Spazio e tempo nel cinema di fantascienza. Filosofia di un genere hollywoodiano
 9788873950066, 887395006X

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VIVIAN SOBCHACK

Spazio e tempo nel cinema di fantascienza

Presentazione di Franco La Polla

Filosofia di un genere hollywoodiano

Bononia University Press

Titolo originale: Screening Space The american science fiction film Original edition copyright ©1980,1987 by Vivian Sobchack Editore originale Rutgers University Press New Brunswick, New Jersey

Bononia University Press Via Zamboni 25 ■ 40126 Bologna

© 2002 Bononia University Press ISBN 88-7395-006-X

www.buponline.com e-mail: [email protected]

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica; di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm c le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Progetto di copertina: Enrico Marcandalli Traduzione: Maria Sole Checcoli Redazione: Vittoria Lanzavecchia Impaginazione: Giovanna Frullani Responsabile di produzione: Vitiano Zaini

Stampa: Arti Grafiche Battaia

Prima edizione: dicembre 2002 Ristampe:

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La parola come immagine Il suono non verbale L’eco plumbeo e l’eco dorato

Capitolo 4 Postfuturismo Stati di alterazione Postmoderno e produzione estetica Il postfuturismo e la “fine” della fantascienza

190 199 214

215 215 236 303

Bibliografìa

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Indice dei film citati

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Indice dei nomi

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Presentazione

Come esistono pellicole che segnano indiscutibilmente un muta­ mento radicale di percorso del genere o del cinema stesso, così vi sono studi critici che fanno altrettanto nell’ambito di loro competenza. Non è iperbolico affermare che al suo apparire nel 1980 Screening Space si sia immediatamente presentato come un’opera rivoluzionaria nella cri­ tica cinematografica della SE E per molte ragioni. Il panorama di quella critica all’epoca era alquanto desolato e la stessa Sobchack ce ne rende conto nella prefazione alla prima edizione del suo studio. 11 volume di John Brosnan Future Tense (1978) era in­ fatti ampio e documentato, ma sostanzialmente impressionistico ed in­ formativo. Per di più, esso seguiva una parabola storica del genere che non dava seriamente conto del rapporto fra epoca e prodotto, ma che si limitava a seguire la stretta datazione. Non meglio si può dire del li­ bro, quantitativamente meno impegnativo, di John Baxter, Science Fic­ tion in the Cinema (1970) che raggruppava alcuni temi ma sempre in un'ottica elencativa e riassuntiva delle varie pellicole citate. Né appare superiore la critica francese che con Images de la science fiction (1958) di Jacques Siclier e André S. Labarthe non poteva nemmeno vantare l’ambizione onnicomprensiva degli altri, incentrato com’era quel bre­ ve libretto su alcuni saggi dal sapore quasi occasionale; e che con La science-fiction au cinéma (1971) poteva tutt’al più vantare una rasse­ gna storico-sistematica, ma ben poco stimolante sul versante teorico. Della critica italiana, spagnola, tedesca nulla diciamo, ché notoria­ mente in America essa non è letta nemmeno dagli specialisti e che co­ munque aveva allora ben poco da proporre. In breve, la SF cinematografica americana si identificava all’epoca con il drammatico momento maccartista, con il pericolo atomico (temi e problemi che allo scadere degli anni Settanta risalivano, si noti, a un quarto di secolo prima) e, in certa misura, con quel sottogenere fanta­ politico - del quale II Dottor Stranamore (Dr. Strangelove, 1964) di Stanley Kubrick segnò il momento più alto - che, a partire dal primo

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assassinio Kennedy, avrebbe dominato l'immaginario statunitense per un altro ventennio instillando nell’intero cinema hollywoodiano una componente paranoica che avrebbe trovato altre motivazioni solo allo scadere degli anni Settanta, da Alien (Alien, 1979) di Ridley Scott in avanti (quando cioè la paranoia avrebbe perso il suo pervasivo caratte­ re politico per diventare una costante individuale attraverso una messa in questione del corpo stesso). Certo, conclusisi gli anni Cinquanta, il tema atomico aveva trova­ to direzioni semi-ecologiche battendo il versante del “day after”, ma nell’insieme l’idea che pubblico e critica avevano della SF cinematogra­ fica americana era tanto datata quanto confusa. Meglio, dopotutto, la SF britannica, se non altro perché più occasionale e meno erratica, che all’inizio dei Sessanta, da II villaggio dei dannati (Village of the Dam­ ned, 1960) di Wolf Rilla a Hallucination (The Damned, 1962) di Jose­ ph Losey, dette pellicole di riguardo e che avrebbe in seguito vantato la produzione di 2001: odissea nello spazio di Kubrick, pellicola che stranamente tutti definirono una nuova frontiera del film di SF, laddo­ ve si trattava invece e soprattutto di un’opera che chiudeva - in bellez­ za, non c’è dubbio - un periodo del genere. Ma il rinnovamento non era lontano: dieci anni dopo, i successi di George Lucas e Steven Spielberg aprirono la strada al rinnovamento della seconda fase, che certo non si identifica con opere come Guerre stellari (Star Wars, 1977) e Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close En­ counters of the Third Kind, 1977), ma piuttosto con Alien di Ridley Scott, pellicola che portò una vera rivoluzione nel genere, imponendo quella “fantascienza del corpo” di cui si diceva più sopra e che negli ul­ timi vent’anni - a cominciare dal forse anche troppo celebrato Biade Runner (Blade Runner, 1982), sempre di Scott - avrebbe permesso a quel cinema di percorrere sentieri che la fantascienza robotica degli an­ ni Cinquanta, nella sua baracconesca e simpatica puerilità, non avreb­ be mai pensato possibili. Sentieri, peraltro, che si complicarono pro­ prio a partire dallo stesso anno, che vide sugli schermi uscire anche Tron (Tron, 1982) di Steven Lisberger, ovvero il battesimo cinemato­ grafico della SF virtuale. Il resto è cronaca. Bene, tutto quanto sopra - che in sintesi riproduce il metodo sto­ rico di Brosnan e degli altri (pochi) critici del cinema SF a tutto campo - non fa parte dello studio della Sobchack, esempio di analisi sincroni­ ca se mai ve ne furono. Da seria analista la Sobchack dedica inizialmente ampio spazio alla definizione del proprio oggetto di studio: alla SF letteraria in rapporto alla cinematografica, a un confronto fra horror e SF (due ambiti non poco connessi che non di rado hanno portato qualche critico ad incer­ tezza e confusione) e persino a un collegamento fra il genere e i con­

PRESENTAZIONE

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cetti di magia e religione intesi nelTambito del funzionalismo malinowskiano. Ma soprattutto l'autrice considera la SF cinematografica come un corpus coerente che, pur con le inevitabili variazioni dovute alle diver­ se epoche di produzione, si è fondato in termini statutari riconoscibili e irriducibili a qualunque altro genere. L'operazione è complessa e au­ dace: come dice la stessa Sobchack, i parametri dell'analisi sono di na­ tura visuale e aurate (vale a dire estranei a qualunque diretta ideologizzazione connessa ai periodi di produzione) così da tentare di definire il genere formalmente. Ora, sappiamo bene come un’impresa simile comporti alcuni fondamentali problemi. Indipendentemente, infatti, dall’acutezza della percezione critica in termini fenomenologici, questa angolazione metodologica diffìcilmente renderà conto dello stretto rapporto che intercorre, poniamo, fra una certa tecnica aurale e il pe­ riodo che ne ha visto l'applicazione e il successo. Ma l’obiettivo della Sobchack è un altro: quello di fondare la SF cinematografica in termini teorici sulla base di quella che Luciano Anceschi chiamerebbe una po­ etica, vale a dire una lettura a posteriori dei dati comuni, indipenden­ temente dalle differenziazioni e dalle specificazioni imposte da una vi­ sione storicistica del fenomeno nella sua generalità, operata sul corpo stesso del genere così da poterne evidenziare un minimo comun deno­ minatore estraneo ai pur vari e complessi processi di sviluppo del ge­ nere stesso. Va da sé che un’angolazione di questo tipo richiede competenze che trascendono il puro ambito cinematografico in una combinazione di discipline e conoscenze che vanno dalla filosofia alla scienza. Insom­ nia, lo studio della Sobchack si pone come una summa epistemologica della cultura relativa alla seconda metà del secolo passato. Ma soprat­ tutto indica la strada vincente di quei cultural studies che proprio negli Stati Uniti hanno recentemente visto il loro maggiore sviluppo, ancor­ ché tarati, laggiù, da travisamenti, imprecisioni, malintesi, forzature. Ovviamente Screening Space è un testo importantissimo per lo stu­ dioso e l’appassionato di SF cinematografica, ma lo è in misura non mi­ nore anche per chiunque intenda stare al passo con i modi più aggior­ nati e sofisticati di studio della cultura, dei modelli con i quali guardia­ mo al mondo, delle strutture di riferimento attraverso le quali quel mondo noi lo leggiamo e interpretiamo. Va anche detto che questa sua qualità ha trovato nel capitolo finale, aggiunto per la nuova edizione del 1987, nuova linfa teorica grazie alle indicazioni fornite dagli studi di Fredric Jameson sul postmodernismo (e si coglie bene in queste ultime pagine uno stile autoriale più com­ plesso, modellato su quello decisamente involuto dell’autore di Po­ stmodernism, or The Cultural Logic of Late Capitalism). Ma torna co­

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munque ad onore della Sobchack il fatto che anche nella prima edizio­ ne del 1980 l’impostazione metodologica fosse sostanzialmente la stes­ sa e che, insomma, già allora ella avesse elaborato il proprio metodo autonomamente, pioniera nel campo degli studi culturali non meno degli astronauti di cui tanto spesso l’autrice ci parla in questo libro, mostrandoceli non semplicemente come gli eroi avventurosi cari alla vecchia critica, ma come baricentro dei modelli di conoscenza che ella ha definitivamente configurato, riscattando un genere negletto dalla critica accademica e conferendogli la dignità che esso meritava e meri­ ta come qualsiasi altro. Franco La Polla

Prefazione all’edizione ampliata

Questo volume è stato pubblicato per la prima volta nel 1980 con il titolo The Limits of Infinity: The American Science Fiction Film. Vie­ ne ristampato ora nella sua forma originale (compresa l'introduzione), ma con l'aggiunta di un nuovo capitolo e di una bibliografìa aggiorna­ ta. Il nuovo capitolo, “Postfuturismo”, continua la discussione sulle ca­ ratteristiche estetiche del genere affrontata nell’opera originale e la ap­ plica a molti dei film di fantascienza americani usciti dopo Guerre stel­ lari e Incontri ravvicinati del terzo tipo nel 1977. L’obiettivo primario di questo capitolo non è recuperare interamente quasi un decennio di pellicole di fantascienza americane. Piuttosto, il suo intento è quello di esplorare le conseguenze culturali dell’estetica contemporanea del ge­ nere, che costituiscono (e da essi sono pervase) gli intrecci socialmente simbolici di quello che Fredric Jameson ha definito l’“inconscio politi­ co” di una cultura. Anche se la nostra è una cultura più eterogenea e frammentaria di quanto non ammetta un concetto cosi unitario, affer­ mare l’esistenza di un “inconscio politico” significa comprendere che “non c’è niente che non sia sociale e storico - anzi, che tutto è ‘in ulti­ ma analisi’ politico” e che tutti i manufatti culturali sono costituiti co­ me “atti socialmente simbolici”1. Scritti quasi dieci anni fa, i primi tre capitoli di questo libro si con­ centrano principalmente sulla descrizione delle strutture formali che costituiscono la natura e la funzione specifiche del cinema di fanta­ scienza americano. Loro obiettivo era “redimere” e portare alla luce un genere che, all'epoca, era stato completamente trascurato dagli studio­ si e valorizzato solamente dagli appassionati di cinema. I tempi, tutta­ via, sono cambiati. Il cinema di fantascienza oggi è oggetto di ampia at­ tenzione da parte dei critici e degli studiosi, e negli ultimi anni è stato1

1 Fredric Jameson, The Political Unconscious: Narrative as a Socially Symbolic Act, Ithaca, NY, Cornell University Press, 1981, p. 20.

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riconosciuto come genere non solo esteticamente e tecnicamente sofi­ sticato, ma anche ideologicamente complesso. Questo accresciuto interesse nei confronti del genere è emerso in coincidenza con due fenomeni. Il primo è la fondamentale “rinascita” del cinema di fantascienza, che, come si è detto in precedenza, risale al 1977. Da allora, la produzione e la popolarità del genere sono talmen­ te aumentati che ignorare o liquidare semplicemente questi film e la lo­ ro importanza culturale è diventato impossibile. Il secondo fenomeno è l’importante mutamento avvenuto nelle teorie, nei metodi e nel les­ sico che caratterizzano la pratica degli studi dedicati al cinema in ge­ nerale e alla critica dei generi in particolare. Nel corso degli ultimi an­ ni, gli studiosi di cinema hanno arricchito il loro modo di comprendere e di descrivere i film come arte e manufatto culturale, attingendo alle cognizioni e al lessico di altre discipline. Per esempio, oggi è abbastan­ za ovvio discutere di cinema horror nel contesto della teoria psicoana­ litica neo-freudiana. Allo stesso modo, le definizioni marxiste meno dogmatiche e più dinamiche della produzione culturale sono state estremamente utili per analizzare le pellicole di genere come parte di un’economia simbolica ideologicamente significativa. Di conseguenza, le definizioni formali e la “poetica” di genere hanno recentemente co­ minciato a contestualizzare la propria attenzione nei confronti delle strutture del testo cinematografico con una corrispondente “politica” del genere, che arricchisce e rende dinamiche le considerazioni strut­ turali investendole di un’importanza sociale e storica. Sia la “rinascita” popolare del cinema di fantascienza americano sia i termini mutati della cultura di genere hanno lasciato il segno sulla forma e sullo stile di questo libro. Che esista un’edizione “nuova e am­ pliata” di quest’opera è un sintomo della nuova popolarità del genere e del nuovo interesse che suscita. Che il nuovo capitolo “allarghi” la di­ scussione sull’estetica del cinema di fantascienza americano contempo­ raneo sino ad accogliere la storia e l’ideologia è un segno dei recenti mutamenti avvenuti nei metodi e nel modo di affrontare lo studio del cinema. In breve, la sostanza e lo stile del nuovo capitolo sono comple­ tamente diversi da quelli dei capitoli precedenti, ma questa differenza non è casuale. Piuttosto, rappresenta il riconoscimento da parte degli studiosi che la poetica del cinema di fantascienza vada interpretata in termini socialmente simbolici e storicamente fondati. Oggi, non è ne­ cessario “essere marxisti” per rendersi conto che estetica, politica, eco­ nomia, tecnologia e rapporti sociali sono fenomeni culturali interdi­ pendenti. Spero, quindi, che il nuovo capitolo finale (l’attuale “ultima anali­ si”) arricchirà, in parte, l’analisi formale dei capitoli precedenti. In mo­ do ambizioso, ma limitato, ha l’obiettivo di colmare il “vuoto strutto-

PREFAZIONE ALL’EDIZIONE AMPLIATA

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rale, esperienziale e concettuale” tra le espressioni poetiche e politiche del cinema di fantascienza contemporaneo e di rivelare alcuni dei si­ gnificati culturali della produzione estetica, mutata e ricca di nuove connotazioni, del genere23*.A questo scopo e per incoraggiare ulteriori discussioni, ho fatto spesso riferimento a un saggio recente (ma già fondamentale) di Fredric Jameson, che considera i mutamenti avvenuti negli “stili” dell’estetica americana contemporanea sintomatici dell’emergere storico di una nuova forma di comprensione culturale. Il sag­ gio, intitolato “Postmodernism, or The Cultural Logic of Late Capita­ lism”5, appare particolarmente utile non solo per spiegare la nuova estetica fantascientifica, ma anche per capire la presenza aH’interno del genere di una prima e di una seconda “Età d’oro”. Di conseguenza, i primi tre capitoli di questo libro esplorano in maniera trasparente, ma rigorosa, ciò che verrà si rivelerà soltanto più tardi - con il beneficio del tempo e del senno di poi - come il primo raggruppamento storico del genere americano. Questa rivelazione successiva è la ragione dell’esistenza del più recente e ultimo capitolo - che non è ancora e non sarà mai la definitiva “ultima analisi” di un genere, che nasce come reazione e rappresentazione, mediante la nostra immaginazione cultu­ rale, delle possibilità di un essere sociale in un mondo tecnologico.

Ringraziamenti Questo libro è stato inizialmente concepito presso la U.C.L.A. (Di­ partimento Cinema e Televisione), dove, molto tempo fa, conseguita la laurea, ho avuto la fortuna di trascorrere un anno per completare la mia specializzazione, partecipando al suo programma di Studi Critici. Di inestimabile valore sono stati per me la critica costruttiva, il soste­ gno e la fiducia offerti dai professori Steven Mamber, Howard Suber e Lou Stoumen, che mi hanno seguito da Los Angeles a casa mia, nello Utah, e mi sono stati vicini in un periodo di isolamento intellettuale. La University Film Association ha fornito il sostegno finanziario alla mia fatica attraverso una borsa di studio annuale accordata a una parte del mio libro: la ringrazio con riconoscenza. Non posso inoltre dimen­ ticare il costante aiuto del Dipartimento Comunicazioni dell’Università del Vermont, dove insegnavo nel periodo del più intenso lavoro di revisione del manoscritto; un grazie particolare a Frank Manchel e a 2 Ibid. 3 New Left Review, n. 146 (July-August 1984), 53-92. (Il saggio di Jameson è stato tradotto in italiano con il titolo II postmoderno, o la logica culturale del tardo capi­ talismo e pubblicato in forma di libro da Garzanti, Milano 1988. N.d.T.]

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Woodrow W Leake Jr., senza i quali la mia vita sarebbe stata meno fa­ cile. E, infine, nel lungo periodo di scrittura e pubblicazione della pri­ ma versione del libro, Thomas Sobchack mi ha offerto sostegno e ap­ porto critico preziosi. L'edizione ampliata è stata scritta quasi dieci anni dopo la prima e in circostanze del tutto diverse. Ai miei colleghi e all’istituto presso il quale insegno oggi felicemente, va il mio riconoscimento per la sti­ molante e affettuosa partecipazione. Il mio lavoro al nuovo capitolo del libro è stato finanziato dal fondo per la ricerca dell’università di California, Santa Cruz. Esprimo inoltre la mia gratitudine ai cari amici, patiti di cinema, Lisa Jensen e Jim Schwenterley per avermi assistito con tanta allegria. Ultimo, ma non certo per importanza, Lester Glassner, che ringrazio di cuore per avermi permesso di usare la sua raccolta di fotogrammi. La sua creatività nella ricerca e la sua sensibilità alle mie esigenze di natura estetica sono state di straordinario valore per entrambe le edizioni del libro. Parte di questo libro, modificata nella forma, è stata pubblicata in precedenza con il titolo “The Alien Landscapes of the Planet Earth” in The Film Journal 2, no. 3 (1974), 16-21. Santa Cruz, 1986

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Introduzione alla prima edizione

Pochi sono i libri dedicati finora agli studi critici sul cinema di fan­ tascienza - e attualmente, in inglese, solo due sono qualcosa di più di volumi di fotografie: Science Fiction in the Cinema di John Baxter e Focus on the Science Fiction Film, a cura di William Johnson. L’opera di Baxter è ambiziosa ma in fin dei conti si penalizza da sé per la sua ampiezza. Tratta della fantascienza dalle origini, con i film di Méliès, fino a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e si propone di oc­ cuparsi del genere su scala internazionale, partendo da posizioni criti­ che diverse. Il libro è un’utile rassegna di dati, intuizioni critiche, pre­ ferenze personali e riassunti di trame, ma resta una semplice rassegna - che sfiora la superfìcie di un genere cinematografico che merita un’analisi più approfondita. Anche Focus on the Science Fiction Film offre una visione ampia del genere; è una raccolta di recensioni, saggi, interviste e dati, che fornisce al lettore una panoramica della fanta­ scienza, sempre dalle origini più o meno fino a oggi. Tutti e due i libri sono estremamente intelligenti e insieme potrebbero essere adottati per un corso universitario dedicato al cinema di fantascienza. Tuttavia, considerati come opere che analizzino minuziosamente le pellicole e quegli elementi estetici e tematici che le legano per formare un genere identificabile, sono entrambi inadeguati se paragonati alle serie analisi critiche dedicate a generi come il Western e il Gangster film. Conside­ rando l’attuale rinascita dell’interesse popolare nei confronti del gene­ re, sembra oggi appropriato che il cinema di fantascienza riceva una maggiore considerazione critica di quanto non sia accaduto in passato. Obiettivo di quest’opera è colmare solo una minima parte di quel vasto buco nero nello spazio, che rappresenta metaforicamente la mancanza di opere critiche disponibili per gli studiosi seri (e per gli appassionati) del genere. Per trattare in modo approfondito le particolari idiosincrasie del cinema di fantascienza è necessario limitare il campo di studio. Nelle pagine successive, quindi, ho scelto di concentrare la mia attenzione

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esclusivamente sul cinema di fantascienza americano; questa decisio­ ne, tuttavia, non è stata dettata solamente da arbitrarie considerazioni di lunghezza. I generi cinematografici riconosciuti e considerati dal punto di vista critico sono nati dal sistema creato dal cinema america­ no per produrre, distribuire e proiettare film. Può apparire inoltre una lacuna il fatto che nessun americano abbia mai dedicato uno studio ap­ profondito alle pellicole di fantascienza americane - a differenza di pa­ recchi europei (naturalmente, dalla prospettiva di stranieri, con un oc­ chio di riguardo per i riferimenti politici occulti). Poi, da un punto di vista più personale, il cinema di fantascienza americano mi è più fami­ liare (e così ai miei lettori) e più accessibile per uno studio approfon­ dito; sono cresciuta negli anni Cinquanta e considero le mie visite set­ timanali al cinema del quartiere per vedere l’ultimo film di fantascienza altrettanto importanti di altri riti di passaggio dell’adolescenza. Mi so­ no avvicinata a quest’opera, dunque, con quello che spero sarà consi­ derato l’entusiasmo e l’affetto di un appassionato e la disciplina e l’im­ parzialità di uno studioso. Mi è parso poi utile restringere il periodo di tempo trattato. Seb­ bene a volte sia stata influenzata dalla mia dimestichezza con i film re­ alizzati dal 1950 in poi e dalle limitazioni di spazio, la mia decisione di escludere le pellicole di fantascienza che risalgono a un periodo prece­ dente in realtà è dettata soprattutto dal fatto che quella che potremmo chiamare la “preistoria” del genere è già stata adeguatamente trattata in molti libri e articoli, comprese le due opere citate in precedenza. Inoltre, nel 1950 è uscito Uomini sulla Luna, dando inizio al diluvio di film di fantascienza che riempirono i cinema americani nel decennio successivo; fenomeno che prima dell’inizio degli anni Cinquanta era impensabile. È solo dopo il 1950 che il cinema di fantascienza emerse come genere riconosciuto dalla critica; o meglio, che recensori e critici (a volte la stessa persona) cominciarono a parlare di queste pellicole come di un gruppo a sé stante. Infine, limitando ulteriormente l’ambito di questo studio, dopo aver tentato di esplorare e di definire in generale i parametri del cine­ ma di fantascienza come genere, ho scelto di trattare in modo appro­ fondito solo quegli elementi visivi e uditivi che sembrano definire for­ malmente il genere. Le ragioni per avvicinarsi al cinema di fantascienza su basi principalmente formali possono essere varie, ma l’impulso fon­ damentale alla base del mio metodo di studio è l’idea che il cinema di fantascienza si sia mostrato refrattario al tipo di analisi corrente sui ge­ neri, che si fonda su considerazioni iconografiche, tematiche o addirit­ tura strutturali. Di conseguenza, nonostante il ritorno alla popolarità del genere, con il successo commerciale e l’attenzione dei critici riser­ vati a 2001: Odissea nello spazio nel 1968 e più di recente a Guerre

INTRODUZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

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stellari e a Incontri ravvicinati del terzo tipo nel 1977, il cinema di fan­ tascienza continua a essere uno dei generi meno considerati dalla cri­ tica del cinema americano. Pare necessario, quindi, un nuovo modo di considerare il cinema di fantascienza - e forse lo studio dei generi - che riesca a trattare i rapporti strutturali esistenti fra immagini e suoni, co­ me quelli tra gli elementi tematici. Spero dunque che le pagine che se­ guono non solo illustreranno la struttura estetica del cinema di fanta­ scienza americano dal 1950 a oggi, ma getteranno anche una qualche luce su sentieri finora inesplorati, che lo studio dei generi potrebbe es­ sere interessato a seguire. Infine, occorre menzionare alcune decisioni stilistiche. Nella mag­ gior parte dei casi ho scelto di usare pronomi neutri per evitare i pro­ blemi provocati dalle preferenze accordate a un genere piuttosto che all’altro. Tuttavia, nei casi in cui la chiarezza e/o la brevità hanno ri­ chiesto di ricorrere ai pronomi personali maschili e femminili, solita­ mente ho preferito i primi perché - attualmente - si notano e quindi distraggono meno. La scelta è stata consapevole e sempre meditata, la responsabilità finale è mia. Meno discutibile, forse, è stata la scelta di inserire il nome del regista assieme alla data di uscita, dopo la citazione di un film per la prima volta in ogni capitolo. Anche se non è pratica comune nella maggior parte degli studi su questo argomento e la si po­ trebbe considerare favorevole ai registi, considerati come gli autori dei film, mi è parsa utile e giustamente rispettosa nei confronti di pellicole appartenenti a un genere solitamente trattato senza il dovuto rispetto.

Capitolo 1

I confini del genere: definizioni e temi

Che cos’è la fantascienza? Una delle difficoltà insite nello studio del cinema di fantascienza è il fatto che il critico debba affrontare la fastidiosa convinzione di do­ verlo definire prima di descriverlo anzi, che l’atto stesso della defini­ zione sia un’esigenza accademica, oltre a una forma di catarsi persona­ le. La tirannica frase “definisci i termini”, tuttavia, se seguita pedisse­ quamente, può imprigionare il critico in una costruzione ontologica che ha poco a che vedere con la realtà cinematografica. Le definizioni, dopo tutto, cercano l’unicità, la creazione di confini precisi e rigorosi che, se troppo angusti, appaiono arbitrari, in modo evidente e delu­ dente. Come dice Lawrence Alloway: “Uno dei pericoli della teoria dei generi è che le categorie possono essere intese in modo eccessivamente rigoroso. Quando ciò accade esse perdono la loro utilità descrittiva e assumono una funzione normativa”1. D’altro canto, c’è anche qualcosa di sospetto in un critico che entri improvvisamente nell’argomento che intende trattare supponendo ot­ timisticamente che i suoi lettori conoscano a priori esattamente ciò di cui sta parlando. Ovviamente, deve esistere una posizione intermedia, ragionevole e fertile, una maniera per definire i confini di un genere cercando di essere esaurienti cosicché la definizione non sembri né troppo arbitraria e personale, né tanto generale da diventare inutile co­ me strumento critico. Soprattutto, per rimanere valida, una definizio­ ne deve adattarsi ai continui mutamenti che caratterizzano ogni forma d’arte popolare e viva. Un mezzo potenzialmente utile per arrivare a una definizione fun­ zionale del termine “film di fantascienza” è la lettura dei testi di critica1

1 L. Alloway, 1971, p. 53.

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scritti sulla letteratura fantascientifica. Dalla letteratura utopistica a quella pulp e a quella più commerciale, la fantascienza scritta esiste co­ me genere riconosciuto da molto prima della nascita di pellicole che potessero rivendicare la definizione di “fantascientifiche”. Potremmo dunque supporre che determinate definizioni enunciate in precedenza potrebbero venire utilmente applicate al cinema, che ormai dovrebbe esistere un’opinione critica generale riguardo a una definizione precisa della fantascienza. Tuttavia non è così. Il problema di dare una defini­ zione della fantascienza ha afflitto anche gli stessi critici e gli scrittori di letteratura fantascientifica. Sebbene ogni tanto si incontrino punti di contatto, predominano le contraddizioni, le semplificazioni, e la varie­ tà delle definizioni resta tanto problematica quanto utile. Per esempio Judith Merril (che di fantascienza si è occupata come scrittrice, redattrice e critico), ammette: Non ho mai saputo che cosa significasse “fantascienza”, dopo tutte le notti passate a riflettere fino all’alba sulle possibili definizioni, non ne ricordo una che resistesse alla luce del giorno. Dipendevano tutte, in ogni caso, da certe supposizioni assiomatiche sul significato di “scienza” e “fantasia”.2

Pur preferendo la descrizione alla definizione, per analizzare i tipi riconoscibili di storie fantascientifiche, Merril finisce col fare un affer­ mazione generale su ciò che costituisce “l’essenza” della fantascienza. Identifica tre tipi fondamentali di storie di fantascienza: la storia didat­ tica, che ha lo scopo di divulgare la scienza e la tecnologia; la storia morale, che ha essenzialmente una funzione ammonitrice e profetica; e un terzo tipo di storia che viene classificato come speculativo, “che ha come scopo... imparare... qualcosa sulla natura dell’universo, dell’uomo, della ‘realtà’”3. E in quest’ultimo tipo di storia che Merril ravvisa l’essenza della fantascienza e, alla fine riesce a trovare una de­ finizione: Qui uso il termine “narrativa speculativa” appositamente per descrivere il genere che ricorre al “metodo scientifico” tradizionale (osservazione, ipo­ tesi, sperimentazione) per prendere in esame un’approssimazione ipotiz­ zata della realtà, inserendo una serie prestabilita di cambiamenti - imma­ ginati o inventati - sullo sfondo usuale dei “fatti reali”, creando un am­ biente dove le reazioni e le percezioni dei personaggi rivelano qualcosa delle invenzioni, dei personaggi, o di entrambi.4

2 Judith Merril, “What Do You Mean: Science? Fiction?”, in T. Clareson, 1971, p. 53. 1 Ibid., p. 60. 4 Ibid.

I CONFINI DEI. CENERE: DEFINIZIONI E TEMI

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Sam Moskowitz (redattore e scrittore di fantascienza) elabora la seguente definizione, interessante per la sua concezione cattolica della scienza, che non è sempre stata diffusa né accettabile per i professioni­ sti e i lettori di fantascienza quanto lo è oggi5. La fantascienza è un ramo della narrativa fantastica riconoscibile perché facilita la “volontaria sospensione dell’incredulità” da parte dei lettori, ri­ correndo a un’atmosfera di verosimiglianza scientifica per le sue specula­ zioni di fantasia sulle scienze fisiche, lo spazio, il tempo, le scienze sociali c la filosofia.6

Più concisa e ancora più generale è la definizione estetica del gene­ re data dallo scrittore di fantascienza Theodore Sturgeon, citato dal suo collega James Blish: “Una bella storia di fantascienza è una storia che presenta un problema umano, e una soluzione umana, che non sa­ rebbero mai esistiti senza la sua componente scientifica”7. L’autore e critico inglese Kingsley Amis, tuttavia, ha una visione della fantascienza un po’ più minuziosa di Merril, Moskowitz e Stur­ geon: La fantascienza è quel tipo di narrativa che tratta una situazione che non avrebbe mai potuto verificarsi nel mondo che conosciamo, ma che viene ipotizzata sulla base di alcune innovazioni scientifiche e tecnologiche, o pseudoscientifiche e pseudotecnologiche, di origine umana oppure extra­ terrestre. [Il corsivo è mio.] 8

Amis sembra mettere in evidenza la natura avveniristica della fan­ tascienza ed evidentemente non considera materia di questa fanta­ scienza l’applicazione di teorie scientifiche o di tecnologie esistenti. Il critico Richard Hodgens, d’altro canto, sembra riconoscere che sia il presente che il passato ne siano invece parte integrante : La fantascienza si basa su una scienza arguita o inventata o si avvale arbi­ trariamente della scienza, oppure può essere semplicemente narrativa am­ bientata nel futuro, o proporre ipotesi radicali sul presente o sul passato.9

5 Questa definizione estremamente generale della scienza nella fantascienza può essere attribuita a John W. Campbell, Jr., direttore di Astounding dal 1937, affasci­ nato dall’idea di applicare le teorie scientifiche e della tecnica a campi differenti come l’antropologia, le comunicazioni, la psicologia sociale, la sociologia, la ciber­ netica e la pedagogia. I racconti pubblicati dalla rivista sotto la sua direzione ampliarono considerevolmente la definizione tradizionale della scienza secondo la fantascienza. 6 S. Moskowitz, 1957. 7 James Blish, “On Science Fiction Criticism”, in T. Clareson, 1971, p. 167. * K. Amis, I960. 9 R. Hodgens, 1959, p. 30.

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Infine, esistono alcune definizioni sottintese che poggiano preca­ riamente su un atto di fede da parte di critici o studiosi che di solito sono più specifici. Secondo Michael Butor: È sufficiente dire: “Sai, quelle storie che parlano sempre di razzi interpla­

netari”, perché l’interlocutore meno preparato capisca immediatamente che cosa si intende. Ciò non significa che simili apparecchi compaiano in tutte le storie di fantascienza, possono essere sostituiti da altri accessori con un ruolo analogo. Ma ne sono l'esempio più frequente, più tipico, co­ me la bacchetta magica nelle favole.1011

Carlos Clarens poi, non è molto convincente quando deve stabilire che cosa sia la fantascienza: “Diffìcile da definire in astratto, la fanta­ scienza è immediatamente riconoscibile sulla carta stampata”11.

Letteratura e cinema E ironico, quindi, che molti scrittori e critici di fantascienza - in­ capaci di mettersi d’accordo persino tra loro su che cosa sia la lettera­ tura fantascientifica - abbiano deciso soltanto di trovare il collegamen­ to più artificioso tra fantascienza scritta e filmata. La critica negativa ri­ servata ai film di fantascienza ha fatto assumere ai critico cinematogra­ fico un atteggiamento estremamente cauto, a volte costretto - forse da un forte istinto di autoconservazione - a fare l’avvocato del diavolo, condannando pubblicamente i film oppure ammettendo con vergogna di apprezzarli anche se in realtà non sono un granché. Certo, se si vo­ gliono esprimere giudizi, sono poche le pellicole di fantascienza ecce­ zionali; la maggior parte non è neppure decente. Ma lo stesso vale per la letteratura fantascientifica. Sfortunatamente, siccome la letteratura esiste da più tempo ed è più abbondante e accessibile del cinema, nor­ malmente si tende a ricordare la letteratura fantascientifica notevole e per questo spesso raccolta in antologie - e paragonarla alle peggiori pellicole di fantascienza, che naturalmente hanno la peggio. Di conse­ guenza, si è molto discusso se il cinema di fantascienza abbia addirittu­ ra il diritto di essere chiamato così e in tal modo di rivendicare una pa­ rentela con la letteratura. In verità molti critici, come John Baxter e Ri­ chard Hodgens, hanno fatto notare come la natura e la forza proprie della letteratura e del cinema si trovino agli antipodi.

10 Michael Butor, “Science Ficiion: The Crisis of its Growth”, in T. Clarcson, 1971, p. 157. 11 C. Clarens, 1967, p. 118.

I CONI-INI DHL CENERE: DEFINIZIONI E TEMI

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John Baxter ritiene che la letteratura e il cinema di fantascienza ab­ biano pochi elementi in comune: “I punti di incontro sono tangenziali, una reale coincidenza di prospettiva estremamente rara”12*. Baxter pensa che le fondamenta del cinema di fantascienza siano la supersti­ zione, l’orrore e il timore della scienza, mentre la letteratura si basa su basi ottimistiche “sorrette dal fascino della tecnologia e dalla convin­ zione che nelle cose umane ci vorrebbe un ordine matematico”1'. Ap­ pigliandosi a una battuta di dialogo, oggi considerata un “classico” (“Ci sono cose che un uomo non dovrebbe sapere”), crea una tesi piut­ tosto solida sull’esistenza di un ampio divario filosofico tra letteratura e cinema di fantascienza. Quella battuta diventa, secondo Baxter, pa­ radigmatica, ed “esprime il timore universale dell’uomo nei confronti dell’ignoto e dell’inesplicabile, un timore che non tocca la letteratura di fantascienza ma che si è radicato saldamente nel cinema di fanta­ scienza”14. Secondo questa linea di ragionamento, non è affatto sor­ prendente che Baxter affermi in modo inequivocabile: “La letteratura fantascientifica difende la logica e l’ordine, il cinema di fantascienza l’illogicità e il caos”15. Ciò che non convince nell’argomentazione di Baxter, però, è la supposizione assai discutibile che la maggior parte della letteratura fantascientifica sia realmente ottimista e senza paura, e che quasi tutta la fantascienza letteraria abbia radici nella “letteratura visionaria del XIX secolo”16. Egli presume anche che la maggioranza delle pellicole di fantascienza non abbia elementi visionari, non sia interessata a mo­ vimenti e a idee e sia priva di ideali. Queste generalizzazioni sono semplicemente errate, poiché non prendono in considerazione il fatto che né la letteratura né il cinema sono arti statiche, create in un deter­ minato momento storico e filosofico. Dopo Hiroshima, gli scrittori di fantascienza non furono né ottimisti né impavidi nei confronti della scienza, contrariamente a quanto lo erano stati in precedenza, e i loro racconti e romanzi riflettono l’inquietudine del momento. L’utopia di­ venne anti-utopia. La logica stessa divenne sospetta, come testimo­ niano le tante opere che trattano di computer, robotica e cibernetica in modo non particolarmente ottimistico. La letteratura, come il ci­ nema, può basarsi sulla scienza e sulla sua applicazione, ma è l’atteg­ giamento nei loro confronti a cambiare. La fantascienza visionaria del XIX secolo ha poco a che vedere con la letteratura fantascientifica del

12 J. Baxter, 1970, p. 8. Ibid., p. 7. 14 Ibid., p. 11. H Ibid., p. 10. '* Ibid.

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XX. Dopo Hiroshima, la letteratura riconobbe, secondo Thomas Clareson, che: L’uomo poteva anche non conquistare gli astri... la tecnologia dilagante poteva ridurlo a vivere come un automa, se non annientarlo. Con il suo interesse per l’anti-utopia, il genere pose fine a un esilio largamente au­ toimposto, assumendo una inclinazione fondamentalmente contraria alla scienza e ai temi della maggioranza di gran parte della letteratura del XX secolo”.17

In questo contesto, va anche ricordato che, sebbene siano esistiti esempi isolati di cinema di fantascienza prima della Seconda Guerra Mondiale, essa si è affermata come genere riconosciuto dal punto di vi­ sta critico solo dopo Hiroshima. Perciò, anche accettando erroneamen­ te l’affermazione che vede il cinema di fantascienza contrario alla scienza e all’ordine, la cosa non sorprende dal punto di vista storico. Il genere cinematografico, affermandosi in quell’epoca, non si fonda su­ gli atteggiamenti filosofici del XIX secolo. La separazione operata da Baxter tra le tendenze della letteratura e del cinema, la sua insistenza sulla loro incompatibilità, non tiene in considerazione le posizioni e i temi sempre mutevoli di entrambi i media. Non tutta la letteratura fan­ tascientifica è favorevole alla scienza né tutto il cinema di fantascienza le è contrario. Anzi, le due pellicole più importanti (entrambe di origi­ ne letteraria) che insieme, all’inizio degli anni Cinquanta, sembrarono tracciare i confini del genere e attrassero l’attenzione dei critici, rivela­ no la duplicità di atteggiamenti presenti in entrambi i media. Uomini sulla Luna (Irving Pichel, 1950), anche se è possibile inter­ pretarlo come un film su una spedizione militare e non scientifica18, ha un’attenzione meticolosa per l’autenticità, la logica, le meraviglie delle scoperte scientifiche e, come ha fatto notare Denis Gifford, anticipa le spedizioni lunari con equipaggi a bordo degli Apollo19. Tratto da un romanzo di Robert Heinlein (Rocketship Galileo, 1947), tralascia di proposito la parte dell’opera in cui vengono scoperti alcuni neonazisti sul pianeta e conserva soltanto la parte che riguarda il viaggio spaziale che va e torna dalla Luna. Rifiutando il richiamo “spaventoso” del ro­ manzo e la premessa, assurda anche allora, della vita sulla Luna, il film diventa quello che Baxter chiama in modo dispregiativo - contraddi­ cendosi per giunta, viste le sue opinioni sulle differenze tra cinema e letteratura di fantascienza - “la storia ordinaria di un viaggio sulla lu­

17 Thomas Clareson, “The Other Side of Realism”, in T. Clarcson, 1971, p. 22. ** J. Siclicr e A.S. Labarthe, 1958, p. 59. 19 D. Gifford, 1971, pp. 112-14.

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na”20. Proprio il carattere “ordinario** del viaggio, tuttavia, manifesta la convinzione estremamente ottimistica che l’uomo, la scienza e le macchine dipendenti da entrambi, potessero realmente conquistare gli astri. Il rispetto per la scienza si manifesta non solo nella competenza e nella sicurezza degli astronauti (parola che non esisteva ancora), ma anche nell’estrema cura per le scenografìe e gli effetti speciali e nel fat­ to che il produttore George Pai avesse assunto due veri esperti, di astronomia (Chesley Bonestell) e di missilistica (Hermann Oberth), per contribuire all’alto livello di autenticità raggiunto dal film. Uomini sulla Luna non è certamente un film sulla paura o sul disprezzo per la scienza e gli scienziati. Il secondo film fondamentale (e quello a cui si ricorsi più spesso per sostenere la tesi che le pellicole di fantascienza in realtà siano film horror, per il loro atteggiamento anti-scientifico), è La cosa da un altro mondo (Christian Nyby / Haward Hawks, 1951). Il film è tratto anche in questo caso da un romanzo breve di fantascienza (W/?o Goes There? di John W. Campbell, 1938), e anche in questo caso nell’adattamento sono stati apportati alcuni cambiamenti; quello più evidente riguarda l’alieno, che nel romanzo non era un insolito vegetale, bensì una crea­ tura capace di assumere l’aspetto umano delle persone che attaccava. Nel film però, invece della visione ambigua di un alieno che se ne va in giro sotto spoglie umane, l’“altro” è estremamente riconoscibile, deci­ samente distinto dall’uomo: un essere concretamente diverso di cui avere paura21. Il film, in realtà, vuole incutere paura (“Continuate a sorvegliare i cieli” è l’ultimo messaggio ammonitore) ed è contrario al­ la scienza e agli scienziati. Questi ultimi vengono rappresentati assur­ damente curiosi, mossi da un eccessivo desiderio di sapere, pericoloso per l’intera umanità oltre che, in modo più immediato e specifico, per l'Aeronautica Militare degli Stati Uniti - composta da un gruppo di ra­ gazzi “a posto” la cui unica curiosità in materia di biologia riguarda il gentil sesso, piuttosto che, perversamente, vegetali intelligenti. È iro­ nico che La cosa da un altro mondo sia considerato un film horror da un critico come Richard Hodgens, che però definisce la storia da cui è tratto “uno dei racconti di fantascienza più originali ed efficaci della

20 Baxter, p. 102. 21 Successivamente, molte pellicole di fantascienza fecero ricorso all’espediente usato da Campbell, collegato da molti critici alla paranoia dell'epoca di McCarthy e al Pericolo Rosso. Si veda, per esempio. Gli invasori spaziali (William Cameron Men­ zies, 1953), Destinazione Terra (Jack Arnold, 1953), L'invasione degli ultracorpi (Don Siegei, 1956), Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (Gene Fowler, Jr., 1958), The Day Mars Invaded the Earth (Maury Dexter, 1962) c - sc lo si consi­ dera fantascienza - Va’ e uccidi (John Frankcnheimcr, 1962).

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Figura 1

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Uomini sulla Luna (Irving Pichel, 1950) presta un’attenzione metico­ losa all’autenticità, la logica e le meraviglie della tecnologia. (United Artists ! Eagle-Lion)

sottospecie horror”22, come se l’horror facesse normalmente parte del­ la letteratura fantascientifica, ma fosse intollerabile nel cinema di fan­ tascienza. E altrettanto interessante che molti scrittori di fantascienza, come Arthur C. Clarke e Michael Crichton considerino La cosa da un altro mondo una delle migliori pellicole di fantascienza in assoluto21. Le pellicole di fantascienza che seguono Uomini sulla Luna e La cosa da un altro mondo continuano a evidenziare un atteggiamento duplice e antitetico nei confronti della scienza, della logica e dell’ordi­ ne. Chiunque abbia preso in considerazione i temi di questi film non può più accettare l’idea di Baxter sul fatto che l’atteggiamento espresso nei confronti di scienza, ordine, logica e applicazione della tecnologia nella letteratura e nel cinema siano significativamente, coerentemente diversi. Un’altra leggenda da sfatare è che il cinema di fantascienza non possa in alcun modo essere tanto profondo, complesso o intellettual­ mente interessante quanto la letteratura fantascientifica e che, proprio

Hodgens, p. 33. 21 .Arthur C. Clarke c Michael Crichton, in W, Johnson, 1972, pp. 154, 156.

I CONFINI DEI. CENERE: DEFINIZIONI E TEMI

l-'igura 2

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La cosa da un altro mondo (Chrstian Nyby / Howard Hawks, 1951) fa leva sulla paura e avversa la scienza. Gli eroi sono "tipi in gamba ” dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti e il cattivo un professore­ scienziato talmente assetato di sapere da sfiorare la follia. (R.K.O. / Winchester)

a causa della sua stessa natura, il cinema non sia in grado di trasmettere idee in maniera altrettanto efficace. Per citare ancora Baxter (anche se la sua opinione viene condivisa da moltissimi critici letterari e scrittori estranei aH’ambito della fantascienza): Alla fantascienza letteraria non interessano gli individui ma le correnti e le idee... Confrontate questo campo d’azione pratico al mondo fantastico e illuso­ rio del cinema: persino i più grandi artisti cinematografici non possono fa­ re altro che dare un’approssimazione simbolica della trattazione razionale di una premessa astratta importantissima per la narrativa... Il cinema di fantascienza, dunque, è un’impossibilità intellettuale.24

Viene qui esposta la supposizione piuttosto ingenua che siccome uno scrittore si serve delle parole (che, dopotutto, sono anch’esse astrazioni) si trova in una situazione privilegiata per occuparsi di ciò che è astratto rispetto a un artista che lavora con altri strumenti. Baxter lascia intendere che, poiché un regista si esprime soprattutto per imBaxter, pp. 7-S.

