Iconologia e politica nell’Italia antica. Roma, Lazio, Etruria dal VII al I secolo a. C.

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Iconologia e politica nell’Italia antica. Roma, Lazio, Etruria dal VII al I secolo a. C.

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Françoise - Hélène Pairault Massa

ICONOLOGIA E POLITICA .NELCITALIA ANTICA Roma, Lazio, Etruria dal VII al I secolo a.C. Longanesi & C.

Come ritrovare la perduta identità di tante opere figurative antiche e renderle vive testimonianze per la cultura moderna? I pirandosi ai fondamentali studi di Erwin Panofsky e della ua scuola, l ' autrice e pone le ragioni che fanno ritenere valida l' applicazione di quel metodo allo studio delle arti figurative in Etruria, a Roma e nel Lazio, anche per i periodi sui quali la nostra informazione è più scarsa o addirittura inesistente. L'interpretazione delle immagini e rappresentazioni figurate di diverse società e popoli del! Italia antica si configura così come il compito di un'archeologia che non vuole e sere oltanto descrittiva (iconografia) bensì sempre più orientata - come ha insegnato Ranuccio Bianchi Bandinelli - verso la cono cenza dei processi storici: cioè ver o la comprensione dei significa ti profondi che l ' immagine na conde come specchio di una ocietà e di una cultura (iconologia). Le opere qui analizzate (frontoni di templi , monumenti funerari , arredi del corredo nuziale, ecc.) ci aiutano a capire il modo di intendere e rappresentare se stessi - nel corso delle vicende storiche che ne hanno modellato le istituzioni - degli individui e dei gruppi sociali; ci offrono echi , riflessi delle ideologie e dell '« immaginario » di intere eia si della società, nel loro affermarsi come soggetti politici; rinviano cioè, concretamente, ai modelli etici e politici cui si ispirano non solo gli artisti e ecutori di quelle opere e monumenti, ma anche i loro committenti (poleis , gruppi o individui). Si evidenzia così in molti ca i il contenuto « programmatico » delle rappresentazioni o dei cicli figurati de tinati a edifici pubblici o giunti a noi su oggetti d ' uso privato (va i, specchi , ciste) . La scelta, il contenuto di quelle rappresentazioni è infatti spesso condizionato o determinato da particolari motivazioni, riflesso di lotte o polemiche politico-sociali. A volte invece è dettato da un più sereno desiderio di esprimere la presa di coscienza dell ' appartenenza a una certa identità politico-culturale. In quasi tutti i casi il mito greco - nelle varie forme della sua appropriazione, elaborazione, rappresentazione - svolge un ruolo decisivo.

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Françoise-Hélène Pairault Massa, nata nel 1944, allieva del1' Ecole Normale Supérieure di Parigi, già membro dell ' Ecole Française di Roma, attualmente Directeur de Recherche del Centre ational de la Recherche Scientifique di Parigi, svolge attività didattica e di ricerca tra l'Italia e la Francia. Ha partecipato alle campagne archeologiche dell ' Eco le Française a Bolsena e ne ha diretto per sette anni (in collaborazione con l'Università di Bologna) gli scavi a Marzabotto. Fra le sue numerose pubblicazioni (un ' ottantina tra libri, relazioni a congressi e articoli cientifici) si ricordano gli studi sulla tori a di Volterra e sull ' arte e la civiltà etrusca. el 1983 ha con eguito il dottorato di Stato alla Sorbona; nel 1985 ha partecipato alle manifestazioni dell '« Anno etrusco » in Toscana.

/11 coperrina: frontone de l tempio A di Pyrgi, lastra in altori lievo con scena del mito tebano. Roma, Museo di Vill a Giulia (foto Scala) GRAFICA STUDIO BARONI

CL 043-740 18

Lire 80.000 (i.i.)

ISBN 88-304-1112-4

ICONOLOGIA E POLITICA NELL'ITALIA ANTICA ROMA, LAZIO, ETRURIA DAL VII AL I SECOLO A.C.

di

FRANçOISE-HÉLÈNE

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Le cose letterarie non si possono oramai dalle morali e dalle civili interamente disgiungere; perché giova ed è forza educare gli ingegni e gli animi a considerare in ogni cosa la parte più seria e più importante alla privata e alla pubblica felicità, giacché l'uomo che in mezzo a tanta lotta d'opinioni e d'affetti, in mezzo a tante lagrime e a tanto sangue, potesse involarsi alle cose che gli stanno d'intorno da ragionare amena lettura o scienze esatte come se uscisse di sotto a una stuoia della Tebaide, codest'uomo sarebbe o un tristo o uno stolto. G.P. V1EussEux, Introduzione al secondo volume dell'Antologia, Firenze 1822

