro santi) manifesto patrocinio ac tutela multis ingruentibus calamitatibus liberata est civitas ». 10 « La città di Faenza s’obbligò di guardare le feste di quei quattro santi (...) e di visitare quel dì processionalmente le Chiese ove sono », Greg. Z uccolo, pp. 271-272. Anche T onduzzi, p. 601. (Cfr. V algimigli, XIII, p. 148 in nota). L’iscrizione del 1512, in tavola di sasso un tempo dorata (ora ne con­ serva i vestigi) con cornice, prima del penultimo restauro del duomo in­ castrata in uno dei quattro pilastri che sostengono la cupola (in quello della Morte, nella parte che guarda l’ altare del SS. Sacramento) ed ora si­ tuata sopra la porta, che dalla chiesa mette alla prima sagrestia (Lapidi che si trovano ecc.; Strocchi, Duomo, p. 40), larga 98 cent, e mezzo e alta 73, dice così: |

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Quale fosse la sorte di Faenza dopo la battaglia e il sacco di Ravenna non è certo presso gli scrittori, quantunque sia fuor di dubbio che scampò dal sacco. Il Muratori narra che « Faenza, Cervia, Imola, Cesena, Rimini e Forlì a riserva delle rocche, mandarono le chiavi al campo francese, per esentarsi da mali maggiori » ; il Guicciardini che « tutte le città d ’Imola, di Forlì, di Cesena e di Rimini (non nomina Faenza) seguitarono la for­ tuna della vittoria, e tutte le rocche della Romagna, eccetto quelle di Forlì e d’Imola, furono ricevute dal Legato in nome del Concilio Pisano », altri diversamente. Ma Gregorio Zuccolo (pp. 271-272), seguito da tutti i nostri scrittori, scrive: « L e città di Romagna (...) mandarono tutte ad accordarsi con lui (coll’ esercito nemico), e com porsi del sacco, del quale temevano (...) fece il medesimo la città di Faenza». Tonduzzi aggiunge, p. 600: «Faenza non venne in poter dei Francesi; ma solamente pagò buona somma di contanti». Il Valgimigli, XIII, p. 141-148, crede che Faenza non venisse in mano ai Francesi, perchè Vincenzo Naldi dopo la battaglia di Ravenna per ordine della Repubblica di Venezia corse a difenderla con mille fanti, e, secondo il Metelli (voi. II, p. 42), si gettò nella fortezza. | Il cardinale Capecelatro (p. 509 in nota; e anche nella prima edizione, voi. II, p. 548 in nota), forse per aver letto erroneamente MDIIX per MDXII nella surriferita iscrizione, riporta il voto del 1512 al 1509 quando, secondo l’ eminentissimo scrittore, la città di Faenza, allora soggetta alla Repubblica di Venezia, temeva di cadere nelle mani dei Francesi colle­ gati nella lega di Chambrai contro la Repubblica. Ma in verità nel 1509 Faenza non avrebbe dovuto temere periculum caedis, exitii et flammae dal­ l’esercito francese, ex Gallis, che non entrò in Romagna; ma piuttosto dall’esercito ecclesiastico, che condotto dal duca d’Urbino e dal cardinale Alidosi, nei mesi di aprile e maggio s’ aggirava pel territorio faentino in­ torno alla città per toglierla al Provveditore Veneto, come nel 1510 av­ venne (T onduzzi, pp. 578-585). S’ inganna il Gaetani che nel 1512 Faenza per intercessione dei quattro santi Gallorum obsidione liberata fuit (tom. Ili, p. VI). Nel 1512 Faenza non soffri assedio alcuno da parte dei Francesi. È deplorevole che il Laderchi, faentino, abbia tolto di peso dal Gaetani questo errore, perdonabile in uno scrittore non faentino (tom. II, p. 283): più deplorevole ancora che il Magnanic lo abbia ripetuto nelle lezioni proprie di s. Pier Damiano, in Officia Propria Dioec., da lui composte.

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e Ma sono proprio del Magnani? questi le com pose: ma le approvate dalla S. C. de’ Riti furono le sue o quelle di un altro? Certo quelle di s. Savino, approvate da Roma, non sono quelle del Magnani (vedile nell’Arch. Cap.).

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

11 Bullarium Romanum, XY, pp. 206-208. 12 P eroni, p. 33; Agg. Cron. Zan., p. 16. il Nel Processo passim; G a e t a n i , III, p. VI; A z z u r r i n i , Liber Rubeus, f. 199 v. 14 S’inganna il Gaetani (tom. Ili, p. VI) che molto prima del 1512 Faenza avesse preso tra i suoi santi protettori Pier Damiano. Nel proemio degli Statuti di Faenza (31 dicembre 1414) si annoverano la B. Vergine, gli apostoli Pietro e Paolo, | s. Apollinare e s. Terenzio, patronum et 128 defensorum eiusdem inclitae civitatis Faventiae; ma non s. Pier Damiano. Nel prohem io de la Matricula de larte (sic) de la lana de la magnifica citade de Faenza, 1470, sono ricordati « S. Pietro e S. Paolo defensuri et protecturi de questa nostra magnifica citade de Faventia et de misier Sam Therentio nostro p a tron o»; nel proem io de li Capitoli et Statuti del Sancto Monte de Pietà de la Cita de Faenza, 12 ottobre 1491, si fa men­ zione dei ss. Pietro e Paolo, Apollinare e Terenzio; negli Statuti del 1 gen­ naio 1492 (Mittarelli, Rer. Fav. Script., col. 770) si ricordano la B. Ver­ gine e i ss. Pietro apostolo, Apollinare, Emiliano, Terenzio e Francesco confessore; nelle domande presentate dalla città a Giulio II e da lui ap­ provate, 10 marzo 1510, si ricordano la B. Vergine, i ss. Pietro e Paolo, Apollinare e Terenzio (T onduzzi, p. 586): ma s. Pier Damiano non è ri­ cordato mai. Il Tonduzzi, p. 600, dopo aver narrato che nel 1512 Faenza non venne in potere dei Francesi, ma che soltanto dovette pagare grossa somma per liberarsi dal sacco e da ogni molestia, soggiunge: « elegendo in tal occa ­ sione per nuovi Protettori Quatro Santi, i Corpi de i quali in essa si honorano, cioè S. Savino (...) con obligarsi, con solenne voto di celebrare i giorni di essi come feste di precetto, e ne espose publica memoria nella Cattedrale (...) ». Tutti i nostri scrittori seguono l’ autorità del Tonduzzi, e ripetono, anche il Valgimigli, che l’atto del 1512 fu un’ elezione di nuovi protettori ( M a g n a n i , pp. 3-4; R i g h i , III, p. 71; S t r o c c H i , Duomo, p. 39; V a l g i m i g l i , I, p. 108 in nota). Ma io dubito che ciò sia vero. Gregorio Zuccolo, più antico del Tonduzzi, narra che nel 1512 la città fe’ voto di di celebrare le feste di quei quattro santi e di visitare in quel giorno processionalmente le loro chiese; e non aggiunge altro. L’iscrizione marmorea del | duomo non è certamente un’ elezione di nuovi protettori, come appare 129 dalla sua semplice lettura. Di più nel proemio de’ nuovi Statuti di Faenza, compilati, secondo il Tonduzzi, p. 619, dal 1523 e confermati dal Consiglio Generale il giorno 26 dicembre 1526 (Ibid., p. 611 bis), tra i santi quorum ( Z a u l i , I, pp. 1-2) praesidio et tutela ab adversis omnibus civitas ipsa servatur, sono annoverati la B. Vergine, i ss. Pietro, Paolo, Apollinare, Emiliano, Terenzio, Giuseppe sposo di Maria V. e Giovanni Battista, ma s. Savino e Pier Damiano non sono ricordati. Bisogna dunque riconoscere che, quindici anni circa dopo i fatti del 1512, non era ancora in uso, nep­ pure negli atti ufficiali della città, di annoverare i quattro santi come pa­ troni della medesima. Sarebbe ciò stato possibile dopo una elezione so­ lenne, come si suppone fatta dal Tonduzzi e dagli altri nel 1512? Di que­ sto sembra essersi accorto il eh. Montanari, poiché dopo avere (Guida, p. 37) riportata l’opinione degli altri scrittori Faentini, a p. 58 dice che nel 1512 i Faentini invocarono soltanto la protezione di quei quattro santi, e appresso... (non dice quando) deliberarono con voto solenne ch’eglino ve-

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nissero distinti col titolo di Protettori. 11 primo, per quanto si sappia, che ricordi i quattro santi come protettori di Faenza è il Flaminio. Nella Vita di s. Savino scritta, come dimostrerò, non prima del 1526 e non dopo il 1533 scrive: « unus ( M i t t a r e l l i , Rer. Fav. Script., col. 807) ex quatuor illis est, quos Faventinus populus ex Sanctis omnibus velut praecipuos Urbis defensores sibi colendos etiam publico voto statuii ». Non credo però che il Flaminio con queste parole conforti in alcun modo l’ opinione del Tonduzzi e degli altri, o alluda a voto posteriore al 1512, del quale tac­ ciono tutti i nostri scrittori. Le sue parole, secondo me, devono intendersi come quelle simili della Vita di s. Emiliano (ibid., col. 819: «cuius | (s.Aemi- 130 liani) praesenti ope, ingruentibus liberata calamitatibus, Faventina civitas experta est (...) quem cum aliquot aliis (...) publico sibi voto colendum statuii», cioè che per pubblico voto Faenza si obbligò di onorare in modo particolare quei quattro santi, cioè di celebrare la loro festa come di pre­ cetto; e nient’ altro. Come dunque i quattro santi divennero i protettori di Faenza? Io credo che ciò avvenisse dopo i fatti del 1512 e in conseguenza di quelli a p oco a poco. Esperimentata in quell’anno la loro valida inter­ cessione, invocata forse, e non indarno, la loro protezione anche negli anni appresso, probabilmente nel 1527 nel passaggio di tante truppe pel nostro territorio, avvezzi i Faentini a celebrarne la festa fin dal 1513 coll’astenersi dai lavori servili e coll’ ascoltare la santa messa, a p oco a poco com inciarono a considerarli come difensori e protettori della città, escluso s. Apollinare. Ciò nonostante anche dopo i tempi del Flaminio, quando l’uso d’invocare i quattro santi, come speciali protettori della città, era già divenuto comunissimo, si trova di quando in quando aggiunto qual­ che altro. Nel proemio alla matricola dei dottori e notai di Faenza, 19 marzo 1591, sono invocati come protettori della città i quattro e s. Pietro martire; nel 1 aprile 1601 ( P e r o n i , p . 46) il Consiglio Generale aggiunge anche s. Giuseppe sposo di Maria V., e nel 1754 s. Vincenzo Ferreri (Atti municipali, voi. 52, f. 139). 15 Giovanni Antonio Flaminio, imolese, t 18 maggio 1536, resosi sa­ cerdote negli ultimi anni di sua vita, secondo il Valgimigli (fase. 54, pp. 1-13) nel 1526 circa, ottenne in Faenza il priorato di S. Prospero, fuori di porta Montanara (ora villa Rossi) per rinunzia del cardinale An­ tonio Pucci, suo amico (secondo il Valgimigli, ibidem, il cardinale ne era ancora in possesso il giorno 4 giugno 1524; Il Flaminio se ne trova inve­ stito dall’ l l agosto 1526). In questi ultimi anni | della sua vita ogni anno 131 l’ estate da Bologna, sua consueta residenza, si recava a Faenza a passarvi i mesi più caldi (Epist. ad. Card. Puccium, in M i t t a r e l l i , Rer. Fav. Script., col. 832). Per questa sua dimora contrasse amicizia coi sacerdoti faen­ tini, specialmente coi canonici della cattedrale; e in quel tempo scrisse le Vite dei quattro santi e un’ epistola al cardinale Pucci, De laudibus urbis Faventinae. L’ epistola è posteriore alle Vite (cfr. col. 833, ibidem), e fu, per quanto si rileva dalla medesima, scritta nei mesi estivi tra il 21 aprile 1531 e il 31 ottobre 1534 (cfr. ibidem, col. 839, ove parlasi del lodo di Carlo V, 21 aprile 1531, nella controversia tra Clemente VII e Alfonso I di Ferrara, come di cosa passata; e del medesimo Alfonso I, t 31 ottobre 1534, come di persona ancora vivente); quindi le Vite sono state scritte almeno prima dell’estate 1534, e non prima dell’ estate 1526. La Vita di s. Terenzio, diacono imolese, composta per la prima, fu co-

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minciata a S. Prospero il 27 luglio, cioè quattro giorni prima della festa del santo, 31 luglio (ibid., col. 800). Piacque il lavoro agli ecclesiastici faentini, che pregarono il Flaminio di scrivere anche la Vita degli altri ’ santi, « quos praecipuo cultu civitas ipsa prosequebatur ». L’illustre umani­ sta si arrese ai desiderii del clero faentino, ebbe a sè « libros admodum vetustos ex archivo ecclesiae Faventinae » (ibid., col. 807), e nell’estate se­ guente scrisse la Vita di s. Savino (ibid., col. 808). Poco dopo (ibid., col. 820, 1. 8) scrisse le altre due Vite. Quindi si può conchiudere che, al più tardi, la Vita di s. Terenzio fu scritta nell’estate del 1532, quella di s. Savino nell’ estate dell’ anno seguente e p oco dopo le altre due. Se si considera poi che il Flaminio, nella prefazione alla Vita di s. Savino, scrive d’avere consentito di buon grado alle preghiere del clero faentino, perchè tale cosa stimò « non alienam (col. 807, ibid.) meo multorum iam annorum instituto | et studio (colle quali parole sembra alludere evidente- 132 mente allo stato ecclesiastico da lui abbracciato solo nel 1526 incirca), parmi che la com posizione delle Vite piuttosto si debba portare verso il limite posteriore, estate 1533, che ritrarre verso il limite anteriore, estate 1526. Il Gaetani pubblicò la Vita del Damiano Tanno 1606 nel tomo I delle Opere del s. Dottore: i Bollandisti la riprodussero: il Mittarelli nel 1771 le diede in luce tutte e quattro in Rer. Fav. Script, (coll. 800-815), omiriise però l’ epistola, con cui l’autore spediva « Venerabili Collegio Canonicorum Ecclesiae Cathedralis nec non S. P. Q. Faventino» le quattro Vite e l’ epistola al cardinale Pucci, che si legge in varii ms. dell’ archivio capitolare e della biblioteca comunale. L’ abate Giuseppe Maccolini ha pub­ blicato la traduzione delle quattro Vite (Faenza, nel giugno del 1861, dalla tipografìa nazionale). 16 Carlo Cignani così descrive, 15 giugno 1701 nel Processo, pp. 163-164, i chiaroscuri della Commenda: «H ò veduto et attenta­ mente considerate queste quattro imagini dipinte à chiaro e scuro sopra il muro del corno dell’epistola dell’altare maggiore di questa chiesa di S. Maria Madalena della Magione del Borgo di Faenza, la prima delle quali (prima versus altare, dice in altro luogo il Processo) è vestita con rocchetto e muzzetta dà cardinale et attorno il capo ha’ la laureola con iscrittione sopra à detta imagine nella seguente maniera: S. P. DAM.; la seconda è vestita con spoglie di vescovi e mitra in capo con iscrittione S. AEMI.; la terza è vestita pure dà vescovo con mitra in capo con iscrit­ tione S. TEB. (cosa curiosa! che il pittore è chi commetteva il dipinto ignorassero a Faenza che s. Terenzio fu semplicemente diacono); e l’ul­ tima è vestita pure dà vescovo, ma con mitra deposta sopra un tavolino dipinto vicino, e lau- | reola attorno il capo con iscrittione sopra: S. SAV.; 133 quali efììggi e imagini sono in parte per la longhezza del tempo cancel­ late, onde considerata la maniera, e modo di dipingere di dette imagini, dico, che saranno circa 160 anni che sono dipinte, e tanto affermo sopra la mia coscienza e per la perizia mia di p ittore». Così anche Felice. Questi chiaroscuri sono scomparsi e, pare, da vario tempo: nessuno de’ più vecchi di Faenza, da me interrogati, ricorda d’averli mai veduti. Chi ne fu l’ autore? Di quelli che hanno scritto intorno a fra Sabba e ai dipinti da lui ordinati ho consultato: V a ì g i m i g l i , Alcuni scritti, Faenza 1878, pp. 129-224; E. B o n n a f f è , Sabba da Castiglione, Paris 1884; I. M a s -

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Fra Sabba da Castiglione, Milano 1889; G. P a s o l i n i - Z a n e l l i , Un ca­ valiere di Rodi ed un pittore del secolo XVI, Treviso 1893) nessuno parla del dipinto de’ quattro protettori. Il eh. Ignazio Massaroli, da me richiesto del suo parere, mi ha gentilmente risposto: «S e le pitture (...) sono del 1540 circa, certamente furono ordinate dal Castiglione, ed egli nel R i­ cordo CIX (a. c.e 37, Venezia 1560) dice che la sua Cappella fu ornata dal Trivigiano, e non parla d’ altri. ’’ Chi di mano del mio Trevisio pit­ tore certo valente et celebre, presto, risoluto, et universale nel colorito, nel chiaro, et scuro, in fresco, à guazzo, ad oglio, prattico di pesi, di lontani, di casamenti, di prospettive, si come fede ne fanno le opere sue in molte Città d’Italia, massimamente in Bologna, et in Faenza nella mia Capello della chiesa della Magione nella quale (se T mio giudicio non erra) penso che avanzasse se medesimo” . Egli qui non parla d’altro pittore, che abbia lavorato nella Cappella maggiore della sua chiesa, fatta da lui riedificare. Le immagini de’ quattro santi protettori di Faenza erano a chiaroscuro, ed a chiaroscuro eranvi le figure dell’ arcangelo Mi­ chele e di S. Girolamo nelle ali del- j l’ abside, e queste vi sono ancora, e debbonsi dire dell’insigne pittore Girolamo da Trevigi. È vero che Fra Sabba continua: ” et chi delle opere del mio Francesco di San Bernardo da Forlì pittore nobilissimo et universale, et nelli relievi di stucco molto valente, come la santa et gloriosa casa di Loreto ne farà chiara fede la mano di questo buon maestro orna ancora la mia chiesa della Magione di Faenza, ove tutta via arditamente combatte con l’opere del Tarvisi” . Ma di Fran­ cesco Mingozzi deve ritenersi l’affresco a chiaroscuro, che serve di fregio al sepolcro che fr. Sabba fe’ innalzare per sè tuttora vivente nella parete della sua chiesa a cornu evangelii: e se egli avesse operato nella Cappella maggiore, il nostro Sabba l’avrebbe detto, ed invece di quelle pitture non fa autore che il Tarvisi ». Queste congetture del eh. scrittore sono con ­ fermate dai Monumenta marmorea ecc. compilati nel principio del secolo passato, a p. 287. «F ra Sabba fece dipingere dal Trevigi la cappella dell’Altar Maggiore, come ora si vede ». Sotto il dipinto dell’abside della chiesa della Magione si legge ancora: F. Sabba. Cast. Preceptore Hier. Tarvis. Pict. faciebat. M.D.XXX.III. Le Vite dal Flaminio sarebbero quindi contemporanee ai dipinti del Trivigiano. 17 Nel Processo, passim. Pare non fossero nè antiche nè importanti, perchè nel 1701 non furono visitate dal giudice della causa, nè i p ro­ motori della medesima si diedero d’attorno, perchè fossero visitate. Ora non esistono più. 18 Nel 1575 ducento nobili faentini andarono a Roma al giubileo in comitiva con tre gonfaloni, nell’ uno de’ quali era dipinto s. Pier Da­ miano cogli altri tre protettori ( V a x g i m i g l i , fase. 62). 19 A. M e d r i , Feste tradizionali faentine, in Arte e Storia, XV, 1896, p. 124; Cron. Zanelli. | 20 Nel Processo, passim; G a e t a n i , III, pp. VI e IX; H e n s c h e n i u s , in G a e t a n i , I, col. CXXII. Nel 1636, 30 settembre, Urbano V ili avendo sta­ bilito che i capitoli generali della Congregazione Camaldolese d’ora in­ nanzi si tenessero a Faenza nel monastero di S. Ippolito (An. Cam., V ili, p. 322), nei giorni del Capitolo i monaci furono soliti recitare il pane­ girico dei santi principali dell’ordine ed anche di s. Pier Damiano ( P e r o n i , p. 67; Cron. Zanelli). s a r o l i,

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21 II prim o a far menzione di questa pia costumanza è il Gaetani nella p. IX del tom. Ili edito nel 1615. È il Valgimigli che (I, p. 414) raffronta il divoto costume dei nostri antenati col racconto di Giovanni (c. V). 22 F l a m i n i u s , in G a e t a n i , I, coll. CLIII-CLIV. 23 M a g n a n i , p. 43. 24 II racconto, esposto dall’ autore nella sua opera Sull’ Uso, e sull’Abuso della Ragione, Venezia 1816, fu pubblicato di nuovo nel 1826 in occa ­ sione della quarta traslazione delle ossa del Damiano (allegato in Pro­ cesso della formale ecc.). 25 Questa lettera è in Copia di Processo della formale ecc. esistente nell’archivio capitolare, arm. IV, n. 149. 26 G a e t a n i , III, pp. VI e IX. Un testimonio, Gallo Castellini di 76 anni, nel Processo (p. 71) depone: « m i ricordo che quando detto sepolcro era all’ altare maggiore (...) v’era avanti et attaccato nella parte inferiore d’avanti un ferro incastrato nel marmo del sepolcro, cioè nel freggio d’abasso, al qual ferro, che haveva certi denti, come di sega, li divoti attacavano delle candele, e le accendevano, mà questo ferro quando fù trasferito il sepolcro (nel 1673) fu levato stimo io perchè il fummo delle candele non afumicasse e perchè stasse con più pullicia ». 27 Che anche prima del 1512 a Faenza si celebrasse la | festa di S. Pier Damiano appare manifesto dallo stesso monumento marmoreo del 1512. In fatti per quell’ atto non s’istituì di nuovo la festa dei quattro santi, ma di semplice che era divenne festa di precetto. Ma prima del 1512 si recitava l’ufficio del santo, se ne celebrava la messa, almeno dal clero della città? Nel calendarium perpetuum posto davanti al breviario del secolo XV, che si adoperava nel coro della nostra cattedrale (ora nel­ l’ archivio capitolare, arm. ora III) si fa menzione delle feste di S. Sa­ vino (7 dicembre, Sancti Savini episcopi et m., in carattere rosso, e 14 giugno, Translatio sancti Savini episcopi et m., pure in carattere rosso, forse quella del 1440, quantunque il Valgimigli, Promemorie, Y, p. 8, riferisca che un’ antica Vita del santo ms. in Ravenna la rapporta al 7 dicembre), di S. Terenzio (30 luglio, Sancti Terentij conf., in ca­ rattere nero) e di S. Emiliano (6 novembre, Sancti Emiliani episcopi et conf., in carattere rosso); ma di S. Pier Damiano nessuna parola. Questo però non escluderebbe che non se ne recitasse l’uificio e non se ne celebrasse la messa almeno dai monaci di S. Maria foris portami ciò mi sembra molto probabile. L’ Henschenius (in G a e t a n i , col. CV) scrive che il «Jacobillus antiquas lectiones mss. Ecclesiae Faventinae, quae ex vita eius tum recitari solebant, allegai»: ma presso i nostri scrittori, anche presso il Magnani, che pure cita l’antico ufficio proprio dei Ss. Savino ed Emiliano nell’archivio capitolare e quello di S. Terenzio, non ce n’è parola. Il Magnani (p. 4) narra che l’ ufficio e la messa di S. Pier Damiano di rito doppio de com. Conf. Pont, com inciò a recitarsi da tutta la dio­ cesi pel voto del 1512. Nel Processo sono citati (ma non allegato) tre ca­ lendari diocesani del 1628, ’ 33 e ’45. Il Gaetani (tom. IV, p. IV) reca un calendario faentino del tempo del vescovo cardinale Francesco Cennini (1623-1643): «2 3 feb. P. Da- j miani E. et C. ac. Fav. Protect., Dupl. Mai., Lect. I Noct. Fidelis Sermo (nella quaresima, al. De Script, occ.). Secundi: Beati Patris. Tert.: Vigilate, cum coet. de Com. Conf. Pont... Col. Alb. (...) Missa: Sacerdotes. Fit processio in civitate ex voto ».

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28 Bull. Romanum, XIII, pp. 308-311; C a r d e l l i n i , voi. II, App. I, pp. 20-21. 29 I canonici della cattedrale supplicarono il vescovo, cardinale Durazzo, a deputare il suo vicario abate Giuseppe Durini a ricevere le prove del culto prestato a s. Pier Damiano per cento e più anni prima del de­ creto di Urbano V ili, 1625; e a procedere alla dichiarazione constare de huiusmodi cultu. Il cardinale Durazzo annuì, e da Roma, 29 gennaio 1701 (p. 4), deputava il suo vicario a prendere le debite informazioni e procedere alla relativa sentenza. Dopo questo rescritto favorevole, il ca­ pitolo, 14 febbraio 1701 (p. 6), delegò la più estesa procura ai due cano­ nici Carlo Naldi e Parisio Rondinini. Questi recarono innanzi, 15-16 aprile 1701 (pp. 15-31), due calendari di Ravenna 1618 e ’29, tre di Faenza 1628, ’33 e ’45, la Storia di Ravenna del Rossi, il Fortunio, il Gaetani, un’ opera del padre Filippo Ferrari de’ Servi di Maria impressa a Venezia nel 1625, l’ istrumento della traslazione del 1673 col relativo rescritto della S. C. de’ Vescovi e Regolari, e la Vita del Flaminio conservata nell’ archivio capi­ tolare. Dal 25 marzo al 7 giugno 1701 si ricevettero (pp. 48-121) le depo­ sizioni di nove testimoni, religiosi, ecclesiastici, laici, dei più vecchi della città, intorno alle posizioni prodotte da due canonici procuratori (pp. 32-39) e intorno alle interrogazioni proposte dal procuratore fiscale (pp. 42-44): si visitarono minutamente dal giudice, 9 giugno 1701, e si fe­ cero visitare da uomini periti l’ altare e la tomba di s. Pier Damiano a S. Maria (pp. 124-151) | e l’iscrizione marmorea della cattedrale (pp. 153-155); il giorno 16 giugno 1701 la tavola dipinta nella sagrestia di S. Maria degli Angeli (pp. 157-162) e gli affreschi della Commenda (pp. 162-165). Il vicario emise sentenza favorevole il giorno 23 giugno 1702 (pp. 172-173). Il processo in copia autentica fu mandato a Roma alla S. Congregazione dei Riti il giorno 11 maggio 1703 (pp. 180-181); e il capitolo (rog. Natale Lama 9 giugno 1703, in V a l g i m i g l i , fase. 76, pp. 55-56) nominò suo procuratore spetialiter et espresse presso la S. Con­ gregazione dei Riti il padre Giacomo Laderchi dell’Oratorio, scrittore della Vita di s. Pier Damiano, « prò (...) exhibendum processum (...) et prò eius aperitione et publicatione instandum, et Sanctitatem Suam (...) supplicandum quatenus concedere dignetur ut die festo eiusdem S. Petri Damiani per totum orbem christianum missa et offitium proprium eiusdem Sancti celebrari possit et debeat ». Il Magnani (p. 4) racconta che fin dal 1716 com ­ pose le lezioni del Damiano e degli altri tre santi protettori; che, mandate a Roma dal capitolo coll’ appoggio del cardinale Piazza, furono approvate dalla S. Congregazione dei Riti, ma, per vari occorsi accidenti (archivio capitolare, arm. I, n. 2), o per la morte inaspettata del Piazza (t 23 aprile 1726), come ha il Magnani, la concessione non fu mandata ad effetto. Un’ altra volta le lezioni, mandate a Roma dal magistrato, ricevettero la desiderata approvazione, ma anche questa volta non ebbero esecuzione per motivi che qui non debbono rifferirsi (ibid.). Per una terza volta fu­ rono presentate alla Congregazione dei Riti da mons. Cantoni (1742-1767), e per la terza volta avvenne lo stesso per altri accidenti a molti ben noti (ibid.). Le lezioni però di S. Pier Damiano furono concesse alla dio­ cesi da Benedetto XIV, 22 aprile 1741 (ibid.)J Più fortunati di noi, l’Or-

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f Come rilevasi daWOfficium Ordinarium della Diocesi stampato dall’Archi (1741), ove narrasi che mons. Lomellino fece istanza a Bene-

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dine Camaldolese ottenne le le- [ zioni proprie del santo, composte dal padre Guido Grandi, e l’orazione propria sub ritu duplici e la messa Statuii coll’evang. Homo peregre, nel 4 marzo 1719 (A/i. Cam., V ili, pp. 599-600; già nel 1637 il capitolo generale dei Camaldolesi aveva fatto commissione al procuratore generale della Congregazione per ottenere l’ufììcio de Com­ muni di S. Pier Damiano, An. Cam., V ili, p. 324, e nel 1656 si erano domandate le lezioni proprie, ibid., 362: anche le diocesi unite d ’Ostia e Velletri ottennero l’ufficio de Communi del santo il 9 luglio 1718, ibid., 600) e la diocesi di Ravenna nel 1723 ( G a r d e u l i n i , voi. Ili, p. 38). Nel 1770 si ottennero p oi le lezioni proprie di S. Savino (archivio capitolare, arm. Il, n. 2); quelle degli altri due sono ancora desiderate. 30 E cco le lezioni approvate per la nostra diocesi, di fronte alle le­ zioni del Breviario Romano: L

ect.

L

I.

ect.

I.

dei Proprio di Faenza.

dei Brev. Romano.

Petrus Ravennae natus a matre numerosae prolis pertaesa derelic­ tus, ab extranea muliere semivivus collectus et recreatus, increpata ge­ nitricis saevitia, maternis uberibus restituitur. Utroque parente orba­ tus, tanquam vile mancipium sub aspera fratris tutela duram servi­ tutem exercuit. Maxima cum re­ ligio, tum pietas in eo resplenduit, dum repertam forte pecuniam, non propriae inediae sublevandae, sed Sacerdoti, qui Deo pro expiatione suorum parentum (meglio il Brev. Rom.; Giovanni, c. II, fa dire a Pietro: «sacrificium offerat (sacer­ dos) pro patre m e o ») sacrificium offerret addicere maluit. Ab alte­ ro fratre, cui nomen Damianus, archipresbytero, a quo cognomen­ tum accepit, benigne susceptus, Faventiam primum, deinde Par­ mam ad literarum studia missus; brevi adeo profecit, ut ipsis ma­ gistris admirantibus, rhetoricam magno cum plausu publice expo­ suerit. Pauperum amator socios suae mensae inopes habere, egenisque ministrare consuevit. Stre­ nuus sui corporis domitor, ciliciis,

Petrus, Ravennae honestis paren­ tibus natus, adhuc lactens a matre numerosae prolis pertaesa abiicitur; sed domesticae mulieris opera semivivus exceptus ac recreatus, ge­ nitrici ad humanitatis sensum revo­ catae redditur. Utroque orbatus pa­ rente, tanquam vile mancipium sub aspera fratris tutela duram servitu­ tem exercuit. Religionis in Deum ac pietatis erga patrem, egregium tunc spe- | cimen dedit: inven­ tum siquidem forte nummum, non propriae inediae sublevandae, sed sacerdoti, qui divinum sacrificium ad illius expiationem offerret, ero­ gavit. A Damiano fratre, a quo, uti fertur, cognomentum accepit, beni­ gne receptus, eius cura litteris eru­ ditur, in quibus brevi tantum profecit, ut magistris admirationi esset. Cum autem liberalibus scien­ tiis floreret et nomine: eas cum laude docuit. Interim, ut corpus rationi subderet, sub mollibus ve­ stibus cilicium adhibuit; ieiuniis, vigiliis et orationibus solerter in­ sistens. Calente iuventa, dum car­ nis stimulis acriter urgeretur, in­ sultantium libidinum faces, rigen-

detto XIY che le lezioni proprie concesse a Ravenna il 7 agosto fossero estese anche a Faenza.

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San Pier Damiano e Faenza vigiliis, sacrisque peregrinationi­ bus illud in servitutem redigebat, et molestam libidinem fluvialibus aquis sese immergens refrenabat.

tibus fluvii mersus aquis, noctu extinguebat: tum venerabilia quae­ que loca obire, totumque psalte­ rium recitare consueverat. Ope assidua pauperes levabat, quibus frequenter pastis convivio, p ro­ priis ipse manibus ministrabat. |

L ect . II.

L ect. II.

Maioris perfectionis desiderio succensus, in Avellanensi Coeno­ bio apud Catriam, ubi sanctus Romuauldus florentem solitudinem fundaverat, se monachum induit.

Perficiendae magis vitae causa, in Avellanensi Eugubinae dioece­ sis coenobio, ordini monachorum sanctae Crucis Fontis Avellanae a beato Ludulpho, sancti Romualdi discipulo, fundato, nomen dedit. Non ita multo post in monasterium Pomposianum, mox in coenobium sancti Vincentii Petrae Pertusae ab abbate suo missus, utrumque asce­ terium verbo sacro, praeclaris in­ stitutionibus, et moribus excoluit. Ad suos revocatus post praesulis obitum, Avellanitarum familiae praeficitur, quam novis variis in locis extructis dom iciliis, et sanc­ tissimis institutis ita auxit, ut alter eius Ordinis parens ac praecipuum ornamentum iure sit habitus. Sa­ lutarem Petri sollicitudinem alia quoque diversi Instituti coenobia, Canonicorum conventus, et populi sunt experti. Urbinati dioecesi non uno nomine profuit. Theuzoni Episcopo | in causa gravissima assedit, ipsumque in recte admi­ nistrando Episcopatu consilio et opera iuvit.

Vestium nitorem exhorrescens candidiorem tunicam cum viliori commutavit, metuens ne sponsi p o­ tius, quam monachi nomine appel­ laretur. Ob nimias vigilias morbo correptus adduci numquam potuit, ut a carnium abstinentia tempe­ raret. Cum regularis vitae studio, et divinarum Scripturarum scien­ tia quotidie proficeret, Stephanus Nonus Romanus Pontifex eum, li­ cet reluctantem, Cardinalem Hostiensem Episcopum consecravit. Quo in munere oves sibi commis-

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Divinorum contemplatione, corpo­ ris m a c e r a t i o n i b u s , ceterisque spectatae sanctimoniae exemplis excelluit. His motus Stephanus Nonus Pontifex Maximus eum li­ cet invitum et reluctantem Sanc­ tae Romanae Ecclesiae cardinalem

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XY secolo

sas uti bonus Pastor sermonibus, et exemplis ad pietatem componere, et viduarum pupillorumque neces­ sitatibus, Ecclesiasticos proventus large erogando, prospicere maxime studuit. Super nudum cratem som­ nium capiebat, atque in pelvicula, in qua duodecim pauperum pedes abluere solitus erat, cibum parce sumebat. At | demum monastici instituti quietem amissam ingemi­ scens, Cardinalitia, et Episcopali dignitate abdicata pristinam soli­ tudinem repetiit.

creavit et Hostiensem Episcopum. Quas Petrus dignitates splendidis­ simis virtutibus, et consentaneis Episcopali m i n i s t e r i o operibus gessit.

L ect . III.

L ect . III.

Variis Apostolicae Sedis legatio­ nibus egregie functus,

Difficillimo tempore Romanae Ecclesiae, Summisque Pontificibus doctrina, legationibus, aliisque su­ sceptis laboribus m irifice adfuit. Adversus Nicolaitarum et Simoniacam haereses ad mortem usque strenue decertavit. Huiusmodi de­ pulsis malis, Mediolanensem E c­ clesiae Romanae conciliavit. Bene­ dicto et Gadaloo falsis pontificibus fortiter restitit. Henricum quar­ tum Germaniae regem ab iniquo uxoris divortio deterruit.

Ecclesiam Mediolanensem Ro­ manae sedi a Nicolaitarum haeresi atque a simmoniaca labe purga­ tam reconciliavit. Monasterii Cluniancensis immunitatem asseruit. Henricum tertium Imperatorem (è vero che ad Enrico IV re di Germania si dà comunemente il titolo d’imperatore, ma la sua co­ ronazione non fu mai riconosciuta dalla Chiesa, perchè compiuta dal­ l’ antipapa Ghiberto. Ad ogni modo al tempo del divorzio Enrico non era | imperatore. Nella serie dei re d’Italia l’Enrico suddetto è III, ma comunemente suol chiamarsi IV, perchè quarto nella serie dei re di Germania) ab uxoris divortio, et ab Ecclesiasticae libertatis im­ pugnatione deterruit; et Ravenna­ tes A rchiepiscopo suo adversus Romanum Pontificem adhaerentes poenitentia emendatos a censuris absolvit. Cadoleo (così nell’ ed. 1771; Cadaleo nell’ ed. 1819 e 1883; il Brev. Rom. e s. Pier Damiano hanno Cadalous, altri Cadalus e

Ravennates ad debita Romano Pon­ tifici obsequia revocatos sacris re­ stituit.

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San Pier Damiano e Faenza Cadalaus; ce n’e per tutti i gusti) etiam Antipapae Ecclesiam vexanti fortiter restitit, eiusque depositio­ nem intra annum futuram prae­ dixit.

Gratia miraculorum donatus aquam bis (ma cfr. nota 28 dei c. II) in vinum c o n v e r t i t : in summa panis inopia cibos sibi caelitus afferendos praevidit, clien­ tesque suos saepius a periculis li­ beravit. Demum plenus dierum cum praestantissimis scriptis E c­ clesiam illustrasset, sanctitate et doctrina clarus Faventiae octavo Kalendas Martii migravit ad Do­ minum, ibique in Ecclesia Sanctae Mariae quescit. Eum Faventini Ci­ ves in Patronum elegerunt, quod eius praesidium experti fuerint, a difficillima obsidione Urbe | libe­ rata (ma cfr. nota 10, cap VII). Cosi nell’ed. dei 1771 e nelle susseguenti fino al 1826. Nel 1827 la lezione fu mutata: Hunc Faventini Cives in caelestem Patronum sibi delegerunt, presentissimam eius opem in durissima Urbis obsidio­ ne experti. Ossa eius ex Aede Sanctae Mariae Angelianae, ubi ad annum usque millesimum septin­ gentesimum septuagesimum octa-

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Canonicos Veliternos ad sanc­ tioris vitae leges c o m p o s u i t . In provincia praesertim Urbinate vix ulla fuit Episcopalis Ecclesia, de qua Petrus non sit bene meri­ tus; Eugubinam, quam aliquando creditam habuit, multis levavit in­ com m odis; alias alibi, quando opor­ tuit perinde curavit, ac si suae | essent tutelae commissae. Cardinalatu et Episcopali dignitate de­ positis, nihil de pristina iuvandi proxim os sedulitate remisit. Jeiunium sextae Feriae in honorem sanctae Crucis Jesu Christi; hora­ rias beatae Dei Genitricis preces, eiusque die Sabbato cultum propa­ gavit. Inferendae quoque sibi ver­ berationis morem ad patratorum scelerum expiationem provexit. De­ mum sanctitate, doctrina, miraculis, et praeclare actis illustris, dum a ravennate legatione rediret, Faven­ tiae octavo Kalendas Martii migra­ vit ad Christum. Eius corpus ibi­ dem apud Cistercienses (é lecito far voti che queste parole sieno cambiate) multis miraculis clarum frequenti populorum veneratione colitur.

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Ipsum Faventini non semel in prae­ senti discrimine propitium experti. Patronum apud Deum delegerunt.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

vum conquieverant, in aedem, quae fuit Sodalium Societatis Jesu trans­ lata, dein post annos duodequin­ quaginta die eius festo recurrente solemni pompa in Templum Maxi­ mum inlata et in aedicula S. Ca­ roli elegantissime ornata, reposita fuerunt, ut in eodem Templo una cum tribus aliis Civitatis Caelesti­ bus Patronis debitus ei honos ha­ beretur. Nell’ed. del 1883 continua: Leo vero duodecimus Pontifex Ma­ ximus ex Sacrorum Rituum Con­ gregationis consulto Eum univer­ salis Ecclesiae Doctorem decla­ ravit.

Leo vero duodecimus Pontifex Ma­ ximus officium Missamque in eius honorem tamquam C o n f e s s o r i s Pontificis, quae aliquibus in dioe­ cesibus, atque in Ordine Camaldulen- | sium iam celebrabantur, ex Sacrorum Rituum Congregationis consulto, addita Doctoris qualitate, ad universam extendit Ecclesiam.

O ratio .

O ratio .

Deus totius sanctitatis, et sa­ pientiae fons, et origo, fac nos, quaesumus B. Petri Damiani (il co­ gnome è stato tolto nelle edizioni più recenti) Confessoris tui atque Pontificis exemplis, doctrinisque (Magnani, p. 44: doctrinaque) pro­ ficere, eiusque meritis, et inter­ cessione concede, ut contemptis mundani honoris illecebris, Tibi soli vacare possimus.

Concede nos, quaesumus, omni­ potens Deus, beati Petri confesso­ ris tui atque Pontificis monita et exempla sectari; ut per terrestrium rerum contemptum aeterna gaudia consequamur.

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Nei Suffragia Sanctorum dell’Uffizio si fa la commemorazione dei quattro santi non solo nella città, ma anche in tutta la diocesi. |

Vili TERZA TRASLAZIONE DELLE OSSA DI S. PIER DAMIANO

Dopo l’abolizione della Compagnia di Gesù, Pio VI concesse la chiesa e il collegio degli ex-gesuiti di Faenza ai monaci Ci­ sterciensi di S. Maria dall’Angelo, e la chiesa e il monastero di S. Maria dall’Angelo al brefotrofio della città, 17 novembre 1777. Quei monaci presero possesso della nuova sede il 9 febbraio 1778

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San Pier Damiano e Faenza

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e vennero ad abitarvi il 30 aprile successivo. Da quel tempo la chiesa dei Gesuiti prese il nome di S. Maria dall’Angelo o del­ l’Angelo e volgarmente fu detta e si dice ancora S. Maria nuova, mentre l’antica chiesa di S. Maria foris portara o dall’Angelo o degli Angeli fu intitolata S. Maria ad Nives da | un’imagine ivi 150 trasportata dalla vecchia chiesa dell’ospedale Casadio, e volgar­ mente fu chiamata e si chiama anche oggidì S. Maria vecchia.1 Prima di abbandonare l’antico monastero i Cisterciensi tra­ sportarono nella nuova chiesa i resti mortali di s. Pier Damiano. Il giorno 14 aprile 1778, era il martedì santo, nelle ore vespertine alla presenza del vescovo mons. Vitale de’ Buoi, dell’abate del monastero, dei monaci e di altre poche persone a porte chiuse dall’architetto faentino Gioachino Tomba fu scoperchiato l’an­ tico sepolcro del 1354. Non si rinvennero che polveri e ossa: le vesti, che un tempo avranno coperto il sacro corpo, erano ri­ dotte in cenere: nessun vestigio di dignità vescovile o cardina­ lizia era rimasto. Un monaco, vestito di cotta e stola, raccolse le ceneri e le ossa entro due tovaglie bianche, che furono legate con fettuccia rossa, chiuse entro un baule e collocate sopra la mensa dell’altar maggiore.2 La mattina del giorno appresso da quel sacro luogo, dove la sua grand’anima le aveva lasciate, dove da sette­ cento e più anni dormivano in pace, le ossa del gran monaco del secolo XI, senza alcuna pompa |nella carrozza del conte Francesco 151 Cantoni furono trasportate all’ex-collegio del Gesù nell’oratorio della congrega degli artisti, detto anche congregazione di peni­ tenza.3 Di là furono poste provvisoriamente sotto la mensa dell’altar maggiore con animo di esporle alla pubblica venerazione in urna decente e decorosa nella cappella della crociera a sinistra di chi entra.4 A questo scopo mons. de’ Buoi, il giorno 28 maggio 1780, venne a una seconda recognizione delle sacre reliquie; in­ volse in un drappo di damasco giallo il teschio e le ossa separate dalle ceneri e le ripose entro una cassa di pino foderata inter­ namente di damasco giallo; e vi accluse in pergamena la sua autenticazione chiusa in tubo cilindrico di piombo.5 Ma il disegno non fu mai recato ad effetto. La bufera rivoluzionaria degli ul­ timi anni del secolo passato cacciava i monaci dalla nuova sede, 4 agosto 1798;6 ma le sacre ossa del Damiano riposavano ancora sotto la mensa dell’altar maggiore. | ★ ★ ★ Dopo il 1778 nella nostra città cominciarono a celebrarsi due feste in onore di s. Pier Damiano; l’una in S. Maria dall’Angelo

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

presso le ossa del santo, l’altra in S. Maria ad Nives come si fa anche al presente, trasferita quest’ultima per concessione di papa Leone XIII, 18 novembre 1882, al lunedì dell’ottava.7 Più tardi, nel 1856, la deputazione del brefotrofio, per im­ pulso del parroco Paolo Babini, uno dei membri di quella, divotissimo del santo, fece aprire nella chiesa di S. Maria ad Nives secondo il disegno dell’architetto Girolamo Conti, faentino, una cappella propria in onore del santo a destra dell’altare attiguo all’altar maggiore. Fu dipinta a chiaroscuro dal pittor faentino Adriano Baldini, che vi ritrasse cinque storie della vita del santo. Nella nicchia dell’altare la statua in terra cotta di s. Pier Da­ miano vestito pontificalmente è opera del sordomuto Filippo Galli, pure faentino. Sopra la nicchia nel muro è dipinta la scritta « Decus nostrum et gloria», cioè; Nostro decoro e nostra gloria.8 NOTE 1 Borsieri , Cronaca; Aggiunta alla Cronaca Zanelli, I, p. 160; Babini , pp. 114, 121; rog. Alessandro Grossi, 9 febbraio 1778, nell’archivio notarile. 2 Rog. Alessandro Grossi, 14 aprile 1778, nell’ archivio notarile: « fu giudicato spediente di, venirsi, prima di mettervi mano, alla formale ricognizione di detto Sacro Deposito, e quindi per tal effetto portatosi nelle ore vespertine (sulle ore 22, secondo l’ antico calendario italiano, ha l’Aggiunta alla Cronaca Zanelli, I, p 159; sulle ore 21 il Borsieri) dei precitato giorno a detta Chiesa e monastero d i S. Maria degli Angioli Mons. Ill.mo e R.mo Vitale Giuseppe de’ Buoi degnissimo vescovo di questa nostra città (col. M.° di Cerimonie e il Secretarlo, aggiunge la continua­ zione della Cronaca Zanelli), il medesimo unitamente al R.mo Padre D. Or­ tensio Silvestrini moderno abbate di detto Monastero seguitato da suoi Mo­ naci ed altre Persone e da me infrascritto e Testimonij si recò (a porte chiuse nell’Aggiunta alla Cronaca Zanelli) all’ altare di detto Santo situato a mano destra di detta Chiesa in faccia all’altare del Ss.mo Sacramento, premessa l’adorazione (...) osservò prima la gran Cassa ossia Urna di mar­ mo, in cui stava riposto detto sacro Corpo, sul coperto della quale si vede rilevata in marmo l’Effigie del Santo con Pastorale in mano e Mitra in capo e trovato tutto | bene compaginato, e custodito ordinò all’Architetto Gioacchino Tomba ivi presente di levare detto coperto ed aprire la cassa come in fatti il medesimo aiutato da di lui uomini s’accinse all’opera ed in forza di varj ordegni levò detto pesante coperto di marmo, e parte davanti di detta Urna, che si trovarono ben connessi ed impiombati, ed allora si scoprì il corpo di detto Santo a riserva delle pure Ossa tutto ridotto assieme cogli abiti, che verisimilmente doveva aver indosso, in polvere (nè si riconobbe alcun segno di Cardinale o di Vescovo, nell’Apgiunta alla Cronaca Zanelli), conform e infatti tutto ocularmente dal detto prelato, da me notaro e testimonij e dagli altri astanti fu esattamente ri­ conosciuto ed osservato (si osservò ancora nel sasso, che rinchiudeva la

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San Pier Damiano e Faenza

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bocca del Sepolcro, dice VAggiunta alla Cronaca Zanelli, nella parte in­ teriore scolpito a basso rilievo il santo vestito pontificalmente) ed in seguito fu ordenato dal prelodato Mons. Ill.mo Vescovo ad uno de’ sud­ detti Monaci, che vestito di Cotta e Stola raccogliesse da detta Cassa ed Urna di marmo tutte le sagre ossa e polveri di detto Santo, e queste per ora le ponesse entro due tovaglie bianche, come in realtà fu eseguito con ogni decenza ed esattezza, poscia con ordine di detto Monsig. Ill.mo Vescovo il di lui Mastro di Sacre Cerimonie Sig. D. Antonio Moldoni con una fettuccia rossa legò, strinse e ben chiuse dette due Tovaglie: così ben chiuse e sigillate furono da esso riposte in una Cassa foderata ad uso di Baullo con chiavi, che contornata con fettuccia rossa, e chiusa a chiave fu dapertutto con detto sigillo fermata, sigillata ed assicurata, e quindi portata sull’Altar Maggiore di detta Chiesa per essere poi trasferita a detta Chiesa della soppressa Compagnia di Gesù per fino a che dette Sagre Reliquie verranno colla presenza del Superiore riposte in altra Cassa o Urna decente e decorosa, e alla pubblica adorazione in altare da co ­ struirsi in detta nuova Chiesa collocate ed esposte, essendosi il detto Mons. Ill.mo Vescovo seco por- | tati detta chiave e sigillo (...) Fu fatto in detta Chiesa del monastero di S. Maria degli Angioli situato in questa Città circa le ore 22 di detto giorno, essendovi presenti (...) ». L’Aggiunta alla Cronaca Zanelli d ice: «fu levato da detta Cassa (...) e messo in un bacile involto in un drappo di seta rossa». Cfr. anche V a l g i m i g e i , fase. 8 5 , pp. 6 - 7 .

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3 Aggiunta alla Cronaca Zanelli, I , p. 1 6 0 : « a d ì 1 5 apr. 1 7 7 8 . Verso le ore 9 (secondo l’ antico calendario italiano) fu trasportato » ecc. Così anche B o r s i e r i (Cronaca), V a ì g i m i g l i (1. c.), R i g h i (voi. I l i , p. 3 3 3 . Erroneamente nel Peroni il 1 4 aprile, nel Montanari (Guida, p. 1 0 8 ) il 1 7 , nello Strocchi (Compendio, p. 1 3 ) e nell’iscrizione latina a tergo dell’urna del 1 8 2 6 il giorno 2 0 aprile. Lo Strocchi aggiunge che le ossa del Damiano furono portate alla nuova chiesa con solenne pom pa; ma tutti i documenti ci­ tati gli contradicono. Egli confonde la traslazione delle spoglie del santo col trasporto deH’imagine di S. Maria dall’Angelo fatto veramente con solennità il giorno 20 aprile di quell’anno, lunedì di pasqua.

4 L’Aggiunta alla Cronaca Zanelli, I, p. 160, dice che il corpo del santo fu posto sotto l’aitar maggiore la domenica in albis, 26 aprile. Ma da un rog. Alessandro Grossi, 17 aprile 1778, (nell’archivio notarile) risulta che vi fu collocato prima: « non ostante che sotto la mensa di detto al­ tare (maggiore della chiesa degli ex-gesuiti) venga levata un’urna di legno con arme di Casa Spada (che avea il giuspatronato dell’ altar maggiore della chiesa degli ex-gesuiti) contenente Sacre Reliquie, quali detto Padre R.mo (Ortensio Silvestrini) qui presente unitamente al Convento suddetto promette e si obbliga in nome di detto di lui V. Monastero di ritener presso di sè, ma sempre però a disposizione libera del prelodato Sig. Marchese Muzio Spada, quando non venissero rispetto a dette reliquie | ricollocate sotto la detta mensa, dov’ erano, trasportato ad altro altare il 156 corpo di S. Pier Damiano, che ora provisionalmente si è riposto sotto detta mensa » ecc. La Cronaca Borsieri racconta che le ossa del Damiano furono collocate sotto l’aitar maggiore della nuova chiesa il giorno stesso 15

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1778

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1 7 7 8 ).

5 « Vitalis Joseph ex Marchionibus de Bobus etc. Cum occasione translationis Sacri Corporis S. Petri Damiani (...) quod loculo marmoreo in-

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clusum ad altare eidem dicatum, in veteri Ecclesia abbattali venerabatur S. Mariae Angelorum (...) espositorum Hospitalis (...) modo concessa ad E c­ clesiam sub eodem titulo (...) iam de iure extinctae Societatis Jesu, etc. ipsas reliquias legitime cognovimus, ut ex rogitu Alexandri q.m Jacobi Grossi Notarii Faven: sub die 14 Aprijis 1778 (...) ad RR. PP. Hortensii Silvestrini (...) Sanctae Mariae Angelorum hodier. Abbatis instantiam collocandi Sac. Depositum in altare, quod ad S. Protectoris honorem in postrema Ecclesia MM. excitari atque perfici curatur: iterum Sac. recognitis exuviis S. Petri Damiani ossa, ut supra inventa holoserico flavo involuta rubro funiculo Nostro sigillo in cera Hispanica munit, alligata soersim a cine­ ribus in altero simili involuto collectis, quae ex carnis, et vestium con­ sumptione temporis diuturnitate evaserunt in quadrangulari arca sex as­ serculis adamussim coniunctis ex pino confecta longitudinis ped. n. ait. on c: 5. latitud. on c: 9. Favent, (era lunga m. 0,97, alta 0,37, larga 0,42); et eodem quo sac. reliquiae contectae fuerunt opere serico flavo interiori ex parte instructa reverenter posuimus, atque ad Actorum confirmationem praesentes testimoniales litteras plumbea in lamina acclusas in arcula ipsa successive probe claudenda, et vitta rubri coloris exterius iisdem supradictis Nostris sigillis connectenda locavimus quas manu Nostra firmatas, signoque munitas per infrascriptum Segretarium Nostrum expediri man­ davimus. Datum Favent, ex | Episcopali Nostro Palatio hac ipsa Sacri depositi novae recognitionis die 28 Mensis Maii anni 1780. V. J. Episcopus Favent. Jacobus Ant. Fagnolius Secretarius ». In Processo della formale recognizione nell’ archivio della cancelleria vescovile. Nel 1826 mons. Ronsignore aggiunse: « D i e 6 febbruarii 1826. Reclusa fuit capsula, et reco­ gnita, atque inventa adamussim iuxta modum, et formam in praesentibus Litteris descriptam prout fusius ex Actis Nostrae Cancellariae sub eodem die rogat. Stephanus Episcopus Faventinus. Jacobus Franciscus Mariani a Secretis ».

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6 Cronaca Peroni, 4 agosto 1798. Cacciati i monaci Cisterciensi, il corpo del santo protettore rimase affidato alla custodia dei parroci, che si succedettero nella chiesa. S. Maria dall’Angelo divenne parrocchia con questo nome pel regio decreto, 22 giugno 1805, ed ebbe per succursale la parrocchia di S. Maria ad Nives. Caduto il Regno Italico, Leone XII (breve 2 gennaio 1824) ordinò una nuova distrettuazione delle parrocchie di Faenza: in S. Maria dall’Angelo ricostituì la parrocchia di S. Ilaro o Ilario, già soppressa al tempo del Regno Italico (arm. I, n. 30 nell’ar­ chivio capitolare). 7 Nell’Aggiunta alla Cronaca Zanelli, II, p. 7 , si legge: « 2 3 feb. 1 7 8 0 ( . . . ) a S. Maria Vecchia, nella Chiesa dello Spedale de’ Proietti (si fece la festa di S. Pier Damiano) con esporsi il quadro del Santo (probabilmente quello della sacrestia del brefotrofio, solito esporsi alla pubblica venera­ zione, prima che il sordomuto Filippo Galli lavorasse la statua attuale in terra cotta, V a l g i m i g l i , Giunte, p. 8 2 2 ) all’Altar Maggiore (in seguito la festa del santo si celebrò nell’altare della crociera a cornu evangelii fino al 1 8 5 6 ) , e reliquia (probabilmente il dito, che anche a’ nostri giorni si dà a baciare ai divoti nel giorno della festa, tolto dal braccio già sur­ ricordato), celebrandosi varie messe, e la sera benedizione del S. Sa- | cramento ». Oggi alla festa si premette un triduo. La festa celebravasi una volta a spese dell’amministrazione del brefotrofio e colle oblazioni di pie

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persone; ora soltanto con queste e col frutto tenuissimo (lire venti) di un legato del parroco Babini, col quale devonsi anche celebrare sei messe il giorno della festa. Pio IX, 1 febbraio 1859, concesse per un settennio, in­ dulgenza plenaria a chi visitasse la chiesa di S. Maria ad Nives nel giorno della festa del santo,, o in uno dei giorni dell’ottava. Nella cappella della crociera di S. Maria ad Nives, a cornu evangeli!, ove si venerarono le ossa di s. Pier Damiano fino al 14 aprile 1778, fu chiusa la finestra della parete di prospetto, e inalzata un’ancóna di legno con un quadro in tela rappresentante la SS. Trinità. Le iscrizioni laterali furono cancellate. In quali mani cadesse l’urna del 1354 non si sa. Sotto il quadro della SS. Trinità c’ è un tabernacoletto di legno che nell’usciolo porta scritto « Ossibus S. Petri Damiani », forse perchè vi si custodiva la reliquia del dito surricordato. Riguardo poi alla festa che si com inciò a fare in S. Maria nuova non dispiacerà leggere questo curioso documento, da me trovato nell’archivio vescovile: Libertà

La Municipalità di Faenza

Eguaglianza

23 feb.° 1797: Anno primo della Repub.a Cispadana. Cittadino Prevosto, incaricatevi di far sapere per mezzo del Vescovo a tutti li Frati, Monaci, Monache, ed altri Luoghi Pij, che debbono fare le solite Feste colla solita Musica impiegando li Suonatori, Musici, ed altri. E siccom e i Monaci Cisterciensi hanno fatto la festa di S Pier Damiano senza la solita Musica, perciò obbligateli a pagare la Capella, come se avesse a- | gito. Questo procurate che sia subito eseguito, tendendo al buon ordine della Patria, ed alla tranquillità dei Cittadini. Salute, e Fraternità Balasso Naldi Presid. Pietro Severoli Municipalista Ant.° Rampi M unicipi Antonio Piacci Cane, della Municipalità.

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8 La chiesa di S. Maria ad Nives fu restaurata dalla deputazione del brefotrofio nel 1854-55. Terminati i restauri della chiesa, la deputazione medesima fece erigere a s. Pier Damiano la cappella che ancora si vede. Le cinque storie dipintevi dal Baldini rappresentano: 1° Pietro fanciullo, che consegna ad un sacerdote la trovata moneta; 2° la vestizione di Pietro a Fonte Avellana; 3° la sua consacrazione vescovile; 4° Pietro, che parla in mezzo a un’adunanza di prelati; 5° la sua morte. Nell’interno della cap­ pella sopra la porta che si apre dirimpetto all’ altare è dipinta quest’iscri­ zione del canonico Girolamo Tassinari: VT . CELEBRITAS . REVERENTIAQVE |LOCO . HVIC . ADCRESCAT. ET PERENNETVR |IN . QVO . IVBAR . ILLVD . ET . COLVMEN |CATHOLICI . NOMINIS |PETRVS . DAMIANI |RA­ VENNAS |MONACHVS . AVELLANITA |S. R. E. CARDINALIS . ET. DOCTOR . AC . OSTIENSIVM . EPISCOPVS |HISCE . IN . AEDIBVS . HOSPITATVS |ET . LABORIBVS . CORPORISQVE . ADFLICATIONIBVS . CONSVMPTVS |MA­ GE . QVAM . AEVO |MAGNAM . EFFLAVIT . ANIMAM . V ili . K. MART. A.

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MLXXII |CVM . ESSET . ANNORVM . P. M. LXV |V. VIRVM . CVRATORVM . RREPHOTROPHII. STVDIO |TOTIVS . CELLAE . DIGNITAS . RESTITVTA . AVCTAQVE . EST |ANNO . MDCCCLVI. FAVSTO . FELICI. | Il Rabini (cfr. anche M ontanari, Guida, p. 103) asserisce che la stanza, trasformata in cappella nel 1856, per una continuata e non mai interrotta tradizione, sorge nello stesso luogo, ov’era la piccola cella, nella quale Pier Damiano compì i suoi giorni, convertita ad uso sacro dai nostri maggiori poco dopo la morte del santo. Ma il Valgimigli (Mem, stor., X, p. 75 in nota) chiama quest’opinione del Rabini assai strana. Il Babini stesso (p. 116) riferisce che già a suo tempo in Faenza se ne dubitava e per il silenzio degli antichi scrittori, e perchè il monastero sorge (e, per quanto si sappia, da tempo immemorabile) nella parte opposta all’odierna cappella. E in vero che la tradizione, a cui il Babini ricorre, sia conti­ nuata, come egli dice, e non mai interrotta, non si può in nessun modo dimostrare. Nessuno de’ nostri antichi scrittori, che ci tramandarono me­ moria degli avvenimenti sacri o profani della città, dal Tolosano, che visse nel secolo XIII al Magnani, che morì dopo la metà del secolo scorso, nessuno ne dice verbo. Non si conoscono altri documenti antichi, che ac­ cennino a questa pretesa tradizione. Dove sono dunque i testimoni della sua continuità e non interruzione? È poi troppo debole l’ argomento col quale il Babini vorrebbe persuaderci che al tempo della morte del santo il monastero sorgeva nell’area occupata in parte dall’odierna cappella. Nello scavarsi prima del 1856, egli dice, nella chiesa sepolcri particolari, si scoprirono in diversi luoghi fondamenta di muri attraversanti il tem­ pio a sbieco, indizio certo di antichi fabbricati. Ma che cosa si può con­ chiudere da questo fatto, fosse pur vero? Di più, siccom e la chiesa atter­ rata nel secolo XVII, probabilissimamente quella stessa del secolo XI, aveva il muro dell’altar maggiore ove ora si apre la porta maggiore, e la porta ove ora si eleva l’altar maggiore, il sito dell’attuale cap- | pella, piuttosto che dai fabbricati del monastero, non doveva esser occupato dal piazzale davanti alla chiesa, o dalla strada, che dalla porta del leone avrà menato al sacro tempio? Che poi i nostri maggiori p oco dopo la sua morte convertissero in cappella la camera, ove Pier Damiano morì, è un’altra gratuita asserzione. Che monta se nel 1855-56, come il Babini racconta, p. 119, « nell’aprire una porta nel muro dell’odierna cappella si scoprì un’ antica porta dipinta, che dava ingresso alla cappella medesima? ». L’on. Pasolini (Un cavaliere di Rodi ed un Pittore del secolo XVI, pp. 103-104) riferisce un’ opinione, secondo la quale Pier Damiano sarebbe morto nell’antica cappelletta, che si trova nell’antichissimo campanile di S. Maria ad Nives, sotto il piano delle campane. Ma chi potrà persuadersi che il vecchio monaco, giunto al monastero di S. Maria, come racconta Giovanni, più morto che vivo, sia stato condotto a morire su quell’a/io campanile, per la « tortuosa e circolare viuzza che simile a scala conduce in cima alla torre? ». Il eh. autore cita in nota il ricordo 118 di fra Sabba (nell’edizione da me consultata 117): ma mentre voi prendete in mano i famosi R icordi e leggete con ansia per trovare in un testimonio così auto­ revole la conferma di quella stranissima opinione, oh delusione! fra Sabba non dice altro che « le venerabile (sic) ossa di Pietro di Damiano gia-ceno honoratamente in Faenza nel tempio di Santa Maria delli A ngeli». Ma se ne contano delle belle su quell’ antichissima torre, unica superstite agli at-

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terramenti del secolo XVII! Il Magnani racconta (pp. 42 e 71) che a’ suoi giorni « si avea per tradizione che nella vaga cappella, situata verso la cima del campanile, si celebravano i divini uffici per maggior sicurezza al tempo de’ barbari rè Goti! ». Se vi vien voglia di salire su quel campanile, donde si gode un bel panorama | della città e dei dintorni, il sacrestano cicerone, che vi conduce per quella scala, non certo camminata di pa­ lagio (Inferno, c. 34), si fa un dovere di raccontarvi che Pier Damiano si nascose in quella cappelletta per fuggire alla strage di tutto il clero di Faenza, avvenuta in un sabato santo del secolo V ili, al tempo dei Lon­ gobardi (due secoli e mezzo prima che Pietro nascesse!!!); e che nella medesima cappella era solito di pregare e dir messa! Anche ij eh. Monta­ nari (Guida, p. 103) riferisce che una delle quattro campane di quel bel campanile è stata fusa « nell’anno 800 », sicché avrebbe potuto far sentire i suoi funebri rintocchi per la morte e sepoltura del Damiano! Ma le quat­ tro campane di S. Maria ad Nives da gran tempo portano le rispettive date 1336, 1722, 1749 e 1750. A sinistra dell’altar maggiore di S. Maria ad Nives si apre un corridoio stretto che conduce all’antico monastero. Quivi è un pozzo, detto il pozzo di S. Pier Damiano, donde i divoti at­ tingono acqua. I

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QUARTA TRASLAZIONE

Fin dal principio del secolo XVII era nato il pensiero in Faenza di riunire nella cattedrale i corpi di tutti e quattro i santi protettori della città. Il magistrato, appoggiato dal capitolo e dal vescovo Cardinal Valenti, gennaio 1617, ne fece istanza a papa Paolo V ;1 ma la supplica non fu esaudita. Ma una cosa, che al principio del secolo XVII forse avrà incontrato gravissime dif­ ficoltà, ne’ primi anni di questo secolo avvenne quasi per neces­ saria conseguenza degli avvenimenti. Abolite per decreto del Regno Italico con altre parrocchie urbane quelle di Ss. Emiliano e Terenzio e vendutene le chiese dal Demanio, i corpi dei | due santi protettori, che in esse si veneravano entro ricche urne di marmo, furono trasportati da mons. Bonsignore, vescovo, nella cappella del palazzo vescovile e poi per suo ordine collocati nella cattedrale, l’uno nel 1809, l’altro nel 1810. Ma il corpo di s. Pier Damiano giaceva ancora, quasi na­ scosto e senza onore, sotto la mensa dell’altar maggiore di S. Maria nuova: e tutta la cittadinanza desiderava di toglierlo da quel luogo sì poco conveniente e di trasportarlo nella cattedrale insieme agli altri tre santi protettori in luogo più decoroso. Due canonici della cattedrale, Andrea Strocchi e Vincenzo Sarchielli, ambedue faen-

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tini, divisarono di mettere ad effetto il comune desiderio. Si die0 dero dattorno per ottenerne da Roma il permesso, e, nonostante la resistenza di qualche interessato, conseguirono dalla S. Con­ gregazione dei Riti, 28 giugno 1825, un rescritto favorevole alla loro domanda. Conforme a questo rescritto mons. Ronsignore, il giorno 5 ago­ sto 1825, venne alla chiesa di S. Maria nuova·, alla presenza di due canonici e di altre poche persone fece levare di sotto la mensa dell’altar maggiore | la cassa del 1780, e la trasportò seco dentro 165 la sua carrozza nella cappella del palazzo vescovile. Quivi il giorno 6 febbraio dell’anno seguente, 1826, fece una nuova reco­ gnizione delle sacre ossa. Aperta la cassa alla presenza del ca­ pitolo e di altre persone permise che tutti i presenti osservassero e baciassero, ma non toccassero le reliquie: lesse la pergamena di mons. De’ Buoi, vi appose la sua firma e quella del suo se­ gretario colla data della recognizione, e, rinchiusa di nuovo la cassa, aggiunse i suoi sigilli a quelli di mons. De’ Buoi. Intanto il vescovo di concerto col capitolo sceglieva nel duomo la cappella di S. Carlo per collocarvi le sacre reliquie del Da­ miano. Questa cappella, la terza a sinistra di chi entra nel tempio, già ornata nel 1616 con preziosi stucchi e dipinti per opera del Cardinal Valenti e da lui stesso dedicata a S. Carlo Borromeo, a spese di mons. Bonsignore, del capitolo, del magistrato e di altre divote persone fu ristaurata dal pittore faentino Pasquale Saviotti nei dipinti, nelle statue e negli stucchi. L’antico altare, che era addossato al muro di prospetto, fu atterrato: e discosto dal muro | ne fu inalzato uno nuovo ornato di marmi. Sopra di questo si 166 eresse una grande urna, incrostata di breccia Seravezza, e sul coperchio della medesima si ritrassero in legno insieme intrec­ ciate le insegne vescovili, cardinalizie e di legato apostolico con alcuni libri e una disciplina, perchè Pier Damiano fu in sia vita favoreggiatore e difensore acerrimo di questa maniera di peni­ tenza. Nel frontone anteriore dell’urna fu scolpita quest’iscrizione latina in lettere dorate: OSSA S. PETRI DAMIANI EPISCOPI ET CARDINALIS, cioè: ossa di s. Pier Damiano vescovo e cardinale. Nel lato posteriore dell’urna, chiuso da una lastra di marmo, fu scolpita quest’altra iscrizione, che traduco dal latino: « Il giorno 26 febbraio 1826 Stefano Bonsignore, nostro vescovo, trasportò dentro quest’urna le ossa di s. Pier Damiano, patrono di Faenza, nel giorno 15 aprile 1778 dall’antico tempio di S. Maria degli Angeli trasferite nella nuova chiesa del medesimo nome.

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Cittadini e forestieri, baciate la tomba del potente discacciatore del mal di capo ».2 La traslazione delle ossa fu celebrata colla maggiore solen­ nità possibile. La cattedrale | venne sfarzosamente addobbata, 167 specialmente la cappella di S. Carlo e l’altar maggiore. Sopra di questo fu collocata un’urna di finto marmo, lavoro dei due fratelli Graziani, Giovanni e Francesco Ballanti. Una statua rap­ presentante il santo, vestito pontificalmente, sedeva sopra l’urna in ricco faldistorio, avente ai lati due angeli, che recavano in mano l’uno il pastorale, l’altro il cappello cardinalizio. La sera del 22 febbraio 1826 i canonici portarono entro quest’urna (processionalmente, ma a porte chiuse, per la cosidetta galleria) la cassa delle sacre ossa sostando per alcun tempo nella sagrestia detta dei canonici. Il giorno appresso cominciò nella cattedrale un triduo, secondo il consueto di tali funzioni. Sull’imbrunire del terzo giorno tutte le campane della città per più di un’ora con al­ legro suono annunziarono ai cittadini la prossima solennità. Alla messa solenne della domenica, cantata dal proposto del capitolo, intervenne il magistrato nelle sue toghe tradizionali; e mons. Bonsignore, nonostante la gravissima età e gl’incomodi onde soffriva, dopo il vangelo lesse in mezzo al presbiterio un’omelia in onore del santo. Alle quattro incirca del |dopopranzo dopo il canto del 168 vespro la processione mosse dalla cattedrale preceduta da un drappello di soldati pontificii col tamburo innanzi, secondo l’uso di quel tempo. Seguivano in bell’ordine con candele accese in mano le confraternite, il clero regolare della città, i seminaristi, la musica militare, i mansionarii, dodici suddiaconi e altrettanti diaconi vestiti di tonacelle, il collegio dei parroci in pianeta, i canonici in piviale e il vicario del vescovo. Mons. Bonsignore per la tarda età non potè seguire la processione come avrebbe de­ siderato. Quattro sacerdoti, vestiti da diaconi, portavano le sacre ossa. Una gran folla di popolo chiudeva il corteo. La processione percorse le vie Ravegnana, dei Forni, del Naviglio e degli Angeli, e pei loggiati della piazza maggiore splendidamente adobbati tornò in duomo. La cassa fu deposta in un tavolo entro la cap­ pella di S. Carlo mentre il clero e il popolo cantavano il tedeum. Più tardi, dopo diradata la folla, il vescovo si recò col capitolo nella cappella; e, rinchiusane l’inferriata, la cassa fu collocata e murata a gesso dentro l’urna di marmo.3 In questa occasione, secondo l’uso dei nostri vecchi, furono dati alle stam- |pe alcuni 169 lavori in prosa e verso in lode del santo.4 7

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Per sopperire alle spese dell’annua festa, che cominciò a ce­ lebrarsi in duomo nel seguente 1827, i canonici invitarono il gon­ faloniere, conte Antonio Margotti, e il magistrato a contribuire con qualche offerta alla festa del patrono della città. La magi­ stratura stabilì che il municipio concorresse alla festa del santo nel 1827 e in tutti gli anni successivi con un’annua prestazione di sei libbre di cera.5 Cessata pei mutati tempi questa pia con­ tribuzione, il circolo della Gioventù Cattolica, sorto in Faenza il 15 dicembre 1891 sotto il patrocinio dei ss. Gioachino e Pier Da­ miano, nel prim’anno medesimo di sua esistenza la vigilia della festa presentò all’altare del s. protettore un bel mazzo di can­ dele, e continua ancora questa pia, lodevole offerta. |

Nel 1828 avvenne un fatto che colmò di allegrezza i divoti del 170 santo e coronò i voti del capitolo faentino, indarno espressi nel principio del secolo scorso. Leone XII per annuire alle istanze del procuratore generale della Congregazione dei Camaldolesi, il giorno 26 marzo concesse che il nome di s. Pier Damiano fosse registrato nel martirologio romano con questo elogio : « 22 feb­ braio. Muore a Faenza s. Pier Damiano cardinale e vescovo d’Ostia celebre per dottrina e santità». E cinque mesi dopo, il primo giorno d’ottobre, a istanza del s. collegio de’ cardinali, comandò che in tutta la Chiesa si recitasse l’ufficio di S. Pier Da­ miano col rito, come in linguaggio liturgico si dice, doppio minore e colle lezioni del secondo notturno e l’orazione, proprie del santo; di più approvò il titolo di dottore di S. Chiesa, che già si dava comunemente a Pier Damiano, coll’annoverarlo solennemente tra i dottori della Chiesa.6 Per festeggiare questo lieto avvenimento si fece nella catte­ drale un triduo solenne nei giorni 22, 23, 24 febbraio 1829. Leone XII a istanza del capitolo concesse, 1 febbraio 1829, indul­ genza plenaria a tutti i |fedeli nei tre giorni del triduo e nei sette 171 anni successivi il giorno della festa del santo.7

Pio IX, come è noto, nel 1857 fece un viaggio attraverso gli Stati della Chiesa. Nel pomeriggio del 5 giugno giunto a Faenza mostrò il desiderio di celebrare la messa nel giorno seguente da­

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vanti all’urna di s. Pier Damiano. Ma avendo saputo che ciò non sarebbe stato possibile, e per la piccolezza della cappella e per la moltitudine della gente che sarebbe accorsa in duomo, celebrò la messa dinanzi alla reliquia del braccio esposto nell’altar mag­ giore e disse la messa propria del santo. Mossi dall’esempio e dalla divozione del papa, i canonici per accrescere il culto del santo, fecero istanza a mons. Folicaldi, perchè erigesse nel duomo una Pia Unione di S. Pier Damiano. Il vescovo appagò volentieri la domanda del capitolo, eresse, 13 gennaio 1858, la pia società e in quel giorno stesso ne approvò gli statuti. Gli aggregati furono poi arricchiti di molte indulgenze da |Pio IX, 7 settembre 1858.8 Faccio voti ardentissimi che questa Pia Unione si conservi nella cattedrale sempre più florida e nu­ merosa. I miei buoni concittadini si facciano un onore e un do­ vere d’essere i primi e i più zelanti nella divozione a s. Pier Da­ miano, poiché non senza ragione è stato scritto che « il luogo e il paese, dove un servo di Dio ha compiuto la sua carriera » deve considerarsi « come il centro naturale del culto che si tributa alla memoria di lui ».9 Specialmente dopo il 1862, quando l’e.mo card. Capecelatro ebbe pubblicato la sua bella Storia di S. Pier Damiano e del suo tempo, che fece conoscere agl’italiani il nome e le opere del nostro santo protettore molto meglio che non fosse prima, i cardinali, i vescovi e gli altri sacerdoti, che per qualsiasi ragione soggiornano qualche tempo nella nostra città, sono soliti chie­ dere con istanza di celebrare la messa innanzi all’urna del santo.

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NOTE 1 Cfr. V aigimigli , P.M. Appunti per la Storia del secolo XVIII, p. 30; e in Collectio Scripturarum ecc. le lettere 144 e 145. 2 OSSA . P E T R I. DAMIANI |CAELESTIS . FAVENTINORVM . PATRONI |QVAE |EX . ANTIQVO . MARIAE . ANGELORVM . REGINAE |AD . NOVVM . EODEM . NOMINE . TEMPLVM |X I I . KAL. MAIAS . (nella traduzione ho corretto l’ errore: cfr. nota 3 del c. V ili) A. M . D . CC . LXXVIII |TRANS­ LATA . FUERANT | STEPHANVS . BONSIGNORE . PONTIFEX . N. |HEIC . RITE . CONDIDIT |IV . KAL. MARTIAS . A. M . DCCC . XXVI |— |CIVES . ET . ADVENAE |DATE . TVMVLO . OSCVLVM |ADEST . DEPVLSOR . CEPHA­ LALGIAE . PRAESENTISSIMVS. 3 Cfr. Strocchi, Compendio, p. 13; Duomo, pp. 16-17; Processo della formale recognizione e solenne ecc. di Angelo Morigi cancelliere; Breve (che poi al contrario è lunga e minuziosa) narrazione ecc. del cerimoniere Samorì; Memorie risguardanti il Capitolo ecc., a fol. I l i , di mano del

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canonico Fabio Naldi. Non pubblico questi tre manoscritti perchè troppo lunghi e minuti: spigolerò qualche notizia più curiosa. — Per ristaurare la cappella di S. Carlo e per le feste del 1826 si spesero 443 scudi romani; 40 somministrati dal | vescovo, 24 dal m unicipio, 66 dalla cassa capi­ tolare, 20 da alcuni canonici del proprio, 30 dalla sagrestia, 25, 37 da alcuni divoti e 237,63 dalla fabbrica della cattedrale. Il canonico Naldi narra che Pasquale Saviotti « rifece le pitture perdute, rinfrescò e ripulì le squallide, ricongiunse le screpolate, diede colore e perfezione alle statue e agli s tu cc h i»; ma i pittori moderni non sono dello stesso parere. Lo Strocchi (ibid.) narra che intervennero alla processione anche le auto­ rità civili e militari; ma il cancelliere e il cerimoniere nelle loro minu­ ziose descrizioni non ne fanno parola. 4 1° Un’iscrizione italiana del padre Thjuden colla narrazione surri­ cordata al c. VII, Faenza 1826; 2° un. sonetto del conte Ferdinando Pasolini; 3° versi sciolti di don Vincenzo Luigi Calderoni (cfr. F. L anzoni, Memorie dei maestri di belle lettere del Seminario di Faenza, Faenza 1894, p. 78 in nota). 5 Atti capitolari, 20 febbraio 1826, arm. IV, n. 107; Processo della formale ecc. copia nell’archivio capitolare, arm. IV, n. 149. Nella seduta 13 dicembre 1827 il Consiglio voleva dal pittore Gaspare Mattioli un quadro rappresentante s. Carlo Borromeo e s. Pier Damiano (Valgimigli, C.D. Ap­ punti per la Storia, p. 31). Aggiungerò che il canonico Boschi possedeva tre disegni del Minardi rappresentanti s. Pier Damiano che rinuncia il vescovado e il cardinalato a Gregorio VII (sic, sic) (V algimigli, Pro Me­ morie, R. S., p. 3). Dove si trovano ora? 6 Cardellini, II, pp. 32-34. Il nostro martirologio diocesano nello scorcio del secolo passato era di questo tenore: «Faventiae S. Petri Da­ miani episcopi et confessoris doctrina ac sanctitate celeberrimi, eiusdem civitatis protectoris » ; nel principio del secolo : « Faventiae S. Petri Damiani monaci, ordinis Camaldulensis, deinde aliorum | monachorum institutoris (sic) cardinalis, episcopi Hostiensis, ardenti animarum zelo, mira sanctitae, facundia atque doctrina celeberrimi; eius corpus Faventiae, cuius est protector, velut mirificus conflictatorum dolore capitis liberator a finitimis et exteris v en era to et colitur » ; ora : « Faventiae S. Petri Da­ miani cardinalis et episcopi Ostiensis, doctrina et sanctitate Celebris, quem Leo Papa decimus secundus Ecclesiae doctorem declaravit. Illius Ossa in hac cathedrali Ecclesia asservantur, eumque Faventini Cives ut Patronum colu n t» (App. ad Mart. Rom., archivio capitolare, arm. II, n. 28: biblio­ teca capitolare, arm. I). 7 Processo della formale ecc., copia nell’archivio capitolare, arm. IV, n. 149. In occasione di questo triduo per cura del canonico Bartolomeo Archi furono stampate le quattro preghiere che si leggono in duomo nel triduo precedente la festa annuale del santo. 8 Carte importanti 1780 al 1887 nell’ archivio capitolare, arm. Ili, n. 71. Nel marzo del 1851 mons. Folicaldi fece presentare al cardinale di Ra­ venna Chiarissimo Falconieri un dito del santo (T arlazzi, p. 633). Nel 13 gennaio 1859 il medesimo concedeva 40 giorni d’indulgenza a chi recitasse un’orazione al santo che si riprodurrà nelle feste imminenti della quinta traslazione. 9 Letture Cattoliche, anno LVI, fase. IX, p. 6. |

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QUINTA TRASLAZIONE

I nostri maggiori nel 1826 persuasi di aver collocato le ossa del santo protettore dentro «magnifico avello»,1 tennero per fermo che quelle sacre reliquie non ne sarebbero mai state ri­ mosse per l’avvenire.2 Ma durante gli ultimi restauri della catte­ drale, riaperta al culto il 24 dicembre 1888, il nostro rev.mo ve­ scovo e concittadino mons. Gioachino Cantagalli di concerto col Capitolo deliberava di togliere quando che sia le ossa del santo protettore dall’altare di S. Carlo, dal sarcofago modestissimo del 1826, dedicargli nella cattedrale medesima una cappella propria ornata di pitture e di marmi, e trasportarvi le sacre ossa dentro ¡ urna nuova di marmo prezioso decorata di storie di bronzo. 178 Destinò a tale scopo la sesta cappella a sinistra di chi entra, da tempo immemorabile dedicata a sant’Apollinare, antico patrono della città.3 Nello stesso anno fu bandito un concorso per un progetto li­ bero per erigere nella cappella un altare con sarcofago e per de­ corarla. Dei sette progetti presentati e sottoposti al giudizio della r. e insigne accademia romana di S. Luca fu scelto, 5 maggio 1889, il progetto del nostro concittadino prof. Vincenzo Pritelli. Perchè la nostra cattedrale è considerata come monumento nazionale, i progetti furono presentati anche al Ministero della P. I. che con­ fermò la scelta, 5 maggio 1893. Tutta l’edicola, l’altare e l’urna dovevano, secondo il progetto dell’architetto sig. Pritelli, eseguirsi in marmo e bronzo e nel fondo dell’edicola aprirsi una finestra bifora a vetri storiati a colori nello stile delle vetrate del Marcillac, che si ammirano ad Arezzo e a Cortona. Ma tra perchè si conobbe non essersi raccolti fondi sufficienti, tra perchè si volle accondiscendere a’ pareri contrari alla bifora e alla vetrata, il prof. Pritelli dovette | modificare il primo progetto. Il progetto 179 modificato, rimesso al sig. ing. cav. Raffaele Facciòli di Bologna, direttore dell’ufficio tecnico regionale per la conservazione dei mo­ numenti dell’Emilia e con suo parere trasmesso per mezzo del Mi­ nistero della P. I. alla Giunta suprema di belle arti fu definitiva­ mente approvato il 25 giugno 1896. Questo nuovo progetto, lasciò la parola al sig. architetto Pri­ telli, che me ne ha gentilmente fornito la descrizione, « è in istile della rinascenza e si compone dell’altare con sovrapposto sarco­ fago, di una edicola a colonne decorate, che serve di ornamento

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e baldacchino all’altare e all’urna, e nelle pareti laterali e soffitto di pitture decorative e istoriate. L’altare dev’essere eseguito in marmo rosso Nembro di Verona nelle fascie, cornici, e gradino, e negli specchi delle due lesene laterali, nella facciata della mensa e in quella del centro in breccia di Seravezza, servendosi del­ l’urna vcchia; sopra all’altare e gradino verrà collocato un basa­ mento con iscrizione (la traduco dal latino: ”11 giorno 26 set­ tembre 1898 dalla cappella di S. Carlo furono poi trasportate le ossa di s. Pier Damiano, monaco avella- | nita, vescovo d’Ostia 180 cardinale e dottore di S. Chiesa”),4 e sovra a quattro zampe di leone, poste sul basamento, sorge un sarcofago in bardiglio chiaro ornato agli angoli da foglie e alla base e disopra da cornice de­ corata e nella facciata da tre storie di bronzo, rappresentanti fatti della vita del santo (...) Nel centro del vano che rimane fra le zam­ pe di facciata sotto l’urna, un pellicano, simbolo della carità, orna la parte inferiore dell’urna, e sopra nel coperchio un fogliame piramidale, nascente dal vertice, con al centro di esso vertice un caspetto con croce, corona l’urna. L’edicola, in cedro il fusto e in noce la decorazione, è formata da due piedestalli ai lati della mensa dell’altare e della stessa altezza, sulle cui faccie davanti verranno intagliati lo stemma del pontefice Leone XIII e quello di mons. Cantagalli. Sui piedestalli si ergono due colonne compo­ site decorate nel fusto a ornati in bassorilievo, con relativi pi­ lastri di dietro, sostenenti colle colonne una trabeazione ornata nelle modanature e nel fregio; sulla trabeazione gira un arco che ha per ghiera una cornice eguale a quella della trabeazione e nel­ l’intradosso diciotto cassettoni a due file, | ornati di rosoni e al- 181 l’estradosso una cimasa che serve di coronamento. Tutta l’edicola verrà ricoperta leggermente da una tinta a pastello fredda cene­ rina nelle cornici e nelle fasce, con dorature parziali nelle deco­ razioni delle sagome e gole di riquadro; il fregio, le colonne e le formelle dei pilastri e piedestalli avranno le decorazioni in oro fino su fondo bleu con stemmi a colori. Il fondo dell’edicola verrà diviso dalla trabeazione in due parti. Nell’inferiore, un rettangolo chiuso da fascia e cornice, sarà dipinto un drappo in rosso por­ pora che servirà di fondo all’urna; e sopra la trabeazione, fra essa e l’arco, verrà formato in rilievo un occhio circolare, con al cen­ tro il simbolo dello Spirito Santo,, e dai lati nei triangoli risul­ tanti, due teste d’angelo alate. Queste decorazioni saranno in tinta calda color cece e i rifasci e le cornici in tinta fredda cenerina. Il resto della cappella verrà decorato a pitture, il soffitto a vela verrà diviso, da una cornice dipinta, in una calotta e in quattro

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pennacchi; la prima ornata al centro da un lucernaio per dar luce alla cappella e all’intorno da porzioni di fusi sferici in nu­ mero di otto, dipinti a chiaroscuro a | tinta calda color cece con 182 ornati e putti con emblemi, e chiusi da cordoncini in oro con cor­ nice e rifasci in tinta fredda cenerina. Fra essi fusi, otto fasce a fondo bleu decorate a festoni in oro completeranno la calotta. I pennacchi saranno decorati al centro da un vano circolare di­ pinto a tinta fredda cenerina ornato a festone e nel centro sa­ ranno dipinti a colori i simboli degli evangelisti. Fra il vano, gli archi e la cornice della calotta, nei tre triangoli risultanti ver­ ranno dipinti in tinta color cece rosoni con rifasci cenerini e cordoncino in oro. Nelle due pareti laterali entro riquadri de­ corati a tinta calda con ornati a candeliere giranti attorno alla parete e incorniciando il centro in tinta fredda cenere, verranno racchiusi due quadri a colori rappresentanti due fatti storici della vita del santo e sotto saranno poste due lapidi incorniciate da fascia...5 Gli esecutori dei lavori sono: lo scultore prof. Tulio Golfarelli residente a Bologna per i modelli in gesso delle co­ lonne, cornici e cassa dell’urna. Lo scultore in legno sig. Fede­ rico Castellani di Faenza dell’Ebanisteria Faentina per l’intaglio in legno di tutta l’edicola |facendo eseguire parte della intelaia- 183 tura in legno e l’occorrente da stipettaio, dal falegname e alunni dell’Orfanotrofio maschile di Faenza. L’altare e l’urna in marmo eseguita dal marmista sig. Antonio Corradini di Faenza e figlio. Le tre storie in bronzo sono lavoro del fu cav. Luigi Maioli di Ravenna, che variando i soggetti rappresentava: 1° il santo che trova a caso una moneta, che offrirà per una messa in suffragio dell’anima di suo padre; 2° la sua vestizione e 3° la sua morte. Le pitture del soffitto dovevano essere eseguite dal direttore della scuola di disegno e plastica di Faenza prof. Antonio Berti, pit­ tore, che trovandosi indisposto incaricava a sostituirlo il pittore decoratore sig. G. B. Massa di Imola. Le due storie delle pareti, rappresentanti quella a sinistra Pietro giovinetto che consegna una moneta a caso trovata a un sacerdote perchè celebri una messa per l’anima di suo padre, l’altra a destra Pier Damiano, legato del papa, che in un consesso di principi di Germania a Francoforte s’adopera d’indurre il re Arrigo IV a richiamare presso di sè la consorte, Berta di Savoia, che aveva ripudiata, | sono eseguite dal prof. Tommaso Dalpozzo di Faenza. Le dora- 184 ture e inverniciature dell’edicola sono eseguite dal doratore sig. Ottaviano Pezzi di Faenza».

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Questi lavori cominciati nello scorso anno si stanno com­ piendo mentre io scrivo, e a spese di mons. Vescovo, del Capi­ tolo, e della Pia Unione di S. Pier Damiano eretta nella catte­ drale. Hanno concorso col loro obolo i fedeli della nostra e di altre diocesi: generosamente il seminario di Santiago nel Chili.“ Anche non pochi e.mi cardinali, eccell.mi vescovi e altri rag­ guardevoli personaggi del clero e laicato cattolico hanno contri­ buito largamente. S. S. papa Leone XIII, a dì 18 aprile 1893 in­ formato da mons. vescovo di quanto si era deliberato di fare in onore di s. Pier Damiano, con suo breve 16 maggio successivo degnavasi encomiare la presa deliberazione e mandava a mons. ve­ scovo la bella somma di lire duemila.6 Intanto fin dal giorno 7 febbraio dell’anno corrente per ren­ dere più decorosa e solenne la traslazione delle sacre ossa costituivasi in seno al comitato diocesano un comitato speciale per preparare i festeggia- | menti. Si è procurato, cosa molto lode- 185 vole, che i festeggiamenti pel trasporto della spoglia del Damiano coincidessero col giubileo sacerdotale di mons. vescovo, 23 set­ tembre 1898, primo promotore dei lavori della nuova cappella. Da un artistico manifesto, affisso in questi giorni nelle vie della città e diramato per tutta la diocesi e nelle confinanti dal suddetto comitato, si apprende che la traslazione delle sacre ossa nella nuova cappella si celebrerà il 26 corrente, lunedì, e che sarà pre­ ceduta da solenni funzioni e da un pio pellegrinaggio diocesano da cominciarsi il giorno 21. A cura del medesimo comitato i fe­ steggiamenti saranno onorati della presenza di alcuni e.mi car­ dinali ed eccell.mi vescovi; decorati da spettacoli di fuochi piro­ tecnici (23-25), musiche, accademie e luminarie, dall’estrazione di una tombola di lire duemila (25) a beneficio del nostro ospedale infermi e da una straordinaria fiera di bestiame (23-24), queste due ultime per iniziativa del municipio; e finalmente con oppor­ tune facilitazioni ferroviarie si cerca di rendere più numeroso il concorso. | *

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Il nuovo altare dedicato a s. Pier Damiano, secondo il di­ segno del prof. Pritelli, doveva eseguirsi, come ho detto disopra, negli specchi delle due lesene laterali e nella facciata della mensa in breccia di Seravezza, precisamente quella che incrostava l’urna “ che porta il nome di S. Pier Damiano in Santiago del Chili, ora unito al Seminario arcivescovile della stessa città (vedi documenti nell’Arch. Cap.).

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San Pier Damiano e Faenza

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del 1826. Per condurre quindi a termine i lavori, il giorno 14 lu­ glio ult. scorso alle ore 14 incirca alla presenza di mons. ve­ scovo, di molti canonici e di altre poche persone l’urna del 1826 fu aperta e ne fu estratta la cassa di pino del 1780. Questa in divota processione venne portata per la cosidetta galleria nel­ l’episcopio e collocata nella mensa dell’altare della cappella. Sic­ come poi si conobbe che la cassa del 1780 non si sarebbe conte­ nuta nella nuova urna marmorea, è stato necessario venire ad una nuova recognizione delle sacre ossa. Il giorno 9 ultimo scorso alle ore 16,30 quasi tutti i canonici, col maestro di sacre ceri­ monie, il segretario di mons. vescovo, il custode delle sacre re­ liquie della diocesi, il cancelliere vescovile, il prof. Vincenzo Pritelli architetto, e il conte Carlo Zucchini, quale rappresentante del comitato per le feste, si radunarono con mons. vescovo nella suddetta |cappella. Dopo il canto dell’/sie confessor e dell’oremus del santo si scoperchiò la cassa e si trovò, come già dicevano i documenti rimastici dei nostri vecchi, foderato nell’interno di da­ masco giallo e scompartita in due parti. Nella più piccola era un sacchetto di damasco giallo racchiudente le ceneri trovate nel­ l’urna del 1354 al tempo della terza traslazione; nell’altra le ossa ricoperte da un drappo di damasco giallo e adagiate dentro la bambagia. Si lessero le autenticazioni, racchiuse entro un tubo cilindrico di piombo, di mons. De’ Buoi (1780), di mons. Bonsignore (1826) e di mons. Pianori, che il giorno 18 settembre 1875 secretamente alla presenza di poche persone, ora defunte meno una, apriva la cassa e ne estraeva alcune reliquie per appagare la pietà del cardinale Luciano Bonaparte, cugino di Napo­ leone III.7 Nella mensa dell’altare fu distesa una tovaglia niti­ dissima; e il compilatore di queste memorie con la maggiore di­ ligenza possibile raccolse dalla cassa l’involto delle ceneri e tutte le sacre ossa ad una ad una, e le depose sopra la mensa. Tutti gli astanti per ordine di S. E. furono invitati a baciarle. Siccome poi le | sacre reliquie dovevano colà rimanere finché fosse terminata la nuova cassa, che si costruirà col legno dell’antica, fu­ rono coperte decentemente con altre tovaglie; e tutte le finestre e le porte della cappella alla presenza degli intervenuti furono chiuse e sigillate dal cancelliere col sigillo di mons. vescovo. Sei giorni dopo, 15 corrente, alle ore 9,30, alla presenza dei medesimi si sono rotti i sigilli della cappella, e si è posto mano a collocare le ossa del santo nella nuova cassa, costruita collo stesso pino dell’antica.8 È foderata di damasco rosso, e la parte anteriore è chiusa da un cristallo di molto spessore, che lascia

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

vedere il cranio e le altre ossa del santo dottore. Le ceneri sono state collocate nel fondo della cassa entro un sacchetto bislungo di damasco rosso. Sopra il medesimo il custode delle reliquie della diocesi, rev.do sig. don Domenico Lama, ha acconciato il cranio e le ossa, unendole insieme e raccomandandole alle pareti della cassa con fettucce di seta rossa. A mezzogiorno incirca il divoto lavoro era finito e la cappella si è chiusa e sigillata di nuovo. Nelle ore pomeridiane, 16,30, mons. vescovo [ è venuto di nuovo nella cappella con molti canonici e colle persone surricor­ date, ha riconosciuto di nuovo le sacre ossa, le ha venerate e baciate per l’ultima volta con tutti gli astanti. Quindi ha dato ordine che la cassa sia chiusa e sigillata: prima però vi ha posto dentro chiusa in tubo cilindrico di piombo la sua autenticazione in pergamena da lui firmata e dal suo secretarlo.9

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Lo scheletro di s. Pier Damiano è quasi completo;10 le ossa sonò molto ben conservate, specialmente il cranio, punto tarlate e pesanti. Dalle misure prese da un perito si può congetturare che il santo cardinale fosse alto di statura m. 1,75 incirca.11 Il cranio, di forma ovoidale cioè bislunga, presenta molte tracce di cuoio cappelluto nel lato destro; e conserva sei denti nella mascella superiore, e dieci nell’inferiore molto belli, uno dei quali è stato distaccato e destinato da mons. vescovo in dono al Santo Padre.12 Il giorno di martedì p.v., 20 settembre, queste sacrosante ossa saranno esposte sopra | l’altar maggiore della cattedrale in alto 190 in una gloria di angeli, e vi rimarranno durante tutto il periodo dei festeggiamenti. Il lunedì appresso, 26, saranno portate solen­ nemente nella nuova cappella e collocate dentro la nuova urna di marmo. NOTE 1 Strocchi, Compendio, p. 13. 2 II Processo della formale ecc. spera che l’urna del 1826 « dovrà cu­ stodire in eterno » le reliquie del Damiano: la Breve descrizione ecc. del Samorì dice che il corpo di s. Pier Damiano « vi deve in perfetto restare ». 3 All’antico protettore di Faenza rimane dedicata la cappella del pa­ lazzo vescovile. 4 V I . CAL. OCT. A. CHR. MDCCCXCVIII. EX . SACELLO . S. CAROLI | HVC. TRANS. SV N T .O SSA .S. P E T R I. DAMIANI. AVELLANENS. MONA­ CHI |OSTIENS. ANTIST. S. R. E. CARD. E T . DOCT. FAVENTIN. PA­ TRON. CAEL.

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San Pier Damiano e Faenza

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5 A cornu evangelii: — V T I . MEMORIA . RECTE . FACTORVM . PO­ STE . PRODATVR |ET . PIETAS . EXEMPLIS . POSTERIS . PRODATVR | ET . PIETAS . EXEMPLIS . ALTA . VIGEAT . MAGISQVE . FLORESCAT |QVO . CLARIVS . PATEAT . BONVM . FVISSE . CONSILIVM |CELLAE . EXORNAN­ DAE . DICANDAEQVE . PETRO . DAMIANI |HEIC . INFRA . INCISE . MAR­ MORI . SVNT . NOMINA . EORVM |QVI . STIPEM . AD . OPVS . PERFICIVNDVM . LARGIOREM . CONTVLERVNT |IOACHIMVS . CANTAGALLIVS . EPISCOPVS . CANONICI. TEM PLI. MAX. |SODALITAS . PRAE- | STITIS . SALVTARIS . LEO . X I I I . PONT. MAX. |SEMINARIVM . VRBIS . S. IACOBI. IN . RE . PVBL. CHILENSI | CVM . NON PAVCIS . CARDINALIBVS . ET . EPI­ SCOPIS |SANCTIQVE . DOCTORIS . CVLTORIBVS |Q V I. OMNES . QVIDEM . GAVDENT . QVOD . TANDEM . DEBITVS . HONOS |TRIBVTVS . SIT . IN . AEDE . PRINCIPE . RELIQVIIS . VIRI |SPLENDORE . PIETATIS . DOCTRI­ NAE . FORTITUDINE . ANIMI |ECCLESIAM . CATH. AEMILIAM . VRBEM . NOSTRAM . QVAM . MAXIME . ILLUSTRANTIS — . A cornu epistolae: — QVOD . FVERAT . IN . VOTIS . IOACHIMI. CANTAGALLII. ANTISTITIS . NOSTRI | IN . INSTAVRATIONE . AEDIS . MAX. ILLO . AVCTORE . ABSOLVTA |HOC . PLAVDENTIBVS . BONIS . PERFECTVM . EST . ANNO . MDCCCXCVIII |CONSILIO . IMPENSA . EIVS . CANONICORVM . ET . PECVNIA . CONLATICIA |QVANDOQVIDEM . CELLA . RENI­ DENS . OPERE . DVRATEO . MARMORE . PICTVRIS |DICATA . FVIT . PE­ TRO . DAMIANI . PATRONO . VRBIS . MINORI |TRANSLATIS . HVC . EX . LOCO . NON . SVO . OSSIBUS . CVLTIS . ET . COLENDIS |V I . CAL. OCT. POST . SOLEMNIA PERACTA . IX . V ili . VII . CAL. EIVSDEM . MENSIS |PRIMA . ANN I. L . SACERDOTII. PASTORIS . OPTIMI |ALTERA . ET . TER­ TIA . IN . HONOREM . DOCTORIS . EXIMII | FREQVENTIBVS . CIVIBUS . ADVENIS . GAVDIO . PERFVSIS |MVSICORVM . CONCENTV . SPLENDORE . MAIESTATE . TEMPLI |ADSTANTIBVS . PP. CARDINALIBVS . ET . EPI­ SCOPIS |— |DIAGRAMMA . CELLAE . ET . ORNATVS . FECIT .VINCENTIVS . PRITELLIVS |TABVLAS . AERE . DVCTAS . ALOISIVS . MAIOLVS . OPERA . COLORIBVS . PICTA . THOMAS . DALPOZZIVS |LIGNEA . | FRIDERICVS . CASTELLANIVS . ORNAMENTA . CAPSAE . ANTONIVS . CORRADINIVS |MONOCHROMATA . IOAN. BAP. MASSA . Sono del ch.mo vescovo di S. Angelo in Vado e di Urbania mons. Fran­ cesco Baldassarri nostro concittadino. 6 La spesa complessiva della nuova cappella sarà di L. 14140, non compresa la spesa del cancello, dell’arredamento della cappella ed altre, che sono sostenute unicamente dal Capitolo. La spesa dei festeggiamenti è sostenuta in gran parte dal Capitolo. E cco il breve del S. Padre a mons. vescovo.

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LEO PP. XIII. Venerabilis Frater, salutem et Apostolicam Benedictionem. Pietate dignum tua Nobisque vehementer probandum esse censuimus consilium quod a Te initum, consentiente Capitulo tuo fuisse docebas in litteris quas die XIV Kalendas Maias abs Te datas accepimus. Eo namque spectare vidimus consilium vestrum, ut in Templo Cathedrali Faventino, sacello extructo ac decenter ornato, dignior paretur sedes Reliquiis exci­ piendis S. Petri Damiani, qui istic edoctus aetatem raris excultam litteris

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XY secolo

sapientiae suae luminibus collustravit, et sacro Patrum Cardinalium Roma­ nae Ecclesiae Collegio decori fuit. Nequimus equidem nobile hoc inceptum meritis non honestare laudibus, Nobisque gratissimum accidet si fidelium pietas appellanti Tibi certatim ac liberaliter opem praebuerit suam. Nobis certe propositum est pro ea facultate quae Nobis in hac rerum asperitate suppetit, aliquid conferre ne laudabili studio tuo et honori Doctoris Sanctissimi videamur defuisse. Interim Deum adprecantes ut huic moli­ tioni tuae propitius favens laeta det incrementa exitumque felicem, Apostolicam Benedictionem Tibi, Venerabilis | Frater, Capitulo tuo ac reliquo Clero et Populo tuae vigilantiae commissis peramanter impertimus.

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Datum Romae apud S. Petrum die XVI Maii anno MDCCCXCIII. Pontificatus Nostri decimo sexto. Leo PP. XIII. Venerabili Fratri Ioachimo Episcopo Faventino Faventiam. 7 Erano presenti a questa recognizione delle sacre reliquie mons. Pia­ nori, il canonico Vincenzo Valli, il maestro di cerimonie don Antonio Bonavita, l’ egregio secretario di mons. Pianori, cav. Giuseppe Bongrani dell’ordine costantiniano di S. Giorgio, al quale devo queste notizie, i famigliari di mons. vescovo e gli artisti. Aperto il sarcofago la cassa di pino fu recata nella biblioteca del Seminario, e scoperchiata. Mons. Pianori ne levò alcune ossa, che si conservano nella Lipsanoteca e staccò dal teschio un dente molare. L’ atto di recognizione di mons. Pianori è di di questo tenore: «D ie 18 septembris 1875. Reclusa fuit capsula et recognita atque inventa adamussim iuxta modum et formam in praesentibus literis adscripta prout fusius ex Actis Nostrae Cancellariae sub eodem die rog. etc. t Fr. Angelus Pianori Ordinis Min. S. Francis. Observat. Episcop. Favent. D. Ioseph Bongrani a secretis ». Il giorno seguente dopo il mezzo giorno a porte chiuse la cassa fu riposta nel sarcofago. Il dente entro bellissima teca d’ argento, lavoro finissimo in filigrana fu spedita al cardinale Bonaparte. Questi un giorno recatosi in udienza da Pio IX mostrò la preziosa reliquia. Il papa scherzando disse: «m a questa è una reliquia da papa! » e allora il cardinale gliene fece senz’ altro dono. Scrisse poi di nuovo a mons. Pianori e ne | ebbe in regalo la falange di un dito chiusa in altra teca argentea. 8 La nuova cassa è lunga m. 0,93 nella parte superiore, 0,79 alla base; alta 0,30; larga 0,33 nella parte superiore, 0,27 alla base. 9 Di questo tenore: « Ioachimus Cantagallius Dei et Apostolicae Sedis gratia S. Faventinae Ecclesiae Episcopus. Cum occasione translationis exu­ viarum S. Petri Damiani ex sacello S. Caroli in N. Cathedrali Ecclesia, in quo die XXVI febr. an. MDCCCXXVI recondita fuerant, in novarum ur­ nam marmoream in sacellum ohm S. Apollinari ep. et m. nunc autem ipsi S. Petro Damiani dicatum, capsulam ligneam, in qua ossa S. Doctoris an. MDCCLXXX reposita fuerant, in nova urna marmorea non apte con­ tineri compertum fuerit, die IX septembris an. MDCCCXCVIII in sacello Palatii N. Episcopalis, adstantibus ex Cath. N. canonicis et aliis paucis viris, capsulam ligneam ex pino confectam aperuimus et S. Doctoris ci­

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neres et ossa in eadem inventa recognovimus. Die vero XV eiusdem mensis, iisdem adstantibus, sacra ossa iterum recognita in novam capsulam, ex pino confectam, quo arcula an. MDCCLXXX constabat, et holoserico rubro intus contectam condidimus et sigillis nostris ex cera hispánica rubra com ­ munivimus. In quorum fidem has testimoniales litteras plumbea in lamina acclusas in capsula ipsa claudenda et vitta rubri coloris connectenda manu N. firmatas signoque N. munitas per infrascriptum secretarium N. expediri mandavimus. Datum Faventiae in N. Episc. Palatio die XV septembr. an. MDCCCXCVIII. Ioachimus ep. faventinus. D. Ernestus Marabini a secretis ». 10 Mancano tre costole, una clavicola, due vertebre e varie ossa dalle mani e dai piedi. I radii e le ulne si sono trovati tutti e quattro, quindi l’antica reliquia del duomo | (cfr. nota 10, p. 91) si dovrebbe veramente chiamare mano, come nel Processus. Il cranio dalla glabella al mento mi­ sura m. 0,12; la periferia 0,55; il diametro trasversale 0,23; il diametro antero-posteriore 0,29; la fronte 0,06. 11 Ma cfr. nota 10 del cap. V. 12 Anche la falange di un dito per l’e.mo Rampolla e poche altre ossa delle mani e dei piedi per la Lipsanoteca.

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LE V IT E DEI QUATTRO SANTI PROTETTORI DELLA CITTÀ DI FAENZA

( s. Terenzio, s. Savino, s. Emiliano e s. Pier Damiano) scritte da ser Bernardino Azzurrini nel Liber Rubeus edite in confronto con quelle scritte da Giovanni A ntonio F laminio In RIS, XXVIII, 3, Città di Castello 1921, pp. 285-395

In troduzione § I - MEMORIE DEL CULTO ANTICO DEI QUATTRO SANTI IN FAENZA Sommario : 1. Il culto dei ss. Emiliano e Terenzio; — 2, di s. Savino; — 3. e di s. Pier Damiano. — 4. Il culto dei quattro insieme.

1. — Il più antico documento del culto di un s. Emiliano in Faenza è una carta di donazione del 15 febbraio 1139 a Farolfo, arcidiacono della cattedrale, presente tra i testimoni presbiter Ugo Sancti Emiliani;1 forse lo stesso presbiter Ugo ecclesiae Sancti Milioni, che compare in altra carta del capitolo della cat­ tedrale, 10 luglio 1147, e in una terza dell’8 dicembre 1159.2 Nel 29 agosto 1182 in un istrumento dell’archivio capitolare di Faenza viene pure ricordata una regio Sancti Emiliani,3 e nel 21 settembre 1191 un legato in favore della ecclesia Sancti Emi­ liani,4 Circa nel medesimo tempo, cioè in una carta capitolare ine­ dita dellTl novembre 1153, si legge un Petrus presbiter Sancti 1 I. B. Mittarelli, [Ad scriptores rerum italicarum cl. Muratorii A c­ cessiones historiae faventinae, o, come è scritto nell’occhiello e come cita costantemente il LanzoniJ Rerum Faventinarum Scriptores, Venetiis 1771, col. 426. 2 Erroneamente nel Mittarelli (ibid., col. 440) 8 febbraio. 3 Mittarelli, op. cit., col. 453. 4 Ibid., col. 457. Nel secolo XVI una chiesuola dedicata a s. Emiliano trovavasi pure nelle colline di Pergola presso Faenza.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Rentii, e quattro anni dopo, 1 agosto 1157, si fa menzione5 di una casa posta in Faenza nella regio S. Terenti. Nelle carte del XIII secolo, ed anche prima, alcuni faentini portano il nome di Emilianus, Milianus o Millianus, e più fre­ quentemente quello di Terentius o Rentius.6 Nel secolo XIV il culto dei due santi Emiliano e Terenzio ri­ cevette in Faenza un notevole incremento. In un sinodo dioce­ sano celebrato dal vescovo fra Ugolino nel 1321 fu comandato di celebrare nella città e nei sobborghi le feste dei due santi, per­ chè presso i loro corpi, situati nelle rispettive chiese, ogni giorno avvenivano prodigi : « beatorum confessorum Aemiliani pontifìcis et Rentii levitae in civitate et burgis, ad quorum corpora vene­ randa in suis propriis ecclesiis residentia, Dominus cotidie mi­ randa dignatur ostendere ».7 Donde si raccoglie che in quel tempo due chiese urbane erano dedicate rispettivamente a s. Emiliano e a s. Terenzio; che esse conservavano le reliquie dei due tito­ lari, e che s. Emiliano era venerato come vescovo e s. Terenzio come diacono. | Da quel tempo il nome dell’uno o dell’altro santo o di tutti 288 e due insieme compare spesso tra i santi protettori della città. S. Terenzio, solo, nel proemio degli Statuti dati alla città di Faenza da Giangaleazzo Manfredi nel 31 dicembre 1414, della matricola dell’arte della lana gentile nel 1470, dei capitoli del Monte di Pietà (12 ottobre 1491), e nelle domande presentate dalla città a Giulio II il 10 marzo 1510. Ambedue in alcuni Statuti di Astorgio III Manfredi del 1 gennaio 1492.8 Da un calendario faentino della prima metà del XV secolo 9 apprendiamo che la festa di S. Terenzio cadeva il 30 luglio e quella di S. Emiliano il 6 novembre. Un istrumento, riprodotto 5 Mittarelxi, op. cit., col. 439. 6 Ibid., coll. 474, 490, 497. 7 G. C. T onduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675, pp. 16 e 393, dal1’ « autentico », come egli scrive. Il Magnani (Vite de’ Santi, Beati, Venerabili e Servi di Dio della città di Faenza, Faenza 1741, pp. 190-192) dice che nella prima metà del XVIII secolo il sinodo di fra Ugolino conservavasi in pergamena nell’Archivio della cattedrale; ma oggi non si trova. Nell7nventarium del duomo di Faenza compilato nel 1444 (Iura antiqua, f. 2, nell’A rchivio capitolare) si legge: « Constitutiones in membranis tempore Ugolini episcopi faventini. Constitutiones sinodales ». 8 Cfr. F. L anzoni, S. Pier Damiano e Faenza. Memorie e note critiche, Faenza 1898, pp. 127-128. [in questo volume a p. 661 9 F. L anzoni, Il più antico calendario ecclesiastico faentino, Faenza 1914. [in questo volume a pp. 391-412]

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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dall’Azzurrini,101di una promessa di soccorsi in denaro fatta da circa sessanta faentini ad Astorgio III Manfredi contro il duca Valentino, è intestato: 1500 die 6 mensis novembris sancti Emi­ liani. Romualdo Magnani nelle sue Vite de’ Santi di Faenza 11 c’in­ forma che a suo tempo, cioè nella prima metà del XVIII secolo, conservavansi nell’archivio della cattedrale di Faenza in un ma­ noscritto antichissimo (per il nostro agiografo un ms. antiquis­ simus poteva risalire al secolo XV!) un ufficio proprio di sant’Emiliano con antifone, versetti, responsori e un’orazione che cominciava: « Protector noster apud etc. » e del pari un uffi­ cio proprio di S. Terenzio con antifone al mattutino, alle laudi, ai vesperi, responsori e versetti e un’orazione che cominciava: « Deus qui populo tuo etc. ». Nel 1468, forse in occasione di restauro o di ricostruzione della chiesa di S. Emiliano, si fece una traslazione delle ossa del santo in una nuova urna. Ciò risultava da un’iscrizione scolpita forse nella base dell’urna, iscrizione oggi scomparsa: «Nova trans­ latione in hoc tumulo sancti Emiliani episcopi et confessoris ossa quiescunt 1^68 24 aprilis».12 Nel 1782 13 quest’urna fu aperta e vi si trovarono dentro due lamine di piombo, nell’una delle quali leggevasi Corpus sancti Emiliani episcopi, e nell’altra «non si potè rilevar niente ». Non saprei dire se questa epigrafe appar­ tenesse al 1468 o a tempo anteriore. Non ne esiste, che io sappia, alcuna riproduzione o facsimile. Forse in quel torno di tempo fu pure scolpita l’urna istoriata di s. Terenzio, che oggi si ammira nella cattedrale. Il 25 luglio del 1810 vi si trovò dentro una lamina di piombo con questa iscri­ zione, riprodotta dal cronista Peroni: f IN HVNC TVM. REQ: SCS TERENTIVS LEV. ET CONF. XPI. 2. — Il culto di s. Savino nella diocesi di Faenza risale a tempi abbastanza remoti. Una pieve del territorio montano (oggi

10 Liber Rubeus, cc. 187-188. [ed. A. Messeri, in RIS, XXVIII, 3, Città di Castello 1907-1921, pp. 264-265] 11 Pp. 19 e 24. 12 Magnani, Vite de’ Santi di Faenza, p. 19; G. M. V algimigli, Memorie storiche intorno alla città di Faenza, [ms. nella Biblioteca comunale] XI, p. 64. 13 Cronaca Peroni, nell’Archivio della cattedrale. 8

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

appartenente alla diocesi di Modigliana) almeno fin dal 114314 fu dedicata a s. Savino. Non lungi dalle mura di Faenza fuori di Porta Imolese sorgeva, almeno fin dal X secolo, un monaste­ rium (nel senso di piccola chiesa) S. Savini. Questo monasterium appare di nuovo in una carta |del 9 marzo 1086.15 Un istrumento 289 del 15 luglio 117216 ricorda un regio S. Sabini fuori di Porta Imolese. La cattedrale di Faenza cominciò a celebrare la festa di S. Sa­ vino tra il 1264 e il 1367. Infatti mentre nelle costituzioni capi­ tolari del 1264 17 la festa di S. Savino non è compresa tra le so­ lennità da festeggiarsi dai canonici, in un atto del 3 giugno 1367 il festum sancti Savinj è ricordato tra i più solenni per il capi­ tolo dei canonici,18 quantunque non si accenni al motivo della nuova festa. Nel calendario faentino del XV secolo, sopra ricordato, s. Sa­ vino appare due volte, cioè alla data tradizionale (7 dicembre) di S. Savino vescovo e martire di Spoleto: «Sancti Savini epi­ scopi et martyris»; e al 14 giugno nella seguente maniera: «Trans­ latio sancti Savini episcopi et martyris ». Celebravasi adunque una traslazione delle reliquie del santo. Ma donde e dove? NellTnuentarium dei beni della chiesa e della sacristía della cattedrale com­ pilato il 28 ottobre 1444 in occasione di sacra visita (e ricopiato il 22 maggio del 1448) tra le suppellettili del duomo è annove­ rato: «Tabernaculum argenteum et hereum ad quinque libras argenti et decem de uricalco cum cruce de cristallo in capite, ad tenendum lignum crucis et ad tenendum brachium beati Savinj».19 Adunque nel 1448, il tesoro della sagristia possedeva un reliquiario metallico contenente un braccio di s. Savino col legno della santa croce. Nè la cattedrale gloriavasi di avere un braccio soltanto. Tre documenti riferiti dal Valgimigli20 ci apprendono che Gio­ vanna di Cunio, vedova di Astorgio II Manfredi, nel suo testa­

14 F. L anzoni, Cronotassi dei vescovi di Faenza, Faenza 1913, pp. 81-85. 15 Mittarelli, Rer. Fav. Script., col. 409. 16 Ibid., col. 446. Sulla chiesa suburbana di S. Savino cfr. pure Mit tareu j , coll. 467 e 488; e Iura antiqua, cit., c. 56. 17 Notizie storiche spettanti al Capitolo della chiesa cattedrale di Faenza, ms. del 1779 nell’Archivio capitolare, parte prima, pp. 78-86. 18 Iura antiqua, c. 4. Nelle Costituzioni del 4 agosto 1453 (ibid., c. 26) la disposizione del 1397 viene confermata. 19 Iura antiqua, c. 2. 20 Memorie di Faenza, cit., XI, pp. 69, 71 e 95.

