Serghiej Paradjanov. Testimonianze e documenti su l'opera e la vita

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SERGHIEJ PARADJANOV Testimonianze e documenti su l’opera e la vita a cura di Antonin J. Liehm Henry Gabay, Serghiej Paradjanov, Antonin J. Liehm, Gévorg Alagyozian, Jean-Louis Bory, Krikor Beledian, Jean Vidal, David Robinson, Alexei Korotyukov, Herbert Marshall, Janet Lazarian

8CRGI1IEJ PARADJANOV Testimonianze e documenti su l’opera e la vita a cura di Antonin J. Liehm Henry Gabay, Serghiej Paradjanov, Antonin J. Liehm, Gévorg Alagyozian, Jean-Louis Bory, Krikor Beledian, Jean Vidal, David Robinson, Alexei Korotyukov, Herbert Marshall, Janet Lazarian

LA BIENNALE DI VENEZIA

MARSILIO EDITORI

Traduzione di luisa pavon

Redazione A cura dell’ufficio stampa della Biennale di Venezia, camillo bassotto

Prima edizione: novembre 1977

Proprietà letteraria riservata Copyright 1977 by La Biennale di Venezia Copyright 1977 by Marsilio Editori • S. Croce 5I8/a ■ Venezia Fotocomposto dalla Linotipia Union - Bologna Stampa della Llto Savena - Bologna

Indice

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Biografìa di Serghiej Paradjanov

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SERGHIEJ PARADJANOV TESTIMONIANZE E DOCUMENTI

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a cura di Henry Gabay Una certa codardia di Antonin J. Liehm « L’ombra degli avi dimenticati » di Serghiej Paradjanov «Sayat-Nova»: una giornata di riprese di Gòkx% Alagyozian Ho scrìtto una sceneggiatura e ho tentato di realizzarla di Serghiej Paradjanov «Il colore delle melagrane» («Sayat-Nova») di Jean-Louis Bory Il film muto della parola: «Il colore delle melagrane» di Krikor Beledian Colloquio con Jean Vidal Per salvare Serghiej Paradjanov. Conversazione con Jean Vidal Regista sovietico vittima della politica di David Robinson Il regista imprigionato di Jean Vidal Serghiej Paradjanov di Henry Gabay Il caso Paradjanov di Alexei Korotyukov Testimonianza di Herbert Marshall Liberate Serghiej Paradjanov di Janet Lazarian Appelli per Paradjanov

Un libro su Serghiej Paradjanov deve ancora essere scritto. La docu­ mentazione completa deve ancora essere raccolta. Gli scritti di Paradja­ nov sul cinema attendono ancora di essere pubblicati. Quello che ab­ biamo cercato di fare con questo libro è solo urta prima raccolta di al­ cuni testi, di alcuni documenti, di alcune testimonianze di amici e critici per l'informazione di tutti coloro che si sono adoperati e si adopere­ ranno ancora perché Paradjanov ritrovi nel mondo del cinema interna­ zionale il posto che gli è dovuto (n.rf.c.).

Serghiej Paradjanov

1924. Nasce a Tbilisi, nella Georgia sovietica, di origine armena. 1951. Si diploma al dipartimento di regia dell’istituto cinematografico di Mosca. 1954. Incomincia a dirigere dei lungometraggi. Nel ’64 ha già compie tato cinque film in ucraino, realizzati agli studi Dovzenko di Kiev. 1964. Dirige L'ombra degli avi dimenticati, uno dei film meno orto­ dossi, coloriti e sensuali mai realizzati nell’Unione Sovietica. Il film viene immediatamente criticato e ritirato dalle autorità; ma poi viene mandato al Festival cinematografico del Mar del Piata, dove vince il primo premio. Ottiene riconoscimenti in molti altri festival internazio­ nali, ma l'autore non ha mai il permesso di accompagnare il suo film all'estero nonostante i numerosi inviti. Anche se il film non fu molto dif­ fuso in urss, alcuni critici sovietici descrissero Paradjanov come il capo della «nuova scuola» del cinema sovietico. 1965. In ottobre firma una protesta contro l’arresto, processo segreto e carcerazione di un certo numero di intellettuali ucraini. Nonostante i ri­ conoscimenti internazionali ottenuti, ogni progetto di film che sottopone alle autorità gli viene bocciato. 1969. Ha finalmente il permesso di dirigere un altro film, Sayat Nova (fi colore delle melagrane). Appena completato viene ritirato dalle auto­ rità. Più di tre anni più tardi viene fatta una nuova edizione senza il per­ messo di Paradjanov e viene proiettato in un ristretto numero di cinema sovietici. La proiezione all’estero non viene permessa, ma critici stra­ nieri che sono riusciti a vederlo lo hanno accolto come un capolavoro. I critici sovietici hanno considerato il film come una deviazione estrema dal «realismo russo» e sconsigliato questo tipo di film definito «diffi­ cile». Lo stesso anno, Paradjanov firma una lettera indirizzata a Brez­ nev protestando nuovamente contro l’imprigionamento di intellettuali ucraini. 1971. Incomincia a lavorare a un film sulla distruzione parziale degli af­ freschi delle cattedrali di Kiev, il progetto è dichiarato antisovietico e vietato. 7

1973. Da L'ombra degli avi dimenticati del ’64 alla fine del ’73, tutti i film di Paradjanov sono vietati o sospesi (a eccezione di Sayat Nova). 1974. Viene arrestato in gennaio con una varietà di imputazioni che vanno da speculazione in oggetti d’arte a omosessualità. Le autorità concedono poche informazioni sul suo caso sia prima che dopo il *pro cesso (da cui il pubblico è escluso). Paradjanov viene tenuto sotto custo­ dia fino al processo che si tiene in maggio e al quale verrà ritenuto col­ pevole di omosessualità (un reato nell’unione Sovietica fin dall’epoca di Stalin). Viene quindi mandato per cinque anni in un campo di lavoro. 1975. Sebbene gli amici sperassero che fosse rilasciato nel maggio, in occasione di un’amnistia per il xxx anniversario della « vittoria sul fa­ scismo» ciò non avvenne.