Per strano o assurdo che ci paia un uso, un monumento, siate certo che non è esistito senza qualche idea cui deve la propria origine, e non dichiaratevi soddisfatto se non quando, a forza di sagacia e con l'aiuto della storia, avrete scoperto questa idea prima. Se avrete incontrato la verità vera, essa vi darà in una volta sola la chiave dei costumi, delle arti o della disposizione degli spiriti della nazione o del secolo che volete conoscere. Idee dell'abate Ferdinando Galiani, in F.M. GRIMM,

Correspondance littéraire, novembre-dicembre 1764; trad. it. di C. Cases, in F. GALIANI, Dialogo sulle donne e altri scritti, Milano 19792, p. 78

Introduzione

CoME ritrovare la perduta identità di tante opere figurative antiche e renderle vive testimonianze per la cultura moderna? Come è noto, per quanto riguarda l'indagine storica, il carattere incompleto e disparato è più accentuato per i reperti pertinenti all'antichità classica che per quelli di altri periodi. Quando poi si tenta di ricostruire la specifica realtà culturale di aree di civiltà marginali rispetto a quella greca, come la civiltà etrusca, per le quali la lingua, i testi scritti, la «parola politica» (che, secondo C. Bérard, caratterizza la civiltà greca) sono del tutto scomparsi o poco accessibili, l'impresa è talmente irta di difficoltà da apparire temeraria. La stessa cosa dicasi (nonostante esso offra un volto più familiare, una lingua accessibile e una «parola politica» assai meglio nota attraverso i testi) per il mondo culturale romano, o romano-latino, soprattutto per quei periodi della sua storia che sono al centro del nostro interesse. Anche qui troviamo vistose lacune nella documentazione, quando non ci scontriamo con insospettati problemi che non contribuiscono a chiarire, certo, le testimonianze a nostra disposizione. Ritrovare l'identità di quelle opere e di quei monumenti richiede, da parte dell'archeologo, varie competenze. Egli deve mettere insieme con un lavoro paziente e minuzioso, materialmente, come le tessere di un mosaico, i disparati frammenti degli oggetti, senza dimenticare il loro contesto (stratigrafico o altro), essenziale per la datazione; deve riconoscere, denominare («è un'anfora, un atrio, una scena della guerra di Troia») e classificare, secondo precise tipologie, oggetti e immagini (materia specifica, quest'ultima, dell'iconografia). Ma il mestiere dell'archeologo non si esaurisce, certamente, in queste operazioni, quando si ha l'ambizione di ritrovare, di definire, il mondo

culturale di un dato popolo in un certo periodo. Anche un'opera o un oggetto giunto fino a noi completo in tutte le sue parti, se avulso dal suo contesto, se non potrà essere messo in relazione con altre opere della sua epoca, inserito cioè nella più complessa realtà del suo tempo, nell'ambiente sociale e culturale per il quale è stato creato, ossia in un determinato processo storico, rimarrà per noi muto simulacro, senza senso (se non quello, edonistico, di cui è rivestito qualsiasi oggetto d'antiquariato). Circoscrivere la realtà di quell'opera diventa allora un'operazione complessa, e i «frammenti» da cui eravamo partiti, in quest'opera di ricomposizione, perdono la loro primitiva materialità. Questo convincimento guiderà le nostre riflessioni, che hanno per oggetto le testimonianze sulla vita e sulla cultura dei popoli italici trasmesse dalle arti figurative, come per esempio le composizioni plastiche o dipinte, che facevano parte della decorazione, esterna e interna, degli edifici (case, templi, tombe ecc.), e le scene, le rappresentazioni e le «immagini» che ornavano molti prodotti dell'artigianato (vasi, specchi, mobili ecc.). Ma il nostro approccio ci porta a mettere l'accento sui «contenuti», sugli «argomenti», sui «soggetti» delle rappresentazioni artistiche. Questo particolare punto di vista apre una delle vie di accesso alla storia dell'arte, il cui metodo si sviluppa, come ci indica l'esempio dei maggiori studiosi in questo campo, di pari passo con il metodo archeologico, inteso come approfondimento delle regole del pensiero storico. I progressi stessi della disciplina archeologica sono infatti, come aveva notato R. Bianchi Bandinelli, l'humus nel quale si radica una storia dell'arte che sia veramente storia, cioè