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magini, sia per lui un ostacolo non poter fotografare un'astrazione, un’idea; al massimo è in grado di creare un simbolo. Questa teoria trascura il fatto che stiamo parlando di finzione' fin­ zione letteraria e cinematografica. Certo, astrazioni e idee si comuni­ cano meglio per iscritto e attraverso formule matematiche. E impossi­ bile che un film riesca ad avvicinarsi alla “trattazione verbale di una premessa astratta” tipica di un’opera filosofica, un saggio scientifico, una teoria economica. Però - e questo va sottolineato - neppure la let­ teratura fantascientifica è in grado di riprendere lo stile di un pensiero astratto di questo genere, restando sempre finzione, anzi, letteratura. La narrativa, quando è buona, può suscitare idee, ma non le offre allo stato grezzo. Esse non vengono trasmesse al lettore come in uno scritto scientifico, che mira a comunicarle nel modo più chiaro ed esauriente possibile. La narrazione è nei personaggi, nelle cose, nei luoghi, negli avvenimenti e questi non sono astrazioni. Se, nella loro azione e inte­ razione, viene espressa un’idea, ciò avviene attraverso questi stessi ele­ menti, quindi indirettamente. Non si può scrivere narrativa senza que­ sti veicoli di significato specifici e concreti, quindi, proprio per questo motivo, non astratti. Il lettore può ricevere informazioni in maniera di­ retta, al massimo, tramite la voce dell’autore oppure tramite i perso­ naggi stessi. Nella letteratura fantascientifica valida però, l’autore o l’eroe-scienziato, non si mette a esporre dettagliatamente un trattato di fisica nucleare durante il racconto. I fatti a volte vengono spiegati con chiarezza, ma mai a scapito della narrazione. Lo scrittore o il regista di fantascienza può talvolta sentire la ne­ cessità di esporre concetti, idee, considerazioni, ma il suo obiettivo pri­ mario non è informare, né filosofeggiare, ma creare una narrazione che efficacemente - attraverso lo stile e la struttura, le caratterizzazioni, gli avvenimenti, gli oggetti e i luoghi - faccia sì che il lettore pensi, noti, tragga le proprie conclusioni generali. Il bravo scrittore di fantascienza si rende conto che, se un lettore vuole pure teorie astratte e informa­ zioni reali, non cercherà racconti o romanzi, ma riviste scientifiche o il Popular Mechanics. Allo stesso modo, al bravo regista di fantascienza non interessa creare un film scientifico, un documentario che abbia co­ me motivo primario mostrare procedimenti minuziosi e dettagliati. Considerati da questo punto di vista, sia lo scrittore che il registra di fantascienza hanno il compito di esporre “la trattazione razionale di una premessa astratta”, in modo avvincente e perciò indiretto. En­ trambi possono creare mondi che possono essere - e sono - banali, no­ iosi e verbosi, oppure emblematici, interessanti e intensi a seconda del talento dell’artista. L’artista può servirsi delle parole oppure delle im­ magini in movimento, ma sono entrambi strumenti in grado di portare il lettore o lo spettatore a trarre considerazioni astratte. In altre parole,

1 CONFINI DEL GENERE: DEFINIZIONI E TEMI

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il mezzo è valido quanto il talento che lo usa, ed è profondo quanto la capacità fantastica che lo permea. Una delle ragioni della nascita di questa leggenda, secondo la quale la letteratura fantascientifica sarebbe, per natura, più profonda del ci­ nema di fantascienza, è il fatto che esistono molte pellicole di fanta­ scienza prive di qualsiasi originalità. Poiché qualunque film, per quan­ to brutto, viene visto da un numero straordinario di persone, un brutto film di fantascienza probabilmente attrae più attenzione di un brutto racconto o di un brutto romanzo fantascientifico, che semplicemente non viene letto, né recensito o scelto per le antologie. È altrettanto ve­ ro che molte pellicole di fantascienza sono state realizzate da persone che non capivano né apprezzavano particolarmente questo genere, o prodotte solo per il guadagno, sull’onda del successo di opere prece­ denti rese irriconoscibili e prive di significato, per sfruttare l’abitudine americana di mandare i ragazzi alle matinée del sabato. La maggior parte della letteratura fantascientifica è stata scritta per un pubblico adulto, mentre la maggioranza delle pellicole di fantascienza è rivolta a bambini e ragazzi. Questo può dirci molto sulle produzioni cinema­ tografiche o le abitudini editoriali, ma non dice nulla sulle risorse dei media stessi. È senza dubbio evidente dal 1968 e dall’enorme successo di 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick (certamente un film intellettualmente provocatorio a molti livelli), che al cinema c’è spazio per una fantascienza “per adulti”. E interessante notare anche che, do­ po il 1968 e il film di Kubrick, le pellicole di fantascienza si siano ri­ volte soprattutto a un pubblico adulto. Non sarebbe giusto, tuttavia, lasciare al lettore l’impressione che tutti gli scrittori di fantascienza - o la maggior parte di essi - disprez­ zino il cinema di fantascienza o non lo considerino abbastanza com­ plesso. Richard Matheson, per esempio, intervistato per un sondaggio tra scrittori in Focus on the Science Fiction Film di William Johnson, dà una valutazione piuttosto ragionevole della situazione, sebbene due adattamenti cinematografici tratti da suoi romanzi lo abbiano molto deluso. Dopo aver scelto Andromeda (Robert Wise, 1971) e Colossus - The Forbin Project (Joseph Sargent, 1969) come esempi di cinema di fantascienza intelligente, colto ed emozionante, indicativo delle poten­ zialità del cinema, concorda però con la maggioranza dei critici inter­ vistati nell’affermare che per lo più cinema di fantascienza pecca d’ingenuità se confrontato con la letteratura fantascientifica. Ecco la ragione: Hollywood, in tutto ciò che riguarda il fantastico, è molto indietro: solo negli ultimi mesi - forse anni - l’atteggiamento ha cominciato a cambiare, tanto da riuscire a realizzare pellicole pienamente mature, completamente

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

accettabili come prodotti per adulti, e tuttavia di fantascienza. Se si consi­ derasse il sistema solare come la piena potenzialità nel regno delle pellico­ le di fantascienza, con i concetti fondamentali che partono dal sole, Hol­ lywood non si troverebbe proprio sulla terra, ma nell’estensione radiante della sua idea. Le due pellicole che ho citato, assieme a 2001 e a poche al­ tre, denotano un certo impegno nel cercare di allontanarsi dal vecchio concetto del mostro venuto dallo spazio - anche se (ed è buffo), Androme­ da nasce proprio da quel concetto - reso in modo talmente maturo che non ce ne accorgiamo nemmeno.2526

E, per non farsi un’opinione troppo severa dello scrittore di fanta­ scienza che osa considerarsi un critico cinematografico (e, dopo tutto, perché non dovrebbe?), il lettore rifletta sulla Legge di Sturgeon: “ma il 90 per cento di qualunque cosa è spazzatura!” .

La Transilvania su Marte: horror e fantasia

Prima di poter arrivare a una definizione utile del cinema di fanta­ scienza, occorre prendere in esame il suo rapporto con il cinema hor­ ror. Il diffìcile legame tra i due generi ha infastidito molti critici. An Il­ lustrated History of the Horror Film, di Carlos Clarens, dedica due ca­ pitoli al cinema di fantascienza27. Science Fiction in The Cinema, di John Baxter, prende in esame molte pellicole - in particolare quelle in­ fluenzate dal cinema espressionista tedesco - che vengono considerate più spesso horror piuttosto che di fantascienza28. In molti libri e arti­ coli, le stesse pellicole vengono attribuite a entrambi i generi mentre al­ tre sono escluse da entrambi, poiché ciascuno di essi ritiene che appar­ tengano all’altro. I critici di tutti e due i generi peraltro si sono sempre preoccupati di distinguere la fantascienza dall’horror, di separarli in modo irrevocabile. Quelle pellicole ibride che ne fondono alcuni ele­ menti nella stessa misura - e ne esistono parecchie, come vedremo vengono solitamente considerate deludenti dal punto di vista “esteti­ co”, forse anche perché pongono problemi di classificazione e creano una zona grigia - una terra di nessuno - che avvicina i due generi in modo non gradito ai puristi delle due parti. Richard Hodgens, per esempio, deplora l’uso scorretto del termine fantascienza per quelle pellicole “dal tono e dalle implicazioni... che suggeriscono uno strano ritorno al passato nel gusto, più antiquato e 25 26 27 2l!

Richard Matheson, in W. Johnson, 1972, pp. 164-65. Theodore Sturgeon citato da Fritz Lang in W. Johnson, 1972, p. 162. Clarens, pp. 118-39; 161-71. Baxter, pp. 39-52.

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Figura 3

Figura 4

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Andromeda (Robert Wise, 1971). Una versione moderna della storia del “mostro venuto dallo spazio*' degli anni Cinquanta. (Universal)

La mummia (Karl Freund, 1932). Foto pubblicitaria di Boris Karloff nel ruolo del protagonista: la versione del cinema horror del robot del­ la fantascienza. (Universal)

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‘gotico’, di quello del romanzo gotico stesso”29 e afferma seccamente che “per il pubblico cinematografico ‘fantascienza’ significa ‘horror’”, distinto dall’horror classico soltanto dalla sua mancanza di plausibili­ tà30. Neil Isaacs si lamenta del fatto che: Le visioni fantastiche di mostruosità aliene o errori evoluzionistici rifiuta­ no di riconoscere le proprie analogie con le pellicole horror tradizionali e continuano a manifestarsi con tutto il potenziale drammatico di queste ul­ time.31

Per spiegare alcune delle caratteristiche comuni ai due generi, spes­ so si è detto che il cinema di fantascienza discende direttamente dal ci­ nema horror “tradizionale”. Michel Laclos interpreta così la loro cor­ relazione: Il cinema di fantascienza... ha assimilato tutti i temi della letteratura fan­ tastica tradizionale. I Marziani, i Venusiani e i mutanti hanno preso il po­ sto dei Vampiri, mentre gli automi imitano gli stati simili alla trance degli zombie c del Golem. La cornice limitata della casa stregata si è ampliata fino a raggiungere le dimensioni di un satellite popolato da presenze ex­ traterrestri invisibili.32

Da questi commenti è evidente - che si sia o meno disposti ad accet­ tare l’idea - l’ammissione che il cinema horror e quello di fantascienza, a volte, hanno la tendenza a occupare lo stesso territorio tematico. Superficialmente si può certo sostenere che il cinema di fantascien­ za sia nato dal cinema horror tradizionale, che sia cinema horror ab­ bastanza “tecnologizzato” da adattarsi alle esigenze dell’horror “mo­ derno”, per un pubblico sempre più pragmatico e materialista. Si pos­ sono paragonare l’abbraccio di Dracula al controllo alieno della men­ te, le mummie e gli zombie ai robot, il Mostro di Frankenstein alla macchina impazzita. Entrambi i generi hanno i loro laboratori, i loro esperimenti, le loro creature, le loro litanie empiriche. Il paletto e la croce usati “correttamente” nel cinema horror sono poi così diversi dall’applicazione dell’antidoto appropriato all’invasione aliena nel ci­ nema di fantascienza? Come afferma il Dr. Van Helsing in persona in 29 30 31 32

Hodgens, p. 30. Ibid. N.D. Isaacs, 1973, p. 123. M. Laclos, 1958, p. xxviii. Tradotto liberamente dal francese: "... la SF cinématographique... assimilò tons les thèmes du fantastique traditionnel. Marticns, Venusicns ou mutants ont pris la relève des vampires, tandis que les robots allient les défaillance; des zombis et du Golem. Le Cadre étroit de la maison hantée éclate aux dimensions du satellite peuplé d’invisibles présences extra-terrcstres.”

I CONFINI DEI. GENERE: DEFINIZIONI E TEMI

Figura 5

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II mondo dei robot (Michael Crichton, 1973). Il cinema horror “tecnologizzato” per un pubblico dalla visione sempre più pragmatica di­ venta fantascienza. La macchina impazzita prende il posto del mostro di Frankenstein. (Metro-Goldivyn-Mayer)

Dracula (Tod Browning 1931), “La superstizione di ieri può diventare la realtà scientifica di oggi”55. Occorre domandarsi, tuttavia, se sia sol­ tanto la tecnologia a separare i due generi; il cinema di fantascienza è solamente cinema horror aggiornato? Una differenza importante fra i due generi riguarda il loro campo di esplorazione, la loro idea centrale. 11 cinema horror si interessa princi­ palmente dell’individuo in conflitto con la società o con un’estensione di se stesso, il cinema di fantascienza della società e delle sue istituzioni in conflitto tra di loro o con qualcosa di alieno. Pertanto, lo scenario del conflitto nel cinema horror di solito è ristretto quanto un minuscolo pa­ ese nascosto nei Carpazi, un vecchio castello, oppure un villaggio ingle­ se, mentre il cinema di fantascienza ha come scenario più spesso la gran­ de città, il pianeta Terra stesso. Se un genere è vasto quanto l’animo umano, l’altro è vasto come il cosmo. Entrambi i generi si occupano del­ la confusione, delia disgregazione dell’ordine, ma il cinema horror ha a che fare con la confusione morale, la disgregazione dell’ordine naturale (il presunto ordine divino), e la minaccia all’armonia del focolare dome­ stico; il cinema di fantascienza, d’altro canto, è interessato alla confu­ sione sociale, alla disgregazione dell’ordine sociale (creato dall’uomo), c alla minaccia per la società civile che si occupa dei propri affari. ” D. Gifford, 1973, p. 82.

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Figura 6

SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI FANTASCIENZA

Dracula (Tod Browning, 1931). Il cinema horror si occupa della con­ fusione morale, della disgregazione dell’ordine naturale e della co­ stante minaccia all’armonia familiare. (Universal)

Tuttavia, spesso esistono casi di corrispondenza tra il cinema di fantascienza e quello horror; ci sono pellicole in cui non è facile distin­ guere se la confusione sia morale o civile, se l'ordine minacciato sia quello divino o quello creato dall’uomo. I film che esemplificano me­ glio questo fenomeno, che è considerato da alcuni un "incrocio” tra i due diversi generi, sono i “Monster film” o “Creature film”. È questa categoria di pellicole a disturbare maggiormente i critici puristi quan­ do cercano di fare delle distinzioni sommarie tra i due generi. Le Creature e i Mostri di certe pellicole di fantascienza sembrano vagare sulla Terra quasi per caso. Magari sono venuti dallo spazio a mi­ nacciare il pianeta, invaderlo, distruggerlo o sono conseguenze fortuite della “bomba”. Nel cinema horror, invece, il Mostro sembra avere un ruolo meno casuale, sembra nascere ineluttabilmente da un’ossessione personale, faustiana, o dall’innata natura animale dell’uomo. Non esi­ stono pellicole di fantascienza in cui un singolo Edmond Teller lotti con se stesso o con ciò che ha creato, fisicamente e moralmente. A cau­ sa di questo legame in qualche modo organico tra uomo e Mostro nel cinema horror, sembra assolutamente inevitabile dal punto di vista del-

I CONI-INI DEL CENERE: DEFINIZIONI E I EMI

Figura 7

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L'uomo lupo (George Waggner, 1941). Siccome il cinema horror mette in evidenza il conflitto morale individuale, il Mostro deve avere lo stesso peso delle forze del bene. E dunque inevitabile lo scontro finale e una resa dei conti. (Universa!)

la rappresentazione che il Mostro sia antropomorfo - elemento non es­ senziale per il cinema di fantascienza. Non ci sono fluidi misteriosi, funghi striscianti, vegetali insoliti e marziani muniti di tentacoli nel ci­ nema horror tradizionale. Lawrence Talbot si trasforma in lupo, ma cammina in posizione eretta e ha un aspetto chiaramente umano nelle sue sembianze animali; è moralmente e mortalmente diviso tra la sua istintiva natura animale a la sua natura umana civile. Dracula è spaven­ toso con la sua sete di sangue perché sembra così sofisticato, cortese, capace di dominare i propri istinti e anche consapevole del desiderio immorale di vivere per sempre che affligge tutti noi. Il Mostro di Frankenstein è una patetica parodia dell’uomo, un ammasso di resti umani ricuciti grossolanamente e grottescamente, tuttavia ancora in cerca di una luce naturale e celestiale. Siccome il cinema horror mette in evidenza il conflitto morale in­ dividuale, il Mostro - sempre per una necessità della messa in scena deve essere un antagonista emblematico e individualizzato. Per rendere la lotta morale realmente multiforme, sia l’uomo che il Mostro devono avere lo stesso peso e lo stesso tempo a disposizione. Così, nel cinema horror, si è coinvolti in un conflitto e in un combattimento individua­ lizzato: Dracula contro il dottor Van Helsing, Frankenstein contro il

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Figura 8

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA 1)1 FANTASCIENZA

Frankenstein (James Whale, 1931). Non è difficile per gli spettatori compatire il Mostro del cinema horror. Il Mostro non è altro che l’Uomo, è il lato oscuro dell’Uomo, reso umanamente comprensibile. (Universal)

Mostro di sua creazione, Lawrence Talbot contro il suo alter ego ani­ male. Una volta che si è visto il Mostro in un film horror e si è rimasti sbalorditi dalla sua deformità fisica, si continua a essere interessati a lui per tutto lo svolgimento del film; all’inizio affascina oppure spaventa per il suo aspetto, ma si continua a essere affascinati da ciò che rappre­ senta molto tempo dopo che il suo aspetto ha smesso di sorprendere. Nel cinema di fantascienza, la Creatura è meno caratterizzata, ha meno partecipazione interiore rispetto al Mostro del cinema horror. Di solito conosciamo di lui solo l’aspetto, alcune caratteristiche fisiche; le Creature della fantascienza sono chiaramente prive di una psiche. Dopo lo shock iniziale per l’apparizione della Creatura, non si è inte­ ressati al perché la Creatura farà ciò che farà, né a quello che pensa o prova, ma soltanto a cosa farà c come lo farà - in altre parole, alle sue attività esteriori. Una Creatura della fantascienza non suscita mai la nostra compassione: rimane sempre una cosa. Al contrario, nel cinema horror c’è sempre qualcosa che suscita simpatia per il Mostro, qualcosa che dà - per quanto brevemente l’idea di vedere il mondo attraverso i suoi occhi, dal suo punto di vista.

I CONFINI DEL GENERE: DEFINIZIONI E TEMI

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1) Mostro non è altro che l’uomo; è il lato oscuro dell’uomo e perciò è comprensibile. Il Mostro di Frankenstein commuove come farebbe un bambino perché è assolutamente innocente all’inizio del primo film (Henry Frankenstein dice di lui: “Esiste solo da pochi giorni”34) e nel corso del film non si può fare altro che pensare che Frankenstein, rifiu­ tando la responsabilità nei confronti della sua opera, abbia agito come un genitore irresponsabile, oppure - peggio ancora - come un Dio in­ differente. Non si vede l’ora che Dracula muoia non soltanto per rista­ bilire l’armonia dello status quo, ma anche per dare riposo e pace a un’anima gentile ma tormentata, che sa dire con un’intensità calma e carezzevole: “Morire... essere davvero morti... deve essere magnifi­ co”35 . Certamente Lawrence Talbot suscita compassione nella sua lotta con l’animale conosciuto ma incontrollabile che ha in sé perché - nelle sue sembianze umane - è notevolmente simpatico, sincero e onesto. Ci si identifica con lui e i versi ripetuti nel corso de L’uomo lupo (George Waggner 1941) dicono continuamente che tutti possono correre un pericolo simile: Anche l’Uomo che ha puro il suo cuore, E ogni giorno si raccoglie in preghiera, Può diventar lupo se fiorisce l’aconito E la luna piena splende la sera.36

Siamo tutti vittime potenziali di noi stessi, delle nostre passioni, della nostra lussuria animalesca, dei nostri desideri scellerati e materia­ li. Tutti noi discendiamo dal Peccato Originale e saremmo tutti dei mo­ stri se non fosse per la grazia di Dio, che non è possibile comprendere con la logica. È questo l’assunto del cinema horror nella sua forma tra­ dizionale. Da ciò derivano i personaggi umani fisicamente deformi che si muovono furtivamente negli angoli, gli storpi e i gobbi. I corpi de­ formi denotano anime deformi. Se il cinema horror tradizionale ha un tema, è quello della perdita della grazia divina, della cacciata dell’uomo dal Paradiso Terrestre e della sua dipendenza dalla forza potenzialmente salvifica dell’amore. Così il cinema horror mette in scena un mondo sempre immutabile nei suoi valori, un mondo dove l’uomo è predestinato a lottare con il male, un mondo che accetta l’inevitabilità del male e la vulnerabilità dell’uo­ mo nei confronti del male, un mondo dove esiste l’amore spirituale, ma è minacciato da vari reietti a cui è stato negato il Paradiso Terrestre e la M Ibid., p. 89. w Ibid., p. 82. lh Ibid., p. 136. Brano tratto dalla versione originale del film: “Even a man who is pure in heart, /And says his prayers by night, /May become a wolf when the wolf­ banc blooms /And the Autumn Moon is bright”.

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SPAZIO P IÌ MPO NHL CINEMA DI I AN 1ASCIENZA

Figura 9

Frankenstein (James Whale, 1931). Gli storpi e i gobbi che compa­ iono nel cinema horror sono una rappresentazione delia deformità morale. I corpi deformi denotano anime deformi. (Universal)

Figura 10

II dottor Jekyll (Rouben Mamoulian, 1932). Il mondo del cinema hor­ ror è immutabile nei suoi valori e vede l’uomo in lotta con il male, mi­ nacciato com’è dai vari reietti esclusi dal paradiso terrestre. (Para­ mount)

I CONFINI DEL CENERE: DEFINIZIONI E TEMI

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speranza del perdono celeste a causa dei loro desideri materiali. L’am­ missione dell’inevitabilità di questa lotta per ottenere la redenzione tra­ mite la sofferenza e l’amore pervade tutte le pellicole horror tradiziona­ li. Viene ripetuta, per esempio, nella litania intonata dalla zingara Maleva davanti al corpo di suo figlio e di Lawrence Talbot ne L’uomo lupo: La strada che hai percorso era spinosa anche se non per colpa tua. Ma co­ me la pioggia penetra nella terra c come il fiume sfocia nel mare, così le nostre lacrime scorrono per una fine predestinata. Le tue sofferenze sono finite. Bela, figlio mio, che tu possa trovare la pace.37

Non esiste la stessa sensazione di predestinazione nel cinema di fantascienza. Il pericolo non deriva da ciò che gli uomini sono inelut­ tabilmente, ma piuttosto da ciò che essi fanno o da ciò che viene fatto loro. E, di sicuro, il pericolo viene considerato separato e distinto dall’animale che si nasconde nell’uomo. L’animale - o il vegetale - che compare nel cinema di fantascienza non è l’erompere deforme del ma­ le interiore. In quelle pellicole in cui vediamo creature che calpestano le città, distruggono Coney Island e così via, i personaggi umani non si sentono responsabili dell’apparizione della Creatura: si sono allonta­ nati da ogni possibile legame con essa. Molti critici hanno visto in que­ ste Creature personificazioni della Bomba (e certo esistono diverse prove che rafforzano questa teoria), ma, a parte alcuni brani di dialogo sull’uso scorretto dell’energia atomica o di qualche aspetto delle scien­ ze applicate, la Creatura è una minaccia esistente a prescindere da col­ pe personali o collettive. Il “Lui” (o talvolta la “Lei”) del cinema hor­ ror diventa la Cosa del cinema di fantascienza. 11 suo rapporto con l’uomo è praticamente inesistente; è un incidente, una cosa distinta dall’esperienza umana e dall’intenzione dell’uomo. In Tarantola di Jack Arnold (1955), per esempio, lo scienziato, che sarebbe ritenuto moralmente responsabile dell’esistenza del ragno gi­ gantesco in un film horror, al contrario è considerato la vittima di un incidente orribile occorsogli mentre generosamente voleva creare una sostanza per combattere la fame nel mondo. Nel cinema di fantascien­ za si ha quasi sempre la sensazione che, sebbene le azioni umane pos­ sano essere incaute e nonostante i possibili incidenti, gli uomini siano fondamentalmente capaci di controllare il proprio destino, in modo positivo oppure negativo. Persino nelle pellicole che mostrano un mondo già distrutto dall’incidente più grosso di tutti - la guerra nucle­ are - c’è spesso la promessa di un nuovo Eden. 17 Ibid. Dialogo originale: “The way you walk is thorny through no fault of your own. For as the rain enters the soul, and evil enters the sea, so tears run to their predestined end. Your suffering is over. Now find peace for eternity, my son.”

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANI 'ASCI ENZA

Figura 11

Tarantola (Jack Arnold, 1955). Lo scienziato non è ritenuto il respon­ sabile morale dell’esistenza dei ragni giganteschi, al contrario è la vit­ tima di un orribile incidente scientifico. (Universal)

Siccome la Creatura del cinema di fantascienza è così stilizzata (di solito la si riconosce soltanto per il suo aspetto esteriore e per le distru­ zioni che provoca) e poiché minaccia gli uomini piuttosto che l’Uomo, non è mai orribile quanto il Mostro del cinema horror. Anche quando dà il peggio di sè - uccidendo persone e devastando città - non la si ve­ de in cerca di una vendetta personale, non ha un’anima tormentata. Considerata essenzialmente un oggetto privo di coscienza interiore, non è poi tanto tremenda, superato lo shock del primo momento. Poi­ ché non minaccia un singolo individuo, minaccia tutti, e di conseguen­ za lo spettatore non si sente l’unica vittima prescelta. Dunque, come osserva Susan Sontag, non c’è molto orrore nelle pellicole di fanta­ scienza: La suspense, gli shock, le sorprese vengono prevalentemente abbandonati in favore di una traina solida c inesorabile. Le pellicole di fantascienza sol­ lecitano una visione estetica imparziale di distruzioni e violenza - una vi­ sione tecnologica. Le cose, gli oggetti, le macchine vi rivestono un ruolo fondamentale.’8

** S. Sontag, “The Imagination of Disaster”, 1965, p. 45.

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Figura 12

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Un esemplare di “donna scimmia ” non meglio identificata, presente in una serie di pellicole sugli "animali" femmina. La paura nel cinema horror è l'irrompere dell’animalità che rende disumani, bestiali, siagli uomini che le donne.

Poiché nel cinema di fantascienza l’enfasi è molto spesso posta sull’esteriorità, il nostro interesse per questo tipo di film, non concen­ trandosi abitualmente sul carattere interiore dei personaggi, è sovente basato sulla spettacolarità. Noi spettatori guardiamo al “Creature film” di fantascienza senza doverci mettere in gioco con l’ammissione di una colpa personale, e non identificandoci quasi mai nei personaggi umani appena caratterizzati; l’estetica della distruzione piace allo spettatore quanto un esperimento ben riuscito soddisfa uno scienziato. La passio­ ne e l’anelito umani del cinema horror vengono sostituiti dai piaceri di una visione distaccata. La meraviglia prende il posto del terrore. Quando il cinema di fantascienza esprime oppure suscita paura, è una paura lontanissima dal terrore del cinema horror ed e meno forte al confronto. Il cinema di fantascienza non si interessa dell'animale che esiste e sempre esisterà dentro di noi. Non suscita il profondo terrore evocato da qualcosa che è già presente e conosciuto in ciascuno di noi, ma la paura più smorzata e meno immediata di ciò che potremmo di­ ventare in futuro. L’aspetto spaventoso delle pellicole horror tradizio­ nali deriva dalla consapevolezza del nostro essere per sempre legati alla natura grezza del corpo terreno; la paura nelle pellicole di fantascienza

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA PI FANTASCIENZA

Figura 13

La fabbrica delle mogli (Bryan Forbes, 1975). Foto pubblicitaria. La paura nelle pellicole di fantascienza deriva dall'eventualità di trasfor­ marsi in macchina, di essere resi disumani dal lato razionale e non da quello bestiale della natura umana. (Columbia)

proviene dalla possibilità che in futuro potremmo - in un certo senso - perdere contatto con il corpo. Nota Susan Sontag: L’oscuro segreto della nanira umana prima era la ribellione del lato ani­ male... La minaccia per l’uomo, la sua vulnerabilità alla disumanizzazio­ ne, si trovavano nella sua animalità. Ora il pericolo viene identificato nella capacità deil’uomo di trasformarsi in una macchina.59

Ciò che si teme adesso è il lato razionale della natura umana, ma questa paura non arriva quasi mai all’intensità dell’orrore: è smorzata dall’attrazione alternativa esercitata dalla razionalità pura. Così inL’mvasione degli ultracorpi (Don Siegei, 1956), vengono espressi senti­ menti duplici: il desiderio di liberarsi dell’animale dirompente e irra­ gionevole nascosto nell’uomo e, allo stesso tempo, il bisogno che si ha dei lati positivi di quell’animale, come la capacità di amare. (Uno dei personaggi “posseduti”, tutto sommato soddisfatto della sua trasfor­ mazione in essere privo di sentimenti, cerca di persuadere il protago­ nista ad accettare l’invasione e le sue conseguenze: “Amore, desiderio, Ibid., p. 47.

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ambizione, fede, senza tutto questo la vita è molto più semplice”40). Nel cinema di fantascienza, dunque, le paure umane sono più confuse e più complesse di quanto non siano nel cinema horror e - molto spes­ so - si tratta di inquietudine piuttosto che di terrore. Occorre riconoscere che queste considerazioni generali su alcune differenze che separano il cinema horror tradizionale dal cinema di fantascienza non comprendono tutte le possibili divergenze tra i due generi, né prendono in considerazione le caratteristiche comuni (che verranno trattate in parte nella prossima sezione). Tuttavia, mettono in evidenza le loro fondamentali differenze nel modo di affrontare i ri­ spettivi temi, i diversi rilievi tematici che ne influenzano i contenuti vi­ sivi e verbali, le caratterizzazioni e le convenzioni. Prendendo qui in esame il cinema di fantascienza, si è dedicata un’attenzione particolare a quella categoria di film che pare essere confusa più spesso con le pel­ licole horror per la presenza di una Creatura o di un Mostro chiara­ mente visibile. Quanto a quelle pellicole che sembrano contraddire il senso generale di questa tesi, basti notare che chi scrive riconosce che // pianeta proibito (Fred Wilcox, 1956), per esempio, porta sullo scher­ mo un Mostro che viene dall’Id; ma anche se questo Mostro viene dal­ la parte interiore dell’individuo - nei presente del film il Dr. Morbius - e ha distrutto una civiltà intelligentissima, il film si concentra meno sulla crisi morale del Dr. Morbius che non su Robby il Robot, il pae­ saggio, le macchine e le scenografie di Altair IV. Il pianeta proibito è certamente fantascienza. Porta a spiegare l’animale nascosto in ogni es­ sere umano nei termini scientifici della psicologia freudiana, a conside­ rarlo - se non addomesticarlo - in maniera imparziale e analitica. Il Mostro dell’Id non viene giudicato dallo stesso punto di vista dal quale si considera l’uomo lupo. Al contrario Frogs (George McCowan, 1972), anche se esprime palesemente una notevole preoccupazione rispetto all’ecologia, l’in­ quinamento, l’uso di insetticidi, e via dicendo, sembra aver poco a che vedere con la fantascienza nel suo atteggiamento nei confronti dei pro­ pri contenuti. Nonostante il modo realistico di riprendere la natura e il bizzarro interesse per “l’ambiente”, sia dal punto di vista strutturale che da quello tematico, si tratta di un film horror. Una famiglia immo­ rale come tante, confinata su un’isola assieme ad alcuni ospiti, diventa la vittima particolare di rane, serpenti e lucertole che ne eliminano si­ stematicamente quasi tutti i componenti. Alle creature, in un certo sen­ so, vengono attribuite facoltà umane, una sottintesa intelligenza simile alla nostra, e il loro comportamento distruttivo è calcolato e orientato

C. Stcinbrunner c B. Goldblatt, 1972, p. 264.

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Figura 14

Figura 15

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

cosa da un altro mondo (Chrstian Nyby ! Howard Hawks, 1951) fa leva sulla paura e avversa la scienza. Gli eroi sono “tipi in gamba” dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti e il cattivo un professore­ scienziato talmente assetato di sapere da sfiorare la follia. (K.K.O. ! Winchester)

Frogs (George McCowan, 1972). Film horror nonostante le sue istan­ ze ecologiche, dove alle creature vengono attribuite facoltà umane che le rendono capaci di esercitare con cognizione la proprio vendetta. (American International)

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in maniera particolare. Frogs è un film che parla più di moralità e ven­ detta che non di ecologia. Le pellicole di fantascienza, quindi, si differenziano da quelle hor­ ror per il loro nucleo centrale sul quale richiamare l’attenzione, l’im­ portanza assegnata a determinati temi, il modo di considerare il sog­ getto attraverso le immagini e in particolare per la loro forza comples­ siva. In Focus on the Horror Film, T. J. Ross osserva: 11 cinema horror gotico è espressionista nello stile e nell’atmosfera e uma­ nista nell’orientamento delle intenzioni e degli interessi. È più simile

all’arte espressionista per l’importanza primaria attribuita alle percezioni distorte, alle ricerche quasi impossibili e alle energie spesso in larga parte disperse. Così, i suoi paesaggi desolati e minacciosi sono abitati da giganti dolenti, gobbi brutali, scienziati pazzi, folle in preda all’ira, dark lady cru­ deli ed eroine bionde che perdono i sensi. Il punto culminante della scena - e l’orrore che ne deriva - non è subordinato soltanto alla comparsa e al comportamento di una creatura strana, ma da una situazione che determi­ na lo svolgimento di tutto il film. È più patetico e spaventoso l’isolamento straordinariamente profondo che circonda tutti i personaggi principali del ricorrere a trovate a effetto... La morale è inseparabile dal terrore.4’

Una descrizione simile applicata al cinema di fantascienza avrebbe aggettivi più “neutri” di quelli scelti da Ross: nella fantascienza non esistono le passioni, le ossessioni e la febbrilità che caratterizzano il ci­ nema horror. Lo stesso vale per il senso di isolamento personale. Inol­ tre, anche se ci sono pellicole di fantascienza come S.O.S. naufragio nello Spazio (Byron Haskin, 1964), e 2002 la seconda Odissea (Dou­ glas Trumbull, 1972), in cui i personaggi principali trascorrono molto tempo separati dagli altri, il loro isolamento è sempre mitigato dalla presenza della civiltà e della società attraverso gli oggetti che li circon­ dano. È altrettanto vero che esistono pellicole di fantascienza che di tanto in tanto suscitano brividi e grida nei personaggi (femminili, se­ condo gli stereotipi), ma di solito non accade lo stesso agli spettatori. In definitiva, il cinema horror suscita paura, il cinema di fantascienza curiosità41 42.

41 T.J. Ross, “Introduction”, in R. Huss cTJ. Ross, 1972, pp. 2-3. 42 Per ulteriori approfondimenti sul cinema horror, si veda in Bibliografia alle voci Ivan Butler, Carlos Clarens, R. H. W. Dillard, Denis Gifford, Roy Huss e T J. Ross, c Frank Manchel.

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Figura 16

SPAZIO E TEMPO NHL CINEMA DI FAN I ASCI ENZ/X

2002, la seconda Odissea (Douglas Trumbull, 1972). L'isolamento personale nel cinema di fantascienza è mitigato dalla presenza della civiltà e della società, grazie agli oggetti che circondano il solitario protagonista. (Universal)

Problemi di Creature e Mostri Nel paragrafo precedente, le Creature del cinema di fantascienza sono state prese in considerazione nel loro insieme, non soltanto per fare alcune considerazioni sulle diverse priorità dell'horror e della fan­ tascienza, ma anche perché solitamente trattate senza distinzione dai critici. E tuttavia necessario, per comprendere l’esistenza di un limbo di pellicole a metà strada tra l’horror e la fantascienza, fare determina­ te distinzioni fra la categoria dei Mostri della fantascienza, che sembra­ no avere affinità con i Mostri del cinema horror, e quelle Creature che, coperte di squame e munite di tentacoli, appartengono decisamente al cinema di fantascienza. (Per fare chiarezza, d’ora in poi chiameremo i primi Mostri e le seconde Creature.) Due categorie particolari di antagonisti hanno sempre causato al critico di fantascienza (sia letteraria che cinematografica) non poco im­ barazzo. Nella letteratura fantascientifica, l’esemplare tipico di una di queste categorie viene definito dispregiativamente BEM - acronimo di bug-eyed monster [espressione che, tradotta letteralmente in italiano, significa più o meno “mostro dagli occhi da insetto”] - spesso presente

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nella cosiddetta “opera spaziale”, un tipo di storia più assimilabile ai fumetti volgari e scollacciati che non alla letteratura. Il BEM è l’anta­ gonista mostruoso - simbolo del male senza caratterizzazione - che de­ ve essere ucciso dall’eroe in tuta spaziale solitamente argentata, prima che arrivi a conquistare la ragazza seminuda. Al cinema, questo tipo di Mostro corrisponde alla Creatura che calpesta città, liquefà persone e parte strisciando, volando o camminando dall’Artide, dal mare o dal deserto, e si dirige verso un’area ad alta densità di popolazione dove distrugge tutto quello che incontra sul suo cammino, incurante di qual­ siasi cosa. La seconda categoria di antagonisti sembra seguire la tradi­ zione del Dr. Jekyll e Mr. Hyde: un essere umano si trasforma - soli­ tamente a causa delle radiazioni - in un Mostro, ma sono le sue gesta distruttive e omicide ad attrarre l’attenzione, piuttosto che le sue sof­ ferenze morali. Le pellicole in cui compaiono rispettivamente questi due tipi di antagonisti sono spesso disconosciute, sia dai critici di fan­ tascienza che affermano che la scienza si limita a mettere in azione l’an­ tagonista e riveste un ruolo cinematograficamente secondario, sia dai critici del cinema horror i quali sostengono che l’antagonista non è moralmente all’altezza dell’uomo lupo, di Dracula o del Mostro di Frankenstein. Va sottolineato come la Creatura che corrisponde al BEM della let­ teratura non sia l’invasore alieno intelligente, ma l’organismo vivente mentalmente insignificante che rappresenta il perno di una narrazione riguardante non tanto la scienza e la tecnologia, quanto ciò che Susan Sontag definisce “l’estetica della distruzione, con la bellezza particolare della devastazione e della confusione”43. Gli atti distruttivi della Crea­ tura vengono osservati in modo imparziale, apprezzati esteticamente, ma la maniera in cui il regista di solito la fa entrare in scena vuole im­ pressionare, suscitare terrore o paura negli spettatori; elemento questo (irrilevante), che la collega superficialmente al cinema horror. Le cause evidenti dell’esistenza della Creatura, invece, la collegano apparente­ mente al cinema di fantascienza: è la Bomba a creare o a scatenare il male, oppure - più raramente - questo viene portato sulla terra attra­ verso mezzi di trasporto che hanno una spiegazione scientifica (un me­ teorite, oppure un’astronave che inconsapevolmente fa da corriere). È importante sottolineare, tuttavia, che nessuno dei due generi ha sim­ patia per la Creatura, che non ha né “l’anima”, fondamentale per l’an­ tagonista del cinema horror, né la “mente”, essenziale per quello del ci­ nema di fantascienza. Di conseguenza, queste pellicole vengono rara­ mente analizzate in modo intelligente. Solo di recente poi, cominciano a essere considerate come qualcosa di diverso dal cinema di fantascien■* * Sontag, p. 44.

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Figura J 7

SPAZIO E TEMPO NEL CINEM/X DI FANTASCIENZA

Assalto alla Terra (Gordon Douglas, 1954). 1 "Creature film” degli an­ ni Cinquanta parlano della preoccupazione per una possibile disgrega­ zione sociale. Sono necessari lavoro di squadra, collaborazione e orga­ nizzazione. (Warner Brothers)

za o da quello horror - dotate di un fascino e di un valore estetico pro­ prio. (Se siano poi davvero qualcosa di diverso dalla fantascienza e dall’horror è discutibile, se “diverso” significa isolato o “a parte”; i film uniscono alcuni elementi di entrambi i generi e perciò non sono sepa­ rabili da nessuno dei due.) Fortunatamente, questo nuovo atteggia­ mento critico permette di considerare questi film ibridi in modo meno cauto e più preciso. Brian Murphy nel saggio “Monster Movies: They Came From Be­ neath the Fifties”, afferma: “Ciò che rende i ‘Monster film’ degli anni Cinquanta un genere a sé è la mescolanza dei due modelli - l’horror e la fantascienza - e le intenzioni ideologiche che all'epoca venivano lo­ ro attribuite”44. Spiega che queste pellicole “Sono come opere ottocen­ tesche... nella loro stilizzazione strutturale”45, e ravvisa gli elementi es­ senziali di questa stilizzazione nella trama dei “Creature film”: “Un gruppo di personaggi, di tipo scientifico-militare statunitense, scopre una ‘cosa’ e deve ricorrere a tutte le proprie cognizioni militari e scien­ 44 B. Murphy, 1972, p. 32. 4’ Ibid., p. 34.

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tifiche per distruggere il Mostro**46. Nella maggior parte dei “Creature film**, l’insetto gigantesco o il rettile mutante, il Rhedosaurus risveglia­ to e via dicendo, in un certo senso sono “generati spontaneamente” dalla Bomba, ma le implicazioni antiscientifiche di questa premessa vanno controbilanciate da quelle favorevoli alla scienza, proprio per­ ché è alla scienza che si ricorre per distruggere la Creatura stessa. Co­ me osserva Murphy: Quegli animali e quelle cose sono tremendamente reali e, apparentemen­ te, l’unico modo di gestirli sarebbe farli ritornare proprio dalle persone che li hanno generati: gli scienziati che lavorano “in totale collaborazio­ ne” (parola importantissima, “collaborazione”) con l’esercito.47

I “Creature film” che risalgono agli anni Cinquanta (e anche all’inizio degli anni Sessanta) parlano più della difesa dell’ordine socia­ le che della scienza e dell’orrore. Non c’è scampo per le masse scon­ volte, in preda al panico per l’arrivo della Creatura. Sono necessari la­ voro di squadra, collaborazione e, soprattutto, organizzazione. Mur­ phy giustamente osserva che, in Questa categoria di film, il “Mostro... non è il personaggio principale”48, evidente verità che l’allontana ulte­ riormente dalle fila del cinema horror. I mutanti e gli animali che mi­ nacciano architetture e persone in ugual misura, in pellicole come 11 ri­ sveglio del dinosauro (Eugene Lourié, 1953), Assalto alla Terra (Gor­ don Douglas, 1954), II mostro dei mari (Robert Gordon, 1955), La mantide omicida (Nathan Juran, 1957) e II mostro che sfidò il mondo (Arnold Laven, 1957), non hanno una personalità; non hanno inten­ zioni precise. Sono semplicemente figure che servono come contrasto per il protagonista collettivo (le istituzioni organizzate della società: quelle scientifiche, militari e politiche). John Denne, in un saggio dedicato ai vari tipi di Mostri e Creature, osserva che nelle pellicole che chiamiamo “Creature film”, le “motiva­ zioni della Creatura sono prevalentemente prive di logica, poiché con­ sideriamo il Mostro come un problema affrontato dalla società in modi diversi”49. Denne definisce il “Creature film” un Monster film biparti­ to (o bipolare) e sostiene che sia più vicino ai film di fantascienza che a quelli horror perché “affronta l’argomento con relativo distacco e la­ scia gli spettatori più liberi di osservare quella che è una battaglia tat­ tica... una lotta fra due forti nemici”50. (Con il termine “distacco”

46 Ibid., p. 35. 47 Ibid., p. 42. ,s ibid., p. 38. J. D. Denne, “Society and the Monster”, December 9 (n. 2/3), p. 180. Ibid.

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Figura 18

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA 01 FANTASCIENZA

II mostro dei mari (Robert Gordon, 1955). I mutanti e gli animali che minacciano tanto gli edifici quanto le persone non hanno una perso­ nalità né intenzioni precise. (Columbia)

Denne non intende affermare che questi film non si interessino della società, ma che il conflitto viene rappresentato in maniera più obiettiva rispetto ad altre categorie di film che mettono in scena mostri.) Joe Kane, nell’articolo “Nuclear Films” dà una classificazione te­ matica simile dei “Creature film”: il tema dell’invocazione alla Bestia; in questi film le Creature sono considerate “strumenti per punire l’uso scorretto del nucleare”51. Si riconoscono alcuni elementi appatenenti sia al cinema di fantascienza sia a quello horror, nel collegamento fra l’idea di “punire” e di “strumento” presente in quella frase, proprio co­ me i film mescolano elementi dei due generi. Di solito si collega l’idea di punizione, associata al crimine e alla colpa, ai temi che si incontrano prevalentemente nel cinema horror; è una parola carica di connotazio­ ni morali. La Creatura portatrice della punizione, tuttavia, è conside­ rata uno strumento, un mezzo oppure un espediente che provoca cala­ mità e nuoce all’organizzazione sociale. Pertanto, i “Creature film” si trovano (impropriamente secondo alcuni) a metà strada fra l’horror e la fantascienza, perché si possono considerare da un lato fantasie pu-

'' J. Rane, 1969, p. IO.

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II risveglio del dinosauro (Eugene Lourié, 1953). 1 “Creature film" hanno come priorità la messa in scena di disastri e distruzioni, ma ri­ velano anche l’inquietudine tipica degli anni Cinquanta per il pericolo dell’annientamento nucleare. (Warner Brothers)

nitive, dall’altro un richiamo all'ordine e all’organizzazione sociale. In­ terpretandole secondo quest’ultima prospettiva, le pellicole sono so­ prattutto oggettive, imparziali e consentono allo spettatore una reazio­ ne alla distruzione e al disastro da un piano estetico più distaccato. Se si considerano i film come fantasie punitive, tuttavia, la distruzione e il disastro diventano parte di uno schema da incubo. Molti critici, naturalmente, hanno fatto notare come i “Creature film” siano la rappresentazione onirica di una paura collettiva del nu­ cleare - se non di una colpa collettiva - certamente collegata all’inquie­ tudine di massa riguardo all’impiego dell’energia atomica. Susan Sontag li ritiene indicativi ... del trauma patito da tutti verso la metà del XX secolo, quando diventò evidente che, da allora fino alla fine della storia dell’uomo, ognuno avreb­ be trascorso la propria vicenda personale non solo sotto la minaccia della morte individuale, che è certa, ma di una cosa quasi insopportabile psico­ logicamente - l’incenerimento e l’estinzione collettiva che potrebbe arri­ vare in qualunque momento, in pratica senza preavviso.52

Brian Murphy considera la Creatura “il simbolo di ciò che dobbia­ mo temere: non è il timore di per sé; è l’orrore per quello che abbiamo Sontag, p. 48.

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SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI FANTASCIENZA

fatto, dal punto di vista scientifico e militare, per portare il mondo a un passo dalla distruzione”53. Anche John Baxter parla del ciclo della Creatura in termini evocativi dei tono morale del cinema horror, l’idea della punizione e la possibilità di espiazione: Per gli spettatori americani le distruzioni causate alle loro case da vari di­ nosauri sono gradite quanto la frustata per un flagellante, mentre frasi ri­ tuali come “ci sono cose che l’uomo non deve sapere” assumono l’impor­ tanza di una litania; affermare, umiliarsi, adorare - le reazioni imposte agli spettatori e ai fedeli sono troppo simili per essere casuali.54

Anche Margaret Tarratt vede un carattere onirico nel “Creature film”, ma lo mette in relazione con le teorie psicoanalitiche freudiane piuttosto che con l’inquietudine o il senso di colpa riguardo al nuclea­ re. Parlando di film come La cosa da un altro mondo e A 30 milioni di km dalla Terra (Nathan Juran, 1957) da un punto di vista psicoanaliti­ co, si riferisce alle Creature di queste e di altre pellicole come alla rap­ presentazione dell’animalità irragionevole nascosta nell’uomo, che mi­ naccia l’armonia domestica e la sessualità contenuta e istituzionalizzata che l’accompagna. 1 temi di Tarrat riscontrati nei “Creature film” sono gli stessi di quelli horror. Individua nei “Creature film” alcune struttu­ re riconducibili agli studi di Freud sui sogni. Il protagonista (conside­ rato come individuo piuttosto che parte di un tutto collettivo) e la sua lotta con la Creatura sono “una drammatizzazione dell’inquietudine dell’individuo per i propri desideri sessuali repressi, che sono incom­ patibili con la morale della vita civile”55. In particolare nota che le an­ sie tematiche dei film sugli insetti sono l’impotenza e la frigidità, e vede la fobia che suscitano come “paura della castrazione e terrore della ma­ dre fallica”56. Per qualcuno interpretazioni del genere sembrano ecces­ sive, ma va fatto notare che in molti di questi film è evidente una gran­ de cura nella ricerca dei modo di impedire alla Regina della specie di accoppiarsi e riprodursi. L’analisi freudiana di Tarratt regge piuttosto bene anche per quei “Creature film” dove figurano soprattutto adole­ scenti nel ruolo di vittime e protagonisti (come Horror of Party Beach, [Del Tenney, 1964]); la loro lotta sembra, in modo abbastanza com­ prensibile, rivolgersi contro l’erompere degli impulsi sessuali, il che spiega perché questi film, per quanto scadenti, abbiano continuato ad avere successo e a essere realizzati per molto più tempo rispetto ai “Creature film” con protagonisti adulti. n 54 55 56

Murphy, p. 38. Baxter, p. 136. M. Tarratt, 1970-71, p.38. Ibid., p. 40.