Serghiej Paradjanov a cura di Henry Gabay

Tutto ciò che qui è riportato a nome di Serghiej Paradjanov. oltre ai suoi articoli pubblicati, è stato effettivamente detto, parola su parola, serbato dalla mia memoria e dalla mia immaginazione in più di vent’anni di amicizia con lui (n.d.c.). Questa parte curata da H. Gabay è costituita da una serie di testimo­ nianze in prima persona di Serghiej Paradjanov, a cui si affiancano te­ stimonianze dù amici e collaboratori (Da ricordi collettivi) e informa­ zioni del curatore sulla realtà storica e culturale del periodo (L'epoca, Un po' di storia). Le diverse parti sono distinte nel testo da dei titoli in neretto (n.d.r.).

Serghiej Paradjanov Capita di provare tutto nella vita, anche la sbobba del carcere. Ma che c’entra: quando nell’autunno del ’45 fui ammesso a Mosca al vgik ’, il nostro vitto non era di molto migliore. Tutto andava avanti con le tessere. Alla mensa c’erano le patate cg (con grassi) e sg (senza grassi), e per quelle CG ti ritagliavano dalla tessere alimentare alla voce «grassi», e solo molto lontano dagli studi cinematografici «Gor’kij» (al­ lora erano ancora il « Sojuzdetfil’m »2) c’era una mensa, dove senza buoni ti davano patate gelate. Erano dolci, ma noi vi andavamo tra­ versando terreni coperti da neve vergine. Poi il Profkom3 cominciò a ri­ lasciare i buoni alimentari udp (noi li chiamavamo «Umrès’ Dnèm Pozze», Morirai un giorno più tardi). E tuttavia, com’era bello vivere!...

L’epoca Nell’autunno del 1945, il primo autunno di pace dopo la dura e vit­ toriosa guerra, il regista Igor’ Andreevic Savèenko reclutò degli studenti per il suo laboratorio di regia all’istituto statale pansovietico di cinema­ tografia. Dietro le mura del vecchio Zarjad’e4 moscovita, dove adesso si eleva lo sgraziato blocco dell’albergo Rossija, c’erano ancora casette, stradine, piccole chiese vecchie di due secoli, un frammento della vec­ chia Mosca, sudicio ma autentico. In quest’isoletta di antichità strap­ pata al tempo, anche la vita in quei giorni era completamente diversa: sacerdoti con sgargianti pianete dicevano messa, dame vestite di crino­ line e cameriere con i corpetti di velluto agitavano fazzoletti «e getta­ vano in aria leicuffìette...» e i gagliardi ussari del 1812, sconfìtto Na­ poleone, tornavano allegramente a casa, nell’antica Belokamennaja... • 1 2 3 4

Istituto statale sovietico di cinematografia. Produzioni cinematografiche per ragazzi. Comitato sindacale. Uno dei più antichi quartieri di Mosca.

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Si girava il film-vaudeville Az e Fert (Il corredo con il mono­ gramma). Nel palazzo del corpo di guardia, alto, con due finestre, costruito da Quarenghi o da Voronichin5, accanto ai fucili messi in fascio, agli zaini e ai gonfaloni, vagabondavano giovanotti e ragazze con addosso leggeri impermeabili estivi e sandali di legno del tempo di guerra. Si sentivano dei bisbigli: «Io ho fatto domanda anche per il Vachtangov6, ed ecco che anche là quest’oggi c’è l’esame...». «Una cretina diceva: bisogna essere più sfacciati; in letteratura, in storia i voti non sono importanti, guardano se hai talento oppure no... ». Nell’intervallo tra le riprese, in mezzo a selle ussare, zaini e tamburi si era riunita la commissione d’ammissione, Igor’ Savcenko conversava con i candidati a novelli Ejzenstejn. Adesso, dopo gli esami preliminari di selezione, ne erano rimasti soltanto trecento. Ma ne avrebbe ammessi una ventina, beh, una trentina... Da sotto le folte sopracciglia bianchicce gli occhi azzurri del giovane ma già famoso regista guardavano con al­ legra curiosità. Stava girando un film sulle cose che il paese aveva da poco provato: la dura guerra con gli stranieri, la gioia della vittoria, il ri­ torno a casa dalle famiglie, dai vecchi, dalle fidanzate. Egli avrebbe vo­ luto tuttavia che tutto questo trionfo di vittoria fosse allegro, umano, pieno di bontà, di musica e di risa. Così aveva progettato il suo film, e in quel momento, osservando quei ragazzi giovanissimi (erano pochi a es­ sere riusciti a fare la guerra), probabilmente, avrebbe voluto indovinare chi di loro nel futuro gli avrebbe assomigliato: un monellaccio che odiava qualsiasi luogo comune e ogni cosa ufficiale... Erano molti, più di quanti avevano preso parte alla scena di massa girata quel giorno. Tra le giacche e le maglie moscovite d’un tratto bale­ narono un colbacco grigio e dei sottili stivaletti caucasici. Enormi occhi neri, buffetti vellutati e un sorriso. «Come avete detto, il suo cognome? Paradjanov? — chiese uno degli insegnanti, membro della commissione. — Somiglia piuttosto a Marmaladze...7». Quando dei trecento rimase soltanto la trentina di eletti, anche i sot­ tili stivaletti caucasici passarono per il corridoio de) quarto piano del vgik, dov’era situata l’aula di Savcenko con i banchi di legno pieghe­ voli, che come stanchi destrieri avevano ripiegato le ginocchia ed erano caduti sul pavimento. 5 Giacomo Quarenghi (1744-1817), architetto italiano, si recò in Russia nel 1779. dive* nendo architetto di Caterina n. A.N. Voronichin (1760-1814). architetto c pittore classico russo. 6 Teatro di Mosca. 1 7 Paradjanov è cognome armeno, Marmaladze georgiano. AH’aspetto Paradjanov assomi­ glia più a un georgiano. %

