Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana
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STUDI

E TESTI 92

GIORGIO LEVI DELLA VIDA

RICERCHE SULLA

FORMAZIONE DEL PIU ANTICO FONDO DEI MANOSCRITTI ORIENTALI DELLA BIBLIOTECA

VATICANA

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXXXIX

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STUDI

E TESTI 92

GIORGIO LEVI DELLA VIDA

RICERCHE SULLA

FORMAZIONE DEL PIU ANTICO FONDO DEI aMANOSCRITTI ORIENTALI DELLA BIBLIOTECA

VATICANA

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXXXIX

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IM P R IM AT U R :

Datum in Civ. Vat. dio 12 Augusti 1939.

P e . A lfonsus C. D e R omanis Ep. Porphyreonen. Vie. Gen. Civitatis Vaticanae

PROPRIETÀ LETTERARIA RISTAMPA ANASTATICA · DINI - MODENA - 1976

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a l l ’e m i n e n t i s s i m o

e

r e v e r e n d is s im o

s ig n o r

c a r d in a l e

EUGENIO TISSERANT SEGRETARIO d e l l a s . c o n g r e g a zio n e p e r l a c h ie s a o r ie n t a l e MEMBRO DELL’ISTITUTO DI FRANCIA GIÀ PROPREFETTO DELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA È

r is p e t t o s a m e n t e

e

affettuosam ente

d e d ic a t o

QUESTO LIBRO CHE DA LUI SI SAREBBE DOVUTO SCRIVERE E A LUI DEVE D ’ESSERE STATO SCRITTO

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SOMMARIO

D e d ic a .................................................................................................................Pag.

III

S o m m a r io ......................................................................................................................

v

A vvertenza.....................................................................................................................

VII

Capitolo I. - I l fondo orientale antico della V aticana e i suoi c a ta lo g h i ...................................................................................................

1-28

G. S. e S. E . Assemani e la catalogazione dei manoscritti orientali, p. 1. - I cataloghi del fondo antico di Abramo Ecchellense e di Giovanni Matteo Naironi, p. 4. - Manoscritti orientali entrati nella Vaticana tra il 1664 e il 1686, p. 27.

·*

Capitolo II. - I primi manoscritti orientali nella V aticana . . .

29-108

Gli inventari del 1481 e del 1484, p. 29. - L ’inventario di Fabio Vigile, p. 33. - Il Concilio di Firenze e i manoscritti orientali, p. 84. - Lettori di manoscritti orientali vaticani alla fine del sec. x v e al principio del x v i, p. 90.

Capitolo III. - I manoscritti orientali nella V aticana durante il x vi s e c o l o ................................................................................................

109-198

Gli studi orientali a Roma al principio del sec. x vi, p. 109. L ’inventario del 1533, p. 111. - L ’ordinamento di Marcello Cervini e i codici orientali, p. 121. - Nuove accessioni nella seconda metà del secolo: l’inventario di Federico e Marino Ranaldi, p. 146.

Capitolo IV . - I manoscritti orientali nella V aticana all ’ inizio del XVII s e c o l o .............................................................................................

199-287

I manoscritti di Leonardo Abel, dello studio di Paolo V , del prete Melkizedeq, p. 199. - L ’inquisitore Della Corbara e i mano­ scritti di Malta, p. 260. - I manoscritti copti di G. B. Raimondi, p. 263. - L ’« inventario non numerato », p. 268.

Capitolo V. - I manoscritti orientali nella V aticana nel terzo decennio DEL XVII s e c o l o ...................................................................

288-373

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Sommario

VI

Il codice Turco 11, p. 288. - I due Corani del vescovo Ruini, p. 289. - I manoscritti palatini: la formazione della raccolta del Postel e le sue vicende a Heidelberg, p. 290. - Manoscritti orientali palatini non postelliani, p. 317. - Felice Contelori e l’inventario dei codici orientali, p. 337. - Lettori di manoscritti orientali vaticani durante il x v n secolo, p. 369.

C apitolo V I. - N uove accessioni e in izi d i catalogazione nella SECONDA METÀ DEL XVII SECOLO . ...................................... Pag.

374-447

L ’inventario di Abramo Ecchellense, p. 374. - 1 manoscritti della biblioteca Urbinate, p. 397. - I manoscritti del Collegio dei Neo­ fiti, p. 405. - Due codici arabi della regina Cristina, p. 435. - Rias­ sunto e conclusione, p. 440. Aggiunte e correzioni.................................................................................................

449-450

Tabelle I - I V ................................................................................................................

451-486

Indice dei manoscritti (codici e documenti d’archivio) consultati o men­ zionati ................................................................................................................

489-496

Indice dei nomi propri e delle cose n o te v o li.....................................................

497-523

Spiegazione delle t a v o l e ..........................................................................................

525-528

Tavole I - X X I

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AVVERTENZA

Come non di rado avviene, questo libro è nato da un’occasione fortuita. Compiuto l'Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblio­ teca Vaticana (Studi e Testi 67) ed essendomi rimesso a preparare la descrizione completa e minuziosa dei codici elencati, in vista del futuro catalogo, il desiderio di rendermi ragione dei vecchi numeri di segnatura che figurano su non pochi di essi m’indusse a esplorare alcuni antichi inventari della Biblioteca. I primi risultati dell’esplo­ razione parvero promettenti al proprefetto monsignor Eugenio T i s s e r a n t al quale li avevo sottoposti, e da lui fui indotto e incoraggiato a proseguire le indagini e a estenderle all’intero fondo antico dei manoscritti orientali. Da lungo tempo egli vagheggiava un lavoro siffatto, e nessuno era meglio preparato di lui a compierlo (cfr. Elenco, p. v m 1); ma le occupazioni del suo ufficio gli avevano impedito fino allora di intraprenderlo, nè prevedeva di poter disporre di un più abbondante otium' 'philosophicum in un prossimo avvenire. Elevato poco dop.o, il 15 giugno 1936, alla meritata porpora, Sua Eminenza Reverendissima si è degnata di consentire che il suo nome figurasse in fronte a questo libro, il quale le viene offerto come tenue omaggio di rispettosa e riconoscente devozione, e al tempo stesso come ricordo, dolce nella memoria, della cordiale amicizia che per lunghi anni mi ha legato all’erudito e sagace cultore dei miei stessi studi. In un lavoro nel quale sono stato costretto a toccare, sia pure soltanto di volo, diversi campi a me poco o punto familiari, ho avuto la fortuna di ricevere da varie parti aiuto di preziose informazioni e di utili consigli. I nomi di coloro ai quali ne vado debitore sono regi­ strati ai rispettivi luoghi; ma mi sarebbe stato impossibile ricordare singolarmente tutte le occasioni nelle quali ho avuto ricorso, e non

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V ili

A vverten za

mai invano, alla sconfinata dottrina e all’inesauribile amabilità del Bibliotecario e Archivista di S. B. C., l’Eminentissimo e Reveren­ dissimo signor cardinale Giovanni M e r c a t i , al quale esprimo qui, in una sola volta, la molteplice e profonda riconoscenza per i ripetuti aiuti che egli mi ha largiti con paziente benevolenza. Durante il corso delle ricerche è stato continuo lo scambio di informazioni e di osservazioni coi colleghi G. G r a f e A. V a n L a n t s c h o o t , donde sono risultate non poche corrispondenze tra il pre­ sente volume e, rispettivamente, il catalogo dei manoscritti arabi cristiani in preparazione e in corso di stampa e quello dei manoscritti copti già pubblicato. La cordiale amicizia che ci unisce esclude che tra noi tre siano mai per sorgere meschine contestazioni di priorità. Ringrazio vivamente il R. P. Anseimo M. A l b a r e d a O. S. B., prefetto della Biblioteca, per avere, durante oltre tre anni, seguito, agevolato e confortato il mio lavoro e per aver consentito che ne fosse reso pubblico il risultato in un volume della serie degli Studi e Testi. Roma, agosto 1939, nel quinto anno secolare dell’apertura del Concilio di Firenze. G.

Levi D ella Y

id a .

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CAPITOLO I. IL FONDO ORIENTALE ANTICO DELLA VATICANA E I SUOI CATALOGHI Giuseppe Simonio e Stefano Evodio Assemani e la catalogazione dei manoscritti orientali, p. 1. - I cataloghi del fondo antico di Abramo Ecchellense e di Gio­ vanni Matteo Naironi, p. 4. - Manoscritti orientali entrati nella Vaticana tra il 1664 e il 1686, p. 27.

Durante il pontificato di Clemente X I (1700-1721) la Biblio­ teca Vaticana si arricchì straordinariamente di manoscritti orientali, e tale incremento continuò, per quanto in misura più modesta, sotto i suoi successori Innocenzo X III (1721-1724), Benedetto X III (17241730), Clemente X II (1730-1740), Benedetto X IV (1740-1758), Clemente X III (1758-1769) a>. Per la più gran parte esso fu dovuto all’iniziativa e alle sollecite e persistenti cure del maronita Giuseppe Simonio Assemani1 (2), il quale, scrittore per il siriaco nella Vaticana, fu poi nominato il 30 settembre 1730 secondo custode, il 3 gennaio 1739 primo custode, e tale rimase fino alla morte, sopravvenuta il 13 gennaio 1768, quando egli era quasi ottantenne (3). Dopo avere (1) Cf. L. von P astor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo (trad. it.), X V , 383-4, 784; X V I . I, 165-167,495. I rimandi fatti, qui e più avanti, a que­ st’ opera fondamentale vogliono servire di orientamento generale per il lettore; nell’economia dell’imponente massa di notizie accumulate dal Pastor l’erudizione orientalistica non occupa, com’è ovvio, se non un modestissimo luogo, e i dati forniti richiedono di essere suppliti e corretti. (2) Che debba scriversi Simonio anziché Simone (come è invalso l’uso), e che ai tratti non già di un nome di battesimo, bensì della latinizzazione del cognome as-Sam ‘ànI, del quale Assemani è la trascrizione approssimativa, è stato dimostrato ad abbondanza da E. Tisserant, nella prima nota dell’ articolo che sarà citato più avanti p. 34. (3) Per la biografia di G. S. Assemani si veda la bibliografia citata dal Tisse­ rant nella medesima nota del medésimo articolo di cui alla nota precedente (in ■cui p. 273 gli sono assegnati 86 anni di vita). Manca tuttora uno studio mono1

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2

Capitolo I.