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È Richard Hodgens, tuttavia, a dare il colpo di grazia a coloro che insistono nel definire pura fantascienza i “Creature film”, a causa delle loro teorie “scientifiche” sulla Bomba e dell’interpretazione della figu­ ra della Creatura come simbolo della stessa: Si può argomentare che tutti i Mostri atomici dei film di fantascienza siano simboli, e suppongo che lo siano, ma inadatti, inetti, o entrambe le cose. Se i creatori di queste pellicole avessero voluto esprimere dei giudizi sui problemi causati dalla bomba atomica, oppure sui sentimenti che ha susci­ tato, come suppongono alcuni critici benevoli, non avrebbero realizzato affatto film di mostri. 11 vantaggio più evidente della fantascienza e dei tre film citati sopra, [Hodgens considera esempi notevoli di fantascienza Five, di Arch Obler (1951), La fine del mondo, di Ranald McDougall (1959) e Lultima spiaggia di Stanley Kramer (1959)] è quello di poter trattare tali problemi e sentimenti estendendo la situazione al futuro e mostrandone possibili effetti o soluzioni. Non c’è alcun bisogno di analisi oblique o di una trama con un “simbolo” come causa prima. Uno scarafaggio di dodici tonnellate che divora una donna non rivela niente sulla bomba soltanto perché è anch’esso radioattivo, o perché arriva strisciando da un’area do­ ve ci sono stati esperimenti; i registi hanno semplicemente cercato di ren­ dere il loro mostro più spaventoso accostandolo a un tema serio.57

Della stessa opinione di Hodgens è Frank Hauser che, pur ricono­ scendone l’effetto inquietante, considera i “dinosauri, i Gozilla e i loro amici” poco più che “babau travestiti da minaccia atomica”58. La serie dei “Creature film” quindi, tende a essere rinnegata sia dai puristi dell’horror che da quelli della fantascienza. Tuttavia è ovvio che possieda alcuni elementi di entrambi i generi. Susan Sontag individua nei disastri e nelle distruzioni la caratteristica più importante di queste pellicole, ma non trascura l’inquietudine per il nucleare. Murphy li re­ puta rappresentazioni delle peculiari paure della società negli anni Cin­ quanta, quando “sembrava che in tutta l’America si scavasse in profon­ dità per costruire rifugi antiatomici, e i teologi discutevano se fosse mo­ rale sparare a un vicino contaminato dalle radiazioni sulla porta del ri­ fugio di famiglia”59. Ritiene che la funzione principale dei “Creature film” sia quella di rassicurarci sul fatto che “il soldato sia stato abbastan­ za capace e lo scienziato abbastanza saggio da prendersi cura di noi”60. Se questo tipo di film non tratta principalmente di scienze astratte o ap­ plicate (e spesso, in una certa misura, non mancano riflessioni su en'7 Hodgens, p. 37. F. Hauser, 1958, p. 89. Murphy, p. 38. Ibid., p. 39.

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SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI FANTASCIENZA

trambe), sicuramente tratta la scienza come forza sociale, come aspetto istituzionale della civiltà contemporanea. Pur non essendo film sulle te­ orie scientifiche o sulla Bomba, sono estremamente consapevoli del ruolo della scienza, vista come arma in mano al potere istituzionale, ed è proprio in questo senso che si possono considerare fantascienza. Passiamo ora al secondo tipo di antagonista che vive nel limbo, a metà strada fra l’horror e la fantascienza, il Mostro. Nei “Monster film” di fantascienza, si tratta di un essere umano che - molto spesso a causa di un incidente scientifico - diventa un Mostro e che, anche se a volte impazzisce prima della fine del film, è per gran parte del film par­ zialmente in grado di ragionare. A differenza del suo omologo, la Cre­ atura, le sue azioni hanno scopi e intenzioni. Il Mostro può essere uno scienziato, un gangster, un “eroe”, ma è quasi sempre un disadattato, nel senso che non si adegua al modo di vivere imposto dalla società, o non ubbidisce agli ordini, chiudendosi così in isolamento, lontano da) resto del mondo, in modo da essere lui solo contaminato. In The 4-D Man (Irving Yeaworth, 1959), per esempio, è membro di un istituto scientifico dove i ricercatori lavorano in gruppi. Il protagonista decide però di lavorare in segreto a un progetto che, unito ad altri fattori, tra i quali il più interessante è la sua propensione alla solitudine - alla fine

Figura 20

The 4-D Man (Irving Yeaworth, 1959). Il Mostro della fantascienza è quasi sempre un "disadattato" che non si adegua alle convenzioni e ai comportamenti imposti dalla società. A causa del suo isolamento è l’unico a essere contaminato. (Universal / Fairview)

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lo porta a trasformarsi da uomo in Mostro. In The Most Dangerous Man Alive (Allan Dwan, 1961), l’uomo a cui fa riferimento il titolo è un gangster che sfugge all’arresto per vendicarsi dei suoi complici: er­ rando per una zona desolata, viene esposto alle radiazioni di un’esplo­ sione atomica e si trasforma in un essere ibrido fatto di carne e di ac­ ciaio. Ne I giganti invadono la Terra (Bert I. Gordon, 1957), il prota­ gonista viene colpito dall’esplosione di una bomba al plutonio quando disubbidisce agli ordini del suo comandante e si precipita sul luogo dell’esperimento per salvare un altro essere umano. Nonostante la trasformazione o la mutazione siano sempre causato da radiazioni, le loro conseguenze sono molto simili alla manifestazio­ ne fisica della deformità spirituale che si trova nel cinema horror - il male nascosto nell’uomo che raggiunge la superfìcie e assume una for­ ma visibile. In molti “Monster film” di fantascienza, la punizione ap­ parentemente è adeguata al crimine; il Mostro è la manifestazione fisi­ ca di qualche difetto particolare - solitamente di natura asociale - già presente nell’essere umano prima della trasformazione e ciò a cui si as­ siste è una rappresentazione della giustizia ideale: la punizione del vi­ zio. L’invidia e uno stato d’animo tormentato obbligano lo scienziato di The 4-D Man a condurre esperimenti nella clandestinità e a compor­ tarsi in modo asociale; come Mostro diventa dipendente dalle “forze vitali” degli altri per sopravvivere: con un bacio trasforma una ragazza in una megera incredibilmente vecchia e rinsecchita. 11 protagonista di The Most Dangerous Man Alive, prima dell’esposizione accidentale alle radiazioni, è (in senso figurato) una persona dura e insensibile; dopo l’esplosione ciò che era metaforico diventa letterale, e il suo corpo, tra­ sformato in una combinazione molecolare di tessuti umani e acciaio, è in grado di assorbire i proiettili. Il comportamento eroico ma insidio­ samente individualistico del Colonnello che disubbidisce agli ordini ri­ cevuti ne I giganti invadono la Terra - nonostante sia apparentemente dettato dall’altruismo, poiché l’intento è di salvare un altro essere umano - può essere interpretato come prova di superbia, di orgoglio, di distacco dalla società: tale “eroismo” si traduce letteralmente in “grandezza” ed egli cresce fino ad assumere dimensioni tali che lo se­ parano dalla società e dal resto dell’umanità. John Denne, citato in precedenza, classifica i film il cui protagoni­ sta è un Mostro di questo tipo “Monster film di atmosfera”, che “pos­ sono essere interpretati come la lotta fra il bene e il male”61. Reputa il Mostro “protagonista, cattivo, asociale, dotato di forte coerenza mo­ rale nel comportamento”62. Anche Joe Kane rileva questo tema della *' Denne, p. 180. 61 Ibid.

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Mutazione-Contaminazione, e sostiene che uno dei suoi fattori essen­ ziali è l’isolamento dell’individuo63. Inoltre aggiunge che il ... messaggio che segue la distruzione solitamente ironica e ambigua... del mutante privato del mondo civile è sempre una variazione sul tema di “quando noi (oppure l’uomo o la Russia) impareremo a non interferire con le leggi della natura (o di Dio o degli Stati Uniti)”.64

In teoria quindi, il “Monster film” è molto simile al film horror: si interessa di un individuo isolato che - scienza o no - è in conflitto con la sua natura animalesca, che sfida la legge e che soffre e muore per i propri peccati. Il messaggio di questo tipo di film - a volte espresso esplicitamente - sembra tuttavia in sostanza, essere in contrasto con il mito di Faust piuttosto che con la scienza. Nel complesso, fa pensare al Dr. Jekyll e a Mr. Hyde o all’uomo lupo. In pratica, tuttavia, queste pellicole non sono così strettamente collegate a) cinema horror come potrebbe sembrare. È vero, sono pre­ senti tutti gli elementi giusti, ma il ruolo che viene loro assegnato - a parte le somiglianze nella struttura delle trame - è abbastanza trascu­ rabile. Anche se, per esempio, il protagonista de I giganti invadono la Terra si chiede: “Quale peccato potrebbe mai commettere un uomo in una sola vita per meritarsi questo?”, non dedica molto tempo a rispon­ dere alla domanda. L’argomento centrale del film non è la risposta a quella domanda. Non si tratta di violazioni delle leggi morali. Al con­ trario, vengono messi in evidenza nei dettagli gli effetti fìsici della tra­ sformazione - il procedere e il progredire del Mostro - e poca è l’at­ tenzione prestata al conflitto morale interiore. In tutti i casi, tranne quello del mutante-gangster, i film ignorano la colpa iniziale del Mo­ stro (la superbia, o il comportamento asociale). Il Mostro, in realtà, non è considerato vittima di se stesso - nonostante la sua mostruosità assuma una forma fìsica - ma di un incidente. Quindi, in tutte queste pellicole, è sempre necessario che il Mostro uccida parecchie persone prima che sembri moralmente giusto annientarlo. È malvagio per le co­ se che fa, non per quello che è. Il peccato e la colpa personale non sono mai questioni fondamentali in questi film, come sembrano esserlo nei loro corrispettivi del cinema horror; in questo tipo di “Monster film” esistono soltanto crimini contro la società, di solito giudicati dal punto di vista della quantità piuttosto che della qualità. L’omicidio di massa è peggiore di un solo omicidio; le distruzioni in grande sono più im­ morali di quelle più ridotte. L’idea del peccato e della colpa presente

63 Kanc, p. 9. 64 Ibid.

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nel cinema horror non è quasi mai presa in considerazione dai “Mon­ ster film” di fantascienza. Come conseguenza di questa mancanza di preoccupazione per il peccato e la colpa, la presentazione narrativa del Mostro della fanta­ scienza è quasi sempre obiettiva. Diventa un oggetto da guardare, non da compatire. Nonostante la presunta importanza dell’individuo, i pri­ mi piani del Mostro sono piuttosto rari e non si finisce mai con l’iden­ tificarsi granché con lui, né da umano né da mutante. Persino in film con personaggi apparentemente in grado di suscitare “simpatia” (I gi­ ganti invadono la Terra o ^esperimento del dottor K. (Kurt Neumann, 1958]) si è attratti dalle caratteristiche esteriori delle loro disavventu­ re, e non dalla loro psiche individuale. La macchina da presa mantiene le distanze. Non sanno ipnotizzarci come sa fare Dracula: non provia­ mo anche noi il loro dolore e le loro sofferenze, come accade per il Mostro di Frankenstein o per l’uomo lupo. La serie di “Creature film” degli anni Cinquanta e i “Monster film”, discussi in questa parte del libro, sono spesso considerati fonti di disagio. In primo luogo, in molti casi non si possono definire capo­ lavori. Inoltre, sono d’intralcio ai puristi di entrambi i generi, che ma­ gari riuscirebbero a trovarne una definizione precisa, se solo questi film non esistessero. E perfettamente naturale, perciò, che più degli altri siano presi di mira dalla critica e che siano - per la verità - spesso de­ testati, di solito per ragioni poco obiettive. Esistono tuttavia alcune pellicole eccezionali che assumono questa forma ibrida e non possono essere ignorate. I critici di fantascienza le isolano, con varie argomen­ tazioni forzate, da questa zona a metà strada fra fantascienza e horror e le inseriscono nella corrente principale dei film fantascientifici. Ma pellicole come La cosa da un altro mondo, Assalto alla Terra, Il mostro della laguna nera Qack Arnold, 1954), The Most Dangerous Man Ali­ ve, L’uomo dagli occhi a raggi X, (Roger Corman, 1963) e La notte dei morti viventi (George Romero, 1968) non sono né horror né fanta­ scienza. Non è possibile ignorarli o depurarli. L’obiettivo del prossimo paragrafo sarà quello di riuscire a dare una valutazione più misurata di questi film ibridi, trovando una definizione di fantascienza che, invece di esserne minacciata, possa fare posto anche a loro.

Magia, scienza e religione: verso una sintesi e una definizione Nel campo della critica cinematografica sulla fantascienza esistono due schieramenti che, ognuno a modo suo, hanno reso più difficile giungere a una definizione significativa del genere. Il primo considera il cinema di fantascienza “ideale” qualcosa di opposto e completamen-

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figura 21

L’esperimento del dottor K (Kurt Neumann, 1958). Anche quando il Mostro apparentemente suscita partecipazione, si guarda alle azioni che compie e non alla sua psiche. (20th Century Fox)

Figura 22

II mostro della laguna nera (Jack Arnold, 1954). Foto pubblicitaria. Le serie di film con Creature e Mostri sono forme ibride, né horror né fantascienza. (Universal)

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Figura 23

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L’uomo dagli occhi a raggi X (Roger Corman, 1953). Il messaggio dei "Monster film" è contrario al mito di Faust più che alla scienza in quanto tale. Il protagonista-antagonista sfida la società, soffre, infine muore per i peccati commessi. (American International)

te distinto dal cinema horror; esclude i cosiddetti film di fantascienza che mettono in scena esplicitamente o subdolamente componenti privi di fondamenti empirici, come la superstizione, il misticismo o la reli­ gione (il magico e il miracoloso), spesso associati al cinema horror. Il purista considera la fantascienza una sorta di “‘neorealismo’ profetico, avvalorato dalla realtà che segue il fatto”65. Il secondo schieramento considera il cinema di fantascienza un sostituto moderno, un successo­ re del cinema horror, da cui nasce per poi prenderne il posto; il magico e il miracoloso diventano - semplicemente - l’empiricamente spiega­ bile. In questo modo, Robert Brustein è in grado di confermare la teo­ ria di Michel Laclos secondo la quale i robot sono soltanto zombie comprensibili: 11 Dr. Faust, alchimista evocatore del diavolo, cede il passo al Dr. Franken­ stein, medico ricercatore, mentre il cerchio magico, il tetragramma e la luSiclier e Labarthe, p. 124. Tradotto dal francese : que, que la realité vieni corroborer aprés coup”.

un ‘néo-realisme’ prophéti-

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na piena vengono sostituiti dalle provette, da complicati apparecchi elet­ trici e dai becchi Bunsen.66

Purtroppo, tuttavia, entrambi i punti di vista sono troppo elemen­ tari per essere convincenti e non esplorano i legami che sono sempre esistiti nella società (e nelle arti che ne sono (’espressione) tra magia, religione e scienza; collegamenti che esistevano nelle comunità più pri­ mitive ed esistono ancora in quelle più complesse. I due schieramenti tendono a concentrarsi soprattutto sugli elementi più marginali dei film, come se fossero fondamentali per identificare le differenze fra i due generi, il loro stile, i temi e gli elementi visivamente più importan­ ti. Entrambi gli schieramenti si trovano in difficoltà nel trattare la na­ tura paradossale delle pellicole in questione. Senza dubbio 2001: Odissea nello Spazio, per esempio, può essere considerato alla luce delle sue estrapolazioni sulla tecnica, dei suoi ele­ menti più superflui, come un sogno per il purista; si tratta anzi, in un certo senso, di neorealismo profetico. Tuttavia, al purista sarebbe im­ possibile interpretare la rappresentazione enigmatica del Monolito co­ me qualcosa di diverso da un espediente di origine empirica, un tour de force tecnologico compiuto da una civiltà “superiore”, nonostante nel film sia circondato da connotazioni religiose e trascendentali (cori celesti e via discorrendo). Il critico purista si trova nella scomoda po­ sizione di dover negare le conseguenze fondamentalmente mistiche della Terza Legge di Arthur C. Clarke, che dice: “Qualunque tecnolo­ gia sufficientemente progredita è indistinguibile dalla magia”67. Non riesce neanche a prendere in considerazione agevolmente i possibili si­ gnificati alternativi o molteplici che vanno oltre ciò che vede e sente. Chissà come reagirebbe a questa provocatoria intenzione critica dei film di fantascienza sullo spazio e gli astronauti data da Mandell e Fin­ geste n: Vediamo che la nuova mitologia è un’ingegnosa sostituzione punto per punto delle dottrine religiose tradizionali con concetti “moderni”... l’astronave... prende il posto della chiesa come fonte di salvezza... il pilo­ ta o navigatore spaziale guida la sua comunità di santi come un salvatore... la plancia portastrumenti e le spie di controllo diventano importanti e au­ torevoli quanto le icone e i sacramenti... la fede viene riposta nell’efficien­ za tecnica...la conquista dello spazio, l’emersione per mezzo delle forze gravitazionali, sono una sorta di battesimo, di iniziazione che conduce al punto cruciale, verso i misteri del cielo.68

66 R. Brustein, 1958, pp. 288-89. 67 Arthur C. Clarke in A. Rosenfeld, 1951, p. 35. 68 S. xMandell e P. Fingesten, pp. 25, 28.

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Anche i critici del secondo gruppo hanno i loro problemi. Asserire che il cinema di fantascienza è l'equivalente moderno del cinema hor­ ror ha abbastanza senso finché non ci si rende conto che il cinema hor­ ror - e l’importanza che dà a elementi mitici, magici e religiosi - esiste tuttora ed è vitale, poiché evidentemente corrisponde ad alcune esi­ genze che esistono ancora seppure in una società pragmatica e ad alto livello tecnologico. Ivan Butler fa notare che: L’interesse apparentemente perenne per il cinema horror, fantastico e so­ prannaturale è un fenomeno straordinario in un’epoca che sempre più ri­ fiuta le credenze religiose e sostiene i valori materialistici della scienza e delia tecnologia. Affermare che nessuno prenda sul serio storie del genere è dato per scontato. Ma non è del tutto vero e, se io fosse, non farebbe al­ tro che complicare una possibile spiegazione del loro fascino. Non è vero neanche che ne vengano realizzati in abbondanza solo perché vampiri, fantasmi e mostri spesso sono estremamente fotogenici e forniscono facili pretesti per inquadrature a effetto, a sfondo sadico o erotico. Piuttosto, è come se, nonostante si affermi il trionfo del buonsenso sulla superstizione, qualcosa nel nostro inconscio fosse restio ad abbandonare le antiche cre­ denze, “l’antica religione” dei nostri antenati meno illuminati ma forse più fantasiosi.69

A favore dell’affermazione di Butler, basta prendere in considera­ zione l'attuale moltitudine di serie televisive e film che trattano di pos­ sessioni demoniache, pratiche occulte, stregoneria. Inoltre, come ri­ sposta giustificata dal punto di vista poetico a quei critici che ritengono che le pellicole di fantascienza abbiano preso il posto di quelle horror, perché più “realistiche” e quindi più credibili per gli spettatori contem­ poranei, Stanley Kubrick fa la seguente osservazione: Nel XX secolo ci si occupa sempre più di magia, esperienze mistiche, spin­ te verso il trascendente, droghe allucinogene; si rafforza la convinzione che esista un’intelligenza extraterrestre eccetera, cosicché, in questo sen­ so, la fantasia, il soprannaturale, il documentario magico, chiamatelo co­ me volete, è più vicino all’orientamento dei tempi di quanto non lo sia il naturalismo.70

Considerando la reale complessità dei film in questione, inoltre, non sembra sufficiente dire che il cinema horror ha per tema la magia e la religione e il cinema di fantascienza la scienza. E importante rico­ noscere che entrambi i generi comportano un’interazione tra magia, scienza e religione - e che l’unica cosa che li separa davvero è l’enfasi 6* I. Butler, 1971, p. 11. 70 Stanley Kubrick in A. Walker, 1971, p. 15.

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Figura 24

SPAZIO t TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

The Dunwich Horror (Daniel Haller, 1969). Non sembra sufficiente dire che il cinema horror ha per tema la magia e la religione e il cinema di fantscienza la scienza. 1 due generi presentano spesso la coesistenza di tutti e tre gli elementi. (American International)

maggiore riservata al sacro oppure al profano. Non si può in realtà af­ fermare, vedendo queste pellicole, che nel cinema horror la scienza sia assente, che i soggetti non siano credibili da un punto di vista empirico, così come non si può affermare che magia e religione non abbiano al­ cun ruolo nel cinema di fantascienza. Piuttosto che tentare in modo fu­ tile di isolare un genere dall’altro, è molto più utile ai fini della critica considerarli come i due estremi di uno spettro. Se il cinema horror rap­ presenta gli infrarossi (con i suoi ardori morali, i suoi temi religiosi e magici), allora il cinema di fantascienza rappresenta gli ultravioletti (freddo e intellettuale, dalle inclinazioni empiriche). Fra di loro, tutta­ via, esiste un’intera gamma di film che simboleggiano tutti i colori per­ cettibili all’occhio umano, fondendosi l’uno con l’altro da un estremo dello spettro all’altro, racchiudendo contemporaneamente la soggetti­ vità e l’oggettività, la magia, la religione e la scienza con un’intensità di grado variabile. Siccome quasi tutti i film compresi nel campo che va dall’horror al­ la fantascienza sono caratterizzati da componenti di magia, religione e scienza, non è particolarmente illuminante - al fine di trovare una de­ finizione e per compiere un’analisi - osservarne la comparsa e calcolar­ ne matematicamente le percentuali in un determinato film. Per riuscire a individuare delle distinzioni significative è molto più importante ten­ tare di valutare e di analizzare la funzione - non semplicemente la pre-

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senza e la portata - di ciascuna. In quanto fenomeni sociali e fondamenta delle istituzioni della società, la magia, la scienza e la religione sono collegate e coesistenti, ma hanno ruoli diversi, poiché rispondono a esigenze diverse. Pertanto non sono solo astrazioni. Rappresentano orientamenti di condotta oltre che teorie dogmatiche. L’antropologo Bronislaw Malinowski, nell’affascinante saggio “Magic, Science and Religion”, prende in esame il ruolo di questi tre sistemi dogmatici all’interno della cultura, mettendone in rilievo le evi­ denti analogie, assieme alle differenze. Considerare queste analogie e differenze aiuta a spiegare perché i critici si sentano in dovere di sepa­ rare i due generi cinematografici sulla base delle differenze. Analizzan­ done le analogie, tuttavia, si spiega anche perché sia impossibile stac­ carli completamente l’uno dall’altro. Magia, scienza e religione agisco­ no in stretta connessione nel cinema di fantascienza come nella società, rispondendo alle nostre esigenze di ottenere risposte comprensibili a domande di ordine cosmico. Tutte e tre - in qualche modo - tentano di riconciliare l’uomo con l’ignoto. Innanzitutto, Malinowski considera la magia simile alla scienza da molti punti di vista: La magia è simile alla scienza perché ha sempre uno scopo definito pro­ fondamente connesso con gli istinti, le esigenze, le attività dell’uomo. Le arti magiche mirano a raggiungere scopi pratici... sono anch’esse dirette da una teoria, da un sistema di principi che dettano il modo in cui agire per renderle efficaci.7’

Qual è, allora, la funzione culturale (e probabilmente cinematogra­ fica) della magia? La magia, come la scienza, è fondamentalmente ba­ sata sull’ottimismo - un sistema dogmatico fondato sull’ipotesi che l’uomo sia in grado di influire sull’ambiente e sul suo stesso destino. La magia, come la scienza, dipende da un procedimento e dai risultati. Perciò da un lato è possibile considerare il Dr. Praetorius, quasi come un alchimista, che osserva gli esseri umani vivi che ha rimpicciolito in La moglie di Frankenstein (un film horror), simile al protagonista di The 4-D Man che, nel suo laboratorio, tenta di fare passare una matita attraverso l’acciaio. D’altro canto, ciò che distingue la magia dalla scienza, il cinema horror dal cinema di fantascienza, in fin dei conti, sta nella conoscenza di procedimenti e risultati, in ciò che si sa su causa ed effetto. Il Dr. Praetorius è fondamentalmente un mago, uno stregone, non perché sia in grado di rimpicciolire gli essere umani e metterli sot­ to una campana di vetro, ma perché non si capisce né si vede come ci sia riuscito; il film si concentra solo sul risultato di un processo invisi71

B. Malinowski, 1948, p. 66.

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Figura 25

La moglie di Frankenstein (James Whale, 1935). Il Dr. Praetorius è es­ senzialmente un mago, un alchimista, non solo perché è in grado di rimpicciolire gli esseri umani, ma perché non si capisce né si vede co­ me ci sia riuscito. (Universal)

Figura 26

L’esperimento del dottor K (Kurt Neumann, 1958). Il protagonista è uno scienziato e il film è di fantascienza, perché tenta di spiegare e mettere in scena un esperimento che lo spettatore dovrebbe essere in grado di capire. (20th Century Fox)

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bile che va accettato sulla fiducia, quindi (il risultato) è magico. A dif­ ferenza del Dr. Praetorius, l’uomo a quattro dimensioni è uno scienzia­ to, perché il film tenta di spiegare “come fa” e allestisce la rappresen­ tazione di un procedimento che noi, gli spettatori, possiamo capire o fingere di capire. (Il fatto che le premesse scientifiche possano essere false dipende dalle loro elaborazioni empiriche in ogni determinato film.) Magia, quindi, è un termine che nasce dalla nostra ignoranza col­ lettiva di qualcosa che comunque funziona. Ovviamente il procedimento misterioso - anche se ritualizzato che chiamiamo magia opera ed è al servizio della società (e dei film horror e di fantascienza che hanno in qualche modo a che fare con la società), in settori che è impossibile trattare con procedimenti provati scientificamente. La magia risponde a un’esigenza che nasce quando la logica e il sogno sono incompatibili, quando il tentativo pratico e il ri­ sultato desiderato sembrano non coincidere. La funzione della magia è - come conclude Malinowski - “rendere rituale l’ottimismo dell’uo­ mo, accrescere la sua fiducia nella vittoria della speranza sulla pau­ ra”72. Ciò che distingue la superstizione o magia di ieri dalla realtà scientifica di oggi o di domani, e dunque ciò che distingue il cinema horror o fantastico dal cinema di fantascienza, è la quantità di fede che si pretende dagli spettatori. L’importanza accordata alla fede, naturalmente, è ciò che collega principalmente la magia alla religione, nella società e nel cinema. Ma la cosa che distingue la magia dalla religione è la funzione del rituale; il rituale religioso - a differenza del rituale magico che mira a ottenere risultati concreti e pratici - non cerca di influenzare l’uomo e la natura in modo pragmatico. Celebra ciò che è, il fatto compiuto. In questo senso, la religione è un sistema dogmatico pessimista; l’uomo è consi­ derato incapace di gestire il proprio destino o quello dell’ambiente che lo circonda e non deve avere fede nell’efficacia dei risultati ottenuti at­ traverso procedimenti scientifici, ma nella benevolenza di una forza su­ periore, una Divinità che dispensa premi o li toglie, senza una ragione logica, senza rispettare un procedimento o un rituale. I rituali magici mostrano fede nel procedimento stesso; il rituale religioso, invece, ne­ ga l’importanza del procedimento e sostiene solo la fede. Nonostante queste differenze, sia la magia che la religione: ... nascono e agiscono in situazioni di tensione emotiva... Entrambe... aprono vie di fuga da situazioni senza vie d’uscita empiriche, che non sia­ no attraverso il rituale e la credenza nel dominio del soprannaturale... Sia la magia che la religione si basano rigorosamente su tradizioni mitologiche

72 Ibid., p. 70.

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ed entrambe esistono in un’atmosfera miracolosa, di costante rivelazione del loro potere di operare prodigi.73

Malgrado le analogie, la funzione culturale della religione è l’op­ posto della funzione culturale della magia. Essendo fondata su presup­ posti negativi e pessimistici sulla capacità dell’uomo di controllare il proprio destino o di incidere su di esso, la funzione della religione è quella di confermare socialmente e rendere sopportabili le inadegua­ tezze dell’uomo. Questo si traduce in un’attività di gruppo che riunisce gli uomini in assemblee, allo scopo di controllare la paura e il terrore dell’inevitabile, dell’incontrollabile, dell’ignoto. Quindi, è giusto (e mimetizzante) che il cinema di fantascienza ricorra alla religione e alla magia per rimediare alle proprie pecche narrative, che dia risposte non empiriche a quelle domande empiriche che i suoi personaggi-scienziati e il suo ordine sociale non sono in grado di soddisfare adeguatamente. Quando la società immaginaria di un film di fantascienza è costretta ad affrontare le proprie inadeguatezze, la propria incapacità di gestire o di tenere sotto controllo l’ignoto e l’intollerabile, allora (come nella vi­ ta “reale”) quella società allo stesso tempo nasconderà e celebrerà la sua inefficacia raccogliendosi e rendendo sacro il proprio fallimento. Niente e nessuno è in grado di fermare il furibondo attacco dei Mar­ ziani ne La guerra dei mondi (Byron Haskin, 1953); è plausibile, per­ ciò, che il film finisca con i sopravvissuti che si riuniscono nelle chiese, a pregare e cantare in segno di accettazione delle proprie inadeguatez­ ze e del proprio tragico destino incombente - mentre fuori i Marziani vengono fermati e distrutti dai batteri, i germi, che il narratore defini­ sce “le cose più piccole che Dio nella Sua saggezza abbia creato”. Ana­ logo è il culto religioso della società di mutanti per una bomba nucle­ are ne L'altra faccia del Pianeta delle Scimmie (Ted Post, 1970). L’an­ nientamento totale, in fin dei conti, è inconoscibile, inimmaginabile e un oggetto di origine umana come la bomba, che ricorda agli uomini quanto il loro destino sia impossibile da dominare (come la loro sto­ ria), è di per sé destinato a rigor di logica a diventare un’icona religio­ sa, un simbolo della Divinità oltre che una testata nucleare. Visivamen­ te e ironicamente, la bomba somiglia a una croce rovesciata; la scienza viene così trasformata alchemicamente in religione (con un precipitato di collegamenti con la magia del Satanismo). Anche la scienza esige qui una definizione - anche se meno appro­ fondita. (Dopo tutto, è presumibilmente meno oscura sia della magia sia della religione.) La scienza - con l’osservazione, la sperimentazione, la critica logica e l’innovazione - affronta il problema della paura 73 Ibid., pp. 67-68.

I CONFINI DEI. CENERI-: DEFINIZIONI E TEMI

Figura 17

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Zardoz (John Boorman, 1974). La religione è un insieme di teorie dogmatiche pessimistiche. L’uomo è considerato incapace di control­ lare il proprio destino e deve avere fede non nelle proprie azioni ma in una Divinità dispensatrice di premi o di punizioni. (ZOth Century Fox)

dell’uomo nei confronti dell’incontrollabile, controllando praticamen­ te quello che può attraverso la tecnologia. La scienza è un sistema dog­ matico, la tecnologia una modalità dell’azione che ha lo scopo di supe­ rare le inadeguatezze fisiche dell’uomo. La funzione culturale della scienza quindi, “rendendo familiare all’uomo il proprio ambiente e permettendogli di servirsi delle forze della natura”74, è dare prove em­ piriche alla fede ottimistica dell’uomo nella sua supremazia biologica, la sua capacità di dominare e condizionare se stesso e il suo ambiente come nessun altra forma di vita terrestre riesce a fare. In breve, la fun­ zione culturale della scienza è rendere empirico l’ottimismo umano. Questi tre sistemi di credenze e modalità dell’azione esistono, co­ me ha messo in evidenza Malinowski, in tutte le società, svolgendo di­ verse funzioni specifiche, ma sovrapponendosi in modo velato o mani­ festo. Tuttavia, quello che avvicina maggiormente magia, religione e scienza e che crea un legame profondo e definitivo tra loro, nonostante le differenze, è il fatto che tutte e tre tentino di descrivere e di affron­ tare l’ignoto in maniera tale da soddisfare l’umano desiderio di sicu-

'* Ibid., p. 69.

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rezza e di dominio. Poiché tutte e tre le modalità dell’azione condizio­ nano l’uomo, interagiscono costantemente in ogni tipo di società, collaborando o lottando tra loro per il predominio. E siccome si occupa­ no tutte dell’ignoto, laddove una fallisce, ne interviene un’altra. Per­ ciò, non c’è da stupirsi che nel mondo altamente tecnologizzato e com­ plesso di oggi la magia e la religione prosperino ancora. La pertinenza delle osservazioni di Malinowski con la fantascienza dovrebbe essere evidente. Semmai la fantascienza avesse come argo­ mento la scienza, non si tratterebbe di scienza astratta, fuori dalla real­ tà. Nel cinema di fantascienza, la scienza è sempre connessa alla società e i suoi aspetti positivi e negativi sono considerati alla luce dei loro ef­ fetti su di essa. Affrontata in questo modo, la scienza è destinata a inte­ ragire con altre strutture, istituzioni, modalità dell’azione della società, e, in particolare, con la magia e la religione. Di conseguenza, nonostan­ te sentano l’esigenza di distinguere la magia e la religione dalla scienza, i critici che si occupano di fantascienza (al cinema o in letteratura) sono propensi ad adottare un vocabolario “misto” che indica chiaramente questa interazione; in un certo senso, non riescono a evitarlo. Definire “icone” le spie di controllo e “sacramenti” la loro manipolazione, op­ pure mettere insieme impulsi apparentemente opposti per creare il lin­ guaggio scelto intelligentemente da Kubrick quando parla di “docu­ mentario magico”, è tanto naturale quanto la combinazione e l’influen­ za reciproca esistente fra magia, religione e scienza nella società stessa. Gli elementi magici e religiosi del cinema horror sono presenti nel ci­ nema di fantascienza quanto la scienza nel cinema horror: esistono in quanto sfumature in uno spettro di esigenze, muovendosi da un’estre­ mità all’altra, spostando l’enfasi dalla magia e la religione alla scienza o posti a metà strada in una sorta di stasi tra i due poli. Le definizioni di fantascienza citate all’inizio di questo capitolo non sono sbagliate; tuttavia sono inadeguate. L’enfasi che pongono sul­ la scienza, l’empirismo e la tecnologia e il loro rapporto con l’uomo è giusta, ma non abbastanza approfondita. Ignorano un fattore estremamente importante che va aggiunto a qualunque definizione di fanta­ scienza, affinché comprenda significativamente tutti quei film di solito esclusi da scrittori e critici del settore che vogliono depurare il genere dai suoi elementi raccapriccianti. Occorre una definizione di fanta­ scienza che riconosca di buon grado che queste forme ibride fanno par­ te di uno spettro che oscilla costantemente tra il sacro e il profano. Una simile definizione potrebbe essere la seguente: il cinema di fantascienza è un genere che enfatizza le scienze reali, induttive o speculative e il metodo empirico, che interagiscono in un contesto sociale con il tra­ scendentalismo meno enfatizzato, ma sempre presente, della magia e della religione, in un tentativo di riconciliare l’uomo con l’ignoto.

Capitolo 2

Immagini di meraviglia Lo stile della fantascienza

Molto si è scritto sulle immagini dei film di fantascienza, ma il più delle volte ciò che è stato scritto ha un’impronta più descrittiva che analitica. Ci si è dedicati poco alla riflessione sulla natura delle imma­ gini e sul loro ruolo nella creazione di un genere cinematografico che - per il suo contenuto fotografico - è diverso da tutti gli altri. Piuttosto, di solito le discussioni sull’aspetto visivo dei film sono parse degenerare in un gioco divertente ma sterile dal punto di vista critico, molto amato dagli appassionati di cinema: “Scambia la sequenza” o “il Robot che vi piace ricordare”. Anche se non bisogna assolutamente sentirsi in colpa per il fatto di scambiarsi immagini che si ricordano con nostalgia come se fossero figurine da collezione, sembra giunto il momento di superare sia la propria abilità nel gioco sia la nostalgia, per scoprire come queste immagini - per quanto riguarda il contenuto e la forma - riescano a rendere unico il cinema di fantascienza. Che cosa hanno in comune, ammesso che ci sia qualcosa, tutti i film dal punto di vista visivo?

Iconografia Un modo di affrontare le immagini dei film di genere (specialmen­ te i film Western e quelli di Gangster) è quello iconografico. Jim Kitses, uno dei primi critici a prendere in considerazione il rapporto fra l’ico­ nografìa e il cinema di genere in Horizons West, spiega così le origini di questo modo di affrontare la questione: “Come conseguenza della produzione di massa, la componente tempo e il rapporto dialettico tra storia e archetipo, i personaggi, le situazioni e le azioni possono assu­ mere una forza emblematica”1. Colin McArthur, in Underworld1 1 J. Kitses, Horizons West, 1969, p. 25.

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U.S.A., sottolinea la “continuità nel corso di parecchi decenni, di mo­ tivi visivi, di oggetti e figure ricorrenti in una relazione dinamica” che “potrebbe essere definita l’iconografìa del genere”2. McArthur conti­ nua: “Si possono suddividere i motivi ricorrenti in tre categorie: quelli legati all’aspetto fìsico, alle caratteristiche e al modo di vestire degli at­ tori e dei personaggi che interpretano; quelli che derivano dall’am­ biente in cui agiscono i personaggi e quelli connessi con la tecnologia a loro disposizione”3. In certi gruppi di film quindi, gli elementi visivi, che rivelano - e spesso impongono - un personaggio, una situazione e un’azione, sono stati analizzati non solo in quanto elementi che collegano i vari film, ma anche come portatori di significati e sfumature emotive al di là del­ le loro particolarità fisiche. Siccome questi elementi continuano ad ap­ parire film dopo film, sono diventati convenzioni visive, icone, codici figurati, rapidissimi da consultare dal punto di vista iconografico sia per i registi che per gli spettatori4. La topografia del West (ambientata negli Stati Uniti o in Spagna) non rappresenta soltanto un luogo qua­ lunque; al di là della peculiarità dei calanchi, delle montagne, dei ter­ reni da pascolo, del deserto, il suo aspetto suscita nello spettatore as­ sociazioni di idee che, forse, hanno origini più metafisiche che stori­ che. La stessa cosa vale per la città del Gangster film: edifici e vicoli, tetti e scale antincendio raccolgono attorno a sé un insieme di signifi­ cati e di azioni non ancora successe, con echi emotivi che non hanno molto a che fare con gli stessi elementi reali messi in scena, per esem­ pio, in una commedia di ambientazione cittadina, come Un colpo di fortuna (1940) di Preston Sturges, o in un musical ambientato in città, come West Side Story (1961) di Robert Wise. Anche i costumi e gli at­ trezzi diventano oggetti di importanza totemica: la pistola del Western ha un peso diverso ed è di tipo diverso da quella del film di gangster. Forse è questo riconoscimento iconografico che Michael Butor cerca di spiegare quando, tentando di definire la fantascienza, pensa sia sufficiente dire: “Sai, quelle storie che parlano sempre di razzi interpla­ netari”5. La sua affermazione comunque, ci porta a una questione cru­ ciale per considerare il cinema di fantascienza dal punto di vista icono­ grafico. Butor stesso riconosce che i razzi non sono - di per sé - indi2 C. McArthur, 1972, p. 24. ’ Ibid., p. 25. 4 Per ulteriori osservazioni sugli aspetti teorici dell’iconografia dei film di genere, si vedano “The Idea of Genre in the American Cinema”, di Edward Buscombe, The Six-Gun Mystique di John Cawelti e “The Notion of Genre” di Tom Ryall, citati in Bibliografia. 5 Michael Butor, “Science Fiction: The Crisis of its Growth", in T. Ciarcson, 1971, p. 157.

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Figura 28

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Guerre stellari (George Lucas, Ì977). Iconografia fantascientifica: quelle storie che parlano sempre di razzi interplanetari. Anche se que­ sti oggetti evocano il genere, non sono essenziali per definirlo. (2Oth Century Fox)

spensabili alla fantascienza6. Si potrebbe compilare una lista di “ogget­ ti” fantascientifici simili, come l’astronave, che certamente evocano il genere, ma che - specificamente e fisicamente - non sono essenziali ad esso: Il Pianeta Inesplorato, il Robot, il Laboratorio, gli Isotopi Radio­ attivi e i Dispositivi Atomici. D’altro canto, è estremamente difficile pensare a un Western che non sia ambientato in un “West” rappresen­ tato visivamente con pistole e cavalli, o ricordare un Gangster film che non abbia una scena di nightclub o nel quale non compaiano pistole e automobili. Queste ambientazioni e questi oggetti hanno un ruolo con­ cretamente essenziale per questi due generi e la loro portata iconogra­ fica sembra prontamente accessibile e comprensibile perché sono pre­ senti e ci mandano gli stessi messaggi in quasi tutti i film. E anche molto significativo che entrambi i generi siano circoscritti visivamente dall’appartenenza a un determinato periodo storico, il Western ancora più del Gangster film. Questo collegamento di situa­ zione e personaggi, oggetti, ambientazioni e costumi a un passato spe­ cifico crea dei confini visivi per decidere che cosa e in quale contesto si debba fotografare. Questa consapevolezza storica, che porta a una 6 Ibid.

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Figura 29

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2002, la seconda Odissea (Douglas Trumbull, 1972). L’immagine di un 'astronave non raccoglie intorno a sé un insieme coerente ai signi­ ficati. (Universa!)

autenticità, immaginaria se non reale, esige di essere ripetuta e dà co­ erenza a questi generi. Ciò non vale, tuttavia, per il cinema di fanta­ scienza, un genere che non dipende in modo preciso dal tempo e/o dal luogo reale. Esiste quindi, una ragione evidente perché la maggior par­ te degli studi iconografici si sia concentrata sul Western e sul Gangster film. E semplice: questi generi si svolgono in un contesto specifico vi­ sivamente identificabile e coerente, e gli oggetti che compaiono in que­ sti film acquistano un senso non soltanto attraverso la ripetizione, ma anche perché hanno una funzione molto più circoscritta c limitata ri­ spetto agli oggetti che compaiono in altri generi. Questa limitazione di significato non va assolutamente considerata uno svantaggio cinemato­ grafico, estetico o tematico, ma serve a evidenziare il perché un’analisi iconografica assolva una funzione critica meno efficace quando viene usata come metodo per cercare significati in ambientazioni e oggetti in altri generi cinematografici meno legati alla storia. Prendiamo in considerazione, per esempio, la ferrovia - icona ri­ corrente, anche se non obbligatoria, del western. I significati suggeriti dalla sua comparsa sullo schermo sono complessi e paradossali, ma hanno anche una portata circoscritta da film a film. La ferrovia non è

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soltanto la sua manifestazione materiale, è il progresso e la civiltà. Mi­ naccia il territorio incontaminato, la libertà del West e l’iniziativa indi­ viduale, ma promette i vantaggi della vita civile e porta l’influsso gen­ tile dell’eroina che viene dall’Est, suona il piano e usa una sella all’in­ glese, se monta a cavallo. L’ambiguità e il paradosso presenti nelle im­ magini del cavallo di ferro del Western sono profondi quanto i nostri sentimenti contrastanti nei confronti della civiltà e del progresso, ma sono anche limitati ad essi. La ferrovia non è sostituibile con altri mezzi di trasporto nel Western; i suoi significati non sono quelli che caratte­ rizzano le immagini di una diligenza, di un cavallo o di un carro. Dai suoi primi sbuffi muti al suo attuale fragore, la ferrovia nella storia del film Western non è cambiata nella sua peculiarità esteriore né nella sua importanza particolare: è certamente un’icona. Prendiamo adesso in considerazione una delle icone più forti del cinema di fantascienza: l’astronave. Qualunque analisi su questo gene­ re di film porta inesorabilmente alla conclusione che l’immagine di un’astronave non raccolga intorno a sé un insieme coerente di signifi­ cati. Le rappresentazioni visive dell’astronave variano da film a film a volte cambiano persino nello stesso film. Al di là del fatto che la pre­ senza sullo schermo di un’astronave segnala allo spettatore che sta guardando un film non ambientato nel presente (anche se è un segnale che si sta indebolendo perché ormai i voli spaziali sono una realtà), non esiste un significato costante evocato da quella immagine; non es­ sendo unico il significato, l’oggetto si carica di “forza simbolica” solo in minima parte film dopo film. Esistono film, per esempio, che danno un’immagine affettuosa, po­ sitiva, ottimistica dell’astronave. Non c’è dubbio che la tecnologia in grado di creare un giocattolo di tale splendore sia “buona” (anche se questa bontà non è necessariamente estesa agli uomini che l’hanno cre­ ata né a quelli che la usano). L’astronave stessa è “buona”. È bella este­ ticamente. E divertente giocarci. Promette avventure sicure, una libe­ razione estatica dalle esigenze gravitazionali della Terra, e può allonta­ narci da noi stessi e dalla complessità della vita sul nostro pianeta, por­ tarci verso nuovi paradisi e verso la rigenerazione. In Uomini sulla Lu­ na (Irving Pichel, 1950), l’argentea lucentezza dell’astronave a un solo stadio creata da Ernest Fegté brilla in modo quasi palpabile contro la bellezza scurissima e tempestata di stelle di uno spazio misterioso ma benevolo; è di una bellezza mozzafiato, solenne, ma allo stesso tempo luminosamente confortante, come la luce accesa di notte nella camera di un bambino. All’interno dell’astronave l’equipaggio si diverte in as­ senza di gravità, giocando come bambini in libertà nel cortile della scuola. Quando i mondi si scontrano (Rudolph Maté, 1951), anche se la trama e i temi fanno pensare a quella che John Baxter definisce “una

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Figura 30

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI I AN LASCI ENZA

Quando i mondi si scontrano (Rudolph Maté, 1951). Il film dà un "im­ magine positiva dell'astronave, un’“arca di Noè interplanetaria”. (Pa­ ramount)

visione dell’Armageddon tipicamente anni Trenta”7, propone l’imma­ gine ottimistica di un’astronave “Arca di Noè interplanetaria”8, desti­ nata al trasporto di un gruppo di potenziali coloni dalla Terra, condan­ nata alla distruzione, verso un nuovo mondo. L’astronave - più ton­ deggiante di quella che la precede in Uomini sulla Luna - è visivamente separata dal caos e dai conflitti che hanno luogo sulla Terra. Una volta ultimata, è appoggiata orizzontalmente sulla sua piattaforma di lancio sul versante di un monte, in posizione elevata rispetto alla confusione, e “brilla come se fosse d’oro, mentre il cielo è sempre a[ tramonto”9. Promette visivamente, in netto contrasto con le sfumature color aran­ cio, più spente, della Terra, un’alba dorata. Tra gli altri film, che cele­ brano visivamente l’astronave e si soffermano sulla sua superficie con una meraviglia fotografica carezzevole che esclude interpretazioni am­ bigue sul suo valore fondamentale, ci sono La conquista dello spazio (Byron Haskin, 1955), con la sua messa in scena sontuosa di decolli, manovre e atterraggi, e II pianeta proibito (Fred Wilcox, 1956), con il

7 J. Baxter, 1970, p. 150. K J. Siclier e A.S. I.abarthe, 1958, p. 62. * Baxter, p. 151.

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Figura 31

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11 pianeta proibito (Fred Wilcox, 1956). Questo disco volante funzio­ nante a “super-energia" è un’altra immagine celebrativa dell'astrona­ ve. (Metro-Goldivyn-Mayer)

suo “splendido disco volante”1011 che funziona a “superenergia quantogravitetica e trasformazione postonica”11. Tuttavia, l’astronave ha un lato malvagio. In molti film è una trap­ pola da cui c’è poca speranza di fuga. La sua lucentezza è visivamente fredda e minacciosa, le sue superfici sono ostili al calore umano. Fun­ ziona in maniera meccanica e perfetta, ignorando chi l’ha creata e chi la manovra - oppure i suoi malfunzionamenti hanno intenzioni male­ vole, quasi come se potesse scegliere di comportarsi diversamente ma preferisse sbarazzarsi dei suoi passeggeri umani, primitivi ed emotiva­ mente imperfetti. Invece di brillare come una luce notturna, luccica fredda come la lama dì un pugnale. Invece di ronzare, ticchetta. Suscita associazioni di idee che non evocano la liberazione, ma la prigionia. Non c’è traccia del calore benevolo e protettivo di una rappresentazio­ ne positiva; piuttosto l’astronave è circondata da un’aura negativa, è considerata con sospetto antitecnologico, con immagini che evocano una freddezza sepolcrale, uno stato di reclusione mortale. Nei suoi 10 Ibid., p. 13. 11 Denis Gifford, 1971, p. 118.