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Un po’ di storia Negli anni 1945-47 all’istituto pansovietico statale di cinemato­ grafìa le varie sezioni erano dirette dai registi Lev Kulesov, Grigorij Kozincev, Serghiej Gerasimov, Julij Rajzman, Igor’ Savcenko. Serghiej Ejzenslejn, famoso in tutto il mondo, era direttore della cattedra di regia c teneva lezioni di composizione fìlmica, Aleksandr Dovzenko teneva lezioni alla facoltà di sceneggiatura e diresse poi un laboratorio di regia: l'opera di Pudovkin faceva parte del programma di base della storia del cinema sovietico, i giovani registi e attori studiavano le sue pellicole. Vi si potevano trovare quasi tutti coloro che otto anni dopo la rivo­ luzione d’ottobre avevano creato il fenomeno universalmente ricono­ sciuto del «cinema sovietico rivoluzionario», quando i loro film L'in­ crociatore Potemkin, La madre, La terra, La fine di San Pietroburgo, rivelando agli spettatori del proprio paese e di tutto il mondo materiali e temi senza precedenti, produssero anche una rivoluzione nei metodi ar­ tistici. nell’estetica, nel linguaggio cinematografico, influirono su molti maestri stranieri. Essi avevano con lo stato, di cui erano al servizio, molto in comune, e innanzitutto l’impetuosa giovinezza rivoluzionaria con il suo totale rifiuto del passato, del vecchio retaggio sociale e cultu­ rale. Quando la rivoluzione nazionalizzò la cinematografia russa, all'in­ vito del potere sovietico alla collaborazione risposero molti famosi ci­ neasti, scrittori, uomini di cultura russi. Potete leggere adesso nella Storia del cinema sovietico *: «Sin dai primi giorni nei comitati cinema­ tografici di Mosca e Pietrogrado vennero: G. Boltjanskij, V. Gardin, V. Giber. P. Ermolov, Ju. Éeljabuzkij, A. Razumnyj, F. Sipulinskij e altri: vennero gli scrittori A. Serafìmovic, V. Brjusov; accettarono di scrivere sceneggiature per film M. Gor’kij, V. Majakovskij, A. Tolstoj, F. Saljapin». Ma né Gardin, né Briusov e neppure Gor’kij, anche se dal suo ro­ manzo fu tratto il film La madre, nessuno degli apprezzati, maturi mae­ stri della vecchia cinematografia e letteratura russa non fece né avrebbe potuto fare niente per le strepitose vittorie del nuovo cinema. Al cinema, come alla poesia, alla pittura, al teatro, erano giunti quelli che prima non occupavano solide posizioni, erano giunti gli sconosciuti e gli in­ compresi, e con loro gli allievi e i seguaci. Il’ja Erenburg scriveva: «Ricordo il t maggio del 1918. Mosca era

• Istorija Sovetskogo Kino, red. di Abul-Kasimov, vol. I. p. 18, Moskva. «Iskusstvo». 1969.

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pavesata di striscioni futuristi e suprematisti. Sulle facciate delle case scalcinate, delle palazzine stile impero a colonne, quadrati impazziti guerreggiavano con i rombi, baluginavano di volti con triangoli al posto degli occhi. Una vecchietta, guardando uno striscione cubista con un grande occhio di pesce, si lamentava: “Signore, vogliono che ci si in­ chini al diavolo...”». Le correnti artistiche e letterarie dei ribelli erano sorte in occidente e in Russia grosso modo all’inizio del xx secolo. Erano movimenti di vi­ brata protesta contro l’ipocrisia borghese, la morale filistea e l’arte uffi­ ciale che su di esse si basava. I giovani poeti e i pittori dichiararono guerra alla grigia realtà filistea e mercantesca in nome di un futuro vi­ vido e meraviglioso, ma incomprensibile ai piccoli borghesi. Ecco le tesi principali del manifesto dei futuristi russi del 1912, di Burljuk. Krucènych, Majakovskij, Chlebnikov: «Noi soli siamo il volto della no­ stra epoca. Nell’arte della parola siamo noi a suonare il corno del tempo». «Il passato ci soffoca. L’Accademia e Puskin sono più incom­ prensibili dei geroglifici. Gettare Puskin, Dostoevskij, Tolstoj ecc. dal Vapore Modernità». «Tutti questi Gor’kij, Kuprin, Blok, Sologub, Re mizov, Avercenko ecc. hanno solo bisogno di una villetta in riva al fiume. È la ricompensa che il destino riserva ai buoni srati. Noi contem­ pliamo la loro infinita pochezza dall’alto dei grattacieli!...». Più tardi, nell’articolo Per che cosa si balle il LEF?, Majakovskij scriveva: «Il vecchio regime capiva quale fosse l’essenza dell’attività di laboratorio dei futuri dinamitardi. Si è risposto ai futuristi con tagli di censura, con il latrato e l’ululato di tutta la stampa». E quando giunse per i «dinamitardi» il tanto atteso futuro e la vec­ chia Russia esplosa andò a fondo, accadde esattamente ciò che scrisse Erenburg: «Dopo l’ottobre gli epigoni della poesia classica comincia­ rono a fare le valige. Bunin e Repin se ne andarono all’estero. Resta­ rono i futuristi, i cubisti, i suprematisti. Come i loro compagni d’idee deH’occidente... essi odiavano la società borghese e nella rivoluzione vi­ dero una via d’uscita». La stessa cosa ribadisce anche Majakovskij: «Ci eravamo messi al lavoro già il 25 ottobre. Naturalmente, al vedere Vinlellighenzia darsela a gambe, nessuno insisteva molto per appurare il nostro credo estetico. Oltre a svolgere un lavoro organizzativo, abbiamo presentato le prime opere d’arte dell’ottobre (Tatlin, Il monumento alla terza internazio­ nale, Il mistero buffo nella regia di Mejerchol’d...)». Nei cinegiornali di guerra avevano comincialo a lavorare il giovane e sconosciuto giornalista Michail Kol'cov e il suo compagno di scuola Dziga Vertov, negli studi teatrali di Mejerchol’d apprendevano l’arte i giovani Serghiej Jutkevic, Nikolaj Oclilopkov. Serghiej Ejzenstcjn. Essi 14