sommariamente elencato, in fine ai singoli volumi della sua Biblio­ theca Orientalis, i codici orientali (e in parte anche greci) entrati nella Vaticana per opera sua o almeno durante la sua permanenza in biblio­ teca (1), l’Assemani concepì l’ardito disegno di comporre e pubblicare un catalogo generale di tutti quanti i manoscritti conservati nella Vaticana, tale da eguagliare, anzi da superare di gran lunga per la particolareggiata descrizione dei codici, i cataloghi dei manoscritti di alcune delle principali biblioteche d’Europa che si erano pubblicati fino allora *1 (2). Il catalogo della Vaticana doveva comprendere venti grafico intorno all’attività scientifica dell’Assemani, elle fu notevole per quantità e varietà di risultati e che gli procurò, da vivo, una rinomanza forse anche esa­ gerata (v. p. es. in P astok , X V I . 1, IO7 l’ attestazione dell’ambasciatore imperiale a Roma che egli fosse « uno dei più famosi uomini del secolo per la vasta cogni­ zione di tutte le lingue orientali » . . . cui però segue subito : « non nella latina eloquenza » !). Nonostante alcuni gravi peccati di leggerezza in cui l’Assemani in­ corse, forse per l’eccessiva fretta nel lavoro e per il desiderio, dettatogli dalla vanità, di sembrare competente in campi di studio che non conosceva a suffi­ cienza, quali l’ebraico e la letteratura araba islamica, non può disconoscerglisi il merito insigne di avere donato agli studi del siriaco uno strumento di primo ordine colla Biblioiheca Orientalis, ammirevole per il tempo in cui fu composta, e non può non destare ammirazione la sua inesausta capacità di lavoro e il coraggio col quale si accinse anche a imprese remote dagli studi orientalistici. È vero che talvolta si appropriò, senza citare o citando insufficientemente le sue fonti, i risul­ tati delle fatiche altrui. (1) Sono i seguenti fondi (esclusi i greci): nel voi. I (1719) i Nitriensi, gli Ecchellensi, gli Amidensi, i Beroensi, i codici di Pietro della Valle, i codici siriaci, copti e arabi riportati dall’Assemani dalla sua missione in Oriente tra il 1715 e il 1717, i codici arabi copiati dal neofito Clemente Caracciolo (di suo primo nome 'Abdalkarim as-Sa'idì al-'Adawi) sul principio del sec. xviii; nel voi. I I (1721) i codici siriaci e arabi riportati dal maronita Andrea Scandar dalla sua missione in Oriente tra i l l 7 1 8 e i l l 7 2 1 e quelli, nelle stesse lingue, donati a Clemente X I dal Cardinal Pier Luigi Carafa; nel voi. I l i (parte l a) i codici siriaci, arabi e copti ceduti dalla Congregazione de Propaganda Fide alla Vaticana nel 1723. I manoscritti di tutti questi fondi furono versati dall’Assemani nei fondi orientali delle varie lingue, i quali esistevano da lungo tempo in biblioteca, come si vedrà tra breve, ed erano designati, come continuano a essere tuttora, col nome di « Vaticani » seguito da quelli delle singole lingue. (2) L ’esempio più recente era quello della Bibliothèque Royale di Parigi, il cui catalogo si era cominciato a stampare in due serie, dei manoscritti e degli stampati, nel 1739; ma è già del 1697 la grandiosa opera Catalogi librorum mamuscriptorum Angliae et Hiberniae in unum collecti . . . (dedicato in gran parte alla Bodleiana di Oxford, di cui un indice sommario degli stampati e dei manoscritti era pubblicato fin dal 1605). 11 piano dell’Assemani era tuttavia molto più grandioso che non fosse quello delle opere suddette e di altre analoghe uscite nella prima metà del sec. x v iii .

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Il Fondo orientale antico della Vaticana..

3

volumi: sei dedicati alla descrizione dei codici di varie lingue orien­ tali, quattro a quella dei codici greci, dieci a quella dei latini(1>; ma evidentemente la parte che più stava a cuore al dotto e laborioso maronita era quella orientale, per la quale, oltre che sulla propria dottrina e su quella del nipote di cui si dirà· subito, egli contava su alcuni collaboratori per l’ebraico, l’etiopico, il copto, il cinese 1 (2)3 ; e appunto per i codici orientali, come « Latinis ut plurimum auribus ign oti. . . atque inauditi », prometteva non solo il nudo elenco degli autori e delle opere, bensì anche « perpetuas adnotationes atque animadversiones » atte a illustrare il contenuto delle opere e a fornire notizie sugli scrittori7r), sì da costituire, in qual­ che caso, una vera e propria raccolta sistematica di estratti di opere. 11 Vigile ha dunque compiuto un lavoro che lo fa degno di esser tratto fuori dalla penombra in cui finora è rimasto. Gli inventari delle altre biblioteche sono molto più magri, e non danno per lo più se non il titolo delle opere contenute nei codici: quello dell’Urbinate è, a detta dello stesso Fabio, soltanto la copia di un inventario precedente; una futura ricerca dovrà mettere in chiaro se non sia per caso da dirsi lo stesso di alcuni altri degli inventari delle biblioteche poste fuori di Roma. I termini inferiore e superiore indicati dal Fabre per la compo­ sizione dell’inventario, cioè l’acquisto e il trasporto a Roma della biblioteca medicea da parte del futuro Leone X (1508) e l’elezione di lui al pontificato (11 marzo 1513), rimangono immutati1 (2), mentre perdono ogni valore quelli più ristretti che egli stabiliva partendo dal­ l’errata convinzione che ne fosse autore il Parmenio. Soltanto da una ulteriore e completa indagine dell’inventario potrà risultare fissato con sicurezza il tempo esatto in cui esso è stato composto. Xel Vat. Lat. 7136 f. 93M16 (540*-543 della numerazione ori­ ginaria), fra i codici racchiusi nelle casse della Biblioteca latina « secretioris », a principio della quinta cassa, sono descritti 36 codici (si vedrà subito che in realtà sono di più) in varie lingue orientali(3); l’indice di essisi trova nel Vat. Lat. 7135 f. 61-62; ma, oltre a questo, che fa parte dell’indice generale, troviamo a f. 46-50 un indice spe­ (1) Si tratta dell’Almansoris 1. X e dell’Antidotarium di Razis. (2) Sarebbe poco verosimile supporre che il Vigile, copiando un inventario della Medicea composto quando Leone X era il cardinale Medici, seguitasse a chia­ marlo a questo modo anche dopo la sua elezione a papa. (3) I codici racchiusi nelle casse sono per lo più latini o in lingue volgari; nella 5a agli orientali ne seguono sei greci; dal n. 344 ricominciano i latini, pre­ messovi il lemma « Latina d(e)inc,eps ».

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Capitolo II.

ciale, in cui i codici orientali sono ripartiti per lingue e descritti senza indicazione di numero, ma con rimandi ai fogli dell’inventario dove essi erano già stati descritti quasi colle stesse parole (1): un ten­ tativo, dunque, di indice per materie di cui non si ha esempio nè per i greci nè per i latini. Sono musulmani anche la sottoscrizione, che data il codice del 3 gumadà II 700 egira/13 febbraio 1301, e lo scriba; ma i fogli sono numerati con cifre copte, indizio di appartenenza a cristiani, vero­ similmente impiegati nella cancelleria dei Mamelucchi. La segnatura ■326· si trova a f. 1 e due volte sull’ultima pagina (f. 71”), una delle quali cancellata. Arabo 313. È il notissimo trattato di oculistica Tadkirat al~ lcahhalìn del medico cristiano 'Isà ibn 'All [All ibn 'Isa] (v. Elenco, p. 2 6 e C a s e y A. W o o d , Memorandum Book of a Tenth-Century Oculist..., Chicago 1936), mutilo in principio e in fine. Il manoscritto è certamente di origine egiziana e può appartenere, per la scrittura, al xiv o xv secolo. La segnatura -326· compare a f. 38”. Arabo 315. È un codice miscellaneo, composto di frammenti, per lo più islamici (v. Elenco, p. 27), ma tali da rientrare nella cerchia degli interessi di cristiani medici o funzionari. La segnatura · 326· si trova a f. 47”, verso la fine di un frammento {bàb al-hulà) relativo alla lessicografia dell’aspetto esterno del corpo umano, e a f. 127”, capovolta, entro il frammento di un manuale di medicina non iden­ tificato. Che anche gli altri scritti compresi nel codice debbano asse­ gnarsi al n. 326 dell’inventario mi sembra molto verosimile, per quanto naturalmente non possa darsene la prova. Nessuno degli scritti è datato, ma tutti appartengono per la scrittura al sec. xiv 1 (2) (1) A meno ohe non sia da identificarsi l’ autore, ammettendo un lieve errore nella grafia del patronimico quale è data dal manoscritto, con ‘ A b d a l'azìz ibn 'A dì ibn 'Abdal'azìz 'Izzaddìn al-Baladì, del quale Ibn Hagar, adDurar al-Tcamina, H , 377 n. 2441 narra che in origine faceva il banchiere (sayrafì) e che poi, datosi alla medicina, alla scienza della ripartizione delle quote ereditarie e all’algebra, divenne funzionario nell’ amministrazione e qadì a Erzerum, poi professore e vice qadì a Mossul, e, dopo una vita molto agitata (fu tra l’ altro accusato di concussione e di omicidio e sospettato di aver abbracciato l’ eresia dei Nusairì), morì a Erzerum nel 710 o 719 egira. (2) NelY Elenco i nn. 2 e 6 sono assegnati al sec. x v (ix egira), ma sono forse un po’ più antichi.

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Capitolo II.

e sono di provenienza egiziana; i nn. 1 e 3 hanno numerazione copta. Arabo 1485. Contiene vari scritti alchimistici e medici (v. Elenco, p. 236-238 e più avanti, p. 152-153). La segnatura -326· si trova a f. 1 .1 fogli hanno numerazione copta; a f. 124® e 126 due note di possessore, identiche, in copto: m n p e cR lT H p o c ΐΑ,κιυπ ; la seconda datata del 1125 Martiri/1409 d. Cr. Copto 43. È un tropario, sul quale v. il catalogo H e b b e l y n c k - Y a n L a n t . s e h o o t , p. 222-226, che a p. 226 menziona la pre­ senza della segnatura -326- a f. 2 e rimanda a questo inventario: frammisto con esso doveva trovarsi anche il Copto 23, che più tardi ne è stato separato (cf. ibid., p. x n 3). Il codice, non datato, è asse­ gnato dal catalogo al sec. x iv -x v . La segnatura -326- si trova poi su due frammenti dell’Arabo 1481: il primo, un fascicolo di 10 ff. (cm. 19 X 14) a 11 linee, nume­ rati in cifre copte n * - q , recante al principio l’indicazione (9a kurràsa), contiene il frammento di un dialogo tra Gregorio (di Mssa) ed Eunomio in refutazione delle dottrine ariane di quest’ul­ timo; di quest’opera non trovo traccia nè nella letteratura araba cristiana (anche al Graf essa è sconosciuta, com’egli ha avuto la bontà di comunicarmi) nè in quelle greca e siriaca; nel frammento superstite non vi è nulla, se ho ben veduto, di comune col grande trattato κατά Εύνόμιον di Gregorio di Mssa. La segnatura -326- si trova, capovolta, in basso al 2° foglio (n S ) del fascicolo. Il foglio di guardia del codice di cui questo fascicolo faceva parte si è conser­ vato, credo, in un foglio in bianco nell’Arabo 1481, delle stesse dimen­ sioni e qualità di carta, che porta in alto la solita segnatura · 326 ■e accanto a essa il titolo, in gran parte eraso e della stessa rozza mano che ha apposto il titolo alle « Domande dei discepoli al maestro » nell’Arabo 135 (v. a n. 316), - Il secondo frammento, di 6 fogli di cm. 18 X 13 a 12 linee, è nume­ rato in cifre copte ciY-cTè, οϊζ-θ ί& e reca inoltre tracce di una seconda numerazione (evidentemente quella dello scritto partico­ lare cui appartenevano i fogli superstiti, mentre la numerazione più alta dev’essere quella continua di un codice miscellaneo): v sul primo foglio, ¡} e i sui due ultimi (dunque questa numera­ zione è stata apposta dopo la perdita del foglio cisv)· Il frammento contiene, mutila in principio e in fine, una predica in prosa rimata sul peccato e sull’aspettazione della morte del genere di quelle, pubblicate al Cairo nel 1887 e nel 1895, di as-Safl Ibn a l-‘Assal

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I primi mss. orientali nella Vaticana.