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corridoi e nella stiva riecheggiano suoni di isolamento umano, oppure albergano polveri e fanghiglie aliene e letali; nei suoi angoli più nasco­ sti ha inizio il sovvertimento della vita umana. In A 30 milioni di km dalla Terra (Nathan Juran, 1957) un’astrona­ ve, di ritorno sulla Terra da Venere, precipita in mare, con a bordo l’em­ brione gelatinoso di un mostro alieno, che poi nasce, cresce e vaga per Roma, seminando il terrore. L'astronave di Ammutinamento nello spa­ zio (Hugo Grimaldi, 1964) ospita un fungo mortale e lo trasporta fino a una stazione spaziale dalla quale esso minaccia di contagiare la Terra. Questi e molti altri razzi ospitano, proteggono e trasportano “cose” aliene che poi minacciano non solo la Terra, ma la vita stessa. Ancora più minacciosa è l’astronave “Discovery”, che deve portare gli astro­ nauti Bowman e Poole su Giove in 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968). Anche se il film non nega assolutamente l’estetica della tecnologia, propone col “Discovery” un meccanismo che tollera a ma­ lapena e infine rifiuta l’esistenza dell’Uomo. Nonostante l’astronave sia immensa, la componente visiva del film ci imprime nella mente un sen­ so di reclusione claustrofobica e soffocante, di freddo e di morte. La maggior parte dell’equipaggio è temporaneamente ibernato in letti criogenici che sembrano sarcofaghi di “mummie egizie”12. Il loro pas­ saggio dalla vita alla morte a causa di un errore del computer è percepi­ bile solo attraverso le impersonali tuttavia vagamente malevole luci rosse e i messaggi del computer, che lasciano capire che i sistemi per

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2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968). L’astronave osti­ le: la Discovery I. Gli astronauti Boivman e Poole tentano di sfuggire alla sorveglianza onnipresente del computer centrale HAL. L’astrona­ ve e il suo computer alla fine respingono la vita biologica. (MetroGolduryn-Mayer)

12 R. Adler, 1969. (a) p. HB.

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mantenerli in vita non funzionano più, e dalle lancette sugli schermi so­ pra le bare di vetro, che “impazziscono sui tracciati e poi registrano le linee orizzontali della morte”15. Per quanto sia enorme, l’astronave non concede privacy; Bowman e Poole tentano di nascondersi dagli occhi, le orecchie e la voce melliflua del computer centrale HAL, che è ovun­ que, per trovare una possibile soluzione alla diffìcile situazione in cui si trovano, ma HAL riesce a leggere le labbra, come dimostra una ripresa in soggettiva. Gli astronauti vengono obbligati a indossare le loro in­ gombranti e opprimenti tute spaziali a causa del rifiuto sempre più de­ ciso della vita biologica da parte dell’astronave e del suo computer; la paranoia di HAL è anche la follia dell’astronave. La stessa sensazione di essere intrappolati e reclusi si trova in un film dalla trama più “realisti­ ca”, Abbandonati nello spazio (John Sturges, 1969), che “uscì nelle sale durante la settimana in cui il mondo viveva nell’attesa per il destino dell’Apollo 13”14. Tre astronauti sono prigionieri di una capsula spazia­ le difettosa; il film è girato quasi tutto in primo piano, con gli uomini bloccati nella loro potenziale bara in orbita attorno alla Luna. La capsu­ la si chiama “Ironman Uno”, un nome forse evocativo dello strumento di tortura medievale, la Vergine di Norimberga, detto “Iron Maiden” (in inglese), dove veniva rinchiusa la vittima. Infine, in 2002, la seconda Odissea (Douglas Trumbull, 1972), il cargo spaziale “Valley Forge” si trasforma letteralmente in una bara per il suo equipaggio, i cui membri vengono uccisi da Freeman Lowell (il protagonista-ecologo), per impe­ dire che i suoi campioni di flora vengano distrutti. In questo film, le im­ magini sottolineano l’enormità di una prigionia solitaria, lo stato mor­ talmente immobile di una esistenza sigillata ermeticamente, che è muta e inesorabile nella sua rappresentazione della solitudine eterna. L’astronave, tuttavia, non deve necessariamente essere rappresen­ tata in modo positivo o negativo. In molti film di fantascienza, il suo aspetto e il suo ruolo sono neutri; le sue meraviglie non hanno carat­ teristiche visive particolari, sembrano banali, accettate non solo dai personaggi, ma anche dalla macchina da presa - rappresentate realisti­ camente. L’astronave è soltanto un mezzo di trasporto, e ha più o meno lo stesso impatto visivo e la stessa forza iconica di un autobus Greyhound. I quadranti, le luci e gli interruttori non sono né amiche­ volmente utili né freddamente sinistri. Esistono - come la plancia portastrumenti di un automobile - sono familiari, acquisiti e dimenticati. I complessi meccanismi dell’astronave non pongono alcun problema tecnico. In Abbandonati nello spazio, quando la capsula comincia a guastarsi, uno degli astronauti, impotente e senza speranza, parla con ,J Penelope Gilliatt, 1969, p. 56. H Gifford, 1971, p. 130.

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Figura 33

Figura 34

SPAZIO E TEMPO NEI CINEMA DI EANTASCIENZA

Abbandonati nello spazio (John Sturges, 1969). L'astronave ostile: l’ironman Uno. Tre astronauti sono prigionieri di una capsula spaziale difettosa. (Columbia)

Uomini sulla Luna (Irving Pichel, 1950) presta un'attenzione metico­ losa all’autenticità, la logica e le meraviglie della tecnologia. (United Artists / Eagle-Lion)

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nostalgia dei vecchi tempi, in contrasto con il presente, dove la tecno­ logia non permette più di salvarsi tentando di riparare ciò che non fun­ ziona. “Noi siamo quelli che aggiustavamo i nostri aeroplani con la colla” dice, in preda alla frustrazione. Nei film in cui l’astronave appa­ re familiare come una Ford, si possono riparare i guasti con l'equiva­ lente della colla e delle forcine per capelli - oppure il problema è tal­ mente “chiaro” per i membri dell’equipaggio con indosso le loro tute stile meccanico, che il guasto non è certo avvolto nel mistero. Film co­ me R.X.M. Destinazione Luna (Kurt Neumann, 1950), Marte distrug­ gerà la Terra (Ib Melchior, 1959) e Queen of Blood (Curtis Harrington, 1965) considerano l’astronave una macchina utile che, senza avere nulla di miracoloso, trasporta l’equipaggio verso avventure emozio­ nanti, che non hanno molto a che fare con una tecnologia già assimi­ lata e archiviata. Per concederci una divagazione nostalgica, ma anche pertinente, ricordo con affetto una scena ambientata a bordo dell’astronave in Marte distruggerà la Terra, in cui il viaggio verso Mar­ te è, da un punto di vista visivo, come incapsulato, un episodio a sé: si vede il protagonista che si fa la barba con un rasoio elettrico e la pro­ tagonista che si profuma come se si trovassero in una situazione nor­ male. Questa trasformazione dell’astronave in ambiente domestico fa venire in mente le parole usate recentemente dai veri astronauti sui va­ ri voli lunari e a bordo dello Sky Lab, quando parlano di “lavori di ca­ sa”. Forse nessun film fino a oggi, tuttavia, ha evocato visivamente la riduzione del volo spaziale al “massimo della monotonia”15 come 2001: Odissea nello Spazio nella parte in cui lo scienziato spaziale Floyd vola Pan American per raggiungere uno scalo da cui partire per la Luna. Come commenta giustamente Joseph Morgenstern: “Vedia­ mo che lo spazio è stato conquistato. Vediamo anche che è stato reso commerciale e... civile. Hostess senza peso fanno sorrisi senza peso, i passeggeri ingannano il tempo con i pasti preconfezionati fatti passare per ottimi, guardando il karate in TV, senza gettare mai uno sguardo fiiori, nel nulla, per cogliere un raggio della luce pura di Betelgeuse o di Aldebaran”16. L’astronave del cinema di fantascienza, quindi, non è paragonabile in nessun modo alla ferrovia del Western, perché quest’ultima riesce a comunicare con la sua sola presenza fisica un insieme di significati uguali e specifici, validi per tutto il genere. A differenza della ferrovia, nella misura in cui l’astronave è un mezzo per spostarsi da un posto all’altro, a volte è funzionalmente intercambiabile con altri mezzi di trasporto, come la macchina del tempo. In film come L’Uomo che visse " Gilliatt, 1969, p. 55. 16 J. Morgenstern, 1969 A, pp. 61-62.

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Figura 35

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968). Lo spazio viene conquistato e civilizzato, l’astronave diventa un mezzo commerciale. (Metro-Goldivyn-Mayer)

nel futuro (George Pai, 1960) e The Tinte Travelers (Ib Melchior, 1964), ci sono congegni precisi che si differenziano, almeno nell’aspet­ to, dall’astronave, ma in Mondo senza fine (Edward Bernds, 1956) e 11 pianeta delle scimmie (Franklin Schaffner, 1968), l’astronave è la mac­ china del tempo. A differenza della ferrovia, non solo i significati e le funzioni dell’astronave possono cambiare da un film all’altro e da un decennio all’altro, ma anche la sua forma e il colore sono duttili e mutevoli - ecco allora la fusoliera lucente e argentea dell’astronave di Uo­ mini sulla Luna, la perfezione rotonda del disco volante ne II pianeta proibito, il giallo vivo del sottomarino miniaturizzato in Viaggio alluci­ nante (Richard Fleischer, 1966) e l’accostamento tra la grossa mole scura, e sgraziata e la grazia reticolata delle cupole sulla “Valley Forge” di 2002, la seconda Odissea17. Inoltre, non è possibile trarre conclusio­ ni sulla tendenza dei film in generale a rappresentare positivamente le nostre astronavi (dei terrestri) e negativamente le “loro” (degli alieni). Proposto come oggetto di rara bellezza, il grande disco volante dell’alieno Klaatu in Ultimatum alla Tèrra (Robert Wise, 1951) ha una linea talmente essenziale, è stato creato in maniera talmente austera da Lyle Wheeler e Addison Hehr, da dare forma alle virtù platoniche: chiarezza, equilibrio e ragione - virtù che purtroppo mancano all’ap­ parato scenico ambientato a Washington, dove si posa il disco volan­ te18. D’altra parte, le astronavi individuali da guerra ne La guerra dei mondi (Byron Haskin, 1953), marziane, non potrebbero avere un aspetto più minaccioso (e misterioso nella loro bellezza); hanno una 1 Per ulteriori informazioni sullo stile di queste astronavi, si veda J. Brosnan, 1974. ,!i Brosnan, p. 197.

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2002, la seconda Odissea (Douglas Trumbull, 1972). L’astronave dut­ tile e flessibile: la “Valley Forge ", un misto fra una grossa massa scura e sgraziata e delicate strutture simili a tralicci. (Universal)

Ultimatum alla Terra (Robert Wise, 1951). Di rara bellezza, la linea austera del disco volante alieno evoca le virtù platoniche: chiarezza, equilibrio e ragione. (20th Century Fox)

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Figura 38

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

La guerra dei mondi (Byron Haskin, 19S3). he astronavi da guerra in­ dividuali dei Marziani sono sinistre e bellissime allo stesso tempo. (Pa­ ramount)

forma che fa pensare a un cobra o alla letale manta degli oceani e, muovendosi silenziosamente su città e campagne, rendono metaforica­ mente turgida l’atmosfera terrestre; la loro avanzata inesorabile è in­ frammezzata soltanto dal sibilo dei loro raggi che riducono ogni cosa in cenere19. In Cittadino dello spazio (Joseph Newman, 1955), gli abi­ tanti di Metaluna, moralmente ambigui, dal comportamento in defini­ tiva riprovevole, rapiscono due scienziati terrestri e li trasportano in un altro mondo a bordo di un’astronave che è una vera e propria me­ raviglia di design, con le delizie che racchiude: un centro comandi principale formato da una riproduzione rotante dell’atomo, illuminato da luci brillanti e una serie di tubi semitrasparenti che trasformano la struttura molecolare dei loro occupanti davanti ai nostri occhi. Ancora più evidente che nelle astronavi è la capacità di cambiare forma, colore e forza evocativa dei robot della fantascienza, troppo spesso considerati tutti uguali, superficialmente ed erroneamente messi tutti sullo stesso piano per comodità, come simboli di quel termine va-

'* Ibid., pp. 191-94.

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Cittadino dello spazio (Joseph Newman, 19S5). (.’astronave aliena come meraviglia visiva: una serie di tubi semitrasparenti che trasfor­ mano la struttura molecolare dei loro occupanti per facilitare i viaggi spaziali. (Universal)

go, che è “tecnologia fantascientifica”. Tuttavia, ancora una volta, do­ po aver considerato i robot presenti in una vasta gamma di film, lo spettatore dovrà riconoscere la loro particolarità essenzialmente espressiva. Gort, l’enorme “guardia” intergalattica di Ultimatum alla Terra, è decisamente misterioso e minaccioso. Spesso ripreso da un'an­ golazione bassa, è senza volto; l’impenetrabilità per il resto liscia e me­ tallica del suo volto inespressivo è interrotta solo da una sorta di visiera che si apre lentamente per mostrare una luce pulsante o per emettere raggi che riducono in cenere qualunque cosa, per poi richiudersi silen­ ziosamente. La sua superficie metallica e quella visiera rappresentano una versione non umana del cavaliere medievale dall’armatura splen­ dente, e le immagini di Gort sono molto lontane dalla goffaggine pe­ sante ma piacevole del robot che dà il nome al film Tobor (Lee Sholem, 1954), concepito come “la risposta al problema del volo spaziale per l'uomo”20. Tobor è trattato col rispetto che di solito si riserva a un apriscatole e, in una scena molto divertente, il robot - manovrato dal nipotino di uno scienziato - se ne va in giro per casa con le sue gambe

2" Gifford, 1971 , p. 54.

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Figura 40

SPAZIO E TEMPO NEI CINEMA 1)1 EANTASCIENZA

Tobor (Lee Sholem, 1954). Tobor, la “risposta al problema del volo spaziale per l’uomo", viene trattato col rispetto che di solito si riserva a un apriscatole. (Republic)

rigide sbattendo contro i mobili e le porte, in una sorta di parodia del Mostro di Frankenstein. Tobor diventa un eroe sprovveduto, a causa del suo inesplicabile e commovente attaccamento al bambino, spiegato nel film come “un nuovo istinto artificiale, una sollecitudine per i gio­ vani che ha lo scopo di conservare la specie”. Il robot forse più celebre di rutto il cinema di fantascienza, Robby de II pianeta proibito, non assomiglia né a Gort né a Tobor. Si tratta di “uno dei robot più complessi mai costruiti per una produzione cinema­ tografica. Ci vollero più di due mesi di lavoro, andando per tentativi, per collegare i quasi 500 metri di fili elettrici che facevano funzionare tutte le sue luci lampeggianti, le antenne girevoli e i congegni compli­ cati che vedono muoversi all'interno della sua testa trasparente a for­ ma di cupola”21. Visivamente, Robby sembra il frutto di una folle unio­ ne tra l’omino Michelin e un juke-box. E “un fenomenale uomo mec­ canico che sa fare più cose col suo piccolo corpo di una stanza piena di macchine per ufficio. Sa cucire vestiti, distillare il bourbon, è capace di gesta che richiedono una forza erculea e parla 187 lingue... attra21 Brosnan, pp. 19S-99.

IMMAGINI O1 MERAVIGLIA I O STILI- OLI LA FANTASCIENZA

Figura 41

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II pianeta proibito (Fred Wilcox, 1956). Robby il Robot, il t>iù famoso dei robot dei film di fantascienza degli anni Cinquanta. (Metro-Goldtvyn-Mayer)

verso una griglia illuminata al neon. Cosa ancora piti importante, ha i modi raffinati di un vero e proprio gentiluomo”22* . Anche se è fonda­ mentalmente un domestico, programmato secondo le famose leggi del­ la robotica della letteratura di fantascienza scritte da Isaac Asimov (la prima dice che i robot non devono nuocere agli esseri umani), Robby ha una spiccata personalità. E tanto orgoglioso e privo di senso deH’umorismo da essere comico. “Questo è l’isotopo speciale 217. Il tutto pesa solo dieci tonnellate”, dice portando in giro il “tutto”. A vol­ te è irascibile, a volte servizievole; quando Francis [Anne Francis, che interpreta il ruolo di Alta nel film] gli chiede zaffiri stellari, lui bronto­ la: “ci vuole una settimana per cristallizzarli. Subito diamanti o smeral­ di”. “Purché siano grandi” dice Francis. “Dieci, venti e anche trenta ca­ rati” risponde Robby con tono compiaciuto”2 V La personalità di Rob22 B. Crowther, 1956. 2' Baxter, p. 113.

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by - anche se sotto una luce positiva - adombra, in una certa misura, il più minaccioso HAL di 2001: Odissea nello spazio, il computer (un robot immobile) che spinge la hubris comica di Robby oltre i confini della ragione. “E nei momento in cui HAL non riesce ad ammettere di avere commesso un errore che comincia a soffrire di una crisi di para­ noia, dando segni di ansia eccessiva per la sua reputazione di infallibi­ lità e poi cercando di nascondere il proprio errore attentando alla vita dei testimoni umani”24. Fondamentalmente, nonostante abbiano modi simili, Robby e HAL sono separati da decenni sia nell’aspetto che nel comportamento. Anche se HAL avesse un aspetto più caratterizzato di “una lente e qualche lastra di vetro”25, è difficile pensare a lui come al beniamino dei produttori di giocattoli, come accadde a Robby dopo l’uscita nelle sale de II pianeta proibito. La simpatica forma rotonda e l’affettazione comica di Robby, tuttavia, non ebbero alcuna influenza sull’immagine cinematografica dei robot che vennero dopo di lui. Fece un’altra apparizione l’anno successivo ne II robot e lo Sputnik (Nicho­ las Nayfack, 1957), nel ruolo del “compagno di giochi del figlio di die­ ci anni del suo inventore”26, e poi scomparve. Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, i robot mobili continuaro­ no per la loro strada particolare, con una connotazione a volte negati­ va, a volte positiva. E di tanto in tanto si combinano con altre manife­ stazioni della fantascienza. In Kronos, il conquistatore dell’universo (Kurt Neumann, 1957), il robot non è lo strumento creato da una spe­ cie aliena, com’era Gort in Ultimatum alla Terra; portato sulla Terra da un meteorite, Kronos è l’alieno, uno “strano automa, metà creatura, metà struttura”27. Anche l’enorme robot elettronico de II colosso di Netv York (Eugene Lourié, 1958) è un mostro, ma il suo aspetto di tipo tecnologico trova giustificazione in alcune tendenze che risalgono ai film horror più tradizionali. Il cervello del robot non è un congegno complicato o un’incomprensibile mente aliena; è il cervello umano tra­ piantato del figlio di uno scienziato, che si ribella al padre, il suo crea­ tore, come aveva fatto anni prima il mostro di Frankenstein. Forse la versione più innovativa e intellettualmente complessa del robot è quella di Creation of the Humanoids (Wesley Barry, 1962), un film a basso costo che considera il robot sotto una luce negativa e po­ sitiva nello stesso tempo. Si pongono qui le basi di una “storia” della robotica che conduce alla creazione degli umanoidi, storia che viene poi rappresentata. La giustificazione logica del il fatto che gli automi avessero un aspetto e un comportamento simile a quello umano è che 24 2’ 2‘ 27

A. Walker, 1971, p. 255. Ibid., p. 258. Gifford, 1971, p. 59. Baxter, p. 136.

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Figura 42

Figura 43

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II robot e lo sputnik (Nicholas Nayfack, 1957). La seconda e ultima apparizione cinematografica di Robby. (Metro-Goldwyn-Mayer)

II colosso di New York (Eugene Louric, 1958). Foto pubblicitaria. L'esistenza di questo robot elettronico deriva da alcune tendenze che risalgono ai film horror tradizionali. (Paramount)

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“gli esseri umani trovavano psicologicamente intollerabile lavorare fianco a fianco con delle macchine”. Infine, la linea di demarcazione tra robot ed essere umano viene completamente annullata. Interpretando letteralmente le leggi della robotica di Asimov, i robot prendono il po­ sto e fungono da repliche di esseri umani malati e vittime di incidenti, sotto le spoglie di perfetti corpi meccanici; come dice uno dei robot: “L’umanità non sempre sa ciò che le conviene di più”. Il protagonista del film, nemico dei robot e membro dell’Ordine della Carne e del San­ gue, risulta essere anch’egli un umanoide e - assieme alla protagonista - alla fine viene promosso al livello RI00 degli umanoidi, sottoponen­ dosi a un’operazione che gli consentirà di contribuire “umanamente” al processo riproduttivo, funzione che i robot considerano primitiva ma che “risponde a un’esigenza psicologica”. Il film si conclude con un primo piano di un “Uomo” dall’aspetto affabile - il narratore - che sorride direttamente allo spettatore e dice: “Naturalmente l’operazio­ ne è riuscita altrimenti voi non sareste qui”. Il trattamento eterogeneo riservato ai robot rimane evidente negli anni Settanta, nel nuovo gruppo di film di fantascienza che seguono il successo commerciale di 2001. I robot meccanici di 2002, la seconda Odissea rispondono ai nomi affettuosi di Paperino, Paperina e Paperone, ma anche se camminano come paperi, il loro aspetto fa pensare più a Tolkien che non a Disney. (Paul Zimmerman li ha definiti “hobbit di ferro”28). Sono scatoloni sproporzionati con gambette tozze, dal­ l’aspetto né meraviglioso né minaccioso. Sono proprio le loro sem­ bianze ordinarie a renderli simpatici. Questi robot non hanno qualità sovrumane come Gort o Robby, né sono capaci di insubordinazione come HAL, non sanno nemmeno parlare e ogni tanto sbagliano nell’interpretare letteralmente la lingua di Lowell. Tuttavia, durante lo svolgimento del film, vengono programmati per giocare a poker, per eseguire un’operazione chirurgica, per fare da “compagni” a Lowell nel suo isolamento, e la cinepresa dà l’impressione di assumere un at­ teggiamento sempre più benevolo e interessato nei loro confronti, ac­ cennando appena a una qualche sorta di vita percepibile nascosta tra i loro circuiti. Come fa notare William Johnson in un’ottima recensione del film: “Sono macchine che hanno tanto diritto a essere considerate creature viventi, quanto un animale domestico reattivo e ben addestra­ to”29. Le riprese in soggettiva della cinepresa ci permettono di vedere attraverso la prospettiva dei loro “occhi” a forma di monitor, in modo tale da non negare la loro natura meccanica (le immagini in bianco e nero sono di pessima qualità televisiva), ma incoraggiano allo stesso 28 P. D. Zimmermann, 1972, p. 113. 29 W. Johnson, Film Quartely 25, 1972, p. 55.

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Figura 44

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2002, la seconda Odissea (Douglas Trumbull, 1972). I robot sotto Hrammati per essere i compagni di Lowell, uno dei membri equipaggio. (Universal)

tempo la sensazione che siano dotati di una sorta di attenzione coscien­ te”. Quando due robot, uno di fianco all’altro, seppelliscono il corpo di uno dei membri dell’equipaggio, Lowell vede il corpo scomposto in due parti, una parte nell’occhio dell’uno, l’altra in quello del secondo. Più tardi, questa strana soggettivizzazione viene portata ancora oltre: quando Lowell parla ai due robot gli spettatori vedono i loro monitor, attraverso i quali guardano Lowell e Lowell guarda gli spettatori... In quel momento, attraverso gli occhi dei robot, “l’uomo è legato alla sua creazione in un unico circuito di consapevolezza”50. Non si può dire la stessa cosa per II mondo dei robot (Michael Cri­ chton, 1973). La cinepresa in soggettiva a un certo punto ci permette di vedere attraverso gli occhi-scanner del pistolero robot (una gelida interpretazione di Yul Brynner che raggiunge una meccanica perfezio­ ne), ma ciò che vediamo è talmente estraneo alla visione umana che non percepiamo un “unico circuito di consapevolezza”, bensì la grande distanza che separa l’Uomo da ciò che ha creato. I quadratini colorati che si muovono geometricamente su un reticolo simile a carta millime­ trata sono piacevoli a vedersi, con i loro colori sfumati, ma annullano quasi completamente ogni possibile legame fra la visione del robot e la nostra (degli spettatori) visione di un essere a sangue caldo e privo di Ibid.

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una geometrica perfezione, che cerca di sfuggire a una vendetta per mano di una creatura meccanica. I robot che impazziscono nella ver­ sione ampliata e da incubo di Disneyland, in cui è ambientato il film, lo fanno senza alcun motivo evidente. La competenza che all’inizio ca­ ratterizza lo staff di scienziati che dirige il posto, il risalto conferito, in un’atmosfera di calma e di noia, ai computer e ai monitor controllati da specialisti, i primi piani delle “operazioni” e riparazioni meccaniche che fanno pensare, con i loro dettagli, a una padronanza totale della tecnologia, diventata abituale e addomesticata - tutto viene rapida­ mente sovvertito da immagini che evidenziano la sensazione di confu­ sione e claustrofobia nel centro di comando e di un mondo esterno che è stato sottratto alle sue divinità antropomorfe in camice bianco. L’osti­ lità dei robot, che travalica il semplice guasto tecnico, è inspiegabile in termini scientifici. E le Leggi della Robotica di Asimov sembrano deci­ samente irrise dalle creature meccaniche trasformate in abili e perfetti assassini. E possibile dimostrare in vari modi come quelli che sembrano ap­ parentemente oggetti iconici nei film di fantascienza possano assumere

Figura 45

Guerre stellari (George Lucas, 1977). 1 robot D3BO e C1P8 sono ico­ nici perché rappresentano visivamente meravigliosi esemplari di mac­ chine. È proprio la duttilità di oggetti e ambientazioni a definire il ci­ nema di fantascienza. (20th Century Fox)

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in realtà significati diversi. Neanche il tempo e lo spazio sono elementi costanti. La collocazione temporale della fantascienza non ha alcuna li­ mitazione storica; può essere un passato ipotetico (Creation of the Hu­ manoids), il presente (Operazione diabolica, John Frankenheimer, 1966), un futuro prossimo (Andromeda, Robert Wise, 1971), un futu­ ro remoto (Il pianeta proibito), oppure una mescolanza di epoche co­ me nella serie de II pianeta delle scimmie. Allo stesso modo, le ambien­ tazioni della fantascienza non conoscono confini geografici e possono trovarsi letteralmente ovunque - dalla cittadina di provincia degli Stati Uniti, a galassie lontane e inesplorate o all’interno del corpo umano. È inevitabile, allora, non insistere nel cercare simboli visivi coerenti all’interno di territori più ambigui. E proprio la duttilità di oggetti e ambientazioni dei film di fantascienza che aiuta a definirli come tali e non la loro coerenza. Ed è la stessa duttilità di oggetti e ambientazioni che rende impossibile il tipo di interpretazione iconografica che illumi­ na criticamente i mondi essenzialmente statici di generi come il We­ stern e il Gangster film.

Funzioni visive Anche se è privo di un’iconografia specifica, se racchiude una va­ stissima gamma di epoche e luoghi, se varia costantemente nella rap­ presentazione visiva dei soggetti, il cinema di fantascienza tuttavia ha uno “stile” e una “atmosfera” particolari. Questo stile e questa atmo­ sfera coinvolgono tutti i film che appartengono al genere, vengono ri­ conosciuti prontamente dallo spettatore ed esigono un’identificazione critica di qualche tipo. Tuttavia se i collegamenti visivi fra i film non si riescono a rintracciare nell’uso ripetuto e quindi emblematico di rap­ presentazioni visive specifiche, dove trovarli allora? Il collegamento vi­ sivo fra tutti i film di fantascienza è nell’uso coerente e ripetuto non di immagini specifiche, ma di tipi di immagini, che hanno la stessa funzio­ ne, film dopo film, di creare un mondo realizzato dall’immaginazione, sempre lontano da quello che conosciamo direttamente o indiretta­ mente. L’aspetto visivo di tutto il cinema di fantascienza ci offre un confronto e una mescolanza tra le immagini che interpretiamo come “aliene” e quelle che ci sono familiari. Questa osservazione, tuttavia, è più complessa di quanto non sembri a prima vista. Certo, se pensiamo in termini di immagini aliene nella fantascienza, per prima cosa ci ven­ gono in mente le fantasiose “cose impossibili” dei disegnatori e dei ma­ ghi degli effetti speciali: creature, dischi volanti, il suolo di Marte e co­ sì via. Tuttavia, che un’immagine susciti una sensazione di stranezza di meraviglia - o che sembri familiare, l’effetto non dipende sempre

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dalla stranezza o dalla familiarità del suo contenuto reale. Ne Gli inva­ sori spaziali (William Cameron Menzies, 1953), un posto di polizia di una cittadina di provincia diventa un’ambientazione sorprendente dal punto di vista visivo ed estraniante quanto qualunque pianeta extrater­ restre, e in 2022: i sopravvissuti (Richard Fleischer, 1973), un pomo­ doro e un gambo appassito di sedano sono altrettanto strani e stupefa­ centi quanto qualunque forma vegetale creata in studio. L’impulso visivo più importante di tutti i film di fantascienza è quello di rappresentare ciò che è inconsueto, immaginario, strano e as­ solutamente alieno con una verosimiglianza che è, a volte, di stile e sa­ pore documentaristico. Anche se ci invitano a sorprenderci per ciò che vediamo, i film si sforzano soprattutto di ottenere la nostra credulità, non la sospensione dell’incredulità, e questo è l’elemento che li distin­ gue dai film fantastici come II settimo viaggio di Sinbad (Nathan Juran, 1958) o Gli Argonauti (Don Chaffey, 1.963). Non si tratta di una di­ stinzione retorica, come può sembrare, perché determina il significato visivo unico di ogni film di fantascienza. Per essere ritenuto vero, per conquistare credibilità, infatti, il cinema di fantascienza deve contem­ poraneamente proporre e rinnegare le immagini aliene che lo caratte­ rizzano. Per farci credere che le cose extraterrestri che vediamo sono possibili, se non probabili, le componenti visive dei film sono strana­ mente legate a ciò che ci è familiare e dipendenti da esso; da immagini stupefacenti, straordinarie e immaginarie, la cinepresa passa ad altre che ci sono talmente familiari da essere addirittura noiose, oppure tali da neutralizzare l’elemento alieno, trattandolo in modo così riduttivo da renderlo normale e comprensibile. Di conseguenza, in tutti i film di fantascienza c’è un contrasto visivo che non esiste in nessun altro ge­ nere - un contrasto tra le immagini che mirano ad allontanarci com­ pletamente da un mondo conosciuto e comprensibile, per portarci ver­ so un mondo romantico e poetico, e le immagini che mirano a ripor­ tarci in un contesto familiare e ordinario. Per capire meglio questo contrasto visivo, che esiste solo nella fantascienza, sarà utile isolare i due tipi fondamentali di immagini, l’insolito e il consueto, studiarne gli elementi caratteristici e poi occuparsi della loro interazione31. Seguen­ do questo procedimento, però, non dovremmo dimenticare che isolare tipi di immagini è un’operazione arbitraria, utile soltanto perché ci permette di vedere come tutte le immagini tipiche della fantascienza interagiscono fra loro e quale sia il loro ruolo nei film stessi, film con­ siderati entità complete e complesse.

11 Definite “usuali” c “inusuali”, queste immagini sono prese brevemente in conside­ razione in R. Prédal, 1970, pp. 9-10.

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Figura 46

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II settimo viaggio di Sinbad (Nathan Juran, 1958), Ciò che distingue i film fantastici dai film di fantascienza è che questi ultimi mirano a ottenere la credulità dello spettatore, i primi la sospensione della sua incredulità, (Columbia Morningside)

Gli argonauti (Don Chaffey, 1963), Il film fantastico non si sente in obbligo di rendersi credibile nei confronti del mondo esterno. (Colum­ bia ! Morningside ! BLC / World Wide)

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Figura 48

SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI FANTASCIENZA

Guerre stellari (George Lucas, 1977). "Se il vostro pianeta alieno è uguale a lìroadway, oppure all’Uganda, a che diavolo serve allora la­ sciare la Terra?” (20th Century Fox)

L’insolito La speculazione Il critico e scrittore di fantascienza Damon Knight ha posto questa domanda: “Se il nostro pianeta alieno è uguale a Broadway, oppure all’Uganda, a che diavolo serve allora lasciare la Terra?”32. E qui impli­ cito ciò che tutti noi ci aspettiamo dal cinema di fantascienza - che ci faccia vedere cose che non abbiamo mai visto prima, che ci trasporti oltre i confini dì ciò che conosciamo direttamente (Broadway) o anche indirettamente (l’Uganda). Al livello più ovvio, il cinema di fantascien­ za cerca di soddisfare le nostre aspettative usando la magia della foto­ grafìa di modelli ed effetti speciali, per mostrarci cose che non esisto­ no, che sono del tutto ipotetiche, che ci sorprendono proprio per il fat­ to di essere state portate sullo schermo, poiché non hanno eguale al di fuori della sala cinematografica33. Si possono individuare moltissime 12 1). Knight, hi Search of Wonder, 1967, p. 13. '' Per informazioni dettagliate sulle riprese degli effetti speciali, si veda R. Fielding, 1965, e il meno tecnico ma più brioso Movie Magic di John Brosnan, già citato.

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immagini di film di fantascienza che cercano in ogni modo - a volte con risultati soddisfacenti, a volte risibili - di oltrepassare i limiti an­ tropomorfici deH’immaginazione umana, tentando però di rimanere comprensibili. Un campione rappresentativo di essere alieno portato sullo scher­ mo, per esempio, potrebbe essere l’immagine del “cervello” marziano de Gli invasori spaziali; racchiusa in un globo trasparente magicamen­ te sospeso, vi è una insolita testa e la parte superiore del tronco, attor­ no al quale si avvolgono eleganti tentacoli simili a tralci di vite rampi­ cante. Osservati in primo piano, gli occhi di questo volto rugoso e splendente appaiono muoversi meccanicamente all’unisono da una parte all’altra, mentre l’espressione rimane impassibile. La malevola grazia e il silenzio di questo alieno si contrappongono all’attività fre­ netica, quasi da fumetto, del Mutante di Cittadino dello spazio, “una creatura dotata di artigli, di un cervello sproporzionato ed esposto, oc­ chi furibondi e cinque bocche”54. Mentre ispira un più forte senso di minaccia, stimola meno l’immaginazione, perché gli si richiede troppa azione e il suo movimento ciondolante svilendolo in termini umani, lo caratterizza semplicemente come “cattivo” cinematografico. Più pro­ vocatoria per la sua forza visiva, per la sua capacità di farci davvero provare meraviglia, è l’immagine finale di 2001: il feto forse umano del Figlio delle Stelle immerso nei liquido amniotico, sospeso nel buio dello spazio, con lo sfondo di una Terra orbitante blu e verde, con i suoi occhi dallo sguardo indistinto, indimenticabili perché imperscru-

Figura 49

Gli invasori spaziali (William Cameron Menzies, 1953). Il “cervello" marziano non viene mai definito in modo riduttivo attraverso attività di tipo umano. (20th Century Fox)

M Gifford, 1971, p. 87.

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Figura SO

SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI EANTASCIENZA

Cittadino dello spazio (Joseph Netvman, 19SS). Foto pubblicitaria. Il mutante alieno è ridotto al ruolo di un personaggio da fumetto. (Uni­ versal)

labili55. La preferenza personale che qui manifestiamo non è casuale. Se è vero che le rappresentazioni completamente fantasiose di forme di vita aliene del cinema di fantascienza mirano a portarci oltre i con­ fini limitati della conoscenza e della consuetudine umane, ci riescono meglio quando sono praticamente mute e prevalentemente immobili. ** “I fotogrammi finali, di grande effetto, di 2001, con il “figlio delle stelle” dall’aria tranquilla e ultraterrena che si avvicina alla Terra, sono stati realizzati con una bambola di fibreglass, che in origine era stata plasmata con la creta da una giovane scultrice. Gli occhi, fatti di vetro, erano mobili e venivano telecomandati. La bam­ bola, di un’ottantina di centimetri di lunghezza, venne sovrapposta alla bolla che poi fu inserita nelle inquadrature della Terra con intorno le stelle.” Brosnan, Movie Magic, p. 228.

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Figura SI

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Guerre stellari (George Lucas, 1977). Lo Wookie alieno diventa un personaggio quasi antropomorfo attraverso la sua attività vicina alla sfera umana. (20th Century Fox)

(Le creature aliene sapientemente create da Ray Harryhausen e dai suoi emuli, meritano un discorso a parte che faremo piti avanti, poiché le immagini che le riguardano non mirano ad allontanarci da un con­ testo familiare.) Dare una voce e un ruolo a creazioni visive così fanta­ siose significa renderle comprensibili e ridurre la loro poesia meravi­ gliosa a dimensioni minori, umane; esistono al massimo della loro ef­ ficacia sullo schermo in uno stato di sospensione, di fertile potenzialità, di azione in potenza piuttosto che in atto. Osserva Michel Ciment: “Uno dei punti deboli della fantascienza è che molto spesso non riesce a distaccarsi da una visione antropomorfa del cosmo. Esistono 100 mi­ liardi di stelle nella nostra galassia e 100 miliardi di galassie nell'uni­ verso visibile e uno dei temi di repertorio della fantascienza è quello dell’esistenza di civiltà aliene. Però è difficile immaginare questi mondi diversi dal nostro senza fare ricorso a parametri umani, rendendoli quindi ridicoli”’6. Anche Raymond Durgnat segnala alcuni dei proble­ mi insiti nella creazione di esseri veramente alieni: “È già abbastanza Michel Ciment» “The Odyssey of Stanley Kubrick: Part 3: Toward the Infinite 200Ì" in W. Johnson» 1972, p. 135,

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diffìcile capire certe affermazioni dei Samoani, dei Balinesi o degli Americani e praticamente impossibile identificarsi nelle percezioni e nelle pulsioni di, poniamo, un boa constrictor. Ma quanto sarebbe dif­ ficile allora identificarsi con le idee dei polimorfoidi telepatici e im­ mortali, dotati di dodici sensi, che hanno come habitat naturale le nu­ vole di ammoniaca della Galassia X?”37. Questa difficoltà forse si ri­ flette anche nella relativa scarsità di riprese in soggettiva nel cinema di fantascienza, tecnica che tenta di metterci visivamente in contatto con forme di vita non umane. In precedenza, si è parlato di questo ricorso alla soggettività in riferimento alla visione dalla prospettiva dei robot, che si incontra in 2001, in 2002, la seconda Odissea e ne II mondo dei robot, esempi cinematografici di impatto notevole. Tuttavia potremmo anche fare riferimento a pellicole precedenti, come Destinazione Terra (Jack Arnold, 1953). In questo film, sono chiaramente evidenti l’ina­ deguatezza sia della fotografia 3D sia della scelta di un effetto “muli­ nello” scintillante e tremolante sovrapposto a immagini familiari, per darci l’impressione di vedere attraverso gli occhi e le percezioni di un alieno. La visione multipla dello scienziato dalla testa di insetto ne L’esperimento del dottor K (Kurt Neumann, 1958) è già più accettabile, ma il suo impatto fu dovuto più dalla novità allora affascinante di ve­ dere sullo schermo immagini moltiplicate che dalla sensazione di guar­ dare davvero attraverso gli occhi di una mosca. I tentativi di ampliare le nostre percezioni ricorrendo alle riprese in soggettiva per rappresen­ tare la percezione aliena sono relativamente rari nel cinema di fanta­ scienza, probabilmente perché - dipendendo dalla capacità di com­ prendere dello spettatore - immagini del genere devono essere in qual­ che modo dedotte dalla visione dell’uomo e perciò non sono in grado di raggiungere la libertà di inventare liberamente a cui aspirerebbero. Meno propensa a essere addomesticata a misura d’Uomo è la con­ figurazione geografica creata in studio dalla fantascienza. Poiché di so­ lito non deve fare altro che, semplicemente, esistere, riesce ad avere una forza visiva per l’intera durata di un film, se non è esagerata e non se ne abusa, mantenendo vivo il nostro interesse nel confronti di qual­ cosa di alieno e di assolutamente stupefacente. Certo, almeno per chi scrive, il paesaggio di grande fantasia, anche se non del tutto profetico, di Uomini sulla Luna ebbe una eco molto più emozionante della vera superficie lunare trasmessa in diretta, che si rivelò una delusione, così coperta di polvere, rispetto alle immagini aspre, piene di crepe, di un giallo grigiastro, di un “letto di un fiume in secca, dall’aspetto convin­ cente anche se oggi sappiamo che era un’ipotesi errata” . In verità, i R. Durgnat, 1971, p. 252. ,K Brosnan, p. 188.

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picchi rocciosi, i mari sconosciuti, le atmosfere vorticose, le ombre de­ solate, le lune multiple, i colori inquietanti ma mozzafiato dei territori extraterrestri del cinema di fantascienza sono immagini forti, che am­ pliano i confini dell’immaginazione. Tuttavia, scrive John Baxter, a proposito de II pianeta proibito: “Non si capisce molto del paesaggio di Altair IV, col suo cielo verde, l’enorme luna striata dalle nuvole e il suolo rosso”59, e non è necessario capire. Ci basta vederlo e la sua im­ magine suscita meraviglia. Nel film c’è più spazio per quello che Dur­ gnat chiama “sentimentalismo da fiori-e-leopardo”40 dell’habitat da giardino dell’eden di ispirazione umana di Alta (Anne Francis), ma tut­ to ciò riesce solo in misura minima a farci evadere da noi stessi. Nello stesso film, un tentativo riuscito di allargare il nostro concetto di di­ mensione fino ai limiti estremi è rappresentato dall’immenso paesaggio urbano sotterraneo e abbandonato popolato un tempo dai Krel, con architetture, generatori e condotti di dimensioni e portata vertiginose. Ugualmente lontani dalla vita sulla Terra sono la superficie devastata e la strana luce di Metaluna in Cittadino dello Spazio, il pianeta Marte bizzarro e talvolta abusato in Marte distruggerà la Terra e il paesaggio post-Giove di 2001, tutto “montagne color malva e color caffè, vorti­ cosi mari di metano e cieli violacei”41. Per quest’ultimo film, non è sta­ to necessario creare in studio alcun set per dare forma a un paesaggio alieno e astratto: si è ricorsi a processi di stampa ottica e a colori per mascherare i soggetti fotografici reali delle immagini (il Grand Canyon, la Monument Valley e la costa delle Ebridi), in modo che le immagini che ci propone sono diverse da qualunque cosa abbiamo mai visto: Cumuli di neve e iceberg galleggianti perdono il loro vero colore, coperti da strati di filtraggi magenta e ciano. È impossibile riconoscerli, proprio

come accade ai canyon e ai dirupi che dovremmo avere già visto in tanti western. Eppure, in un montaggio incrociato con strani lampi di luce e continuamente mosse da zoomate, queste immagini diventano i contorni di un altro pianeta, o forse il punto di arrivo della consapevolezza stessa.42

La geografia, astratta creata dalla fantascienza non deve per forza, tuttavia, portarci nello spazio esterno per suscitare un senso di lonta­ nanza dal mondo conosciuto. Viaggio allucinante riesce a dare l’idea di qualcosa di sbalorditivamente alieno, portandoci all’interno del corpo umano, invece che lontano da questo mondo: però, nonostante i più w 40 41 42

Baxter, p. 113. Durgnat, p. 267. Morgenstern, 1969 (a), p. 62. J. E Scott, 1975, p. 115.

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Figura 52

Viaggio allucinante (Richard Fleischer, 1966). Il corpo umano: la vi­ sione che ne abbiamo è impossibile. L’interno diventa esterno. (20th Century Fox)

di 3 milioni di dollari spesi per creare set con ricostruzioni di anatomie del corpo umano convincenti45, potremmo benissimo trovarci su un altro pianeta dove l’anatomia non esiste più. Per la verità, anche se la trama e le caratterizzazioni sono nel complesso convenzionali e banali, la concezione visiva del film è straordinariamente innovativa: il corpo umano viene trasformato in un luogo alieno e, paradossalmente, antiantropomorfo. Ciò che si trova aH’interno del corpo umano diventa esterno. Facendo un ragionamento simile, Parker Tyler vede nel film quello che definisce “un grande contrasto micro-macrocosmico ” e ar­ riva ad affermare: Lo spazio interno esiste - e deve esistere per quanto consapevolmente si cerchi di evitarlo - con lo stesso peso, la stessa ampiezza, dello spazio esterno. Perciò era inevitabile che il cinema di fantascienza arrivasse a prendere in considerazione l’interno del corpo umano come uno spazio interiore costruito artificialmente, che corrispondesse allo spazio interiore “Rape of thè Future”, Esquire 65 (May 1966), p. 112.

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del corpo vero e proprio, che a sua volta rappresentasse un traslato dello spazio vero e proprio: io spazio “là fuori” condiviso con tutti g)i altri uo. . 44 « mini.