una razionale ricerca di ricomposizione della realtà. E non meraviglierà il fatto che un altro grande storico dell'arte, E. Panofsky, si riferisca all'archeologia, quando definisce il suo lavoro come quello di chi «assoggetta i propri materiali a un'analisi archeologica razionale». Per Panofsky, il cui campo prediletto di ricerca era il «significato delle immagini», l'archeologia dell'immagine consisteva in una ricostituzione integrale non solo dell'argomento (che si ottiene con una ricerca iconografica), ma del «contenuto» dell'opera, che rinvia sempre alla storia di una determinata epoca e, in definitiva, alla facoltà stessa dello spirito umano di esprimere, con forme e idee altamente simboliche, il senso della propria avventura. Questa particolare «archeologia» riceve il nome di «iconologia», termine che pertiene - vedremo con quale significato - al titolo di questo libro. Diversamente dall'iconografia, quindi, il cui scopo è descrittivo (si prefigge cioè di identificare il soggetto delle rappresentazioni artistiche riconoscendovi una serie di personaggi - Achille, Ettore -, di motivi e di temi - l'ultima notte di Troia - che classificherà per «tipi», circoscrivendone, con l'aiuto di testi scritti e documenti di vario tipo, i periodi in cui sono trattati da determinate scuole artistiche e gli ambienti sociali in cui vengono diffusi e trasmessi), lo scopo dell'iconologia è invece costruttivo, riguarda l'elaborazione del «contenuto» o «significato estrinseco» dell'opera, l'individuazione cioè di «quei principi di fondo che rivelano l'atteggiamento fondamentale di una nazione, un periodo, una classe, una concezione religiosa o filosofica, qualificato da una personalità o condensato in un'opera». Dunque iconografia e iconologia sono, in pratica, due modi complementari, e mai del tutto separati, l'uno analitico, l'altro sintetico, di affrontare lo studio del significato delle rappresentazioni artistiche. Essi corrispondono a due livelli di approfondimento della comprensione del!' oggetto: il primo omologo dell'archeologia filologica, il secondo di quella stori.ca. Ma, per Panofsky, la riflessione storica finisce con l'avvicinarsi a una regione al limite della storia stessa, a quei momenti creativi in cui lo spirito determinerebbe, dialogando con il

tempo, i suoi propri mezzi di espressione nel tempo. Non è questa la sede per discutere (ammesso anche che ne avessimo la competenza) il punto di approdo di un pensiero così alto e per analizzarne tutte le implicazioni filosofiche (a cominciare dal complesso rapporto con una filosofia del significato e dell'interpretazione come quella di Cassirer). Il metodo panofskyano si regge filosoficamente sulla convivenza di un particolare idealismo (in Panofsky, forse più stimolo che principio metodologico) e di una particolare attenzione ai fatti storici. Qualche volta, nello sforzo di definire lo «spirito di un'epoca» (termine, questo, hegeliano), si corre il pericolo di dimenticare la complessa concretezza e la viva dialettica alle quali sempre rinviano gli avvenimenti o le idee che eleviamo alla dignità di fatti storici o fatti simbolici. È possibile cercare di chiarire questo pericolo riferendo l'acuta riflessione di Bianchi Bandinelli a proposito di uno dei saggi più celebri del Panofsky, La prospettiva come «/orma simbolica». Mentre accetta la dimostrazione del Panofsky, che, a suo parere, si applica felicemente al Rinascimento (proprio perché «esso è figlio del Medioevo», di un periodo, cioè, in cui la riflessione sui «significati» dei testi sacri e lo sviluppo di particolari dottrine e riflessioni sui «segni» e sui «simboli» sono stati alla base della cultura), Bianchi Bandinelli ne rifiuta la validità per l'arte greca, per la quale «la prospettiva è tutt'altro che una forma simbolica» essendo, semmai, proprio uno dei mezzi di cui si servirono i Greci per razionalizzare il loro approccio alle forme naturali. Ciò che è simbolo per un'epoca non lo è per un'altra; e la necessità di storicizzare perfino Io stesso concetto di «simbolo», nel senso ultimo che riveste nell'ermeneutica panofskyana, rimane imprescindibile. Nonostante queste limitazioni, ci sembra che il metodo di Panofsky offra molti validi esempi di ricerca «storico-archeologica», i cui punti di contatto con la ricerca e gli insegnamenti di Bianchi Bandinelli sono più fondati di quanto possa apparire dall'esempio appena ricordato. Se Bianchi Bandinelli rifiuta ogni schematismo e ogni mistica deriva nell'interpretazione storica, «l'analisi archeologica razionale» di Panofsky è, nella sua apertura alla