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(cf. G. Gr a f in Orientalia, I [1932], 140) e di quelle di vari autori con­ tenute nel Vat. Ar. 91 (v. sopra p. 161-62eef. E. T i s s e r a n t , Cata­ logo della mostra, p. 18), ma non eguale ad alcuna di esse. La stessa forma delle cifre e la stessa tinta pallida dell’inchiostro presentate dalla numerazione più alta di questo frammento si ritrovano nel­ l’Arabo 182 f. 1-132 (v. più avanti a n. 334), il quale presenta anche, nel terzo degli scritti in esso contenuti, tracce di una numerazione particolare di carattere e inchiostro identici a quella del frammento: poiché nell’indice iscritto sul frontispizio dell’Ar. 182, che è mutilo in fine, figura come ultima opera una à> «Orazione funebre da leggersi in occasione dei funerali », mi sembra sommamente probabile che il nostro frammento costituisse l’ultima parte dell’Arabo 182 e che se. ne sia staccato prima della compilazione dell’inven­ tario di Fabio Vigile. Finalmente mi sembra probabile che allo stesso grosso involto di fascicoli sciolti contrassegnato col n. -326- appartenessero i fram­ menti eterogenei raccolti nel Vat. Ar. 192, le cui dimensioni (centimetri 17,5 x 13 nei fogli rimasti intatti nei margini) corrispondono a quelle medie dei fascicoli del n. 326. Manca qualsiasi segnatura, ma alla fine del codice (f. 99*) si trova la nota di possessore LijA) « dell’abate Andrea », di scrittura identica a quella relativa al me­ desimo possessore di cui si dirà più avanti al n. 330. Ciò rende sicuro per l’ultimo degli scritti raccolti nel codice (è la notissima grammatica versificata di al-Harlrl, Mulhat al-i'rab, v. Elenco, p. 282), verosimile per gli altri la pertinenza al più antico fondo dei manoscritti vaticani arabi. L ’ultima pagina del codice reca inoltre nel margine inferiore i titoletti « Liber . . . (rasura; forse: lingua) infidelium », in scrittura del sec. x v -x v i e « Grammatica », in scrittura un po’ più recente. L ’Ar. 92 era stato rilegato da G. M. Vaironi insieme coll’odierno Ar. 356, risultante anch’esso dalla riunione di due opere distinte, il Fasih di I a ‘lab e le Fawà'id al-mawci'id di al-Gazzsr, mutile in fine (v. Elenco, p. 36), e soltanto l’Assemani ne ha fatto due volumi distinti. Naturalmente la riunione delle diverse parti non prova la loro origine comune, giacché è dovuta all’arbitrio del Vaironi; tut­ tavia tanto il Fasth quanto le Fawà'id sono certamente state scritte1 (1) Al primo di essi, due omelie pasquali ambedue mutile in principio, ho potuto restituire i fogli numerati in copto j, ù e i(, kV che erano andati smar­ riti tra i frammenti dell’Arabo 1481. L ’ordine dei fi. 1-8 e 9 -1 6 va invertito.

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Capitolo II.

in Egitto, e le seconde quasi certamente da mano cristiana, e benché non rechino nessuna segnatura antica, non è inverosimile che abbiano fatto parte della congerie di fascicoli sciolti raccolta sotto la segna­ tura 326. Si vedrà più avanti (p. 174) che anche l’Ar. 123, per quanto non porti nè segnatura nè titoletto, rientra con grande probabilità nel gruppo di manoscritti riuniti sotto questo numero. E Analmente potrebbe rientrarvi anche l’Ar. 369, un esemplare in pessimo stato e mutilo in principio e in Ane delle Maqàmàt di al-Harlrl, di scrit­ tura molto antica (cf. Elenco, p. 39 e sopra p. 11). 327. La segnatura ·327· si trova soltanto, capovolta, in basso al f. 27* dell’Arabo 1485 (sul quale v. sopra a n. 326), dove, egual­ mente capovolto e in parte tagliato dalla legatura, è anche il titoletto « Alchemia », di mano alquanto più recente che la compilazione del­ l’inventario. Poiché i fascicoli dell’Ar. 1485 sono andati assai per tempo scomposti e dispersi, è possibile che durante un certo tempo uno dei suoi fogli, quello attualmente segnato col numero 327, sia stato premesso a un altro codice di eguali dimensioni: ciò spiegherebbe il titolo « Quattuor Evangelia » dato a questo numero nell’inven­ tario. Ma dei codici vaticani arabi contenenti gli Evangeli i soli che siano entrati in biblioteca in età tanto remota sono gli Ar. 17 e 18 (che corrispondono ai nn. 314 e 321 dell’inventario). Bisogna dunque ammettere che il titoletto latino rendesse inesattamente il contenuto del codice; ma l’identiAcazione di questo è naturalmente impossi­ bile. 328. Nessun codice porta la segnatura -328- e d’altra parte il titolo « De Trinitate » è così vago, e spesso nell’inventario è attri­ buito ad opere che trattano di tutt’altro argomento, che non sembra possibile alcun tentativo di identiAcazione. Il codice fu dato a pre­ stito il 19 gennaio 1519 (v. più avanti p. 101) e, benché risulti resti­ tuito, può darsi che non sia stato ricollocato a posto e sia andato disperso. 329. La segnatura -329- si trova in alto a quella che prima della recente aggiunta di due fogli era l’ultima pagina dell’Arabo 134, f. 143*. Il contenuto del codice non corrisponde tuttavia menoma­ mente al titolo attribuitogli nell’inventario, al quale corrisponde invece, come si è visto, l’Ar. 88 (v. annotazione al n. 308). Nell’Ar. 134 è contenuto un compendio degli opuscoli teologici di Yahyà ibn 'Adi, mutilo in principio e in Ane: in principio manca una kurràsa di 10 fogli (come aveva giustamente supposto il P é r i e r , Yahyà Ben '■Adi,

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I primi mss. orientali nella Vaticana.

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p. 20“), poiché l’attuale f. 5 (che in realtà è il 4°, essendo quello nume­ rato 1 un foglio di guardia moderno) reca nel margine interno la nota numerativa ¿y» >, ossia «foglio 4° della kurràsa 2a »; le analoghe note degli altri fogli sono per la maggior parte scomparse nel taglio dei margini avvenuto durante la rilegatura. Tra i frammenti dell’Ar. 1481 ho trovato due fogli congiunti costituenti i fogli esterni di un fascicolo, l’ultimo del codice integro, la cui parte mediana è andata perduta: il primo di essi fa seguito al f. 143; il secondo, in bianco, reca una nota di possessore. Nel margine inferiore del primo di questi due fogli (attuale f. 144) è dato come nome del compendiatore as-Safl Ibn al-'Assai, al quale dunque va rivendicata questa opera, che si trova anche, com’è stato» notato sopra a n. 313, nell’Ar. 115, con una vasta lacuna. Se questo compendio sia tutt’uno coll’« Antologia» menzionata dal G raf in Orientalia, I (1932), 44 n. 12a da un manoscritto del seminario di as-Sarfe nel Libano non mi è possibile stabilire per mancanza di dati sufficienti, ma mi sembra probabile. In basso a f. MS® una mano del sec. xv (mi sembra la stessa che si trova in fine all’Ar. 92, cf. al n. 326 fine) ha scritto il titoletto « Liber de Trinitate et Unitate », il quale, cancellato, è stato poi ripetuto sul margine superiore da una mano molto più tarda, del sec. x v ii . La nota di possessore, di scrittura grossa e poco elegante, suona: ^U-AJI ¿UiUJl ¿VI « destinato al fratello il monaco asceta diacono Andrea » (v. a n. 307). Il codice, che il P é r i e r , p. 21 assegna giustamente al sec. x i i i , è certamente di provenienza egiziana, benché non sia numerato con cifre copte. 330. La segnatura · 330 · si trova nell’Ar. 83 f. 36” al disopra del titolo AJ|o « Lui libro di Clemente (Aqlimantis), discepolo e segretario dell’apostolo Pietro e trasmettitore della sua tradizione »; ossia la così detta Apocalisse di Clemente, il tardo apocrifo di età postislamica edito e tradotto da A. M i n g a n a in Bulletin of thè John Rylands Library, X IV [1930], 182-297, 423-562; X V [1931], 179-279 ( = Woodbrolce Studies, fase. 6-8) che è, come è noto, la fonte del Qalamentos etio­ pico. Il frammento di questo libro contenuto nei f. 37-50 dell’Ar. 83 corrisponde ad Ar. 165 (che ha il testo completo) f. 40-47 lin. 13; ma il testo, molto più antico, dell’Ar. 83 è di gran lunga migliore. Le differenze dal testo del Mingana sono così forti, da doversi considerare i due manoscritti vaticani come rappresentanti di una nuova recensione. Se anche i ff. 1-23 e 210-228 dell’Ar. 83, che contengono il primo esortazioni, storie edificanti e Apophtegmata

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Capitolo II.

patrum, il secondo un trattatello anonimo sulla questione se il giorno preceda la notte o viceversa, e sono di scrittura antica, abbiano ap­ partenuto all’involto di fascicoli riuniti sotto la segnatura -330· è impossibile dire con sicurezza, ma mi sembra probabile. La segna­ tura · 330 · compare anche su un foglio isolato dell’Ar. 1481 contenente nel verso l’inizio dell’epistola apologetica di Bulus ar-Ràhib vescovo di Saydà’ a un amico musulmano edita e tradotta da L. B u f f a t in Revue de VOrient chrétien, V i l i (1903), 388-425 (cf. G. G r a f in Oriens Christianus, 2. Serie, VI [1916], 134 rv), la cui continuazione e fine si trova nell’Ar. 162 f. 20-32 (1). Sul recto del foglio, al disotto della segnatura, si trova la nota di possessore già incontrata: U* «Questo appartiene all’abate Andrea», della stessa mano che nell’Ar. 92 (v. a n. 326 in fine). Nessuna traccia si trova del titoletto latino riferito dall’inventario, il quale pertanto deve essere andato perduto insieme con altri fascicoli e fogli. 331. Arabo 94. Contiene, mutila in principio di una kurràsa di 10 fogli e in fine, la nota opera di Cirillo ibn Laqlaq e Bulus alBnsI «Il libro del discepolo e del maestro» (v. G. G r a f in Orientalia, I [1932], 45, 145-148: ivi il codice è asegnato al sec. xvi, ma la sua scrittura consiglia di collocarlo piuttosto nelxrv). La segnatura '331· si trova nei margini superiore e inferiore (in quest’ultimo capovolto) dei fi. 109® e 111, indizio che l’ordine dei fogli è stato più volte rima­ neggiato; il titoletto latino dev’essere andato perduto, ma corri­ sponde abbastanza bene al contenuto dell’opera, che tratta appunto della confessione. Benché sprovvisto di numerazione copta, il codice appare per la scrittura di origine egiziana. 332. Copto 54. Contiene varie disposizioni del rito della costitu­ zione monastica, e in fine due omelie in arabo di pseudo-Epifanio sulla discesa di Cristo agl’inferi (mutila in principio) e sulla depo­ sizione dalla Croce (v. il catalogo H e b b e l y n c k - V a n L a n t s c h o o t , I, 355-359). Il titoletto latino corrispondente a quello dato dall’inventario non si trova nel codice, il quale del resto ha forse perduto alcuni antichi fogli preliminari. La segnatura -332è stata ritrovata da me sul primo di due fogli dell’Arabo 1481 che erano stati separati dal codice: questo primo foglio (numerato ora 137 a) si ricongiunge al testo del f. 137 (il 3° della parte araba del (1) È verosimile che facesse parte del n. 330 anche il resto dell’ Ar. 162, co­ dice miscellaneo composto di pezzi che per la scrittura appaiono contemporanei e l ’ultimo dei quali (f. 80) è datato del sabato 30 tuba 1201 Mart., 2 gumadà I 766 egira / 25 gennaio 1365.

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I primi mss. orientali nella Vaticana.