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Le Vite dei quattro santi protettori delia città di Faenza

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mento, 3 settembre 1468, lasciò certe corbe di grano «pro fabri­ cando et colocando arcam s. Sauini de novo factam seu faciendam in ecclesia cathedrali S. Petri de Faventia»; e nel 1471 la cappella in onore del santo era « constructa et edificata ». Arcam s. Savini; quindi la cattedrale non custodiva soltanto un braccio ma un corpo intero. Quest’arca non è se non lo stupendo mau­ soleo del santo, scultura di Benedetto da Maiano, che anche oggi si ammira nella nostra cattedrale di Faenza. Nell’urna del mau­ soleo è scolpita la seguente iscrizione: «In hoc marmoreo tumulo ossa beatissimi Savini episcopi et martyris requiescunt ». Nel sopra ricordato breviario faentino del XV secolo un pez­ zetto di carta, di mano del principio del secolo XVI, incollata sul margine del foglio, ove si leggono i Suffragia sanctorum, porta il seguente oremus, relativo alla traslazione di s. Savino nella cat­ tedrale: « Propitiare nobis, quaesumus, Domine, famulis tuis per sancti Savini martiris atque pontificis, qui in presenti ecclesia requiescit, merita gloriosa, ut eius pijs intercessionibus ab om­ nibus munia(mur) adversis ». Quando, da chi e donde fu fatta questa traslazione delle ossa di s. Savino nella cattedrale? Giovanni Antonio Flaminio (f 1536) nella sua Vita latina, di cui si dirà, com- | posta tra il 1526 e il 1534, scrive che le ossa 290 del santo furono trasferite in Faenza al tempo di Astorgio II Manfredi, signore di Faenza, conte di Bagnacavallo e di Fusignano; appunto da una chiesa rurale di Fusignano, dedicata a s. Savino, chiesa appartenente alla diocesi di Faenza e al terri­ torio antico della città. Bernardino Azzurrini, come vedremo, col­ locò questo trasloco de anno 1M3;21 ed altri scrittori faentini posteriori lo fecero rimontare al 1440.22 Si sa che Astorgio II s’im­ padronì di Fusignano nel 14 aprile 1438. Nel 1444, come si è visto, il braccio del santo era già nella cattedrale. Quindi il tra­ sferimento delle ossa dev’essere avvenuto tra il 14 giugno (anni­ versario della traslazione) 1438 e il 1444. Se poi, come riferiscono i nostri autori,23 nel 1441 Astorgio II non era più signore di Fu-

21 Cfr. pure il ms. 188, c. 22, della Biblioteca comunale di Faenza. 22 Magnani, op. cit., p. 11; A. Strocchi, Serie storico-critica de’ ve­ scovi di Faenza, Faenza 1841, pp. 13 e 175; Valgimigli, Memorie, cit,. p. 79, e X, pp. 130-131. 23 H. R u b eu s , Historiarum Ravennatum libri decem, Venetiis 1589, p. 620; G. A. Soriani, Storia della origine, fondazione e dominanti della terra di Fusignano, Lugo 1845, pp. 39-41; B. Azzurrini, Chronica breviora

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signano, la translatio probabilmente ha avuto luogo tra il 14 giu­ gno 1438 e il 14 giugno 1441. Il Magnani24 conobbe un’« oratio » di S. Savino « ex manuscripto vetusto », che cominciava Maiestatem, « cum antiphonis ad Matutinum, Laudes et Vesperas, versiculis et responsoriis pro­ priis », conservati, a suo tempo, nell’archivio capitolare. Oggi tro­ vasi nel medesimo archivio in un fascicolo in pergamena, della fine del XV o del principio del XVI secolo, inserito nella Tercia pars antiphonari maioris ecclesie Sancti Petri Faventine secundum consuetudinem romane ecclesie a dominica prima post octavam epifanie usque ad resurectionem Domini, antifonario della prima metà del XV secolo, adoperato nel coro della cattedrale, un ufficio proprio del santo, colle note musicali, intitolato: In festo sancti Savini episcopi et martyris, con antifone e inno ai vesperi e alle laudi, e antifone, responsori e versetti al mattutino. Ma Yoratio non incomincia Maiestatem, come presso il Magnani, ma Omni­ potens. Ad ogni modo un ufficio proprio in onore di s. Savino si recitò nella cattedrale di Faenza, forse fino al 1568, cioè fino a quando Pio V non impose a tutte le diocesi di rito latino di uniformarsi al breviario romano. 3. — Pier Damiano, come è notissimo, morì in Faenza. Reduce da Ravenna, ove Alessandro II lo aveva mandato a riconciliare quella chiesa colla sede romana, giunse nella nostra città il 14 feb­ braio del 1072, ed ebbe alloggio presso i benedettini di S. Maria foris portam. Ma, appena entrato nel monastero, fu preso dalla febbre, e nelle prime ore del 22 dello stesso mese, assistito dal fe­ dele discepolo Giovanni da Lodi, che ne scrisse la Vita, e da suoi monaci di Acereto, discesi dall’Apennino non si tosto ebbero no­ tizia della sua grave malattia, rese lo spirito a Dio.25 L’illustre monaco fu sepolto al canto dei salmi e degli inni nella chiesa di S. Maria entro un grande sarcofago di marmo

aliaque monumenta faventina, ed. A. Messeri, in RIS, XXVIII, 3, Città di Castello 1905, p. 75 n. 1. 24 Op. cit., p. 15. 25 Pier Damiano morì in uno dei luoghi più venerabili della città. La basilica di S. Maria, secondo il Tolosano (Mittareuli, op. cit., coll. 13-14) fu la cattedrale di Faenza fino al secolo V ili, quindi convertita in un monastero benedettino. Questo è ricordato per la prima volta nell’ 883 (ibid., col. 394). Pier Damiano nel suo opuscolo VI (c. 18) parla con af­ fetto dell’abbate Eleucadio.

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bianco (« immane labrum lapideum nitido candore decorum », scrive Giovanni da Lodi nella citata Vita) di fronte al coro vicino ai gradini dell’altare. I funerali del Damiano furono, piuttosto che esequie funebri, j un’apoteosi. Narra Giovanni che, recata in città la notizia della morte di lui, subito i faentini vennero al monastero a celebrarne il funerale, temendo che i monaci di Acereto trafugassero il cadavere e se lo portassero a seppellire tra i loro monti. La basilica si riempì di gente; e siccome tutti si adoperavano per giungere i primi al cataletto, così si sospin­ gevano l’un l’altro come le onde del mare. Chi ebbe la fortuna di avvicinarsi al defunto, depose doni sul feretro e baciò i piedi e il lenzuolo che copriva la salma. Evidentemente Pier Damiano era ritenuto per santo prima ancora che morisse; tuttavia il suo funerale, quantunque cele­ brato con tali e tanti segni di universale venerazione, non deve considerarsi, benché nel medioevo ciò avvenisse varie volte, come una vera e propria canonizzazione popolare, confermata dall’at­ teggiamento benevolo o dal consenso dell’autorità ecclesiastica locale. Nel monastero di S. Maria forisportam il titolo di santo fu conferito al Damiano sei anni dopo la sua morte. L’autore ano­ nimo, forse monaco faentino, di una breve narrazione aggiunta per modo di appendice alla Vita di Giovanni da Lodi (num. 6707 nella Bibliotheca hagiographica latina), ci fa sapere che nell’ago­ sto del 1080 un monaco, di nome Ungano, di S. Gregorio di Ri­ mini presso il Conca, cioè di un cenobio eretto da Pier Damiano stesso, ebbe in sogno due visioni l’una a poca distanza dall’altra. Pier Damiano (« dominus Petrus Damianus »), vestito pontifical­ mente, si sarebbe lamentato dell’ingratitudine di Ungano, suo di­ scepolo, che non era andato a visitarlo mai nella camera o nel sacrario di Maria Vergine, ove egli abitava (S. Maria forisportam). E la seconda volta, dopo ripetuto i rimproveri, avrebbe punto con ira il pover’uomo sotto l’orecchia sinistra colla punta del pa­ storale, facendogli conoscere con un segno sensibile la propria in­ dignazione. Il monaco si destò colla gola e colla mascella enfiata, e ne ebbe assai dolore; ma dopo qualche tempo, invocando l’in­ tercessione di Pier Damiano, fu guarito. Recossi quindi in Faenza a ringraziare il suo celeste liberatore, prima da solo, quindi col preposto di S. Gregorio e con altri monaci. Entrarono essi, scrive l’anonimo, nella chiesa di S. Maria, suonarono tutte le campane e posero faci di cera e altri luminari innanzi all’arca di san Pier Damiano (« ipsius sancii Petri Damiani ») e celebrarono messe

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solenni in assoluzione dell’anima di Ungano, che aveva meritato i rimproveri del suo maestro. Come nel monastero di S. Maria forisportam, così in quello di S. Giovanni di Acereto, edificato da Pier Damiano nell’antico territorio faentino, il celebre monaco fu onorato del titolo di beatus o sanctus pochi anni dopo la sua morte. Il codice vati­ cano ottoboniano 339, appartenuto al monastero di S. Giovanni di Acereto, contiene due componimenti riguardanti Pier Damiano, scritti « con grandissima cura a magnifici caratteri »,26 « da per­ sona la quale sommamente ammirava e venerava s. Pier Da­ miani » 27 « alla fine del secolo XI o, al minimo, ai principii del XII ».28 II prof. Gaudenzi, non ingiustamente, attribuì i due lavori a qualcuno dei monaci di Acereto. | Il primo intitolato 292 Oratio prò eo ad sanctam Mariam prega la Madonna perchè si compiaccia di ricevere in paradiso l’anima di Pier Damiano. Esso fu quindi composto quando il celebre monaco non godeva ancora in Acereto il nome di santo-, ma il secondo componimento, in­ titolato Exametralis micrologia venerabilis vitae beati Petri Da­ miani cardinalis episcopi civitatis Ostine, che compendia e re­ stringe in trentun versi leonini oscuri e contorti la vita di Pier Damiano, gli dà esplicitamente il titolo di beatus.29 Questa specie di canonizzazione monastica non sembra avesse effetto fuori dei cenobi faentini. Infatti il monaco di Fonte Avel­ lana autore della Vita di Giovanni da Lodi (cioè del biografo di Pier Damiano) vissuto fino al 1106, quantunque faccia i più larghi elogi della dottrina e della santità di Pier Damiano, che fu, come è noto, priore di Fonte Avellana, e lo chiami ora reverendus sacerdos, ora vir venerabilis, et tantus vir, ora venera26 A. G a u d e n z i , Il codice vaticano del monastero di Acereta, in Studi medievali, III, 1909, p. 308. 27 Gentile comunicazione di mons. A. Mercati direttore della Biblio­ teca Vaticana. 28 Così mi scrive mons. M. Vattasso della Vaticana. Cfr. pure A. P o n c e l e t , Catalogus codicum hagiographicorum latinorum Bibliothecae Vati­ canae, Bruxelles 1910, p. 425. 29 Comincia: «Saecula sub laetis radiarunt prima p ro p h etis», e fi­ nisce: « In gremis terrae dans terram pace Faenzae ». È il più antico do­ cumento in cui Faventia appare nella forma odierna Faenza. Però in un Concilio romano del 769 ( D . M . M a n s i , Sacrorum Conciliorum nova et am­ plissima collectio, XII, Florentiae 1766, coll. 713-765) si legge la forma dialettare Ioannes episcopus Fentiae (Fenza). D i questa stessa Exametralis micrologia esiste nella Biblioteca Vaticana copia del XVI secolo (Cod. Vat. lat. 6171, ff. 127-128 v. Cfr. P o n c e l e t , op. cit., p. 181).

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bilis, reverendus et sanctus pater, ora devotus pastor, ora sanctus magister, e finalmente reverendus prior, tuttavia non gli dà mai il titolo ufficiale di beatus o sanctus Petrus Damianus, ma sem­ plicemente di domnus Petrus.30 Una Vita pure di s. Facondino, antico vescovo di Tadinum, composta nel secolo XIV, o nel XIII, in Nocera o in Gualdo Tadino, cioè non lontano dal Catria, ri­ corda Petrus Damiani cardinalis et primus prior Sanctae Crucis (vale a dire di Fonte Avellana) semplicemente, senza alcun ti­ tolo di beatus o sanctus.313 2 Ma lasciamo stare la storia del culto di s. Pier Damiano fuori di Faenza, che non appartiene al compito nostro, e torniamo alla città di Faenza e alla sua diocesi. Due secoli e mezzo e più dopo la morte di Pier Damiano i monaci di S. Maria forisportam32 eressero in onore del loro santo un nuovo monumento. Nel 1353 fabbate Giammatteo da Cagli commise per 142 lib. di bolognini piccoli a maestro Bo­ naventura De’ Filippi d’Imola di « fabricare arcam de lapidibus marmoreis albis, in qua poni debet corpus scinoti Petri Damiani cardinalis»;33 e nell’anno seguente il giorno di pasqua (13 aprile) traslocò le ossa del santo nella nuova sepoltura. Secondo alcuni testimoni di veduta del 1701 34 questo nuovo sepolcro, oggi scom­ parso, consisteva in un’arca di marmo greco berettino con vene bianche sopra un fondo di marmo bianco di Istria. Dalla cornice inferiore correvano alla cornice superiore alcune colonnelle sca­ nalate a vite; e il coperchio, della forma di un prisma trian­ golare, recava sul prospetto l’imagine in rilievo del santo vestito pontificalmente. Nel giro anteriore della base era scolpita la se­ guente iscrizione, riferita dai diversi scrittori con qualche leg­ gera differenza: « A(nno) D(omini) M.CCC.LIIII die XIII aprilis translatum fuit corpus s(sancti) Petri Damiani ravennat(is) in Sac(ra) Scriptura doct(oris) et ostien(sis) episcopi ac apost(olicae) sedis legati ord(inis) S(anctae) f fontis Avellane in presenti arca a rev(erendo) p(atre) d(omino) Mateo de Callio hic abb(ate) ».

30 Acta SS., Sept. Ili, Antverpiae 1750, pp. 165-174. 31 P o n c e l e t , op. cit., pp. 224-225. 32 Nel 1168 agli antichi Benedettini erano stati sostituiti i monaci avellaniti. Cfr. I. B. M i t t a r e l e i - A. C o s t a d o n i , Annales Camaldulenses Or­ dinis Sancti Benedicti, IV, Venetiis 1759, p. 26. 33 Da uno Scartafaccio dell’Archivio del Comune di Faenza, c. 33. 34 Cfr. L a n z o n i , S. Pier Damiano e Faenza, cit., pp. 93-99. [in questo volume a pp. 50-52]

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Sotto l’arca in una lista di marmo greco alta 24 c. e lunga 73, fu scolpita quest’altra iscrizione che si conserva in S. Maria: Quinque denis mille tercentis et quatuor annis tertius aprilis cum a decimo fluserat ortus transtullit (sic) te clerus doctum in pagina sacra, ostiensis presul quem dotat cardinalatus o Petre Damiane te Crux in ordine fontis Avellane beat, tu legatus quoque tandem Sedis Apostolice petra nunc clauderis ista. Instat tunc abbas Mateus de Callio natus. Questo monumento fu incastrato nel muro dietro l’altar mag­ giore in alto35 e in questo luogo trovavasi ancora al tempo di ser Bernardino Azzurrini.36 Conservossi fino al secolo XVIII nella sagristia di S. Maria forisportam una tavola del XV secolo raffigurante Pier Damiano vestito pontificalmente in atto di benedire con un’aureola dorata intorno al capo, nella quale leggevasi in giro S(anctus) Petrus Damianus. Sopra la mitra era dipinto il cappello cardinalizio. La descrizione che Carlo Cignani ne fece nel 1701 37 somiglia mol­ tissimo alla tavola di Antonio da Fabriano (sec. XV) della pina­ coteca di Ravenna. Durante il secolo XIV e il XV non trovo in Faenza fuori del monastero di S. Maria nessun segno del culto della città a Pier Damiano. Il calendario faentino del XV secolo non registra al­ cuna festa del santo.38 Ma gli Statuti di Brisighella e di Val di

35 Ibid., pp. 84-89. [in questo volume a pp. 45-481 36 Liber Rubeus, c. 199 b: « Reliquiae (...) totius corporis integri divi Petri Damiani (...) colocati in cophino marmoreo (...) in pariete post altare maius subtus (imaginem) S. Mariae ab angelo (...) ub ab omnibus conspiceretur (sic) ». Nel 21-22 novembre del 1433 fra Ambrogio Traversar! visitò S. Maria, venerò il sepolcro d i Pier Damiano ed esaminò il cod ice degli opuscoli del santo custodito nel monastero. Cfr. Mittarkuli, An. Cam., II, Venetiis 1756, pp. 3-4; VI, Venetiis 1761, pp. 75-78. Questo codice oggi si trova nella Biblioteca Vaticana. Cfr. Rassegna Gregoriana, VII, 1908, pp. 262-264. 37 Cfr. L anzoni, S. Pier Damiano a Faenza, cit., pp. 104-105, 121-122. [in questo volume a pp. 55, 62-63] 38 Un atto del 1525 (o 1526?) presso T onduzzi, Historie di Faenza p. 620 (correggi 610), è redatto Faventiae in camera quae vocatur Sancti Petri Damiani palatij populi. Ma da quanto tempo la camera del palazzo avesse un tal nome non saprei dire.

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Amone, dati da Galeazzo Manfredi nel 1411, nel libro II ru­ brica 14: De feriis et diebus feriatis, annoverano tra i giorni feriali civili il giorno di S. Pier Damiani (« diem sancti Petri Da­ miani ») e nel libro III rubrica 17: De festivitatibus cellebrandis con astensione dai lavori enumerano del pari la festa del beato Pier Damiano.39 Forse la presenza di due fondazioni di Pier Da­ miano in Val di Lamone, cioè l’abbazia di Acereto e l’eremo di Gamugno, spiega questo culto pubblico di Pier Damiano nella parte montana della diocesi faentina. 4. — Quando Astorgio I (1379-1405) e Astorgio II (1417-1408), allargando l’antica cinta, portarono le mura di Faenza ove sono al presente, v’inchiusero dentro il monastero e la chiesa di S. Maria forisportam. Così verso la metà del XV secolo i corpi dei quattro santi, di cui ci occupiamo, vennero a trovarsi tutti entro la cerchia nuova. | Nel 1512 il loro culto ebbe in Faenza un considerevole in- 294 cremento. È noto come alla fine di gennaio di quell’anno le milizie della Lega Santa entrassero in azione anche in Romagna. Negli ultimi di marzo Gastone di Foix, comandante supremo dell’esercito francese, moveva alla volta della Romagna. Raimondo di Cardona, viceré di Napoli, capitano dell’esercito ispano-pontificio, per gua­ dagnar tempo si ritrasse a Faenza presso le mura della città. Ma Gastone seppe forzarlo a battaglia: dopo aver attraversato il territorio faentino, cominciò a stringere e a battere colle ar­ tiglierie Ravenna, dov’erano i magazzini per il vettovagliamento degli alleati; e così costrinse il Cardona ad abbandonare il campo trincerato di Faenza per venire in soccorso della piazza. A circa quattro miglia da Ravenna la mattina del 12 aprile (giorno di pasqua) Gastone attaccò gli alleati e li vinse, quantunque egli stesso cadesse nella mischia. La notte i ravennati si arresero, ma nel mattino seguente per poca guardia delle mura i soldati vin­ citori entrarono in città e la devastarono orrendamente. Moltis­ simi cittadini furono massacrati; altri torturati perchè manifestas­ sero le supposte ricchezze nascoste; le donne, i fanciulli e le sacre vergini furono insultate; le case saccheggiate e il Monte di Pietà

39 Degli Statuto. Vallis Hamonis esiste copia del secolo XVI nell’Ar­ chivio del Comune di Faenza n. 96/1; e copia del 1567 nell’Archivio del Comune di Brisighella.

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derubato. Non si perdonò alle chiese; per involarne gli ori e gli argenti le ossa dei santi si gettarono a terra e perfino le sacre particole.40 Questi avvenimenti gettarono in tutta Romagna una terribile costernazione. I faentini, temendo cadere nelle mani dei vincitori, ricorsero all’aiuto celeste, come in simili frangenti altre volte avevano fatto. Racconta un testimonio oculare 41 che durante l’as­ sedio del duca Valentino (nov. 1500 - apr. 1501), mentre la vita dei cittadini correva pericolo, tutti fecero voti a Dio, alla B. Ver­ gine e ai santi per non cadere nelle mani del barbaro nemico. E mentre i giovani robusti attendevano notte e giorno alla di­ fesa delle mura e della rocca, le giovinette vestite di bianco, coi capelli disciolti e a piè nudi, di rione in rione percorrevano la città invocando supplichevoli l’aiuto di Dio e dei santi; e i fan­ ciulli a due a due scalzi sotto il vessillo della croce andavano attorno implorando il divino aiuto. Se crediamo a cronisti po­ steriori,42 in questa occasione i faentini avrebbero invocato i quat­ tro santi Savino, Emiliano, Terenzio e Pier Damiano. Non è in­ verosimile, ma non è sicuro. Certo è che nel 1512 i faentini fecero voto di celebrare come feste di precetto i giorni sacri alla me­ moria di quei quattro santi se la bontà di Dio scampasse la città dalla strage, dal saccheggio e dall’incendio. « Iminente civitati ex Gallis » si legge in una tavola di sasso dorato, larga c. 98% e alta 73, posta nella cattedrale « periculo caedis, exitii et fiamme, vovit universus populus faventinus agere non minus solemniter diebus festis sanctorum Savini, Aemiliani, Terentii et Petri Da­ miani quam diebus dominicis agi solitum debitumque sit, si modo omnipotens Deus ruinam averteret. Quod fecit M.D.XII. ». Il Tonduzzi43 scrive pure che «Faenza non venne in poter dei francesi; ma solamente | pagò buona somma di contanti ». E prima di lui 295 il cronista Gregorio Zuccolo,44 vissuto tra la fine del XVI e il principio del XVII secolo : « Le città di Romagna mandarono tutte ad accordarsi (col nemico) e comporsi del sacco del quale te­ mevano. Fece il medesimo la città di Faenza».

40 R ubeus , Historiarum Ravennatum, cit., pp. 662-674. 41 II canonico Sebastiano di Zaccaria De’ Barberii (1457-1531) in un opuscolo stampato a Faenza dal Simonetti il 23 dicembre del 1523, ff. 42-43. 42 Presso Magnani, Vite de’ Santi di Faenza, cit., pp. 3, 37, 69, 147. 43 Historie di Faenza, cit., p. 600. 44 Croniche di Faenza, ms. nell’Archivio della cattedrale, pp. 271-272.

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Lo Zuccolo riferisce pure che nel 1512 la città non solo fece voto di celebrare di precetto le feste dei quattro santi, ma « di vi­ sitare in quei giorni processionalmente le loro chiese » (« con tutto il clero secolare, regolare e le confraternite », aggiunge il Tonduzzi). L’iscrizione su riportata non fa menzione di tutto questo, ma siffatte manifestazioni di culto erano nell’uso di quei tempi.45 Il Tonduzzi afferma, nel citato luogo, che i faentini «in tal occasione », del voto del 1512, « elessero per nuovi protettori i quattro santi»; e così dopo di lui tutti i nostri scrittori ripetono. Ma non è esatto. Gregorio Zuccolo, che è più antico del Tonduzzi, parla semplicemente di un voto di celebrare di precetto le feste dei quattro santi, e l’iscrizione marmorea su riferita non dice altro. Il proemio dei nuovi Statuti di Faenza, compilati nel 1523, approvati nel 1526 e stampati dal Simonetti in Faenza nel 1527, annoverano, tra i santi « quorum praesidio et tutela ab adversis omnibus civitas ipsa servatur » la B. Vergine, i due apostoli Pietro e Paolo, e i santi Apollinare, Emiliano, Terenzio, Giuseppe e Giovan Battista; ma non i santi Savino e Pier Damiano; quan­ tunque la rubrica 21 del libro III aggiunga ai giorni fenati ci­ vili quelli dei santi Savino e Pier Damiano, che negli Statuti del 1411 mancavano. Adunque quindici anni incirca dopo il 1512 non era ancora in uso negli atti solenni della città di ricordare e in­ vocare tutti i quattro santi come patroni di Faenza, molto meno i quattro esclusivamente. Se il voto del 1512 fosse consistito nella elezione di quattro nuovi santi patroni, il prologo degli Statuti del 1523 non si spiegherebbe facilmente. Per quanto mi consta, fu Giovanni Antonio Flaminio il primo a considerare i quattro santi come principali patroni della città. Scrivendo tra il 1526 e il 1534, come si vedrà in seguito, la Vita di s. Savino, lo diceva: « unus ex quatuor illis est, quos faventinus populus ex sanctis omnibus velut praecipuos urbis defensores sibi colendos etiam

45 Narra lo stesso Tonduzzi (Historie di Faenza, cit., pp. 609, 637) che nel 1521 « la città riconoscendo la sua salvezza da pericolo di uccisioni e di saccheggiamento (in occasione del passaggio di 2000 svizzeri assoldati da Leone X) con pubblico decreto istituì che in tal giorno (24 giugno) ogni anno si visitasse processionalmente la chiesa del santo » (S. Giovanni Battista); e nel 1557 « la città stessa con pubblico decreto si obbligò a vi­ sitare ogni anno i prim i tre giorni di marzo con tre solenni processioni in rendimento di grazie a Dio le chiese di S. Maria dell’Angelo, di S. Andrea e di S. Francesco in memoria dei tre giorni nei quali stette in sì grave pericolo » per il passaggio delle soldatesche del duca di Guisa.

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publico voto statuii ». E circa nel 1533 fra Sabba da Castiglione faceva dipingere a chiaroscuro da Girolamo da Treviso nella cap­ pella maggiore dell sua Commenda nel Borgo Durbecco le imagini dei quattro santi oggi scomparse.46 Fino al secolo XYI uno solo fu il patrono di Faenza, cioè s. Pietro apostolo, titolare della cattedrale. Dominus civitatis favencie viene salutato in una carta capitolare del 26 febbraio 1075; universalis patronus totius urbis faventie in un’altra del | 28 ottobre 1136. Come appare dalle cronache del Tolosano e del suo anonimo continuatore47 i militi del Comune di Faenza recavansi alla guerra invocando s. Pietro, come quelli di Modena s. Geminiano, di Ravenna s. Apollinare, di Milano s. Ambrogio ecc.; all’in­ tercessione di s. Pietro attribuivano le loro vittorie, e pensavano che le loro disfatte fosse quasi un’onta del s. apostolo, come l’an­ tico Israele credeva disdoro di Iehova le proprie sconfitte. S. Pietro veniva chiamato spesso il vessillifero del Comune di Faenza, forse perchè la sua imagine era dipinta nelle bandiere e nel gonfalone sventolante sopra il carroccio. I comuni soggetti a Faenza, o tri­ butari, pagavano l’omaggio o il censo pattuito, nel giorno di s. Pietro. La conclone, o arengo, del Comune si teneva d’ordinario nei pressi della cattedrale. Il castello della Cosina, posto a guar­ dia del nostro confine verso Forlì, fu detto Castel S. Pietro dal nome del santo patrono. E, tralasciando altre citazioni inutili, il prologo degli Statuti dell’arte dei calzolai di Faenza del 1351 non invoca dopo Dio, Gesù Cristo e la B. Vergine se non il beato apostolo s. Pietro «patroni civitatis et populi et Communis Fa­ ventie »,48 Per la prima volta compaiono altri santi patroni con s. Pietro nel proemio degli Statuti del 1414, sopra ricordati, e così nei documenti, su citati, del 1470, del 1492, del 1510 e del 1524. Ma dopo il 1524, cominciando dalla Vita del Flaminio e dai di­ pinti della Commenda, i quattro santi costantemente vengono in­ vocati insieme come quattro protettori della città, anzi come i quattro protettori, quasi ad esclusione di tutti gli altri.

46 Cfr. L a n z o n i , S. Pier Damiano e Faenza, pp. 132-134. [in questo volume a pp. 68-69] In un atto capitolare del 1555 che stabilisce i giorni in cui i canonici sono tenuti a cantare la messa, sono inchiusi i quatuor vota magnificae Comunitatis. 47 M i t t a r e l l i , Rer. Fav. Script., cit., cc. 26, 35, 42, 43, 91, 102, 151, 209. Cfr. pure la cronaca del Cantinelli all’anno 1278. 48 Archivio del Comune di Faenza, n. 97/1, col. XXV.

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Ma il popolo è eminentemente conservatore; e ad onta di tutto questo, esso continuò imperturbabile e continua ancora a ce­ lebrare colla massima solennità religiosa e civile la festa del suo s. Pietro (29 giugno), dell’antico vessillifero del Comune.

§ II — LE VITE DEI QUATTRO SANTI SCRITTE DAL FLAMINIO E LE FONTI So

: 1. Giovanni Antonio Flaminio e le Vite da lui com poste; codici, manoscritti ed edizioni. — 2. Le fonti della Vita di s. Savino; — 3. di s. Pier Damiano; — 4. di sant’Emiliano, e di s. Terenzio.

m m a r io

1. — Giovanni Antonio Flaminio, umanista e agiografo imo­ lese, oriundo di Cotignola, paese appartenente alla diocesi di Faenza, morto a Bologna il 18 maggio 1536,49 scrisse le Vite dei quattro santi protettori di Faenza in una villa vicina alla nostra città, tra il 1526 e il 1534. Infatti come egli stesso afferma in un’epistola — De laudibus urbis faventinae —- dedicata al cardinale Antonio Pucci, scrisse questo componimento elogiástico dopo le Vite (« eorum [dei quat­ tro santi] vitam et praeclara facinora celebravi ac posteritati mandavi »).50 Ma l’epistola al cardinal Pucci fu composta prima del 31 ottobre 1534 e certamente dopo il settembre del 1531. Invero Antonio Pucci, vescovo di | Pistoia, fu creato da Cle- 297 mente VII cardinale dei Santi Quattro il 22 settembre 1531.51 E l’epistola flaminiana suppone che l’elezione del Pucci fosse già avvenuta da qualche tempo, « tu », scrive il Flaminio al cardi­ nale, « multo libentius quam Romae aliquando in amoenissimo tuo pistoriensi suburbano versaris », cioè quantunque il cardinale abitasse abitualmente in Roma recavasi di quando in quando in una sua villa del Pistoiese, il che non poteva essersi verificato

49 Cfr. D. G. C a p p o n i , Antoni Flaminii Forocorneliensis epistolae (...) et vita, Bologna 1714; I. B. M i t t a r e l l i , De litteratura faventinorum, Venetiis 1775, col. 82; G. T i r a b o s c h i , Storia della letteratura italiana, VII, 3, Mo­ dena 1779, pp. 230-242; V a l g i m i g l i , Memorie di Faenza, cit., fase. 54, pp. 1-13. 50 L’ epistola si trova in M i t t a r e l l i , Rer. Faventinarum Script., cit., coll. 832-841. 51 G. v a n G u l i k - C. E u b e l , Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1910, pp. 14, 23, 292.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

se non qualche tempo dopo il settembre del 1531. Inoltre il Fla­ minio accenna per incidente al lodo di Carlo V nella controversia tra Clemente VII e Alfonso I di Ferrara (21 aprile 1531), come ad evento trascorso da certo tempo (« quo tempore agitata est illustris illa inter Clementem VII Pontificem Maximum et ipsum Ferrariae dueem controversia») e parla di Alfonso I d’Este come di persona ancor vivente (« testatur inclytus Ferrariae dux Alphonsus, cui summam rerum suarum nuper commisit »). Il duca morì il 31 ottobre 1534. Dunque l’epistola al Cardinal Pucci, e quindi le Vite dei quattro, furono composte prima del 31 otto­ bre 1534. Anzi non dopo l’estate di quell’anno, perchè il Flaminio attesta di aver scritto le Vite nel suo priorato di San Prospero, situato allora nelle prime colline non lungi da Faenza, ove egli da Bologna, in cui abitualmente abitava, recavasi a passare i mesi caldi. Il Flaminio stesso dichiara nell’epistola al Pucci di aver con­ seguito il beneficio ecclesiastico di S. Prospero, e quindi il piacere di dimorare in Faenza, «beneficio et liberalitate » del Pucci me­ desimo. Il Valgimigli52 prova che il Pucci fu in possesso del prio­ rato dal 25 febbraio 1514 al 14 giugno 1524 almeno, e che il Fla­ minio appare nei documenti faentini come investito del priorato la prima volta nell’l l agosto 1526. Un rogito di questo giorno lo chiama « rev. literatissimus vir d. Ioannis Antonius, filius ohm Ludovici de Zaratinis 53 de Cotignola, prior et legitimus administrator prioratus et ecclesiae S. Prosperi diocesis faventine ». Quindi le Vite furono composte tra il 1526 incirca e il 1534.54 Il Flaminio scrisse da prima la Vita di s. Terenzio il 22 luglio, cioè quattro giorni prima della festa del santo; quindi, sapendo di far cosa grata al clero faentino, quella di s. Savino e final­ mente quelle di s. Pier Damiano e di sant’Emiliano. Veramente nell’autografo del Flaminio, la Vita di s. Emiliano precedeva quella di s. Pier Damiano, ma dal prologo della Vita del monaco avellanita e dalla conclusione di quella di sant’Emiliano parmi doversi dedurre che la composizione della Vita di s. Emiliano fu posteriore all’altra.

52 Memorie di Faenza, fase. 54, p. 12 in nota. 53 Che gli antenati del Flaminio venissero da Zara di Dalmazia? 54 Si potrebbe precisare di più se si conoscesse in quale anno compose la Vita di s. Teodoro, mandata a Venezia, a cui si riferisce nella prefazione alla Vita di s. Savino.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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L’autografo, o meglio la copia spedita dall’autore ai canonici di Faenza, conservossi nell’archivio della cattedrale fino al se­ colo XVIII.55 Un istrumento faentino del 16 aprile 1701 56 ci assi­ cura che a quel tempo nella sacrestia dei canonici in un armadio a sinistra dell’ingresso contenente l’archivio capitolare trovavasi « liber in | folio parvo cartonis ex coramine rubeo coopertus, antiquae structurae, et circum circa et in medio aurea ornamenta habens, in carta pergamena fol. 30, manuscriptus, cui titulus: Io. Antoni] Flamini] imolensis in Vitam beatorum Therentij, Sa­ bini, Aemiliani et Petri Damiani·, incipiendo primo foleo, in quo adsunt ornamenta antiquae manufacturae ex auro varijsque co­ loribus confecta, his verbis: Ioannis Antonij Flamini] imolensis in Vitam beati levitae Therentij praefatio; et finiendo fol. 30 verso his verbis: Quique luculentos ac saluberimos illius sermones (...) testari, ni fallor, abunde poterit ». In conformità dello scopo della visita fatta all’archivio ca­ nonicale il notaio trascrisse solo la Vita di s. Pier Damiano, e in parte. Il titolo della prefazione alla Vita del santo cardinale era il seguente: Ioannis Antonij Flaminij in Vitam beatorum Aemi­ liani ac Petri Damiani praefatio; e la Vita intitolavasi: Beati Pe­ tri Damiani Vita. Questo splendido codice miniato non conteneva soltanto le Vite dei quattro, ma pure l’epistola De laudibus urbis faventinae, edita dal Mittarelli. Ciò risulta da un codice cartaceo del se­ colo XVII dell’archivio capitolare dal titolo Sanctorum Terentij et Savini Vita,57 che contiene, oltre una copia della Vita intera di s. Terenzio e di una parte di quella di s. Savino, una lettera del Flaminio al capitolo e al magistrato di Faenza, in cui l’autore dichiara di aver fatto trascrivere nel codice delle quattro Vite anche l’epistola al Cardinal Pucci. Ho creduto utile pubblicare colle Vite in appendice questo documento ignoto a tutti gli scrit­ tori di cose faentine. Questa trascrizione fatta per ordine del Flaminio stesso è ri­ cordata dal biografo di Giovanni Antonio58 nel 1714; e per quanto

55 II Valgimigli (fase. 54, p. 13 in nota) fu male informato. 56 Nel Processus super cultu immemorabili praestito veri, servo Dei Petro Damiano, ms. nell’ archivio della cancelleria vescovile faentina, pp. 29-31. 57 Una mano del XIX secolo ha notato erroneamente sul cartone di questo ms. del XVII secolo: «Autografo di Giov. Ant. F lam inio». 58 Capponi, op. cit., p. XXIX.

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è dato raccogliere dalle note apposte dal Magnani alle sue Vite de’ Santi di Faenza, 5 9 essa trovavasi ancora tra i cimeli dell’ar­ chivio capitolare nel 1741; quantunque non ardirei affermare, come si vedrà, che l’agiografo nostro l’abbia consultata. Ma pare che già nel 1771 il codice cinquecentesco avesse preso il volo o fosse perito, perchè in quell’anno il Mittarelli diede in luce le Vite del Flaminio 60 non dal codice capitolare, ma da un codice posseduto dal conte cavalier Annibaie Ferniani; codice rimasto fino ad oggi presso la nobile famiglia, che gentilmente l’ha messo a mia disposizione. È un piccolo codice in pergamena del secolo XVI in 90 pa­ gine (numerate nel secolo XVIII), legato in pelle verde scura con impressioni in oro (lo chiamo A). Le lettere iniziali sono mi­ niate. Contiene, oltre le Vite dei quattro, la Jo. An. Flaminii Immolensis de laudibus urbis faventinae ad ampliss. p. A. Puccium Sanctorum Quattuor car. epistola, pubblicata dal Mittarelli da questo stesso codice. Il cod. A è postillato dal Magnani. A p. 71, ove l’epistola al Pucci comincia, si legge di carattere del nostro agiografo: Annotationes in margine positae sunt Romualdi Ma­ gnani faventini. La nona di queste notarelle, tutte appartenenti all’epistola al Pucci, dice (p. 84): « Quae in hac epistola passim ab aliquo (voleva dire a quodam) inepto et invido deleta fuere remissa leges ». I passi rasi da questo ineptus et invidus anonimo sono sei o sette, che furono dal Magnani (forse coll’aiuto del co­ dice del |capitolo?) ricostruiti, e secondo la ricostruzione del Ma- 299 gnani furono pubblicati dal Mittarelli. Pare quindi lecito conchiu­ dere che il codice A, postillato con tanta libertà dal Magnani e da lui costantemente citato, come vedremo, dovesse appartenergli. Come poi sia passato in casa Ferniani non è diffìcile spiegare. L’agiografo dedicò il volume secondo delle sue Vite (Faenza 1742) al nobile uomo il signor conte Ottaviano Ferniani di Faenza, padre di Annibaie su ricordato. Come il Magnani stesso possedette per qualche tempo il Liber Rubeus di ser Bernardino Azzurrini e quindi lo consegnò al conte Giambattista Laderchi, nobile faen­ tino, così è lecito pensare che donasse il codicetto, di cui ci oc­ cupiamo, al conte Ferniani suo amico e protettore. Ho espósto il dubbio che il Magnani non abbia consultato di­ rettamente il codice capitolare. Infatti quantunque il nostro agio-

59 Pp. 14, 19, 24, 43.

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50 In Rer. Fav. Script., coll. 800-831.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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grafo parecchie volte in nota 61 ricordi ./. Ant. Flaminius De Vi­ tis 4 Protectorum Faventiae in archivo capitulari faventino, tuttavia quando egli richiama in margine o in calce di ciascuna Vita l’opera del Flaminio, non cita le carte del codice capitolare, ma le pagine del codice Ferniani, e in questo modo: «pagina mihi 2, 21, 35, 69 » ecc., come appare da un facile controllo.62 Mihi, cioè da un codice presso di sè. In tempi recenti nel foglio di copertura del codice Ferniani fu scritto: «Compendiosa descriptio vitae sanctorum qutuor (sic) protectorum civitatis Faventiae, videlicet sancti Sabini episcopi et martyris, Emiliani episcopi, doctoris Petri Damiani cardinalis, ac Terentij confessoris»; e di altra mano: «D e laudibus urbis Faventinae Io. Ant. Flaminii Imol. ». E questa stessa mano ha notato dinanzi a ciascuna Vita e all’epistola De laudibus la pa­ gina dei codice dove ciascun componimento comincia (pp. 13, 35, 45, 2, 71). I seguenti mss. contengono trascrizioni parziali delle Vite del Flaminio: il cod. cartaceo 91 (sec. XVI-XVII) della Biblioteca Ales­ sandrina di Roma colla Vita di s. Pier Damiano, senza prologo (ff. 796-815) e col prologo (ff. 877-355) (B); il cod. cartaceo 2114 (sec. XVII) della Casanatense di Roma colla Vita di s. Terenzio senza prologo (ff. 18-23 v) (C); il cod. cartaceo (sec. XVII) dell’archivio capitolare di Faenza, su ricordato, dal titolo Sanctorum Terentij et Savini Vita (D); nell’atto 16 aprile 1701 del Processus super cultu ecc. (su ri­ cordato), dall’archivio della cancelleria vescovile di Faenza tro­ vasi trascritta dall’originale una parte della Vita di s. Pier Da­ miano (E). La Vita di s. Pier Damiano fu pubblicata dall’abbate Costan­ tino Gaetani nel tomo primo delle Opera omnia del santo dottore, edite in Roma al tempo di Paolo V (1605-1621), con questo titolo: Beati Petri Damiani Vita per Joannem Antonium Flaminium foro corneliensem. Ex ms. autographo apud faventinos. Il Gaetani pro61 M a g n a n i , Vite de’ Santi di Faenza, cit., pp. 14, 19, 24, 43. 62 Ibid., pp. X, XI, XV, XVII, 5, 7, 11, 14, 19, 21, 34, 148; Vite de’ Santi (...) della diocesi di Faenza, Faenza 1742, p. VI. 9

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

babilmente si servì del cod. 91 dell’Alessandrina, a lui appar­ tenuto. Il p. Goffredo Henschen, bollandista, nel 1657 negli Acta Sanc­ torum, al 23 febbraio, riprodusse il prologo e l’epilogo della me­ desima Vita. | Nel 1731 il bollandista p. Giambattista Du Sollier diede in luce da un ms. esistente nel museo bollandiano, verosimiliter faventino, la Vita di s. Terenzio, senza prologo, nel tomo VII di luglio al 30 (pp. 166-168). Il Du Sollier non s’accorse di pubblicare un lavoro di Giov. Antonio Flaminio già noto al p. Henschen e mandato ai bollandisti probabilmente da Faenza. Finalmente nel 1771 l’ab. Mittarelli, come si è detto, pub­ blicò le quattro Vite e l’epistola al Cardinal Pucci nel Ad Scrip­ tores Rerum Italicarum (...) accessiones (...) fauentinae, o Rerum Faventinarum Scriptores (coll. 796 ss.), «ex nitidissimo ms.», come egli scrive, esistente presso il conte Annibaie Ferniani. Riprodusse il cod. Ferniani come sta (non senza qualche inesattezza), senza le note marginali del Magnani, ma colle sostituzioni dell’agiografo nell’epistola De laudibus ecc., senza avvertirne il lettore. Il Cappelletti63 pubblicò da un manoscritto inedito della Mar­ ciana di Venezia (clas. IX, cod. CLV, nella III parte del I tomo), desunto, come egli afferma, da un « antico leggendario dell’ar­ chivio del castello di Fusignano in diocesi di Faenza copiato per cura del diligentissimo correttore e continuatore dell’Ughelli e del Coleti », una Vita sancti Savini episcopi et m. cuius corpus Fa­ ventiae requiescit, che comincia: «Saeviente adhuc tyrannorum rabie», e finisce: «ubi in sepulcro ex candido marmore facto quiescit et miraculis claret. Deo gratias ». Il compilatore della Biblioteca agiographica latina l’ha registrata (n. 7455) tra i do­ cumenti anteriori al 1500, sebbene con qualche esitazione. Ma in verità la leggenda del Cappelletti non è anteriore al secolo XVI. È la Vita stessa scritta dal Flaminio, e quindi non poteva trovarsi in un leggendario anteriore al 1526-34 incirca. Infatti il documento edito dal Cappelletti segue passo passo e compendia la Vita flaminiana. L’elocuzione è la medesima in tutte le più pic­ cole parti. Bisognerebbe che 1’« antico leggendario » di Fusignano e il Flaminio, manipolando un vecchio documento, si siano tro­ vati meravigliosamente d’accordo periodo per periodo, inciso per inciso; il che non è ammissibile. Oppure che il Flaminio abbia 63 G. Cappelletti, Le Chiese d’Italia dalle loro origini sino ai nostri giorni, V, Venezia 1846, pp. 79-88.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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copiato un documento più antico, scritto nello stessissimo latino umanistico, che era famigliare allo scrittore imolese; cosa del pari inverosimile. Il documento del Cappelletti contiene pochissimi periodi che non si trovino nella Vita del Flaminio, e dal Flaminio si discosta in piccolissime cose. Chiama Diocletiana la Dioclitiana del Fla­ minio, e Mondina la Nondina dello scrittore imolese; il sepolcro di s. Savino in Fusignano non solo era in locus humilis, come il Flaminio, ma umidus; e a differenza del Flaminio, che pone la sepoltura in Fusignano « tertio idus ianuarii (11 gennaio) anno ab adventu Christi CC.XXXVI » (a. 236), l’assegna all’anno « CCXXVI (226) secundo calendas ianuarii ». Nel cod. cartaceo H3 della Biblioteca Vallicelliana (Roma), ff. 227-230 v, contiensi un Summarium Vitae beati Terentii. - Beati Sabini Vita. - Sancti Emiliani Vita. - Beati Petri Damiani Vita. spedito da Faenza (16 aprile 1591) a Fabrizio Paulucci, agente romano, per il padre Antonio Gallonio filippino, da certo |Fabio Arosti, il quale scrive di aver « durata un poco di fatica in cavar dalle mani l’originale, che l’haveano alcuni particolari di questa città ». Il eh. padre Ippolito Delehaye, bollandista (Acta Sanctorum, nov. Ili, p. 290, n. 3), ha creduto che queste quattro Vite siano state scritte prima del Flaminio; da un anonimo poco dopo il 1512. Ma quei quattro componimenti non sono altro, per me, che un magro compendio (Summarium) delle quattro Vite del Flaminio, fatto in Faenza tra il 1526-34 c. e il 1591. I concetti dei quattro componimenti, l’ordine in cui sono esposti, la lingua e lo stile sono identici alle quattro Vite flaminiane. Ammettendo l’opinione del dottissimo amico bisognerebbe conchiudere che il Flaminio non fece altro se non copiare pedantescamente, allar­ gandole alquanto, le quattro Vitae del cod. H 3. Ma il Flaminio stesso afferma, come vedremo, di aver usato fonti scritte mala­ mente, e, pur conservandone la sostanza, di averle corrette se­ condo i gusti del tempo e le regole rettoriche della sua scuola; « non ad pervertendam historiam sed ad exornandam », scrive l’umanista imolese adoperando una frase ciceroniana. Lo stesso cod. H della Vallicelliana (f. 68) contiene pure un compendio della Vita di s. Terenzio del Flaminio dal titolo Sancti Terentii levitae et confessoris et urbis Faventinae protectoris Vita, cuius festivus dies tertio cal. aug. (30 luglio) agitur; compendio mandato da Faenza sulla fine del XVI secolo.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Le Vite flaminiane furono usufruite anche da Filippo Ferrari, che le compendiò nel suo Catalogus sanctorum Italiae, edito a Milano nel 1613 (pp. 117, 472, 695, 761). 2. — Quali furono le fonti del Flaminio? In quanto alla Vita di s. Savino egli stesso le indica nella prefazione; cioè 1: «libri admodum vetusti ex archivo ecclesiae faventinae mihi copia fieret, in quo, sicut aliorum multorum tam martyrum quam confessorum vitae continentur, sic quoque beati Sabini (...) martyrium inveni (...) parce admodum ne dicam jejune descriptum »; e 2: «alia quaedam pauca (...) quae (...) ad initia illius adolescentiae pertineant ». Evidentemente la prima fonte fu un lezionario della catte­ drale ove (al 7 dicembre) trovavasi la Passio s. Sabini episcopi et martyris. Notissima agli eruditi, essa ci si presenta in tre prin­ cipali redazioni. La prima, la più antica (nn. 7451-7453 nella Bib. hag. lat.), si trova nel cod. palatino di Vienna latino 357 (secolo X),64 e in moltissimi altri depositi d’Europa; e fu pubbli­ cata dal Baluze,65 dallo Spader,66 dall’Azevedo67 e dal Brancadoro.68 Si distingue dalle altre redazioni perchè in principio con­ tiene una descrizione di giochi celebrati il 17 aprile nel Circo Massimo a Boma, durante i quali il popolo con clamori avrebbe domandato al praefectus urbi di perseguitare i cristiani, e un’as­ semblea in Campidoglio del 22 aprile, ove Massimiano imperatore avrebbe deliberato di accondiscendere alla volontà popolare. Questo preambolo della Passio fu pure dato in luce separatamente dal Baronio,69 dagli Acta Sanctorum70 e dal Marini.71 | La seconda redazione, ove si omette la narrazione della scena del Circo (n. 7454 nella Bibl. hag. lat.), si legge nel cod. 89 del­ l’Alessandrina (ff. 636-640), nel cod. VI della Strozziana di Fi­ renze, nel cod. 15 della Municipale di Namur (sec. XIII), nel cod.

64 A. D ufourcq , Les « Gesta martyrum » romains, I, Paris 1900, pp. 81-87. 65 S. Ba l u zii , Miscellanea novo ordine digesta, I, Lucae 1761, pp. 12-14. 66 O. Spader, Assisiensis Ecclesiae prima quatuor luminaria, Fulginii 1715, pp. 64-68. 67 Vetus missale romannm monasticum lateranense, Romae 1754, coll. 467-477. 68 Lettera pastorale nel giorno di S. Savino, Fermo 1818, pp. 1-18. 69 Annales ecclesiastici, II, Antverpiae 1597, p. 711. 70 Mai VI, Parisiis 1866 (3‘ ed.), pp. 358-359. 71 Gli atti e monumenti de’ fratelli Arvali, Roma 1795, II, p. 637.

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ÈMflÉÈttMltf

Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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vaticano 1190, ff. 228-229 (sec. XII), che appartenne ad una chiesa di Ravenna, è in cento altri. La terza finalmente (Bibl. hag. lat., n. 7454 b) omette e la scena del Circo e la radunata del Campidoglio. Trovasi nel cod. 773 (sec. XIII-XIV) della Laurenziana, nel cod. A di S. Maria Mag­ giore di Roma (sec. XII-XIII), nel cod. II 8, 1, n. 36 della Vallicelliana ecc. Il Flaminio parla dell’assemblea capitolina ma nulla dice della celebrazione dei ludi del Circo, quindi probabilmente ebbe tra mano la seconda redazione. L’altro documento faentino usato dal Flaminio dev’essere quello stesso chiamato dal Magnani72 « Manuscriptum vetus ecclesiae Sulmonensis et Faventinae in Archivo Capitulari ad litteram B (...) de Diocletianae (...) s. Sabini sororis in agrum Fusignanensem adventu ».73 Quantunque il Magnani non ricordi di questo documento se non il viaggio e l’arrivo di Diocleziana, so­ rella di s. Savino, nella selva Liba presso Fusignano, tuttavia deve credersi che il « manuscriptum vetus ecclesiae faventinae ad litteram B » contenesse altresì gli altri fatti riferiti dal Fla­ minio collegati intimamente colla venuta di Diocleziana nel ter­ ritorio fusignanese. Questo documento non si trova più in Faenza, nè nell’archivio capitolare nè altrove. Ho scritto a Sulmona per aver notizie dell’esemplare ricordato dal Magnani; ma indarno. Nessuno lo conosce. E poiché gli scrittori di cose abruzzesi, par­ lando della pretesa sulmonità di s. Savino, si riferiscono unica­ mente a fonti faentine, bisogna conchiudere che il « Manuscriptum vetus ecclesiae Sulmonensis (...) de Diocletianae (...) s. Sabini so­ roris in agrum Fusignanensem adventu» provenisse da quello di Faenza, e non il nostro dal ms. Sulmonese. Il documento usato dal Flaminio era di origine faentina, non abruzzese. Esiste, come ho detto di sopra (§ I, n. 2) nella Tereia pars untiphonari maioris ecclesie S. Petri faventinae ecc. dell’archivio capitolare (sec. XV) un ufficio proprio di s. Savino (sec. XV-XVI): « In festo sancii Savini ep. et m. », forse adoperato nel coro della cattedrale fino al 1568. Questo ufficio, anteriore al Flaminio, de­ riverebbe in parte, dal « manuscriptum vetus ad litteram B » ri­ cordato dal Magnani; e sarebbe l’unico documento che oggi rap­ 72 Vite de’ Sariti di Faenza, cit., p. 14. 72 E di nuovo a p. 5: « E x actis ecclesiae Sulmonensis, et lectionibus antiquis eiusdem et Faventinae»; e a p. 9: «Monumenta ecclesiae Sul­ monensis ».

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

presenti, in piccola parte, la fonte del Flaminio. Le cose narrate dall’umanista imolese sulla nascita di s. Savino in Sulmona, sulla sua fuga da casa e sulla vita eremitica menata nella Selva Liba presso Fusignano, sulla sua missione in Assisi e elevazione al seg­ gio episcopale di questa città, e sulle cose meravigliose compiute in essa, si leggono, quasi colle stesse espressioni, ne.IVufficio pro­ prio suddetto. Forse la Vita di s. Savino vescovo e martire protettore di Faenza del ms. 188, f. X (sec. XVII), della Biblioteca comunale di Faenza, che comincia: «A l tempo di [ Massimiano imperatore, 303 crudellissimo persecutore dei Christiani fu un certo giovane nelle parte di Campagna (Campania) nella città di Solmona chiamato per nome Savino, nato di padre e madre nobili e richi di beni di fortuna » ecc. e che finisce: « dove che (in Fusignano) da fedeli furono ricevuti molti benefitij, con molti miracoli. Che il tutto sia a gloria di Dio Padre, Figliuolo e Spirito Santu, che nell’unità perfetta vive e regna per infiniti seculi. Amen », è la traduzione della leggenda latina scomparsa. Se questa ipotesi risponde a ve­ rità, il Flaminio non vi avrebbe aggiunto di suo se non le notizie erudite classiche intorno a Sulmona e lo stile umanistico. E men­ tre il Flaminio pone la sepoltura di s. Savino in Fusignano l’i l gennaio 236, e nulla dice della data emortuale del santo, il nostro presunto volgarizzatore colloca la morte nel 236 e la se­ poltura l’i l gennaio 239. Se questa ipotesi risponde a verità, è d’uopo pure inferirne che l’ultimo capitolo della Vita del Fla­ minio, cioè il racconto della seconda traslazione delle ossa del santo da Fusignano a Faenza, è proprio dello scrittore imolese, poiché quella narrazione manca nella Vita italiana del cod. 188, sopra ricordata. Ed è molto naturale che la leggenda contenuta nel « manuscriptum vetus ad litteram B » non facesse alcun ac­ cenno alla seconda traslazione, perchè, come vedremo avanti, la leggenda fusignanese dev’essere anteriore al trasporto stesso, av­ venuto, come si è detto (§ I, n. 2), tra il 1438 e il 1441. La breve notizia dell’ultimo capitolo del Flaminio forse fu desunta da una semplice tradizione orale. Il « sepulchrum ex candido mar­ more factum » è quello di Benedetto da Maiano (1442-1497) che il Flaminio avrà visto e ammirato nella cattedrale di Faenza. 3. — Per comporre si valse, quantunque non lo Giovanni da Lodi discepolo convincersene basta leggere

la Vita di s. Pier Damiano il Flaminio dica, della Vita notissima scritta da del santo (Bib. hag. lat. 6706). Per i due documenti l’uno di fronte al­

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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l’altro. Forse il Flaminio attinse, direttamente o indirettamente, a quell’esemplare della Vita allora esistente presso l’abbazia di S. Maria forisportam, da cui Costantino Gaetani la pubblicò nel tom. I delle Opere di s. Pier Damiano. Il Flaminio secondo il suo uso, ripulisce il latino del secolo XI, e spesso restringe il testo.74 Il Flaminio aggiunge poche cose al testo di Giovanni, cioè che il luogo ove Pier Damiano morì nel secolo XI era fuori delle mura di Faenza; dà un accenno fuggevole ai « luculentos ac saluberrimos sermones » del monaco avellanita, e conchiude che il santo morì nel 1080 (« Beatus autem Petrus circa annum Christi millesimum et octogesimum diem suum obiit »). Il primo era sa­ puto da tutti in Faenza; il nome stesso di S. Maria forisportam indicava che la chiesa e il monastero, prima che fossero costruite le mura manfrediane, si trovavano fuori della cinta. Il Flaminio sapeva che tra le opere del Damiano c’erano dei sermones, ma non mostra di averli letti. In quanto alla data della morte del Damiano, egli è certamente in errore, perchè Pietro morì nel 1072. Forse l’errore del Flaminio provenne da una falsa in­ terpretazione delle prime parole dell’appendice aggiunta (Bib. hag. lat. 6707 | quandocchessia alla Vita di Giovanni, di cui sopra 304 (§ I, n. 3) si è detto. L’appendice comincia: «Anno millesimo octogesimo incarnationis Domini mense augusto indictione quarta post decessum supradicti domni Petri » ecc. Il Flaminio avrà cre­ duto che il Damiano fosse morto nell’anno stesso in cui avven­ nero le visioni del monaco Ungano; cioè la morte del santo nel febbraio e le visioni del monaco coi fatti consecutivi nell’agosto.75 4. — Neppure nelle Vite dei ss. Terenzio ed Emiliano il Fla­ minio accenna alle sue fonti. Nell’ultima scrive vagamente: « Licet non multa invenerimus quae mandare literis possemus » : ma non è difficile ritrovarle. Riguardo -a s. Emiliano il Flaminio ebbe sottocchi, o il docu­ mento sulla vita, sulla traslazione del santo e sui miracoli operati presso il suo sepolcro inserito da fra Pietro Calo da Chioggia domenicano (f 11 dicembre 1348) col titolo De sanato Emiliano

74 Notasi nel Flaminio una studiosa cura di nascondere ai suoi let­ tori in che consistesse la cosidetta eresia dei Nicolaiti combattuta da Pier Damiano. 75 Questo abbaglio del Flaminio fu seguito da molti autori faentini (dall’Azzurrini, dal Tonduzzi, dal Magnani) e non faentini (dal Fortunio, dal Sigonio, dal Rubeus di Ravenna, da Filippo Ferrari).

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nelle sue Legendcie de sanctis, compilate circa nel 1340-4276 (documento pubblicato dal padre Delehaye nel tom. Ili di no­ vembre77 degli Acta Sanctorum); oppure un documento somi­ gliantissimo a quello. Il Flaminio ordinò i concetti un poco più logicamente del Calo e migliorò la lingua e lo stile. Aggiunse qtialche osservazione di natura teologica e spiegazioni topogra­ fiche. Per esempio, scrivendo nel secolo XVI, cioè dopo che i Man­ fredi ebbero allargato la cerchia e inchiuso dentro le nuove mura il borgo di Castagnetolo colla chiesa di S. Clemente, notò che erat tunc extra urbis muros sancii Clementis aedesi osservò che il Solaroli castellum era parvum e vicinum Faventiae; omise che la ecclesiae S. Marie era situata non longe a praetorio consulis, probabilmente perchè il praetorium consulis da parecchio tempo più non esisteva; cambiò il mansum o i mansi del testo antico, vocabolo inusitato nel XVI secolo, in magnum praedium; enu­ merò i miracula di s. Emiliano in ordine diverso da quello di fra Pietro, cambiando pure il nome del miracolato Iacinctus in Petrus; e mentre fra Pietro narrò che Faenza fu rifabbricata non molto dopo (« non multo post ») l’eccidio di Luitprando, il Fla­ minio riferì che la città fu ricostruita lungo tempo dopo (« post longum tempus »). In quanto a s. Terenzio, il Flaminio probabilmente si giovò di un documento d’indole liturgica, cioè delle lezioni del secondo notturno del mattutino deH’uffìcio proprio del santo. Ciò mi fa dire il fatto che la Vita flaminiana, a differenza delle altre tre, si chiude con un’orazione liturgica. È vero che il codice Ferniani l’ha intitolata Ejusdem prò sancto Flaminii oratio; ma sembra strano che il Flaminio abbia composto un’orafi'o liturgica per s. Terenzio e non per gli altri tre. Di più il Magnani78 riportando la stessa oratio in calce alla sua Vita di s. Terenzio, afferma che essa trovavasi in un antico manoscritto (« Oratio in manuscripto vetusto et ex Flaminio»). Adunque l’oratio: Deus qui poputo ecc. non sarebbe opera del Flaminio, ma lavoro anteriore a lui. Oggi in Faenza, per quanto io sappia, non si trova più la Vita antica nè di |s. Emiliano nè di s. Terenzio. Ma nel secolo XVI, 305 al tempo del Flaminio, ambedue si conservavano nella libreria dei frati domenicani di S. Andrea insieme con altri documenti 76 A. P oncelet, Le légendier de Pierre Calo, in Analecta Bollandiana, XXIX, 1910, pp. 30-34. 77 Acta SS., Nov. Ili, Bruxelles 1910, pp. 293-296. 78 Vite de’ Santi di Faenza, cit., p. 24.

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agiografici faentini, e vi rimasero fino al 1797, o fino al 1866, cioè fino a quando il convento non fu soppresso e la biblioteca e l’ar­ chivio traslocati o dispersi.79 Tra la fine del XV e il principio del XVI secolo i domenicani di S. Andrea si occuparono di cose agiografiche. Certo fra Vin­ cenzo da Faenza, forse lo stesso ricordato in un atto conventuale del 6 aprile 1504,80 trascrisse nel 1542 l’esemplare della Vita del b. Giacomo Salomoni, domenicano di Forlì (1231-1314), esem­ plare oggi nella Vallicelliana;81 e nel 1531 (10 marzo) tradusse in lingua volgare e scrisse in pergamena appesa alla cappella di S. Maria delle Grazie in S. Andrea la Legenda della gloriosa Vergine et sancta Maria delle Gratie ecc. retracta et rescritta da un libro antiquo.*2 Un altro domenicano faentino, fra Giro­ lamo Armenini, vissuto tra il 1506 e il 1525 c., rifece in miglior latino una Cronaca contenente la storia delle origini del culto della B. V. delle Grazie in S. Andrea,83 quella stessa volgarizzata dal ricordato fra Vincenzo. Nulla dunque di più naturale che in cotesto cenobio si raccogliessero i documenti agiografici faentini e quindi le antiche Vite di s. Emiliano e di s. Terenzio. E in verità l’Azzurrini nel Liber Rubeus a c. 58 b e a c. 59 a riferisce ex cronicha antiquissima faventina, quantunque con qualche variante e con molti errori, due tratti della leggenda di fra Pietro Calo sopra s. Emiliano; e il Tonduzzi84 ci assicura che Yantiquissima cronicha citata da ser Bernardino Azzurrini consisteva in un « cronico anticho », come egli scrive « che ritro­ vasi nella libreria de pp. domenicani », s’intende, di Faenza. Adunque tra la fine del secolo XVI e il principio del XVII la leg­ genda del Calo, o altra somigliantissima, leggevasi nella biblio­ teca di S. Domenico di Faenza. 79 p. Beltrani, Per il primo centenario della Biblioteca comunale di Faenza, Faenza 1919, pp. 11-12. 80 Presso Ortolani, Annali del convento, ms. della Biblioteca comu­ nale, fondo S. Andrea, sala Bucci, I, p. 137. 81 Acta SS., Mai VII, Parisiis 1866 (3' ed.), p. 451 n. 6. 82 F. L anzoni, La Cronaca del convento di S. Andrea in Faenza, estratto dall’Archivio Muratoriano, I, 1911, pp. 9 e 38. 83 Ibid., pp. 9-10. Sull’Armenini vedi Mittarelli, De litteratura faventinorum, cit., coll. 6-8. Nacque forse intorno al 1475. A lui Sebastiano di Zaccaria, canonico faentino già ricordato, dedicò il 9 giugno 1506 una sua operetta spirituale intitolata Speculum hominis, contenente frequenti allusioni agli avvenimenti politici degli anni 1499-1530. 84 Historie di Faenza, cit., p. 134.

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Di più. Nel 1591, come sopra si è detto (§ II, n. 1), il p. Gallonio ricevette da Faenza un summarium delle quattro Vite del Flaminio. L’erudito filippino (è facile comprenderlo) non dovette appagarsene e richiese altri documenti, probabilmente originali. Quindi il noto Fabio Arosti (1 giugno 1591) fece un altro invio all’agente romano Paulueci, assicurandolo 85 che gli mandava tutto quello che si era potuto trovare dopo « ogni possibil diligenza ». Lo scritto inviato dall’Arosti esiste nella Vallicelliana e comprende a c. 148: Miracula beati Emiliani post mortem; Miracula sancii Sa­ biniM iracula beati Nevoioni·, a c. 149: Miracula sancii Terentij in vita; Miracula sancti Petri Damiani in vita; e a c. 149 v : Mira­ cula beati Jacobi; quindi conchiude: « Haec omnia transcripta sunt tum ex libris qui in biblio- |teca fratrum predicatorum con­ servante, tum ex historia rerum fratrum Servorum, quae Chronicon ab ipsis appellatur. Horum autem solumodo sanctorum mi­ racula particulatim describuntur, reliquorum vero non habentur ». Nel cod. H8 (c. 379) le cose sono ancora più chiarite: « / mira­ coli fatti da san Emiliano, san Terentio, san Savino, da san Pier Damiano e da san Nevolono et dagli altri, eccetto del beato Gia­ como, son descritti da una cronica latina senza nome e scritta a penna e posta nella libreria de’ frati di san Domenico in Faenza, dove si conserva come cosa degna di fede, e non ci è altra scrittura ». Adunque solo i Miracula beati Jacobi, cioè del beato Giacomo Filippo Bertoni, frate servita faentino ( f 1483), furono desunti dalla libreria dei Servi; il resto proveniva da quella di S. Domenico. Disgraziatamente il copista del 1591, quantunque mettesse le mani sopra un buon deposito, tuttavia si comportò molto male. Da prima, con uno strano criterio, in luogo di trascrivere i do­ cumenti interi, pescò qua e là da cinque leggende e raccolse col titolo di Miracula in vita o post mortem soltanto alcuni pochi fatti. In secondo luogo non trascrisse neppure questi come giacevano negli originali, ma li compendiò con molta libertà e con qualche disintelligenza. Ciò conchiudo dalle cancellature, dalle correzioni e dagli errori, che s’incontrano spesso nelle copie della Vallicel­ liana. Per esempio, tra i miracolati della leggenda di sant’Emiliano fra Pietro Calo parla di una donna paralitica, o impotente, guarita, che stavasi nella via « ante hostium suum iacens in lectulo ». Il nostro copista scrive che quella disgraziata stava

85 Roma, Biblioteca Vallicelliana, Cod. H 3, f. 147.

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«in cubiculo suo quod extra ianuam in via posuerat » ! Eviden­ temente l’amanuense ha preso un lectulus (un letto) per un cubiculum (una stanza da letto)! Ciò nonostante dai frammenti della Vallicelliana si raccoglie che la libreria dei domenicani nel 1591 conteneva: a) Una Vita beati Nevoloni, terziario francescano faentino (t 1280), che non riguarda il presente lavoro;86 b) Una Vita sancti Petri Damiani, scritta dal discepolo Giovanni da Lodi, già nota al lettore; c) La Vita sancti Sabini è così magramente rappresentata nella copia del 1591 (sei o sette righe!) che non si può dire se il deposito di S. Andrea contenesse semplicemente una Passio s. Sabini ep. et m. oppure, come mi sembrerebbe più probabile, la seconda fonte del Flaminio nella Vita di s. Savino, ossia il documento narrante la nascita di s. Savino in Sulmona, il suo ri­ tiro nella Selva Liba del territorio faentino, l’assunzione al ve­ scovato di Assisi e il trasporto delle sue ossa da Spoleto nella medesima selva; d) La Vita beati Emiliani era quella di fra Pietro Calo, o altra somigliantissima, come si rileva dalle citate trascrizioni di ser Bernardino. Il copista del 1591 nulla ha desunto dalla prima parte della Vita, cioè dalla narrazione della morte del s. vescovo scozzese nella nostra città, e dell’invenzione e trasporto delle sue ossa. Egli si è limitato a copiare (e a suo modo) i miracula post mortem. È notevole il fatto che questi miracula nella copia del 1591 non sono esposti nell’or- | dine in cui appaiono nella leg- 307 genda di fra Pietro, ma in quello seguito dal Flaminio: quindi è dato inferire che la fonte dell’umanista imolese s’avvicinava più al testo della libreria di S. Domenico che a quella del Calo. Di più nella copia del 1591 il miracolato, che in fra Pietro si chiama Iacinctus, ha nome Petrus, come nel Flaminio; e la mi­ racolata che nel Calo ha nome Ossma (?), nella copia del 1591 prende il nome di Officia,87 II nostro copista pure scrive che So86 Questa Vita composta in Faenza p oco dopo il 1414 fu da me pub­ blicata in Archiviali Franciscanum historicum, VI, 1913, pp. 623-653. [in questo volume a pp. 239-276] 87 Che fftc di Officia sia stato letto ssm, e sia venuto fuori Osma? In una carta inedita faentina del 27 settembre 1078 una donna ha nome Oficia,a a La carta appartiene all’Archivio di Stato di Roma tra le pergamene faentine, n. 6, edita in Atti e memorie della R. D. di Stor. patria per le provincie di Romagna, an. 1924, pp. 114-116.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

larolo «non longe distai a civitate Faventiae», come nel Fla­ minio. Omette il quinto miracolo; forse per distrazione?888 9 Il eh. p. Delehaye, pubblicando dal codice Vallicelliano i Miracula beati Emiliani post m ortem i9 ha creduto che essi co­ stituiscano l’ultima parte di quella Vita di s. Emiliano, che egli suppone composta in Faenza prima del Flaminio tra il 1512 e il 1526-34 (§ II, n. 1); ma io non potrei convenire coll’illustre amico. La prima parte della Vita, da lui pubblicata, non è se non un compendio della prima parte della Vita flaminiana, e la se­ conda parte, cioè i miracula post mortem, non è altro che la trascrizione libera di una redazione dell’antica narrazione sulla vita, sull’invenzione e sul trasporto delle ossa di s. Emiliano, al­ quanto dissimile da quella inserita da fra Pietro da Chioggia nel suo Legendario. e) La Vita sancti Ter entij della libreria domenicana, per me, fu la fonte del Flaminio, o un documento simile a quella Vita. La copia del 1591 non riproduce se non il miracolo del cieco Androgeo e dell’idropico di Bologna, omessi il principio e il fine della vita e la guarigione del paralitico Leone. Quantunque quelle due narrazioni siano molto succinte, tuttavia si può de­ durre che il testo conservato nel secolo XVI nella libreria dei do­ menicani conteneva un particolare trascurato dal Flaminio, ma non senza interesse, perchè si trova riprodotto dall’anonimo scul­ tore del sepolcro di s. Terenzio, oggi conservato nella cattedrale di Faenza; sepolcro del secolo XV, senza dubbio anteriore al Fla­ minio. Infatti il documento della Vallicelliana dopo aver detto che Androgeo « cum pauper esset, et cognosceret suam caecitatem augere sic suam paupertatem » pregò Dio di guarirlo, e che Dio gli mandò un angelo per intimargli di andare in Faenza a farsi guarire da s. Terenzio; «caecus», continua, «illaris ductus est Faventiam». Che il cieco pieno di letizia fosse menato per mano a Faenza il Flaminio tace: ma nel primo scompartimento (a sinistra dello spettatore) del sepolcro di s. Terenzio si vede appunto il cieco Androgeo, che dopo aver ricevuto in sonno l’in­ timo dell’angelo di recarsi in Faenza, fuori di sua casa lieto in

88 Forse la Vita di s. Emiliano vescovo e confessore e protetore, nel ms. 188 (sec. XVII) della Biblioteca comunale (f. 23 v) traduce la leg­ genda di fra Pietro o altra somigliante. 89 Acta SS., Nov. Ili, pp. 295-296.

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volto e condotto per mano da un compagno s’avvia alla volta della nostra città.90 Adunque le fonti scritte adoperate dal Flaminio sarebbero: a) per la Vita di s. Savino: A. La Passio sancii Sabini, secondo la recensione seconda (BHL 7454); e B. Una leggenda faentina, o fusignanese, oggi scomparsa: rappresentata, in |parte, dall’ufficio proprio di s. Savino dell’archivio capitolare di Faenza, e, forse per intero, dalla Vita ita­ liana del ms. 188 della Biblioteca Com. di Faenza. b) Per la Vita di s. Pier Damiano: A. La Vita Petri Damiani di Giovanni da Lodi (BHL 6706) coll’appendice (BHL 6707). c) Per la Vita di sant’Emiliano: A. De sancto Emiliano di fra Pietro da Chioggia (BHL 104 b-104 c), o altra simile leggenda faentina, rappresentata in parte dall’Azzurrini (Liber Rubeus, cc. 58 b-59 a) e, in parte e in forma compendiata, dal ms. H 3 della Vallicelliana (c. 148), e, forse per intero, dalla Vita italiana del ms. 188 della Bib. Com. di Faenza. d) Per la Vita di s. Terenzio: A. Una leggenda faentina scomparsa, oggi rappresentata, in parte e in forma molto compendiata, dal ms. H3 della Valli­ celliana (c. 149), e, forse per intero, dalla Vita italiana del ms. 188 della Bib. Com. di Faenza.

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§ III - LE VITE COMPOSTE DALL’AZZURRINI E LE FONTI So m m a rio : 1.

2.

di

sa n

Le

V ite

d e l l ’A z z u r r i n i ;

T e r e n z io ;

di

san

le f o n t i d i q u e l l a d i s . E m i l i a n o ; —

S a v in o

e

di

s. P ie r D a m ia n o .

1. — Ser Bernardino Azzurrini, notaio faentino ( f 1620),91 compose un Compendium o Summarium delle Vite dei quattro 90 La V ita e m ir a c o li d i sa n to T e r e n z io contenuta nel ms. 188 (sec. XVII), ff. I-X (Ribl. com. di Faenza) non è una traduzione del Flaminio. Forse questa vita dipende, almeno in parte, dalla fonte flaminiana, oggi perduta. 91 Vedi ciò che il prof. Messeri ne ha scritto nell’Introduzione a questo volume, R I S , XXVIII (Mittarelli), 3 (R. A zzurrini, C h r o n i c a m i n o r a , I), Città di Castello 1905.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

santi, le trascrisse nel suo centone chiamato Liber Rubeus,92 e le autenticò solennemente alla presenza di tre testimoni in sua casa il 15 febbraio del 1610 (« feci, notavi, composui et scripsi »). Conobbe la leggenda antica di s. Emiliano esistente nella li­ breria di S. Domenico, da cui trascrisse nel Liber Rubeus (cc. 58 b e 59 a) due passi sulla presunta presa e distruzione di Faenza; e da cui desunse la frase della sua Vita di s. Emiliano (c. 103): « ecclesiam sanctae Mariae, quae non longe a praetorio consulis posita erat », frase ignota al Flaminio. Tuttavia l’Azzurrini non se ne servì molto, ma più spesso usò della Vita flaminiana com­ pendiandola e storpiandola col suo orribile latino. Alcune notizie topografiche sono proprie del notaio: a) che la chiesa di S. Clemente si trovasse « in burgo Castagnetoli nuncupato»; b) che la chiesa di S. Maria del Conte (confusa dal notaio colla chiesa di S. Maria forisportam-, pecca inescusabile in un erudito faentino) fosse situata «in loco vulgo dicto il trebo (il trivio) de fichi » ; c) che la pieve di Catena (oggi scomparsa) appartenesse alla diocesi di Faenza; d) e che il castello di Solanolo spettasse al dominio di Faenza e distasse da questa città 5 miglia. Chiama milites i due schiaffeggiati miracolosamente, cosa ignota al Calo e al Flaminio: e pensa di rendere il racconto del prodigio più verosimile scrivendo che |il corpo del santo era na­ scosto e sepolto, non sotto il fieno tagliato e ammucchiato, come in alcuni scrittori aveva trovato, ma sotterra sotto il fieno ivi nato: «sub feno, ut arbitror ego, ibi nato, non autem, quemadmodum ab aliquibus fertur, secato ac reposito latens ». Queste ultime parole sembrerebbero dimostrare che il notaio conobbe parecchie fonti. Finalmente egli ricorda il sepolcro marmoreo del santo e l’iscrizione del 1468. Questa ultima notizia azzurriniana viene confermata dalla cosidetta Cronaca Ubertelli:93 «Questo medesimo anno (1468) a’ di 24 aprile (in quell’anno cadeva la domenica in Albis) fu tra­ sferito il corpo di s. Emiliano dall’istessa chiesa di S. Maria (del Conte) dove si trovava in loco e sepolcro più decente sopra l’al­

92 Oggi nell’Archivio capitolare di Faenza. 92 Delle cose de Faventia dall’anno 1310 fino all’anno 1478, f. 556 b, ms. nella Bibl. com., n. 45.

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tare maggiore con sopra la cassa di pietra viva di miracolj fatti da detto santo». Il Magnani pure94 ricorda l’iscrizione «ut ibi super arcam legitur», ma non la riporta. Il Valgimigli959 6la rife­ risce, non saprei donde (« Nova translatione in hoc tumulo s. Emi­ liani ep. et coni, ossa quiescunt, 1468 24 aprilis »), ma come si­ tuata « nella base dell’avello ». Oggi l’iscrizione, per quanto io so, in Faenza non si trova; ed anche la sepoltura (purtroppo!) nella massima parte è stata portata altrove e da molto tempo. Quindi non sarà discaro ai lettori faentini, specialmente, che io ne porga alcune notizie. Dal 1468 fin dopo la metà del XVIII secolo nessuno, per quanto io sappia, ha descritto l’urna sepolcrale di s. Emiliano. I primi magri accenni li trovo nella Visita Pastorale 96 di monsi­ gnor Vitale De’ Buoi, vescovo di Faenza (1769-1775 c.). «L a chiesa di S. Emiliano », — scrive l’estensore degli atti della Visita -— « sembra a tre navate (...) Unita all’altare (maggiore) in marmo trovasi scolpita in mezzo l’immagine della Beata Vergine, e a cornu euangelii l’immagine di san Luca vangelista e in cornu epistolae di san Girolamo; e sopra vi è l’urna continente il corpo di s. Emiliano, in cui rappresentasi la di lui invenzione, in mezzo il trasporto, in cornu epistolae la liberazione di una nave, che stava in mar naufragante e fu liberata dal santo mediante il so­ stegno dell’arbore della medesima nave che si era rotto. Supe­ riormente a detta urna è unito un ornato di marmo e di legno, il quale ricerca tutto il muro fino alla volta, la quale tutta è di pietra, e molto ben consistente, perchè rifabbricata una parte dal presente parroco ». Se non interpreto male le oscure parole del notaio, parmi che il monumento di s. Emiliano esistente nella chiesa omonima, oggi dissacrata, posasse sulla mensa 97 dell’altar maggiore e fosse ad­ dossato e incastrato nel muro della cappella. Le tre sculture della B. Vergine, in mezzo dell’altare, quella di s. Luca, a cornu evangelii e di s. Girolamo (?), a cornu epistolae, costituivano, secondo che io penso, una specie di suppedaneo dell’urna propriamente detta. Queste tre sculture, rimaste in Faenza, oggi si ammirano in duomo nella cappella di S. Emiliano; la B. Vergine è seduta

Vite de’ Santi di Faenza, cit., p. 19. Memorie, XI, p. 64. 96 Nell’Archivio della cancelleria vescovile. 97 « La di lui mensa », scrive il notaio, « è di legno miniato, di un bravo soggetto di Ferrara m orto». 94

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

col fanciullo addormentato in grembo e con due angeli ai lati in atto di adorazione; | a cornu evangelii s. Luca evangelista col simbolo tradizionale e a cornu epistolae non s. Girolamo (come scrive il notaio), che nel secolo XV soleva rappresentarsi in ben altra maniera, cioè col leone e col cappello cardinalizio, ma una figura in abito episcopale, che probabilmente è s. Emiliano. Il Ballanti-Graziani, che nel 1809 ornò la nuova cappella di S. Emi­ liano nella cattedrale e che aveva visto, chi sa quante volte, il monumento primitivo nell’antica chiesa, allogò i tre marmi, ri­ masti a Faenza, come oggi si vede, sulla mensa del nuovo altare e li addossò al muro della cappella, la Vergine in mezzo, s. Luca a cornu evangelii e s. Emiliano, a cornu epistolae; queste sculture laterali combacianti colla mediana benché alquanto ripieganti indietro. Credo che questa stessa fosse la disposizione dei tre pezzi di marmo nel mausoleo dell’antico S. Emiliano.98 E come oggi le tre sculture quattrocentesche posano sopra una base moderna con una epigrafe ricordante la traslazione del 1809, così crederei che nella antica sede posassero sopra una base contenente quella iscri­ zione del 1468, che sopra ho riferito ed oggi è scomparsa. Stando alle parole del notaio, sopra questo suppedaneo po­ sava l’urna istoriata di s. Emiliano, che Faenza più non possiede. Forse in età più recente era stato posto sopra l’urna quell’« ornato di marmo e di legno » di cui parla il notaio. È disgustoso narrare come la nostra città abbia perduto quel ragguardevole lavoro quattrocentesco. Soppressa la chiesa (parrocchia) di S. Emiliano per i noti decreti napoleonici e venduta ad un privato, mons. Bonsignore, vescovo di Faenza, estrasse (5 giugno 1809) dall’urna, « atterrando il fianco destro », la cassa di legno racchiudente le reliquie del santo,99 quindi le trasferì (5-6 novembre) nella cat­ tedrale nel luogo sopra indicato. Ma il cronista faentino d. Do­

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98 I marmi della cattedrale misurano 0,90 in altezza; il bassorilievo della Vergine è largo 0,95.5 e ciascuno degli altri due 0,42.5. Forse per richiamare i bassorilievi dell’urna quattrocentesca scom­ parsa il Ballanti compose e collocò in alto nel muro della cappella, sopra la ricostruzione dei tre marmi rimasti, tre stucchi, l’uno rappresentante gli operai intenti a scavare il terreno nel luogo indicato dal segno celeste, l’ altro il trasporto del trovato corpo da San Clemente a Santa Maria del Conte, e il terzo il miracolo di Pietro, o Giacinto, Ruffo scampato al naufragio. " Alla presenza dell’ex-parroco conte Luigi Naldi. Cfr. Cronaca Peroni nell’Archivio capitolare.

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menico Contavalli100 c’informa che « in questa occasione (del tra­ sporto delle ossa del santo nella cattedrale) si seppe in Faenza che il conte parroco (di S. Emiliano) Naldi dieci anni prima (dunque nel 1798-99?) aveva venduto al padre Michelini, ex-ge­ suita di Forlì, per dieci scudi (!) il sasso di marmo che serviva di prospetto alla stessa urna del santo, ove erano in bassorilievi i miracoli del santo, quando fece accomodare l’altare per porvi l’ancona di s. Luigi ». La nuova ancona copriva dunque lo spazio lasciato vuoto dai marmi trafugati e scomparsi. I marmi coi bas­ sorilievi dell’urna di s. Emiliano presero la via di Forlì, e furono collocati nell’interno del monastero del Corpus Domini, eretto dallo stesso padre Michelini, amoroso raccoglitore di reliquie sacre e di memorie antiche».101 Dopo più di un secolo di silenzio sull’urna di s. Emiliano, nel 10 dicembre del 1913 aprivasi al pubblico in Parigi il Museo Iacquemart-André, lasciato dai coniugi | possessori all’Istituto di 311 Francia. Nella sala X al n. 849 comparve un parte dei bassorilievi dell’arca sepolcrale di s. Emiliano, comprati come si legge nel Catalogo, a Bologna nel 1893, naturalmente presso un antiquario.102 I bassorilievi, di mediocre scalpello, sono attribuiti alla Scuola Veneziana. Tutto il marmo è lungo m. 1,42 e alto 0,58; viene ri­ prodotto a p. 120 del Catalogo col falso titolo Legende de saint Emilien, évêque de Faenza', ed è diviso in tre scompartimenti separati da quattro colonnine di stile corinzio. Nel primo a si­ nistra dello spettatore due coloni stanno componendo un muc­ chio di fieno, l’uno dritto sull’acervo e l’altro al piede. Una mano esce dalle nubi che colpisce nella guancia destra il colono situato abbasso: e un’altra sta sopra il colono situato in alto e sembra averlo già percosso perchè costui si palpa colla mano la guancia sinistra. L’altra storia rappresenta il corpo di s. Emiliano sopra un carro a quattro ruote, trainato da due buoi per una via della città. A destra del carro sta una figura sola con un cero in mano;

100 La sua cronaca minutissima, ma mutila, presso il sig. cav. Carlo Piancastelli di Fusignano. 101 Nel novembre del 1808 il governo aveva incaricato l’erudito d. An­ drea Zannoni bibliotecario e il pittore Zauli di fare l’inventario delle la­ pidi, pitture, sculture e memorie delle chiese soppresse. 102 Musée Iacquemart André. Catalogne itinéraire, 2me éd., Paris, p. 122. Il Venturi (Storia dell’arte italiana, voi. VI, Milano 1908, pp. 10751078) crede erroneamente una sola urna quella di san Terenzio e di sant’Emiliano, e l’attribuisce a Pier Lombardo!io io

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a sinistra si vede, preceduta dalla croce, una processione ove fi­ gurano due persone infulate col pastorale. La terza finalmente (non ricordata dal notaio della Visita De’ Buoi) rappresenta la cappella di S. Emiliano. In fondo alla medesima, si vede inca­ strata nel muro di fronte, un’urna (certo quella anteriore al 1468) ; varie persone si tengono in disparte osservando, e due uomini con­ ducono un terzo che tocca e sembra baciare il muro sotto l’arca. Credo si tratti del nobile indemoniato di Solarolo, come narrano fra Pietro Calo e le altre fonti, condotto alla chiesa e al sepolcro del santo ed ivi guarito. Il marmo di Parigi è in parte dorato come le tre sculture della Vergine, di s. Luca e di s. Emiliano rimaste in Faenza. Da tutto ciò si conchiude che il trittico parigino è mutilo, manca cioè di un quarto medaglione rappresentante Pietro, o Giacinto, Ruffo scampato al naufragio. La sua esistenza è atte­ stata dal racconto del notaio della Visita De’ Buoi, su riferito. Inoltre il Valgimigli ( f 1877) nel voi. XII delle sue Memorie (p. 64 in nota) afferma che la lastra formante la parte anteriore del­ l’urna di s. Emiliano, a suo tempo conservata nel monastero del Corpus Domini, era distinta in quattro medaglioni, l’ultimo dei quali « rappresentava una nave pericolante in mare per suscitata procella e mentre i naviganti implorano soccorso, comparisce loro un uomo e dando di mano all’albero della nave, li rende franchi da ogni pericolo ». Così scriveva al nostro Valgimigli un amico di Forlì, testimonio di veduta del monumento, ma ignaro della leggenda di s. Emiliano. Io stesso vidi i quattro bassorilievi in Forlì poco prima della vendita, nell’anno stesso 1893. Un’iscrizione mar­ morea, rimasta nel monastero del Corpus Domini, conferma che le storie erano quattro: « Prodigia a s. Aemiliano patrata », essa riferisce: « manu ori impacta monet ut terra effossa corpus detegant; dicato eius cultui praedio boves iter prosequuntur ; arcae tactu daemonem fugat; navem furenti flumine raptam invocatus eripit ». Infatti, se ben si osservi, il trittico di Parigi è lungo sol­ tanto m. 1,42 mentre le due lastre marmoree rimaste a Forlì dopo il 1893, l’una soprapposta e l’altra sottoposta all’urna scomparsa, misurano ciascuna m. 1,60; mancano dunque al trittico parigino cm. 18 incirca, vale a dire la lunghezza del quarto | medaglione. Inoltre nel trittico parigino la prima colonnina a sinistra dello spettatore è differente dalle altre tre; manca dunque una somi­ gliante colonnina a destra, che racchiudeva il quarto bassorilievo, e con cui l’urna terminava simmetricamente.

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Ed ora dove è andato a finire il bassorilievo rappresentante il miracolo di Pietro o Giacinto, Ruffo? si è frantumato nel tra­ sporto o per altro disgraziato incidente? o è stato venduto ad altro amatore? e forse ricomparirà un giorno chissà in qualche sala di museo straniero? 2. — Anche nella Vita di s. Terenzio ser Bernardino segue il Flaminio compendiandolo, e deformandone la lingua e lo stile. Non saprei dire se abbia usufruito pure della fonte del Flaminio. Sono sue proprie alcune note topografiche e esplicative: a) che la chiesa di S. Croce di Faenza, presso la quale s. Terenzio avrebbe dimorato, « antea nuncupabatur in Valle anseris»; b) che la pieve di S. Pier in laguna era « in comitatu f aventino »; e c) che i faentini collocarono il corpo di s. Terenzio «in sepulchro marmoreo albo ». Evidentemente ser Bernardino allude alla scultura quattrocentesca fin al principio del IX secolo esistente nella dissacrata chiesa parrocchiale di S. Terenzio ed oggi con­ servata nella cattedrale (§ I, 1); e il notaio non pensò che l’urna primitiva di s. Terenzio non era quella e poteva essere sì e no di marmo bianco. L’Azzurrini dichiara inoltre di aver cercato in­ darno l’anno, il mese e il giorno della morte e della traslazione del cadavere di s. Terenzio da S. Pier in laguna a Faenza; e, mentre il Flaminio afferma che il levita nacque « humili loco », ser Bernardino scrive che egli derivò da « non obscuris parentibus ». In quanto a s. Savino l’Azzurrini usò del Flaminio (per esem­ pio ripete i versi di Ovidio riportati dall’umanista sopra Sulmona, pretesa patria del santo), e pure della seconda fonte del Flaminio stesso. Infatti la dizione del notaio coincide spesso coWuffìcio proprio di s. Savino, conservato nell’archivio capitolare; ufficio, che, come si è detto, rappresenta in parte la seconda fonte del Flaminio. È difficile persuadersi che ser Bernardino deformando il latino dell’umanista imolese, sia riuscito a trovare molto spesso le stesse rozze espressioni adoperate dall’ufficio proprio, vale a dire dalla fonte del Flaminio. Bernardino dipende dunque da questa. L’Azzurrini scrive che s. Savino morì sotto papa Antero greco (235-236) e « seviente Maximino, non autem Maximiano, ut in aliquibus codicibus manuscriptis diligenter a me conquisitis, legi ». Si spiega benissimo la ragione che al notaio suggerì siffatto mutamento. Il Flaminio e la sua fonte con forte anacronismo col­ locavano la sepoltura di s. Savino nel gennaio del 236 « sub Ma-

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ximiano imperatore » che regnò dal 286 al 305. Per conciliare la cronologia FAzzurrini cambiò Maximianus in Maximinus, che regnò appunto dal 235 al 238.103 Nella Vita di s. Pier Damiano l’Azzurrini seguì in grandis­ sima parte il racconto di Girolamo Rossi nella sua Storia di Ra­ venna, pubblicata negli ultimi decennii del secolo XVI.104 La prima parte della Vita divi Petri Damiani dell’Azzurrini, che comincia (c. 104 a): « Humilibus parentibus natum » ecc. e finisce (c. 106 b): « meritis | sui magistri auxiliatus fuisset », corrisponde al rac­ conto del Rossi: «Ceterum quoniam amplissimi huius anti­ stitis » ecc. (p. 301), fino a: « illi gratias egit immortales » (p. 305). Quindi ser Rernardino abbandona il Rossi; narra l’elezione di Pier Damiano al cardinalato, con una digressione sopra i cortiggiani, e poi succintamente la legazione milanese. In seguito ri­ ferisce (c. 107 a) che Pier Damiano scrisse alcune lettere a Gi­ berto, arcivescovo di Ravenna, con questo indirizzo : « Ad domi­ num Gibertum episcopum secundae sedis Italiae Petrus Damianus ultimus et minimus romitarum servus praecatur valetudinem ». Questa falsa notizia dell’Azzurrini probabilmente proviene da una erronea interpretazione del titolo di una epistola (2 del libr. Ili) di Pier Damiano a Gebeardo arcivescovo di Ravenna: « Domno G. secundae per Italiam sedis antistiti Petrus ultimus eremitarum servus devotiss. servitutis obsequium ». Ser Rernardino ha letto G.(iberto) invece di G.(ebeardo). Nel 1610 il Gaetani aveva già pubblicato il primo tomo delle Opere di Pier Damiano colle epi­ stole del santo, e FAzzurrini poteva quindi averle viste. Il notaio ritorna di nuovo al Rossi. Si confronti il testo dello storico di Ravenna: «Gregorio deinde septimo hortante» ecc. (p. 305) fino a « omnes psalmos communiter absolvissent » (p. 306); e « Eo vero qui insequutus est» ecc. (p. 300) fino a: «viri sancti corpus re­ ponitur » (p. 301), con quello dell’Azzurrini « Gregorius septimus romanorum pontifex » ecc. (c. 107 a) fino a « mirabilem in sanc­ tis suis » (c. 108 a). Ser Rernardino conchiude ricordando i ser­ mones e le vitae sanctorum scritte dal Damiano, e osservando: « Ignoratur an sit canonizatus et praedicatur honoraturque sub titulo viri illustris ». Forse ser Rernardino usò anche della Vita del Flaminio. 103 L’Azzurrini, come la Vita italiana del ms. 188 della Bibl. com. di Faenza, pone la morte di s. Savino il 7 dicembre del 236 e la sepoltura FU gennaio del 239. Ediz. di Venezia, 1590.

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Conchiudendo: l’Azzurrini nel comporre le quattro Vite si giovò particolarmente del Flaminio, e qualche volta ricorse alle fonti del Flaminio. Nella Vita di Pier Damiano si tenne alla Storia di Ravenna del Rossi; e forse vide le Opere del santo dottore.

§ IV - IL VALORE STORICO DELLE QUATTRO VITE Sommario : 1. Il valore storico della Vita di s. Terenzio; — 2. di san Sa­ vino; — 3. di s. Emiliano; — 4. e di s. Pier Damiano.

1. — Il valore delle quattro Vite risulta dall’esame critico delle fonti adoperate dal Flaminio e dall’Azzurrini. Cominciamo da s. Terenzio. La storia medievale, e quella di Faenza in particolare non hanno nulla da opporre a quelle che si potrebbero chiamare le linee principali della Vita di s. Terenzio; ossia che prima del 1153 un Terenzio, levita imolese, sotto la direzione di alcuni re­ ligiosi, dimoranti nel territorio della pieve di S. Pier in Laguna, lontana poche miglia dalla città di Faenza, conducesse vita ere­ mitica in un luogo boscoso presso la laguna (oggi scomparsa), e che esso, venuto a morte, fosse sepolto presso la chiesa dei re­ ligiosi medesimi, e che dipoi, per grazie ottenute dai fedeli al suo sepolcro, fosse trasferito in una cappella urbana che da lui prese il nome. Avvenimenti simili nel medioevo sono avvenuti quasi dapertutto. | La plebs Sancii Petri in Lacuna viene ricordata per la prima 314 volta in un papiro ravennate dell’854. Esistono anche oggi nella pieve e un luogo detto Sambuceto, e una Celletta dedicata alla R. Vergine: e ambedue possono essere denominazioni antiche. La cappella, o parrocchia, di S. Terenzio esiste ancora presso la cattedrale a sud, convertita fin dai tempi napoleonici ad usi profani (Via P. Rarilotto, n. 15). E per quanto si può raccogliere dalle carte del secolo XII e XIII,105 essa trovavasi ove è oggi fin d’allora. Fu la parrocchia del palazzo vescovile e del palazzo del potestà. Che questa chiesa, prima del trasloco delle ossa di s. Te­ renzio in essa, si chiamasse, come scrive la Vita antica, S. Croce, 105 Mittarelli , Ber. Fav. Script., cit., coll. 439, 461, 463. In un testa­ mento del 23 nov. 1200 ricordasi una domus in Porta Pontis regione S. Terentii.

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da un ospedale omonimo annesso, o come l’Azzurrini aggiunge,106 S. Giovanni in valle anseris, non può nè confermarsi nè contra­ dirsi. Una chiesa, o regione di S. Croce, viene ricordata nelle carte faentine fin dal 1045 in platea;107 ma pare si tratti della chiesa, o parrocchia, di S. Croce soppressa nei tempi napoleonici (oggi casa n. 5 in Via Torricelli), cioè esistente in luogo non lontano ma ben distinto da S. Terenzio. Un ospedale e una chiesa di S. Croce erano situate lungo la via Emilia fuori di Porta Imolese nel luogo detto Roncoducis (oggi Ponte Rondoso) sulla strada ap­ punto che mena a S. Pier Laguna.108 Ma di una chiesa e di un ospedale di S. Croce e di S. Giovanni in Valle anseris presso la cattedrale, non c’è memoria.109 In quanto all’attendibilità dei particolari della Vita faccio mie le parole scritte nel 1731 dal bollandista padre Du Sollier:110 «L a Vita di s. Terenzio, che consta specialmente di tre miracoli, cioè delle guarigioni del cieco, dell’idropico e del paralitico, per poter essere accettata come documento degno di fede richiede­ rebbe uno scrittore noto e di comprovata probità. Questa Vita, non esclusa la prima parte, dubbia anch’essa, non sembra se non una pura e semplice concatenazione di alcuni miracoli, de’ più triti ». Nulla si può raccogliere dalla Vita intorno all’età della sua composizione. Certamente è anteriore al secolo XVI. L’autore dei bassorilievi dell’urna marmorea di s. Terenzio, una volta situata sopra l’altar maggiore della soppressa parrocchia, e nel gennaio del 1810 trasportata in cattedrale, ove ancora si trova nell’altare di s. Michele arcangelo, bassorilievi attribuiti, non so con quanta ragione, ad Agostino di Duccio (1418-1498), ma certamente di ot­ timo scalpello del quattrocento, si è inspirato alla nostra leggenda. La tavola marmorea è divisa in due scompartimenti: nel primo a sinistra dello spettatore si vede da prima il cieco Androgeo coricato sul letto in atto di ascoltare dall’angelo l’ordine di re­ 106 .Nella Vita, e di nuovo a c. 3 6: «v ig ilia sancii Terèntij parochialis faventinae, antiquo tempore S. Joannis in Valle anseris nuncupatae ». 107 M ittarelli , coll. 400, 428, 434, 451. 108 Ibid., col. 468; G. M. V algim igli , Dei pittori e degli artisti faentini de’ secoli XV e XVI, Faenza 1869, p. 22 n. 1; Memorie, fase. 65, p. 32 in nota. 109 Quando la facciata del duomo era rivolta ad oriente (cioè fino al 1474 circa), a nord di esso sorgeva la chiesa, o il fonte battesimale, sacro a san Giovanni; e si chiamava dalla sua forma S. Giovanni Rotondo (G. B. V algim igli , Sull’antico battistero di Faenza, Faenza 1871). HO Acta SS., lui. VII, Parisiis 1868 (3’ ed.), p. 166 n. 3.

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carsi a Faenza da s. Terenzio se vuol essere guarito, quindi lì presso fuori della casa (gli artisti di quel tempo rappre- [ sentavano nello stesso quadro atti successivi) il cieco medesimo col bordone del viaggiatore condotto a mano verso Faenza. Nel se­ condo a destra è rappresentata la guarigione del cieco in Faenza per opera del santo. Forse la Vita fu composta intorno al 1321, cioè quando il vescovo Ugolino comandò di celebrare la festa del santo (§ I, n. 1). Non vale la pena di occuparsi dell’opinione, as­ solutamente insostenibile, riferita da Filippo Ferrari,111 secondo la quale la Vita di s. Terenzio sarebbe stata composta da Pier Da­ miano ( f 1072). Il povero dettato, che servì di fonte al Flaminio, non ha nulla a che fare collo stile nervoso del dottore ravennate. In Romagna altri documenti agiografici medievali anonimi, per esempio le Vite dei ss. Mercuriale e Rufiìllo, furono erroneamente attribuiti a Pier Damiano. Il Valgimigli,112 del tutto arbitrariamente, ha collocato la morte di s. Terenzio « intorno gli anni 570 », e poco dopo il 570 la tra­ slazione del cadavere da S. Pier in Laguna a Faenza. Ma, sull’età di questi avvenimenti, il Flaminio e l’Azzurrini, nonostante le indagini fatte, non giunsero a capo di nulla. 2. — La Vita di s. Savino, come si è detto, si basa sopra due documenti, cioè sulla Passio s. Sabini, secondo la quale il vescovo Savino sotto l’imperatore Massimiano e per suo ordine sarebbe stato catturato in Assisi ed ivi sottoposto a barbaro strazio, quindi martirizzato e sotterrato in Spoleto a circa due miglia dalla città; e sopra una leggenda fusignanese, che colloca il nascimento di Savino in Sulmona, lo fa condurre vita eremitica nella Selva Liba (o Libba) presso Fusignano (diocesi di Faenza), poi andare in Assisi, ove viene eletto vescovo, quindi imprigionato, tormentato e finalmente ucciso e sepolto in Spoleto, da Spoleto traslocato di nuovo nella Selva Liba. Cominciamo dal primo documento. Prima del cardinal Raronio nessuno, per quanto io sappia, dubitò del valore storico della Passio s. Sabini. L’illustre anna­ lista della Chiesa, dopo riportati i due primi paragrafi della Pas­ sione nel tomo secondo degli Annali,113 quantunque ammettesse che gli Atti di s. Savino, come egli scrive, erano sincerissimi, tut­ tavia si augurava che fossero stati continuati collo stesso candore in Ccitalogus Sanctorum Italiae, Mediolani 1613, p. 472. 112 Memorie di Faenza, cit., I, p. 106. 113 Baronio, Annales, cit., p. 711.

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con cui erano stati principiati. Dopo il Baronio il Ferrari nel suo Catalogus Sanctorum (anno 1613) e il padre Daniele Papenbroeck nel tomo III d’aprile degli Acta Sanctorum 114 (anno 1675) espressero dubbi su alcuni punti particolari della Passione, men­ tre rUghelli115 (an. 1662) e il Baluze, editore della Passione,116 ne giudicarono colla piena confidenza dei medievali. Alla fine del XVII secolo la Passio s. Sabini ricevette dei rudi colpi. Il Ruinart (an. 1689) la scartò dalla sua collezione degli Acta primorum martyrum sincera; e il Tillemont (a. 1692) espose par­ ticolarmente « le molte difficoltà da lui riscontrate che gl’impedivano di concederle il credito che si sarebbe voluto».117 I critici del XVIII secolo non accettarono questi giudizi contrari. Il padre bollandista Du Sollier (an. 1715) nell’edizione critica del Marti­ rologio di Usuardo118 e i gesuiti italiani Balla119 | e Zaccaria,120 il Zirardini,121 il Marini,122 salvo alcune riserve, seguitarono ad am­ mettere il valore storico della Passione; anzi l’abate cassinese De Costanzo 123 pretese di rispondere ad una ad una a tutte le ob­ biezioni del Tillemont, e di provare che la Passione, quantunque fosse, come egli dice, non contemporanea, era sincera e derivata dall’ancor recente tradizione o fama, cioè scritta sulle memorie o tradizioni conservate tra i cristiani. I critici del XIX secolo non si sono discostati di molto dalle conclusioni del De Costanzo. Il De Rossi nel 1871 124 riconobbe nella Passione « intrinseci e certi caratteri di molta antichità ben­ ché misti ad inesattezze che tradiscono l’età dell’autore e del­ l’ultimo estensore non contemporaneo»; e nel 1883,125 col Marini 114 Pp. 541-542. Cfr. pure Aug. Ili, Parisiis 1867 (3' ed.), p. 24. 115 Italia Sacra, I, Venetiis 1717, col. 1254. 116 Miscellanea, cit., I, pp. 12-14 e 67. Hi Mémoires pour servir à l’histoire ecclèsiastique des six premiers siècles, Venezia 1772, V, p. 41, e nota XIV, p. 603. 118 Venezia 1745, coll. 775-776. H9 Notizie storiche di s. Savino vescovo e martire, Torino 1750, cit. in G. B. D e R ossi, Ballettino d’archeologia cristiana, IX, 1871, p. 89, n. 4. 120 Storia letteraria, II, pp. 240 e ss., cit. in D e R ossi. 121 Imperatorum Theodosii iunioris et Valentiniani III novellae leges, Faventiae 1766, coll. 505-506. 122 Gli atti e monumenti de’ fratelli Arvali, cit., II, pp. 637-638. 123 Disamina degli scrittori e dei monumenti riguardanti s. Rufino vescovo e martire di Asisi, Assisi 1797, pp. 214-226. 124 Ballettino d’archeologia cristiana, IX, 1871, pp. 89-90. 125 Ibid., XI, 1883, p. 156.

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e con altri critici del XVII e XVI secolo, ritenne « evidentemente vera » la scena del circo romano descritta in principio della Pas­ sione. Edmondo Le Blant,126 l’Allard,127 il Mason,128 e il Vigneaux129 seguirono, più o meno, la stessa tesi, perchè ammisero l’autenti­ cità della scena del circo, quantunque riconoscessero qua e là nella Passione ritocchi assai gravi e numerosi difetti. Anche il padre Leclercq 130 e Giovanni Costa 131 si sono fatti eco di quei giudizi favorevoli. Ma da alcune decine d’anni i critici hanno abbandonato le antiche posizioni e sono ritornati alla tesi del Tillemont. Nel 1903, seguendo l’indirizzo dato dal padre Delehaye 132 e da Alberto Dufou rcq133 allo studio delle Passioni dei Martiri romani, credetti di poter togliere ogni valore storico al racconto della Passio s. Sa­ bini,13* senza dubbio strettamente imparentata colle Passioni ro­ mane, facendo eccezione per i dati liturgici e topografici del do­ cumento. Le più autorevoli riviste approvarono la mia tesi.135 Lo stesso A. Dufourcq nel terzo volume del suo Étude (an. 1907) convenne pienamente colle mie conclusioni136 corroborandole di altri argomenti: e nessuno, che io sappia, ha impugnato le mie prove e quelle dell’erudito francese. Gli argomenti che escludono la storicità del racconto sono i seguenti: La Passione di s. Savino (anteriore al IX secolo, perchè i martirologii composti durante quel secolo la conobbero 137 e la 126 Les Actes des martyrs. Supplement aux Acta sincera de dom Ruinart, Paris 1882, pp. 187-188. 127 La persécution de Dioclétien, I, Paris 1890, pp. 360-361 in nota, e 405. 128 The persecution of Diocletian, pp. 212, 215, cit. in Allard . 129 Essai sur l’histoire de la « Praefectura Urbis » à Rome, Paris 1896, p. 256. 130 Les Martyrs, II, Paris 1903, p. 197. 131 C. Valerius Diocletianus, Roma 1912, p. 167. 132 L’Amphithéatre Flavien et ses environs dans les textes hagiographiques, in Anal. Boll., XVI, 1897, pp. 209-252. 133 Étude sur les « Gesta martyrum » romains, I, Paris 1900. 134 F. L anzoni, La « Passio s. Sabini », in Römische Quartalschrift, XVII, 1903, pp. 1-26. 135 II p. Savio nella Civiltà Cattolica, LIV, 1903, IV, pp. 573-580; il p. De­ lehaye in Anal. Boll., XXIII, 1904, pp. 95-96; Paul Lejay in Revue d’histoire et de littérature religieuse, V ili, 1903, p. 597; Studi religiosi, IV, 1904, pp. 200-201. 136 Pp. 87-97. 137 Cioè quelli di Rabano Mauro (an. 845), di Adone (an. 850-860 c.),

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compendiarono) non risale al di sopra dello scorcio del V secolo. Infatti da una lettura pur superficiale del documento risulta che esso fu composto quando la lingua latina era già una lingua morta o stava | per diventare, cioè verso la fine dell’epoca im­ periale. I vocaboli e le frasi del nostro testo potranno comparire in documenti più antichi; ma è certo che la sintassi si scosta as­ solutamente dalla sintassi latina e lo stile è ancora meno latino della sintassi. Si succedono continuamente proposizioni coordi­ nate e indipendenti senza alcun legame logico. Non c’è neppur l’ombra del periodo latino. Le proposizioni si sostituiscono ai casi obliqui; l’infinito spesso è soppresso e spesso prende i verbi ausi­ liari habere o eoe pi. Un soggetto logico plurale ma grammatical­ mente singolare si costruisce volentieri col verbo al plurale. Il nominativo sta invece dell’ablativo assoluto. Spesso giuochi di parole, inversioni affettate, frequenti antitesi, invocazioni o pre­ ghiere con movimento lirico, ripetizioni noiose dei medesimi vo­ caboli e delle medesime frasi, uso frequentissimo di nomi astratti, ed altri fatti stilistici o linguistici alieni affatto dal linguaggio latino. Inoltre il nostro testo richiama costantemente le antiche traduzioni latine del Vecchio e del Nuovo Testamento tanto nel vocabolario quanto nella sintassi e nello stile, anzi non è altro che un vero centone di frasi, desunte da quelle. Ciò prova che l’autore della Passio s. Sabini è vissuto in un tempo nel quale il latino era già lingua morta e per iscriverlo si ricorreva alla lingua dei libri. Tutto ciò ci conduce almeno allo scorcio del V secolo. Di più la nostra Passione ha una strettissima affinità di lin­ gua e di stile ed è formata sullo stesso schema letterario di due gruppi di Passioni latine, cioè di un gruppo di martiri tosco-umbri e di martiri romani. Appartengono al primo gruppo le Passioni dei ss. Concordio (Bib. Hag. lat., n. 1906), Ponziano (BHL 6891), Gregorio di Spoleto (BHL 3677), Terenziano di Todi (BHL 8001), Abondio e Carpoforo di Foligno o di Forum Flaminii (BHL 1620), Serapia e Sabina di Vindena presso Terni (BHL 7586), Alessandro di Baccano (BHL 273), Donato (BHL 2289-92), e Pergentino e Laurentino di Arezzo (BHL 6632). Al secondo gruppo le Passioni dei ss. Lorenzo e compagni (BHL 4753, 7801), Stefano (BHL 7845), Restituto (BHL 7197), Mario e compagni (BHL 5543), Eusebio e di Husward (an. 875). Il cosidetto Martyrologium Romanum Parvum, come il Quentin (Les martyrologes historiques du moyen âge, Parigi 1908, pp. 441-464, 649-672) ha luminosamente dimostrato, è un falso dello stesso Adone.

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Ponziano {BHL 2742), Processo e Martiniano (BHL 6947), Callisto e compagni {BHL 1523), Gordiano ed Epimaco {BHL 3612-13), Pri­ mo e Feliciano {BHL 6922), Marcello e compagni {BHL 5234-35) e Pietro e Marcellino {BHL 5230-31). In queste Passioni si trovano non solo le medesime particolarità di lingua e di stile, ma le stesse situazioni, le stesse imagini, le stesse similitudini, e gli stessi episodi, riprodotti nello stesso modo e presso a poco nel medesimo ordine. GPinterrogatorii e i dialoghi tra i giudici e i martiri contengono costantemente le medesime domande e ri­ sposte. I martiri fanno le identiche invocazioni e preghiere a Dio in identiche circostanze, col medesimo movimento lirico, colle stesse allusioni scritturali. I tormenti subiti dai martiri sono sem­ pre quelli e si susseguono in un dato ordine; i miracoli da loro operati si somigliano come gocce d’acqua. Nel mio lavoretto del 4903 esposi a lungo lo schema e ne feci vedere l’applicazione alle singole Passioni. Non credo necessario ripetermi. Bisogna quindi conchiudere che le Passioni di quei due gruppi furono composte, se non da un solo autore, da una scuola di scrittori circa in un medesimo tempo. Ora le Passioni del gruppo romano furono composte, secondo il Dufourcq, tra la fine del V e la metà del VI secolo. Questa tesi fu accettata | dalla Civiltà Catto- 318 Iica,m dagli Studi Religiosi,1 139 dalle Analecta Bollandiana,140 dalla 8 3 Revue d’hist. ecclésiastique di Lovanio,141 dalla Revue historique142 e da altre autorevoli riviste. Prima ancora del Dufourcq il p. Delehaye nel 1897143 attribuì le Passioni romane al secolo VI od anche ad epoca più bassa. Il p. Grisar del pari144 collocò la maggior parte delle medesime nel VI secolo. Quindi anche il gruppo tosco-umbro e per conseguenza la Passio s. Sabini devono riferirsi circa al me­ desimo tempo. Il Dufourcq,145 che ha preso in esame singolarmente le Passioni di s. Savino, di s. Concordio, di s. Abondio, incorpo­ rata quest’ultima nella Leggenda dei dodici Siri, di s. Gregorio, di s. Alessandro di Baccano, di s. Donato, di s. Ponziano, e di s. Pergentino, le colloca nel secolo VI. 138 139

LU, 1901, IV, pp. 332-337. II, 1902, p. 227 n. 1. 140 A n a l . B o l l , XIX, 1900, pp. 444-447. 141 R e v u e d ’ h i s t o i r e e c c l é s i a s t i q u e , I, 1900, pp. 527-536. 142 R e v u e h i s t o r i q u e , LXVII, 1902, p. 376. 143 A n a l . B o l l . , XVI, 1897, p. 237. 144 H i s t o i r e d e R o m e , I, Tournai 1896, pp. 285-287. 145 É t u d e s u r l e s « G e s t a m a r t y r u m » r o m a i n s , III, Paris 1907, pp. 1-14, 38-40, 66-85, 98-102, 165-169, 172-175. La

C iv iltà

R iv ista

C a tto lic a ,

d i S tu d i R e lig io s i,

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Inoltre esiste una grande affinità di fraseologia e di sintassi tra la Passio s. Sabini e le Vite dei papi Simmaco (494-514), Or­ misda (514-23) e Giovanni (523-26) del Liber Pontificalis, come dimostrai nel mio lavoretto del 1903.146 Ora la composizione di quelle Vite è assegnata dagli eruditi147 alla prima metà del se­ colo VI incirca. Quindi si conferma che anche la nostra Passione fu scritta circa in quel tempo. Probabilmente ne fu autore un ecclesiastico; infatti quantun­ que esso si mostri di scarsa cultura, tuttavia ha un’ampia cogni­ zione della Bibbia, dei riti e delle formole liturgiche del Sacramentarium Gelasianum e dell’Orcio Romanus primus, come di­ mostrai nel mio citato lavoretto del 1903,148 e parla con inappun­ tabile esattezza teologica. Forse un ecclesiastico dimorante in Roma; perchè, come si è detto, la Passio s. Sabini è somigliantissima alle Passiones ro­ mane scritte certamente in Roma dagli ecclesiastici addetti ai titilli della città. Ciò posto, l’autore della Passio s. Sabini ha composto il suo lavoro due secoli e più dopo gli avvenimenti che racconta. Avrebbe egli attinto, come alcuni scrittori del secolo XVIII e del XIX sup­ posero, a documenti anteriori, oggi perduti? Quod gratis asseritur gratis negatur. Del resto è oggi opinione comune tra gli eruditi, e ben fondata, che in Italia durante le persecuzioni, e poco dopo, generalmente non si scrivessero, come altrove, per esempio in Africa e in Oriente, atti di martiri. Le eccezioni dovrebbero es­ sere dimostrate. Oppure l’autore della Passione avrebbe attinto alla pura tradizione orale? Ma queste memorie a voce, dato che si fossero tramandate, avrebbero potuto conservarsi inalterate per due e più secoli; e, come nel caso nostro, memorie fornite di molti nomi propri e di date cronologiche ed episodi ricchi dei più minuti particolari? Intanto la nostra Passione contiene parecchi errori. Venustianus vi è detto praeses Tusciae, o vir clarissimus augustalis Tusciae·. ma al tempo del martirio di s. Savino, cioè sub Maximiano (a. 286-305) il preside delle due prò- |vince unite Tuscia e Umbria ehiamavasi corrector Tusciae et Umbriae.149 Circa 146 147 fazione; cit., pp.