riconoscevano soltanto le nuove forme di arte, e ne) senso delle tradi­ zioni di Puskin e di Repin il ponte del loro piroscafo era assolutamente sgombro. Nei 1922 Ejzenstejn mise in scena al teatro del Proletkul’t Nuvsjakogo mudreca... (Chiunquepuò sbagliare), trasformando l’opera di Ostrovskij in una serie di numeri da circo, a dispetto di tutte le conce­ zioni delle guide della «cultura proletaria». In seguito egli doveva scrivere: «Io ero uno dei più accaniti sosteni­ tori del lef, il fronte di sinistra, che esigeva una nuova arte, rispondente alle nuove condizioni sociali. Dalla nostra parte stava allora tutta la gio­ ventù, tra di noi c’erano gli innovatori Mejerchol’d e Majakovskij; con­ tro di noi il tradizionalista Stanislavskij e l’opportunista Tairov ». Un altro gruppo di giovani artisti di sinistra emanò il manifesto Eccentrismo: «Noi fischieremo quattro volte: il primo fischio all’attore, per l'emozione nei confronti della macchina, per il trauma nei confronti del trucco. La tecnica è il circo. La psicologia è a gambe all’aria. Il se­ condo al regista, il massimo dell’invenzione, il record dell’ingegnosità, la turbina dei ritmi. Il terzo al drammaturgo, l’addetto al montaggio dei trucchi. Il quarto allo scenografo, le scene che saltellano. Al quinto (ìschio, da parte del pubblico, nd siamo pronti». Anche gli «eccentrici» Kozincev e Trauberg, che si erano chiamati itks (fabbrica dell’eccentricità), misero in scena il Matrimonio di Go­ * gol come un insieme di trucchi da circo. I classici venivano allegra­ mente distrutti. Parola d’ordine era la frase di Mark Twain «meglio es­ sere un cucciolo che un vecchio uccello del paradiso». Nella scuola-laboratorio di Lev Kulesov i giovani studenti affamati apprendevano anch’essi in base alle leggi del circo, della boxe, della gin­ nastica. (Tra di essi la Chochlova, Pudovkin, Barnet). Dovzenko stu­ diava gli espressionisti tedeschi di sinistra. Durante gli spettacoli di Ejzenstejn, di Radlov e dei feks si camminava sulla corda, si giocava col pubblico a palla, si sparava e si annaffiava d’acqua. Monellerie senza precedenti, anche per i capi dell’* arte proletaria». Il «tradizionali­ sta » Stanislavskij, tuttavia, era più comprensibile persino a Lunacarskij. 1 nuovi giornali sovietici avevano già cominciato, non ancora a « latrare e ululare», ma a ringhiare sommessamente. In seguito comparvero suoni più minacciosi, ma nei primi anni del cinema e del teatro sovietico nessuno prendeva seriamente i giovani «di sinistra». Essi somigliavano agli attuali beatnick o astrattisti. E tuttavia alcuni anni dopo furono pro­ prio loro con i loro allievi a creare ciò di cui ancor oggi si gloria l’arte ci­ nematografica sovietica: L’incrociatore Potèmkin di Ejzenstejn, La madre di Pudovkin, La terra di Dovzenko, Maksim di Kozincev e Trauberg, fcapaev dei fratelli Vasil’ev. Gli originali, i monelli c i ribelli. 15

che disprezzavano tutti i modelli del passato, crearono opere sgargianti, di talento, elevate poi a nuovi modelli. Continuando le principali tradi­ zioni dell’aarte di sinistra», essi diedero origine alle nuove correnti e alle nuove scuole del cinematografo, più a sinistra forse di quanto era neces­ sario alla loro patria alcuni anni dopo. In questo fu il loro merito, la loro gloria e la loro tragedia. Adesso, alla metà degli anni quaranta, questi illustri maestri, tutti ri­ coperti di decorazioni e di medaglie, non ancora cinquantenni, ma già carichi di stenocardia e d’infarti, erano tenuti dallo stato, consolidatosi con la guerra, all’istituto di cinematografìa: educare la nuova genera­ zione e creare la cinematografìa della potenza sovietica mondiale.

L’epoca

Dapprima aveva organizzato il piacevole gioco delle associazioni. «Mare», diceva pensosamente. «Nave», velocemente diceva qualcuno di noi. « Male — egli scuoteva la mano, — è un’associazione per conti­ guità. Il primissimo cerchio». «Gelosia», proponeva un altro studente, a Va già meglio, all’incirca il terzo cerchio. Ma è banale...». Superati con grandi sforzi tutti e dodici i cerchi, il giorno dopo ci re­ cavamo alla galleria Tret’jakov a cercare su suo incarico le misteriose tele del colore della «frittata con le cipolle»... ...Tutto ciò era inaspettato e attraente, ma a noi sembrava non troppo serio: scherzose bizzarrie di un maestro che aveva deciso di di­ vertirsi con noi giovani; tutto somigliava a un allegro gioco. Tuttavia questo gioco era tanto contagioso che noi sinceramente eravamo at­ tratti da esso, anche se non ne capivamo completamente il senso. Ca­ pimmo tutto un po’ più tardi. Egli voleva semplicemente risvegliare la nostra fantasia, l’inventività, voleva cominciare la nostra istruzione non da insegnamenti noiosi, ma direttamente dalla creazione. Contagiarci con lo spirito creativo fu sempre il suo compito primario. f. M1R0NER-M. CHUCiEV, La professione più rara, in «Iskusstvo Kino», 3, 1960

...Mi stupiva la sua fenomenale memoria. Potevate dirgli cinquantasettanta parole diverse, e lui le ripeteva senza errore in qualsiasi ordine: una di seguito all’altra, all’inverso, a sezioni. n. mordvinov, Le canzoni hanno le loro leggi, in «Iskusstvo Kino», 3, 1960 16

Avviso. Nelle elezioni svoltesi il 22 ottobre c.a. sono stati eletti nel Profkom: I. Salunovskij V., facoltà di filmologia, iv corso, presidente. 2. Ogorodnikova T., facoltà di economia, ni corso, vicepresidente. 3. Konovalova S., facoltà di recitazione, i corso, membro dell’uflìcio. 4. Paradjanov S., facoltà di regia, I corso, membro dell’ufficio. « Bravo, Paradjanov! Non è uno stupido, ha trovato subito un posto al calduccio... Dobbiamo procurarci un buono per dei pantaloni o delle galosce. Al mercato degli stracci vicino alla stazione Rzevskij i panta­ loni si possono cacciare per un centone». A l Profkom del vgik. Studente del i corso della facoltà di regia, Ga­ bay H„ domanda: chiedo di ottenere un buono per del satin, seta o tela indiana — quel che verrà, poiché voi non avete motivi per non concedermi questo buono. Ricordo, ottenni un buono per delle tendine di tulle.