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codice, recante la cifra copta y) ed è dunque il 2° foglio della parte araba del codice originario (il primo è perduto); il secondo foglio (attuale 131«) va inserito dopo (ossia prima secondo l’ordine arabo) il f. 131 ed è numerato TT- Il codice, non datato, è assegnato dal cata­ logo al sec. xv; la sua identità col n. 332 dell’inventario era già stata riconosciuta nel catalogo, benché non fosse stato ancora ritrovato il foglio recante la segnatura (v. ora il catalogo H e b b e l y n c k V a n L a n t s c h o o t , I, x x x m -x x x iv ). 333. Arabo 90. Contiene un’omelia sulla resurrezione dei morti (il cui primo foglio, smarrito da tempo, è stato ritrovato da A. Van Lantschoot tra i frammenti dell’Ar. 1481) di Giovanni di al-Burullus (Borlos, Paralos) (sull’autore v. E. W. C iu m , Catalogne of thè Coptic MantiScripts in thè Collection of thè John Rylands Library Manchester, Manchester 1909, p. 297; G. G r a f in Orientalia Chri­ stiana Periodica, III [1937], 4011; cf. anche il catalogo dei manoscritti arabi del British Museum, n. 1647, in cui figura come autore di una vita di san Damiano, così come in G. G r a f , Catalogues de manuscrits arabes chrétiens, nn. 456.4, 479.7, 706. iv. 3; sulla sua diocesi cf. F. A m é l i n e a u , La géographie de VÉgypte à Vepoque copte, Paris 1893, p. 104-5; J. M as p é r o et G. W i e t , Matériaux pour servir à la géographie de VÉgypte, Le Caire 1919 [Mémoires . . . de VInstitut d'Archeologie Orientale du Caire, X X X V I], p. 21-22). La segnatura •333· si trova a f. 2, il che mostra che il primo foglio era andato smarrito in età antica; quello che fu in seguito numerato 1 è l’ori­ ginario f. 8, ora restituito al suo posto. La numerazione copta segue le pagine e non i fogli, sicché il foglio ottavo porta sul recto la cifra Té e sul verso la cifra Tiv· A questo codice devono per qualche tempo essere stati uniti alcuni fogli dell’Arabo 46, poiché in questo il f. 139 porta la segnatura -333·, mentre altri suoi fogli portano quella -326- (v. a questo numero). In uno dei vari riordinamenti che i manoscritti arabi hanno subiti nel corso dei secoli deve es­ sere stato suggerito dalla scrittura molto caratteristica dell’Ar. 46 di ricollocare al loro posto i fogli separati. L ’Ar. 90 è datato del 934 Martiri /1218 d. Cr. ed è stato scritto da Daniyyal ibn Zakariyyas vescovo di Qns per la biblioteca di Abu’l-Baqa’ vescovo di Dendera. Un saggio della sua scrittura è dato da E. T i s s e r a n t , Specimina codicum orientalium, tab. 57 b (a p. xl una succinta de­ scrizione del codice). 334. Arabo 182. In fine a questo codice è stata legata una rac­ colta di scritti ascetici e parenetici e di Apophtegmata patrum mutila

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Capitolo II.

del primo foglio: il suo 10° foglio è stato ritrovato tra i frammenti dell’Ar. 1481 e ricollocato al suo posto (attuale f. 140 a). L ’antichità della scrittura, che è del sec. x m , non esclude che anche questa parte possa aver appartenuto al più antico fondo dei manoscritti arabi vaticani, benché non vi si trovi traccia di antiche segnature. La prima parte del codice, scritta per intero dalla stessa mano, contiene i seguenti scritti : at- Tibb ar-rtthàni di Abu Bakr Muhammad ibn Zakariyyà’ ar-RazI (v. C. B r o c k e l m a n n , Gesch. d. arab. Literatur, I, 235, 44 e Supplementband I, 420; T j . de Bo e r , De « Medi­ cina mentis » van den arts Razi in Mededeelingen d. Alcad. van Wetenschappen, Amsterdam 1922, Afd. Letterkunde, ser. A, 53.1, 1-17) (U; Tahdlb al-ahlaq di Yahyà ibn 'Adi (v. A. P é r i e r , Yahyà Ben 'Adi, p. 24-25, 32, 108-121); l’Epistola sull’anima di Ermete Trimesgisto (detta anche Tawbìh an-nafs e attribuita a Platone e ad Aristotele, v. Elenco, Appendice, p. 282, dove è errata l’assegnazione del codice al sec. x egira / xvi d. Cr., e cf. anche p. 273 a Borg. Ar. 260 f. 462), mutila in fine di 40 fogli, come può calcolarsi dalla numerazione del fascicolo aggiunto di cui si dirà qui sotto ,2). La segnatura -334· si trova, capovolta, in basso a f. 132®, ma il titoletto latino corrispon­ dente a quello dell’inventario, che risponde abbastanza esattamente al contenuto dell’epistola di Ermete Trismegisto, è scomparso. Tra i frammenti dell’Arabo 1481 ho ritrovato alcuni fogli che colmano in parte la lacuna esistente nell’a /- Tibb ar-rùhani (sono i fogli segnati con cifre copte i i i H ). Sull’ultimo di essi (attuale od) è scritta in basso, capovolta, la segnatura -334·. Al codice qual era prima della perdita della fine dell’epistola di Ermete era stato aggiunto un fa­ scicolo di 10 fi., con numerazione copta proseguente quella del co­ dice stesso, 6 fogli del quale fascicolo hanno assunto più tardi la segnatura -326· (v. sopra p. 70-71). Il codice porta a f. 103 (fine del Tahdlb al-ahlàq) la data 1017 Martiri/1301 d. Cr. 335. Arabo 144. Contiene le «Spdute» e l’Epistola sulla castità di Elia di Nisibi (v. G. G r a f , Die christl.-ar. Lit. p. 60, 62-64 nn. 2 e 7). La segnatura -335- si trova ai lì. I, 1, 55® (ultima pagina), sempre cancellata. I fogli sono numerati con cifre copte scritte da mano diversa da quella del copista del codice. Questo non è datato, ma per la scrittura può appartenere al sec. xiv. 1 2 (1) Per un’imperdonabile distrazione ho omesso di registrare quest’opera in Elenco, Appendice, p. 282. (2) L ’uso di questo scritto presso i cristiani d’ Egitto è attestato dalla sua presenza nel catalogo di Abu’l-Barakat, ed. Riedel, p. 649, 679.

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I primi mss. orientali nella Vaticana.

336. Copto 21. Contiene la liturgia di S. Cirillo con versione araba (v. catalogo H e b b e l y n c k - V an L a n t s c h o o t , I, 75-78, dove p. 77 è fatta menzione della segnatura ■336·, e p. xm ). Questa si trova in alto ai ff. 1 e 67* (ultima pagina). Il titoletto latino, cor­ rispondente a quello dell’inventario, si trova a f. 1 ed è di mano del sec. xv, diversa da quella di Demetrio Lucense. Il codice è datato del 1059 Martiri/1343 d. Cr. 337. Slavo 8. Questo minuscolo codice (cm. 10,6 x 7,8), con­ tenente il Salterio, i cantici dell’A. T. e altre preghiere, è stato oggetto, a causa dei caratteri tachigrafici con cui è scritto, di attento studio da parte degli slavisti(1): F. B a c k i in Rad jugoslavenske ATcademije znanosti i umjetnosti, II, 36-38 (Zagabria 1868) lo assegnava, sulle orme di M. Bobrowski autore del catalogo vaticano presso A. M a i , Scriptorum Veterum Nova Collectio, V. 2, 108, al sec. xv i e lo riteneva di re­ censione serbo-croata; ma U. D e N u n z i o in Zumai Ministerstva narodnago prosviescenja, 284 (1892. 6), 141-147 lo attribuiva alla re­ censione russa e gli assegnava un’età non posteriore al sec. xiv, il che vien confermato da E. F. K a r s k i j , Slavjanslcaja Kirillovskaja Paleografija, Leningrad 1928, p. 214 (si noti che in questi tre scritti al codice è attribuito per errore il n. 7 anziché 8); cf. anche Y. J a g i c in Archiv für slavische Philologie, X X V (1903), 3. La segnatura •337 · si trova in alto a f . 1 e 130° (ultima pagina : il codice conta 130 ff., non 150 com’è detto nel catalogo Bobrowski - Mai). Sono dunque ben 57, registrati sotto 36 numeri, i codici e le parti di codici orientali la cui presenza è attestata nella Biblioteca Vaticana nel primo decennio del sec. xvi. La tabella seguente ne dà il prospetto. Vaticani Arabi: 17 ? 18 28 32 f. 76-91 33

314 321 318 317

42

319 320 317

46

326 333

80 83 f. 1-23? 36*50 210-228 ? 88 90

322 330

91

308 333 324

92

326

(1) Anche per tutto quel che riguarda questo codice, come per lo Slavo 14 (n. 304), ho tratto partito dall’erudita amicizia del dr. Ciro G-iannelli.

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Capitolo II.

78

93

326

175

94 105

331 312

115

313

178 182 193

117

311

263

120 ì

323

313

123 ? 127 ( + Sir. 214

326

326 319 334 326 326

314

326 325

315

326

326 329

356 ? 357

317

386 787

326 309 317 324

135 f. 83-86

323

923

138 144

326 335

145

326

156

316 310

f. 80-89 89) 134 135 f. 1-82, 87, 94102

158 f. 1-177 159 162 172

324 324

1480 (frammento)

321

1481 (frammenti)

308 317 326 329 330 332 334

310 320 330 315

1485

326 327 328

?

Vaticani Copti : 17

307

42

305

20 21

306 336 326

43 54

326 332

23 Vaticano Armeno :

3

302

20

303

8

337

14

304

Vaticano Etiopico : Vaticani Slavi:

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I primi mss. orientali nella Vaticana.

79

Dal confronto dell’inventario di Fabio Vigile con quello del 1481 risulta che il primo comprende tutti i codici enumerati nel secondo, a eccezione di due, i nn. 2 e 13. Per gli altri 21 la corrispondenza tra i due inventari è completa (1); tuttavia in quello del Vigile sono riprodotti fedelmente i titoletti latini o italiani che si trovano sui codici, mentre in quello del 1481 essi compaiono talvolta in forma abbreviata. Dei due codici i quali, compresi nell’inventario del 1481, non figurano in quello del Vigile, il primo (n. 2 « Liber philosophiae ») potrebbe supporsi identico all’Arabo 357. 2 (n. 309 dell’inventario del Vigile, dove è senza titolo), che contiene appunto un’opera filosofica, i Maqasid: di al-Gazali; bisognerebbe in tal caso pensare che il carat­ tere dell’opera di al-Gazäll fosse stato riconosciuto da chi dapprima aveva esaminato il codice, mentre, viceversa, sul codice stesso non fu apposto alcun titolo latino, forse per semplice distrazione di Demetrio Lucense, che è verosimile trascrivesse sui codici i titoli fornitigli dal suo informatore arabista e contemporaneamente li registrasse via via nell’inventario. Il secondo codice (n. 13 « Contrastum Maumeti cum Philaton » : questo secondo nome riproduce evidentemente l’arabo di cui non è stata riconosciuta l’identità col greco Platone) ha un titolo bizzarro che non si accorda con alcuna delle opere facenti parte dell’inventario del Vigile; tuttavia, al tempo in cui questo fu redatto, il codice doveva trovarsi ancora nella Vati­ cana. Non vi è dubbio, infatti, che esso debba identificarsi con un codice che attualmente si trova nella Biblioteca di Stato di Monaco di Baviera (Ar. 649; v. J . A u m e r , Die arai). Handschriften der Hojund Staatsbibliothek in München, p. 283-5 [Gatal. codd. mss. Bibl. Regiae Monac. I. 2]), contenente lo scritto filosofico-alchimistico Icitab ar-Rawäbt attribuito a Platone, col commento di Ahmad ibn alHusayn ibn Grihär Buttar (v. B r o c k e l m a n n , Gesch. d. arab. Lit., I, 218. 22). A f. 1 di esso si trova il titolo latino Dialogus de Alchimia Platoni adscriptus e, della stessa mano, l’annotazione « Bibliothecae Vaticanae, quem Petrus Galinus Damascenus commodato acceptu(m) (1) Tra il n. 5 dell’inventario del 1481 «Tractatus disputationis inter Iudaeum et Christianum, et Christianus superatur » e il n. 330 di quello del Vigile « Disputatio Iudeorum cum Christianis super negotio Trinitatis » la corrispon­ denza non è perfetta, ma credo che debba pure trattarsi della stessa opera. Natu­ ralmente, quando si tratta di titoli generici e più volte ripetuti, come « Missale », «Evangelia», «Liber de Trinitate», la corrispondenza tra i due inventari è ga­ rantita soltanto dal ritornare quei titoli in egual numero di volte in ciascuno di essi.