storia, assai consona al suo pensiero. Una ricerca del «significato intrinseco», poi, che ci riveli, in ultima analisi, l'atteggiamento fondamentale di una nazione, di un periodo, di una classe, le idee religiose e filosofiche che animano l'opera di un artista o lo svolgersi di un periodo, coincide con il fare storia, attraversandone tutto Io spessore. Dovremmo forse, allora, distinguere soltanto tra chi, come Panofsky, considera i mutamenti nei contenuti delle opere qualcosa che coinvolge i cambiamenti delle forme artistiche e la generale espressione del pensiero come rappresentazione simbolica, e chi, come Bianchi Bandinelli, considera i mutamenti delle «forme artistiche» espressioni tra le più genuine, e sempre rinnovate nei termini, del fecondo rapporto dell'uomo con la storia che egli produce. Se così è, ci sembra allora che un confine molto tenue separi i «contenuti» di Panofsky e le «forme artistiche» di Bianchi Bandinelli: quello che definisce la relazione necessaria dell'opera d'arte con la storia; qualcosa, forse, come la distinzione tra onda e corpuscolo nella moderna fisica quantistica. Quindi il metodo ermeneuticamente fecondo di Panofsky e della scuola di Warburg, da cui deriva, non suggerisce soltanto una parte del titolo di questo libro, ma un esempio su cui meditare. E, proprio in un momento - questa fine secolo - in cui sembra risorgano, sotto varie forme, gli irrazionalismi di cui Panofsky stesso è stato vittima, non ci sembra inutile richiamarci a una filosofia del significato. In campo archeologico-storico, infatti, le nuove forme dell'irrazionale risiedono meno nell'eccesso di fervore interpretativo, fonte anch'esso di errori, che nel rifiuto di ogni interpretazione; rifiuto basato, nel migliore dei casi, sul sentimento della «complessità delle cose» che ne vieterebbe la comprensione. La realtà viene così ridotta a un catalogo di oggetti e di concetti (quando la si vuole, almeno, ordinare), o a una foresta inestricabile. Come se l'obiettività scientifica non fosse, sempre, il frutto della costruzione e interpretazione dell'oggetto. Alla scuola di Warburg, il cui campo di ricerca prediletto è l'arte e la civiltà rinascimentali, siamo debitori della fecondità di molti apporti che utilizziamo, spesso anche senza più riconoscerne l'origine, nel campo dell'arte e

della civiltà antica. Ne ricordiamo alcuni cui questo libro cerca di ispirarsi. Il primo è l'analisi del rapporto tra i contenuti delle rappresentazioni artistiche, che talvolta costituiscono veri e propri cicli figurativi, con la personalità del committente. Ci riferiamo, ad esempio, al saggio di F. Saxl sugli affreschi della Farnesina, in cui egli dimostra che i temi delle varie scene mitologiche, concepite dalla scuola di Raffaello e del Peruzzi, non sono stati scelti a caso, ma fanno parte di un particolare «piano illustrativo» o «programma» ideato per celebrare la vita, le virtù e il matrimonio del banchiere Agostino Chigi. Il concetto di «programma», o «programma figurativo» o «illustrativo», è spesso al centro delle analisi anche di questo libro. Il «programma» è ciò che nel singolo monumento, o in un insieme correlato di monumenti (ciclo di affreschi, decorazione architettonica di un edificio, insieme urbanistico ecc.), rivela l'intenzionalità dell'opera, non solo in relazione alla funzione che essa in genere assume (religiosa, sociale ecc.), ragion per cui, di solito, non viene rappresentata una Madonna in un bagno pubblico o una ninfa in una chiesa, ma rispetto alla personalità e al pensiero del committente di cui l'artista si è investito e che ha tradotto nella sua opera. Per l'antichità classica non disponiamo sempre di documenti altrettanto numerosi e limpidi che consentano, come per l'epoca rinascimentale, di risalire alla personalità del committente e al suo pensiero. Molti risultati, tuttavia, sono stati conseguiti: che si tratti, per fare qualche esempio, di analizzare il «programma» degli affreschi di alcune ville pompeiane in funzione della personalità e degli interessi filosofico-politici dei loro proprietari; oppure di comprendere la relazione tra i fregi scolpiti del Partenone e il pensiero politico di Pericle, tra l'apparato statuario ed edilizio del Foro di Augusto e quello del gruppo politico che gravitava intorno al princeps. Questi esempi dimostrano che quando ci riferiamo alla personalità e al pensiero del committente non concepiamo quest'ultimo quale privato individuo - anche se questo aspetto esiste e può avere la sua influenza sul1'uomo pubblico - ma come soggetto sociale e politico. Essi dimostrano, inoltre, che la nozione di committente va allargata in senso col-

1 NB Gli accenti delle parole greche trascritte in alfabeto latino sono quelli della lingua originale; abbiamo tuttavia tralasciato di indicare le vocali brevi e lunghe.