L anzoni, La «P assio s. S abini», cit., pp. 14-15. L. D uchesne , Le Liber Pontificalis, Paris 1886, voi. I nella pre­ H. Grisar , Analecta Romana, Roma 1899, p. 9 e Histoire de Rome

290-292.

148 L

a n z o n i,

pp.

7 -8 .

149 Cfr. in I. K. O relxi, Inscriptionum latinorum selectarum amplis­ sima collectio, Turici 1828 [I e II voli., sino all’iscriz. n. 4899] e 1856

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nel 370 il corrector fu sostituito da un consularis, che vi rimase durante il Basso Impero.150 Come dunque saltò in capo al nostro autore di chiamarlo augustalis? Forse perchè a suo tempo, cioè tra il V o il VI secolo, fu costume di appellare augustali i togati assessori dei giudici? Di più la Passione colloca in Roma all’epoca del martirio di s. Sabino, cioè nel 304 c., un praefectus urbi di nome Hermogenianus; ma in quell’anno occuparono successiva­ mente la prefettura urbana due personaggi, l’uno denominato Aradius Rufinus e l’altro T. Flavius Postumius Irtianus', nè du­ rante la persecuzione dioclezianea ci fu in Roma un prefetto di quel nome.151 Un Hermogenianus compare solo nel 349-50 e nel 374.152 Per puntellare l’autorità storica della Passio s. Sabini il De Costanzo e il Vigneaux, sopra citati, hanno ricorso arbi­ trariamente a un Hermogenianus praefectus suffectus, ignoto a tutte le fonti. Inoltre la Passione racconta che Massimiano impe­ ratore si decise a promulgare un editto di morte contro tutti i cristiani, indotto dai clamori e dalle richieste del popolo romano accalcato nel Circo durante gli spettacoli del 17 aprile, cioè du­ rante i ludi ceriales che si celebravano dal 12 al 19 di quel mese. Ma, secondo lo storico Eusebio, il decreto di morte contro tutti i cristiani fu promulgato da Diocleziano in Nicomedia in princi­ pio del 304, e, secondo Lattanzio,153 Massimiano fu persuaso a perseguitare i cristiani in Occidente dalle lettere del suo collega d’Oriente. Adunque se si crede poter ammettere che l’autore della Passione seguiva delle tradizioni orali, bisogna riconoscere che esse erano molto inquinate. Ma il nostro scrittore compose la Passio s. Sabini seguendo uno schema ben determinato, schema, come si è detto, riprodotto con monotona uniformità in un gruppo considerevole di Passioni tosco-umbre e romane. Il suo lavoro adunque non si basa su dati, scritti o tradizionali, ma è un’opera di scuola. Tutta la sua nar[vol. I li, ed. G. H enzen J, le iscrizion i latine nn. 1110, 1181, 2170, 2285, 3254, 3648, 3866, 5130, 5580, 6476, 6481, 6904. 150 G.B. D e R o ssi , B a l l e t t i n o d ’a r c h e o l o g i a c r i s t i a n a , IX, 1871, pp. 81-89. 151 C h r o n o g r a p h u s a n n i C C C L I I I I , ed. T h . Mo m m sen , in M G H A u c t . A n t i q . , IX, Berolini 1892, p. 66. 152 Si noti che anche la Passione romana di s. Restituto, imparentata con quella di s. Savino, pone in Roma s u b M a x i m i a n o un H e r m o g e n e s p r a e fe c tu s. 153 D e m o r t i b u s p e r s e c u t o r u m , c. 15: «E t iam litterae ad Maximianum et Constantium commeaverant ut eadem facerent (...) Et quidem senex Maximianus libens paruit per Italiam ».

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razione, come dimostrai largamente nel 1903,154 appalesa la più evidente deficienza di senso storico. L’autore conosce con mira­ bile precisione molto più di quanto ordinariamente è a conoscenza degli storici, vale a dire le date precise tanto delle parti sostan­ ziali del racconto quanto dei particolari episodi, e le cifre esatte, e le qualità morali e materiali specifiche di tutte le persone, cose e fatti. L’autore fu dunque un romanziere piuttosto che uno sto­ rico; o, se si vuole, lo scrittore di un romanzo storico composto a diletto e a edificazione dei fedeli. La scena del circo, che tra tutte le Passioni dei due su ri­ cordati gruppi sola si legge nella Passio s. Sabini, è veramente una descrizione pittoresca e scritta con colori storici locali. Essa però non merita la confidenza, talora entusiastica, di parecchi eruditi dal Baronio in poi,155 che in grazia sua credettero di pas­ sare sopra tutti i difetti della Passione. Perchè non vi ha dubbio che la Passione di s. Savino descrive | una scena reale dell’an­ tico mondo romano; ma che quelle grida durante i giuochi del­ l’aprile (dell’a. 304), scagliate dalla cavea contro i cristiani, che quelle domande di persecuzione tumultuose siano state in verità la causa o l’occasione dei decreti di morte contro i cristiani, ciò, come ho detto, viene contraddetto dalla storia. Del resto non è ne­ cessario ammettere che il nostro autore abbia desunto una scena simile da documenti scritti. Nel secolo VI duravano pur sempre in Roma le consuetudini classiche della vita. Le gare degli aun­ ghi bianchi, azzurri, verdi e rossi mettevano il popolo in una in­ descrivibile agitazione. Le feste del circo venivano pur sempre turbate e interrotte dalle grida del popolo affamato chiedente pane. La cavea del posto destinato ai ludi era il classico luogo per questo classico grido. Una lettera (a. 507-511) di re Teodorico al popolo romano proibisce di emettere grida sediziose e ingiu­ riose contro i senatori durante gli spettacoli.156 Anche nei concili ecclesiastici di quel tempo erano in uso le acclamationes ripetute, come nella Passio s. Sabini, sino ad otto e dieci volte in fila. Con tutto questo non intendo dire che la persona di Sabinus episcopus et martyr sepolto presso Spoleto a circa due miglia dalla città (« miliario a civitate plus minus secundo ») e comme-

154 L anzoni, La « Passio s. Sabini », cit., p. 17. 155 Vedi specialmente E. L e Blant , Les Actes des martyrs, Paris 1882,

pp. 187-188. 156 Cassiodorus , Variarum libri XII, ed. T h . Mo m m sen , in MGH Auct. Antiq., XII, Berolini 1894, pp. 31-32, 404.

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Le Vite (lei quattro santi protettori della città di Faenza

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morato il 7 dicembre, come la Passione riferisce, sia un perso­ naggio favoloso. Sabinus era nome comunissimo in Umbria. L’esi­ stenza di un sepolcro di un martire di nome Sabinus presso Spo­ leto nel secolo VI ci viene confermata dal Registrum di Gregorio Magno 157 e dall’Historia Langobardorum di Paolo Diacono.158 Nel nov. del 598 Gregorio'comandò a Crisanto, vescovo di Spoleto, di somministrare a Valeriano, notario della Chiesa di Fermo, che aveva presso questa città edificato un oratorio in onore di s. Sa­ vino, le sanctuaria del martire. Queste sanctuaria consistevano in pannolini, che si ponevano presso il corpo di un martire ri­ cevendone in tal modo una cotal quale consacrazione, e quindi si collocavano sotto l’altare delle chiese o degli oratorii dedicati in onore di quel santo.159 Paolo Diacono riferisce che al tempo di Ariolfo, duca di Spoleto (cioè circa nel 600), presso questa città in una basilica veneravasi il corpo di un s. Savino vescovo, martire. La celebre teoria di martiri del musaico parietale della basilica di S. Apollinare Nuovo di Ravenna, dipinto per ordine dell’arcivescovo Agnello poco dopo la metà del VI secolo, con­ tiene tra gli altri un S. Sabinus, che non può essere che il nostro. S. Savino è ignoto al martirologio occidentale del VI secolo, detto comunemente per errore Martirologio Gerolimiano; ma que­ sta omissione non è motivo sufficiente per ritenere spurio o ima­ ginato il martirio di un Sabinus nell’Umbria. È dimostrato che martiri autentici d’Occidente nel celebre martirologio non sono registrati. I primi esametri di un’iscrizione trovata nel territorio di Spo­ leto, nella parrocchia rurale denominata Terzo della Pieve, par­ rocchia distante parecchie miglia dalla città, iscrizione ivi posta nel secolo IV o, forse meglio, nel V 160 da un vescovo di | Spoleto 321 di nome Spes in onore di un martire Vitalis, da lui trovato (« a se primum invento», si legge neH’epitaffìo stesso), dicono:

157 Gregorius pp. I, Registrum epistolarum, IX, 59; e XIII, 8. 158 P au lus D iaconus , Historia Langobardorum, IV, c. 16 e VI, c. 58. 159 G risar , Analecta Romana, cit., p. 271.

180 L’iscrizione sepolcrale del vescovo Spes (CIL XI, 2, 1, 4967) sa­ rebbe stata trovata nella chiesa suburbana di Spoleto dedicata a s. Pietro apostolo. Parrebbe quindi che la sepoltura di Spes fosse posteriore alla chiesa. Ma la chiesa di S. Pietro fu edificata da un vescovo Achilles, che viveva nel 419 (ibid., pp. 698-699).

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Martyris hic locus est Vitalis (...) Solus hic e nostris victricia dona reportans aeternam caelo meruit perferre coronam ecc.161 Cioè: questo Vitale fu il solo martire e nostris, parla il ve­ scovo Spes. Queste parole richiamano quelle di Pier Crisologo di Ravenna nel suo sermone in onore di s. Apollinare vescovo e martire di Ravenna: «Beatus Apollinaris, primus sacerdotio, solus hanc ecclesiam ravennatem vernaculo atque inclyto mar­ tyrii honore decoravit ». Cioè: il beato Apollinare, primo vescovo di Ravenna, fu il solo martire che decorasse questa Chiesa ra­ vennate coll’onore di un martirio domestico o nativo del paese. E veramente non esistono memorie sicure di altri martiri raven­ nati in fuori di s. Apollinare. Se la frase e nostris del citato epi­ taffio vuol dire ex hac nostra Spoletina ecclesia, il vescovo Spes non avrebbe conosciuto altri martiri spoletini oltre Vitalis, e quindi avrebbe ignorato il nostro Savino. Ma il De Rossi162 crede che il vescovo Spes colla frase e nostris non alluda ai cristiani di tutta la diocesi di Spoleto suoi sudditi e fratelli, ma solo ai cristiani dell’antico vicus romano, ove ora è Terzo della Pieve, a cui avrebbe appartenuto il vescovo Spes con la sua vergine figlia Calventia, nominata nel verso 6 dell’iscrizione metrica: Et quae virgo precans poscit Calventia praestet (...) plusque datura fide decoris quam quod pia patri. Vitale adunque sarebbe stato l’unico martire tra quei vicani. Checché sia di questa interpretazione, la Passione afferma che il vescovo Sabinus fu martirizzato e sepolto presso la città di Spoleto, ma non dice che fosse vescovo di Spoleto, o altrimenti Spoletino: dice che fu catturato in Assisi, e condotto a morire in Spoleto; sulla sede del vescovo non si pronunzia affatto: nè si sa che gli antichi lo riguardassero come vescovo residenziale di Assisi o di Spoleto; potrebbe trattarsi di un vescovo regionale.163 Passiamo alla leggenda fusignanese. Certamente essa è destituita di qualunque valore storico. È assolutamente inammissibile che i resti di s. Savino martire, 161 Ibid., n. 4966. 162 Ballettino d’archeologia cristiana, IX, 1871, p. 95. 163 La Passio s. Sabini ha servito di modello all’autore della Passione di s. Terenziano di Todi (BHL 8001) e di s. Cassiano pure di Todi (BHL 1637).

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sepolti, come narra la Passione, presso Spoleto nel secolo IV, pochi anni dopo siano stati trasferiti privatamente nella selva Liba presso l’odierna Fusignano nell’antico territorio faentino, come pretende la leggenda fusignanese. La Passione stessa, il Re­ gistro di Gregorio Magno e la storia di Paolo Diacono compro­ vano in maniera irrefragabile che le ossa del martire nel se­ colo VI-VII riposavano sotto l’altare della basilica a lui dedicata a circa due miglia da Spoleto. Che poi dopo il secolo VI-VII le ossa del santo siano state trasferite o in tutto o in parte, nella cappella rurale di S. Savino presso Fusignano, è ora assai diffi­ cile a potersi affermare. Ad ogni modo la traslazione del se­ colo IV è una favola. | La questione generale sulle reliquie di s. Savino di Spoleto 322 è così intricata da doversi disperare di risolverla. Bastino questi brevi accenni: 1. Il corpo di s. Savino sarebbe stato trasferito in Ivrea nel 956 dal duca di Spoleto Conone, o Corrado, figlio di re Be­ rengario, marchese d’Ivrea. Ivrea possederebbe « molta parte delle sue reliquie colla testa».164 2. Secondo gli scrittori di cose fermane Gregorio Magno avrebbe donato a Fermo « la testa » di s. Savino. 3. Monselice nel Padovano, Monte S. Savino in Toscana e Siena possederebbero « il corpo o altra insigne reliquia»; Acquapendente «le m ani».165 4. Le reliquie di s. Savino sarebbero state spedite nel Belgio a Cono cardinale nel 1112.166 5. Il corpo di s. Savino si sarebbe trovato in Ravenna nella chiesa di S. Apollinare Nuovo dall’arcivescovo Filippo Fontana nel maggio del 1266.167 6. Nel 1765 sotto il pavimento di S. Maria in Aventino in un reliquiario di marmo fu trovata un’iscrizione che cominciava: « f Hic reconditum est caput sancii Savini episcopi et mar-

164 G. Soraglia, Memorie storiche sulla Chiesa d’Ivrea, Ivrea 1881, pp. 36-37; Balla, Notizie storiche di S. Savino, cit., pp. 53-55. 165 Balla, op. cit., pp. 51, 77-78; Magnani, Vite de’ Santi della diocesi di Faenza, cit., pp. 79-80; O. Spader, Assisiensis Ecclesiae quatuor lumi­ naria, cit., p. 78. 166 Acta SS., Ian. II, Parisiis 1863 (3* ed.), p. 115. 167 v . F ederici, Regesto di S. Apollinare Nuovo, Roma 1911, p. 202; R ubeus , Historiarum Ravennatum, cit., p. 442.il il

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV· secolo

tyris » ecc. Il Tomasetti168 credette che l’iscrizione risalisse al VI secolo, ma le Analecta Bollandiana molto giustamente ne du­ bitarono.169 Forse questo è « il capo di s. Savino» che, secondo il cronista faentino Zanelli,170 sarebbe stato trovato a Roma nel 1766 nella chiesa dei SS. Quattro, ripostovi, come egli scrive, da Gregorio VII in una cassa d’argento? 7. Secondo una recognizione del 4 dicembre 1616171 nel mau soleo della cattedrale di Faenza, sopra descritto, si troverebbero, come trasferite da Fusignano, « molte ossa e il capo di s. Savino con undici denti », e nella chiesa di S. Savino di Fusignano si conserverebbe « parte del cranio ». Evidentemente queste deplorevoli reduplicazioni o moltipli­ cazioni di reliquie debbono attribuirsi, come in altri casi consi­ mili, o a errore o a frode. Forse si scambiarono sanctuaria, o o altre reliquie rappresentative di s. Savino, per reliquie vere e proprie. Forse si prese una parte del corpo per tutto il corpo. Nel latino medievale corpus si adoprò talora per una parte del corpo, od anche per altre reliquie di altro genere. Forse si cre­ dettero appartenere a s. Savino reliquie corporee anonime trovate presso un altare o in un santuario a lui dedicato; o trovate presso il suo antico sepolcro, donde erano già state asportate, ma delle quali ignoravasi il trasloco o il furto. Oppure si trattò di frodi più o meno pie. Ad ogni modo nello stato in cui sono le cose lascio giudicare ai lettori se possa credersi con qualche fonda- | mento che alla metà incirca del XV secolo il corpo di s. Savino 323 riposasse nella chiesa rurale omonima presso Fusignano, donde sarebbe stato trasferito in Faenza. Non è difficile spiegare come in Fusignano sia nata la per­ suasione che la cappella rurale di S. Savino contenesse i resti mortali del santo titolare. Giaceva una volta presso di essa (ed ora dentro) un grande sarcofago marmoreo ravennate con sculture cri­

168 F. T om assetti , le ttin o

d e lla

N o tizie

C o m m issio n e

in to r n o

a rc h e o lo g ic a

a d a lc u n e c o m u n a le

c h ie se di

in B a l ­ XXXIV, 1905,

di R om a,

R om a,

pp. 329-343. B o l l . , XXIX, 1910, p. 344. Ms. nell’Archivio capitolare, I, 8. in Rog. nell’Archivio capitolare. Gli autori della Vita di s. Savino del XVII secolo (ms. 185 e 188 nella Bibl. com. di Faenza) narrano che la recognizione del 1616 fu fatta « per levare di sospetto molta gente e principalmente quelli di Fusignano che pretendevano havere loro il detto corpo ». 169 A n a l . 170

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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stiane, probabilmente del VI secolo.172 Questa splendida e ampia sepoltura che cosa poteva contenere per i rozzi abitanti del paese se non le ossa del santo titolare della chiesa e magari della sua famiglia? Così fu ritenuto. E poiché sapevasi dalla Passione che s. Savino era stato martirizzato e sepolto in Spoleto, si conchiuse che il corpo doveva essere stato trasportato di là nella Selva Liba presso Fusignano. Nella Passione la sepellitrice spoletina prende il nome di Serena matrona; si pensò quindi che questa stessa avesse trasferito le spoglie mortali del martire nel territorio faentino. I fusignanesi medievali ignoravano che cotali traslazioni di corpi santi nel secolo IV non erano in uso. Gli abitanti del territorio di Fusignano non solo si diedero a credere che le ossa di s. Savino riposassero nella chiesa rurale omonima, ma che il santo stesso da vivo avesse condotto vita ere­ mitica nella Selva Liba, che in tempi antichi ingombrava quei territori; e che da quel romitaggio si fosse recato ad Assisi, dove, secondo la Passione, era stato catturato. Si suppose, naturalmente, che Savino fosse stato creato vescovo di Assisi dal clero e dal popolo di quella città. I popoli di tutti i paesi secondo una legge del folklore ben accertata, tendono a collegare col paese i numi tutelari del luogo o titolari dei loro templi, i santi protettori del territorio o titolari delle loro chiese, i personaggi venerati o co­ munque ricordati con onore nel paese: e così si danno facilmente a credere che essi vi siano nati, o almeno vi abbiano dimorato, vi abbiano operato le gesta della loro vita o vi siano morti o sepolti. Inutile accumulare esempi che sovrabbondano. Per re­ stringermi alla nostra diocesi, e a s. Savino in particolare, noto che i contadini di Castel Raniero sulle nostre colline credono che il patrono s. Apollinare di Ravenna si sia recato colà a pregare. Gli abitanti della Valle del Lamone dicono che s. Cristoforo, che ha dato il nome a certe acque salubri che vi scaturiscono, sia passato per di là a bere a quella fonte. I parrocchiani della villa di S. Potito presso Lugo pensano che il loro protettore abbia condotto vita eremitica in quel luogo. In quanto a s. Savino, gli abitanti di Spoleto credettero che il santo martire fosse nato in essa: quelli di Fermo, che vantavansi, come si è detto, di possedere il capo del santo, lo fecero pure loro concittadino e della famiglia di Vespasiano imperatore! I cittadini di Monselice lo hanno fatto

172 Grisar , Histoire de Rome, cit., I, liv. II-IV, p. 268 n. 3; R. Garrucci , Storia dell’arte cristiana, I, Prato 1873, pp. 23, 134, tavv. 311, 391-393.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

nascere « della nobilissima casa Fontana col cognome de’ conti Cumani » ; quelli di Monte S. Savino hanno creato il loro protet­ tore vescovo della vicina Chiusi, e hanno trasportato sul loro colle un fatto miracoloso intorno al santo narrato da Paolo Dia­ cono come avvenuto in Pavia;173 altri lo hanno fatto vescovo di Arezzo.174 Final- |mente vi è stato in Faenza dopo il secolo XV chi ha pensato di elevare s. Savino al seggio episcopale di Faenza.175 Un agiografo s’incaricò di dare forma scritta a queste per­ suasioni del volgo fusignanese. E, secondo un costume famigliarissimo a siffatti scrittori, copiò un modello anteriore, cioè la leggenda dei ss. Saviniano e Savina (BHL 7408-7409) e l’adattò con poche varianti al suo caso. Questa leggenda, anteriore al IX secolo,176 nota ai Passionari della provincia di Ravenna,177 conviene punto per punto colla leg-

173 Historia Langobardorum, VI, c. 58. 174 F. Ughelli , Italia Sacra, I, Venetiis 1717 (2“ ed.), coll. 1254-55; B. Campello , Delle historié di Spoleti, Spoleti 1672, p. 170; Magnani, Vite de’ Santi di Faenza, cit., pp. 79-80; Spader , Assisiensis Ecclesiae quatuor luminaria, cit., pp. 69-70; Balla , Notizie storiche su S. Savino, cit., p. 74; P h . F errari, Catalogus Sanctorum Italiae, Mediolani 1613, p. 761.

175 Vedasi su questa erronea opinione il mio lavoretto del 1903, p. 26 nota 7, e F. L anzoni, Cronotassi dei vescovi di Faenza, Faenza 1913, pp. 13-15. Rileggendo gli atti della Visitatio Apostolica del 1573. (ms. nel­ l’ archivio della cancelleria vescovile) ho trovato che il prim o a conget­ turare che san Savino fosse vescovo di Faenza fu il notaio del vescovo visitatore di quel tempo, mandato in Faenza da Gregorio XIII. Il notaio e il visitatore erano ambedue estranei a Faenza e alla Romagna. Il notaio adunque descrivendo la visita della cattedrale scrive (fol. 15): «D evenit ad cappellani s. Savini episcopi faventini et martyris ». E non è da me­ ravigliare che il notaio del 1573 abbia supposto che san Savino vescovo, sepolto in Faenza, fosse stato vescovo di questa città quando si pensi che nel 1533 Girolamo di Treviso dipingendo a chiaroscuro nella cappella mag­ giore della Commenda i quattro santi protettori per ordine di fra Sabba da Castiglione (cfr. L anzoni, S. Pier Damiano e Faenza, cit., p. 132 lin questo volume a pp. 68-691), ritrasse il levita san Terenzio « vestito da vescovo con mitra in capo » ; che san Terenzio stesso fu considerato ve­ scovo di Faenza pure dal compilatore dell’Indice alfabetico di Faenza nella storia e nell’arte, opera stampata in Faenza nel 1909, e che finalmente sant’Emiliano passa pure per « évêque de Faenza » nel Catalogue itinéraire del Musée Iacquemart-André, edito a Parigi (p. 122) dopo il 1913. 176 Cfr. il cod. 482 della Regina di Svezia in Vaticano, ff. 27-34, e il cod. 29 Farfense della Bibl. Naz. di Roma, ff. 272-276. 177 Cfr. il cod. 5 Sessoriano nella Bibl. Naz. Rom., ff. 74-76, il cod. 1190, ff. 102-105, e il cod. 6073, ff. 242-244 della Vaticana, tutti e tre provenienti dall’antica provincia ecclesiastica di Ravenna.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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genda fusignanesce. Il lettore, se crede opportuno, può confron­ tare tra loro i due testi. Le differenze sostanziali consistono sol­ tanto in questo: cioè che il nostro s. Savino si fa nascere in Sulmo, città della Campania (sic), e che invitato dall’angelo abbandona la casa paterna e viene a far vita solitaria nella Selva Liba, men­ tre s. Saviniano viene alla luce in Samon (la patria del celebre martire S. Cristoforo, la cui Passione è seguita e copiata dall’au­ tore della Passione dei ss. Saviniano e Savina), e per invito del­ l’angelo lasciato il patrio tetto va a condurre vita solitaria in Troyes di Campania (Gallie). In secondo luogo nella Passione dei ss. Saviniano e Savina, quest’ultima, sorella di Saviniano e figlia di Savino, partita da Samon con una serva, di nome Massiminola, per trovare il fratello, passando per Roma e per Ravenna giunge a Troyes e vi muore presso la tomba del fratello martire, mentre la sorella del nostro s. Savino, di nome Diocleziana va in cerca del fratello con una serva di nome Mindonia, e peregrinando per Roma e per Ravenna fino alla Selva Liba, muore presso la cella già abitata da Savino eremita. È inutile investigare perchè l’au­ tore anonimo abbia cambiato Samon in Sulmo, Sabina in Diocletiana, Maximinola in Mindonia, perchè si tratta di procedimenti assolutamente fantastici, dipendenti dal capriccio degli scrittori. Le più antiche testimonianze della leggenda fusignanese sono : 1. due bassorilievi del sepolcro di s. Savino, lavorato da Rene­ detto da Maiano tra il 1468 e il 1471 per la cattedrale di Faenza (§ I, n. 2). L’uno 178 rappresenta s. Savino nella solitudine della Selva Liba che riceve da un angelo l’ordine di recarsi in Assisi a predicare la Fede Cristiana; e l’altro rappresenta il santo sermocinante in bigoncia in mezzo a numeroso popolo ammirato ed estasiato. Ambedue questi quadri non deri- |vano dalla Passio 325 s. Sabini, come gli altri del medesimo artista, ma unicamente dalla leggenda fusignanese. 2. L’ufficio proprio della cattedrale (§ I, n. 2). Esso è posteriore al 1438, come appare dall’antifona al Magnificat : « 0 lumen et decus Faventie, lampas et margarita refulgens (...) o singulare presidium ». Così non si sarebbe cantato nella cattedrale di Faenza se già essa non possedeva il sacro de­ posito. Ma si è detto di sopra (§ I, n. 2) che la traslazione delle ossa da Fusignano a Faenza avvenne tra il 1438 e il 1441. Però

178 Somigliantissimo a quello della stimmatizzazione di san Francesco del pulpito di Santa Croce in Firenze, opera, come è noto, del medesimo artista.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

la leggenda fusignanese scritta, donde rufficio dipende è anteriore al 1438. Infatti essa non conteneva nella sua redazione primitiva, oggi perduta ma probabilmente conservataci dalla versione conte­ nuta nel cod. 188 della Bibl. Com. di Faenza (§ I, n. 2), la tra­ slazione del 1438-41. Se la leggenda fosse stata composta dopo questo tempo, verosimilmente non avrebbe passato sotto silenzio il trasferimento fatto da Astorgio II. La leggenda fusignanese fu quindi composta fuori di Faenza, forse in Fusignano stessa. Quando, non è dato sapere; ma vero­ similmente non molto prima del XV secolo. 3. — Quando fu scritta la Vita prima di s. Emiliano? Essa compare la prima volta nelle Legendae de sanctis di fra Pietro Calo di Chioggia ( f 11 die. 1348), compilazione del 1340 c. Non credo che il De sancto Emiliano di fra Pietro sia opera dell’agiografo domenicano, come pare opinino i padri Bollandisti.179 Quel documento, pieno di cose faentine, dev’essere stato composto da un faentino, o almeno in Faenza, sede esclusiva del culto di s. Emi­ liano. Fra Pietro l’avrà ricevuto, direttamente o indirettamente, da Faenza. La Vita prima però non sembra molto anteriore al 1340 c. Eccone le prove. La Vita prima conviene quasi ad verbum con un racconto della Cronaca del Tolosano, canonico faentino, come appare dal seguente specchietto: La Vita prima (Acta SS. Nov. III, p. 294 coi. 1)

II T olosano (M ittarelli, Rer.

Tempore autem quo Luitptrandus Langobardorum rex cum co­ pioso exercitu contra Romanos arma sumpsit et omnes civita­ tes sibi resistentes aut occupare aut sibi subjugare decrevit, Fa­ ventia civitas potens erat et for­ tis, quam Fabrius (?) romanorum consul in pulcro et uberrimo situ aedificavit eamque a suo nomine

Flavius, nobilis et ditissimus Romanorum, regali stirpe genitus (...), civitatem aedificavit, quam a suo nomine Flaviam vocari voluit. Ad hujus vero civitatis edificationem viros belicosos atque constan­ tia pollentes undique congregavit (...) Muris maximis, altissimis tur­ ribus (...) civitatem munierunt, quod inexpugnabilis ab omnibus

Fau. Script., coli. 11-16)

179 « Auctore Petro Calo », scrive la Bibi. Hag. Latina, Supplementi editio altera auctior, Bruxelles 1911, p. 7.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza denominavit Faventiam, et muris et turribus circumdedit et quasi tutum refugium roboravit, bellico­ sis repletam civibus, qui a Roma­ norum prosapia ducebant originem et contra omnes homines pro vi­ ribus romanam defendebant liber­ tatem. Hanc itaque predictus rex sibi omnino resistentem agnoscens, et quia ipsam vi capere non posset diffidens, quia viribus non poterat, dolo et sagacitate impetere con­ tendit. Cum igitur in sabbato sanc­ to Pasce apud ecclesiam Sancte Marie foris portam sacrum bapti­ sma ageretur, et universus populus ibi secundum consuetudinem per­ venisset (o convenisset?), prefatus rex cum preparato exercitu civita­ tem occupavit, et quosdam per por­ tam Flamineam alios per portam Emiliensem intromittens armatos, menia et munitiones omnes, nullo resistente, pervasit, civiumque per­ territorum et sine armis occursan­ tium, maximam stragem dedit (o fecit?), victorieque confidentiam ha­ bentes, hostes muros subeunt, tur­ res civitatis, domos et palacia, quibus civitas pollebat funditus subruunt, ecclesias et xenodochia, divina et humana promiscua ha­ bentes, letanter deiciunt. Hac ita­ que potiti victoria, et civitate om­ nino destructa, ad alia se loca ex­ inde contulerunt.

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iudicabatur (...) Civitatem vero Fid­ ine, eo quod cives omnibus et ma­ xime Romanis favebant, (...) impe­ rator (Constantinus) iussit a faven­ do vocari F aven dam : insuper ip­ sam multis excellentie et libertatis muniit privilegiis (...) Lioprandus rex Lombardorum, qui Romanorum odio Favenciam maxima ex parte aestivo tempore multocius devastabat in frugibus, non enim prelio aliquo vel obsi­ dione poterat superari (...) cepit inquirere quomodo faventinos (...) possit perdere. Verum quia multo­ rum relatione intellexit civitatem fore inexpugnabilem, viros fortes, bello acerrimos, consilio sagacis­ simos, | multum in armis et urbis fortitudine confidere, et quoniam prelio non potuit opprimere, stu­ duit insidiis et arte ad effectum perducere (...) Parato exercitu ma­ gno, nominatus rex maximis tem­ poribus (o itineribus?) et occultis festinavit venire Favenciam, et sabbato sancto (...) pater per por­ tam Emiliam (...) filius per Flami­ neam portam in civitatem subito intraverunt, omnes viros et mulie­ res, senes cum junioribus, quos in­ venerunt, in ore gladii perimentes. Populus totus tum aberat pro pue­ ris baptizandis aput Sanctam Ma­ riam foris portam (...) Ex populo nempe pauci evaserunt, omnibus aliis interfectis seu vinculis man­ cipatis (...) Tota igitur civitate ul­ trici flamma combusta, et funditus edificiis et turribus in terram p ro­ stratis (...) sicut vetutissima refe­ rente fama que usque manavit.

326

L’unica divergenza tra i due racconti sta in questo che il Tolosano asserisce che il fondatore di Faenza, nobilis et ditis­ simus romanorum chiamavasi Flavius, e dal suo nome chiamò Flavia la novella città, quindi da Costantino imperatore denomi­ nata Faventia a favendo; mentre la Vita afferma che aveva nome

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Fabrius (?) e che da lui fu chiamata Faventia.m Non mi sembra probabile che il Tolosano abbia desunto la narrazione della di­ struzione di Faenza per opera di Luitprando dalla Vita prima di s. Emiliano: perchè il Tolosano nella sua Cronaca non dice nulla dell’invenzione e della traslazione delle ossa del santo, av­ venimenti legati intimamente nella Vita prima colla distruzione di Faenza e colla sua ricostruzione. Di più il racconto del Tolo­ sano, quantunque favoloso, come quello della Vita, corre molto meglio; e quindi lo giudicherei anteriore. Non mi sembra accet­ tabile che tanto la Vita prima quanto il Tolosano dipendano da un documento scritto comune, di cui non si ha alcuna notizia. Di più se le parole con cui il Tolosano conchiude la sua narra­ zione della presa di Faenza: « sicut vetustissima referente fama que usque manavit », non si riferiscono soltanto all’ultimo epi­ sodio della presa di Faenza (da me tralasciato nel testo citato) ma a tutto il racconto, esse escludono evidentemente nel Tolosano l’uso di una fonte scritta. Neppure credo si possa ammettere che il Tolosano e la Vita dipendano ambedue dalla fama vetustis­ sima, perchè si tratta di due racconti concordi nelle più piccole circostanze, anzi spesso concordi nelle frasi e nelle parole.

180 Di nuovo (c. 150) il Tolosano chiama Faenza Flavia. Che nel me­ dioevo Faventia si derivasse a favendo nessuna meraviglia. Siffatte eti­ mologie banali erano allora molto in uso. Ma non mi riesce agevole lo spiegare perchè si credesse che Faventia fosse fabbricata da un Flavius e detta Flavia, quindi Faventia a favendo. Negli antichi documenti Faenza è detta costantemente Faventia. Ma che veramente in antico Faventia abbia portato il nome di Flavia, per concessione dei Flavii, come Flavia Nea­ polis in Palestina, o di Costantino, come Hispellum nell’Umbria? La Vita prima di sant’Emiliano avrebbe semplificato la genesi etimologica del To­ losano derivando direttamente Faventia da Fabrius (Flavius o Faviusl). La Vita anonima di un beato Novellone terziario faentino, scritta non molto dopo il 1415 (F. L anzoni, Una Vita del beato Novellone faentino, in A rchi­ vum Franciscanum Historicum, VI, 1913, estr., p. 23 [in questo volume a p. 265]) appella il fondatore della città Favius: «civitate Faventie a Favio illustrissimorum romanorum comite edificata»; e p oco prima di questo anonimo Benvenuto da Imola nel suo Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam (Firenze 1887, 3, p. 390), terminato nel 1410, scrive: « Faventia olim dieta est Forum Favii (ricordiam o che è un cittadino del­ l’antica Forum Cornelii che scrive) a Favio ro m a n o ».“ “ Nel comento della Comedia di Matteo Chiromono del 1461 (cf. L’anno dantesco a Faenza di C. R ivauta, Faenza 1922, p. 70) si legge come nel comento di Benvenuto da Imola: «Faventia olim Forum (per errore nella stampa Farum) Favii a Favio (per errore: Fanii a Fanio) romano no­ minata fuit ».

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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Mi sembra adunque più probabile che la Vita prima si sia ser­ vita della Cronaca del Tolosano. Ora il canonico autore morì nel 5 aprile 1226 181 e l’anonimo continuatore della ero- | naca di lui 327 finì l’opera sua nel 1236.182 Quindi la Vita prima di s. Emiliano sarebbe stata composta tra il 1226-36 c. e il 1340 c. Forse più vicino al termine ad quem che al termine a quo. Il risveglio del culto di s. Emiliano a Faenza nel 1321 (§ I, n. 1) avrà indotto qualcuno, come in molti altri casi consimili è avve­ nuto, a scriverne la Vita. Tutto mi fa credere che gli otto miracula registrati in fine della Vita siano quegli stessi che persuasero il vescovo Ugolino a decretare la celebrazione della festa del santo nella città e nei sobborghi. Qual è il valore storico di questo documento? La topografia faentina medievale conferma il racconto della Vita prima. Quantunque dissacrate fin dai tempi napoleonici, esi­ stono ancora in Via Naviglio (num. 39) dirimpetto alla Caserma S. Chiara la chiesa di S. Clemente, donde il corpo di s. Emiliano sarebbe stato trasferito in città, e lungo la medesima strada a circa 150 m. da S. Clemente, dirimpetto al Vicolo Ugolino d’Azzo Ubaldini al civico numero 5, la parrocchia di S. Emiliano, che lo avrebbe accolto. La chiesa di S. Clemente compare nelle prime carte medievali faentine scampate al naufragio. Il vescovo Ilde­ brando (... 1 mag. 998-30 apr. 1016 ...) donò al capitolo dei cano­ nici della cattedrale « medietatem de Castaneto et medietatem ecclesie S. Clementis »,183 e nel 1123 i canonici faentini fecero una concessione libellatica di ciò che possedevano «in Castagnetulo».184 Questa chiesa di S. Clemente fu donata al monastero di S. Be­ nedetto di Biforco nel 1074 dall’arcivescovo Guiberto di Bavenna.185 Una carta del 1135 parla di una «regio S. Clementis».186 Prima dell’allargamento delle mura del secolo XV la chiesa di S. Cle­ mente sorgeva veramente fuori della città presso la cosiddetta porta del conte (porta Comitis), come si legge in molti documenti faentini dal secolo XII al XIV.187 L’agglomeramento di case situato presso la Porta Comitis si chiamava « burgus S. Clementis », o

181

M i t t a r e l l i , Rer. Fav. Script., cit., coll. 169-170. 182 Ibid., coll. 170-194. 183 Carta capitolare del 1045. 184 M i t t a r e l l i , op. cit., col. 418. 185 Ibid., col. 405. 186 Ibid., col. 424. 187 Cfr. Iura antiqua, f. 44 b, nell’Archivio capitolare.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

« burgus Portae Comitis ».188 La Porta Comitis fu così denominata « dalla residenza ordinaria ivi vicina dei conti della città nei tempi più antichi »,189 vale a dire nei secoli IX-XI incirca; si disse anche Porta Ravennatis perchè per essa andavasi verso Ravenna.190 Non si conosce esattamente il luogo preciso ove sorgesse la Porta Comitis, ma dagli studi del Medri191 e da mie personali ricerche si deduce con qualche probabilità che essa era situata non molto lontano dal portone del palazzo Ferniani, ossia lungo l’odierna Via Naviglio tra S. Clemente e S. Emiliano. Non posseggo alcuna memoria sul Trivio dei fichi, ricordato dall’Azzurrini.192 Nè si ha ragione di negar fede alla Vita prima, dove afferma che l’odierna chiesa di S. Emiliano prese questo titolo dopo la traslazione delle ossa del santo da S. Clemente in quella chiesa; e che prima della traslazione la chiesa di S. Emiliano [ chiamavasi 328 « S. Maria Comitis ». L’attuale chiesa di S. Emiliano sorge presso l’antica Porta del Conte-, quindi nessuna meraviglia che in antico essa pure si denominasse del Conte. Come suol avvenire in casi analoghi, la chiesa di S. Maria del Conte dopo la traslazione di s. Emiliano si sarà chiamata promiscuamente ora S. Maria del Conte ora S. Emiliano, e quindi il vecchio nome sarà andato in disuso. Così la porta nord della città nei secoli XII e XIII veniva detta contemporaneamente ora Porta del Conte ora Porta Ravegnana e poi finalmente il primo nome decadde.1931 4 Purtroppo 9 nulla più esiste della residenza dei conti di Faenza, che diede il nome alla porta, ma non poteva essere dalla porta stessa molto lontana, quindi S. Emiliano trovavasi vicino tanto alla Porta del Conte quanto alla residenza del Conte. Nulla quindi impedisce di identificare S. Emiliano colla S. Maria del Conte.m La Vita prima

188 Mittarelli, op. cit., col. 554; V apgimigli, Memorie, cit., V ili, p. 69. 189 T onduzzi, Historie, cit., p. 410. 190 M i t t a r e x x i , op. cit., coll. 85-86. 191 A. M e d r i , Sulla topografia antica di Faenza, Bologna 1908, p. 17. 192 Probabilmente l’odierna Via Naviglio corrisponde presso a poco al Kardo Maximus della Faenza romana. 193 Nella carta capitolare 10 luglio 1147 trovasi un « presbiter Ugo ec­ clesie fìliorum quondam Alberici » che nella notizia dorsale vien detto « Ugo presbiter S. Michaelis heredum quondam Alberici », quindi anche quest’ antica cappella di Faenza aveva nel 1147 due nomi. 194 Fa meraviglia che l’Azzurrini, faentino, nella sua Vita di sant’Emiliano confonda S. Maria del Conte, posta dentro le mura a nord della città, con S. Maria foris portam, che fu l’ antica cattedrale, situata fuor delle mura a sud-ovest.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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presso fra Pietro Calo e la trascrizione dell’esemplare della li­ breria dei domenicani fatta dall’Azzurrini (§ II, n. 4) scrivono che la chiesa di S. Maria del Conte sorgeva « non longe a prae­ torio consulis ». Consules dicevansi a quei tempi i componenti i tribunali municipali. Nella carta capitolare del 1045 c’è un Farolfo console. Probabilmente il praetorium consulis e la residenza del conte erano una stessa cosa. Si hanno altri argomenti per identificare la S. Maria del Conte della Vita prima coll’attuale S. Emiliano. Sullo scorcio del secolo X V II195 le cappelle o parrocchie della città e dei sobborghi di Faenza erano divise in quattro Congregazioni, denominate S. Emiliano, S. Bartolomeo, S. Croce e S. Salvatore. Prendevano il nome da quattro chiese o parrocchie esistenti nei quattro quar­ tieri o rioni della città, la prima nel Rione Rosso, la seconda nel Verde, nel Giallo la terza e la quarta nel Nero. Queste congre­ gationes, presiedute da un primicerius, eletto anno per anno, sono molto più antiche; risalgono almeno al secolo XII; e nel se­ guente 196 formarono un corpo solo o collegio, detto « conventus presbiterorum civitatis Faventie et burgorum». Come appare da una carta capitolare del 24 luglio 1192,197 la congregatio S. Aemi­ liani comprendeva nove parrocchie, cioè S. Emiliano, da cui la Congregazione prendeva il nome, S. Simone, il cui prete era in quel giorno primicerius congregationis, S. Abramo, S. Tommaso, S. Stefano, S. Vitale, S. Ilaro, S. Paterniano e S. Savino. Queste otto ultime cappelle sorgevano nel territorio nord-ovest della città, quindi verosimilmente anche S. Emiliano; la quale per con­ seguenza doveva trovarsi non lungi dalla porta del Conte situata a nord. Più ancora. In una carta capitolare del 10 agosto 1155 leggevasi al tempo del Mittarelli198 (ora la pergamena è talmente svanita che non sono riuscito a vederlo) : | « Petrus presbiter et 329 primicerius congregations S. Marie de Comite ». È l’unica carta faentina ove è rimasta menzione di S. Maria del Conte. Questa chiesa non poteva essere molto discosta dalla Porta del Conte e

195 V a l g i m i g l i , Memorie, I, pp. 287-288. 196 Almeno dal 1267. Cfr. Istrumenti e testamenti dal 1236 al 1475, ms. del XV secolo nell’ archivio del Collegio dei parroci di Faenza, cc. I e VI. Vedi pure nel medesimo archivio Costituzioni del collegio 1367-1616, ms. del XIV secolo, c. VI. 197 M 198

it t a r e l l i,

Ibid.,

c o l.

op.

c it .,

c o l.

457.

438.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

dalla residenza del Conte: quindi doveva trovarsi nella regione nord della città. Così pure la congregatio S. Mariae de Comite doveva stendersi nella medesima regione. Ma, come si è visto, nel secolo XII la regione nord della città era occupata dalla congregatio S. Aemiliani. Non è probabile che nello stesso quar­ tiere vi fossero due chiese congregazionali. Quindi la chiesa e la congregazione di S. Emiliano deve identificarsi con quella di S. Maria del Conte.199 Se la topografìa della Vita prima corrisponde alle più antiche memorie storiche faentine, il racconto di quel documento solleva dubbi non lievi. Certamente la città di Faenza passò dal governo bizantino sotto i Longobardi negli ultimi anni del regno di Luitprando; ma non è ammissibile che la città al tempo di re Luitprando, nel 740, come vuole il Tolosano, fosse completamente distrutta nel modo esposto da lui, quindi riedificata per opera dello stesso re, de­ funto nel 744. Già il Tonduzzi 200 dubitò del racconto del nostro antico cronista scrivendo: «se deve haver luogo alcuno il suo detto »; e si mostrò più propenso ad ammettere la presa di Faenza nel 741-42. L’Azzurrini201 (o altri prima di lui) credette di correg­ gere la tradizione del Tolosano, trasportando la presa di Faenza da re Luitprando a re Astolfo; quantunque con manifesta con­ tradizione conservasse l’anno 740, in cui Luitprando regnava non Astolfo. Nella mia Cronotassi dei Vescovi di Faenza, 2 0 2 pur riget­ tando un’intera distruzione e ricostruzione di Faenza al tempo di Luitprando, e nelle circostanze favolose narrate dal Tolosano (circostanze desunte dalla presa e distruzione di Forlimpopoli compiuta da re Grimoaldo 203 nel secolo VII), non mi parve im­ probabile che Luitprando e suo figlio s’impossessassero di Faenza

199 Sulle altre congregationes le notizie non sono molto sicure. Il Ton­ duzzi (Historie, p. 17) conosceva un istrumento faentino ove era ricordata la Congregazione di S. Croce. A questo proposito il Valgimigli (Memorie, I, p. 285) cita il Mittarelli, ma in esso nulla si trova. Una carta capitolare dell’ 8 dicembre 1159 (Mittarelli, col. 440) ricorda la « congregatio S. Marie de Curie ». Questa cappella sorgeva nel Rione Giallo e fu con­ cessa ai religiosi Serviti nel 1318 dal vescovo Ugolino (T onduzzi, p. 37), quindi fu distrutta. La sede della Congregazione si sarà trasferita altrove. 200 Historie, pp. 133-135. 201 Liber Rubeus, c. 115 b. 202 p p . 32-33. 203 Pauli, Historia Longob., V, 27.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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in quell’anno 740 colla forza. Giuseppe Donati 204 credette invece che la nostra città si arrendesse a Luitprando, senza opposizione, nel 743-744. Non è questo il luogo di discutere sopra siffatto ar­ gomento. Ad ogni modo una distruzione tale di Faenza sotto Luitprando, che sconvolgesse la città e i dintorni e dispergesse ogni traccia del sepolcro di un s. Emiliano presso la chiesa di S. Clemente, è un fatto, a dir poco, assai incerto. Io noto negli scrittori faentini una tendenza manifesta a col­ legare colla pretesa distruzione di Faenza per opera dei Lango­ bardi i fatti della storia faentina, veri o no, di cui non conoscevasi il tempo preciso. Per esempio il Tolosano stesso mette in relazione con quel disastro, tanto il racconto delle prime origini del capo-stipite della potente famiglia medievale faentina dei Caminiza,205 quanto l’origine di un proverbio | sui faentini che 330 doveva correre in Romagna al suo tempo.206 Così pure un’avven­ tura, evidentemente romanzesca, somigliantissima, meno alcune circostanze di tempo e di luogo, alla novella quinta della quinta giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio, avventura che forse formava il sollazzo delle brigate faentine nel medioevo, da uno scrittore faentino anonimo 207 fu collocata nella nostra città in occasione della sua presa e distruzione per opera di Luitprando. È lecito quindi sospettare che il nostro anonimo, ignorando il tempo preciso della fortuita invenzione di s. Emiliano e della tra­ slazione di lui in S. Maria del Conte, seguendo l’andazzo, abbia tentato di spiegare la dimenticanza generale in cui sarebbe ca­ duta, secondo lui, la tomba del santo presso S. Clemente, col supporre che il sepolcro fosse stato sconvolto durante la famosa presa e distruzione della città sotto Luitprando. Ma lasciando stare la discussione sulle cause che avrebbero potuto produrre la generale dimenticanza del sepolcro, la storia di Faenza nulla possiede nè per confermare nè per contraddire che, al tempo in cui dominavano i conti (cioè tra il IX e l’XI se­ colo) i resti mortali del s. Emiliano venerato fin dal XII secolo nella chiesa omonima fossero in essa trasferiti dalla regione di S. Clemente, dove sarebbero stati fortuitamente ritrovati. Il si-

204 Ipotesi sull’origine del potere civile dei vescovi in Faenza nel me­ dioevo, Faenza 1916. 205 M i t t a r e l l i , coll. 12-16. 206 ibid., coll. 15-16. 207 Gir. Liber Rubeus, cc. 59-60 e 148-149; T onduzzi, Historie, p. 134; M ittarelli , op. cit., coll. 368-371; V algim igli , Memorie, I, p. 159 in nota.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

lenzio del Tolosano su questo avvenimento non suffraga contro, perchè l’antico nostro cronista tace o ignora troppe cose della storia cittadina anterioreml suo tempo. Nè fa difetto il non tro­ varsi memoria dei conti Bernardino ed Ermellina, sua consorte, perchè le carte faentine dei secoli IX, X e XI sono quasi tutte perdute. Dei nostri conti appena una carta capitolare 208 del 1 aprile 1069 conserva il nome di un Wido de Faventia comes. L’Azzurrini,209 compendiando la Vita prima, secondo la redazione esistente nella libreria dei domenicani di S. Andrea (§ II, n. 4), chiama il marito di Ermellina Bernardinus de Cunio (celebre ca­ stello sul fiume Senio, vicino a Faenza, oggi scomparso). Non sa­ prei dire se l’Azzurrini abbia desunto questa notizia dalla suddetta redazione, o da altra fonte. La Vita, pubblicata da Pietro Calo, e le altre fonti faentine tacciono di questo particolare. Certo è però che il nome di Bernardino fu usitato nella famiglia dei conti di Cunio210 nel XIII, XII e XI secolo: e che il primo dei conti del territorio faentino combattuto dal sorto Comune di Faenza fu appunto il conte di Cunio.211 Di più, nel tempo in cui, secondo la Vita, sarebbero avvenute la inventio e la translatio di s. Emiliano, appunto soleva darsi a certi fatti, meno strani ancora dei due ceffoni misteriosi della Vita stessa, il significato di segni celesti indicanti che il luogo ove i fatti stessi avvenivano, era sacro o contenente cosa sacra: « tune quidam cives penitus de sacro corpore ignorantes », scrive la Vita di fra Calo, « cumulum feni in loco, ubi corpus sacrum iacebat, quasi in absoluto et licito, costruxerunt. Ubi dum duo sermocinarentur incertus se (o inter se?), alter eorum colaphum magnum accepisse persensit (...) Stupefacti, non sine causa id (ad)venisse arbitrati sunt\ prefatum igitur comitem adeuntes cuneta sibi (...) retulerunt. Qui magnum mira- | culum credens cum veneratione maxima locum adiit et fodi fecit ». Nei secoli X e XI in Italia e altrove si credette d’aver trovato corpi santi sotterra per segni o indizi somigliantissimi a quelli narrati dal nostro anonimo. Pier Damiano nel sermone da lui scritto in lode di s. Mauro vescovo di Cesena, narra che il culto del santo ebbe inizio per un fatto strano avvenuto sopra un’arca quasi del tutto

208 Mittarelli, op. cit., col. 404. 209 Líber Rubeus, c. 59 a. 210 Mittareixi, op. cit., coll. 171, 278, 281, 289, 298, 320, 522, 542; G. Solieri, Alberigo da Barbiano, Iesi 1908, pp. 17, 19. 211 Mittarelli, op. cit., coll. 27-31.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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sepolta sotterra e situata presso una chiesa: «Curri arca illa», egli dice, « terrae undique crescente congerie, delitesceret et vix saxi ipsius summitas solotenus emineret, contigit ut homo quidam cum litaniis adveniens, soluta caligae ligula repente illic pedem poneret et nil tale existimans secure ligaret. Vincto igitur talo, cum iam vellet abscedere, pedem nullo modo potuit amovere. Cumque diu conaretur et omnia tentans huc illucque se verteret, pes nihilominus stabat immotus et velut quibusdam clavis saxo tenebatur affixus. Stabat miser ignoti criminis reus et qui sibi corrigiam ligare voluerat, semetipsum potius ligasse dolebat (...) Repentino populi adventante concursu, alii malleis alii securibus gestientes, partem lapidis praeciderunt, et post multa vix homi­ nem de saxo exculpere potuerunt. Mox laetantis turbae clamor exoritur, mira Dei virtus attollitur, et beati Mauri tumulus digna reverentia iudicatur ». AI canto di sacri inni il tumulo fu intro­ dotto dentro la chiesa vicina e collocato tra l’abside e l’altare. Ciò avvenne in Cesena circa nell’ultimo quarto del secolo X. Nulla impedisce credere che in Faenza, intorno a quello stesso tempo, sia accaduto qualche cosa di simile rispetto a s. Emiliano. Certamente i particolari della Translatio non possono accet­ tarsi con piena confidenza. Il nostro anonimo segue passo passo un antico documento agiografico intitolato Translatio s. Mercurii, da Quintodecimum (o da Aeclanum) di Apulia a Benevento.212 Colà l’imperatore bizantino Costante prende Quintodecimum con molta strage di cittadini e distrugge la città nell’an. 663. Per que­ sto fatto gli abitanti si dimenticano del luogo, ove il corpo del martire Mercurio giacesse, quantunque continuassero a venerarlo nella sua basilica. Ma dopo più di un secolo, nel 768, Arechi duca di Benevento e il vescovo di questa città vanno a Quintodecimum a scavare il terreno intorno e dentro la basilica e finalmente tro­ vano il tumulo di s. Mercurio, sollevano il loculo, lo pongono in una lettiga e lo conducono a Benevento. Presso Benevento il carro si ferma e i veredi (cavalli o buoi) non possono più proseguire. Allora il duca, prosteso al suolo, fa voto di offrire al martire doni e fondi: e subito il carro si muove e viene portato nella basilica interiore di S. Sofia. A Faenza la città viene espugnata e distrutta da re Luitprando (sec. Vili); e in conseguenza di ciò «corpus beati Emiliani diu fuit incognitum nec debite honoratum » (la Vita prima non dice che i faentini ciò nonostante seguitassero a ve­

212 MGH Ber. Langob. Scriptores, pp. 576-580.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

nerare la memoria di s. Emiliano). Ed ecco un fortuito incidente sopra la tomba nascosta; che, aperta, esala un fragrantissimo odore. Il santo corpo è posto in un carro tirato da buoi, e per ordine del conte e della contessa condotto dentro la città nella chiesa di S. Maria presso il praetorium consulis. Dopo un poco i bovi si fermano, s’impuntano e non vogliono proseguire ad ogni costo. I due sposi intendono che il santo non vuol entrare nella chiesa | senza dote e subito gli donano mansi o fondi. I buoi al­ lora si movono e continuano il viaggio. È difficile persuadersi che l’anonimo nostro narrando la translatio di s. Emiliano da S. Cle­ mente a S. Maria del conte, non abbia avuto sottocchio la tran­ slatione beneventana o altra simile. E si noti che s. Mercurio era venerato il 25 novembre e il nostro s. Emiliano il 6 dello stesso mese.213 In quanto al fragrantissimo odore emanato dal tumulo aperto di s. Emiliano non voglio tacere che questo prodigio è un luogo comune delle Translationes redatte da agiografi soliti a comporre di maniera, come è il nostro. In nota riporto parecchi esempi.214 Se l’invenzione del tumulo di s. Emiliano avvenne fortuita­ mente dopo lungo tempo di generale obblivione, qualcuno do­ manderà come e donde il conte e la contessa e i faentini appren­ dessero che quella sepoltura conteneva il corpo di un vescovo della Scozia, denominato Emiliano, defunto in Faenza mentre tornava dal pellegrinaggio di Roma. Fra Pietro Natali nel suo Catalogus sanctorum, che tra il 1369 e il 1372215 compendiò le Legendae del suo confratello fra Pietro Calo, narra che il conte di Faenza trovò il corpo di s. Emiliano « cum epitaphio in quo praedicta continebantur ». Gli Acta Sanctorum 216 pensano che il Natali desumesse questo particolare, ignoto a tutte le redazioni anteriori e posteriori ài Catalogus sanctorum, da una recensione della Vita diversa da quella utilizzata da fra Pietro: ma questa spiegazione mi sembra improbabile, dato che il Natali compendia fra Pietro. Io credo piuttosto che questo particolare sia una giunta

213 Con analoghe circostanze vengono narrate la Translatio s. Mode­ stini (Acta SS., Febr. II, p. 715) pure di Benevento, e YElevatio corporis s. Baldi arcivescovo d i Tours (ibid., Nov. Ili, 391). 214 Cfr. Rerum. Langob. Script., cit., pp. 582, 587; Acta SS., Iun. IV, p. 540; Iui. II, p. 136; Oct. V ili, p. 832; IX, p. 646; X, p. 834; XI, p. 675; Nov. II, p. 84; III, p. 215 n. 12. 215 Cfr. Anal. Boll., XXIX, 1910, pp. 34-36. 216 Novembr. Ili, p. 291.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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al testo arbitraria del compendiatore per correggere l’incongruenza del racconto, o, se si vuole, per renderlo più verosimile. Il Na­ tali suole manipolare i suoi testi con molta libertà, come è no­ tissimo. Altri potrebbe rispondere che il sepolcro di s. Emiliano, prima dcWinventio, era bensì « incognitum nec dubite honoratum », ma che presso i cittadini rimaneva tuttavia memoria del vescovo scozzese Emiliano ivi sepolto in antico. Per esempio, come gli abi­ tanti di Quintodecimum non più ricordavano il sito della tomba del martire Mercurio, ma seguitavano a venerarne la memoria; o come i cesenati del secolo X non avevano dimenticato che presso la chiesa su ricordata in quell’urna di sasso riposavano le ossa di un vescovo di nome Mauro; così, trovato inopinatamente in Faenza il tumulo di s. Emiliano, i faentini si sarebbero ricordati che il vescovo scozzese, da loro venerato come santo, o, se si vuole, un vescovo scozzese di nome Emiliano, ivi era stato sep­ pellito, e in grazia della prodigiosa inventio gli avrebbero tri­ butato l’onore degli altari. È noto agli eruditi217 che dalla fine del VI all’XI secolo laici e chierici, monaci e secolari, sacerdoti, leviti e vescovi, vescovi residenziali e non legati a sede fissa, o che pretendevano d’aver ricevuto la dignità episcopale (detti episcopi vagcintes), per lo più in carovane, spesso di dodici per ciascuna, con nomi latini o lati- | nizzati, dall’isola d’Irlanda (detta allora Scotio) in numero 333 straordinario emigrarono nel continente europeo, e si diffusero nelle Gallie, nella Germania, in Italia e altrove sia per predicare ai popoli la fede cattolica, sia per propagare le forme dell’asce­ tismo da loro abbracciato, sia per edificare monasteri ecc. E ben­ ché questi viaggiatori da principio non fossero pellegrini nel senso proprio della parola, tuttavia tra di essi non mancarono persone che orientarono il loro viaggio verso determinati santuari: soprat­ tutto presero di mira le tombe di s. Pietro e di s. Paolo in Roma (i limino apostolorum) e i luoghi santi di Gerusalemme. Questa emigrazione di irlandesi (Scotti, come allora si dicevano) fu così numerosa che le leggi ecclesiastiche e civili (specie dell’epoca carolingica, secc. VIII-IX) cercarono di regolarla e di disciplinarla; e a tale effetto in parecchi luoghi furono edificati ospedali e mo­ nasteri per riceverli. Per tacere di altri paesi, l’arcivescovo di

217 Cfr. L. Gougaud , L’ oeuvre des « Scotti » dans l’Europe continentale, in Revue d’histoire ecclésiastique, IX, 1908, pp. 27-37 e 255-277. 12

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Ravenna possedeva nel territorio di Senigallia una diaconia chia­ mata S. Maria degli Scotti;21* e in Ravenna stessa un monastero della città fu detto S. Pietro degli Scotti.219 Un numero cospicuo di questi Scotti, o fermatisi nelle Gallie, nella Germania e in Italia e diventati o vescovi o superiori di conventi, oppure semplicemente defunti in alcuno di quei paesi durante i loro pellegrinaggi a Roma o in Terra Santa, da molto tempo sono nei paesi rispet­ tivi venerati tra i santi. Adunque taluno potrebbe pensare che il nostro s. Emiliano appartenesse in verità a questi santi Scotti. Con nome latinizzato, forse un episcopus vagans (perchè tra gli antichi vescovi di quel paese non .trovasi un Aemilianus), sarebbe stato colpito da morte nella nostra città reduce dal pellegrinaggio romano e sarebbe stato sepolto presso S. Clemente. Dopo qualche tempo il luogo del suo sepolcro sarebbe stato teatro di avvenimenti creduti pro­ digiosi, e quindi le sue ossa si sarebbero trasferite dentro le mura nella chiesa di S. Maria del Conte. L’anonimo narratore delYinventio e translatio di s. Emiliano, scrivendo, come si è visto, nel secolo XIII, cioè quando il nome Scotti non significava più gli abitanti dell’Irlanda, ma era passato a indicare quelli della Scozia, disse s. Emiliano essere stato vescovo della Scozia: « fuit de partibus Scocie ». Questa ipotesi a priori potrebbe correre e parere soddisfa­ cente. Ma è pure cosa notissima agli studiosi di agiografia me­ dievale che parecchi scrittori di quel tempo, dovendo redigere ad ogni costo la Vita di un santo sconosciuto, o trovato (inventus o revelatus, come allora dicevasi) in condizioni analoghe a quelle narrate nella Vita prima di s. Emiliano, a corto di notizie auten­ tiche, o di esse affatto privi, furono soliti di farli passare per santi Scotti, laici, sacerdoti, o vescovi defunti a caso nel luogo, ove furono trovati, mentre andavano pellegrini a Gerusalemme o a Roma, o mentre ne ritornavano. Nelle Gallie, nella Germania ed anche in Italia il numero di questi santi, falsi o molto dubbi Scotti, è abbastanza cospicuo.2 920 Ciò posto, quando si pensi che 2 8 1

218 M. F an tuzzi , Monumenti Ravennati de’ secoli di mezzo, I, Venezia 1801, Codice Bavaro, p. 52 n. 101. 219 Ibid., pp. 393, 397. 220 Cfr. Acta SS., Febr. I, pp. 196, 247; II, p. 639; Mart. II, pp. 45, 334; Apr. Ili, pp. 431, 817; Mai I, p. 428; V, pp. 65-66; Iun. I, pp. 81, 218; IV, p. 83; V, p. 81; lui. Ili, p. 57; Aug. I, p. 77 (3” ed.); Oct. VII, p. 1096; IX, pp. 348, 411; X, p. 850; XI, p. 652; Nov. Ili, p. 400. Il 10 marzo

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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la Vita prima fu scritta molto dopo gli avvenimenti, vale a dire nel secolo XIV mentre la translazione ebbe luogo prima del 1139 (§ I), e che la Vita non è im- | mune da errori e di natura evidentemente leggendaria, si rimane perplessi. Chi potrebbe as­ sicurare che l’autore di un documento di tal genere, dovendo nar­ rare la storia di un santo miracolosamente trovato, e quindi ignoto, non abbia ricorso ad un luogo comune e ad un espediente famigliare a scrittori suoi pari? La seconda parte della Vita prima, ove si descrivono i mircicula avvenuti presso la tomba di s. Emiliano nella chiesa omo­ nima, è più attendibile; poiché probabilmente dipende dai regi­ stri di siffatti avvenimenti, secondo la consuetudine, redatti da notai o da altre persone autorevoli, e conservati o presso il san­ tuario, ove erano accaduti, o presso le curie dei luoghi. E forse furono questi miracula narrati dall’anonimo che nel 1321 indus­ sero il vescovo Ugolino ad imporre alla città e ai sobborghi di celebrare la festa del santo : « ad cuius corpus venerandum », enunciava il presule faentino, « in sua propria ecclesia residens, Dominus cotidie miranda dignatur ostendere ».

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4. — Non è necessario che mi diffonda sul valore storico della Vita di s. Pier Damiano, perchè gli eruditi conoscono troppo bene che giudizio debba farsi e della fonte del Flaminio, cioè della bio­ grafìa del celebre monaco ravennate scritta dal suo fedele disce­ polo Giovanni da Lodi (§ II, n. 3), e della fonte dell’Azzurrini, vale a dire della Storia di Ravenna di Girolamo Rossi (§ III, n. 2). Non parlo delle opere del santo dottore notissime. Altrove (§ II, n. 3; III, 2) ho avuto occasione di notare gli errori d’interpre­ tazione delle fonti, commessi dal Flaminio e dall’Azzurrini.

§ V - DEI MODI DA NOI SEGUITI NELLA NOSTRA EDIZIONE

Pubblico le quattro Vite del Flaminio e dell’Azzurrini l’una di fronte all’altra, sia per maggiore comodità di confrontare l’un autore coll’altro, sia perchè non rade volte il Flaminio è fonte dell’Azzurrini.

(ibid., Mart. II, p. 45) è venerato un s. Aemilianus, abbate di Latiniacum nel territorio di Parigi presso la Marna che si dice venuto dalla Scozia.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XY secolo

Le Vite dell’Azzurrini sono inedite, meno quella di s. Emi­ liano, pubblicata in parte negli Acta Sanctorum (nov. Ili, pp. 296-297). Riproduco esattamente il testo del Liber Rubeus, che è l’autografo del notaio. Il Mittarelli, come si è detto (Introduzione, § II, n. 1), pub­ blicò ne’ suoi Rerum faventinarum scriptores (coll. 800-831) quelle del Flaminio dal codice Ferniani del secolo XVI (§ II, n. 1, ivi). Poiché l’esemplare spedito dall’autore stesso ai canonici di Faenza più non si trova, sono costretto a servirmi delle copie da esso de­ rivate. Queste convengono in tutto tra loro, meno alcune varianti di poca entità, per lo più ortografiche, da non tenerne conto. Ho quindi creduto opportuno di riprodurre il codice Ferniani, che è la più antica copia rimasta. Le copie del perduto originale sono state da me numerate nel § II, n. 1 deìYIntroduzione colle lettere alfabetiche A, B, C ecc. Avverto che A scrive Immolensis, Immola, omneis, treis, ijs, exequujis, plerunque, unquam, quicunque, coelum, coeleste, literae, syncera, charitatis, charissimi, quicquid, iccirco, sepulchrum, simulachra, precium, seculum, cederentur, Thebeorum, Rhavenna, authoritas, catatizavit, cathena, pertesa, fontis Avelanae, praecibus, Hostiensis, heresim ecc. ma ho creduto uniformarmi all’ortografia odierna. | In quanto alle fonti del Flaminio e dell’Azzurrini (§ II e III), 335 ho creduto cosa inutile ristampare la Vita antica di s. Emiliano secondo la redazione di fra Pietro Calo (§ II, n. 4), edita già nel tomo III di novembre (pp. 293-296) degli Acta Sanctorum. La re­ censione dello stesso documento, un tempo conservata nella li­ breria dei domenicani di Faenza (§ II, n. 4), donde in parte fu trascritta nel Liber Rqbeus dell’Azzurrini, e in parte in un ma­ noscritto della Vallicelliana, non è interamente inedita. Quest’ultima, che è la seconda parte della Vita (i Miracula post mortem) e non in tutto corrispondente all’esemplare della libreria dome­ nicana, trovasi nel tomo III di novembre (pp. 295-296) degli Acta Sanctorum. Parmi possano veder la luce in Appendice i due passi della prima parte della Vita copiatine dall’Azzurrini, che riguar­ dano la famosa presa e distruzione di Faenza per opera di Luitprando. Credo utile del pari pubblicare VUfficio proprio di s. Savino (§ I, n. 2; II, 2) dell’archivio canonicale di Faenza, perchè è l’unico avanzo dell’antica leggenda fusignanese; cioè di una fonte del Flaminio e dell’Azzurrini nella Vita di s. Savino. Ometto la Passio s. Sabini (§ II, n. 2) e la biografia di s. Pier Damiano di Giovanni da Lodi (§ II, n. 3) che hanno fatto ge-

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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mere i torchi già più volte; e le scarse reliquie dell’antica Vita di s. Terenzio della Vallicelliana (§ II, n. 2; III, 2), perchè tra­ scritte e riassunte molto liberamente; e la versione italiana del ms. 188 della Biblioteca Comunale di Faenza tanto delle antiche Vite latine di s. Emiliano e di s. Terenzio, quanto della leggenda fusignanese, appunto perchè versione e della cui fedeltà si può dubitare. Ma credo doversi dar posto all’epistola latina del Flaminio ai canonici e al magistrato di Faenza (§ II, n. 1), perchè ignota a tutti gli scrittori di cose faentine e strettamente collegata col la­ voro dell’umanista imolese sui quattro santi.221 *

[APPENDICE]

UNA LAUDA IN ONORE DI S. EMILIANO Dopo aver consegnato alla tipografìa il manoscritto di questo lavoro sui quattro santi, monsignor Angelo Mercati colla genti­ lezza che lo distingue (e della quale gli professo pubblicamente la più viva riconoscenza) mi mostrò nella Biblioteca Vaticana, tra i codici di recente acquisto di quell’importantissimo deposito (segnato: Vat. Lat. 11251, ora numerato con f. 89; cm. 22% X 16%), un codicetto quattrocentesco, contenente una lauda ine­ dita e sconosciuta a tutti gli scrittori faentini in onore del nostro s. Emiliano. Il codice vaticano appartenne senza dubbio all’archivio della confraternita dei battuti di S. Maria delle Grazie di Faenza, eretta

221 Terminata questa Introduzione, ho trovato in un codice latino della Biblioteca vaticana dell’ anno 1426 una lauda inedita in onore di sant’Emiliano, ignota a tutti gli scrittori. L’ aggiungo in fine di questa appendice. * [Seguono i testi delle Vite dei Quattro Santi della città di Faenza secondo la redazione di G. Flaminio e secondo quella di B. Azzurrini, RIS, pp. 337-384, con quattro appendici: 1. Epistola di G.A. Flaminio ai canonici e al magistrato di Faenza, 2. Ufficio proprio di S. Savino nel­ l’archivio capitolare, 3. La narrazione della presa e distruzione di Faenza nella Vita Prima di s. Emiliano secondo la recensione della biblioteca dei padri domenicani di Faenza, RIS, pp. 387-391. Come quarta appendice è posto il seguente studio, Una lauda in onore di s. Emiliano, RIS, pp. 392-395, pubblicato con piccole varianti anche sul Bollettino Diocesano di Faenza, VII, 1921, pp. 169-172.]

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

nel 1420-22 circa presso il convento dei frati domenicani, situato allora fuori delle mura della città presso il sobborgo Ganga.222 Il codicetto incomincia: (I)n lo nome de Dio. Amen. Gl anni de quello sieno MGGCCXXVI, ed è ancoy die XX de aprile. Qui se comenza uno librozolo de la compagnia di batudi di servi de Sancta Maria de le gracie. E1 quale gl infrascripti homini de la dieta compagnia anno facto fare questo librozolo. I nomi sienno quisti: maestro Matio de Lipo, maestro Mengo de maestro Antonio barbiero. I quali anno fatto fare a tutte sue spexe questo librozolo per la compagnia de Sancta Maria de le gracie. La quale compagnia fo in promieramente principiada da fra Zohanne de Benedeto da la Ganga, priore del dicto lugo.223

Questo codicetto del 1426 contiene da prima (ff. 1-5) « una tavola overo repertorio » delle laude « da cantarsi nella compa­ gnia cum le oracione (cioè : oremus) loro per ordene » ; quindi (ff. 6-60) le laude per esteso « che fanno per boxogno a la com­ pagnia di batudi di servi de Sancta Maria de le gracie»; e final­ mente (ff. 61-72) « le oraciune », o oremus, « che fanno besogno per tutto 1 anno a la dieta compagnia ». Fino dal 1362 almeno, come appare dal documento pubblicato dal Messeri,224 i battuti delle compagnie di Faenza solevano flagellarsi in certi tempi | cantando lodi e cantici : « cum laudibus et canticis certis tem- 393 poribus et horis sua corpora verberantes ». Tra l’una e l’ altra serie di laude c’è differenza, perchè quelle del « repertorio » sono quarantuna, e le altre riferite per estenso sono due in più. La maggior parte inneggiano alla B. Vergine, a Gesù, alla Santa Croce, e a vari santi. Confrontandole cogli Inizi di antiche poesie religiose e morali del Tenneroni (Firenze 1909), trovo che la maggior parte delle laude del codicetto faentino del 1426 si riscontrano frequentemente nelle collezioni congeneri di Ferrara, di Bologna e della Toscana, e che alcune sono state pub­ blicate.225 Due inedite sono senza dubbio d’origine faentina; l’una

222 Dei documenti appartenenti all’ archivio della confraternita ho par­ lato in La cronaca del convento di S. Andrea di Faenza (Archivio Muratoriano, I, 1911, pp. 509-548), e in Nuovi documenti intorno alla B. V. delle Grazie (Bollettino Diocesano di Faenza, II, 1915, pp. 30-33 e 69-72). 223 Cioè priore del convento di S. Andrea dei domenicani, situato presso il sobborgo di Faenza detto Ganga. 224 Liber Bubeus, p. 181. 223 G. F errerò, Poesie popolari religiose del secolo XIV, Bologna 1877; e Raccolta di sacre poesie popolari, Bologna 1877.

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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a f. 2 e a ff. 11-12, in onore del beato Novellone (volgarmente: Nevolone), terziario francescano faentino, morto nel luglio del 1280 e sepolto nella cattedrale di Faenza,226 e l’altra a f. 5, e a ff. 47-48 v, in lode di s. Emiliano; quello stesso di cui ci siamo occupati in questo lavoro. Ho detto d’origine faentina; perchè, per quanto si sa, nè il b. Novellone nè s. Emiliano furono ve­ nerati fuori di Faènza. L’orazione, o oremus, destinato al b. Novellone (f. 2), a s. Emi­ liano (ff. 5, e 62 p-63) e a s. Terenzio (f. 67 u), un altro dei quattro santi, del quale però non esiste alcuna lauda nel codicetto del 1426, è identico, e precisamente quello stesso oremus : « Propi­ ciare quesumus Domine » ecc., di cui abbiamo parlato di sopra a p. 287, che leggevasi nella cattedrale in onore di s. Savino, un altro dei quattro protettori di Faenza. Sicché appare che questo oremus è più antico del secolo XVI,a e recitavasi in Faenza per quei santi, il cui corpo riposava in alcuna delle chiese della città, certamente per i santi Savino, Terenzio, Emiliano e Novellone. Dopo gli oremus seguono nel codice le Litanie dei santi (ff. 76-80) secondo il rito dei frati predicatori, perchè la confra­ ternita delle Grazie, come si è detto, era istituita nella chiesa dei domenicani. Le litanie cantavansi durante le processioni di pe­ nitenza. A f. 80 si legge: «Finito libro referamus gratias Christo. Amen. Qui scripsit scribat, sempre cum Domino vivat. Deo gra­ tias. Amen ». E nei fogli seguenti diverse mani hanno copiato altre laude, in italiano ed anche in latino. Di una delle prime viene notato (f. 85 v): «si canta come: Al monte scanto (sic) Gesù aparia», che è una lauda in onore di s. Francesco d’Assisi; e di un’altra (f. 88): « va cum la mesura e cum el canto che va: Maria verzene bella », che fu una lauda molto popolare di quei tempi. Le laude in latino celebrano s. Paolo apostolo. Di poi sono tra­ scritti (ff. 81 v-82 v) parecchi oremus, specialmente di santi do­ menicani, e di s. Pietro in vincoli (f. 89 v), perchè alla fine del XV e in principio del XVI secolo i confratelli di S. Maria delle

226 F. L anzoni, Una vita del b. Novellone faentino terziario francescano ( t 1280) composta nel secolo W , in Archivum Franciscanum historicum, VI, 1913, pp. 623-653. [in questo volume a pp. 239-276] Questa lauda vedrà la luce nel medesimo Archivum, [in questo volume a pp. 285-286] a È certamente anteriore al secolo XVI e trovasi in tutte le liturgie d’Italia.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo *

Grazie tenevano le loro adunanze presso una cappella dedicata alla festa dell’l agosto. La lauda in onore di s. Emiliano è intitolata a f. 5, e a f. 47 : Lauda de | sancto Emiliano confessore. L’autore di questo com­ ponimento conobbe la Vita prima del santo, come io l’ho chia­ mata, ma in un punto se ne discosta, perchè mentre la leggenda latina narra che i due operai, colpiti dalla mano celeste, si ri­ volsero al conte della città, la nostra lauda parla del vescovo. Parrebbe che l’autore dei bassorilievi della tomba quattrocentesca di s. Emiliano, di cui si è detto di sopra, abbia conosciuto questa versione, perchè, effigiando l’ingresso del corpo santo in Faenza, ha figurato nella processione due personaggi infulati col pastorale. La lauda può essere anteriore al 1426; ma probabilmente non an­ tecede il decreto sinodale del vescovo fra Ugolino. La lettura della lauda presenta qualche difficoltà; e, quel che è peggio, sembra che il copista del 1426 sia caduto in errori di decifrazione, o abbia sbagliato per distrazione, o si sia servito di un testo mutilo e scorretto. L auda

de sancto

E miliano

confessore

Sancto iusto e confessore227 per nui pregadi el Salvadore digno corpo Emiliano.228 Sancto Emiliano servo inclino per Ihesu Christo fiste camino a Roma fusti ataupino (sic) e sempre tutto humile e plano. Sancto vescovo de reverenza la vostra vita fenì a Fenza229 a San demento per provedenza gli Fantini 230 se venterano.231 Passando tempo gente perversa nostra citade desi e e somerse e la gente morta e despersa per amor de 1 om 232 romano. 227 228 220 230 231 232

Nel repertorio il primo verso si legge: « Sancto iusto confessore». Questo verso mal si connette coi due precedenti. Forma dialettale di Faenza. Faentini. Si vanteranno? Del nome romano?

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Le Vite dei quattro santi protettori della città di Faenza

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Questo fo re langobardo per nome fo chiama Leopardo233 a desfar Fenza non fo tardo turre palaxi mise in plano. In processo prexe a tornare alcuna gente che posse campare e la citade hedifìcare cum 1 alturio 234 del Dio sovrano. Voglove dire de nostra istoria235 che in plaxere 236 del re de gloria de questo sancto, come ve digo, Dio possente a cui avea servito | lo demonstro a nu subitano.237 De sovra 1 archa era fermata una tigna 238 desmesurata siendo fanti 239 che lo fen cavava l’uno fo ferito da una mano. Tra questi dui si fo questione: — « batudo m ai senza raxone » e stando in questa tenzone si ferì l’altro proximano.240 Dixe l’altro : « ben m a cambiato 241 de quello eh io non o fallato ». Respoxe l’altro: «per Dio sacrato non retociai,242 sinne certano ».243 Tornonno a caxa ed anno narrata tutta quanta 1 ambassata, corno tra lor fo gran collata,244 ne 1 un ne 1 altro gle mise mano.

233 Luitprando. 234 Aiuto. 235 L’autore parla in prima persona. 236 Piacere. 237 Subitamente. Questa strofa, a differenza delle altre, è di cinque de­ casillabi. 238 Mucchio di fieno; forma dialettale. 239 Operai. 240 Vicino. 241 Hai ricambiato. 242 Rintuzzai? 243 Siane certo. 244 Colpo di mano sul collo?

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Questo a lo vescovo fenno contare, sotto la tigna fenno cavare, apresso 1 archa fenno trovare del nostro sancto Emiliano. Tutta gle fo la clerexia fradi e prieti in compagnia 1 archa miseno per la via el carro novo e i boi indomano.245 Quando igli fonno per la via veneno fine a Sancta Maria, lo sancto volse albergarla, tosto gli boy 246 li s arestano. Intro la ghiexa 247 anno mel {sic) la turba gle fanno pressa gli multi infirmi da luntano.248 Multi infirmi ed amaladi ciechi, zoppi e spiritadi249 fonno dal sancto liberadi e zascuno infermo son facti sani.250 0 corpo sancto e benedecto per nui pregadi a Ihesu Christo che infra nu sia posto e messo che nu conduga al stado sovrano.251 Amen.

245 Buoi indomi. 246 Buoi. 247 Chiesa. 248 Forse la strofa in origine era di quattro decasillabi come le con­ sorelle, e il verso mancante è scivolato nell’ultima strofa: Intro la ghiexa anno messa (l’arca) la turba gle fanno pressa che infra nu sia post(a) e mess(a) gli multi infirmi (fanno pressa) da luntano. Indemoniati. Forse: « fo facto sano.». 251 « Stato sovrano » cioè al paradiso. Forse la strofa ultima era di tre versi soltanto come la prima: 249

250

0 corpo sancto e benedecto per nui pregadi a Ihesu Christo che nu conduga al stado sovrano.

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I PRIMORDI DELL’ ORDINE FRANCESCANO IN FAENZA Tip. Novelli e Castellani, Faenza 1910 *

Parlare dei primordi dell’ordine francescano in Faenza non è facile impresa. Dei molti che nel sec. XIII scrissero intorno a s. Francesco e alle cose francescane nessuno nomina mai Faenza. I nostri due cronisti di quel tempo, cioè il Tolosano e il Cantinelli, ne tacciono affatto, quantunque il primo fosse ecclesia­ stico e canonico della cattedrale. Gli archivi dei nostri conventi francescani sono andati di­ spersi. Di quello dei Conventuali non esistono che pochissimi documenti e abbastanza recenti. La iattura di quell’archivio non è di fresca data. I nostri scrittori non ne citano alcuna carta, e gli storici dell’ordine, quantunque vi facessero ricerche innanzi alla prima soppressione, nulla vi trovarono intorno ai primordi della fondazione.1 Nessun lume ci può venire dagli altri con- | * [P. 5] Ai Agli e alle figlie di s. Francesco nella città di Faenza e ai cari amici per la volontà dei quali esce per le stampe quest’umile fatica - L’ autore. 1 In un libro d’amministrazione del convento di S. Francesco, in data 1641 (oggi nella Biblioteca comunale, Sala Bucci), si legge che « nonostante ricerche fatte con ogni possibile diligenza non si era trovata memoria alcuna, neppure confusa, sull’origine del convento, e che le vecchie carte, parte erano state levate per ordine dei Procuratori di Roma, parte tra­ sportate via da altri ». Non appartenevano all’ archivio dei frati, ma a quello dei Manfredi, depositato presso i frati, le carte mandate a Roma nel 1637, oggi nell’Archivio secreto vaticano (A. M esseri , Introduzione alle « Chronica Breviora » di B. Azzurrini, in RIS, XXVIII, 3, Città di Ca­ stello 1905, pp. LXXXIX-XCIV, CLVII-CLXVII). Bernardino Azzurrini (15421620), che compulsò l’archivio di S. Francesco circa nel principio del se­ colo XVII (Liber Rubeus nell’Archivio capitolare, ff. 43-58) ignorò l’origine di quel convento. Il padre Sbaraglia nel suo Bullarium Franciscanum (II, Roma 1761, p. 141) dopo aver riportato un documento del 1256 « ex archivo nostri conventus dictae civitatis (Faventiae) », aggiunge: « sed eius initium et fundatores adhuc latent ».

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

venti francescani della diocesi. Le carte del più antico di essi, che è quello di Bagnacavallo, non risalgono che al principio del secolo XIV.2“ Anche del primo convento dei Cappuccini non ri­ mane memoria. Un po’ più fortunati sono gli Osservanti e le Clarisse. Infatti del convento dell’Osservanza si conserva la carta di fondazione. Veramente l’antico archivio di S. Chiara non è più; ma, per fortuna, nella seconda metà del secolo XVIII un eru­ dito brisighellese, l’ab. Tondini, secretario del celebre mons. Fabbroni, ne copiò parecchi documenti, che sono stati alla loro volta trascritti dal Valgimigli nelle sue preziose Memorie,3 A corto di notizie, i nostri scrittori, dal secolo XVII in poi, specialmente il Fantaguzzi4 e il Perotti,5 e dopo di loro il Ma­ gnani,6 il Righi,7 ed altri, o hanno accettato ciecamente infon­ date tradizioni popolari, o hanno addirittura sbrigliato la fan­ tasia nella ricerca di fatti che potessero anche lontanamente dar lustro e decoro alla Chiesa faentina e quindi alle origini dei nostri con- | venti e monasteri. Il che contribuisce non poco ad ingom­ brare il campo al ricercatore sereno e imparziale.

2 II documento più antico dell’ ex-convento di Bagnacavallo è del 1309. 3 G. M. V algimigli, Memorie storiche intorno alla città di Faenza, IV, p. 256. 4 Sacerdote faentino, parroco di Felisio presso Solarolo, mostrò la più completa mancanza di senso critico in una sua operetta sopra una presunta s. Emiliana di Faenza, pubblicata in Imola (per Sante Massa) nel 1722 (V algimigli, Memorie storiche di Faenza, Giunte, n. 22, p. 836). L’opera sua sui santi di Faenza citata dal Magnani si è perduta senza danno. 5 Altro sacerdote faentino, vissuto alla fine del secolo XVII. Il suo lavoro sui faentini morti in concetto di santità, spesso citato dal Magnani, è perduto anch’ esso senza pregiudizio dell’agiografia faentina (V algimigli, op. cit., pp. 746-752; F. L anzoni, Memorie sui maestri di belle lettere del seminario, Faenza 1894, pp. 7-8). 6 Mansionario della cattedrale nel secolo XVIII, benemerito degli studi agiografici faentini, fu un raccoglitore paziente, ma privo affatto di critica (A. M esseri e A. Calzi , Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909, pp. 585-586). 7 D, Bartolomeo Righi (1767-1846), piuttostochè per i suoi Annali di Faenza, zeppi di errori storici, benemerito per la fondazione delle Terziarie Francescane Figlie della Carità (Messeri, cit., p. 595). a [In Cronotassi dei vescovi di Faenza, Faenza 1913, p. 160, tuttavia, il Lanzoni pubblica ed esamina un testo sull’ erezione della chiesa fran­ cescana di Bagnacavallo, del 18 agosto 1273, osservando che « è credibile che i frati si trovassero in Bagnacavallo molto prima del 1273 ». Una sua postilla rimanda a quel testo.1

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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Il mio discorso adunque non può contenere se non poche ed aride notizie e spesso incerte e congetturali sulla prima intro­ duzione in Faenza dei tre ordini serafici e delle loro diramazioni, 0 riforme. Ma queste difficoltà non mi hanno rimosso dall’accettare il cortese invito di parlarvi suH’argomento. La mia venerazione al­ l’ordine francescano, al quale mi legano, oltre alla professione di terziario, tradizioni di famiglia e vincoli di vecchie amicizie, non mi ha permesso di rifiutarmi al cortese invito dell’egregio concittadino, che tiene il governo della famiglia minoritica faentina. Ho pensato che intorno a cose a voi carissime, quali sono le istituzioni francescane e la storia del luogo nativo, no­ tizie, quantunque scarse e digiune, vi tornerebbero gradite. Io vorrei potervi ricostruire dinanzi agli occhi la nostra città, com’era in principio del secolo XIII, poco prima che i figli di s. Francesco vi ponessero il piede.6 Ma le case, le torri, le chiese, 1 palazzi (?) di quel tempo sono caduti, o sono stati atterrati da un pezzo. Testimoni superstiti di quei giorni rimangono sol­ tanto il severo campanile di S. Maria Vecchia, la Commenda nel borgo d’Urbecco, la chiesa di S. Bartolomeo e qualche altro ru­ dero qua e là sparso/ Il Palazzo del Podestà, che ora tenta di scuotere le barocche soprapposizioni dei secoli posteriori, costruivasi appunto o restauravasi in quel torno. Ma non crediate che la descrizione della nostra antica città, pur potendo io presentarvela, sarebbe molto piacevole. Voi ve­ dreste, eccetto alcuni edifizi di forme architettoniche abbastanza pregevoli, un ammasso confuso di torri merlate e di piccole case, coperte per lo più di cannella valliva, con una o poche altre fi­ nestre, e strade strette, non selciate, piene di melma o di polvere. E la | cinta che serrava attorno la città medievale era molto più piccola che non è al presente.8 Della vita del Comune poche cose si sanno. Dentro era già cominciato il governo dei potestà. I borghesi minori, stretti tra loro in leghe e comunanze d’armi, cominciavano a contrastare

8 A. M edri, Sulla topografia antica di Faenza, Bologna 1908, pp. 8-27. b La nostra strada Emilia è detta nel Medio Evo Strafa Francigena perchè vi passavano i cantori di Francia. Strata Francigena è chiamata da Donizone nel secolo XII (RIS, V, p. 367) la strada per cui Enrico IV fuggì da Roma nel 1083. c nell’ ex-chiesa di S. Giacomo della Pena e altrove.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

con successo ai nobili e ai borghesi maggiori l’egemonìa della cosa pubblica. Fuori il Comune s’adoperava di sottomettere i conti del territorio circostante, e da circa vent’anni, fedele alla Lega Lombarda e ai principii guelfi, forte dell’alleanza di Bologna, finiva di umiliare il comune ghibellino d’Imola, e teneva forte­ mente testa alle ghibelline Forlì e Ravenna.9 Sedeva nella cattedra episcopale Rolando, di cui si narra che andò e si dispose per andare crociato alla spedizione di Damiata; appunto là dove l’uomo serafico d’Assisi comparve nella presenza del Soldan superba.10 Sul finire del ’21 o nel principiare del ’22 gli succedette Alberto, il prevosto della cattedrale.11 La cattedrale era l’unica chiesa alquanto vasta dentro le mura. Presso abitava il capitolo dei canonici, che, a modo di re­ ligiosi, vi celebravano i divini uffici il giorno e la notte. Per la città e pei sobborghi erano sparse circa trenta cap­ pelle, alla maggior parte delle quali presiedevano sacerdoti di­ visi in quattro congregazioni, non ancora insigniti del nome di parroci.12 I religiosi abitavano tutti al di là della cinta. Fuori di porta sorgeva, a occidente, l’antica, ricca e potente | abazia di S. Maria, da 50 anni appartenente agli avellaniti, benedettini della riforma di s. Pier Damiano, e, a oriente, quella dei Ss. Lorenzo e Ippolito dei camaldolesi. Alquanto più discosti dalle mura i monasteri di S. Perpetua (oggi l’Osservanza) e di S. Prospero (presso Villa Rossi) d appartenenti ai canonici e alle canonichesse di S. Marco di Mantova, di S. Apollinare (presso il mulino di Baticuccolo), ai vallombrosani e di S. Martino in Poggio (al di là del Tiro a segno), ad altri canonici regolari. Oltre i religiosi si contavano in città e fuori parecchi eremiti solitari non legati ad alcuna regola. Per trovare la prima fondazione francescana, di cui si abbia piena certezza, noi dobbiamo allontanarci dalla cinta. 9 A. Messeri, Faenza nella storia, cit., pp. 33-49. 10 Paradiso, XI, 101. 11 I. B. Mittarelli, Ad scriptores rerum Italicarum cl. Muratorii A c­ cessiones historicae Faventinae, o Rerum Faventinarum Scriptores, Venetiis 1771, col. 475; M. F antuzzi, Monumenti ravennati de’ secoli di mezzo, II, Venezia 1802, p. 192. 12 Mittarelli, coll. 413-481. d Nell’Arch. di Stato di Roma ho trovato 3 carte dell’ ex-archivio di S. Prospero (nn. 15, 40 e 42) in data 1156, 6 apr. 1176 e 23 ag. 1195. La prima parla della chiesa e del collegium totum, la seconda di un cano­ ni cus e di un conversus di S. Prospero e la terza del prior.

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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A mezzogiorno della città il Marzeno (o il Simiolo come al­ lora dicevasi) e il Lamone, prima di gettarsi l’uno nell’altro, fanno una insenatura. Il terreno che si innalza tra i due fiumi chiamavasi allora, come oggi, l’isola o le isole di S. Martino. Questo terreno prendeva il nome da una chiesa e da un monastero, fino alla metà incirca del secolo XIII posti nella riva destra del Mar­ zeno, precisamente su quel poggio dove si trovano i palazzi di campagna dei signori Archi e Mita. In quest’isola di S. Martino, nella odierna tenuta del sig. Ac­ quaviva, viventi ancora s. Chiara e s. Francesco, nel 1223-1224, cioè quattro o cinque anni dopo la prima propagazione del se­ condo ordine fuori dell’Umbria, era già un piccolo luogo di ver­ gini clarisse presso una cappella denominata S. Maria delle Vergini. « La vena delle celesti benedizioni che scaturì nella valle di Spoleto », narra il primo biografo di s. Chiara con quel suo linguaggio rettorico, « non rimase a lungo racchiuso in brevi con­ fini, ma divenne un fiume, perchè l’impeto del fiume rallegrasse tutta la città della Chiesa. Chiara rimanendo racchiusa nel suo monastero, cominciò a risplendere in tutto il mondo. La fama delle virtù di | lei riempie le camere delle donne illustri, i pa­ lazzi delle duchesse, i penetrali delle stesse regine. Il fastigio della nobiltà si piega a seguire le vestigia di lei. Alcune degne del matrimonio dei duchi e dei re, invitate dal preconio di Chiara, fanno dura penitenza, e le spose dei potenti imitano Chiara come loro è dato. Innumerevoli città si adornano di monasteri; anche i luoghi campestri e montani sono decorati della fabbrica di que­ sto celeste edifizio».13 Le vergini faentine furono non ultime a seguire l’esempio di Chiara. Nel 3 giugno 1224 il proprietario del fondo, ove il convento e la chiesa erano edificati, certo Rodolfo de’ Tabcllioni, lo do­ nava alle vergini clarisse per amore di Cristo. Il vescovo Alberto dava colla sua presenza solenne conferma alla donazione di quel­ l’uomo benefico.14 Circa un mese dopo il convento era dichiarato autonomo. Nel palazzo vescovile Alberto, col consenso del preposto della

13 Acta SS., Aug. II, Antverpiae 1735, p. 757, n. 11. M Vedi doc. III. [in questo volume a pp. 217-218]

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

cattedrale e di alcuni altri canonici presenti, sottraeva il nascente istituto alla sua giurisdizione, non riservandosi se non l’annuo ca­ none di una libra di cera nella festa di S. Pietro (erano le con­ suetudini e le forinole vigenti). Egli consegnava il monastero con tutti i suoi possessi, circa 20 tornature, ad un rappresentante del cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e Velie tri, che lo riceveva a nome della Chiesa Romana. Il nostro prelato dichiarava che tale esenzione sarebbe rimasta in vigore fintantoché le suore aves­ sero servito a Dio in povertà, secondo la forma di vita che il cardinale, coll’autorità del papa, a loro e a tutte le religiose di quell’ordine aveva dato.15 « In paupertate Domino famulentur ». Questa frase dell’an­ tica carta del disperso archivio di S. Chiara con- | tiene il succo spremuto della novella istituzione. Infatti «volendo Chiara», dice bellamente il primo biografo di lei, « intitolare la sua reli­ gione del titolo della povertà, chiese alla S. Sede il privilegio di vivere nella povertà; singolare privilegio che alla Sede Apo­ stolica non era mai stato richiesto.16 Colla storia dei primordi dell’ordine delle Clarisse spiegasi molto bene la presenza di un rappresentante del cardinale Ugo­ lino all’atto del 13 luglio 1224. Poiché quantunque il secondo or­ dine derivi da s. Francesco, e cominci colla monacazione di Chiara, avvenuta nel 1212 per impulso di lui, tuttavia esso non fu propagato fuori di Assisi e dell’Umbria se non per opera del card. Ugolino, protettore dell’ordine francescano, cominciando dal 1219. In quest’anno appunto, e più nel 1224, il cardinale Ugo­ lino consigliò s. Francesco a dare alle seguaci di Chiara una re­ gola somigliante a quella dei frati minori. E il consiglio di Ugo­ lino ebbe tanta forza nell’animo di s. Francesco, l’opera sua fu tanto efficace nella costituzione del secondo ordine, che parecchi storici contemporanei e alcuni pontefici nelle loro bolle ne at­ tribuiscono la paternità al cardinale medesimo.17 Ecco perchè il cardinale Ugolino, e non s. Francesco, viene nominato nella carta del convento dell’isola di S. Martino. Questo celebre cardinale, divenuto sommo pontefice col nome di Gregorio IX, nel marzo del 1235 confermò la donazione di Alberto.18 | 15 16 17 18

Vedi doc. V. [in questo volume a pp. 221-222] Acta SS., Aug. II, pp. 757-758, n. 14. In Archiv. Frane, hist., I, 1908, p. 70. Bullarium franciscanum, a cura di G. G. Sbaraglia, I, Roma 1759,

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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Adunque nel 3 giugno 1224 esisteva in Faenza una comu­ nità di clarisse. Ma il Tabellioni non fondò il convento e la chiesa. Egli concesse alle suore, che già vi abitavano, il terreno, ove la chiesa e il convento loro erano edificati: « ecclesiae et loci de Virginibus et prò sororibus quae nunc ibi sunt vel in antea erunt ». Ora, quanto prima del 3 giugno 1224 il convento fu eretto? quando le suore incominciarono ad albergarvi? In mezzo alla oscurità dei documenti vediamo di portare uno sprazzo di luce. Il nome ufficiale delle nostre clarisse era quello delle suore di Assisi. Si chiamavano cioè le povere donne, o monache, o suore racchiuse del monastero di S. Maria delle Vergini dell’ordine di S. Damiano. Ma il popolo faentino, come appare dai cronisti e dagli atti notarili, le chiamava le donne o le suore del monastero di fra Viviano, e così seguitò a dire fin dopo la metà del se­ colo XIV, cioè finché rimasero nell’isola di S. Martino: «pauperes dominae loci seu monasterii fratris Viviani».19 Locus nel lin­ guaggio di quel tempo equivaleva a convento o monastero. Ora il « locus fratris Viviani » esisteva senza dubbio nell’isola di S. Martino prima del 3 giugno 1224. Infatti una carta notarile del 4 giugno 1223 ricorda appunto il « locus domini Viviani », cioè il convento del sig. Viviano.20 Dunque il convento delle clarisse esisteva un anno prima? La conclusione non è certa, ma è assai probabile. « Locus fratris Viviani » può significare il convento o abitato o costruito da fra Viviano (l’abbia egli edificato per sè o per altri). Ora dai pochi e oscuri documenti a noi pervenuti parmi poter dedurre che questo fra Viviano fu il fondatore del convento delle clarisse. Infatti una carta del 14 giugno 1224 dello stesso | notaio, che ha redatto l’antecedente, ricorda i possessi del « locus domus quondam fratris Viviani » cioè i possessi del convento che fu la casa del fu fra Viviano21 come spiega il Valgimigli. Sembra quindi che le cose andassero in tal modo: Viviano fu un pio

p. 149. Nel breve il papa asserisce di derogare in favore delle suore alle prescrizioni del diritto; perchè i canonici di Faenza, quantunque avvertiti e pregati, non avevano prestato il loro consenso al privilegio di esenzione concesso alle clarisse dal vescovo diocesano. Infatti la carta del 13 luglio 1224 afferma espressamente che furono presenti e consenzienti soltanto 11 preposto e quattro canonici. Gli altri apposero la firma più tardi. 19 Carte 3 feb. 1263 e 19 sett. 1266 nell’Archivio capitolare; carta 12 marzo 1356 dell’ archivio di S. Domenico nella Biblioteca comunale. 20 Doc. II. [in questo volume a pp. 216-217] 21 Doc. IV. [in questo volume a pp. 219-220]

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

faentino, che, come tanti altri suoi contemporanei, s’innamorò delle novelle istituzioni francescane; e concesse una sua casa si­ tuata nell’isola di S. Martino alle concittadine desiderose d’imi­ tare nella solitudine la vita povera e penitente di Chiara d’Assisi. Nel 4 giugno 1223 il suo religioso disegno era già compiuto. Poco dopo il signor Viviano si rese egli stesso religioso di s. Francesco, e diventò fra Viviano. Nel 14 giugno 1224 egli era già passato a miglior vita. Il popolo faentino perpetuò la memoria dell’uomo benefico appellando per due secoli il primo monastero delle clarisse: il convento di fra Viviano. Il Magnani 22 pretese di sapere molto di più sopra quest’uomo liberale che aperse la sua casa alle prime figliuole di s. Chiara. Secondo lui, Viviano ricevette da s. Francesco stesso l’abito dei minori, e si fabbricò nell’isola di S. Martino un romitorio. Dopo qualche tempo pensò di allogarvi le vergini faentine volonterose di abbracciare l’ordine di s. Chiara, e a questo fine si recò in Assisi. Ebbe da s. Chiara una compagna, chiamata suor Filippa. Con essa tornò a Faenza, e la diede per superiora alle suore faentine, che vennero ad abitare nel suo romitorio. Così sorse il primo monastero delle clarisse. Ma questo racconto è un parto della fantasia del nostro agiografo, o dei due contemporanei, da cui egli attinge. Il Magnani non sapeva che il secondo ordine si propagò fuori dell’Umbria per l’opera diretta non di s. Chiara, ma del cardinale Ugolino. Irrefragabili documenti faentini ci attestano che suor Filippa, certa- | mente vissuta dal 1254 al 1269, non fu la prima abbadessa, e che innanzi a lei, nel 1225, tenne il governo del mona­ stero una suor Santese.23 Suor Filippa del resto non fu nè assi­ sana nè umbra, ma faentina.24 Lasciamo dunque le supposizioni fantastiche. In mancanza di documenti certi è lecito bensì attenersi alle congetture, ma alle congetture verosimili. Tale non è quella del Magnani o de’ suoi antecessori. Che verosimile sia l’ipotesi, che io vi ho pro­ posto, voi giudicherete.

22 R. M. Magnani, Vite de’ Santi Beati Venerabili e Servi di Dio della città di Faenza, Faenza 1741, pp. 84-85. 23 Doc. VI. fin questo volume a pp. 222-223] 24 Fra Salimbene, testimonio contemporaneo, nella sua cronaca (Parma 1857, p. 207) dice che l’abbadessa di S. Chiara nel 1265 (certamente suor Filippa) era faentina: « abbatissa autem erat de Faventia oriunda».

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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Io vorrei potervi narrare ampiamente la storia dei primi anni del primo convento francescano, ma la scarsezza dei docu­ menti mi impedisce di soddisfare alla vostra naturale curiosità. Vi dirò che le prime clarisse, probabilmente come quelle di Assisi, indossavano un vestito non molto diverso dalle odierne cappuccine, cioè un sacco di ruvido panno bigio di lana (con un cappuccio a punta) stretto ai lombi da grossa corda. Scalzo era il piede e il capo coperto di un bianco velo. La loro superiora portava il nome di abbadessa, come presso le benedettine, perchè la regola primitiva delle clarisse era calcata in gran parte su quella di s. Benedetto. La prima, di cui si abbia memoria, nel 1225, chiamavasi Santese. La seconda, Filippa, ricordata dal 1254 al 1269, fu oriunda faentina, secondo la testimonianza di fra Salimbene, il più illustre cronista del secolo XIII, e sorella della madre di Lambertino Samaritani, bolognese, potestà di Faenza nel 1265, e in ottime relazioni col cardinale Ottaviano Ubaldini.25 Questi è quel famoso cardinale, che riprese | Faenza ai ghibel­ lini nel 1248, e che quantunque legato del Pontefice e duce del­ l’esercito guelfo, pencolò tra il guelfismo e il ghibellinismo. Quindi al tempo di Dante si contava dal volgo dei guelfi che il cardinale un giorno avesse esclamato: «se anima è, io l’ho per­ duta pei ghibellini»; e però il poeta lo pose in inferno con Fa­ rinata degli Uberti, con Federico II imperatore e cogli altri che l’anima col corpo morta fanno.26 Al tempo di suor Filippa, nel 1265, le suore, eccetto le con­ verse, erano una trentina.27 La rigidezza della regola primitiva si mitigò presto. Lo stesso Gregorio IX, l’autore o l’ispiratore delle costituzioni, si persuase che l’ideale di s. Chiara era troppo arduo per le vergini cristiane, che entravano in folla nei numerosi conventi sorti da per tutto. Alberto, il nostro vescovo, che aveva concesso l’esenzione del 1224 colla clausula devolutiva che il convento ritornasse sotto la giurisdizione diocesana quando la rigida povertà primitiva ve­ nisse a mancare, non permise che le suore accettassero disposi­

25 Salimbene (1. cit.): «abbatissa autem erat de Faventia oriunda, et corda omnium hominum, si volebat, verbis et exeniis attrahebat ad se; nam dominum Octavianum cardinalem ita habebat propitium et amicum ut eam libenter in suis petitionibus exaudiret ». 26 Inferno, X, 13. 27 Carta 2 mag. 1265 dell’archivio di S. Domenico nella Biblioteca comunale.

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zioni testamentarie in loro favore. Ma Gregorio IX gli scrisse nel 1231 28 che, lungi dall’op- | porsi a questo, costringesse colle censure ecclesiastiche i detentori dei legati, dei fedecommessi, e di altri lasciti, a consegnarli alle religiose. Così il convento deh l’isola di S. Martino venne acquistando dei beni in parecchi luo­ ghi del territorio e della diocesi. Circa questo tempo, tra il 1254 ed il 1255, le nostre clarisse raccolsero dentro le loro mura la nobile e illustre concittadina, s. Umiltà, della quale ricorre nel 1910 il sesto centenario dalla santa morte. La nobile sposa di Ugolotto Caccianemici aveva per­ suaso il suo giovine marito a prendere l’abito dei canonici re­ golari, ed essa stessa si era ritirata tra le canonichesse in S. Per­ petua (oggi l’Osservanza). Rosanese, cambiato il suo nome di bat­ tesimo con quello di Umiltà, si era data con tutto l’ardore alle pratiche dell’ascesi cristiana; ma dentro quelle mura essa non trovava la pace desiderata. Le sembrava che una voce celeste la chiamasse a salire più alto nella scala dell’evangelica perfezione, e che in quel luogo ciò non si potesse conseguire. Risorse adunque di abbandonare il convento e di fuggire di soppiatto. Ed ecco, nel colmo della notte, scavalca il muro di cinta senza farsi alcun male, passa a guado il Lamone e s’arrampica sulla opposta sponda. In quel momento, quasi svegliata da un profondo sonno, torna in se stessa. Vede davanti a sè la vecchia strada che sul Ponte d’Arco attraversava il fiume e conduceva a Sarna e a Modigliana. Riconosce il luogo in cui si trova. Ma si ricorda in quel punto che a pochi passi lungo la via si trova il convento

28 Vedi doc. VII. [in questo volume a pp. 223-224J I possedimenti richiamano le liti. E veramente rovistando le vecchie carte dei nostri archivi, mi sono imbattuto in alcuni documenti d i questo genere; ma mi dispenso ben volentieri dall’ entrare in siffatte minuzie. (Vedi, se vuoi, le lettere di Alessandro IV del maggio 1261 in G. C. T onduzzi, Historìe di Faenza, Faenza 1675, p. 296 e in Mittarei.li , Rer. Fav. Script., col. 502). Uno degli acquisti più importanti fu il monastero di S. Martino, che sorgeva, come ho detto, non discosto dal convento. Le guerre intestine di quei tempi, e più l’ assedio di Federico II intorno a Faenza, durato sette mesi e mezzo, desolarono quel luogo, e obbligarono gli antichi abitatori ad abbandonarlo. Il successore di Alberto, Gualtiero, col concorso del ca­ pitolo, nel 1254, concesse alle suore clarisse quella chiesa e quel convento e i beni loro, con obbligo di provvedere alla sacra oflìciatura (S baraglia, Bullarium frane., cit., II, Roma 1761, pp. 9-11). L’unione di questo benefìzio ecclesiastico al convento diede alle suore coll’andar del tempo anche il nome di suore di S. Martino.

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delle clarisse, e con passo frettoloso corre a battere alla porta. Le viene aperto. L’abbadessa dà ricovero alla donna tramortita e confusa, e nel giorno appresso la consegna al suo nobile zio, il cavaliere Nicolò. Da quel giorno Umiltà cominciò un nuovo tenore di vita più rigida che fu il preludio della fondazione del monastero vallombrosano della Malta in Faenza e di |S. Giovanni in Firenze, ove più che ottuagenaria morì dopo cinquantacinque anni di vita religiosa.29 Nell’agosto del 1253 moriva s. Chiara, e dopo due anni sol­ tanto veniva innalzata all’onore degli altari da Alessandro IV. Le nostre clarisse cominciarono subito a celebrarne la festa; e lo stesso pontefice nel 1257 30 concedeva 100 giorni d’indulgenza a tutti i fedeli che nel giorno festivo della santa avessero visitato la chiesuola dell’isola di S. Martino. Sullo scorcio di quel secolo le mura di S. Maria delle Ver­ gini furono testimonio di una di quelle riconciliazioni tra nobili, che mille volte conchiuse e giurate, mille volte venivano infrante. Si tratta di magnati di Faenza, nel divino poem a31 resi immortali. Il 2 giugno 1295 Pietro Gerra arcivescovo di Monreale, conte di Romagna per papa Bonifacio Vili, raccolse nella chiesa di S. Ma­ ria delle Vergini da una parte Bernardino conte di Cunio con la moglie Beatrice Manfredi, e dall’altra Alberico, frate gaudente, Ugolino, suo figlio, e Francesco suo nipote, anch’essi tutti e tre della famiglia Manfredi. Erano dieci anni che frate Alberico, « il peggiore spirto di Romagna », covando in cuore odio e ven­ detta, sotto mentite apparenze di perdono e di pace aveva invi­ tato il padre e il fratello di Beatrice ad un sontuoso pranzo nella villa di Francesco, posta nella pieve di Cesato; e sul finire del convito, quando ebbe pronunziato ad alta voce l’ordine: « vengan le frutta », come a segno convenuto, Ugolino e Manfredo con altri sicari si erano lanciati coi pugnali levati sui due miseri ospiti e barbaramente li avevano trucidati.32 Ora, nella pace di quel sacro asilo, la povera Beatrice perdonava agli uccisori e strin­ geva la mano dei tre feroci, che si era macchiata j del sangue del padre e del fratello. Probabilmente vi era tra le suore qual­

29 30 31 32

Acta SS., Mai V, pp. 207-214, 3a edizione. Vedi doc. XIII. [in questo volume a pp. 227-228] Inferno, XXXIII. Messeri, Faenza nella storia, cit., pp. 76-77.

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che parente dell’offesa donna, che l’indusse a dare a quei tristi il perdono cristiano.33 Però se da una parte il luogo remoto, ove sorgeva il primo convento delle clarisse, conciliava il raccoglimento dello spirito, dall’altra la dimora in un luogo lontano dalle mura non poteva riuscire molto sicura. Certo il convento era cinto da alte mura, e difeso da custodi, probabilmente armati. Ma quali trepidazioni, angosce e pene dovettero subire le rinchiuse quando i soldati di Federico II per sette mesi e mezzo stettero a campo intorno a Faenza; quando la città durante quei secoli di feroci odi di parte venne assalita e presa ora dai guelfi, ora dai ghibellini, e du­ rante questi trambusti lo stormo sinistro delle campane, e le grida dei vincitori e le imprecazioni dei vinti, e il rumore della ruina delle case della fazione oppressa giungevano fino alle cel­ lette e alla chiesuola del monastero; quando le bande dei soldati di ventura, avidi di saccheggio, di stupri e di sangue, con lazzi osceni e con grida di morte scorazzavano intorno alle mura del chiostro ! Nel 1257 Alessandro IV scrive due lunghe lettere34 ad Accarisio Accarisi, capo dei ghibellini di Faenza, e ad Alberghetto di Alberico e ad Alberico di Ugolino, Manfredi, capi dei guelfi, rac­ comandando loro le povere suore dell’isola desolate dai nemici, e pregandoli a non permettere che venissero molestate. Le let­ tere sono scritte finamente con riguardi diplomatici, per non ec­ citare la suscettibilità dei destinatari assai permalosi; ma tra le righe si legge abbastanza chiaramente che le claustrali avevano, più che d’altri, ragione di dolersi di loro e delle fazioni capita­ nate da quei nobili signori. Ciò non ostante le nostre clarisse rimasero colà per | più di cencinquant’anni. Al dire del Tonduzzi,35 esse presero a costruire il nuovo chiostro e la nuova chiesa laddove sorge l’odierna ca­ serma Raffaele Pasi, nel 1387; ma io sospetto che questa data non sia esatta. Da un breve di Martino V 36 io credo debba de­ dursi che ciò sia avvenuto prima, e precisamente nel 1379. Se que­ sta mia opinione è conforme a verità, forse la causa prossima

33 ibid., p. 84. 34 Vedi doc. XIV e XV. [in questo volume a pp. 228-229] 35 T onduzzi, Historie di Faenza, cit., p. 42. 36 Vedi doc. XXIII. [in questo volume a pp. 237-238] In esso Mar­ tino V, 24 mag. 1419, racconta che le clarisse si trovavano in città da 40 anni.

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determinante del trasloco fu la licenza e la ferocia dei sacco­ manni mercenari del famoso condottiero brettone, detto l’Acuto. Questi dal marzo 1376 all’aprile dell’anno successivo inferocirono come belve nella nostra disgraziata città, nè risparmiarono il sacro asilo dei monasteri.37 Esse edificarono nel sopraddetto luogo un sontuoso monastero e una chiesa; e poiché nel terreno, comprato o concesso, non vi era luogo pel cimitero e per altri edilìzi, ottennero da Martino V nel 1419 d’incorporare nella loro fabbrica un ospedale vicino detto di Madonna Bianca.38 | Cinquecento anni le figlie di s. Chiara abitarono la nuova sede, passando per le rilassatezze della Rinascita39 al risorgi­ mento della riforma cattolica,40 dalla vita frivola del ’700 41 alla bufera dei tempi napoleonici.42 Di tutti i nostri conventi, travolti dalla tempesta, quello di S. Chiara soltanto rimase aperto, grazie all’oculatezza e alle idee larghe della madre Rampi, che seppe

37 Messeri,

n e l l a s t o r i a , cit., pp. 116-118, e G. Solieri, A l b e Iesi 1908, pp. 44-45. 38 Vedi doc. XXIII. [in questo volume a pp. 237-238] La nuova chiesa fu dedicata a s. Martino. È da sapersi che la vecchia chiesa monastica di S. Martino, situata sul poggio della riva destra del Marzeno, era già caduta in ruina. Le suore ne godevano i beni. Ora, se­ condo le leggi canoniche, i possessori di benefìzi ecclesiastici erano te­ nuti a restaurare o a rifare le chiese dei santi titolari. Trovo che fin dal 1269 le suore pensavano a riedificare S. Martino in luogo più vicino alle mura (vedi doc. XII, XVIII e XX, [in questo volume a pp. 226-227, 232, 233-234] S baraglia, B u l l a r i u m f r a n e . , IV, Roma 1768, p. 227); ma non so perchè questo disegno non fosse posto ad effetto. Ora che il trasloco del monastero era deciso e che s’imponeva la costruzione di una nuova chiesa, si sarà pensato di adempire all’obbligo antico dedicandola a s. Mar­ tino. Conservasi nella Sala Minardi della patria pinacoteca il quadro dell’altar maggior, di Alessandro Tiarini, pittore bolognese, ove cogli altri santi dell’ordine francescano è rappresentato appunto s. Martino (C alzi , F a e n z a n e l l ’a r t e , cit., p. 543). 39 Su questo argomento vedi gli atti della visita apostolica del 1573, nell’Archivio capitolare. 40 II card. Valenti, vescovo di Faenza, ristabilì la vita comune in S. Chiara nel 1614 (vedi i libri d’amministrazione nella Biblioteca comu­ nale, Sala Bucci). 41 Molti particolari intorno al convento nel secolo XVII si trovano nello Zanelli, nel Toselli, e negli altri cronisti di quel tempo (M esseri , F a e n z a n e l l a s t o r i a , cit., p. 594). 42 Intorno alle vicende del convento dal 1794 al 1816 vedi S. T omba , S t o r i a d i F a e n z a , ms. nella Bibl. com .; M esseri , cit., p. 593 e D. C onta valli , cronaca ms. presso il signor Carlo Piancastelli di Fusignano. rig o

F aen za

da B a r b ia n o ,

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sacrificare alle esigenze del governo italico l’abito esterno, pur di conservare la direzione del collegio delle nobili fanciulle della città. La seconda rivoluzione ha costrette le colombe a cambiare per la terza volta il rifugio. Tornate alla povertà primiera, da trenta e più anni sono venute a ricoverarsi presso quel luogo istesso, ove nel secolo XIII il primo ordine di s. Francesco ebbe la prima sede e fondò una chiesa sacra al santo fondatore. L’ordine della storia mi conduce così a parlare dei primordi dell’ordine francescano maschile, o più propriamente dei frati minori. Come vi ho avvertito da principio, passo in un terreno molto più incerto del primo. Tutti i nostri storici, cominciando dal Tonduzzi,43 affermano che la prima memoria certa dell’ordine dei minori in Faenza è un testamento di certo Rosso Bonzanelli, in data 12 febbraio 1236, nella biblioteca comunale. Quest’uomo pio assegna alla chiesa cattedrale, a | tutte le cappelle e a tutti i conventi della città e dei dintorni un piccolo legato. Tra i luoghi beneficati dal di­ voto testatore è ricordato il convento dei frati minori di porta ravegnana: «L oco fratrum minorum portae ravignanae ». Dieci anni adunque dopo la morte di s. Francesco esistevano i suoi frati nella nostra città. Ma io credo d’aver trovato una data più antica. I padri do­ menicani, collocati dal vescovo Alberto, per la prima volta nel luglio del 1223 44 presso la chiesa (allora suburbana) di S. Vitale, nel settembre del 1231 si trasferirono nel luogo, ove oggi si tro­ vano, in un terreno ceduto loro dal Comune. Nell’atto di dona­ zione, esistente nella patria biblioteca,45 atto solenne redatto nel palazzo del Comune (oggi del Potestà), alla presenza del vescovo, del potestà, e di tutti i suoi ufficiali, primi tra i molti testimoni sono registrati fra Potente e fra Bernardo frati minori : « praesen­ tibus his testibus fratre Potente et fratre Bernardo, fratribus mi­ noribus ». Non mi sembra probabile che si tratti di frati minori di passaggio per la nostra città. Quindi conchiudo che nel 1231 i minori era già di stanza in Faenza.