Serghiej Paradjanov

Tamarka Terechova sembrava essere uscita direttamente da un ri­ tratto di donna di Domenico Veneziano!... Glielo dissi e le mostrai persino il ritratto: i capelli, la linea delia fronte e del naso, la pelle... Anche lei allora si dava da fare nel Profkom. La sua vecchia madre mi aveva affittato per trecento rubli al mese una cameretta a Ostankino, non lontano dall’istituto, dietro la mostra dell’agricoltura. Tutti gli stu­ denti vi giungevano dalla città in tram e in fìlobus sino agli «spaventa­ passeri » (cosi gli abitanti del posto chiamavano la famosa scultura della Muchina L'operaio e la cholkoziand), e poi per un intero chilometro procedevano sulla neve vergine. Io ne facevo a meno; a primavera sul prato, lungo la strada per andare all’istituto, pascolavano le mucche. Io e Jura, il marito di Tamarka, chiamavamo la mia padrona di casa « suo­ cera », si lamentava e brontolava sempre, dalla sua bocca vuota spun­ tava un solo dente verde, in sogno la vedevo avvitarsi il dente, caricarlo, ed esso ronzava come un’elica e la trasportava a volo sino alla cucina e ritorno... Jura era bello e stupido, sua mamma lavorava in una qualche ambasciala e portava ai giovani dei graziosi stracci. 17

L'epoca

Serzik caro. Ti mandiamo cinquecento rubli. Se la stanza è brutta prendine un’altra migliore, nutriti, al mattino bevi il cacao e qualche volta vai al ristorante a mangiare gli saslyk9. Vai anche a teatro, si dice che al Bol’soj adesso cantino Badridze e Lisician. Copriti bene, com­ prati della biancheria di lana, non prendere freddo. E se ti rimarranno dei soldi, compra per me e Anja delle soprascarpe di feltro. Da una lettera della mamma, Siran davidovna paradja nova

Al bar del vgik i biscotti alla vaniglia costavano dieci copcche l'uno e il caffè quaranta copeche il bicchiere. Il presalario al primo corso era di centottanta rubli al mese per gli studenti che avevano la sufficienza negli esami, anche se era una cosa che si poteva aggiustare. Serghiej Paradjanov

...Superato il primo corso, tutti soddisfatti e contenti perché non ci avevano cacciati per incapacità, ma al contrario ci avevano persino ri­ conosciuti «dotati di talento», G. disse che avrebbe passato le vacanze al Caucaso e sarebbe passato a trovarmi a Tbilisi. Suo padre aveva por­ tato dalla guerra roba e denaro e gli aveva dato ottocento rubli. Ricordo che gli dissi: «Tu sei pazzo, quale idiota porta denaro al Caucaso? Biso­ gna portare roba! E gli dissi cosa comprare: tubi di gomma da clistere, che i vinaio!i nelle campagne avrebbero comprato, sempre per la campagna spille a poco prezzo con conterie, tre rubli l’una, e soprattutto, sandaletti di le­ gno, alla moda, al mercato Tisinskij, gli dissi anche in quale banco pren­ derli. Lui, naturalmente, comprò i sandali sbagliati; quando arrivò pensavo che avesse pietre nella valigia, mentre la trascinavamo sul bal­ cone. Sciocco, aveva sperperato per niente cinquecento rubli. Che fare? In una giornata feci il giro di tutti i miei parenti armeni a Tbilisi. La con­ versazione era breve: « Aschik-zia (o Siranus-zia), un mio amico ha por­ tato da Mosca questi sandaletti. Sono proprio della vostra misura, do vete comperarli!». «Eh-eh, Serza — diceva Ajkanus-zia —, se al tuo amico sono tanto necessari i soldi, d’accordo, gli darò cento rubli, ma a cosa mi servono questi sandali?...». ( * Spiedini di carne di montóne.

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Ma io ero implacabile, prendevo i soldi e lasciavo i sandali, e l’indo­ mani G. aveva più denaro di quanto ne avesse speso, e su tutti i balconi di Avlabara e Nachalovka10 le mie zie armene tagliano con le asce i sandali per fame legna per il samovar... Poi sui tetti dei vagoni raggiungemmo la Kachetija, visitammo a piedi i villaggi di Cinandali e Mukuzani11; eravamo senza soldi, ma G. attorno alla cintura aveva arrotolato il tubo di gomma da clistere, in ogni bazar gliene tagliavo due-tre metri: eravamo ubriachi e pieni di frutta. Quando giungemmo a Telav dalla principessa Vachvachova, vec­ chia maestra con l’ordine di Lenin, che un tempo aveva terminato la Sorbona e viveva adesso in una casetta sui monti, non avevamo più nemmeno la forza di mangiare. Ci fece coricare sotto degli alberi di gelso su di un letto pieghevole, e perché non sentissimo il fetore dei lu­ ridi piedi, li copri con dei fiori di magnolia. D profumo di queste magno­ lie ci fece dormire due giorni sul pendio della valle di Alazan...