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lettivo: a un gruppo, a una classe sociale o politica, a un momento della storia che conferisce una sua unità e ragione di essere a un particolare programma che detta la scelta di certe rappresentazioni. L'interpretazione del programma in relazione alla committenza fa sorgere, insomma, fatalmente, il problema dell'intenzionalità politica delle opere. Questione sulla quale torneremo. Il secondo apporto della scuola di Warburg parte dalla convinzione che l'unità di un periodo storico, l'esistenza cioè di uno «spirito del tempo», è empiricamente accertata dal carattere comune, in materia di contenuti e, non di rado, di procedimenti formali, degli argomenti, delle tematiche e delle dottrine cui si ispirano le opere di uno stesso periodo e ambiente. Queste riflettono cioè l'attualità di determinati eventi o l'importanza diffusa di determinate correnti del pensiero filosofico-religioso. La comunanza di contenuti delle opere esprime la relazione che si instaura tra arti figurative e attività letterarie e speculative. Essa riguarda anche la relazione che intercorre tra le opere dei più grandi artisti e quelle cosiddette minori. L'esistenza di un patrimonio comune cui attingono opere contemporanee, anche del livello estetico più diverso, è alla base di ciò che chiamiamo variatio, sia entro uno stesso campo espressivo (pittura, scultura, letteratura ecc.) sia passando da un campo espressivo all'altro (dalla pittura alla letteratura ecc.); alla base anche di quel fenomeno che si manifesta con la trasmutazione delle «immagini». Si tratta allora di comprendere non solo la trasmissione di particolari procedimenti, che· hanno un'incidenza sul modo di rappresentare, ma anche la storia della cultura e delle idee come continua po(esis. 1 L'interesse per le opere d'arte cosiddette minori, non meno idonee delle grandi opere a illuminarci sulla natura degli interessi filosofico-religiosi di un determinato periodo, traspare, per esempio, in uno dei primi saggi di Warburg sui costumi in alcune feste rinascimentali o, anche, nel minuzioso studio di Sax.I e Panofsky sulle incisioni contemporanee alla celebre Melencolia I di Diirer, in cui si dimostra che una certa «tensione mentale e spirituale», pur se non espressa con la stessa intensità e capacità di sintesi, pervadeva

la maggior parte delle opere incise di quel tempo. Anche il nostro studio si pone come un tentativo di studiare i rapporti e le influenze reciproche tra le arti figurative, le dottrine filosofiche o la «letteratura»; tra le opere dei più grandi artisti e quelle degli artigiani (una distinzione, questa, tra «artista» e «artigiano», che - come è stato più volte sottolineato - non esiste nelle definizioni antiche dell'arte); quelle influenze e quei rapporti che svelano l'esistenza di un fondo culturale comune in un dato periodo e in determinati ambienti. Un tipo di approccio che permette di scorgere l'intenzionalità politica che presiede alla nascita di tali opere. Il terzo, rilevante apporto della scuola di Warburg riguarda l'importanza data allo studio del fattore tempo, fonte della continuità ma anche delle cesure che osserviamo nei soggetti, nei contenuti e nei significati delle rappresentazioni delle arti figurative. Sax.I, in particolare, ha fatto propria questa problematica che riguarda lo statuto «temporale», «storico», delle «immagini», la loro appartenenza a categorie che, forse, potremmo definire in termini di continuità e discontinuità culturale. La «storia delle immagini» è possibile perché la cultura di cui l'attività artistica è una delle più alte espressioni è, sempre, «libero gioco della memoria», paragonabile al «libero gioco dell'immaginazione» in cui si riassume per Kant il piacere estetico. Si pensi ancora una volta alla famosa analisi della Melencolia I di Diirer, una composizione in cui vengono a «infrangersi», come «onde mnemoniche», concetti, contenuti, «tipi» la cui storia, «le cui migrazioni da un luogo all'altro, da un'epoca all'altra, si possono seguire, distinguendo quello che muta e quello che resta, ritrovandone il senso e i motivi nel travaglio dell'umano sentire e nelle vicende della società umana» (E. Garin). Sia chiaro che una tale idea della dinamica della storia dell'arte si applica particolarmente agli studi sul Rinascimento, che si prefiggono la definizione del concetto stesso di Rinascimento quale rinascita e palingenesi del!' antico; scopo che viene perseguito attraverso un pitagorico percorso à rebours nella catena delle generazioni di immagini del passato, oppure, in modo più consono con il funzionamento della Mnemosine rinascimentale, se-