43 T onduzzi, p. 33, che per errore scrive Ì248. 44 Carta 5 luglio 1223 nelTArchivio capitolare. 43 Carta 5 sett. 1231 dell’ archivio di S. Domenico nella Bibl. com.

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Se mi domandate perchè due minori comparissero come te­ stimoni in un atto risguardante i domenicani, vi rispondo che l’amicizia tra s. Francesco e s. Domenico si era continuata nei rispettivi ordini, e che in quei primi tempi le relazioni tra i figli dell’uno e dell’altro patriarca erano assai buone. In altri atti della nostra regione si riscontra lo stesso fatto. In un rogito cesenate del 1286 redatto nel convento dei minori di quella città sono pre­ senti tre domenicani come testimoni.46 Forse i due ordini fratelli si scambiavano a vicenda questo amichevole servigio? | C’è di più. Negli atti notarili del convento delle clarisse, dei quali ho parlato di sopra, appaiono come testimoni e come pro­ curatori delle suore e del cardinale Ugolino, alcuni frati (fratres). Nel 3 giugno 1224 si legge il nome di un fra Bartolo, procuratore del convento dell’isola di S. Martino. Costui riceve dal Tabellioni a nome delle suore la tante volte ricordata donazione del fondo, ove sorgevano la chiesa e il convento. Tra i testimoni interviene un fra Guglielmo. Di nuovo nel 13 luglio di quell’anno fra Bar­ tolo rappresenta il cardinale Ugolino e a nome di lui riceve dal vescovo Alberto l’esenzione della chiesa e del convento di S. Maria delle Vergini. Tra i testimoni ritorna il nome di fra Guglielmo. Nel 1225 frate Bartolo a nome dell’abbadessa di S. Maria delle Vergini riceve da Pietro, priore di S. Martino, una pezza di ter­ reno in enfiteusi. Finalmente abbiamo visto di sopra come il primo convento delle clarisse fosse una volta la casa di un fra Vi­ viano: «locus domus q. fr. Viviani ». Ora chi sono questi tre frati, Bartolo, Guglielmo, e Viviano? Perchè intervengono a tre atti così importanti della vita del na­ scente monastero? Perchè rappresentano innanzi al vescovo di Faenza le suore, la loro abbadessa, e il cardinale protettore e quasi istitutore degli ordini francescani? Chi non dirà che fra Bartolo aveva ricevuto delle suore francescane e dal protettore dell’ordine francescano mandato di procura, perchè era egli stesso francescano? Che fra Viviano, dopo aver concesso la sua casa alle suore francescane, divenuto frate egli medesimo, abbracciasse l’ordine di s. Francesco? Che fra Guglielmo si prestò a fungere da testimonio in atti relativi alle suore francescane, perchè ap­ parteneva alla stessa religione? Da tutto ciò io vorrei conchiudere: 46 Carta 24 agos. 1286, in V. F ederici, Regesto di S. Apollinare Nuovo, Roma 1907, pp. 218-219.« « Vedi Archiv. Franc, hist., Ili, 1910, p. 366.

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dunque i frati minori abitavano in Faenza almeno fino dal 1224. Ma si potrebbe obbiettare che i frati Bartolo, Guglielmo e Vi­ viano sono detti fratri (fratres), non non frati minori | (fratres minores), e che quindi potrebbe trattarsi di frati della penitenza, di frati terziari, come oggi noi diciamo. Infatti i frati della pe­ nitenza del terzo ordine di s. Francesco erano già diffusi in Faenza in sul finire del 1221, come appare da un breve di papa Onorio III al vescovo di Rimini.47 Tutto ciò mi si potrebbe opporre; nè io saprei dissipare affatto questa difficoltà. Io mi contenterò quindi di asserire: è probabile, è verosimile che, come le clarisse, così i frati minori fossero già introdotti a Faenza fin dal 1223. A queste timide e modeste affermazioni non si rassegnarono i nostri scrittori del secolo XVII e XVIII, cioè il Perotti e il Fantaguzzi, e dopo di loro il Magnani, il Righi e altri. Essi pretesero di conoscere per filo e per segno tutto ciò che gli antichi scrittori faentini, e di s. Francesco e dell’ordine suo avevano ignorato. Secondo costoro, s. Francesco stesso venne a Faenza nel 1213 e vi predicò. Alla vista di lui, al suono della sua voce i faentini si commossero, e si convertirono a Dio. Anzi quattro di loro pre­ sero l’abito dalle stesse mani del santo. Si chiamarono fra Pa­ gano, fra Pietro, fra Alberto e fra Viviano. S. Francesco ritenne presso di sè fra Pagano, e mandò nel regno di Napoli fra Pietro. Fra Viviano si ritirò in un romitaggio nell’isola di S. Martino. E fra Alberto abitò nel convento di porta Ravegnana e ne fu come il fondatore. In tal modo il convento dei minori di porta Rave­ gnana risalirebbe al 1213 incirca. S. Francesco stesso ne sarebbe, più o meno, il primo e immediato fondatore.48 Ma che deve dirsi di questo racconto? Voi non ignorate che certi scrittori del se­ colo XVII e XVIII si compiacevano talora d’interpretare con con­ getture, più o meno verosimili, suggerite non di 1 rado da so­ verchia brama di nobilitare il luogo natio, i pochi e frammentari documenti, che intorno a certi fatti ci sono rimasti. Costoro so­ levano dare le loro interpretazioni congetturali per verità storica nè più nè meno della piccola base, su cui avevano preteso d’in­ nalzare il loro fantastico edifizio. Tale è il racconto su allegato. Esso non è nè tutto vero, nè tutto falso. Il vero è mescolato con

47 Breve di Onorio III, 16 die. 1221, in Sbaraglia, Bullarium frane., I, p. 8. Il terz’ordine fu istituito nel 1221, ma pensato prima da s. Fran­ cesco (in Archiu. Frane, hist., I, 1908, p. 107). 48 M a g n a n i , Vite de’ Santi di Faenza, pp. 82-85, 91-93, 120-124.

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ciò che si suppone verosimile. Le stesse supposizioni non sono sempre felici. Infatti fra Alberto da Faenza è un personaggio storico. Di lui sappiamo che nel 1250 ricevette in Cesena dal vescovo di quella città un terreno per fabbricarvi un convento e una chiesa per i frati minori.49 Probabilmente appartenne al convento di Faenza. Fra Pietro da S. Andrea in Panigaie o da Faenza e fra Pa­ gano da Faenza sono anch’essi pure personaggi storici, almeno il primo. Fra Pietro fu un discepolo di s. Francesco, e da lui fu mandato nel regno di Napoli a fondare conventi colà, dove morì nel 1264.50 Alcuno narra che fra Pagano fu compagno del santo fondatore, e sepolto in Assisi presso la tomba di lui.51 Fra Viviano è pure un personaggio storico, come dicevamo poco fa. Viveva a Faenza nel 1223-24 e probabilmente fu il fon­ datore del convento dell’isola di S. Martino. Ma la storia non conosce di loro se non questo. Nessun do­ cumento contemporaneo o coevo, nessuno scrittore nè faentino, compreso il Tonduzzi, nè estraneo prima del secolo XVII, rife­ risce che questi quattro ricevessero l’abito serafico in Faenza e per mano del santo fondatore. Se alcuno di loro visse nei pri­ mordi dell’or- | dine, o fu compagno di s. Francesco, ciò non ci autorizza a conchiudere che essi ricevessero l’abito nella no­ stra città da s. Francesco: altrimenti dovremmo ammettere che s. Francesco fosse passato per tutti quei luoghi, donde uscirono i suoi primi discepoli e compagni. Certo non è improbabile che s. Francesco abbia visitato la nostra città, e che nella pubblica piazza, o altrove, abbia, come soleva, parlato al popolo accorso. Così fece ad Imola,52 così a Bologna,53 senza dubbio nel 15 agosto 1222. Ma che di là abbia continuato il suo viaggio fino a Faenza, e quivi abbia sermoneg­ giato ai nostri maggiori, noi non sappiamo.

49 Sbaraglia, B u l l a r i u m f r a n e . , II, pp. 190-191. so Magnani, V i t e d e ’ S a n t i d i F a e n z a , cit., pp. 120-124. V i r s a n c t i t a t e p r a e c l a r u s lo chiama fra Bartolomeo da Pisa nel D e c o n f o r m i t a t e ecc. ( A n a l e c t a F r a n c i s c a n a , IV, Ad Claras Aquas 1906, p. 532). Vedi V algimigli, V, p. 24. 51 M a g n a n i , pp. 82-84. 52 Nella Vita di s. Francesco scritta da s. Bonaventura (Acia S S ., Oct. II, p. 758 n. 82). 53 H i s t o r i a S a t o n i t a n o r u m , in M G H S c r i p t . , XXIX, Hannoverae 1892, p. 580.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Ma torniamo al convento di porta Ravegnana. I nostri scrit­ tori hanno intorno ad esso narrazioni favolose o almeno sospette. Si è preteso da alcuni che ivi esistesse al tempo degli dei falsi e bugiardi un delubro sacro alla dea Vesta, e che poscia fosse convertito in cappella dedicata a S. Maria delle Vergini. Ma forse si è confusa la prima chiesa dei francescani colla prima delle clarisse nell’isola di S. Martino, detta appunto S. Maria delle VerginiJ Forse, come è avvenuto in altre città italiane, S. Maria delle Vergini ha fatto ricordare a qualche erudito del Rinasci­ mento le vergini vestali, custodi del fuoco sacro, e costui ha sup­ posto che S. Maria delle Vergini sostituisse un tempio della pro­ tettrice delle vestali.54 Altri hanno voluto che i frati minori si stanziassero da prima, non dove oggi si trovano i conventuali, ma in altro luogo ignoto, e che quivi ci venissero |circa nel 1271. Ma credo si tratti di un equivoco, del quale lo stesso diligente Valgimigli non si è accorto. Il medesimo si dica della opinione certamente falsa che i minori succedessero ai religiosi militari, detti frati di S. Maria Gloriosa e volgarmente Gaudenti.55 In ve­ rità non c’è nessuna ragione di dubitare che i nostri frati minori

54 Che nel luogo ove sorse la chiesa di S. Francesco fosse il tempio della dea Vesta lo asserisce pel primo, a quanto so, Gregorio Zuccoli, scrit­ tore del secolo XVI-XVII, nelle sue C r o n i c h e d i F a e n z a (p. 15, esemplare dell’Archivio capitolare). Che la chiesa di S. Francesco si chiamasse prima S . M a r i a V i r g i n u m , narrano lo Zuccoli (1. c.) e l’Azzurrini (L i b e r R u b e u s , f. 43 b ) . Vedi V algim igli , IV, pp. 56-57; V, p. 64. 55 L’Azzurrini scrive che prima dei francescani ivi dimorarono i « fratres ordinis gaudentium » (1. c.); ma vedi il V algimigli (IV, pp. 56-57). Che i francescani venissero ad abitare nel convento odierno nel 1271 è congettura dell’Azzurrini (1. c.), derivata, credo, da falsa interpreta­ zione della carta 10 marzo 1271 (nella Bibl. com.), ove si parla soltanto di « ecclesia nova S. Francisci fratrum minorum de porta ravegnana civ. Faventie ». Vedi Valgimigli, IV, pp. 56-57, e V, p. 59. f Esiste una ta ssi r a v e n n a te a

lettera di Gregorio IX (22 apr. 1236) (cfr. la mia C r o n o questo giorno) che permette ai frati di mutar sito. Ai frati in genere? di Ravenna? Nella Cronaca di Recuperato Recuperati, copiata dal p. Zannoni nel 1640, esistente nella Bibl. com. (ms.) si legge questo sunto di scrittura tolta dall’ arch. di S. Francesco (arch. Manfredi): «N el 1248 14 marzo un Papiniano di Campobasso del Regno di Apulia fa una donatione a un frate Bonaventura sindico e vicario dei frati e del monastero S . M a r i e V i r g i n u m d e F a v e n t i a ». A questo atto il Recuperati o il Zannoni fa seguire questa osservazione: « I l qual monastero V i r g i n u m ecc. che appare da altre scrit­ ture, è quello che hora è sotto il titolo di S. Francesco ». Evidentemente questa è l’origine dell’ abbaglio. Si tratta semplicemente del nostro convento delle clarisse e ne era sindico un fra Bonaventura nel 1248 come un fra Bartolo nel 1224.

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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non abitassero fin dai primi tempi là dove oggi si trova la chiesa di S. Francesco e la caserma Carchidio. Quel terreno nel prin­ cipio del secolo XIII era fuori, sebbene presso le mura. I frati furon detti di porta Ravegnana, perchè la porta più vicina alla loro residenza era questa. Essa però non sorgeva allora ove è oggi la barriera Biffi, ma non lungi dal quadrivio di S. Chiara, dirim­ petto all’odierna Porta Pia.56s Forse il terreno fu a loro ceduto dal Comune; come nel 1231 dal Comune si donò ai domenicani il fondo allora suburbano, ove sorge la chiesa di S. Domenico, la canonica, il piazzale, la caserma e le prigioni. Forse il vescovo Alberto, o il suo anteces­ sore, favorì la donazione ai minori, come Alberto aiutò quella fatta ai domenicani.57 Della storia dei primordi del convento si conosce assai poco. Esso fu abitato per 10 anni dal più famoso cronista del se­ colo XIII, da fra Salimbene da Parma. Nella sua cronaca altret­ tanto ricca di aneddoti curiosi quanto di fatti interessanti, il ce­ lebre frate parla della chiesa di S. Francesco, del convento e del­ l’orto annesso, di molti faentini allora viventi, specialmente dei nostri vescovi, | ed anche delle vicende della nostra città. Egli narra con particolari attraenti la visita da lui fatta nel 24 gennaio del 1265 con altri 9 frati al convento dell’isola di S. Martino, come scorta d’onore di quell’arcivescovo di Ravenna, di quel prelato guerriero, Filippo Fontana, che tolse Padova ad Ezzelino da Ro­ mano, e di Giacomo Petrella, vescovo, e del Lambertini, potestà di Faenza.58 Fra Salimbene pretende di sapere che l’arcivescovo di Ravenna era devotissimo dei minori, mentre quello di Forlì mormorava di loro.59 Il celebre cronista abitava nel convento di porta Ravegnana quando nel 1265 fu predicata in Faenza dal le­ gato pontificio la crociata contro Manfredi, re di Sicilia. Egli vide nel 27 dicembre di quell’anno, mentre recavasi a predicare alla Pieve del Ponte, per la festa di S. Giovanni Evangelista, sfilare per la via Emilia i cavalieri di Carlo d’Angiò, che discendevano

56 M e d r i , Topografìa antica di Faenza, c i t . , p p . 1 7 - 2 1 . 57 Carta 5 luglio 1234 dell’archivio di S. Domenico, nella Biblioteca comunale. 58 Salimbene de A dam, Chronica, ed. A. Bertani, Parmae 1857, pp. 72, 206-208, 214, 216. 59 Ibid., pp. 208, 214-216. e Vedi sul 1240 Archiv. Frane, hist., Ili, p. 366.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XY secolo

nella bassa Italia a cacciarne il figliuolo di Federico II.60 Egli fu spettatore dei trambusti dell’aprile 1274 quando gli Accarisi (ghi­ bellini), coadiuvati dai forlivesi cacciarono dalla città i Manfredi (guelfi), e quando due mesi dopo la povera Faenza fu guasta or­ rendamente dai bolognesi accorsi a vendicare l’onta patita dai Manfredi e dai loro partigiani.61 Nel 1271 i frati fabbricarono una nuova chiesa,h durata fino alla metà del secolo XVIII.62 L’odierna, compiuta nel 1752,63 è più vasta dell’antica, ma non più bella. Se l’antico edilìzio fosse stato rispettato, io credo che la nostra città potrebbe gloriarsi del suo S. Francesco, come Bologna del proprio; perchè la chiesa faentino probabilmente fu costruita sul disegno del famoso tem­ pio bolognese. Della cappella anteriore al 1271 | non si sa nulla, tranne che Alessandro IV (nel 1256) concesse cento giorni d’in­ dulgenza ai fedeli che la visitavano nella festa e nelle ottave dei ss. Francesco, Antonio e Chiara.64 La storia della chiesa di S. Francesco del 1271 è congiunta con uno degli avvenimenti più truci della storia cittadina. Chi è quel faentino che non conosce il tradimento di Tebaldello de’ Zambrasi, del nostro Giuda Iscariote, come lo chiama il cro­ nista contemporaneo, quello che aprì Faenza quando si dormìa? 65 i guelfi bolognesi, chiamati dal traditore, cautamente e col fa­ vore della notte tra il 12 e il 13 novembre 1280 si erano avvici­ nati alle mura. Tebaldello, che pare fosse preposto alla custodia di porta Imolese, prima dell’alba, ne infrange la serratura e li introduce in città insieme col Manfredi e coi loro seguaci. Questi come leoni prorompono dentro, e quanti incontrano uc­ cidono, feriscono, catturano, cacciano ignudi e inermi. Prima delle nove antimeridiane la misera città era in balia dei feroci vincitori. Questi, come cani famelici, entrano nelle case, nei con­ venti, nelle chiese. Molti sacerdoti, chierici, religiosi, e laici, ri­ fugiatisi in esse come in asilo sacro, furono derubati, tagliati a pezzi, massacrati. La chiesa di S. Francesco divenne teatro di una

60 Ibid., pp. 221, 244. 61 Ibid., pp. 216 e 263-264. 62 Carta 10 marzo 1271 nella Biblioteca comunale. 63 Calzi, Faenza nell’arte, cit., p. 516. 64 Sbaraglia, Bullarium frane., cit., II, p. 141. 65 Inferno, XXXII, 121. h Vedi sopra lettera del 1236.

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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scena degna delle orde di Gengiskan e di Tamerlano. « I vinci­ tori come gli sgherri di Erode », scrive il Cantinelli, che forse vide questi orrori, «con ispade e con bastoni circondarono la casa dei frati minori di S. Francesco, entrarono nella chiesa, e uccisero molti innocenti fanciulli, che a piè degli altari e intorno alle imagini sacre invano avevano cercato uno scam po».66 Le memorie del terz’ordine in Faenza sono più antiche degli altri due. Intorno ad esso, come dicevo |poco fa, si conserva un breve di Onorio III, in data 16 dicembre 1221, al vescovo di Ri­ mini. Se la lettera pontificia, risguardante la nostra città, fu di­ retta a costui e non al vescovo di Faenza, penso che ciò sia av­ venuto perchè in quel tempo la nostra sede era vacante/ Il Sommo Pontefice ha appreso, come egli dice, che in Faenza e in alcune altre città e luoghi vicini vi sono delle persone, che, per divina ispirazione, calcando con umiltà le pompe del mondo, pur rimanendo nel mondo si sono convertiti alla penitenza, e alla penitenza hanno dato tutto il loro tempo, anche nell’abito recando i segni della vita intrapresa. Queste parole mostrano evi­ dentemente che il papa intende parlare dei frati della penitenza del terz’ordine di s. Francesco. Costoro si rifiutano, nonostante il il giuramento altra volta prestato al potestà, di prendere le armi e di seguirlo alla guerra; quindi dal potestà sono molestati. Il papa se ne duole e commette al vescovo di Rimini d’indurre il po­ testà di Faenza e degli altri luoghi a lasciare in pace i frati della penitenza. Si comprende troppo bene come al potestà di Faenza, che rappresentava il supremo potere esecutivo nel Comune, rin­ crescesse che alcuni militi gli venissero a mancare: molto più che in quel tempo Faenza impegnata insieme con Bologna in una guerra lunga e terribile contro Imola, voleva farla finita colla secolare nemica.67 Un documento del 1236 ci apprende che i nostri terziari ave­ vano i loro ministri, o guardiani.68 La gemma dei primi terziari, faentini di s. Francesco fu il b. Novellone. A piedi peregrinò a S. Giacomo di Compostella in 66 Messeri, Faenza nella storia, cit., pp. 72-74. 67 Ibid., p. 50. 68 Carta 12 febr. 1236 nella Bibl. comunale: « ministris fratrum penitentie c. sol. ».* * Vedi Archiv. Frane, hist., II, p. 68; III, pp. 366-367. In Faenza ter­ ziari vedi Joergephpen, libro III, pp. 484 e ss.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Galizia undici volte; cinque delle quali colle spalle ignude inin­ terrottamente flagellandosi. Le austere penitenze, i rigidi digiuni, le lunghe orazioni, la |vita solitaria presso il monastero di S. Maglorio (oggi S. Antonio ab. della Ganga) gli procacciarono dalla pubblica opinione il nome di santo. E probabilmente prima an­ cora che morisse ne fu scritta la vita. Quindi è che non appena si seppe della sua morte, avvenuta nel sabato 27 luglio 1280 dopo il mezzodì, tutto il clero della città col popolo corse colà, ne levò il venerato cadavere, e con festa lo portò alla chiesa cattedrale. Non solo la città, ma il contado ancora, ove la notizia si diffuse come in un baleno, si riversò nel duomo per vedere il santo, per toccarlo, per togliere, stracciare e rapire particelle del ve­ stimento che lo ricopriva. E nel giorno appresso, benché fosse domenica, non con mestizia, ma con grande allegrezza, con ceri accesi in mano e con splendida pompa tutto il popolo faentino, preceduto dal potestà, dagli Anziani, dai consoli e da tutto il Consiglio, si recò nella cattedrale a cantare la messa e l’ufiìcio divino.697 2 1 0 Queste sono le poche, ma sicure notizie che possediamo in­ torno ai primordi dell’ordine francescano nella nostra città. Da ciò si raccoglie che Faenza nostra fu non seconda ad alcuna delle sue cento sorelle nell’accogliere l’evangelo della povertà, predicato da colui che fu tutto serafico in ardore.™ I faentini non tardarono dunque troppo, dopo Bernardo, Egidio e Silvestro, a scalzarsi dietro allo sposo della povertà e a correre dietro a tanta pace.11 Tre lustri appena dopo la prima istituzione del primo or­ dine, un lustro dopo il primo capitolo generale, in cui si fonda­ rono le prime dieci province, Faenza possedeva una famigliuola di vergini, cui già legava l’umile capestro72 di Francesco e di Chiara. Probabilmente nello stesso tempo, e forse prima, ebbe principio il convento dei minori. Ma senza dubbio | nell’anno stesso in cui s. Francesco istituiva o dava regola e forma al terzo ordine della penitenza, cioè nel 1221, Faenza conteneva buon nu­ mero di terziari da richiamare gli energici provvedimenti del supremo gerarca in loro favore. E ad ogni modo, o che s. Fran­ cesco stesso abbia visitato, come è credibile, la nostra città, o no, 69 P etri Cantiseli!, Chronicon, ed. F. T orraca, in RIS, XXVIII, 2, Città di Castello 1902, p. 42. 70 Paradiso, XI, 37. 71 Ibid., 79-84. 72 Ibid., 87.

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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o che i faentini abbiano sentito le sue parole qui, o altrove, o che ne sia a loro pervenuta soltanto la fama, certo è che fin dalla prima ora dell’ordine serafico, alcuni nostri concittadini vestirono l’umile saio della gente poverella,73 e divennero compagni e fa­ migliaci del duce, e da lui furono adoperati per la propagazione della sua religione. E dalla nostra diocesi, da Bagnacavallo, pare sia uscita quel fra Graziano,74 che nel capitolo generale di As­ sisi del 21 maggio 1221 fu da s. Francesco eletto superiore della provincia di Lombardia e di Romagna. Egli condusse seco in Ro­ magna quel fratino portoghese che nessuno dei superiori delle province aveva voluto, e lo collocò nel romitorio di monte Paolo sopra Forlì, donde uscì Antonio da Padova, il più grande dei fi­ gliuoli di s. Francesco, il più eminente dei predicatori popolari del medioevo, il superiore dei nostri conventi di Romagna dal 1227 al 1230, conventi che egli avrà certamente visitati. L’ordine francescano, come è noto, portò in seno, fino dai primi giorni di s. Francesco stesso, i germi della discordia; e nes­ suna forza umana valse ad estinguerli. Ma quell’annosa pianta non morì. Anzi da lei spuntarono di quando in quando novelli rami, rigogliosi di vita, che diedero alla Chiesa frutti meravigliosi, come nei tempi eroici dell’ordine. E la nostra città pure trasse [ vantaggio da queste gloriose rifioriture dell’istituzione francescana. Nei primordi del secolo XV il monastero di S. Perpetua, fuori di porta Montanara, abitato già un tempo da s. Umiltà, era ca­ duto in ruina. I primitivi abitatori lo abbandonarono, e lo cedet­ tero ai frati francescani osservanti. Così furono chiamati dal loro stesso istitutore fra Paolo Trinci, fulginate, perchè si adoperarono di tornare alla stretta osservanza della regola di s. Francesco, alla ricca povertà dell’Evangelo. Papa Eugenio IV approvò la cessione e il giorno 6 luglio 1444 fu celebrata la messa in pos­ sesso nel luogo stesso ove sarebbe stato edificato il nuovo chiostro e la chiesa dedicata a s. Girolamo. Erano presenti il b. Marco Elefantuzzi di Bologna, il ven. Girolamo Capistri faentino no­ nagenario ed altri religiosi insigni venuti dal di fuori, il vescovo,

73

i b i d .,

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94.

Fra Bartolomeo da Pisa nel D e C o n f o r m i t a t e (A n a l e c t a F r a n c i s c a n a , cit., p. 278) scrive: « I n Auximo iacet frater Gratianus sacerdos e t d e p a r ­ t i b u s R o m a n d i o l a e o r i u n d u s , qui multa et praeclara miracula fecit in vita » ecc. 74

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

fra Francesco, servita, coi canonici, gli Anziani, e Guidacelo, Astorgio e Giovanni Galeazzo fratelli Manfredi signori della città, e un popolo immenso. Dopo letta ad alta voce la bolla del pon­ tefice, i frati e i canonici cantarono il Tedeum alternatamente, e il vescovo diè termine alla solennità con un sermone.75 Per questa chiesa di S. Girolamo lavorò il Donatello la statua in legno del solitario di Betlemme, uno dei gioielli della patria pinacoteca.76 I Manfredi predilessero questo convento e questa chiesa. Il vescovo Federico innalzò a sue spese la cappella del titolare;77 ed Astorgio II elesse ivi la tomba.78 E tomba dei Manfredi fu veramente quel convento. Di là tolse Galeotto quel fra Silvestro di Forlì, quel pessimo arnese, che co’ suoi consigli e colle sue insinuazioni condusse sull’orlo della ruina il disgraziato prin- | cipe.79 Là nel giorno 25 aprile 1501 sottoscrissero i rappresentanti del giovinetto suo figlio la resa di Faenza e la fine della signoria manfrediana. Là recavasi nella sera del giorno seguente l’ultimo rampollo della casa Manfredi, inconsapevole del suo orrendo destino. Credette il meschinello col rendere omaggio al Borgia di propiziarsi il feroce vincitore; ma rimase nelle mani di lui per non uscirne più vivo.80 Astorgio II aveva in animo di introdurre in Faenza anche le suore francescane osservanti, e a questo proposito dispose nel testamento che colla dote della figlia Barbara, a lui premorta, si edificasse in Bondiolo un monastero dedicato alla santa mar­ tire omonima. Così le pie vergini clarisse dell’Osservanza avreb­ bero ogni giorno levato preghiere a Dio per quella donna, che fu altrettanto bella di corpo quanto di animo nero; se è vero che ella tradisse la sorella e tentasse di avvelenare il cognato.81 Ma il pio disegno di Astorgio, per ragioni a noi ignote, non venne eseguito.82 Ma se queste clarisse osservanti non entrarono in Faenza, altre suore francescane vi ebbero stanza in quei tempi. Dal prin©

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75 M ittarelli , Ber. Fav. Script., cit., p. 356; V algimigli , X, p. 163. 76 Calzi , Faenza nell’arte, cit., pp. 487, 556-557. 77 V algim igli, X, p. 163.

™ Ibid., X, p. 19. 79 Ibid., XI, p. 50. 80 Messeri , Faenza nella storia, cit., pp. 221-252. 81 Ibid., pp. 164-165. 82 V algim igli , XI, p. 50. Di questo stesso affare si trattò inutilmente nel 1510 tra la città e Giulio II (Z uccoli, p. 254).

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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cipio del secolo XVI fino al primo regno italico certe suore, dette di S. Paolo, abitarono nella casa oggi residenza deH’orfanotrofio femminile.83 Trovo che delle terziarie regolari vissero per un tempo abbastanza lungo, forse dal 1349 al 1462, nel convento della SS. Trinità nel Borgo d’Urbecco.84 Dal secolo XVI al XVIII alcune terziarie, chiamate volgarmente terzine, fecero vita co­ mune successivamente in parecchi luoghi, nella | parrocchia del SS. Salvatore, presso l’ospedale di S. Novellone85 e altrove. Nel 1499 si allogarono presso la chiesuola della Madonna del Paradiso, non lungi da porta Imolese, i terziari regolari che vi rimasero fino ai tempi della rivoluzione francese.86 Negli ultimi secoli Faenza aprì le porte alle ultime propag­ gini del grand’albero francescano. Mentre per lei cominciavano i tempi nuovi della domina­ zione pontificia, agli albori della contro-riforma cattolica, nel 1541,878 a quanto pare, sul colle solitario e ridente di Persolino a due miglia dalla città prendevano stanza gli eremiti cappuc­ cini, detti allora volgarmente scappuccini. Erano tre lustri ap­ pena che fra Matteo da Basso nativo dell’Umbria, terra fertile di riformatori dell’ordine francescano, staccatosi dall’Osservanza, aveva dato origine a questa nuova famiglia, desiderosa d’imitare più da presso il grande umbro nel suo farsi pusiIlo.ss E dopo trent’anni essi ottennero dal cardinale Girolamo Rusticucci un terreno della commenda di S. Perpetua, più vicino alla città, presso il canale del Comune, e quivi si trasferirono coll’appro­ vazione del vescovo e del magistrato cittadino.89 Nel 1601 agli osservanti di porta Montanara, per opera del vescovo Giovanni Antonio Grassi, subentrarono i riformati.90 Finalmente nel principiare del secolo scorso, dopo sedata la bufera rivoluzionaria, i due fratelli Righi, sacerdoti faentini, Pa­ squale, dotto altrettanto che pio, e Bartolomeo, consci dei bi­ sogni dei nuovi tempi, aprivano | una casa alle terziarie fran­

83 T onduzzi, p. 44. 84 V algimigli, V ili, p. 209; XI, p. 10. 85 V a l g i m i g l i , fase. 64, pp. 14 e ss. Fino al 1810 abitarono nella par­ rocchia di S. Severo delle terziarie cappuccine. 86 T onduzzi, pp. 39-40. 87 V algim igli , Giunte, pp. 334-337, 394. 88 Paradiso, XI, 109. 89 V algimigli, fase. 61, pp. 17-19. 90 Ibid., fase. 67, p. 16.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

cescane Figlie della Carità coll’affidar loro l’istruzione e l’educa­ zione delle fanciulle del popolo.91 Così, nacque, così si è propagato in Faenza l’ordine france­ scano nei sette secoli della sua storia. Oggi che si cercano studiosamente le date più importanti (fèlla vita, civile ed ecclesiastica, dei popoli e delle nazioni per commemorarle e festeggiarle, il settimo centenario dell’ordine francescano non poteva passare sotto silenzio. Infatti s. Fran­ cesco e il suo ordine hanno scritto pagine assai gloriose nella storia non solo ecclesiastica ma civile dell’Italia e del mondo. Noi faentini celebriamo questa solennità non solo come cat­ tolici e come italiani, ma ancora come faentini. Sì, come faentini, perchè l’ordine francescano è parte importante della nostra storia municipale, e costituisce anche oggi un elemento prezioso della vita religiosa e morale del nostro popolo. Certo chi pretendesse che le famiglie francescane, vissute nella nostra città dai primordi fino ad oggi, abbiano sempre, in ogni momento della loro lunga esistenza ed in eguale maniera, giovato all’incremento della moralità e della religione presso di noi, mostrerebbe di non comprendere che gli ordini religiosi, quantunque fondati da uomini santi e benedetti dalla Chiesa, sono istituzioni umane, che col volgere degli anni decadono dalla pri­ miera eccellenza, e talora resistono tenacemente ai tentativi dei più fervorosi riformatori. Certo i conventi faentini non furono immuni dai difetti generali dell’ordine francescano. Le età di rame e di ferro della religione francescana si estesero anche ai nostri monasteri. Vide anche la nostra città tra le famiglie dello stesso padre lotte lunghe e accanite, gelosie e contese cogli | altri ordini e col clero secolare, soverchie arrendevolezze nell’ammettere i candidati, debolezze nell’espellere gl’indegni, strappi all’os­ servanza della regola, corruttele purtroppo e scandali. Ma il qua­ dro, nonostante le macchie, splende di tanti pregi da farne di­ menticare i difetti. Invero tutti i rampolli dell’ordine francescano, trapiantati nella nostra città, hanno generato una vera pleiade di uomini ricchi dello spirito evangelico e delle virtù serafiche del fondatore. Alcuni conseguirono il culto degli altari, altri sarebbero degni

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Carta dell’ archivio delle terziarie; Messeri, Faenza nella storia, cit.,

pp. 595, 607.

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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di averlo.92 L’ordine minoritico ha registrato ne’ suoi fasti un fra Guido,93 un fra Giovanni,94 e un fra Matteo,95 del quale un antico innografo cantava: Mathaeus praeco fervidus, Minorum constans numero, multas orbis provincias ad Christi duxit sem ita s.9 6

L’Osservanza si gloria dei venerabili Girolamo Capi- | stri97 e Andrea Ronchi,98 religiosi di eminenti virtù e predicatori in­ defessi. I cappuccini si onorano del beato Battista Castellini, che con implacabili penitenze espiò la sua vita di soldato licenzioso e manesco e di capo-bandito.99 I terziari si vantano del b. Novellone, già di sopra ricordato. Innumerevoli sono i religiosi di ciascuna famiglia, che si di­ stinsero per virtù non comuni. Non pochi furono eletti alle cariche ecclesiatiche. Quattro salirono sulla nostra cattedra episcopale.100

92 Magnani, Vite, pp. 82-85, 91-93, 99-102, 120-124,· 129-149, 190-204, 263-276, 278-280, 314-326, 328-333, 343-348, 359-361, 364-372, 374-388, 391-394; G. P icconi, Serie cronologico-biografìca dei ministri e vicari provinciali della minoritica famiglia di Bologna, Parma 1908, pp. 102-105, 144, 160, 248, 324-328, 362, 383-384, 392-393, 409, 443-444, 462-464, 469, 472-474; G. P icconi, Cenni biografici sugli uomini illustri (...) della fran­ cescana osservante provincia di Bologna, Parma 1894, passim; V algim igli , V ili, pp. 138 e ss. 93 Fr. Bartolomeo da P isa , De conformitate vitae, in Analecta Fran­ ciscana, cit., IV, p. 263: «m agnus praedicator crucifixi et passionis, hic mira multa in vita fecit et nunc etiam sua sanctitas miraculis (...) inno­ te s cit»; pp. 521-522: « semper de passione Domini praedicando clavum quemdam ob memoriam passionis semper in manu tenebat dum praedi­ caret et magnum fructum faciebat anim arum »; Magnani, pp. 192-201; V al ­ gim igli , VIII, pp. 3 e ss. 94 Magnani, pp. 219-221. 95 Fr. Bartolomeo da P isa , cit., pp. 521-522: «egregius praedicator (...) cuius miris et praedicatione tota renovata fuit B on on ia »; p. 524: « i n vita et in morte et post miracula est operatus et adhuc fa c it » ; Magnani, pp. 201-204. 96 T onduzzi, p. 34. 97 P icconi, Serie, cit., pp. 102, 106, 132. 98 Magnani, pp. 273-276; P icconi, Serie, p. 160; Archiv. Frane, hist., II, 1909, pp. 32-36, 216-231. 99 Magnani, pp. 314-320. 100 Fr. Ugolino da Faenza (1311-1336/7); Fr. Pietro da Pago (14061412); Fr. Giovanni da Faenza (1427-1438) (A. Strocchi, Serie cronologica

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

I nostri conventi hanno dato alla Chiesa molti ed egregi pre­ dicatori e teologi e alla società civile degli insigni filantropi. Basterà ricordare fra Andrea de’ Bovi, il p. Chiodaroli, predi­ catore nel Concilio di Trento, tenuto in grande stima da quel fino conoscitore di uomini che fu s. Carlo Borromeo, il p. Filippo Fabbri e il p. Francesco Pontelonghi, due luminari della scuola scotista,101 e i pp. Andrea ed Evangelista, ferventi propagatori e difensori dei Monti di Pietà in Italia e fondatori di questa provvida istituzione in Carpi, in Mirandola, in Cremona, in Pia­ cenza, in Arquà, in Ravenna e in Sulmona.102 I figli di s. Francesco coltivarono anche le arti belle. Quel maiolicaro faentino, fra Melchiorre, che sul finire del secolo XV trasportò in Ferrara col patrocinio | di Ercole I l’arte gentile, a giudizio del Valgimigli, era terziario francescano.103 Artisti nostri e forasti eri lavorarono per commissione dei francescani. Non pochi dei capolavori della patria pinacoteca, la tela di Marco Melozzo, il S. Girolamo di Donatello, la Madonna di Guido Reni, il quadro di Alessandro Tiarini, il crocifisso di Ot­ taviano da Faenza e altri, provengono dalle loro chiese e dai loro conventi.104 Se altri capi d’opera o sono andati perduti, o hanno esulato lontano da noi, o vanno deperendo miseramente, colpa non è, non fu sempre degli antichi possessori. I francescani hanno esercitato una salutare influenza nella vita religiosa, morale e civile della nostra città. In tempi di fieri odi di parte, d’inimicizie implacabili, di vendette feroci, predicarono la pace e la concordia, disarmarono, riconciliarono le fazioni, le famiglie nemiche, indussero gli av­ versari a stringersi le destre, a darsi il bacio di pace. Alla pre­ senza dei predicatori, durante le loro infocate concioni, nelle piazze, nei templi, quanti che parevano inflessibili nell’odio e nella vendetta, deposero il coltello, abbracciarono il nemico, in

storico-critica de’ vescovi faentini, Faenza 1841, pp. 153-157, 169-170, 172-174); Fr. Angelo Pianori da Brisighella (1871-1884) (P icconi, Serie, pp. 324-328). 101 Messeri, Faenza nella storia, pp. 606-607. Il p. Chiodaroli, scrive lo Zuccoli (p. 287), « fu a’ suoi dì il maggior uomo che montasse pergamo ». 102 Magnani, pp. 273-276; Valgimigli, XIII, pp. 107; P icconi, Serie, p. 160; Archiv. Frane, hist., II, 1909, pp. 32-46, 216-231. 103 V algimigli, X, p. 15. 104 Calzi, Faenza nell’arte, pp. 96, 352, 487, 529-530, 542-543. Vedi inoltre pp. 381, 398-399, 402-407, 426-428, 430, 450-451, 461, 465.

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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mezzo alle lagrime degli astanti! Nè queste riconciliazioni furono sempre fenomeni effimeri e passeggeri.105 Quando il redivivo paganesimo, folleggiante in tutta Italia, scatenò le cupidigie umane frenate dall’Evangelo, e corruttele d’ogni sorta dilagarono, essi comparvero in mezzo agli spensie­ rati gaudenti ad annunziare la penitenza, difesero la santità del matrimonio, si scagliarono contro il concubinaggio e la pedera­ stia dominanti, indus- | sero i magistrati a relegare in luoghi appartati gl’incentivi del vizio, combatterono il lusso eccessivo, in­ frenarono la prodigalità delle mense e delle feste nuziali. Nel mentre che il predicatore stava per partirsene, il popolo scosso e convertito portava intorno al palco i libri lascivi, i quadri pro­ fani, i dadi, le carte, gli oggetti di lusso, le vesti scandalose, ne faceva una catasta e la dava alle fiamme.106 Quando l’usura, esercitata da ebrei e da cristiani spolpava i poveri, e pochi cresi sfruttavano tutte le forze economiche di un paese, essi levarono la voce a nome degli oppressi, e non cu­ rando il dispetto e la persecuzione della plutocrazia ferita, ecci­ tarono i governanti a moderare, a proibire, a sciogliere i contratti usurari, a cacciare i dissanguatori del popolo, e a sopperire alle miserie e ai bisogni dei piccoli coll’istituzione dei Monti di Pietà.107 La creazione e la propagazione dei Monti di Pietà in Italia è opera tutta francescana. I francescani li difesero contro le op­ posizioni dei capitalisti ingordi e disumani da una parte, e contro i pregiudizi e i cavilli teologici dall’altra. E fu appunto un figlio di s. Francesco, il b. Bernardino da Feltre, che nel 1491 persuase i rappresentanti del nostro Comune a fondare il sacro Monte. « Ad ciò fummo inducti », dicono gli Anziani nel proemio dei vec­ chi statuti, « pel santo verbo predicato a questa città pel el ve­ nerabile padre fra Bernardino da Feltrio della Osservanzia ». Trentaquattro prediche fece il sant’uomo per riuscire nel suo fi­ lantropico disegno. Egli suggerì i modi di provvedere al fondo ne­ cessario per sovvenire ai bisogni del povero, col contributo delle parrocchie della città e del contado, e dei castelli di Granarolo, di Solarolo e di Oriolo. Egli procurò fosse stabilito che i notai del Comune, chiamati a redi- | gere gli atti di ultima volontà, interrogassero i testatori se volessero legare in favore del Monte

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105 V algim igli , XII, pp. 80 e ss. e fase. 60; A. M etelli , Storia di Brisighella, Faenza 1869, II, pp. 182-184. 106 V algim igli , XII, pp. 82 e ss. 107 Ibid., XII, pp. 82 e ss.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

di Pietà. Egli ne dettò i capitoli e gli statuti. Egli difese la no­ vella istituzione contro le dicerie e le argomentazioni scolastiche dei domenicani e degli agostiniani. Per opera sua fu cacciato dalla città un medico ebreo, di nome Lazzaro, ricco altrettanto che prepotente, aguzzino piuttosto che usuraio, che curava gra­ tuitamente il popolino per accaparrarsene la simpatia.108 In memoria di questo fatto fu battuta una moneta o medaglia d’argento recante nel diritto una corona d’alloro col busto di Astorgio III e nel rovescio Cristo sorgente dal sepolcro.109 Nella chiesa dell’Osservanza, ove ebbe principio la santa istituzione, fu ritratto il giovinetto principe inginocchiato ai piedi del b. Ber­ nardino nell’atto di ricevere l’insegna della pietà cristiana.110 E il divino pennello di Marco Melozzo ritrasse nello stendardo del Monte col Cristo morto il b. Bernardino e il faentino fra An­ drea Ronchi, suo compagno di apostolato.111 I predicatori francescani promossero l’esercizio della carità privata e pubblica in tutte le sue svariate forme. Trovo che i frati terziari francescani furono governatori e inservienti in alcuni dei moltissimi ospedali che nei passati tempi sorgevano nella nostra città e nel suo territorio.112 Ma durante i sette secoli di dimora nella nostra città i figli di s. Francesco si sono resi benemeriti specialmente della vita re­ ligiosa dei faentini. Essi hanno promosso la frequenza dei sacra­ menti, la divozione al | SS. Crocifisso,113 alla b. Vergine Immaco­ lata,114' al SS. Nome di Gesù, alla Via Crucis. Rimane ancora qua e là nella sommità della porta di alcune vecchie case e nei lavori della nostra antica maiolica 115 quel monogramma di Gesù, che fu come il simbolo della predicazione di s. Bernardino da Siena e di s. Leonardo da Porto Maurizio. Alcune delle su indicate divo­ zioni sono ancora in vigore presso di noi, e costituiscono anche

108 Ibid., XII, pp. 80 e ss., 86 e ss.

109 Messeri, Faenza nella storia, cit., pp. 210-211. no Così il Tonduzzi, p. 48, eh« chiama il dipinto tavola. Ma sarebbe una tela, oggi mutila e deturpata nella Pinacoteca comunale (Messeri e Calzi, pp. 153 e 531). Hi Calzi, Faenza nell’arte, cit., pp. 96, 529-530. li2 Valgimigli, IX, pp. 13-14. no Magnani, pp. 320-322. H4 Ibid., pp. 269-273. H5 Calzi, p. 403. 1 al SS.mo Sacramento (vedi la mia Madonna del fuoco).

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I primordi dell’ordine francescano in Faenza

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oggi, se non m’inganno, uno degli alimenti più solidi della pietà del popolo e uno dei propugnacoli più validi della sua fede. Coll’aggregare gli uomini e le donne al rispettivo terz’ordine, coll’erigere nei loro conventi, o presso i medesimi, numerose con­ fraternite da essi medesimi protette e guidate, introdussero e con­ servarono in tutte le classi sociali l’amore alla preghiera, alle pratiche di culto, all’assistenza reciproca, alla carità, alla fratel­ lanza, e alle altre virtà cristiane, patrimonio prezioso, che l’età presente va così sconsigliatamente sperperando. Le figlie di s. Chiara e le suore terziarie hanno educato alle virtù cristiane un numero immenso di giovinette. Se le nostre donne si fanno ammirare per severo costume e per fervorosa pietà, ciò si deve in gran parte alle cure diligenti, incessanti, di­ sinteressate delle figlie di s. Francesco. La tormenta, che da più di un secolo infierisce sugli ordini religiosi, ha costretto più di una volta i frati e le suore france­ scane a sbandarsi; ma grazie al cielo, la pianta benefica non è stata sradicata dal nostro terreno. Essa ha ripullulato con energia, e prospera ancora. Se foste costretti ad abbandonare il vecchio nido, e a cer­ care una stanza altrove, o a ricomprare da chi ve | n’ebbe spos­ sessato, la casa dei vostri maggiori, voi ricordaste che le perse­ cuzioni sono il retaggio di chi vuol vivere in Cristo, e, dietro la scorta del vostro duce e maestro, consideraste unica vostra ric­ chezza vivere secondo Cristo e tirare anime a Cristo. Vivere se­ condo Cristo e tirare anime a Cristo: ecco la vita che voi con­ ducete in mezzo a noi. La povertà, la semplicità e l’umiltà di s. Francesco risplendono nei vostri abituri. Ivi accogliete i cuori più bisognosi di pace e di conforto; e di giorno e di notte ne uscite per recarvi al letto dei malati e dei moribondi, nella stam­ berga del povero e nel palazzo del ricco, per ricondurre le anime più restie tra le braccia della misericordia di Dio. I santuari vostri sono i preferiti dalla pietà del nostro popolo. Le vostre chiese sono la cittadella della riforma del canto sacro. La porta dei vostri conventi non è mai chiusa al poverello, che domanda l’ele­ mosina. Gli asili delle vostre vergini sorelle sono la salvaguardia della nostra gioventù femminile. « Mane nobiscum, Domine, quo­ niam advesperascit: Rimani con noi, Signore, perchè si fa sera e il giorno è già declinato » : dissero i discepoli di Emmaus a Gesù risorto, per persuaderlo a entrare con loro nello stesso al-

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

bergo.116 Così io dico a voi: rimanete, o figli di s. Francesco, ri­ manete con noi, perchè l’orizzonte abbuia, la notte s’avvicina, la procella da lungi rumoreggia, un’ora triste incombe: rimanete con noi, rimanete con noi nel tempo della prova. I conventi donde i francescani sono stati costretti a partire, altri sono stati trasmutati in caserme, altri ridotti a diversi usi della vita. Il convento dell’Osservanza è diventato da circa un se­ colo la dimora dei defunti. Ivi dunque noi dormiremo l’ultimo sonno. Ivi poseranno le nostre ossa. È bello, è dolce per noi cri­ stiani il pensare che il luogo dell’ultima dimora nostra [ e dei nostri cari sia stato santificato dalle preghiere e dalle penitenze dei figli di s. Francesco. L’imagine pia e soave del serafico padre aleggia ancora tra quei cipressi e tra quei mirti sempre verdi. Parmi che quel secondo Gesù abbracciato e stretto alla croce del Salvatore, che torreggia sul campo santo, ripeta sui tumuli e sulle tombe quella strofa del suo inno immortale: Laudato si, mi signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po skappare; guai a quilli ke morrano ne le peccata mortali; beati quilli, ke se trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda noi farrà m a le . 07 *

06 Lue. XXIV, 29. H7 E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, fase. I, Città di Castello 1889, p. 32. * [Segue da p. 47 a p. 59 un’ appendice con Documenti dell’antico archivio di S. Chiara, che il Lanzoni trascrive dal Valgimigli il quale a sua volta trascrisse dal Tondini. Ma poi il Lanzoni trovò sia il Tondini, sia, almeno in parte, le carte originali: cfr. gli studi seguenti Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza, del 1912, e Cose francescane faentine, del 1921, ai quali nelle note precedenti direttamente si rimanda, con l’in­ dicazione delle pp. d i questo volume.]

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LE ANTICHE CARTE DEL CONVENTO DI S. CHIARA IN FAENZA In Archivum Franciscanum historicum, V, 1912, pp. 261-276 e 482-496

Nella mia conferenza, intitolata I primordii dell’ordine fran­ cescano in Faenza,1 riferii che l’antico archivio del convento di Santa Chiara in Faenza è scomparso, ma che nella seconda metà del secolo XVIII l’abate Tondini ne copiò parecchi docu­ menti, trascritti in parte dal Valgimigli nelle sue preziose Memo­ rie storiche di Faenza, manoscritte nella biblioteca comunale. In appendice alla mia conferenza pubblicai per intero o in parte diciassette documenti del disperso tabulario, tolti dall’opera del Valgimigli, perchè credevo che il manoscritto del Tondini fosse perduto. Ma, non appena terminata la stampa della conferenza, 10 trovai nella biblioteca comunale di Faenza. E poiché i docu­ menti da me dati in luce, quantunque mutili, sono stati molto ap­ prezzati dagli studiosi di cose francescane, credo opportuno pub­ blicarli di nuovo nella forma integrale con alcuni altri, dal Val­ gimigli o non ricordati o accennati semplicemente. I documenti dell’antico convento di Santa Chiara si trovano in un libercolo coperto di una carta color cenere, sulla quale si legge di carattere del Tondini: Memorie relative al Convento di Santa Chiara di Faenza. Cartella V. D. D. contenenti nl 13. Il li­ bretto è composto di 3 quaderni uniti insieme, di pagine 64 nu­ merate. Nei quaderni sono intercalati alcuni fogli sciolti, nume­ rati insieme coi quaderni. 11 foglio 1 (segnato num. 1) contiene: Indice delle pergamene del monastero di S. Chiara di Faenza. Il foglio 2 (num. 2) contiene un altro: Indice delle pergamene ecc. Il foglio 3 (num. 3) un terzo: Indice delle pergamene che si con­ servano nell’archivio del monastero di S. Chiara di Faenza. 1 Faenza 1910 (62 pp.). [in questo volume a pp. 175-206] Cf. Archiv. Frane, hist., Ili, 1910, pp. 364-367.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Il foglio 4 (num. 4) contiene la continuazione del terzo indice. Il quaderno 1 (num. 5) è intitolato: Dall’archivio di S. Chiara di Faenza, e contiene delle copie. Il quaderno 2 (num. 6) senza titolo, contiene altre copie. Il foglio 5 (num. 7) contiene un quarto indice: Pergamene di S. Chiara. ] Il foglio 6 (num. 8) è una copia di una patente del 1650 che non appartiene a S. Chiara. Il foglio 7 (num. 9) è un atto del 1135 tolto dall’archivio dell’aba­ zia dei Santi Ippolito e Lorenzo in Faenza e ad essa relativo, pubblicato dagli Annales Camaldulenses (III, Append. p. 350). Il quaderno 3 (num. 10) col titolo: Dall’archivio di S. Chiara di Faenza contiene delle copie. Il foglio 8 (num. 11) non appartiene a S. Chiara. Il foglio 9 (num. 12) egualmente. Il foglio 10 (num. 13) parimente non ispetta a S. Chiara. Adunque soltanto i numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, e 10 si riferiscono a S. Chiara. La scrittura di questi numeri è certamente tutta di mano del­ l’abate Tondini, mano abbastanza nota agli eruditi di cose locali. Il n. 11 è scritto sopra un foglio di carta, staccato da una lettera, ove si legge il soprascritto : « Al Molto Rev.do Sige. Sige. Prone Colmo |Il Sig. D. Gio. Battista Tondini |Maestro di belle lettere in ( Faenza ». Confrontando diligentemente i 4 indici delle pergamene tra loro e colle copie dei 3 quaderni si rileva che i 4 indici sono stati composti in diversi tempi. Essi sono molto differenti tra loro. In alcuni mancano delle pergamene registrate in altri, e al con­ trario se ne incontrano nei secondi che non si trovano nei primi. In qualche indice alcune pergamene sono ripetute due e più volte, talora con dati cronologici differenti. Gli errori cronologici e di trascrizione abbondano. Gl’indici contengono più e meno carte dei quaderni, cioè alcune carte sono registrate negli indici e non trascritte nei quaderni, e al contrario i quaderni contengono delle pergamene non elencate negli indici. È probabile che il T. non abbia elencato o trascritto tutti i documenti dell’archivio o che l’archivio al tempo del T. avesse già subito delle malversazioni. Infatti mancano negli indici e nei quaderni le seguenti carte, che avrebbero dovuto trovarsi in S. Chiara: 1. Una bolla di Gregorio IX, marzo 1235, che conferma la carta di esenzione di Alberto vescovo, bolla pubblicata dallo Sba­ raglia (Bullarium Franciscanum, I, Roma 1759, n. 149; A. P ot-

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

Regesta Pontificum romanorum, Berolini 1874, n. 9867; L. A u v r a y , Les registres de Grégoire IX, Paris 1896-1910, n. 2505). 2. Una bolla di Alessandro IV, 1261, che commette all’eletto vescovo di Bologna (Ottaviano Ubaldini) una controversia tra le monache incluse di Santa Maria delle vergini di Faenza da una parte, il clero di Ravenna, Cavalcaconte, i fratelli conti di Bagnacavallo, e molti altri dall’altra; bolla vista e ricordata dal Tonduzzi (Historie di Faenza, Faenza 1675, p. 296). 3. Una carta di esenzione di Giacomo, vescovo di Faenza, col consenso dei canonici, per rogito di Benvenuto Caffarelli, anno 1261, « presentibus Iacobo domini Almerici de Caminitia et An­ seimo domini Neapoleonis de Butrigariis » ; carta vista e ricor­ data pure dal Tonduzzi (loc. cit.). Il Tondini registrò bensì una carta di esenzione di Giacomo, 30 luglio 1261 (vedi il num. 20 del seguente regesto), ma non ne vide l’originale. Infatti egli non conobbe se non la copia inserita |nella pergamena 9 maggio 1269 263 (vedi il num. 22 dello stesso regesto); e questa copia non con­ tiene il nome dei testimonii ricordati dal Tonduzzi (vedi il do­ cumento XVII). 4. Una pergamena, nella quale il cardinale legato Napoleone Orsini, in Faenza, anno 1307, concedeva 100 giorni d’indulgenza a chiunque visitasse la chiesa di San Martino del convento di fra Viviano nelle feste della B. Vergine, di San Martino, di San Francesco, di Sant’Antonio di Padova e di Santa Chiara; della quale fa menzione lo stesso Tonduzzi (op. cit., p. 371). Ecco il regesto, da me ordinato, di tutte le carte vuoi elen­ cate, vuoi trascritte dal Tondini. Il numero romano tra parentesi indica le carte che saranno da me pubblicate nelYArchivum Franciscanum historicum. th ast,

R

egesto

delle

carte

d e l l ’ a n t ic o

a r c h iv io

di

Santa

C h ia r a

O ELENCATE O TRASCRITTE DALL’ ABATE TONDINI NEL SECOLO

XVIII

1. 1209 dicembre 16. Gisla, moglie di Scoitolo, dà in enfdeusi a Donazano e a Fenzolino metà prò indiviso di una sua pezza di terra posta nelle isole di San Martino in poggio del territorio e della pieve di Faenza (I). — Negl’indici manca; trascritta nel quad. 2, p. 28. Questa carta, la seguente e la 4 furono cedute alle Clarisse da Rodolfo Tabellioni, o da alcun altro proprietario dei terreni dell’isole di San Martino.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

2. 1223 giugno 4. Bonaventura, figlio di Donazano, vende a Ro­ dolfo Denago metà di una fornace che è sulla pezza posse­ duta in indiviso con Gisla di Scoitolo (II). — Indici 1, 2, 3, 4; q. 2, pp. 24-25. 3. 1224 giugno 3. Rodolfo Tabellioni dona a fra Bartolo per la chiesa e il luogo delle vergini una pezza di terra situata nelle isole di San Martino (III). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 2, p. 27. — È pubblicata nel mio libro cit. I primordii, pp. 49-50. 4. 1224 giugno 14. Gisla, moglie del fu Scoitolo, vende a Ro­ dolfo Tabellioni metà di una fornace posseduta da lei prò indiviso cogli eredi di Donazano (IV). — Ind. 1, 3, 4; q. 2, pp. 26-27. 5. 1224 luglio 13. Alberto, vescovo di Faenza, dichiara immune dall’autorità episcopale il luogo di S. Maria delle vergini nell’isola di San Martino (V). — Ind. 2, 3, 4; q. 2, p. 31. — Pubblicata, op. cit., pp. 50-51. 6. 1225 giugno 27. Pietro, priore di San Martino in poggio, dà in enfiteusi al monastero delle Clarisse una pezza di terra posta nelle isole di San Martino (VI). — Ind. 2; q. 2, pp. 33-34. Il Tondini erroneamente legge 26 giugno. — Pubblicata, op. cit., pp. 51-52. 7. 1231 aprile 23. Gregorio IX concede alle suore di Santa Maria di poter accettare legati, fedecommessi ecc. (VII). — Indici 1 bis, 2 bis, 3 bis, 4; q. 2, pp. 30-31. Erroneamente vien posto dal Tondini ora nel 24 apr. 1232 ora nel 1370. Anche il Tonduzzi (op. cit., p. 41) lo collocò nel 1232. — Pubblicata, op. cit., p. 52. | 8. 1233 giugno 5. Albertino e Niccolò fratelli e Salomone ce- 264 dono al monastero di Santa Maria ogni loro diritto sopra certa pezza di terreno (Vili). — Ind. 1, 2, 3; q. 2, p. 32. 9. 1253 gennaio 12. Innocenzo IV concede al monastero facoltà di poter ricevere sotto alcune condizioni il mal tolto (IX). -— Ind. 1, 2, 3; q. 2, p. 30. Negl’indici erroneamente è collocata nel 13 gennaio. Il Tonduzzi (1. c., p. 41) dice di d’aver visto delle lettere d’Innocenzo IV, in data Ì244, alle « moniales inclusae Sanctae Mariae de virginibus ordinis Sancii Damiani ». Forse si tratta del nostro breve. Nell’indice 4 il Tondini, ora sotto il 1286, ora sotto il 1370, pone un breve d’Innocenzo V, che concede alle mona­ che di Santa Maria di Faenza dell’ordine di San Damiano

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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facoltà di prendere in prestito 100 lire imperiali. Questi dati sono erronei, perchè Innocenzo V pontificò pochi mesi del 1276. L’errore del T. non può correggersi, perchè un breve di questo tenore nei quaderni manca. Forse si tratta del nostro breve 12 gennaio 1253, nel quale appunto si parla di una « summa centum librar, imperialium ». 1254 giugno 13. Gualtiero, vescovo di Faenza, dona alle suore di Santa Maria il monastero e la chiesa di San Martino in poggio, abbandonato e distrutto. — Ind. 1, 2, 3; q. 1, pp. 16-17. La carta di Gualterio fu inserita per intero da Alessandro IV nella sua bolla di conferma, pubblicata dallo Sbaraglia, II, pp. 9-11. Ma il T. vide e trascrisse l’atto originale, da cui pendeva ancora il sigillo di cera, come notò il trascrittore. Ne ometto la pubblicazione, perchè appunto si legge nel Bullarium Franciscanum, notando soltanto le varianti: T on­ dini commorantur et ubicunque morabuntur; S baraglia com­ morantur et in perpetuum morabuntur. — T. Sancti Martini in podio; S. Sancti Martini de podio. — T. habite et occa­ sione; S. habitarum et occasione. — T. quondam imperatore contra; S. quondam imperatore circa. — T. prefate abba­ tissa et; S. prefata abbatissa et. — T. manualem posses­ sionem; S. manualiter possessionem. Il Tonduzzi (op. cit., p. 41) conobbe questo diploma episcopale. 1255 gennaio 20. Alessandro IV conferma la donazione di Gualtiero. — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, pp. 1-2. Edita dallo Sbaraglia, ibid., II, 9. La copia del T. fatta sull’originale (egli stesso nota: « pendet sigillum plumbeum ») presenta alcune varianti che mi sembrano trascurabili. 1255 gennaio 20. Alessandro IV commette al vescovo d’imola l’esecuzione della precedente (X). — Ind. 2, 4; q. 1, pp. 3-4. 1255 giugno 23. Alessandro IV attesta aver ricevuto dal mo­ nastero la soluzione di un censo (XI). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, p. 4. Erroneamente negli indici il T. la colloca nel Ì254. 1255? (...) Alessandro IV canonizza santa Chiara. — Ind. 1, 2, 3, 4; non è trascritta nei quaderni. Il T. non si è accorto di | aver tra mano la bolla di canonizzazione di santa Chiara. 265 Ciò si ricava dal modo inesatto nel quale descrive la presente carta. Egli la qualifica per un elogio delle virtù e dei miracoli della santa e la pone nel 18 gennaio 125b; ma Alessandro IV fu eletto pontefice nel dicembre 1254. La data degli esemplari della bolla di canonizzazione di santa Chiara, come è noto, è

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

varia, quindi non ho azzardato di correggere il giorno del mese. È pubblicata dallo Sbaraglia, op. cit., II, pp. 80-84, etc. P otthast, n. 16025, 16069. 15. 1256 febbraio 22. [marzo 8: cfr. F. L anzoni, Cose francescane faentineJ Alessandro IV libera il monastero da una imposi­ zione pecuniaria (XII). — Ind. 2, 4; q. 1, p. 5. — Pubblicato de me: I primordii, p. 53. 16. 1257 aprile 22. Alessandro IV concede indulgenze ai visitanti la chiesa del monastero (XIII). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, p. 3 e q. 2, pp. 25-26. Il T. negli indici erroneamente nel 1258. — Pubbl. op. cit., pp. 53-54. 17. 1257 settembre 12. Alessandro IV prega il nobile faentino Accarisio a non molestare le Clarisse (XIV). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, p. 8. Erroneamente il T. nel 1258. -— Pubbl., op. cit., p. 54. settembre 12. [1256 dicembre 12: cfr. L a n z o n i , Cose francescane faentine.] Alessandro IV prega i nobili faentini Alberghetto e Alberico (Manfredi) a non molestare le Cla­ risse (XV). —- Negli indici manca; q. 1, p. 8.

18. 1257

19. 1259 febr. 14. Alessandro IV concede al monastero amplissime esenzioni (XVI). — Ind. 2, 4; q. 3, pp. 45-46, non dall’originale, ma da una copia inserita negli atti di una lite del 1372 tra le suore Clarisse e i gabellieri di Faenza. Il T. negli indici erroneamente nel 1255. 20. 1261 luglio 30. Giacomo, vescovo di Faenza, esime il mona­ stero dalla giurisdizione episcopale. — Ind. 3 bis; il T. non vide l’originale, come ho detto di sopra, ma la copia inserita nella carta 9 maggio 1269. — Pubbl., op. cit., pp. 55-56. * 21. 1265 novembre 20. Bolla di Clemente IV in favore di tutti i monasteri di Clarisse di esenzione da tutti i balzelli ecclesia­ stici e secolari. — Ind. 1, 2, 3; q. 3, pp. 46-48. Il Tondini non trascrisse l’originale ma una copia allegata in una lite del 1372, e la collocò erroneamente nel 20 ottobre. Si trova nello Sbaraglia, Bull. Frane., Ili, 58. 22. 1269 maggio 9. Il capitolo di Faenza e l’arcivescovo di Ra­ venna confermano la carta di esenzione 30 luglio 1261 di Gia­ como vescovo (XVII). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, pp. 10-12. — Pubbl. da me, op. cit., p. 56.

* [È l’unico documento pubblicato in I primordi (p. 55) e non qui.]

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Il Tonduzzi (op. cit., p. 41) parla di una carta del vescovo Giacomo, 1269, colla quale le suore « ebbero licenza di trasfe­ rire la chiesa di San Martino e di unirla al loro monastero ». Forse quest’atto tonduzziano non si distingue da questo num. 22 o dal seguente num. 23. 1269 dicembre 19. L’arcivescovo di Ravenna concede indul­ genze in favore del monastero (XVIII). Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, p. 12. — Pubbl., op. cit., pp. 56-57. | 1288 gennaio 18. Bolla di Niccolò IV in favore dei monasteri 266 delle Clarisse; come quella di Clemente IV. — Indici 1 bis, 2, 3; q. 3, pp. 58-59. Il T. non ha visto l’originale, ma una copia allegata nella lite del 1372; erroneamente l’attribuisce o al 18 die. 1277, o al 18 die. 1280. Edita dallo Sbaraglia, op. cit., IV, 209. 1296 luglio 4. Bolla di Bonifacio Vili in favore delle Clarisse, come quelle di Clemente IV e di Niccolò IV. — Non è elen­ cata in alcuno dei quattro indici; q. 3, pp. 48-49, non dal­ l’originale. ma da copia contenuta nella lite del 1372, posta erroneamente il 1 giugno; pubblicata dallo Sbaraglia, op. cit., IV, 401. 1304 marzo 7. Benedetto XI conferma al monastero di Santa Maria i privilegii concessigli dagli ecclesiastici e dai se­ colari (XIX). — Indici 1, 2, 3 bis, 4; q. 1, pp. 15-16, collocata per errore nel 1333 e nel 133). 1305 settembre 4. Fra Matteo, vescovo di Faenza, conferma al monastero di Santa Maria le esenzioni di Gualtiero e di Giacomo suoi antecesssori (XX). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, pp. 6-7. — Pubbl., I primordii, pp. 57-58. 1307 ottobre 21. Napoleone da Bitonto, canonico palentino, uditore del legato pontifìcio Napoleone del titolo di Sant’Adriano, sentenzia in favore del monastero del luogo di fra Vi­ viano vicino a Faenza dell’ordine di Santa Chiara in una causa tra le suore e il priore di Cellavolcina, di Sant’Alberto e di San Lorenzo in Cesarea (Ravenna). —- Ind. 1, 2, 3; q. 1, pp. 21-24. Non sarà pubblicato perchè di scarso interesse. Fu noto anche al Tonduzzi (op. cit., p. 371). 1310 o, meglio, 1347 dicembre 26. Clemente V o, meglio, Cle­ mente VI conferma al monastero di San Martino di Faenza dell’ordine di Santa Chiara i privilegii concessi al convento da persone ecclesiastiche e secolari (XXI). Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, p. 4. Poiché il breve è datato da Avignone e l’antipapa

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Clemente VII (1378-1394) non fu riconosciuto in Faenza, esso non può appartenere se non a Clemente V (giugno 1305-1314) o a Clemente VI (maggio 1342-1352). Probabilmente al se­ condo. 1372 febbraio 7 - giugno 14. Mongolo di Tonio, castaido e con­ verso delle monache di San Martino di Faenza dell’ordine di Santa Chiara, e Giorgio di Argile, loro sindaco, in Bologna davanti a Giovanni, abate di Santa Maria in Siria, uditore del cardinale Pietro, fanno istanza a nome delle dette mo­ nache perchè siano liberate dalle vessazioni che soffrono dai gabellieri e dai dazieri di Faenza e godano pacificamente i privilegii e le esenzioni a loro concesse dai-Sommi Pontefici. Si pronunzia la sentenza in favore delle monache contro i gabellieri e i dazieri contumaci. — Ind. 1 bis, 2, 3, 4; q. 3, pp. 45-58. Non sarà pubblicata perchè troppo lunga. 1388 dicembre 27. Angelo Ricasoli, vescovo di Faenza, con­ cede indulgenze ai visitanti la chiesa del nuovo convento di Santa Chiara entro la città (XXII). — Ind. 1, 2, 3, 4; q. 1, p. 9. — Pubbl., op. cit., p. 58. | 1401 giugno 10. Michele Steno, doge di Venezia, certifica de 26i bona opinione et fama di un notaio veneziano, che redige un atto di procura per Faenza. Ind. 1, 3; p. 25. Il T. erronea­ mente lo pone nel 1A00. Non sarà pubblicata per la sua poca importanza. 1419 maggio 24. Martino V concede del terreno per allargare la fabbrica del nuovo convento (XXIII). — Ind. 2 bis, 4 bis·, q. 2, p. 29. Erroneamente posta nel 19 mag. 1281, nel 1283, nel 4444 (?) e nel 4483. — Pubbl., op. cit., p. 59. 1419 ottobre 19. Le monache comprano due pezze di terra poste nel territorio faentino. — Ind. 1, 2, 3, 4 bis; q. 1, pp. 13-15; registrata colla data 1414 (?); per la sua scarsa importanza sarà omessa. 1440 maggio 13. Le monache comprano due altre pezze di terra nel territorio faentino. — Ind. 1, 2, 3. Non ne esiste copia nei quaderni. 1497 settembre 13. Testamento di Baldassarre del fu maestro Giovanni da Gubadino, abitante in Faenza. — Ind. 1, 2, 3. Non è trascritto nei quaderni. 1637 novembre 30. Urbano Vili concede indulgenza plenaria alle monache di Santa Chiara che visiteranno in certi giorni la cappella del convento. — Ind. 1, 2, 3 bis, A bis; q. 1, pp. 17-18, erroneamente nel 1633 e nel 1639.

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38. 1658 marzo 8. Alessandro VII concede alle monache l’indul­ genza dei 7 altari e delle 7 chiese. — Ind. 1, 2 bis, 3, 4 bis; q. 1, pp. 18-19; per errore nel 1258 e nel 1358 (?). 39. 1658 marzo 8. Alessandro VII concede indulgenze alle messe celebrate nel monastero in certi giorni. — Ind. 1, 2 bis, 3, 4 bis; q. 1, pp. 19-20; erroneamente nel 1258 e nel 1358 (?). Questi tre ultimi documenti non saranno dati in luce perchè troppo recenti. Poiché gli originali dei XXIII documenti da pubblicarsi sono scomparsi, e non ne rimangono che le trascrizioni del T. (il ms. del Valgimigli è copia di copia), a me non resta che riprodurle fedelmente. Aggiungerò alcune note illustrative, utili specialmente ai non faentini. I 16 Dicembre 1209. In X* nomine. Anno a nativ. Domini milies. CCVIIII. tempore Inn. pp. et Ottonis imperatoris, die XVI decembr. ind. XII faventie. Ego Gisla, presente Scoitolo marito meo et consentiente, pro me meis­ que heredibus facio pactum in sexaginta annis adv. vobis Donazano et Fenzolino Canfuschi vestrisque heredibus et successoribus iuris vel rei, videlicet de medietate pro indiviso unius petie terre in insulis S. Mar- | tini in podio territ. faven. et plebe 2 iuxta Sanctum Martinum,2 ecclesiam Strathelle 4 et Salomones, Pertigonem et nos. Hec omnia cum introitu exituque suo et omnibus infra se et supra se omnibus sibi pertinentibus

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2 A mezzogiorno della città il fiume Marzeno (o il Simiolo come dicevasi nel secolo XIII) e il fiume Lamone prima di gettarsi l’uno nell’ altro fanno una insenatura. Il terreno che si innalza tra i due fiumi chiamavasi allora, come oggi, l’isola o le isole di S. Martino. Questo terreno prendeva il nome da una chiesa o da un monastero posti nella riva destra del Mar­ zeno sopra i poggi, quindi detto San Martino in poggio. 3 Per Sanctum Martinum non s’intende la chiesa e il monastero, per­ chè questo sorgeva alla destra del Marzeno e le isole di San Martino stanno sulla sinistra; ma s’intende un terreno di proprietà della chiesa e del monastero di San Martino in poggio, posto nelle isole. Vedi il doc. VI. 4 Confrontando questa carta del 1209 colle cinque seguenti il Val­ gimigli (op. cit., Ili, p. 161) giudicò verosimile che la chiesa di Santa Maria delle vergini delle prime Clarisse faentine, posta nell’ isola di San Mar­ tino, non fosse altro che questa chiesa della Stradella del 1209. Ma s’in­ gannò. Questa chiesa di S. Maria della Stradella appare nei documenti di S. Maria di Porto in Ravenna (Biblioteca Classense, schede Zoli) dal secolo XII al XV come appartenente ai canonici di Porto e ben distinta da S. Maria delle vergini.

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et omni iure et actione ecept. defens, vendicat. que omnia do, mando, cedo vobis ut possitis accipere, excipere, defendere, vendicare sive possideatis seu esse possidentes agatis, sub pensione et renovatione in capite LX an­ norum XII. denar. raven. tantum et non plus pro eo quod concessisti mihi nomine mercedis XV libr. raven. de quibus bonis est mihi satisfactum et (...) exceptione non numerate pecunie. Et de vobis licentiam intrandi in possess. (supra) scriptar. rerum vestra auctoritate. Preterea vos de­ beatis laborare nostram medietatem cum fornace et utrumque terrenum dum cavari poterit (...) et dare nobis medietatem decimarum totius (supra) scripte petie (...) cum laborari non poterit per fornacem partire debea­ mus (...) et pro me meisque heredibus et successoribus vestris (...) rei (?) (supra) scriptas res (...) et defensare ab omni persona et (...) expensis aquietare et explicare et contra non agere vel venire (...) sub pena XXX. libr. raven. et vos nobis (supra) scripta observare debeatis sub pena G. sol. raven. et data pena maneat firmum etc. Script. a Viviano (...) faven. not. rogat, utriusque partis (...) Et Brú­ ñante (...) Guil. (...) Sap. (...) Raccolus, Nicholaus nig. (...) et ego Vivianus (...) et not. (...) describens (...)

II 4 giugno 1223. In nom. Chr. An. eiusd. mili. CCXXIII. temp. H onorii pp. et Federici imperatoris die IIII. intrante iunio. ind. XI. Faven. Ego quidem in Dei nomine Bonaventura fil. q. Donazani pro me et Bassitto fratre meo et Gisilia sorore mea pro nobis nostrisque heredib. et successorib. iure pretii et alodii do et vendo tibi Rodulfo Denago ac­ cipiente pro te tuisque heredibus et successoribus iuris vel rei in perpe­ tuum, videlicet medietatem fornacis cum terreno ibi pertinenti, quod ter­ renum est super totum una terra (tornaturia?) et dimidia, quam pro in­ diviso habeo cum d. Gisila Scoitoli posit. in insulis S. Martini territorio favent, et plebe, a prim o lat. cuius totius detinet Berta uxor Zanioli Guilici et illos de S. Martino, a secundo detinet d. Gisila Scoitoli et Buceri, et est I via, ab aliis duobus lateribus detinet locus d. Viviani. 5 Quam quidem 5 *il

5 Locus domini Viviani, quindi locus fratris Viviani, fu nel secolo XIII e nel XIV il nome volgare del monastero delle Clarisse situato nell’isola di San Martino. Questa carta può dunque con ragione considerarsi come un documento (ed il più antico) dell’ esistenza del monastero in Faenza fin dal 4 giugno 1223. Monsignor Andrea Strocchi, Serie cronologica sto­ rico-critica de’ vescovi faentini, Faenza 1841, p. 137, narra che il vescovo faentino Orlando (t 1221) ebbe sepoltura in Santa Chiara. Non saprei dire donde lo storico faentino abbia desunto questa notizia. Se essa proviene da buona fonte, sarebbe la prima memoria del monastero delle Clarisse in Faenza, e un indizio non disprezzabile che Orlando fu il fondatore o il protettore del medesimo. Il secondo ordine nacque durante il pontifi­ cato di Orlando (1209-1221). Orlando fu crociato nel 1220 in Damiata come san Francesco.

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rem tibi, ut dictum est, do et vendo, cum introitu exituque suo et cum omnibus supra se et infra se quoquo modo constitutis, omnibusve sibi presentibus et do insuper et cedo atque mando tibi omnia iura, omnesque actiones, peticiones, causaciones, defensiones, exceptiones et legittima auxilia, que et quas in d. re vel ob d. rem sive eius occasione habemus, seu habere speramus, et nobis quoquo modo competente vel in antea com ­ petere posset, et te in rem tuam procurare, constituo ita ut deinceps ha­ beatis, teneatis, possideatis, et quicquid ex inde vobis placuerit in per­ petuum faciatis, pro eo quia mihi pro me et suprascriptis fratrib. meis de­ disti et solvisti nomine pretii pro suprascripta re decem et septem libr. denar. ravennat. ex quibus confiteor a te mihi ut dictum est in totum esse solutum et explicatum. Concedo quoque exceptioni non numerate pecunie seu non soluti pretii in hoc facto renuncio dans tibi licentiam intrandi in possessionem suprascripte rei tua auctoritate. Preterea ego suprascriptus Bonaventura pro me et suprascriptis fratribus meis et pro nostris heredibus et successoribus suprascriptam rem tibi suprascripto Rodulfo tuisque he­ redibus et successoribus ab omni homine in iudicio et extra auctoritate et defensione et nostris expensis aquietare et explicare si lis vel briga ex inde vobis apparuerit aliqua et hunc contractum et suprascripta omnia firma et rata tenere et facere tenere suprascriptis fratribus meis et non contra facere vel venire, et facturum et curaturum ut ipsi suprascriptam venditionem observent et firment cum ad legittima pervenerint etatem si requisitus erit sub pena a me tibi stipulanti promissa dupli (...) et soluta vel commissa pena suprascripta omnia et quodlibet suprascriptor. ma­ neant firma in perpetuum. Pro qua enim pena et suprascriptis omnibus faciendis observandis et adimplendis et contra non veniendis mea bona tibi obligo et ipsar. rerum me tuo nomine possidere constituo, renunciando in h oc facto me pro minori intercessisse et quia non possim alegare me alienum facturum promisisse. Et convenio insuper hunc contractum et su­ prascripta omnia, et quodlibet suprascriptor. firmo et volo tenere et in omnibus observare et facere et nullo modo occasione minoris etatis vel pretii non soluti, vel soluti in mea utilitate non versi vel ulla alia non contra facere vel venire et adversus suprascripta restitutionem aliquam non impertire. Interfuerunt testes d. Gerardus Ascolani, Iohannes Cafarelli, Zaniolus Guilici, Mazolus de Castillinis, Bernardus et alii. Ego Iacobus faven. imperialis notarius suprascriptis interfui, et rog. suprascriptam venditionem ss. Signum t manus mei suprascripti notarii. |

III

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3 giugno 1224. In nom. Doni. Ies. Chr. An. a nativ. eiusd. milies. CC vigesimo quarto. Tempore H onorii pp. et Federici imperatoris die tertio intrante iun. indic. XIII Faven. in palatio episcopatus. Ego quidem in Dei nomine Rodulfus de Tabellionib. pro me meisq. heredibus et successorib. amore Iesu Christi et pro remedio anime mee

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et uvxoris mee et parentum meorum do et dono et trado iure proprietatis et allodii pure et libere et irrevocabiliter confirmo tibi presenti in Christi nomine fratri Bartholo ( * ) 67 recipienti vice et nomine ecclesie et loci de virginibus et pro sororibus que nunc ib i sunt vel in antea erunt imper­ petuum petiam unam terre totam sine ulla diminutione positam in insulis S. Martini in Podio, in qua ecclesia est hediificata et cum ipsa ecclesia domibus eiusdem et omnibus hediffitiis suis, que est iuxta Uguitionem Guidonis Uguitionis et Iohannem de Manente ab uno latere, et Petrum Francellum et fratrem et Zaniolum Guilichi 7 pro uxore et ius ecclesie s. Martini ex alio, et viam et Albertinum Azonis, Butrium et Scalzatorem ex alio, territorio faven. et plebe, cum introitu et exitu suo et omnibus infra se et extra se quoquo modo constitutis et omnibus sibi pertinentibus. Preterea do, cedo, mando et dono atque pactum de non petendo tibi pred. fratri recipienti, ut dictum est, omnia iura et omnes actiones utiles et directas reales et personales, causationes, replicationes, defensiones et ius patronatus et omnia omnino legittima auxilia, que et quos tibi ipsis rebus vel ob ipsas res fide harum rerum occasione aliquo modo habeo vel ha­ bere spero, aut iure patronatus vel ullo alio modo et que mihi competunt seu in antea competere possent. Ad habend. tenend. possidend. pro ipsa ecclesia, loco, et sororibus perpetuo. Quam quidem donationem et omnia predicta et quodlibet predictor. promitto pro me meisq. heredib. et successorib. firma habere et tenere perpetuo et non contra facere vel venire aliquo modo vel ingenio, de iure vel de facto per nos vel per aliquam personam a nobis submissam vel submittendam sub promissione pene a me tibi stipulanti, ut dictum est, iure stipulationis inserte trecentarum librar, rav. et pena soluta vel comissa hec omnia et quelibet predictor. imperpetuum maneant firma sub speciali stipulatione. Interfuere testes d. Albertus favent, episcopus,89 magister Rogerius theologus, Guido Thome, frater Guilielmus, presbiter Benincasa hostiarius S. Petri,9 Guido dux et Peppus fratres, et ego Peppus de Castillione sancte rav. ecclesie et imperialis notarius interfui et hanc donationem rogatu dicti Rodulfi scripsi. Loco t signi.

(*) Chi fossero il frate Bartolo, rappresentante della chiesa e del luogo delle vergini, e il frate Guglielmo, testimonio, se due fratres Minores, o due fratres de poenitentia, non si sa. La prima me- | moria del convento dei frati Minori in Faenza è del 1231, 271 come ho dimostrato nella Conferenza, p. 23; ma esso può essere più antico. Certo è che nel 1248 certo frate Bonaventura era sindaco e del convento maschile e del femminile. Nella cosidetta 6 storia 7 8 braio 9

Le note indicate con l’asterisco svolgono punti importanti della del monastero o affini. Nelle carte antecedenti Guilici. Le date cronologiche estreme dell’ episcopato di Alberto sono: 14 feb­ 1222- 12 giugno 1239. Cioè della chiesa cattedrale di Faenza situata presso l’episcopio.

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Cronaca di Ricuperato Recuperati (ma veramente di Gregorio Zuccoli, scrittore faentino tra la fine del XVI e il principio del XVII secolo), cronaca copiata nel 1640 con qualche aggiunta dal padre Zannoni, domenicano faentino, ed oggi conservata nella biblioteca comunale tra i manoscritti, si legge questo punto di una scrittura tolta dall’archivio Manfredi, che trovavasi allora nel convento di San Francesco di Faenza: «Nel 1248, 14 marzo, un Papiniano da Campobasso del regno di Apulia (probabilmente rappresentante di Federico II, signore di Faenza) fa una donatione a un frate Bonaventura, sindaco e vicario dei frati (s’in­ tende: di San Francesco) e del monastero Sanctae Mariae virginum de Faventia». Questa carta, ignota a tutti gli scrittori di cose faentine, scio­ glie definitivamente una questione relativa ai primordii del nostro convento dei frati Minori. Lo Zuccoli, sopra ricordato (Chroniche di Faenza, ms. nell’Archivio capitolare di Faenza, p. 15), e il no­ taio faentino Azzurrini (fl6 2 0 ; Liber Rubeus, ms. nel medesimo luogo, f. 43 b) scrissero che la chiesa di San Francesco dei frati Minori nei primordii dell’ordine chiamavasi, come loro risultava da carte del convento, S. Maria delle Vergini. Tutti gli scrittori di cose faentine ripeterono questa notizia senza controllo. Nella mia conferenza (p. 27) mi contentai di osservare: «Forse si è confusa la prima chiesa dei Francescani colla prima delle Clarisse nell’isola di San Martino, detta appunto S. Maria delle Vergini ». Ora appare evidentemente dalla carta 1248 che il convento dei frati distinguevasi dal monastero di Santa Maria delle vergini, e che S. Maria delle vergini era il nome del monastero femminile non del convento maschile. E questa stessa carta, conservata nel secolo XVI e nel XVII nell’archivio di San Francesco, non com­ presa dallo Zuccoli e dall’Azzurrini, diede origine alla confusione perpetuatasi fino ai nostri giorni. Infatti nella cronaca del Re­ cuperati dopo il punto sopra citato si legge: «Il qual monastero Virginum ecc. che appare da altre scritture, è quello ch’hora è sotto il titolo di San Francesco ». IV 14 giugno 1224. In nom. Christi. A. a nativ. eiusd. milles. ducentes. viges. quarto, tempore Honorii pp. et Federici imperatotris, die quartodecimo intrante iunio, ind. duodecima in burgo Durobeci. Ego d. Gisila q. Scoitoli uxor presente et consentiente Albertino filio et refutante si quod ius habet in re inferius dicenda et promitente pro se

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

suisque hunc contractum firmum habere et tenere, suisque dico heredibus et successoribus et quod non veniet contra sub pena inferius dicenda pro me meisque heredibus et successoribus iure proprietatis et allodii do et vendo atcque (sic) in perpetuum transacto tibi d. Rodulfo Tabellioni ac­ cipienti, tuisque heredibus et successoribus imperpetuum, videlicet me­ dietatem unius fornacis, quam pro indiviso habeo cum heredibus Donazani, et cum medietate totius terreni ipsi fornaci pertinentis, qui est VII. perticar. et med. posita in insolis Sancti Martini in Podio iuxta uxorem Zanioli | Guiliti,i° a secundo ius S. Martini, a tertio e a quarto ius loci domus q. fratris V iviani,u territorio faven. et plebe. Hanc cum introitu et exitu suo omnibus supra se et infra se quoquo modo costitutis, omnibusque sibi pertinentibus, et cum omni iure et actionibus, que mihi per­ tinent. Preterea do, cedo, atque mando tibi omnia iura, omnesque actiones, pentiones (sic), defensiones, rationes, querimonias, et exceptiones reales, personales, utiles et directas, vel que vel quas in dicta re habeo vel habere spero, vel mihi quoquo modo competit, vel in antea competere posset, et te procuratorem in rem tuam fatio et constituo ut deinceps habeas, teneas, et posideas imperpetuum. Ideo quia dedisti mihi nomine pretii certi et deliberati sedecim libras et X. solid. raven. qui sunt dati, expensi in pos­ sessione, quam a vobis emi, renumptians exceptioni non numerate pecunie et doli et in factum et omni alii et specialiter senatus consultus velleiano, et vacuam possession. tibi trado et licentiam intrandi et standi in posses­ sione suprad. rei tua auctoritate, et promito ego suprascripta d. Gisla pro me meisque heredibus et successoribus tibi suprascripto d. Rodulfo acci­ pienti pro te tuisque heredibus et successoribus totam integram liberam quietam et explicatam et ab omni homine servitutis et nesibus (sic) tenetis substitutionis disobligatam et exhonoratam et absolutam, et quotiens lix vel briga exinde de parte vel de toto tibi apparuerit aliqua, omnibus meis expensis in iudicio et extra ab omni persona homine in iudicio et extra auctorizare et defensare, aquietare, et explicare promito, et hunc contrac­ tum firmum tenere et non venire contra neque per me neque per aliquam a me submissam vel submitendam personam sub pena in quolibet et pro quolibet capitulo exigenda dupli suprascripti pretii. Que pena totiens co ­ mitatur, quotiens ventum fuerit contra, et pena soluta vel non seu comissa, omnia suprascripta maneant firma. Interfuere testes Alovolus carpenterius, d. Guido Thome, Zaniolus Guiliti, Andrea. Et ego Iacobus Zemme imperial. auctor, omnibus suprascriptis interfui et suprascripta rogatu contraentium scripsi et in publicam for­ mam redegi. Loco t signi.1 0

10 Nelle carte anteriori: Guilici o Guilichi. 11 Adunque tra il 4 giugno 1223 e il 14 giugno 1224 il dominus Vivianus, donde il luogo ossia il monastero di Santa Maria delle vergini prese il nome, divenne frater Vivianus e passò all’altra vita. Ciò che il Magnani (Vite dei santi di Faenza, pp. 82-85, 91-93, 120-124) racconta di questo fra Viviano è favoloso. Cf. la mia Conferenza p. 25.

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V 13 luglio 122/1. In nom. d. n. I. C. An. a nativ. D. milies. CCXXIIII d. Honorii pp. et Frederici imper. die tertio decimo intr. mens, iulii ind. duodecima Faven. In pallat, episcopat. Nos Albertus Dei gratia faven. episc. de mera liberalitate nostra de consensu quoque Oddonis prepositi, 12 presbiteri Iohannis,!3 Martini,!4 | Iohannis et Nicholai 15 canonicorum favent, divine pietatis intuitu donamus et concedimus tibi presenti in Christi nomine fratri Bartholo reci­ pienti procuratorio nomine d. Hu... hostien, et vellitr. episcopi 16 vice et nomine ecclesie romane recipientis, ecclesiam et locum sancte Marie de Virginibus situm in faventin. dioc. in insola sancti Martini in Podio prope civit, faven. cum ortis et omnibus pertinentiis suis quas nunc habet dictus locus vel in antea aquireret usque ad XX tor. iuxta d. locum in quo vir­ gines Deo dedicate et alie ancille Christi absque possessionibus, sepul­ turis et decimacionibus iuxta formam vite ipsis et aliis sororibus eiusdem religionis auctoritate d. pape per eundem episcopum traditam in pauper­ tate Domino famulentur. Nichilhominus reservantes in ipso loco propter dedicationem ecclesie, et consecrationem altarium, benedictionem abbatisse et consecrationem monialium si tamen nos et successores nostri gratis liec et sine parvitate exhibere volumus, reservantes nobis nomine annui census unam libram cere in festo sancti Petri 17 nobis et nostris successoribus annis singulis persolvendam. Si vero sorores ipse possessiones haberent et alia supradicta vel a forma predicta recederent ex tunc ad iurisdictionem nostram et nostror. successor, libere revertantur. Et hanc concessio­ nem seu donationem pro nobis et successoribus nostris ratam habere p ro­ mittimus et nullo modo contravenire aliquo tempore. Interfuere testes Matteus (magister?) Rogerius theologus, 18 Guido (...) 19 Rodulfus, presbiter Benincasa hostiarius Sancti Petri, frater Guilielmus et Vivianus, et ego Peppus sancte raven. ecclesie et imperial. notarius interfui qui hanc donacionem et concessionem rogatu d. d. episcopi et prepositi et canonicor. predictor. ss. et in publicam formam ad perhennem memoriam redigi. Ego predictus (presbyter?) Ubaldus favent, canonicus ss.20 Ego pre­ sbiter Zacheus favent, canon, manu mea ss.2i Ego presbiter Rustigus favent.1 0 9 7 5 *4 2

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12 Oddone appare nelle carte faentine come canonico dal 1203 al 1220, come preposto dal 1222 al 1237. 13 Tra i canonici appaiono in questo tempo due Giovanni, l’uno Gio­ vanni di Golfara dal 1203 al 1251, l’ altro dal 1223 al 1235. 14 Canonico tra il 1211 e il 1238 c. 15 Canonico tra il 1203 e il 1224 c. 15 Cioè il cardinale Ugolino, poi Gregorio IX. 17 II titolare della cattedrale e il protettore di Faenza. 15 Credo il Rogerius theologus della carta III. 19 II Valgimigli aggiunge: Thome, dalla carta III. 20 Ubaldo (di Poggio) canonico tra il 1206 e il 1224 c. 21 Zaccheo can. tra il 1215 e il 1230 c.

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canon, manu mea ss.22 Ego Girardus diaconus favent, canon, manu mea ss.23 Ego Bernardinus sudiaconus favent, canon, mea manu ss.24* Ego mag. Pellagottus subdiaconus favent, canon, ss.23

VI 27 giugno 1225. In nomine dni nostri Iesu Christi. Anno ab incarnatione eius M.CC.XXV temporibus Honorii pape et Federici imperatoris die IIII exeunt, iunii, ind. XIII. Faven. in domo domni episcopi. Ego quidem in Dei nomine domnus Petrus prior Sancti Martini in Podio presente et consentiente domno Alberto faven. episcopo et domno Oddone preposito faven. et presente etiam presbitero Pelegrino dicte ca­ nonice 26* | et Bonacorso converso de licentia et voluntate expressa aliorum meor, confratrum pro nobis nostrisque successoribus facio pactum in annis centum ad renov. tibi presenti fratri Bartholo recipienti vice et nomine domne Santese abbatisse monasterii Sancte Marie Virginum et totius colegii eiusdem monasterii suarum subcessarum, idest petiam unam terre positam in insolis Sancti Martini territ. faven. et eiusdem plebis, iuxta viam a duobus lateribus et iuxta ius eiusdem monasterii et Zaniolum Guillici extimat. et mensurat, unam tornatur, et VII. pertic. et med. cum in­ troitu et exitu suo et cum omnibus supra se et infra se et sibi quoquo modo pertinent, iurib. et actionib. petitionib. vendicationib. defensionib. et exceptionib. utilib. vel directis realib. vel personalib. nobis nomine dicte nostre canonice sancti Martini in Podio competentib. sive com pe­ tituris adversus quamcumque personam etiam agentem seu possidentem ad habend. tenend. mutuand. locand. et quicquid sibi placuerit faciend. ad lucrum et utilitatem dicti monasterii Sancte Marie Virginum sub pensione et renovatione tempore renovationis sex. denar. raven. tantum et non plus et do tibi licentiam intrandi in possessionem (supra)scripte rei vice et nomine domne Santese iamdicti monasterii abbatisse pro eo quia accepi a te nomine et vice eius nomine certe mere, pro qualibet tornat. XX. libras denar. raven. q. cap. XXXV. librar. de quibus me in veritate solutum esse confiteor, quos denarios, solvi in utilitate dicte canonice, scilicet in emcionem terre quam feci a Subilla nuru Bernardi Baldoli posit. in dicto loco iuxta ius dicte canonice Sancti Martini a tribus laterib. et canale communis faven.22 Quod quidem pactum pro nobis nostrisque confratribut et successoribus firmum et ratum habere et tenere et non per nos neque

22 Can. tra il 1192 e il 1227 c. 23 Gerardo can. tra il 1189 e il 1234 c. 24 Bernardo o Bernardino can. tra il 1221 e il 1272. 23 Maestro Pellagotto can. tra il 1222 e il 1243. 23 II monastero di S. Martino in Poggio apparteneva ai canonici re­ golari. 22 Anch’oggi attraversa le isole di San Martino un canale derivato dal Marzeno.

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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per aliquam personam a nobis sumissam vel sumittendam neque ullo alio modo vel ingenio contra facere vel venire. Immo si unquam nobis (...) de parte vel de tota lis vel briga aliqua quoquo modo aparuerit omnibus nostris nostror. confratrum et subcessor. stipendiis ab omni homine in placito et extra auctorizare et defendere et omnino quietare et propriis expensis rexarcire prout nudo dixeritis verbo ita ut positis litigare sub arbitrio compromisario sine nostra licentia et confiteri iure et extra ve­ ritatem parcendo pudori nostro hec omnia (supra)scripta et quodlibet (supra)scriptorum pro nobis nostrisq. confratrib. et successorib. inrevocabiliter firma et rata tenere promittimus tibi (supra)scripto fratri Bartholo recipienti vice et nomine iamdicte domne Santesse dicti monasterii Sancte Marie Virginum abatisse et tocius collegii ipsius monasterii et ear. subcessarum sub pena in quolibet capitulo comitenda et exigenda c. libr. raven. et pena soluta vel non omnia (supra)scripta et quodlibet (supra)scriptorum in omnibus et superius legitur maneant firma. Script. a me Bartholomeo faven. notar, rogat, (supra)scripti domni Petri locatoris prioris Sancti Martini in Podio presente et confirmante atque suam auctoritatem prestante (supra)scripto domno Alberto faven. episcopo et domno Oddo preposito faven. Testes rogati interfuere presbiter Dominicus Sancti Antolini,2» Guilielmus Picol. Rodolus (Bodulfus?) (...) Petrus Barbe et Petrezolus et ego iamdictus not. Bartholomeus omnia scribens. |

VII

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23 aprile 1231. Gregorius episcopus servus servor. Dei. Venerab. fratri (...) 29 epi­ scopo favent, salut. et apostol. benedict. Inter alia quae Christo prestantur obsequia, illud est potissime comendandum, cum mulieres fragilitatem suam in stabilitatem perpetuam convertentes, mundanas spernunt illecebras, et ut cum perhemni sponso vivant, perhemniter habitaculum ipsi dignum corpora sua parant, ac ac­ censis lampadibus obviam exire festinant. Cum igitur dilecte in Christo filie (...) 30 abbatissa et sorores monasterii Sancte Marie de insula Sancti Martini ordinis Sancti Damiani favent, dioc. mundi contemnentes divitias, ut divites Christi fiant elegerint habitare concluse corpore, ut mente (...) 31 Domino famulentur, Nos tam pium et sanctum earum propositum in Do­ mino comendantes, fraternitatem tuam rogandam duximus attentius (...) 32 per apostolica scripta mandantes ob reverentiam divinam et apostolicae Sedis ac nostram, ipsas habens propensius commendatas, legata et fidei commissa et alia quae ipsis in testamentis seu in ultimis voluntatibus re-2 1 0 3 9 8

28 29 30 31 32

Prete o parroco della cappella di Sant’Antonino nel borgo. Alberto. Santese? Valgimigli supplisce: libera. Valgimigli: Tibi.

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liquuntur, cum ab eis fueris requisitus, facias ipsis sine difficultate qualibet assignari, detentores eorum ad ea integre resignanda monitione premissa per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Dat. Lateran. VIIII al. maii, pontif. nostri anno quinto.33

VIII 5 giugno 1233.

In X. nomine. Anno a nativit.. eiusdem milies. CCXXXIII tempore Gregorii pp. et Federici imperat, die V. intrante iunio, indict. V. Faventie. Nos quidem in Dei nomine Albertinus Guarnerii et Nicolaus fratres et Salomon, filius q. Iacobi Sallamonis 34 pro nobis nostrisque heredibus refutamus, posponimus, cedimus, mandamus et perpetualiter transactamus tibi presenti Guidoni Tomai 35 recipienti pro te et vice et nomine mona­ sterii S. Marie de loco virginum predicto monasterio in perpetuum vi­ delicet omne iure omnesque actiones et omnia iura personalia realia utilia et directa, vendicationes, replicationes, defensiones et omne legum auxi­ lium quod et quas habemus et habere speramus occasione unius denarii anuatim nomine pensionis et ulla alia in una pecia terre V. tornaturar. et VII perticar. et IIII pedes per quam vadit canale Communis, positam in Tavul. a primo latere heredes Petri Far- | zelli36 et heredes Iohannis Manetti 37 et viam ab aliis laterib. monasterium predictum territorio faventino et plebe eodem. Hoc enim tibi facimus pro eo quod das nobis pro ipso loco seu monasterio III. solid. et VI. denar. quos confitemur in ve­ ritate et non spe future munerationis nobis fore solutos. Renunciamus ex contra (exceptioni?) non numerate pecunie, doli, et in factum, et omni alii exemptioni iuris. Preterea promittimus pro nobis nostrisque heredibus et successoribus tibi suprascripto Guidoni Thomai recipienti vice et no­ mine monasterii prelibati hanc refutationem et omnia suprascripta firma rataque habere tenere et observare et non contra facere vel venire per nos nec per aliquam personam a nobis sumissam vel sumitendam sub pena X. librar. raven. et soluta pena vel comissa maneat firmum. (...) testes Iohannes (...) Peppus Thomai, Simon de Sezata,38 Iohannes de Galiata,39 Mauritius de Cavanis de Sezata, et ego Bonaventura Zebendi faven. not. ut vidi et audivi rogatus (supra)scriptorum contraentium scripsi et publicavi ss. Loco t Signi.3 9 8 7 6 5 4

33 II Tonduzzi (loc. cit. p. 41) conobbe questa bolla e la collocò erro­ neamente nel 1232. 34 Probabilmente i Salomones del doc. I. 35 Probabilmente il Guido Thome del doc. Ili e IV. 36 Probabilmente Petrus Francellus del doc. III. 37 Probabilmente Iohannes de Manente del doc. III. 38 Cesato, villa del territorio faentino. 39 Goleata, antica abazia, oggi comune nella valle del Bidente (Ronco).

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IX 12 gennaio 1253. Innocentius episcopus servus servor. Dei. Dilectis in Christo filiabus (...) Abbatisse et conventui monasterii monialium inclusarum Sancte Marie de Virginibus faventin. ordinis sancti Damiani salut. et apostolic. benedict. Necessitatibus vestris paterno compatientes affectu quod de versuris,40* rapinis et alias male acquisitis, si quibus horum restitutio fieri debeat in­ veniri non possint, necnon de redemptionibus votorum, dumtaxat excepto usque ad summam centum librar. imperialium recipere valeatis actoritate vobis presentium indulgemus, si alias super receptione similium non estis a Sede Apostolica gratiam consecute, ita quod voventes ad executionem votorum huiusmodi et alii ad restaurationem aliam faciendam eorum, qua vobis contulerint, minime teneantur. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam etc. (Ia consueta clausula). Dat. Perusii II. id. ianuarii pontif. nostri anno decimo. I

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20 gen. 1255. Alexander episcopus servus servor. Dei. Venerabili fratri (...) 41 episcopo Imolensi salut. et apostolic. benedict. Cum sicut dilecte in Christo filie (..) 42* abbatissa et sorores mona­ sterii Sancte Marie de Virginibus de Faventia Ordinis Sancti Damiani nobis exponere curaverunt, venerabilis frater noster (...) 42 faventinus epi­ scopus domum et ecclesiam Sancti Martini de Podio faventine diocesis preteriti temporis faciente malitia destructas et penitus desolatas cum om­ nibus possessionibus et terris earum, et cum omnibus bonis suis mobilibus et immobilibus, iuribus, actionibus, temporalibus et spiritualibus ad dictas domum et ecclesiam pertinentibus ipsis et (...) ipsas earum monasterio pietatis intuitu duxerunt concedendas, eximens dictam ecclesiam ab epi­ scopali onere conditionibus et factionibus et ab omni iure diocesan. salvo tamen quod ipse et monasterium suum et abbatisse atque sorores, que ibidem pro tempore fuerint, tenentur dare et solvere pro predictis domo et ecclesia sancti Martini procurationes legatis Apostolice Sedis secundum consuetudinem ecclesie faventine, prout in ipsius episcopi litteris super hoc confectis eiusque sigillo signatis plenius continetur, et nos earumdem supplicationibus inclinati quod ab eodem episcopo provide factum est, in

40 Così il ms.; si deve leggere usuris. 44 Tommaso, priore di Santa Maria di Reno (Bologna), eletto vescovo d’Imola nel 1249, mori nel 30 ottobre 1269. 42 Filippa, ricordata dal 1254 al 1269. 42 Gualtiero, frate agostiniano, vescovo di Faenza tra il 28 ottobre 1251 e il 23 giugno 1257.

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hac parte ratum habentes et gratum id auctoritate litterarum vestrarum duximus confirmandum, supplentes defectum, si quis in eo extitit, de apo­ stolice plenitudine potestatis, fraternitati tue per apostolica scripta man­ damus quatenus prefatas abbatissam et sorores in possessionem dictarum ecclesie et domus inducas et tuearis inductas contradicentes per censuram ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Dat. Neapoli XIII. kal. februar. pontificatus nostri anno primo. I

XI 23 giugno 1255. Alexander episcopus servus servor. Dei. Dilectis in Christo filiabus (...)44*4 7 abbatisse et conventui monasterii Sancte Marie faventin. ordinis 6 sancti Damiani salut. et apost. benedic. Ne de solutione census unius libre cere, in quo annis singulis ecclesie romane tenemini,45 possit in posterum dubitari, nos censum ipsum usque ad quadraginta annos nobis fatemur esse solutum.46 In huius rei testi­ monium vobis presentes litteras concedentes. Dat. Neapoli VIIII. kal. iulii pontific. nostri anno primo.

XII 22 febbraio 1256. ¡8 marzo 1256: cfr. F. Lanzoni, Cose francescane faentine] Alexander episcopus servus servor. Dei venerabili fratri (...)4? epi­ scopo imolensi salutem et apost. benedict.

44 Filippa. 45 Questo censo è registrato nel Liber Censum di Cencio Camerario (P. Fabre - L. D uchesne, Le Liber censuum Romanae Ecclesiae, Paris 1889-1910, I, p. 100): « I n episcopatu inventino. Monasterium sanctae Ma­ riae dominarum inclusarum quod est liberum, 1 libram cerae ». Il detto editore (nota 2) dopo aver osservato che su questo Monasterium Sanctae Ma­ riae « on sait fort peu de chose », lo confonde coll’antico monastero suburbano faentino detto Santa Maria foris portam; monastero, che come tutti i faentini sanno, non ha nulla a che fare col monastero delle Cla­ risse, ed è più antico di questo almeno di quattro secoli. 46 II Valgimigli (op. cit., Ili, pp. 157-158) crede doversi leggere quatuordecim invece di quadraginta, perchè i conventi di Clarisse fuori di Assisi si fondarono dopo il 1213. Egli non comprese la formula della cancelleria pontificia. Alessandro IV, con questo breve 23 giugno 1255, non dichiara che le suore avevano pagato il censo da 40 anni, ma rico ­ nosce d’aver ricevuto per anticipazione il dovuto censo per· 40 anni a venire. 47 Tommaso.

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Ex parte dilectarum in Christo filiar. (...) 48 abbatisse et conventus monasterii Beate Marie faventin. ordinis S. Damiani fuit nobis humiliter supplicatum ut, cum (...) 49 prepositus et clerus favent, occasione subven­ tionis dilecti filii (...) 50 ravennat. electi ecclesie S. Martini eis et earum monasterio subiecte quandam imposuerint pecunie quantitatem, providere in hac parte, presertim cum vix de proventibus ipsius ecclesie et elemosinis a fidelibus dictis abbatisse et conventui exibitis sustentari possint, de benignitate solita curaremus. Nos igitur, earum supplicationibus incli­ nati eis ut predicta ecclesia ad solvendum huiusmodi impositam et pe­ cuniam vel ad contribuendum alias predictis proposito et clero in pre­ dicta subventione minime teneantur, nec predicta abbatissa et conventus aut aliquis pro predicta ecclesia per litteras apostolicas impetratas aut etiam impetrandas ad hoc com pelli possint nisi eedem impetrande de hac in- . dulgentia eis concessa et earum ordini plenam et expressam fuerint men­ tionem, per nostras duximus litteras indulgendum. Propter quod dilecto filio (...) vicario venerabilis fra- | tris nostri episcopi faventini nostris 484 damus litteris in mandatis ut sepe dictas abbatissam et conventum seu quamlibet aliam personam ecclesiasticam vel secularem pro eis ad premissa ratione predicte ecclesie compellere non presumat. Quocirca fra­ ternitati tue per apostolica scripta mandamus, quatenus si dictus vicarius mandatum nostrum in hac parte neglexerit adimplere, tu eum a presumptione huiusmodi monitione premissa per censuram ecclesiasticam appel­ latione remota compescas. Datum Laterani VIII kal. marcii pontificatus nostri anno secundo.

XIII 22 a p r i l e 1257. Alexander episcopus servus servorum Dei. Dilectis in Christo filia­ bus (...) 51 abbatisse et conventui monasterii Sancte Marie favent, ordinis Sancti Damiani ad romanam ecclesiam nullo medio pertinentis salutem et apostolicam benedictionem. Sanctorum meritis inclita gaudia 52 fideles Christi assequi minime du­ bitamus qui eorum patrocinia per condigne devotionis obsequia prome­ rentur illumque venerantur in ipsis quorum gloria ipsa est et retributio meritorum. Nos igitur ad consequenda predicta gaudia causam dare fide-4 2 1 0 5 9 8

48 Filippa. 49 Giacomo Petrella, preposto del capitolo faentino dal 1254, fu eletto vescovo di Faenza p oco prima del 7 luglio 1258, morì nella notte tra il 26 e il 27 dicembre 1273. 50 Filippo Fontana, eletto vescovo di Ferrara, di Firenze, quindi ar­ civescovo di Ravenna nel 1250, morì nel settembre del 1270; legato apo­ stolico. Ricevette la consacrazione episcopale molto tardi. 51 Filippa. 52 £ l’ inizio di un inno ecclesiastico: vedi U. Chevalier, R e p e r t o r i u m h y m n o l o g i c u m , II, Louvain 1897, p. 548, n. 18607).

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

libus populis cupientes, universis Christi fidelibus vere penitentibus et confessis qui ecclesiam vestram in festivitatibus beate Marie virginis et sancte Clare usque ad octavas earumdem cum devotione et reverentia vi­ sitaverint annuatim de omnipotentis Dei misericordia et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius auctoritate confisi centum dies de, iniuncta sibi penitentia misericorditer relaxamus. Datum Lateran. X kal. maii pontif. nostri anno tertio. 53

XIV 12 settembre 1257. 112 dicem bre 1256: cfr. F. L a n z o n i , Cose francescane faentine, p.

2]

Alexander episcopus servus servor. Dei. Dilecto filio nobili viro Aca-

risio 54 de Faventia salut. et apostol. benedict. Laudis humane preconium et premium tibi vite perhempnis acqui­ ritur si profanis divino cultui dedicatis a te gratiosi favoris auxilium impendatur. Sane per evidentia signa nobis datur intelligi quod dilecte in Christo filie (...) 55 abbatisse et sorores monasterii Sancte Marie de Virgi­ nibus de Faventia ordinis Sancti Damiani ad romanam ecclesiam nullo medio pertinentis, abstricte iugo voluntarie paupertatis conditori omnium devote laudis invigilant pro te et aliis fidelibus impendere famulatum, vitam in terris quodam modo ducentes angelicam, dum sola celestia dili­ gunt et negotia terrena postponant. Cum igitur ex hac potissima causa consurgat quod eis te debes exibere benivolum et in oportunitatibus gra­ tiosum, nobilitatem tuam rogamus monemus et hortamur in Domino per apostolica tibi scripta mandantes ac in remissionem tibi peccaminum iniungentes quatinus ob reverentiam apostolice sedis et nostram cum eis­ dem sororibus hostiliter desolatis paterno affectu compatiamur consueto more benigne respicias easdem prosequendo ipsas gratia et favore ac fo­ vendo beneficiis quibus indigent dextera liberali nec permittas eas aut monasterium earum a quibuscumque per- | sonis quantum in te fuerit molestari. Nostrum itaque pium beneplacitum et mandatum sic adimpleat nobilitas tua in hac parte, ut eisdem abbatisse et sororibus de precibus nostris fructum optatum reportasse gaudentibus nos tibi exinde speciales gratias referamus. Dat. Viterbii II id. september. pontif. nostri anno tertio. XV 12 settembre 1257. [c. s.J Alexander episcopus servus servor. Dei dilectis filiis nobilibus viris Albrigeto et Albericho de Albrigetis de F a v e n t i a 56 salut. et apostol. benedict.5 6 4 3 Nota il T .: «Sigillum p eriit». Accarisio Accarisi capo dei ghibellini di Faenza. 55 Filippa. 56 Non essendovi allora in Faenza, nota il Valgimigli (op. cit., IV, p. 258), una famiglia Alberghetti, nè altra che potesse competere cogli 53

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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Laudis humane preconium et premium, etc. quod eis vos debetis exhi­ bere benignos, etc.57 XVI U febbraio 1259. Alexander episcopus servus servor. Dei. Dilectis in Christo filiabus abbatisse et conventui mon. Sancte Marie faventin. ordinis (Sancti Damiani ad romanam) ecclesiam nullo medio pertinentis salut. et apost. benedict. Paupertati quam voluntarie (...) paterna in posterum solicitudine pro­ videre volentes, auctoritate vobis presentium indulgemus, ut prestantiam procurationum legatorum Sedis Apostol. vel Nuntiorum (...) seu subscidior. quorumcumq. vel ad alia onera personalia sive realia vobis imposita (...) Sancti Martini in Podio Faventie vobis et mon. vestro subiecte per literas S. Sedis impetratas et in posterum impetrandas seu legator, vel nuntior. Sedis eiusd. (...) tenoris existant, aut mandato diocesani vestri, vel Com­ munis Faventie in perpetuum compel (...) de presentib. et ordine vestro plenam et expressam fecerint mentionem. Nos enim decernimus irritas et innanes interdicti, suspensionis et ex(commmunicationis) (...) quas aut monaster, vestrum in posterum contigerit promulgari (...) omnino ho(minum?) (...) vel ei ausu temerario contrahire. Si quis autem hoc etc. (la con­ sueta clausula). Dat. Anagnie XVI kal. martii pontif. nostri anno quinto. XVII 9 maggio 1269. In Christi nomine. Anno a nativ. eiusd. milies, ducentes, sexages. nono die iovis nono mensis madii duodecime indictionis apud monasterium do­ minar. Sancte Marie de Virginibus loci fratris Viviani de Faventia in oratorio ipsar. dominar. | Capitulum ecclesie faventine, scilicet d. Peppus prepositus,58 presbiter Alborisius,59 presbiter lohanninus,60 presbiter Auliverius,6l Bernardus,62

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Accarisi dai Manfredi in fuori; pare che si tratti di Alberghetto e di Albe­ rico di Ugolino di Alberghetto Manfredi, allora viventi. 0 l’estensore del breve pontifìcio ha frainteso o il T. ha letto male. Forse stava scritto « Albrigeto et Albricho de AIbrigeto » o « Albrigetti » ; come nel breve 12 ottobre 1243 d’Innocenzo IV: « Albrigetto, Henrico et Hugolino Albri­ getti » (Monumenta Germ. Hist., t. II, p. 27 delle Epistolae selectae sae­ culi XIII, Berolini 1887). 57 Cangiato il numero singolare nel plurale, in tutto concorda con l’ antecedente (nota del Tondini). 58 Tra il 1264 e il 1279. 59 Tra il 1248 e il 1291. 60 Tra il 1257 e il 1279. 61 Tra il 1267 e i 1279. 62 Bernardus o Bernardinus, chierico tra il 1221 e il 1232, suddiacono tra il 1234 e il 1253, diacono tra il 1256 e il 1272. 16

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Orlandinus,63, Iohannes romanus 646 7 et Iohannes de Gaglano 65 diaconi, Al5 bertus,66 Alderotus *7 et Iacobinus 686 9subdiaconi, canonici faventini, vice et nomine (ecclesie) faventine et pro ipsa ecclesia, viso tenore instrumenti protestationis et promissionis, exemptionis et libertatis, seu confirmationis libertatis et. exemptionis predicte facte per venerabilem patrem d. Jacobum Dei gratia episcopum favent, d. Philippe Dei gratia d. monasterii abbatisse et scripti manu mei Benvenuti not. presentialiter eis lecto de verbo ad verbum per me Benvenutum not. infrascriptum et plenius intellecto, assentientes et consentientes ac assensum et consensum prebentes ipsi instru­ mento, et omnibus et singulis capitulis appositis in eodem, ipsum in om­ nibus et per omnia approbaverunt, emologaverunt, firmaverunt et ratificaverunt prout in eo de verbo ad verbum plenius continetur. Cuius instru­ menti tenor talis est: In Christi nomine. Anno a nativit. eiusd. milies, ducentes, sexages. primo, die sabati penultimo mensis iulii quarte indictionis apud locum seu monasterium Sancte Marie de Virginibus loci fratris Viviani de Fa­ ventia, presentib. testib. fr. Iacobino de Imola, fr. Albergone de Regio, fr. Fino de Verona et fr. Petro de Bononia ordinis fratrum minor.® et fr. Viviano de Sarna70 et me Benvenuto CafFarelli not. Cum venerabilis pater d. Iacobus Dei gratia episc. faven. d. Filippam abbatissam monasterii predicti et sorores eiusdem, et ipsum monasterium, atque locum exemerit et liberaverit et absolverit de consensu capituli fa­ ventini ab omni sua et d. episcopatus et successor, suorum iurisdictione et ab omni lege diocesana tam spirituali, quam temporali, ut constat pu­ blico instrumento scripto manu mei Benvenuti not, et sigillato etiam per me ipsum Benvenutum not. sigillis pendentibus d. d. episcopi et eiusdem capituli favent, ipse idem d. episcopus approbando, ratificando, et emologando d. instrumentum exemptionis, liberationis et absolutionis et omnia singula que continentur in eo, volens eidem d. abbatisse facere gratiam specialem, vice et nomine d. episcopatus, et pro ipso episcopatu, et pro se suisque successoribus in d. episcopatu futuris imperpetuum protestatus est, dixit, voluit, et promisit atque convenit eidem d. abbatisse presenti re­ cipienti et stipulanti vice et nomine dicti monasterii atque loci et pro ipso monasterio et loco et pro toto conventu dominar, et sororum eiusdem et pro ipsis sororibus tam presentibus quam futuris et pro eis et eorum suc­ cessoribus in d. monasterio futuris in perpetuum, quod si idem locus seu

63 Orlandinus de Acharisiis tra il 1263 e il 1286. 64 II Tondini legge: Iohannes, Romanus; ma è un solo personaggio chiamato nelle carte faentine: Iohannes romanus canonicus diaconus, tra il 1263 e il 1285. 65 Iohannes de Gaglano tra il 1258 e il 1273. 66 Albertus de Bononia tra il 1248 e il 1286. 67 Tra il 1251 e il 1303. 68 Iacobus o Iacobinus de Caminiza (antica famiglia faentina) tra il 1243 e il 1298. 69 Del convento di Faenza probabilmente. 70 Frate della penitenza? Sarna, pieve dell’antico territorio faentino pochi eh. distante dal convento di Santa Maria delle vergini.