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Capitolo IT.

in Germaniam clam secum attulit, Joannes Albertus Widmestadius Bibliothecae restituì curavit ». Di questo Pietro Galinus di Damasco che avrebbe sottratto il codice alla Vaticana il Widmanstetter aì parla ancora nella prefazione al suo Nuovo Testamento siriaco f. 13r (segnato a **** 1) ricordando come « anno . . . a Clementis obitu decimo » (dunque nel 1544) Marcello Cervini mandò presso di lui in Germania, per aiutarlo negli studi dell’arabo, « Petrum Ghalinum Damascenum Diaconum », il quale peraltro (per le male arti, afferma il Widmanstetter, dei suoi nemici) non gli fu di quasi nessuna utilità(2). Dall’annotazione del Widmanstetter parrebbe che egli avesse l’intenzione di restituire alla Vaticana il codice sottratto, che dovette farsi dare o vendere dal suo detentore; ma evidentemente non mise a effetto il proposito, sia per dimenticanza sia per man­ canza di opportunità, e il codice, rimasto tra i suoi libri, passò con essi alla biblioteca del duca di Baviera. Che il Monac. Ar. 649 non sia altro che il « Contrastum Maumeti cum Philaton"» dell’inventario del 1481 mi pare assicurato, oltre che dalla menzione di Platone, dalla seguente circostanza: nell’opera, secondo quanto è detto nel catalogo dell’Aumer e la 1», spesso la ^ e la ^ (s\j-»> invece di ¿>3 -0 ), la » è quasi sempre scritta O ecc. Anche la traduzione del­ l’opera astrologica attribuita a Ibn al-Haytam *(1) e quella del guz’ coranico (quest’ultima si sforza di essere letterale, in contrasto con quella di Roberto Retinense, che il Moncada consultò, come si vedrà più innanzi, nel codice Vat. Lat. 4071) sono tutt’altro che felici, e le spiegazioni grammaticali e lessicali ch’egli fornisce (in gran parte pub­ blicate dal Carini nello scritto citato sopra p. 93 nota) non dimostrano che egli avesse molta famigliarità colla tradizione scolastica araba. Comunque, il Moncada sapeva abbastanza di arabo da essere in grado di fornire ai bibliotecari della Vaticana qualche ragguaglio intorno al contenuto dei manoscritti composti in questa lingua. Se si pensi che il Moncada risiedette a Roma dal 1477 al 1483, tra i non è quello che ci si aspetterebbe da chi avesse imparato l’arabo in Spagna o secondo la tradizione spagnola, ma è nettamente siro-egiziano; e del resto la scrittura araba è la medesima che si trova nel codice autografo Barberiniano Lat. 1775 (segnalatomi dalla dr. Bertòla), che contiene l’orazione «D e passione» tenuta in presenza di Sisto IV il 20 aprile 1481 e dove si trovano (f. 11) due cita­ zioni testuali di passi del Corano. Credo quindi che in Oriente, e più probabilmente in Egitto, debba cercarsi la patria della famiglia del Moncada. (1) Non è qui il caso di far parola dell’opera stessa: voglio solo notare che essa (il suo titolo arabo sarà stato

¿ ) è un trattato di astro­

logia, o meglio di magia astrologica, che difficilmente sarà opera autentica del grande scienziato Ibn al-H aytam , tanto più che non si trova tra i titoli conserva­ tici dei suoi scritti. Il Moncada deve avere abbreviato il testo che aveva sott’occhio, poiché il suo testo comincia bruscamente senza introduzione (f. 3V ^

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(f. 28u) J ^Dn (□‘rubri (»n£> diro)? esita» nwa (Din (nbibo (nell’esatta lettura sono stato amichevolmente aiutato dal prof. Cassuto). V . Jewish Encyclopedy, I X , 100-101, articolo desunto dall’introduzione premessa da G-. Sacf.b d o t e alla sua traduzione dei due opuscoli matematici di Sim'on Motot in Revue des Études Juives, X X V I I (1893), 91-105; X X V i n (1894), 228-246, X X I X (1894), 111126. Il nome di famiglia dovrebbe, secondo G. Seno lem in Encyclopaedia Jndaica, I X , 657, pronunciarsi Màtut. (3) Jewish Eneydopedy, I X , 99-100.

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I mss. orientali nella Vaticana durante il x v i secolo.

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denti, in Italia, e' ciò spiegherebbe come tra « il patrimonio dei suoi antenati » si trovasse un codice scritto sicuramente in Spagna. Ma che dalle sue mani il codice sia passato, direttamente o per l’inter­ medio di un altro possessore ebreo, in quelle del Flamminio, o ad­ dirittura che tutto il gruppo dei codici flamminiani appartenesse alla famiglia Motot, pur non essendo impossibile, non oserei affermarlo, appunto per l’assenza della firma del Flamminio sul codice. 22. - Ar. 89. L’identificazione è resa sicura dal termine « targin »> ossia « taraglm », quale suona il principio del titolo della raccolta di omelie festive di Elia III Abu Halìm, sulla quale v. sopra p. 62 (Vat. Ar. 91). Il titolo scritto al principio del codice è appunto U£ cullili UJ1 jU uyaàJI ^JÌ'U.1 ¿Libili >U^I\ (1). La nisba al-Gawharl dell’inventario risulta evidentemente da confusione col numero seguente. Il codice è rifatto nei primi 20 fogli (due quin­ terni) in carta europea, con filigrana in forma di calice da cui spunta un fiore; i ff. 21-73 sono in carta orientale. Dalla sottoscrizione f. 72-72” in siriaco in caratteri nestoriani, parzialmente tradotta nel catalogo Assemani-Mai, p. 197-198, risulta che il codice è stato co­ piato a Beth Safa in Mesopotamia nel 1863 Sei., 959 egira (comincia il 29 dicembre 1551) al tempo del katholikos nestoriano Mar Sim'an, ossia, come già aveva ben veduto l’Assemani, Simone V i l i Denha Bar Marna 1 (2). Nel foglio di guardia il codice reca un rigo musicale colla notazione della scala, e al disotto i nomi delle note in la tin o in caratteri siriaci nestoriani del tipo di quelli che più avanti s’incontre­ ranno in un gruppo di codici siriaci provenienti dalla chiesa siriaca del Malabar: )òl J» ¿¡a là V ò » j . Queste note, segnate sul codice evi’ * LÌ dentemente in ricordo di insegnamenti ricevuti dai missionari porto­ ghesi, dimostrano che il codice dalla Mesopotamia passò in India; esso fa parte senza dubbio di quel gruppo di codici del Malabar le cui vicende saranno diffusamente illustrate più avanti. (1) Il testo contiene minor numero di omelie ohe l’edizione, ma viceversa ne ha qualcuna che manca in questa, e presenta altre diversità. (2) Contro di lui il partito favorevole all’unione con Roma elesse Yohannan Sullàqà, che, assunto il nome patriarcale di Simone, partì per Roma nel marzo 1552, dove giunto il 18 novembre, pronunciò la professione di fede il 15 febbraio 1553 e, confermato dal papa'patriarca dei Caldei, ripartì per la sua sede nel novem­ bre; poco più di un anno più tardi fu messo a morte (gennaio 1555) dal pascià otto­ mano di Amid per istigazione del rivale (v. G. B e l t r a h i , La Chiesa caldea nel se­ colo dell’ Unione, p. 3 -6 , 19-25 ([Orientalia Christiana, X X I X n. 83, gennaio-marzo 1933]).

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Capitolo II I .

23 e 24. - I titoli di questi due numeri, scritti come il resto di mano di Marino Eanaldi, sono stati cancellati, e Federico ha apposto in margine l’annotazione « emend(anda) »; le correzioni sono state tuttavia scritte, sul margine inferiore, da una mano diversa da quella di Federico. Poiché i titoli primitivi presentano qualche difficoltà a essere interpretati, conviene cominciare l’indagine da quelli emen­ dati. Un’opera che corrisponda al titolo « Helias Giouhari de curandis affectibus animi » non si trova nel catalogo Assemani-Mai; ma dai frammenti raccolti già sotto il numero Ar. 386 e poi sotto quello Ar. 1481 (v. sopra p. 24-25, 64) ho potuto recuperare (assegnandogli la segnatura attuale Ar. 1492, dove è rilegato con un altro codice fram­ mentario e occupa i ff. 1-29) un codicetto di 29 fogli, delle dimensioni di 18X13 cm. a 11 linee per foglio, nel quale ho riconosciuto un esem­ plare mutilo in principio (di un solo foglio) e in fine (di parecchi fogli) dell’opera Tasliyat al-ahzan (« consolazione delle afflizioni ») di Elia al-Gawharl, vescovo di Gerusalemme e poi metropolita di Damasco sullo scorcio del sec. ix (1>. Poiché non è da ammettersi che colui che corresse l’inventario potesse identificare l’opera esaminandone il contenuto 1 (2), deve ritenersi che il primo foglio del codice, oggi scom­ parso e nel quale dovevano essere indicati titolo e autore dell’opera, fosse ancora presente. È probabile che questo minuscolo codice (che deve appunto alla sua esiguità di essere andato confuso tra i fram­ menti raccolti nell’Ar. 386, scomparendo da tutti gl’inventari po­ steriori) facesse parte del gruppo più antico dei codici vaticani arabi e iosse compreso nell’involto segnato col n. 326 nell’inventario del Vigile. Il numero successivo, 24, si riferisce senza dubbio all’Ar. 182 (n. 334 dell’inventario del Vigile), il cui contenuto è tradotto in ma­ niera approssimativa: « medicina ad memoriam » non è certo tradu­ zione felice di at-Tibb ar-ruMm, nè il Tahdib al-ahlaq di Yahyà ibn 'Adi è reso bene (a tacere dalla forma scorretta del patronimico) con « de sedandis affectibus animi », su cui certamente ha influito il « de curandis affectibus animi » del numero precedente. Se sicura è l’identificazione dei titoli dati dal correttore, incerta è invece quella della forma primitiva in cui essi appaiono nell’inven(1) V . H . R it t er e R. W alzer , Uno scritto morale inedito di al-Kindì (Studi su al-Kindi, II) in Memorie delVAec. dei Lincei, ser. 6a, voi. V i l i (1938), 89. (2) L'opuscolo deve essere stato pochissimo conosciuto: non è menzionato negli elenchi di opere arabo-cristiane di Abu’l-Barakat e di Ibn al-'Assai nè, ch’io sappia, altrove ; l’esemplare vaticano sembra essere un unicum, giacché il Pari­ gino Arabo Ano. Fonds 114 (206 del catalogo De Siane) non è che un compendio.

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tario. Sembrerebbe invero che debba trattarsi dei medesimi codici e che la correzione si limiti, come altrove nello stesso inventario, a modificare l’interpretazione del loro contenuto. Ma quale rapporto può esistere tra « Disciplina Cophtorum » ecc. e « Helias Giouhari » ecc. ? Il primo titolo parrebbe convenire all’Ar. 93 (n. 326 dell’inven­ tario del Vigile): la serie delle epistole di Evagrio, contenenti per lo più precetti morali numerati con cifre copte, poteva apparire a un esame superficiale quale una raccolta di massime peculiare della Chiesa copta, e il Salterio compreso nello stesso codice è effettiva­ mente incompleto, benché i salmi non siano cento, bensì soltanto 77 (trascelti con un criterio che mi sfugge). Ma non si comprende perchè il codice così descritto sia stato poi tolto dall’inventario. Forse in origine l’opuscolo di Elia al-G-awhafi era unito, nel n. 24, all’Ar. 182, col quale ha in comune il formato, é ne sarà stata omessa nell’inven­ tario la menzione perchè a Marino, che copiava da una minuta for­ nitagli dal suo informatore orientale o scritta da lui stesso sotto la dettatura di questo, l’occhio sarà scorso dall’uno all’altro dei due Elia. Il correttore, poi, restituito il titolo che era caduto nella copia di Ma­ rino, l’avrà applicato al n. 23 sopprimendo, forse anch’egli per mera distrazione, la menzione delle epistole di Evagrio e del Salterio. Anche il numero seguente offre difficoltà: il titolo sembra effetti­ vamente riferirsi all’Ar. 182; senonchè « De expulsione malorum », benché si adatti al contenuto dell’opera di ar-EazI, nella sua forma ricorda piuttosto il Daf al-ìiamm di Elia Bar Sinäyä, mentre qui non può trattarsi di esso (1). Forse il redattore dell’inventario serbava una vaga reminiscenza dell’opera parenetica .del famoso patriarca nestoriano, analoga per argomento a quella del medico musulmano ? Ancora più strana è l’aggiunta « Eben tayb Gophti »: Ibn at-Tayyib ('Abdallah Abu’l-Farag) è il noto scrittore nestoriano di Bagdad 1 (2), ma tra le opere attribuitegli non ne figura alcuna della quale possa nemmeno lontanamente supporsi che ne sia stato tradotto il titolo (1) Infatti dei tre esemplari che ne possiede la Vaticana il primo (Ar. 158, f. 25-98) è incorporato nel codice descritto in questo inventario sotto il n. 14, il secondo (Ar. 180) è un palatino, il terzo (Ar. 181) è uno dei codici portati dall’ Oriente da Leonardo Abel (v. più avanti cap. IV) . (2) V . G-. G raf , Die chrisU.-arab. Literatur, p. 55-59 § 13 e Biblische Zeitsehnft, X X I (1933), 24-32. Non è qui il luogo di discutere il problema sollevato da W. R iedel , Die Kirchenreehtsquellen 'dea Patriarchats Alexandrien, Leipzig 1900, p. 150-151 e non ancora risolto, se si tratti di un unico scrittore di questo nome oppure di due, uno del sec. x i, l’altro del xiv.