L’epoca «...11 Comitato Centrale dichiara che... le opere sono deboli, senza ideali... L’aereo è in ritardo di ventiquattro ore di Rybak e Savéenko... gli uomini sovietici sono raffigurati in queste opere in forma mostruosa­ mente caricaturale... una parte notevole delle opere rappresentate nei teatri è scritta in modo estremamente sciatto, sgrammaticato... non ri­ sponde agli interessi dell’educazione dei lavoratori e non può essere tol­ lerata nel teatro sovietico». «...Il Comitato Centrale del vkp dichiara che il ministero della cine­ matografìa (compagno Bol’Jakov) negli ultimi tempi ha preparato oltre al film riprovevole La grande vita (regista L. Lukov) una serie di pelli­ cole infelici ed erronee: la seconda parte del film Ivan il Terribile (regista S. Ejzenstejn), L’ammiraglio Nachimov (regista V. Pudovkin), Gente semplice (registi Kozincev e Trauberg). ...Perché sono incappati in degli insuccessi i noti registi sovietici compagni Lukov, Ejzenstejn, Pudovkin, Kozincev e Trauberg, che nel passato hanno creato pellicole altamente artistiche? Molti maestri del cinema, registi, scenografi, sce­ neggiatori superficialmente e irresponsabilmente considerano i loro do­ veri, poco coscienziosamente lavorano alla creazione dei film ». Tutti questi solenni e minacciosi decreti del Comitato Centrale del 10 Sobborghi di Tbilisi. 11 Dove si producono gli omonimi famosi vini georgiani.

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partito comparvero sui giornali e alla radio nell’autunno del 1946, pro­ prio quando la gente, stanca della dura e devastatrice guerra, aveva pro­ vato a riprendere il fiato e a sorridere. A primavera, non molto tempo prima degli esami del primo corso, LA. Savcenko condusse i propri studenti al Piccolo Teatro, alla prima dell’opera sua di N. Rybak L'aereo è in ritardo di ventiquattro ore. Era una commedia allegra, bonaria, gli attori letteralmente sguazzavano neirumorismo, negli scherzi, gli studenti a lungo non poterono dimenti­ care le loro argute facezie. Adesso invece, pareva, tutto questo era meschino e privo di ideali. Il tono dei decreti era molto duro. Al vgik si sussurrava che Lukov e Pu­ dovkin erano stati colpiti da attacchi cardiaci. All’ospedale era ricove­ rato per infarto S.M. Ejzenstejn. Kozincev non andava a far lezione. Anche Savcenko si recava raramente nelle studio: la sua opera era stata tolta dalle scene; il film-vaudeville, fuori moda e troppo allegro, gli ordinarono di modificarlo. Erano prossimi tempi duri, Paradjanov e i suoi compagni di corso lo percepirono subito. In uno dei frammenti drammatici, composto e interpretato, come tutti gli altri, dagli stessi stu­ denti, un giovane, tornato dalla guerra, incontrava la ragazza amata e un vecchio compagno di scuola, rimasto nelle retrovie. Con sprezzante rammarico si accorgeva che la ragazza non aveva serbato il suo gio­ vane amore, e l’amico aveva calpestato le leggi deH'amicizia. Entrambi s’erano invischiati nelle piccolezze delia vita d’ogni giorno, nelle tessere, nella sistemazione deH’appartamentino. E insieme all’eroe, che aveva conosciuto nel crogiolo della guerra il vero prezzo del dovere, dell’ami­ cizia e dell’amore, anche gli studenti li condannarono al disprezzo e ri­ tennero quest’operetta una tra le migliori. «Qual è il titolo di questo brano? », chiese accigliato Igor’ Andreevic. Glielo dissero. « No, non è questo! Il suo titolo è Conveniva difenderli?...». Lo studio era smarrito. Una tale concezione degli uomini, dell’arte era inaspettata e dura. Molti anni dopo un motivo analogo si incontrò nel dramma di V. Rozov e nel film da esso tratto Quando volano le cicogne, ma si era già nel periodo del «disgelo» chrusceviano. Noi in­ vece eravamo studenti negli ultimi anni minacciosi e solenni dell’epoca stalinista, quando le riunioni e le risoluzioni delle organizzazioni artisti­ che glorificavano la saggezza dei decreti del Comitato Central^. Nel giorno d’inverno del 1948, in cui Ejzenstejn da poco dimesso dall’ospedale mori nel proprio studio, i giornali pubblicarono il decretostroncatura del Comitato Centrale del vkp dell’opera di Muradeli La grande amicizia, indirizzato contro l’autore e insieme contro i composi­ tori Sostakovic, Prokofev, Chacaturjan. 1 E la maggior parte degli studenti in quel difficile periodo aveva circa 20

vcnt'anni... Durante le lezioni di recitazione, gli studenti interpretavano delle scene originali. Paradjanov un giorno diede la sua interpretazione di un uomo affamato. Per avere l’aspetto rozzo del vagabondo si era ri­ voltato la giacca, aveva gli occhi ardenti e concentrati su qualcosa che si accingeva ad addentare. A questo punto fu preso dalle convulsioni, (ìli spettatori s’impaurirono, tanto naturalmente faceva tutto questo. Ma quando Serghiej, tutto tremante, si girò, si vide d’un tratto che nella vecchia fodera della giacca c’era una grande toppa rossa con le lettere sbiadite d’un trito slogan: «Viva...». La lezione venne interrotta... Un po’ di storia

Dopo il noto decreto del Comitato Centrale del partito Sulfilm «La grande vita» net cinema sovietico ebbe inizio il periodo che fu poi chia­ mato « perìodo delle poche pellicole». Fu anche un periodo di povertà in campo teatrale e letterario dopo i decreti sulle riviste «Zvezda» e «Le­ ningrad» e sul repertorio dei teatri drammatici. 11 Comitato Centrale di­ chiarò apertamente: «I lavoratori delle arti devono capire che quelli di loro che d’ora in poi si comporteranno in modo irresponsabile e con leg­ gerezza nei confronti del proprio lavoro, potranno facilmente venire a trovarsi fuori dell’arte sovietica progressista ed essere fuori del loro tempo». Girare un film diventava un’impresa pericolosa. Il piano di produ­ zione delle pellicole era approvato dal Grande Capo in persona. In questa nuova tappa il cinema sovietico doveva concentrare i suoi sforzi su tre principali gruppi di pellicole. In primo luogo, i film speciali, i cosiddetti film «artistico-documentaristid», che celebravano la gran­ dezza della vittoria sulla Germania fascista e il genio del Duce. Ognuna di queste opere doveva essere dedicata a uno dei decisivi colpi strategici inferii al nemico sotto la guida del Comandante Supremo. Il secondo gruppo di film, storico-biografici e storico-rivoluzionari, riguardava illu­ stri scienziati, condottieri e musicisti, Lenin e Stalin. Il terzo gruppo era rappresentato dai lungometraggi sulla vita contemporanea, ivi comprese le commedie, ma indirizzate obbligatoriamente alla rassegna dei princi­ pali obiettivi statali e rispettose dello spirito di grandezza e di eroismo. Andando incontro alle indicazioni del Duce «meglio meno, ma meglio», il ministro della cinematografia cominciò a ridurre i piani annuali di pro­ duzione, lasciando solo i temi «significativi». Nel libro La commedia cinematografica sovietica lo studioso d’arte R. Jurenev scrive: «...nei venti studi cinematografici sovietici, rimessi in piena efficienza dopo la guerra, con una rete di sale cinematografiche in 21