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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monasterium aliquo casu seu condictione in toto vel parte removeretur inde ubi | situm nunc est et alibi edificaretur, vel si ipsa d. abbatissa et sorores eiusd. loci tam presentes quam future alibi de novo locum edificarent, seu ediflcari facerent, ubicunque in diocesi faventina, quod idem monasterium seu locus de novo edificandus vel removendus cum omnibus sororibus habitantibus in eo, et ipse sorores eadem exemptione et abso­ lutione gaudere debeant ac etiam libertate. Quem locum seu monasterium de novo edificandum seu refitiendum et prefatum aliud monasterium et so­ rores et conventum totum monasterii utriusque cum omnibus possessioni­ bus atque bonis que nunc habent vel sunt in posterum habiture, ex nunc liberavit, et absolvit et exemit omni eo modo, pacto ac tenore, quibus eandem d. abbatissam et sorores et monasterium predictum exemit ac etiam liberavit et absolvit in alio instrumento superius nominato. Hoc autem ei fecit ob amorem et reverentiam D. n. I. C. et b. Mariae Virginis et omnium sanctor, ac sanctar. Dei et pro remissione suor, omnium peccator. Promit­ tens idem d. episcopus eid. d. abbatisse stipulanti vice et nomine d. mo­ nasterii et pro ipso et pro toto collegio et conventu eiusdem et pro se suisque successoribus in eod. monasterio futuris in perpetuum, hunc con ­ tractum, omniaque s(upra)scripta et singula firma rataque habere et tenere, et in nullo contra agere vel venire de iure vel de facto neq. per se neq. per aliquam personam ab eo submissam vel submittendam sub pena centum marcharum argenti, qua commissa seu soluta vel non, h ic contractus et omnia (supra)scripta, perpetuam et constantem semper obtineant firmi­ tatem. Ad cuius rei geste fidem et evidentiam pleniorem presens instru­ mentum iussit idem d. episcopus sui sigilli munimine roborari. Quibus omnibus ego prenominatus Benvenutus Caffarelli sancte ravennalis ecclesie et nunc d. d. episcopi not. presens interfui et rogatu dictor, contrahentium subscripsi et publicavi. Quibus omnibus sic peractis reverendus pater d. Phylippus Dei et Apostol. Sedis gratia sancte ecclesie ravennatensis archiepiscopus Apostol. Sedis legatus presens, assentiens et consentiens tam suam auctoritatem or­ dinariam, quam etiam delegatam ratione sue legationis solempniter inter­ posuit, et decretum firmando ratificando et approbando predicta omnia singulariter singula et universaliter universa. Ad cuius rei memoriam et stabilem firmitatem dicti dd. archiepiscopus, et prepositus et capitulum preceperunt hoc instrumentum eorum singulor. munimine roborari. Huius rei testes presentes et rogati fuerunt d. Sinibaldus archidiaconus, Drudo prepositus et Aggolinus (Azzolinus?) cantor S. ecclesie r a v e n n a t .7 i d. Baldus prior de Petroio florentine dioecesis, et dd. fratres A lbericus7 72 et Guido 1 Thome ordinis militie beate Marie, et d. Thomasius de Gezzis de Ravenna. Et ego prefatus Benvenutus Caffarelli s. ravennat. ecclesie et nunc d. d. epi­ scopi not. predictis interfui et mandato dictor, dd. archiepiscopi, prepo­ siti et capituli scripsi et publicavi. Loco t Signi.

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71 Canonici ravennati tutti e tre. 72 Fra Alberico Manfredi, cavaliere di Santa Maria gloriosa, ossia cavaliere gaudente, il celebre personaggio dell’inferno dantesco.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo XVIII 19 dicem bre 1269.

Philippus Dei et apostólica gratia sancte ecclesie ravennat. archiep. Apostolice Sedis legatus universis Christi fidelibus presentes litteras in­ specturis salutem in Domino. | Desiderantes Domino reddere populum acceptabilem honor, operum sectatorem, ad complacendum ei, vos quibusdam electivis muneribus in­ vitamus ut exinde reddamini divine gratie aptiores. Cum igitur dilecta in Christo (...)73 abbatissa et conventus sororum Minorum monasterii Sancte Marie de Virginibus loci fratris Viviani iuxta Faventiam, que relictis mun­ danis illecebris, unam petentes a Domino et hanc operosa sollicitudine ut inhabitent in domo ipsius in dierum longitudinem requirentes, ecclesiam Sancti Martini in Podio disposuerint iuxta fossata civitatis Faventie translatare, nos propositum ipsarum in Domino commendantes ac volentes ut eadem ecclesia congruis honoribus visitetur, de omnipotentis Dei miseri­ cordia et beator. Petri et Pauli apostolor. eius necnon beator, martirum Apollenaris, Vitalis atque Ursicini patronum (sic) ecclesie ravennat. me­ ritis confidentes, omnibus vere penitentibus et confessis qui translationi et mutationi ipsius ecclesie opem et operam dederint et eandem ecclesiam in festivitate ipsius et post per singulos dies annuatim visitaverint et de bonis eidem contulerint tam auctoritate nostre ordinarie potestatis quam legationis qua fungimur, tres annos de iniuncta sibi penitentia m isericor­ diter in Domino relaxamus. In cuius rei testimonium presentes litteras fe­ cimus sigilli nostri munimine roborari. Data Faventie XIII. kal. ianuarii milies, ducentes, sexages, nono, XII. indict. XIX 7 marzo 1304. Benedictus episcopus servus servor. Dei. Dilectis in Deo filiabus abbatisse et conventui monasterii Sancte Marie de Virginibus iuxta Faventiam ordinis sancte Clare salut. et apostol. benedict. Cum a nobis petitur quod iustum est et honestum, tam vigor equitatis quam ordo exigit rationis, ut id per sollicitudinem officii nostri ad debitum perducatur effectum. Quapropter dilecte in Christo vestris iustis postula­ tionibus grato concurrentes assensu omnes libertates et immunitates a predecessoribus nostris romanis pontificibus (sive per) privilegia seu alias in­ dulgentias monasterio vestro seu vobis concessas, necnon libertates et exemptiones secularium exactionum a regibus et principibus aliis Christi fidelibus rationabiliter vobis ac predicto monasterio indultas sicut eas iuste ac pacifice obtentas, vobis et per vos eidem monasterio auctoritate apo­ stólica confirmamus et presentís scripti patrocinio communimus. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre confirmationis infringere vel ei ansu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beator. Petri et Pauli apost. eius se noverit incursurum. Dat. Lateran. non. martii pontificat. nostri anno primo. 73 Filippa.

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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XX 4 settembre 1305. In nomine Domini. Amen. Anno Domini millesimo trecentesimo (quinto) indict. tertia tempore, d. Clementis pp. V, et die IIII mensis septembris. [ Cum venerab. pater d. fr. Mattheus747 5 permissione divina episcopus faventin. invenerit in plena exemptione et libertate d. sororem Ugolinam abbatissam monasterii S. Marie de Virginibus loci fratris Viviani de prope Faventiam et sorores et capitulum et conventum eiusdem et ipsum mona­ sterium atque locum a bone memorie domno Iacobo dicte faven. eccl. episcopo et Gualterio predecessoribus suis et ab aliis pluribus cum con ­ sensu et expressa voluntate reverendi viri d. (...) 75 prepositi et capituli faventin. ut apparet per privilegia scripta manu Benvenuti Caffarelli not. de Faventia dictor, venerabil. patrum et capituli sigillis pendentibus mu­ nitis. quae quidem privilegia exemptionis et libertatis indulta monasterio et capitulo supradicto fuerunt per summos pontifices et Sedem Apostolicam et legatum ipsius ex certa scientia confirmata, approbando et ratificando et omologando dicta privilegia exemptionis et confirmationis habita super ipsis et omnia et singula quae continentur in eis. Volens eidem d. abbatisse, sororibus, capitulo et conventui monasterii prelibati gratiam facere specia­ lem vice et nomine dicti episcopatus et pro ipso episcopatu et pro se suisque in posterum successoribus in episcopatu predicto in perpetuum futuris protestatus est, dixit, voluit atque convenit eidem dicte abbatisse presenti recipienti et stipulanti vice et nomine dicti monasterii et pro ipso mo­ nasterio et loco et pro toto conventu dominar, et soror, eiusdem et pro ipsis sororibus tam presentibus quam futuris et pro eis et earum succes­ soribus in d. monasterio futuris in perpetuum. Quod si idem locus seu monasterium aliquo casu seu conditione vel modo in toto vel pro parte removeretur inde ubi situm nunc est et alibi hediflcaretur in diocesi faventina, quod idem monasterium seu locus de novo hediflcandus cum om­ nibus et ad presens hedificatum et sorores et conventum totum utriusque monasterii cum omnibus possessionibus atque bonis que nunc habent ex quacunque concessione ei facta a predecessoribus suis de bonis olim ec­ clesie sancti Martini et alium que sunt in posterum habiture, ex nunc exemit, liberavit et absolvit omni eo modo, pacto et tenore quibus eamdem d. abbatissam et sorores et monasterium predictum exemerant atque liberaverant domni Iacobus et Gualterius predecessores sui per privilegia eorumdem superius nominata expresse reservato censu unius libre cere solvende ab ipsa abbatissa et conventu monasterii supradicti apud epi­ scopatum ipsi venerab. patri et successoribus suis in vigilia sancti Petri de iunio in signum reverentie pro donatione et concessione facta a pre­ decessoribus suis ipsi monasterio de ecclesia sancti Martini et possessio­ nibus eiusdem. Hec autem eidem abbatisse et sororibus fecit ob amorem et reverentiam domini nostri Iesu Christi et beate Marie Virginis matris eius et pro remissione omnium suor, peccator, et predecessor. suor. Pro­

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74 Fra Matteo Eschini, agostiniano, vescovo di Faenza dal 1302 al 1311. 75 Tignoso preposto tra il 1285 e il 1307.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

mittens idem d. episcopus eidem d. abbatisse stipulanti vice et nomine d. monasterii et pro ipso et pro toto collegio et conventu eiusdem et pro se suisque successoribus in eodem futuris in perpetuum hunc contractum exemptionis et omnia et singula suprad. firma rataque habere et tenere et in nullo contrafacere vel venire de iure vel de facto neque per se neque per aliquam personam ab eo submissam vel submittendam sub pena G marcharum argenti et obligatione omnium bonor. sui episcopatus, qua com­ missa seu soluta vel non h ic contractus exemptionis et omnia supradicta perpetuam et constantem obtineant firmitatem. | Ad cuius rei geste fidem et evidentiam pleniorem presens instrumentum iussit idem venerab. pater fr. M. sui sigilli appensione muniri et per me Nicolaum not. confici de predictis publicum instrumentum. Actum apud locum seu monasterium predictum fratris Viviani in ecclesia ad fenestras ferreas seu parlatorium ipsar. dominar, presentibus d. Iacobo de Fulgineo vicario d. venerab. patris, fratri Barthulo de ordine heremitar. capellano ipsius, fratre Francisco de ordine sancti Francischi guardiano dicti loci, fr. Nicolutio de Arimino socio ipsius, fr. Angelo de ordine heremitar. capellano ipsius d. episcopi, Viscardo, Cicco, et Angnelicto domicellis d. venerab. fratris testibus ad predicta vocatis et rogatis. Et ego Nicolaus Pauli de Verulis publicus imper. auctor, not. et nunc d. venerab. patris scriba predictis omnib. et singul. interf. et rog. scripsi et publicavi. Loco t signi. XXI 26 dicem bre 1310 o 1347. Clemens episcopus servus servor. Dei. Dilecti in Christo filiabus ab­ batisse et conventui monasterii Sancti Martini prope Faventiam ad Ro­ manam ecclesiam nullo medio pertinentis, Ordinis sancte Clare (*), salut. et apostolic. benedict. Solet annuere Sedes Apostolica piis votis et honestis petentium pre­ cibus favorem benevolum impertiri. Eapropter, dilecte in Christo filie, vestris iustis postulationibus grato concurrentes affectu, omnes liberta­ tes ecc. (com e nel breve di Benedetto XI, vedi n. XIX). Dat. Avinione VII. kal. ianuar. pontific. nostri anno sexto.

(*) Mentre nei documenti dell’ex-archivio fino al 1307 le Clarisse faentine sono chiamate sorores o moniales Sanctae Mariae de virginibus ordinis Sancti Damiani e poi ordinis sanctae Clarae, e il loro monastero e detto monasterium Sanctae Mariae situm in insula o in insulis Sancti Martini faventino territorio et plebe, oppure iuxta o de prope Faventiam, ovvero locus fratris Viviani, al contrario in questo documento, e nel seguente, elencato nel regesto al num. 30, sono dette sorores Sancti Martini ordinis sanctae Clarae, e il convento e appellato monasterium Sancti Mar­ tini situm in capella Hospitalis extra et prope Faventiam.

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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Nel n. 30 del regesto, che è un lungo documento di una lite tra le suore e i dazieri e i gabellieri di Faenza, è allegato un atto del 15 febbraio 1372, col quale l’abbadessa (Phlippina de Pidiano comitatus Imolae) e le suore vocem habentes (sono 14: Amfìlixio de Buijta, Iohanna Rufarda de Faventia, Icicoba de Fav., Manfredina, probabilmente della famiglia dei nostri signori, de Fav., Melina magistri Francisci de Fav., Romeiina comitis Bandini de Romena, Pulissena de Fav., Agnexina de Fossola, presso Faenza, Medina de Nordighis de Imola, Lodoyca de Bononia, Antonia de Fav., Diana de Fav. e Druda de Fav.) costituiscono i loro rappre­ sentanti e procuratori in Bologna. In esso si legge: « Actum in ecclesia sancii Martini et capitulo dictarum sororum et monialium ad gratam ferream et earum | monasterii et conventus siti 491 extra civitatem Faven. in capella Hospitalis (presentibus fratre Bartholomeo de Bononia guardiano ordinis fr. min. de Faven., fratre Ioanne de Bagnacavallo, dicti ordinis fratr. minor) ». Queste carte del 1310 (o del 1347?) e del 1372 mi permettono di correggere un errore nel quale sono caduto nella mia soprad­ detta Conferenza. Ivi affermai (pp. 20-21) che le. Clarisse verso la fine del secolo XIV passarono dentro Faenza, nel convento di San Martino (ove abitarono fin dopo la metà del XIX secolo), direttamente dal locus fratris Viviani. Ma ciò non è esatto. Come risulta da queste due carte, specialmente dagli atti del 1372, le Clarisse quando passarono entro le mura, non abitavano più nel luogo di fra Viviano o in S. Maria delle Vergini, ma nell’antico monastero di San Martino, a loro ceduto dal vescovo Gualtiero nel 1254. Adunque le nostre Clarisse abitarono da prima in S. Maria delle Vergini, quindi in S. Martino in Poggio, e final­ mente in S. Martino entro le mura di Faenza. Questa è la ragione (e non la esposta da noi) per cui le suore, costruendo dentro Faenza verso la fine del XIV secolo una nuova chiesa e un nuovo monastero, presero per titolare san Martino. Certo nella carta del 15 febbraio 1372 si tratta del convento di San Martino in Poggio, non (come alcuno potrebbe sospettare) del monastero urbano di San Martino edificato alla fine del se­ colo XIV. Infatti il convento di San Martino del 1372 non trovavasi entro le mura come il monastero edificato alla fine del XIV se­ colo, ma extra et prope faventiam, al dire dei documenti allegati. Di più il convento di San Martino, edificato entro Faenza, trovavasi nella cappella di San Clemente (vedi doc. XXII). Al contrario il S. Martino del 1372 era situato nella cappella dell’ospedale. Ora i faentini sanno molto bene che la cappella dell’ospedale

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

corrisponde all’odierna parrocchia di Santa Maria Maddalena del borgo, detta anche della Magione. Oggi pure il luogo, ove sorgeva S. Martino in Poggio, è soggetto alla stessa parrocchia suburbana della Magione, come nel 1372. Da ciò si deduce che le Clarisse dopo il 1307 abbandonarono il loro primo convento dell’isola di San Martino, e, passato il Marzeno, si recarono ad abitare nell’antico convento di San Martino in poggio, a loro ceduto fin dal 1254 dal vescovo Gualtiero. Da questo luogo, e non dal convento di Santa Maria delle Vergini, le Clarisse faentine passarono direttamente entro la città. Del resto il Magnani (Vite de’ Santi di Faenza, Faenza 1741, pp. 94 e 114), quantunque non ben distingua il locus fratris Viviani dal convento di San Martino in poggio, tuttavia dichiara d’aver raccolto dalla tradizione che le suore Clarisse, prima di passare entro le mura, dimoravano « mezzo miglio lontano dalla città fuori di porta dell’Ospedale », cioè precisamente nel colle di San Martino. Questo trasloco avvenne tra il 1307 e il 1379, come vedremo: ma l’anno preciso di esso non consta, molto più che i notai faen­ tini, pure dopo il trasloco, continuarono a chiamare le Clarisse sorores loci fratris Viviani. È notissimo che la nomenclatura po­ polare dei nomi | delle cose e dei luoghi suol durare a lungo anche dopo che le cose e i luoghi in questione hanno subito delle profonde mutazioni. Ecco il regesto di alcuni documenti relativi alle Clarisse faentine dal 1307 al 1379: 1. 1325 dicembre 4. Il sindico « loci Sancte Clare de prope faventiam, qui vulgariter appellatur locus fratris Viviani » vende alcune cose al monastero di San Magiorio (Biblioteca comunale, fondo S. Magiorio). 2. 1361 gennaio 15. Imeldina Medici fa un legato in favore « ecclesie Sancte Clare prope Faventiam » (Biblioteca comunale, fondo S. Andrea). 3. 1371 ... Rengarda Manfredi fa una disposizione testamen­ taria in favore « delle sore di Santa Chiara de prope Faventiam » (dal T onduzzi, loc. cit., pp. 434-435). 4. 1374 luglio 30. Il canonico Ugo Rogati fa un legato in fa­ vore del « monasterium sororum Sancte Clare » (Archivio capi­ tolare). 5. 1374 ... «Monasterium sororum Sancte Clare de prope Fa­ ventiam » (Archivio capit., Iura antiqua, f. 50).

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Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza

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6. 1379 giugno 8. L’abbate di San Vitale di Ravenna «Faventie existens in loco ubi ad presens residet abbatissa et sorores dicti loci fratris Viviani apud locum fratrum minorum de Fa­ ventia » ecc. (Schede del sig. Bernicoli di Ravenna). XXII 27 dicem bre 1388.

Angelus de Ricaxolis miseratione divina episcopus faventinus7^ uni­ versis christifidelibus per civitatem et diocesim faventinam constitutis sa­ lutem in Dom. sempitern. Splendor paterne glorie,7 777 6 8 qui sua mundum illuminat ineffabili clari­ tate, pia vota fidelium de clementissima ipsius maiestate sperantium tunc precipue benigno favore prosequitur cum devota ipsorum humilitas sanc­ torum- meritis et precibus adiuvatur. Cupientes igitur ut monasterium Sante Clare et eius ecclesia situatum in civitate Faventie in capella Sancti Clementis congruis honoribus frequentetur et a christifidelibus iugiter veneretur, omnibus et singulis vere penitentibus et confessis qui dictum monasterium seu ecclesiam in festo sanctor. Iohannis Baptiste et Evangé­ liste devote et venerabiliter visitaverint, de omnipotentis Dei misericordia et beate Marie semper virginis matris eius et beator. Petri et Pauli apostolor. eius patronorum nostrorum precibus et meritis confidentes quadra­ ginta dies de iniuncta eis penitentia misericorditer in Domino relaxamus. In quorum testimonium présentes literas fieri fecimus et nostri ponti­ ficalis sigilli appensione muniri. Dat. in episcopatu faventino anno Domini millesimo tercentesimo octagesimo octavo, ind. undecima, tempore sanctissimi patris et d. n. d. Ur­ bani div. provid. pape sexti, die vigesima septima mensis decembris. |

XXIII

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24 maggio 1419.

Martinus servus servor. Dei. Dilecto filio Iohanni de Bazolinis cano­ nico faventino 78 salutem et apostolic, benedict. Sacre religionis sub qua dilecte in Christo filie (abbatissa et conv)entus monasterii Sancti Martini de Faventia ordinis Sancte Clare devotum et sedulum exhibent Altissimo famulatum promeretur honestas ut votis (illis,

76 Fiorentino, tenne la sede faentina dal 1383 ai 1391. 77 È l’inizio di un inno ecclesiastico (U. Chevalier,, Repertorium hymnologicum, I, Louvain 1892, pp. 594-595). 78 Iohanne Rofìlli q. Nicolai de Bazolinis, tra il 1402 e il 1427. Proba­ bilmente la bolla fu indirizzata al canonico Bazolini perchè il vescovo di Faenza Silvestro della Casa (1412-1428) non aveva potuto ancora otte­ nere il pacifico possesso della sua diocesi.

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pre)sertim per que dicti monasterii et personarum in eo degentium in­ demnitati consulitur, favorabiliter annuamus. Exibita siquidem nobis nuper (dilecte filie) abbatisse et conventus petitio continebat quod licet ipse, que antea extra civitatem faventin. residere consueverant, a quadraginta annis citra 79 urgentibus (calami)tatibus quae partes illas graviter afflixerunt,80 infra dictam civitatem prefatum monasterium cum ecclesia et certis offi­ cinis de novo construi fecerunt, (...) sumptuose nullum tamen inibi habent locum quo cimiterium dedicari et alia editicia fleri possint ipsis abbatisse et conventui profutura. Cum (insuper) petitio subiungebat iuxta mona­ sterium ipsum quidam locus ubi retroactis erat temporibus hospitale pau­ perum domine Bianche nuncupatum 81 penitus der(elictum), etsi locus ille pro cimiterio et ediflciis prefatis abbatisse et conventui assignaretur eis­ dem id in ipsarum commodum cederet evidenter (...) pro parte abbatisse et conventus predictarum fuit nobis humiliter supplicatum ut in premissis eis opportune providere de benignitate apostolica dignaremur. Nos igitur qui de premissis certam noticiam non habemus, huiusmodi supplicatio­ nibus inclinati, discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus si vocatis qui fuerint vocandi ita esse inveneris, locum eum abbatisse et conventui predictis pro cimiterio dedicando aliisque ediflciis huiusmodi construends inibi auctoritate nostra concedas. Dat. Florentie VIIII. kal. iunii pontiflc. nostri anno secundo. 827 2 1 0 8 9

79 Da questo passo io conchiudeva nella Conferenza che le Clarisse entrassero in città non nel 1387, come narra il Tonduzzi (p. 42), ma nel 1379 c. Ora il documento sopra citato, nelle schede del sig. Bernicoli, non lascia più nessun dubbio. La data del Tonduzzi è errata. Le suore si trovavano nella nuova sede il giorno 8 giugno 1379. La novella residenza, come sanno tutti i faentini, anche oggi presso S. Clemente, non è lontana dal convento dei frati Conventuali. 80 Allude ai saccheggi della banda dell’Acuto (marzo 1376 - apr. 1377)? 81 Ospedale ricordato spesso nelle memorie faentine. 82 «Pendei sigillum plumbeum » (nota del Tondini).

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UNA VITA DEL BEATO NOVELLONE FAENTINO TERZIARIO FRANCESCANO ( t 1280) COM POSTA NEL SECOLO XV

In Archivum Franciscanum historicum, VI, 1913, pp. 623-653

I - ETÀ E AUTORE DELLA VITA

La Vita del b. Novellone faentino, di cui prendo a trattare, si trova in un codice dell’archivio del comune di Faenza, codice descritto dal eh. Gaetano Ballardini a pp. 3-8 del suo Inventario critico e bibliografico dei codici e delle pergamene dell’archivio del comune di Faenza-1 II codice è composto di tre fogli di per­ gamena scritti in colonna. Esso costituirebbe un libercolo a parte, ma è stato anteposto e unito a un altro codice contenente gli sta­ tuti e le matricole dell’arte dei calzolai di Faenza, con le succes­ sive aggiunte, dal 1331 al 1589 incirca.2 Forse perchè la numerazione, probabilmente del secolo XVII, comincia nella Vita e continua nel codice, cui detta Vita è ante­ posta, il Magnani34fu indotto a ritenere di compulsare un unico documento, e credette la Vita anteriore al 1330. Ma l’agiografo faentino è caduto certamente in errore. Il codicetto contenente la Vita non è del secolo XIV, come quello degli statuti e delle ma­ tricole, ma appartiene al seguente. | Essa è una copia, come può facilmente arguirsi e dai molti e madornali errori che contiene, e da qualche lacuna (vedi spe­ cialmente il § 22 in fine), lacuna che non può attribuirsi se non alla sbadataggine di un trascrittore. È tutta della stessa mano.

624

1 Faenza 1905. 2 II medesimo Ballardini pubblicherà gli statuti dei calzolai e delle altre arti di Faenza. 3 R. Magnani, Vite de’ Santi, Beati, Venerabili e Servi di Dio della città di Faenza, Faenza 1741, pp. 148-149. 4 Ibid.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Il Magnani4 dice che questa Vita esisteva a suo tempo anche nell’archivio capitolare tra i manoscritti di certo Paolo Pasi, faentino: ma oggi questi manoscritti non esistono più. Tra i me­ desimi, secondo lo stesso autore,5 si trovava pure copia di altra Vita del b. Novellone, scritta da un « anonymus antiquus ». Dalle citazioni fattene dal Magnani si deduce che questa seconda, quan­ tunque non contenesse nè il prologo nè il capitolo De nomine, che si leggono nel nostro codice quattrocentesco (§§ 1 e 2), tut­ tavia nel rimanente conveniva in sostanza colla prima. Il Grilli 6 ne riferisce un passo, dal quale si rileva che questo « anonymus antiquus » non aveva fatto altro che rifare e compendiare la Vita del nostro codice.7 Nel cod. H3 della biblioteca Vallicelliana di Roma si con­ serva un manoscritto della fine del XVI o del principio del XVII secolo contenente (ff. 148-149) alcuni Miracoli di santi faen­ tini, trascritti da una cronaca latina a mano della libreria dei frati di San Domenico di Faenza. A if. 148-148 v si leggono i Miracula beati Nevoloni e a f. 148 v i miracoli post mortem. La prima parte contiene quasi tutta la materia dei §§ 5-16 del nostro manoscritto quattrocentesco, spesso colle medesime parole; la seconda riproduce nello stesso modo, più o meno, i ‘§§ 17-26. [Cfr. Postille, II] Forse questi due brani sono stati desunti dall’« anonymus antiquus » del Magnani. La Vita contenuta nel codice quattrocentesco dell’archivio del comune di Faenza non è anteriore al secolo XV. Infatti: Essa, come vedremo, conosce la Vita della beata Umiltà, monaca vallombrosana faentina morta in Firenze nel 1310; Vita che fu scritta alcuni anni dopo il decesso della beata. Nel § 7 vi si legge: «Mansio quoque sua post omnium ho­ norum suorum alienationem et in pauperum distributionem fuit prope cellam in certa domuncula iuncta ecclesie predicte celle, que prò tunc vocabatur cella fratris Laurentii, (...) in qua cella ad presens sunt moniales ». Per intendere questo passo è da sa­ persi che nel 1253 certo Lorenzo di Egidio, | faentino, fondò 625 presso le mura di Faenza in un orto del sobborgo, detto Ganga, un eremitaggio di camaldolesi. Questo eremitaggio fu quindi 5 Ibid. 6 G. G r i l l i , Origini delle Monache Camaldolesi di S. Magiorio in Faenza, Faenza 1742, p. 7 nota a. 7 Cfr. F. Lanzoni, Sopra un manoscritto antico intorno alla vita del beato Nevolone faentino. Nota critica, Faenza 1903, p. 11 nota 1.

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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chiamato volgarmente la cella di fra Lorenzo. Egli ne fu priore fino a parecchi anni dopo la morte del b. Novellone, e vi edificò, dappresso, almeno fin dal 1267, una chiesa dedicata a s. Magiorio, chiesa che fu consacrata nel 1270.8 S. Magiorio, coll’andare del tempo, divenne un monastero camaldolese femminile. Ma è stato dimostrato dal Grilli9 che nel 1338 vi dimoravano ancora i mo­ naci. Ora la nostra Vita fu composta quando l’appellativo di cella di fra Lorenzo non era più nell’uso comune, e in essa dimoravano le monache. La Vita dunque non è anteriore al 1338. Nei documenti faentini del secolo XIII il nostro beato è chia­ mato Novellonus : così vien detto, come si vedrà, dal cronista con­ temporaneo Pietro Cantinelli.10 Nel secolo XIV, gli statuti dell’arte dei calzolai del 1331 lo appellano « beati Nevelonis » e « beati Novellonis11 », e un atto del 1351, appartenente alla stessa arte, « beati Neveioni12». Nel secolo XV, in una carta del 1459, rela­ tiva pure all’arte dei calzolai è chiamato «beati Neveioni13»; ma in altri atti dello stesso tempo « sancii Nevoloni14». Ora l’au­ tore anonimo della Vita, scritta, come vedremo, in Faenza, co­ stantemente dà il nome di Nevolonus al nostro beato. Il suo la­ voro adunque non può rimontare al di là del secolo XV. Esso deve essere stato composto quando il vero nome del beato si era a poco a poco trasformato da Novellonus in Nevolonus; e que­ st’ultimo era diventato di uso costante.15 | 8 J. B. Mittarelli et A. Costadoni, Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti, III, Venetiis 1758, pp. 16, 26, 61, 67, 109; M. Valgimlgli, Memorie istoriche di Faenza, ms. nella Biblioteca com. di Faenza, V, pp. 49, 52, 77, 211. 9 Op. cit., p. 16. 10 Novellonus accrescitivo di Novellus era molto usitato in Faenza e fuori nel XIII secolo: cfr. V aegimigli, V, p. 196; L. V. Savioei, Annali bo­ lognesi, II, 2, Bassano 1785, p. 750; G. G. T romberei, Memorie storiche, Bo­ logna 1752, pp. 338-339; Novellinus diminutivo di Novellus si legge nelle carte capitolari faentine, 21 marzo 1221, 1 dicembre 1212, 12 febbraio 1196, 20 novembre 1180, 10 aprile 1142. 11 Col. XXVIII e p. 93; col. XXXVIII. 12 Ibid., col. L. Nel 1338 un console dell’ arte dei calzolai di Faenza è detto ora Nevelone, ora Nevelonus (ibid., col. XXXXIII-IV), ora Novelonus (col. XXXXVI-VIII), ora Novellonus (p. 80). 13 Ibid., p. 90. 14 Cfr. Chronica breviora aliaque monumenta faventina a Bernardino Azzurrino collecta, ed. A. Messeri, in BIS, XXVIII, 3, Città di Castello 1905, p. 7. Nella matricola sono registrati (pp. 77 e 91) due calzolai, l’ uno nel 1418 e l’altro nel 1474, col nome di Nevolonus. 15 La trasformazione di Novellonus in Nevolonus potrebbe spiegarsi

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Nel prologo e nella Vita l’anonimo ricorda che a suo tempo 626 esistevano in Faenza parecchie confraternite di battuti, o società di disciplinanti: «fundamentum societatum» (§ 1); «deducens in numero disciplinatorum, vel societatum» (§ 2); «ordinavit so­ cietates disciplinatorum, qui usque in odiernum diem conservant ordinata per ipsum» (§ 7). Ora, secondo il Valgimigli,16 le con­ fraternite dei battuti col nome di bianchi, neri, rossi, verdi, gialli ecc. cominciarono in Faenza circa la metà del secolo XIV. Io non azzarderei un’affermazione così recisa. Ad ogni modo egli ha ragione quando asserisce che non vi si moltiplicarono se non verso la metà di quel secolo. Quindi la nostra Vita non può es­ sere anteriore a questo tempo. Gli ultimi quattro §§ non furono scritti prima del 1415. Infatti il § 23 comincia: «(Anno) M°. CCCC°. XV apparuerunt in­ frascripta miracula»; il § 24: «Anno suprascripto (1415)»; e il § 26: «Item supradicto millesimo (1415)». Questi paragrafi sono nella forma molto omogenei ai primi; e nei primi, come si è visto, si trovano molti ed evidenti indizii di un’età non anteriore alla fine del XIV secolo. È quindi ovvio conchiudere che tutta la Vita non è anteriore al 1415. Ma la composizione di essa non può discendere molto tempo dopo. Infatti gli ultimi quattro §§, cioè i miracula del 1415, e forse anche i §§ 21 e 22, che pare riferiscano fatti non molto an­ teriori a quell’anno, contengono, ad eccezione dei §§ antecedenti, particolari assai minuti, e freschi di vita. Essi non potevano ri­ trarsi in quel modo se non da un testimonio oculare o contem­ poraneo. La composizione adunque non dev’essere molto poste­ riore al 1415. Ad ogni modo, non può valicarsi il 1474 o quel torno. Infatti l’anonimo scrive (§ 16): «Tulerunt corpus benecosì: Novellonus fu da prima reso in dialetto colla voce Nuvlón. In ap­ presso gli scrittori, anziché riprodurre l’ antico Novellonus, tradussero in latino la voce dialettale Nuvlón; ma interpretandola non quale accresci­ tivo di Nuvell (Novello) ma di Nuvla (Nuvola), come può anche significare, dissero Nevolonus. Oppure la forma antica Novellonus o Novelonus per una trasposizione delle prime due vocali si è venuta lentamente corrompendo in Nevelonus e Nevolonus. Tuttavia nel cartulario dell’ antico monastero di S. Mercuriale di Forlì, detto Libro Biscia (nella Biblioteca comun. di Forlì) si legge al 26 marzo 1153 un Novilonus (f. 195) e al 20 giugno 1186 un Guido Nubiioni (f. 138).a 16 Memorie, cit., voi. V ili, pp. 58-61, 68, 75, 118, 149-150 ecc. a Una carta dell’Archivio di Stato in Roma, faentina (n. 19), 8 apr. 1162, ricorda un Novilinus.

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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dictum (...) Et attulerunt in ecclesia Sancti Petri colocantes cor­ pus in archa marmorea in loco ilio in quo in matutinali offitio inveniebatur ». E una mano del secolo XV-XVI nota in margine: | « Modo autem ylla arca cum corpore fuit mutata in nova fabrica 627 ipsius ecclesie ad locum ubi nunc est ». Questa nuova fabbrica della chiesa di San Pietro, cioè della cattedrale, non può essere che il tempio manfrediano, di cui il vescovo Federico pose la prima pietra nel 26 maggio 1474.17 Ora se l’anonimo del secolo XV fosse vissuto al tempo della nuova fabbrica, non avrebbe omesso, io credo, di notare che, se l’arca del b. Novellone fu nel 1280 collo­ cata là dove egli soleva recitare il mattutino, durante la demo­ lizione dell’antica cattedrale o la costruzione della nuova era stata rimossa e collocata altrove. L’autore anonimo compose senza dubbio il suo lavoro in Faenza. Prima di tutto non si sa che il b. Novellone sia stato ve­ nerato fuori della nostra città. Inoltre l’autore rivolge il suo di­ scorso ai battuti faentini. È bene informato delle cose faentine, della cronaca e della topografia della città e del territorio. Egli aveva letto il Tolosano, cronista faentino del secolo XIII, da cui ha desunto l’etimologia di Faenza: «Faventia a Favio illustris­ simorum romanorum com ite».18 Nel prologo l’autore espone ai battuti di essere stato impedito di parlare a loro prima, come avrebbe desiderato, causa i calori estivi. Con queste parole egli allude certamente alla festa del beato, che allora, come adesso, cadeva nel solleone, cioè nel 27 luglio. Egli quindi avrebbe recitato il suo sermone panegirico, e, se si tratta di una finzione letteraria, avrebbe composto la sua Vita nell’autunno del 1415 o qualche anno dopo. È verosimile che l’autore appartenesse al clero, o secolare o regolare, e fosse faentino. Egli ha scritto la Vita del beato in forma di sermone, e l’ha diviso, secondo l’uso di molti agiografi contemporanei, in quattro parti, cioè 1. nel prologo (§ 1); 2. nel­ l’etimologia del nome, ove, seguendo l’esempio de’ suoi pari, si sbizzarrisce nelle più fantastiche derivazioni (§ 2); 3. nei miracoli ante obitum (§§ 3-16) e 4. nei miracoli post obitum (§§ 17-26).

17 Valgimigli, Memorie, cit., XI, pp. 120-132. 18 I. B. Mittarelli, Rerum Fciventinarum Scriptores, Yenetiis 1771, coll. 11-12.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo II - VALORE STORICO DELLA VITA

Le narrazioni della Vita sono in parte confermate da memorie contemporanee superiori ad ogni eccezione. All’anno 1280 nella cronaca faentina di Pietro Cantinelli19 si legge: [ Eodem anno die sabati XXVII mensis iulii, post nonam, frater Novellonus civis faventinus de ordine fratrum penitencie tercii ordinis sancti Francisci de hac vita migravit ad Dominum. Et erat tunc iacens infirmus apud locum fratris Laurentii heremite camaldolensis ordinis in civitate Faventie ubi obiit. Et eo die universus clerus civitatis Faventie cum populo et gente innumerosa virorum et mulierum levaverunt ipsum fratrem Novellonum de loco illo, portantes eum cum maximo gaudio et honore ad ma­ iorem ecclesiam b. Petri Faventie, ubi omnes abitantes Faventie tam mares quam femine cives et forenses traxerunt. Et quicumque de suis indumentis accipere poterat plurimum gaudebat, quoniam sicut sanctum ipsum ha­ bent, et veraciter ipsum sanctum penes Deum credunt et tenent propter bonam et honestam et asperrimam vitam et magnam penitentiam, quam egit in vita sua. Nam die noctuque verberabat carnes suas stando in ma­ ximis ieiuniis et orationibus et penitencia et conversatione perfecta, agens ad limina beati Iacobi apostoli XI vicibus in vita sua, ex quibus V vicibus nudis carnibus perexit, verberando se continue et macerando corpus suum, sicut in Vita ipsius descripta plenarie invenitur.6 Propter que universus populus civitatis Faventie tamquam b. confessorem habentes, cum honore maximo ad eius exequias interfuerunt cum Potestate, Ancianis et Consu­ libus et toto Consilio, cum cereis et honore magno ad missam et officium Dei cantandum et honorem faciendum corpori sancto predicto. Et hoc fuit die dom inico XXVIII iulii. Postmodum vero diebus multis sequentibus, multa et magna et propicia Deus omnipotens propter merita dicti fratris Novellonis miracula facere est dignatus, sicuti in descriptione Vite ipsius veraciter continentur.

II Torraca20 prova che in genere il racconto dei Cantinelli « fu intrapreso a sufíicente distanza di tempo dai fatti ». Riguardo alia notizia sui nostro beato, ció si deduce chiaramente dalle parole: «postmodum vero diebus multis sequentibus» e dalle altre frasi: «sicut in Vita ipsius descripta plenarie invenitur»; e « sicut in descriptione Vite ipsius veraciter continetur ». Perché,

19 Edizione Mittarelli, Rer. Fav. Script., col. 267; ediz. F. T orraca, in RIS, XXVIII, 2, Città di Castello 1902, p. 42. 20 Prefazione, p. V ili. b Cfr. F. Lanzoni, Cose francescane faentine. La via tenuta da fra Novellone forse fu la «V ia Tolosana» che per la Francia dall’Italia conduceva a Compostella. Cfr. Bedier, Les légendes épiques, I, c. X (Parigi 1908).

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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quantunque il beato fosse già, come il Cantinelli fa capire, te­ nuto per santo anche prima della sua morte, tuttavia si stenta a credere che ne fosse già scritta e pubblicata una Vita prima che morisse. Questa si sarà scritta senza dubbio qualche tempo dopo il 27-28 luglio 1280. Ad ogni modo la notizia del b. Novellone non fu scritta dopo il 1306, perchè in quell’anno termina la cronaca e, secondo il Torraca,21 in quell’anno il cronista morì: e dipende senza dubbio da quella « Vita descripta », oggi perduta, come vedremo. Il Mittarelli22 racconta « ex actis ms. existentibus in tabulario Fontisboni » che Gerardo, priore generale dei camaldolesi, visi­ tando nel 1275 i monasteri del suo ordine, venne | in Faenza, e 629 nella cella di fra Lorenzo trovò il b. Novellone e gli comandò di cessare, per Fornai grave età, dai pellegrinaggi: «Faventiam concessit Gerardus et visitavit cellam fratris Laurentii eremitae et sociorum ac fratrem Nevolonem ibi oblatum ob aetatem in­ gravescentem et peregrinationibus cessare iussit, qui sciens me­ liorem esse obedientiam quam victimam,23 orationibus ac ieiuniis laborem sacrarum visitationum compensavit ». Ciò scrivevano gli annalisti camaldolesi nel 1760. Alcuni anni prima, nel 1730, il padre Guido Grandi, pure camaldolese, inseriva nel Liber Rubeus del notaio faentino Bernardino Azzurrini questa notizia di suo pugno: «Anno 1173 (ma 1275) Gherardus prior camaldulensis vi­ sitavit Faventiae cellam f. Laurentii eremitae et sociorum ac f. Nevolonum ibi oblatum ob aetatem ingravescentem a peregri­ nationibus cessare iussit: qui sciens meliorem esse obedientiam quam victimam, orationibus atque ieiuniis laborem sacrarum vi­ sitationum compensavit ».24 Evidentemente o il Grandi e gli an­ nalisti attinsero agli atti medesimi della visita di fra Gherardo, o gli annalisti dipendono dagli atti per mezzo della notizia del Grandi. Ho cercato nell’archivio di Stato di Firenze l’originale o almeno una copia degli atti della visita di fra Gherardo; ma senza frutto.6

21 22 23 24

Ibid., p. XXIV. An. Cam., V, Venetiis 1760, pp. 111-113. I Reg., 22. M esseri , Chronica breviora, cit., 1, pp. 5-6.

c Prima del Mittarelli A ugustinus F ortunius (tom. V, p. 112) nel Liber 42.us delle sue Historiarum Camaldulensium riporta all’anno 1275 dagli Acta visitationum eiusdem (fr. Gerardi) prioris existentibus in ta­ bulario Fontisboni queste parole: « Reassumpto deinde itinere Faventiam 17

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Il culto di fra Novellone, cominciato nel giorno stesso della sua morte, continuò in Faenza sino ad oggi e divenne proprio dell’arte dei calzolai. Negli statuti del 1331 sotto la rubrica « De non laborando diebus festivis » 25 è ricordata anche la festa del b. Novellone. Sotto un’altra rubrica « De doplerio faciendo in festo beati Novellonis » 26 si legge: « Item teneantur consules facere fieri in die seu in festo beati Novellonis prò animabus om­ nium diete societatis unum duplerium valoris XX soldorum bon. qui cereus debeat offerri ad Sanctum Petrum (cioè nella chiesa cattedrale ove riposavano le sue ossa) ad honorem et exaltationem beati Novellonis et cetera. Et dicti consules debeant denuntiare quod dictum duplerium debeat comburri ad alivandum corpus Christi quando missa cantatur ». Da un atto del 23 otto­ bre 1351 apprendiamo che l’arte radunavasi « in ecclesia maiori Sancii Petri de Faventia prope altare beati Neveioni ».27 Nelle ma­ tricole del secolo XIV e XV si trovano quattro calzolai, che por­ tano il nome di Novellone o Nevo- \ lone.2S Finalmente nel proe­ mio degli statuti dell’arte compilati nel 1588 il beato Novellone è salutato « protettore di detta Arte ».29 Adunque i documenti contemporanei confermano la testimo­ nianza dell’anonimo nei punti sostanziali del suo racconto, cioè: 1. l’esistenza di un frate terziario francescano (§ 7) faen­ tino (§ 3) di nome Novellone (se non Nevolone), 2. uomo assai penitente, solito a flagellarsi aspramente (§§ 3 e 7), 3. che peregrinò parecchie volte a San Giacomo di Gallizia battendosi durante il viaggio (§§ 4-14), 4. e morì nel 1280 (§ 15) durante l’estate (§ 1),

25 Col. XXVIII. 26 Col. XXXVIII. 27 Ibid., col. L. 28 Coll. XXXX-IV; XXXXVI-VIII; pp. 77, 80 e 91. 29 Cfr. Baiaardini, Inventario dei codici dell’archivio del comune di Faenza, cit., p. 51. Il culto del beato Novellone fu confermato da Pio VII il 4 giugno 1817. concessit Gerardus et visitavit cellam fratris Laurentii eremitae et sociorum ac fratrem Nevolonem ibi oblatum ob aetatem ingravescentem a peregri­ nationibus cessare iussit. Qui sciens meliorem esse obedientiam quam victimam, orationibus et ieiuniis laborem sacrarum visitationum compen­ savit » (1575-1579).

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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5. in Faenza presso la Cella di fra Lorenzo (§ 15), ove conduceva vita eremitica (§ 7) ed era oblato.30 6. il cui cadavere, come il corpo di un santo, fu immedia­ tamente dopo la sua morte con grandi onori trasportato nella cattedrale e quivi sepolto (§ 16); 7. e che invocato subito come santo, concesse dopo morte molte grazie a’ suoi divoti (§ 17). Ma molti particolari del racconto dell’anonimo sono in evi­ dente contradizione colle memorie contemporanee. E prima le circostanze della morte del beato. Infatti, secondo la Vita, il b. Novellone morì (§§ 15-16): 1. all’insaputa di tutti, 2. circa la mezzanotte; | 3. e il giorno dopo fu trasportato nella cattedrale 4. coll’intervento del vescovo della città. Al contrario il Cantinelli narra che il beato morì: 1. dopo un’infermità a tutti nota, 2. poco dopo le ore tre pomeridiane (post nonam die sabati), 3. che fu trasferito nella cattedrale nello stesso giorno 4. coll’intervento di tutto il clero della città. Il cronista non fa alcuna menzione del vescovo. E in vero dalle carte del tempo consta chiaramente che quando morì il b. Novellone, cioè nel luglio 1280, la cattedra episcopale faentina era vacante. Ecco le prove in regesto: 1273 dicembre 26-27. Giacomo da Petrella, vescovo di Faenza, muore sof­ focato da’ suoi famigliari.31

30 Gli Annales Camaldulenses, V, p. 112, e prima di loro il Grandi (cfr. L anzoni, Sopra un ms. antico, cit., p. 17 in nota), in forza degli atti della visita di fra Gherardo, sostennero che il beato Novellone fu oblato camaldolese e non terziario francescano e che il Cantinelli (1. c.), chia­ mandolo « de ordine fratrum penitencie tercii ordinis sancti Francisci », prese abbaglio. E per confermare questa conclusione il detto padre Grandi non dubitò di corrom pere e d’interpolare la Memoria b. Nevoloni de Fa­ ventia scritta dall’Azzurrini nel Liber Rubeus (cfr. Lanzoni, 1. c., p. 17 in nota). Ma, posto anche che fra Novellone fosse chiamato oblato camal­ dolese negli atti originali della vita di fra Gherardo, ciò non contradice alla testimonianza del Cantinelli. Fra Novellone, terziario francescano, ces­ sate le peregrinazioni, potè benissimo, secondo gli usi del tempo, ritirarsi a vita eremitica presso la cella di fra Lorenzo offrendosi al superiore della medesima, senza rinunziare alla sua professione di terziario francescano. 31 Salimbene de A dam, Chronica, ed. A. Bertani, in Monumenta Ilistorica ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, Parmae 1857,

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

1274 gennaio-febbraio. Viene eletto e consacrato vescovo di Faenza fra Teo­ dorico, faentino, dei frati predicatori, guelfo, per opera del suo partito.32 — marzo 1. In Faenza fra Teodorico dona ai canonici faentini alcune terre della pieve di Sant’Andrea in Panigaie.33 — aprile 18-19. La parte guelfa è cacciata da Faenza. Il vescovo fra Teo­ dorico ripara a Bagnacavallo.34 1276 luglio 24. In Argenta fra Teodorico è testimonio insieme con Ber­ nardino, conte di Cunio, e con Guido di San Leonardo, giudice della diocesi di Faenza, in un atto tra Bonifazio, arcivescovo di Ravenna, e i canonici d i Santa Maria di Porto.35 1278 marzo 12. Alderotto preposto, Alborisio, Giovannino, Oliviero e Gia­ com ino, canonici di Faenza, promettono in solido di pagare ad Egidio Foscarari, dottore in diritto canonico, sessanta lire bolognesi, per pa­ trocinare l’elezione di Arpinello di Riocadonna, arcidiacono di Bo­ logna, all’episcopato faentino.35 Da questo atto si deduce che fra Teo­ dorico morì tra il 24 luglio 1276 e il 22 marzo 1278, (infatti fra Salimbene nel citato luogo narra che fra Teodorico visse poco) e che gli elettori non furono concordi nella scelta del successore. Non si conosce il nome del competitore di Arpinello. 1279 gennaio 15. Al concilio provinciale convocato in Imola da Bonifazio, arcivescovo di Ravenna, interviene non il vescovo di Faenza ma il «presbyter Raynerius vicarius episcopatus Faventie » .3? La lite adun­ que per l’elezione del successore di fra Teodorico alla cattedra faen­ tina era ancora pendente. | 1282 gennaio 25. Martino IV da Orvieto scrive a Viviano, arcidiacono di Arezzo, di averlo eletto vescovo di Faenza, e comunica questa no­ tizia al capitolo, al clero e al popolo della città e diocesi. In esse lettere il papa espone come, vacata la Chiesa faentina per la morte di fra Teo­ dorico, i canonici dividessero i loro voti. Secondo una costituzione di N iccolò III (1277-1280) i canonici sottoposero la loro lite al tribu­ nale pontifìcio. Ma il papa Martino per quella volta (ea vice) irrita le avvenute elezioni e col consiglio dei cardinali di sua piena auto­ rità elegge vescovo Viviano.33

p. 216; ed. O. Holder-E gger, in MGH Script., XXXII, Hannoverae et Lipsiae 1905-1913, p. 427; P etri Cantinella Chronicon, ed. F. T orraca, cit., p. 18. 32 Sali m b e n e , 1. c. 33 Carta dell’Archivio capitolare di Faenza, in Mittarelli, Rer. Fav. Script., cit., col. 512. 34 Salimbene, cit.; Cantinelli, cit., ed. I. B. Mittarelli, in Rer. Fav. Script., coll. 241, 249. 35 Carta dell’antico archivio di Porto nella Biblioteca Classense, busta 23. 36 M. Sarti et M. F attorini, De claris archigymnasii Bononiensis p ro­ fessoribus a saec. X I usque ad saec. XIV, I, 1, Bononiae 1769, p. 405. 32 A. T arlazzi, Appendice ai «M onumenti ravennati dei secoli di mezzo » del conte M. Fantuzzi, I, 2, Ravenna 1875, pp. 334-336. 38 Archivio vaticano, Regesto di Martino IV, ann. I, epist. 97,

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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Adunque l’opposizione tra la Vita e le memorie contempo­ ranee sulle circostanze della morte del beato è inconciliabile. Inoltre nel § 7 l’anonimo narra che il b. Novellone peregrinò a S. Giacomo di Compostella dieci volte: «quare decies perfecit illud viaticum benedictum »; e nel § 26 nove volte: «novem Pater noster (...) in honorem itinerum, que fecit ad limina Sancti Iacobi (recitavit) ». AI contrario il Cantinelli dice che i pellegrinaggi in Gallizia furono undici; «X I vicibus in vita sua». Questa diver­ genza di numeri potrebb’essere nata da un errore di trascrizione della cifra romana XI in IX, o dalla caduta della I; ma, checché sia di ciò, mentre il Cantinelli narra che cinque soli di questi viaggi furono compiti da fra Novellone « nudis carnibus, verbe­ rando se continue », l’anonimo afferma che tutti vennero fatti « nudis pedibus, scapulis discopertis, continue se percuciendo ». Di più l’anonimo scrive che il b. Novellone fu detto frater perchè fece vita comune cogli eremiti camaldolesi della cella di fra Lorenzo : « Ex qua conversatione sumpsit vocabulum, quare dictus est frater Nevolonus » (§ 7). II Cantinelli invece, quantun­ que ricordi che il beato visse e morì presso la cella di fra Lo­ renzo, tuttavia lo chiama frater perchè apparteneva al terz’ordine di s. Francesco: «frater Novellonus (...) de ordine fratrum peni­ tencie tercii ordinis sancti Francisci ». Ancora la Vita pretende che il b. Novellone ordinasse in Faenza le confraternite dei battuti e desse loro gli statuti: « ibi or­ dinavit societates disciplinatorum, qui usque in odiernum diem conservant ordinata per ipsum » (§ 7). Ora fra Novellone fu senza dubbio, secondo la testimonianza del Cantinelli, uno dei più fer­ vorosi flagellanti di quel tempo, j È pure notissimo come vent’anni 633 prima della morte del beato, cioè nel 1260, cominciassero in Pe­ rugia 39 per opera, come sembra, di un frate del Terz’Ordine di s. Francesco, al quale apparteneva fra Novellone, le processioni dei flagellanti o battuti che a due a due, ignudi dal capo ai lombi e armati di sferza di cuoio o simile istrumento, flagellavansi a sangue mettendo alte e flebili voci. Dall’Umbria costoro passa­ rono nelle Romagne. Il 10 ottobre 1260 una processione di circa

fi". XXVb-XXVI. L’ Ughelli (Italia Sacra, II, Romae 1717, 2“ ed., col. 500) e gli scrittori faentini non conobbero il vero contenuto di questa lettera e ne ignorarono la data precisa. Cfr. C. E ubel , Hierarchia catholica Medii Aevi, I, Monasterii 1898, p. 255. 3® L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, V ili, Mediolani 1726, p. 712; XIV, Mediolani 1729, p. 936.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

1600 di questi flagellanti mosse da Imola a Bologna e otto giorni dopo un’altra di 20000 persone andava da Bologna a Modena. È dunque assai verosimile che anche in Faenza altri, come fra Novellone e ad esempio di lui, si dessero a questo esercizio di pe­ nitenza. Ma egli non può aver istituito, come pretende il nostro anonimo, le confraternite dei battuti in Faenza. Queste comin­ ciarono nelle città italiane dopo il 1260 e in seguito al movimento dei flagellanti.40d Il Griffoni, cronista bolognese,41 ricorda nel 1262 una « societas batutorum Bononiae ». Non è dunque impossibile che qual­ cheduna, forse la prima, avesse nella nostra città per istitutore fra Novellone. Ma non è ammissibile, come vorrebbe l’anonimo, che egli ne fondasse parecchie e molto meno tutte. Infatti, come il Valgimigli ha dimostrato nel luogo sopra citato, le confraternite dei battuti di Faenza cominciano ad apparire nei nostri docu­ menti solo verso la metà del secolo XIV. E ciò si riscontra anche nelle altre città d’Italia, testimonio il Muratori sopra allegato. Certo non ebbe origine da fra Novellone la confraternita dei bat­ tuti bianchi, che pure portò il nome di lui e fu detta « Societas sancii Nevoloni ». Infatti questa confraternita, ricordata la prima volta nel 1365, secondo il Valgimigli,42 non è anteriore alla se­ conda metà del secolo XIV. Il Magnani stesso, che vide e con­ sultò il disperso archivio della confraternita, scrive che fu eretta nella metà incirca del milletrecento.43 È dunque falso, come l’ano­ nimo scrive, che fra Novellone istituisse in Faenza le confrater­ nite dei battuti e desse loro gli statuti. Al più potrebbe esser vero che « ab eo sumpserunt inicium » (§ 7). | L’anonimo è dunque in contraddizione manifesta coi docu- 634 menti contemporanei nei racconti 1. del numero e del modo dei pellegrinaggi galliziani (§§ 4, 7 e 26),

40 L. A. Muratori, Antiquitates italicae Medii Aevi, VI, Mediolani 1742, dissert. LXXV. 41 Memoriale historicum de rebus Bononiensium, ed. L. F rati e A. Sorbelli, in RIS, XVIII, 2, Città di Castello 1902, p. 15. 42 Memorie, cit., X, p. 200; XI, pp. 227-228. 43 Vite de’ Santi della città di Faenza, cit., p. 136 note e e d; p. 146 nota e; Lectiones propriae (...) necnon petitio officii (...) pro sancto Nevolone, ms. nell’Archivio capitolare, f. IX: « Societas (...) sancti Nevoloni quadringentis abhinc annis (il ms. è del 1741) instituta fuit ». d Su flagellanti prima dei 1260 cfr. Acta SS., Oct. Auctarium, p. 125*.

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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2. dell’origine del titolo frater dato a Novellone (§ 7), 3. della fondazione delle confraternite faentine dei battuti a lui attribuita (§ 7), 4. e delle circostanze della morte e della sepoltura di lui (§ 7): non merita quindi in tutto questo alcuna fede. Tra gli avanzi del tempo e la cronaca di un contemporaneo, anzi di un testimonio oculare, come fu il Cantinelli, e la Vita, composta, al più presto, centotrentacinque anni dopo la morte di fra Novel­ lone, la scelta non può essere dubbia. Certo il Cantinelli, pre­ sente in Faenza nel 1280, che compulsò una Vita del beato scritta poco dopo la sua morte, e che non omise di accennare ai « multa et magna (...) miracula », operati dal beato dopo la sua morte, non avrebbe, per esempio, taciuto dello strepitoso prodigio delle campane sonanti per movimento spontaneo, se ne avesse avuto notizia; nè avrebbe potuto ignorare questo fatto se fosse avvenuto. Ma l’anonimo non può vantare maggior credito nel resto. Infatti una gran parte del suo lavoro è un plagio evidente. Egli trascrive, quasi alla lettera, larghi tratti della Vita della beata Umiltà, monaca vallombrosana faentina, della Legenda sancti Francisci di san Bonaventura, e della Vita di san Domenico di fra Teodorico da Appoldia, attribuendo al beato Novellone ciò che questi autori narrano dei santi dei quali scrivono le gesta. Eccone i passi gli uni di fronte agli altri: V ita

della beata

Umilt A.44

V ita

del beato

Novellone.

Prologus

Prologus

(...) Sumite igitur avide: imi­ tamini matrem tam sanctam. Sumi­ te collectum vestris orationibus, quod anxia caritas vestri in om­ nibus subditi sub certis capitulis lucide transmittit; et si quid eius imitatione asperum appareret, aevi, quaeso, conspicite brevitatem, cor­ poris vilitatem, mortis necessita­ tem, caelestis patriae amoenita­ tem (...). e I

(...) Summite ergo avide, ymitamini fundamentum societatum, quem vestris ortationibus anxia caritas in omnibus exposcit. Et si quid asperum apparet, evi, queso, aspicite brevitatem, corporis villitatem, mori necessitatem, celestis patrie amenitatem (...).

44 Acta Sanctorum, Mai V, p. 207. Cito sempre la terza edizione. e Un prete e monaco Biagio Toscano vissuto nel secolo XIV, autore di scritti agiografici, scrive presso gli Acta SS., Mai VI, p. 50, nn. 7-8: « Sume quisquis es avidus collectum a diversis libris anxie, levi stylo nar-

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo Vita. Num. 2.

Vita § 3.

Rosanensis (...) in provincia Romandiolae civitate Faventiae, multum nobili orta prosapia, pa­ tre videlicet Elimonte, matreque Richilda (...) Divinis intenta obse­ quiis, orationibus continuis et ele­ emosynis magnis vacando, se Do­ mino continue commendabat. Post Christum totam se submittens (...) omnibus suis factis statuebat (...) totis suis nisibus (...) Et ut in aula tanti Regis in facili conamine pa­ teret accessus, b. Ioannem evangelistam suum ibidem procuratorem instituit, obtinere quidquid vellet, illo praevio non formidans apud illum qui dedit et per consequens penes illam quae suscepit (...) Omni vanitate deposita se totam ineffabiliter trasmutavit (...).

Nevolonus, nobili provincia Romandiole (...) civitate Faventie (...) cuius pater (...), mater quoque N. (...) Divinis intemptus obsequiis ac continuis orationibus et elemosinis vacando, se Domino con­ tinue comendabat. Ideo post Chri­ stum se submitens totis suis viseribus ac in suis omnibus factis (...) se ponebat. Et ut in aula tanti Regis ei manifestus pateret acces­ sus, beatum Iacobum apostolum (...) suum ibidem instituit procu­ ratorem (...) non formidans obti­ nere quidquid vellet illo duce apud eum qui in secretis (...) suscepit (...) Tempus suum vane vivendo consumpsit (...) in virum alterum subito transformavit (...).

ratum lucide, ad visitationem laboris ex his praedicare volentium, Christi caritas colligere quod coegit: corrigendo, absque detractionis vitio, corri­ genda » ecc. Tra i suoi componimenti ve ne ha in onore di s. Giov. Gual­ berto, di s. Rernardo vescovo, di s. Verdiana. Era un vallombrosano? Questi è probabilmente l’ autore della Vita di s. Umiltà. Lo stile conviene mirabilmente. Cfr. Acta SS., Mai. VI, pp. 50-51, 54-56 con Mai. V, pp. 207-14. La Vita di s. Umiltà fu scritta tra il 1311 e il 1332. [In quegli stessi giorni in cui scriveva queste note il Lanzoni diresse all’abbadessa di S. Umiltà la seguente lettera, pubblicata da P. Z am a , Il Monastero e l’Educandato di S. Umiltà di Faenza dalle origini ai nostri giorni, Faenza 1938, p. 24 :J Faenza^ 20 ott. 1923. Rev.ma Abbadessa. Avviene spesso che chi cerca trova non quello che desiderava ma altra cosa pure gradita benché non intesa. Oggi, mentre studiavo i docu­ menti agiografìci relativi a s. Zenobio vescovo di Firenze, ho scoperto il nome dell’ autore della Vita latina della b. Umiltà, composta tra il 1311 e il 1332, nome inutilmente cercato dagli eruditi che fin qui si sono occupati della loro fondatrice. Esso è Biagio prete e monaco vallombrosano, se non fiorentino toscano, che si dà il titolo di Blasius indignus presbiter et monacus. Questo scrittore contemporaneo di Dante non è un ignoto; ha composto parecchi documenti agiografici sopra santi vallombrosani e toscani, componimenti che si conservano nella Biblioteca Laurenziana di Firenze e che in parte sono pubblicati per le stampe e noti agli studiosi. Mi permetto di scriverle pensando di dare a lei e alle buone consorelle notizia non discara. Mi abbia sempre suo dev.mo M. Francesco Lanzoni.

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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Num. 3. Coepit interea quidquid pote­ rat occulte et publice pauperibus erogare (...).

(...) Cepit de facultatibus suis pauperibus suvenire et (...) paupe­ ribus erogare (...).

Num. 4.

§ 7.

Elimonte quoque eius genitor, brevi tempore elapso, ex hoc sae­ culo nequam (...) eripitur (...).

Post aliquantulum vero tem­ poris uxor eius ex hoc nequam seculo vitam hanc dulciter termi­ navit (...).

Num. 5.

§ 3.

Considerans (...) quod suum poterat desiderium adimplere (...) Vigesimum quartum annum Rosanensis compleverat dum haec fa­ cit (...) caepit in feminam alteram trasmutari (...).

Et ut suum cicius posset de­ siderium adimplere (...) Nevolonus (...) cerdonum ministerio fere usque ad vigesimum quartum an­ num etatis sue (...) vitam recupe­ ravit (...) in virum alterum subito transformavit (...).

Num. 8.

§ 8.

Ceu a sommo evigilans (...) et Deo gratiis redditis (...).

Num. 10-11.

Quasi de sompno gratias Deo dedit (...).

§

evigilans,

7.

Quamdam assidem ad iacendum sibi dari petiit (...) super prae­ dictam assidem se locabat (...). |

Semper per arridam terram stabat, raro super asidem.

Num. 16.

§ 8.

Cum Romam (...) pedester per­ geret, et in asperiori via prae las­ situdine omnino deficeret, quidam cum equo mansuetissimo apparuit, super ipsum eam posuit, et usque ad hospitium suaviter secum fabu­ lando perduxit (...).

Ambulando in quarto suo iti­ nere ad S. Iacobum, contingit in quadam asperiori via pro lasitudine omnino deficere. Quidam cum equo mansuetissimo apparuit, et super eum posuit, et usque ad locum habitabilem suaviter secum fabulando perduxit.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo L egenda sancti F rancisci di san' Bonaventura.45 Num. 14.

§ 4.

Cum autem religiosa devotio­ ne tunc temporis limina visitaret apostoli Petri, conspecta multitu­ dine pauperum ante fores eccle­ siae (...) uni ex eis magis egenti proprias largitus est vestes et, se­ micinctiis contectus illius, diem il­ lum in medio pauperum (...) tran­ segit.

Ex quo factus est ita humilis ut vestimenta propria abiceret et pauperibus vestimenta se indueret. Ante ecclesiam Sancti Iacobi inter pauperes sedit et cum eis velut unus ex eis manducavit et non so­ lum ibi sed in omni civitate et loco ubi moram trahebat.

Num. 60-62.

1 9.

Cum autem apud eremum de Sarthiano nocte quadam orationi vacaret in cellula, vocavit eum ho­ stis antiquus tertio dicens: Francisce, Francisce, Francisce. Cui, cum quid quaereret respondisset, fallaciter ille subiunxit: «Nullus est in mundo peccator, cui, si con­ versus fuerit, non indulgeat Deus; sed quicunque semetipsum poeni­ tentia dura necaverit, misericor­ diam non inveniet in aeternum ». Statim vir Dei (...) cognovit hostis fallaciam (...) Continuo enim post hoc (...) gravis ipsum carnis tentatio apprehendit. Quam ut prae­ sensit castitatis amator (...) in ma­ gnam demergens nivem corpuscu­ lum ecc. (e sopra: in foveam gla­ cie plenam seipsum (...) mergebat). Illico tentator victor abscessit et vir sanctus cum victoria in cellam rediit, f

Factum est dum quintum iter ariperet, diabolus eum ter proprio nomine vocavit, cui cum beatus Nevolonus respondisset, adiecit: « Nullus est in hoc mundo pecca­ tor, cui, si conversus fuerit, non Dominus indulgeat, sed quicunque semetipsum pro misericordia d o ­ minica iactaverit, misericordiam in perpetuum non inveniet ». Cer­ nens autem antiquus hostis quare sic non praevaluit, gravem carnis temptationem eidem imisit. Quod vir Dei sentiens, in quodam rivo, ubi aqua viva erat, protinus proiecit. Unde illico diabolus confusus abscescit, et vir Dei Deum glori­ ficans iter aripuit.i

45 Acta Sanctorum, Oct. II, pp. 745 e 754-755. i Evagrio dei Ponto si gelò le carni tutta una notte d’inverno dentro un pozzo. P allad. 86, citato da L u cius, p. 492.

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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Num. 11-13.

§ io.

Leprosum quendam habuit ob­ vium, cuius inopinatus occursus ei non parvum incussit horrorem. Recurrens autem ad perfectionis mente iam conceptae propositum et recolens quod seipsum oporte­ ret primum devincere si vellet ef­ fici Christi miles, ad deosculandum eum equo lapsus adcurrit (...) Statim autem (...) se circumquaque convertens leprosum illum minime vidit (...) Visitabat enim frequenter domos ipsorum (...) et cum multo compassionis affectu manus eorum osculabatur.

Quendam leprosum obviam habuit, quem homines multum abho- | rebant. Divini tamen memor oraculi, accurens, in osscula eius ivit, et post haec ille statim dispa­ ruit; quapropter ad leprosorum ha­ bitacula properabat et devote eo­ rum manus obsculabatur.

V ita

di san

637

Domenico

di fra T eodorico.46

C. III, n. 42.

§ n.

Apud quasdam nobiles femi­ nas, herética simulatione deceptas ut eas ad Ecclesiam reduceret hospitatus est. A quibus imminente quadragesima acceptis occulte ci­ liciis cum socio suo indutus est. Quibus dum ad quiescendum stra­ tus pararetur, dixit: «N on sic sed super tabulas quiescem us». Som­ nus autem eorum brevis erat: more enim solito noctem vigiliis occu ­ pabat. Hoc modo totum illud sa­ crae quadragesimae tempus in ri­ gore poenitentiae pro peccatis alio­ rum homo innocens consummavit, soloque pane et aqua frigida con­ tentus usque ad pascha diebus om­ nibus ieiunavit. Hinc ergo factum est ut nobiles illae feminae viri iusti meritis, erroribus relictis, ad fidem Ecclesiae redirent, gratia suffragante.4 6

Hospitatus in septimo itinere suo apud quandam matronam mul­ tum lascivam et multa iniquitate plenam, que magnis tunc tenebatur febribus, que orationibus suis recunvaluit et volens eam salvam fore et ad vite semitam perducere, per totam illam quatregeximam in domo sua moram traxit in pane solum et aqua cum continua flagelatione sui corporis terminavit. Nocte vero vigilans, cum necessi­ tas cogeret, lassa membra super nudam terram vel taulam recli­ nabat. Sic factum est ut illa ma­ trona viam nequam relinquit, et ad agnitionem summe veritatis per­ venit.

46 Ibid., Aug. I, pp. 566-567.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo C. II, n. 37.

A ccidit autem cum evangelizans circuiret, ut aquam quandam (...) cum multis aliis transi­ visset, a quo dum is, qui eum trans­ vexerat, denarium pro mercede pe­ teret importune, dixit ei: «Servus sum Dei et discipulus Christi. Argentum et aurum non est m ihi; mercedem regni caelorum tibi pro­ mitto ». Quam sponsionem miser ille vilipendens instabat acrius, sanctumque violenter per cappam trahens: «A u t cappam » inquit, « dimittes aut denarium solves». Tunc erectis in caelum oculis, paululum intra seipsum oravit, moxque in terram aspiciens, de­ nariumque divino nutu allatum iacentem videns: « Ecce », inquit, «frater, quod postulas: tolle et me liberum in pace dim itte».

§

12.

Dum octavum suum pergeret iter, et in quodam ospicio panem in honorem Dei petisset, et hospes denarium ab eo exegisset, et ille pauperem Christicolam se affirma­ ret, cui neque aurum neque argen­ tum conveniebat; at ille minime tribuebat. Tunc vir Dei erectis ocu­ lis in cetum paululumque intra se­ mel ipsum orans, m ox in terram re­ spiciens, de- | narium paratum divino nuptu iacentem in terra vidit. « E cce », inquit, « frater, quod p o­ stulas; tolle et michi panem porige, et memor esto iudiciorum D e i».

Quantunque non mi sia possibile indicare con precisione, come nei casi su esposti così negli altri che rimangono, le leg­ gende saccheggiate dal nostro autore, tuttavia non può esser dubbio che anche la maggior parte degli altri racconti della Vita non siano dei piagli veri e proprii. Nelle leggende degli eremiti o solitari o reclusi o pellegrini ecc. tanto in Oriente quanto in Occidente si svolge molto frequente­ mente questo tema, cioè l’eroe del racconto muore solo a insa­ puta di tutti, e la sua morte e il suo cadavere sono manifestati ai popoli da un segno celeste che consiste o in visioni angeliche o in sogni soprannaturali o in voci che discendono dall’alto o in odori o luci straordinarie che si diffondono all’intorno. Così nelle leggende di san Paolo, primo eremita,47 di sant’Onofrio48 e di san Giovanni49 anacoreti, di sant’Andrea Salo,50* di sant’Alessio pellegrino,61 di sant’Aldobrandesca,52 di sant’Ottaviano53 e della 47 48 49 50 si 52 53

Acta SS., Ian. I, p. 607, n. 15. Iun. Ili, p. 29, n. 16. Mart. Ili, p. 695. Mai. VI, p. 102*. Iui. IV, pp. 252-253. Apr. Ili, p. 476. Sept. I, p. 393.

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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beata Ugolina54 solitari, di san Rocco pellegrini,55 di san Pelle­ grino 56 e di altri. In esse non infrequentemente il santo è trovato, come fu san Paolo, primo eremita, da sant’Antonio abbate, « genibus complicatis, erecta cervice extensisque manibus in altum ». In Occidente molti leggendisti, in epoca relativamente re­ cente, sostituirono ai segni divini sopra indicati il suono mira­ coloso delle campane. Il tema si svolge in questo modo: Il santo eremita di un luogo o il pellegrino transitante a caso per il ter­ ritorio, muore senza alcun assistente. Subito le campane della chiesa dell’eremitaggio o di tutto il vicinato cominciano a suonare spontaneamente, non tocche da | mano d’uomo. Gli abitanti del 639 dintorno accorrono, si domandano che cosa significhi quel suono prodigioso; sospettano che sia morto il santo eremita loro noto o un pellegrino santo a loro insaputa transitante per il paese: ne vanno in traccia e ne trovano il cadavere. Trovato questo, il suono delle campane cessa. In tal modo, eccetto poche e leggere varianti, viene narrata la morte dei santi Enrico,57 Manfredo,58 Ludano 59 eremiti, il primo in Inghilterra, il secondo nel Lago Lu­ gano, il terzo in Alsazia, Imelino del Brabante,60 Enrico di Pe­ rugia,61 Conone di Sicilia,62 Contardo di Lombardia,63 pellegrini, Antonio di Monticiano in Toscana,64 Orsio pellegrino nel Vicen­ tino,65 Guido di Donatico nel Pisano,66 Pietro di Colle Val d’Elsa,67 solitari, Teobaldo pellegrino in Alba,68 Franco degli Abruzzi,69

54 Aug. II, p. 397. 55 Aug. Ili, p. 406. 56 Aug. I, p. 80, nn. 17-18; A. Sorbelli, La parrocchia dell’appennino emiliano nel medio evo, Bologna 1910, p. 127; cfr. anche A d a SS., Febr. II, p. 853; Mai. I, p. 157; Iun. Ili, p. 646, e lui. I, p. 669. 57 Ian. II, p. 425. 58 Ian. Ili, p. 525. 59 Febr. II, p. 639. 60 Mart. II, p. 47. 61 Mart. II, p. 333. 62 Mart. Ili, p. 731. 63 Apr. II, p. 445. 64 Apr. Ili, p. 842. 65 Mai. I, p. 432. 66 Mai. V, p. 86*; VII, p. 806.

67 Mai. VI, p. 847. 68 Iun. I, p. 135. 69 Iun. I, p. 546.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Giolo dell’Umbria,70 Enrico di Treviso,71 Falco pure degli Abruzzi,72 Niccolò di Sicilia73 Marziano delle Gallie,74 eremiti, Geroldo pellegrino in Cremona,75 Bernardo in Arpino76 e Bernerio in Salerno,77 eremiti, e lo stesso sant’Alessio, pellegrino. Perchè nelle antiche leggende la morte di questo celebre perso­ naggio viene annunciata da una voce celeste,78 ma nelle recenti dal suono delle campane.79 In alcune leggende di questo gruppo il santo solitario muore come san Paolo, primo eremita, cioè in ginocchio pregando;8 e dopo la morte il suo cadavere rimane ritto nella stessa posi­ zione. Ma dopo il suono miracoloso delle campane non appena il cadavere è trovato, cade per terra disteso. In siffatta maniera il tema viene svolto nelle leggende dei santi Benedetto, eremita in Vallombrosa,80 Verdiana eremita in Castel Fiorentino, da alcuni creduta vallombrosana | e da altri terziaria francescana,81 Cor- 64( rado di Piacenza eremita in Sicilia,82 Giovanni di Massaccio nel Piceno,83 Guglielmo in Sicilia,84 e Vivaldo in San Geminiano tutti e tre eremiti e terziari francescani,85 Benineasa servita, solitario

70 Iun. II, p. 251. 71 Iun. II, p. 366. 72 Aug. II, p. 475; cfr. G. Celidonio, Le diocesi di Valva e di Sulmona, II, Casalbordino 1910, pp. 66-67. 73 Aug. Ili, p. 515. 74 Aug. V, p. 272. 75 Oct. Ili, p. 955. 76 Oct. VI, p. 631. 77 Oct. VII pars posterior, p. 1188. 78 Vedi sopra. 79 Bagatta, Admiranda orbis christiani, II, Venetiis 1680, p. 347. Gli Acta Sanctorum (Mart. I, pp. 743-744) parlano di una campana in Sa­ lerno, la quale, sonando spontaneamente, dava il segno della morte di qualcheduno del luogo. 80 Acta SS., Ian. II, p. 700: cfr. Girolamo da R eggiolo, In vallanbrosanae religionis beatos, f. 133b, nella Laurenziana, plut. 18, cod. 21. 81 Febr. I, pp. 259-266. 82 Febr. Ili, p. 170. 88 Apr. II, p. 829. 84 Apr. I, p. 380. 85 Mai. I, p. 164; cfr. Archiv. Frane, hist., I, 1911, pp. 521-535.* * Morto s. Mauro erem. trovasi [a] mani giunte (Acta SS., Jan. II, , pp. 700, 422-423). S. Giov. erem. muore a ginocchia piegate (Acta SS., Mart. Ili, p. 695).

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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in Montichielli,86 Migliore eremita in Vallombrosa,87 Alberto car­ melitano,88 Leone Bembo eremita in Venezia89 e Bertoldo in Parma.90h Ora l’anonimo faentino, dovendo narrare il decesso di un santo eremita, come era stato Novellone, gli applicò questo tema notissimo presso i leggendisti suoi pari, e glielo attribuì nella forma più lunga e completa, come trovasi in Benedetto, in Ver­ diana, in Corrado ecc. Notisi che questo tema si riscontra nelle leggende di parecchi santi ascritti al terz’ordine francescano, come era il beato Novellone. Forse il nostro agiografo ebbe sott’occhi 86 Mai. VII, p. 652. 87 Aug. I, p. 104; cfr. Girolamo da R eggiolo, op. cit., f. 128. 88 Aug. II, p. 231. 89 Aug. II, p. 480. 90 Oct. IX, pp. 412-413. Vendemmiano, eremita in Bitinia, muore in ginocchio (Febr. I, p. 99); Calogero pure, eremita in Sicilia, è trovato morto ginoccliione, ma non al suono delle campane (Iun. IV, p. 489). Ordina­ riamente nelle leggende di questi santi eremiti oltre il tema di cui ci o c­ cupiamo, trovasi quello della contesa tra i popoli vicini per averne il ca­ davere. Questa disputa intorno alle reliquie di un santo eremita si trova già in Teodoreto (Religiosa historia, XVI, edd. J. L. Schulze et J.-A. N oesselt, V, Halle 1774, col. 1223). Questo tema della morte del solitario sco­ perta al suono miracoloso delle campane non è da confondersi coll’ altro più semplice delle campane che salutano spontaneamente o i funerali o la morte o altra circostanza solenne della vita di un santo. Questo « vulgare miraculorum genus », dice il padre Vittore de Buck, « in actis sanctorum non coaevis », s’incontra nelle leggende dei santi Giovanna di Bagno (Acta SS., Ian. I, p. 423), Avertano carmelita (Feb. II, p. 628), Fina da San Geminiano (Mart. II, p. 235), Torello eremita di Poppi (Mart. II, pp. 497), Guido di Pomposa (Apr. II, p. 666), Aldebrando vescovo di Fossombrone (Mai. I, pp. 162-163), Cataldo di Taranto (Mai. II, p. 577), Pellegrino di Autun (Mai. Ili, p. 559), Rita di Cascia (Mai. V, p. 228), Gerio eremita nel Piceno (Mai. VI, p. 159), Guglielmo d’Aquitania (Mai. VI, p. 809), Leonardo eremita camaldolese (Iun. I, p. 363), Pietro vescovo d’Anagni (Aug. I, p. 240), Verona vergine (Aug. VI, p. 529), Rosa da Vi­ terbo (Sept. Il, p. 420), Angelo Bernardo pellegrino presso Arpiño (Oct. VI, p. 631), Angelo Porro (Oct. X, p. 902), Liberio di Ancona e Goffredo ci­ sterciense (Magnani, Vite de’ santi della città di Faenza, p. 243) ed altri presso il Bagatta (1. c.). Le campane suonano da sè alla morte di un cal­ zolaio devoto di san Marbodo (Acta SS., Sept. Ili, p. 890). h Tutte le campane di Bagno suonano alla morte della b. Giovanna (16 genn.) (Magnani, II, p. 3), di s. Gilberto carmelitano, di s. Fina vergine, di s. Verdiana vallombrosana, di s. Nevolone faentino (Magnani, ibid.). [Tutte le campane] di S. Francesco di Lugo — o di tutta la città — [suonano] alla morte del b. Bonavita da Tredozio terz. di S. Francesco morto in Lugo l’ anno 1275, 1 marzo (Magnani, ibid., II, pp. 7-9). Del b. Bo­ navita cfr. Acta SS., Mart. I, p. 122.

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una leggenda di santa Verdiana.91 Questa, nelle redazioni giunte fino a noi, s’ac- [ costa più delle altre leggende sorelle alla nar- 641 razione dell’anonimo faentino. S’aggiunga che Verdiana nella sua leggenda moltiplica prodigiosamente le fave nell’arca domestica, come fra Novellone per miracolo vi fa trovare del pane, e che la stessa si dà a fare vita solitaria dopo aver peregrinato e a Compostella e a Roma, come si narra nella nostra Vita. Io sospetto che i dodici pellegrinaggi romani di fra Novellone sieno derivati nella nostra leggenda appunto da quella di santa Verdiana. Certo questa notizia della Vita non è molto attendibile. Infatti se il Cantinelli avesse saputo, o avesse letto nella vita di fra Novellone che il beato aveva fatto il viaggio di Roma dodici volte « semper nudis pedibus, scapolis discopertis, se percuciendo cum catena ferrea » (§ 7), perchè avrebbe raccontato come cosa singolare che peregrinò a Compostella undici volte, cinque delle quali « nudis carnibus»? Se conosceva il più, perchè avrebbe solo narrato il meno? Il beato confessore Felice di Nola, secondo il racconto di Paolino,92 comandato dall’angelo di recar conforto al vecchio ve­ scovo Massimo caduto in terra affranto dalla fame e dal gelo (correva la stagione invernale) quaerenti et multa Christum prece convenienti quanam ope quave via iussum compiere vaierei servitium, subitam Omnipotens de sentibus uvam edidit et capiti iussit pendere propinquam ut facile attiguo posset decerpere ramo natum sponte cibum. ?! Conosco tre leggende antiche di santa Verdiana tutte inedite. La prima in Fratris Antonii de Cortona Vitae, f. 90, ms. del secolo XV nella Laurenziana, plut. LXXXIX inf., cod. 24 (Bibliotheca hagiographica la­ tina, n. 8539). La seconda in Vitae plurimorum sanctorum incerti auctoris, f. 41b, ms. del secolo XIV nella Laurenziana, plut. XX, cod. 6 (B. hag. lat., n. 8540). La terza in H ieronymi monachi Vallisumbrose (fra Girolamo da Reggiolo), In Vallanbrosanae Religionis beatos, f. 134b, ms. del sec. XV nella Laurenziana, plut. XVIII, cod. 21. La seconda e la terza, e forse anche la prima, sono un rifacimento di altra più antica, oggi perduta, che verosimilmente è quella usufruita dall’anonimo faentino. La vita di santa Verdiana pubblicata in Acta SS. (Febr. I, p. 259) è un largo rifa­ cimento moderno, forse della seconda. 92 Poema XV De sancto Felice, IV, vv. 287-292. Cfr. anche Gregorio di T otirs, Miracula et opera minora, ed. B. Krusch , in MGII Script, rerum meroving., I, 2, Hannoverae 1885, p. 113, e Beda, in Acta SS., Ian. II, pp. 225-226 e Febr. II, p. 21. Forse quest’episodio venne ispirato dalle frasi scritturali: « Numquid colligunt de spinis u vas?» (Mt. VII, 16).

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Una Vita del beato Novellone faentino terziario francescano

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Questo racconto destò le simpatie dei leggendisti medievali, e fu da essi ricopiato. Nei loro lavori spesso l’uva nasce miracosamente d’inverno a preghiera di un santo per confortare mori­ mondi, malati, assetati ecc. o per altra | ragione.93 Alcuni leggendisti sostituirono all’uva le ciliegie. Così gli autori delle Vite di Aldebrando di Fano94 di Sperandia abbadessa,95 di Maddalena di Brúñate,96 di Gerardo di Como 97 e di Gerardo da Villamagna presso Firenze, solitario e terziario francescano.98 Forse il nostro quattrocentista conobbe la leggenda di Gerardo di Como, poiché questa ha molti punti di contatto con quella del beato Novellone. Infatti il santo di Como non solo opera il prodigio delle ciliegie, ma, al pari del faentino, fa trovare il cellarium grani prodigio­ samente pieno per venire in soccorso dei poveri, ed entra di notte a porte chiuse nella chiesa per assistere al mattutino « prout evidenter a custodibus illius oratorii notatum fuit ». Come la moglie di fra Novellone (§ 5) mormora della insistenza del marito e si rifiuta di guardare nell’arca, ma dopo il prodigio gli domanda scusa nè più lo molesta, così si comporta verso il beato Gerardo il canevarius ossia il sovraintendente del granaio.991 Del resto l’episodio di fra Novellone e della consorte si legge tal quale, quasi colle stesse parole, nella Vita del beato Lucchesio, ritenuto il primo terziario francescano.100 La moglie del beato Lucchesio premuore al marito come nella leggenda del nostro santo.101 I miracoli del demoniaco guarito dal tocco della cappa del beato e della fonte infetta da un serpente purificata per le pre­ ghiere di lui, che si dicono avvenuti l’uno nel nono (§ 13), l’altro nel decimo (§ 14) pellegrinaggio galliziano, sembrano desunti dalla leggenda di san Donato di Epiro. Infatti i punti culminanti di

642

93 Bagatta, cit., I, p. 385; Acta SS., Mart. II*, pp. 200-201. 94 Mai. I, pp. 162-163. 95 Sept. III, p. 896. 96 Mai. II, pp. 256-257. 97 Iun. I, p. 755. 98 Mai. Ili, p. 248. Cfr. anche Bagatta, cit., I, p. 387. 99 Iun. I, pp. 756-758. 100 Apr. Ili, p. 606, n. 10. 101 Ibid., p. 611, n. 32.

1 o della cella vinaria? 18

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questa sono appunto la guarigione di una indemoniata e il risa­ namento di una fonte avvelenata da un serpe.102 Il prodigio dell’entrata in chiesa di notte, a porte chiuse (§ 7), oltreché nella leggenda di san Gerardo di Como, sopra ricordata, si legge in Agnello ravennate di Giovanniccio | suo antenato,103 in documenti ravennati dell’arcivescovo Onesto,104 e nelle vite di san Simone monaco ed eremita,105 di san Lupo vescovo di Sens,106 di san Domenico di Gusman,107 di san Yerano vescovo 108 e di cento altri. Ciò posto, appare evidente che il nostro autore: 1. Ignorò e il Cantinelli e la Vita del secolo XIII ricordata da questo cronista. Infatti non può ritenersi che avesse letto il primo, perchè se ne discosta in quasi tutti i punti. Non la seconda, perchè questo lavoro, citato due volte dal Cantinelli, non poteva essere difforme dal racconto del cronista. Forse al tempo del­ l’anonimo la Vita del secolo XIII era già scomparsa. 2. Raccolse dalla tradizione orale un materiale assai scarso. A questa fonte egli attinse che il beato Novellone ebbe titolo di frate (§ 7), nacque in Faenza (§ 3), fece grandi penitenze (§ 7), e alcuni viaggi in Gallizia battendosi le nude spalle (§§ 4-14), morì nel 1280 presso la cella di fra Lorenzo (§ 15), e fu sepolto nella cattedrale (§ 16). A suo tempo mostravasi presso la cella di fra Lo­ renzo la casetta, ove il beato avrebbe fatto vita solitaria e sarebbe morto (§§ 7 e 15), e forse presso il suo sepolcro nella cattedrale la cappa che avrebbe portato durante i suoi pellegrinaggi (§ 17). Probabilmente in Faenza dicevasi ancora che prima della conver­ sione avesse esercitato l’arte del calzolaio (S 4) e fosse ammo­ gliato (§§ 6-7); e che dopo la conversione avesse fondato le con­ fraternite dei battuti (§ 7); e forse poche altre cose. Ma su queste

102 R. Mombritius, Sanctuarium, Paris 1910, 2* ed., I, p. 414. Il beato Filippo Benizzi tra Bonconvento e S. Quirico incontra un lebbroso e lo guarisce ponendo al collo di lui la sua tunica (Acta SS., Aug. IV, p. 682). San Domenico de Gusman « sinu cappae collecto » guarisce un giovine in­ festato dai demonii (ibid., Aug. I, p. 615, n. 335). 103 A gnello, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, ed. O. HolderE gger, in MGH Script, rer. langob. et italic., Hannoverae 1878, n. 147. 104 In L. A. M uratori, RIS, II, 2, Mediolani 1726, p. 540. 105 Acta SS., Iui. VI, p. 329. 106 Vita s. Lupi ep. Senonici, ed. B. K r u s c h , in MGH Script, rer. merov., IV, Hannoverae 1902, p. 180. 107 Acta SS., Aug. I, pp. 583-584. 108 p. Natali, Catalogus Sanctorum, Vicentiae 1493, X, n. 50.

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ultime tradizioni, nè contraddette nè confermate dai documenti contemporanei, è arduo e pericoloso pronunciare un giudizio. Ho già osservato di sopra che fra Novellone non può essere stato il fondatore di tutte le società dei battuti bianchi, rossi, verdi, gialli, neri ecc. che esistevano in Faenza nel secolo XV, nè può aver dato loro gli statuti, come l’anonimo pretende. Egli fu cer­ tamente un flagellante esemplare; avrà avuto dei seguaci e dei compagni; può aver abbozzato la prima società di battuti; ma nulla più. Il resto è creazione della fantasia popolare. Certo nulla di più facile |che fra Novellone avesse moglie. La regola del terzo 644 ordine francescano non imponeva il voto di castità. Riguardo al mestiere che la Vita gli attribuisce, risulta dai documenti sopra riferiti, almeno dal 1331, che il beato Novellone era venerato in modo particolare dall’arte dei calzolai. Ma sarebbe ciò avvenuto perchè fra Novellone prima di darsi ai pellegrinaggi e alla vita eremitica aveva esercitato quel mestiere: oppure fra Novellone fu creduto calzolaio appunto perchè patrono di quell’arte? Nel­ l’agiografia medievale non mancano esempi di santi eletti a pa­ troni di un’arte, perchè durante la loro vita mortale vi furono ascritti; e di santi cui fu attribuito senza fondamento il mestiere dei loro protetti. Finalmente nulla ripugna a credere che nei primi decennii del secolo XV si conservasse ancora la cappa da pellegrino del beato Novellone e la casetta presso la cella di fra Lorenzo, ove aveva condotto vita eremitica e chiuso i suoi giorni: «Mansio quoque sua fuit prope cellam (fratris Laurentii) in certa domuncula iuncta ecclesie predicte celle» (§§. 7 e 16). Anche la beata Umiltà faentina, vissuta nel XIII secolo, contem­ poranea di fra Novellone, condusse vita solitaria «in cella fa­ bricata iuxta ecclesiam sancti Apollinaris, parva multum, cum fe­ nestrula in ecclesia respondenti (...) nec non cum altera deforis109». 3. Rubò dagli scritti altrui la maggior parie del suo lavoro, secondo il costume di molti agiografi suoi contemporanei. Il suo lavoro appartiene adunque alla categoria di quei lavori agiogra­ fici, numerosi nel medioevo, nei quali l’elemento storico o tradi­ zionale si trova in piccolissima dose, e la maggior parte del rac-

109 Acta SS., Mai. V, p. 208, n. 10. Entro il recinto dell’ ex-monastero di San Magiorio sorge una cappelletta, isolata, che si vuole eretta nel luogo della domuncula ricordata dal nostro anonimo. Noto che questa era attaccata alla chiesa: « in certa domuncula iuncta ecclesie predicte celle », mentre la cappelletta odierna dista dal muro della chiesa di San Magiorio 12 metri e 80.

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conto è pretto prodotto di fantasia; cioè consiste in amplificazioni rettoriche, in sviluppi di luoghi comuni, e in applicazioni al pro­ prio eroe, ora ad litteram ora ad sensum, di fatti e aneddoti, ra­ cimolati da altri componimenti consimili. L’ultima parte (§§ 17-26), storicamente, vale più delle altre. Contiene notizie interessanti sulle reliquie e sul culto del beato, e sugli usi popolari del XIV e del XV secolo, in una parola sul­ l’ambiente faentino di quel tempo. |

APPENDICE VITA DEL BEATO NOVELLONE COMPOSTA NEL SECOLO XV «0 Prolagus.

1. Estivum tempus, quod corpori meo valde contrarium est, loqui me de vita beati Nevoloni, longa mora interveniente, prohibuit. Sed quia (?) lingua tacuit, ardere tamen caritas non cessavit. H oc etenim dico quod apud se unusquisque vestrum cognoscit. Plerumque caritas, quibusdam o c­ cupationibus prepedita, et integra flagrat in corde et tamen non monstratur in opere. Quia et sol, cum nube tetigitur, non videtur in terra et tamen ardet in celo, sic occupata esse caritas solet, et intus vim sui amoris exerit et foris flamas non ostendit. Set quia nunc ad loquendum tempus rediit, vera me studia accendunt ut m ichi tanto amplius loqui libeat quanto vestre mentes desiderabilius expectant. Summite ergo avide, ymitamini funda­ mentum societatum, quem vestris ortationibus anxia caritas in omnibus exposcit. Et si quid asperum apparet, evim queso aspicite brevitatem, cor­ poris villitatem, mori necessitatem, celestis patrie amenitatem, ubi astant angelorum corus, sanctorum cetus, beatorum conventus laudantes et bene­ dicentes unum Deum, trinum et unum, in secula seculorum. Amen. D e nomine .

2. Nevolonus quasi novus homo, quare de seculo factus est novus Deo per vere conversionis asperitatem. Vel Nevolonus quasi nebula, quare sicut nebula emittit aquam, que conversa est de amaritudine in dulcedinem, ita Nevolonus emisit aquas contritionis, que converse sunt in dulcedinem vite spirtualis (sic). Vel Nevolonus, id est nova lux, quia lux 3 hominum deducens in numero displinatorum (sic) vel societatum. V e l112 Nevolonus a neos quod est lucerna et us, id est festinans, quare lucerna in vite ho­ nestate et morum conversatione festinans in Dei fervore ac dilectione.

no Nel cod. il lavoro è senza titolo. ni Cancellato o cancellatosi il vocabolo evi, una mano del XV secolo ha corretto: «queso, auspicite vite brevitatem ». H2 In margine di carattere del XV secolo si legge: «lucens et fulgens».

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Vel dicitur Nevolonus a ne, quod est nequam et lonns quod est malus, id est nequam malus. I ncipit V ita beati N evoloni.

3. Nevolonus, nobili provincia Romandiole, a Roma, que est caput mundi, nuncupata, civitate Faventie a Favio illustrissimorum romanorum comite edificata,1 cuius pater (...),H3 mater quoque N., servus et ami- |cus Dei 646 omnipotentis, divinis intemptus obsequiis ac continuis orationibus et elemosinis vacando, se Domino continue comendabat. Ideo post Christum se submitens totis suis viseribus ac in suis omnibus factis preclaris se p o­ nebat. Et ut in aula tanti Regis ei manifestus pateret accessus, beatum Iacobum apostolum de Galicia suum ibidem instituit procuratorem, illud immitans consilium: ad aliquem sanctum convertere, non formidans optinere quidquid vellet illo duce apud eum, qui in secretis 114 et transfigura­ tione,1^ resusitatione quoque puelle 116 suscepit. (Nota de conversione). Nevo­ lonus igitur cerdonum ministerio fere usque ad vigesimum quartum annum etatis sue, mortem perdidit et vitam recuperavit,11? quare tempus suum vane vivendo consumpsit. Quem Dominus infirmitatis flagello coripuit, quare quos Deus diligit corigit et castigat. H8 Ex quibus infirmitatibus atque dolo-

U3 Forse da prima leggevasi: «pater N. », come p oco d opo: « mater quoque N. ». Nella lacuna una mano del XVII secolo ha scritto: « Ioannes Maria ». L’anonimo del 1400 ignorava dunque e il casato e il nome dei genitori di Novellone. Anche il Cantinelli non ne parla. Gregorio Zuccolo, cronista faentino della fine del XVI e del principio del XVII secolo (ms. nell’Archivio capitolare, pp. 156 e 305), che per errore mette il beato nella seconda metà del XIV secolo, cioè dal 1360 al 1370, scrive che fu figliuolo di Giacobuccio di maestro Tommasino Pezzi. Egli ha preso un grosso abbaglio. Jacobutius Tomasini o Jacobutius Thomaxini è un con ­ sole dell’arte dei calzolai, che compare in una carta del 6 dicembre 1332 (loc. cit., col. XXXXIII) e nella matricola (p. 80); e Nevelone, Nevelonus, Novelonus, Novellonus Iacobucij, eius filius, si legge in un atto del 8 marzo 1338 (col. XXXXIII-IV) in un altro del 14 marzo 1338 (col. XXXXVII-VIII) e nella matricola (p. 80). Che il padre di Novellone si chiamasse Gianmaria si trova la prima volta nel Libar Rubeus (Archiv. capitolare, f. 59v) del notaio Azzurrini, vissuto nella seconda metà del XVI e nella prima del XVII secolo: « Beatus Nevolonus Ioannis Mariae ». Il p. Giulio Cesare Parini, agostiniano, nella sua Vita stampata in Faenza nel 1683 (p. 5) ha chiamato Giovanni il padre e Maria la madre. 114 Mt. XXVI, 37. 115 Mt. XVII, 1. H6 Me. V, 37. ni Una mano del secolo XV corregge: «Mortem pertulit et post vitam recuperavit ». 118 Hebr. XII, 6.

de

1 « Faventia olim dieta est Forum Favii a Favio R om a n o»: Benvenuti Rambaldis de I mola, Comentum super Dantis Aldigheris Comoediam,

Firenze 1887, 3, p. 390. Finito fu il lavoro nel 1410.

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ribus vir Dei animadvertens, in virum alterum subito transformavit, et ut suum cicius posset desiderium adimplere, quia dives erat, cepit de facul­ tatibus suis pauperibus suvenire et pupillos ac viduas, miserabiles quoque personas choadiuvare et necessaria porigere, et de arte sua suttelares pau­ peribus erogare, et suttelares fractos pauperibus suis sumptibus resarcinare, et sic in operibus m isericordie totaliter se dedicare. Et tribus diebus in ebdomada ieiunabat, quadragesimas et vigilias omnes ieiunabat in pane et aqua. Atamen considerans quod huiusmodi operationes non essent con­ digne ad gloriam celestem percipiendam, que revelabitur in ellectis Dei,U9 cepit corpus accriter macerare, quia sicut granum non percipitur de spica, nisi prius virga tereatur, ita anima nisi corpus maceretur. 4. Unde advocati sui, quem statuerat in celis, proposuit limina visi­ tare, sed non eo modo quo comuniter visitatur. Imo asperum callem as­ sumpsit, quare nudis pedibus, scapulis discopertis, continue se percuden do pertransiit cum catena ferea. Ex quo factus est ita humilis ut vestimenta propria abiceret et pauperibus vestimenta se indueret. Ante ecclesiam sancti Iacobi inter pauperes sedit, et cum eis velut unus ex eis (vel ex illis) manducavit, et non solum ibi sed in omni civitate et loco ubi moram tra­ hebat. Quod cernens antiquus hostis nitebatur a sa- | lubri consilio avertere multis temptationibus suggerendo, tandem iurgia inter eum et uxorem se­ minando. Ex quo ei multum molestia facta est cum de vita tum de elimosinis multis quas conferebat. Sed ille ad instar Pauli, cui datus est sti­ mulus,!1 pacienter omnia substinebat, et quidquid moleste ei inferebatur, benigne et humiliter ad omnia respondebat, et sic inimicus perdictionis in eo invenire nullam causam potuit. 5. (Miraculum) Factum est autem divino nutu quemdam pauperem elimosinam petere. Et ille uxori ut panem tribueret imperavit. At illa renuit, quia tunc in domo minime erat. Et ille tamen: «V ade in nomine Domini et sancti Iacobi, et elimosinam tribue p a u p eri». Et illa murmu­ rando finaliter accessit et dum veniret ad archam, et perquireret, invenit eam panibus plenam. Inde viso miraculo obstupuit, et sic viro suo amplius molesta non fuit. Quod creditur fuisse contra insidias diaboli, qui nitebatur propositum bonum surripere, sed virtus Dei prevaluit, quare vir Dei R o­ mam pro indulgentiis immediate iter aripuit. 6. Elapso alio tempore predicta eius uxor videns Nevolonum ad limina sancti Iacobi secundum iter aripere, affectuose rogavit ut permitteret eam illud viaticum facere. Quod libentissime acceptavit cupiens eam salvam fieri. (Miraculum) Factum est autem dum irent in quadam solitudine, uxor eius gravi infirmitate percussa est adeo ut spiritum exalare videretur. Quod cernens Nevolonus nimio dolore repletus humiliter est affatus: « Dulcissima socia mea, que est infirmitas tua? quis dolor? que causa do­ loris? que voluntas?». Et illa: « Augustie sunt michi undique121 et morior. Atamen credo si aliqua ceresia haberem, continue liberarer pre maxima voluntate que supervenit». Et ille: « H o c quod posscis inpossible est im­ pleri, cum yenps sit, et arbores huiusmodi sint steriles ». Et

H9 Rom., V III, 18. !20 n Cor. X II, 7. 121 Dan. X III, 22.

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illa ut femineum non mutans femina morem, magis ac magis infestabat. Unde beatus Nevolonus videns angustias eius et de misericordia Dei non dubitans, secessit quantum iactus est bis la­ pidis 122 et coruens in terram elevatisque oculis in celum oravit dicens: « Domine Deus omnipotens, qui fecisti celum et terram et quidquid celi ambitu continetur, tu es Deus omnium et non est qui possit resistere maiestati tue. Et nunc, Domine rex regum, miserere mei et ne despicias famulum tuum, quem tam care redemisti, sed exaudi deprecationem meam et propicius esto societati mee in infirmitate sua, pro qua clamo ad te ut viventes laudemus nomen tuum, qui es benedictus in secula seculorum. Amen 123 ». Facta hac oratione subito aparuerunt ceresea, que cum reverentia magna colegit, et uxori sue attulit. Que postquam gustavit subito de egritudine sua recumvaluit. Completo itinere cum multis orationibus, ieiunijs, laboribus et abstinencijs, reversi sunt colaudantes Deum qui non dereliquit speran­ tes in se. 7. Post aliquantulum vero temporis uxor eius ex hoc nequam seculo vitam hanc miserimam dulciter terminavit. Ideo, post vero obitum uxoris sue, vendidit omnia que habebat, et dedit pauperibus ac miserabilibus personis, et Romam transmeavit. Perfecto itinere, devenit Faventiam, et ibi ordinavit societates disciplinatorum, m qui usque in odiernum diem conservant ordinata per ipsum. (Nota comendationes de huiusmodi in­ vente). Et sic induxit homines civitatis ad aliquam devotio- | nem. Unde 648 ab eo sumpserunt inicium bonitatis, quare ipse ut speculum relucebat bonis operibus, ieiunijs et orationibus, ymo in omnibus horis ecclesie semper astabat et nunquam discedebat. In tantum erat Deo deditus, (Mira­ culum) quod divina favente gratia omni nocte hora matutinalj in ecclesia catedrali, scilicet Sancti Petri, continue inveniebatur. Ymo mirabilius. Canonici decreverunt ac sacristis statuerunt ut diligenter perquirerent in ecclesia antequam clauderetur ubi vir ille latitaret. Quod mandatum per omnia adimplentes et omnino eum non invenientes, atamen semper hora matutinali asistentem genibus flexis viderunt. Unanimiter hoc fore ex Dei voluntate affirmarunt ac eum servum Dei omnipotentis reputaverunt. Et hoc fuit completo itinere tercio ad limina sancti Iacobi, quia decies perfecit illud viaticum benedictum et duodecies Romam semper nudis pedibus, scapolis discopertis, se percuciendo cum catena ferea. Mansio quoque sua post omnium bonorum suorum alienationem et in pauperum distributionem fuit prope cellam in certa domuncula iuncta ecclesie predicte celle, que pro tunc vocabatur cella fratris Laurentii, qui ducebat una cum fratribus vitam observantie; unde propter laudabilem vitam decrevit ibi vitam du­ cere; in qua cella ad presens sunt moniales. Yita quoque eius asperima erat, quare solum panem et aquam et aliter cum fratribus comedebat.

122 Lue. XXII, 41. 123 Esther XIII, 9-17. m Leonardo Benvoglianti scrivendo nel 1446 la Vita di s. Bernardino da Siena, parlando dell’ospedale senese di S. Maria della Scala, dice: « Hic locus antiquissimus ille est, unde fere omnes devotiones Italiae di­ sciplinatorum laicorum originem traxerunt » (Anal. Boll., XXI, p. 66).

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(Hic nota de penitentia). Ex qua conversatione sumpsit vocabulum, quare dictus est frater Nevolonus. Horis canonicis semper flexis genibus stabat, de nocte semper per arridam terram stabat, raro super asidem. Super car­ nem asperimum pannum laneum grixi portabat illud inmitans conscilium: Qui Christi sunt carnem suam crucifixerunt cum vicijs et co n cu p is e n tijs .1 2 4 8. Ambulando in quarto suo itinere ad sanctum Iacobum contingit in quadam asperiori via pro lasitudine omnino deficere. Quidam cum equo mansuetissimo apparuit et super eum posuit, et usque ad locum habita­ bilem suaviter secum fabulando perduxit. Qui pro lasitudine quasi de sompno evigilans gratias Deo et sancto Iacobo ymensas dedit laudes, qui non reliquid sperantes in se. 125 9. Factum est dum quintum iter ariperet, diabolus eum ter proprio nomine vocavit, cui cum beatus Nevolonus respondidisset, adiecit: «Nullus est in hoc mundo peccator, cui, si conversus fuerit, non Dominus indulgeat, sed quicunque semetipsum pro misericordia dominica iactaverit, misericordiam in perpetuum non inveniet ». Cernens autem antiquus hostis quia sic non prevaluit, gravem carnis tenptationem eidem imisit. Quod vir Dei sentiens, in quodam rivo, ubi aqua viva erat, protinus se proiecit. Unde illico diabolus confusus abscescit, et vir Dei Deum glorificans iter aripuit. 10. Pergente autem in suo sexto itinere quendam leprosum obviam habuit (Miraculum), quem homines multum abhorebant. Divini tamen me­ mor oraculi, accurens in osscula eius ivit, et post hec ille statim disparuit, qua propter ad leprosorum habitacula properabat et devote eorum manus obsculabatur. 11. Hospitatus in septimo itinere suo apud quandam matronam mul­ tum lascivam et multa iniquitate plenam (Miraculum), que magnis tum tenebatur febribus, que orationibus suis recunvaluit, et volens eam sal­ vam fore et ad vite semitam perducere, per totam illam quatregeximam | in domo sua moram traxit in pane solum et aqua cum continua flagelatione 649 sui corporis terminavit. Nocte vero vigilans, cum necessitas cogebat, lassa membra super nudam terram vel taulam reclinabat. Sic factum est ut illa matrona viam nequam relinquit, et ad agnitionem summe veritatis per­ venit. 12. Dum octavum suum pergeret iter, et in quodam ospicio panem in honorem Dei petisset (Miraculum), et hospes denarium ab eo exigisset, et ille pauperem christicolam se affirmaret, cui neque aurum neque ar­ gentum conveniebat; at ille minime tribuebat. Tunc vir Dei erectis oculis in celum paululumque intra semetipsum orans, mox in terram respiciens denarium paratum divino nuptu iacentem in terra vidit. « Ecce », inquit, « frater, quod postulas tolle et michi panem porige, et memor esto iudiciorum Dei ». 13. Contingit dum in nono esset itinere et in societate 126 multorum peregrinorum, unum demoniacum assistere, quod omnes condolentes de casu et periculo socij, nuptu Dei beatus Nevolonus cappam propriam exuit,1 6 5 4 2

124 Galat. V, 24. 125 Iuditli XIII, 17; Psalm. XXXIII, 23. 126 In margine di carattere del XV secolo: « in commitatu

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et super collum peregrini imposuit. 127 Qui statim liberatus fuit, et sic de cetero illum hominem non vexavit. 14. In decimo quoque suo itinere devenit in quadam solitudine, ubi erat fons pulcerimus, qui ab omnibus repudiebatur (Miraculum), eo quod aqua esset infecta pre venenatione cuiusdam serpentis, de qua aliqui pe­ rierant ex sui potatione. Dum igitur vir Dei super fontem staret et ad Deum preces porigeret, statim aqua sana facta est et bona ad bibendum. 15. Completis igitur annis in quibus fuit valida potestas itinerandi, corpus quoque macerandi, ut audistis de vita sua, quia in itineribus sepe Rome vel sancti Iacobi vacabat, dum pervenisset ad decrepitam etatem, superne contemplationis multum erat avidus. Unde continue die noctuque orationibus insistebat. Videns resolutionis tempus sui corporis orationi se dedit, et cum maxima lacrimarum effuxione oravit dicens: «Omnipotens eterne Deus, qui peccatorem dignatus es occulo m isericordie aspicere, deprecor maiestatem tuam ut tu deleas iniquitatem meam, 128 quare in te confidit anima mea. 129 Aiutor meus es tu. Ne derelinquas me, 130 quia tu solus sanctus, tu solus dominus, tu solus altissimus,l3l ideo in manus tuas commendo animam meam et spiritum meum 132 ». Et cum hoc dixisset illa sancta anima de corpore migravit ad Dominum circha autem annos Do­ mini M°.CC°LXXX. Obiit in illa domuncula prope cellam supradictam. 16. Factum est autem dum sancta anima transiret ex hoc mundo, campane illius ecclesie in signum santitatis sue, a se pulsarentur; et ultra solitum dabant sonum. Quod prior audiens, vocavit sacristam querens ab eo quidnam hoc esset, cum hora matutinalis necdum solito esset. Et ille se ignorare respondit. Similiter et alii, quia pro tunc morabantur quinque fratres in dicta cella. Unde admirantes super hoc sonitu, lumen precipit prior accendere, et una cum fratribus in ecclesiam venire, in qua lampas continue lumen tenebat. Et videntes pulsantes a se campanas, obstupefacti sunt valde dicentes intra se: « H o c est miraculum D e i». Finaliter recor­ dati sunt de beato Nevolono, et ] querentes in domuncula utrum esset, invenerunt eum genibus flexis admodum orantem (ad modum orantis?), et existimantes vivum, vocaverunt eum ad spectaculum. Quod minime re­ spondens, tetigerunt eum, qui statim in terra decidit. Et invento corpore campane a sonitu cessaverunt. Quibus consideratis prior, mane iam facto, nunptiavit civitatis episcopo. Et episcopus summa cum reverentia cum omni clero et populo civitatis in ymnis et canticis spiritualibus tulerunt corpus benedictum ornantes sicut decet sanctos Dei. Et attulerunt in ec­ clesia Sancti Petri colocantes corpus in archa marmorea in loco illo in quo in matutinali oflitio in ven ieb a tu r.1 3 3 Cuius merita sunt apud illum, qui1 0 3 9 8 7 2

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127 Di questa cappa si parlerà anche nel § 17. 128 Psal. L, 11. 129 Psal. LVI, 2. 130 Psal. XXVI, 8. 131 Dall’inno ecclesiastico: Gloria in excelsis. 132 Lue. XXIII, 46. 133 Una mano del secolo XV-XVI ha scritto in margine: «M odo autem ylla arca cum corpore fuit mutata in nova fabrica ipsius ecclesie ad locum ubi nunc est ».