Nonostante l’accuratezza anatomica, la precisione medica profusa nella realizzazione del film, è illuminante sottolineare che per descri­ verne le immagini è stato usato un linguaggio poetico e non fredda­ mente descrittivo. John Baxter fa un commento appropriato sulla for­ za visiva del film: “I set modello come quello della cattedrale bianca a volta del cuore e la giungla velata, che in realtà è il cervello dello scien­ ziato, toccano, anche se leggermente forse, il cuore della meraviglia che ci riporta ripetutamente alla fantasia”44 45. A un certo punto nel film, i viaggiatori miniaturizzati sono minacciati da un processo respiratorio che vediamo davvero ed entrano in un cervello che Luis Gasca descrive come “un luogo incantato... con i suoi riflessi iridescenti e fosfore­ scenti che emergono da una penombra azzurrognola”46. Questi riflessi fosforescenti nel film compaiono spesso, ottenuti attraverso una tecni­ ca che John Brosnan definisce “pittura con la luce”47. Il corpo umano di Viaggio allucinante fa parte di quella serie di im­ magini astratte che sono completamente inventate, perché, nonostante l’attenzione per i dettagli anatomici e medici, la visione che ne abbia­ mo in fin dei conti è impossibile, e non solo da un punto di vista pro­ spettico ma anche filosofico. Sebbene ciò che vediamo sia stato ricava­ to o copiato da cognizioni scientifiche reali, anche i set furono “creati in uno stile volutamente astratto, in modo da non infastidire gli spet­ tatori più delicati di stomaco”48. Anche il regista Richard Fleischer ri­ conosce la natura implicitamente astratta del film: “Tutto è frutto dell’immaginazione e ogni interpretazione di quest’immaginazione in termini tecnici e realistici ha dovuto essere inventata e costruita”49. Spettacolari forse in modo meno vistoso di Viaggio allucinante, ma ugualmente aliene e inquietanti, sono le scenografie e lo stile quasi sempre astratti de Euonto che fuggì dal futuro (George Lucas, 1971), un film basato su astrazioni visive completamente diverse. Le immagini spostano sistematicamente volti e corpi umani dal loro ambiente grazie 44 P.Tylcr, 1973, p. 128. * Anche Woody Alien vede come spazio esterno lo spazio interno, nell’episodio “Che accade durante l’eiaculazione?” del suo film comico Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972). 45 Baxter, p. 171. 46 L. Gasca, 1969, p. 92. Traduzione dallo spagnolo : ”... un lugar encantado... con sua tornasolados reflejos y fosforescencia emergendo de una penombra azulada.” 47 Brosnan, pp. 206-7. 4S Ibid., p. 207. 49 R. Fleisher in W. Johnson, 1972, p. 158.

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a set e composizioni che sovvertono la nostra consapevolezza abituale di grandezza, estensione e prospettiva. Originariamente un cortome­ traggio di quindici minuti concepito come “esercizio sull’uso delle lu­ ci” in cui lo scopo del regista era “creare un ambiente soltanto dalla pellicola”'0, diventò un lungometraggio che disorienta tanto lo spetta­ tore quanto i personaggi del mondo conosciuto. Ricorrendo a uno schermo ampio, a un colore scelto con cura e alla composizione astrat­ ta, L’uotno che fuggì dal futuro ottiene il suo effetto estraniante crean­ do un mondo che ha connotazioni da arte grafica tali che non potrebbe esistere altrimenti che in una cornice. Per gran parte del film, un im­ menso sfondo bianco è punteggiato da colori primari puri e dal nero, usati distintamente, con un effetto che sconcerta lo spettatore. Gli es­ seri umani - calvi e vestiti di bianco - appaiono contro lo schermo can­ dido come teste e mani staccate dal corpo, che fluttuano nello spazio illimitato, scollegati da un contesto e da se stessi. I corpi stessi sono vi­ sivamente frammentati. La composizione dell’inquadratura è altrettan­ to sconcertante; l’ampio schermo è usato come una tela, sulla quale i corpi umani vengono disposti a distanza notevole l’uno dall’altro e con angolazioni inquietanti. Le reazioni a queste immagini sono simili a quelle suscitate dalla pittura, la scultura, la grafica moderna, per esem­ pio un’opera di Mondrian o di Alexander Calder: la presenza dell’uo­ mo viene assorbita quasi completamente dalla forma astratta. Immagini astratte come quelle che vediamo ne Duomo che fuggì dal futuro sono abbastanza rare nella fantascienza; in realtà sono abba-

stanza considerevole e ad angolazioni inquietanti. (Warner Brothers)

*" George Lucas citato da L. Sturhahn 1972, p. 53.

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Figura 54

Figura 55

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L’uomo che fuggì dal futuro (George Lucas, 1971). Gli esseri umani - calvi e vestiti ai bianco - punteggiano lo spazio sullo schermo. (War­ ner Brothers)

Guerre stellari (George Lucas, 1977). La natura aliena della simme­ tria. In quanto astrazione, la simmetria ci allontana dal mondo “rea­ le" e casuale. (20th Century Fox)

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stanza rare nel cinema commerciale di qualunque genere. Infatti ten­ dono all’arte astratta, alla rappresentazione della forma con un conte­ nuto minimo di ciò che si può definire narrativo in senso tradizionale. Tuttavia, nel cinema americano di fantascienza, esistono momenti spo­ radici di astrazione di questo tipo. E c’è un film girato negli anni Cin­ quanta, che in effetti riesce a suscitare un senso di meraviglia, di distac­ co, di stranezza esclusivamente grazie al potere cstraniante delle forme astratte: La meteora infernale (John Sherwood, 1957). In questo film, un elemento sconosciuto portato sulla Terra da un meteorite inizia a “crescere” quando entra in contatto con l’acqua. Sullo schermo vedia­ mo immagini grandiosamente isolate di giganteschi cristalli neri, che spuntano dal paesaggio desertico come grattacieli da espressionismo tedesco. Vederli crescere è quasi doloroso quanto è bello, con le loro forme geometricamente emozionanti per gli occhi, che in realtà rap­ presentano un urlo visivo che si frantuma, si frammenta, si strappa.

L’estrapolazione Simili e tuttavia distinte dalle immagini inventate, o completamen­ te astratte, create da alcuni registi di film di fantascienza, sono le im­ magini che compaiono, sempre in film di questo genere, dotate di

Figura 56

La meteora infernale (John Sherwood, 1957). Il potere cstraniante delle forme astratte: giganteschi cristalli neri simili ai grattacieli dell'espressionismo tedesco. (Universa!)

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un’esistenza reale, non solo cinematografica, ma che - anche se esisto­ no davvero - ci è impossibile vedere perché, in quanto esseri umani, non siamo fisicamente in grado di percepirle. Paradossalmente, con l’aiuto della falsificazione, degli effetti speciali, dei modelli e dei con­ gegni meccanici, le immagini di certi film di fantascienza liberano alcu­ ne parti dei mondo fisico dalla relativa oscurità imposta dalle loro di­ mensioni. Sappiamo, per esempio, che nello spazio ci sono pianeti, in orbita secondo un disegno grandioso, la cui conoscenza visiva è gene­ ralmente limitata alla vaghezza indistinta del cielo notturno, oppure a una fotografia sfuocata, offuscata dall’atmosfera terrestre, che vedia­ mo in un libro di astronomia; persino un’istantanea scientifica ben scattata non riesce a darci un’idea della vastità che ci circonda. Analo­ gamente, tossiamo e starnutiamo abbastanza da dover ammettere sen­ za ombra di dubbio che esistono i virus, ma la loro visione ci è estranea quanto in momenti del genere ci è familiare quella di un fazzoletto. Il cinema di fantascienza ci mostra immagini - anche se costruite dell’immenso e dell’infinitesimale. Partendo dalla scienza conosciuta e accettata, queste immagini cinematografiche derivano il loro potere di suscitare meraviglia nello spettatore, non dalla forza immaginifica del loro contenuto, ma da quella del loro stile e della loro portata. Non ci meravigliamo che esistano i pianeti, ci meravigliamo di poterli vedere in un modo che trascende le nostre dimensioni umane e i nostri limiti fisici. Le immagini che ci riempiono di meraviglia, che ci sbalordisco­ no, riescono a farlo non solo perché sembrano meticolosamente auten­ tiche, ma perché ci permettono di estraniarci dalla nostra dimensione corporea, dalle concezioni umane del tempo e dello spazio. In questo senso sono rappresentazioni concrete davvero aliene, anche se basate su realtà scientifiche conosciute. La parola, “mozzafiato” perciò è letteralmente appropriata per im­ magini come la Terra vista nella sua interezza dallo spazio in Uomini sulla Luna. La rappresentazione oggettiva di Marte e dei pianeti circo­ stanti all’inizio de La guerra dei mondi, le sequenze iniziali de II piane­ ta proibito. A proposito di quest’ultimo film. John Brosnan ne descrive così le meraviglie: Il film inizia con una sequenza che mostra un disco volante proveniente dalla Terra in volo nello spazio e che entra in un sistema solare alieno. Qui si vede l’eclisse di un enorme sole rosso, con il disco volante che si staglia contro la corona - un panorama mozzafiato quasi quanto le simulazioni astronomiche del classico c successivo 2001: Odissea nello spazio.51

si Brosnan, p. 198.

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Figura 57

SPAZIO I TEMPO NEL CINI.Mzt DI EANTASCIENZA

2002, la seconda Odissea (Douglas Trumbull, 1972). Le immagini di pianeti, eclissi, soli e lune ci allontanano dalla nostra entità fisica li­ mitata e ci fanno assumere il punto di vista di una divinità. (Univer­ sal)

Attraverso queste immagini ci viene offerto il punto di vista di una divinità; in quanto spettatori non siamo più umani. Stanley Kubrick af­ ferma, a proposito di 2001: “In tutto il film è stato usato l’allineamen­ to mistico del Sole, della Luna, e della Terra o di Giove e delle sue lune, come immagine premonitrice di un salto in avanti, nell’ignoto”52. Che si accetti o meno, in definitiva, il misticismo dei pianeti, delle lune e dei monoliti di 2001, bisogna convenire che, visivamente, facciamo un sal­ to in avanti verso l’ignoto trasformando la nostra percezione. Lì da­ vanti a noi, nelle stesse inquadrature, vediamo perfettamente il Sole, la Luna e la Terra, oppure Giove e le sue lune55. Così come ci permette di vedere l’infinitamente grande, il cinema di fantascienza ci mostra anche l’infinitesimamcnte piccolo. “Giunti a Dio, non vi è il nulla” dice Scott Carey (Grant Williams) alla fine di Ra­ diazioni BX - Distruzione Uomo (Jack Arnold, 1957). Sebbene questo '2 Stanley Kubrick in A. Walker, 1971, p. 245. Per ulteriori dettagli sugli effetti astronomici di 2001, si veda Brosnan, p. 226.

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film, nonostante il suo tema, derivi la sua potenzialità e forza visiva so­ prattutto da immagini basate su un mondo familiare dalle dimensioni a noi ben note (un mondo che più avanti verrà trattato in quei termini), la scoperta metafisica del suo personaggio principale è simile alla no­ stra quando, per esempio, entriamo a far parte delle immagini micro­ scopiche enormemente ingrandite di Andromeda. Nella nostra visione, simile a quella di Dio, non vi è il nulla. Guardiamo lo sconosciuto “vi­ rus” alieno crescere in un ingrandimento enorme, che riempie quasi completamente lo schermo con qualcosa che, in circostanze normali, non saremmo fisicamente in grado di vedere. Attraverso il microscopio elettronico e i suoi prodigi, scopriamo la forma a cristallo del virus e lo guardiamo mentre si divide. Diventiamo incredibilmente sensibili alle “energie straordinarie che si accumulano nelle configurazioni mi­ croscopiche della materia”54. Ci troviamo nella “realtà di un'altra di­ mensione” che, per quanto simulata, estrapolata dai suoi fondamenti, in realtà non è “altro che un ritratto - visto da una certa prospettiva del mondo in cui viviamo”55. Quella prospettiva, tuttavia, ci c decisa­ mente aliena e il cinema di fantascienza la fa nostra con autorità. En­ trare nel mondo di un virus può forse farci sentire, visivamente parlan­ do, più vicini a una divinità, tuttavia dà un senso di potere, anche se un po’ minore, ampliare le proprie percezioni attraverso le “immagini di tipo documentario” sulla vita delle formiche inserite in Assalto alla Terra (Gordon Douglas, 1954). Allontanati dal contesto, ancora una volta in un film che ci appassiona soprattutto per la manipolazione di elementi alieni e familiari in una messa in scena ben definita, i primi piani delle formiche, che costruiscono formicai e lottano fra di loro, per noi sono inquietanti non solo per le immagini che mostrano, ma perché ci permettono di penetrare con lo sguardo in un mondo che al­ trimenti ci sarebbe inaccessibile. Il cinema di fantascienza ci consente di entrare sin negli schemi del circuito di un computer o nel pericolo­ sissimo interno di un reattore atomico, facendoci diventare onniscienti e onnipotenti come dei. Finora ho tentato di esaminare le immagini della fantascienza a noi estranee in modo evidente, per il loro contenuto e/o per la loro pro­ spettiva. Le immagini di questo tipo - che hanno lo scopo di stupirci sembrano isolate all'interno dei film, e derivano la propria forza poe­ tica proprio dalla separazione da un contesto familiare. Di solito riem­ piono lo schermo - soltanto loro - per sbalordirci. Raggiungono il massimo dell’efficacia quando non hanno alcun nesso con l’Uomo, so­ no le uniche protagoniste di un primo piano, lontane da un contesto o 5,1 S. Kracaucr, 1960. 55 Jean Epstein citato in Kracaucr.

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da una messa in scena riconoscibili e riduttivi. Perciò, quando sono provocatorie al massimo grado, le vediamo contrapposte ad altre im­ magini più familiari, anche se, solitamente, non nella stessa inquadra­ tura. Un film di fantascienza, tuttavia, non può vivere soltanto di im­ magini aliene. E quasi superfluo dire - ma lo dirò comunque - che nes­ sun film che racconti una storia di invenzione può reggersi basandosi su immagini che siano completamente, continuamente fondate sulla stranezza, su ciò che è alieno alla nostra esperienza o alla nostra ma­ niera di percepire le cose. Dobbiamo comprendere ciò che vediamo e, se ciò che vediamo ci è sconosciuto, dovrà - per avere un senso - essere collegato alla fine a qualcosa che possiamo comprendere, qualcosa che conosciamo. Il cinema di fantascienza, anche se in parte si sforza di tra­ scendere i limiti della conoscenza e dell’immaginazione umana, non ha l’astrazione totale come obiettivo finale. Esiste certamente un impulso verso l’astrazione in queste immagini aliene - ed è strettamente con­ nesso con un tema fondamentale comune a tutto il cinema di fanta­ scienza: l’Uomo e il suo rapporto con l’ambiente fisico che lo circonda. L’astrazione di per sé, afferma un critico, “deriva dalla grande ansia provata dall’uomo quando è terrorizzato dai fenomeni che percepisce attorno a sé, di cui è incapace di decifrare le connessioni e le misteriose polarità”56. Il cinema di fantascienza si occupa di quest’ansia e la riflet­ te, ma non fino al punto di ritrarsi dalla narrazione in una forma d’arte completamente astratta; piuttosto si occupa di quest’ansia a un livello umano oltre che trascendentale o formale. Il cinema di fantascienza è sempre consapevole - dal punto di vista tematico e visivo - del fatto che dovremo vivere nel nostro futuro e che quel futuro, per quanto in­ conoscibile, è molto concreto. In definitiva, i film non hanno come obiettivo una fuga dalla comunità umana, dalla percezione umana o dal pensiero umano nel regno dell’avanguardia. Anche se a volte rac­ chiudono immagini aliene, isolate per suscitare meraviglia, immagini che evocano “l’ignoto” in tutte le sue trasformazioni scientifiche, ma­ giche e religiose o trascendentali, i film devono per forza scendere sulla Terra, tra gli uomini, in un mondo conosciuto, in una messa in scena familiare, se vogliono possedere un significato invece dell’astratta im­ penetrabilità dell’essere. Questa spinta verso il prosaico ci porta a considerare come il cine­ ma di fantascienza attenui gli aspetti incredibili, astratti, poetici delle sue componenti visive aliene isolate. L’argomento è stato trattato in modo marginale ma dettagliato in precedenza, nella parte relativa all’“iconografìa” dell’astronave, al modo di neutralizzarne in alcuni film il grande effetto visivo, e vi si è accennato anche quando si è fatto 56 L H. Eisner, 1973, p. 13.

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cenno al modo di banalizzare la stranezza del Mutante alieno di Citta­ dino dello spazio. Esistono tre modi fondamentali per sovvertire la me­ raviglia suscitata da immagini aliene nei film di fantascienza e per ri­ tornare a una sensazione di confortante familiarità con ciò che vedia­ mo. Il primo consiste nel reiterare l’immagine aliena così da renderla familiare (c purtroppo, in alcuni casi sminuendone il valore). Il secon­ do metodo è l’umanizzazione dell’immagine aliena, in modo da com­ prenderla invece che esserne sorpresi. Il terzo modo consiste nel toglie­ re qualunque enfasi all’immagine aliena mediante l’uso della cinepresa, per distoglierne l’attenzione dello spettatore. Tutti e tre i metodi ven­ gono usati nel cinema di fantascienza con l’intento di portare l’imma­ gine aliena dall’isolamento a una messa in scena attiva (dove l’attività è la rappresentazione di causa ed effetto divenuti comprensibili), in modo da integrare di nuovo quell’immagine nella comunità umana. Inoltre, tutti e tre i metodi tendono a coesistere e a mescolarsi piutto­ sto che ad agire separatamente, e il risultato finale trasforma la nostra meraviglia in interesse e il nostro interesse in comprensione e accetta­ zione. (Occorre sottolineare, tuttavia, che l’interesse e l’accettazione qui non sono considerati reazioni negative nei confronti dell’immagine cinematografica, né una sua mancanza di efficacia, ma semplicemente reazioni diverse dal timore e dallo stupore, da una sensazione di diso­ rientamento totale e di alienazione.)

Figura 58

Cittadino dello spazio (Joseph Newman, 1955). Tre modi per addo­ mesticare l’alieno: 1) la ripetizione, 2) l’umanizzazione e .3) l’elimina­ zione di ogni enfasi. (Universal)

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Si può dimostrare, per esempio, questo processo di cambiamento, prendendo in considerazione il ruolo del Korova Milkbar in Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971). La carrellata iniziale all’indietro, che parte da un immenso primo piano di un volto “alieno” (alieno per la nostra prospettiva, la mancanza di contesto e per il trucco e l’espres­ sione sconcertanti del volto) verso un campo lungo quasi compietamente statico del Korova Milkhar, con la sua composizione di figure “umane” vestite in modo bizzarro e di sculture nude, bianche, asetti­ che, è davvero meravigliosa. L’immagine non potrebbe essere più stra­ na nell’uso del colore (lo sfondo nero sembra allontanarsi all'infinito, negando e insieme suggerendo l'esistenza di muri, come le scritte ap­ pese al nulla; le figure umane c le sculture sono quasi tutte bianche, ac­ centate e punteggiate da tocchi di un viola livido e di fluorescenza arancione). E strana anche la composizione dell’inquadratura; la di­ sposizione delle figure evidenzia alcune zone di spazio inquietante tra i vari gruppi. Il soggetto dell’inquadratura poi, per quanto sembri alie­ no, è reso ancora più strano dalla sua immobilità: le figure umane sono quasi statiche, le statue - di forma umana - sono scolpite in pose di movimento bloccato. Lo stupore suscitato dal Korova diminuisce, tuttavia, man mano che il suo uso come scenario si ripete: le sue superfici di plastica, il co­ lore e la luce diventano familiari. Lo stupore che suscita diminuisce an­ che perché l’ambiente viene umanizzato, prende “vita” e assume una funzione (un ruolo) comprensibile. Le strane pose delle sculture ven-

Figura 59

Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971). La carrellata iniziale all’indietro che parte da un immenso primo piano di un volto “alie­ no’’ ha un inizio privo di contesto e sconcertante (notare l’espressione e il trucco). (Warner Brothers)

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Figura 61

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Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971). Continuando la carrella­ ta alFindietro, la composizione si fa più astratta (notare l’equilibrio fra il latte, la luce e il colore bianco). (Warner Brothers)

Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971). Allontanandosi ulteriorniente, l’ambientazione non è ancora diventata una sorta di “bar” dietro l’angolo. Ancora una volta, la simmetria, l’assenza di movi­ mento, la profondità indefinita, creano un senso di stupore, soggezio­ ne, disagio. (Warner Brothers)

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Figura 62

SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI FANTASCIENZA

Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971). Lo stupore suscitato dal Korova Milkbar diminuisce con la ripetizione. Le strane pose assunte dai mobili diventano funzionali, e ci concentriamo maggiormente sui personaggi umani. (Warner Brothers)

gono spiegate - si tratta di mobili e di distributori automatici - e alla fine il Korova viene accettato dallo spettatore come se fosse il bar die­ tro l’angolo. La sua importanza visiva diminuisce man mano che capia­ mo la sua funzione; la cinepresa ci fa vedere che lei stessa come la clientela del Korova danno per scontato il Milkbar, soffermandosi me­ no sulle sue superfici e avvicinandosi invece di più ai personaggi (che con l’azione e il dialogo hanno trasformato la propria irrealtà iniziale in caratterizzazione umana), cosicché lo strano contesto diventa secon­ dario rispetto ai loro conflitti interpersonali che ci sono comprensibili. Il Korova Milkbar statico, che ci sorprende nelle sequenze d’apertura, non è lo stesso Korova Milkbar che più tardi, nel corso del film, accet­ tiamo; le sue iniziali potenzialità illimitate sono state circoscritte e de­ finite dalla durata del tempo in cui lo si vede sullo schermo, dalla sua funzione che ci è familiare e comprensibile e dall’attività tipicamente umana che si svolge al suo interno. Questo processo di attenuazione dell’impatto visivo, tipico della fantascienza, non si limita, natural­ mente, ad adottare mezzi solo visivi. Le immagini aliene del cinema di fantascienza vengono riportate sulla Terra anche per mezzo della mu­ sica e del dialogo, due elementi che verranno presi in considerazione nel prossimo capitolo.

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^alienazione del consueto Abbiamo parlato di quei film di fantascienza che, ricorrendo ad ambientazioni create in studio e agli effetti speciali, vogliono allonta­ narci da esperienze e percezioni familiari per portarci nel regno dell’ignoto, ma che contemporaneamente cercano - ai fini della narra­ zione, del senso, della coerenza - di mettere in relazione le loro imma­ gini aliene con interessi umani e familiari. Ne risultano contrasti visivi, creati da due impulsi opposti. Lo stesso contrasto visivo si trova nei film di fantascienza che sono, letteralmente, costretti a restare a terra, film che a causa di limitazioni economiche e/o della trama non lasciano la Terra e il suo territorio familiare per raggiungere galassie lontane, film che non possono per forza o per scelta costruire un ambiente com­ pletamente alieno o dipendere da complicati effetti speciali e congegni fantasiosi per 1’evocazione dell’ignoto. Questi film, partendo dal con­ sueto, non vogliono riportarci sulla Terra, ma allontanarci da essa in vari modi, mentre restiamo allo stesso tempo sulla Terra dal punto di vista visivo. L’atteggiamento di questi film, visivamente parlando, non va verso una neutralizzazione di ciò che c alieno e astratto, ma piutto­ sto verso l’alienazione dello spettatore da ciò che è familiare e concre­ to. In alcuni casi, questa alienazione viene raggiunta mascherando sce­ nari consueti. John Baxter indica tre esempi spettacolari in cui l’am­ biente terrestre, combinato con qualche effetto speciale, è stato “in­ quadrato in modo tale da sembrare alieno”. Cita S.O.S. Naufragio nel­ lo Spazio (1964), per il quale il regista Byron Haskin “scelse come sce­ nario le erosioni da incubo della Valle della Morte” rese più interessan­ ti da un cielo color zucca; Il pianeta delle scimmie (Franklin Shaffner, 1967), girato in parte vicino al Lake Powell e Abbandonati nello spazio (1969), in cui John Sturges si servì dei paesaggi della Valle della Morte, non per rappresentare Marte, ma la Luna57. In altri casi, tuttavia, le im­ magini insolite di alcuni film ad alto costo e della maggior parte dei film di fantascienza a basso costo nascono da soggetti estremamente comuni, resi astratti o distorti, più che mascherati, per suscitare mera­ viglia. Immagini del genere possono, inoltre, comunicare un senso di ansia perché ci colpiscono - letteralmente - dove viviamo, vicino a ca­ sa. Si potrebbero citare Philip Strick e Peter Nicholls quando, nelle no­ te introduttive a un numero del National Film Theatre Bulletin che an­ nunciava che a Londra sarebbe stata proiettata una serie di film di fan­ tascienza, affermano: “Anche se siamo molto affezionati alle familiari

s' Baxter, pp. 169-70.

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Figura 63

SPAZIO E 1 EMPO NEL CINEMA PI EANTASCIENZA

S.O.S. naufragio nello Spazio (Byron Haskin, 1964). L’alienazione del consueto; la Valle della Morte viene trasformata nel paesaggio alieno di un ostile pianeta Marte. (Paramount)

assurdità della fantascienza hollywoodiana a basso costo, abbiamo la sensazione che sia giunto il momento di dare più credito ai suoi risul­ tati migliori - la fantasia visiva senza confini, l’uso creativo di luoghi già esistenti, i paesaggi silenziosi, i deserti e le città deserte”5s. Anche se è meglio lasciare molti film a basso costo alle cure bene­ vole che sono loro riservate nostalgicamente dalla memoria, film che cercano in modo poco convincente e risibile di imitare quelli più co­ stosi e spettacolari usando una stanza, qualche quadrante e creature aliene palesemente fatte di gomma, non manca però un certo numero di film che meritano l’attenzione della critica - che potremmo definire i film noir della fantascienza. Silenziosamente e malinconicamente, essi trasformano il consueto in alieno, sovvertono visivamente ciò che è co­ nosciuto e tranquillo e modificano il mondo che diamo per scontato fi­ no a renderlo sospetto. Facendo uso di pochissimi effetti speciali o ri­ nunciandovi del tutto, questi film suscitano meraviglia grazie alla loro capacità visiva di estraniarci dal paesaggio terrestre, dalle attività uma­ ne e dalle persone che ci vivono accanto. Però, a differenza della me“ lì Strick e lì Nicholls. 1973, p. 8.

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raviglia suscitata da immagini che sono strane di per sé (per il loro con­ tenuto e/o la loro portata), che spesso è di natura emozionante ed esal­ tante, quella creata da questi film minori è fondamentalmente sconfor­ tante nelle sue conseguenze, nella sua visione pessimistica. Anche senza ricollegarsi a alcuna gerarchia cinematografica particolare all’interno del genere, Parker Tyler, in uno dei suoi passaggi più acuti, parla dell’ottimismo della fantascienza portata sullo schermo attraverso mezzi economici importanti e del pessimismo della fantascienza a bas­ so costo, in termini psicologicamente appropriati: “Il genere fanta­ scientifico, cinematografico e non, è destinato (sorte in gran parte av­ veratasi) a dover convivere con quella combinazione di megalomania e paranoia spaziali che definirei la più antica forma di autolesionismo umano che si conosca”59. In questi film di fantascienza a basso costo lo spettatore non ha di fronte l’alieno come qualcosa di “altro” da sé o come qualcosa “lonta­ na” dal suo mondo, né è dotato della esaltante facoltà di vedere il mon­ do fisico dalla prospettiva di un dio (facoltà che potrebbe fungere da coronamento cinematografico alla “megalomania spaziale”). Vedendo questi film, non diventiamo divinità anche se, in realtà, le nostre per­ cezioni subiscono una trasformazione. Anzi, la sicurezza che riponia­ mo nel potere che ci deriva dal fatto di essere umani viene compromes­ sa (provocando una decisa sensazione di “paranoia spaziale”). Lo stu­ pore che proviamo nel vedere questi film è lo stupore di trovarci com­ pletamente sospesi in un limbo; ci è visivamente negato il conforto di una Terra che ci è familiare, a misura d’Uomo, e non abbiamo più il po­ tere di raggiungere le stelle.

Il sovvertimento del paesaggio Nel cinema di fantascienza con disponibilità di mezzi, che tende a neutralizzare le sue molte immagini aliene, è insita un’atmosfera visiva di fiducia e di ottimismo. Ciò che è insolito viene conquistato - non so­ lo in termini di trama, ma anche nell’andamento visivo del film stesso. L’infinito viene proposto e reso finito, l’ignoto diventa familiare. La fredda immensità dello spazio impersonale, il terrore dell’Uomo dì fronte all’universo e al vuoto - là fuori - vengono ridotti attraverso un movimento che allontana sempre più da una presentazione astratta di immagini meravigliose per passare a una loro integrazione con ciò che è conosciuto e umano. Il tutto è pervaso da una fiducia piuttosto com­ piaciuta e ottimistica nelle possibilità illimitate del progresso umano e tecnologico e da una visione dell’ignoto come un bellissimo territorio 59 Tylcr, p. 208.

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Figura 64

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Guerre stellari (George Lucas, 1977). Il cinema di fantascienza dota­ to di budget importanti ha un atteggiamento ottimistico dal punto di vista visivo, credendo che il progresso, umano e tecnologico, sia illi­ mitato. (20th Century Fox)

inesplorato (ben lontana dalla visione di Amleto), che ha in serbo sol­ tanto paure lievi e crea ansie di poco conto perché, visivamente par­ lando, è infine possibile scoprirlo e conquistarlo. In film come Uomini sulla Luna, Esploratori dell’infinito (Richard Carlson, 1954), La con­ quista dello spazio (Byron Haskin, 1955), l’Uomo si è sempre infilato nel suo razzo come in un’automobile nuova. Usa un gergo rassicuran­ te: i suoi progressi tecnologici, le sue competenze banali e il suo entu­ siasmo (da Tom Swift) - all’interno della corazza protettiva dell’astro­ nave - hanno privato l’infinito della capacità di terrorizzarci davvero e ne hanno ridotto l’assoluta impenetrabilità alle dimensioni di un’auto­ strada. I film che ci portano “là fuori” nello spazio o su altri pianeti attra­ verso la magia degli effetti speciali hanno un atteggiamento ottimista. Ci rassicurano proprio perché considerano ciò che è alieno e inconsue­ to come qualcosa di “altro”, separato dall’Uomo e dal suo dominio, il nostro pianeta. Ci troviamo là fuori perché tutto il territorio terrestre è stato sfidato e conquistato e non c’è nessun altro posto dove andare tranne - letteralmente e metaforicamente - lassù. Questo ottimismo è evidente anche nei film che portano qui ciò che è “altro”. Gli alieni che

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Uomini sulla Luna (Irving Pichel, 1950). Il gergo dell’uomo, il pro­ gresso tecnologico, competenze banali e un entusiasmo da Tom Swift hanno privato l’infinito della sua capacità di terrorizzare. (United Ar­ tists / Èagle-Lion)

combattono sui campi di battaglia terrestri non lottano solo contro gli uomini ma contro il pianeta stesso; la Terra è dalla nostra parte. La Ter­ ra e l’Uomo costituiscono un'unità organica, un’entità conosciuta, che collabora per respingere ciò che è “altro” e alieno. I Marziani de La guerra dei mondi non vengono uccisi soltanto dalla saggezza di Dio, ma dai batteri della Terra; persino l’atmosfera si ribella a un’intrusione co­ sì priva di scrupoli. In questi film, le nostre città, il traffico, la tecnolo­ gia, le chiese, i monumenti nazionali danno un volto umano - e quindi rassicurante - al nostro pianeta. Suggeriscono l’idea che noi e il suolo su cui camminiamo, siamo, in definitiva, uniti da un rapporto simbio­ tico, stretti armoniosamente in un amoroso abbraccio metafisico. Nello stesso periodo in cui venivano realizzati questi film che cele­ brano l’Uomo, le sue attività e il concetto generale della sua potenzia­ lità illimitata (gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta), alcuni registi con molta immaginazione o pochi mezzi economici iniziavano a sgre­ tolarci il terreno sotto i piedi; nei loro film l’unione prima armoniosa tra l’Uomo e i paesaggi del nostro pianeta si conclude con un divorzio. Cercando località poco costose per ambientarvi i loro film e abbastan­ za “neutre” da potervi inserire elementi straordinari e fantastici in

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quello che era, dopotutto, un mondo reale e familiare, registi come Jack Arnold, John Sherwood e Gordon Douglas scoprirono il deserto e la spiaggia. Nei loro film (e nei film di altri registi che si avventura­ vano negli stessi territori), accade che gli elementi straordinari e fanta­ stici - i mostri, i mutanti c gli invasori alieni - passano di fatto in se­ condo piano quanto a capacità di suscitare soggezione e stupore, a fa­ vore dell’impressionante forza visiva dei luoghi stessi. Ciò che suscita lo stupore tremendo e il pessimismo espresso da questi film non è tanto il formicone o il ragno gigantesco, né la Creatura, né l’invasore alieno - che in questo gruppo di pellicole compaiono piuttosto raramente, so­ no in ombra o non si vedono affatto, perché tecnicamente inferiori ai loro equivalenti più costosi. Piuttosto, è proprio la superfìcie terrestre a suscitare sgomento e terrore. Osservando quei paesaggi marini miste­ riosi e silenziosi: la sabbia bagnata e scura e la spuma del mare che si frange furiosamente contro le geometrie bizzarre e indefinibili delle rocce a picco, vedendo le immense distese prive di ombra dei deserti punteggiate dalla forma severa e fredda di uno sporadico cactus, o dal­ la corsa frenetica dì un roditore minuscolo e vulnerabile, lo spettatore è costretto a riconoscere, seppur inconsciamente, la pochezza e la pre­ carietà della stabilità dell’Uomo, la sua vulnerabilità al vuoto che c’è “qui” come “là fuori”, il suo isolamento totale, la caducità del suo cor­ po e delle sue attività, la spaventosa mancanza di interesse negli occhi di quella che pensava fosse Madre Natura. In contrapposizione agli altri mondi immaginari creati nei set cine­ matografici o ai mondi reali urbani talmente pieni dei frutti del nostro progresso da sembrare a misura d’Uomo, il deserto e la spiaggia esisto­ no come luoghi dove nascono o si nascondono le cose che minacciano di distruggerci, e diventano quindi zone ostili di una Terra un tempo materna nei confronti dell’Uomo. Partendo da premesse opposte a quelle dei film che riducono ottimisticamente le immensità e le incer­ tezze dello spazio alla prospettiva vista da un’automobile intergalatti­ ca, i film che ci mostrano l’“alterità” del mondo in cui viviamo real­ mente espandono i limiti definiti e certi di una macchina che corre su un’autostrada, serpeggiando attraverso il deserto o lungo un tratto so­ litario di strada costiera, in un viaggio attraverso un vuoto infinito e ostile. Quando la Terra che ci ha nutrito ci minaccia, siamo davvero perduti nello spazio. Film come Destinazione Terra, Assalto alla Terra, Il mostro della laguna nera (Jack Arnold, 1954), Tarantola (Jack Ar­ nold, 1955), Beast with a Million Eyes (David Kramarsky, 1955), L’in­ vasione degli ultracorpi (Don Siegei, 1956), La meteora infernale, I figli dello Spazio (Jack Arnold, 1958) e Most Dangerous Man Alive (Allan Dwan, 1961) ci dicono che la Terra non è parte di noi, non ci riconosce nemmeno. Questi film - del tutto oppure in parte - ci portano lontano

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dalle nostre strutture più grandi, le città e i grattacieli che solitamente spezzano il vuoto inquietante dell’orizzonte. La nostra civiltà e il suo apparato tecnologico sono rappresentati al massimo da un paese di provincia sull’orlo di un abisso. Guardando questi film con i loro nu­ merosi campi lunghi dove le figure umane si muovono simili a insetti, e la presenza insistente di un paesaggio insondabile, siamo costretti ad assumere una visione pessimistica del valore del progresso tecnologico e della capacità dell’Uomo di essere padrone del proprio destino. Ve­ diamo esseri umani inquieti contro lo sfondo dell’immensità e dell’eternità del deserto c del mare, c questo contrasto ci ricorda che la terra e l’acqua esistono da molto più tempo di noi, delle nostre città e paesi e che esisteranno molto tempo dopo che noi e le nostre opere non ci saremo più. Ci vediamo - normali, umani, spaventosamente mortali - stagliarci contro un paesaggio impassibile e disadorno che ri­ fiuta ogni forma di gentilezza antropomorfica che noi cerchiamo di at­ tribuirgli. In Destinazione Terra, la cinepresa esplora un deserto dove una fila di pali telefonici e gli uomini intenti a lavorare attorno ai fili non rie­ scono a interrompere la sterminata zona desertica e il cielo vuoto. Gli nomini che lavorano, cercando di imporre dei limiti a una distesa di

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Destinazione Terra (Jack Arnold, 1953). Questo e altri film di fanta­ scienza a basso costo degli anni Cinquanta ci portano lontano dalle città e dai grattacieli che spezzano l’inquietante vuoto dell'orizzonte. (Universal).

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spazio impassibile e spaventoso, sembrano riconoscere inconsciamente la futilità del loro tentativo di lasciare un'impronta nel deserto. Uno di essi dà voce all’incertezza e al disagio che proviamo anche solo veden­ do le immagini sullo schermo: “Vedi fiumi e laghi che non esistono e a volte ti pare che il vento entri nei fili e canti”. Il deserto è ingannevole e il vento canta, non per l’Uomo, ma tra sé e sé. Le persone si inoltrano nel deserto e non tornano più, oppure tornano in qualche modo tra­ sformate da quell’esperienza: la bambina che se ne allontana incespi­ cando in stato di shock in Assalto alla Terra, gli abitanti della cittadina che sono “posseduti” ne Gli invasori spaziali, il bracciante nel film af­ fascinante ma poco fortunato Beast with a Million Eyes, il gangster in Most Dangerous Man Alive. In Beast with a Million Eyes, la cinepresa, all’inizio del film, ci lascia sbirciare il deserto (che vedremo meglio più tardi) attraverso una cortina di foglie innocue e garbate, mentre il nar­ ratore parla della stranezza e della malvagità del luogo: “Ha qualcosa a che fare con la sensazione che hai quando pensi a cosa c’è laggiù die­ tro al bosco”. Il deserto dà nutrimento e protezione a ciò che è alieno, mutante; in questo scenario che - come la spiaggia, il mare e più rara­ mente l’Artico - ha conosciuto ogni forma di vita in evoluzione, niente è strano. Il ragno gigantesco di Tarantola o le formiche di Assalto alla Terra sembrano normali in un contesto simile; è solo in confronto all’Uomo e alle sue attività che sembrano enormi e grotteschi. La casa isolata nel deserto in Tarantola appare già condannata quando la ve­ diamo; è senza scampo con un orizzonte così dritto e immenso, non ce la fa a restare in piedi, mentre gli organismi animali che hanno subito la mutazione sembrano immediatamente a proprio agio. Illuminati dal­ la luce scolorita del sole, un uomo e una donna si trovano nel deserto, minuscoli contro un cielo insondabile e affioramenti di rocce irregolari e inospitali, con la loro minuscola automobile parcheggiata a lato di una quasi-strada; sono a disagio e l’Uomo dice: “Un tempo qui c’era il mare. Si trovano ancora delle conchiglie se si cerca bene”60. Per quanto riguarda il deserto, potremmo essere tutti “un paio di ruvide chele, che corrono sul fondo di mari silenziosi”61. Rimane legato al passato pri­ mordiale rendendo così il presente intensamente sgradevole. Anche il paesaggio terrestre a ridosso della costa, con le sue spiag­ ge e le sue grotte, può trasformarsi in un ambiente fortemente alieno, come ne 1 figli dello spazio, un film un po’ carente dal punto di vista 60 Questa citazione tratta da Tarantola, purtroppo, è solo approssimativa. La sceneg­ giatura, inedita, non è reperibile e le battute citate sono state annotate durante le mie svariate visioni del film. 61 T. S. Eliot, “The Love Song of J. Alfred Prufrock”, The Complete Poems and Plays, New York, Harcourt Brace, 1952, p. 7. Traduzione dall’originale: “a pair of ragged claws, scuttling across the floors of silent seas”.

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I figli dello Spazio (Jack Arnold, 1958}. Foto pubblicitaria. In questo film, il paesaggio e il rapporto che lo lega ai bambini è molto più ag­ ghiacciante dell’invasore alieno. (Universal)

logico c che perciò spesso viene accantonato trascurandone il lato vi­ sivo. Una zona costiera rocciosa e una spiaggia ospitano un’entità alie­ na (una cosa che all’inizio è un sasso che brilla in maniera provocato­ ria, ma poi diventa un cervello che brilla in maniera ridicola). Solo i bambini della zona sanno dell’esistenza di questo essere che, telepati­ camente, li costringe a sabotare un missile che si trova nella base mili­ tare dove lavorano i loro padri. L’aspetto dell’entità suscita il riso più che il terrore; tuttavia, è il paesaggio a essere spaventoso. Soltanto i bambini hanno un qualche rapporto con l’ambiente desolato che li cir­ conda, inconsapevoli delle conseguenze della sua terribile immensità, ma anche il rapporto che li lega ad esso sembra dominato da un fascino morboso e controllato da un punto di vista visivo. Non ci sono scene felici sulla spiaggia, con i bambini che giocano al sole caldo e splenden­ te; le immagini del film ci mostrano una spiaggia e un oceano grigi, im­ mersi in una luce tetra e uniforme di giorno, o insidiosamente buia e umida di notte. Si vedono i bambini continuamente alle prese con ma­ glioni e giacche, per proteggersi fisicamente mentre obbediscono in si­ lenzio a ciò che è nascosto in una delle grotte. Il mostro della laguna

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II mostro della laguna nera (Jack Arnold, 1954). La bellezza idilliaca della laguna nera diventa una palude primigenia, un luogo di “chiari­ mento e terrore”. (Universal)

nera inizia “con una cinepresa che si aggira tra nebbie tremolanti e pa­ esaggi appena intravisti; il mare ondeggia senza tregua all’orizzonte e, mentre si frange su una spiaggia buia e vuota, si vedono impronte in­ formi che dall’acqua spariscono nelle tenebre”62. Dopo un eternità ve­ diamo il mostro, questo “vicolo cieco evolutivo”, nella laguna nera, bella e scintillante ma in definitiva insondabile. La cinepresa trasforma la bellezza idilliaca della superficie dell’acqua in una palude primige­ nia63, dove il mostro si muove con eleganza, nuotando con grazia e for­ za, a suo agio in un ambiente in cui l’Uomo diventa assurdamente goffo con indosso le pinne e la maschera a ossigeno. Come il deserto e la co­ sta, “la laguna è un luogo... di chiarimento e di terrore”64. La sua pro­ fondità getta l’Uomo - e lo spettatore - nella consapevolezza del pro­ prio isolamento, del fatto di non avere una dimora. Questa sensazione che l’Uomo non abbia dimora, che non sia altro che una creatura di passaggio sul pianeta, viene portata sullo schermo in molti dei film do­ ve i personaggi sembrano non avere nemmeno la forza di stabilirsi de­ finitivamente su un terreno ostile. La famiglia della bambina che fugge Baxter, p. 114. 65 Frank McConnell, 1973, p. 20. M Ibid.

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nel deserto incespicando, in Assalto alla Terra, non viveva in una casa ma in una roulotte, che vediamo demolita, con gli oggetti di proprietà personale e i mobili sparpagliati sul suolo sabbioso come foglie al ven­ to, fatti a pezzi, saccheggiati. Il negozio che viene assalito dalle formi­ che in cerca di zucchero è costruito con assi, sgangherato e pieno di crepe; non solo sentiamo il vento soffiare attraverso le fessure della sua misera struttura, ma vediamo la sabbia che si insinua all’interno e rico­ pre i banconi e il pavimento, dando già inizio a un processo di erosione che intaccherà ogni traccia lasciata dall’Uomo. Ne II mostro della lagu­ na nera, i personaggi vivono su una barca che galleggia fragile sulla su­ perfìcie di un mondo sconosciuto. Ne I figli dello Spazio, i bambini e i loro genitori vivono in piccole case mobili, in una sorta di camping al limitare del nulla; le luci che si vedono alle finestre - con la desolazione del terreno e l’oscurità della notte che fanno da sfondo - sono soltanto minuscole candele accese nel vuoto caotico e incomprensibilmente alieno che c’è qui sulla Terra, un mondo fatto di cose che una volta ci erano familiari. Esistono anche, sebbene non altrettanto spesso, film che rappre­ sentano il suolo terrestre in una luce aliena e ostile, realizzati in luoghi diversi dal deserto e dalla spiaggia. È (’Artico a fornire l’efficace rap­ presentazione del mondo gelido e ostile de La cosa da un altro mondo (Christian Nyby / Howard Hawks, 1951); il campo lungo degli uomi­ ni, che formano fisicamente un circolo su un’immensa distesa di ghiac­ cio nel tentativo di scoprire le dimensioni di un’astronave lì sepolta, non incute timore per quello che c’è sotto il ghiaccio, ma perché la loro piccola geometrica impresa crea un contrasto agghiacciante col pae­ saggio. Anche l’inizio de II risveglio del dinosauro (Eugene Lourié, 1953) si avvale dell’Artico come sfondo ostile alla scoperta del Rhedosaurus, che poi assumerà una forza visiva di altro genere quando arri­ verà a Coney Island. La palude e la giungla sono molto meno efficaci nel trasmettere un senso di minaccia e compaiono ancora più di rado dell’Artico nel cinema di fantascienza; sembrano appartenere più al paesaggio del cinema horror: vedi The Leech Woman (Edward Dein, 1960) o Frogs (George McCowan, 1972). Non sono riusciti in modo particolare a suscitare quella sensazione di vuoto che dà al cinema a basso costo quelle tipiche caratteristiche visive singolarmente deva­ stanti. La palude e la giungla - per quanto possano apparire aliene per chi è abituato ad avere un pavimento sotto ai piedi - sono troppo piene di foglie, di impedimenti fisici e di spazi limitati per darci quella sensa­ zione di spazio sconfinato e impossibile da conquistare, che può essere evocato visivamente dal deserto, dal mare e dall’Artico, quella sensa­ zione di essere privi di radici e di stabilità che ispira sgomento e terro­ re. Ora è interessante notare che, finché ciò che è “altro” si trova nel

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La cosa da un altro mondo (Christian Nyby/Howard Hawks, 1951). Il sovvertimento del paesaggio: il mondo gelido e ostile dell’Artico do­ ve la geometria umana forma un contrasto agghiacciante con il pae­ saggio. (R.K.O. ! Winchester)

deserto, sulla spiaggia o nell’acqua, è quasi sempre indistruttibile. Fin­ ché mantiene un legame con il paesaggio che lo accoglie e lo nutre, l’Uomo non può riuscire a vincerlo. L’alleanza, che una volta ci era fa­ vorevole, tra l’Uomo e l’ambiente circostante si è trasformata in un’al­ leanza di forze ostili. L’Uomo può vincere solo all’interno delle sue pic­ cole oasi territoriali. Le formiche gigantesche vengono uccise nella rete delle fognature della città, non nel deserto; la “Cosa” da un altro mon­ do viene fulminata in uno spazio chiuso, non viene eliminata nel de­ serto gelido del ghiaccio artico; l’entità aliena del figli dello Spazio può ritornare, illesa, da dove è venuta perché non ha mai tentato di lasciare la grotta sulla spiaggia; il mostro è al sicuro finché rimane nella laguna. Nel cinema di fantascienza c’è ancora da prendere in considerazio­ ne un altro tipo di sovvertimento visivo di un paesaggio familiare, che non interessa solo le pellicole a basso costo: la trasformazione e l’alie­ nazione della città. In certi film di fantascienza (soprattutto quelli che trattano dell’olocausto post-atomico) ci sono immagini che mostrano un vuoto di tali proporzioni da incutere timore dal punto di vista sia psicologico che visivo. Questi film non fondano la loro forza visiva su uno scontro grandioso tra l’uomo e le forze aliene in un contesto ur­

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bano familiare e vivo, ma piuttosto su un sovvertimento della familia­ rità di quel contesto. Quando pensiamo alla città, come la vediamo nella vita “vissuta” o anche nella maggior parte dei film, è piena di vita, di persone, di traffico, di movimento. Vederla privata di tutto quel mo­ vimento (che è, dopotutto, un segno visibile di vita) significa vederla sotto una luce sconvolgente, vederla “come se una macchina da presarobot avesse continuato a srotolare una pellicola e a riprendere il mon­ do senza l’aiuto dell’uomo”65. In Five (Arch Obler, 1951) entriamo, con la protagonista e il catti­ vo, in un canyon vuoto che è delimitato da grattacieli e ha il fondo punteggiato da automobili ferme e abbandonate con angolazioni assur­ de; non si muove nulla tranne la macchina su cui i due viaggiano len­ tamente mentre uno scheletro li guarda fisso da una finestra. L’ultima spiaggia (Stanley Kramer, 1959) ci mostra l’equipaggio di un sottoma­ rino che cerca di trovare la fonte di un segnale proveniente da un’Ame­ rica priva di ogni forma di vita a causa delle radiazioni. Gli uomini va­ gano per una San Francisco deserta solo per “scoprire la fonte del se­ gnale, una bottiglia incastrata nella persiana di una finestra che batte casualmente una lettera dell’alfabeto morse: l’ultima, raccapricciante, futilità”66. (Una bottiglia di Coca addirittura.) Ne La fine del mondo (Ranald Mac Dougall, 1959), questa immobilità inanimata, questo vuoto, vengono esplorati di continuo dalla cinepresa, che percorre tut­ ta New York City, Wall Street e passa attorno al palazzo delle Nazioni Unite. Macchine ferme per sempre su un ponte, giornali che svolazza­ no per la strada come a deridere ogni forma di vita animata - sono im­ magini ricorrenti nelle città viste dopo l’olocausto nucleare della fan­ tascienza che va dagli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Settanta. Di­ versi dal disastro visto nel suo svolgersi, con l’impatto visivo che lo contraddistingue, questi sono i “rifiuti del disastro”67, immobili e silen­ ziosi: la Statua della Libertà letteralmente abbattuta ne II pianeta delle scimmie, la grande insegna, distrutta e rovinata dal passare del tempo, di Radio City Music Hall e la stazione della metropolitana del suo se­ quel, L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie (Ted Post, 1970), o “la cit­ tà vuota, le case incustodite, i letti di ospedale pieni di cadaveri”68 in 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, (Boris Saga), 1971). La città, quindi, è suscettibile al vuoto quanto il paese al limitare del deserto o sul mare. “La fotografìa cinematografica di un mondo di­ sabitato (le strade di una città moderna...) ha portato agli uomini stes65 66 67 **

Tylcr, p. 108. Baxter, p. 157. Strick c Nicholls, n.p. Ibid.