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Capitolo I I I .

con « De expulsione malorum » (1), a tacere del fatto che Ibn at-Tayyib, naturalmente, non è un Copto 1 (2). La sola ipotesi non inverosimile è che nel titolo Ttitàb at -t i b b [ar^rùhòMt] qualcuno, che aveva una vaga notizia dell’esistenza di uno scrittore arabo-cristiano Ibn atTayyib, abbia, con lettura affrettata e disattenta, ravvisato il suo nome e gli abbia affibbiato l’epiteto di « Copto » perchè il codice, provvisto di paginazione in cifre copte, gli apparve, come di fatto è, di fattura egiziana. Il colpevole di siffatti equivoci, se da un lato rivela una cultura monca e confusa e scarsa serietà scientifica, dal­ l’altro mostra di possedere una certa famigliarità colla letteratura arabo-cristiana quale, nel sec. xvi, nessun erudito europeo poteva menomamente possedere. Tutto ciò fa supporre che si tratti di un orientale, non certamente di un Copto, poiché proprio' la letteratura araba cristiana di Egitto gli è ignota, ma piuttosto di un Siro. Questa supposizione è confermata da altri indizi, tra i quali la stessa seconda parte di questo numero dell’inventario. Infatti «Aristoteles de affecti­ bus animae » è senza dubbio tutt’uno coll’epistola sull’anima di pseudo Ermete Trismegisto, la quale non di rado è attribuita ad Ari­ stotele (come anche a Platone); ma come mai il redattore dell’in­ ventario ha sostituito il nome di Aristotele a quello di Ermete che solo compare nel codice ? Vien fatto di pensare che egli avesse cono­ scenza di altri esemplari del medesimo testo contenenti l’attribuzione ad Aristotele: avremmo pertanto qui una correzione « erudita » di un dato offerto dal codice, un primo esempio, dunque, di «catalogo ragionato ». 25. - Ar. 46 (n. 326 dell’inventario del Vigile). L ’identificazione è sicura, benché il codice, nel suo stato attuale (3), non serbi alcuna traccia di aver portato un titoletto, giacché nell’antico fondo arabo non esiste alcun altro codice che possa rispondere a questo titolo. La correzione del titolo primitivo dell’inventario è esatta. 26. - Questo titolo, che a prima vista potrebbe far pensare a un elenco delle sedi episcopali della Chiesa nestoriana, si riferisce invece (1) È naturalmente da escludersi una reminiscenza del « Trattato della pe­ nitenza » (Magala -fi' t-tawba iva-tahsìl ma‘naha wa-aqsàmikà) citato in Abu’ l Barakat ed. Riedel (Nachriehien der Oes. d. Wiss. zw Góttingen, 1902), p. 653 (trad. p. 685). (2) È da escludersi che si sia pensato al copto ar-Rasìd Abu’l-H ayr al-Mutatabbib (v. sopra p. 53), il cui patronimico Ibn at-Tayyib non è affatto sicuro. (3) Non è improbabile che siano caduti due fogli preliminari che completa­ vano il primo quinterno. Inoltre tra i ff. 8 e 9 vi è la lacuna di un quinterno.

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senza dubbio, poiché nessun codice arabo vaticano contiene alcun­ ché di simile a un siffatto elenco (1), all’Ar. 144 (n. 335 dell’inventario del Vigile) che reca nel foglio preliminare, antico (f. I), il titoletto UbJ Il primo vocabolo è stato reso, con scarsa proprietà latina dovuta probabilmente a errata interpretazione del­ l’etimo, con « sedes » anziché con « sessiones », e t ^Xll e f i l i l i in luogo di ^ e

p. x x x in , lin. 2, nella lacuna:

¿ ,^ ¿ 5 .[¡sblk]=L aJ y ì i j ) .

(2) Ho la Speranza di occuparmi in altra sede di questo curioso documento.

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I mss. orientali nella Vaticana durante il x v i secolo.

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ricità non è del tutto inadeguata al contenuto giuridico del codice. La correzione, o piuttosto il peggioramento, che Federico ha introdotta può spiegarsi col pensare che il continuo ritornare della formula ¿h» «le sue parole (sono) » scritta a grossi caratteri, colla quale sono intro­ dotti i passi testuali dell’opera commentata (1), abbia fatto credere al superficiale correttore, analogamente a quanto era accaduto al suo predecessore per il n. 34, che essa fosse un commento coranico. Il codice è africano, ed è datato del 1 ragab 882/9 ottobre 1477. 41. - Il titolo, che non si ritrova su nessuno dei codici arabi esi­ stenti attualmente in biblioteca, è quanto mai vago: esso potrebbe egualmente riferirsi a una biografia del Profeta (ma quelle che la Va­ ticana possiede sono tutte di accessione molto più recente), a una raccolta di ahàdit al-afàl1 (2), a un’opera giuridica fondata, come di norma nel diritto islamico, su presunti responsi del Profeta (3). Tra i codici del fondo antico contenenti opere alle quali il titolo dell’in­ ventario potrebbe convenire non rimangono (esclusi quelli entrati sicuramente dopo la'fine del sec. xvi) se non gli Ar. 253 e 254: il primo è il notissimo manuale di diritto mclikita di Halli, datato della fine sa'ban 975/febbraio 1568; il secondo una serie di questioni di diritto hanafita intitolata ad-Durr al-manlùr, di cui non ho saputo identi­ ficare l’autore. Quest’ultimo manoscritto, che può assegnarsi al sec. xv (ix dell’ègira), è di origine orientale, probabilmente egiziana, l’ altro è occidentale. Poiché l’Ar. 253 porta una data vicinissima a quella della composizione dell’inventario (come si vedrà più avanti), è più verosimile che si tratti dell’Ar. 254, benché l’identificazione sia tutt’altro che sicura. 42. - Poiché tutti gli altri codici lessicografici arabi del fondo antico sono entrati in biblioteca in età posteriore alla redazione del­ l’inventario, non può pensarsi che all’Ar. 356, la prima parte del quale, come si è visto (p. 71-72), è costituita dal Fasth di Ta'lab. Ma l’identificazione rimane incerta. (1) Si tratta della glossa (M siy a ) di al-Masaddalì al commento (ta'llq) di'Isà al-W anugl al Tahdib di al—Baradi'ì, non di un commento alla Mudàwwana di Sahnun, come ho erroneamente affermato Elenco, p. 11. L ’errore è rettificato dal B rockelmann, Zeitschr. f. Semitistilc, X (1935), 340-41. (2) Ossia di una collezione riportante non già i d e t t i ma gli a t t i com­ piuti in varie circostanze da Maometto, dai quali i fedeli debbono trarre la norma della loro condotta in circostanze analoghe. (3) In tal caso gli «eia non sarebbero quelli c o m p i u t i , bensì quelli p r o ­ m u l g a t i da Maometto.

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Capitolo I I I .

43. - Ar. 123. Questo codice cristiano è stato collocato tra gli islamici e scambiato per un Corano in seguito a uno dei più curiosi tra gli equivoci in cui è caduto il frettoloso e poco esperto redattore dell’inventario. Si tratta di una dissertazione anonima in dieci se­ zioni sull’eucarestia, che nel titolo rubricato che le sta a principio è detta essere stata recitata nel convento di s. Antonio (sul quale v. sopra p. 85) nel mese di basnas nel 1112 Mart./giugno 1396. Le prime parole del titolo sono appunto «Trattato sulla santa Eucarestia », e nella parola ¿jbydl (al-qurban) la ^ è unita alla ■_> seguente, che è piccolissima e sprovvista del punto diacri­ tico, sicché può essere stata scambiata per (al-qur’dn). La revi­ sione posteriore ha riconosciuto trattarsi di opera cristiana e le ha dato un titolo non troppo inesatto. Il codice, cui manca un foglio tra fi. 20 e 21, non porta traccia di segnature antiche, che forse potevano trovarsi su qualche foglio preliminare o postliminare per­ dutosi nella rilegatura, che è del sec. xyin. Von è impossibile, data la sua provenienza dal convento di s. Antonio nel Deserto arabo, che questo codice facesse parte del più antico gruppo di codici por­ tati in Italia, come credo, dall’abate Andrea e fosse compreso nel grosso involto segnato col n. 326 nell’inventario di Fabio Vigile (v. sopra p. 72). 50. - L ’identificazione di questo, che è il primo manoscritto turco penetrato nella Biblioteca Vaticana(1>, presenta singolari difficoltà derivanti sia dalla vaghezza del titolo attribuitogli nell’in­ ventario sia dall’assenza nel codice di qualsiasi nota contemporanea all’inventario stesso o anteriore. Il titolo potrebbe di per sé riferirsi a uno qualunque dei numerosi libretti arabo-turchi di preghiere che attualmente sono collocati in parte nel fondo dei codici arabi in parte in quello dei codici turchi; ma potrebbe anche applicarsi senza troppo sforzo ad altre opere devozionali scritte in turco. Se osserviamo tut­ tavia che, tra i codici di questo genere dell’antico fondo orientale, a tutti quelli compresi tra gli Arabi deve assegnarsi un’origine di­ versa «È stato finito questo libro il giovedì 20 elul (settembre) dell’anno 1804 Sel./1493 ». La carta e (1) V. B a u m s t a r k , p. 321. Quasi tutto il rimanente del codice, da f. 61 in avanti, contiene soltanto la raccolta delle poesie originali di Bar Qardahè. (2) Autore ne è probabilmente Ishaq Qardahè Sbadnäyä Askö, sul quale v . B a u m s t a r k , p. 330.

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I rnss. orientali nella Vaticana durante il x v i secolo.