costante aumento, con l’industria della pellicola in normale sviluppo, nel 1951 furono prodotti... otto lungometraggi artistici». L’epoca

Nell’autunno-inverno degli anni ’46-47 nella cinematografia venne ristabilito l’ordine. I registi più importanti ricevettero commesse riguar­ danti nella maggior parte i successi militari dell’armata sovietica, in base al numero dei colpi vittoriosi progettati da Stalin. Igor’ Savcenko. che girava il film II terzo colpo, sulla disfatta delle truppe di Hitler in Crimea, decise di portare tutti i suoi studenti agli studi cinematografici di Kiev, dove il film sarebbe stato girato, per far pratica. Due anni dopo ripete l’esperienza per le riprese del film Taras Sevcenko, volendo colle­ gare più strettamente i suoi allievi con la produzione cinematografica. Da ricordi collettivi

Levan Sengelija aveva uno strano berretto: visiera, mezzo a «ca­ setta » e sopra gonfio e spiegazzato. La cravatta gli pendeva come una cordicella, ed egli era elegante ma non alla moscovita. Paradjanov lo trascinava per le scale del vgik, dalle segretarie dei decani, si dava da fare per lui. Lcvan nella primavera passata era stato allontanato dall’Accademia di belle arti di Tbilisi perché, come disse Paradjanov, era « un po’ più a sinistra di Matisse ». Adesso Serghiej cercava con tutte le sue forze di si­ stemarlo alla facoltà d’arte del vgik, lo aveva presentato a Fedor Bogorodskij e ad altri maestri. Poi, la primavera successiva, aveva portato via dall’istituto una tela arrotolata, sulla quale, dissolvendosi sui bordi in uno sfondo azzurro, riluceva una donna nuda rosa come una perla, dalle labbra sgargianti. In quell’epoca di severi costumi per uno studente si trattava di un fatto troppo disinvolto, ma Paradjanov ne fu entusia­ sta.

A causa delle mie opere ne passai di belle, in particolare per la figura di una donna nuda, e avevo anzi l’intenzione abbastanza seria di lasciare il vgik. E inaspettato giunse un invito da LA. Savcenko... Quello stesso giorno ero da lui... Si iniziò una conversazione libera, e d’un tratto mi fece la proposta di lavorare come scenografo del film II terzo colpo. Fu una sorpresa grandissima e la cosa mi parve irrealizza­ bile. « Non è niente, tutti un giorno cominciano, t^ la caverai, se sarà difficile ti aiuterò, sono scenografo anch’io», disse Igor’ Andreevic. Ina22

spettalamente dichiarò di conoscere i miei lavori e di potermene addirit­ tura mostrare qualcosa. Srotolò una tela, la figura di donna nuda, per la quale pochissimo tempo prima mi avevano tanto biasimato al vik. l. Sengelua, articolo su LA. Savcenko, in «Iskusstvo Ki­ no », 3, 1960

Serghiej Paradjanov Kiev, tutta verde, cosi pittoresca con i parchi e i fiori, dopo il mio anemico Ostankino e la grigiasfalto Mosca! Tutto il nostro corso si si­ stemò nella soffitta dell’albergo Cervonij Sljach12; una notte di luna piena mi avvolsi nel lenzuolo, mi misi in testa un cestino per la carta straccia e organizzai sul tetto una danza di selvaggi. Ci cacciarono dall'albergo. In quei giorni a Kiev era giunto in tournée Obrazcov: tenne uno spettacolo anche negli studi cinematografici; tirammo a sorte chi doveva andare con le nostre tessere «di linea» a prendere per tutti pane, burro e semola (tenevamo tutto questo nel mezzo della nostra soffitta nella federa di un materasso), e andammo alla rappresentazione. Non avevo mai visto prima di allora le marionette di Obrazcov, erano migliori delle persone umane, più esatte e colorite, e io capii come fare una marionetta e imitare la mamma e il papà, le sorelle e le vicine di Tbilisi, il direttore del reparto pianificazione degli studi Enna Izrailevna c il direttore Gorsky. Sulle dita s’era messo delle palline di legno, le te­ ste. e le sue mani divennero essere umani. Restai sbalordito, tanto era una cosa semplice e bella! Negli studi avevo già molti amici, e nel re­ parto falegnameria mi fecero delle palline uguali, vi disegnai le facce ed ebbi un mio repertorio: la romanza Ci storno separati sdegnosi noi. No. non è le che amo così ardentemente, poi ideai la parodia del film II grande valzer: la pallina «Sani», la pallina «Pol’di», il faeton13, il coc­ chiere e il cavallo, e tutti cantavano le Leggende del bosco di Vienna... E quando all’inizio dell’inverno giungemmo a Mosca, al vgik, dissi iti nostro Belokurov del Mchat14, direttore della parte riguardante la re­ citazione, perché mai dovevo io interpretare dei bozzetti, le marionette potevano fare tutto al posto mio. Al che egli disse: «Su, fa vedere». E iò mostrai il mio repertorio, tutto il corso rideva, anche Beloku­ rov, ma quando si arrivò alle romanze, le palline sulle dita nude, e non potevo farci niente, sembravano omini nudi. Invano giurai di non poCammino rosso. |l Carrozza leggera, scoperta, a quattro ruote. 14 Teatro d'arte di Mosca.

