Stanotte vorrei parlare con l'angelo. Scritti (1968-1988) 8877480904, 9788877480903

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Italian Pages 220 [218] Year 1989

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Stanotte vorrei parlare con l'angelo. Scritti (1968-1988)
 8877480904, 9788877480903

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Wim Wenders Stanotte vorrei parlare con l'angelo Scritti 1968-1988

ubulibri

Wim Wenders

Stanotte vorrei parlare con Vangelo a cura di Giovanni Spagnoletti e Michael Tòteberg

© by Verlag der Autoren. Frankfurt am Main, Emotion Pictures, 1986 and Dis Lornk dsr Bildsr, 1988 © by Ubulibri 1989 via Raznazzini, 8 • Milano

Pierluigi Cerri A.D.

Sommario

9 12 13 16 17 20 22 26 28 30 31 33 35 40 44 46 48 49 51 53 54 56 59 61 67 69 73 79 81 87 89 91 100

Niente “esprmnti” Kelek I fantastici film di Werner Schroeter Pan Am spicca il grande volo Repertorio: luoghi, attori, duelli Asinerie, irritazioni One Plus One Lydia I) terrore dei senza legge I’m Movin’On Gli implacabili Dal sogno aD’incubo Easy Rider. Un film come il suo titolo Agenda critica II disprezzo per la propria merce Rote Sonne Tired of Waiting Réunion - Blanche neige Reprise: giorno maledetto II 10° Lp dei Kinks. IL 51° film di Hitchcock. Il 4° Lp dei Creedence Clearwater Revival. Il 3° Lp di Harvey Mandel Hitchcock, alia moviola Emotion Pictures Van Morrison L'enfant sauvage Monterey Pop Un genere che non esiste Vecchie cicatrici, nuove storie: Eddie Constantine Eddie, grande fratello Morning Sun The Big TNT-Show In televisione: Furchtlose Flieger Nashville. Un film in cui si può imparare a sentire e a vedere That’s Entertainment: Hitler

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La morir non ò min soluzione. Il regista tedesco Fritz Lang l‘anso ill cinema. II Invero del proiezionista Ladwig Uomini noll'aronii del rodeo: bramosi II Magno Americano Descrizione di un nini indescrivibile. Primo treatment per II deh Hoprti Iteriino Perché lei fa cinema? Lettere a noi vivi Una storia del cinema immaginario Per (e non su) Ingmar Bergman

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Appendice Ladri di cinema Narrare storie, menzogne indispensabili Le souffle de l’ange

lOrt IH) IIO 120 140

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Postfazione La verità delle immagini di Giovanni Spagnoletti

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Nota editoriale per l’edizione italiana

Stanotte vorrei parlare con l’angelo

Avvertenza

1 film citati o recensiti da Wenders vengono riportati con il loro titolo italiano a cui segue tra parentesi quello originale, quando sono stati distribuiti nel nostro paese. Viceversa vengono lasciati in originale con. sempre tra parentesi, una traduzione letterale del titolo, in tondo. Un'eccezione è stata fatta per il saggio Uomini nell'arena del rodeo: bramosi, dato che Wenders costruisce una parte del discorso sul film di Ray a partire dal titolo origi­ nale. Abbiano inoltre aggiunto la data di edizione e l'indicazione del regista delle opere ci­ tate, quando questi dati non si evincono dai testi.

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Niente “esprmnti” Film in una sola inquadratura. A proposito di “exprmntl 4”