guendo un alchemico procedimento di trasmutazione di esse. Ma la rappresentazione della dinamica della produzione delle opere (e dei loro contenuti) come diffondersi di «onde mnemoniche» ci appare feconda non soltanto per l'epoca rinascimentale. In questo caso tale rappresentazione è tanto più valida in quanto la rinascita dell'antico, per gli artisti di questo periodo, corrisponde a una scelta ideologica; e il libero gioco della memoria si cristallizza in affermazione politica. Per l'arte antica è un punto di vista di cui sperimentiamo la validità ogni volta che si intuisce il desiderio di far rinascere qualche cosa di fondamentale per gli uomini; rinascita tanto difficile da conseguire e che può nascondere la volontà di un semplice ritorno conservatore. Tutta la produzione artistica augustea, ad esempio, di stampo essenzialmente conservatore, è un tentativo di autorappresentazione del ceto dominante dietro lo schermo della rinascita della mitica «età aurea» di Roma. Ma vi sono percorsi più nascosti di Mnemosine, individuabili, ci sembra, in tutti i periodi dell'arte antica e specialmente in quelli in cui è alta la coscienza politica degli uomini, la loro convinzione di essere portatori di un determinato «progetto di società». Se il naufragio delle testimonianze antiche non fosse per noi così condizionante potremmo, ad esempio, comprendere meglio come si pone, in materia di continuità e discontinuità culturale, il problema dei «contenuti» della grande arte greca classica, in quanto portatrice di un progetto politico diverso da quello arcaico. E, nonostante le notevoli difficoltà che ciò comporta, potremmo affrontare sotto quest'angolatura quel che abbiamo solo tentato di delineare in via preliminare: il fatto che tutto un periodo dell'arte italica (il 1v secolo) sfrutta la memoria delle grandi conquiste del classicismo greco ai fini di una particolare affermazione politica delle società coinvolte in un processo di difesa della propria identità. Più volte, come si vede, riferendoci alle principali acquisizioni metodologiche della scuola di Warburg, abbiamo dovuto impiegare il termine «politico». V'è intenzionalità politica dell'opera nel suo rapporto con il committente in quanto soggetto, individuale o collettivo, che agisce in un'epoca e in un ambiente sociale determinati; nella comunanza e nei

parallelismi di contenuti tra opere appartenenti a diverse arti, a diversi livelli del sapere tecnico, a diverse funzioni, si rivelano legami necessari con le correnti di pensiero, con le idee filosofiche e politiche in auge in questa o quel1'epoca e in questo o quell'ambiente. La consapevolezza che le immagini nascono in un certo periodo storico, ma s'inseriscono in un processo temporale (continuo o discontinuo, reversibile o irreversibile), in relazione con tutto un insieme di altri fattori che contribuiscono a formare la cultura di una certa società, ci ha portato ad analizzare i meccanismi attraverso i quali si trasmettono quelle immagini, e perciò la funzione creativa della memoria, messa al servizio di progetti e disegni per lo più politici. L'onnipresenza delle categorie politiche non deve sorprendere perché, per dirla con Bianchi Bandinelli, l'arte non è libera in assoluto, ma «strettamente legata alle convinzioni e alle convenzioni di un tempo e di un luogo». Ragion per cui «la pretesa 'impoliticità' dell'arte figurativa non è che un abbaglio, intendendo per 'politica' ogni modo di realizzare idee a beneficio della comunità». Ma il senso del termine «politico», che ritornerà spesso nel corso delle nostre analisi, le quali vogliono essere di carattere iconologico e non puramente iconografico, deve essere ben definito quando lo si applichi alle diverse manifestazioni della vita dei popoli dell'Italia antica. Potremmo, per semplificare, ripartire dalla definizione citata, applicandola alle arti figurative. Il significato di comunità è certo molto vasto e rinvia a un insieme di realtà tra loro articolate, a un insieme di istituzioni e di ordinamenti altamente sviluppati, che hanno già una loro storia, e che si condizionano reciprocamente in vario modo. Ecco perciò la necessità di inserire l'artista, e la sua opera, nella comunità, nel contesto politico in cui egli è vissuto, per cercare di cogliere il dialogo che si stabilisce tra la storia della comunità e quella delle arti figurative, per tentare di chiarire, di volta in volta, i modi, i processi, con cui le opere vengono trasmesse e recepite. Le arti figurative sono infatti la «riserva delle immagini» di cui si nutre ogni comunità, ogni gruppo politico. In esse dobbiamo saper vedere l'espressione dell' «immaginario politico» della