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la scrittura, molto simili a quelle del Sir. 186 (che gli è vicino anche per contenuto), inducono a credere che patria di questo codice sia la Mesopotamia e che le sue vicende siano eguali a quelle del Sir. 186. Il codice ha conservato, al disotto della legatura moderna, uno dei due piatti di quella antica (attuale f. 1 b), cartacea, con la rappresen­ tazione di un ramo di melograno con uccelli e di una figura umana, in parte perduta, nell’angolo inferiore sinistro. 72. - Sir. 17. A f. 1 si trova iltitoletto della solita mano di cui al numero precèdente: «le quattro euangelista et li Atti delli Apostoli et le epistole de sto Paolo in litterè e lingua Caldea ». Il codice è stato copiato a Sengale-Cranganor (»óx ^ ojj») nel Malabar il 6 adar (marzo) 1821 Sei./1510 dal vescovo Mar Ya'qöb, che dal 1503 al 1550 fu pastore della Chiesa siriaca dell’In d ia U). La carta europea, con filigrane varie rappresentanti una mano in numerose varianti, delle quali la più comune si avvicina a quella riprodotta in Br i quet , Les filigranes n. 11263, che è spagnola del 1536, indurrebbe a collocare la copia del codice qualche decennio più tardi; ma non vi è d ’altra parte motivo di dubitare dell’autenticità della sottoscrizione. Il codice è menzionato da G . S c h u r h a m m e r , Die zeitgenössischen Quellen zur Geschichte Portugiesisch-Asiens und seiner Nachbarländer . . . zur Zeit des Hl. Franz Xaver (1538-1552), Leipzig 1932 ( Veröffentlichungen der kath. Universität Jöchi Daigaku, Tòkyo, Xaveriusreihe, Bd. I), p. 3 n. 25 e la sottoscrizione è riprodotta in facsimile nella tavola X I X della stessa opera; due firme apposte da Mar Ya'qöb alle lettere da lui dirette al re Giovanni III del Portogallo intorno al 1523 e nel 1530 (riprodotte dallo Schurhammer a tav. X V III) non possono servire al confronto colla scrittura del codice, essendo in scrittura cursoria1 (2). 73. - Sir. 89. A f. 1 il titoletto della solita mano di cui ai numeri precedenti: « legende de i santi martiri in l(ette)re e lingua Caldea », il quale, come può vedersi nel catalogo degli Assemani e come aveva già compreso, ma solo in parte, il redattore dell’inventario, si riferisce soltanto alla prima parte del codice. Gli Assemani avevano già rile­ vato a f. 138* le denominazioni latine in lettere siriache dei quattro ordini sacri minori: ostiarii, lectores, exorcistae, acolythi, e dei tre maggiori: subdiaconi, diaconi, sacerdotes (trascritto secondo (1) V. su di lui W . G er m an n , Die Kirche der Thomaschristen, Gütersloh 1877, p. 330-31 e per ultimo G. Schurhammer, T.hree lelters of Mar Jacob bishop of Malabar 1503-5550 in Gregorianum, X I V (1933), 61-86. (2) Di questo codice si era già occupato J. G. Chr. Adler a p. 24-25 dell’opera citata sopra p. 177 nota, riproducendo un saggio della sua scrittura nella tavola tri.

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Capitolo I I I .

la pronuncia portoghese)(1) e avevano giustamente attribuito la scrit­ tura del codice al vescovo Mär Yösef. Sul verso del primo dei due fogli preliminari si legge, capovolto, il nome f Vasq Hibro repijomonis (?). 74. - Sir. 65. A f . 1 il titoletto della solita mano dì cui al numero precedente: « [lib]ro del Batesmo in lette[r]e e lingua Caldea ». Il codice, in carta europea filigranata, è di mano del vescovo Mar Y ö­ sef (come avevano già veduto gli Assemani) e porta a f. 34 la data del 1868 Sei./155 7. 75. - Sir. 86. Benché vi manchi il titoletto italiano, l’identifica­ zione è garantita dalla corrispondenza del contenuto. Il codice non è datato, ma la qualità della carta e la scrittura lo fanno collocare verso la metà del sec. xvi e assegnare al gruppo dei codici malabarici. 76. - Sir. 88. Anch’esso è privo del titoletto italiano, ma il suo contenuto corrisponde al titolo dell’inventario. È stato scritto (f. 201) nel känun II (gennaio) 1868 SsL/1557 dal vescovo Mär Yösef nell’isola di Salsette, dove sorge l’odierna Bombay « a due leghe o otto miglia da Basain (Bassein) », dove era il centro delle missioni cattoliche, e reca a f. 2 e 211, di mano dello stesso Mär Yösef, i se­ guenti nomi di persona portoghesi in trascrizione siriaca: ( f. 2) »qj^® »Jjcqa^ (due volte) òk-us 'Vjaiaó «Senhor Manuel Pinto, Gomar (!) Rodrigues»; (f.211) |a >os

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« Senhora Elizabet Botelha, senhor Audencio Botelho, Diogo Yunes, senhora Juana Rodrigues, Francisco Rodrigues, Brianda Correa ». 77. - Sir. 128. Il titoletto, della solita mano di cui ai nn. 52,54 ecc.,. è scritto su una scheda che è stata più tardi incollata sul verso del secondo foglio preliminare: « Canoni delli Apostoli in l(ette)re e lingua Caldea » (è la prima parte dei canoni di ‘Abdlsö', v. B a u m s t a r k , p. 3244). Dalla lunga sottoscrizione f. 204t’-2081’, pubblicata e tradotta da G. S. Assemani, Bibliotheca Orientalis, III. 1, 332-334, risulta che il codice è stato scritto il 10 kännn I (dicembre) 1868 Sel./1556 dal vescovo Mär Yösef mentre era rinch’uso nel convento di S. Fran­ cesco a Bassein, detenuto dall’inquisizione di Goa per sospetto di eresia nestoriana 23 bis (326?)

(1) I numeri in parentesi sono quelli dell’inventario di Fabio Vigile. I numeri relativi a codici che figurano per la prima volta nellinventario di M. e F. Ranaldi sono contrassegnati da un asterisco.

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Capitolo II I .

Vat. Persiani:

*4

30

Vat. Turchi:

*1.8 *21

51? 50 ?

Vat. Copti: 17 20 21 23

58 70 66 79

o 67 (307) (306) (336) (326)

42 43 54

67 o 58 (305) 79 (326) 68 (332)

Vat. Etiopici: 20

59? (304)

*Stamp. R. I. IV 2218?

57

Vat, Siriaci : *2 *3 *4 *9 *15

55 54 62 78 53

*17 *22 *45 *46 *62

72 52 61 63 65

*65 *66 *85 *86 *87

74 64 56 75 60

*88 76 *89 · 73 *128 77 *186 69 *188 71

I Vat. Arabi 83 f. 1-23 + 36-50,90, 92,145,175, pur facendo parte del più antico gruppo dei manoscritti orientali vaticani, non figurano nell’inventario: di essi gli Ar. 92, 145, 175 facevano parte del grosso involto costituito di opere e di frammenti d’ogni genere che nel­ l’inventario del Vigile è segnato col numero 326; da esso furono più tardi separati alcuni codici dei quali si riconobbe l’identità e ai quali nel nuovo inventario si assegnarono i numeri 4, 4 bis, 23, 25, 38. Ma altri, evidentemente, rimasero ancora irriconoscibili e dovet­ tero continuare a essere riuniti alla rinfusa in un involto sprovvisto di segnatura. Quanto all’Ar. 83 f. 1-23 + 36-50 e all’Ar. 90, che nell’inven­ tario di Fabio Vigile sono segnati rispettivamente coi nn. 330 e 333, il primo di essi, nell’intervallo di tempo, doveva aver perduto alquanti fogli, e precisamente quelli a principio, che ne avevano permesso il riconoscimento (1), mentre nel secondo, del quale fin dal tempo del primo inventario era andato smarrito il primo foglio (v. sopra p. 75), non fu osservato che il titolo è ripetuto nel penultimo: Eimasti per­ tanto irriconoscibili, i due codici dovettero essere anch’essi collocati nell’involto senza segnatura, donde non furono estratti che molto più (1) V . sopra p. 74.

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I mss. orientali nella Vaticana durante il x v i secolo.

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ta rd i(1). Anche l’Ar. 32 f. 93-100, entrato in biblioteca coi libri del Flamminio ^ ^ }) ; L>) il codice Vat. Sir. 98, un Salterio karsnnl seguito da inni, come risulta dalla duplice sottoscrizione appostavi fi. 138, 148 (2) 13 , e nel 1571 terminava, anche a Roma, il Mediceo Palatino Orient. 52 .^C.3‘^‘4^J CA^° j»j^ol JLiAyJI^

«È finito il libro del battesimo,

per la potenza di Dio, quale l’abbiamo trovato nel modello, per mano del più misero dei servi di Dio, il misero Mosè soltanto di nome metropolita, colla sua traduzione in lingua araba karsunl, secondo la richiesta del padre magnificato e cardinale onorato San (sic) Severina, l’anno 1891 di Alessandro il Bicorne, 1580 di X. S. Cristo ». A f. 1 frontispizio latino, di mano di Leonardo Abel (la quale si trova anche a f. 18: « Idem Baptismi ordo lingua Arabica, characterib(u)s chaldeis ») : « Ordo Baptismi secundum Chaldeorum vsum | Vnus |Lingua Chaldaea |alter uerò j Lingua Arabica seu Ghersona characteribus Chaldeis scripta |iussu |Ill.mi et B.mi D. Iulij Antonij Sanctorij tit(uli) s.u Bartholomaei in |Insula S. B. E. presbyteri Cardinalis S. Seuerinae nuncupat(i) descriptus à uetustis codicibus è Syria allatis per Moisem | Mardenum Ep(iscop)um Syrum, qui eidem D(omi)no Card(ina)li consignauit |die X X V . Martij M. D. L X X X » (1). Il Barber. Or. 87, un Salterio siriaco scritto in colonna con versione araba a fronte, porta in fine la seguente sottoscrizione in karsunl: .^-9 ^.»»hoo *W ?Jha yji^ao . . . . 0^00020 . . . *. . . .^¡03 ... o)J/ pL/ ^3 ^ h.—u.to )joo» 0,*. . . . . ox.bo.fla5d3 o «Finito per mano d i ... Mosè . . . metropolita proveniente dalla regione di Àmid e di Mardln nella gloriosa Boma città degli imperatori ai giorni del padre glorioso . . . Gregorio . . . secondo la richiesta del padre magnificato e cardinale onorato San (sic) Severina l’anno 1580 . . . il 26 del mese di iyar (maggio) ». Sul f. preliminare: « PSALTEEIVM. Chaldea et Arabica lingua, quod meo mandata à sè scriptum Beu(erendissimus) Moyses Meridenus ep(iscop)us Syrus mihi exhibuit die octaua Iunij M. D. L X X X ». La mano che ha scritto questo titoletto e che è la medesima, se non m’inganno, che a f. I l i ha ripetuto in stampatello il titolo

(1) Il testo karsimi è stato trascritto una seconda volta dallo stesso Mosè nel Vat. Sir. 36 f. 101-109®; il siriaco non è, come sarebbe da aspettarsi, copia del Vat. Sir. 57 (proveniente, come si vedrà nel cap. V I, dal Collegio dei Neofiti), ma è una recensione abbreviata del così detto rituale di Giacomo di Edessa.

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209

« Psalterium Chaldea et Arabica lìngua », ha segnato in margine la numerazione progressiva dei Salmi e ha annotato al Salmo 151 : « Psalmus iste non habet(ur) apud latinos », non è tuttavia quella del Santoro, e mi sembra invece appartenere a Leonardo Abel. Pochi mesi dopo, Mosè trascriveva per il Santoro il messale siriaco giacobita (Barber. Or. 29)(1), apponendovi la seguente sottoscrizione araba: ^,3

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dal contenuto quasi identico alla precedente, salvo la data, che è il 7 ab (agosto) 1580. Sul foglio preliminare è un titoletto latino, questa volta di mano dello stesso Santoro’: « Sex Misse, lingua Chaldea, et vsu Chaldeorum quas ex rerum (?) libro meo Infra transcripsit R(everendissimus) d(ominus) Moyses ep(isccp)us Chaldeus Iacobita, et die V H II (o X IIII) mensis Augusti MD. L X X X tradidit ». Molto più tarda è la trascrizione del libro dell’Ecclesiastico in siriaco nel Barber. Or. 76, priva di sottoscrizione ma in cui si riconosce la mano di Mosè; nel foglio preliminare il Santoro ha annotato di propria mano: « Romae. traditus nobis dono à Reu(erendissimo) D(omino) Moyse Episcopo Syro, die X X . Februarij M. D. L X X X Y I, qui sua manu scripsit ». Vari codici siriaci e arabi vaticani sono stati trascritti dallo stesso Mosè o portano annotazioni di sua mano, e il loro contenuto è caratteristico per illustrare l’attività da lui esercitata in Roma. Oltre ai Yat. Sir. 18, 35, 95, 107, 108, 156, 158, 229 e ai Vat. Ar. 6, 7 e 22, tutti provenienti dal Collegio dei Neofiti come il 114, dei quali sarà detto più avanti nel capitolo VI di questo libro, sono da no­ tarsi i seguenti: Vat. Sir. 36, dal f. 32 in poi (i fi. 1-30 sono di altra mano): miscellanea di contenuto vario, in parte in karsunl con alcuni titoli e annotazioni in scrittura araba; vi si trovano appunti di logica (dall'Isagoge di Porfirio), di grammatica araba (dalla Kcìfiya di Ibn alHagib) e siriaca (dalla grammatica metrica di Barhebreo); estratti dalle opere di Yahyà ibn 'Adi; il rituale giacobita del battesimo tradotto in arabo ecc.; finalmente (f. 185-195) dei frammenti di un piccolo lessico siriaco-arabo, di cui altre parti si trovano nel Yat. Ar. 141 e altrove. Il copista si nomina f. 183: (1) Cf. A . Ii aes (et alii), Anaphorae Syriacae quotquot in codicibus adhuc repertae sunt. . . , Romae 1939, I. 1, x x x v in . 14

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210

Capitolo IV .