Sperimentare tutte le sante maniere per non addormentarsi, non per­ dere la speranza di vedere un buon film, aprirsi un varco, passare dalla piccola soglia nella grande sala di proiezione per poi uscirne due minuti dopo in preda alla delusione. Di gran lunga più sperimentale di quasi tutte le pellicole in proiezione, con solo due o tre buoni esempi di come si possano scardinare radical­ mente le convenzioni del vedere e del rappresentare, eralo scenario del Casinò di Knokke, con là grande hall dalle patetiche ampie scalinate che ogni notte subiva avventure devastanti. Gli americani, e qualche europeo al loro seguito, hanno mostrato fin dove si possa arrivare col montaggio serrato. Cosa sj veda, o meglio, co­ sa resti ancora da vedere se ogni inquadratura non passa il secondo, e se alto stesso tempo vengono a sovrapporsi due o tre immagini. Quanto si riesca ancora a percepire se due, tre, quattro di questi film vengono proiettati uno accanto all’altro oppure insieme. Il pubblico si lamenta dei seni a decimi di secondo: “C'est une frustration!”. I registi underground sparano le loro bordate visive su uno "schermo adeguato”, un gualcito lenzuolo appeso nei corridoi dell’hotel o in un te­ tro caffè ben distante dal Casinò. Un coito ripreso in dettaglio: qui lonta­ ni si è più generosi. Il caffè viene eletto a punto d’incontro di ogni serata, ma già la seconda volta si presenta la polizia. Chi partisse col considerare sperimentali questi film fatti con brandel­ li di immagini, di movimento, si vedrebbe inevitabilmente sconfessa­ to nel corso del festival da questa nuova scuola conformista che già pro­ duce i suoi plagi. Le ripetizioni si sommavano miseramente alle ripeti­ zioni, le singole parti funzionavano sia per un film che per l’altro, la successione delle immagini non ubbidiva ad altro criterio se non all’ar­ bitrarietà. Un'inondazione di sollecitazioni che si trasforma in un guaz­ zatoio. Proprio i più brutti esempi di questo genere di cinema hanno dimostra­ to come i film girati alla stregua di un fuoco di mitragliatrice non siano più esperimenti. Rendere le immagini irriconoscibili o quasi, non rappre­ senta ormai da tempo alcun valido criterio per il cinema sperimentale. L’alternativa sarebbe invece girare un film con una sola inquadratura. 9

Nel programma delle pellicole a concorso ce n'erano tre. Nel primo1 di questi film, per quindici minuti, la macchina da presa carrella, senza pa­ noramiche, avanti, in plongé e molto lentamente, in una stradina, verso una ragazza seduta su una sedia. Portati dal Bolero di Ravel, si va a spas­ so volentieri, dimenticando che il film di Albie Thomas è in realtà di Wim van der Linden. Ma su] finire ecco due fastidiosi tagli di montaggio sul viso della ragazza, col che anche il Bolero risulta a posteriori essere stato uno scherzo. Eisenbahn (Ferrovia, 1967) di Lutz Mommartz è invece più coerente, e più radicale. Un finestrino di vagone, e all'esterno lo scorrere monoto­ no di un paesaggio pianeggiante filmato da una macchina da presa fissa, con i rumori del treno, lo sferragliare sulle rotaie, null’altro. Ma il viag­ gio di un quarto d’ora non si conclude come tutti i viaggi, cioè in una sta­ zione ferroviaria, bensì nel punto in cui è cominciato, da qualche parte tra Dusseldorf e Duisburg. Lo si vede dalle rotaie che compaiono due volte nel film. Non si è seduti in un treno, bensì in un loop1 2. “Un invito a mettersi in viaggio e riflettere un po’ sul cinema” afferma il regista, ma si sbaglia: il suo film è migliore di quanto lui stesso creda; si riflette tanto poco sul cinema, così come sui viaggi in ferrovia in un noioso treno tra Duisburg e Dusseldorf. Magari si sta lì a contare quante volte si è ripassati davanti alla solita casa, o ci si stupisce di vedere il finestrino di un treno trasformato in uno schermo cinematografico sul quale si proietta un film in 8 mm. Il terzo film riesce ad attuare ciò che Lutz Mommartz si augurava dal suo. Wavelength (Id., 1966/67) è una zoomata di quarantacinque minuti dal fondo di una stanza su una fotografia appesa a una parete con fine­ stra, dalla quale traspare una strada ben frequentata. Quattro brevi eventi nella stanza interrompono l’avvicinamento, che peraltro procede con regolarità. Uno scaffale viene portato dentro; due ragazze si intrat­ tengono ascoltando un disco (Strawberry Fields dei Beatles); un uomo riesce a varcare la soglia (prima si sono sentiti dei colpi alla porta) e stra­ mazza a terra ancor prima che si sia riusciti a vederlo bene; una delle ragazze fa una telefonata dalla quale afferriamo che ha trovato un morto in casa. Per tutto il corso del film un suono elettronico sale da 50 a 12.000 oscillazioni. Quando sul finire lo si percepisce appena, eccolo mu­ tarsi di colpo nell’ululato di una sirena della polizia, mentre la zoomata della foto alla parete, delle onde marine pietrificate sulla fotografia, si blocca. Tra i singoli eventi, distanziati uno dall’altro a intervalli di dieci minuti, non succede nulla, tranne l'impercettibile avanzare del transfocatore che modifica le caratteristiche luminose e cromatiche dell’immagine con un ritmo flemmatico. “I wanted to make a summation of my nervous system, religious inklings, and aesthetics ideas. I was thinking of planing for a time monument, in which the beauty and sadness of 1 Probabilmente si tratta di I fore you because (1967) (,V.