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figura 70 * °

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SPAZIO h ITMPO NIT CINEMA DI I'AN LASCI ENZA

L'ultima spiaggia (Stanley Kramer, 1959). Uno dei tanti film che portano sullo schermo la città morta, inerte. (United Artists)

1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (Horis Sagal, 1971). I “rifiuti del disastro’' immobili e silenziosi. (Warner Brothers)

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si, gli spettatori di questa fantasia, la consapevolezza del mondo da lo­ ro creato, nominalmente, praticamente e finalmente indipendente dal­ la loro partecipazione. L’Uomo aveva fatto sì che questo mondo non più ‘suo’, in quanto aveva previsto il momento in cui l’umanità non avrebbe avuto speranze di sopravvivenza, in pratica si estinguesse”69.

La disumanizzazione degli umani Il sovvertimento visivo del consueto, naturalmente, non ha come soggetto solamente i paesaggi rurali o urbani della fantascienza. Le stesse fantasie negative che estraniavano lo spettatore dalla sua amata Terra a misura d’uomo, trasformavano “i vicini amichevoli” dell’im­ maginario cinematografico negli esseri alieni freddi e impassibili che hanno invaso tanti film a basso costo. Anche se certamente meno sor­ prendenti visivamente e meno stupefacenti fisicamente dei vistosi alie­ ni ed esseri viscidi assortiti, creati grazie a costosi effetti speciali, le fi­ gure umane “possedute” del cinema di fantascienza a basso costo com­ pensano con la loro capacità di disorientarci la scarsa capacità di stu­ pire. Mentre esiste una gamma di reazioni possibili di distaccato stu­ pore all’apparizione di invasori Marziani o Mutanti di Metaluna, ven­ gono percepiti chiaramente come “altri” esseri rispetto a noi, le nostre reazioni alla vista di alieni che hanno un aspetto identico al nostro è tutt’altra cosa. Ci aspettiamo un comportamento inusitato da una cosa percepita come inusitata, un comportamento alieno da una cosa alie­ na. Ciò che è visivamente devastante e inquietante negli esseri umani “posseduti” dei film di fantascienza è la lieve, e perciò terribile, incon­ gruenza tra la normalità del loro aspetto e la straordinarietà che in de­ finitiva ne caratterizza il comportamento, per quanto essi cerchino con tutte le loro forze di continuare a passare inosservati e di restare “nor­ mali”. La maggior parte dei film che sovvertono l’aspetto e il comporta­ mento umano - rendendoli misteriosi - fondano la loro efficacia visiva ed emotiva sul contrasto fra i più piattamente normali, convenzionali e banali scenari possibili e il comportamento calmo, minuzioso e tut­ tavia enfaticamente aberrante degli alieni invasori che si atteggiano a gente normalissima. Così, lo scenario di quasi tutti questi film è un’America di provincia, una comunità ordinaria, prevedibile, tran­ quilla e generica come una copertina del Saturday Evening Post dise­ gnata da Norman Rockwell. In un mondo come questo, contro uno sfondo come questo, la minima deviazione dalla norma, dal rituale e dall’abitudine, dal calore, dalla cordialità, dalla socievolezza - e addiM Tyler, p. 108.

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pittura dall'eccentricità - tipiche della vecchia America, assumerà la forza visiva di uno spettacolo di fuochi d’artifìcio del 4 luglio, se non di una detonazione nucleare da era spaziale. La cosa agghiacciante di questi film, la causa del nostro disagio, è che sono ambientati a casa no­ stra, e minacciano la stabilità del focolare domestico e della famiglia, affermando con calma che nulla è sacro, neanche Mamma e Papà, il ca­ po della polizia, o addirittura il proprio grande amore. Ne Gli invasori spaziali i primi a essere “posseduti” sono il padre e la madre di un bambino, poi una bambina e infine il capo della poli­ zia. (Come nella maggior parte dei film di questo tipo non vediamo il processo vero e proprio con cui un corpo alieno si impadronisce di un umano, anche se viene rivelato l’espediente con cui si compie questo transfert: è un cristallo rosso conficcato alla base del collo della vittima a compiere la trasformazione.) In Destinazione Terra la ragazza del protagonista è una delle persone “possedute”. Lo splendido L’invasio­ ne degli ultracorpi trasforma le famiglie (un bambino fugge da casa e sostiene ossessivamente che sua madre non è più sua madre), le perso­ ne che occupano ruoli autorevoli, gli amici e infine la protagonista, che viene privata dagli alieni della sua intensa umanità durante il sonno. Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (Gene Fowler Jr., 1958) porta questa riuscita e minacciosa sciarada nel talamo. The Day Mars Invaded the Earth (Maury Dexter, 1962), poi, mette in scena la perver­ sione ultima e cinematograficamente straordinaria dell’unione familia­ re: uno scienziato e la sua famiglia vengono “posseduti” in un finale atipico, in cui si viene a sapere che “sono stati inceneriti dai raggi dei Marziani e le loro sagome di cenere sono state inghiottite dallo scarico della piscina vuota, mentre i loro simulacri se ne vanno via sulla mac­ china di famiglia”70. Gran parte del fascino esercitato da questi film di invasioni invisi­ bili è stata attribuita al fatto che essi mettono in scena metaforicamente l’angoscia dell’Uomo moderno che vive in una società tecnologica, bu­ rocratica e conformista. Più di qualunque altro aspetto del cinema di fantascienza, lo stratagemma narrativo della “possessione” merita la profonda attenzione da parte dei critici cinematografici e della cultura popolare. Così, per esempio, il composito L’invasione degli ultracorpi è stato oggetto di svariate analisi politiche e sociali, valide comunque anche per i peggiori film che trattano di alieni “infiltrati”. (In breve, per i lettori che non conoscono il film, L’invasione degli ultracorpi rac­ conta la storia di una cittadina invasa dagli alieni, che si sostituiscono agli esseri umani mentre questi dormono, e che, dopo aver raggiunto la maturità - all’interno di enormi baccelli - appaiono uguali ai loro so70 S. Sontag, 1965, p.47.

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Destinazione Terra (Jack Arnold, 1953). Il sovvertimento dell’umano, l’invasione aliena in cui gli esseri umani vengono “posseduti”, crea immagini che suscitano paranoia. (Universal)

sia umani, pur essendo in realtà solo insensibili simulacri.) Ernesto Laura ritiene “naturale pensare che i baccelli rappresentino l'idea co­ munista che gradualmente prende possesso di una persona normale, lasciandola esteriormente immutata ma trasformata interiormente”71. Brian Murphy pensa che il motivo di interesse del film risieda nel con­ vincente clima di paranoia che riesce a creare: “le immagini di persone conosciute, il postino, il poliziotto, la moglie, posseduti da un’entità aliena hanno un’efficacia orribile e spaventosa”72. Charles Gregory scrive: “Realizzato nel 1956, a metà del decennio, popolato di uomini vestiti di flanella grigia, la generazione silenziosa, gli arrampicatori so­ ciali, il Senatore Joseph McCarthy e la sua triste compagnia, il thriller fantascientifico di Siegei è un frustrato grido di avvertimento contro il conformismo c l’uniformità di una società che viveva beatamente nel migliore di tutti i mondi possibili” 3. Susan Sontag valica i confini di questo film, dando un significato generale all’idea di essere “posseduti” 1 Ernesto G. Liura, “Invasion of the Body Snatchers”, in W. Johnson, 1971, p. 71. ’ B. Murphy, 1972, p. 42. ' C. T. Gregory, 1972, pp. 3-4.

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da una entità aliena e privati della propria personalità, presente in tanti i film di questo tipo. Considera la possessione “una nuova allegoria che riflette l’antichissima consapevolezza dell’Uomo di essere, pur sano di mente, sempre pericolosamente vicino alla follia e all’irrazionalità”74, e anche lei individua in questi film una rappresentazione del fascino ambiguo della pura ragione. Carlos Clarens, poi, esprime la seguente opinione sui film di questa categoria: Il massimo dell’orrore nella fantascienza non è né la morte né la distruzio­ ne, ma la disumanizzazione: uno stato in cui la vita emotiva è sospesa, l’in­ dividuo è privato dei sentimenti personali, del libero arbitrio e del giudizio morale... questo orientamento narrativo tocca il nervo più scoperto della società contemporanca: l’inquietudine collettiva per la perdita dell’iden­ tità individuale, la suggestione subliminale o il totale lavaggio del cervello a opera della scienza e della politica.75

Nel mezzo di tutta questa attività critica, si nota anche un elemento decisamente interessante dal punto di vista emotivo nell’idea di essere “posseduti” da forze aliene; esso va oltre gli elementi di attrazione in­ siti nell’idea stessa, espressi dallo psichiatra-baccello ne L’invasione de­ gli ultracorpi, ed è ripreso anche da altri film: “Amore, desiderio, am­ bizione, fede - senza tutto questo la vita è molto più semplice”. L’ulte­ riore elemento di interesse dal punto di vista emotivo è: “niente più re­ sponsabilità”. La “possessione” aliena può essere paragonata alla con­ dizione di chi si è arruolato e deve eseguire gli ordini. In quanto “pos­ seduti”, non si può essere ritenuti responsabili dei crimini commessi spinti dalla collera o perfettamente impassibili. Nel fervore critico suscitato dai vari significati possibili di baccelli, Marziani e altri alieni assortiti che si insinuano nel corpo degli esseri umani, è facile dimenticare che ogni discussione nasce da premesse vi­ sive, da immagini che, in fin dei conti, sono completamente diverse dalle idee. E interessante e giusto che Don Siegei, il regista de L’inva­ sione degli ultracorpi, seppur interessato al “messaggio” trasmesso dal­ la trasformazione degli uomini in baccelli, sia più convincente quando si esprime in termini visivi; passa dal concetto astratto al visivamente concreto: Essere un baccello significa non essere preda delle passioni, della rabbia, significa parlare meccanicamente ed essere privi di vita propria. Vi ricor­ date la scena del film in cui Kevin e Duna camminano per la strada fìngen­ dosi baccelli? Lui le dice di camminare normalmente, con espressione as-

74 Sontag, p. 48. 75 C. Clarens, 1967, p. 134.

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sente, di non reagire a nulla, ma lei non riesce a trattenersi quando crede che un cane stia per essere investito per strada. In un mondo di baccelli in­ sensibili alla morte di un cane, la sua umanità la tradisce.76

Trovavo molto divertente giocare con l’idea che da baccelli non si provas­ sero passioni. Cosi, quando lui torna nella miniera c lei cade, lui cerca di rianimarla con un bacio in maniera piacevolmente non baccellesca, ma lei non reagisce come dovrebbe facendogli capire immediatamente di essere un baccello.77

L’elemento visivamente affascinante e inquietante nelle immagini di film come L’invasione degli ultracorpi di Siegei è il modo in cui ciò che è sicuro e familiare viene trasformato in qualcosa di indefinibil­ mente pericoloso e astutamente perverso. Guardare l’America di pro­ vincia del film è come guardare i quadri di Andrew Wyeth: i soggetti sono familiari, comuni, ma si prova una tensione che non sembra na­ scere da un motivo subito percepibile, una distorsione di angolazione talmente lieve da essere quasi inesistente, ma talmente grande da far rabbrividire in modo intollerabile. Gli alieni che in questi film “entra­ no” nei corpi umani hanno un comportamento quasi perfetto e il mo­ do quasi sempre tranquillo che usano per distoreere il comportamento umano ha l’effetto di uno schiaffo in pieno viso. E impossibile ridere di fronte a queste interpretazioni quasi perfette; i personaggi “norma­ li” e “fidati” che vediamo sullo schermo comportarsi in modo volutamente grigio e noioso non agiscono in maniera tanto rozza e ovvia da poter essere considerati caricature del comportamento umano. In quanto spettatori, ci viene imposto un ruolo estremamente attivo men­ tre guardiamo questi film, un ruolo che non ci viene affidato spesso al cinema: veniamo indotti dal minimo cenno e dalla novità di ciò che ap­ pare sullo schermo a entrare in uno stato di attenta paranoia, che ci spinge a soffermarci a scrutare le immagini in apparenza più intenzio­ nalmente e ingannevolmente insignificanti, cercando tracce di com­ portamenti alieni e aberranti da parte dei sospetti più improbabili. In un’eccellente monografia sulla violenza e i film di genere, Lawrence Al­ loway lascia intendere implicitamente che la suspense si crea quando non succede niente™. Se così fosse, i film di cui abbiamo parlato non potrebbero essere più avvincenti e ricchi di suspence per quasi tutta la loro durata - e non è un’affermazione ironica. Il fatto che in un “film” non succeda quasi niente ci rende, da spettatori, estremamente sospet­ tosi e guardinghi. 76 Don Siegel in S.M. Kaminsky, 1974, p. 104. 77 Ibid., p. 106. 715 L. Alloway, 1971, p. 44.

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Figura 73

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L’invasione degli ultracorpi (Don Siegei, 1956). Da "baccelli" non si possono provare passioni. Miles non riesce a ridare la sita umanità a Becky baciandola: è stata "posseduta” dagli alieni. (Allied Artists)

Che cosa tradisce gli alieni? Come ha fatto notare Siegei con i suoi esempi, è principalmente una questione di comportamento in negati­ vo, il non fare qualcosa: una mancata esclamazione, un bacio non ri­ cambiato. Per quasi tutta la durata dei vari film, quindi, ce ne stiamo seduti a guardare attentamente gente comune comportarsi in modo co­ mune, talmente comune che a volte dà la stessa impressione di ine­ spressività degli alieni e crea ulteriore tensione dal punto di vista visivo - non solo non riusciamo a distinguere chi è stato “posseduto”, ma nemmeno chi non è stato “posseduto”. Così, le angolazioni fisse delle riprese, i movimenti banali della cinepresa e la fotografia assolutamen­ te priva di fantasia alla fine sembrano avere lo scopo preciso di creare una messa in scena in cui l’insistenza continua su ciò che è ordinario crea una tensione straordinaria. In questi film ci viene detto di cercare una mancata reazione, una non azione: esperienza cinematografica alla rovescia e inquietante di per sé. Per vedere “non succedere” delle cose, bisogna guardare lo schermo davvero con molta attenzione - e nei po­ chi casi in cui “l'essere umano” alieno compie un’azione rivelatrice (la presenza di un’azione piuttosto che la sua assenza), il risultato è stra­ ordinariamente sconvolgente, per quanto l'azione sia insignificante o abbia un’importanza minima nella messa in scena. E impossibile non

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accorgersene, tuttavia, per quanto sia “nascosta”, perché siamo stati costretti a guardare quelle immagini familiari sullo schermo con oc­ chio di falco - e a diffidarne con l’animo di un paranoico. John Baxter dà alcuni esempi sia dell’aspetto attivo sia di quello passivo dei film di “possessione” aliena in una sua analisi di Destina­ zione Terra di Jack Arnold: Arnold ricorre con intelligenza ai comportamenti alterati per creare uno stato d’animo. Tutti quelli che sono stati “posseduti” si comportano in modo leggermente ma misteriosamente stonato: i due camionisti, visti di sfuggita da Putnam in città e intrappolati in un vicolo, spuntano dall’oscu­ rità tenendosi per mano, mentre uno degli uomini, attratto dalla visione del sole splendente, alza gli occhi al cielo e lo fissa senza battere ciglio. Quando Putnam ha di fronte la sua ragazza sul pendio ventoso di un colle all’alba, lei resta indifferente al freddo vento del deserto, mente lui è ob­ bligato ad alzare il colletto e a ritrarsi infreddolito. Sobriamente ci viene detto che esiste qualcosa che va oltre la nostra conoscenza della vita, un mondo al di là del nostro, che ha “un ritmo diverso”.79

Certo, questi film ci dicono che esiste qualcosa al di fuori della no­ stra esperienza della vita - ma ci mostrano anche che questo “qualco­ sa” è dentro la nostra pelle. Il fatto che ciò che ci minaccia si trovi cosi vicino a noi è il motivo della nostra reazione di disagio, se non di vera e propria inquietudine. Questi film sono pieni di madri e di padri, di bravi dottori, di tipici camionisti simpaticoni, di addetti alle linee tele­ foniche - oltre che di immagini di bambine, bambini e addirittura di un cane fedele (quest’ultimo subisce una trasformazione in Beast With a Million Eyes) - che alla fine non si comportano in maniera consona a ruoli solitamente sacrosanti. L’immagine che ricorre più spesso in que­ sti film è quella di una persona amata e fidata che fissa freddamente l'obiettivo della cinepresa oppure lo spazio fuori dall’inquadratura, ignorando le manifestazioni di preoccupazione o di amore, emozioni disgustosamente umane, del protagonista. Visivamente, quindi, questi film possono essere accusati di eresia. I personaggi familiari che vedia­ mo sullo schermo e i loro ruoli, che conosciamo bene, non sono quello che sembrano. E siccome le immagini cercano di ingannarci, non c’è persona o funzione a noi familiare che possa sfuggire al nostro esame minuzioso e ai nostri dubbi. I minimi gesti dei personaggi più innocenti diventano sospetti, niente e nessuno va dato per scontato. Madre, pa­ dre, marito, moglie, figlio, vicini, funzionari pubblici, vanno tutti tenu­ ti d’occhio nel caso presentino segni rivelatori del fatto che, sotto l’aspetto esteriore, nascondano l’invasore. Non possiamo credere au*’ Baxter, p. 117.

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Figura 74

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Destinazione Terra (Jack Arnold, 1953). Una delle immagini ricorren­ ti è una persona amata e fidata che fissa freddamente l’obiettivo della cinepresa oppure lo spazio fuori dall’inquadratura. (Universal)

tomaticamente a ciò che vediamo. Pertanto questi film, visivamente c nel contenuto - lasciano intendere che fidarsi e credere negli altri (anche in coloro che ci sono più vicini e cari) sia assurdamente inge­ nuo, forse autodistruttivo; come guardiamo i film - con sospetto - do­ vremmo guardarci a vicenda, e una “sana” paranoia viene proposta co­ me alternativa alla fiducia, ragionevole e fondata sull’istinto di conser­ vazione. (E interessare notare come ciò che rimane implicito in questi film, quasi tutti realizzati negli anni Cinquanta, sia diventato esplicito nel 1962, anno in cui è stato girato Va e uccidi di John Frankenheimer. Questo film fantapolitico, realizzato quando il pessimismo e l’elegante disincanto davano successo e guadagni, è in alcune parti dotato di una comicità bizzarra, per esempio quando rivela che la Mamma è la più temibile dei “cattivi”, o quando ricorre allo stratagemma visivo di far ricordare agli uomini “posseduti”, che hanno subito il lavaggio del cer­ vello, che i loro carcerieri comunisti si erano presentati sotto le sem­ bianze di innocue vecchiette a un incontro di un club di giardinaggio). Un altro espediente per trasformare l’umano in disumano, il volto familiare in una fisionomia aliena, non è tanto fondato su un atteggia­ mento aggressivo - passivo dai punto di vista cinematografico (quella suspense creata non facendo “succedere nulla”) - quanto su un uso ag­ gressivo, attivo e spettacolare di elementi tecnici, come le luci e/o le

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figura 75

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Va e uccidi (John Frankenheimer, ì 962). I film di "possessione" aliena degli anni Cinquanta si sono trasformati in quelli pieni di paranoia surreale degli anni Sessanta. Gli “alieni” ora sono comunisti che pra­ ticano il lavaggio del cervello, e la Mamma è il personaggio cattivo più temibile. (United Artists)

lenti che provocano effetti di distorsione. In un film come II Dottor Strananiore (1964) di Stanley Kubrick, si impiega l’alterazione di volti e corpi umani per creare un’atmosfera da commedia nera; il film parla della folle inesorabilità di un pazzo che occupa una posizione di rilievo e decide di premere il pulsante che dà il via a una guerra termonucle­ are. I personaggi “cattivi” e “pazzi” sono illuminati in modo talmente grottesco che sembrano appena usciti da II gabinetto del Dr. Caligari o da un vecchio film horror degli Universal Studios girato negli anni Trenta. La loro connotazione gotica diventa comica perché è assurda nel contesto più attuale in cui si svolge il film (una moderna base dell’aeronautica militare) e non c’entra nulla con i loro problemi e le loro idiosincrasie, tipici dei nostri tempi. Poiché sono personaggi che richiamano alla mente il cinema espressionista tedesco, a causa delle angolazioni di ripresa e dell’illuminazione che rendono grotteschi i lo-

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Figura 76

II Dottor Stranamore (Stanley Kubrick, 1964). Foto pubblicitaria. Fumano viene trasformato e aistorto in alieno per mezzo di lenti, an­ golazioni, luci e interpretazioni stilizzate. (Columbia)

Figura 77

II Dottor Stranamore (Stanley Kubrick, 1964). In contrasto con la connotazione gotica dei due pazzi Stranamore e Ripper, lo stile dei mi­ litari è anni Cinquanta - monotono, bidimensionale, per nulla terro­ rizzante. (Columbia)

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ro volti, il Generale Jack D. Ripper (Sterling Hayden) e il Dr. Stranamore (Peter Sellers) sono in contrasto visivamente con lo stile degli sfondi su cui si muovono e con i personaggi che li circondano. Hanno uno stile da cinema anni Venti (Trenta al massimo), mentre gli sfondi e quasi tutti gli altri personaggi appartengono agli anni Cinquanta: im­ magini monotone e bidimensionali che riescono a cogliere la piattezza sotto una luce banale e per nulla terrorizzante. Una combinazione riuscita fra un evidente effetto di distorsione accostato a immagini piatte e monotone caratterizza anche Operazione diabolica (1966) di John Frankenheimer, film in cui l’uso delle lenti con effetti di distorsione di James Wong Howe non trasmette un'idea di assurdità divertente ma piuttosto di agghiacciante paranoia. Opera­ zione diabolica è la storia di un Uomo che vorrebbe ricominciare dac­ capo la sua vita ed è in grado di permettersi una “plastica” spaziale, professionale, fisica e, come sarebbe auspicabile, spirituale. Il protago­ nista (Rock Hudson) ha la sua seconda possibilità, ma alla fine non rie­ sce a sfuggire a se stesso; la sua “rinascita” è solo superficiale: manda a monte la sua nuova vita e la sua nuova “identità”, divenendo una fon­ te di imbarazzo per coloro che gli hanno ridato la giovinezza e che, alla fine, sono costretti a eliminarlo. Howe, il direttore della fotografia, usa

Figura 78

Operazione diabolica (John Frankenheimer, 1966). Il direttore della fotografia James Wong Howe usa un obiettivo grandangolare a 180 gradi per distoreere le figure umane in orrendi grotteschi. (Paramount)

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un obiettivo grandangolare a 180 gradi per distoreere le figure umane in orrendi grotteschi che inducono alla paranoia oltre a evocare il sen­ so della precarietà del corpo: Nella scena cruciale, la nota centrale è la consapevolezza de) protagonista che non c’è scampo. Quindi è del tutto appropriato che le mani degli as­ sistenti medici che lo legano al lettino siano mostruose, che non abbiano niente di umano. Né deve disturbarci il fatto che le loro braccia, anch’esse vicine alla cinepresa e del tutto fuori misura, siano grandi quanto il resto del loro corpo. Quello che vediamo non è il mondo reale, ma la visione soggettiva di un Uomo stremato, sopraffatto da una forza invincibile, dia­ bolica.80

Gli esseri umani non sono gli unici soggetti familiari a essere tra­ sformati nel cinema di fantascienza, a essere resi strani e insoliti attra­ verso il sovvertimento visivo. 2022: i sopravvissuti, per esempio, dà il meglio di sé quando riesce a convincerci visivamente che gli elementi principali della vita che oggi diamo per scontati sono del tutto scono­ sciuti a tutti tranne che agli abitanti più potenti e ricchi di New York nell’anno 2022. Due scene (tratte dalla sceneggiatura inedita e inserite nel film) sono determinanti per vedere come la connotazione visiva può farci guardare con stupore una cosa che normalmente non ci fa­ rebbe battere ciglio. La prima ha luogo di notte in un posto che si chia­ ma Brady’s Market; la in scena è descritta così: Un uomo con un fucile è di guardia, seduto, subito dietro alla porta. Con­ tro uno dei muri ci sono dei recipienti che contengono ognuno non più di una mezza dozzina di oggetti come pane, mele, lattuga, sedano, cipolle. Ci sono alcuni scaffali con dei vasetti, non scatole di latta, di frutta conserva­ ta. C’è una vecchio frigorifero con gli sportelli di vetro, che mostrano al­ cune bottiglie di latte c dei panetti di burro. Il signor Brady, che non è stu­ pido, e tutte queste merci sono protette da una rete metallica che sale dal bancone e li separa dai clienti. Sembra più un’agenzia di prestiti su pegno che una drogheria che vende al mercato nero.81

In questo scenario, quando alla fine vediamo una piccola quantità di carne di manzo (la sceneggiatura la definisce “poco appetitosa se­ condo i nostri criteri”)82, l’oggetto - almeno nel 1973, quando l’infla­ zione era molto bassa - è alieno ai nostri occhi quanto a quelli della ra­ gazza che paga 279 dollari il suo sacchetto della spesa. Più tardi, il pro80 Scott, p. 70. 81 Stanley R. Greenberg, Soyient Green. Sceneggiatura originale, inedita, di 2022: i sopravvissuti, M.G.M., pp. 14-14 A. 82 Ibid., p. 15.

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Figura 79

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2022: i sopravvissuti (Richard Fleischer, 1973). Il film, visivamente parlando, dà il meglio di sé quando riesce a convincerci che oggetti in­ significanti (un pomodoro, dell'acqua che scorre dal rubinetto) siano strani ed eccezionali. (Metro-Goldwyn-Mayer)

tagonista del film, un detective che si chiama Thorn (Charlton He­ ston), è talmente estasiato di fronte ai piaceri voluttuosi che si danno per scontati in una normale stanza da bagno borghese, che per noi è impossibile guardare quella del film come se fosse un luogo familiare: Thorn apre i rubinetti del lavandino quasi con soggezione. L’acqua scende scrosciante. Se la lascia scorrere sulle mani per un attimo. Vede una sapo­ netta. La annusa, poi se la passa timidamente tra le mani. Dopo averne sciacquato la schiuma, si annusa di nuovo le mani in preda allo stupore. Poi con le mani a coppa si spruzza dell’acqua sul volto, sui capelli, sul 00110? '

Ci sono situazioni interessanti in 2022: i sopravvissuti, ma come in molti dei film di fantascienza a colori e ad alto costo, con Charlton He­ ston (una versione di lusso di Richard Carlson) nel ruolo del protago­ nista, il sovvertimento visivo di immagini familiari sembra avere sol­ tanto un ruolo marginale, sembra essere tappa di un percorso verso ri­ velazioni più importanti, originali, sconvolgenti o spettacolari. La spinsl Ihid., p. 24.

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ta, nata da motivazioni tecniche e sensazionalistiche, verso la strava­ ganza e l’evasione, che costituiscono la splendida e ricca linfa vitale dei film di fantascienza con notevoli disponibilità economiche, porta alla creazione di uno stile cinematografico in netta antitesi con la mancanza di mezzi, che fa sì che i film a basso costo continuino a dipendere in ma­ niera così totale e rigorosa dalla presenza di un mondo familiare di cui avvalersi visivamente. Pertanto, nonostante la metamorfosi del consue­ to, a tratti efficace, 2022: i sopravvissuti sembra divagare visivamente tra le sue varie alternative tecniche, ponendosi in netto contrasto con la linearità e il rigore visivi di un film a basso costo come Radiazioni BX - Distruzione Uomo di Jack Arnold. In quest’ultimo film, l’anda­ mento visivo, globalmente, si muove nella direzione di una trasforma­ zione dell’assolutamente familiare neli’assolutamente alieno, ottenuta con una parsimonia di mezzi che, come ritiene giustamente Martin Ru­ bin, trasforma “il funzionalismo nella poesia dell’ordinario”84. In Radiazioni BX - Distruzione Uomo il processo che porta lenta­ mente Scott Carey (Grant Williams) a diventare sempre più piccolo ci costringe a valutare di continuo le nostre reazioni a ciò che è ordinario e normale, animato e inanimato. John Baxter, per esempio, mette in evidenza il ruolo del gatto di casa, che cambia “da arredo scenico ad amico a minaccia”85. La moglie e il fratello di Scott diventano sempre meno amichevoli, la loro umanità diminuisce mentre sempre più in­ combono fisicamente sullo schermo fino a essere annullati da una sorta di sineddoche visiva: un immenso piede sulle scale che portano nello scantinato. È affascinante e indicativo di quelle che sono le priorità vi­ sive del film il fatto che sia il gatto che il ragno, gli antagonisti di Scott, acquisiscano una maggiore personalità rispetto alla moglie o al fratello. Ma, come osserva Martin Rubin, le cose che suscitano nel film uno stu­ pore ancora maggiore di questi “mostri” animati sono gli oggetti di uso comune, che assumono un significato completamente nuovo senza bi­ sogno di cambiare aspetto86. (Concretamente le loro dimensioni cam­ biano - è ovvio - grazie ai set dalle proporzioni adeguate, creati dagli scenografi Alexander Golitzen e Robert Clatworthy, e a un uso efficace della retroproiezione e degli effetti ottici.) Rubin fa anche un parallelo tra il modo in cui il film ci dà una nuova consapevolezza dell’ordinario e ciò che nell’arte moderna si definisce “New Realism” (per esempio, il barattolo di zuppa Campbell di Warhol): “Un tosaerba... potrebbe quasi essere un ready made di Duchamp. Un barattolo di caffè, un pun­ taspilli, un goccia d’acqua, la superficie corrugata del legno... potrebM M. Rubin, 1974, p. 53. Baxter, p. 125. Rubin, p. 52.

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Radiazioni BX - Distruzione uomo (Jack Arnold, 1957). L’andamento visivo del film nel complesso si muove nella direzione di una trasfor­ mazione dell’assolutamente familiare nell’assolutamente alieno. (Universal)

bero sembrare una mostra di scultura moderna iperrealistica”87. Ra­ diazioni BX - Distruzione Uomo è esemplare nella sua capacità di estra­ niare completamente gli spettatori - e il suo protagonista - da un am­ biente consueto e scontato. Nonostante il finale piuttosto discutibile e metafisicamente ottimistico (“Giunti a Dio, non vi è il nulla”), visiva­ mente il film, sul piano esistenziale, ci porta pessimisticamente lontano dal presunto senso di sicurezza dei rapporti umani, delle comodità e delle connotazioni della “casa”, verso un universo assolutamente im­ menso, privo di certezze e di punti di riferimento per l’Uomo. Come ha fatto notare Carlos Clarens, il film “ha introdotto nel buio isola­ mento delle sale cinematografiche un tipo di paura molto diverso: non l'annientamento immediato ma una discesa graduale e inesorabile ver­ so il nulla”88. x7 Ibid. X’1 Clarens, p. 133.

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Figura 81

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Radiazioni BX - Distruzione uomo (Jack Arnold, 1957). Siamo co­ stretti a riadattare continuamente le nostre reazioni a ciò che è ordi­ nario e normale. Il gatto di casa, per esempio, ha un ruolo che cambia da “arredo scenico ad amico a minaccia”. (Universal)

Anche se esisteranno sempre le eccezioni, in ultima analisi è stato il cinema di fantascienza in bianco e nero e a basso costo a creare uno stile visivo preciso e affermato, partendo dal sovvertimento del con­ sueto. E un peccato, tuttavia, che, essendo i film visivamente così sta­ tici, così ingannevolmente noiosi e piatti, molti critici cinematografici non vi abbiamo riconosciuto uno stile, ma piuttosto una mancanza di stile. Martin Rubin, per esempio, pur ammirando Radiazioni BX - Di­ struzione uomo, non solo non fa una distinzione fra cinema di fanta­ scienza a basso e ad alto costo, ma sembra considerare la riuscita della componente visiva di questi film strettamente dipendente dalla man­ canza di talento e di immaginazione dei loro registi: ... ai film di fantascienza si addicono persone dotate di un talento insigni­ ficante o mediocre. Per esempio, un regista del calibro di Welles avrebbe reso eccessivo questo film mettendo in pericolo la sensazione di normalità che lo pervade, aggiungendo ombre e angolazioni, mentre un regista più raffinato di qualsiasi livello lo avrebbe ammorbidito troppo - tali atteggia­ menti sono più adatti al cinema horror... mentre questo genere ha i suoi esponenti migliori in tecnici efficienti e pratici, come Gordon Douglas e Joseph Sargent. In un mondo così cieco (e insignificante) stilisticamente, i

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registi con un occhio solo come Arnold, Don Siegcl e Stanley Kubrick, regnano sovrani.

Evidentemente, Rubin pensa che lo stile del cinema di fantascienza derivi paradossalmente proprio dalla mancanza di stile, di “personali­ tà”. Certo, se si stabilisce un’equivalenza tra spettacolarità e stile, il ci­ nema di fantascienza a basso costo è sicuramente privo di stile. Ma se si considera lo stile visivo un modo squisitamente cinematografico di guardare al mondo e una maniera particolare per esprimere le nostre reazioni, allora il cinema di fantascienza a basso costo ha stile da ven­ dere. Il connubio fra scenari poco costosi e attori inespressivi, con una messa in scena priva di effetti speciali c relativamente limitata, ha por­ tato alla realizzazione di un gruppo di film che, nel peggiore dei casi, conferiscono un vago interesse alla mediocrità e, nei migliori esempi, creano visioni indimenticabili, desolate, pessimistiche e poetiche di una Terra fragile e priva di certezze, abitata da uomini caratterizzati dalia stessa fragilità e debolezza.

Ealieno e il consueto: l’estetica della collisione Finora abbiamo esplorato la natura visiva di due tipi fondamentali di film di fantascienza, uno, in generale, in netta antitesi con l’altro, cd entrambi dotati di una comunicativa di tipo visivo peculiare. Mentre le rappresentazioni più spettacolari della fantascienza a colori esprimono fiducia e ottimismo nel loro andamento visivo “Venni - vidi - vinsi” (an­ damento che prima crea e poi attenua lo straordinario), la sua variante a basso costo è caratterizzata da un pessimismo inesorabile, che si riflette nella costante affermazione visiva che in realtà ogni uomo è un’isola, sola ed estraniata anche dalle persone, i luoghi e le cose più familiari (un andamento che prima si abbandona all’ordinario e poi lo distrugge). Esiste, tuttavia, un terzo tipo di film di fantascienza, che cerca una posizione intermedia - una sorta di zona smilitarizzata cinematografica - tra l’ottimismo e il pessimismo visivo. In realtà, questo tipo di film ha il suo punto di forza nella capacità di raggiungere una neutralità vi­ siva, di ottenere un perfetto equilibrio tra le componenti aliene e fami­ liari - la sua parte fantastica e quella realistica - nella stessa inquadra­ tura, sorprendendoci per la loro compattezza e la loro opposizione, per la loro compatibilità e la loro inconciliabilità. In questi film “la poesia... scaturisce dal bombardamento di ciò che è familiare a opera di ciò che non lo è”90. Spesso, tuttavia, questa poesia è presente nei momenti crux4

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Star Trek II - L’ira di Khan (Nicholas Meyer, 1982). Pseudo-storia: l’equipaggio dell’astronave Enterprise, più anziano ma rimesso a nuo­ vo, in posa per una foto pubblicitaria. Il "futurismo " riportato in vita della serie di film guarda nostalgicamente al passato, alla precedente visione del futuro della serie televisiva. (Paramount)

temporale della cronaca storica. Perfetto esempio delle considerazioni di Jameson sulla “maniera nostalgica”, il pastiche sontuoso ma tempo­ ralmente astratto di costumi ed architetture creato da Dune sostituisce completamente ogni illusione di “vera” storia planetaria con una “sto­ ria degli stili estetici”. E appropriato che il “viaggiatore nel tempo” di Dune sia letteralmente una sorta di enorme “lumacone” - sigillato er­ meticamente nell’atmosfera costantemente sotto controllo di quella che sembra una vecchia teca da museo. Il fallimento narrativo di Dune è il fallimento del suo tentativo di creare una temporalità, una storicità, di sfuggire all’assimilazione nel suo stesso spazio. Riferendosi alla “cri­ si della storicità” contemporanea, Jameson afferma: Se infatti il soggetto ha perso la sua capacità di estendere attivamente le sue pro-tensioni e ri-tensioni sulla molteplicità temporale e di organizzare il suo passato e il suo futuro in un’esperienza coerente, diventa abbastanza diffìcile vedere come i prodotti culturali di un soggetto simile possano ri­ solversi in qualcosa di diverso da un “mucchio di frammenti” e da una pra­ tica indiscriminata dell’eterogeneo, del frammentario e dell’aleatorio.'2

72 Jameson, 1989, p. 52.

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Figura 155

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Dune (David Lynch, 1984). Il fallimento del tentativo di temporali?zare: il gigantesco “viaggiatore nel tempo” è letteralmente una sorta di “lumacone” - sigillato ermeticamente in una sorta di vecchia teca da museo. (Universal)

Mentre Blade Runner riesce a trovare un equilibrio narrativo e vi­ sivo fra il moderno avanzato e il postmoderno, l’impulso narrativo moderno avanzato di Dune precipita fatalmente nello spazio assoluto del postmoderno e si infrange in un cumulo di frammenti. Facendo notare che “l’eterogeneo, il frammentario e l’aleatorio” sono “precisamente... alcuni dei termini privilegiati in cui è stata ana­ lizzata... la produzione culturale postmoderna”, Jameson prosegue sottolineando il fatto che questi termini definiscono anche “la scrittura schizofrenica” - manifestazione di un’interruzione nell’“unificazione temporale attiva” del linguaggio in una “catena significante” i cui anelli creano l’andamento coerente e la continuità del linguaggio e dell’iden­ tità personale73. Al livello più fondamentale, quest’interruzione avvie­ ne per la singola frase, ma si manifesta inoltre, testualmente, come frat­ tura nell’unificazione temporale attiva che crea l’andamento narrativo e la coerenza della storia. In questo senso, Dune può essere considerato un testo schizofrenico, indicativo della crisi del moderno avanzato nel contesto della logica temporale indebolita della cultura postmoderna. Quindi, la nuova logica spaziale che pervade e/o domina la produ­ zione culturale del periodo postmoderno ha importanti conseguenze ' Ibid., pp. 52, 53, 54.

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temporali per il cinema di fantascienza contemporaneo e per la sua struttura narrativa. In qualsiasi modo venga portata sullo schermo, l’enfasi attribuita allo spazio dal genere ha la tendenza (in vari gradi) a superare la curiosità temporale che tradizionalmente ha sempre dato slancio all’andamento, alla velocità e alla continuità dell’azione e dell’avvenimento verso il “prossimo” spazio contiguo. La visione di questi film e la nostra tendono a essere affascinati, paralizzati e assimi­ lati dallo spazio presente - con la nuova e astratta mancanza di profon­ dità elettronica della sua presentazione, con il sovraccarico sensoriale della sua fisicità scenografica ridondante, con la dispersione casuale ed eterogenea dell’attività che non ha un obiettivo particolarmente incal­ zante. La definizione data da Jameson delle conseguenze “schizofreni­ che” dell’interruzione della logica temporale sembra quasi la definizio­ ne letterale della messa in scena e delle discontinuità nel montaggio di alcuni film di fantascienza, come Liquid Sky, Repo Man - // recuperatore, La notte della cometa, Buckaroo Banzai e Uforia. Parla, per esem­ pio, dei “frantumi di significanti distinti e irrelati” e della comunicazio­ ne schizofrenica “ridotta a un’esperienza di Significanti puramente ma­ teriali, ... di una serie di presenti puramente irrelati nel tempo”74. An­ che se il video musicale è forse la più esemplare rappresentazione (e ce­ lebrazione) culturale di questa subordinazione materialista/consumista della logica temporale alla logica spaziale, possiamo vederne gli effetti anche nella fantascienza recente. Pur mantenendo un certo livello mi­ nimo di “coerenza” narrativa e temporale, i film appena citati sono ve­ ramente coerenti e “sensati” solo spazialmente. Sono storie “picare­ sche” - episodiche, frammentarie, a puntate piuttosto che sequenziali e poco interessate alle conseguenze temporali di “causa ed effetto”. Anzi, è difficile riassumere le “trame” di questi film, poiché sono costituite da una lunga serie di episodi concatenati. Cercando di spie­ gare Repo Man - Il recuperators, per esempio, un recensore ricorre a una domanda retorica: Che cos’hanno in comune una società che si occupa di recuperi di macchi­ ne, un untuoso predicatore televisivo, un gruppetto di tcppistelli di Los Angeles fatti di droga, un fìsico nucleare lobotomizzato, una nota coppia di ladri di macchine ispanici e una Chevy Malibu con il bagagliaio pieno di alieni extraterrestri? Non un granché, a parte il fatto di essere tutti ele­ menti chiave in Repo Man - Il recuperators, una nuova commedia di scon­ certante stranezza e originalità.75

74 Ibid., pp. 54, 55. Il corsivo è mio. 75 L. Jensen, 1984, p. 47.

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SPAZIO F. TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Dopo un’elaborata descrizione, un altro recensore afferma: Vi verrà il mal di testa se cercherete di dare un senso a tutto questo. La tra­ ma di Repo Man - Jl recuperatene passa volutamente, come se fosse una partita di ping-pong, dalle avventure di Otto, il recuperatore, alle attività sempre più pazze degli acchiappa-alieni. I personaggi non si soffermano a riflettere sulla folle improbabilità di quello che succede; perché dovreste farlo voi? In Repo Man ognuno è collegato alla propria versione personale della realtà e tutti i collegamenti si accavallano.76

In Repo Man e negli altri film citati prima, la logica narrativo/temporale tradizionale ha ceduto il passo a una logica episodico/spaziale, stipata di “eventi-oggetto puntuali” collegati non tanto dalla causalità narrativa quanto da significanti letteralmente materiali. 11 montaggio non trae la sua struttura fondamentale dalla motivazione della trama, ma dalla motivazione delle cose. Una decorazione appesa al cruscotto, per esempio, fornisce il “collegamento” materiale e non causale fra due degli episodi discontinui del film. Inoltre, prendendosi gioco della causalità narrativa e della trama, Buckaroo Banzai richiama esplicita­ mente la nostra attenzione su un cocomero inserito in un trapano a co­ lonna, nel bel mezzo dì una messa in scena straordinariamente disor­ dinata e di un inseguimento scatenato. “Perché c’è un cocomero lì?” chiede “New Jersey” a Buckaroo mentre attraversano correndo le vi­ scere industriali di YoYoDyne. “Te lo dico dopo” risponde Buckaroo ma, naturalmente, non lo fa. (E noi, spettatori, ridiamo - sapendo be­ nissimo che non lo farà e che non ce ne importa niente che lo faccia o no.) Questo esempio di riflessività strutturale rende esplicito il rifiuto complessivo del film nei confronti di una logica narrativo/temporale e il suo accoglimento di una logica episodico/spaziale. Le trame “eccessive” di questi film di fantascienza più postmoderni sono, in realtà, un sovvertimento di trama, sequenza e conseguenza (le relazioni temporali di causa ed effetto). “Troppa” trama è come “otto” dimensioni - è impossibile capirci qualcosa, sfugge alla nostra com­ prensione, è indecifrabile. Ma non importa. Nella cultura sbalorditiva­ mente materiale del capitalismo multinazionale avanzato, emerge un nuovo tipo di senso e di conoscenza da un empirismo letteralmente su­ perficiale. Questo nuovo “positivismo” postmoderno dà alle sue con­ siderazioni la forma del nonsense e alla sua logica causale quella del non sequitur. Così, volendo spiegare la natura del mondo in cui vive (a Los Angeles), basandosi sull’osservazione diretta e superficiale, Miller in Repo Man - Il recuperatore conclude: “Più guidi e meno intelligente sei“. Fa anche 76 M. S. Gant, 1984, p. 39.

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un discorso sconnesso ma stranamente logico sui dischi volanti e il Sud America, che finisce spiegando da dove vengono e dove stanno andando tutte le persone che vivono sulla Terra. La “inconsapevolezza cosmica” c “la rete di coincidenze che collega le apparenze” spiegano il fatto... “che stai pensando a un piatto di gamberetti e a un certo punto qualcuno dice piatto o gamberetti o piatto di gamberetti”.77*

Ne La notte della cometa, il ragazzo di Reggie la convince a passa­ re la notte in una cabina di proiezione con la seguente argomentazione logica: Reggie Se passiamo la notte qui, ci perderemo la cometa.