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mirabilis et gloriosus existit in sanctis s u is 134 et vivit in trinitate nunc et semper in secula seculorum. Amen. 17. In civitate iam supradicta Faventie post mortem beati Nevoloni patefacta sunt infrascripta miracula: (Miraculum) Scilicet quedam mulier nomine Nicolecta, uxor Lappi Dal Savore de capella Sancti Terencii 135 de Faventia, habebat digitum unum manus sue dextre aridum sive aratraetum taliter quod in aliquo se nullo modo poterat choaiuvare, multis etiam superpositis medicaminibus ac incantationibus plurimis. Unde videns quod nec medicus nec medicina sibi non valebat, continsit in die beati Nevoloni interesse in ecclesia Sancti Petri, ubi corpus requiescit. Et ipsa cum reverentia maxima ac devotione integra manus (sic) in cappa beati Nevoloni posuit. Facta sua oratione se humiliter recomitendo, statim se sensit liberatam. 18. (Miraculum) Item quidam Dominicus Pupinus de capella Sancti Antonii 136 unum habebat filium, cui nomen erat Nicolaus, qui incurabile malum et intollerabile passus est. Locus autem mali fuit in ancha, et to­ taliter vexabatur quod vix et cum magno labore ibat; et hoc infirmitatis dolore laboravit per ter quinque annos, in quibus nullum valuit suscipere auxilium nec doloris sui medicamentum. Unde constitutus ante altaris sui consecratione (?), pro filii sui liberatione, votum vovit summa cum deli­ beratione. Et factum est in domus sui reversione, et medicamenta vellet filio suo adibere, ut moris erat ex sui consuetudine (Miraculum), sed ex beati Nevolonis permissione filius ab omni liberatus est lesione. Et ob hoc beatus Nevolonus sussceptus est devotione. 19. In capella Sancti Michaelis 137 (Miraculum) fuit quidam nomine Nicolaus Savorini, qui filium habebat nomine Nannes, qui gravem infir­ mitatem et incurabilem multo tempore passus est. Factum est dum uterque ex devotione beato Nevolono preces porigerent, ille Nannes liberatus est. 20. In villa que vocatur Sezada 138 (Miraculum) quidam erat homo cui nomen Salomon Preti, qui unicam habebat filiam nomine Agnes, | que paciebatur in gutture morbum abbominabilem et fetidum, eo quod quatuor erant foramina saniem producentia. Pro ipsius vero curatione non reperiebatur medicina. Videns autem pater filie passionem dolore nimio angiebatur. Tandem eam beato Nevolono vovit, ac sibi dare spopondit frumenti quantitatem quantam ponderabit. Promissione facta statim recunvaluit, et ille promissa cito adimplevit, et sic gratias Deo et beato Nevolono im­ mensas dedit. 21. Insuper (Miraculum) quidam magister Bertus M o n a ld in i 139 de Fa­ ventia filium habebat nomine Monaldinum, qui diebus multis morbo passus1 9 8 7 6 5 4 3

134 Psal. LXVII, 36. Chiesa parocchiale, oggi chiusa e ridotta a privata abitazione, presso la cattedrale. 136 Sancii Antonii de Ganga·, chiesa parocchiale oggi distrutta e al­ trove trasportata. 137 Chiesa parocchiale oggi chiusa e ridotta a privata abitazione. 138 Cesato, villa e pieve non lungi dalla strada che conduce a Ravenna, distante da Faenza p och i chilometri. 139 Antica famiglia faentina che ha dato il nome a una via della città. 135

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est incurabili. Nomen morbi dictum est la b i g a t t a : qui morbus generatur in crure ipsius. Quatuor erant generata foramina, adeo ut de grabato non posset se movere, nec auxilium super hoc posset habere. Orationi devo­ tissime se dedit, et in talamo ante tabulas Deo et beato Nevolono cum lacrimis recommendavit. Dum pater devote pro filio oraret, filius experge­ factus est, matremque vocavit, sibique dixit: «V idete tibiam que putresit ». Que ut audivit, fasisiculam sic disoluit, liberatamque invenit. Vermem quo­ que super eam reperijt, et de liberatione filii gavisa fuit. Pater quoque gratias Deo dedit. 22. Insuper in capella Sancti Vitalis 140 fuit quidam (Miraculum) Mattiolus fornasarius 141 qui inter multos filios unum habuit nomine Petrum, alio nomine Petrucium, qui a die cunabulis (ab incunabilis?) creppitus est, adeo ut infirmitas illa { s i c ) usque ad decennium multo labore ac dolore passus est, ex quo potius de morte quam de vita suspicabatur. Tandem nutu divino in vigilia beati Nevoloni dum campane pro festo, ut moris est, pulsarentur, filius matri hoc scire decrevit. Unde filius animo perfecto matrem obsecravit ut pro eo sancto Nevoloni preces porigeret. Quare considerans filij angustias summa cum devotione sanctum adijt, votumque promisit. Medicus vero filium quesivit an foret liberatus, qui nundum respondit. Factum est post trium horarum spacio, utroque dor­ miente, filius expergiscitur cum gaudio sue liberationis. Pater vero non ingratus tanti beneficij, ut hoc scivit, quia tunc abscens erat, promissum aportavit filiumque sancto recomisit. Audite item quid mirabilius super­ venit. Qui portabat 142 pro honeribus bragerium fereum pater ab omni huius cruciatione liberatus est. 23. (Miracula) M.°CCC°XV. apparuerunt infrascripta miracula, videli­ cet in capella Sancti Severi 143 fuit quidam iuvenis nomine Christoforus filius Iohannis Veri 144 qui diu ereptus fuit, et hos saliendo | quodam fosatum dum veniret a Forlivio Faventiam. Que infirmitas quottidie in peius augmentabat penam et dolores in vesicha. Qui audiens miraculum supra-1 3 2 0 4

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140 Chiesa parocchiale, chiusa entro le mura nel secolo XV, oggi al­ quanto discosta dal sito primitivo. 141 In questa parecchia esistevano delle fabbriche di maiolica. 142 U copista ha saltato una o più righe dell’esemplare. 143 Chiesa parocchiale oggi convertita in uso privato. Il titolare è stato traslocato altrove. 144 Nelle matricole sotto la rubrica: « Hec sunt nomina hominum societatis carpenteriorum mortuorum » (col. LIII) si legge: «Christoforus Ioannis Verii 1414 die 28 iunii » (p. 77). Pare trattisi della stessa persona del § 23. Ma se fu graziata nel 1415 non può esser morta nell’anno ante­ cedente. E in verità il 28 giugno 1414 non sembra il giorno della morte di Cristoforo, ma della sua entrata nell’arte. Infatti a p. 64 si legge: « Iohannes (...) die XXVI may intravit in dicto ordine (...): Iacobus (...) intravit ordinem die XIIII aug. M°GCC°.XLIIII » ; a p. 76: « Toninus Francesschini de Pozale, 1397 die XIIII mensis octobris (...) die XXIIJ mensis obiit et requiescit in pace ». Quindi le date poste dopo i nomi significano alle volte il giorno dell’ entrata nell’ ordine, alle volte quello della morte.

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dictum Matioli fo r n a x a r ii,i4 5 in quodam sero dum multum laboraret in in­ firmitate, maxima cum devotione vovit se beato Nevoloni cum promissione videlicet se omni tempore vite sue vigiliam ieiunare in pane et aqua, et in festo cereum unius solidi valoris offerre. Facto voto, ivit dormitum. In mane vero prosimo sequenti invenit se ab omni lesione ac infirmitate salvum, quapropter Deo et beato Nevoloni gratias immensas dedit 146 et vota adimplevit. 24. Anno suprascripto fuit quidam puerulus de capella Montis Rid oli,147 cui nomen era Ninius filius Zanini de ex R e d a ; 148 et mater eius Margarita vocabatur. Qui in infirmitatem incurabilem devenit, et ista infirmitas ab aliquo non cognoscebatur, eo quod in capite et invisibili loco. Continsit 149 quadam die et hoc fuit in die iovis in mane, sanguis ema­ navit de naribus in tantum quod omnino puer defecit cum ex infirmitate tum ex sanguinis effusione. Quapropter soror matris eius, in cuius domo erat, misit matri nunptium quod cito accelleraret venire si filium vellet vivum videre (Miraculum). Audite ergo prodigium. Dum mater veniret, in mentem habuit beatum Nevolonum propter alliud miraculum predicte exauditum. Unde existens in via, alta voce exclamavit dicens: « O beate Nevolone, succurite doloribus meis, et me adiuvate in pena et dolore meo ut videam filium meum vivUm ». Factum est autem dum haberet filium in ulmnis quasi mortuum, et prospiceret in naribus, vidit foramina narium clausa, que accipiens mestucam palee tetigit existimando saniem. Qua tacta, ceciderunt de naribus quinque vermes statura grani fabis, et dum per nares poneret piperem, ceciderunt adhuc quatuor quos posuit in panno lineo, qui multum vixerunt. Et sic puer ab omni lexione liberatus est, et mater votum quod voverat, per omnia adimplevit, et gratias Deo et beato Nevoloni maximas dedit. 25. (Miraculum) Supradicta mulier Malgarita habuit alium virum no­ mine Gregorium olim Mignani de capella Montis Ridoli, qui habuit infir­ mitatem incurabilem. Et tandem infirmitas descendit ad pedem et in cavigla pedis factum est foramen, de quo dubitabatur de claudicatione et de insanatione. Quapropter uxor eius summa cum devotione altare adiit, orationemque fecit, et beato Nevolono maritum suum recommendavit, et de archa sui sepulcri pulverem ab utroque latere accepit et super vulnus imposuit habens fiduciam Deo et beato Nevolono. Videte miraculum, quod virtute fidei et pulveris beati Nevoloni sepulcri, ille immediate ab illo fo­ ramine liberatus est. | 26. (Miraculum) Item supradicto milleximo in capella Sancti Salvatoris 150 fuit quidam puerulus nomine Albergettus filius Gonj Rizardi De Tomais, qui febrem subitaneam et imeptem (?) habuit. In tantum valuit

145 Dunque il fatto del § 22 era accaduto p oco prima. 146 In margine una mano del XV secolo: « egit ». 147 L’attuale chiesa parocchiale di San Marco. Non si sa perchè avesse quel nome. 148 Villa e parocchia a levante di Faenza, distante dalla città pochi chilometri. 149 In margine della stessa mano del XV secolo: « Contigit ». 150 Chiesa parocchiale non lungi dalla cattedrale.

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quod pocius de morte quam de vita suspicabatur. De qua infirmitate pater eius factus est velut amens pre dolore filij, in tantum quod neque in ypotecha nec in domo valebat quidquam facere. Quid ulterius? Dum veniret domum ut videret filium qualiter se haberet, vidit mulieres habentes can­ delas accensas, ut moris est quando unus transit, in manibus, signantes puerum. Quod avertens nimio adhuc dolore repletus, tandem recolens mi­ racula et prodigia beati Nevoloni, maxima cum reverentia altare adijt, et novem Paternoster et totidem Avemaria in honorem itinerum, que fecit ad limina sancti Iacobi. Audite mirabilia. Facta oratione et voto cum p ro­ missione dandi tantum frumentum quantum ponderaret, venit domum et querit de puero. Dicunt mulieres: «Iv it ad ludendum cum pu eris». Quare Deo et beato Nevolonj gratias dedit et vota adimplevit.

POSTILLE I Valgimigli, Memorie, X, pp. 199 e ss.:

1363, nov. 24. Domus S. Marie de la Misericordia de capella S. Emiliani de Faventia. 1420, mag. 8. Hospitale S. Marie de la Misericordia vulgariter nuncupatum el Spedai novo. 1450, apr. 25. Hospitale novum quod est in cap. S. Emiliani (...) per ho­ mines societatis S. Nevolonis, que consuevit congregari in ecclesia catedrali. 1454, dicem. 27. Homines societatis et fraternitatis batutorum alborum b. Marie Virginis de la Misericordia qui adunantur et congregantur in ecclesia catedrali. 1455, agosto 6. Homines societatis S. Marie de Misericordia qui adunantur in ecclesia S. Petri (...) Hospitale dicte societatis. 1597, sett. 22 - 1602, ott. 21. Societas S. Nevolonis sive Hospitalis S. Marie Misericordiae alias nuncupati di Madonna Bianca. - Hospitale S. Ma­ riae Misericordiae nuncupatum il Spedai Novo alias de Madonna Bianca. II (II racconto dei Miracula b. Nevolonis in cod. H. 3 della Biblioteca Vallicelliana di Roma: cfr. Una Vita dei b. Novellone, p. 2). Biblioteca Vallicelliana, H. 3, 134 0-135. Vita Beati Nevoloni faventini. Inc. Artem, quae calceamenta conficit (...). Des (...) ubi sepultum iacet non minoribus miraculis post mortem clarus ac vivens fuerit. E brevissima, dipende dalla nostra. H. 3, 148-1480 Miracula beati Nevoloni. (5) Factum est ut quidam pauper quadam die ad hostium ipsius elemosinam peteret, imperavit beatus Nevolonus uxori, ut ei panem tri­ bueret, asserebat mulier panem nullum in domo reperiri, at beatus propter hoc non aquiescens instabat ut quid ipse iubebat exequeretur.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo mulier que sciebat in arca panem non esse ut viro pium errorem ostenderet, tandem pergens se ad ipsam contulit, et elevato ipsius tegmine, eam panibus magna sui admiratione plenam repetiit (reperiit?), quo miraculo viso maiori reverentia dehinceps mariti verbis obedivit. Dum ad sanctum Jacobum Galitiae peregrinandi gratia, ut adsueverat, proficisceretur, evenit ut uxor eius, quae secum ire voluerat, in qua­ dam solitudine in gravem egritudinem inciderit adeo ut spiritum exalare videretur. Clamabat autem ut sibi poma aliqua darentur ad se­ dandam sitim, quae si comedisset, ei videbatur omne malum ablatum, beatus Nevolonus considerans id ab ea desiderari, quod tempus hyemis qui tunc vigebat, et locus qui erat solitudo negabat, secum animo attigebatur, de m isericordia tamen Dei non dubitans, secessit aliquan­ tulum, et corruens in terram (f. 148 v) elevatisque oculis in caelum oravit ad Dominum, et illi statim poma apparuerunt, quibus perceptis et ad uxorem perlatis illorum ope eam ad egritudine liberavit. Cum Faventiae morabatur singulis noctibus in hora matutinali a sacristis genuflexus orans inveniebatur in ecclesia catedrali. canonici ecclesiae cupidi sciendi qua via et quo imodo id fleret, commiserunt ut in hora vespertina, cum templum clauderetur, sacristae diligen· tissimae observarent ne intra templum absconderetur, quo pluries multa cura facto, cognitum est h oc divinitus fleri. In quarto suo itinere ad sanctum Jacobum cum in quadam asperiori via prae laxitudine viribus amissis deficeret, quidam ei cum mansue­ tissimo equo apparuit, super quem eum ponens ad locum habitabilem suaviter secum fabulando perduxit. In sexto itinere obvium habuit quemdam leprosum, a quo genere hominum multum homines adhorrere consueverunt, at ipse divini me­ mor oraculi occurrens ivit in oscula eius et post haec ille statim evanuit, quapropter ad leprosorum habitacula libenter properabat, et devote eorum manus deosculabatur. Hospitatus est in septimo itinere apud quamdam matronam, quae in multa lascivia et iniquitate vivere solebat, et magnis tunc tenebatur febribus, suis orationibus suis (sic) sanitatem restituit, sed h oc non contentus, ut eam sanam etiam mente et corpore faceret et seiungeret ab illecebris mundi, non exemplo solum durissimo suae vitae, quod voluit ab ipsa videri per totam quadragesimam, qua domi suae moratus est, sed monitu et sermone induxit eam ut mundi voluptatibus spretis, soli animae suae saluti incumberet. Cum se octavo itineri dedisset, et in hospitem incidisset, qui panem ei sine numis dare recusaret, nec ipsum iuvaret quod pauper esset Christi, cui nec aurum nec argentum erat, tandem vir Dei erectis oculis in caelum, et intra semetipsum orans, et postmodum conversus ad hospitem dixit: « Si vis numum, ecce in terra est; eum percipe et da mihi panem ». Et hospes habuit numum quem petebat. Cum in nono itinere unus ex comitibus, in quorum societate p ro­ grediebatur, vexaretur a demone, liberatus est sua veste super eum proiecta. In decimo itinere ad sanctum Jacobum cum in quadam solitudine fontem reperisset, cuius aqua ut infecta veneno cuiusdam serpentis

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ab omnibus recusabatur, ipse stans super fontem et ad Deum preces porrigens obtinuit ab ipso ut aqua sana fieret et optima ad bibendum. (15-16) Mortuus est anno salutis M°CC0LXXX° in decrepita aetate, et nocte qua mortuus est campanae ecclesiae, quae cella dicebatur, prope quam vir Dei habitabat, sua sponte magno et frequenti sonitu pulsari cepe­ runt, quod prior illius loci audiens miratus est, cum nondum esset hora matutinalis, et quaerens per sacristam quid hoc esset, invenit beatum Nevolonem genibus flexis in actu orationis mortuum et co ­ gnoverunt una cum aliis fratribus, qui in illo loco morabantur, ipsius gratia factum fuisse sonitum illum campanarum. Post mortem. (17) Mulier quaedam nomine Nicoletta uxor Lappi de Capella Sancti Te­ rentii de Faventia involutum digitum dextrae manus in veste beati Nevoloni, quem aridum et abractum nullis incantationibus nec medi­ camentis adiuvare potuerat, protulit illico sanum. (18) Quidam Dominicus Pupinus de capella Sancti Antonij laborabat co ­ xendicum morbo magnoque labore torquebatur, nec in tribus lustris, quibus cum aliquo intervallo egritudinem hanc passus fuerat nullam susceperat a medicis utilitatem, ductus ad altare beati Nevoloni et voto facto sanitati restitutus est. (19) Quidem nomine Nannus filius Nicolai Savorini habitatoris capellae Sancti Michaelis de Faventia gravem et incurabilem infirmitatem multo tempore passus fuerat, commendavit se beato Nevoloni et li­ beratus est. (21) Quidam magister Petrus Monaldini de Faventia filium habebat nomine Monaldinum, qui crus habebat quattuor foraminibus accri quodam humore perforatum, quem nulla arte ad sanitatem perduci potuerant, hic multis precibus commendavit Deo et beato Nevolono suam sa­ lutem et cum dissolvisset fasciculam, qua crus alligabatur, ulceribus medendi gratia, crus invenit miraculose sanum. (25) Mulier quaedam nomine Margarita habuit virum de capella Montis Ridoli de Faventia, cui apud claviculam pedis factum est foramen incurabile, et de claudicatione timebatur. Mulier ut erat devotissima beati Nevoloni profecta est ad sepulturam ipsius, et collecto pulvere, quae erat super ipsam, reversa est domum, eamque posuit super ulcus illud mariti, et mirabile dictu, fides huius mulieris et pulvis beati Ne­ voloni illico sanavit ipsum. (26) Puerulus nomine Alberghettus filius Rizzardi de Tomais habitatoris capellae Sancti Salvatoris acutissima febre consumptus laborabat in extremis. Pater qui magno dolore ob imminentem mortem filii cru­ ciabatur, confugit ad beatum Nevolonum, atque ante altare ipsius dictis tot Pater noster et tot Ave Maria, quot fuerunt itinera beati ad sanctum Jacobum, factoque voto pro vita filii, reversus est ad domum et invenit filium cum aliis pueris in via ludentem. f. 149 v Haec omnia transcripta sunt tum ex libris manuscriptis qui in biblioteca fratrum praedicatorum conservantur, tum ex historia rerum fratrum suorum, quae Cronicon ab ipsis appellatur.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo III

[Segue carteggio con informazioni sugli Atti della visita di Gerardo ai Camaldolesi di Faenza nel 1275, ed inoltre una lunga lettera di d. Giulio Facibeni con notizie del ms. Laurenz., plut. 89, inf. cod. 24 e con la tra­ scrizione (in 8 pagine) del brano riguardante la morte di s. Verdiana e il suono delle campane.]

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SAN BERNARDINO DA SIENA ( t 1444) NELLA CITTÀ E NELLA DIOCESI DI FAENZA In Bollettino Diocesano di Faenza, V, 1918, pp. 103-106

Scrive Lodovico Pastor 1 che nel 1400 nessun santo fu così popolare in Italia come san Bernardino da Siena. In Faenza e sua diocesi non fu meno venerato che altrove. Non solo i frati francescani conventuali, e gli osservanti, a cui egli apparteneva, gli dedicarono nelle loro chiese altari e cappelle (nel 1527 Inno­ cenzo da Imola 2 dipinse il quadro per la cappella a lui intitolata in San Francesco di Faenza); ma anche altri. Nella prima metà del secolo XVI i pennelli più valenti di Faenza e dei paesi della sua diocesi, vale a dire di Sigismondo Foschi, di Francesco Zaganelli, di Gianbattista Bertuzzi seniore, e di Bartolomeo Ramenghi, ritrassero in tavola e in tela l’effigie di Nostra Donna e del Bambino con Bernardino e con altri santi; composizioni destinate a diverse chiese non di francescani.3 I maiolicari faentini del XVI e del XV secolo non di rado nei piatti e nei vasi d’uso sacro o profano dipinsero il monogramma del nome di Gesù, circondato da raggi, monogramma ideato e diffuso dal celebre predicatore senese.4 Esiste pure nel Museo Civico di Faenza una statuetta di S. Bernardino, con in mano la tavoletta del nome di Gesù da lui | predicato, statua proveniente non saprei da quale chiesa o cap- 104 pella della città.5 1 Storia dei Papi, I, Trento 1890, p. 388 (Trad. Mercati). 2 G. M. V algimigli, Dei pittori e degli artisti faentini de’ secoli XV e XVI, Faenza 1869, pp. 41-42 in nota. 2 Le opere del Zaganelli e del Bertuzzi si ammirano nella Pinacoteca comunale di Faenza. Cfr. A. Montanari, Guida storica di Faenza, Faenza 1882, p. 193; A. Messeri -A . Calzi, Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909, pp. 403 e 536; V algimigli, Pittori, p. 46. 4 G. Ballardini, L ’arte ceramica a Faenza, Firenze 1910, p. 11; Mes­ seri-Calzi, op. cit., p. 403. 5 Da alcuni è attribuita al Barilotto, da altri a Iacopo della Quercia. 19

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

In Faenza la confraternita del SS.mo Crocifisso, che risale al secolo XIV, fondò nel 1541 un ospedale per gli orfanelli della città. Ora nel 1573 il Visitatore Apostolico trovò che l’una e l’al­ tro appellavansi rispettivamente Confraternita e Ospedale del SS.mo Crocifisso o di S. Bernardino (da Siena). La prima chiesa eretta in Faenza, nei primi decenni del XVI secolo in onore di s. Giuseppe, sposo di Maria Vergine, fu fondata dai confratelli del SS.mo Crocifisso o di S. Bernardino; ed è notissimo che il culto di s. Giuseppe fu molto promosso dal famoso predicatore.6 Lo stesso Visitatore Apostolico del 1573 trovò nella chiesa di S. Michele di Brisighella un altare ed una cappella sacra a s. Bernardino.7 Il medesimo inviato pontificio, accingendosi a fare la visita delle Confraternite di Bagnacavallo, da prima constatò che la Confraternita del SS. Sacramento possedeva una elegante cap­ pella nella chiesa di S. Michele, a sinistra di chi entrava nella chiesa. I confratelli mostrarono al visitatore apostolico i loro capitoli, o statuti; e dissero di averli ricevuto da s. Bernardino da Siena. Il prelato comandò di trascriverli in miglior forma perchè molto vetusti, e di acquistare del pari gli statuti stampati per ordine dell’Ordinario.8 Il Malpeli, storico di Bagnacavallo, conferma che il santo senese fu il fondatore della locale confratenita del Sacramento. Non si sa quando s. Bernardino da Siena visitasse il castello | di Bagnacavallo. Certo è che il celebre predicatore evangelizzò 105 la Bomagna. Bernabò da Siena, primo biografo di Bernardino, lo afferma con le seguenti parole: «Quest’uomo religioso», scriNon sono competente in cose d’ arte. Ma, stando ai biografi di Iacopo, quest’ artista è vissuto tra il 1371 e il 1438, mentre Bernardino da Siena morì nel 1444 e fu canonizzato nel 1450. Come dunque la statuetta del nostro museo può appartenere a Iacopo? 6 Visitatio apostolica 1573, f. 68 v: «Societas Sanctissimi Crucifixi quae dicitur et Sancti Bernardini » ; f. 74: «H ospitale Sanctissimi Crucifixi quod etiam dicitur Sancti Bernardini, quod est puerorum orphanorum ». Lo stendardo della confraternita si com pone di un Crocifisso che ha ai lati s. Giuseppe e s. Bernardino. 7 F. 113 v: «Altare et capella Sancti Bernardini». 8 F. 68 v: « E t primo sodalitatem SS. Sacramenti, quae habet pul­ chram capellam in dicta ecclesia S. Michaelis in sinistro latere intrantis ecclesiam (...) Sodales ostendunt capitula, quae dixerunt habere a divo Bernardino de Senis, quae cum sint valde vetusta, mandavit in meliore forma describi, et accipi etiam illa quae de mandato Reverendissimi Episcopi fuerunt impressa ».

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San Bernardino da Siena nella città e nella diocesi di Faenza

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veva poco dopo la morte del santo, « entrò nella Romagna, anti­ camente detta Flaminia, e trovò quella regione depressa dalla fame, dalla peste e dalla guerra (probabilmente del 1424-1425). I Romagnoli sentivano queste cose, ma poco o nulla Dio e l’one­ stà, come la Fede Cristiana. Adunque si prese colà molta fatica, poiché i Romagnoli nella religione e nella divozione erano come pietre dure. Finalmente a poco a poco così cominciò a trattarli e ad ammaestrarli che dopo breve tempo tutti con grandissima avidità andavano ad ascoltare quest’uomo di Dio ».9 L’antico scrittore non dice quando questa escursione apostolica di Bernardino in Romagna avvenisse; ma i critici la collocano concorde­ mente tra il 1427 e il 1431. Da prima egli avrebbe percorso le città e le terre del marchese di Ferrara e dei Rolognesi, quindi sarebbe entrato nella Romagna propriamente detta predicando in Imola, in Faenza, in Ravenna, in Forlì, in Rertinoro, in Cesena, in Cervia e in Rimini, e dalla Romagna nella Marca d’Ancona.10 Certo è che Bernardino si trattenne in Forlì dal 29 maggio 11 al 2 luglio del 1431. Quindi la visita del santo a Bagnacavallo dev’essere di non molto anteriore a questo tempo. Da ciò che av­ venne in Forlì durante le prediche di Bernardino è lecito arguire come sorgesse in Bagnacavallo la Compagnia del Corpo di Cristo (così nei primi tempi chiamavansi le confraternite del Sacra­ mento). Narra adunque il contemporaneo cronista forlivese, Gio­ vanni di mastro Pedrino pittore, che Bernardino in Forlì pub­ blicò le indulgenze concesse da Martino V ( f 20 febb. 1431) a co­ loro che avessero accompagnato o con lume o senza, il Corpo di Cristo quando per le strade viene portato dai sacerdoti, o alle case degli infermi o per altra cagione; ed esortò i forlivesi ad adoperarsi per lucrare siffatte indulgenze. I buoni consigli dell’il­ lustre predicatore furono ascoltati. Narra lo stesso cronista che da quel tempo in Forlì s’introdusse il costume di dare un segno colle campane della par- |rocchia del trasporto del Santo Viatico 106 ai moribondi, e che le pie persone, o con lumi o senza, si reca-

9 Acta SS., Mai. V, p. 113. 10 F. A lessio , Storia di s. Bernardino da Siena e del suo tempo, Mondovì 1899, pp. 279-288. u Dal 29 marzo, scrivono l’Alessio ed altri, interpretando male il mazzio (maggio) del cronista di Forlì. L’errore dipende dalla Miscellanea Francescana (V, 1890, pp. 34 e ss.), ove il testo per la prima volta fu pubblicato erroneamente dal Codice Vaticano. Mons. Adamo Pasini, vicario di Forlì, mi ha fornito gentilmente il testo intero e corretto.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

vano alla rispettiva chiesa per accompagnare il Sacramento nel­ l’andata e nel ritorno. Bernardino avrà annunziato ai Bagnacavallesi le medesime indulgenze (promulgate dal papa12 nel 1429) e avrà fatto loro analoghe esortazioni. Il mezzo più comune del secolo XV per dif­ fondere o stabilire in un luogo tra il popolo una pratica divota o un’opera pia, era l’istituzione di una compagnia o confraternita laicale; e s. Bernardino stesso fu solito, per diverse cause, eri­ gerne parecchie nei paesi da lui evangelizzati. I divoti di Bagnacavallo non si saranno contentati di eseguire i suggerimenti del santo predicatore, ma ne avranno fatto promessa, unendosi in­ sieme in sacro sodalizio. Così sarà nata la Compagnia del Corpo di Cristo, a cui san Bernardino stesso dettò i regolamenti. Le me­ morie faentine confermano la tradizione dei bagnacavallesi. Infatti la cronaca faentina, detta Ubertelli (Bibl. comun., ms. 45, f. 516 v in margine), probabilmente attingendo ad una bolla epi­ scopale oggi scomparsa, scrive che il vescovo di Faenza, fra Gio­ vanni, francescano (1428-1438), « a dì 4 gennaro (1437) confermò la Compagnia del Santissimo Sacramento di Bagnacavallo».13*1 6 L’illustre padre Tacchi Venturi nella sua pregevolissima Sto­ ria della Compagnia di Gesù in Italia (I, Boma 1910, pp. 191 e ss.) scrive che le Compagnie del Corpo di Cristo furono istituite da prima da un fra Cherubino da Spoleto, minore osservante, negli ultimi decenni del secolo XV. Ciò non sembra esatto. Una se ne troverebbe nella nostra diocesi eretta tra il 1429 e il 1431 per opera di s. Bernardino da Siena.

12 Bullarium diplomatum et privilegiorum ss. Romanorum Pontificum, IV, Torino 1869, pp. 731-732. il II Gavina, in T onduzzi (p. XVI), senza citare alcuna fonte, scrive che fra Giovanni conferm ò la Compagnia il 4 gennaio del 1434, non 1437 : ma forse si tratta di un èrrore. Il carissimo amico prof. Contarini gentil­ mente mi comunica che la Compagnia del SS. Sacramento di Bagnacavallo risiedette pure in una chiesa di S. Bernardino, abbattuta da circa un secolo. Lo stesso fra Giovanni approvò la Compagnia di S. Maria di Russi il 16 marzo del 1437 (T onouzzi, p. XVI); e il successore di fra Giovanni, fra Francesco, conferm ò la Compagnia dei Battuti Bianchi di Bagnaca­ vallo, nel 1441 (ibid., p. XVI).

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COSE FRANCESCANE FAENTINE ( noterelle

d ’ archivio )

In Archivimi Franciscanum historicum, XIV, 1921, pp. 435-441

Nell’Archivio di Stato di Roma, nel fondo Collezione delle Pergamene (...) Pergamene provenienti dall’archivio (...) Faenza, si contiene più di un centinaio * di carte dell’XI, XII e XIII se­ colo appartenute a parecchi archivi faentini. Altre spettavano al celebre monastero di S. Maria foris portam (oggi S. Maria Vecchia), altre al convento di S. Prospero (situato nelle prime colline a sud della città, oggi scomparso), altre al Comune, altre al capitolo della cattedrale, altre al convento dei Celestini (sop­ presso, oggi Casa del popolo) ed altre finalmente a due conventi francescani, cioè al convento femminile di S. Chiara e al con­ vento maschile di S. Francesco. Le carte di S. Chiara sono sette; e furono da me pubblicate nell’Archivum Franciscanum historicum 1 da un ms. dell’abate Tondini, erudito del XVIII secolo, esistente nella Biblioteca co­ munale di Faenza, e contenente un indice di pergamene dell’ex-archivio di S. Chiara, dal secolo XIII al XVIII, e una trascri­ zione di una gran parte delle medesime di mano del Tondini. Pongo i numeri dell’archivio romano di fronte a quelli dell’elenco da me compilato ne\VArchivum: N. N. N. N. N. N. N.

43 46 47 59 60 61 73

(16 die. 1209) (13 lugl. 1224) (27 giugno 1225) (20 genn. 1255) ( 8 mar. 1256) (12 die. 1256) (30 lugl. 1261)

= = = = = = =

n. n. n. n. n. n. n.

1 5 6 11 15 18 20

1 Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza, V, 1912, pp. 261-276, 482-493. [in questo volume a pp. 207-238] * [203, precisa una postilla ma non del Lanzoni, forse del Rossini.]

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Nel 1912 pubblicai le copie perchè credevo che gli originali si fossero irreparabilmente perduti; ma m’ingannavo, perchè sette delle 39, [ da me elencate, si conservano nell’archivio 436 romano. E chi sa che un bel giorno non saltino fuori inopinata­ mente anche le altre. Le sette carte di S. Chiara, conservate in Roma, sono certa­ mente originali, anzi il n. 73 è l’originale della concessione di Giacomo, vescovo di Faenza, che io pensavo2 che il Tondini non avesse veduto ma trascritto da una copia. Le carte romane sono quelle stesse, da cui il T. ha fatto le sue copie, perchè nel dorso contengono delle note di mano dell’erudito faentino. È facile ca­ pire come le pergamene del T. non fossero restituite alle suore, almeno non tutte, e come, dopo la morte dell’abate, passassero ad altre mani, e quindi nell’archivio romano. Certo è che i nu­ merosi mss. e le pergamene del T. pervennero all’annalista faentino Bartolomeo Righi, vissuto fin verso alla metà del secolo passato, e da lui passarono alla Biblioteca comunale di Faenza; ma parecchi documenti andarono dispersi (i faentini ne sanno qualche cosa) e forse non pochi valicarono le Alpi. Confrontando gli originali colle copie mi sono accorto che il T. trascrisse in fretta. Infatti la carta n. 60 dell’archivio romano (n. 15 del mio elenco), un breve di Alessandro IV, non porta la data 22 febbraio, come nel T., ma dell’8 marzo. Il T. lesse Vili kaì. marcii invece di Vili id. mart. Così pure la carta n. 61 (18 del mio elenco), un altro breve di Alessandro IV, non è del 12 set­ tembre 1257, ma del 12 dicembre 1256. Il T. lesse II id. septembr. anno III in cambio di II id. dee. an. III. Chi dunque vorrà gio­ varsi delle carte da me pubblicate è avvertito. Non solo le carte di S. Chiara, ma non poche altre pergamene faentine dell’archivio romano appartennero allo stesso abate T., perchè contengono nel dorso delle note consimili a quelle su ri­ cordate di mano di quell’erudito. Anzi in alcune carte dell’ex-archivio di S. Maria foris portam il T. avverte che esse sono pub­ blicate dal Mittarelli,3 sicché quelle pervennero in mano all’abate dopo questo tempo. Le carte romane del convento di S. Francesco sono quattro: e la loro provenienza dal convento faentino omonimo consta dalle note dorsali scritte di mano del XVII secolo.

2 Archiv. Frane, hist., 1. c., p. 262, n. 8. 3 Rerum Faventinarum Scriptores, Vènetiis 1771.

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Cose francescane faentine

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La prima carta (n. 70) è un testamento, 4 gennaio 1260, di Vi­ tale di fu Giovannino dei Petenari, che elegge sua sepoltura « apud locum Fratrum Minorum de Faventia», e, tra altre dispo­ sizioni, lascia alla chiesa di S. Francesco 20 soldi ravennati, e no­ mina esecutore delle sue volontà il guardiano del detto convento. | La seconda (n. 85) è un testamento, 7 die. 1282, di fra Martino 437 dell’ordine degli Umiliati, f. del fu Giuliano da Bologna, ora di­ morante nella cappella di S. Maria degli Ughi di Faenza. Dopo parecchi lasciti fra Martino dispone di 20 (?) soldi in favore del convento di S. Francesco, e nomina suoi commissari ed esecutori frate Riccardo dell’ordine dei Penitenti, e due frati Umiliati di nome Ardizone e Zanello, sartori. Il testamento fu redatto nella cattedrale di Faenza, presenti come testimoni Oliverio e Alberto, canonici, Deuteguardo arciprete di S. Pier Laguna (pieve del territorio faentino), maestro Alberto, fabbro di Lugo e Zanto suo figlio, Pasetto Dalle Vacche e Ugolino addetto al sepolcro di frate Novellone (« et Hugolino qui scrvit sepulcro fratris Novelloni ») e altri. Per intendere queste ultime parole bisogna ricordare che nel 27 luglio del 1280 morì in Faenza in odore di santità (« tamquam beatum confessorem habentes », narra il cronista contemporaneo Cantinelli4) frate Novellone, terziario francescano, che per vo­ lontà di popolo fu sepolto nella cattedrale, e nel seguente giorno venne onorato di solenne funerale. Ora dal testamento di fra Mar­ tino si raccoglie che due anni appena dopo il decesso di fra No­ vellone (chiamato oggi beato Nevolone) il concorso dei devoti alla sua tomba era tanto considerevole che si credette necessario di pagare una persona che ne avesse cura stabilmente. La carta n. 85 dell’archivio romano è il più antico documento sul culto del beato Novellone, forse più antico della cronaca del Cantinelli, che pro­ babilmente fu redatta qualche tempo dopo gli avvenimenti. A proposito di questo beato francescano, mons. Angelo Mer­ cati con quella gentilezza che lo distingue e della quale gli sono gratissimo, mi ha segnalato nella Biblioteca Vaticana un codice di recente acquisto, Vat. Lat. 11251, ora numerato con ff. 89, cm. 22% X 16%, che si riferisce al beato Novellone. Appartenne alla compagnia o confraternita dei Servi o Battuti di S. Maria delle Grazie, eretta in Faenza nel 1420-22 presso la chiesa di S. Andrea dei frati Domenicani, c si cominciò a scrivere, come

4 Archiv. Frane, hist., VI, p. 628.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

si legge nella prima pagina, il 20 aprile del 1426. Contiene da prima (f. 1-5 v) « una tavola overo repertorio delle laude cum le oracione loro, che (fa)nno per boxogno a la compagnia », cioè l’indice delle laude in volgare, in onore di Gesù, della Vergine e di alcuni santi, cantate dai flagellanti nel loro oratorio o altrove; quindi (ff. 6-60) le laude per esteso (più di 40, in piccola parte edite ma nella maggior parte contenute in altri mss. bolognesi, ferraresi e toscani); e finalmente (ff. 61-76) le orazioni o | Oremus coi rispettivi versetti da recitarsi dopo il canto della 438 lauda. Seguono le Litanie dei Santi, secondo il rito domenicano (ff. 76-80), perchè la compagnia aveva sede in un convento di quell’ordine. Altre mani hanno aggiunto in calce (ff. 80-89 v) 12 altre laude, parte in latino e parte in volgare, e altri Oremus, specialmente di feste domenicane. A f. 1 v si legge nell’indice: Lauda beati Noveioni de Favencia. Frade Nevolone beato, a f. VI (antica numerazione). La orazione: Propitiare quesumus, Domine, a f. VII. La lauda trovasi per esteso all’odierno f. 11. Essa ha un certo interesse non solo come componimento faentino del XV secolo (perchè il beato Novellone non fu, per quanto si sappia, venerato fuori della città di Faenza); ma ancora come fonte della biografia del beato, perchè la lauda, quantunque sia contemporanea della Vita, giunta fino a noi, composta non molto dopo il 1415 e da me pubblicata nell’Archivum,5 contiene alcune notizie che in essa non si trovano. Infatti, mentre il Cantinelli5 6 non ricorda dei pellegrinaggi del beato se non undici viaggi a S. Giacomo di Compostella, e l’ano­ nimo autore della Vita narra inoltre7 che egli fu a Roma dodici volte, l’autore della nostra lauda aggiunge altri pellegrinaggi in Puglia e in Calabria, cioè a Bari (forse S. Nicolò), a Benevento e a Monte Vergine (santuario tra Nola e Avellino). L’orazione Propitiare si trova a f. 62 v, e ripetuta a f. 67 v, ma non è assegnata al b. Novellone, sì bene la prima volta a sant’Emiliano confessor atque pontifex, santo locale faentino, del quale pure esiste una lauda in volgare nel codice del 1426, e la seconda volta a san Terenzio confessor atque levita, un altro santo locale faentino, che non ha lauda propria nel codice suddetto. Dirò di più che l’orazione Propitiare si legge in un breviario

5 Archiv. Frane, hist., VI, p. 645-653. 6 Ibid., p. 628. 7 Ibid., p. 648.

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Cose francescane faentine

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faentino del secolo XV, conservato nell’Archivio capitolare, ap­ plicata a san Savino, vescovo e martire, protettore di Faenza. Donde si raccoglie che questo Oremus veniva recitato in Faenza in onore dei santi Savino, Emiliano, Terenzio e Novellone, vale a dire dei santi i cui corpi erano venerati nelle chiese urbane. Infatti l’Oremus è di questo tenore: « Propitiare quaesumus, Do­ mine, nobis famulis tuis per huius sancii . . . qui in presenti ec­ clesia requiescit, merita gloriosa, ut eius pia intercessione ab om­ nibus protegamur auxiliis ». Credo di far cosa grata ai lettori dell’Archivum pubblicando la lauda volgare in onore del beato terziario francescano: | [f. 11]

[f. 11 v]

Lauda beati N oveloni de Favencia.

439

Frate Nevolum beato, pregemote per amore che tu si’ nostro avogado denanci dal Salvadore. Denanci dal Salvadore fa’ per noi lo priego digno che ce togla del irore donde ne tene tal maligno, mo redugace a lo regno per lo qual semo creati la do’ sempre i biati guardano Christo illuminato. Plen fusti d’amor divino cum molta contricione, sempre fisti lo camino de 1 apostolo barone cum la aspra passione dezunando cum travagla (?) per fugir dura bataglia de lo mondo angustiato. Molto t’ afadigasti desprixando questo mondo per venire al sommo porto lo qual conten lo Dio iocundo, desprixave lo profundo cum quel aspro desplinare per piovere no per nevare sempre ognora più abraxato (sic). Undexe volte nel viaxo fuisti a San Iacomo de Galicia, Roma e Bari in tuo pasazzo, a Benevento cum puricia, a Monte Vergene tua indicia, de qua da mare plano e montagna

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

[f. 12]

tutta Pugla e la Campagnia visitasti pidiato. 0 beato Nevolone, per nui priega el Dio possente che dio contricione in questa cità a tutta gente ch’a ti siamo (?) simiglante per veraxe charitade e tutta l’ altra christianitade zascun sia gloriato. Amen.

La terza carta romana dell’ex-archivio di S. Francesco di Faenza (n. 90) è una lettera da Cesena, 30 agosto 1289 (il sigillo è caduto), di fra Bartolomeo da Amelia, frate minore, vescovo di Grosseto e vicario di papa Nicolò IV in spiritualibus nella pro­ vincia di Romagna e nella città e diocesi di Bologna, esortante i fedeli a venire in soccorso dei frati Minori di Faenza, pressati dal bisogno e privi di libri, di ornamenti ecclesiastici, di tonache e di altre cose necessarie. Forse questa penuria era conseguenza del famoso tradimento di Tebaldello, ricordato da Dante,8 quando nel novembre del 1280, aperte le porte della città, i guelfi invasero Faenza, depredarono le chiese e i conventi, e specialmente, come narra il Cantinelli, spogliarono le case e la chiesa dei frati Minori di S. Francesco di tutte le cose e i beni loro, uccidendo alcuni frati e cacciando il padre guardiano. Il Mittarelli9 conobbe questo documento; infatti egli scrive nel Chronicon ex adversariis Bernardini Azzurrimi (notaio faen­ tino): «Anno 1289. Die XXX mensis augusti. Venerabilis pater frater Bartholomaeus episcopus Grossetanus concessit auctorita­ tem et facultatem reverendis fratribus S. Francisci Ordinis Mino­ rum de Faventia accipiendi libras centum ravennatensium ad pios usus relictas » : concessione che leggesi appunto in calce alia nostra lettera. Ma nè le carte pervenute dall’archivio Azzurrini alla Biblioteca comunale di Faenza contengono il documento del 30 agosto 1289, nè il Liber Rubeus del notaio ne fa parola. Noto all’Azzurrini e per lui al Mittarelli, passò all’abate Tondini (non saprei come) ed ora è stato ricoverato nell’archivio romano. Pubblico questa reliquia dell’antico archivio di S. Francesco.

8 Inf., c. 32, v. 122. 9 Op. cit., col. 323.

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Cose francescane faentine

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Universis Christi fidelibus presentes licteras inspecturis frater Bartholomeus, permissione divina episcopus Grossetanus et in provincia Romandiole, civitate ac diocesi Bononiensi in spiritualibus domini pape vi­ carius, salutem in Domino sempiternam. Eterni Patris Filius, dominus noster Ihesus Christus, cui ipse Pater omnium vivorum et mortuorum iudicium tradidit, cum sederit in suo solio magestatis secundum opera sua cuilibet redditurus, de operibus miseri­ cordie, sicut ipse testatur, precipue disceptabit et quemadmodum pro ope­ ribus pietatis bonis regnum glorie conferet, ita pro illorum defectu malos ad tartarea loca detrudet, ubi est ingnis inestinguibilis a diabolis et eius angelis preparatus. Cum igitur locus fratrum Minorum de civitate Faventie et fratres in eodem morantes sint in egestate bonorum temporalium positi ita quod in libris et aliis ornamentis ecclesiasticis, tunicis et aliis ne- | cessariis sibi nequeant providere nisi elimosinis et auxilio Christi fidelibus a(d)iuventur, universitatem vestram monemus et exoramus in Domino quatenus de bonis a Deo collatis eisdem fratribus pias elimosinas et grata karitatis subsidia erogetis, ut per hec et alia bona, que Domino inspirante feceritis, ad eterne possitis felicitatis gaudia pervenire. Nos enim 10 de omnipotentis Dei misericordia et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius autoritate et quam nobis Dominus et Apostolica Sedes concessit potestate confisi, omnibus vere penitentibus et confessis qui ad ecclesiam dicti loci causa devotionis accesserint et qui dictis fratribus in predictis eorum ne­ cessitatibus manus porrexerint a(d)iutrices, centum dies de iniuncta eis penitentia et insuper tertiam partem peccatorum suorum ven(i)alium mise­ ricorditer in Domino relaxamus. Nos insuper eisdem H fratribus in pre­ dictis eorum necessitatibus paterno compatientes affectu ut de usuris, ra­ pinis et aliis legatis in pios usus indistincte relictis usque ad centum libras ravennatorum recipere valeant eisdem auctoritate presentium concedimus facultatem. In cuius rei testimonium presentes licteras fleri fecimus et nostri sigilli appensione muniri. Datum Cesene, anno Domini millesimo ducentesimo octuagesimo nono, die trigesima mensis augusti, secunde indictionis, pontificatus domini Nicolaj pape quarti anno secundo.

La quarta carta (n. 91) è una lettera di Nicolò IV (1 agosto 1291, da Orvieto) al ministro dei frati Minori della provincia di Bologna intorno alla predicazione della crociata da effettuarsi il 24 giugno 1293, e per l’assoluzione di quelli che avevano fatto voto di prendere la croce e non l’avevano eseguito. Pende il si­ gillo cereo. La lettera comincia: «Terre sancte miserabilem sta­ tum non absque gravi amaritudine». La nota dorsale dimostra che il guardiano del convento di Faenza fu tra i delegati per la suddetta assoluzione. La lettera, eccetto che nel titolo, è in tutto

10 Nell’originale: ei. 11 Nell’originale: eiusdem.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

eguale a quelle catalogate dal Potthast,12 e indicate dal Langlois;13 non è quindi necessario darla in luce. I Regesti Vaticani di Ni­ colò IV, a proposito del n. 6804, notano che la epistola fu scritta pure ad altri ministri provinciali dell’ordine di S. Francesco, mutato numero fratrum. Ora la nostra lettera è appunto quella mandata al ministro provinciale di Bologna.

12 Reg. Pont., nn. 23756s, 23758, 23761. 13 Les registres de Nicolas IV, nn. 6803-6804.

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IL CONVENTO E IL COLLEGIO DI SANTA CHIARA DI FAENZA NOTIZIE STORICHE

In Bollettino del VII Centenario della fondazione del Monastero. 1223-1923, Faenza 1922-1923, pp. 7-27, 37-52, 61-75, 84-100, 113-131

I LE ORIGINI DEL CONVENTO

(...4 GIUGNO 1223 -LUGLIO 1224)

A mezzogiorno di Faenza il fiume Marzeno, o Simiolo, come dicevasi nel secolo XIII, e il Lamone, prima di gettarsi l’uno nel­ l’altro, fanno una insenatura. Il terreno che s’innalza tra i due corsi d’acqua chiamavasi nel medio-evo, come oggi, l’isola, o le isole di S. Martino. In quel tempo spesso il vocabolo isola adoperavasi come sinonimo di penisola. Questa insenatura prese il nome da una chiesa e da un convento di S. Martino, abitato da cano­ nici regolari e situato sopra un poggio della riva destra del Mar­ zeno dominante la detta penisola. Una strada uscendo dalla porta della città, detta Montanara, e valicando il Lamone presso il mu­ lino di Batticucolo, a ponente dell’attuale Ponte Rosso, attraver­ sava l’isola di S. Martino, per raggiungere da una parte, la pieve di Sarna e dall’altra il castello di Modigliana. In questa isola di S. Martino sorse nel secolo XIII un con­ vento di vergini clarisse. « La vena delle celesti benedizioni », narra il primo biografo di s. Chiara con quel suo linguaggio im­ maginoso, « che scaturì nella valle di Spoleto, non rimase a lungo racchiusa in brevi confini, ma divenne fiume, perchè l’impeto del fiume rallegrasse la città della Chiesa. Chiara rimanendosi nel suo monastero cominciò a risplendere nel mondo, e la fama di lei riempì le camere delle donne illustri, i palazzi delle duchesse e i penetra- | li delle stesse regine, e il fastigio della nobiltà si piegò a seguire le vestigia di lei. Vergini degne di sposarsi con duchi e re, invitate dal preconio di Chiara si diedero a dure pe-

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

nitenze, e spose di potenti imitarono l’esempio di lei come a loro fu dato. Innumerevoli città si adornarono di monasteri, e pure i luoghi campestri e montani furono decorati dalle fabbriche di questo celestiale edifìcio ». Le vergini faentine furono non ultime a seguire l’esempio di Chiara. Una carta dell’antico archivio di S. Chiara di Faenza1 ci ri­ ferisce che il 3 giugno del 1224 nel palazzo del vescovo di Faenza certo Rodolfo Tabellioni2 donò per amore di Gesù Cristo e in suffragio dell’anima sua, di sua moglie, e dei suoi parenti, a nome suo e dei suoi eredi, a fra Bartolo, procuratore della chiesa e del luogo, cioè convento, secondo il linguaggio del tempo, delle ver­ gini e delle suore ivi esistenti, una pezza di terra, posta nell’isola di S. Martino, sulla quale pezza era edificata una chiesa con case ed altri edifizi. A questa donazione intervennero come testimoni Alberto, vescovo di Faenza,3 maestro Ruggero teologo, prete Benincasa, ostiario della cattedrale, fra Guglielmo e altri. Il luogo o convento delle vergini situato nell’isola di S. Mar­ tino e beneficato dal pio Tabellioni, non era altro che il convento delle clarisse, che nei documenti faentini di quel tempo sovente viene denominato luogo o monastero di S. Maria delle vergini.4 Questo convento di S. Maria delle vergini era alquanto più antico del 3 giugno 1224, come risulta da due carte del medesimo ar­ chivio di S. Chiara. In una5 di queste, del 14 giugno 1224, certa | Gisila nel borgo Durbecco di Faenza vende al detto Rodolfo Ta­ bellioni la metà di una fornace e di un terreno posto nell’isola di S. Martino, confinante da due lati coi possedimenti del luogo della casa del fu frate Viviano: « a tertio et quarto jus domus q. fratris Viviani»; e nell’altra,6 del 4 giugno 1223, in Faenza il fratello della su ricordata Gisila vende a Rodolfo Denago l’altra metà della fornace e del terreno posti nell’isola di S. Mar­

1 F. Lanzoni, Le antiche carte del convento di S. Chiara in Faenza, in Archivum Franciscanum historicum, V, 1912, p. 270. [in questo volume a pp. 217-218] 2 Ricordato in parecchie carte del capitolo dei canonici di Faenza della fine del XII secolo. 3 Le date estreme dell’episcopato di Alberto sono: 14 febbraio 1222, 12 giugno 1239. 4 Lanzoni, op. cit., p. 271. [in questo volume a p. 219] Tutti i primi conventi delle clarisse furono dedicati alla Madonna: L. Oliger, De origine regularum ordinis S. Clarae, in Archiv. Frane, hist., V, 1912, p. 196, n. 3. 5 Lanzoni, op. cit., p. 271. [in questo volume a pp. 219-220] 6 Op. cit., p. 268. [in questo volume a pp. 215-216]

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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tino,·2confinanti da due Iati col luogo del signor Viviano: «ab aliis duobus lateribus detinet locus d.(omini) Viviani ». Ora nelle carte faentine del secolo XIII il primo convento delle clarisse venne chiamato comunemente il luogo o convento di fra Viviano del­ l’isola di S. Martino, e conservò questo nome per lunghissimo tempo, e così fu denominato pure dopo che il monastero, come vedremo, fu traslocato altrove. Adunque il convento delle clarisse esistette nell’isola di S. Martino almeno fin dal 4 giugno del 1223. Questo Viviano è un personaggio d’altronde ignoto;7 proba­ bilmente fu un pio faentino che raccolse e ospitò le prime vergini clarisse in una sua casa situata nell’isola di S. Martino, e che tra il 3 giugno 1223 e il 14 giugno 1224 si rese egli stesso frate di s. Francesco e morì lasciando la sua proprietà alle figlie di Chiara e del Poverello d’Assisi. Il Tonduzzi, primo storico di Faenza del secolo XVII,8 stimò che fra Viviano « fosse il primo fondatore » delle clarisse faen­ tine, « che diede loro l’habito religioso e i primi istituti ». E il Magnani, agiografo faentino della prima metà del secolo XVIII,9 racconta di aver raccolto « dai monumenti, dai libri, dalle rela- | zioni scritte e dalle tradizioni del monastero di S. Chiara di Faenza» che il sopra ricordato Viviano ricevette l’abito dei mi­ nori in Faenza dalle mani dello stesso s. Francesco, e abitò una selva presso la città, forse di sua ragione, ove fabbricò un ro­ mitorio e collocò alcune vergini, risolute di vivere secondo l’ideale francescano. Quindi recatosi in Assisi si sarebbe abboc­ cato con s. Chiara e avrebbe condotto seco una compagna della santa, per nome Filippa, che sarebbe diventata la priora del convento; ed egli sarebbe morto vecchio nel convento di S. Fran­ cesco di Faenza. Le clarisse poi avrebbero sepolto suor Filippa ^ Una carta faentina, 23-26 giugno del 1260 (in alcuni manoscritti dell’ab. Tondini conservati nell’Archivio Vaticano) riferisce che il podestà di Faenza, a petizione delle suore clarisse (dominae loci fratris Viviani) irritò la consegna di una tenuta, contenente una pezza di terra che le suore possedevano, fatta a certo Barufaldino, come fosse dei beni degli eredi di Viviano Unganelli. Non crederei che qui si tratti del nostro fra Viviano. 8 Historie di Faenza, p. 41. 9 Vite de’ santi della città di Faenza, Faenza 1741, pp. 84-85, 268. a II Convento delle clarisse di Milano fu fondato presso la chiesa di S. Apollinare. Due officiali di questa chiesa l’ i l febbraio 1223 comprarono alcune pertiche di terreno presso questa chiesa per erigervi il Monastero in onore della Vergine secondo l’ordine e la regola del b. Damiano d’Assisi. Cfr. Archiv. Frane, hist., 1924, p. 343. Con un atto simile deve essere stato eretto quello di Faenza prima del 4 giugno ’ 23.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

nella loro chiesuola dell’isola di S. Martino. E tramutandosi, come vedremo, dall’isola al colle di S. Martino sulla riva destra del Marzeno, avrebbero recato seco nel nuovo monastero le ossa di suor Filippa, e finalmente sullo scorcio del XIV secolo nel terzo monastero, edificato, come racconteremo, presso la parrocchia di S. Clemente in Faenza. Stando al Magnani, le suore nel secolo XVII custodivano le reliquie di questa suor Filippa « nel coro superiore entro ad un coffano », vi tenevano accesa una lampada e ogni sera vi canta­ vano il salmo: Beati immaculati; ma il giorno 16 dicembre 1620 per ordine di Monterenzio, vescovo di Faenza, le tolsero di là e le collocarono in chiesa « entro pur di un coffano », son parole del Magnani, « posto in quel luogo dove ora è l’arma della reli­ gione ». Nel 1839 la madre Rampi, di cui si dirà, ricevette sepol­ tura in un deposito particolare fra le due cappelle laterali in cornu epistolae della chiesa di S. Chiara, oggi soppressa; « e fu collocata », scrivono le memorie di quel tempo, « a lato di quella Filippa, che fu spedita da s. Chiara a priora del convento, e che, secondo la tradizione, è sepolta in detto luogo ». « Una apposita iscrizione », che riferiremo in appresso, « rammenta questa cir­ costanza ». La narrazione del Tonduzzi e del Magnani presenta qualche difficoltà. Infatti non si capisce bene come Viviano, che, secondo le antiche carte di S. Chiara, nel 4 giugno del 1223 era ancora dominus Vivianus e che, come si è visto, nel 14 giugno del se­ guente anno era già morto, abbia potuto in così breve spazio di tempo, dopo aver ricevuto l’abito francescano e condotto vita [ eremitica, fabbricare un luogo per le vergini clarisse faentine; quindi condursi in Assisi e di là menar seco la suddetta suor Filippa, e finalmente morir vecchio in S. Francesco, cioè nel con­ vento di Faenza, che nel giugno del 1224 probabilmente non esi­ steva ancora, perchè prima della morte del santo fondatore i minori non possedettero case proprie, ma solevano pernottare in ospedali, in lazzaretti, o in altri luoghi, ove venivano ricevuti per amore di Dio. Ad ogni modo è verissimo che parecchi con­ venti di clarisse, eretti da prima in Italia e fuori sul tipo di S. Damiano di Assisi, ebbero a prima superiora, o ahbadessa, una discepola di s. Chiara mandata dalla stessa santa. A Spello nel­ l’Umbria fu spedita Balbina, una nipote di s. Chiara, e a Firenze Agnese, una sorella. Il somigliante si crede sia avvenuto per Pe­ rugia, per Lucca, per Siena, per Milano, cioè per le prime città che ricevettero conventi di clarisse. A Foligno furono spedite due

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II convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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discepole di s. Chiara.10 È quindi probabile che il convento di Faenza, non meno antico dei monasteri su ricordati, abbia rice­ vuto in modo analogo da Assisi, o da S. Damiano di Assisi, la prima superiora o abbadessa. Una suor Filippa fu veramente abbadessa del luogo di fra Viviano dal 1254 almeno fino al 1269, come risulta dalle carte faentine; quantunque, secondo la testi­ monianza che addurremo in seguito del celebre cronista fra Salimbene da Parma, la detta Filippa non fosse umbra, ma oriunda faentina. Prima di questa Filippa, nel 1225, tenne il governo delle clarisse faentine una suor Santese; e questo nome è ignoto alle carte romagnole di quel tempo, mentre si legge spesso nelle an­ tiche pergamene delfUmbria. È quindi probabile, secondo la tra­ dizione delle clarisse faentine, che il loro primo convento rice­ vesse da S. Damiano la prima superiora.11 | L’alta antichità del convento faentino non può fare meraviglia. È noto che al tempo del capitolo minoritico di Assisi, 30 maggio 1221, la Romagna aveva un ministro provinciale di nome fra Graziano, e che costui condusse dal capitolo nella nostra regione il futuro s. Antonio da Padova, collocandolo in un ere­ mitaggio situato nella diocesi di Forlì sul monte Paolo.12 I ricordati fra Viviano, fra Guglielmo e fra Bartolo, procu­ ratore delle suore di S. Maria delle Vergini di Faenza, che risul­ tano tutti e tre dalle riferite carte di S. Chiara, secondo ogni probabilità 13 erano frati minori, verosimilmente residenti nella città e nel territorio faentino. E senza dubbio il passaggio di s. Francesco in persona per Bologna nel 15 agosto del 1222, e per

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10 L. D e Chérancé, S. Chiara d’Assisi, Milano 1903, p. 114; O liger, op. cit., pp. 194-196. 11 Mgr. Andrea Strocchi, Serie cronologica storico-critica de’ Vescovi faentini, p. 137, narra che Orlando (t 1221), predecessore di Alberto, ebbe sepoltura nella chiesa di S. Chiara. Non dice quale. Non sembra possibile che egli parli della chiesa di S. Chiara del secolo XIV, che nel 1221 non esisteva; e la chiesa delle clarisse del secolo XIII era un povero oratorio, nel quale non mi pare probabile che un vescovo fosse sepolto. Non si può sapere donde lo storico faentino abbia desunto questa notizia. Ma non è inverosimile che l’ospizio delle vergini dell’isola di S. Martino esistesse fin dal tempo del vescovo Orlando (1209-1221), il quale fu crociato in Da­ nnata con s. Francesco nel 1220. 12 Non insisto sulla famosa lettera di papa Onorio III al vescovo di Rimini, del 16 dicembre 1221, dalla quale parecchi critici hanno con­ chiuso che in quel tempo in Faenza vi erano molti terziari francescani, perchè altri eruditi sono di parere contrario. 13 Oliger, op. cit., p. 199, n. 4; p. 201. 20

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Imola, e forse per Faenza, dovette eccitare parecchi devoti e fer­ vorosi romagnoli a scalzarsi dietro 14 alle vestigia del Poverello. Le donne faentine non furono da meno degli uomini e ben per tempo esse si vestirono e velarono alla norma di Chiara per vegghiare e dormine fino al morire con quello sposo ch’ogni voto accetta che caritate a suo piacer conforma. 15

Giacomo di Vitry nel 1216 racconta che le prime clarisse volontariamente si spogliavano d’ogni possesso terreno per meglio servire a Dio, e dimoravano insieme in diversi ospizi, nulla rice- \ vendo dai fedeli, ma vivendo del lavoro delle proprie mani; af­ flitte e turbate perchè venivano onorate e dagli ecclesiastici e dai laici più che non avrebbero voluto.1 56 Non vi è alcuna ragione per 1 4 non applicare alle nostre prime clarisse questo splendido elogio dello scrittore francese.

II LA PRIMA, LA SECONDA E LA TERZA REGOLA (1224-63)

Fino al luglio del 1224 le clarisse faentine vissero sotto la giurisdizione del vescovo diocesano, ma il giorno 13 di quel mese ne furono sottratte, ed entrarono ufficialmente nell’ordine così detto di S. Damiano di Assisi, e ricevettero la prima regola com­ posta dal cardinale Ugolino. Questo celebre porporato,17 molto propenso ai religiosi e agli uomini spirituali di quel tempo, fu amicissimo di s. Francesco. Protettore dell’ordine minoritico, nel 1221 compose insieme con s. Francesco la regola dei terziari, e nel 1223 assistette il santo nella redazione della regola dei minori. Venuto egli in Toscana nel marzo del 1217 come legato del papa Onorio III, vide, per usare le parole del papa stesso, che « moltissime vergini ed altre donne desideravano di fuggire le pompe e le ricchezze di questo mondo e di avere domicili da viverci senza nulla possedere sotto 14 Dante, Paradiso, c. XI, v. 80. 15 Paradiso, c. Ili, vv. 98-102. 16 Speculum perfectionis, seu S. Francisci Assisiensis legenda anti­ quissima, auctore fr. Leone, ed. P. Sabatier, Paris 1898, p. 330. 17 Oliger, op. cit., pp. 193 e ss.; e pp. 413 e ss.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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il cielo, eccetto la casa e l’oratorio, e che molti a tale effetto of­ frivano a lui fondi a nome della Chiesa Romana, ma che alcuni, volendo riservarsi il diritto di correzione, di istituzione, e di de­ stinazione, impedivano l’attuarsi del salutare proposito ». Il car­ dinale, come uomo amantissimo delle istituzioni francescane, notò con compiacenza questo sciamare delle sorelle di s. Chiara nelle provincie vicine all’Umbria; ma comprese | essere necessario prendere un provvedimento universale e autorevole, perchè quel movimento femminile non fosse ostacolato, ma favorito e diretto. Il pontefice entrò nelle viste del cardinale, e comandò a lui stesso (27 agosto 1218) di ricevere le case e gli oratori « in diritto e pro­ prietà della Chiesa Romana a nome di essa ». Case e oratori sarebbero soggetti unicamente alla Santa Sede finché le suore permanessero senza possessioni proprie; ma qualora per l’avve­ nire ne acquistassero, ritornerebbero sotto la giurisdizione dei vescovi diocesani e perderebbero il diritto di esenzione. Il nuovo ordine prese il titolo di ordine delle povere donne di S. Damiano di Assisi e i nuovi monasteri furono dedicati in onore della B. Vergine. La regola composta dal cardinale Ugolino, come si è detto, e approvata da s. Francesco, riprodusse nelle linee fondamentali la celebre regola di s. Benedetto. Ciò che distingueva le suore del nuovo ordine dalle altre era, come abbiamo udito, il non pos­ sedere nulla eccetto la casa e l’oratorio: « nihil possidentes sub caelo ». Furono sottoposte a clausura perpetua con una rigidità ignota alle antiche suore. Nessuno, religioso o secolare, di qual­ siasi dignità poteva entrare nel convento delle povere donne se non con licenza del papa, o di un delegato speciale del papa. Questa strettissima reclusione procurò alle clarisse il nome di donne o monache rinchiuse : « dominae, o moniales inclusae ». Dovevano osservare silenzio continuo, fuorché nei casi necessari ed espressi, e digiuno perpetuo, spesso in pane ed acqua; dormi­ vano nella paglia, o nel fieno, in tavole di legno con coltri di lana; tosavano i capelli e vestivano due tonache oltre il mantello e il cilicio. Le giovani venivano istruite a giudizio dell’abbadessa (questo fu il nome della superiora) nella lingua latina. La cura e la direzione del nuovo ordine non fu affidata ai frati minori, ma a un visitatore nominato dal cardinale.18 Così cominciarono ad esistere ufficialmente fuori di Assisi le suore di s. Chiara; e in tal modo furono incorporati nel nuovo | 18 G. Sbaraglia, Bullarium Franciscamun, I, Roma 1759, pp. 263-264.

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ordine i conventi di Spello, di Perugia, di Foligno, di Firenze (nel 1219), di Lucca, di Arezzo, di Borgo Acquaviva, di Narni, di Città di Castello, di Todi e di Tortona. Il tredicesimo convento aggregato fu quello di Faenza.19 Sicché il nostro monastero è il primo dell’Emilia entrato nell’ordine di S. Damiano, e antecede quelli delle Marche, e di tutta la Bassa Italia, e delle isole adia­ centi.20“ Adunque il giorno 13 luglio del 1224 21 convennero nel palazzo vescovile alla presenza di Alberto e del preposto del capitolo della cattedrale e di quattro canonici frate Bartolo, dei minori,22 inve­ stito della procura del cardinale Ugolino, insieme con fra Gu­ glielmo e altri testimoni. Alberto dichiarò di concedere (questa fu la formula adoperata in siffatte esenzioni) « col consenso del preposto e dei canonici a frate Bartolo, procuratore del cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e Velletri, a nome della Chiesa Bomana, la chiesa e il convento di S. Maria delle vergini situati nell’isola di S. Martino, cogli orti e colle altre appartenenze fino a venti tor­ nature attorno, nel quale luogo vivevano e servivano a Dio ver­ gini consacrate ed altre ancelle di Cristo, senza possessi, in po­ vertà, secondo la forma di vita prescritta loro dal cardinale col­ l’autorità del papa ». Alberto riservò a sé e ai suoi successori la dedicazione della chiesa, la consacrazione degli altari, la benedi­ zione dell’abbadessa e la consacrazione delle | monache, e, se­ condo le consuetudini del tempo, un annuo censo di una libbra 19 II convento di Milano, il quattordicesimo, fu aggregato al nuovo istituto, a quanto sembra, nell’ 8 novembre del 1224. 20 Una lettera del cardinale Rainaldo, protettore del primo e del se­ condo ordine, in data 18 agosto 1228 (Oliger, op. cit., pp. 207-445), diretta a tutte le clarisse italiane, ricorda ventitré conventi, dodici nell’Umbria, cinque in Toscana, due in Lombardia, tre nella Venezia e uno nell’Emilia che è il nostro. In questo documento io credo che i conventi siano enu­ merati nell’ordine di tempo in cui accettarono ufficialmente la regola del cardinale Ugolino. 21 Lanzoni, or. cit., pp. 272-273. [in questo volume a pp. 221-222] L’originale di questa carta trovasi nell’Archivio di Stato in Roma: Colle­ zione delle pergamene secolo XIII. Pergamene provenienti dall’Archivio (...) Faenza, n. 46. 22 A Milano pure nell’ 8 novembre del 1224 fra Leone minorità aveva la procura del cardinale. “ 112 novembre ’ 24 dietro preghiera del card. Ugolino con il con­ senso dei canonici l’arcivescovo di Milano concede alla badessa casa e terreno per l’ erezione del monastero. (Cfr. Oliger, op. cit., p. 344). L’ esen­ zione fu concessa il 4 febbr. 1225 (cfr. ibid., p. 345). Le formole sono simili agli atti nostri. La donazione fu confermata da Onorio III, 14 mag­ gio 1226 (ibid., p. 348).

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11 convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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di cera nella festa di s. Pietro protettore della cattedrale; e final­ mente dichiarò che qualora le suore avessero acquistato posses­ sioni, e avessero receduto dalla regola, sarebbero ritornate sotto la sua giurisdizione.23 Il 22 marzo del 1235 Gregorio IX, a istanza delle suore faen­ tine, confermò l’esenzione di Alberto, derogando alla condizione prescritta del consenso dei canonici. Infatti nell’atto originale del 13 luglio 1224 compaiono quattro canonici soltanto, e le firme di altri sei vi si leggono in calce, e saranno state apposte più tardi. Nel 26 agosto del 1247 poi, Innocenzo IV confermò, ad istanza delle stesse monache, il suddetto breve di Gregorio IX. Alla loro volta i successori di Alberto, cioè Gualtiero, frate agostiniano (1251-1257 circa), Giacomo Petrella (1258-1273), e fra Matteo Eschini, agostiniano (1302-1311), l’un dopo l’altro, confermarono solennemente la esenzione concessa da Alberto.24 Intanto però il rigore della regola non impediva che Pietro, priore di S. Martino in Poggio, col consenso di Alberto e del pre­ posto nel 27 giugno del 1225 desse in enfiteusi al su ricordato frate Bartolo, procuratore di Santese, abbadessa di S. Maria delle ver­ gini, una pezza di terra, del proprio convento, posta nell’isola di S. Martino, che constava di una tornatura e sette pertiche e mezzo.25 In verità la prima regola si conservò nel suo rigore per breve tempo. E lo stesso cardinale Ugolino, diventato pontefice nel 19 marzo del 1227 col nome di Gregorio IX, cominciò presto | a mitigare le norme da lui stesso proposte. Per quello che si rife­ risce a Faenza, il 23 aprile del 1231 26 il papa, scrivendo ad Al­ berto, gli raccomandò « per la reverenza di Dio e della Sede Apo­ stolica l’abbadessa e le suore del monastero di S. Maria dell’isola

23 Tra i testimoni è annoverato un Guido di Tommaso, o Tomai, che probabilmente era un devoto protettore della giovane istituzione faentina. Il suo nome si legge pure tra i testimoni della donazione (sopra citata) di R odolfo Tabellioni. Egli fu procuratore delle suore nel 5 giugno 1233, e nel maggio del 1263 di nuovo fu testimonio in un atto in favore delle suore. In questa ultima carta egli porta il titolo di frate dell’ordine della milizia della B. Vergine (volgarmente frate godente), e vi compare col confratello Alberico Manfredi, il celebre frate delle frutte del mal orto. 24 Sbaraglia, op. cit., I, pp. 149 e 489; Lanzoni, op. cit., pp. 485, 487, 488, 490. [in questo volume a pp. 229-234J 25 L anzoni, op. cit., p. 273. [in questo volume a pp. 222-223] L’origi­ nale nell’Archivio di Stato a Roma, ibid., n. 47. 26 Ibid., p. 275. [in questo volume a pp. 223-224]

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

di S. Martino, che sprezzano le ricchezze del mondo per essere ricche in Cristo, e abitano racchiuse col corpo per servire a Dio con mente libera » ; e gli intimò di non muovere alcuna difficoltà perchè fossero assegnate alle suore i legati, i fedecommessi e altre cose loro lasciate in testamenti o simili documenti, anzi di costringere i detentori per mezzo delle censure ecclesiastiche a restituirli. Forse il vescovo si era opposto (del resto secondo le norme del 1224) a qualche lascito di tal genere fatto alle suore; ma queste se ne lagnarono presso la S. Sede, donde il breve del 23 aprile 1231. Ma in tal modo le clausole dell’atto di esenzione rimasero destituite d’ogni valore, e il convento fu sottratto all’au­ torità vescovile senza condizioni. Poco dopo, nel 5 giugno del 1233, Albertino e Niccolò fratelli e Salomone cedettero in perpetuo alle suore ogni loro diritto sopra una pezza di terreno, posta non molto lontano dal convento col correspettivo di un’annua pensione.27 Gregorio IX non solo mitigò il pristino rigore del voto di po­ vertà, ma modificò pure le prescrizioni da lui fatte riguardo al regime e alla cura dell’ordine. Infatti con bolla del 14 novembre 122728 egli affidò la direzione delle suore ai frati minori. Essi dovevano celebrare i divini uffici, somministrare i sacramenti, amministrare il patrimonio delle suore e difenderle contro i ladri, i pericoli d’incendio e simili. Innocenzo IV il 6 agosto del 124729 diede al secondo ordine francescano una nuova regola, in cui non fece che ratificare so­ lennemente le modificazioni e le mitigazioni introdotte da Gre­ gorio IX. Questa regola parla dello scapolare, della corda e | del velo bianco e nero da portarsi dalle suore. Essa non fu adottata dappertutto; ma crederei che le suore faentine Faccettassero. Tra le altre cose la regola del 1247 stabiliva che ogni monastero dell’ordine di S. Damiano avesse un frate minore per procura­ tore; e una carta faentina del 14 marzo 124830 ricorda appunto un frate Bonaventura, « sindaco e vicario dei frati minori e del monastero di S. Maria delle vergini ». Il papa Innocenzo IV non fu meno liberale del suo anteces­ sore verso le clarisse faentine. Il 12 gennaio del 1253,31 compas-

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Ibid., p. 275. fin questo volume a p. 224] Sbaraglia, op. cit., I, pp. 413-414. Ibid., I, p. 241. L anzoni, op. cit., p. 271. [in questo volume a p. 219] Ibid., p. 276. [in questo volume a p. 2251

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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sionando, com’egli scrive, le strettezze economiche delle suore, ac­ cordò loro (secondo una concessione della Corte Pontifìcia molto in uso in quei tempi) di ricevere le usure, le rapine e le cose di malo acquisto,b qualora non si potesse ritrovare colui cui dovevasi fare la restituzione, e le somme promesse in compenso di voti non adempiuti, purché non eccedessero la somma di cento libbre imperiali. In tal modo, nè i votanti erano più tenuti all’ese­ cuzione dei voti, nè gli usurai, o i frodatori o rapinatori, a fare altra restituzione. Finalmente Urbano IV il 18 ottobre del 1263 32 stabilì e pro­ mulgò una terza regola, colla quale abolì e soppresse tutte le dif­ ferenti denominazioni, che qua e là il secondo ordine francescano aveva preso, e volle che d’ora in avanti l’ordine si chiamasse senz’altro Ordine di S. Chiara. Secondo questa regola, le suore dovevano indossare due tu­ niche con mantello di prezzo e colore vile; andare a piedi scalzi, cingere una corda, portare uno scapolare senza cappuccio, e in capo un velo bianco e nero. Questo pontefice ristabilì di più la carica del cardinale pro­ tettore, che doveva deputare i visitatori, lasciando però ai frati minori la cura | spirituale delle monache. Questa disposizione nella sua seconda parte durò fino al 1296, perchè in quell’anno la cura delle clarisse fu demandata al ministro generale e ai pro­ vinciali dei minori. Il convento di Faenza si uniformò alla regola di Urbano IV. Infatti Niccolò IV il 7 marzo del 1291,33 concedendo a chi visi­ tasse la chiesa delle clarisse di Faenza l’indulgenza di un anno e di quaranta giorni per la Natività, l’Annunciazione, la Purifi­ cazione e l’Assunzione della B. Vergine e per S. Martino, nelle feste e nelle ottave di ogni anno, chiama le religiose: suore del monastero di S. Maria delle vergini vicino a Faenza dell’ordine di S. Chiara; e il cronista fra Salimbene, parlando, come vedre­ mo, nel 1265, del nostro convento, lo dice monastero dell’ordine di S. Chiara: «monasterium ordinis Sancte Clare». Le clarisse faentine sono rimaste urbaniste, come suol dirsi in linguaggio ec­ clesiastico, fino ad oggi.

32 Sbaraglia, op. cit., II, p. 509. 33 Ibid., IV, p. 227. b

Cfr.

A r c h i v . F r a n c , h is t.,

XVII, 1924, pp. 535, 542.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Da una carta deH’ex-archivio di S. Domenico di Faenza si raccoglie che le Clarisse del nostro convento il 3 marzo del 1265,34 compresa l’abbadessa Filippa, erano trentuna.35

Ili ALCUNI AVVENIMENTI DEL XIII SECOLO

Raccoglieremo in questo capitolo alcuni fatti notevoli della storia del convento nel periodo in cui ci siamo occupati. Nel secolo XIII, specialmente dopo il 1250, la città di Faenza, come le altre d’Italia, fu agitata da lotte furibonde e implacabili fra guelfi e ghibellini, accompagnate da conflitti armati, da stragi e arsioni o atterramenti di case, con cacciate o esigli di cittadini | in massa. Capi della fazione ghibellina presso di noi erano gli Accarisi e della contraria i Manfredi, ambedue delle più nobili famiglie della città. Dal 1255 al 1259 la contesa fra le due fazioni fu terribile, aiutata l’una e l’altra parte dagli amici e partigiani di Bologna e di Ferrara; e in una battaglia combattuta dentro le stesse mura cadde morto uno dei maggiorenti, Enrico Manfredi, detto il Calzaro.36 È facile immaginare come in tanto scatena­ mento di passioni le chiese e le case dei religiosi e delle suore stesse fossero esposte a gravi pericoli. Durante le lotte, a cui si è accennato, le suore di S. Maria delle vergini ricevettero dai ghibellini molestie e danni. Alessandro IV ne scrissea il 12 di­ cembre del 1256 37 al nobile Accarisio e ai nobili Alberghetto e Al34 Biblioteca comunale di Faenza, pergamene, n. 493. 35 Chi fosse vago di conoscere i nomi delle suore d’allora, eccolo servito. Oltre l’abbadessa Filippa, le suore si chiamavano: Antonia, due Margherite, Benedetta, Samaritana, Angelica, Amfilisia, due Chiare, Tra­ montana, Emma, Ermellina, Rachelina, Gualdratina, Rofina o Rosina, Agnese, Bona, due Francesche, Caterina, Filippa, Sofìa, due Beatrici, Luca, Eufrasia, Aurea, Giacomina, Mattia e Bonaventura. Compaiono come testi­ moni maestro Benedetto, medico del convento, Anseimo Butrigari e Gre­ gorio e Ognibene, servi del luogo. 36 p. Cantinelli, Chronicon , edizione Mittarelli, col. 236. 37 L anzoni, Le carte , pp. 484-485. [in questo volume a p. 228] Il breve originale ad Alberghetto e ad Alberico Alberghetti si trova nell’Archivio di Stato in Roma, ibid., n. 61. Questa carta ci permette di correggere la data della copia dell’ab. Tondini, che è errata. a

Cfr.

A r c h i v . F r a n c , h is t.,

XVII, 1924, pp. 536-539.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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berico Alberghetti,38 capi della fazione ghibellina. Il papa nella sua lettera non allude a fatti particolari, ma dice semplicemente che le povere suore furono desolate da mani ostili: hostiliter de­ solatae. Probabilmente pregatone dalle stesse suore, il papa si ri­ volse ai suddetti personaggi e loro caldamente raccomandò le suore di S. Maria « Viventi », egli dice, « sotto il giogo di una vo­ lontaria povertà esse pregano il Creatore di tutti per voi e per gli altri fedeli, e conducendo in terra una vita angelica, amano solo le cose celesti e disprezzano i negozi terreni. Per questa ca­ gione voi do- |vete essere benevoli e graziosi verso di loro; e però Noi vi preghiamo, vi ammoniamo e vi esortiamo nel Signore, e per la remissione dei vostri peccati e per la riverenza della Sede Apostolica e di Noi, che con paterno animo compassioniamo quelle suore desolate da mani ostili, vi comandiamo che, secondo il solito, benignamente vi rivolgiate a loro, facendo grazia e fa­ vore, e con mano liberale elargendo i benefìzi di cui esse abbi­ sognano. Non permettete che esse, o il loro monastero, da qual­ siasi persona, per quanto è in voi, sia molestato. Adempite il nostro pio beneplacito e comando, affinchè le suore, nella letizia di aver riportato il desiderato frutto, possano rendere a voi grazie speciali». Forse il papa non volle prendere i colpevoli di fronte, sperando di muoverli e guadagnarli con le lusinghe. I successori di Innocenzo IV furono larghi di concessioni alle suore di fra Viviano.6 Alessandro, poco dopo la canonizzazione di s. Chiara, concesse, 22 aprile 1257,39 cento giorni d’indulgenza a tutti i fedeli che veramente pentiti e confessati ogni anno avreb­ bero visitato con divozione e riverenza la chiesa delle suore nella festa e durante l’ottava della festa della B. Vergine (probabil-

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38 II Valgimigli (Memorie di Faenza, IV, p. 258), persuaso che nel me­ dioevo in Faenza non vi fosse una famiglia Alberghetti, credette che Alberghetto e Alberico Alberghetti del breve di Alessandro IV fossero Alberghetto e Alberico di Ugolino di Alberghetto Manfredi; ma s’ingannò. Fra Salimbene nella sua Chronica (ed. O. Holder-Hegger, in MGH Script., XXXII, Hannoverae et Lipsiae 1905-1913, p. 262) all’anno 1274 parla di certa piccola chiesa di Faenza, « que erat in viridario illorum de Albrighettis et de Accharisiis ». Dunque gli Alberghetti e gli Accarisi erano due famiglie che possedevano uno stesso orto. Un breve di Innocenzo IV del 12 ottobre 1243 è indirizzato ad Alberghetto, Enrico e Ugolino Alberghetti di Faenza. Trovasi in Monumenta Germaniae Historica, Epistolae saeculi XIII, II, Berolini 1887, p. 27. 39 L anzoni, Le carte, p. 484. [in questo volume a pp. 227-228[ b Op. cit., p. 533.

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mente del 15 agosto) e di s. Chiara; e nel 1291, come abbiamo già veduto, Nicolò IV, estese e allargò questa indulgenza a pa­ recchie altre feste. Circa nel 1254-1256 le nostre suore diedero ospitalità alla b. Umiltà faentina in una importante occasione. Questa nobile donna, di nome Rosanese, che al tempo di Federico II (12401250 c.) aveva fiorito in Faenza per ricchezza e venustà, entrò insieme col suo marito Ugolotto Caccianemici, nel convento dei canonici e delle canonichesse regolari di S. Perpetua (oggi S. Gi­ rolamo dell’Osservanza), vi fece la professione religiosa e vi ri­ cevette il nome di Umiltà. Ma, checché ne fosse la cagione, essa non fu contenta della nuova vita e deliberò di fuggire dal chio­ stro; di notte tempo si lasciò cadere giù dalle mura del convento senza danno, in modo che al suo primo biografo sembrò mira­ coloso, giunse al vicino | fiume Lamone, lo tragittò a guado, ed entrata nell’isola di S. Martino, non sapendo dove rivolgersi in quell’ora impropria, battè alla porta delle suore di S. Chiara. L’abbadessa le fece aprire e le diede alloggio; e la mattina dopo la consegnò ad un suo zio. Fu poi rinchiusa in una cella attigua alla chiesa di S. Apollinare dei vallombrosani presso il ponte di Batticueolo; ma dopo un decennio passato in quel luogo in auste­ rissime penitenze, ebbe dal vescovo Giacomo il permesso di eri­ gere presso Faenza un monastero di vallombrosane, detto della Malta; e da questo recatasi poi in Firenze a fondarne un secondo, morì colà in concetto di santa nel 1310.40 Il giorno 24 gennaio del 1265 le umili suore di fra Viviano ricevettero una visita ben diversa, cioè quella di Filippo Fon­ tana, arcivescovo di Ravenna e legato pontifìcio. Questo prelato, nativo di Pistoia, fu uomo bizzarro e di ambiziosi disegni, e più che di chiesa, guerriero e signore politico; a capo dell’esercito guelfo egli tolse Padova ad Ezzelino da Romano nel 20 giugno del 1256. Ma era amantissimo dei frati e delle suore francescane. La visita di Filippo Fontana alle nostre suore viene descritta dalla penna, se si vuole, alquanto maledica, ma pittoresca di fra Salimbene, il più famoso cronista del XIII secolo, che in quel tempo dimorava nel convento di S. Francesco di Faenza. Scrive adun­ que fra Salimbene:41 «Filippo Fontana, essendo legato della Sede Apostolica, venne in Faenza mentre io vi abitava. E poiché era

40 Acta SS., Mai. V, p. 205; 3' ed., p. 207. 44 Chronica, cit., p. 400.

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necessario che egli entrasse nel monastero dell’ordine di S. Chiara, perchè quell’abbadessa desiderava parlare a lungo con lui, mandò a chiamare i frati minori, acciocché lo accompagnassero e per onestà e per onore. Il legato amava gli onori più che tutti gli uomini del mondo, come io giudicai di lui, e seppe dominare e farla da barone più di tutti gli uomini del mondo, come udii da altri e come parve anche a me. Fummo dieci frati che lo ac­ compagnammo, e poiché ci fummo riscaldati, perocché era un giorno | di sabato del mese di gennaio nella festa di S. Timoteo di mattino (24 gennaio 1265), si apparò coi vestimenti vescovili per entrare nel monastero con decenza e con onestà. E mentre vestiva il camice, essendo questo troppo stretto nelle maniche, turbavasi, a cui il vescovo di Faenza (Giacomo Petrella) disse: — A me non è stretto perchè lo indosso bene —. A cui l’arci­ vescovo disse: — Come? è tuo questo camice? — È mio —, disse il vescovo. — E il mio dov’è? — disse l’arcivescovo. E si trovò che uno dei servi lo aveva portato a Ravenna. E disse l’arcivescovo: — In verità molto mi meraviglio della mia pazienza, tuttavia gli darò una penitenza, perchè qui non posso, essendo egli assente: quod difertur non aufertur —. E dissi all’arcivescovo: — Abbiate pazienza, padre, perchè il Savio dice nei Proverbi: patientia lenietur princeps ... —. Allora l’arcivescovo disse: — Il Savio dice pure nei Proverbi: qui parcit virgo odit fdium siium. E però, come dice Giobbe, non parcam e i ... —. Vedendo io che l’arcivescovo si disponeva a punire il peccatore, dissi: — Lasciamo andare, padre, queste parole, e parliamo d’altro. Celebrate voi? — E disse: — No; voglio che tu canti messa —. E dissi a lui: — Obbedirò a voi e canterò la messa — ». Dopo questo, Filippo Fontana prese a parlare con fra Salimbene della sede papale vacante. Poco prima del passo che tradu­ ciamo, il cronista narra42 che l’arcivescovo seppe in Argenta la morte di Urbano IV (2 ottobre 1264), e « molto si rallegrò perchè sperava avere il papato, e perchè era legato, e uomo famoso e di gran nome, e perchè aveva faticato molto per la Chiesa ». E poiché Filippo voleva essere sicuro di tale notizia, secondo il racconto di fra Salimbene, « gli mandò in dono una mezza torta di pesci marini. E il giovane vivandiere portatore del dono disse: —- Il mio signore vi manda del suo pranzo e ve lo manda dicendo se veramente crediate che il papa sia morto. — Erano ivi tre o

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42 ibid., p. 433.

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quattro altri della famiglia che vennero ad udire. Allora io ri­ sposi: — So di certissimo che è morto e che il papato è vacante. — Il | che essendo stato riferito al suo signore, egli mi mandò per la seconda volta un altro dono, e poi me ne mandò un terzo, sem­ pre chiedendomi della morte del romano pontefice ». Filippo, come dicemmo, fu un prelato guerriero e molto abile e destro negli affari politici; e fra Salimbene, uomo superstizioso, come moltissimi del suo tempo, credeva che le persone molto av­ vedute avessero appreso questa arte dal diavolo, padre delle bugie e delle menzogne, e che avessero studiato l’arte magica a Toledo di Spagna, città mezzo cristiana e mezzo mussulmana. Quindi egli narra 43 che Filippo, essendo « un povero scolaro andò a Toledo per imparare l’arte della negromanzia e che un vec­ chio stregone gli aveva detto che gl’italiani non erano fatti per quell’arte, ma bensì gli spagnoli, uomini feroci e simili ai diavoli: andasse a Parigi piuttosto, studiasse scienze sacre e diventerebbe grande nella Chiesa ». Ora torniamo al racconto della visita dell’arcivescovo al con­ vento di fra Viviano. Continua fra Salimbene : « Allora disse l’ar­ civescovo: — Volete che vi predica del futuro papa? — Poiché il papato era vacante dopo la morte di Urbano IV, che fu di Troyes. E dicemmo: — Sì, padre. Diteci chi sarà il futuro papa. — E disse: — Papa Gregorio IX amò molto l’ordine di S. Fran­ cesco. Ora succederà Gregorio X che amerà i frati minori inti­ mamente. — Egli voleva dire di sé stesso, perchè desiderava molto di avere il papato, ed anche sperava, perchè amava i frati minori, e perchè quel maestro di negromanzia di Toledo aveva predetto che sarebbe diventato grande nella Chiesa di Dio, e per­ chè vedeva che era veramente grande, e che una volta i cardinali erano discordi nell’elezione del papa, e perchè sovente si diceva qualche cosa di lui relativa a questa materia. Allora risposi e dissi: — Padre, se Dio vorrà voi sarete quel Gregorio X. E ci amaste e ancora di più ci amerete. — Tuttavia non avvenne così, perchè allora non successe Gregorio X, ma Clemente IV. Nè l’ar­ civescovo di Ravenna ebbe il papato, affinchè sia manifesto che il | papato non è di chi vuole e di chi corre, ma di Dio misericordioso ». «Avendo l’arcivescovo detto le sopra poste parole, aggiunse: — Questi sono che debbono entrare nel monastero: tutti i frati

43 Ibid., pp. 32, 393.

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che sono qui. Ma de’ miei non entri se non il vescovo di Faenza e l’arcidiacono di Ravenna e il podestà di questa città. — Era po­ destà di Faenza il signor Lambertino Samaritani di Bologna, ed era figlio di una sorella dell’abbadessa di Faenza. E l’abbadessa era oriunda di Faenza, e, se voleva, colle parole e coi doni tirava a sè i cuori, e aveva così propizio e amico il signor cardinale Ot­ taviano che l’esaudiva volentieri nelle sue domande ». Questo è il celebre cardinale Ubaldini detto dall’Alighieri « il cardinale », e posto da lui nell’arca, ove suo cimitero (...) hanno con Epicuro tutti i suoi seguaci, che l’anima col corpo morta fanno.44

Il cardinale Ottaviano Ubaldini nel 1248 aveva ripreso Faenza ai ghibellini e aveva dimorato per qualche tempo nella nostra città. « Pervenuti alla porta della chiesa, ivi trovammo un con­ versoc col turibolo fumigante ». Secondo la regola di Urbano IV 454 6 abitavano nei monasteri, quasi servi delle suore, alcuni che ve­ stivano religiosamente senza cappuccio, promettevano obbedienza all’abbadessa, vivevano in castità e povertà, e si chiamavano con­ versi. « E dopo che il converso ebbe incensato il legato, questi prese il turibolo dalla mano di lui, e incensò ciascun frate che entrava in chiesa dicendo — Del incenso ali frati me, del incenso ali frati me, del incenso ali frati me; — cioè: dell’incenso ai miei frati. Quindi andammo alla scala e nell’ascendere e poi nel di­ scendere, e nell’uscire il legato si appoggiava sopra di me per onore e per utilità, ed io sostentava il braccio destro di lui e Far- | cidiacono di Ravenna il sinistro ». Sembra di leggere i versi sa­ tirici dell’Alighieri : or voglion quinci e quindi che rincalzi li moderni pastori, e chi li meni, tanto son gravi, e chi di retro gli alzi. 46

« La chiesa delle suore era nel solaio (cioè, secondo il lin­ guaggio del tempo, nella parte più grande e più alta della casa) 44 Inferno, c. X, vv. 13-15. 45 Sbaraglia, op. cit., II, p. 517. 46 Paradiso, c. XXI, vv. 130-132.

Di conversi nel 1250, cfr.

A r c h i v . F r a n e , h is t.,

XVII, 1924, p. 534.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

e tutto il convento di quelle donne erano in numero di settantadue.47 Celebrata solennemente la messa, e terminati i (consueti) consigli e tutti i negozi, usciti dal monastero trovammo prepa­ rato un gran fuoco. E subito suonò l’ora nona (mezzogiorno). E il legato svestendosi disse: — V’invito tutti a pranzar meco. — Par­ lando in toscano, credo dicesse ben dieci volte: — Mo ve c’envito e si vece revito; — cioè: v’invito a pranzo e di nuovo vi rinvito. Ma quei frati erano così timidi e verecondi che non potei con­ durne meco se non due. Gli altri andarono a mangiare alla casa dei frati. E quando giunsi al palazzo del vescovo, il legato mi disse: — Oggi è sabato, e il vescovo e il podestà vogliono man­ giare di carne; lasciamoli fare, e andiamo alla sala del palazzo che avremo abbondantemente da mangiare. — E mi trattenne e mi fece sedere vicino a sè alla mensa, e più volte mi disse che molto se ne aveva a male che non avessi condotto meco altri frati, perchè aveva invitato tutti. E non osavo dirgli che non ave­ vano voluto venire, perchè se ne sarebbe adontato troppo, ma gli dicevo che un’altra volta avrebbe avuto tutto il convento; perchè godeva molto degli onori a sè fatti. L’arcidiacono ci tenne compagnia e sedette a parte in una mensa bassa ». Così termina il racconto del celebre cronista. Negli ultimi anni del secolo XIII il convento fu visitato da alcuni truci personaggi, uno dei quali fu detto dal Poeta « il peg­ giore spirto di Romagna »,484 9Essi però non ci vennero a com- | piere opere nefande, ma per una riconciliazione che vogliamo credere fosse sincera. Frate Alberico, uno di quei frati che il popolino chiamava godenti,® il 2 maggio del 1285, come è notissimo, covando in cuore odio e vendetta, sotto mentite apparenze di perdono e di pace, invitò ad un sontuoso pranzo in una villa di Francesco suo cugino, posta nella pieve di Cesato, il cugino Manfredo e il tìglio di costui, Alberghetto, da cui si riteneva offeso. E sul finire del convito, quando frate Alberico ebbe pronunciato ad alta voce l’ordine: «Vengan le frutta» come a segno convenuto, Ugolino figlio di frate Alberico e il cugino Francesco con altri sicari si lanciarono coi pugnali levati sui due miseri ospiti e barbara-

47 Ma nella carta 3 marzo del 1265, come si è visto, compaiono solo trentuna suore compresa l’abbadessa. 48 Inferno, c. XXXIII, v. 154. 49 I frati cavalieri di S. Maria Gloriosa furono istituiti nel secolo XIII e non erano tenuti al voto di castità.

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mente li trucidarono. Questo orribile delitto accese tremendi odi in Faenza e in tutta la Romagna. Ma dopo dieci anni (1 giugno 1295) Pietro Gerra, arcivescovo di Monreale, conte di Romagna per Ronifazio Vili, nel castello di Oriolo, e poi dopo nella piazza di Faenza alla presenza del vescovo Lotterio, riuscì a rappattu­ mare la parte guelfa, rappresentata da frate Alberico e dagli altri Manfredi, e la ghibellina dai conti di Cunio e da Maghinardo da Susinana. E il giorno seguente alla presenza del conte di Ro­ magna, Alberico, conte di Cunio, per sè e per sua moglie Bea­ trice, figlia e sorella degli uccisi Manfredo e Alberghetto, si ri­ conciliò con frate Alberico, con Francesco e con Ugolino uccisori, dentro il sacro asilo delle monache clarisse dell’isola di S. Mar­ tino.50 Dopo questa riconciliazione i tre omicidi tornarono al loro confino o esilio, a cui dai legati pontifici erano stati condannati; frate Alberico in Ravenna ove morì nel 1302 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco; e Francesco Manfredi a Rimini. Quest’ul­ timo sopravvisse lungo tempo al suo delitto, anzi nel 1313 divenne capitano del popolo di Faenza, poi signore della città, il primo della sua famiglia che ne tenesse il governo. Segno dei tempi!

IV IL SECONDO MONASTERO (1305-7 c. - 1379 c.)

Dopo ottant’anni incirca le clarisse del convento dell’isola di S. Martino si traslocarono sulla riva destra del Marzeno, nel luogo ove sorgevano, come dicemmo, la chiesa e il convento dei canonici regolari. È da sapersi che Federico II imperatore, dopo aver battuto la Lega Lombarda a Cortenuova, si rivolse contro i comuni guelfi della media Italia, e nel 1240 cinse d’assedio la città di Faenza e non la lasciò finché non ebbe nelle mani (aprile 1241) la rocca forte del guelfìsmo in Romagna. Durante l’assedio la chiesa e il convento dei canonici regolari di S. Martino in Poggio furono devastati e distrutti dalle truppe imperiali e quindi abbandonati. Il vescovo di Faenza, Gualtiero, succeduto ad Alberto, il 13 giugno del 125451 credette di poter con­ cedere tutti i possedimenti di S. Martino alle vicine suore del50 Cantinelli, Chronicon, cit., coll. 277, 299, 300. 51 L anzoni, Le carte, p. 264. [in questo volume a p. 211]

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

l’isola, col patto che esse dovessero pagare, come di consueto, | le procurazioni dovute dal convento di S. Martino ai legati della Sede Apostolica. Alessandro IV, a istanza di Gualtiero e delle suore, ratificò e approvò 52 la donazione fatta dall’ordinario faen­ tino non conforme ai sacri canoni (20 gennaio 1255), e commise al vescovo d’Imola (8 marzo 1256) di metterne in possesso le suore.53 La benevolenza del pontefice andò ancora più oltre, perchè il 23 giugno del 1255 54 in un breve diretto all’abbadessa dichiarò graziosamente di ritenersi soddisfatto per quarant’anni di un censo di una libbra di cera che le suore ogni anno erano tenute di pagare alla Chiesa Romana. Ignoro però se questo censo, ri­ cordato pure nel celebre Liber censuum,55 cioè nella famosa rac­ colta di tutti i censi dovuti alla Chiesa Romana, compilata da Cencio Camerario, gravasse i beni del monastero di S. Martino in Poggio devoluti alle suore, o la loro proprietà nell’isola. E poi­ ché le suore esposero al papa che il preposto del capitolo e il clero di Faenza avevano loro imposto, come succedute ai cano­ nici regolari, di pagare le sovvenzioni solite prestarsi all’arcive­ scovo di Ravenna, e che esse coi proventi della chiesa di S. Mar­ tino e con altre elemosine a stento potevano vivere, il pontefice esentò e dispensò le suore da questo contributo e impose al vi­ cario del vescovo di Faenza di liberarle da ogni molestia; e, forse nel dubbio che la curia ecclesiastica eseguisse puntualmente il mandato pontificio, ne scrisse in proposito (22 febbraio 1256) al vescovo d’Imola. E il 14 febbraio del 1259 Alessandro IV con­ fermò e ampliò l’anzi detto privilegio.56 Intanto, forse per non sottostare alle spese del mantenimento di due chiese, o per trasferirsi da un luogo basso e umido sulle alture, le suore pensarono di abbandonare il luogo di fra Viviano e di recarsi presso la chiesa di S. Martino in Poggio. Almeno fin dal 1261 si parla di questo trasloco. Infatti nel 30 luglio di quel- | l’anno 57 Giacomo, vescovo di Faenza, confermando e rinnovando 52 Sbaraglia, op. cit., II, pp. 9-11. L’originale di questa carta è nell’Ar­ chivio di Stato in Roma, L anzoni, op. cit., n. 59. [in questo volume a p. 211] 53 L anzoni, ibid., p. 482. [in questo volume a pp. 226-227] L’originale è in Roma, ibid., n. 60. 54 Ibid., p. 483. [in questo volume a p. 226] 55 p. F abre, Le « Liber censuum », Paris 1901, p. 100. 56 L anzoni, op, cit., pp. 483, 485 [in questo volume a pp. 226-227, 229] 52 Ibid., p. 262. [in questo volume a p. 209] La carta originale in Roma, L anzoni, op. cit., n. 73.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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alla presenza di molti frati minori e col consenso del capitolo la esenzione del convento dalla giurisdizione vescovile, promise che se il monastero fosse o in tutto, o in parte, trasferito altrove nella diocesi di Faenza, esso godrebbe per parte del ve­ scovo della stessa esenzione dovunque si fosse trasferito. E otto anni dopo (9 maggio 1269) questa promessa di Giacomo fu so­ lennemente approvata da Filippo Fontana come arcivescovo di Ravenna e come legato della Sede Apostolica. Anzi il 19 dicem­ bre dello stesso anno il suddetto Filippo trovandosi pure in Faenza, saputo, come egli dice nel suo breve, che te suore avevano disposto di ricostruire la chiesa di S. Martino in Poggio vicino ai fossati della città di Faenza, commendò il loro divisamento e con­ cesse tre anni d’indulgenza a quelli che, pentiti e confesscdi, avrebbero contribuito alla fabbrica di quella chiesa e nella festa del titolare l’avrebbero visitata.5* Questo disegno di costruire una nuova chiesa di S. Martino, ne ignoro la ragione, non fu per allora eseguito; ma rimase fermo il proposito di trasferire il monastero in S. Martino in Poggio, e circa quarant’anni dopo fu recato ad effetto. Un documento del 15 febbraio del 1372 8 59 ci apprende che in quel giorno le clarisse non si trovavano più nell’isola di S. Mar­ tino, ma abitavano un convento situato presso una chiesa di S. Martino posta nella cappella, o parrocchia, dell’Ospedale. Questa parrocchia è la Commenda, come noi la chiamiamo, nel borgo Durbecco. In quel tempo il terreno ove sorse S. Martino in Poggio | apparteneva, come oggi, alla parrocchia della Commenda. Quindi nel 1372 le clarisse erano già passate ad abitare presso la chiesa di S. Martino in Poggio. La data precisa della ricostruzione della chiesa e del mona­ stero di S. Martino e del trasloco delle suore, non è rimasta; ma si può assegnare con molta approssimazione. Infatti il giorno 4 set-

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58 Ibid., pp. 485-488. [in questo volume a pp. 229-231] Il breve di Ni­ cola IV, 7 marzo 1291, su ricordato, concede alle suore del monastero di S. Maria delle Vergini delle indulgenze per chi visitasse la loro chiesa nelle feste della B. Vergine e di S. Martino. Quindi le suore, prima di traslocarsi nel luogo dei canonici regolari, celebravano la festa del santo in S. Maria dell’isola. 59 Ibid., pp. 491-492. [in questo volume a pp. 235] In questo docu­ mento, oltre l’abbadessa, Filippina di Pediano, imolese, sono registrate tredici suore vocali, di nome Amfìlisia di Buita, Agnesina di Fossolo, Gio­ vanna Rufarda, Giacoma, Manfredina, Melina di maestro Francesco, Polissena, Antonia, Diana, Druda, tutte di Faenza, Romellina del conte Bandino di Romena, Medina dei Nordigli, imolese, e Lodovica di Bologna. 21

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

tembre del 130560 fra Matteo Eschini agostiniano, vescovo di Faenza, recatosi con parecchi suoi famigliari e con alcuni frati minori nel luogo di fra Viviano, dopo avere confermato col con­ senso del capitolo i privilegi di Gualtiero e di Giacomo, suoi an­ tecessori, e specialmente quello a noi noto del 30 luglio 1261, promise che avrebbe considerato le suore come libere ed esenti dalla sua giurisdizione pure nel caso che avessero abbandonato il convento dell’isola e si fossero recate ad abitare nel convento edificato coi beni della chiesa che fu di S. Martino. Adunque nell’autunno del 1305 le suore di fra Viviano coi redditi di S. Mar­ tino in Poggio avevano fabbricato un nuovo monastero; e prima di entrarvi domandarono e ottennero dal vescovo diocesano la conferma dei privilegi goduti fino allora. E il trasloco non do­ vette avvenire molto dopo, perchè nel 130761 il cardinale legato Napoleone Orsini, trovandosi in Faenza, concesse cento giorni d’indulgenza a chiunque visitasse la chiesa di S. Martino del con­ vento di fra Viviano nelle feste della B. Vergine (la protettrice delle suore), di s. Martino (titolare della nuova chiesa), di s. Fran­ cesco, di s. Antonio di Padova e di s. Chiara (i santi dell’ordine). Questa concessione si spiega molto bene quando si supponga che nel 1307 le clarisse avessero già lasciato la chiesa di S. Maria e il convento dell’isola, e si fossero allogate presso la nuova chiesa. Il convento di S. Martino in Poggio dei canonici regolari e quindi delle clarisse sorgeva non lungi dalla casa e dalla for­ nace del signor Pasquale Mita e della Villa Laderchi. Infatti le suore possedettero fino alla fine del secolo XVIII un podere chia­ mato | il monastero, o monte di S. Martino, « ove in origine », come notano i libri d’amministrazione del convento del 1778, « era fondato il convento (...) come è pubblico e notorio » ; e que­ sto podere nel secolo XVIII era diviso in varie pezze che si sten­ devano sulla riva destra del Marzeno e del Lamone fino alla co­ sidetta Croce del Drago. Oggi queste pezze di terreno costitui­ scono almeno quattro fondi cioè il podere del fu signor Ercole Archi e quello del signor Mita sulla riva destra del Marzeno, e due fondi lungo la via di S. Lucia, cioè presso la Croce del Drago; e tutti e quattro questi fondi conservano l’antico nome S. Martino.

60 Ibid., pp. 488-490. [in questo volume a pp. 233-234] 61 Ibid., p. 263. [in questo volume a p. 209] Potrebbe supporsi che le suore si trasferissero in S. Martino in Poggio intorno alla festa di S. Mar­ tino (11 novembre del 1305).

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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Come le famiglie antichissime passando da luogo a luogo portavano seco il fuoco sacro e le ceneri degli avi, così le suore di fra Viviano nel lasciare il vecchio nido, ricco di tante me­ morie, dissotterrarono i resti mortali della suora venuta da As­ sisi a reggere col nuovo codice della povertà le faentine deside­ rose di seguire le orme di s. Chiara e di s. Francesco, e li por­ tarono seco nella nuova sede. Mentre le suore abitavano nel secondo monastero, nel 1310 o nel 1347,62 ottennero dai papi avignonesi la conferma delle libertà e immunità, concesse dai romani pontefici, e delle libertìi ed esenzioni dalle esazioni civili, indulte da re o da altri prin­ cipi secolari. Nel 7 marzo del 130463 Benedetto XI aveva man­ dato alle suore un identico breve di grazia. Un gran crocifìsso della pinacoteca comunale, lavoro che « nella forma rigida e piuttosto rozza risente della primitiva scuola pittorica toscana » 64 e viene attribuito a Ottaviano da Faenza, appartenne alle suore clarisse, e pare provenga dal se­ condo monastero. | V IL TERZO MONASTERO (1379 c. - 1862)

Le clarisse non rimasero a lungo in S. Martino in Poggio, e nello scorcio incirca dello stesso secolo XIV passarono ad abitare vicino ai fossati della città presso la porta detta del conte, o ravegnanci, nella parrocchia di S. Clemente, non lungi dal con­ vento dei frati minori. Appunto già nel dicembre del 1269, come abbiamo detto, pensavasi di traslocare la chiesa di S. Martino vicino ai fossati della città. La porta Ravegnana non aprivasi al­ lora ove è adesso, ma non lungi dall’odierno palazzo dei conti Ferniani; quindi il lato est del convento dava sulla via di S. Cle­ mente (oggi via Naviglio), per cui entravasi in città, e il lato sud guardava verso i fossati e le mura, che corrispondevano presso a poco alla via Campidori. Questo terzo monastero era molto più sicuro dei due precedenti, perchè in caso di pericolo le suore potevano facilmente rifugiarsi dentro la città; e divenne an­ cora più sicuro quando i Manfredi, allargando le mura, intro62 lbid., p. 490. [in questo volume a p. 234] 63 lbid., p. 488. [in questo volume a pp. 232-233] 64 A. M esseri , Faenza nella storia e nell’arte, p. 529.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

dussero dentro la cinta tutti i conventi che durante il medio evo erano stati fabbricati al di fuori presso le fosse. Le clarisse abitavano la nuova sede già nell’8 giugno del 1379, come si raccoglie da un documento ravennate dell’antica abbazia di S. Vitale,65 che si dice redatto in quel giorno in Faenza, ove al presente risiede l’abbadessa e le suore del luogo di fra Viviano presso il convento dei frati minori di Faenza. Si noti come le clarisse siano ancora chiamate suore del luogo di fra Viviano quando esse avevano abbandonato il convento dell’isola da circa ottanta anni; tanto sono tenaci le denominazioni volgari. E il 27 dicembre del 138866 Angelo Ricasoli, vescovo di Faenza, nel desiderio, come egli scrive, che il monastero e la chiesa di S. Chiara, situati in Faenza nella cappella di S. Clemente, fos­ sero frequentati e onorati dai fedeli, concesse quaranta giorni d’indulgenza a tutti quelli che pentiti e confessati avrebbero divotamente visitato la \chiesa del monastero nelle feste dei santi Giovanni Battista ed Evangelista. Il Ricasoli poteva dire: situati in città, o perchè vicinissimi alla medesima, o forse già protetti da serragli o bastioni, o perchè l’allargamento della cinta in quella parte era già cominciato. Parecchi anni dopo, le suore presentarono al pontefice Mar­ tino V, che tornava dal concilio di Costanza, una petizione. Esse esposero al papa che, quantunque, costrette dalle gravi calamità che desolarono Faenza, da quarant’anni avessero abbandonato la loro residenza fuori di città, e avessero fabbricato un monastero con la chiesa e con alcune officine dentro le mura, tuttavia non avevano posto sufficiente ove collocare il cimitero e altre fab­ briche vantaggiose al convento; e quindi chiedevano fosse loro assegnato al detto effetto un luogo presso il monastero 67 ove nei passati tempi esisteva un ospedale di poveri, detto « di madonna Bianca » ora del tutto abbandonato. Il papa scrivendo da Firenze il 24 maggio del 1419 68 a Giovanni Razzolini, canonico faentino, gli ordinò di udire gli interessati e di contentare le suore, se le cose da loro esposte fossero conformi a verità. Da questo documento si raccoglie che le clarisse dimoravano nella cappella di S. Clemente da quarant’anni e che quindi si recarono nella nuova sede appunto nel 1379 incirca. Le gravi 65 Lanzoni, op. cit., p. 492. [in questo volume a p. 2371 66 Ibid . , p. 492. [in questo volume a p. 237] 67 A nord. 68 Lanzoni, op. cit., p. 493. [in questo volume a pp. 237-238]

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Crocifìsso appartenuto al convento di S. Chiara; a destra la B. V., a sinistra S. M. Maddalena, e ai piedi di Gesù un p iccolo S. Francesco.“ “ Un somigliante Cristo in tavola trovasi all’Altar Maggiore del convento di S. Francesco di Villa Verucchio (cfr. Pecci, Cenni storico-artistici sul convento di Villa Ve­ rucchio, Bologna 1926, p. 18); e nella chiesa di S. Marco (Cortona) quest’ ultimo della maniera di P. Lorenzetti. Così pure nella chiesa di S. Francesco di Mercatello il crocifisso dipinto da Maestro Giovanni Baronzio di Bi­ nimi (secolo XIV) della scuola giottesca (cfr. Studia Picena, II, 1926, p. 66), prima del 1344. Ivi (p. 70) di altri simili crocifìssi dipinti su legno di Baronzio.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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calamità, a cui esse alludono, si possono facilmente indovinare, perchè dal marzo del 1376 all’aprile del 1377 le bande di ventura del condottiero inglese Giovanni Hawkwood, chiamato dagl’ita­ liani VAcuto, dimorarono nella città e nel territorio di Faenza. Non si possono leggere senza raccapriccio i racconti che ce ne sono rimasti. Il feroce sacco di quelle bande durò quattro ore e i monasteri di sacre vergini non vennero risparmiati. Le stesse religiose furono tratte in piazza dalla sfrenata soldatesca e vitu­ perate. Si racconta che il condottiero inglese con la sua stessa spada dividesse per mezzo una povera monaca capitata nelle mani di quei ribaldi.697 0| Dopo siffatti orrori i superiori ecclesia­ stici e le autorità civili dovettero pensare seriamente a ricoverare al sicuro le colombe di Cristo. Nel XV secolo non possiamo disporre che di pochi atti e di scarso interesse. La carta più importante è del 28 febbraio 1449,™ in cui il Consiglio Generale di Faenza, in contemplazione, come vi si legge, della magnifica e potente signora nostra, signora Gio­ vanna Manfredi, moglie di Astorgio II, liberò il convento da tutti i pesi e dazi e da tutte le tasse imposte e da imporsi. Nella seconda metà del secolo XV sembra che i frati fran­ cescani osservanti (così detti perchè professavano una più stretta osservanza della regola di s. Francesco) si adoperassero di intro­ durre la loro riforma nel monastero di S. Chiara, che stava sotto la direzione spirituale dei minori conventuali. Nei primordi del secolo XV il monastero faentino di S. Perpetua, di cui si è detto, caduto in rovina e abbandonato dai primitivi abitatori, fu ce­ duto ai frati osservanti, e papa Eugenio IV approvò questa ces­ sione, sicché il giorno 6 luglio del 1444 gli osservanti entrarono in possesso di quel luogo.71 Che gli osservanti cercassero d’introdurre la riforma nei con­ venti delle clarisse in generale, è cosa notissima, tanto che Euge­ nio IV, nel febbraio del 1446, per porre un termine alle esage­ razioni dei riformisti troppo ardenti, e per calmare gli scrupoli delle clarisse, che non intendevano rinunziare ai mitigamenti introdotti nella regola, dovette dichiarare che esse non potevano essere obbligate sotto pena di peccato mortale, se non all’osser­ vanza dei voti principali di obbedienza, di povertà, di castità e

69 A. Solieri, A l b e r i c o d a B a r b ia n o , Iesi 1908, p. 45. 70 T onduzzi, H i s t o r i e , p. 494. 71 V a l g i m i g l i , M e m o r i e d i F a e n z a , X, p. 163.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

di clausura, e particolarmente nelle circostanze di elezione o di destituzione dell’abbadessa. Forse gli osservanti faentini spiegarono il loro zelo per in­ durre6 anche le nostre urbaniste ad accettare la nuova riforma; ma essi non riuscirono nell’intento. Infatti quando nel luglio del 1456 Catterina Vigri eresse in Bologna un monastero di |clarisse riformate, o osservantine, due suore professe di altri conventi di più mite disciplina si recarono presso di lei, sotto la sua ob­ bedienza. E una di queste fu suor Giustina di Faenza, che non poteva provenire se non dal monastero di S. Chiara. Essa, desi­ derando di condurre una vita più rigorosa e più stretta abban­ donò le sue consorelle e si recò in Bologna sotto la direzione di Catterina. Colà si applicò con molto fervore all’osservanza dei nuovi precetti e dei nuovi usi, sicché, compiuto il noviziato, fu ammessa alla nuova solenne professione, e ad essa tenne fede fino alla morte con invitta virtù e costanza.72 Astorg'io II predilesse il convento dell’Osservanza e forse non avendo ottenuto, come avrà desiderato, che le nostre urbaniste diventassero osservantine, nel suo testamento (12 marzo 1468) dispose che con la dote della figlia Barbara, a lui premorta, si edificasse in Bondiolo un monastero di suore osservantine in onore della martire omonima. Ma il pio desiderio del principe, per ragioni a noi ignote, non venne eseguito.73 E vi è ragione di credere che i tentativi degli osservanti, d’indurre le nostre ur­ baniste ad accettare la riforma fossero ripresi. Infatti nell’Archi­ vio Vaticano, tra parecchi manoscritti dell’abate Tondini, trovo un breve di Alessandro VI, 13 agosto 1500, dall’erudito sacerdote desunto e trascritto dall’archivio Spreti di Ravenna, nel quale il pontefice, a istanza dell’abbadessa e delle suore di S. Chiara, stabilisce che il convento, affidato ai frati osservanti, fosse ri­ messo ai minori conventuali. Questo breve non dice quando e per quanto tempo il nostro convento stesse sotto la cura degli os­ servanti; ma esso è una prova, a parer mio, che nella seconda metà del XV secolo gli osservanti faentini tentarono senza frutto d’introdurre la riforma tra le clarisse. Forse per questa ragione,

72 Acta SS., Mart. II, p. 63, n. 78 (3' ed.). op. cit., XI, p. 50.

73 V a l g i m i g l i ,

b II 19 maggio 1451 (mss. Tondini nell’Archivio Vaticano, delFarch. dei conventuali di Faenza) maestro Filippo di Bologna provinciale dei frati minori nomina suo vicario fra Girolamo da Faenza e commissario nel monastero di Faenza sopra i frati e le monache.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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caduti i Manfredi, e tornata la città sotto il diretto governo della Santa Sede, i faentini nel 1510 ripresero con Giulio II le tratta­ tive per costruire in Faenza un monastero di osservantine; tratta­ tive che anche questa volta andarono a vuoto. | Le memorie dell’ordine di S. Francesco74 raccontano che nel principio del secolo XVI una suor Chiara Vandi visse e morì nel nostro convento in concetto di santa. Prima di chiudere questo capitolo mi piace notare che nei primi decenni del secolo XVI uscì da S. Chiara quell’immagine della B. Vergine, che oggi è conservata nella chiesa di S. Fran­ cesco ed è una delle più venerate dal nostro popolo col titolo della Concezione. Questa immagine, secondo la narrazione dei nostri cronisti,75 fu tolta dal convento di S. Chiara dai frati conventuali e collo­ cata nel capitolo di S. Francesco tra il 1530 e il 1535, al tempo di un guardiano di nome p. maestro Napoleone Maria. Essa co­ minciò ad essere onorata dai fanciulli di porta ravegnana, e poi della città, con la recita di devote orazioni e col recarla in pro­ cessione intorno al cimitero (ora piazzale della Chiesa). Crescendo il concorso dei fedeli, l’immagine fu trasferita dentro il tempio e posta nella cappella della Concezione, costruita poco prima del 1478. Questa immagine fu invocata nei bisogni di serenità o di pioggia, e a tale effetto si portò in processione la prima volta, per ordine del vescovo nei giorni 19, 20 e 21 giugno del 1553. E (stando al Magnani) la devota immagine, conservata dapprima in una cella delle suore, da loro ricevette il titolo della Con­ cezione e da loro fu invocata contro la siccità e le stemperate pioggie. Secondo il Valgimigli,76 la tavola della B. Vergine si sarebbe trovata nella legnaia del convento. Essa è stata larga­ mente ritoccata, quindi non può sapersi con certezza l’epoca in cui fu dipinta; rappresenta la B. V. col bambino in braccio nella forma bizantina. |

Magnani, op. cit., I, p. 267. 75 T onduzzi, op. cit., pp. XIX, 33, e Indice alla lettera M; Magnani, op. cit., pp. 269-273. 76 V algimigli, op. cit., fase. 56, p. 39; fase. 58, p. 29; Giunte, pp. 315-372. •74

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

VI LA RIFORMA DEL CONVENTO

Tutte le istituzioni umane, le più pie e sante, a poco a poco si guastano e debbono rinnovarsi. I sec. XV e XVI furono tempo di generale depravazione e di corruttele ecclesiastiche, ed anche « in molti monasteri di monache (d’Italia e di fuori) la disciplina era seriamente rilassata »,77 Quindi faceva d’uopo o che una mano risoluta recidesse i membri incancreniti, o che un medico saggio e paziente, curando i morbi inveterati, ridestasse nei malati la sanità e la vita.“ Nelle memorie della città, trovo in prima linea gli Anziani e il Consiglio Generale adoperarsi energicamente per introdurre la riforma nei conventi femminili della città, cercando di toglierli e sottrarli alla direzione dei regolari. Così nel 1515 a istanza degli Anziani e del Consiglio le monache di S. Caterina furono sottoposte alla giurisdizione del vescovo, e dopo quarant’anni i magistrati cittadini si opposero perchè questo stato di cose non fosse cambiato. Nel 1535 i medesimi ottennero da Paolo III un breve di interdizione a tutti i regolari di entrare nei monasteri della città senza licenza dei superiori in iscritto; e finalmente nel 1562 un breve di Pio IV, e poi nel 1566 un altro di Pio V sottoposero al vescovo di Faenza tutti i monasteri femminili della città.78 Questi brevi pontifici non ebbero pieno effetto; ma l’inge­ renza dei padri conventuali nella direzione spirituale del mona­ stero di S. Chiara cessò di fatto circa in quel tempo.79 Le me­ morie del convento ricordano che l’ultimo confessore dei regolari fu un padre maestro Napoleone Maria, probabilmente quello stesso che sopra abbiamo ricordato. La riforma degli istituti religiosi, ove da lunga data la di­ sci- | piina è affievolita e scossa, presenta forti ostacoli, e pro­ cede lenta e tarda, causa la tirannia delle abitudini e dei pre­ giudizi. Non è quindi a meravigliare se il visitatore apostolico,

77 L. Pastor, Storia dei papi, trad. Mercati, III, p. 125. 78 ToNDUzzi, op. cit., p. 618; V algimigli, op. cit., fase. 56, pp. 22-32; Giunte, pp. 285-310; Archivio Vaticano, 42, B. 25, p. 301. 79 Magnani, op. cit., I, p. 269. “ II rilassamento entrò in vari monasteri delle Clarisse per la grande peste del 1348 e per lo scisma d’Occidente (1377-1417 c.).