comunità come cristallizzato dall'opera dell'artista. E proprio per non perdere di vista il senso di questo continuo dialogo tra arte e politica abbiamo aperto ogni capitolo del nostro libro sintetizzando la dinamica storica della vita della comunità e delineando, pur sommariamente, la prospettiva entro la quale si ordinano i fatti politici e istituzionali. Ci siamo permessi di «riassumere» alcune recenti acquisizioni che richiederebbero altrimenti una ben più ampia trattazione, per la quale si rinvia alle opere sulla storia più propriamente politica delle comunità oggetto del nostro studio. Consideriamo infatti un merito e una delle maggiori conquiste degli studi storici di questi ultimi trent'anni l'aver posto basi più sicure per una storia anche politica dei popoli della penisola italica; e ciò grazie all'affinamento del metodo archeologico. I concetti politici e certi termini diventati patrimonio di tutti gli studiosi, ai quali spesso ci riferiamo, sono infatti l'apporto di una trentennale riflessione. Essi si riferiscono a istituti come la gens, un'istituzione che conferisce una fisionomia originale alla storia della penisola italica, ne condiziona i ritmi di sviluppo e non corrisponde né al nostro concetto di famiglia «mononucleare» né a quello medievale di lignaggio; il collegium e la curia, ossia due forme di associazione comunitaria tese al perseguimento di particolari fini, pratici e ideali, già istituzionalizzate dai primi tempi del definitivo inurbamento della comunità politica; la c/assis, organizzazione più evoluta degli uomini in armi, il cui ordinamento si adegua progressivamente al sistema censitario che registra il valore della proprietà di ogni cittadino; la «tirannia», intesa, nel senso greco del termine, come strapotere di una famiglia nel contesto di una città aristocratica; il concetto di isonomia («uguaglianza davanti alla legge»), cui si richiamano cittadini che si considerano uguali, nelle loro possibilità di svolgere una funzione nella polis, siano essi aristocratici o, come nell'Atene del v secolo, il popolo tutto della città; il concetto di polis, la categoria «politica» per eccellenza dei Greci, di cui cercheremo di vedere l'applicazione a particolari strutture ideali e materiali di mondi e culture non greci. E si potrebbe continuare; basti solo ricordare che, nelle società di cui ci

occupiamo, gli dèi stessi sono considerati forze «politiche» interagenti, che si manifestano spesso come ipostasi di istituti e realtà sociali. Le immagini che ornano i loro templi trasmettono quindi speciali messaggi, non solo in rapporto al culto, ma in rapporto con il significato politico che attribuiscono a specifiche divinità i potenti e i membri della comunità tutta. Ma il mondo politico non ci parla soltanto attraverso il gioco, la rappresentazione delle varie istituzioni che organizzano gruppi sociali legati alle differenti forme di attività materiale e spirituale. Attraverso le testimonianze di ciò che chiamiamo «arte celebrativa» giungono fino a noi gli echi delle reazioni degli uomini a quegli avvenimenti eccezionali, come le guerre, le calamità naturali, le vittorie o le sconfitte che costellano la vita dei singoli e della comunità. Nello stesso modo, in certi monumenti e in certe reiterate rappresentazioni possiamo cogliere i segni di violenti antagonismi, le intenzioni, i messaggi di significato polemico che le forze politiche, o alcuni gruppi, vogliono trasmettere per animare e sostenere la lotta contro popoli, città o gruppi rivali; come i segni (altro importante aspetto della politica) dei compromessi e delle mediazioni utili per stabilire e conservare nella città il necessario equilibrio, nell'interesse di tutti, tra gruppi, classi e istituzioni diverse. È ciò che ogni gruppo o popolo vuole esprimere, attraverso i suoi culti, i suoi templi, la sua arte e la sua cultura: l'impegno, cioè, nella ricerca di qualcosa di più alto e di più nobile attraverso cui affermare la propria identità, giustificare le proprie lotte e le proprie conquiste. È per mezzo del particolare adattamento alle realtà locali dei personaggi e dei fatti della mitologia greca che le grandi gentes, prima, e i vari popoli della penisola, poi, cercheranno di esprimere, ci sembra, questi valori, ciò che, di volta in volta, essi considerano la loro identità. Attraverso la lettura di quel loro mondo immaginario possiamo cogliere, inoltre, il riferimento a particolari dottrine morali e filosofiche, a particolari utopie «palingenetiche», che essi considerano utili per dare solidità e valore etico a certi progetti politici che è possibile scoprire nelle intenzioni che hanno dettato la scelta di miti e personaggi leggendari a decorare le loro tombe, i loro mo-