Larry La puoi vedere anche in TV

Reggie Sì, ma può darsi che io voglia vederla per davvero. Va bene? Larry Hei, in televisione la vedi per davvero. In televisione vedi tutto per dav­ vero.7*

Certamente, Sheldon in Uforia riassume questo nuovo empirismo (e il suo esito finale) quando mette in guardia Arlene, che crede negli UFO: “Se non la smetti di credere a cose che non si possono dimostra­ re nero su bianco, farai una brutta fine”. Questa “brutta fine”, tuttavia, non è certo portata sullo schermo come qualcosa di negativo, come fallimento schizofrenico. Non c’è nessun dis-agio provocato dair“interruzione” delle relazioni temporali che creano (e sono create da) una “catena significante”. Invece di un’interruzione, si verifica una trasformazione della funzione rappre­ sentativa da temporale a spaziale. Anzi, una comicità folle, divertente e liberatoria nei confronti della logica temporale trasforma la fram­ mentarietà schizofrenica e l’incocrenza di un film come Dune (dai va­ lori temporali tardo-modernisti) nella logica spaziale “scriteriata” feli77 Ibid. 7* Dialogo originale: Reggie If we spend the night here, we're going to miss the comet. Larry It’s not like you can’t see it on TV. Reggie Yeah, well maybe I want to sec it for real. Okay? Larry Hey, television’s real. Television’s very real.

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cernente reinventata ed esplicita della commedia postmoderna. “Fare una brutta fine” qui non è fonte di dis-agio. Come suggerisce Jameson, quando “la dissociazione schizofrenica... si generalizza come stile cul­ turale, cessa di avere un rapporto necessaro col contenuto patologico che associamo a termini come schizofrenia”79. Portata a livello co­ sciente, resa esplicita e accolta, la nuova logica spaziale diventa davve­ ro logica - coerente. Questa nuova formulazione spaziale del significa­ to viene definita in modo positivo da Jameson con “uno slogan para­ dossale: con l’affermazione che la ‘differenza mette in relazione’”80. Così, negare importanza all’unificazione temporale non può più essere considerato negativamente come qualcosa di disperato, schizofrenico o morboso. Anzi, anche nelle sue espressioni più rassegnate e nichiliste (come in Liquid Sky), il cinema di fantascienza postmoderno celebra l’agio (non il disagio) con cui riesce a trasformare il nonsense del tem­ po in un nuovo senso dello spazio.

La trasformazione dell’“affetto” speciale in “effetto” speciale Come abbiamo visto, il nuovo predominio della logica spaziale sul­ la logica temporale porta a una originale forma di realismo, compietamente in armonia con la cultura materialista/consumistica propria del tardo capitalismo. Un maggiore senso dello spazio e la sua capacità di creare significato compensano l’indebolimento del senso del tempo. Così, il malessere temporale della “disgiunzione schizofrenica” viene letteralmente “curato” dal punto di vista materiale e spaziale “racco­ gliendo tutte le nostre porcherie”. La raccolta eterogenea della nostra cultura materiale (manifestazione visibile de “la differenza che mette in relazione”) funge da segnale esplicito e realizzato nello spazio di una capacità relazionale alternativa, una forma superficiale e di nuova rea­ lizzazione di “salute” culturale e mentale. Quando “i mucchi di fram­ menti” non vengono più considerati con (e come segni di) mal-essere, diventano, come fa notare Jameson, disponibili “a intensità più gioio­ se”, a una “euforia” che sostituisce “precedenti affetti d’ansia e di alie­ nazione”81. Tuttavia, queste gioiose intensità e quest’euforia emergono in una forma particolarmente “distaccata”: la liberazione, nella società contemporanea, dalla precedente attornia del soggetto centrato potrebbe significare non solo una semplice liberazione dall’angoscia, ma una liberazione da ogni altro tipo di sentimento, dal mo­ mento che non si dà più un Sé che possa provarlo. Il che non significa che 79 Jameson, 1989, p. 59. Ibid., p. 61. ” Ibid., p. 59.

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i prodotti culturali dell’era postmoderna siano completamente privi di sentimento, ma piuttosto che tali sentimenti - che sarebbe meglio chiama* re più precisamente “intensità” - fluttuano liberamente, sono impersonali e tendono a essere dominati da un particolare tipo di euforia...82

La peculiarità di quest’euforia postmoderna consiste nell’essere strutturata e rappresentata non come sentimento intenso ed espressio­ ne di un soggetto centrato costruito nel tempo, ma piuttosto come sen­ timento intenso ed espressione di una soggettività decentrata aggetti­ vata nello spazio. Si tratta di una estroversione nella sua formulazione più estrema e letterale. Nel cinema di fantascienza contemporaneo, possiamo vedere quest’estroversione del sentimento materializzarsi nella trasformazio­ ne, operata dal genere, della soggettività centrata àeWaffetto speciale (gioiose intensità ed euforia) nella soggettivizzazione decentrata degli effetti speciali (grandiosi spettacoli di “luci e magie industriali”). Di conseguenza, anche se gli effetti speciali sono sempre stati uno degli elementi fondamentali del cinema di fantascienza, ora hanno una cari­ ca e una valenza emotiva particolarmente originali. Nel periodo inizia­ le, gli effetti speciali avevano di solito la funzione di simboleggiare la “freddezza razionale” (e la terribile “glacialità”) associata alla tecnolo­ gia avanzata e alla oggettività scientifica, e venivano loro attribuite “autenticità” e “credibilità” mediante l’atteggiamento visivo “docu­ mentario” adottato dal genere. Al contrario, gli effetti speciali di oggi hanno in genere la funzione di simboleggiare il “calore irrazionale” delle emozioni intense (e di solito positive), e il fatto che siano o meno credibili non è un problema. Il genere ha trasformato la sua rappresen­ tazione “oggettiva” di un’“alta” tecnologia nella simbolizzazione “sog­ gettiva” di un “alto”, o sublime, tecnologizzato. Questa sostituzione e quest’oggettivazione dell’affetto in effetto tecnologico reso emozionale è vistosamente evidente nella fantascien­ za più commerciale e tradizionalista, che può contare su budget elevati per le sue più grandiose celebrazioni e ostentazioni. Le astronavi di un’eleganza “razionale”, i dischi volanti di un “ascetismo” matematico e la bellezza “funzionalmente” complessa di navi spaziali come la “Di­ scovery” o la “Valley Forge” - tutte celebrazioni passate della meravi­ glia suscitata dalla percezione di una “oggettività” scientifica e tecno­ logica - sono stati sostituiti da luci e magie rese soggettive, anche se sempre industriali. Gli effetti della fantascienza commerciale contem­ poranea non sono più i segni di una scienza, di una tecnologia o di una cultura alienata meravigliosamente funzionale (che si tratti delle “loro” 82 Ibid., pp. 33-34.

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Figura 156

SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI EANTASCIENZA

Giochi stellari (Nick Castle, 1984). L’intensa esperienza della superfi­ cie. l’“affetto ” libero e impersonale diventa effetto speciale elettroni­ co. Lo spettatore viene liberato dalla forza di attrazione gravitaziona­ le e temporale di uno “spazio corrente” umano. (Universal)

o delle nostre). Piuttosto, sono segni di una scienza, di una tecnologia e di una cultura alienata celebrate come funzionalmente meravigliose. Anzi, ora il segno-funzione principale degli effetti speciali della fanta­ scienza sembra essere la connotazione delle “gioiose intensità”, dell’“euforia” e del “sublime”. A questo proposito, prima di tutto vorrei tornare brevemente a quei film di fantascienza che ridimensionano lo spazio cinematografico trasformandolo in spazio elettronico da videogame e da computer. In essi, la “nuova mancanza di profondità” conduce a un’intensa perce­ zione della superficie, a rappresentazioni euforicamente esplosive. Non è certo una coincidenza che i comandi dei videogame si chiamino “joy stick”. Gli effetti speciali che costellano film come Guerre stellari, Tron e Giochi stellari sono forse la manifestazione più pura, nella fan­ tascienza, di quello che per Jameson è l’affetto decentrato - sentimenti o “intensità” che sono “liberi e impersonali”. La sua osservazione che “lo spazio privilegiato dall’arte piti recente è radicalmente anti-antropomorfico” trova una dimostrazione nella velocità vertiginosa e nelle magistrali manovre per scansare i colpi eseguite schematicamente (non umanamente) nei voli e nelle battaglie sullo schermo. Sono manovre “incompatibili con la rappresentazione del corpo” umano85. Inoltre, forse proprio a causa di quest’incompatibilità, la spettacolare superfis' lbid„ p. 65.

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cialità e l’energia cinetica sono “sentiti” sinesteticamente dallo spetta­ tore come una liberazione esaltante. Semplicemente schematizzando la profondità e tuttavia realizzando il movimento, Io spazio senza tempo creato dagli effetti marcatamente elettronici isola lo spettatore nel suo corpo umano dalla forza d'attrazione gravitazionale e temporale di uno “spazio della prassi” umano e permette di giocare “liberamente” in un presente privo di logica. Secondo Jameson: così isolato, quel presente improvvisamente inghiotte il soggetto con in­ descrivibile vividezza, con una cocretezza percettiva letteralmente schiac­ ciante, che esalta realmente il potere del Significante materiale - o meglio, letteralmente - del Significante nel suo isolamento. Questo presente del mondo o significante materiale investe il soggetto con estrema intensità, portando con sé una misteriosa carica d’affetto... che si potrebbe imma­ ginare... nei termini positivi di euforia, di un’intensità forte, intossicante o allucinogena.84

Assieme a queste manifestazioni più pure e letterali di affetto “li­ bero e impersonale” (forse quasi in procinto di soppiantarle) ci sono quegli effetti speciali dei film più commerciali, connessi non soltanto letteralmente ma anche tematicamente a stati di percezione intensi e trascendenti. I primi e, forse, i più rappresentativi a fare la loro com­ parsa sullo schermo sono quelli di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977). Nasce una nuova iconografìa della meraviglia beatifica provata dall'uomo, che lega affetto ed effetto come in un montaggio. La testa inclinata, gli occhi fissi verso l'alto con la mancanza di pregiudizi e l’aspettativa priva di timore di un bambino - è questo il volto umano della trascendenza, le cui emozioni sono innescate da quello che vede. Vede piccoli “coni gelato” amichevoli e “campanellini” di luce in mo­ vimento, annuncio del “carosello” extraterrestre, dalia forte carica emotiva, di luci, colori e musica che seguirà. Questo carosello alieno di astronave non è costruito secondo principi di equilibrio e razionali­ tà, ma come apoteosi materiale dei buoni sentimenti, e la sua presenza esaudisce entusiasticamente e dà una soluzione oggettiva al desiderio fortissimo e inconciliabile di Roy Neary di riacquistare il suo potere patriarcale perduto e di rinascere85. Dopo Incontri ravvicinati, questo M Ibid., p. 56. Jameson, naturalmente, non si riferisce agli effetti speciali della fantascienza. Per un'interpretazione più rigorosa e meno dialettica del significato degli effetti speciali della fantascienza, vedi M. Nagl, 1983, pp. 262-277. 85 Raccomando la lettura di T Crawley, 1983, pp. 53-74. Di particolare interesse in queste pagine (e in tutto il libro) è la retorica (di Crawley come di Spielberg), che mette continuamente in relazione gli effetti speciali con il sublime, il trascendente, il meraviglioso e il magico e non con lo scientifico, il tecnologico o il “razionale”. Per ulteriori commenti sul desiderio di tornare bambino di Neary e il suo rapporto con la crisi patriarcale contemporanca, si veda V. Sobchack, 1986.

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Figura 157

SPAZIO E lEMI’O XI I CINEMA 1)1 EANTASCIENZA

Incontri ravvicinati del terzo tipo (Steven Spielberg, 1977). L’“effetto" emotivamente sublime: l'astronave aliena non è meravigliosa­ mente funzionale, ma funzionalmente meravigliosa - un carosello di luci, colori e musica. (Columbia)

significato narrativo e tematico di affetti speciali attribuito agli effetti speciali diventa una delle espressioni principali della parte più com­ merciale del genere. In Star Trek, del 1979, i rutilanti effetti finali sono una vera e propria manifestazione di affetto biotecnico, dove umano e macchina si fondono ncH’orgasmo splendente dell’amore cosmico. E. T. (1982) usa gli effetti speciali per sognare di bambini su biciclette volanti - certamente non tanto una celebrazione della scienza raziona­ le e della tecnologia avanzata quanto di una riflessività emotiva volta a evocare Peter Pan e Dorothy Gale, che cerca di salvare Toro da Miss Gulch. Inoltre, il film dota il suo piccolo alieno di un dito “guaritore” eguagliato, quanto ad affetto speciale, solo dalla sua “luce del cuore” (resa ancora più carica di sentimentalismo in una famosissima canzone di Neil Diamond). La storia raccontata da Brainstorm - Generazione elettronica, del 1983, in un contrasto che porrebbe sembrare importante, dà risalto al­ la ricerca scientifica empirica e all’alta tecnologia, tradizionalmente as­ sociate ad alcuni dei primi film appartenenti al genere. Gli effetti spe­ ciali del film, tuttavia, non hanno la funzione di celebrare l’oggettività della scienza e della tecnologia, ma piuttosto di oggettivare Ietterai-

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mente e tematicamente l’esperienza soggettiva. Anche le immagini che compaiono sullo schermo si espandono emotivamente per contenere gli intensi effetti provocati da una tecnologia, che nel racconto è capa­ ce di trasferire l’esperienza soggettiva, caricata di emotività, di una persona direttamente a un’altra - offrendoci le macchine e i loro effet­ ti, “esteriorizzati” in intense manifestazioni di sentimenti elevati, ec­ cessi sessuali e addirittura di morte (vista come sublime spettacolo di luce), in formato 70 mm86. Anch’esso all’inizio apparentemente “scientifico” e “tecnologico” nelle sue premesse fondamentali, Dreamscape - Fuga nell’incubo, del 1984, scorre in parallelo alla trasforma­ zione “oggettiva” dell’affetto in effetto “soggettivo” operata da Brain­ storm - Generazione elettronica. Portando sullo schermo un processo tecnologico per mezzo del quale i sogni possono essere letteralmente abitati attivamente da “altri”, Dreamscape - Fuga nelFincubo tiene in serbo i suoi effetti più spettacolari per esprimere emotivamente le in­ tensità irrazionali dell’“onirico”. Lo stesso anno esce Starman, film con poche delle residue aspira­ zioni a “razionalizzare” la storia che narra o i propri effetti speciali. Le varie “gioiose intensità” di Starman hanno poco a che vedere con la scienza c con l’hardware, molto a che vedere con l’amore e il sesso - e sono realizzate oggettivamente (oso fare un gioco di parole?) dalle “palle” di Starman, chiaramente magiche, di un azzurro luminescente, di una potenza extraterrestre. Starman ha il ruolo (come E. T. prima di lui) di “guaritore” sentimentale (ora dotato di connotazioni sessuali) e rigenera letteralmente non solo un cervo morto, ma anche una vedo­ va senza figli in preda al dolore (e per mezzo di lei, se stesso). Ancora una volta, gli effetti speciali alla fine del film sublimano piuttosto che celebrare la loro origine tecnologica, e hanno la funzione di rendere l’intensità del senso di perdita e la trascendenza dell’amore. Gli effetti carichi di emotività alla fine di Starman avvolgono la coppia che si sta separando in una nevicata sotto vuoto, romanticamente soffusa di un colore roseo, caldo e circoscritto. Sempre nel 1984 è uscito 2010 Canno del contatto (Peter Hyams), il sequel assolutamente deludente ** Vale la pena sottolineare come la “nuova” tecnologia portata sullo schermo in Brainstorm - Generazione Elettronica tematizzi iperbolicamente c riprenda il tran­ sfert dell’esperienza soggettiva a opera del cinema stesso: un meccanismo che rende oggettivo il soggettivo (lo rende visibile), continuando a considerarlo un’esperienza vissuta soggettivamente (vista c resa attivamente attraverso la media­ zione di un soggetto localizzato che guarda). Per meglio dire, il cinema in quanto medium rappresenta la coscienza umana. Per ulteriori approfondimenti su quest’importante affermazione raccomanderei al lettore il mio lavoro, The Address of the Eye: 4 Phenomenology of Film Experience, Princeton, NJ, Princeton Univer­ sity Press.

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Figura 158

E.T. - L’extraterrestre (Steven Spielberg. 1982). L’effetto speciale co­ nte affetto speciale: la "luce del cuore" letteralmente visibile di E.T. è la dimostrazione fìsica dei suoi sentimenti per Eliot. (Universa!)

Figura 159

Starman (John Carpenter, 1984). Effetti romantici: Starman e Jenny si dicono addio sotto una nevicata chiusa ermeticamente, romantica­ mente soffusa di un caldo colore roseo. (Columbia)

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di 2001: Odissea nello spazio (1968) di Kubrick. L’“immagine” di Da­ ve Bowman riappare nel mezzo di una crisi internazionale per annun­ ciare che “qualcosa di meraviglioso sta per succedere”. Questo “qual­ cosa” non ha assolutamente niente a che vedere con la ragione, o con la scienza e la tecnologia che il Him sembrerebbe mettere in primo pia­ no. Piuttosto, 2010 - L’anno del contatto tenta di realizzare questo “qualcosa di meraviglioso”, trascendente e carico di emotività, facen­ do apparire prosaicamente un secondo “sole” su in cielo, più simile al­ la stella di Betlemme di quella vera, e nella Genesi di un nuovo Giar­ dino dell’Eden. Le intensità quasi religiose esplicite in 2010 - L’anno del contatto (e implicite in molti degli altri film citati) sono presenti an­ che in Cocoon - L’energia dell’universo, del 1985. Gli effetti del film sono emotivamente legati alle intensità delPamore e del sesso e al su­ blime di una fede ricompensata concretamente con la possibilità di tra­ scendere materialmente la vecchiaia e la morte. Una trasformazione narrativa particolarmente originale di affetto in effetto si verifica quan­ do la giovane protagonista del film sperimenta sensualmente le “gioio­ se intensità” provocate dall’essere immersa e penetrata dalla luce che la pervade sessualmente ed emotivamente, che è l’“essere autentico” del suo amante alieno. Da Incontri ravvicinati in poi, quindi, gli effetti speciali nella fan­ tascienza più popolare sono stati trasformati da segni di una scienza e di una tecnologia razionali e oggettive in manifestazioni di un’intensità gioiosa e “sublime” - collegando tematicamente il nuovo senso di tra­ scendenza emotiva “distaccato”, “libero” e “liberato” della cultura postmoderna con il trascendentale. La trascendenza emotiva alienata si oggettiva nell’alieno trascendentale e affettuoso e l’esperienza alien­ ata del “rapimento” o del “trasporto religioso” diventa letteralmente narrazione - quando gli esseri umani vengono “portati via” in estasi, con il corpo e con lo spirito, mentre il “trasporto religioso” si verifica attraverso un “trasporto alieno”. Anzi, molti critici hanno fatto notare (in tono non certo benevolo) i motivi religiosi associati a tanti film di fantascienza popolari: l’arrivo di vari Messia alieni, la natura trascen­ dentale degli effetti speciali che rivelano miracoli piuttosto che scien­ za, l’enfasi posta sulla fede e sull’amore come toccasana e le molte al­ lusioni alla nascita “vergine”. Dato lo stato di particolare confusione che caratterizza la politica nella cultura americana contemporanea, questi motivi religiosi sono spesso interpretati come simboli di una predisposizione culturale al fascismo87. In effetti, ricordano alcuni mo­ tivi simili, presenti in alcuni film del periodo della Guerra Fredda. Le storie raccontate da E. T. e Starman hanno qualcosa in comune con VIS7 Si veda, per esempio, T. Williams, 1983, pp. 22-29.

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Figura 160

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMzX DI EANTASCIENZA

Cocoon - L’energia dell'universo (Ron Howard. 198S). Effetti ro­ mantici: alieno e umano prima delle “gioiose intensità” della loro fu­ sione emotiva e sessuale negli effetti speciali affettivi. (20th Century Fox)

tiniatum alla Terra (Robert Wise, 1951) e la religiosità esplicita e carica di implicazioni politiche di 2010 - L’anno del contatto certamente as­ somiglia a quella di The Next Voice You Hear (William Wellman, 1950) e di Red Placet Mars (Harry Horner, 1952). Tuttavia ci sono nette differenze fra questi primi film di fantascien­ za dal tono ammonitore e quelli popolari contemporanei. Anche se mi trovo d’accordo con le interpretazioni politiche che attribuiscono alla fantascienza popolare e conservatrice un atteggiamento che valorizza l’autoritarismo e lo propone come soluzione ai conflitti internazionali, penso che la ricerca disperata di un capo messianico o di un dittatore non siano l’unico messaggio di queste storie contemporanee. In un mondo postmoderno percepito come completamente colonizzato e va­ lutato in termini di capitale, questi incontri ravvicinati sono più cele­ brativi che disperati, e anche quelli che una volta erano considerati i messia e i dittatori sono infantili, piccoli, graziosi, amichevoli e posso­ no diventare nostre vittime, quanto noi possiamo diventare le loro. Anzi, in quanto prova “sublime” dell’“universo” oggi “puro” e globa­ lizzato del tardo capitalismo e oggettivazioni delle nostre “gioiose in­

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tensità” e del nostro “affetto” alienati postmoderni, potremmo dire (come ha fatto una collega) che gli “alieni siamo noi”88. A questo proposito, va sottolineato che le “gioiose intensità” e [’“euforia” a cui si riferisce Jameson trovano la propria espressione emotiva non solo negli effetti speciali del cinema tradizionalista desti­ nato a un vasto pubblico, ma anche nella progressiva marginalità della fantascienza contemporanea. In entrambi i casi, i sentimenti decentrati di intensità gioiosa, di euforia e di sublimità sono oggettivati visiva­ mente e narrativamente nella “trascendenza” e nei “trasporti” veri e propri dell’amore, del sesso, del fervore religioso e dell’“extraterrestrialismo”. Quindi, la differenza tra le rappresentazioni e le storie del­ la fantascienza contemporanea più popolare e quella marginale non è dovuta al fatto che esse operino o meno un decentramento e un’oggettivazione dell’affetto, ma piuttosto al grado di riflessività e di scherzosa consapevolezza di questo decentramento c di questa oggettivazione. 11 massimo della consapevolezza la troviamo nell’espressione dell’affetto soggettivo come effetto oggettivo nel titolo Uforia. Anzi, c’è un atteg­ giamento scherzoso, a volte perverso e quasi sempre comico, in quei Him di fantascienza emarginati, a basso costo, molto postmoderni, che “si prendono gioco” degli effetti speciali costosi e nello stesso tempo sviluppano ulteriormente e riconoscono esplicitamente la loro funzio­ ne emotiva. Da un lato, film di fantascienza marginali come Liquid Sky, Repo Man - Il recuperato™, Fratello di un altro pianeta e Uforia riescono a ov­ viare alla propria mancanza di fondi che non permette loro di ricorrere a effetti speciali bizzarramente sublimi e gioiosamente intensi, metten­ do generalmente in risalto la voluta mancanza di sublime e l’allegra pac­ chianeria di molti dei propri effetti. L'astronave aliena di Liquid Sky è straordinariamente piccola e sembra un piatto da tavola. I vari effetti di Strange Invaders richiamano alla mente i vecchi B-movie di fantascien­ za. Gli effetti “speciali” più importanti di Repo Man - Il recuperato™ consistono in una Chevy Malibu “truccata” da una luminescenza radio­ attiva, mentre il protagonista di Fratello di un altro pianeta fa un atter­ raggio di fortuna sulla Terra a bordo di un’astronave per niente rassicu­ rante, con una plancia portastrumenti che sembra una radio degli anni 88 Sono debitrice di questa espressione a Zoc Sofoulis, che l’ha usata nel titolo di un intervento alla Eaton Conference on Science Fiction (University of California, Irvine, Aprile 1986). Nel caso in cui i lettori non conoscessero questo esempio di capitalismo corporativo americano, desidero spiegare (per le connotazioni di gioco, grazia e infanzia pertinenti a questa analisi) che la trasformazione operata da Sofoulis (nel testo originale “aliens R U.S.”, N. d. T.) non riguarda solamente “us" trasformato in U.S., ma si riferisce anche a una catena americana di negozi di gio­ cattoli, che si chiama “Toys R Us”.

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Figura 161

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA Di EAN I ASCIENZA

Strange Invaders (Michael Laughlin, 1983). Allegramente "pacchia­ na”: la fantascienza marginale trova il sublime nel dozzinale, {’ordi­ nario e lo scadente - e in un’esplicita celebrazione della propria ordinarietà. (Orion)

Quaranta. L’UFO che alla fine di Uforia arriva per “trasportare” Arlene e Sheldon, poi, è una parodia volutamente a bassa potenza dell’astrona­ ve madre di Incontri ravvicinati. In realtà, il senso di questa scherzosa presa in giro è proprio uno degli elementi postmoderni caratteristici della “società dello spettacolo”: un’esplicita celebrazione della “cita­ zione” e l’esaltazione dell’intertestualità. Fratello di un altro pianeta, per esempio, non soltanto gioca con l’idea del dito guaritore di E. T., dotando l’alieno protagonista del film di una mano che guarisce i vide­ ogame, ma non riesce neanche a resistere alla tentazione di giocare a lungo, soltanto per gli iniziati, con l’idea di un incrocio fra il cinema muto francese e la fantascienza - prendendo spunto sia da Parigi che dorme (1923) di René Clair sia da Charleston (1927) di Jean Renoir, film in cui compaiono le prime immagini di uno “schermo inteso come mappa” e una serie di strumenti malandati e pacchiani, con una storia che parla di un alieno nero e civilizzato che atterra con la sua astronavebolla in una Parigi primitiva, dove una lasciva ragazza “indigena” gli in­ segna il charleston. Questi film a basso costo non assomigliano certo a quelli degli anni Cinquanta, che creavano un senso di paranoia terre­ stre, grazie alla scarsità di effetti speciali. Esaltano invece tale “mancan­ za” trasformandola in opportunità di recuperare materiale utilizzabile e riciclarlo. Alludono a film di fantascienza che li hanno preceduti - e quindi il loro ruolo marginale all’interno del genere fantascientifico a cui appartengono (o quasi) emerge, in gran parte, dalla loro posizione consapevole ed esplicitamente espressa di meta-fantascienza.

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E.T. - I.'extratcrrestre (Steven Spielberg, 19S2). Meraviglia emotiva: E.T. ed Eliot nell'iconografia della meraviglia di Spielberg, usata lim­ pidamente per collegare con il montaggio affetto a effetto. (Universa!)

D’altro canto, questa posizione non nega assolutamente l’oggettivazione dell’affetto portata sullo schermo dagli effetti spettacolari dei film più costosi. Gli effetti speciali in questi film marginali servono non soltanto per commentare, in modo meta-fantascientifico, soggetti pre­ cedenti e scherzarci su, ma anche come manifestazioni dell’affetto oggettivato nei loro sistemi testuali. In Liquid Sky, l’alieno è apparente­ mente attratto da una sostanza chimica prodotta nel cervello umano dall’eroina o dall’orgasmo, e così effetti visivi segnano il “punto G” dove si solarizza l’annientamento - un negativo colorato positivamen­ te ed euforicamente trasformato. La Malibu che funziona a radiazioni e che decolla nel cielo di Los Angeles alla fine di Repo Man - Il recupe­ ratore è la rappresentazione concreta e assolutamente letterale di un af­ fetto “libero”. Quel volo della macchina è l’oggettivazione della sensa­ zione emotiva sia di un penultimo “viaggio” sia del sentimento esaltan­ te di una ripresa di possesso finale del sé. Inoltre, sia Fratello di un altro pianeta che Uforia valorizzano e credono nelle “gioiose intensità” e nei poteri “taumaturgici” dei loro protagonisti - anche se si prendono gio­ co della propria fede e la descrivono come fede in altri testi (E. T. nel caso di Fratello di un altro pianeta) oppure come fede incondizionata nella fede (una meta-fede che in Uforia considera risibile la fede nella religione, negli UFO e nei soldi, ma trova assolutamente necessaria la fede per se stessa).

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Figura 163

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI EANTASCIENZA

Di notte della cometa (Thom Eberhardt, 19S4). Meraviglia riflessiva: la fantascienza marginale gioca esplicitamente con i riferimenti inter­ testuali (in questo caso, l’iconografia alla Spielberg). (Atlantic)

In realtà, la fantascienza marginale non soltanto ha il ruolo di svi­ luppare e rendere esplicita la trasformazione operata dalla fantascienza commerciale dell’affetto speciale in effetto speciale, ma anche quello di suggerire che questa trasformazione è molto più dilagante di quanto non facciano pensare gli esempi isolati e puntuali di effetti speciali ca­ richi di emotività nei film più popolari. Se la fantascienza marginale “prende in giro” i film più costosi, l’ironia è diretta a una visione tra­ dizionalista che considera ancora gli effetti speciali casi “speciali” e l’“affetto che fluttua liberamente” limitato soltanto a certi tipi di pre­ sentazione oggettiva. Il punto di vista della fantascienza marginale non rifiuta la formulazione di quella più popolare, ma la amplia radical­ mente fino a rappresentare ciò che è percepito come una condizione che pervade l’intera esistenza postmoderna. Di conseguenza, non c’è molta differenza tra l'interno alienato e oggettivato di un’astronave, il soggiorno di una casa degli anni Cinquanta, un negozio aperto tutta notte, un locale notturno new-wave. I “mucchi di frammenti” che for­ mano il tempo presente, intenso e reso spaziale della cultura postmo­ derna, l’entusiasmo per le raccolte eterogenee e il collage, l’idea che “la differenza mette in relazione” nell’oggettività dello spazio profondo tutto porta a un incontro esaltante e (secondo Jameson) “istericamente

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sublime” con la fisicità e la superficie89. Si tratta di un entusiasmo e di un sublime oggettivati, come succede alla persona isterica, nel corpo. Ma quel corpo, nel caso della fantascienza contemporanea, è esso stes­ so oggettivato, alienato. Quindi, il doppio “negativo” dell’oggettivazionc e dell’alienazione serve a oggettivare e ad alienare Tisteria - e di­ venta la commedia “positiva” della fantascienza postmoderna. Che si tratti di film di fantascienza commerciali o marginali, l’oggettivazione e l’alienazione dell’affetto portano ad accettare l’alien-azione - oppure a cancellarla completamente.

Accettare l’alieno, cancellare l’alienazione L’estroversione, l’oggettivazione e l’alienazione della soggettività e dell’affetto di cui abbiamo parlato portano a determinate conseguenze nella sfera delle relazioni sociali nella cultura americana del capitalismo multinazionale. Sia la prassi di un nuovo “realismo” materiale (domi­ nato dalla logica spaziale) sia la tranquilla familiarità con cui la “società dello spettacolo" oggi considera i segni della propria alienazione sono servite a trasformare percezioni e rappresentazioni dell’“alieno”, pri­ ma negative, in positive. Certamente, in una cultura in cui quasi tutti noi siamo più coinvolti dalle immagini che dall’esperienza personale, in cui la soggettività e l’affetto sono abitualmente decentrati, dispersi, resi spaziali e oggettivati e in cui persino l’alienazione è alienata e inter­ pretata alla lettera, non è certo sorprendente che la figura dell’“alieno” non rappresenti più una minaccia dal punto di vista politico e sociale come succedeva nella fantascienza degli anni Cinquanta. Allora, l’alie­ nazione di tipo postmoderno era ancora nuova di zecca e gli alieni era­ no decisamente e in modo riconoscibile “diversi”. I film di fantascienza di oggi ci dicono che “gli alieni sono come noi” oppure che “gli alieni siamo noi”. I Diversi alieni sono diventati meno diversi - orsacchiotti extraterrestri, uomini delle stelle, fratelli di un altro pianeta, robot, an­ droidi o replicanti. Sono diventati nostri amici, nostri simulacri, incar­ nati letteralmente come immagini alienate del nostro ego alienato. Di conseguenza, la fantascienza contemporanea solitamente accetta il Di­ verso alieno come “più umano dell’umano”, oppure scopre che può a malapena definire la loro “diversità” diversa dalla nostra. Qualunque sia la loro ontologia, gli alieni del cinema di fantascien­ za recente sono per lo più dipinti come amici, compagni di giochi, fra­ telli e amanti. I BEM irragionevolmente distruttivi degli anni Cinquan­ ta hanno trovato un corrispettivo contemporaneo solo in Alien, del 1979, e nei remake di due film degli anni Cinquanta: Terrore dallo $paR’ Jameson, 1989, p. 64-67.

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zio profondo (Philip Kaufman, 1978), remake de L’invasione degli ul­ tracorpi e La cosa (John Carpenter, 1982), remake de La cosa da un al­ tro mondo. Il Diverso alieno freddamente razionale, quasi inarrestabi­ le, che agli inizi del genere era assai diffuso, inoltre, ha trovato oggi un rappresentante popolare solo nel protagonista di Terminator. Questo non significa che nella fantascienza contemporanea non ci siano Diver­ si alieni minacciosi e malvagi, ma piuttosto serve a sottolineare come, se e quando lo sono, ciò avvenga solitamente all’interno di un contesto narrativo in cui esistono altri alieni amichevoli e “umani”. In una pro­ spettiva notevolmente diversa rispetto agli esempi precedenti all’inter­ no dei genere, la maggior parte dei film di fantascienza recenti non di­ pinge l’essenza dell’alieno come qualcosa di ostile e diverso di per sé. (In questo senso, certamente, la trilogia di Guerre stellari è l’esempio più ovvio e ad ampio raggio.) Questo atteggiamento nuovo e molto ottimistico nei confronti dell’alienazione postmoderna e la sua traduzione in una figura positiva del Diverso alieno è comune nella fantascienza più popolare come in quella marginale. Tuttavia, questa figura e il suo significato positivo vengono portati sullo schermo in maniera notevolmente diversa, nell’uno o nell’altro caso. Nei film commerciali più tradizionalisti, co­ me Incontri ravvicinati, E. T, Starman, Cocoon - L’energia dell’univer­ so e II mio nemico, la “diversità” del Diverso alieno viene assimilata nell’omogeneità di un nuovo "umanesimo” universale. Film più po­ stmoderni e marginali, come Repo Man - Il recuperatore, Fratello di un altro pianeta e Uforia, suggeriscono che la “diversità” del Diverso alie­ no non viene assimilata, ma piuttosto diffusa e addirittura cancellata dall’eterogeneità paradossalmente globalizzata della cultura postmo­ derna. Quindi, nella fantascienza tradizionale, il Diverso alieno viene apprezzato in virtù della sua caratterizzazione più “positivamente” umana rispetto alla nostra attuale condizione di esseri umani - per me­ glio dire, perché è proprio come noi, solo in modo più riconoscibile e differenziale. Nella fantascienza postmoderna, invece, il Diverso alie­ no è apprezzato perché non è caratterizzato come alieno e diverso, per­ ché è diverso esattamente come lo siamo noi, non più di un altro essere alienato e forse drogato. Le storie raccontate dal cinema di fantascien­ za più popolare e tradizionalista conservano l’idea di “differenza” e “diversità” nel nome dell’omogeneità e accettano l’alieno come un di­ verso che è come noi. In maniera più radicale, le storie raccontate dal cinema di fantascienza marginale postmoderno conservano l’idea di “differenza” e “diversità” in nome dell’eterogeneità, e cancellano l’alienazione dandole la veste di una condizione universale in cui noi siamo gli alieni e gli alieni siamo noi. Le implicazioni di questa distin­ zione sono molto significative dal punto di vista simbolico e culturale.

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Michel Foucault ci aiuta a capire le due diverse logiche alla base dell’“accettazione dell’alieno” da parte della fantascienza più popolare da un lato e della “cancellazione dell’alienazione” effettuata dalla fan­ tascienza marginale dall’altro. In uno dei suoi saggi fa una distinzione importante fra rapporti di somiglianza e rapporti di similarità. I rap­ porti di somiglianza, afferma, possono asserire l’uguaglianza, ma “si manifestano e comunicano attraverso la diversità” e sono gerarchici, esigendo la “subordinazione” di uno dei termini nei confronti dell’al­ tro, che fornisce il modello originale90.1 rapporti di similarità, invece, asseriscono la diversità, ma parlano attraverso l’uguaglianza e sono non gerarchici e rovesciabili. Spiega Foucault: La somiglianza ha un “modello”: elemento originale che ordina e gerarchizza a partire da sé tutte le copie sempre più sbiadite che se ne possono fare. Somigliare suppone una referenza prima che prescrive e classifica. La similarità si sviluppa in serie che non hanno né inizio né fine, che si pos­ sono percorrere in un senso o nell’altro, che non obbediscono a nessuna gerarchia, ma si propagano di piccole differenze in piccole differenze. La somiglianza serve alla rappresentazione, che vi regna sopra; la similitudine serve alla ripetizione che vi corre attraverso. La somiglianza si ordina se­ condo un modello che è incaricata di riportare e di far riconoscere; la si­ militudine fa circolare il simulacro come rapporto indefinito e reversibile sull’asse della similarità.91

Affermare - come fa la fantascienza tradizionale più popolare che “gli alieni sono esattamente come noi” vuol dire affermare e por­ tare sullo schermo una somiglianza - dove l’essere umano è il “model­ lo”, l’“elemcnto originale” che “ordina e gerarchizza" le “copie... che se ne possono fare”. Gli alieni protagonisti di E. T. e di Starman, i re­ plicanti di Blade Runner, i robot di Heartbeeps e i loro simili sono ba­ sati su un modello umano e subordinati ad esso, e la “mancanza di fe­ deltà” delle copie è un’idealizzazione ironica e conservatrice di quel modello. Accettare l’alieno come “identico”, come fa la fantascienza tradizionale, significa affermare che l’essere alieni è la differenza che rende diversi, che permette la rappresentazione di un nuovo “umane­ simo” e crea quei rapporti gerarchici basati sull’omogeneità in un mito di omogeneità universale e non gerarchica. Raccontare gli alieni come “esattamente uguali a noi”, al di là delle differenze, significa continua­ re a sostenere la supremazia dell’essere umano. Così, i replicanti ven­ gono pubblicizzati come “più umani degli umani” e Starman dice a Jenny dopo che hanno fatto l’amore: “Penso di stare diventando un 90 M. Foucault, 1980, p. 45. 91 Ibid., p. 62.

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SPAZIO I TI MPO NI I CIXÌMA DI FAXTASCIFNZA

Figura 164

Blade Runner (Ridley Scott, 1982). Più umano dell’umano: i rapporti di somiglianza creano un ° nuovo umanesimo": in questa immagine, Baty e Deckard "comunicano e parlano nonostante la loro diversità ” per affermare la loro uguaglianza. (Ladd / Warner Brothers)

Figura 16$

L’Impero colpisce ancora (Irvin Kershner, 1980). Più umano dell’umano: si instaurano rapporti di somiglianza quando Yoda dimo­ stra che "gli alieni sono proprio come noi", ma migliori e più saggi. (20th Century Fox)

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abitante del pianeta Terra”. L'idea di somiglianza fra alieni e umani, so­ stenuta dalla fantascienza più popolare, conserva l’idea di inferiorità di “altri mondi, altre culture, altre specie” nei confronti del mondo, della cultura dei bianchi americani e della loro “particolarità”. Vediamo questo nuovo “umanesimo” americano letteralmente espandersi e co­ lonizzare lo spazio profondo, rendendolo un luogo sicuro per la demo­ crazia, il capitalismo multinazionale e i Rolling Stones. In Starman, mandato nello spazio profondo in cerca di forme di vita extraterrestre, il Voyager li “esporta” una registrazione di “I Can’t Get No Satisfac­ tion” - giusto inno alla cultura del consumatore, per la sua (riprodu­ zione del desiderio (che più tardi sarà cantata da Starman). La fantascienza marginale e postmoderna, invece, porta sullo schermo i rapporti fra alieni e umani in modo completamente diverso. Non affermare che “gli alieni sono come noi”, ma piuttosto che “gli alieni siamo noi”, significa asserire e portare sullo schermo un rappor­ to di similarità - che può essere rovesciato dicendo: “Noi siamo alie­ ni”. L’essere umano in questo caso non funge da modello originale. An­ zi, in linea con la logica postmoderna, film come Liquid Sky, Repo Man - // recuperatore e Fratello di un altro pianeta suggeriscono che non esi­ ste un modello originale per l’essere e che (come osserva Foucault) 1? similarità che vediamo al di là della diversità “si sviluppa in serie che non hanno né inizio né fine”, rappresentando la circolazione del “si­ mulacro come rapporto indefinito e reversibile sull’asse della similari­ tà”, che si propaga in modo non gerarchico “di piccole differenze in piccole differenze”. Margaret, l’androgina modella new-wave di Li­ quid Sky e i suoi amici fuori di testa, oppure Otto e la sua miriade di conoscenti bizzarri in Repo Man sono leggermente diversi tra di loro quanto sono diversi dagli “alieni”, caratterizzati come tali, e tuttavia sono alienati quanto qualunque alieno. Uguale e diverso in modo ana­ logo, il protagonista di Fratello di un altro pianeta è umano e alieno quanto qualunque umano che viene da fuori diventa un extraterrestre nel quartiere di Harlem a New York. In breve, la fantascienza più postmoderna non “accetta l’alieno” celebrando la somiglianza, ma “cancella l’alienazione” celebrando la similarità. Quindi, non ha un atteggiamento critico nei confronti dell’alienazione. Anzi, il cinema di fantascienza postmoderno conserva solo i segni dell’“alienità”, necessari per portarla sullo schermo, non come “la differenza che rende diversi” ma come la “differenza che ren­ de uguali”. L’“alieno” della fantascienza marginale e postmoderna per­ mette di dare una rappresentazione “umana” dell’alienazione e crea i rapporti di similarità reversibili e non gerarchici in un mito di eteroge­ neità resa omogenea. Per meglio dire, il nazionalismo non esiste più co­ me differenza nella cultura del capitale multinazionale. Le differenze

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SPAZIO 1 TEMPO NEI. CINEMA DI EANTASCIENZA

Figura 166

Iceman (Fred Schepisi, 1984). Più umano dell'umano: si instaurano rapporti di somiglianza quando Iceman e un umano contemporaneo "parlano nonostante le loro diversità" e comunicano nel nuovo uma­ nesimo della fantascienza. (Universa!)

Figura 167

E.T. - L'extraterrestre (Steven Spielberg, 1982). Più umano dell’umano: ecco altri rapporti di somiglianza, quando E.T. dimostra che "gli alieni sono proprio come noi", ma più piccoli e più simpatici. (Uni­ versal)

POSTIUTURIS.MO

Figura 168

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Liquid Sky (Slava Tsukerman, 1983). Gli alieni siamo noi: i rapporti di similarità sono rovesciabili. Margaret e i suoi amici androgini e fuo­ ri di testa sono legati da una serie di differenze che li rendono uguali. (Cinevista)

tra i sessi vengono eliminate dall’awdrfo/dj-oginia. L’identità è effimera e realizzata superficialmente dallo “stile”. Un’astronave non è più stra­ na e insolita nella sua presenza materiale di quanto lo sia il supermer­ cato locale. In realtà, portare sullo schermo l’idea che “gli alieni siamo noi” non è un atto così progressista come potrebbe sembrare. Piutto­ sto, questo tipo di storie rappresenta e porta sullo schermo la logica culturale del tardo capitalismo, per mezzo della quale proprio le con­ dizioni dell’alienazione culturale non solo vengono ritenute accettabi­ li, ma sono celebrate euforicamente come liberatorie. A questo propo­ sito, la definizione che Foucault dà della similarità o similitudine, defi­ nizione dalle connotazioni emotive, è particolarmente appropriata. “La similitudine” ci dice “moltiplica le affermazioni diverse, che dan­ zano insieme, appoggiandosi e cadendo le une sulle altre”92.

Il postfuturismo e la “fine” della fantascienza In questo capitolo abbiamo suddiviso il cinema di fantascienza americano in diversi periodi, partendo dalla sua comparsa negli anni Ibid., p. 66.

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SPAZIO E TEMPO NEI. CINEMA DI FANTASCIENZA

Cinquanta fino al suo attuale momento di popolarità nel contesto del postmoderno o della “logica del tardo capitalismo”. Retrospettiva­ mente, vediamo che agli inizi il genere fiori come rappresentazione simbolica delle nuove intersezioni fra scienza, tecnologia e capitalismo multinazionale, i cui simboli più visibili erano la bomba atomica e a idrogeno e l’elettronica rappresentata dalla televisione. I film degli an­ ni Cinquanta portano sullo schermo la novità del capitalismo multina­ zionale e danno una rappresentazione sia della sua promessa di espan­ sione sia della sua minacciosa novità, enfatizzando visivamente una tecnologia luccicante e “futuristica” e l’espansione cosmica o eviden­ ziando il timore della tecnologia e la xenofobia. Dalla fine degli anni Settanta in poi, i film che appartengono alla seconda “Età d’oro” del genere sono molto diversi. Per meglio dire, portano sullo schermo ['abitudine al capitalismo multinazionale e danno una rappresentazio­ ne del suo addomesticamento, della sua mercificazione e della sua dif­ fusione nello spazio mondiale globalizzato, valorizzando visivamente l’abbondanza disordinata della cultura consumistica, evocando nostal­ gicamente nomi di marche e l’infanzia e mostrando un atteggiamento compiaciuto nei confronti dei rifiuti e dei “mucchi di frammenti”. Il timore e la xenofobia non esistono più. Non esiste più neanche l’idea di un futuro possibile. Al loro posto ci sono l’euforia e un “pluralismo” globalizzato - entrambi sono realizzati nello spazio e non prevedono logicamente l’esistenza temporale di un futuro. In realtà, se la “fantascienza” una volta era una categoria basata su ipotesi e congetture su un futuro probabile o possibile, il genere sem­ bra in pericolo - perché i suoi meccanismi oggi producono fantasie re­ gressive da un lato e commedie “deliranti” completamente assimilate nel presente materiale, dall’altro. La fantascienza di oggi situa nostal­ gicamente il futuro in un passato immaginario e quindi lo caratterizza come “passato”, oppure colloca, con un certo compiacimento, il futu­ ro nel presente, celebrandolo come “qui” e “ora”. Sembra che il cine­ ma di fantascienza - nato in coincidenza con la cultura del tardo capi­ talismo e genere particolarmente ricco di riferimenti simbolici nei suoi confronti - si sia autodistrutto seguendo un movimento storico logica­ mente isomorfo, con l’incorporazione globalizzante della Natura da parte della cultura industrializzata del consumatore, con l’espansione del capitalismo fino alla sua “forma più pura”. Questa evoluzione del genere, tuttavia, non va considerata sola­ mente come un’occasione di biasimo e forse di un’altra manifestazione postmoderna - la nostalgia per il passato del genere. Come fa notare Jameson, la critica culturale e moralista è oggi così profondamente immersa nello spazio postmoderno, così profonda­ mente pervasa e contagiata dalle sue nuove categorie culturali, che la cri-

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tica dell’ideologia vecchio stile, la denuncia morale indignata sono un lus­ so ormai non più praticabile.95

Poiché non siamo “al di fuori” de! paradigma postmoderno e della sua logica culturale, poiché non si tratta solamente di una scelta stili­ stica fra altre ma piuttosto della nostra “dominante culturale”, dobbia­ mo considerare dialetticamente il genere fantascientifico. Per meglio dire, come prosegue Jameson, esortandoci a farlo, dobbiamo pensare a questo sviluppo negativamente e insieme positivamente;... raggiungere, in altre parole, un modo di pensare capace di cogliere, all’interno di un singolo pensiero e senza attenuare la forza di ciascuno dei due giudizi, le dimostrabili caratteristiche deleterie del capitalismo insieme con il suo straordinario dinamismo liberatorio. Dobbiamo, in qualche modo, por­ tarci col pensiero al punto da riuscire a capire che il capitalismo è al tempo stesso la cosa migliore che mai sia capitata alla razza umana, e la peggiore. La caduta da questo austero imperativo dialettico nella più comoda con­ dizione di prendere posizioni morali è inveterata e fin troppo umana: e tuttavia l’urgenza dell’argomento esige di fare almeno uno sforzo per pen­ sare l’evoluzione culturale del tardo capitalismo, come catastrofe e insicme come progresso.94 7

Se vogliamo pensare all’evoluzione del genere fantascientifico co­ me a un’evoluzione catastrofica, certamente possiamo mettere in evi­ denza i suoi elementi “nocivi”. I primi film si possono in genere carat­ terizzare per la celebrazione e conseguente paranoia nei confronti dell’imperialismo e dell’espansione coloniale; per la trasformazione della tecnologia in feticcio; per l’arrogante xenofobia fondata sul per­ petuare la diversità e la necessità dell’esistenza di un Diverso alieno. Inoltre, per quanto riguarda i film della “Seconda Età d’oro”, possiamo alzare un dito accusatore nei confronti del loro infantilismo regressivo; del loro atteggiamento nostalgico per un passato impossibile e banaliz­ zato e della loro incapacità di immaginare un futuro; della loro trasfor­ mazione in feticcio della cultura del consumatore, nelle immagini co­ me rifiuti; del loro pluralismo compiaciuto, che attribuisce uguale va­ lore a ogni “cosa” e a ogni “posizione”. Possiamo, in effetti, pensare al genere nel suo complesso come alla produzione ideologica di rimozio­ ni poetiche: “altrettanti tentativi di distrarci e di sviarci... [dalla] realtà o di camuffarne le contraddizioni per risolverle nella maschera di varie mistificazioni formali”95.