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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monsignor Marchesini, mandato da Gregorio XIII nel 1573 a ispe­ zionare e promovere la riforma nella città e nella diocesi di Faenza, dopo dieci anni dalla chiusura del celebre Concilio di Trento, trovasse e constatasse che la riforma lasciava ancora non poco a desiderare, e che, nel caso nostro, i conventi fem­ minili della città non avessero ancora raggiunto la perfetta os­ servanza regolare. È giunta fino a noi la relazione ufficiale di quella visita fa­ mosa.80 Tralasciando ciò che non si riferisce al nostro argomento, traduco dal latino la visita del convento di S. Chiara; e chiedo scusa alle buone suore se l’ordine degli avvenimenti mi costringe di rievocare una pagina oscura del loro diletto istituto: « Il 15 maggio del 1573 il visitatore apostolico si recò al mo­ nastero di S. Chiara, e dopo aver celebrato la messa e tenuto un sermone alle monache, per rendersi conto dell’osservanza delle recenti pontificie disposizioni sulla clausura ispezionò minuta­ mente il locale, e trovò che queste venivano eseguite, eccetto in alcuni particolari intorno ai quali le suore promisero di provve­ dere. Ma le monache furono molto riprese, perchè negletta la re­ gola di s. Chiara, con grave pregiudizio delle loro anime, vives­ sero manifestamente come proprietarie. Infatti ciascuna posse­ deva beni stabili, greggi di animali e somme di danaro ricavan­ done inconvenienti guadagni. E, ciò che era più deplorevole, le suore avevano diviso l’orto del monastero in tante parti secondo il loro numero, cingendole di siepe; e ciascuna aveva le proprie galline e le proprie camere e coceva i propri cibi in un camino particolare. Il visitatore fece loro intendere da qual grado della vera vita religiosa fossero cadute, e avendo esse dichiarato che erano pronte a stare ai suoi ordini come figlie di obbedienza, pur indulgendo alla loro fragilità e debolezza, comandò ai sindaci di fare una nota di tutti i beni particolari delle suore e di scriverli nel Libro | del monastero coi beni comuni, perchè tutte in comune ne percepissero il frutto e non ci fosse più nè mio nè tuo. Impose all’abbadessa di somministrare il necessario a cia­ scuna secondo le facoltà del monastero, e alle monache di met­ tere in comune pure il prezzo del loro lavoro; in una parola volle che tutte per l’avvenire vivessero del comune in comune secondo la regola di s. Chiara e il voto di povertà. Il visitatore inoltre apprese che le suore si accostavano alla santa comunione 80 Nell’Archivio vescovile e nell’Archivio capitolare di Faenza; rife­ rita in parte dal Valgimigli, nelle sue Memorie.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

non una volta al mese, come il Tridentino aveva prescritto, ma quattro volte all’anno ». A spiegazione di questo fatto, che oggi parrà molto strano, bisogna sapere che nel medio evo le persone pie, gli addetti alle confraternite, i terziari e gli stessi religiosi generalmente si con­ fessavano una volta al mese, ma si comunicavano solo tre o quat­ tro volte all’anno. In una bolla del 125381 è prescritto alle clarisse di comunicarsi nel Natale, nel Giovedì Santo, nella Pasqua, nella Pentecoste, nell’Assunta, nella festa di S. Francesco e d’Ognis­ santi; e nella regola di Urbano V I82 la comunione fu imposta nove volte, cioè nel Natale, nella Purificazione, nel principio di qua­ resima, nella Pasqua, nella Pentecoste, nelle feste di S. Pietro apostolo, di S. Chiara, di S. Francesco e d’Ognissanti. « Il visitatore prescrisse inoltre, secondo le disposizioni del Concilio di Trento, un confessore straordinario due o tre volte al­ l’anno; e vietò di introdurre persone estranee nel monastero nel giorno dell’ingresso delle novizie; finalmente il prelato si adoperò di comporre alcuni dissensi e pose fine alla visita ».83 Il vescovo di Faenza era incaricato dell’esecuzione di questi ordini; ma egli doveva superare non poche nè lievi difficoltà, non tanto da parte delle suore, quanto dei loro nobili parenti che ave­ vano tutto l’interesse, com’è facile comprendere, a conservare le cose nello stato in cui erano. Ma nel 1614 il cardinale Valenti, vescovo di Faenza, potè consolarsi di avere introdotto tra le sue | monache la vita comune. Si legge nei Libri d’amministrazione del convento che in quell’anno « l’ill.mo e rev.mo s. card. Valenti, vescovo di Faenza, in esecutione della sua cura pastorale, de­ terminò che le monache di S. Chiara di detta città habbino nell’avenire da vivere e far vita comune con tutte le entrate, censi, et ogn’altra cosa che ciascuna di esse havea e separatamente pos­ sedeva; et essendosi tutto ciò (Dio gratia) col concorso della buona et pronta volontà loro ridotto a qualche buon termine, con speranza anco, piacendo a S. D. Maestà, di condurre l’opera a stato di perfettione, S. S. 111.ma a fine che le dette monache et l’altre che loro succederanno sapino come governarsi, massime circa l’essatione de censi, alcuni de quali erano creati a nome del monastero et alcuni altri a nome di monache particolari, (...) or­

si S b a r a g l ia ,

op. cit., Index, p. 251.

82 Ibid., II, p. 509.

83 Nel 1573 il confessore ordinario era d. Giovanni Battista Marcheselli, che fu il primo rettore del seminario aperto nel 1576.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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dinò a messer Fenzolo Laganini, procuratore di detto monastero, deputato (...) che per emenda di tanta negligenza et pregiuditio, che alla giornata ne poteva resultare alle monache (...) usasse (...) ogni possibile diligentia (...) per obedire a S. S. Ill.ma ». Il Laga­ nini dichiara in seguito di avere registrato tutto al tempo dell’abbadessa suor Flavia Caroli. La riforma tridentina produsse buoni frutti. Il Magnani ri­ corda parecchie suore di S. Chiara che dopo il 1614 morirono in concetto di santa vita.84 Furono esse: Diana Maria Cavanti di Lugo (t 1634) ; Anna Francesca Severoli di Faenza (+1651), devo­ tissima del SS. Sacramento, e Agnese, sua sorella, mortificatissima (t 1652), che trovandosi ambedue in Roma col padre da bambine furono talora accarezzate dal santo cercatore cappuc­ cino Felice da Cantalice; Giulia Cavina di Faenza che vestì le sacre lane dopo la morte del marito, e morì di fiera malattia (c. 1669) dopo aver rifiutato la dignità di abbadessa, allegando che una vedova non doveva essere superiora di vergini sacre; Maria Vittoria Masi di Argenta, che giacque inferma per ventiquattr’anni (t 1676); e Chiara Girolama Grazioli, che condusse una vita austerissima (t 1703). Nel 1602 una suor Bartolomea di Palma, faentina, si recò in Imola a fondare il monastero di S. Stefano; e al tempo [ del Magnani85 si leggevano, nell’archivio del monastero, delle lettere di lei, in cui manifestava un grande desiderio di tornare in S. Chiara; ma fu prevenuta dalla morte. Il vescovo Cantoni di Faenza in un suo decreto del 22 luglio 1760 loda « l’attenzione prestata universalmente dalle religiose clarisse per l’osservanza del loro istituto»; e in un altro docu­ mento si compiace « non senza sua particolare consolazione, del buon servigio che nel monastero si prestava al Signore con un esatto adempimento delle regole e con esemplare fervore nei di­ vini offici ed orazioni ».86 Le clarisse ascoltavano ogni anno la predica per l’avvento e per la quaresima, facevano gli esercizi spirituali nella setti­ mana santa e dodici ritiri predicati all’anno. Di quando in quando a loro spese mandavano in Assisi qualche persona pia in pelle­ grinaggio per suffragio delle defunte e per espiazione delle vi­ venti. 84 Magnani, op. cit., I, pp. 268, 359-360, 372. 85 Ibid., I, pp. 332-333. 86 Decreti di sacra visita presso le monache.

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Le ricreazioni delle suore erano molto semplici e modeste. Nei Libri d’amministrazione non trovo se non la tradizionale ventura nella sera dell’Epifania. In quella circostanza alle mo­ nache e alle educande toccavano in sorte piattellini di maiolica con castagne e dolci, e alle monache zucchero e cordella sem­ plice, e alle educande cordella di seta per frontini o carte di spilli colorate. Di più l’abbadessa, nell’autunno, passava una mo­ desta merenda alle monache giovani e alle educande. Il Concilio di Trento stabilì che ogni convento di monaché fissasse il numero delle suore che si potevano mantenere. Al tempo del Tonduzzi,87 cioè nella metà incirca del secolo XVII, il convento di S. Chiara era il più numeroso dei conventi faen­ tini; contava circa cento suore tra corali e converse; ma dopo un secolo e mezzo incirca le corali erano discese a trenta, le con­ verse a quattordici e le educande a sedici. | Quantunque il più antico registro delle suore risalga al 1703, si raccoglie che il convento ben meritava il titolo di nobile, da­ togli unanimemente dai nostri cronisti, perchè vi si leggono i nomi delle più cospicue famiglie della città e dell’antica diocesi, e pure delle vicine città di Bologna, di Medicina, di Castel Guelfo, di Imola, di Lugo, di Ravenna, di Argenta, di Comacchio, di Forlì, di Terra del Sole, di Dovadola e di Cesena. I sindaci del monastero erano sempre due nobili faentini. Dai libri d’amministrazione si raccoglie che il convento di S. Chiara possedeva nei territori faentino e brisighellese più di trenta fondi e circa dieci vigne, di complessive tornature 1600 e più, con un capitale di censi di più di 11.000 scudi che ne fruttavano più di 400;88 notevole patrimonio senza dubbio, for­ mato nella massima parte da donazioni o lasciti di fedeli, patri­ monio che oggi darebbe un reddito cospicuo, ma che allora se­ condo i vigenti sistemi agricoli e per altre cause, rendeva infi­ nitamente di meno. Gli stessi Libri ci attestano che le suore di­ stribuivano pane ai poveri alla porta del monastero, e in diverse circostanze donavano largamente a persone bisognose; d’ordina­ rio ai cappuccini, agli osservanti e ai carmelitani di Faenza, e alle

87 T onduzzi, op. cit., p. 41. In quel tempo le suore degli otto mona­ steri della città salivano a circa 470; nel 1758 erano discese a 388, e nel 1795 vi erano in Faenza 299 tra corali e converse con 61 educande. 88 li capitale di censi attivi a favore delle suore nel 1786 era di scudi 11344, baiocchi 73 e denari 10, col frutto di scudi 447, baiocchi 35 e denari 8.

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cappuccine di Bagnacavallo, di Palazzolo, di Meldola, di Forlì e di Argenta, e alle salesiane, non so di dove. I doni consistevano in danaro, pane, farina, carne, agnelli, uova, pesce, torte, dolci e pani pepati. Urbano V ili (30 novembre 1637) concesse l’indulgenza ple­ naria alle monache che visitassero in certi giorni la cappella del convento; e Alessandro VII (8 marzo 1658) elargì l’indulgenza dei sette altari e delle sette chiese e altre alle messe celebrate nel monastero in alcuni giorni dell’anno.89

VII LA NUOVA FABBRICA DELLA CHIESA E DEL MONASTERO (1705-1740 c.)

Nel secolo XVII tra i conventi maschili di Faenza cominciò una vera gara per allargare e rendere più eleganti le loro resi­ denze, e per costruire nuove e più vaste chiese con alti campanili, abbattendo o trasformando le antiche chiese di stile romanico o gotico, detto allora per dispregio stile barbaro. Nel 1617 fu ridotto « a forma moderna » il convento dei fran­ cescani, e circa nello stesso tempo fu fabbricato « sontuosa­ mente » quello di S. Domenico. La chiesa del monastero di S. Maria (oggi S. Maria vecchia) fu rifatta col convento tra il 1649 e il 1673. I padri carmelitani costruirono nel 1647 la chiesa, che oggi diciamo del Suffragio-, e nel 1674, recatisi presso quella che fu dei gesuiti in Bondiolo, restaurarono quest’ultima.90 Le suore di S. Chiara, mosse da siffatti esempi, pensarono di edificare nuova chiesa e nuovo convento. L’antica chiesa, come raccogliesi dalle domestiche memorie, era «fatta a cavalletto» cioè con copertura di travi o legni a triangolo, al pari di quasi tutte le altre della città. Il nuovo edi­ ficio fu cominciato sulle fondamenta dell’antico 1*8 settembre del 1705, e venne benedetto il giorno di Pasqua (24 aprile) del 1707.91 Questa cerimonia fu eseguita da Marco Toni, abate di S. Giovanni Battista dei camaldolesi, parente di alcune monache. Egli fu as-

89 L anzoni, op. cit., p. 267. [in questo volume a pp. 214-2151 90 T onduzzi, op. cit., pp. 20-21, 29-45. 91 Le relazioni dei cronisti intorno a queste date non vanno d’accordo.

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sistito da d. Antonio Bentini, confessore, da cinque camaldolesi, da due cappellani, da altri otto preti e dai due sindaci che | «servirono da cavalieri». Il Toni cantò la messa pontificale, e dopo la cerimonia, secondo le consuetudini del tempo, ebbe in regalo un mazzo di bellissimi fiori di seta e due bacili, uno di berlingozzi e uno di « roba bianca ». I padri camaldolesi furono regalati di una torta, di quattro formaggi, di un bacile di ber­ lingozzi e di un paio di fazzoletti da tabacco per ciascuno; i sa­ cerdoti di un paolo-, e i sindaci di «rame di fiori di seta».92 Un mese prima della benedizione certo Pietro Bianchi di Como per ordine delle suore aggiustò (non saprei dire in qual modo) il quadro dell’altare maggiore « guasto dai festaioli du­ rante le quarant’ore ». E, come ci dicono le memorie del con­ vento, il pittore ebbe il suo bacile di biscottini con un paio di calzette di seta nera,93 e venti braccia di tela per quattro camicie. Il buon uomo trattenne i biscottini e rimandò il resto, promet­ tendo di fare un quadro di s. Pietro e di s. Bernardino da Siena per un altro altare, come eseguì.94 Il quadro restaurato dal Bian­ chi non può essere se non la pregevole tela di Alessandro Tiarini di Bologna (1577-1658), rappresentante una Madonna seduta in trono col Bambino, a cui s. Antonio da Padova bacia il piede, e s. Martino, s. Francesco e s. Chiara circondano con ammira­ zione devota; quadro che fu certamente nell’ancona dell’altare maggiore di S. Chiara e ora si conserva nella Pinacoteca Comu­ nale di Faenza. L’architetto della nuova chiesa fu il capitano Carlo Scaletti, faentino, lodato nelle memorie di quei tempi. Uno scrittore del secolo XVIII scrive95 che la chiesa di S. Chiara « sebbene sia pic­ cola è nondimeno da tutti stimata di ottimo disegno ». E invero, quantunque deturpata e da più di cinquantacinque anni conver­ tita in magazzeno militare, essa non smentisce il giudizio di quello | scrittore. Le suore costruirono pure il coro inferiore e il superiore, la sacristía, il confessionario, due camerini per co­ modo della sacrestia e un andito sotto il campanile: spesero in

92 I cavalieri di S. Stefano, numerosi nella nostra città, mandavano nel giorno della vestizione religiosa a tutti i confratelli assistenti un ba­ cile di canditi e dodici paia di guanti per ciascuno. 93 Di 22 paoli. 94 Per 80 scudi. 95 Presso il T onduzzi, op. cit., p. 42, nel margine dell’esemplare della Biblioteca comunale di Faenza.

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contanti scudi 3506, 56 baiocchi e 4 denari, non compresi i so­ liti regali e il vitto prestato agli artigiani e ai contadini che por­ tarono i mattoni e i legnami necessari. I cancelli e altri ornamenti del coro furono costruiti da certo Cesare Fabri di Lugo per 320 scudi, più il vitto. Le suore entrarono nel coro nuovo il 6 luglio del 1708. Poco dopo, cioè il 18 ottobre del 1709, le suore aprirono nella cinta un portone per il passaggio delle carra che avrebbero trasportato i materiali per la costruzione del nuovo monastero. Secondo un racconto alquanto sospetto, nella domenica in albis del 1710 (27 aprile) esse fecero guastare dal capomastro l’orto situato nella parte del convento vicino ai monaci camaldolesi di S. Giovanni, e gli ordinarono di prendere le misure per il nuovo edificio. Un’iscrizione che si trova nell’ex convento, dentro il cor­ tile che guarda il palazzo Ferniani, assegna l’inizio dei lavori al giorno seguente : « Lorenzo Baschieri mastro principiò li 28 aprile 1710 questa fabricha ». Il 9 maggio il vicario capitolare, canonico Carlo Naldi, as­ sistito dall’architetto Scaletti, dal sindaco Giovan Battista Azzur­ rini, discendente del famoso cronista e antiquario Bernardino, e dal confessore parroco Silvestro Lama, benedisse le fondamenta della nuova costruzione e collocò la prima pietra entro la buca del primo pilastro con una cassettina contenente reliquie sacre e un testone di Clemente XI pontefice regnante. Il vecchio convento era «angusto e rozzo» e non ne fu ri­ sparmiato se non un dormitorio; e il nuovo convento fu recato a termine tra il 1737 e il 1742.96 La porta interna del monastero | in intarsio con lo stemma dell’ordine e con due quadri, rappre­ sentanti l’uno s. Francesco e l’altro s. Chiara, fu terminata da certo Carlo Silvagni di Faenza nel 17 luglio del 1740, come ri­ sulta da un’iscrizione.97

96 Le date dei cronisti non sono conform i. Certo scrittore faentino di norme Sebastiano di Francesco Toli (t 25 maggio 1792) lasciò 26 vo­ lumi di memorie storiche patrie, che da un nipote furono dati alle fiamme. Non so com e tra i manoscritti del convento si conservi una narrazione della fabbrica della chiesa e del monastero attribuita a cotesto autore. Questo scritto ci vorrebbe far credere che le suore fabbricarono la nuova chiesa e posero la prima pietra del nuovo monastero contro la volontà del cardinale Durazzo, vescovo di Faenza. Ciò non mi sembra credibile; del resto il Valgimigli (op. cit., fase. 87, p. 7) ci assicura che i volumi del Toli erano «p ie n i di calunnie, di pettegolezzi e d’infam ie». 97 Questa porta è la stessa dell’odierno convento.

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Le suore innalzarono il chiostro e i dormitori in parte sul­ l’area dell’antico convento e in parte sopra un cortile che era situato dentro il recinto del monastero e prospettava le odierne vie Naviglio e Campidori. Nell’area di questo recinto costruirono un maestoso atrio di entrata. Ma in causa di questo fabbricato aggiunto, la chiesa del 1705 rimase sacrificata, ossia chiusa e quasi invisibile dentro il recinto monastico. I libri d’amministrazione di quel tempo mancano, e quindi non è possibile sapere la spesa complessiva della fabbrica del nuovo convento. Si conosce soltanto che nel 1739 la costruzione del portico, del coretto, dei soprasolari, della nuova cantoria e di poche altre cose ammontarono a scudi 712, baiocchi 76 e de­ nari 2, e nel 1737 le nuove cantine costarono 260 scudi, 14 baioc­ chi e 14 denari.98 | Nel 1775 Pio VI, al tempo dell’abbadessa Chiara Serafica Archi,99 concesse l’indulto dell’altare privilegiato quotidiano per­ petuo all’altare maggiore per l’anima delle monache, dei consan­ guinei, degli affini in primo e secondo grado e dei benefattori; e in altri giorni a qualunque altare negli anniversari, nelle tri­ gesime, nelle settime, e nel giorno della morte e della deposizione. Ciò si legge in un’iscrizione dipinta nel presbitero della soppressa chiesa. In quel tempo le corporazioni religiose di Faenza, come ga­ reggiarono tra loro nel fabbricare conventi, chiese e campanili, così nel provvedersi di apparati sfarzosi e di ricche suppellettili sacre. Il convento di S. Chiara fu non secondo agli altri. 98 Contemporaneamente alle clarisse i conventi faentini ampliarono e abbellirono le loro abitazioni e fabbricarono nuove chiese. Colla compra di case attigue furono allargati i monasteri di S. Cecilia (1722), di S. Ma­ giorio (1723), di S. Paolo (1724-1737-1739), dei Cappuccini (1727-1748), di S. Umiltà (1729-1741), di S. Maria dall’Angelo (1750), di S. Catterina (1752), di S. Giovanni (1756), di S. Lucia (1765), e della SS. Trinità (circa nello stesso tempo). Furono costruite le chiese di S. Agostino (1720-1721), della SS. Trinità (1721-1723), di S. Lucia (1724-1725), dei Servi (1726-1735), di S. Umiltà (1741), di S. Francesco (1746-1752), di S. Domenico (1761-1765), di S. Giuseppe (1763), dei Celestini (1764), di S. Ippolito (1771-1775, rico­ struzione), di S. Catterina (1777), di S. Paolo (1780, restauro), di S. Ma­ giorio e del Paradiso. Sorsero i campanili di S. Agostino (1720-1721), di S. Francesco (1743), di S. Domenico (1762-1763), e dei Servi (1758-1774). La nostra città adunque prese in quel secolo l’aspetto edilizi^ che con ­ serva, nè dopo quel tempo furono costruiti edifìzì religiosi di qualche im­ portanza, se si eccettua la parrocchia di S. Vitale. 99 Vestì il 20 gennaio del 1726 e si spense di 90 anni il 3 gennaio del 1800.

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Dal 1797 in poi, causa le politiche vicende, una parte di quel magnifico corredo si è perduta; tuttavia rimangono ancora testimoni ragguardevoli dell’antica ricchezza. Le suore conser­ vano, oltre un numero rispettabile di vesti sacre preziose, un alto candelabro in legno per il cereo pasquale del secolo XVII o del principio del XVIII; un’elegante residenza in lamina d’ar­ gento col fondo di damasco rosso pel SS. Sacramento, forse della fine del secolo XVII, «rimodernato», come vi si legge, «nel 1781»; un grande pallio per altare, costruito a spese di alcune suore nel 1766, che durante l’occupazione dei francesi fu spogliato del suo argenteo rivestimento; una grande e bella residenza per la B. Vergine della Misericordia, tutta di lastra d’argento col fondo in damasco rosso, lavorata dall’orefice faentino Missiroli (forse autore del pallio del 1766 e del rimodernamento del 1781) e inau­ gurata «con magnifica pompa» l’8 settembre del 1778;100 un pallio di tocca d’oro per altare con fodera di seta (1794); e finalmente tre tavolette per altare di metallo dorato, forse dello stesso Missiroli. Nel 1740 certo Sebastiano Fabri costruì per il coro un or­ gano di 7 piedi con |registri e contrabassi del valore di 100 scudi ; e nel 1793 fu comprato in Bologna per la chiesa un organo nuovo.101 In verità l’altare maggiore adorno del quadro del Tiarini e di due statue di stucco ai lati rappresentanti s. Pietro e s. Paolo, corredato di quella splendida suppellettile, e sfavillante in mezzo a centinaia e centinaia di lumi, come allora costumavasi, doveva produrre un bellissimo effetto. In Italia il secolo XVIII si potrebbe chiamare il secolo delle feste. Nelle città italiane di quel tempo si succedevano ininter­ rottamente feste civili e funzioni religiose; alle quali tutta la po­ polazione partecipava senza eccezioni perchè non esistevano al­ lora divisioni di parte. Processioni sacre tenevano dietro a cortei carnevaleschi; opere in musica, commedie, ricevimenti e feste da ballo, e accademie di Arcadi, di Infarinati, di Eratosinfoni e di che so io, a oratori sacri, a sacre rappresentazioni, a scene pla­ stiche dei Sepolcri; e corse di barberi e al pallio, e partite di

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100 Costò 535 scudi. 101 Nel 1780 i celebri Graziarli fabbricarono per una suora di S. Chiara un presepio di terra cotta di sessanta figure. Suor Francesca Luigia Berlinzani (t 1794), quando si rese religiosa regalò al monastero 100 scudi per una lampada d’argento. 22

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giuoco del pallone, e giostre e tornei e cuccagne, a sacre mis­ sioni, a panegirici, a quarantore. E le feste religiose venivano ce­ lebrate non meno sfarzosamente delle feste civili, con cantate, concerti di orchestra, fuochi artificiali, spari di mortaretti, tiri d’artiglieria, suoni di campane e di trombe, apparati, fiori, lu­ miere, rinfreschi per i nobili e fontane di vino per la plebe, e di notte illuminazione a giorno, e torcie per le piazze e per le vie. I cavalieri e le dame vestivano abiti ricamati di seta, di colori vivacissimi e si coprivano di gioie e di ciondoli d’oro e d’argento. I dignitari ecclesiastici indossavano vesti di broccato e di seta, e camici ricamati in argento e oro. Perfino le processioni di pe­ nitenza prendevano forme di spettacoli coreografici; le ragazze vi comparivano vestite di bianco; i cavalieri e le dame procede­ vano con nere gramaglie; il vescovo e i sacerdoti a piedi scalzi e con corda al collo, e i religiosi con corona di spine in capo. Orchestre di strumenti scordati precedevano la comitiva « per si­ gnificare l’universale desolazione ». | Per restringermi alle suore di S. Chiara, cronisti di quei giorni notano con visibile compiacenza che le suore celebravano le loro feste « con pompa solenne » come essi dicono, e « con pompa magnifica ». Le feste più importanti del convento erano quelle di s. Chiara, di s. Francesco, di s. Martino e dell’elezione della nuova abbadessa, e le meno ragguardevoli quelle della B. Vergine della Misericordia e di s. Luigi. Venivano celebrate con messe cantate e musiche, accompagnate da organo e da stru­ menti, con panegirici recitati da predicatori famosi o anche « da una religiosa particulare » (crederei piuttosto in coro che in chiesa) e con apparati e mortari. Le suore solevano accompagnare col suono e col canto le funzioni celebrate nella loro chiesa, e davano una grande importanza all’arte di Euterpe. Dalle memo­ rie del convento si raccoglie che la suora organista e la suora maestra di canto godevano certi privilegi, e le giovani esperte nel canto e nel suono venivano accolte senza dote o con note­ voli agevolezze. Alle feste del convento venivano invitati i su­ periori ecclesiastici e i prelati, vescovi o cardinali che in quel tempo abitassero in Faenza; e tutti erano abbondantemente re­ galati, cominciando dal vescovo e dal suo vicario, dal medico, dal chirurgo, dal procuratore, dal padre confessore, dai cappel­ lani, fino al cancelliere, ai servitori del vescovo e del vicario, al bargello, al fattore di casa, ai due di campagna, al chierico sa-

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crestano, all’ortolano, alle due inservienti della ruota, alla serva del fattore, al fornaio e al garzone del fornaio. Ai superiori ec­ clesiastici e alle persone di maggior riguardo si davano sonetti stampati in carta di lusso o in seta, o semplice o doppia con guar­ nizione, mazzi di fiori, camici, calze, fazzoletti damascati o di seta d’Olanda, bacili di dolci, galli d’india, pollastri, capponi, colombi, agnelli, uova, formaggi, torte di formaggi freschi e di erbe, pani pepati; e si servivano agli invitati rinfreschi e ciocco­ late e rosoli e sorbetti. Il predicatore riceveva il suo dono entro una borsetta di seta ricamata. Il primo biografo di s. Chiara racconta che la divota fondatrice soleva regalare alle chiese po­ vere tele da lei lavorate entro borse di seta. Nel secolo XVIII le stesse monacazioni prendevano l’atteggia­ mento di feste. Nel 1754 Benedetto XIV bandì da siffatte fun- ] zioni le messe cantate, gli spari, i rinfreschi, le musiche, le stampe di poesie e di prose, i larghi inviti fuori dei parenti di primo e secondo grado, e altre cerimonie che sembravano dare un co­ lore alquanto profano all’umile professione dei consigli evange­ lici; ma queste limitazioni non furono del tutto osservate nè al­ trove, nè in Faenza stessa. Le suore prendevano parte, quanto era possibile, pure alle feste della città, non solo alle feste religiose, ma talora non fu­ rono estranee del tutto alle feste civili. Le processioni sacre, in quel tempo lunghissime, solevano transitare davanti alle porte e per mezzo alle chiese dei monasteri femminili, perchè le re­ ligiose potessero vedere e venerare le immagini o le statue e of­ frire loro donativi. Qualche volta (ad esempio nel 1739) i supe­ riori ecclesiastici non credettero impedire che i cortei carneva­ leschi passassero davanti al così detto portone delle corra, e le suore, spalancati i battenti, si allineassero sul limitare della clau­ sura per vedere i loro nobili parenti sfilare davanti a loro « vestiti all’eroica » e rappresentanti i personaggi della classica antichità. Questa vita idilliaca non poteva durare, e già la bufera ri­ voluzionaria rumoreggiava e rombava cupamente da lontano. La tempesta scoppiò improvvisa, insospettata, sopra il nostro paese, e spazzò via le frivolezze dominanti nel XVIII secolo; ma (purtroppo!) con molte cose caduche essa abbattè e schiantò isti­ tuzioni venerabili che non dovevano essere travolte, perchè su­ scettibili di miglioramento e capacissime di dare frutti utili alla religione e alla società civile. |

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Vili LA SOPPRESSIONE DELL’ANTICO CONVENTO (1797-1805)

Le truppe della repubblica francese entrarono in Faenza il 24 giugno del 1796, e stabilmente vi riposero il piede il 2 feb­ braio successivo,102 ponendo termine al governo dei papi, e in pochi giorni sconvolgendo gli antichi ordinamenti civili e religiosi della provincia di Ravenna.103 Nel primo tempo le clarisse, come gli altri conventi, dovet­ tero pagare in oggetti d’oro e d’argento e in danaro, forte con­ tribuzione di guerra; e dall’8 al 18 luglio 1796 accolsero e alber­ garono nel monastero le clarisse di Cotignola. Queste povere re­ ligiose, nel timore di cadere nelle mani delle soldatesche fran­ cesi, inferocite dopo i noti fatti di Lugo, salirono tutte in barca, e per il canale Naviglio giunsero alla darsena di porta Pia, e di là si ricoverarono in S. Chiara rimanendovi finché i francesi non ebbero sgombrato la provincia di Ravenna.104 Il governo rivoluzionario, insediatosi tra noi nell’anno 1797, fu creato e formato dagli invasori alla foggia di quello della re­ pubblica francese, e composto dei cittadini più infatuati delle nuove idee, e guidato interamente dai comandanti dell’esercito francese. Ren presto esso abolì tutti i privilegi concessi dal diritto canonico |agli ecclesiastici e ai religiosi, e si arrogò il diritto, non solo di sorvegliare l’amministrazione dei beni conventuali, di no­ minare gli amministratori, e dichiarò i loro fondi beni nazionali, ma pretese di sorvegliare il regime interno dei monasteri. Nei mo­ nasteri femminili si riservò l’approvazione dei confessori, l’esame delle fanciulle probande e novizie, e limitò a suo grado il nu­ mero delle monacande. Nominò a sindaci di S. Chiara il celebre 102 La mattina del 3 febbraio del 1797 due ufficiali dell’esercito inva­ sore si presentarono alla porta del convento a chiedere denaro ed ebbero dalle suore 30 scudi. 103 Prima che le truppe francesi entrassero nello Stato Pontificio le suore sentirono in qualche modo gli effetti della Rivoluzione, perchè dal 1794 dovettero pagare la tassa imposta da Pio VI in favore dei preti emi­ grati francesi, ricoverati nelle terre della Santa Sede. 104 Le clarisse di Cotignola furono fondate nel 1653; abitarono nel nostro convento in numero di 12 per d odici giorni e sborsarono al con ­ vento 10 baiocchi al giorno. Sia lecito aggiungere che nel 21 maggio del 1707 molte zitelle e gentildonne faentine ricoverarono in S. Chiara te­ mendo le insolenze dei soldati imperiali che in quel mese attraversarono la città e il territorio faentino.

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11 convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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architetto Giuseppe Pistocchi e Antonio Tassinari, ambedue pa­ triota, come si chiamavano i fautori delle nuove idee. Tutti e due erano stati incarcerati nel 1796 dal governo pontificio, come rei di giacobinismo. L’ultima suora dell’antico convento professò il 3 maggio del 1797. Dal febbraio del ’97 all’estate del ’99, cioè fino al tempo in cui il governo repubblicano fu rovesciato dalle truppe alleate, le contribuzioni di guerra imposte alla provincia di Ravenna sali­ rono a circa 500.000 scudi, di cui una parte non piccola fu sbor­ sata dai monasteri. Si aggiungano i prestiti forzati e le inacerbite imposte; sicché i religiosi, per pagare la loro tangente, dovettero consegnare i denari e gli oggetti d’oro e d’argento che possede­ vano, affittare una parte dei fondi per corrisposte meschine, e alienare l’altra per conto del governo, contentandosi del 6% dei fondi venduti. Di quando in quando poi i religiosi, dietro inviti che valevano comandi a cui impunemente non potevasi resistere, dovettero somministrare all’esercito francese grano, orzo, orzola, fava, canapa, lino, vino, granturco, legname, lenzuoli, letti e per­ fino drappi rossi per fare monture. Alla fine del ’97 il governo repubblicano fu come invaso da una furia di devastazione; nulla risparmiò e tutto distrusse ciò che ricordava l’antico regime; atterrò, cancellò o strappò gli stemmi nobiliari, laici o ecclesiastici, sia che fossero scolpiti nelle vie, nelle piazze, e nelle sale del palazzo comunale, sia che fos­ sero dipinti nelle banche delle chiese o ricamati negli arredi di sacrestia. Nella notte del 21 dicembre a colpi di piccone fece in pezzi una vecchia colonna di sasso con sopravi innestata una croce di ferro, che sorgeva sul cantone di S. Chiara presso le stalle dei conti |Ferniani in memoria dell’antica porta ravegnana della città, porta, come abbiamo detto, situata nel secolo XIV non molto discosta dal convento di S. Chiara. Come la rivoluzione sopppresse in Francia le corporazioni religiose, così fece in Italia. In Faenza dapprima furono espulsi i camaldolesi di S. Giovanni Battista, poi nel giugno del ’97 gli agostiniani, i serviti, i carmelitani, i celestini, i cisterciensi, i do­ menicani ecc., e nell’agosto furono concentrati i conventi fem­ minili. Le camaldolesi di S. Magiorio furono agglomerate con quelle della SS. Trinità del Borgo; le domenicane di S. Cecilia (ora istituto Righi) vennero conglobate con le domenicane di S. Catterina (oggi monastero di S. Magiorio); e certe suore fran­ cescane, nate nel secolo XVI, che abitavano il convento di

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

S. Paolo (fino a pochi anni fa Orfanotrofio femminile), furono unite e incorporate con quelle di S. Chiara. L’ex conte Ginnasi di Faenza, commissario del potere esecutivo presso il diparti­ mento del Lamone, il 22 termidoro dell’anno VI repubblicano (9 agosto 1798) ordinò alla cittadina superiora « in nome della repubblica Cisalpina una ed indivisibile di ricevere 37 cittadine religiose appartenenti al già convento di S. Paolo ». Durante il breve tempo dell’occupazione imperiale (17991800) il vescovo di Faenza monsignor Manciniorte «con gran forza e pietà e zelo », come si legge in documenti del tempo, si adoperò presso il nuovo governo per distruggere la concentra­ zione delle francescane in S. Chiara, operata nel 1798; concen­ trazione che non piaceva a nessuna delle due parti e dava ori­ gine a parecchi inconvenienti. Ma le industrie del buon prelato non riuscirono a nulla, perchè, come io penso, fin d’allora molti faentini avevano posti gli occhi sopra il locale di S. Paolo per collocarvi le orfanelle, o Micheline, o altro pio istituto, come fu eseguito durante il governo napoleonico. La trasformazione del governo repubblicano in monarchico, avvenuta dippoi in Italia con Napoleone re, non migliorò ma rese peggiori le sorti dei nostri conventi. Nel maggio del 1805 il governo avocò alla Nazione i beni mobili e immobili di tutti i conventi maschili e femminili del regno |d’Italia; e in compenso (8 giugno) assegnò a ciascun mem­ bro delle corporazioni disciolte un’annua pensione. In Faenza questi decreti furono dati in esecuzione nella prima decade di luglio. L’inventario dei beni del convento di S. Chiara fu compilato dagli agenti del governo l’i l di quel mese. « La casa », dicono le memorie del convento, « fu spogliata delle mobilie e dei più minuti commestibili, e le suore dovettero ri­ comprarli dal demanio con le future pensioni perchè non fossero posti all’incanto ». I funzionari del governo asportarono pure gli arredi di chiesa; quantunque i più preziosi (tra gli altri la resi­ denza della B. Vergine della Misericordia) fossero restituiti (31 luglio) per ordine del Prefetto. Il convento di S. Chiara però non fu chiuso. Esso rimase aperto perchè fu annoverato dal governo tra gli 80 conventi del regno italico, che venivano conservati. Le suore di S. Chiara e di S. Paolo seguitarono dunque ad abitarvi, dotate dell’annua pen­ sione governativa e col semplice uso della chiesa e della casa, sciolte però dalle leggi canoniche che oramai erano incompati­ bili col nuovo stato di cose.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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Quanto avrebbe durato questa nuova vita? Una spada di Damocle pendeva sopra le suore, e da un momento all’altro il volere, o il capriccio del despota che impauriva l’Europa, avrebbe potuto recidere il filo che la teneva sospesa.105 |

IX LA DISPERSIONE DELL’ARCHIVIO

Le antiche clarisse ebbero il merito di conservare le carte e le memorie del convento fino dai primordi. Il Tonduzzi, il primo storico di Faenza, compulsò nel se­ colo XVII l’archivio di S. Chiara, e nel suo lavoro fece menzione di circa otto pergamene del convento.106 Nella prima parte del secolo seguente il Magnani, agiografo faentino, non riprodusse nè ricordò alcuna pergamena del con­ vento, ma citò spesso altri documenti dell’archivio; ad esempio le memorie riferentisi alla B. V. della Concezione e alle clarisse morte in concetto di santa vita durante i secoli XVII e XVIII, che sopra abbiamo ricordato. Nella seconda parte del 1700 l’erudito padre conventuale Sbaraglia pubblicò il Bullarium Franciscanum, cioè un’impor­ tante raccolta di bolle e di brevi pontifici relativi ai tre ordini di s. Francesco, e in esso raccolse dall’archivio di S. Chiara e pubblicò due carte del secolo XIII.107 Poco dopo l’abate Giovan Battista Tondini, sacerdote brisighellese, che fu maestro di belle lettere in Faenza e in parecchi altri luoghi d’Italia, specie nelle Marche,108 trascrisse, dai conventi di Faenza e di molti altri paesi, gran numero di carte e di docu­ menti col principale intento di comporre una storia ecclesiastica della nostra città, oppure una serie cronologica dei vescovi di

105 Nei due ultimi paragrafi non si è creduto di citare i numerosi e ben noti cronisti faentini del secolo XVIII e del periodo rivoluzionario per non ingombrare di riferenze inutili queste modeste pagine. 106 Historie di Faenza, pp. 41, 296, 371. 107 S baraglia, op. cit., I, p. 149; II, p. 9. M ittarelli , De Litteratura faventinorum, col. 172; E. Marabini , Cenni biografici di uomini illustri brisighellesi, Brisighella 1914, p. 57. 108

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Faenza dai primordi fino ai suoi giorni; lavoro però che non condusse a termine.109 Questo abate Tondini pare che non fosse immune da un di­ fetto I che si riscontra talora negli amatori di antichità; cioè di non prendersi molta cura di restituire ciò che gentilmente viene a loro dato in prestito. Nel penultimo decennio incirca del se­ colo XVIII il nostro erudito sacerdote ebbe dalle suore di S. Chiara le pergamene del loro archivio; le trascrisse in gran parte, e ne fece un indice, quantunque non sempre esatto, ma non le restituì, quale se ne fosse la cagione, alle proprietarie, e le ritenne presso di sè in un suo deposito privato, da lui chia­ mato umanisticamente musoleum (piccolo museo). Dopo la morte del Tondini, avvenuta nei primi anni del se­ colo XIX, i manoscritti di quell’erudito passarono per le mani di molti e, per quanto è dato sapere, di monsignor Andrea Strocchi, autore di una Serie storico-critica dei vescovi di Faenza, di Bar­ tolomeo Righi, scrittore degli Annali di Faenza da lui dati in luce; dell’Argnani che si occupò delle nostre maioliche e diede un lavoro alle stampe su questo argomento, e forse di altri. I manoscritti del Tondini sono andati qua e là dispersi. Una parte si trova nella biblioteca comunale di Faenza. Un libercolo, di mano di lui, intitolato Memorie relative al convento di S. Chiara di Faenza, contiene appunto quattro indici delle pergamene dell’ex-archivio e copie di parecchi documenti. Purtroppo gli in­ dici sono alquanto confusi e le copie non sempre corrette. Nel 1912 l’autore di queste Notizie Storiche nel tomo V dell’Arc/iivum Franciscanum Historicum parlò dei manoscritti del Tondini e pubblicò la parte più importante delle pergamene trascritte dall’abate. Altre trascrizioni delle pergamene di S. Chiara, fatte parimenti dal Tonduzzi, si trovano nell’Archivio Vaticano. Le pergamene raccolte dal Tondini nel suo museolum hanno subito una sorte più dolorosa, perchè la maggior parte di esse più non si trova. Sette pergamene incirca dell’antico archivio di S. Chiara, cioè una piccola parte di quelle trascritte dal Ton­ dini, si conservano nell’Archivio di Stato a Roma. Da questi pochi originali, quantunque superficialmente esaminati, ho potuto rac­ cogliere che le copie del Tondini della biblioteca comunale di Faenza non sono sempre esatte.

109 Atti e memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna, I, Bologna 1862, pp. XXIII e ss.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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Così nello scorcio del secolo XVIII le nostre clarisse per- | dettero quelle pergamene che per più di cinque secoli avevano saputo conservare. Il mal vezzo dell’abate Tondini di ritenere presso di sè ciò che venivagli imprestato, non potrebbe deplo­ rarsi abbastanza. Ma bisogna convenire che, se l’erudito sacer­ dote non avesse richiesto alle suore e trascritto le antiche per­ gamene, forse esse non sarebbero pervenute fino a noi.110 L’archivio di S. Chiara ricevette l’ultimo colpo nel 1805, cioè quando il governo del Regno Italico sequestrò cogli immobili i beni mobili del monastero. Pochissimi documenti sono rimasti presso le suore, e alcuni libri d’amministrazione dopo varie vi­ cende sono passati nella biblioteca comunale di Faenza.

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IL NUOVO EDUCANDATO (1805-11)

Nello scorcio del secolo XVIII e in principio del seguente viveva nel convento di S. Chiara una religiosa di nome suor Te­ resa Rampi che dai contemporanei fu salutata la seconda fon­ datrice del Monastero. Domenica Maria Rampi nacque in Faenza il 18 febbraio del 1757 nella parrocchia di S. Maria degli Ughi,111 e fu la primoge­ nita di dieci figli112 del notaio Bernardo 113 e di Maria Giuliana no L’ab. Tondini non fu il solo faentino che avesse il malvezzo di cui abbiamo parlato. Alcuni documenti del 1637, conservati nell’Archivio Va­ ticano (armadio 36, t. 38, pp. 548 u-549 v), raccontano che in quei tempi i padri cisterciensi di Faenza (abitanti in S. Maria Vecchia) donavano pergamene del loro archivio « a chi ne v u o le »; « i cittadini (di Faenza) che si dilettavano d’antichità ne usurpavano dall’ archivio dei Manfredi, che si salvò in S. Francesco, quand’ una e quand’un’altra di mano de frati, che n’hanno anco fatte delle coperte a lib r i» ; « l’archidiacono non aveva fatto mai altra professione che radunare in molt’anni scritture et instromenti antichi e non rendeva mai a nessuno quel che riceveva (...) era so­ lito portarne de’ fasci in casa sua, e i nepoti doppo la morte di lui n’hanno restituite alcune ». 111 S. Maria degli Ughi fu soppressa l’8 agosto del 1764 in occasione della fabbrica dell’ OspedaZe Infermi, a cui furono uniti i suoi beni. La cura venne aggregata a S. Eutropio. Ambedue queste parrocchie sorgevano lungo il corso di Porta Imolese. 112 Tutti ebbero al nome proprio aggiunto quello di Maria. 1D Che fu notaio e procuratore di S. Chiara dal 1775 al 1793 almeno.

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Laghi. Vestì l’abito religioso il 9 giugno del 1776 nel posto di suor Paola Francesca Zudoli, che era stata abbadessa, e assunse il nome di suor Teresa Margherita Paola114 Francesca, sotto il governo di suor Chiara Serafica Archi. Le monache di S. Chiara conservano nell’archivio un opu­ scolo di 56 pagine legato e coperto di seta gialla, edito in Faenza nella stamperia dell’Archi, contenente una « raccolta di poetici applausi per la solenne vestizione della signora Domenica Maria Rampi, cittadina faentina, nel nobilissimo ed antichissimo mona­ stero di S. Chiara in Faenza». Le rime furono offerte «a l rag­ guardevolissimo merito» del vescovo di Faenza dall’avvocato Francesco | Rampi, zio della nuova religiosa. Tra i quaranta scrittori che per celebrare la monacazione di Domenica compo­ sero canzonette anacreontiche, sonetti frugoniani, esametri virgi­ liani e odi oraziane, figurano nomi cospicui, a quel tempo, di pa­ stori arcadi e di accademici romani, bolognesi, ravennati, ferra­ resi, parmensi, veronesi, roveretani e faentini; tra i quali il se­ natore conte Lodovico Savioli di Bologna, il ferrarese Onofrio Minzoni e i faentini dott. Antonio Bucci, abbate Francesco Mac­ cabelli, parroco Antonio Laghi, di cui sono piene le memorie let­ terarie di quel secolo, e il conte Francesco Conti, che dopo vent’anni diventò uno dei più arrabbiati giacobini della città di Faenza. Suor Teresa fece la solenne professione il 13 giugno del 1777. « Fin da quando suor Teresa venne in convento», scrive d. Domenico Timoncini nelle carte del monastero, « si conobbero gli alti spiriti e la gran mente che aveva da natura riportati, e sopra di lei si fondarono le più belle speranze. L’aspettazione non andò delusa, perchè fino dai primi anni dopo la sua profes­ sione acquistò tale una preponderanza sopra l’animo delle con­ sorelle che quantunque fossero per età e per religione più avan­ zate di lei, pure tutte ascoltavano e seguivano il suo parere ». Negli ultimi difficili anni (1803-1805) le abbadesse Lelli e Zabberoni si giovarono di lei nell’amministrazione del convento. « In quel tempo io fui compresa », scrive essa medesima, «d a un forte pensiero per l’avvenire; e l’idea che un giorno o l’altro l’amato mio monastero dovesse trovarsi in preda al van­ dalismo, mi arrecava la più tormentosa inquietezza ». Ella temeva giustamente che il decreto reale del 1805, conservante 80 con114 I nomi delle sorelle di Domenica.

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II convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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venti nel Regno Italico, tra i quali S. Chiara, avrebbe avuto la solidità di tanti altri simili, che duravano la vita di pochi anni, e non di rado di pochi mesi o giorni. « Pareva che in quel tempo il governo avesse in qualche pregio l’educazione, onde mi lu­ singai » continua suor Teresa, «che introducendola tra di noi, po­ tesse servire di antemurale alle future scosse. Ricorsi pertanto a monsignor Boschi, vicario capitolare (dopo la morte di Mancinforte), il quale riconosciuta l’utilità della cosa, l’approvò, e, per­ chè fossero osservati li decreti della Sacra Congregazione, volle che le fanciulle educqnàle rimanessero affatto | separate dalle monache; e a tale oggetto dispose una piccola porzione del lo­ cale perchè servisse di educatorio. S’incontrarono molte difficoltà per parte delle religiose, naturalmente ripugnanti al gravoso in­ carico della educazione, ma la fermezza di monsignor vicario vinse ogni ostacolo ». La madre Rampi con queste parole reca tutto il merito della fondazione al vicario. Noi siamo ben disposti a credere che quel pio e saggio prelato abbia coadiuvato la Rampi coll’autorità del suo grado; ma è certo che la proposta venne da suor Teresa, ed ella ebbe non piccola parte nella sua attuazione. Ella guadagnò alla sua causa l’abbadessa suor Crocifìssa Lelli, e alcune delle mo­ nache più intelligenti che l’aiutarono poi nell’educazione e nella istruzione delle fanciulle, sicché in altro luogo la Rampi scrive giustamente: «Qualunque sia questa istituzione, è opera m ia». Non deve credersi che innanzi al 1805 il convento di S. Chiara non avesse un educandato di fanciulle. Nè il monastero delle clarisse, nè gli altri di Faenza furono senza educande nel XVII e nel XVIII secolo. In una statistica del 1758 appaiono 47 educande, scompartite tra i monasteri della città, e 61 nel 1795. Nel convento di S. Chiara in particolare si accolsero giovi­ nette in educazione almeno fino dal 1678,115 e 16 ve ne dimora­ vano nel 1795, e in tal numero più o meno si trovano tra il 1678 e il 1795. Queste aducande appartenevano alle più importanti fa­ miglie della città e delle terre vicine. Le prime, di cui trovasi me­ moria, portavano i più bei nomi dell’aristocrazia faentina, cioè Severoli, Zanelli, Cantoni, Saletti ecc. 115 La perdita dei libri d ’amministrazione del convento non ci permette di risalire più in alto. La relazione ufficiale della visita apostolica del 1573 non fa parola di educande in nessuno dei monastero della città, sic­ ché deve credersi che i nostri educandati cominciassero dopo quel tempo.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Il Vescovo Cantoni (1742-1767) proibì alle monache di Faenza di tenere neH’educandato giovinette promesse spose. A questo proposito è da sapersi che nel secolo XVIII, e più ancora nel tempo antecedente, le giovinette di nobili famiglie venivano pro­ messe in età freschissima. Lo stesso prelato Cantoni proibì che le edu- |cande di Faenza vestissero abiti di seta, e usassero ori, argenti, merletti e gioie; permise alle già introdotte abiti mo­ desti di colore bianco, nero, pavonazzo, leonato (dal vello leo­ nino) e simili, e ordinò per il futuro abiti di colore oscuro. Si sa che le dame del secolo XVIII vestivano riccamente e di colori sgargianti. Questo antico educandato di S. Chiara fu disciolto nel luglio del 1798, cioè quando fu necessario preparare in fretta l’abita­ zione per le suore di S. Paolo, che furono concentrate in S. Chiara, come si è detto, il 9 agosto di quell’anno. La madre Rampi ha il merito di aver pensato a restaurare l’educatorio in quei momenti tanto paurosi, quando cioè il con­ vento andava in isfacelo, i beni venivano alienati e dispersi, e non rimaneva alle suore se non la casa dove abitavano e una povera pensione somministrata da un governo ostile; e quando l’avvilimento e il timore di nuove sciagure turbava gli animi e deprimeva i cuori più costanti. Si trattava di erigere un nuovo edu­ catorio in un monastero, più che pieno, stipato di religiose di due istituti diversi, e quindi non bene affiatate tra loro. La Rampi riuscì a guadagnare alla sua causa non solo l’abbadessa e alcune consorelle, ma due delle stesse suore di S. Paolo. Essa ha pure il merito di aver dato, la prima in Faenza, all’educazione e al­ l’istruzione delle fanciulle un’importanza molto maggiore di quella che avesse negli antichi educandati. In codesti educatori l’istruzione era ben poca cosa. Una suora, col titolo di maestra, insegnava alle giovinette poco più poco meno di leggere e scrivere. Le nuove educande di S. Chiara, secondo le istituzioni ca­ noniche, ebbero regole, maestre, inservienti, scuole, dormitorio e refettorio propri, affatto distinti e separati. Alle monache fu in­ terdetta qualunque ingerenza nell’educandato, eccetto a quelle destinate dai superiori, cioè una presidente, una direttrice di spi­ rito, due maestre di studi, di lavori e di civile educazione, una dispensiera, e una vestiaria. Furono ammesse nel nuovo educan­ dato fanciulle di civile condizione tra i 7 e i 12 anni, che ven­ nero istruite ed educate « secondo il metodo delle salesiane di Modena », cioè in lavori donneschi, in leggere e scrivere, in con-

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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teggio, in storia sacra e « universale », e in elementi di musica, di geografia e di disegno. | « Nel giorno 17 agosto 1805 », scrive la Rampi, « monsignor Boschi diramò sue lettere a tutti quegli individui che credette ca­ paci di disimpegnare gli offizi di maestra, sottomaestra ecc. e nel susseguente 18 agosto entrarono le prime educande in nu­ mero di 7. Io fui dal sullodato monsignore destinata a presidente della nuova istituzione, e, per darle un qualche lodevole metodo, presi per norma i regolamenti delle Salesiane di Modena, e si adattarono nel modo che le circostanze permisero. Concorsero su­ bito non solo dalla nostra, ma pure dalle limitrofe provincie, molte fanciulle; ma si dovette per cinque anni ridurre il numero a poche, perchè l’educatorio era confinato in un angolo del mo­ nastero, ■occupandone le monache la maggior parte». Nel 1809 la Rampi venne eletta abbadessa, e fu l’ultima del convento che durava da cinque secoli. Un decreto di Napoleone imperatore e re (25 aprile 1810) abolì tutti i monasteri del Regno Italico; e nel maggio successivo l’ordine cominciò ad essere ese­ guito. Il prefetto del Rubicone intimò (11 maggio) alle monache di S. Chiara di deporre l’abito « in modo che orma alcuna non ri­ manga » ; di lasciare il locale entro due mesi cogli « effetti di in­ dividuale rispettiva pertinenza e di uso strettamente personale»; e di non uscire nell’intervallo se non in abito laicale. Le suore non-nazionali uscirebbero dal regno. «L a sovrana munificenza», diceva il prefetto, « accorda a ciascun individuo nazionale la pensione secondo il decreto 8 giugno 1805, a patto che non si uniscano in convivenza entro una medesima casa in numero mag­ giore di quattro ». « Queste disposizione di massima », diceva il prefetto, « sono dettate dalle viste sempre grandi dell’imperatore re nostro. Io mi lusingo che l’abbadessa sarà penetrata della be­ neficenza che il governo accorda agli individui colpiti, e si pre­ sterà agli ordini sovrani con quella mansuetudine che distingue le persone religiose, e con quella obbedienza che è propria di ogni buono e fedele suddito ». La Rampi continua: «Giunto il fatale decreto della gene­ rale soppressione, entrai in lusinga che in grazia dell’educandato si potesse salvare il monastero, e però feci tutti li possibili sforzi per ottenere il mio intento, ma tutto fu vano; e a grandissimo | stento ottenni che provvisoriamente rimanessero le educande e quelle sole religiose che erano state nel primo descritto impianto addette particolarmente alla educazione ».

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Le industrie e le premure della Rampi per salvare il monastero riuscirono vane, perchè, a suo modo di vedere, « molti erano quelli che aspiravano all’acquisto del locale ». Checchessia di que­ sto, se la Rampi non potè conservare il monastero, riuscì a man­ tenere in esso il nuovo educandato. Nel 5 luglio del 1810 il vice prefetto di Faenza Dionigi Strocchi comunicava alla Rampi che il prefetto permetteva « in via provvisoria » di ritenere le fanciulle ivi dimoranti », qualora al­ l’epoca perentoriamente assegnata per l’evacuazione della casa religiosa soppressa non fosse state richiamate alle proprie case » : e di conservare « interinalmente » nel monastero per l’educazione loro le suore addette, « abolite però le forme e regole del sop­ presso istituto e segnatamente la deposizione dell’abito monastico, l’annullamento di clausura e simili ». Adunque tutte le suore di S. Chiara e di S. Paolo dovettero abbandonare il monastero, ec­ cetto suor Teresa, destinata provvisoriamente alla presidenza dell’educandato, suor Paola Lelli d’Imola,116 direttrice di spirito, suor Zabberoni di Ravenna,117 maestra di musica, le suore Giangrandi,118 Radessi119 e Archi120 maestre, tutte antiche corali di S. Chiara; le suore Angela Fortunata121 e Tecla122 Masini faentine, di | S. Paolo, del pari maestre, e tre converse per il servizio. Queste undici suore, deposte le vesti monastiche, adottarono un abito comune di color nero; e la Rampi stabilì un regolamento provvisorio finché non fossero conosciute le intenzioni del go­ verno centrale sui destini dell’educatorio.

116 Morta di 96 anni il 2 novembre del 1841. 117 Vestì il 16 ottobre del 1760 e morì nel marzo del 1819. 118 Suor Chiara Giangrandi di Faenza morì nel marzo del 1815 di anni 88. 119 Suor Maria Fedele Badessi, maestra di lavori, vestì il 20 aprile del 1789, morì il 10 dicembre del 1815, d’anni 50. 120 Suor Rosalia Maria Giuseppa Fortunata Archi, vicaria, morì il 19 ottobre del 1854, di anni 78. 121 Morì il 1 agosto del 1823 di circa 60 anni. Forse prese il nome di Fortunata da quello del padre. 122 Morì il 28 marzo del 1854 di 91 anni. Pasquale Masini arrestato nella notte del 1 novembre 1799 dal governo imperiale, condannato (17 feb­ braio) per giacobinismo « alla fortezza per anni 5, qualora si presti per gli alimenti, e in difetto all’opera pubblica (cioè ai lavori forzati) per detto tempo », e perito nelle fosse di Sebenico (Dalmazia) la notte del 25 marzo 1801 nell’età di anni 28, fu fratello delle nostre due suore. È detto « il pri­ mo martire faentino della indipendenza italiana ».

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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XI IL COLLEGIO DELLE FANCIULLE (1811)

La madre Rampi dopo avere nell’universale naufragio con­ servato in vita il suo diletto educandato, s’accinse instancabil­ mente a convertire quel fatto temporaneo in permanente e stabile. Tra il luglio del 1810 e il marzo del 1811, come ella scrive, « si diedero alcuni incontri che mi aprirono delle strade per ma­ neggiarsi in modo che fu finalmente fissato che il locale di S. Chiara diventasse la sede di un collegio governativo». Essa non dice quali fossero, per usare il suo linguaggio, questi « incontri che aprirono le strade », e le memorie del convento non parlano che del suo « straordinario coraggio con cui seppe insinuarsi tal­ mente nell’animo di chi teneva le redini del governo che riuscì ad ottenere che il suo convento persistesse sotto nome e qua­ lità di convitto ». Ma non si va lungi dal vero supponendo che ella sia stata fortemente appoggiata e coadiuvata presso il pre­ fetto del Rubicone (Forlì) e presso il governo centrale in Mi­ lano, più che da altri, dal vescovo e dal vice-prefetto di Faenza. Stefano Ronsignore vescovo di Faenza fu un prelato amantissimo dell’istruzione e dell’educazione della gioventù, molto devoto al governo napoleonico, di patria milanese, e in ottimi rapporti coi ministri del Regno Italico. F il cavalier Dionigi Strocchi, vice-prefetto di Faenza, letterato di molto grido, ebbe grandis­ sima stima delle qualità perso- | nali della Rampi, e come nel 1801 si adoperò per l’erezione di un liceo in Faenza per i gio­ vani, così dev’essere stato lietissimo di cooperare alla fondazione di un collegio per le fanciulle della provincia; delle fanciulle, la cui istruzione in quei tempi era parecchio trascurata.123 L’11 marzo del 1811 il vice-prefetto Strocchi partecipava «con piacere» al podestà di Faenza che il viceré Eugenio con sua deliberazione del 4 corrente, « sopra rapporto della Direzione Generale di Pubblica Istruzione accordava in dono assoluto al dipartimento del Rubicone il locale di S. Chiara coi suoi orti e

D3 E non è da tacere che la moglie del cavalier Dionigi Strocchi fu amicissima della madre Rampi, e che il vicario di Bonsignore fu Andrea fratello di Dionigi. Antonio Rampi, fratello dell’abbadessa, fin dal dicem ­ bre del 1796 fu uno dei factotum del giacobinismo faentino, e dopo il 1804 abbracciò con ardore il partito napoleonico.

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recinti ecc. onde stabilirvi un collegio di educazione per le fanciulle ». Questo locale sarebbe consegnato « alla municipalità di Faenza e da essa restaurato all’occorrenza secondo il bisogno del convitto. Il Comune soccorrerà il collegio collo stipendio da darsi alle maestre necessarie per le scuole». Il podestà disponesse tutto « colla massima sollecitudine per l’attivazione del convitto in corrispondenza alle benefiche mire del governo (...) e dell’uti­ lità somma che il collegio deve arrecare alla popolazione ». Nell’aprile successivo il Consigliere di Stato Direttore della Pubblica Istruzione visitò il collegio e dichiarò « la sua piena sod­ disfazione » aggiungendo che « la direttrice signora Rampi meri­ tava tutti gli elogi ». Ma in quello stesso tempo (1 maggio) la chiesa fu chiusa al pubblico e venne proibito il suono delle campane. Il 27 maggio dello stesso anno il governo approvò « i diversi impieghi col corrispettivo soldo ». La madre Rampi fu nominata Direttrice·, suor Paola Lelli assistente e le suore Badessi, Giangrandi, Zabberoni e Archi, clarisse, e le due Masini, di S. Paolo, maestre nelle tre classi in cui venne diviso il collegio. Vennero eletti altri insegnanti estranei all’antico convento, e furono: d. Tommaso Torrigiani, maestro di grammatica italiana ed ele­ menti di fisica·, il | conte Nicola Pasolini, di geografia e storia; il conte Baldassarre Gessi, di lingua francese; Vincenzo Errani, di aritmetica e calligrafìa; Giovanni Ugolini, di disegno; Elisabetta Dardocci e Francesco Bedeschi, di musica istrumentale e vocale,124 Alcuni di questi insegnanti hanno lasciato nome non in­ glorioso nella storia della nostra città. Il conte Gessi (1764-1846) fu uomo di vasta letteratura;125 e il sacerdote Torrigiani (1786-1824) amoroso cultore di Dante e filosofo in quei tempi molto apprez­ zato.126 Le memorie contemporanee ci insegnano che il Torrigiani 124 II governo nominò pure gl’inservienti del collegio, cioè alcune con­ verse di S. Chiara fedeli alla madre Rampi, qualche addetto all’antico convento, il cappellano d. Luigi Cavassi, i m edici Bernardino Sacchi e Augusto Laghi e il chirurgo Antonio Lapi. Sopra il Sacchi e il Lapi vedi Messeri, Faenza nella storia, pp. 604-605. 125 A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza, voi. I, parte II, Faenza 1883, pp. 179-181. 126 G. I. Montanari, Vita di Tommaso Torrigiani filosofo, Faenza 1827; A. Montanari, op. cit., voi. I, parte II, pp. 145-147; D. Santagata, Commen­ tario della vita e delle opere di Domenico Piani, Bologna 1871, ove si parla del Torrigiani.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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« nei più semplici modi insegnava la lingua italiana, la storia, la geografìa e i primi elementi della fisica; e per rendere più fa­ cile il modo di trovare le parole italiane corrispondenti alle ver­ nacole, aveva formato un dizionarietto di quei termini specialmente più necessari agli usi donneschi, vernacolo e italiano, il quale quantunque non potesse accrescere come voleva, pure ser­ viva a meraviglia ».127 Egli « adoperava mezzi stupendi perchè la gioventù apprendesse di leggiere l’italiana favella, e offeriva mo­ dello bellissimo d’imitare nell’aureo trattato degli Ammaestra­ menti degli antichi di fra Bartolomeo da S. Concordici ».128 | Il 14 giugno del 1811 il governo approvò il regolamento, acdettando le osservazioni fatte dalla Rampi, e stabilì che «si met­ tesse in piena attività e si stampasse, solennizzandone il giorno »; ma, come si legge nelle memorie del convento, la madre Rampi non lo mise mai in pratica e, facendo insorgere ora una ora altra difficoltà, tanto temporeggiò che non fu mai stampato nè adottato. Da una rapida lettura mi pare che il regolamento del 1811 fosse buono; ma questo documento assoggettava il collegio, rispetto agli studi, ai lavori, agli esami e ai castighi delle alunne (castighi che consistevano « nell’esclusione dei divertimenti, nel­ l’arresto, nella tavola di penitenza,129 e nell’espulsione dal col­ legio ») immediatamente al prefetto, al vice prefetto e a persone

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127 G. I. Montanari, op. cit., p. 21. 128 Biografìa di Giulia Maioli, Fano 1839, p. 5. Spentosi il Torrigiani, per consiglio del cavalier Dionigi Stracchi gli fu dato per successore il giovanissimo sacerdote Innocenzo Bedeschi che, circondato daH’affettuosa venerazione delle discepole, tenne la cattedra di S. Chiara fino alla sua morte avvenuta nel 26 giugno del 1880. Di lui vedi F. Baldassarri, Elogio in morte del professore don Innocenzo Bedeschi, Faenza 1880; F. Lanzoni, Memorie dei maestri di belle lettere del seminario di Faenza, Faenza 1894, pp. 100-108. Succedettero al Bedeschi d. Sante Bentini (1810-1890), pregiato traduttore di Esiodo, di Teocrito, di Mosco e di Bione. Vedi Lanzoni, op. cit., p. 119. Quindi il valente professore d. Luigi Mazzotti del Regio Ginnasio, defunto; monsignor Domenico Spada pregiatissimo scrittore, che ebbe l’ onore di essere chiamato da Pio X nella sua Segreteria di Stato; monsignor Ennio Fabbri, autore di molto lodate monografìe, rapito ai vivi di 46 anni (t 1920) ; e l’ egregio canonico arcidiacono Giuseppe Fabbri vivente. Dopo l’Ugolini fu maestro di disegno Giuseppe Zauli di Faenza, che ebbe la fortuna di insegnare la sua arte al giovinetto Tom­ maso Minardi, divenuto il principe dei disegnatori del suo tempo. Vedi Montanari, Gli uomini illustri, voi. II, parte I, pp. 134-145. Elisabetta Dardocci è sepolta in S. Marco con iscrizione. 129 Lo spirito soldatesco dell’imperatore e re pare abbia influito anche nei regolamenti per l’ educazione delle fanciulle scritti in suo nome. 23

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da loro deputate, e riguardo aH’economia, a un Consiglio scelto dal Prefetto.130 La madre Rampi avrà temuto che, mostrandosi troppo arrendevole ai voleri del governo, a poco a poco si sa­ rebbe trovata nella dolorosa necessità di mitigare e di attenuare quell’impronta profondamente cristiana che ella intendeva di dare all’educazione delle fanciulle; e non avrebbe potuto salva­ guardare abbastanza quella claustrale ritiratezza, che ella e le sue consorelle amavano conservare il più che fosse possibile. E forse per queste stesse ragioni la direttrice non s’indusse mai a collocare ed esporre nella casa busti o ritratti di Napoleone o del Viceré. J Ella stabilì che l’antica clausura fosse rispettata colla mag­ giore esattezza, nè le fanciulle nè le maestre, nè la direttrice uscissero mai dal collegio.131 Per le visite dei parenti assegnò un luogo appartato e contiguo alla porta, di cui una maestra teneva sempre la chiave: introduceva i genitori stessi nella casa solo nel giorno dell’ingresso delle fanciulle, o nel caso di grave malat­ tia, e non permetteva che nella cappella entrassero se non i sa­ cerdoti destinati ad offiziarla. Pii e dotti ecclesiastici facevano istruzioni morali alle fanciulle nelle domeniche, e insegnavano loro gli esercizi cristiani. Essi dovevano praticarli colla maggiore puntualità e diligenza; si accostavano ai sacramenti le mezzane ogni quindici giorni, le piccole ogni mese; ogni mattina facevano la meditazione; dopo cena e dopo pranzo una breve visita al san­ tissimo Sacramento; ogni giorno in refettorio ascoltavano mat­ tina e sera letture di vite di santi; e nelle domeniche assistevano a due messe. Vestivano abito scuro uniforme e nelle solennità bianco. Questi sistemi non piacquero a tutti, e qualche volta la Rampi fu rimproverata di dare alle fanciulle un’educazione troppo ri­ gida. Ma la direttrice rispondeva a questi oppositori « che era de­ bitrice a Dio e agli uomini di allevare fanciulle cristiane, e che, se tali non si volevano, si cercassero altre educatrici » ; e con 130 Le alunne avrebbero vestito in sei modi diversi a seconda delle sei classi a cui doveva portarsi il convitto. Era prescritta « l’orazione per il re ». La direttrice doveva portare appesa al collo con nastro di porpora una croce dorata. 131 Una volta sola uscì dal collegio colle maestre e colle alunne, cioè il 17 aprile del 1814 in occasione del passaggio di Pio VII reduce dalla cattività napoleonica. Vestita di nero, con 60 educande, maestre e inser­ vienti, volle seguire in carrozza il corteggio delle autorità'^politiche, ci­ vili ed ecclesiastiche che accompagnarono il pontefice fino a S. Lazzaro.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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questa ferma risposta continuò per la via che si era tracciata. Le memorie del convento riferiscono che la Rampi « con animo intrepido, superiore al suo sesso, non dubitò una volta di soste­ nere acceso contrasto con ben dieci autorevoli persone che tutte in una volta cercarono di abbattere la sua fortezza ». Quantunque la Rampi e le sue consorelle non esigessero al­ cun emolumento, tranne l’abitazione e il vitto, tuttavia il collegio delle fanciulle colla sola retta delle educande non era in grado di sostenere le spese ingenti della manutenzione; quindi la diret­ trice cercò | di provvedervi. Ne fece parola col Consigliere di Stato Direttore Generale di Pubblica Istruzione che nell’aprile del 1811 visitò il collegio. Ma questo bravo signore si limitò a dichiarare che «la Rampi meritava tutti gli elogi»; espresse « i sentimenti della sua piena soddisfazione », e invitò « il Co­ mune ad assitere con qualche assegno questo stabilimento che tanto vantaggio debbe arrecare a questa popolazione », e nient’altro. Allora la instancabile direttrice si rivolse al prefetto del Rubicone. Questi suggerì di portare la retta delle alunne a 323 lire italiane annue; ma la Rampi dichiarò che ciò era impossibile « conoscendo ella benissimo », sono parole della madre, « quanto fosse gretto ogni modo di vivere in questo dipartimento ». Insi­ stette quindi per un’annua sovvenzione, « senza la quale non vedo », scriveva, « che possa attivarsi il collegio, destinato a quel sesso che deve formare tanta parte del vivere felice ». Rispose il capo della seconda sezione di prefettura ed aspirante, come egli stesso si qualifica, ad una cancelleria del regio censo (8 giugno 1811): «Il prefetto professa molta stima all’esimia direttrice»; promette di interessarsi per l’annuo assegno di L. 9000, ma è ne­ cessario che la direttrice faccia al governo una « petizione for­ male ». La madre Rampi adunque si rivolse al Direttore di Pub­ blica Istruzione, e gli espose chiaramente che aveva « esaurito tutti i mezzi possibili e fino la privazione delle cose sue perso­ nali e più necessarie». Continuava: «Non si trovano inservienti e maestre cooperatrici che vogliano sacrificarsi per miserabili compensi (...) le spese non possono coprirsi colle dozzene delle alunne e non è sperabile di aumentarle, attesi gli usi del paese e le circostanze dei tempi. Il Comune non cura neppure le urgenti riparazioni, dice non essere autorizzato. Questa condizione di cose produce in me una decisa disperazione e mi costringe al durissimo passo di ritirarmi alla paterna mia casa fino dal pros­ simo novembre e ad abbandonare l’educazione delle fanciulle che fin dal 1805 è diventata l’unico oggetto del mio cuore, e la

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

direzione di questo collegio che forma la mia sola passione ». Povera madre, essa non si accorgeva che con questa sua candida confessione dava in mano al governo gli argomenti più validi per una ripulsa. Infatti il Direttore Generale (17 ottobre 1811) ri­ spose che conosceva la situa- | zione del collegio saviamente di­ retto e amministrato, e assicurava la Rampi che « gli stava a cuore»; promise che non mancherebbe, «per sua parte di pro­ curare provvedimenti in qualche maniera e assistenza in quelle dure circostanze » ; ma era ben sicuro che « l’amore e lo zelo esternato dalla direttrice nel suo ricorso non le permetteranno di abbandonare una così nobile intrapresa ». Dopo tante pro­ messe il governo si restrinse a comandare al Comune di fare i necessari lavori di riparazione che furono eseguiti, per quanto mi consta, nel 1812 e nel 1813.132 In verità il governo mandò di quando in quando al collegio alcuni doni. Nel 25 novembre 1811 spedì « una collezione di ta­ vole rappresentanti animali, vegetali, minerali ecc. per l’istru­ zione delle educande » ; nel 23 marzo dell’anno seguente « sei copie dei racconti morali del Decristofori » ; nell’l l maggio « un esemplare del metodo per clavicembalo del maestro Bol­ lin i»; nel 20 luglio del ’13 «un esemplare delle favole del Perego»; e nell’8 agosto dello stesso anno «un globo terrestre, una sfera, due carte dell’Italia e dell’Europa e un’altra carta geogra­ fica dell’Italia ritagliata con tale artificio che le fanciulle per loro diporto nell’atto di connetterle saranno in necessità di fare con molto profitto attenzione alla rispettiva situazione dei paesi»; ma probabilmente questi regali non costavano al governo molto più dei restauri, perchè trattavasi, come sembra, di esemplari inviati per omaggio dagli autori alla direzione dell’Istruzione Pubblica. Il governo di Milano si limitò a scrivere « ampie lodi » alla direttrice e al suo istituto, l’ultima volta il 3 novembre del 1814, e a farne stampare l’elogio nel foglio ufficiale del Dipar­ timento. Nel luglio del 1815 il governo pontificio venne restaurato in Faenza, e il collegio delle fanciulle fu in pericolo di essere chiuso e soppresso. Alcuni ciechi adoratori del passato che nel 1815 rie132 Essendo stato aperto un fenestrone di un dormitorio sopra « l’oste­ ria della casa Ferniani » la madre provvide con sollecitudine presso il Podestà di Faenza e presso il Prefetto perchè fosse tolta l’incomoda ser­ vitù, e le fanciulle non sentissero cose troppo indecenti da quel convegno di bevitori.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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pilogavano le loro insensate speranze nella formula: bisogna tor- |nare al 1796, reclamarono apertamente l’abolizione del collegio e il ristabilimento puro e semplice del monastero di S. Chiara. La madre Rampi, interpellata in proposito dal nuovo go­ verno, mandò in Roma un lungo memoriale, ove contro i cla­ mori e « le grossolane ingiurie » dei suoi accusatori dimostrò senza difficoltà che, nonostante gli scarsi mezzi di cui l’istituto poteva disporre, l’educazione impartita era ottima, esatta la di­ sciplina, molto curate la nettezza e l’igiene, e rettissimo lo spi­ rito delle insegnanti e alunne. Esse salivano a circa 700, quasi tutte nobili, e provenienti non solo dalla provincia di Ravenna, ma da quelle di Rologna e di Ferrara. Il locale era abitato da più di 90 persone e non c’era spazio vuoto. Le suore che avreb­ bero dovuto entrarvi erano 35, tra clarisse e francescane di S. Paolo, perchè le orfanelle Micheline, durante il governo na­ poleonico, avevano occupato il monastero di queste ultime. Ma dove collocare, domanda la Rampi, 127 persone, molto più che le suore avrebbero avuto bisogno di uno spazio più ampio di quello occupato dalle fanciulle? Adunque 40 educande dove­ vano escludersi. Ma quali si sarebbero discacciate? e queste dove sarebbero state accolte, se il collegio di S. Chiara era quasi l’unico istituto di siffatto genere nello stato pontifìcio? «L e mo­ nache delle Romagne », credeva di poter aggiungere la madre Rampi, « hanno una decisa avversione a tutto quello che è edu­ cazione ». Lo stabilimento sarebbe quindi rovinato e lo Stato avrebbe dovuto crearne altrove un altro. E dato pure che il col­ legio si volesse restringere e farlo coesistere col monastero, la Rampi non dubitava di affermare al governo che dal 1805 al 1810 appunto per questa coabitazione il convento non era vissuto in pace, perchè le suore non maestre pretendevano ingerirsi nelle cose dell’educandato, e « bersagliavano » le suore maestre. « In quel momento il diavolo entrò nel monastero », è la frase della madre Rampi. Adunque l’educandato correva egualmente pericolo di rovinare. La Rampi poi metteva in dubbio « la spon­ taneità », con cui le 35 ex-monache, « tutte attempate e molto bene adattate alla vita di famiglia e bisognose dei comodi di cui godevano », reclamavano di entrare in convento. Ella chiu­ deva il suo memoriale con questo dilemma: bisogna o ristabi­ lire tutto il monastero o abolire tutto l’educandato, | e non dulutava di affermare che la lotta combattuta contro il collegio delle

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

fanciulle proveniva in gran parte da interessi lesi, da ripicchi personali e da altri motivi assai meschini.133 La madre Rampi riportò vittoria. Il cardinale Consalvi, Se­ gretario di Stato, accolse le ragioni di lei, e con dispaccio del 31 gennaio 1816 approvò il collegio delle fanciulle, riconoscendolo « vantaggioso alla pubblica morale e alla civile istruzione », e di­ chiarandolo « uno stabilimento interessante il governo », e ne assicurò « la perpetua conservazione ». Lieta di questo successo, la madre Rampi cominciò a insi­ stere presso il governo per ottenere un assegno annuo necessario alla manutenzione di quel vasto e grandioso locale. Ella scriveva che, « poiché la provincia di Romagna corrispondeva al collegio dei giovani nobili aperto in Ravenna la somma di annui scudi 1500, parevale che non si dovesse negare al collegio di Faenza, l’unico della provincia destinato alle giovani nobili, un assegno di almeno 500 scudi»; ma non ottenne nulla; e come durante il passato governo, così col nuovo, la direttrice dovette provvedere ai bisogni della casa col suo disinteresse e con quello delle sue con- | sorelle. Il solo Comune di Faenza continuò a provvedere, svogliatamente, come mi sembra rilevarsi dai documenti, ai più urgenti restauri, ad esempio nel 1817 e nel 1819.134 Intanto dal 1811 in poi, o per morte o per altra ragione, la madre Rampi perdette alcune delle sue validi coadiutrici, ed ella 133 Non so se la madre Rampi volesse alludere a certo d. Domenico Contavalli, autore di una cronaca faentina che va dal 1795 al 1816, sgram­ maticato d. Marzio delle sacrestie di quei tempi, ridicolo odiatore di tutte le cose nuove e molto taccagno. Nelle sue memorie egli s’interessa di S. Chiara, presso la quale abitava, e spira fuoco e fiamme contro la madre Rampi e il suo educatorio. Fin dal 1805 si lamenta che « il mondo è rove­ sciato », e tutto questo in causa dell’apertura dell’educandato di S. Chiara. Durante il governo napoleonico chiama la Rampi « amica del sinedrio giacobino, grande framassona, monaca maledetta da Dio, che un giorno avrebbe pagato il ilo » , e chiama Bonsignore e il suo vicario « framassoni del sinedrio dei francesi ». Restaurato il governo pontifìcio, egli se la prende contro il delegato Tiberio Pacca, contro il suo segretario monsi­ gnor Gamberini, e perfino contro il cardinale Consalvi, e li gabella tutti per « framassoni e amici dei framassoni », perchè non vollero distruggere il collegio. E poi il nostro d. Domenico è scandalizzatissimo perchè la madre Rampi non paga i suoi dipendenti. Perchè tanto sfogo di rancore? Bisogna sapere che i parenti del Contavalli furono fattori del convento e inservienti del collegio, ed egli stesso soleva eseguire i legati di messe del monastero. È proprio il caso di ripetere: dagli amici mi guardi Iddio. 134 il collegio delle fanciulle conservò il suo titolo ufficiale fino al 1817, e poi a poco a poco riprese quello di Educandato di S. Chiara.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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seppe trovarne altre non meno esperte, partecipi de’ suoi stessi sentimenti circa ristruzione e l’educazione delle fanciulle. Nel settembre del 1811 vennero in aiuto della Rampi due so­ relle faentine di nome suor Maria Teresa e suor Caterina Casa­ lini, che avevano professato la regola delle agostiniane in Ancona, e dalla tempesta rivoluzionaria erano state rigettate a Faenza. Sei anni appresso (1817) due altre sorelle, di nome donna Sco­ lastica e donna Innocenza Bettoli di S. Agata, già benedettine nel monastero di Bertinoro, si unirono alla madre Rampi per coa­ diuvarla neH’educazione delle fanciulle. Ella chiamò pure presso di sè due ragazze secolari di Faenza, una Francesca Liverani di anni 17, che nel 1820 divenne maestra delle piccole, e nel 1821 una Osanna Rossini di 21 anni. E poiché l’una e l’altra fecero ottima prova, le ammise ambedue, come vedremo, alla professione religiosa. Non solo il governo napoleonico e il governo pontificio, ma i cittadini di Faenza e i romagnoli in generale riconobbero la grande utilità del collegio delle fanciulle; e gli scrittori di quel tempo nei lavori dati alle stampe lo chiamano « lo stabilimento il più adatto al bene della Chiesa e dello Stato », e « una grande opera ». La fondazione della madre Rampi fu poi imitata non dopo molto tempo dal faentino Emiliani in Fognano per le fan­ ciulle nobili, e in Faenza stessa dai fratelli Righi a favore delle giovinette del popolo. Dal collegio di S. Chiara uscirono giovinette, secondo le esi­ genze di quei tempi, egregiamente istruite e assai virtuose che furono zitelle e madri esemplari. È pervenuta fino a noi la bio­ grafia di una piissima patrizia di Ravenna, Giulia figlia della | contessa Cristina Rasponi e di Placido Maioli (1805-1839), che 100 andò sposa al conte Stefano Tommaso Amiani di Fano, e morì in giovane età lasciando tre figlioletti orfani;135 la biografia di un’Anna Tisserand (1837-1877), madre di famiglia di singolare pietà e religione;136 e quella di una Felicita Spadini, sposata a un Rusconi di Bagnacavallo,137 spentasi in giovanissima età come un fiore non degno di appartenere alla terra (1837-1863). Alcune educande di S. Chiara presero il sacro velo, e nei monasteri da loro prescelti diffusero odore di virtù e di santità. Mi piace ri­ cordare la contessina Rosa Codronchi d’Imola, che si rese reli135 Questa biografia è stata citata di sopra. 136 Cenni biografici, Rimini 1878. 137 Biografia di Felicita Rusconi, Bagnacavallo 1865.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

giosa nella Visitazione, e Maria e Teresa Granello sorelle di mons. Tommaso domenicano, che, l’una in Città di Castello col nome di suor Maria Crocifissa e l’altra di suor Angelica in Ce­ sena, entrarono nel rigido istituto delle cappuccine e ambedue si segnalarono per umiltà profonda, ubbidienza perfetta e intera rassegnazione nelle infermità e nelle traversìe della vita. Il collegio delle fanciulle salì in rinomanza e fu celebratis­ simo in tutta Romagna e anche fuori, e la madre Rampi ne ac­ quistò una fama che dura ancora. Essa venne chiamata: « donna di merito più singolare che raro » « donna per senno e meriti distintissima » e « direttrice ad esempio ». Pio IX nel 1857, reca­ tosi in S. Chiara a ricevere l’omaggio delle suore e delle edu­ cande, ricordò la madre Rampi e disse che era stata « una gran donna ».

XII LA RESTAURAZIONE DEL CONVENTO (1826)

La commissione speciale istituita da Pio VII per il ristabi­ limento degli ordini religiosi nello Stato Pontificio autorizzò (30 agosto 1819) il ripristino di parecchi monasteri dello Stato, tra i quali fu annoverato quello di S. Chiara di Faenza. Il Se­ gretario di Stato sanzionò (9 febbraio ’20) questa deliberazione. A tale nuova la madre Rampi turbossi non poco per il ti­ more che la restaurazione del monastero recasse seco la morte del suo caro educandato; quindi con amorosa sollecitudine si ri­ volse al vescovo Ronsignore e scrisse a monsignor Antonio Do­ menico Gamberini, che era stato segretario del primo delegato pontificio in Romagna nel 1815 e moltissimo l’aveva coadiuvata per superare la battaglia contro gli avversari del collegio,138 per­ chè si adoperassero a sventare ogni pericolo. In verità l’uno e l’altro non durarono fatica a persuadere la Commissione perchè rispettasse il collegio. Il segretario della medesima, monsignor Giuseppe Antonio Sala, prelato di mente aperta e favorevole a tutti gli onesti miglioramenti della vita civile ed ecclesiastica ri­ chiesti dai tempi nuovi, manifestò al vescovo Ronsignore di es138 Aveva una nipote nell’educandato di S. Chiara.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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sere ben risoluto di conservare il collegio secondo il dispaccio del cardinale Consalvi. Nel 1821 adunque Bonsignore presentò a Roma un elenco di suore che avrebbero ripreso l’abito religioso ed erano riso­ lute di mantenere l’educandato. Furono esse insieme colla madre Rampi le | sue cooperatrici, informate al suo stesso spirito, cioè quelle suore in cui essa dal 1805 in poi aveva trasfuso il suo amore all’educazione delle fanciulle. Così l’opera, per cui la Rampi aveva speso gli anni più belli della sua vita matura, veniva assicurata. Sull’antico rampollo francescano s’innestava un’attività nuova. La nuova clarissa di­ sposava al fervore dell’ideale francescano la pratica dell’amore del prossimo nelle sue forme più nobili e più ardue; essa si con­ sacrava alla nobile missione di schiudere alla luce del vero e di condurre a Dio le menti e i cuori di quella parte del genere umano ch e a Gesù chiamò i pargoli, i piccoli. Queste nuove fa­ tiche però, in verità sconosciute alla clarissa del secolo XIII, non trasformavano nè molto meno alteravano la venerabile istitu­ zione di s. Francesco e di s. Chiara, bensì la integravano, adat­ tandola ai bisogni dei tempi cambiati. Le linee fondamentali del­ l’antica clarissa permanevano intatte, pure e scevre da ogni con­ traffazione; quantunque gli atteggiamenti della nuova clarissa fossero alquanto diversi da quelli di un tempo, non però discordi, perchè la nuova clarissa, come quella di sette secoli avanti, era lievito potente di quella riforma della società cristiana che il Poverello e la sua fulgida compagna perseguirono instancabil­ mente, combattendo le cupidigie, le superbie e le lussurie degli uomini. I faentini, e specialmente le consorelle e le coadiutrici della madre Rampi, che avevano veduto durante il periodo rivoluzio­ nario tutti i monasteri chiusi e devastati e tutte le religiose cac­ ciate e disperse, al contrario il convento di S. Chiara rimanere aperto insieme coll’abbadessa e con buon nucleo di suore, se­ mente di futura risurrezione, concepirono della madre Rampi la più viva ammirazione, e le diedero il titolo di seconda fondatrice di S. Chiara.

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a Cionondimeno troviamo le Clarisse anche nel campo delle missioni e della scuola. Fin dal secolo XIII vi era una comunità di Clarisse a Tolemaide nella Siria. Nel Messico (sec. XVI) le Clarisse insegnavano alle figlie degli Spagnoli e degli Indiani.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal. XI al XV secolo

Per varie difficoltà, che sarebbe inutile ricordare, il nuovo convento non ricevette la sua dotazione se non a varie riprese dal ’22 al ’24 139 e non fu inaugurato se non nel ’26. | La nuova vestizione e professione fu assegnata al 4 ottobre del ’26, giorno sacro a s. Francesco d’Assisi che in quell’anno cadeva di mercoldì. In quel giorno la madre Rampi rinnovò i voti nelle mani di Monsignor Stefano Bonsignore insieme con otto corali e con cinque converse, tutte rivestite dell’abito fran­ cescano. Tre di queste corali, cioè la Lelli, l’Archi e suor Tecla Masini appartenevano, come il lettore ricorda, al primo mani­ polo di maestre del 1805. Tre altre, cioè suor Teresa Casalini e le due Bettoli, come abbiamo visto, provenienti da altri ordini monastici tra ITI e il T7 si erano unite alla madre Rampi, ed ora rivestivano con lei l’abito di clarisse. Le due ultime erano suor Servadei e suor Zuechini, entrate ambedue in S. Chiara tra il 1778 e il 1795, rientrate in famiglia nel 1810, e da qualche anno tornate nella comunità che stava per risorgere. Le converse appar­ tenevano dal 1805 all’educandato e dal 1811 al collegio. Secondo la consuetudine di allora la fausta e lieta circostanza fu solennizzata con la stampa di varie composizioni. In una iscri­ zione latina di Giorgio Antonio Morini, maestro di rettorica nel Seminario, le nuove professe rivolgono fervida preghiera a s. Francesco e a s. Chiara per l’abbadessa Rampi, a cui, traduco dal latino, attribuiscono tutto il merito di quella pace e tran­ quillità che esse avevano goduto nell’antico convento in tempi tanto procellosi. La chiesa fu riaperta al pubblico, e nel giugno del 1833, quando il vescovo Folicaldi fece la prima visita al monastero, fu rimessa in vigore la regolare clausura. Nel giorno di S. Mar­ tino del ’34 le due maestre secolari Francesca Liverani,140 e Osanna Rossini su ricordate presero il velo. Intanto la valorosa abbadessa avanzava negli anni, e quan­ tunque tormentata dalla gotta, non cessava di reggere la comu­ nità che aveva creato, sopportando i suoi malori con ammirabile fortezza. 139 Le suore ricevettero una rendita annua in consolidato di scudi 924 in ragione di scudi 66 per ciascuna, da com inciare a decorrere dal 1 gen­ naio 1825. 140 Si distinse nell’insegnamento del lavoro, della lingua italiana, del­ l’ aritmetica, della storia e della geografìa e nello studio della Divina Commedia.

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Per un’usanza molto frequente a quei tempi, il 31 dicembre del ’38 la madre Rampi si fece levar sangue da un flebotomo. | Costui inavvedutamente le recise un’arteria. Ella udì con volto 116 sereno che i suoi giorni erano accorciati, e più che pensare a se stessa si rivolse al flebotomo incoraggiandolo con buone pa­ role, mentre confuso rammaricavasi dell’errore commesso; anzi lo volle a sè il giorno dopo per confortarlo di nuovo e per ras­ sicurarlo che riconosceva nel disgraziato incidente la volontà ado­ rabile di Dio. Nei pochi giorni che sopravvisse non ismentì mai la sua virile forza d’animo e chiuse serenamente i suoi giorni la notte dell’l l gennaio.141 Fu sepolta sotto il pavimento della chiesa del monastero « in un deposito particolare » situato in cornu epistolae fra le due cappelle laterali,142 presso le ceneri, secondo le memorie del con­ vento, « di quella Filippa che fu spedita da s. Chiara a priora del monastero e, secondo la tradizione, è tumulata in quel luogo». Il cavaliere Dionigi Strocchi dettò in latino l’iscrizione fu­ nebre della Rampi che fu incisa in una lastra di marmo. Potrebbe volgersi così nella nostra lingua: «Teresa Margherita Rampi — nata di ragguardevolissima famiglia — di pronto e colto ingegno — di singolare bellezza — pia, pudica —- nel fiore dell’età si votò a Dio — e mentre i monasteri e i cenobi tutti — dalla vio­ lenza dei tempi erano aboliti — e le monache disperse — stabilì un collegio per informare le fanciulle —- a ogni disciplina di pietà e di belle arti — e lo resse ad esempio -— dal suo sacro antico domicilio non rimossa — morì ITI gennaio del 1839 — visse 81 anni e 11 mesi — fu sepolta con Filippa — fondatrice del convento. — Le suore clarisse — alla sorella e alla madre ottima — posero con lagrime — questa iscrizione ». | Due mesi dopo la morte della Rampi le clarisse elessero ab- 117 badessa suor Maria Teresa Casalini. Teresa Maria Lauretana Casalini nacque in Faenza il giorno di S. Teresa (15 ottobre) del 1784 nella parrocchia di S. Eutropio 141 Trovasi alle stampe un sonetto di d. Domenico Cimatti faentino in morte della Rampi, offerto al nipote di lei Ferdinando; componimento non bello, ma veritiero. 142 La contessa Rosa Biancoli prima dei sacri voti, nel 1856, abbellì i prima cappella laterale in cornu epistolae vicino all’ altar maggiore, e volle fosse dedicata al Cuore di Gesù e fece vari legati al monastero. La prima cappella laterale a cornu euangelii era dedicata alla B. Y. della Misericordia. Le cappelle laterali della chiesa del 1707 erano quattro.

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da Giuseppe e da Anna Amorotti. In età giovanissima si recò presso le suore di Castelbolognese per consacrarsi a Dio, ma, im­ peditane dalle fortunose vicende dei tempi, passò in Ancona (3 agosto 1806) per unirsi alla sorella, Maria Elisabetta Luigia, monaca tra le canonichesse lateranensi agostiniane rocchettine di S. Bartolomeo, ove vestì anch’essa l’abito religioso (31 marzo 1807) ed emise la solenne professione (3 aprile 1808). Travolta dal de­ creto di soppressione, promulgato in Ancona nel luglio del ’IO, tornò in Faenza, e nell’anno seguente (11 settembre 1811) accettò l’ufficio di maestra nel collegio delle fanciulle, e nel 4 ottobre del ’26, come abbiamo narrato, vestì l’abito di S. Chiara. Suor Te­ resa prima di indossare le lane di S. Francesco scrisse alle sue consorelle di Ancona, che desideravano di riaverla presso di loro, dichiarando che lasciava il suo antico istituto unicamente per se­ guire impegni già presi da molto tempo, e per obbedire ai suoi superiori ecclesiastici. Il governo della Casalini fu lungo e fecondo. Nel 1840 riaperse il noviziato; e in un ventennio accrebbe di molto il numero delle religiose. Nel 17 maggio del ’44 introdusse di nuovo in S. Chiara la « vita comune perfetta ». Tra le suore che l’abbracciarono e sottoscrissero questa sacrosanta promessa si trovarono due di quelle clarisse che nel luglio del 1805 erano state dalla forza degli eventi costrette ad abbandonarla, cioè suor Rosalia Archi, che si spense nel 1854 di 78 anni, e suor Co­ stante Zucchini, morta l’8 settembre del ’59, di 83 anni. Nei primi vespri di S. Francesco del ’53 l’abbadessa ripristinò l’ufficiatura corale monastica. Durante il suo governo essa accolse nel convento il ponte­ fice Pio IX che visitava i suoi stati. Egli entrò nel monastero il 5 giugno del ’57 nelle ore pomeridiane, e vi si trattenne circa un’ora ammettendo al bacio del piede non solo le monache e le educande di S. Chiara ma quelle di tutti i monasteri e ricoveri della città | ivi raccolte col permesso del Papa. In memoria di questo fatto l’abbadessa fece murare in una sala del convento una memoria incisa in marmo che diceva così: «Quando — Pio IX pontefice ottimo massimo — allegrando di sua augusta presenza i faentini — benignamente onorava di visita questo monastero — con accoglier al bacio dei santi piedi — e beare di affettuosi accenti —- di salutari ricordi — le religiose, le alunne — e le monache degli altri ordini — non che le direttrici con le giovanette dei conservatori — qui convenute di speciale grazia pontificia — suor Teresa Casalini abbadessa e le consorelle —

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comprese di ammirazione e di gaudio — per gratissimo devoto animo — ne vollero perennare la ricordanza — cinque giugno MDCCCLVII ». Gregorio XVI concesse per sette anni (24 aprile 1843) l’indul­ genza plenaria per tutti i visitanti la chiesa di S. Maria nelle feste della Concezione, della Natività, della Purificazione, della Annun­ ciazione, dell’Assunzione e del Nome di Maria; privilegio rinno­ vato da Pio IX per dieci anni una prima volta il 23 marzo del ’50 e una seconda il 1 agosto del ’60. Prima che quest’ultimo decennio si compisse, la chiesa del convento fu profanata e convertita in magazzino militare.

XIII L’ASILO DI S. UMILTÀ (1862-78)

Il 13 giugno del 1859 il governo pontificio fu in Faenza ro­ vesciato, e nell’anno seguente le province di Ferrara, di Bologna, di Forlì e di Ravenna vennero annesse al Regno di Sardegna, che nel 1861 si trasformò in Regno d’Italia. Un anno dopo la madre Casalini provò il dolore più acerbo della sua vita. In quei primi tempi le autorità militari parevano dominate dalla manìa di requisire gli edilizi più vasti e più belli delle città per convertirli in caserme, o in altri locali per la truppa; e i mu­ nicipi, per favorire, a quanto pare, gli esercenti del paese o per dare | mostra di patriottismo, secondavano o prevenivano le domande dei capi dell’esercito. Le autorità municipali e dipartimentali del primo regno ita­ lico avevano dimostrato una grande benevolenza all’educandato di S. Chiara, ma quelle del nuovo regno presero un atteggiamento opposto. In principio del ’62 si sparse in Faenza la voce che il convento di S. Chiara sarebbe destinato a Deposito o Ospedale Oftalmico. La madre Casalini scrisse (14 febbraio) al deputato di Faenza, dottor Bernardino Sacchi, perchè si adoperasse presso il governo a scongiurare la distruzione dell’educandato, che con­ tava 43 alunne e presto ne avrebbe accolto 55. Ma il ministero di Grazia, Giustizia e Culti dichiarò al Sacchi che l’occupazione era irrevocabile: «Mi adopero» scriveva il Mauri (26 aprile), « con tutto l’impegno ad impedire l’occupazione dei chiostri fem­ minili, ma rado è che ne venga a capo, massime che per ordì-

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nario i municipi trovano il loro tornaconto a secondare le do­ mande dell’autorità militare». Infatti il Sindaco di Faenza, conte Achille Laderchi, pochi giorni prima (21 aprile) fece sapere alle suore che « in onta alle molte rimostranze avanzate per salvare al paese un educandato, del pari fiorente che rinomato nelle Romagne, il Ministero della Guerra aveva insistito presso il Mini­ stero di Grazia e Giustizia, perchè fosse messo a sua disposizione il monastero di S. Chiara per urgente bisogno di militare ser­ vizio ». Tra i rimostranti trovo i genitori delle alunne che reclama­ rono presso il Ministero della Pubblica Istruzione; e Pietro Liverani con altri cittadini di Faenza che si rivolsero al sindaco, accusandolo di debolezza, e « di facile pieghevolezza all’altrui de­ siderio ». Dopo le repulse del ministero l’abbadessa si persuase di ri­ volgersi al re direttamente; ma il giorno prima della sua istanza (15 maggio) il decreto reale di requisizione veniva firmato in Torino. Esso dicevasi «impetrato dalla Giunta di Faenza». La madre Casalini, sperando contro speranza,143 non esitò di mandare nella capitale una persona autorevole perchè per mezzo del Minghetti, del Pasolini e di altri personaggi politici di Roma- | gna tentasse la revoca del decreto; ma fu inutile. «T utti» seri- 120 veva l’inviato « lamentano l’occupazione del convento e la distru­ zione dell’educandato, ma tutti affermano non potersi salvare ». Il sindaco e la giunta di Faenza e il prefetto di Ravenna, a quanto afferma l’inviato, puntarono i piedi, e il Ministero della Guerra intimò questo dilemma: O evacuare il convento o ritirare da Faenza il deposito. Il 20 giugno s’insistette un’ultima volta per una dilazione; ma « la risposta della Giunta » scrive l’inviato dell’abbadessa, « e la preoccupazione del prefetto contro l’educandato influirono a sentirsi dare una negativa sotto tutte le forme ». Adunque il giorno 21 le clarisse con dieci educande che non vollero abbandonare il collegio dovettero lasciare, non senza la­ grime, il luogo di tanto dolci ricordi. Esse sfilarono per le vie di Faenza in cinque carrozze, recandosi presso le monache di S. Umiltà. Queste furono costrette dal governo a cedere una parte del proprio convento e prepararlo in fretta per le nuove ospiti. Così le clarisse trovarono un rifugio presso quelle stesse mona143 p o

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IV, 18.

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che, la cui madre avevano accolto tanti secoli prima in una notte memoranda. In questo doloroso schianto la madre Casalini fu udita ri­ petere con molta tranquillità le parole di Gesù nell’orto: Sia fatta la tua volontà; 144 e quelle di san Paolo: Gloriamoci anche nelle nostre afflizioni.145 E non diede mai in lamenti, e incoraggiò sem­ pre le consorelle a soffrire con pazienza, sicché solo a vederla e a sentirla parlare infondeva fiducia. Non sopravvisse a lungo, e il 22 maggio del ’64 si spense di un colpo apopletico. Venne tumulata nella chiesa di S. Umiltà dentro l’arca comune. Il 21 luglio successivo le religiose a pieni voti elessero abbadessa suor Caterina Baccarini, che fin dal ’59 teneva l’ufficio di vicaria. | Nata a Faenza il 7 dicembre del 1815 146 col nome di Eulalia da Pietro e da Giovanna Pini, fu allevata dai suoi piissimi ge­ nitori in modo tutto conforme alle massime cristiane. Il 24 feb­ braio del ’40 entrò nel monastero di S. Chiara con una sorella; nella festa di S. Romualdo (7 febbraio) dell’anno seguente rice­ vette il sacro abito alla presenza di monsignor Folicaldi, assu­ mendo il nome di Maria Caterina Teresa Francesca del Santis­ simo Sacramento, e il giorno di S. Caterina De Ricci (13 febbraio) del ’42 pronunziò i sacri voti. L’abbadessa Casalini aveva dichiarato che suor Baccarini era ben fondata in santità; e aveva preconizzato spesso che sarebbe abbadessa. Infatti durante gli anni della prova e più nell’ufficio di maestra delle educande, essa dimostrò virtù eminenti di reli­ giosa e qualità insigni di educatrice, cioè ingegno svegliato, atti­ tudine alle arti gentili, nobiltà e dignità nel tratto, sano criterio, prudenza c tino discernimento degli spiriti, abito di mortificazione e perfetta ubbidienza, e inesauribile pazienza. Quindi si spiega come le suore unissero i voti sulla sua persona, e fino alla morte continuassero ad eleggerla a pieni suffragi. Tornando alla storia del monastero, il 27 giugno del ’62 il sottoprefetto di Faenza, alla presenza dei sindaci della città e del convento, consegnò il locale all’autorità militare per una « oc-

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H4 Mt. XXVI, 42. 145 Bom. V, 3. 146 Suor Caterina Baccarini - Cenni scritti da una religiosa clarissa, Faenza 1896.

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cupazione » dicevasi « provvisoria ». La chiesa stessa venne « lasciata a disposizione, pure in via provvisoria, dell’autorità ec­ clesiastica, che promise di tenerla aperta al pubblico a spese delle religiose ». In compenso del perduto orto il Ministero della Guerra concesse alle suore un annuo assegno.147 Ma nel giugno del ’66 la chiesa fu chiusa. Mentre la guerra coll’Austria stava per scoppiare, le suore furono richieste di ce­ dere momentaneamente la chiesa ad uso di magazzino di sus­ sistenza, coll’assicurazione che sarebbe stata restituita, dopo la guerra. |Intanto le suppellettili sacre vennero raccolte, parte nel convento di S. Umiltà, parte nel vescovado e parte in alcune case private. La chiusura della chiesa fu seguita da un avvenimento molto più grave. La legge 7 luglio ’66 sopprimeva le corporazioni re­ ligiose in tutto il regno. Un mese dopo l’abbadessa dovette sten­ dere regolare denuncia di tutti i beni, redditi e passività spettanti al convento,148 che era composto di 18 corali e di 12 converse; e il 13 novembre successivo il Demanio prese possesso di tutti i beni mobili e immobili. L’abbadessa protestò contro gli offesi diritti della Chiesa e della proprietà. Tuttavia parve in quei giorni che il tempio di S. Chiara si dovesse riaprire. Il maggiore generale comandante interinale la divisione di Forlì, nel 16 novembre, permetteva al comandante militare del circondario di Faenza che « la chiesa, attaccata al lo­ cale destinato ad uso del Deposito Oftalmico, venisse attivata pei divini uffici in favore dei militari oftalmici, come prima della guerra ». E già le suore (18 novembre) si affrettavano a chiedere i quadri e gli arredi sequestrati dal Demanio. Ma questo lampo di speranza dileguò presto; perchè la stessa autorità militare di­ chiarò che la chiesa di S. Chiara « abbisognavale come magazzino delle sussistenze ». Intanto il 23 aprile del ’67 la Direzione demaniale di Bologna ordinò che «gli arredi sacri, già appartenenti alle suore (...) quanto potessero loro occorrere per l’esercizio del culto religioso secondo il proprio rito », fossero restituiti; ma le suore furono costrette a ricomprare parecchi oggetti della chiesa e del convento, ad esempio la porta interna di legno intarsiato, gli stalli del coro, 147 DÌ 500 lire. 148 Nel ’ 66 le suore non possedevano se non una casa per il fattore nel Rione Rosso, via Manara, nn. 522-523; Più un modestissimo capitale di censi, e alcune cartelle del Debito Pubblico.

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l’organo, e persino le lampade, il turibolo, la pisside, i calici, le campane e altri oggetti. La tela del Tiarini e qualche altro qua­ dro furono collocati nella Pinacoteca Comunale o andarono dispersi. Dopo la soppressione non mancarono molestie. | Durante le perquisizioni del ’66 e del ’67 alcuni agenti del governo, forse più stupidi che maligni, in presenza dell’abbadessa si presero il cattivo gusto di esortare le suore a uscire dal convento piuttosto che chiedere la pensione concessa loro dalla legge. Ma questi ufficiali del governo non riuscirono che a farsi compatire. Nel luglio del 1874, quantunque i Regi Ispettori Scolastici se ne fossero lodati, e i Regi Delegati che assistevano agli esami avessero dichiarato la loro soddisfazione, si tentò di chiudere l’educandato, rimasto aperto in S. Umiltà, come privo di auto­ rizzazione governativa; ma per fortuna non si riuscì nell’intento. Inoltre nell’ottobre del 1876 YIntendente delle Finanze pretese che l’ex monastero fosse « tosto sgombrato da quelle professe e no­ vizie che vi erano entrate dopo la legge di soppressione»; perchè la madre Baccarini, fiduciosa che la divina Provvidenza non avrebbe permesso l’estinzione del convento e dell’educandato, aveva dopo il 1867 continuato, pur nel rifugio di S. Umiltà, a vestire nuove suore benché sprovviste di pensione. Ma poi... il go­ verno dovette accorgersi che in Italia c’era ben altro da fare che infastidire povere donne.

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XIV IL QUARTO MONASTERO (1878)

Dopo il ’62 le suore per parecchi anni sperarono di tornare nell’antico monastero. Cessato l’Ospedale Oftalmico e rimasti in S. Chiara pochi soldati della guarnigione, l’abbadessa fece istanza (24 marzo ’70) al ministero delle Finanze per riavere il monastero; poiché la loro abitazione in S. Umiltà era ristretta e disagiata, e riusciva incomoda alle monache vallombrosane. Ritornando in S. Chiara, essa avrebbe potuto sviluppare l’educandato secondo le richieste di molti concittadini, che intendevano affidare le proprio figliuole alla loro educazione. Francesco Casalini presentò questa richie­ sta | al ministero in Firenze; ma scrisse (3 aprile) all’abbadessa

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« non esserci molto a sperare da persone all’orecchio delle quali il nome di suora o frate nei tempi calamitosi in cui viviamo non suona troppo gradito ». Nello stesso tempo la madre Baccarini ne fece istanza al viceprefetto di Faenza e al sindaco Betti (22 aprile), quantunque in Faenza si dicesse che la Giunta de­ siderava di stabilire nell’ex-convento un Ricovero di mendicità, e la Direzione generale del demanio (18 maggio) sollecitò infor­ mazioni e proposte dall’Intendenza di Finanza-, ma il 31 maggio dello stesso anno per ordine del ministero della Guerra il con­ vento di S. Chiara cessò di far parte della Sezione degli Ospedali, e passò a quello delle caserme. Le cose, come avviene, andarono a rilento; cosicché, essen­ dosi sparsa in Faenza la voce che il governo avrebbe messo a pubblico incanto l’ex-monastero, le suore, da prima nell’agosto di quell’anno, poi nell’ottobre del 72, fecero esprimere al governo l’intenzione di comprare il loro antico convento; ma finalmente il governo (21 dicembre) dichiarò che non era disposto a mettere all’asta quello stabile. Il convento divenne caserma e tale rimase. Oramai bisognava lasciare ogni speranza di ritorno e cercare un’altra sede. Dopo alcuni progetti andati a vuoto, la signora contessa Giulia Caselli del fu Damiano vedova del sig. Antonio Bampi Geminiani, offerse alle suore un suo palazzo con orto annesso, situato nel Bione Nero in via Croce al civico numero 109.149 Il marito della signora Caselli, Antonio Bampi, aveva ereditato questo palazzo dallo zio Ferdinando morto celibe; il quale a sua volta lo aveva avuto in eredità da Antonio Rampi, suo zio, defunto senza figli. Le suore accettarono questa profferta, molto più che il futuro convento aveva 'appartenuto ai parenti della madre Rampi, il cui ricordo sonava promessa di pace e di prospera fortuna. Molto s’interessarono della compera i sindaci del convento Giuseppe Archi e Gioachino Cantagalli, che dopo la sua promozione a ve­ scovo ] di Cagli e Pergola, e poi di Faenza, conservò al monastero un affetto tutto particolare. Il nobile conte Ottaviano Ferniani, gentiluomo profonda­ mente cristiano, si compiacque prestare il suo nome per la com­ pera, aggiungendo alle sue molte benemerenze verso la città e la diocesi di Faenza questo benefìcio alle umili figliuole di 149 Oggi numero 16.

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s. Chiara. Egli sarà sempre benedetto dalle suore come uno dei loro più grandi benefattori. Il palazzo fu comprato nel novembre del ’76; ma per la mo­ rosità degl’inquilini i lavori di restauro e di adattamento furono intrapresi in principio del ’78, sotto la direzione dell’ingegnere Luigi Marcucci e del sindaco parroco Giovanni Maria Sbrocchi, che poco dopo fu elevato alla cattedra episcopale di Cesena. Tutta la proprietà fu recinta da un alto muro; e vi fu costruita una cappella accessibile al pubblico con una sagrestia, un coretto e un coro nel piano superiore. Ai lati dell’altar maggiore furono collocate le statue dei santi Pietro e Paolo che decoravano quello dell’antico convento. La tela rappresentante la B. V. Immacolata in mezzo a s. Francesco e a s. Chiara fu dipinta dal Guardassoni, e donata al monastero nel 1882 dalla signora Maddalena Frassineti Bottari ex-educanda. I due altari laterali, situati ambedue a destra, furono dedicati l’uno al Sacro Cuore e l’altro alla B. Vergine della Misericordia, come nell’antica S. Chiara. La statua del Sacro Cuore, lavoro dei nostri Graziani, fu fatta a spese della contessa Bosa Biancoli, educanda poi religiosa.150 La cappella e il convento furono benedetti da monsignor Pia­ nori, minore osservante, vescovo di Faenza, la mattina del 6 ago­ sto ’78, e nello stesso giorno fu posta la clausura. La madre Baccarini vide rifiorire nella nuova casa il con­ vento e l’educandato; e fece costruire entro il recinto nuove abi­ tazioni per le monache. | Monsignor Cantagalli, devoto ammiratore delle virtù di 126 quella venerabile abbadesa, volle si celebrasse con solennità il cinquantesimo della sua professione religiosa (13 febbraio ’92); cinquantenario che per cagione dell’infermità di lei si dovette trasportare al 30 di giugno. In questa circostanza l’abbadessa si vide circondata da un numero immenso di ex-educande; e mon­ signor Cantagalli fece murare nel coro del monastero un’epigrafe elogiástica, da lui stesso dettata, ove si legge che la madre Bacca­ rini « resse il suo istituto per un quarto di secolo in tempi pro­ cellosi con dignità di abbadessa, con tenerezza di madre ». Un’al­ tra epigrafe dello stesso monsignore fu stampata a tergo di al­ cune devote immaginette distribuite il giorno della festa, ove di150 Fu anche comprato per la cantoria un organo della ditta Filippo Tronci di Pistoia; ma nel 1909 fu acquistato e inaugurato un organo li­ turgico della ditta Carlo Vegezzi Bossi di Torino.

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cevasi che l’abbadessa « nei diversi uffici di suora, di maestra, di superiora visse esempio e norma alle sue vergini sorelle ». La veneranda donna accettò riconoscente questa festa, ma come onore che era persuasa non meritare, e dopo incredibili sofferenze sopportate con ammirabile pazienza, e dopo avere rac­ comandato alle sue figlie, come soleva fare, l’amore e la concor­ dia fraterna, morì serenamente il 12 dicembre del ’94 tra il pianto amarissimo delle suore. Ai funerali furono presenti settanta signore già allieve del collegio, e più ancora al funebre corteo e all’ufficio di trigesima. Anche in questa occasione monsignor Cantagalli dettò un’epi­ grafe, che fu stampata dietro emblemi mortuari e immaginette sacre, distribuite durante la cerimonia funebre. Vi si diceva elo­ quentemente e con verità che « come ne tornasse dolorosa la perdita lo palesava il pianto delle sue religiose e quello di cento e cento, ieri giovani alunne, ora fiore di spose e di madri, pianto che non poteva mentire perchè sgorgante dal cuore sulla tomba d’una sorella, d’una madre, d’una santa (...) ». |

XV LA COSTRUZIONE DEL NUOVO EDUCANDATO (1914-15)

Dopo la morte della Baccarini le suore elessero abbadessa la sorella di lei suor Maria Fedele (1825-1907) che di ventisette anni era stata eletta maestra delle novizze e tenne quest’ufficio per cinquantaquattro. Ella esercitò per tre anni la carica di ab­ badessa e negli ultimi nove della sua vita, di vicaria. Naturalmente i lunghi governi della Rampi, della Casalini e della Baccarini, giustificati più che altro dalle difficili circostanze dei tempi, non potevano diventare la regola. Nella seconda metà del secolo passato e nel nostro gli isti­ tuti, le città e le nazioni hanno preso a celebrare con particolare cura e con straordinarie festività le ricorrenze centenarie della loro storia. Nel 1905 le educande commemorarono la data del primo cen­ tenario della fondazione del collegio con una modesta festicciuola, presieduta da monsignor vescovo. Le feste celebrate nel 1912 in occasione del settimo centenario della fondazione del secondo Ordine resteranno sempre soave ri­ cordo delle suore e delle educande che vi parteciparono.