numenti e luoghi di culto. Tutti questi elementi concorrono a costruire quella visione del mondo, quell'insieme di valori che formano ciò che chiamiamo il «bagaglio culturale» di una società; ciò che attraverso la paide{a, l'educazione, sempre finalizzata a un disegno, a un progetto (e perciò di natura profondamente politica), ogni popolo cercherà di trasmettere come il bene più prezioso alle generazioni future. Per le società antiche, per l'Etruria e per Roma come per la Grecia, i momenti per eccellenza in cui tutto ciò trova espressione sono il symposion e il matrimonio. Attraverso lo studio delle rappresentazioni (del banchetto) e dei vari elementi materiali (vasi, rituali ecc.) e letterari (inni, elogia degli antichi eroi) che lo compongono, è possibile chiarire un aspetto importante del mondo reale e immaginario degli antichi abitanti della penisola, dei modi in cui veniva concepito e del linguaggio con cui veniva trasmesso. Attraverso lo studio degli oggetti che fanno parte del corredo nuziale e delle immagini e scene mitologiche su essi rappresentate e perciò - dobbiamo presumere - scelte intenzionalmente, possiamo poi cogliere in tutti i suoi aspetti e significati l'importanza di quella istituzione, centro e nucleo fondante della comunità e delle gentes, che è il matrimonio. Il loro studio occuperà molte pagine del nostro libro. In esse, infatti, è possibile cogliere la politica di alleanze, di rapporti di ospitalità, e il gioco di potere che si intrecciava tra varie gentes e le diverse comunità in un periodo molto importante della storia dei popoli in conflitto tra loro e con Roma. Nelle raffigurazioni di specchi e ciste scopriamo molti aspetti della vita della famiglia e della comunità, perché quei doni trasmettono auguri di felicità e sono l'occasione per ribadire la sacralità dei legami degli sposi con la gens e l'idea che solo nel suo seno è possibile adempiere i compiti prefissati alla comunità dal destino. La relazione tra politica e rappresentazione artistica, che bisogna definire di volta in volta, a vari livelli e storicamente, nei suoi intenti, nei suoi effetti e nella sua complessa espressione, costituisce dunque l'argomento di questo

libro. Esso cerca di comprendere come varie forme e modi di essere della realtà politica (nel senso che abbiamo dato a questo termine) si proiettano e si traducono nei «contenuti» e nelle tematiche delle opere d'arte. Il fine che ci siamo proposto potrà forse essere meglio definito dicendo che la nostra è una «ricerca relativa alla storia della cultura e delle ideologie», più che alla «storia delle forme artistiche». È una visuale che non vuole tuttavia essere univoca, ma intrecciarsi in un vivo dialogo con altri punti di vista; un tentativo di indagine e di sintesi che si. muove nel senso auspicato da Warburg quando cercava di definire per esempio il rapporto tra storia dell'arte e storia delle religioni. Per questo il nostro intento non è di costruire una «semiologia delle immagini» (cosa che rischierebbe di trascinarci in un mondo a-storico), e neppure di condurre un'indagine sulle regole che presiedono a una particolare imagerie, operazione questa forse non ancora matura o possibile che presupporrebbe una ricerca antropologica particolare sulle strutture mentali del mondo italico. Il rapporto tra iconologia e politica che ci sforzeremo di chiarire non varca questi limiti, nella coscienza della difficoltà dell'impresa, dovuta allo stato quasi disperato dei frammenti che cerchiamo di ricomporre, alla mancanza tragica di fonti, anche solo nella prospettiva di una ricostruzione iconografica. Questo libro è però frutto di una lunga serie di studi e tentativi precedenti. Mi sia permesso perciò di rivolgere un ringraziamento caloroso a coloro che, durante questi anni, hanno accolto con simpatia il frutto di questi tentativi e in particolare a Mario Torelli che mi offre l'occasione di esporre, nella prestigiosa collana che egli dirige per Longanesi, questo mio contributo allo studio degli antichi popoli che per molti secoli hanno rivaleggiato e si sono scontrati tra loro e con Roma, fino al momento in cui questa ha imposto la sua egemonia. Scritto com'è direttamente in italiano da una persona di altra madrelingua, forse il suo stile non è sempre perfettamente aderente alle regole di chiarezza, di agilità e di eleganza nell'esposizione che esso richiederebbe. Ce ne scusiamo con il lettore.

Bibliografia de/1,introduzione

Principali opere di riferimento teorico A. W ARBURG, La rinascita del paganesimo antico (Introduzione G. Bing), Firenze 1966 (ristampa Città di Castello 1987). F. SAXL, La storia delle immagini (Introduzione E. Garin), Bari 1990. E. PANOFSKY, La prospettiva come «forma simbolica» e altri scritti (G.D. Neri cur.), Milano 1961; IDEM, Il significato delle arti visive, Torino 1962 (specialmente: «Introduzione. La storia dell'arte come disciplina umanistica»,

pp. 5-28; «Iconografia e iconologia. Introduzione allo studio dell'ane del Rinascimento», pp. 31-57;