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terle trattenere, egli d’un tratto si mise a gridare: «Erotomane! Maniaco sessuale! Cessa immediatamente!». Che razza di verginella! Di lui al gitis 15 raccontarono questo fatto, e allora aH’improwiso decise di farmi un tiro. D’accordo, non ci furono conseguenze a livello ufficiale, ma io cessai di mostrare le marionette...

Da ricordi collettivi

Gli studi cinematografici di Kiev in quegli anni 1947-50 non erano ancora intitolati ad Aleksander Dovzenko, che d’altra parte non era an­ cora un monumento, ma un regista attivo anche se in disgrazia. Accu­ sato da Stalin di nazionalismo, non lo facevano uscire da Mosca, rite­ nendolo evidentemente in quella città più attentamente sorvegliato. Ma a volte due teste canute, il grande maestro del cinema ucraino e il diret­ tore degli studi Aleksander Gorskij, biancheggiavano come soffioni sul ricco verde degli studi kieviani. Dovzenko amava passeggiare per il folto parco e il frutteto davanti al padiglione principale: sia il parco che il frutteto erano stati piantati dietro sua iniziativa prima della guerra e non erano stati distrutti dai tedeschi. Dopo l’espulsione dall’albergo per le danze al chiaro di luna e il tetto sfondato, gli studenti moscoviti furono trasferiti nelle stanze vuote dell’edificio della produzione. Gli studi, come tutto l’apparato cinemato­ grafico sovietico in quel tempo, erano più inoperosi che attivi, nelle ex stanze del montaggio vivevano ancora vecchi lavoratori tornati dallo sfollamento che non avevano ottenuto un’abitazione. I letti pieghevoli di tela incatramata, comprati dal direttore di scena Vajntrob con i soldi che gli studenti pagavano per la voce «alloggio», erano corti, i piedi ne uscivano fuori, erano chiamati per analogia con Procuste, « letti di Vajn­ trob», e ogni notte essi si richiudevano spontaneamente, facendo ruzzo­ lare i dormienti sul pavimento di cemento. Le finestre davano sul meleto di Dovzenko, protetto per tutta la giornata contro gli affamati lavora­ tori degli studi. Il vecchio guardiano notturno metteva la sveglia ac; canto al cuscino e quando questa suonava, senza aprire gli occhi per il sonno, allungava nella finestra la doppietta e sparava a casaccio per un’ora, un’ora e mezza. Gli studenti si erano abituati a dormire nono­ stante gli spari; due di loro, diventati in seguito famosi registi sovietici, Alov e Naumov, affermavano che una volta sotto la guida di Igor Savcenko avevano saccheggiato questo giardino per procurarsi mele fresche per le riprese. Ma probabilmente si tratta di una leggenda: nes­ suno voleva ricevere una scarica nelle chiappe e avere spiegazioni con Gorskij. 15 Istituto statale d'arte teatrale.

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Il terzo colpo è la storia dei combattenti per la Crimea. Perekop... La Moria della guerra civile... In realtà, nella nuda steppa tra due piccoli golli qualcosa era stato «rivangato», dei dirupi, resti dell'antica fortezza genovese, dove durante la guerra civile si erano trincerati i bianchi, e in questa i tedeschi. La città di Armjansk è un nudo villaggio ucraino nella steppa, senza verde, le chaty16 sporche. Di armeno c'era solo il fatto che in una delle chaty avevano messo lo studente Serghiej Paradjanov, in un'altra lo studente Grisa Melik-Avakjan. Una ventina di studenti, la troupe di ripresa degli studi di Kiev, e Armjansk si ravvivò. Vicini c’e­ rano una divisione di fanteria e un reggimento corazzato, per le riprese. Una delle nostre studentesse, stabilito un contatto con i giovani uffi­ ciali, presto disse: «Cosa? Nella steppa in macchina?... Puah, com’è volgare!... Solo in carro armato!». I combattimenti attorno alle fortificazioni tedesche sarebbero stati girati tra queste collinette e dirupi. Disporli in assetto di combattimento, dislocare i soldati dei due eserciti era compito nostro. Io, Paradjanov e lo scenografo Levan Sengelija rispondevamo dell'obiettivo «Baluardo turco», dov’erano le trincee e le fortificazioni dei tedeschi. Tortezza genovese. Scarpate e dirupi. Alcuni secoli prima, forse, aveva un aspetto migliore. Ari si poteva giungere solo attraverso un sen­ tiero segnato, tutto lo spazio rimanente non era ancora stato sminato. Lo mucche degli abitanti di Armjansk a volte saltavano in aria. Av­ venne che un giorno dovevamo esaminare le trincee e le «tane di volpe» dei tedeschi, ideare qualcosa per le riprese; la strada senza pericolo era dall'ultra parte e tutti e tre passammo attraverso il campo minato. Le­ vati camminava senza pensare, di certo, a dove mettere i piedi. In quell’estate aveva iniziato un romanzo con una nostra compagna di corso e viveva in un altro mondo. Davanti, sollevando alte le gambe, come nell’acqua, procedeva Paradjanov, tenendosi con le mani l'in­ guine. Disse: «Salve le palle, il resto vada pure alla malora!». Dietro di lui. cercando di calcare esattamente le sue impronte, avanzavo io. Il de­ stino delle mucche non fu anche il nostro.

Nella speranza di ottenere il massimo, nella speranza di conoscere In materia, fui gettato con una mandria di mucche nel campo minato del « baluardo turco». Eccola, la fortezza genovese, il golfo di Kirkinez... Lo aveva superato persino una lepre. La tana di volpe, sicuro rifugio dei te­ deschi. Per conoscere la materia vi entro... distinguo nelle tenebre... la nicchia dell’elmetto, stile gotico... la nicchia per il fucile, stile gotico... le lime sono fatte ad arco gotico... la nicchia per la gavetta, stile gotico. "*