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La elegante chiesetta del convento fu riccamente apparata, e sull’altar maggiore il quadro del Guardassoni illuminato a luce elettrica. Nel triduo (18, 19, 20 marzo) ogni mattina le numerose antiche allieve del collegio si accostarono con pietà edificante alle comunioni generali; e ogni sera numeroso uditorio ascoltò attentamente i discorsi del padre Adolfo Martini dei Minori pieni di unzione e di dottrina. Per singolare concessione del Pontefice, le clarisse ottennero il privilegio di tenere solennemente esposto il Sacramento nella notte dal 19 al 20 marzo, data della consacrazione di s. Chiara, e di passare l’intera notte in adorazione. Alle 11 della notte co­ minciarono la recita dell’ufficio del Sacramento e a mezzanotte precisa ascoltarono la prima messa. Mentre il sacerdote pronun­ ziava le parole « Ecce Agnus Dei », l’abbadessa lesse a voce alta | e a nome di tutte le religiose la rinnovazione dei santi voti; poi 128 tutte, suore e educande, ricevettero la Comunione. A questa prima messa seguirono altre, alternate con la recita delle laudi e delle ore canoniche, e alle 5, ritiratesi le religiose nel coro interno, la chiesa fu aperta ai fedeli. La solenne esposizione, cominciata alle 7 pom. del giorno 19 fu terminata alle 7 ant. del 20, portan­ dosi processionalmente il Sacramento per tutto il monastero. Nel giorno 21 la musica fu eseguita a perfezione e diretta dal padre Marabini dei Minori, e furono apprezzati il graduale, l’offertorio, i vespri, il tantumergo e l’inno finale, composti per la circostanza da quel distinto maestro. Il maestro CafTarelli seppe ritrarre dal nuovo organo liturgico splendide armonie. Il giorno 22 le clarisse celebrarono un ufficio funebre per le consorelle defunte, e la sera di quello stesso giorno con una in­ dovinata funzione posero termine alle feste, che lasciarono una dolce e soave impressione nei numerosi devoti che mattina e sera stiparono la loro cappella. Nei giorni delle feste le suore distribuirono un elegante opu­ scolo, contenente brevi notizie sul monastero delle clarisse faen­ tine e sul loro collegio, dedicato a monsignor Cantagalli.151 Avendo il Comune di Faenza fino dal 1910 aperto una scuola normale, molte giovinette ripetutamente fecero dimanda di es­ sere accolte nell’educandato a condizione di frequentare nello stesso tempo le scuole pubbliche. Nel ’12, durante la vacanza della 151 Monastero di S. Chiara in Faenza. 1212-1912. Settimo centenario della monacazione di s. Chiara e della fondazione del secondo ordine, Imola 1912.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

sede vescovile per la morte di monsignor Cantagalli, il canonico Primo Lanzoni, delegato al regime dei conventi dal vicario ca­ pitolare, il parroco Antonio Guerra e l’avv. Giuseppe Cantagalli, sindaci del monastero, incoraggiarono le religiose ad aprire un convitto di studenti che frequentassero le scuole normali. Le suore accettarono questo consiglio, e nell’ottobre di quello stesso anno aprirono lo studentato. Sul principio le ragazze venivano accom­ pagnate alla pubblica scuola da persone secolari di fiducia delle suore, ma |presto i superiori trovarono necessario, anche per ade- 129 rire al desiderio dei genitori, che le giovanette fossero condotte e ricondotte dalle stesse suore. Perciò nel giugno del ’14 S.E. mon­ signor Bacchi, vescovo di Faenza, chiese ed ottenne da Pio X il permesso di delegare alcune monache a questo ufficio, e il 9 lu­ glio successivo, trovandosi in Roma, ricevette dal Pontefice re­ scritto favorevole. « Il sacrificio che fanno le buone figliuole, rompendo la clausura » scriveva di sua mano il Santo Padre, « sarà largamente ricompensato dalla esemplare condotta del po­ polo attratto dal loro religioso contegno ». Nell’agosto dello stesso anno con approvazione dell’autorità diocesana le suore misero mano alla costruzione di un nuovo edu­ candato, perchè l’antico per l’affluenza delle giovinette era di­ ventato insufficiente. Nel giorno 8 dello stesso mese cominciarono le necessarie demolizioni, e il 20 diedero principio agli scavi delle fondamenta in cantina e poi il 21 all’aperto, secondo il disegno del signor Giuseppe Tramontani di Faenza, ingegnere capo del comune. Le suore posero nelle fondamenta una memoria, « affi­ dandosi tutte », come esse dicevano, « religiose, educande e stu­ denti, alla bontà del Signore, alla protezione della B. Vergine Maria, di s. Francesco e di s. Chiara ». « Con timore », esse scri­ vevano in quella pergamena, « abbiamo incominciato i lavori, causa la continua minaccia di leggi persecutrici che ci possono privare del nostro convento e dei nostri beni, e causa l’incerto pauroso avvenire che ci sovrasta per l’atrocissima guerra che arde in Europa, in cui stanno fin qui la Germania e l’Austria da una parte, l’Inghilterra, la Francia, il Belgio, la Russia e la Ser­ bia dall’altra, con grave pericolo che anche la nostra Italia venga travolta nel terribile conflitto. Salvi il Signore la sua Chiesa,152 l’Italia, la nostra diocesi e la nostra comunità da ogni male oggi e sempre ». 152 La Sede Apostolica era vacante per la morte di papa Pio X avve­ nuta il 20 agosto di quell’ anno.

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Il convento e il collegio di Santa Chiara di Faenza

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I lavori furono ultimati nell’estate del 1915. Il nuovo edificio sorge sopra un’area di 330 metri quadrati e contiene nei due piani | superiori quattro cameroni con 52 letti, con lavandini, 130 bagni, guardaroba e armadi a muro, e nel piano inferiore un re­ fettorio, una dispensa, una cucina e un forno. Una terrazza spa­ ziosa ed elegante guarda la campagna attorno. Nel 1916 l’autorità militare domandò alcune suore per il ser­ vizio dei feriti; e i superiori ecclesiastici incuorarono le clarisse ad accettare questo nobile sacrificio, e però nell’ottobre tre di esse furono addette come infermiere all’ospedale militare delle Micheline, dove rimasero fino al 31 gennaio del ’19. Per decreto del 19 novembre 1917 il vecchio e nuovo edu­ candato di S. Chiara furono destinati ad ospedale militare, quan­ tunque non fosse mai occupato perchè non si presentò il bisogno. Però il nostro convitto, di quasi sessanta alunne con le suore ad­ dette, fu trasportato (22 febbraio ’18) nel palazzo della contessa Santina Zanelli, requisito a questo effetto, e le educande interne furono collocate nell’edificio riservato alle suore. Finalmente il 31 gennaio del ’19 tutto rientrò nello stato normale. Nel giugno del ’21, celebrandosi in tutto il mondo il sesto centenario della morte del Divino Poeta, le clarisse vollero ono­ rarne la memoria con una accademia di recite e canti, che fu tenuta nel cortile del collegio alla presenza di monsignor vescovo, del signor sottoprefetto di Faenza e di altri personaggi ragguar­ devoli della città. Le educande e le normaliste eseguirono con garbo pezzi di musica di celebri maestri italiani sopra parole del poeta, declamarono versi della Comedia, specie il canto di Piccarda, e recitarono componimenti di autori italiani e stranieri in­ torno alla persona e all’opera del grande fiorentino. Ora le clarisse si preparano con rinnovato fervore a com­ memorare il settimo centenario della data più antica del loro mo­ nastero. L’anima del pio fra Viviano, cioè di colui che aperse alle prime clarisse la sua casa, e per parecchi secoli congiunse il suo nome a quello del loro convento, e l’anima di quella prima supe­ riora che venne da Assisi a reggere collo spirito della fondatrice le prime clarisse faentine, certamente mirano dal cielo con com­ piacenza la loro istituzione che dura ancora. | La maggior parte dei faentini, contemporanei di fra Viviano 131 sono da un pezzo dimenticati, ma la memoria di quell’uomo be­ nefico, dopo tanti secoli, vive ancora benedetta nella mente e nel cuore delle clarisse; nè esse hanno dimenticato e dimentiche-

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

ranno mai che le ceneri della prima madre furono portate dal primo nel secondo e poi nel terzo monastero ove dormono in pace. Dal secondo decennio del secolo XIII quante cose in Faenza sono scomparse, e quante mutazioni sono avvenute nel governo, nelle leggi, nei costumi e nel linguaggio stesso. Numerosi monasteri, che sorgevano attorno alla città medie­ vale non esistono più, ma l’umile luogo di fra Viviano, pur dopo vàrie emigrazioni, permane e fiorisce ancora, e fiorirà, speriamo, fintantoché i faentini terranno in pregio i sacrifici compiuti per il conseguimento di un nobile e santo ideale, i magnanimi di­ stacchi dai godimenti sensuali, e le elevazioni della mente sopra la materia che avvilisce e deprime nel fango.

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L’ANTICO ARCHIVIO DI S. FRANCESCO DI FAENZA In Archivimi Franciscanum historicum, XX, 1927, pp. 589-595

Il convento dei frati Minori di Faenza ebbe un proprio ar­ chivio, come risulta dal Bullarium Franciscanum del p. Sba­ raglia,1 dal Liber Rubeus di Bernardino Azzurrini, notaio faen­ tino,2 e dai manoscritti dell’abate Giambattista Tondini di Brisighella, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo fino ai primi anni del XIX; manoscritti conservati, in parte, nella Biblioteca Vaticana3 e per cortesia di mons. Angelo Mercati da me consul­ tati tra il 1921 e il 1923. L’ab. Tondini ebbe dai proprietari gli originali che non restituì e che, in piccolissima parte, sono stati ricoverati nell’Archivio di Stato in Roma; e ne fece delle copie, acquistate, almeno in parte, dalla Biblioteca Vaticana. Nelle memorie faentine la denominazione Archivio di S. Francesco è ambigua, poiché alle volte significa l’archivio proprio dei frati Conventuali, e alle volte l’archivio della fami­ glia Manfredi, che al tempo della catastrofe della sventurata fa­ miglia fu deposto e per molto tempo conservato nel convento di S. Francesco.4 Quindi quando una pergamena si dice tolta dall’Archivio di S. Francesco può nascere dubbio se si tratti del Ta­ bulario manfrediano o del modesto archivio dei frati. Quando il p. Sbaraglia, il Liber Rubeus e l’ab. Tondini non dicono chiaramente che le pergamene da loro o pubblicate, o date in regesto o per intero, furono desunte dall’archivio dei Conventuali, lo si può arguire dalle note dorsali dei secoli po­ steriori, e dall’argomento delle carte. Alle volte si rimane per­ plessi. Ad esempio nel Lib. Rub. | a carta 57 si legge in margine 1 Tom. II, p. 141: « e x archivo nostri conventus dictae civitatis» (Faventiae). 2 A. Messeri, Chronica breviora aliaque monumenta faventina a Dem. Azzurrinio collecta, in RIS, XXXVIII, par. III. 2 Non ancora numerati, quindi non ho potuto citarli con precisione. 4 Messeri, op. cit., pp. CLXII-CLXVII.

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di carattere di Giovan Battista figlio di Bernardino Azzurrini: «1302. Potestas Faventiae d. Franciscus de fìliis Ursi de Urbe. Ex archivo S. Francisci », ma sembrerebbe che questa perga­ mena spettasse non all’archivio proprio dei frati ma al deposito manfrediano.5 Ciò posto forse non tornerà discaro agli amatori di cose fran­ cescane di avere un regesto delle carte che, più o meno probabil­ mente, appartennero all’archivio dell’antico convento dei frati Mi­ nori di Faenza. 1. 1228, agosto 11. — Da Perugia Gregorio IX annuncia la canonizzazione di s. Francesco e scrive agli arcivescovi di Bavenna, di Milano e di Genova perchè nelle loro chiese ne cele­ brino la festa il giorno 4 di ottobre. Libe Rubeus, f. 57: «est in archivo S. Francisci de Faventia s.(icut) ego vidi et legi Ioan. Baptista Azzurrinus ». Credo si tratti della bolla Mira circa nos del 19 luglio 1228 (Sbara­ glia, Bullar. Francisc., I, pp. 42-44), che sarà stata spedita ai tre arcivescovi con una data posteriore.

2. 1229, dicembre 7. — Da Perugia Gregorio IX agli arci­ vescovi, vescovi e agli altri prelati delle chiese: «Fratrum minorum continent instituta » ecc. Mss. Tondini nell’Archivio Vaticano. Questa bolla trovasi talora in data 19 aprile dello stesso anno. Cfr. Archiv. Frane, hist., V ili, 1915, p. 585.

3. 12k8, marzo 74. — Papiniano da Campobasso del regno di Apulia (Faenza in quel tempo era soggetta a Federico II im­ peratore e re di Sicilia) fa una donazione a fra Bonaventura sindaco e vicario dei frati (di S. Francesco) e del monastero (delle Clarisse) di S. Maria delle Vergini di Faenza. Sunto di scrittura tolta dall’archivio di S. Francesco, nella Cronaca faentina di Gregorio Zuccolo copiata dal p. Zannoni nel 1640, ms. della Bibl. com. di Faenza. Cfr. Archiv. Frane, hist., V, 1912, pp. 270-271. Sono dubbio se per archi­ vio di S. Francesco s’intenda quello del convento o il man­ frediano.

4. 1250, maggio 1. — Da Lione Innocenzo IV ordina ai ve­ scovi di accogliere i frati Minori e di permetter loro di predicare e di confessare. Mss. Tondini nell’Arch. Vat. 5 Cfr. Messeri, op. cit., p. CLXIX, nn. 23 e 32.

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L’antico archivio di S. Francesco di Faenza

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5. 1256, luglio k. — Alessandro IV da Anagni concede 100 giorni d’indulgenza ai fedeli che visiteranno la chiesa dei Minori di Faenza nelle feste dei Ss. Francesco, Antonio e Chiara e nelle ottave. Sbaraglia, Bull. Frane., II, p. 141: « e x archivo nostri conventus

dictae civitatis (Fav.) ». j

6. 1260, gennaio k. — Testamento di Vitale f. di fu Giovannino Pctenari che elegge la sua sepoltura « aput locum fratrum Minorum de Fav.»; «prò anima sua» lascia alla chiesa stessa 20 sold. rav. e nomina suo esecutore testamentario il guardiano.

591

Archivio di Stato Roma, Collezione delle pergamene provenienti da (...) Faenza, n. 70; mss. Tondini nell’Arch. Vat.

7. 1282, luglio 11. — Trascrizione delle lettere Ad fructus uberes, date da Martino IV in Orvieto (1281, dicembre 13) al Ge­ nerale e ai Provinciali dei Minori. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.: «a rch iv io francescano di Faenza, dal mio stu diolo». Cfr. Archiv. Frane, hist., X, 1917, p. 191.

8. 1282, dicembre 7. — Testamento di fra Martino dell’Ordine degli Umiliati f. del fu Giuliano da Bologna, dimorante in Faenza nella cappella di S. Maria degli Ughi, fatto nella catte­ drale di Faenza presenti « d. Auliverio et d. Alberto canonicis faventinis, d. Deuteguardo archipresbitero Sancti Petri in Laguna, mag. Alberto fabro de Lugo et Zanto eius filio, Paxitto de Vachis et Ugolino qui servit sepulcro fratris Novelloni et aliis ». Fra Martino nomina’ suoi commissari ed esecutori « fratrem Ricardum Ordinis Penitencium et fratrem Ardizonem et fratrem Zanellum sartores Ordinis Humiliatorum de Faventia». Fa un la­ scito al convento dei Minori di Faenza. Archivio di Stato Roma, ibid., n. 85; mss. Tondini nell’Arch. Vat. Cfr. Archiv. Frane, hist., XIV, 1921, p. 437.

9. 1289, agosto 30. — Da Cesena fra Bartolomeo da Amelia, frate Minore, vescovo di Grosseto e vicario di papa Nicolò IV in spiritualibus nella provincia di Romagna e nella città e dio­ cesi di Faenza, esorta i fedeli a venire in soccorso dei frati Minori di Faenza, pressati dai bisogni e privi di libri, di ornamenti ec­ clesiastici e di tonache e di altre cose necessarie. Archivio di Stato Roma, ibid., n. 90; Lib. Rub., p. 56. Cfr. Archiv. Frane, hist., XIV, 1921, pp. 440-441.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

10. 1291, agosto 1. — Nicolò IV da Orvieto al Ministro dei frati Minori della provincia di Bologna intorno alla predicazione della crociata: «Terre sancte miserabilem statum». Archivio di Stato Roma, ibid., n. 91; mss. Tondini nell’Arch. Vat. Cfr. Archiv. Frane, hist., XIV, 1921, p. 441.

11. 1305, agosto 30. — Napoleone (Orsini), diacono cardinale di S. Adriano, da Faenza concede ogni anno 100 giorni d’indul­ genza ai visitatori di S. Francesco nei giorni di quaresima, nelle feste di Maria, del b. Francesco, del b. Antonio e della b. Chiara e nelle ottave. Mss. Tondini nell’Arch. Vat. bate T. |

« Pende il sigillo », avverte l’ab­

12. 1362, febbraio 13. — Nella sagrestia di S. Francesco ser Pietro Amadei dei Valvassori di Ottignano (Tredozio) fa il suo testamento e lascia de’ suoi beni per costruire un altare in onore dei ss. Martino, Fabiano e Sebastiano nella chiesa di S. Maria degli Ughi o altrove, come piacerà ai Frati della Peni­ tenza di Faenza, ai quali apparterrà la nomina del rettore del­ l’altare. Lib. Rub., ff. 56u-57: « i n arrario S. Francisci ego Bernardinus Azzurrini vidi et legi ».

13. 1362, dicembre 17. — Bencevenne vescovo di Cesena con­ cede indulgenze alla « Societas sive conpietatio domus ( = cap­ pella) S. M. de la Misericordia de civitate Faventia Batutorum vulgariter vocatorum, qui ad eiusdem Virginis reverentiam ele­ gerunt cum laudibus et canticis certis temporibus et horis sua corpora verberantes virtutum Domino famulari (...) quando ad sepeliendum corpora mortuorum adseesserint et disiplinandum se congregaverint et laudes cantaverint ». Lib. Rub., ff. 4 3 e 57 : « ex archivo S. Francisci ». Son dubbio se si tratti dell’ archivio del convento o del manfrediano. Cfr. Messeri, in Rerum Italicarum S crip tores2, XXVIII, 3,

p.

181.

14. 1379, febbraio 9. — Maddalena di Giovanni Milliani (Emi­ liani?) fa testamento nella sagrestia dei frati Minori, testimoni alcuni frati. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

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L’antico archivio di S. Francesco di Faenza

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15. 1391, luglio 20. — Innanzi a Angelo Ricasoli, vescovo di Faenza, promulgasi il lodo di Tomaso da Fermo domenicano e di Antonio dei Celestini nella lite tra i frati di S. Francesco di Faenza e i preti del convento di Faenza ( = i parroci urbani) sulla quarta dei funerali. Lib. Rub., f. 56.

16. 1398, novembre 23. — Guglielmo di ser Sebastiano dei Bastiani di Faenza nel suo testamento lascia a’ suoi commissari di erigere co’ suoi beni una cappella a s. Sebastiano nella chiesa di S. Francesco, ov’è la sepoltura de’ suoi maggiori. Lib. Rub., f. 56.

17. 1399, giugno 17. — Nella sagrestia della cattedrale Orso di Gubbio, vescovo di Faenza, per autorità di lettere apostoliche a lui dirette concede ai frati di S. Francesco di Faenza di avere beni stabili e di accettare legati d’ogni genere. Lib. Rub., f. 57.

18. 7424, giugno 23. — Ser Egidio di Lodovico Testi citta­ dino di Faenza della cappella del SS. Salvatore fa testamento; vuole si costruisca una cappella della B. V. in S. Francesco. Lib. Rub., f. 57 v.

|

19. 7432, gennaio 7. — « Eugenius IV absolvit sanctum Bernardinum de Senis a querellis sibi datis a quodam Michele Plebano de haeresi et de ilio signo nominis Iesu q. ipse portabat et adorabat ». Lib. Rub., f. 54: « e x Archivo S. Francisci de Faventia », ca­ rattere di G. B. Azzurrini. Cfr. L. W a d d i n g , Annales, X, p. 189 e s.

20. 7436, luglio 19. — Suor Catterina, terziaria di S. France­ sco, fa il suo testamento nella sacrestia di S. Francesco in favore di fra Girolamo da Faenza, Provinciale dei frati Minori di S. Francesco della provincia di Bologna. Mss. Tondini neU’Arch. Vat.

21. 7447, febbraio 6. — Carta redatta nel borgo Durbecco re­ lativa a un testamento di Domenico del fu Ugolino Ferri della cappella di S. Antonino. I frati non sono nominati. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.: studiolo ».

«a rch iv io

Conventuali,

dal mio

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

22. 1449, marzo 26. — Fra Filippo di Bologna, Ministro della provincia di Bologna, insieme coi frati di S. Francesco di Faenza concede a maestro Antonio di Bosso de Bubeis della cappella di Monte Bidolo ( = S. Marco), la cappella posta in S. Francesco sotto il campanile, da costruirsi in onore della B. V.; e-Antonio per la dote dona ai frati 9 tornature di terra in Sarna. Lib. Rub., f. 57 v.

23. 1450, febbraio 3. — Sei frati del convento di S. Francesco (più di due parti dei frati) in capitolo dànno in affitto per cinque anni una pezza di terra in S. Pier Laguna a Marco di Francesco Zabarro. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

24. 1450, maggio 19. — Frate Guglielmo di Casale, generale dei Francescani, concede a frate Girolamo di Faenza, Ministro della provincia di Bologna, facoltà di eleggere confessori idonei nella sua provincia. Lib. Rub., f. 57 v.

25. (1451?), maggio 19. — Maestro Filippo da Bologna, Pro­ vinciale dei frati Minori, da Corigie (Correggio?), nel tempo del Capitolo provinciale, nomina Fra Girolamo di Faenza suo vicario e commissario nel monastero di Faenza sopra i frati e le monache. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

26. 1458, maggio 29. — Nella sagrestia di S. Francesco, Masio del fu Quarantino Mazzi da Faenza consegna al guardiano, fra Paolo di Bagnacavallo, la cappella antica dei Ss. Innocenti da lui riedificata e dipinta in onore degli Innocenti e di s. Michele, e una pezza di terra per dote della cappella e molta suppellettile sacra, calici, pianete, camici ecc. Mss. Tondini nelPArch. Vat. j

27. 1460, febbraio 26. — In una cappella della chiesa il pròcuratore del convento di S. Francesco fa quietanza a Filippo del fu Bucacani. Si ricordano i « magistri qui fecerunt campanam S. Francisci ». Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

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L’antico archivio di S. Francesco di Faenza

37 L

28. 1467, ottobre 21. — Testamento di maestro Stefano Pa­ solini, che lascia erede la moglie, e dopo la morte di lei, vedova, il convento. Nomina esecutore il guardiano, fa un lascito « prò illuminando corpus d. n. I. Ch. ad altare », elegge il sepolcro in S. Francesco. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

29. 1467, ottobre 21. — Testamento di Angela moglie di Ste­ fano Pasolini, che elegge la sepoltura in S. Francesco, lascia erede il marito e dopo la morte di lui il convento. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

30. 1474, gennaio 5. — Lettera di Giacomo Mucciarelli di Bo­ logna uditore di curia e fra Andrea di Alemagna, procuratore dei Minori, che contiene lettere di Sisto IV da Roma « apud S. Petrum », 20 nov. 1473. Il 3 marzo 1496 in Ancona e il 6 mag­ gio 1508 se ne fa una nuova trascrizione. Non riguarda il con­ vento di Faenza. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

31. 1478, settembre 10. — Testamento di Francesca Cattoli, che lascia un legato a S. Francesco: « unum lettum de penna oche cum duobus capizalibus et duobus linteis prò infermeria d. conventus ». Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

32. 1478, settembre 16. — I frati di S. Francesco congregati in capitolo (il custode e i vocali, 6 di numero) costituiscono Ni­ colò di Zambrino di Lozzano, sindaco, economo, amministratore e procuratore del convento. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

33. 1478, dicembre 17. — Niccolò di Zambrino di Lozzano, della cappella di S. Emiliano, nella sua casa fa testamento, sce­ glie la sua sepoltura nella cappella della B. V. costruita da lui nei passati anni in S. Francesco a sue spese, e lascia alla cap­ pella 500 libre bon. coll’obbligo di celebrare in perpetuo una messa a quell’altare e di ardere ivi una lampada durante il tempo dei divini uffici. Stabilisce inoltre che « mittatur unus vir bonus bis ad visitanda limina B. M. V. de Loredo et ibi offeratur unus duplerius cerae » di venti sold. bon.; un altro «vir bonus ad li-

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

mina b. Antonii de Vienna » ; un terzo alla chiesa dell’Annunziata di Firenze con un doppierò di cera di 20 soldi e a Prato alla chiesa della B. V. ecc. Lascia pure un legato alla cappella di S. Savino « constructae noviter in ecclesia S. Petri de Faventia» (cioè a quella che contiene la scultura di Benedetto da Maiano. Nei testamenti faentini di |quel tempo spesso si legge: « mittatur bis unus bonus vir ad visitandum limina B. M. V. de Loredo »). Mss. Tondini nell’Arch. Vat.; Lib. Rub., ff. 57u-58: « i n arrario scripturarum S. Francisci ». Il regesto del Liber Rubeus chiama questa cappella « cappella della B. V. della Conce­ zione », certo perchè al tempo del notaio Bernardino Az­ zurrini essa aveva questo nome; ma nella copia del Ton­ dini il titolo della cappella non appare.

34. i486, settembre 20. — I frati di S. Francesco sono im­ messi in possesso di un podere di c. 70 tornature con casa, in borgo Durbecco, in forza del testamento di Pietro Franceschini di Fossolo della cappella di S. Maria di Guido. Mss. Tondini neU’Arch. Vat.; Lib. Rub., f. 56 v.

35. 1Ì87, febbraio 2. — Margherita del fu Bartolomeo di Solarolo e vedova di Biagio Antonio del fu Bartolo Bolnesio, in sua casa fa testamento e dispone di essere sepolta in S. Francesco con un doppierò di cera di 2 soldi bon.; e alla società o confra­ ternita di S. Maria di Loreto o di S. Matteo (una confraternita di S. Maria di Loreto esistette nella chiesa di S. Matteo di Faenza almeno fino dal 16 novembre 1447: G. M. V algimigli, Memorie storiche di Faenza, X, pp. 181-183, ms. nella Biblioteca Comu­ nale) libr. 40 bon. per far dipingere un quadro di Maria, di s. Maddalena e di s. Matteo per la chiesa di S. Matteo di Faenza. Mss. Tondini nell’Arch. Vat.

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UN ANTICO MONUMENTO FAENTINO TORNATO ALLA LUCE In 11 Piccolo, XII, 1910, n. 26

Fino ai primordi del secolo passato esistette in Faenza nel corso di Porta Imolese una parrocchia di S. Eutropio. Essa fu soppressa dal governo napoleonico e convertita in privata abi­ tazione. Oggi è segnata col civ. numero 64 e appartiene al signor Giacomo Neri. La chiesa, assai piccola, era rivolta ad occidente. La casa Violani (civ. num. 66), che rientra alquanto, fu edificata nel sacrato della estinta parrocchia. Nel 17 giugno u. s., mentre demolivasi una parte del vecchio muro laterale della chiesa, pro­ spiciente il corso, si è trovato, incastrato nel muro medesimo e coperto di grosso intonaco un prezioso monumento risguardante le origini della chiesa. Esso consiste in una pietra calcarica, assai tenera, lunga m. 1,03 larga m. 0,49, e grossa 0,125. In una cartella larga m. 0,84 e lunga m. 0,30 sono scolpite ad alto rilievo tre rozzissime figure. In mezzo è il Redentore con la testa circondata da un nimbo crucigero, benedicente colla destra, l’indice e il medio elevati. Colla sinistra tiene il libro degli evangeli aperto, ove si legge EGO SVM LVX VERA cioè: Io sono la vera luce, parole desunte dal ver­ setto 9 del capo I (erat lux vera) e dal versetto 12 del cap. Vili (ego sum lux mundi) dell’evangelo di s. Giovanni. Questa icono­ grafia è prettamente bizantina. Alla sinistra del Redentore è scol­ pito un vescovo vestito dell’antica pianeta, che raccoglie colla si­ nistra. Colla destra tiene il pastorale. A destra del Redentore tro­ vasi un abate vestito dello scapolare monastico col pastorale nella mano destra. Alla sua sinistra è un cervo, che egli sembra con­ durre e accarezzare colla mano. Nella fascia della cartella, larga m. 0,095, è incisa un’iscrizione in due linee parallele. Nel­ l’esterna il carattere è maggiore dell’interna. Coll’aiuto dei si­ gnori prof. d. Giuseppe Rossini e rag. Gaetano Rallardini, ho rac­ colto nella linea esterna: 25

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

t ANNO DNICE INCARNATIONIS . M . CXX . V II. HEC ECCÌA SVB HONORE SCORVM EVTROPI / / / / AB ANN XXVIIII. SVE PM UH EC REHEDIFICATA É e nell’interna: t ET MERCVRIALIS GRADI . MARCI . GERVASI . PTASI . 10HANNIS . PAVLI. MARCELLI. SIXTI. BARBARE . ET . S. MARIE VIRGINIS . P ANIMARVM REDÉPCIONE . RODULFI ET VGONIS FILII SVI MENSE . OCTVBRIS / / / / Le tre lacune hanno origine da due rotture fatte dai mura­ tori nei tempi passati per collocare nella facciata della casa la marmella del numero civico e un ferro per sostenere non saprei che cosa. Nessuno dei nostri storici e dei raccoglitori delle epigrafi faentine ha conosciuto questo monumento. Quindi deve ammet­ tersi che esso sia stato ricoperto d’intonaco parecchi secoli fa, al­ meno prima del Tonduzzi, cioè innanzi al secolo XVII. Negli atti della visita apostolica del 1573, conservati nell’archivio vescovile, si legge che « ecclesia (S. Eutropii) fuit inventa fere in totum noviter instaurata a duobus annis circa ». Probabilmente nell’occa­ sione di questo generale restauro del 1571 fu coperto il monu­ mento che oggi torna alla luce.1 10 credo che l’iscrizione debba interpretarsi e supplirsi in questa maniera: + ANNO . DOMINICAE . INCARNATIONIS . MCXXVII . HAEC . ECCLESIA . SVB . HONORE . SANCTORVM . EVTROPI(I . EPI­ SCOPI . AEGIDII) . ABBATIS . ANNO . XXVIIII . SVAE . PRIM(AE . ER)ECTIONIS . REAEDIFICATA . EST. f ET MERCVRIALIS . GRADI . MARCI . GERVASI . PROTASI . IOANNNIS . PAVLI . MARCELLI . SIXTI . BARBARAE . ET SANCTAE MARIAE VIRGINIS . PRO . ANIMARVM . REDEMPCIONE . RODVLFI . ET . VGONIS . FILII . SVI . MENSE . OCTVBRIS. (forse DIE ...). 11 supplemento : EPISCOPI. AEGIDII è giustificato dalla si­ gla AB (abbatis) e dall’iconografia del santo situato a destra del 1 Tuttavia nell’Archivio capitolare esiste il testamento di un canonico in data 30 luglio 1374, che lascia qualche cosa per il restauro di S. Eutropio.

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Un antico monumento faentino tornato alla luce

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Redentore. Infatti nella leggenda di s. Egidio abbate, defunto nelle Gallie nel 721-725 incirca, e celebrato il 1 settembre, narrasi che visse lungo tempo in una caverna, cibandosi soltanto di erbe e del latte di una cerva, che ogni giorno veniva a visitarlo. Questa stessa cerva inseguita dai cacciatori del re del paese, condusse allo scoprimento del santo eremita.2 Circa una ventina di santi hanno per caratteristica un cervo;3 ma parte sono vissuti dopo il 1127, epoca del nostro monumento, e parte o sono donne, o sono vescovi, o non ebbero la dignità abbaziale, quindi non conviene loro nè il titolo nè l’abito della figura del nostro monumento. Io non conosco altro santo abbate, vissuto prima del secolo XII, cui possa riferirsi il nostro monumento. S. Egidio abbate era ve­ nerato nella nostra provincia. I prati di S. Gilio prendono il nome da lui. Una leggenda ravennate narrava, sebbene erroneamente, che egli fosse morto nel contado di Ravenna.4 La sigla AB (ab­ batis) apposta al nome di Aegidius richiama naturalmente, mi pare, la sigla EP (episcopi) dopo il nome di Eutropius. Il supplemento e l’interpretazione: ANNO XXVIIII SVAE PRIM(AE ER)ECTIONIS vengono confermati dall’iscrizione di un mattone trovato alcuni mesi fa quando cominciarono i restauri nella casa del sig. Giacomo Neri. In un lato di questo mattone, da una parte smozzicato, si legge incisa la data seguente, con ca­ ratteri simili alla iscrizione del 1127: MLXXX (la terza X non è intera ma visibilissima) XVIII — cioè 1098. Secondo la mia in­ terpretazione dell’iscrizione del 1127, la chiesa di S. Eutropio sa­ rebbe stata riedificata 29 anni dopo la prima costruzione. Dunque questa avvenne nel 1098. Ora questa data si trova appunto in un antico mattone della ex-chiesa di S. Eutropio. GRADI sta invece di GRATI, il compagno di s. Mercuriale di Forlì.5 Piuttosto che di un errore del lapidicida, deve trattarsi di uno scambio di consonanti nel linguaggio popolare. Non sono due iscrizioni ma un’iscrizione sola. Essa comincia dalla crocetta del giro esterno. Credo che l’iscrizione del giro in­ terno, piuttostochè continuazione dell’esterna, debba considerarsi come intercalata in essa. Infatti la crocetta davanti a: ET MER2 Anal. Boll., V ili, 1889, pp. 111-114. 3 P. Cahier, Les caractéristiques des

saints, Paris 1867, I, alla voce cervo. 4 H. R ubeus , Hist. Haven., Venezia 1590, p. 213. 5 F. Lanzoni, S. Mercuriale nella storia e nella leggenda, estr. da Biv. storico-critica delle scienze teologiche, I, 1905, p. 61.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

CVRIALIS è posta sotto: (AEGIDII) AB. quasi segno di chiamata. L’iscrizione potrebbe voltarsi così in nostra lingua: « Nell’anno della incarnazione del Signore 1227 questa chiesa in onore dei santi Eutropio vescovo, Egidio abate, e Mercuriale, Grato, Marco, Gervasio, Protasio, Giovanni, Paolo, Marcello, Sisto, Barbara e della beata Vergine Maria per la redenzione delle ani­ me di Rodolfo e di Ugo, suo figlio, nel mese di ottobre (nel giorno ...?), l’anno 29° dalla sua prima fondazione, fu riedificata ». Da questa iscrizione apprendiamo che la' cappella di S. Eutropio fu edificata nel 1098, mentre regnava il vescovo Ro­ berto, aderente, come gli altri presuli romagnoli, allo scisma di Viberto, arcivescovo di Ravenna. Caduta la chiesa, o per mala costruzione o per altra causa, fu riedificata nel 1127, sotto l’epi­ scopato di Giacomo. Da molto tempo la Chiesa faentina si era riconciliata colla Santa Sede. Regnava il pontefice Onorio II (11241130). Lottario di Supplimburgo, eletto re di Germania nel 1125, non ancora aveva ricevuto la corona imperiale in Roma. Corrado di Stauffen, duca di Svezia, contendeva a Lottario la corona d’Italia. È troppo chiaro che la chiesa non fu riedificata in un mese (ottobre), molto meno in un giorno, del 1127. La data: mense octubris (die ...?) an. MCXXVII, secondo me, è quella in cui fu mu­ rata la nostra iscrizione, ultimo complemento del ricostruito edifizio. I fasti ecclesiastici conoscono due s. Eutropii, l’uno vescovo di Oranges, celebrato il 27 maggio, l’altro vescovo di Saintes, ve­ nerato il 30 aprile. Questo secondo fu il titolare della nostra cap­ pella. Il suo culto si diffuse fuori delle Gallie. Nel secolo XI in Bologna esisteva una chiesuola a lui dedicata.6 I ss. Mercuriale e Grato erano venerati a Forlì nello stesso giorno 30 aprile. Probabilmente Marcus è s. Marco evangelista (25 aprile); Marcellus e Sixtus due papi romani. Iohannes e Paulus sono i due celebri fratelli martiri del Celio (26 giugno), Protasius e Gervasius i due fratelli martiri milanesi (19 giugno), e Barbara la martire di Nicomedia (4 dicembre). II costruttore o i costruttori della chiesa si sono nominati in­ direttamente, perchè quel Rodolfo e quell’Ugo, suo figlio, verosi­ milmente ne sono i parenti defunti. Costoro nel 1127 dovevano essere ben noti ai lettori dell’epigrafe. Senza dubbio appartene6 Acta SS., Aprii. Ili, p. 744, n. 7.

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Un antico monumento faentino tornato alla luce

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vano alla nobiltà del paese, perchè tra la fine dell’XI e il prin­ cipio del XII secolo soltanto una famiglia nobile poteva darsi il lusso di fabbricare una chiesa a proprie spese. Probabilmente Rodolfo e Ugo furono i fondatori del primo S. Eutropio, e i di­ scendenti loro lo ricostruirono nel 1127.

Fino a ieri la memoria più antica di S. Eutropio trovavasi in una carta 1 settembre 1260 della Biblioteca Comunale. Oggi in grazia della nuova scoperta, la chiesa di S. Eutropio, unica tra le cappelle faentine anteriori al secolo XII, può narrare la storia delle sue origini.

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L’ ISCRIZIONE DI S. BARTOLOMEO In II P iccolo, XIV, 1912, n. 16

Nell’esterno della chiesa di S. Bartolomeo, chiesa che per lo­ devole iniziativa dell’egregio nostro Sovraintendente agli scavi tornerà al pristino stato e all’antica architettura, e precisamente sopra la porta del campanile trovavasi un’iscrizione latina scol­ pita in marmo bianco incastrato nel muro. Nella metà incirca del XVIII secolo era ancora al suo posto; ma da un secolo al­ meno è scomparsa. Gli scrittori faentini, sia nei loro lavori a stampa, sia nei ms. rimasti fino a noi, l’hanno riferita in molte differenti maniere. Ciò non deve far meraviglia. Parecchi di loro non sapevano de­ cifrare i caratteri medievali dell’epigrafe. Altri non si curarono di esaminare il marmo cogli occhi propri; ma si fidarono o delle parole o degli scritti altrui e, non rare volte, aggiunsero degli errori di trascrizione. Credo inutile riprodurre queste diverse versioni. Tra esse la più attendibile è quella del Borsieri. Costui vissuto tra noi come medico condotto dal 1745 al 1769 si occupò con grande amore e con molta intelligenza e diligenza della storia di Faenza. Nelle sue Note al nostro più antico cro­ nista, cioè al Tolosano, conservate manoscritte nella biblioteca municipale, egli riferisce appunto l’iscrizione di S. Bartolomeo. L’erudito istoriografo afferma di aver veduto l’epigrafe nel suo stesso luogo. La forma delle lettere, dei nessi, dei segni di ab­ breviazione ed altri segni particolari del ms. del Borsieri mani­ festano chiaramente che egli trascrisse l’iscrizione dall’originale. Il ms. borsieriano fu pubblicato da Marco Tabarrini nella sua edizione del Tolosano (in Documenti di storia italiana a cura delta R. Deputaz. di Storia Patria per la Toscana, l’Umbria e le Marche, t. VI, Firenze 1876, p. 755) ma disgraziatamente la stampa è alquanto difforme dal ms. e non scevra di errori.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Riproduco l’iscrizione come trovasi nel ms., conservando la divisione delle righe, i caratteri, i segni d’abbreviazione ecc. per quanto lo permettono i caratteri tipografici. f ANNO DNÌ MCC VIIII TPR INOCECII PP t ET ODO REGIS IM-PAToRIS ELC TI hoc oPVS E ACTV T hoNoRE SCI RARThoLOMEI BEATI MATI RI ET SC! EVSTASII SVB PBRO PAVLO La valentia del Borsieri negli studi critico-storici ci assicura che l’iscrizione fu fedelmente riprodotta. Essa dunque suona così: t ANNO DomiNI MCCVIIII TemPoRe INnOCEnCII PaPe f ET ODOnis REGIS IMPerATORIS ELeCTI HOC OPVS Est ACTVm In HONOREm SanCtI BARTHOLOMEI BEATI MArTIRIs ET SanCtI EVSTASII SVB PresByteRO PAVLO. In nostra lingua: « Questo lavoro fu fatto in onore di san Bartolomeo beato martire e di sant’Eustacchio nell’anno del Signore 1209 al tempo di papa Innocenzo e di Oddone re, imperatore eletto, sotto il prete Paolo ». Hoc opus si riferisce al solo campanile, ove trovavasi l’iscri­ zione, o a tutta la chiesa? In altri luoghi d’Italia ed anche di Romagna l’iscrizione commemorativa della fabbrica di una chiesa fu collocata nel muro esterno del campanile. Ma la giusta rispo­ sta a quella domanda forse potrà darsi dal risultato delle demo­ lizioni in corso. Le date cronologiche convengono perfettamente tra loro. Infatti nel 1209 era papa Innocenzo III. Ottone IV fu coronato imperatore il 4 ottobre dello stesso anno. Prima della sacra ro­ mana l’imperatore era detto semplicemente re. In principio del 1209 Innocenzo III aveva invitato Ottone a prendere in Roma il serto di Carlo Magno, e il 22 marzo in Spira il sovrano aveva prestato i consueti giuramenti; era quindi già eletto impe-

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L’iscrizione di S. Bartolomeo

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ratore. Nelle carte notarili faentine di quell’anno (presso il Mittarelli, Rerum Faventinarum Script or es, col. 467) il nome del re Ottone non si legge fino all’aprile; compare nel luglio. Infatti solo in questo tempo Ottone IV intraprese il viaggio d’Italia: verso la metà di agosto era in Lombardia. Nel settembre passò per Faenza. Adunque l’iscrizione di S. Bartolomeo fu posta tra l’aprile incirca e l’ottobre del 1209. Quindi risulta che l’edificio fu compiuto verso la fine della primavera o nell’estate del 1209. Lo stile architettonico conviene perfettamente con quest’epoca. La chiesa di San Bartolomeo è in Faenza più antica del 1209. Ne esistono memorie certe fin dal 1159 (vedi M ittarelli, op. cit., col. 440). Il Tolosano (ediz. M ittarelli, coll. 15-18; T abarrini, p. 691) nelle prime narrazioni, per altro favolose, della sua cro­ naca pretende che la chiesa di San Bartolomeo fosse edificata da un certo Tommaso da Caminiza (vissuto nel secolo IX incirca), sopra un’altura ove anticamente elevavasi un palatium regium. Questa altura scorgesi anche oggi quantunque il terreno attorno alla chiesa siasi alzato di molto. Il Tolosano riferisce (M ittarelli, coll. 85-86) che nel luglio del 1171 la città abbruciò da S. Bartolomeo fino a porta Bavenna. Perì in questa luttuosa cir­ costanza la vecchia fabbrica del IX secolo? Il prete Paolo non è altro che il parroco di San Bartolomeo vissuto nel 1209. Presbyteri cliiamavansi allora i parroci della città. S. Bartolomeo fu parrocchia, anzi chiesa primiceriale, fino ai tempi napoleonici. L’ultimo parroco morì nel 1817. Nell’iscrizione è ricordato, oltre il santo titolare, sant’Eustasio cioè Eustacchio martire, celebrato il 20 settembre. Sappiamo che questo martire aveva un altare proprio nell’antica chiesa; altare che for^e tornerà in luce colle odierne demolizioni. Il Mittarelli (col. 468) ed altri scrittori faentini leggono beati Martini invece di beati martiri e collocano tre santi nell’iscri­ zione. Nella grafia di quel tempo la R somigliava alla N. Certo la lezione: « sancti Bartholomaei, beati Martini et sancti Eustasii » ossia: in onore di san Bartolomeo, dei beato Martino e di sant’Eu­ stacchio corre meglio. Ma non ardisco allontanarmi dalla lettura del Borsieri testi­ monio oculare e osservatore diligente. Del resto il titolo di beatus martyr dato all’apostolo san Bartolomeo non è nè nuovo nè strano. Sono lieto di ringraziare pubblicamente il canonico Rossini e il re­ verendo don Contavalli degli aiuti generosi prestatimi nella compilazione di questo articolo.

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I BOLOGNESI NELLA CATTEDRA EPISCOPALE FAENTINA In II Piccolo, XIV, 1912, n. 45

Il nuovo vescovo ci viene da una Chiesa che ha dato molti prelati alla nostra diocesi. Quando il Capitolo aveva il diritto di eleggere il vescovo della città, parecchie volte raccolse i suoi voti sopra ecclesiastici bolognesi o appartenenti a Bologna. I vescovi faentini Bernardo di Pavia (1192-1198) e Giacomo di Albenga (1239-1242) furono celebri dottori di diritto canonico nella Università. Arpinello Riccadonna, eletto nel 1278, quantunque poi non fosse confermato, era di famiglia bolognese e arciprete della cattedrale di S. Pietro. Dalla fine del secolo XV fino al principio del XIX i papi scelsero a vescovi di Faenza non pochi ecclesiastici bolognesi. Battista De Canonici, abbate di San Felice (1484-1510), vide l’assassinio di Galeotto, la ruina della casa Manfredi, il governo del Valentino e il ritorno di Faenza dopo molti secoli sotto il diretto dominio della Santa Sede. Nel secolo XVI si distinsero Pietro Andrea Gambara, vicario di Clemente VII (agosto-novembre 1528); ma più Giambattista Sighicelli (1562-1575), Annibaie (1575-1585) e Giovanni Antonio Grassi (1585-1602) che con visite e sinodi frequenti, colla erezione e dotazione del Seminario e con altre opere, introdussero presso di noi la riforma del concilio tridentino. Giulio Monterenzi (1618-1623) « more patrio », come dice un’iscrizione nell’episcopio, costruì dal palazzo episcopale lungo il seminario alla cattedrale il portico ancora esistente. Marcantonio Gozzadini (maggio-settembre 1623), creato ve­ scovo di Faenza a petizione dei faentini, fu il primo cardinale che tenesse la nostra sede. Dopo 144 anni ricomparve un bolognese nella cattedra faen­ tina, il marchese Vitale Giuseppe De Buoi (1767-1787), pastore eloquente, zelante e caritatevole, sotto il quale il seminario rag­ giunse il culmine della sua rinomanza per lo studio della lingua latina.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

L’ultimo bolognese che abbia amministrato la diocesi faen­ tina fu il marchese Nicolò Tanari, arcidiacono della cattedrale (1827-1832). Egli riordinò la curia vescovile, restaurò il vicariato e provvide il seminario di una villa. Da quel tempo 80 anni sono passati. Mons. Vincenzo Bacchi, arcidiacono di S. Pietro in Bologna, oggi archidiocesi metropo­ litana da cui dipende Faenza, è chiamato dalla fiducia del Santo Padre a reggere il clero e il popolo faentino. Le doti singolari della mente e del cuore di lui ci assicurano che egli non smentirà le gloriose gesta dei suoi antecessori bo­ lognesi, e che anzi accrescerà il lustro da essi arrecato alla nostra sede.

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I VESCOVI E LA DIOCESI DI FAENZA In II Piccolo, XV, 1913, n. 26

Il catalogo degli antichi vescovi di Faenza è perduto come nella maggior parte delle diocesi d’Italia. Per la prima volta un vescovo nostro, di nome Costanzo, compare in un sinodo romano del 2 ottobre 313 sotto papa Melchiade, cioè a dire nell’anno della libertà concessa da Costantino imperatore alla Chiesa. Ma fu que­ sto Costanzo il primo della serie faentina o ebbe degli antecessori? Nello stato delle nostre cognizioni non è possibile rispondere nè sì nè no. Il più antico cronista faentino, il canonico Tolosano, afferma che nei primi secoli del cristianesimo la cattedrale di Faenza trcrvavasi nel luogo, ove sorge ora S. Maria Vecchia. Nulla di più verosimile di questo. Le cattedrali, o basiliche, delle città d’Italia sorsero dapprima fuori e presso le mura; e nel medioevo quella chiesa era detta S. Maria fuori di porta, appunto perchè situata fuori della cinta, quantunque non lungi dalle mura. Intorno alla cattedrale d’ordinario si raccoglievano il battistero, altri edifici destinati al culto, la casa del vescovo e il cimitero. Adunque i convegni dei primi cristiani faentini avvennero presso quel ve­ tusto tempio, ed ivi dormono le ossa dei nostri padri nella fede di Cristo e dei nostri primi pastori. L’attuale chiesa di S. Maria risale al VI secolo almeno; quan­ tunque nel milleseicento sia stata orientata in senso contrario, ossia da levante a ponente, e pressoché del tutto trasformata. In Italia le chiese cattedrali furono traslocate dal suburbano entro le mura generalmente nel tempo della dominazione carolingica (774-888). Circa nello stesso tempo, senza dubbio prima dell’883, la cattedra episcopale faentina fu trasferita da S. Maria entro la città. Dalle parole del nostro antico cronista sembra do­ versi dedurre che la cattedrale fu trasferita in una chiesa, non a questo scopo edificata, ma già esistente. Era questa la chiesa di S. Pietro, situata nel quartiere a levante della Faenza romana, nel luogo ove sorge l’odierna cattedrale. La facciata era rivolta

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

a levante. Pare che il battistero, di forma rotonda o ottagonale come al solito, si elevasse ove oggi trovasi il Seminario, e si chia­ masse S. Giovanni Rotondo. E il vescovo, entrato in città, ebbe la sua abitazione non lungi dalla cattedrale, nel luogo ove ora sorge il palazzo episcopale. L’antica strada Emilia, entrando in città, non lungi dall’episcopio, per lo scomparso ponte romano, rasentava l’abitazione del vescovo e la nuova basilica. Ora ne passa alquanto discosto. È grave errore del Baedeker che la nostra cattedrale sia de­ dicata a san Costanzo, primo vescovo della città. Lasciando stare che la priorità di Costanzo non è sicura e che il suo culto non ha altro fondamento che la cervellotica asserzione dello scrittore tedesco, la nostra cattedrale fu sempre ed è sacra a san Pietro. La prima pietra dell’odierno edificio fu posta nel 1474 dal vescovo Federico appartenente alla famiglia dei signori della città, che dopo cinque lustri appena perdettero il secolare do­ minio. Nel secolo X, a mezzogiorno della cattedrale, fu innalzata la casa, ove i canonici facevano, come i religiosi, vita comune. Questa casa oggi è scomparsa. Nel secolo XII la diocesi di Faenza comprendeva ventidue pievi, che si estendevano, sopra la via Emilia, tra il Ronco e il Senio, fino all’alpe di Campigno e di S. Benedetto, e, sotto la detta via, tra il Ronco pure e il Santerno, fino a S. Egidio, a Savarna, ad Alfonsine ed a S. Agata. Può credersi che questa fosse pure, almeno nelle linee generali, l’estensione primitiva della giurisdizione dei nostri vescovi. Nei secoli XVIII e XIX la dio­ cesi è stata gravemente mutilata, prima a vantaggio di Ravenna e poi della nuova diocesi di Modigliana. Forse nel 313 il vescovato di Faenza dipendeva direttamente da Roma; ma, dal tempo almeno di sant’Ambrogio (374-397), e forse prima, fino al 425 incirca, la chiesa faentina obbedì alla metropoli di Milano. Ne fu sottratta tra il 425 e il 431 da Valen­ tiniano III imperatore e da Celestino I papa, e collocata sotto Ravenna, alla cui obbedienza e soggezione rimase fino alla metà incirca del secolo passato. Pio IX la rese suffraganea di Bologna. Nei tempi antichi la dipendenza delle chiese suffraganee dalla metropolitana era strettissima. I vescovi suffraganei, eletti dal clero e dal popolo e in processo di tempo esclusivamente dai ca­ nonici della cattedrale, erano confermati dall’arcivescovo e da questo prendevano in Ravenna l’ordinazione episcopale. Erano obbligati di recarsi in Ravenna non solo per ricevere l’ordine

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I vescovi e la diocesi di Faenza

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sacro, ma ogni anno nelle feste dei Ss. Apollinare e Vitale, pro­ tettori di Ravenna, in occasione di sinodi e in altre circostanze. Dimorando in Ravenna, risiedevano in un luogo determinato, come in proprio episcopio. Quello di Faenza presso la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo. La metropoli di Ravenna, nel secolo X, vale a dire nel tempo della massima estensione, comprendeva tutto il territorio da Pia­ cenza per Adria e Ferrara fino a Cervia, Cesena e Sarsina e lo spartiacqua apenninico. La storia della diocesi di Faenza nell’alto medioevo è incor­ porata, si può dire, con quella della metropoli. I vescovi suffra­ gane! non di rado ebbero a seguire i potenti e superbi arcive­ scovi nelle loro lotte rivolte contro Roma, ma spesso ancora le­ varono doglianze e proteste a Roma contro la durezza del loro giogo. La vasta compagine cominciò a sgretolarsi e a sciogliersi nel secolo XI. Il papa elesse direttamente il vescovo di Faenza, per quanto si sa, la prima volta nel 1282, e lo fece consacrare in Roma la prima volta nel 1302. Il capitolo perdette a poco a poco il suo diritto di nomina; lo esercitò per l’ultima volta nel secolo XV. Ma già nel secolo XIV l’arcivescovo di Ravenna non entrò più nella conferma e nella consacrazione dei vescovi di Faenza. Non si sa che i vescovi di Faenza, come per esempio quelli di Ravenna e d’Imola, abbiano mai esercitato diritti comitali e feudali nella città, nella diocesi e fuori, se non forse in qualche piccolo luogo insieme col capitolo della cattedrale. Dei successori di Costanzo fino al X secolo si conoscono ap­ pena sette o sei nomi; scampati al naufragio quasi completo delle memorie storiche della città e della provincia. Col vescovo Paolo, cioè col fondatore del capitolo dei cano­ nici, vissuto nella prima metà del X secolo, comincia la serie, forse completa, dei nostri pastori. Ma per molti secoli non si hanno di loro se non scarse, staccate e incerte notizie. Le carte, che ce ne hanno tramandato i nomi e gli atti, vergono per lo più intorno a liti, a controversie. Ma non deve credersi per questo che i nostri antichi prelati non si occupassero se non di siffatte cose. Gli archivi pubblici e privati, come è noto, hanno conservato que­ sta sorta di istrumenti a preferenza di quelli relativi all’amministrazione spirituale e religiosa, che si sono perduti. Tuttavia, da questi brevi e scarsi accenni, può rilevarsi che non pochi dei nostri prelati medievali furono uomini di valore; perchè i Sommi

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Pontefici affidarono loro affari importanti e delicati da sbrigare, ufficii onorevoli e ardui, ambascierie ecc. Nel secolo XII è degno di essere ricordato Bernardo da Pavia, nel XIII Giacomo da Albenga, ambedue famosi canonisti; e nel XIV Uguccione, ardente polemista, come santa Catterina da Siena, della legittimità di papa Urbano VI. Un Giovanni partecipò alla terza crociata e vi morì; un Orlando alla quinta. Questi bei nomi compensano ad usura la triste rinomanza di un Giacomo Petrella e di un Federico Manfredi. Al tempo del concilio di Trento e dopo, i nostri pastori si adoperarono con grande solerzia per riformare i costumi del clero e del popolo; e con saggi decreti, con frequenti sinodi dio­ cesani e visite pastorali, con sacre missioni, coll’erezione del se­ minario e di pie confraternite e congregazioni riuscirono nell’in­ tento. Per persuadersi di questo basta leggere le relazioni dei sinodi e delle visite pastorali e i racconti dei cronisti della prima metà del XVI secolo e confrontarle colle memorie del XVII. Il quadro delle condizioni morali e religiose del clero e del po­ polo di questi ultimi tempi è pienamente cambiato da quello di prima. Non è certamente piccola lode dei nostri vescovi che presso­ ché tutti gli ordini religiosi, che sorsero nella Chiesa, dai bene­ dettini ai salesiani, abbiano avuto nella città e diocesi sollecita e larga ospitalità. Alcuni nostri pastori furono traslocati a sedi più illustri, Bernardo (sec. XII) a Pavia, Ubaldo (sec. XIII) e Antonio Can­ toni (secolo XVIII) a Bavenna, Lottieri della Tosa (sec. XIII) a Firenze, Uguccione (sec. XIV) a Bordeaux, Angelo Bicasoli (sec. XIV-XV) ad Arezzo, Pietro di Pago (sec. XV) a Spalato, Tommaso Cervioni (sec. XVIII) a Lucca, e Giovanni Tanari (sec. XIX) ad Urbino. Ne’ tempi moderni dieci cardinali tennero la cattedra faentina, dal 1528 al 1544 il cardinale Bodolfo Pio e dal 1603 al 1726, quasi ininterrottamente, Francesco di Sangiorgio, Erminio Valenti, Marcantonio Gozzadini, Francesco Cennini, Carlo Rossetti, Antonio Pignatelli, che fu poi Innocenzo XII, Giovanfrancesco Negroni, Marcello Durazzo e Giulio Piazza. Sono questi uomini illustri nella storia ecclesiastica dei loro tempi; e durante il loro governo in Faenza fabbricarono l’episcopio e il seminario e fecero larghe beneficenze e lasciti cospicui in fa­ vore della cattedrale, degli istituti e dei poveri della città. Le figure più caratteristiche dei tempi nuovi furono Dome­ nico dei marchesi Manciforte (1797-1805), che governò la nostra

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I vescovi e la diocesi di Faenza

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Chiesa nel periodo turbolento dell’invasione francese, e colla mi­ tezza dell’animo, e colla inesauribile carità si adoperò per cal­ mare gli animi accesi ed estinguere le fiere inimicizie e i profondi rancori; e il suo successore, Stefano Bonsignore (1807-1826) mi­ lanese, dotto ed erudito e intinto di principii cesaristici, che seguì devotamente la politica napoleonica e dal primo Napoleone, in onta ai divieti pontifici, accettò il patriarcato di Venezia, e che dopo la restaurazione chiese e ottenne il perdono dal mite Pio VII. Negli ultimi ottant’anni sedettero nella cattedra faentina tre prelati nativi della diocesi: Giovanni Benedetto de’ conti Foli­ caldi (1832-1867) di Bagnacavallo, fra Angelo Pianori (1871-1884) di Brisighella e Gioacchino Cantagalli (1884-1912) di Faenza. Il novello prelato ci viene da una città che ha dato parecchi vescovi alla nostra diocesi.1 1 Vedi: I bolognesi nella cattedra episcopale faentina, nel num. 45 dell’ anno XIV (10 novembre 1912) del Piccolo, [in questo volume a pp. 383-384]

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IL PIÙ’ ANTICO CALENDARIO ECCLESIASTICO FAENTINO

In Bollettino Diocesano di Faenza, I, 1914, pp. 34-3$, 55-57, 106-108, 121-124, 141-143, 154-158, 170-172

L’autore di questo modesto articolo pubblica, per la prima volta, quello che egli crede il più antico calendario ecclesiastico faentino, con alcune osservazioni critiche sulla sua origine e com­ posizione, sperando che il suo lavoro non torni discaro al clero della città e diocesi e ai lettori del Bollettino. F.L. § 1 - IL CALENDARIO

Il calendario, di cui parlo, trovasi in principio di un bre­ viario, in pergamena della metà del secolo XV, conservato nel­ l’archivio capitolare di Faenza. Questo breviario, scritto tutto dalla stessa mano in due colonne, in nero e rosso e con alcune iniziali miniate, ha perduto qualche foglio in principio e nel corpo del volume, più qualche fascicolo in calce; contiene nel | corpo stesso un quaderno d’altra mano, sostituito in epoca posteriore; è stato derubato delle miniature più belle, e trovasi in cattivo stato. Ma il calendario fortunatamente è intero. Lo pubblico come sta; e stampo il rosso in corsivo e in ca­ rattere tondo |il nero]. Annus habet menses XII. septimanas LII. et dies unum, et habet CCCLV (sic) dies et sex horas. Prima dies a pani timor] est et septima vani. IANUARIUS habet dies XXXI et luna XXX. N ox habet horas XVI. dies VIII.

a Nota. Questo e gli altri versi leonini relativi ai giorni cosidetti egiziaci sono riprodotti con qualche errore.

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392

F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XY secolo

Aureus numerus III a

XI XIX VIII

Kal. Ianuarius

b

IIII

nonas

c d e f

III II nonis VIII

non. non. ydus

Circumcisio Domini, et sancti Basilij episcopi et confessoris, et sancte Martine. Octava sancti Stephany. et sancti Barbatiani confessoris. Octava sancti Iohannis. Octava sanctorum Innocentium. Vigilia Epiphanye. Epiphanya Domini. A festo stelle numerando perfice lunam. Post XL dies ibi septuagesima fiet. Et si bixestus fuerit super additur unus. Si cadat in luce Dom ini suppone sequentem. Post Epiphanya numeretur ter noa luna, inde dies Domini tertia pascha tenet.

g a b c XIII d e II f X g a XVIII b VII c XVI V

idus' VII idus VI idus V idus IIII idus III II idus Idus XlXkal.Februarij kal. XVIII kal. XVII kal. XVI

XV

d e

XV XIIII

kal. kal.

IIII

f

XIII

kal.

g a b c IX d e XVII f

XII XI X IX VIII VII VI

kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal.

VI

V ITTI III II

kal. kal. kal. kal.

XII I

g a XIIII b III c

Sancti Pauli primi heremite. Sancti Ygini pape et martyris. Octava Epiphanye. Sancti Felicis in Pineis presbyteri. Sancti Mauri abbatis. Sancti Marcelli pape et martyris. Sancti Antoni] abbatis. Sol in aquario. Ante diem Prisce nunquam deponitur Alie. Sancte Prisce virginis et martyris. Sanctorum martyrum Mauri, Marthe, Audifax et Abacuc. Sancti Fabiani pape et martyris, et sancti Sebastiani martyris. Sancte Agnetis virginis et martyris. Sanctorum martyrum Vincentij et Anastasii. Sancte Emerentiane virginis et martyris. Conversio sancti Pauli. Sancti Iohannis Os aurei episcopi et confes­ soris. Sancte Agnetis secunde. Sancti Constantij episcopi et martyris. Sanctorum martyrum Cyri et Iohannis. Sancti Geminiani episcopi et confessoris. 1 FEBRUARIUS apud hebreos dicitur Sabath. apud grecos dicitur Endicos. Alterius mensis post quartum tertius ensis.

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Il più antico calendario ecclesiastico faentino

393

Februarius habet dies XXVIII. luna XXIX. Quando est bixestus habet dies XXIX. sed luna non mutatur. Nox habet horas X IIII. dies vero X. d

Kal. Februarius

XI XIX

e f

IIII III

nonas non.

VIII

g a b c d e f g

11

non.

nonas VIII VII VI VI IIII III

ydus idus idus idus idus idus

a b

II idibus

c d

XVI kal. Marcij kl. XV

e f g a b c d e f

XIIII XIII XII XI X VIIII V ili VII VI

XVI V XIII II

X

VIII VII

XV IIII XII I IX

Sancti Severi archiepiscopi, et sancte Brigide virginis, et sancti Ignatij episcopi et mar­ tyris. Purificatio beate Marie virginis. Sancti Blasij episcopi et martyris, et sancto­ rum martyrum Policarpi et Triphonis. Sancti Giliberti confessoris. Sancte Agathe virginis et martyris. Sancte Iuliane virginis et martyris. Sancte Appolonie virginis et martyris. Sancte Scolastice virginis. Sancti Caloceri archiepiscopi, et sancti Gu beimi confessoris.

idus

k. kl. kl. kl. kl. kl. kl. kl. kl.

Sancte Fusce virginis et martyris, et sancti Eleuchadij archiepiscopi. Sancti Valentini presbyteri et martyris. Sanctorum martyrum Faustini et Iovite. Ultimus terminus XL. Sol im pisce.

Preveniens Cathedram dat tardius Alie vacare. Cathedra sancti Petri. Vigilia. Sancti Mathye apostoli. Bixestum sexte martis tenuere kalende Posteriore die celebrantur festa Mathye.

XVII VI

g a b XIIII c

V mi III II

kl. kl. kl. kl. MARTIUS apud hebreos dicitur Adar. apud grecos Diston. Martius in prima cum quarta dividit yma. Martius habet dies XXXI. luna XXX. Nox habet horas XII. dies vero XII.

III

d

Kalend. Martius

Sancti Herculani episcopi et martyris, sancti Albini episcopi et confessoris.

et

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394

F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo nonas non. non. | non. non.

e f g a b c

VI V

XVI

d

Vili

ydus

V

e f g a

VII VI V

idus idus idus idus

XI XIX V ili

XIII II

b c d XVIII e f VII g XV a X

mi

b c

mi

III II Nonis

mi

III idus idus II Idibus XVII kal. Aprilis kl. XVI kl. XV XIIII kl. XIII XII

kl. kl.

Sanctarum virginum et martyrum Perpetue et Felicitatis, et sancti Thome de Aquino confessoris. Post nonas martis ubi prima luna require, inde dies Domini tertia pasca tenet. Sanctorum quadraginta martyrum.

Sancti Gregorif pape et confessoris. Claves pasce.

Sancti Agapiti archiepiscopi.

Sancti Ioseph virginis.

confessoris

viri

beate

Marie

Sancti Benedicti abbatis. Equinocium. Post festum sancti Benedicti ubicumque X IIII luna invenitur, in proxima dominica resur­ rectio Domini celebratur, si venerit in lu­ cem suppone sequentem.

XII I

d e f IX g a XVII b c VI d XIIII e III f

XI X IX V ili

VII VI V mi

III II

kl. kl. kl. kl. kl. kl. kl. kl. kl. kl.

Sancti Ysidori episcopi et confessoris. Annuntiatio beate Marie virginis.

A PR ILIS apud hebreos dicitur Uar. apud grecos dicitur Sandicos. Cui decimus cedit undecimus aprilis obedit. Aprilis habet dies XXX. et luna XXIX. N ox habet horas X. dies vero X IIII. XI XIX

g a b c

Kalend. Aprilis nonas non. III non. II mi

Sancte Theodoxie virginis et martyris.

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Il più antico calendario ecclesiastico faentino d e f g XIII a II b c X d e XVIII f V ili

XVI V

Nonis V ili

VII VI V mi

idus idus idus idus idus idus idus

III II Idibus XVIII kal. Maij

g a b c

XVII XVI XV XIIII

kal. 1 kal. kal. kal.

XII I

d e f g

XIII XII XI X

kal. kal. kal. kal.

IX

a

IX

kal.

b c

V ili

XVII

VII

kal. kal.

VI

d

VI

kal.

V

kal. kal. kal. kal.

VII XV mi

e XIIII f III g a

395

mi

III II

Sanctorum martyrum Tiburtij et Valeriani et Maximi.

Sancti Aniceti pape et martyris. Sancti Eusebij episcopi et confessoris, sancti Eleutherij episcopi et martyris.

et

Sancti Victoris pape et martyris. Sanctorum martyrum Fortunati et Vitalis. Sancti Sotheris pape et martyris, et sancti Gaij pape et martyris. Sancti Georgij martyris, et sancti Adalberti episcopi et martyris. Extrema pasce tua decet (docet?) passio Marce. Sancti Marci evangeliste. et letanie maiores. Ultimus terminus pasce. Sancti Cleti pape et martyris, et sancti Mar­ celli pape et martyris. Sancti Pullionis martyris. Sancti Vitalis martyris. Sancti Petri martyris. Sancti Eutropij episcopi et martyris, et sanc­ ti Mercurialis episcopi et confessoris. | MADIUS apud hebreos dicitur Sciban, apud grecos Arotemistos. Tertius aptat madii quem septimus apta o d i.6 Madius habet dies XXXI. luna XXX. N ox habet horas VIII. dies vero XVI.

XI XIX

Vili

b c d

Kalend. Madius VI nonas non. V

e f

mi

III

Sanctorum apostolorum Phylippi et Iacobi. Inventio sancte crucis, et sanctorum marty­ rum Alexandri, Eventij, Theodoli et Iuvenalis.

non. non.

6 Nota. Togli odi e leggi optati [Il testo del ms. tuttavia è come sopraj

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396

F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

XVI

g

II

non.

Sancti Iohannis apostoli ante Portam Latinam. et sancti Sigismundi martyris.

V

a b c d e f

Nonis VIII VII VI V IIII

idus idus idus idus idus

Apparitio sancti Michaelis archangeli. |

III II

idus idus

XIII II X

g XVIII a VII

b c

Idibus XVII kal. Iunij

XV IIII

d e f

XVI XV XIIII

kal. kal. kal.

XIII XII XI X IX VIII VII VI V IIII III II

kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal.

XII I

g a b IX c d XVII e VI f g XIIII a III b c XI d

Sanctorum martyrum Gordiani et Epimachy. Sanctorum martyrum Pancracij.

Nerei, Archilei atque

Sancti Bonifatij martyris, et sancti Victoris martyris. Sancti Hiari abbatis et confessoris. Sancti Macharij abbatis, et sancti Ubaldi epi­ scopi et confessoris. Sol in Geminos. Sancte Potentiane virginis, et sancti Ivonis confessoris. Sancti Eustasij martyris. Sancti Martiani archiepiscopi ravenatis. Ver Sancti Sancti Sancti

fugat Urbanus, estatem Simphorianus. Urbani pape et martyris. Eleutherij pape et martyris. Iohannis pape et martyris.

Sancti Felicis pape et martyris. Sancte Petronille virginis et non martyris.

IUNIUS hapud hebreos dicitur Thebath. apud grecos Deseos. Cui nil dena dabit iunij qui undena c negabit. Iunius habet dies XXX. luna XXIX. Nox habet horas VII. dies vero XVII.

XIX VIII XVI V XIII II

e f

Kalend. Iunij IIII nonas

g a b c d e

III II Nonis VIII VII VI

Sanctorum martyrum Nichomedis et Proculi Sanctorum martyrum Marcelli, Petri et He· rasmi.

non. non. idus idus idus

Ultimus terminus Pentecostes.

quindena?

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Il più antico calendario ecclesiastico faentino idus idus idus idus

f g a XVIII b

V IIII III II

VII

c d e

Idibus XVIII kal. Iu lij XVII kal.

f g a h

XVI XV XIIII XIII

kal. kal. kal. kal.

c d e

XII XI X

kal. kal. kal.

IX

kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal. kal.

X

XV mi

XII I

IX

f g a XIIII b III c d XI e f

XVII VI

V ili

VII VI V INI III II

397

Sanctorum martyrum Primi et Feliciani. Sancti Barnabe apostoli. Sanctorum martyrum Basilidis, Cirini, Naboris et Nacarij. Sancti Antonij confessoris de Padua. Translatio sancti Savini episcopi et martyris. Sanctorum martyrum Viti et Modesti atque Crescentie. Sol in Cancrum. Sanctorum martyrum Marci et Marcelliani. Sanctorum martyrum Gervasi et Protasi, et sancti Romualdi confessoris. Sancti Silverij pape et martyris. Sancti Paulini episcopi et c o n f e s s o r i s , et sancti Iuliani martyris. | Vigilia. Nativitas sancti Iohannis Baptiste. Sancti Eligij episcopi (et martyris cancellato). Sanctorum martyrum Iohannis et Pauli. Sancti Leonis pape et confessoris. Vigilia. Sanctorum apostolorum Petri et Pauli. Comemoratio sancti Pauli, et sancti Martialis archiepiscopi ravenatis. IU LIU S apud hebreos dicitur Tamul, apud grecos P(anem)es. Ter decimus fontis Iulij sex decima montis. Iulius habet dies XXXI. luna XXX. N ox habet horas VIII. dies vero XVI.

XIX VIII

XVI V XIII II X

g a

Kalend. Iulius VI nonas

b c d e f g u b

V IIII III II Nonis VIII VII VI

nonas nonas nonas nonas

V INI III

idus idus idus

c XVIII d e VII

idus idus idus

Octava sancti Iohannis Baptiste. Visitatio beate Marie Virginis, et sanctorum martyrum Processi et Martiniani. Sancti Dati archiepiscopi ravenatis.

Octava apostolorum.

Sanctorum martyrum VII fratrum, et sancta­ rum martyrum Ruffine et Secunde, et sancti Paterniani episcopi et confessoris. Sancti Pij pape et martyris. Sanctorum martyrum Naboris et Felicis. Sancti Anacleti pape et martyris.

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398

XV mi

F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo f g a b

XII

c

I

d

IX

e f

XVII VI

g a b c

XIIII d III

e f

XI

g

XIX

a b

II idus Dies caniculares. Idibus Sancte Margarite virginis et martyris. XVII kal. Augusti kal. XVI Sancti Alesi] confessoris, et sancte Marine virginis. Sol in Leone. kal. XV Sancte Synphoriose cum VII filiis suis, et sancti Rophilli episcopi et confessoris. XIIII Ante X IIII kal. augusti usque IX septembris kal. non minuas sanguinem. XIII . kal. XII kal. Sancte Prasedis virginis (et martyris cancel­ lato). XI kal. Sancte Marie Magdalene. X kal. Sancti Appollenaris episcopi et martyris. IX kal. Sancte Christine virginis et martyris. Vigilia. V ili kal. Sancti Iacobi apostoli, et sancti Christofori martyris. VII kal. Sancte Anne matris beate Virginis, et sancti Pastoris presbyteri et confessoris. kal. VI Sancti Pantaleonis martyris. kal. Sanctorum martyrum Nazari], Celsi, Victoris V et Innocenti] paparum et martyrum. mi kal. Sanctorum martyrum Felicis, Simplicij, Faustini et Beatricis. III kal. Sancti Terentij confessoris, et sanctorum mar­ tyrum Abdon et Senen. II kal. 1 AUGUSTUS apud hebreos dicitur Ebal. apud grecos Ior. Sexti prima fuerit a fine secunda periit. Augustus habet dies XXXI. luna XXX. Nox habet horas X. dies vero X IIII.

V ili

c

Kal. Augustus

XVI V

mi

XIII

d e f g

III II Nonis

II

a

V ili

idus

X

b c

VII VI

idus idus

V

idus idus idus

d XVIII e f VII

mi

III

nonas non. non.

Vincula sancti Petri, et sanctorum martyrum Machabeorum. Sancti Stephany pape et martyris. Inventio sancti Stephany prothomartyris. Sancti Iustini presbyteri et martyris. Sancte Marie nivis. et sancti Dom inici con­ fessoris. Sanctorum martyrum Sixti, Felicissimi et Agapiti. Sancti Donati episcopi et martyris. Sanctorum martyrum Ciriaci, Largi et Sma­ ragdi. Sancti Romani martyris. Vigilia. Sancti Laurentij martyris. | Sanctorum martyrum Tiburtij et Susanne virginis.

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399

Il più antico calendario ecclesiastico faentino

XV

g a

II Idibus

IIII

b

XII I

c d e f

XIX kal. ( septembris) XVIII kal. XVII kal. kal. XVI XV kal.

IX

g

XIIII

kal.

« XVII VI

1) c

XIII XII XI

kal. kal. kal.

d

X

kal.

e f g « b

IX VIII VII VI V

kal. kal. kal. kal. kal.

c

IIII

kal.

d e

III II

kal. kal.

XIIII III XI XIX

VIII

idus

Sancte Clare virginis. Sanctorum martyrum Ypoliti et Cassiani, et sancte Concordie. Sancti Eusebij presbyteri et confessoris. Vigilia. Assumptio beate Marie virginis. Octava sancti Laurentij. Sancti Agapiti martyris, et sancti Demetrij martyris. Sancti Lodovici episcopi et confessoris de ordine minorum. Sol in Virgine. Sancti Bernardi abbatis. Octava beate Virginis, et sanctorum martyrum Tymothey, Ypoliti et Symphoriani. Vigilia. Regnat in autumnis festum Clementis ad usque. Sancti Bartholomei apostoli. Dedicatio ecclesie faventiae. Sancti Zepherini pape et martyris. Sancti Augustini episcopi et confessoris, et sancte (sic) Hermetis martyris. Decolatio sancti Iohannis Baptiste, et sancte Sabine virginis. Sanctorum martyrum Felicis et Audacti.

SEPTEMBER apud hebreos dicitur Misi, apud grecos Celos. Tertia turbatur September dona d minatur. September habet dies XXX. luna XXIX. Nox habet horas XII. dies vero XII. XVI

f

Kal. September

V

g a b c d e f

IIII III II Nonis VIII VII VI

XIII II X

nonas nonas nonas idus idus idus

Sanctorum martyrum XII fratrum. et sancti Egidij abbatis. Sancti Antonini martyris.

Nativitas sancte Marie Adriani martyris.

virginis.

et

sancti

d dena?

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400

F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

XII

I

idus V idus IIII idus III idus II Idibus kal. XVIII Octubris kal. XVII

I

g

XVI

kal.

a b c d

XV XIIII XIII XII

kal. kal. kal. kal.

e f

XI X

kal. kal.

XIIII g III a b XI c

IX VIII VII VI

kal. kal. kal. kal.

XIX

d

V

kal.

VIII

e f g

IIII III II

kal. kal. kal.

XVIII g VII a b c XV d IIII e

IX XVII VI

Sancti Gorgonij martyris. Sanctorum martyrum Prothy et Iacincti.

Exaltatio sancte Crucis, et sanctorum marty­ rum Cornelii et Cipriani. Octava beate Virginis, et sancti Nichomedis martyris. Sanctorum martyrum Lucie, Geminiani. et sancte Euphemie martyris.

Sancti Ianuarij et sociorum eius martyrum. | Sancti Eustachii et sociorum eius martyrum. Vigilia. Sancti Mathei apostoli et evangeliste. Sanctorum martyrum Mauritij et sotiorum eius. Sancti Lini pape et martyris.

Sancti Cipriani episcopi et martyris, et sancte Instine virginis et martyris. Sanctorum martyrum Cosme et Damiani, et sancti Adereti archiepiscopi. Dedicatio sancti Michaelis archangeli. Sancti leronim i presbyteri et confessoris.

OCTTJBER apud hebreos dicitur Marisan. apud grecos Yperbeos. Tertius octubris nulli decimusque salubris. Octuber habet dies XXX et luna XXIX. Nox habet horas X IIII. dies vero X. XVI V XIII II

a b c d

Kalend. VI V IIII

X

e f g

III II Nonis

XVIII a VII b

VIII VII

Octuber Sancti Remigij episcopi et confessoris. nonas nonas non. Sancti Francisci confessoris, et sancti Petronij episcopi et confessoris. non. Sancti Marcellini archiepiscopi. non. Sancti Habrahe patriarche. Sancti Marci pape et confessoris, et sancto­ rum martyrum Sergi, Bachi, Marcelli et Apulei. idus idus Sanctorum martyrum Dionisij, Rustici et Eleutherij. et sancti Donnini martyris.

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401

Il più antico calendario ecclesiastico faentino idus idus idus idus idus

c d e f g

VI V IIII III II

a b c d

Idibus XVII kal. Novembris XVI kal. XV kal.

e f g

XIIII XIII XII

kal. kal. kal.

XIIII a III 1) c XI d

XI X IX VIII

kal. kal. kal. kal.

XIX

VII VI V IIII III II

kal. kal. kal. kal. kal. kal.

XV IIII XII I

IX

XVII VI

VIII XVI V

e f g a b c

Sancti Cerboni episcopi et confessoris.

Sancti Calixti pape et martyris, Gaudentij episcopi.

et sancti

Sancti Galli abbatis.

Sancti Luce evangeliste. Sol in Scorpione. Sancti Quirini martyris. Sancti Illarionis abbatis, et sancte Ursuline virginis. Sanctorum septem dormientium. Sancti Maglorij episcopi et confessoris. Sanctorum martyrum Grisanti et Darie, et sancti Miniatis martyris. Sancti Evaristi pape et martyris. Vigilia. Sanctorum apostolorum Symonis et lude. Sancti Germani episcopi et confessoris. Vigilia omnium sanctorum, et sancti Quirini martyris.

NOVEMBER

apud apud grecos Dyos.

hebreos

dicitur

Casleu.

121

Quinta novembris obest. nulli lux tertia prodest. November habet dies XXX. et luna XXX. Nox habet horas XVI. dies vero VIII. d

Kal. November

XIII

e

IIII

nonas

II

f g a b

III II Nonis VIII

nonas nonas

VII VI V

idus idus idus

X

XVIII c d VI e

idus

Festivitas omnium sanctorum, et sancti Cesarij martyris. Hodie fit generale offitium pro omnibus fide­ libus defunctis. Sanctorum martyrum Vitalis et Agricole. Sancti Emiliani episcopi et confessoris, et sancti Leonardi confessoris. Sanctorum martyrum IIIIor coronatorum. Dedicatio basilice Salvatoris, et sancti Theo­ dori martyris. 1

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402

F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

XV

f

mi

idus

mi

g

III

idus

a

II

idus

XII

b

Idibus

I

c

kal. XVIII Decembris XVII kal. kal. XVI XV kal. XIIII kal. XIII kal.

d e f XVII g VI a IX

b

XII XI X IX

kal. kal. kal. kal. kal. kal.

III

c d e

XI XIX

f g

V ili

a V ili

b

VI V

XVI V

c d e

XIIII

VII

mi

III II

kal. kal. kal. kal. kal.

Sancti Probi archiepiscopi, et sancti Triphonis, Respitij et Nimphe virginis. Sancti Martini episcopi et confessoris, et sancti Menne martyris. Sancti Martini pape et martyris, et sancti V ic­ toris martyris. Sancti Bricij episcopi et confessoris, et sancti Antonini martyris.

Sol in Sagiptario. Dedicatio basilicarum Petri et Pauli. Sancti Pontiani pape et martyris et sancte Helysabeth vidue.

Sancte Cecilie virginis et martyris. Sancti Clementis pape et martyris, et sancte Felicitatis virginis et martyris. Sancti Grisogoni martyris. Sancte Katerine virginis et martyris, et sancti Prosperij episcopi et confessoris. Sancti Petri alexandrini episcopi et martyris. Sancti Iacobi intercisi martyris. Sancti Saturnini martyris Sancti Andree apostoli.

Vigilia.

DECEMBER apud hebreos dicitur Thebath. apud grecos Apileos. Hoc dat bissena decimi quod septima dona (dena). December habet dies XXXI. luna XXX. Nox habet horas X V III. dies vero VI. f g a b c XVIII d e VII XIII II X

XV IIII

Kal. December IIII nonas III nonas II nonas Nonis VIII idus VII idus

f

VI

idus

g a

V IIII

idus idus

Sancti Proculi archiepiscopi ravenatis. Sancte Bibiane virginis. Sancti Petri ravenatis archiepiscopi. Sancte Barbare virginis et martyris. Sancti Sabbe abbatis. Sancti Nicholai episcopi et confessoris. Sancti Savini episcopi et martyris, et sancti Ambrosij episcopi et confessoris. Conceptio beate Marie virginis, et sancti Ze­ nonis episcopi et confessoris. Sancti Syri episcopi et confessoris. Sancti Damasij episcopi et confessoris.

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122

Il più antico calendario ecclesiastico faentino

XII I

b c d e

IX

f g XVII a b VI c XIIII d III e f XI g XIX a b V ili XVI V XIII

c d e f g a

III idus idus II Idibus XIX kal. (lanuarij) kal. XVIII kal. XVII XVI kal. XV kal. XIIII kal. XIII kal. XII kal. XI kal. X kal. kal. IX kal. V ili VII VI V mi III II

kal. kal. kal. kal. kal. kal.

403

Sancti Melchiadis pape et martyris. Sancte Lucie virginis et martyris.

Sol institium Sancti Thome apostoli. ]

Vigilia.

Vigilia nativitatis Domini. Nativitas domini nostri Iesu Christi, et sancte Anastasie (martyris cancellato). Sancti Stephany prothomartyris. Sancti Iohannis apostoli et evangeliste. Sanctorum Innocentium martyrum. Sancti Thome canturiensis archiepiscopi. Sancti Liberij archiepiscopi ravenatis. Sancti Silvestri pape et confessoris, et sancte Columbe virginis et martyris.

§ 2 - ETÀ DEL CALENDARIO

Il breviario dell’archivio capitolare che reca in testa il ca­ lendario da me pubblicato, è un Breviarium Curiae, come dicevasi, o Breviarium de Camera, o Breviarium fratrum minorum secundum consuetudinem romanae curiae; breviario notissimo agli eruditi, e che fu in uso, in Roma e in tutta Europa, presso i frati francescani e presso il clero secolare dal XIII al XVI secolo. Tra il Proprium temporale e il Psalterium il nostro codice contiene, oltre le Rubricae veteres, attribuite al 1240 incirca, le Rubricae novae, compilate, secondo l’opinione degli specialisti,1 nella seconda metà del XIV secolo, non molto più tardi della 1 G. Mercati, Appunti per la storia del breviario romano nei se­ coli XIV-XV, tratti dalle « Rubricae novae », in Rassegna Gregoriana, II, 1903, coll. 397 e ss.; P. Batiffol, Histoire du bréviaire romain, terza edizione rifusa, Parigi 1911, pp. 266-267. Ma la lezione delle Rubricae novae nel codice quattrocentesco del nostro Archivio capitolare differisce alquanto e da quella del breviario stampato in Venezia dal Tenson nel 1478, e dall’ Ordo Romanus XV edito dal Mabillon.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

partenza dei papi da Avignone. Nelle Rubricae novae secundum curiam romanam del nostro codice ricordasi espressamente una disposizione liturgica del pontefice Bonifacio IX (1389-1404). Gli ufficii delle Festivitates Sanctorum per totum annum, col­ locati dopo il Salterio e l’Innario (tra il 29 novembre e il 28 aprile, perchè il resto delle feste manca nel nostro codice che è mutilo), confermano che il breviario appartiene alla fine del XIV o al principio del XV secolo. Infatti gli uffici non si riferiscono a nes­ suno dei parecchi santi canonizzati nel XV secolo e a nessuna festa istituita in quel tempo. Anche il calendario, preposto al breviario, risale, in sostanza, alla medesima età. Infatti esso non registra nè santa Brigida di Svezia, posta nel catalogo dei santi nel 1419, nè san Nicolò da Tolentino nel 1446, nè san Bernardino da Siena nel 1450, nè san Vincenzo Ferreri nel 1455, nè santa Catterina da Siena nel | 1461, nè san Bonaventura nel 1482 ecc. nè la festa della Trasfì- 124 gurazione istituita da Callisto III nel 1457. Contiene però la Visitatio b. Mariae (2 luglio) stabilita da Bonifacio IX nel 1399-1400. Il codice della nostra cattedrale però (il calendario e il bre­ viario sono evidentemente della stessa mano) non può risalire al principio del XV secolo; ma, come si raccoglie dalla grafia e da altri indizii consimili, deve collocarsi nella metà incirca del secolo. In questo tempo il copista deve aver fatto qualche aggiunta al calendario. Tralasciando alcuni dati incerti, richiamo l’atten­ zione sopra la festa del 14 giugno, la Translatio sancti Savini. Questa solennità, come vado a dimostrare nel § seguente, non potè essere istituita in Faenza prima del 1438.

§ 3 - LA FAENTINITÀ DEL CALENDARIO

Esso contiene i santi titolari di tutte le moltissime chiese e cappelle (più di 70) situate nella città e nei sobborghi di Faenza nel XV secolo. Tra questi giova ricordare i nostri santi titolari più caratteristici, cioè S. Eutropio di Saintes (30 aprile), S. Àbra­ mo patriarca (6 ottobre) e S. Magiorio di Dol (24 ottobre), ra­ rissimi nel resto d’Italia; e S. Terenzio (30 luglio) e S. Emiliano, in carattere rosso (6 novembre), santi prettamente faentini.

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Due feste rubricate, l’una del 14 giugno (Translatio sancti Savini) e l’altra del 25 agosto (Dedicatio ecclesiae faventinae), sono pure esclusivamente faentine. La seconda non può riferirsi alla cattedrale odierna, princi­ piata, come è notissimo, nel maggio del 1474, e dedicata, o con­ sacrata, nel 15 ottobre 1581; ma deve riferirsi alla cattedrale an­ teriore, atterrata da Federico e Galeotto Manfredi, autori della seconda. | Il nostro calendario ci conserva dunque (unico tra i documenti faentini) il giorno della sagra della cattedrale ante­ riore al 1474. La prima festa riguarda del pari la storia nostra del se­ colo XV. Giovanni Antonio Flaminio, scrittore della prima metà del XVI secolo, nella sua Vita latina di san Savino, protettore di Faenza, racconta2 che, regnando Astorgio II Manfredi, signore di Faenza, di Bagnacavallo e di Fusignano, i faentini trasferirono, da Fusignano, e precisamente dalla chiesa rurale di S. Savino, nella cattedrale di Faenza il corpo di quel santo martire, ivi se­ polto; ma non dice in quale anno il ratto avvenisse. Ma noi sap­ piamo dal Rossi3 e dal Soriani 4 che Astorgio s’impadronì di Fu­ signano nel 1438; e apprendiamo da un inventario della catte­ drale faentina,5 compilato tra il 1444 e il 1448, che questa chiesa possedeva un tabernaculum argenteum ad tenendum brachium beati Savini. Adunque la traslazione dei resti del santo martire dalla chiesa rurale di Fusignano nella cattedrale di Faenza av­ venne tra il 1438 e il 1448.6*Il Quindi la festa della Translatio (14 giugno) non può essere anteriore al 1438.

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2 Presso il Mittarelli, Rer. Fav. Script., col. 815. 3 Histor. Ravenn., p. 620. 4 Notizie storiche di Fusignano, Lugo 1819, p. 18. 5 Nel libro tura antiqua dell’Archivio capitolare. 6 Gli scrittori, dopo il Flaminio, hanno preteso di precisare l’anno del trafugamento. L’Azzurrini (secolo XVII) (Líber Rubeus, f. 101, nell’Ar­ chivio capitolare) lo collocò de anno 1M3; e il Magnani (secolo XVIII) (I, p. 11), e dietro di lui lo Strocchi (Serie ecc., pp. 13 e 175) e il Valgimigli (Memorie, I, p. 79 nota; X, pp. 130-131), nel 1440. Ma sono con­ getture. Se crediamo al Soriani (1. c.) nel 1441 Astorgio II non era più signore di Fusignano, quindi la Translatio sarebbe avvenuta tra il 1438 e il 1441. Il nostro calendario ci ha conservato la data del trasloco, cioè il 14 giugno. Gli scrittori faentini hanno errato pensando che la traslazione avvenisse nel 7 dicembre. Il documento da me pubblicato prova eviden­ temente che i faentini nel secolo XV celebravano, come oggi, la festa 27

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II calendario adunque, contenuto nel breviario del XV secolo, conservato nell’archivio capitolare, appartenne senza dubbio ad una chiesa della città o dei sobborghi di Faenza. Qualcuno forse meraviglierà di non trovarvi le feste di san Pier Damiano (23 febbraio), della beata Umiltà (22 maggio) e del beato Novellone (27 luglio). Ma queste omissioni possono spiegarsi senza sforzo. San Pier Damiano non aveva una chiesa propria; egli riscoteva venerazione nel monastero e nella chiesa di S. Maria foris portarti (oggi S. Maria Vecchia), ove custodivansi in urna di marmo le sue reliquie; e fu annoverato tra i protettori della città solo nel 1512. Il monastero faentino della | beata Umiltà, sepolta in Firenze, detto la Malta, era sacro alla Beata Vergine. Nè il beato Novellone aveva chiesa propria; riposava presso un altare della cattedrale, onorato come protettore dal­ l’Arte dei calzolai.1 Del resto il nostro breviario, se fu scritto per una chiesa di Faenza (forse per la cappella, o parrocchia, di S. Cassiano, come pare potersi dedurre dalla commemorazione di quel santo mar­ tire d’Imola tra i Communi suffragi), non certo per la cattedrale. Il breviario passò-al coro dei canonici dopo la metà del XV secolo; e vi rimase fino al 1568, cioè fino a quando il pontefice Pio V im­ pose a tutte le chiese d’Occidente il nuovo breviario, che da lui prende il nome.8

§ 4 - FORMAZIONE DEL CALENDARIO

Adunque il calendario, da me pubblicato, come il breviario annesso, risalgono, in sostanza, alla fine del XIV o in principio

di S. Savino il 7 dicembre (giorno assegnato alla memoria del martire dalla Passione e dagli antichi martirologii) e della sua traslazione il 14 giugno. L’una e l’ altra festa sono in carattere rosso, come le principali solennità dell’anno. 7 Non è il caso di parlare del beato Rertoni morto il 25 maggio 1483. 8 Quando il breviario passò nel coro della cattedrale, in un pezzetto di carta, incollato nel margine del foglio, ove si leggono i Suffragi, fu scritto, di mano del principio del XYI secolo, un oremus relativo alla tra­ slazione di san Savino nel nostro duomo, che suona così: « Propitiare nobis, quesumus, Domine, famulis tuis per sancii Savini martiris atque pontifìcis, qui in presenti ecclesia requiescit, merita gloriosa, ut eius piis intercessionibus ab omnibus munia(mur) adversis ».

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del XV secolo; quantunque il codice della cattedrale, ove am­ bedue si contengono, appartenga ad età più recente, e precisamente alla metà incirca del XV secolo, certo non prima del 1438. Il calendario era usato da una chiesa della città o dei sobborghi di Faenza, forse dalla parrocchia di S. Cassiano, soppressa fin dal principio del secolo XVII. Questo calendario faentino, di cui ci occupiamo, non diffe­ risce da quelli adoperati contemporaneamente nelle chiese d’Ita­ lia, salvo, s’intende, le feste proprie della nostra città, e poche differenze di date e di nomi nel resto. Probabilmente la genesi del nostro calendario è parallela a | quella degli altri suoi confratelli, massime di quelli della pro­ vincia ecclesiastica di Ravenna. Il calendario è un documento che, ordinariamente, si forma intorno a un nucleo primitivo per diversi strati in differenti età. Il nostro calendario, secondo il mio parere, non isfugge a questa legge. Ossia: esso sarebbe stato composto non quasi di getto tra la fine del 1300 e il principio del 1400, ma dal secolo XI in poi in vari tempi e circostanze diverse. Il nucleo primitivo risale appunto al secolo XI. Procedere più oltre non è possibile senza abbandonarsi ad ipotesi campate in aria. Questo nucleo è abbastanza facilmente riconoscibile. Esso rappresenta il calendario ravennate o della provincia ecclesiastica di Ravenna del secolo XI, quale risulta dai lezionari di Ravenna e delle sue chiese suffraganee, spettanti a quel tempo. Lo chiamo ravennate, perchè conteneva delle feste di Ravenna e della sua provincia, che non solevano celebrarsi altrove. Per il resto con­ veniva, in sostanza, coi calendari contemporanei della Toscana, della Lombardia e di altri luoghi. Il calendario della provincia ravennate, così da me chiamato, contiene in tutto l’anno 175 feste incirca, che possono dividersi in 10 gruppi: 1. Feste del Signore·, la Circoncisione (1 gen.), l’Epifania (6 gen.) colla vigilia e coll’ottava; due feste della Croce (3 mag. e 14 sett.) e il Natale (25 dee.) colla vigilia. 2. Feste della Madonna·. Purificazione (2 feb.), Annuncia­ zione (25 mar.), Assunzione (15 ag.) colla vigilia e coll’ottava, e Natività (8 sett.) coll’ottava. 3. Feste dei Santi del Vecchio e del Nuovo Testamento: S. Mi­ chele (8 mag. e 29 sett.), i Maccabei (1 ag.), gl’innocenti (27 die.), S. Giovanni Battista (24 giug. e 29 ag.), S. Stefano (3 ag. e 2G die.), gli apostoli e gli evangelisti, e S. Maria Maddalena (22 lugl.).

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4. Ognissanti (1 nov.) e Commemorazione di tutti i defunti (2 nov.)· 5. Feste romane: i Vincoli (1 ag.), la Cattedra di S. Pietro (22 febr.), S. Giovanni ante Portam Latinam (6 mag.), S. Gre­ gorio M. (12 mar.), S. Leone (28 giug.), S. Marco (7 ott.), S. Dá­ maso (10 die.), S. Silvestro (31 die.), e un gruppo di martiri, or­ dinariamente quelli contenuti nel cosidetto Sacramentarium Gregorianum, cioè nel calendario romano dell’VIII secolo, o poco più poco meno; circa 55 feste in tutto. | 6. Feste di martiri e santi italiani : S. Felice di Nola (14 gen.), S. Agata (5 febr.), S. Scolastica (10 febr.), S. Valentino (14 febr.), Ss. Faustino e Giovita (15 febr.), S. Benedetto (21 mar.), Ss. Ger­ vasio e Protasio (19 giugno), Ss. Nabore e Felice (12 lug.), Ss. Nazario e Celso (28 lug.), S. Donato (7 ag.), S. Gorgonio (9 sett.), S. Gennaro (19 sett.), Ss. Ambrogio e Savino (7 die.), S. Lucia (13 die.) ed altri, in tutto 25 feste incirca. 7. Feste di martiri e santi occidentali e orientali: S. Paolo eremita (10 gen.), S. Biagio (3 febr.), Ss. Perpetua e Felicita (7 mar.), 40 Martiri (9 mar.), S. Giorgio (23 apr.), S. Cristina (24 lugl.), S. Cristoforo (25 lug.), S. Agostino (28 ag.), S. Antonino (3 sett.), S. Eufemia (16 sett.), S. Maurizio (22 sett.), Ss. Cosma e Damiano (27 sett.), S. Girolamo (30 sett.), S. Dionigi (9 ott.), S. Ba­ rione (21 ott.), Ss. Menna e Martino (11 nov.), S. Barbara (4 die.), S. Sabba (5 die.), S. Nicolò (6 die.), ed altri, in tutto circa 35 feste. Noto che i 7 Dormienti e S. Eustasio si trovano nel nostro calen­ dario, a differenza di molti altri documenti congeneri, rispettiva­ mente al 23 ottobre e al 20 maggio, come nei lezionari di Nonantola dell’XI-XII secolo. 8. Feste ravennati, cioè di santi ravennati o che riscuotevano culto in Ravenna: S. Barbaziano (2 gen.), S. Severo (1 febr.), S. Adalberto (anche Alberto, 23 apr.), il titolare del celebre mo­ nastero fondato dagli imperatori Ottoni, S. Pullione (27 apr.), S. Vitale (28 apr.), S. Apollinare (23 lugl.), S. Demetrio (18 ag.), S. Vittore (12 nov.), S. Pier Crisologo (3 die.). S. Vitale però e S. Apollinare erano venerati anche fuori di Bavenna e della sua provincia, per esempio in Roma e, più o meno, in tutta Italia. S. Fosca (13 febr.) è festa ravennate relativamente molto recente. 9. Feste di santi della provincia ecclesiastica di Ravenna: S. Geminiano di Modena (31 gen.), S. Mercuriale di Forlì (30 apr.), S. Illaro (Ellero volgarmente) di Galeata (15 mag.), S. Procolo di Bologna (1 giug.), S. Ruffillo di Forlimpopoli (18 lug.), S. Cassiano d’Imola (13 ag. venerato però in Roma e in moltissimi altri

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luoghi), S. Donnino di Parma (9 ott.), S. Gaudenzio di Rimini (14 ott.), Ss. Vitale e Agricola di Bologna (4 nov. avevano culto anche fuori), S. Antonino di Piacenza (13 nov.) e S. Prospero di Reggio (25 nov.). 10. Feste locali. È arduo il dire quali fossero le feste esclu­ sivamente faentine nel secolo XI. Cominciando dall’odierno protettore della città, s. Savino, la | sua festa appare nei lezionari della provincia al 7 die. come nel nostro. Probabilmente s. Savino era venerato anche presso di noi nel secolo XI, e in quello stesso giorno, come oggi; fin dal X secolo almeno, sorgeva fuori di Porta Imolese una chiesa de­ dicata in suo onore. Ma la festa forse divenne solenne (rubricata) solo nel secolo XV, vale a dire dopo il trasporto delle reliquie (14 giugno 1438-1448) da Fusignano nella cattedrale. La festa però celebravasi nella cattedrale anche prima, cioè dalla metà incirca del XIV secolo almeno. La Dedicazione della cattedrale antica (25 ag.), come si è detto di sopra, antecede il 1474; ma di quanto non può preci­ sarsi, in mancanza di documenti. Come ho provato altrove (cfr. Un antico monumento faentino tornato in luce, nel periodico il Piccolo n. 26 an. 1910), la cap­ pella, o parrocchia di S. Eutropio (30 apr.) fu fondata in Faenza sulla line del mille; S. Magiorio (24 ott.) fu consacrata nel 1270; la cappella di S. Paterniano, vescovo di Fano (10 lugl.), esisteva nel 1075, quella di S. Emiliano (6 nov.) nel 1139, di S. Maro (15 mag.) nel 1142, di S. Terenzio (30 lugl.) nel 1153, di S. Abramo (6 ott.) nel 1160, di S. Sigismondo (6 mag.) nel 1255, meno quest’ultima, tutte soppresse dalla Rivoluzione Francese ed anche prima. Da queste date più antiche può raccogliersi, almeno con qualche approssimazione, quando le rispettive feste comincias­ sero presso di noi. Rispetto a s. Abramo noterò che le ceneri del patriarca si dissero trovate al tempo dei Crociati in Ebron nel 1119-1120 incirca. Forse la nostra cappella non era più antica di questo tempo. Per i ss. Terenzio ed Emiliano disponiamo di un documento importante del XIV secolo. Il nostro storico, Tonduzzi (p. 16), racconta che il vescovo di Faenza nel 1321 celebrò un sinodo dio­ cesano. Gli atti del medesimo si conservavano nel XVII secolo nell’archivio capitolare, ove furono letti dal Tonduzzi: oggi di­ sgraziatamente sono scomparsi. In essi il nostro prelato coman­ dava che nella città e nei sobborghi di Faenza si celebrassero le feste dèi beati confessori Terenzio, levita, e Emiliano, vescovo,

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perchè presso i loro rispettivi sepolcri nelle proprie chiese ogni giorno avvenivano meravigliose guarigioni. Così nel 1321 le feste dei due santi, forse fin allora celebratesi soltanto nel recinto delle due cappelle, o parrocchie, furono estese a tutte le chiese della città e dei sobborghi. È dunque assai difficile stabilire quali fossero in Faenza nel | secolo XI le feste proprie. Verosimilmente, di quelle del secolo XV 158 pochissime avevano posto nei nostri calendari del secolo XI. La maggior parte vi saranno state introdotte nei secoli seguenti. Ciò posto, io non pretendo, naturalmente, che tutte e singole e soltanto le feste dei 10 gruppi su ricordati appartenessero ai calendari faentini del secolo XI. In una stessa regione, anzi in una stessa diocesi o città s’incontrano parecchie e sensibili dif­ ferenze. Ma è dato affermare, con molta verosimiglianza, che i calendari faentini dell’XI-XII secolo non contenessero, se non i 10 gruppi di feste sopraddetti. | E tutte le altre feste quando vi furono introdotte? 170 Alcune feste ravennati e della provincia furono aggiunte ai calendari faentini nel secolo XIV. Nel 21 giugno del 1311 l’arcivescovo Rainaldo celebrò in Ra­ venna un sinodo provinciale; e nella Rubrica X {De celebratione festorum, presso il Rubeus, pp. 840-841) stabilì che in tutte le chiese della provincia si celebrassero le feste dei patroni delle chiese suffraganee, quelle di sant’Apollinare, vescovo e patrono di Ravenna, e degli altri presuli ravennati, detti Colombini. I ret­ tori di tutte le chiese dipendenti da Ravenna dovevano registrare nei rispettivi calendari, colle altre feste, vigilie e digiuni, le sopra indicate, entro due mesi dalla pubblicazione del decreto. Per questa prescrizione entrarono nei calendari romagnoli ed emiliani, e quindi nei nostri, se non le feste di Sant’Apollinare e di San Severo, che vi erano comunemente anche prima, quelle dei santi Colombini, cioè S. Calocero (11 febb.), S. Eleucadio (13 febr.), S. Agapito (16 marz.), S. Marciano (22 mag.), S. Dato (3 lugl.), S. Aderito (27 sett.), S. Marcellino (5 ott.), S. Probo (10 nov.), S. Procolo (1 die.), e S. Liberio (30 die.), prima sco- | nosciute. Il S. Marziale del 30 giugno è detto nel nostro docu- 171 mento archiepiscopus ravennatis, ma per errore del copista: egli è senza dubbio il celebre S. Marziale di Limoges (Francia). Sem­ bra però che il decreto di Rainaldo non ottenesse presso di noi una pronta e generale esecuzione, perchè il vescovo di Faenza nel ricordato sinodo del 1321 (presso il Tonduzzi, 393) inculcava che si osservasse la costituzione arcivescovile del 1311 circa le

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feste e dei Colombini e dei patroni delle suffraganee. Tra questi il presule faentino enumera esplicitamente: S. Ursicino di Ra­ venna (13 dic.), S. Prospero di Reggio (25 nov.), S. Geminiano di Modena (31 gen.), S. Petronio di Rologna (4 ott.), S. Cassiano d’Imola e di Comacchio (13 ag.), S. Mercuriale di Forlì (30 apr.), S. Rutililo di Forlimpopoli (18 lug.), S. Vicinio di Sarsina (28 ag.), S. Giorgio di Ferrara (24 apr.) e S. Giuliano di Rimini (21 giugno). È notevole come, nonostante questi decreti (le leggi son, ma chi pon mano ad esse?), S. Ursicino e S. Vicinio non compaiano affatto nel nostro calendario. S. Giuliano trovasi al 22 giugno. In quanto agli altri santi elencati nel nostro calendario, in mancanza di documenti, non si può dir nulla del tempo e del modo di lor ammissione se non per congetture e per analogie. Gli stessi santi canonizzati dopo il secolo XI possono esservi stati introdotti o direttamente e singolarmente dopo la solenne pro­ mulgazione del loro culto, o indirettamente e in gruppo per l’influenza di altri autorevoli calendari. Certo è che in Italia, non esclusa la nostra regione, nel secolo XIII si diffuse la consuetu­ dine di recitare il Breviarium secundum romanam curiam, e quindi la conoscenza e l’uso del calendario della Curia Romana, poi Avignonese; ed è facile comprendere come questi autorevoli calendari influissero sopra gli antichi calendari italiani. Dal calendario romano, probabilmente, provengono nel nostro S. Maria della Neve (5 ag.), la Dedicazione di S. Pietro (18 nov.), di S. Giovanni in Laterano (9 nov.), un bel gruppo di papi mar­ tiri, per esempio S. Igino (11 gen.), S. Aniceto (17 apr.), Ss. Sotero e Gaio (22 apr.), S. Felice (30 mag.), S. Silverio (20 giu.), S. Pio (11 lugl.), S. ZefFirino (26 ag.), S. Ponziano (19 nov.) ecc., forse i santi canonizzati dai papi nel XII secolo, cioè S. Gilberto di Sempringham (4 febr.), S. Ubaldo di Gubbio (16 mag.), S. Gu­ glielmo (11 febr.), S. Bernardo (20 ag.), S. Tommaso (29 dic.), i santi francescani e domenicani canonizzati nel XIII secolo, vale a dire S. Francesco (4 ott.), S. Domenico (5 ag.), S. Antonio (13 |giug.), S. Pietro (29 apr.), S. Elisabetta (19 nov.) e S. Chiara (12 ag.), forse i Ss. Ciro e Giovanni (30 genn.), S. Giov. Criso­ stomo (27 gen.), S. Pietro d’Alessandria (26 nov.), S. Ignazio (1 feb.) ed altri. Dal calendario avignonese derivarono, verosimilmente, S. Lui­ gi di Tolosa (19 ag.), canonizzato nel 1317, S. Tommaso d’Aquino (7 mar.), nel 1323, S. Ivone, prete (19 mag. aveva un altare, quello odierno di S. Savino, nella nostra cattedrale), canonizzato nel 1331, S. Marziale di Limoges (30 lugl.), S. Egidio (1 sett.) (quan-

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tunque questo santo fosse venerato nel nostro S. Eutropio fin dal secolo XII: cfr. Un antico monumento), S. Anna (26 lugl.), la Vi­ sitazione di Maria (2 lugl.), S. Giuseppe (19 mar.), la Concezione (8 die.) ecc.a Il nostro calendario è la più antica memoria del culto di S. Giuseppe e della Concezione in Faenza, oggi tra noi tanto po­ polare. Il lettore si sarà accorto, scorrendo il nostro calendario, che nel secolo XV alcune feste erano assegnate a giorno diverso dal­ l’odierno, o da quello che fu il giorno festivo presso di noi fino alla riforma di Pio X. Non ho indicato le ragioni (vere o proba­ bili) dei singoli variamenti, per non andare troppo per le lunghe. Il lettore, curioso di conoscerle, potrà consultare in proposito gli storici della liturgia, del breviario, del messale e delle feste ec­ clesiastiche.

a Dal Liber Rubeus dell’Azzurrini (fol. 57b) si apprende che il 17 die. del 1478 certo Nicolò di Lozzano fece il suo testamento in cui lasciò 500 lib. di bolognini ai frati di S. Francesco « prò dote cappellae beatae Mariae Virginis Conceptionis constitute per dictum testatorem annis elapsis sumptibus suis in dieta ecclesia S. Francisci ». Però nella copia fatta dal Tondini (nell’Archivio Vaticano, ove l’ho letta nel marzo del 1923) sopra l’originale non si legge affatto il titolo della Concezione. Questa è una aggiunta del L. R. perchè al tempo dell’Azzurrini quella cappella di Nicolò da Lozzano denominavasi dalla Concezione.

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UN

NUOVO

DOCUMENTO

SOPRA

IL B. GIACOMO FILIPPO BERTONI In Bollettino Diocesano di Faenza, I, 1914, pp. 84-86

Il riordinamento della biblioteca comunale di Faenza ha tratto in luce un documento intorno al beato Bertoni, che fu ignorato dai nostri scrittori. Il documento trovasi a f. 21 di un codice quattrocentesco contenente i verbali delle deliberazioni conventuali dei frati di S. Domenico di Faenza dal 1459 al secolo XVII. Questo codice, intitolato Liber consiliorum conventus Sancti Andreae de Fa­ ventia, fu citato talvolta dall’agiografo Magnani nel suo volume sui santi faentini, edito nel 1741; ma dopo quel tempo sembrava perduto nella dispersione degli archivi del 1797. Oggi fortunata­ mente il codice smarrito ritorna tra le mani degli studiosi. Adunque il Liber consiliorum ci fa sapere che il giorno 31 maggio 1483 i religiosi capitolari di S. Domenico (6 col priore, dei quali nessuno faentino) a unanimità di voti deliberarono di non intervenire nè alla processione nè alla messa solenne da cantarsi nella chiesa dei Servi dopo la morte di certo frate, come dicevasi, chiaro per miracoli, se prima non si ottenesse licenza dal Sommo Pontefice (Sisto IV); nonostante le mormorazioni che potessero nascere in città contro il convento e quantunque si do­ vesse incorrere nella disgrazia del principe, perchè ciò era espres­ samente contro i sacri canoni.1 |

1 « Anno Domini 1483 die ultimo maij. Conclusum fuit per infra­ scriptos patres nemine discrepante ut nullo modo conventus noster ac­ cederet ad quandam processionem solemnem, et etiam ad cantandurq missam solemnem in ecclesia Servorum post obitum cuiusdam fratris, qui, ut dicebatur, clarebat miraculis, nisi prius licentia auctoritate Summi Pontificis, etiamsi domini civitatis indignationem essemus incursuri, cum hoc expresse sit contra iura, non obstante murmure civitatis. Ego frater Ludovicus de Calabria prior conventus ita consului ut prefertur manu propria teste.

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F. Lanzoni, Storia ecclesiastica faentina dal XI al XV secolo

Il frate, morto nei Servi, di cui si occupa il Liber consiliorum, non può esser altro che il beato Giacomo Filippo Bertoni. Fra Gia­ como, come narra Nicolò Borghesi, cavaliere senese, nella bio­ grafia del beato, composta nel 1488,2 morì nel convento dei ser­ viti di Faenza, nelle ore pomeridiane del 25 maggio 1483, festa della SS. Trinità. E dopo un onorifico funerale, mentre si stava preparando la sepoltura, il popolo faentino, entusiasmato per un sermone recitato da un frate (probabilmente dello stesso ordine) in lode del defunto, non volle che il cadavere fosse tumulato, af­ finchè gli infermi accorsi avessero agio, guardandolo e toccandolo, d’impetrare e di ottenere la guarigione. Fu quindi il corpo di fra Giacomo per generale consenso esposto in un cataletto, ed ivi lasciato per parecchi giorni (« plures dies in feretro reservatur »), senza molestia dei convenuti. Intanto Galeotto, signore di Faenza, tratto dalla fama dei miracoli, che avvenivano intorno al feretro, si recò anch’egli a visitare la salma di fra Giacomo, e, convintosi della santità del defunto, ordinò che le si tributas­ sero i massimi onori (« statuii omni honore affici gloriosum corpus »), e che le si desse sepoltura sotto l’altare della cappella Manfredi, situata nei Servi, per la pubblica venerazione (« et apud aram sacelli sui ponendum, venerandumque mandavit »). In una parola Galeotto comandava di prestare a fra Giacomo gli onori soliti tributarsi ai santi. Adunque i frati di S. Domenico (come molto probabilmente, tutte le fraterie della città e dei sobborghi) furono invitati ad associarsi ad una processione e messa solenne nei Servi in onore del defunto: vai quanto dire ad assistere ad una specie di ca­ nonizzazione di fra Giacomo. Ora queste canonizzazioni popolari, almeno dal XII secolo, erano proibite; e il diritto canonico ri-

Ego frater Angelus da Brixia vicarius conventus ita consului ut prefertur m. p. t. Ego frater Ieronimus de Brixia predictis interfui et ita consului et manu propria me subscripsi. Ego frater Antonius de Brixia predictis interfui et ita consului et manu propria subscripsi. Ego frater Basibus de Soncino predictis interfui et ita consului et manu propria subscripsi». Dal Liber consiliorum conventus Sancti Andree de Faventia (...) sub anno Domini MCCCCLIX etc., f. 21, nella Biblioteca comunale di Faenza. 2 E pubblicata nel VI vol. di maggio (3* edizione) degli Acta SS., pp. 166-167.

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Un nuovo documento sopra il b. Giacomo Filippo Bertoni

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servava alla Santa Sede il diritto di registrare i servi di Dio nel catalogo dei santi. Il contegno dei frati di S. Domenico era quindi giustificatissimo, e, in quelle circostanze, coraggioso. | Non sappiamo se in forza della protesta dei frati di S. Do­ menico si ricorresse alla S. Sede. Forse no. È lecito pensare che l’indetta funzione si celebrasse nello stesso 31 maggio che era domenica. Del resto nel secolo XV il diritto canonico, su quel punto delle canonizzazioni popolari, era generalmente assai poco osservato. Si aggiunga che nel maggio del 1483 la sede episco­ pale di Faenza era vacante, perchè Sisto IV rifiutava di confer­ mare l’eletto del capitolo. In uno staterello com’era Faenza nel 1483, era pericoloso opporsi alla volontà del principe, suffragata per di più dal consenso popolare e da un convento riverito e potente.“ Ma se la Sede Apostolica non intervenne nella elevazione di fra Giacomo all’onore degli altari, dopo tre secoli il successore di Sisto IV, Clemente XIII, approvò il culto meritatamente pre­ stato dai faentini al loro compatriota fin dal giorno della sua morte. a La Vacchetta dei conti di maestro Gentile di Antonio Fornarini pittore e maiolicaro faentino, pubblicata in Faenza da G. Ballardini, ri­ corda (p. 39) dopo il 13 maggio 1486 la compra di « uno depizolo