95 Jameson, 1989, p. 88. 94 Ibid. p. 88-89 95 Ibid., p. 93-94.

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Tuttavia, per quanto queste interpretazioni negative siano puntua­ li, dobbiamo pensare anche all’evoluzione del cinema di fantascienza in senso progressivo e dobbiamo mettere in evidenza il suo “dinami­ smo straordinario e liberatorio”. In quanto rappresentazione simbolica della logica culturale del tardo capitalismo (sia nelle sue fasi iniziali che in quelle finali di predominio sulle logiche residue), il genere ha dato vita visibilmente e letteralmente a quella che può essere interpretata come una nuova forma di “realismo” - un realismo che risponde a una “realtà storica (e socio-economica) vera” e si mimetizza in modo com­ plesso con questa. La fantascienza contemporanea ha tentato di trac­ ciare una mappa del nuovo spazio mondiale che occupiamo, di imma­ ginare altre forme dell’essere, di darci un’immagine del multinazionalismo, di offrire una rappresentazione narrativa al significato mutato di diversità, uguaglianza, confini, marginalità. I film sono diventati sem­ pre più espliciti e meno dislocati in rapporto al loro “vero” terreno per meglio dire, in una maniera nuova e peculiarmente letterale (anche se sempre simbolica), sono più “realistici” nella localizzazione spaziale e sociale dei problemi che narrano. Inoltre, la loro attuale celebrazione dell’alienazione e/o il loro compiacimento nei suoi confronti ha conse­ guenze positive e negative. Non solo queste manifestazioni negano la xenofobia tipica delle origini del genere, ma si possono anche conside­ rare un tentativo di quella che Jameson definisce “disalienazione”: la riconquista pratica di un senso del luogo e la costruzione o ricostruzione di un insieme articolato che possa essere tenuto a memoria e su cui il sog­ getto individuale possa disegnare e ridisegnare mappe via via che si sposta seguendo traiettorie mobili, alternative.96

Si tratta di una mossa progressista. Almeno prevede la possibilità di una nuova forma di capacità, se non proprio di quella capacità. In questo momento, all’epoca della stesura di questo libro, i film di fantascienza a un tempo più catastrofici e progressisti sono quelli che ho definito marginali. La loro logica visiva e narrativa è insieme quella più pervasa dalla logica del tardo capitalismo e quella che è ne stata liberata. Da un lato, la mancanza di immaginazione (e di interes­ se) nei confronti del tempo, che li caratterizza, è del tutto statica per quanto riguarda l’invenzione di un futuro, ma, dall’altro, è dinamica per la grande attenzione che riserva al presente reso spaziale. Se tutti sono alienati e ogni “cosa” è estraniata, in questi film marginali tutti e tutto diventano uguali, in modo liberatorio, per esaurire fino in fondo le “differenze” senza strutture gerarchiche di dominio, per sintetizzare in modo nuovo il fatto che “la differenza mette in relazione”. Il valore 96 Ibid., p. 96.

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politico, sociale ed economico del diverso in quanto Diverso ha poco credito in questi film - svalutazione che purtroppo cancella le vere dif­ ferenze politiche, sessuali e di classe, e tuttavia fortunatamente dissolve anche la loro condizione di confini limitanti. In realtà, i film di fanta­ scienza marginali tendono a “dissolvere” il genere oltre che a “deco­ struire” la cultura. Per meglio dire, se il loro sovvertimento dei confini tra centro della città/spazio profondo, alienato/alieno, maschio/femmina, consueto/nuovo, reale/immaginario, ordinario/straordinario “de­ costruisce” i rapporti gerarchici che fondano i concetti capitalistici di potere, desiderio e valore, questo sovvertimento “dissolve” anche la stessa struttura e il concetto stesso di genere cinematografico, come ca­ tegoria limitante di testi che tiene conto della differenza netta e gerar­ chica tra i segni di “fanta-(sia)” e i segni di “scienza”. Quando “fanta”(sia) e “scienza” non sono più rappresentate sullo schermo o sulla pa­ gina come antagoniste, il genere si dissolve. Da un lato, è un atto libe­ ratorio. Dall’altro, è una catastrofe. Visto che il genere fantascientifico è Punica categoria cinematografica a immaginare e a rappresentare i nostri futuri possibili, la sua dissoluzione apre un abisso simbolico. Abbiamo visto che il cinema di fantascienza è sempre storicizzato, fondato sulla sua (e nostra) cultura americana terrestre - sul presente economico, tecnologico, politico, sociale e linguistico della sua produ­ zione, sulle strutture ideologiche che formano i suoi concetti visivi e vi­ sibili di tempo, spazio, affetto e rapporti sociali. Certamente, questa è una caratteristica ontologica di qualunque manufatto culturale. Assu­ me un’importanza particolare, tuttavia, rispetto a un genere la cui im­ maginazione espressa dovrebbe trascendere i suoi limiti storici, la cui identità e diversità nei confronti degli altri generi sono caratterizzate figurativamente da questo tentativo di trascendenza. Gli stessi limiti storici della fantascienza forniscono, allo stesso tempo, sia le condizio­ ni di confine che il genere vorrebbe eludere con l’immaginazione sia il terreno assolutamente necessario al significato che attribuisce a questa fuga. Di conseguenza, le condizioni simboliche necessarie e sufficienti che determinano l’esistenza e l’identità del genere si trovano a essere in contrasto fra loro, anche se sono totalmente interdipendenti. Se que­ sta tensione fra “invenzione” e “convenzione” pervade qualunque at­ tività simbolica che non sia fondata solamente sulla ripetizione, nella fantascienza viene consapevolmente privilegiata e doppiamente espres­ sa - amplificata ed evidenziata come modo di esprimersi del genere e come oggetto dell’espressione. Anzi, è questa tensione che costituisce la struttura estetica fondamentale del cinema di fantascienza america­ no. È ciò che sembra unire tutti i film in un genere, per quanto possano essere differenti nelle trame, nei temi e nell’iconografia specifica. Più banale ma altrettanto importante è il fatto che questa tensione,

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propria del genere, fra “invenzione” e “convenzione”, fra voli dell’immaginazione dell’opera figurativa e attività simbolica confortevolmen­ te familiare, abbia anche un rilievo economico. Nella sua funzione principale di prodotto di consumo, un genere il cui metodo discorsivo e il cui oggetto del discorso privilegiano e rappresentano entrambi l’“invenzione” sullo sfondo della “convenzione” deve continuamente sforzarsi di fare apparire obsolete le sue precedenti rappresentazioni tecnologiche e narrative. Di conseguenza, i film di fantascienza di mag­ gior successo continuano ad appropriarsi della tecnologia più nuova della cultura - da un lato, letteralmente “incorporandola” come parte del medium cinematografico (per esempio le immagini create al com­ puter) e dall’altro “esibendola” simbolicamente come “invenzione”, come effetto “speciale” più speciale che mai. Questa appropriazione letterale e simbolica e questa mercificazione della nuova tecnologia ov­ viamente necessitano di somme di denaro sempre maggiori, che vanno recuperate al botteghino, e le possibilità di invenzioni radicali, che non si basino sulla tecnologia, diventano sempre più limitate e marginali. Anche se il cinema di fantascienza apparentemente si sforza di trascen­ dere il convenzionale, di raggiungere posizioni di avanguardia e maga­ ri di superarle nel modo più radicale, le esigenze dettate dalla mercifi­ cazione del genere lo obbligano a darsi un ruolo familiare, inoffensivo, moderato e facilmente comprensibile. Vero negli anni Cinquanta e an­ cora più vero oggi, è evidente un assioma: più un film costa, meno ri­ schi è disposto a correre. Di conseguenza, situato culturalmente ai margini del cinema americano più popolare, è il cinema di fantascienza a basso costo - quello degli anni Cinquanta come quello degli anni Ot­ tanta - che tende ad accettare le proprie inadeguatezze come manovra difensiva e spesso è stimolato all’invenzione estetica e narrativa dalla scarsità di mezzi che lo vincola. 11 cinema di fantascienza più ricco, de­ stinato a un vasto pubblico, invece, non è altrettanto motivato. Visti gli importanti cambiamenti relativamente recenti nell’econo­ mia, nella struttura e nella quantità della produzione cinematografica americana, quanto detto sembra particolarmente vero per i film di fan­ tascienza più popolari, più “commerciali” di oggi. (Sotto l’apparenza di fantasiose ed enormemente costose ostentazioni di tecnologia, il conservatorismo ideologico e la convenzionalità della maggior parte dei film di fantascienza di maggior successo commerciale degli ultimi anni sono conseguenza tanto delle loro condizioni produttive quanto dell’atmosfera politica dell’America postmoderna e disneyana di Rea­ gan.) Anzi, oggi più che mai il genere è diventato estremamente consa­ pevole della propria volontà di raggiungere l’efficacia attraverso l’im­ portanza degli investimenti. L’attuale autoreferenzialità, apparente­ mente scherzosa, nelle super-produzioni molto ricche, non solo è un

POSTFUTURISMO

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elemento caratteristico della testualità postmoderna, ma anche una forma di auto-regolamentazione insieme attenta e celebrativa. Di con­ seguenza, nonostante le rappresentazioni visibili e vistose che il cinema di fantascienza dà della propria capacità d’invenzione, i film di mag­ gior successo del genere hanno la funzione visiva di creare non il nuo­ vo, ma la sua illusione, la sua riproduzione, i suoi simulacri. Questo capitolo è stato scritto in un periodo in cui il cinema di fan­ tascienza americano è ancora al massimo della popolarità, ma (come si è detto in precedenza) la sua esistenza come genere è anche seriamente minacciata. Anzi, le premesse artistiche dell’esistenza cinematografica del cinema di fantascienza americano, che questo libro tenta di descri­ vere nei primi tre capitoli, sono diventate sempre più incerte in quest’epoca postmoderna. In primo luogo, sta diventando oggi sempre più diffìcile definire precisamente che cosa sia un film “americano”. Il carattere multinazionale piuttosto che monopolistico del tardo capita­ lismo pervade e modella l’odierna industria cinematografica in tutti i suoi aspetti: quello finanziario, quello produttivo, quello distributivo e quello relativo alla proiezione nelle sale. In secondo luogo, come sot­ tolineato in precedenza, l’estetica del postmoderno negherebbe resi­ stenza sia dei confini del genere, che caratterizzano la fantascienza co­ me una struttura distinta di rappresentazione poetica, sia il rapporto gerarchico di diversità, imposto da questa struttura, fra lo straordina­ rio e il banale. Che siano “inconsapevolmente” pervasi da un’estetica postmoderna o che la esprimano “consapevolmente”, i film di fanta­ scienza recenti celebrano la distruzione del genere stesso a cui appar­ tengono. Quindi, faremmo bene a prendere in considerazione le con­ seguenze di questa autodistruzione e pensare a un tipo di riformulazio­ ne che potrebbe conservare efficacemente l’identità del genere e la sua particolare funzione rappresentativa. Non accontentandosi di accettare l’estetica del postmoderno, an­ che se certamente ne apprezza il valore e l’importanza, Jameson con­ clude la sua riflessione sulla rappresentazione della cultura del tardo capitalismo con l’invito a inventare “forme radicalmente originali”, ca­ paci di rendere giustizia alla complessità del momento che stiamo vi­ vendo. Individua in queste forme la possibile comparsa di una nuova “arte politica” che non ritorni nostalgicamente al passato né rappre­ senti semplicemente l’attuale “spazio mondiale del capitalismo multi­ nazionale”. La nuova arte politica, pur avendo tutto questo come “og­ getto fondamentale”, arriverebbe ad aprire una breccia su un nuovo modo finora inimmaginabile di rappresen­ tarlo, in cui noi possiamo cominciare ad afferrare nuovamente il nostro porci come soggetti individuali e collettivi e a riguadagnare una capacità di agire e di lottare, che al presente è neutralizzata dalla nostra confusione

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spaziale e sociale. La forma politica del postmoderno, se mai ce ne è una, avrà come sua vocazione l’invenzione c la proiezione di una cartografìa cognitiva globale, su scala sociale e spaziale.97

Quest’invito a inventare “nuovi metodi” capaci di rappresentare la nostra “vera” posizione di individui e di soggetti collettivi nel tardo ca­ pitalismo, e tuttavia di metterci in condizione di agire e di lottare con­ tro i vincoli che esso ci impone, in realtà potrebbe già essere stato ac­ colto - da un film molto singolare che dà una nuova formulazione della “fantascienza”, tale che non sia “neutralizzata” dalla rappresentazione postmoderna della confusione spaziale e sociale. Come è prevedibile, questo film di fantascienza “post-postmoderno” è più marginale del marginale - e inaspettatamente per alcuni (anche se non per tutti) na­ sce nel contesto del femminismo. Mi riferisco a Born in Flames (Lizzie Borden, 1982)98. Si tratta di una nuova forma di espressione per il ci­ nema di fantascienza: non regredisce al passato, non ha un atteggia­ mento nostalgico, non accetta in modo compiaciuto il presente come unico luogo dove vivere. Certamente immagina un futuro - ma è un futuro contiguo al presente e ha una relazione temporale e spaziale con esso. E politico, infonde forza e ha uno slancio che non è “paralizzato” da scenografie eccessive o coinvolto in un’eterogeneità materiale op­ primente e soffocante. Non è neanche visivamente piacevole come og­ gi siamo abituati ad aspettarci e a desiderare, ma proprio la sua durezza è una reazione allo splendore allucinarono e all’euforia creati dalla fa­ scinazione del postmoderno nei confronti della superficie. Si tratta di un film in cui i rifiuti sembrano rifiuti e gli oggetti riacquistano il pro­ prio valore funzionale in un contesto sociale. Si tratta di fantascienza che non si sta assolutamente dissolvendo. Forse, allora, il cinema di fantascienza ha ancora un futuro - e nel­ le sue manifestazioni possiamo ancora riconoscere la nostra immagine e la nostra immaginazione. Born in Flames è un esempio singolare di questa immaginazione. Tuttavia, la sua esistenza ci suggerisce di cerca­ re ulteriori risposte alla “regressione” della fantascienza più popolare e al “postfuturismo” della fantascienza marginale in un cinema di fan­ tascienza femminista. In ambito letterario, l’intersezione fra femmini­ smo e fantascienza non solo ha provocato una decostruzione, ma an­ che una ricostruzione all’interno del genere. Vorrei concludere questo libro guardando a un’estetica della meraviglia e alle possibilità future che questa intersezione potrebbe creare per il cinema di fantascienza.

97 Ibid., p. 102-103. 9,1 Per un’analisi teoretica e critica di Born in Flames, si veda T. De Ijiurctis, 1985, pp. 154-175.

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Indice dei film citati

aereo più pazzo del mondo, L' (Airpla­ 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man, Boris Saga), ne, Jerry Abrahams, David Zuc­ ker e Jerry Zucker, 1981) 271 1971)107 Ai confini della realtà (Twilight Zone 1997 - Fuga da New York (Escape - The Movie, John Landis, Steven from New York, John Carpenter, Spielberg, Joe Dante, George 1981) 262 1999: Conquista della Terra (Con­ Miller, 1983) 276 Alien (id., Ridley Scott, 1979) 220, quest of the Planet of the Apes, J. Lee Thompson, 1972) 147 229,297 altra faccia del Pianeta delle Scimmie, 2001: Odissea nello spazio (2001: A L’ (Beneath the Planet of the Space Odyssey, Stanley Kubrick, Apes, Ted Post, 1970) 48, 107, 1968) 11, 42, 58, 61, 68, 87, 188 140, 149, 166, 191, 193, 200, Americathon (Neil Israel, 1979) 246 204,218, 291 Ammutinamento nello Spazio (Mu­ 2002, la seconda Odissea (Silent Running, Douglas Trumbull, tiny in Outer Space, Hugo Gri­ maldi, 1964)58 1972) 27, 59,62,70, 80, 149 Android (id., Aaron Lipstadt, 1982) 2010 - L'anno del contatto (2010, Pe­ 224 ter Hyams, 1984) 289 Andromeda (The Andromeda Strain, 2022: i sopravvissuti (Soylent Green, Richard Fleischer, 1973) 74, Robert Wise, 1971) 11, 72, 89, 142, 168,190-91, 194-95 120,213, 243 Apocalypse Now (id., Francis Ford 4-D Man, The (Irving Yeaworth, Coppola, 1979) 221 1959) 36,45 Arancia meccanica (A Clockwork A 30 milioni di km dalla Terra (20 Orange, Stanley Kubrick, 1971) Million Miles to Earth, Nathan 92,136,138,204 Juran, 1957) 34,58,128,130 A Boy and his Dog (L. Q. Jones, Argonauti, Gli (Jason and the Argo­ nauts, Don Chaffey, 1963) 74 1975) 175 Assalto alla Terra (Them!, Gordon A qualcuno piace caldo (Some Like It Douglas, 1954) 31,39, 89, 100, Hot, Billy Wilder, 1959) 155 102,105,179, 209 Abbandonati nello spazio, (Maroo­ Atmosfera zero (Outland, Peter ned, John Sturges, 1969) 59,95, Hyams, 1982) 229 141,158,190

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Atomicofollia (The Atomic Kid, Le­ slie H. Martinson, 1954) 153 Attack of the Puppet People (Bert I. Gordon, 1958) 200 Beast with a Million Eyes (David Kramarsky, 1955) 100, 102, 115 Beginning of the End, The (Bert I. Gordon, 1957)211 Bikini Beach (id., William Asher, 1964)202 Blade Runner (id., Ridley Scott, 1982) 222, 225, 229, 231, 233, 243, 261-62, 272-73, 276, 280, 299 Born in Flames (Lizzie Borden, 1982) 310 Brainstorm - Generazione Elettronica (Brainstorm, Douglas Trumbull, 1983) 230, 288-89 Buckaroo Banzai (The Adventures of Buckaroo Banzai: Across the Ei­ ghth Dimension, W D. Richter, 1984) 225, 241, 246, 251, 269, 272, 281-82 cacciatore, Il (The Deer Hunter, Mi­ chael Cimino, 1978) 221 Cat Ballou (id., Eliot Silverstein, 1965)156 Cat Women of the Moon (Arthur Hil­ ton, 1954)201 Charleston (id., Jean Renoir, 1927) 294 Cittadino dello spazio (This Island Earth, Joseph Newman, 1955) 77,81,91, 138,211 Cocoon - L’energia dell’universo (Co­ coon, Ron Howard, 1985) 224, 247, 266, 298 colosso di New York, Il (The Colossus of New York, Eugene Lourié, 1958) 68 Colossus-the Forbin Project (Joseph Sargent, 1969) 11,142,234 colpo di fortuna, Un (Christmas in July, Preston Sturges, 1940) 52 Conan il Barbaro (Conan the Barba­ rian, John Milius, 1982 233 conquista dello spazio, La (Conquest of Space, Byron Haskin, 1955) 56, 98

Conto alla rovescia (Countdown, Ro­ bert Altman, 1968) 142, 190 cosa da un altro mondo, La (The Thing, Christian Nyby/Howard Hawks, 1951) 7, 34, 39, 105, 201, 208, 213, 220, 298 cosa, La (The Thing, John Carpenter, 1982)220, 298 Countdown dimensione zero (The Fi­ nal Countdown, Don Taylor, 1980)278 Creation of the Humanoids (Wesley E. Barry, 1962) 68, 73, 149 DA.R.Y.L. (id., Simon Wincer, 1985 224 Dark Star (id., John Carpenter, 1974) 156 Day Mars Invaded the Earth, The (Maury Dexter, 1962) 7, 110 Destinazione Terra (It Came from Outer Space, Jack Arnold, 1953) 7, 80, 100, 110, 115 dito più veloce del West, 11 (Support Your Local Sheriff, Burt Kenne­ dy, 1969)156 Doc Savage, l’uomo di bronzo (Doc Savage, Michael Anderson, 1975)154 dormiglione, Il (Sleeper, Woody Al­ len, 1973)158 dottor Jekyll, Il (Doctor Jekyll and Mr. Hyde, Rouben Mamoulian, 1932) 20 Dottor Stranamore, Il (Dr. Strangelo­ ve: or How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, Stanley Kubrick, 1964) 117, 161-62,164,167, 204 Dr. Goldfoot e il nostro agente 00... e un quarto, Il (Dr. Goldfoot and the Bikini Machine, Norman Taurog, 1965) 202 Dracula (id., Tod Browning, 1931) 15 Dreamscape - Fuga nell’incubo (Dre­ amscape, Joe Rubin, 1984) 230, 289 due mondi di Charlie, I (Charly, Ral­ ph Nelson, 1968) 201

INDICE DEI FILM CITATI

Dune (id., David Lynch, 1984) 26162, 267, 278-79, 283 Dunwich Horror, The (Daniel Haller, 1969)44 E.T. - Eextraterrestre (E.T.: The Ex­ tra-Terrestrial, Steven Spielberg, 1982) 240, 266, 288, 291, 298, 299 Eletric Dreams (id., Steve Barron, 1984)234 esperimento del dott. K, E (The Fly, Kurt Neumann, 1958) 39, 80, 212 Esploratori dell’infinito (Riders to the Stars, Richard Carlson, 1954) 98,142 Explorers (id., Joe Dante, 1985) 247, 276 fabbrica delle mogli, La (The Stepford Wives, Bryan Forbes, 1975) 24 Fahrenheit 451 (id., Francois Truf­ faut, 1966)201 figli dello Spazio, I (The Space Chil­ dren, Jack Arnold, 1958) 100, 102,105,211 fine del mondo, La (The World, the Flesh, and the Devil, Ranald MacDougall, 1959) 35, 107, 212 Five (Arch Obler, 1951) 35, 107, 191,208 Flesh Gordon,(id., Howard Ziehm e Michael Benveniste, 1972) 156 Frankenstein Junior (Young Franken­ stein, Mel Brooks, 1975) 155 Fratello di un altro pianeta (The Brother from Another Planet, John Sayles, 1984) 220, 223, 224, 246, 269, 293, 295, 298, 301 Frogs (id., Gorge McCowan, 1972) 25, 27, 105 Fuga dal pianeta delle scimmie (Esca­ pe from the Planet of the Apes, Don Taylor, 1971) 173 fuga di Logan, La (Logan’s Run, Mi­ chael Anderson, 1976) 197, 243 gabinetto del Dr. Caligari, Il (Das Kabinett des Dr. Caligari, Robert Wiene, 1919) 117

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Gianni e Pinotto contro l’uomo invi­ sibile (Abbott and Costello Meet the Invisible Man, Charles La­ mont, 1951)153 giganti invadono la Terra, I (The Amazing Colossal Man, Bert I. Gordon, 1957) 37-39,126,131, 200 Giochi stellari (The Last Starfighter, Nick Castle, 1984) 225, 241, 255, 261, 286 giorno del delfino, Il (The Day of the Dolphin, Mike Nichols, 1974) 173-74 giorno dopo la fine del mondo, Il (Pa­ nic in the Year Zero, Ray Mil­ land, 1962)202 Godzilla (Gojira, Inoshiro Honda, 1954)130 Gremlins (id., Joe Dante, 1984) 276 guerra dei mondi, La (The War of the Worlds, Byron Haskin, 1953) 48,62, 87, 99, 180, 209, 211 Guerre stellari (Star Wars, George Lucas, 1977) 139, 154, 219, 221, 223, 227, 243, 246, 251, 259,261, 289,298 Have Rocket, Will Travel (David Lowell Rich, 1959) 153 Heartbeeps (id., Allan Arkush, 1981) 299 Ho sposato un mostro venuto dallo Spazio (I Married a Monster from Outer Space, Gene Fowler, Jr., 1958) 7, 110 Horror of Party Beach (Del Tenney, 1964)34 Iceman (Fred Schepisi, 1984) 302 Impero colpisce ancora, E (The Em­ pire Strikes Back, Irvin Kershner, 1980)234 Incredible Shrinking Woman, The (Jo­ el Schumacher, 1981) 268 Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind, Steven Spielberg, 1977) 219, 221, 223, 240, 247, 266, 287,298 Invasion of the Saucer Men (Edward L. Cahn, 1957) 159

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Invasion of the Star Creatures (Bruno VeSota, 1961) 159 invasione degli ultracorpi, L’ (Inva­ sion of the Body Snatchers, Don Siegei, 1956) HO, 113 invasori spaziali, Gli (Invaders front Mars, William Cameron Men* zies, 1953) 7, 74, 77, 102, 110 Kronos, il conquistatore dell’universo (Kronos, Kurt Neumann, 1957) 68 Leech Woman, The (Edward Dein, 1960)105 Liquid Sky (id., Slava Tsukerman, 1983) 220, 222, 241, 269, 271, 281, 284, 293, 295, 301 Mad Max oltre la sfera del tuono (Mad Max: Beyond Thunderdo­ me, George Miller/George Ogil­ vie, 1985)225 mantide omicida, La (The Deadly Mantis, Nathan Juran, 1957) 31, 128, 180 Marte distruggerà la Terra (The Angry Red Planet, lb Melchior, 1959) 61,81, 149,151, 181 meteora infernale, La (The Monolith Monsters, John Sherwood, 1957) 86, 100,211 Mezzogiorno e mezzo di fuoco (Bla­ zing Saddles, Mel Brooks, 1974) mio nemico, Il (Enemy Mine, Wolf­ gang Petersen, 1985) 156 moglie di Frankenstein, La (The Bride of Frankenstein, James Whale, 1935)45 mondo dei robot, Il (Westworld, Mi­ chael Crichton, 1973) 71, 80, 190-91, 195, 214 Mondo senza fine (World Without End, Edward Bernds, 1956) 62 Monitors, The (Jack Shea, 1969) 156, 188-89 Most Dangerous Man Alive, The (Al­ lan Dwan, 1961) 37, 39 mostro che sfidò il mondo, Il (The Monster That Challenged the World, Arnold Laven, 1957) 31

mostro dei mari, Il (It Came from Be­ neath the Sea, Robert Gordon, 1955)31, 128 mostro della laguna nera, Il (Creature from the Black Lagoon,Jack Ar­ nold, 1954) 39, 100, 103, 105 mostro magnetico, II (Magnetic Mon­ ster, Curt Siodmak, 1953) 142 mummia, La (The Mummy, Karl Freund, 1932) 13 Next Voice You Hear, The (William Wellman, 1950) 292 notte dei morti viventi, La (Night of the Living Dead, George Rome­ ro, 1968) 39, 177, 179, 181 notte della cometa, La (Night of the Comet,Thom Eberhardt, 1984) 220, 229,246, 281,283 Operazione diabolica (Seconds, John Frankenheimer, 1966) 73,119 padrone del mondo, Il (Master of the World, William Witney, 1961) 202 Parigi che dorme (Paris qui dort, René Clair, 1923) 294 Per favore, non mordermi sul collo (The Fearless Vampire Killers, Roman Polanski, 1967) 155 Perfect (id., James Bridges, 1985) 233 Philadelphia Experiment (The Phila­ delphia Experiment, Stewart Raffili, 1984) 278 pianeta delle scimmie, Il (Planet of the Apes, Franklin Schaffner, 1968) 62,73,95,107,145,172, 187, 189,243 pianeta proibito, Il (Forbidden Pla­ net, Fred Wilcox, 1956) 25, 56, 62,66,68,73,81,87,138, 151, 169, 203,211 professore tra le nuvole, Un (The Ab­ sent-Minded Professor, Robert Stevenson, 1961) 154 Pumping Iron II: The Women (Geor­ ge Butler, 1985) 233 Quando i mondi si scontrano (When Worlds Collide, Rudolph Maté, 1951)55,141

INDICE DEI FILM CITATI

Quarto potere (Citizen Kane, Orson Welles, 1941) 201 Quattordici o guerra • Furore nelle strade (Wild in the Streets, Barry Shear, 1968) 164, 202 Queen of Blood (Curtis Harrington, 1965)61, 181 K.X.M. Destinazione Luna (Roc­ ketship X-M, Kurt Neumann, 1950)61,202 Radiazioni BX - Distruzione uomo (The Incredibile Shrinking Man, Jack Arnold, 1957) 88, 122-24, 268 Rambo (First Blood, Ted Kotcheff, 1982)221, 233 Rambo 2- La vendetta (Rambo: First Blood Part II George R Cosmatos, 1985) 233 Red Planet Mars (Harry Horner, 1952)180,292 Repo Man - Il recuperatore (Repo Man, Alex Cox, 1984) 220-25, 241-41, 251, 269, 271, 281, 293, 295, 298, 301 Reptilicus (id., Sidney Pink, 1962) 131 risveglio del dinosauro, Il (The Beast from 20.000 Fathoms, Eugene Lourié, 1953) 31,105, 126-27 Ritorno al futuro (Back to the Future, Robert Zemeckis, 1985) 223, 243, 247, 275-76 ritorno dello fedi, Il (Return of the Je­ di, Richard Marquand, 1983) 228 robot e lo Sputnik, Il (The Invisible Boy, Nicholas Nayfack, 1957) Rollerball (id., Norman Jewison, 1975) 68 S.O.S. naufragio nello Spazio (Robin­ son Crusoe on Mars, Byron Haskin, 1964) 27,95, 138, 149 scorpione nero, Lo (The Black Scor­ pion, Edward Ludwig, 1957) 128 Scuola di geni (Real Genius, Martha Coolidge, 1985) 269 Sergeant Deadhead, the Astronaut (Norman Taurog, 1965) 202

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Sette giorni a maggio (Seven Days in May, John Frankenheimer, 1964)183 settimo viaggio di Sinbad, Il (The Se­ venth Voyage of Sinbad, Nathan Juran, 1958) 74 Space Vampires (Life Force, Tobe Ho­ oper, 1985) 220 spia che vide il suo cadavere, La (The Groundstar Conspiracy, Lamont Johnson, 1972) 184-85 Star Trek (Star Trek: The Motion Pic­ ture, Robert Wise, 1979) 234, 259,288 Star Trek II - Dira di Khan (Star Trek II: The Wrath of Khan, Nicholas Meyer, 1982) 254 Star Trek III - Alla ricerca di Spock (Star Trek III: The Search for Spock, Leonard Nimoy, 1984) 278 Starman (id., John Carpenter, 1984) 221, 224, 247, 266, 272, 289, 291,298-99,301 Staying Alive (id., Sylvester Stallone, 1983)233 Stazione Luna (Way...Way Out, Gor­ don Douglas, 1966) 201 Strange Invaders (id., Michael Lau­ ghlin, 1983) 220, 246,269,293 Tarantola (Tarantula, Jack Arnold, 1955) 21,100, 102 Terminator (The Terminator, James Cameron, 1984) 233, 243, 265, 276, 298 Terra contro i dischi volanti, La (Ear­ th Vs. the Flying Saucers, Fred F. Sears, 1956) 126-27, 130, 142, 179 Terrore dallo spazio profondo (Inva­ sion of the Body Snatchers, Phi­ lip Kaufman, 1978) 297 Three Stooges in Orbit, The (Edward Bernds, 1962) 153 Time Travelers, The (lb Melchior, 1964) 62 Tobor (Tobor the Great, Lee Sholem, 1954)65 Tornando a casa (Coming Home, Hal Hashby, 1978) 221

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Tron (id., Steven Lisberger, 1982) 225, 227, 255, 272, 286 Tuono blu (Blue Thunder, John Ba­ dham, 1983)262 Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (Everything You Always Wanted to Know About Sex, Wo­ ody Allen, 1972)156,159 Twonky, The (Arch Obler, 1953) 153 Uforia (John Binder, 1986) 246, 251, 269, 271, 181, 183, 293, 295, 298 ultima follia di Mel Brooks, L’ (Silent Movie, Mel Brooks, 1976) 238 ultima spiaggia, L’ (On the Beach, Stanley Kramer, 1959) 35, 107 Ultimatum alia Terra (The Day The Earth Stood Still, Robert Wise, 1951)62,65,68, 135,138,181, 183, 199, 201,291 Uomini sulla Luna (Destination Mo­ on, Irving Pichel, 1950) 6,7,55, 62, 87, 98, 142, 151, 190,213 uomo che fuggì dal futuro, L’ (THX 1138, George Lucas, 1971) 83, 169, 184,201,212 uomo che visse nel futuro, L’ (The Ti­ me Machine, George Pai, 1960) 61 uomo dagli occhi a raggi X, L’ (X The Man with X-Ray Eyes, Roger Corman, 1963) 39,202 uomo lupo, L’ (The Wolf Man, Geor­ ge Waggner, 1941) 19

uomo terminale, L’ (The Terminal Man, Michael Hodges, 1974) 183 uomo venuto dall’impossibile, L’ (Ti­ me after Time, Nicholas Meyer, 1979)247 Urla del silenzio (The Killing Fields, Roland Joffé, 1984) 221 Va e uccidi (The Manchurian Candi­ date, John Frankenheimer, 1962)116 vendetta del ragno nero, La (The Spi­ der, Bert I. Gordon, 1958) 200 vendicatore, Il (Brother Orchid, Lloyd Bacon, 1940) 155 Viaggio al centro della Terra (Journey to the Center of the Earth, Henry Levin, 1959) 201 Viaggio al pianeta Venere (Abbott and Costello Go to Mars, Charles La­ mont, 1953)153 Viaggio allucinante (Fantastic Vo­ yage, Richard Fleischer, 1966) 62,81,83 War of the Colossal Beast (Bert J. Gordon, 1958) 200 Wargames - Giochi di Guerra (JWargames, John Badham, 1983) 241, 259 West Side Story (id., Robert Wise, 1961)52 Zardoz (id., John Boorman, 1974) 148, 191, 196-97, 199

Indice dei nomi

Adler, Renata 167 Allen, Woody 156 Alloway, Lawrence 1, 113 Altman, Robert 144, 192 Amis, Kingsley 3 Anderson, Michael 156, 247 Anthony, Burgess 208 Arkin, Alan 191 Arnold, Jack 7,21,39,80,100, 115, 125, 272 Asher, William 204 Asimov 72 Asimov, Isaac 67 Astounding 3 Bacon, Lloyd 157 Badham, John 241, 266 Barron, Bebe 205 Barron, Louis 205 Barry, Wesley E 68,151 Baudrillard 260 Baudrillard, Jean 257 Baxter, John 4, 5, 6, 9, 12, 34, 55, 81, 83, 95, 122,214 Baxter, Les 204 Bazin 12.9 Bazin, André 128 Beethoven 207,209 Benjamin, Walter 237 Benveniste, Michael 158 Bernds, Edward 62 Blish, James 3 Bogart, Humphrey 238 Bonesteil, Chesley 7 Boorman, John 148

Borden, Lizzie 310 Bradbury, Ray 203 Brooks, Mei 157,158 Brosnan, John 83, 87 Browning, Tod 15 Brustein, Robert 41 Bukatman, Scott 260 Burgess, Anthony 138,140 Butler, ivan 43,215 Butor, Michael 4, 52 Cage, John 205 Cahn, Edward L. 159 Calder, Alexander 84 Cameron, James 247 Campbell, John W. Jr. 3, 7 Carey, Scott 88 Carlson, Richard 98,144 Carpenter, John 158,224,225,266, 298 Castle, Nick 229 Chaffey, Don 74 Ciment, Michel 79 Clair, René 298 Clarens, Carlos 4,12,112,123 Clareson, Thomas 6 Clarke, Arthur C. 8,42,169 Clatworthy, Robert 122 Coolidge, Martha 273 Corman, Roger 39,204 Cougat, Xavier 191 Cox, Alex 224 Crawley 291 Crenna, Richard 146 Crichton, Michael 8,71,192,196

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SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Crist, Judith 165 Dante, Joe 251, 280 Dean, Joan 222 Dein, Edward 105 Denne, John 31,37 Dexter, Maury 7, 110 Diamond, Neil 292 Dirksen, Everett 191 Don Siegd 125 Douglas, Gordon 31, 89, 100, 125, 181,203 Douglas, Susan 194 Duchamp 122 Dullea, Keir 169 Durgnat, Raymond 79 Dwan, Allan 37,100 Eberhardt, Thom 224 Elgar 209 Eliot, T. S. 216 Evans, Maurice 147 Fingesten 42 Fleischer, Richard 62, 74, 247 Forsyth, Bill 275 Foucault, Michel 303 Fowler, Gene Jr. 7, 110 Fox, Michael J. 280 Franciscus, James 143 Frankenheimer, John 7, 73, 116, 119, 185-86 Gasca, Luis 83 Gifford, Denis 6 Gilliatt, Penelope 168,170 Glasser, Albert 202 Golitzen, Alexander 122 Gordon, Bert I. 37,202, 211 Gordon, Robert 31 Gregory, Charles 111 Grimaldi, Hugo 58 Grofé, Ferde 203 Hackman, Gene 143 Hailer, Daniel 44 Harrington, Curtis 61, 183 Harryhausen, Ray 79,128 Haskin, Byron 27,48,56,62,95,98, 182 Hauser, Frank 35 Hawks, Howard 7, 105,164, 203 Hayden, Sterling 119,165 Hehr, Addison 62 Heinlein, Robert 6,140

Herrmann, Bernard 203, 205 Heston, Charlton 121, 147, 216 Hilton, Arthur 203 Hinson, Hal 269 Hitchcock, Alfred 203 Hodgens, Richard 3,4, 7,12, 35 Hodges, Michael 186 Holbrook, Hal 167 Hooper, Tobe 224 Horner, Harry 182,296 Houston, Penelope 141 Howard, Ron 228 Howe, James Wong 119 Hudson, Rock 119 Hughes, Robert 210 Hurley, Neil 146 Hyams, Peter 233, 293 Isaacs, Neil 14 Israel, Neil 250 James, Clive 168 Jameson 240, 243, 245, 251-52, 257, 259, 261, 269, 274, 276, 277, 279, 283, 288, 290, 300, 310,314 Janssen, David 146 Jewison, Norman 227 Johnson, William 11,70 Jones, Cristopher 167 Jones, L. Q. 177 Juran, Nathan 31, 34, 58, 74, 129, 182 Kael, Pauline 139, 143, 146, 196, 209 Kagan, Norman 166 Kane, Joe 37 Kauffman, Stanley 163 Kaufman, Philip 298 Kelly, Gene 209 Kennedy, Burt 158 Khatchaturian 207 Kitses, Jim 51 Knight, Damon 76 Kramarsky, David 100 Kramer, Stanley 35,107 Kraushaar, Raoul 202 Kubrick, Stanley 11, 43, 50, 58, 92, 117, 138, 145, 163, 168-69, 172, 202, 206, 210, 295 Laclos, Michel 14,41 Langan, Glenn 127

INDICE DEI NOMI

Laughlin, Michael 224 Laura, Laura 111 Laven, Arnold 31 Levin, Henry 203 Lewis, Jerry 203 Lieti, Gyorgy 207 Lipstadt, Aaron 228 Lisberger, Steven 229 Lockwood, Gary 169 Lourié, Eugene 31, 68,105 Lucas, George 83, 186 Ludwig, Edward 128 Lynch, David 265, 268-69 MacDougall, Ranald 107, 215 MacDowall, Roddy 189 MacFadden, Patrick 166 Macklin, F. Anthony 169, 172, 207 MacMurray, Fred 156 Malinowski, Bronislaw 45, 47, 49 Mandel, Ernest 42,240 March, Frederick 186 Martinson, Leslie H. 155 Marx, Groucho 252 Maté, Rudolph 55,143 McArthur, Colin 51 McConnell, Frank 135 McCowan, George 25,105 McDougall, Ranald 35 McDowall, Roddy 149 McDowell, Malcolm 138 Mead, Syd 267 Melchior, lb 61, 62 Menzies, William Cameron 7, 74 Merril, Judith 2 Meyer, Nicholas 251 Miller, George 229 Mills 265 Mills, Bart 265 Moebius 277 Mondrian 84 Monroe, Marilyn 252 Morgenstern, Joseph 61,166,169 Moskowitz, Sam 3 Murphy 35,142 Murphy, Brian 33,141 Nayfack, Nicholas 68 Neal, Patricia 137 Nelson, Ralph 203 Neumann, Kurt 39, 61, 68, 80, 203, 215

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Newman, Alfred 205 Newman, Joseph 64, 214 Nichols, Mike 173 Nyby, Christian 7,105, 203 O’Brien, Willis 128 O’Connor, Donald 209 Oberth, Hermann 7 Obler, Arch 35, 107, 153, 193 Ogilvie, George 229 Pal, George 7, 62, 157 Paull, Lawrence G. 266 Peck, Gregory 146 Peppard, George 188 Petersen, Wolfgang 224 Pichel, Irving 6, 55, 144 Pickens, Slim 165 Polanski, Roman 157 Post, Ted 48,107 Pratley, Gerald 186 Purcell 209 Pyle, Ernie 184 Raffili, Stewart 282 Rennie, Michael 182 Reynolds, Debbie 209 Rhodes, Hari 149 Richter, W. D. 229 Robeson, Kenneth 156 Rockwell, Norman 109 Rolling Stones 305 Romero, George 39,179 Rooney, Mickey 155 Rossini 209 Rubin, Martin 122,125 Rubin, Joe 230 Sagal, Boris 107 Sargent, Joseph 11,125,144 Sayles, John 224 Schaffner, Franklin 62,147,174 Schickel, Richard 187 Schumacher, Joel 272 Scott, George C. 165,176 Scott, Ridley 224, 226, 229, 266 Sears, Fred F. 144,181 Sellers, Peter 119,165,166 Shaffner, Franklin 95 Shankar, Ravi 203 Shea, Jack 158,190 Shelley, Mary 238 Sherwood, John 86, 100, 214 Sholem, Lee 65

334

SPAZIO E TEMPO NEL CINEMA DI FANTASCIENZA

Siegei, Don 7, 24,100,112 Silverstein, Eliot 158 Simak, Clifford D. 177 Simms, Jay 151 Siodmak, Curt 144 Sofoulis, Zoe 297 Sontag, Susan 22, 24, 33, 35, 111, 136, 141, 142 Spielberg, Steven 223, 241, 275, 280, 291 Stein, Ronald 202 Stern, Michael 263 Stevenson, Robert 156 Stewart, Jimmy 238 Strauss, Johann 207 Strauss, Richard 207 Strauss, Robert 155 Stride, Philip 140, 171, 198, 216 Strudwick, Shepperd 190 Sturgeon, Theodore 3 Sturges, John 143 Sturhahn, Lawrence 186 Sullivan, Ed 252 Swift, Tom 98 Sylvester, William 169 Talbot, Lawrence 21 Tarratt, Margaret 34 Tati, Jacques 275 Taurog, Norman 204 Taylor, Don 282 Tenney, Del 34

Thom, Robert 167 Thompson, Howard 191 Thompson, J. Lee 149 Trumbull, Douglas 27,59 Tsukerman, Slava 224 Tyler, Parker 82, 97, 153 Warhol 122 Welles, Orson 203 Wellman, William 296 Wheeler, Lyle 62 Wilcox, Fred 25, 56, 171 Wilder, Billy 157 Williams, Grant 122 Williams, Raymond 243 Wilson, Michael 147 Winccr, Simon 228 Winchell, Walter 184 Winters, Shelley 167 Wise, Robert 11, 73, 137, 144, 204, 296 Witney, William 204 Wyeth, Andrew 113 Wynn, Keenan 165 Yeaworth, Irving 36 Youngman, Henny 252 Zemeckis, Ro-bert 227 Ziehm, Howard 158 Zimmerman, Paul 70

Vivian Sobchack insegna “film studies” all’Università della California a Los Angeles ed è “Associate Dean” della Schoo of Theater, Film and Television della medesima università. Nel 1995 le è stato conferito il Pilgrim Award per le sue ricercl sul cinema di fantascienza. È stata la prima donna eletta alla presidenza della Society for Cinema Studies. Tra le sue pubblicazioni, il classico The Address of the Eye: A Phenomenology of Film Experience (Princeton UP, 1992); nel 2000 ha curato, per la University of Minnesota Press, la raccolta Meta-Morphing Visual Transformations and the Culture of Quick-Change.

VIVIAN SOBCHACK

Spazio e tempo nel cinema di fantascienza

Bononia University Press

Se oggi si parla del cinema di fantascienza non solo come di un prodotto di puro intrattenimento, di una forma di spettacolo di “serie B”, priva di ogni dignità, ma come di un genere cinematografico meritevole di studio e riflessione, dalle diverse e articolate relazioni con la letteratura, specchio di atteggiamenti culturali e politici, legato al l’interpretazione e alla valorizzazione della tecnologia, il merito è in gran parte di questo saggio di Vivian Sobchack, salutato alla sua prima pubblicazione negli anni Ottanta come un’opera rivoluzionaria nella critica cinematografica della science fiction. L’autrice è poi tornata a rivisitare il suo testo, ampliandolo e approfondendolo, ma sempre mantenendo inalterati i parametri dell’analisi, che sono di natura visiva e aurale, e mirano a definire proprio formalmente il genere. Il suo tentativo di fondare la fantascienza cinematografica in termini teorici su una “poetica” resta un approccio originale, che non ha perso nulla della sua forza e della sua capacità di penetrazione. Un “classico” che ha ancora molto da dire allo studioso, come ai tanti appassionati di questo genere. Vivian Sobchack insegna “film studies” all’università della California a Los Angeles.

Università degli Studi di Bologna