«Ha scritto il misero metropolita Mosè. as-Sorl a Roma»; f. 58 si trova la datadella copia; isai isvi om. oh^L ¿Uco 1*3 «nell’anno dell’incarnazione 1576 alla copta, 1584 alla greca». Nello stesso codice compaiono anche alcune parole scritte in latino e in italiano, traduzione di termini siriaci di grammatica e di logica (f. 43, 47”, 51), per lo più in una scrittura rozza e mal formata di principiante; quelle a f. 51 sono invece di un’altra mano più esperta, nella quale riconoscerei quella dell’Abel; di questo è poi sicuramente l’inizio di una lettera, poi interrotta, che si legge, scritta per traverso, a f. I l i : «Illmi. et B™. Sig: |Moise vescouo d(i) soria». Mosè ha uti­ lizzato il verso del foglio per scrivervi i suoi appunti grammaticali. Yat. Sir. 214. In questo codice, composto di frammenti di pro­ venienza varia, sono trascritti in karsunl nei fi. 1 -3 i primi 10 ca­ noni apocrifi di Nicea, di mano di Mosè. Nei ff. 4-11 lo stesso Mosè ha trascritto, sempre in karsnnl ma con uso di caratteri arabi nei titoli delle sure, una parte di un lavoro esegetico sul Corano di cui altri abbozzi si trovano nel Yat. Sir. 227 e nel Vat. Ar. 83 f. 77”: si tratta di vocaboli estratti dalle sure 12-26, a ciascuno dei quali fa seguito la frase in cui esso si trova (il principio manca); ff. 12-15 un piccolo scritto in karsnnl, con introduzione in siriaco, intorno al­ l’origine delle chiese orientali e contro la confusione, fatta da taluno in Occidente, tra Giacobiti e Nestoriani, anch’esso di mano di Mosè. Nei ff. 16”-20” sono ripetuti, in caratteri arabi, i primi quattro ca­ noni apocrifi di Nicea, con a fronte la loro traduzione latina, la quale è di mano dell’Abel. È dunque sua anche la scrittura araba, rozza e dall’aspetto caratteristico dell’europeo che ha poca pratica del ductus arabo(1). Al f. 20 fanno seguito quattro fogli bianchi, sull’ultimo dei quali l’Abel aveva cominciato a scrivere una lettera: «Santiss:m0 P(adr)e (ripetuto altre due volte) Il Patriarcha Ignatio Patriarcha »; si tratta naturalmente di Na‘matallah. Il Sir. 227, karsnnl e arabo, è interamente di mano di Mosè: vi è contenuto l’abbozzo di un vero e proprio lessico coranico in or­ dine alfabetico, incompleto1 (2)3 , cui f. 6 è dato il titolo ¿y* tliJI j »*j o'y^J' « alcune espressioni arabe del Corano ,3) ». (1) Altri campioni della scrittura araba dell’Abel si hanno negli Ar. 83 f. 284 segg. e 124 e nel Sir. 99 f. 40-65 (v. più avanti p. 225-26, 229-30). (2) Due fogli appartenentigli sono stati trovati da me tra i frammenti rac­ colti nel Vat. Ar. 1482 e sono stati aggiunti in fine al codice. (3) Precede (f. 1») un’esercitazione sull’imperativo del verbo arabo.

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Nel Sir. 230 soltanto i fi:. 1-8 sono di mano di Mosè: in essi è contenuto un calendario perpetuo in karsunl; il titolo latino a f. 1 è di mano dell’Abel: « Tabula inveniendi festa mobilia secundum vsum Chaldeorum |perpetua, quae singulis quingentis et triginta duobus annis |a principio reiteratnr ». Un secondo esemplare quasi identico di questo calendario per­ petuo si ha nel Vat. Ar. 945, già Yat. Lat. 3552, proveniente dall’ere­ dità del Cardinal Antonio Carafa, bibliotecario dal 1585 al 1591, al quale Mosè l’avrà donato sia per questa sua qualità, sia perchè il Carafa, protettore dei Maroniti, aveva vivo interesse per le chiese orientali. L ’Ar. 945 ha a f. 4,: una spiegazione in karsunl sull’uso delle tavole, e al disotto la sottoscrizione in arabo ¿oblkll — ^A

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Capitolo IV .

212

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¿Aai^xA UiolismU^ „a . «... Sua Santità comandò dunque al sa­ cerdote Giovan Battista Santi Duruntlna (ossia Durantino) di adat­ tare quest’opera secondo è ordinata in caldeo (1) e Don Leonardo vescovo di Sidone la tradusse e l’Arcivescovo Mosè di Sor la esaminò e l’approvò, ed è stata fatta dare alle stampe a vantaggio generale ». Ar. 83. In questo codice, nel quale sono stati riuniti opuscoli e frammenti delle più diverse provenienze, sono scritti da Mosè: i fi. 52-66, comprendenti la versione araba della professione della fede giacobita inviata dal patriarca Michele all’imperatore Emanuele Porfìrogenito in occasione della controversia con Teoriano nel 11701172 1 (2), che Mosè nella sottoscrizione afferma aver compiuta dal siriaco:

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^LAU íAj UAI « L ’ha tradotta dal siriaco in arabo il misero Mosè, di nome metropolita della nazione dei Siri giacobiti orientali » (le due ultime parole sono aggiunte posteriormente in caratteri più minuti (1) La personalità del Santi rimane oscura: egli è anche l’autore del calen­ dario per i Greci tradotto da G. B. Gabio e stampato a Roma nello stesso anno 1583 dal tipografo Francesco Zanetti (v. J. S c h m i d in Historisehes Jahrbuch, V (1884), 76-77: è suo probabilmente anche quello per gli Armeni tradotto da Marco Antonio Abgar [v. ibid., H I (1882), 585] e stampato a Roma da Domenico Basa nel 1584 [la Vaticana ne possiede due esemplari: Bacc. Gen. Or., I V . 597 e 598 int. 1]), dove a f. I4 e K, è detto, analogamente al testo karsuni, AoupavrTvo?, ossia di Casteldurante (odierna TTrbania nelle Marche); lo annovera infatti tra i prelati di questa città il M o r o n i , Dizionario di erudizione ecclesiastica, L X X X V , 270t> («. . . can. Gio. Battista Santi, uno de’ deputati alla riforma del calendario romano »), purtroppo senza citare la propria fonte. Ma della parte che egli avrebbe avuta nella commissione per la riforma nulla risulta dai documenti finora noti, salvo quello citato dallo S c h m i d . I l i , 410, dal contenuto assai vago; l’identifica­ zione proposta con Giovanni Zanti (meglio: De Zanti), difensore della riforma grego­ riana, è peraltro impossibile: questi nel Discorso sopra la riforma dell’anno fatta da N. S. Gregorio Papa X I I I , Roma, per gli eredi di Antonio Biado. 1582 (4 ff. non num.) s’intitola « Academico et professore della Scientia Astronomica in Bologna » (non figura peraltro tra i professori dell’università bolognese in S. M a z z e t t i , Bepertorio dei professori dell Università di Bologna, Bologna 1847) e discorre del nuovo calen­ dario da persona del tutto estranea alla sua preparazione. ( 2 ) Erroneamente J .-B . C h a b o t , Chronique de Michel le Syrien, I , x v i i x v j i i afferma che il testo arabo corrisponde a quello greco in Patr. Gr., C X X X II1 , 2 8 0 - 8 6 , mentre esso è molto più ampio e presenta notevoli differenze di redazione; del divario tra i due testi aveva giustamente sospettato A . B a u m s t a k k , Gesch. der syr. Literatur, p. 300 ed esso è stato messo in chiaro da E. T i s s e r a n t nel Dietionnaire de théologie catholique, X . 2 . 1715.

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del resto)(1); i ff. 67-76®, che contengono un’altra copia, mutila in fine, della stessa professione di fede: essa senza dubbio costituisce la minuta donde fu trascritta la copiar a ff. 52-66, giacché nel testo di questa sono riprodotte alcune correzioni che in quella compaiono nei margini e negli interlinei; i ff. 77®-85, i quali portano il titolo l^· . dJDl ^ ìì Testi­ monianze del Corano su N. S. Gesù Cristo, il quale (Corano) è di Muhammad ibn 'Abdallah della città di Yatrib » ; i passi cristologici del Corano (ossia 2,81; 3,37. 40-41 -f- parte del v. 43; 4, 95. 169; 5, 50-51. 112-114; 19,16-34) sono dati in arabo, in siriaco (preceduti dal lemma «in lingua siriaca caldaica») e in ita­ liano (2): 1 il primo comincia nella rozza scrittura e nell’italiano scor­ retto del buon vescovo Mosè, ma subito alla sua mano inesperta della scrittura latina si sostituisce quella dell’Abel, che perdura fino alla fine: abbiamo qui una singolare testimonianza della collabora­ zione tra il missionario cattolico e il vescovo orientale, la quale evi­ dentemente era destinata a servire a una disegnata opera di propa­ ganda presso i musulmani(3). Vat. Ar. 141, raccolta di scritti di varia provenienza; sono della (1) Poiché l’originale siriaco della professione di fede di Michele è perduto, sarebbe interessante conoscere dove Mosè lo abbia avuto sott’occhio. Che egli si sia occupato della produzione letteraria del celebre patriarca giacobita è di­ mostrato dall’essere l’unico esemplare finora noto della sua grande cronaca (nella biblioteca della chiesa dei ss. Pietro e Paolo a Edessa) una copia eseguita nel 1909 Seleuc./1598 di su un esemplare che Mosè aveva trascritto dall’auto­ grafo dell’autore (v. C h a b o t , I, x x x v m -ix ). Lo Chabot identifica il J .» .a 2 o «Mosè di Sor» autore del modello del codice di Edessa (del quale in una nota mar­ ginale è detto che fu a Roma e potè vedere in San Pietro le reliquie del Volto Santo, della Lancia e della Croce) con Mosè di Mardin (sul quale v. sopra p. 142 -145); ma è evidente che si tratta invece del nostro vescovo, il quale dovette dunque far ritorno in patria dopo il suo lungo soggiorno romano, e il ritorno dovette aver luogo tra il 12 marzo 1592, ultima data in cui è menzione di lui nei documenti romani (v. sopra p. 206°), e il 1598, anno in cui fu copiato il codice di Edessa. (2) Il testo è spesso discorde da quello canonico e la versione è non di rado erronea; p. es. il principio del versetto 4, 16 ^Cbo ¿

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è tradotto (f. 80 ): « Guardateui o literati, non titubate nella fede uostra ». (3) La quale potrebbe essere quella propostasi dalla congregazione isti­ tuita da Gregorio X I I I sul finire del 1584 , di cui faceva parte anche l’Abel, « la quale doveva por mente a comporre in lingua arabica scritture contro la setta di Maometto» (v. S a l t i n i a p. 262-263 dell’articolo citato sopra p. 205°). Si vedrà più innanzi (p. 2573) che non è inverosimile che sussista un’altra manifestazione concreta dell’opera di questa congregazione.

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Capitolo IV .

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mano di Mosè i ff. 91-119, estratti in karsunì dagli scritti di Yahyà ibn 'Adi, e i fi. 134-142, contenenti il trattateli grammaticale alÀgurrùmiyya e appunti grammaticali, il tutto in karsunì e in arabo. Nel margine inferiore dei ff. 102-115 si leggono scritti a rovescio vo­ caboli siriaci in caratteri estrangela di grande formato con resti di interpretazione in siriaco e in arabo: fogli preparati per la compila­ zione di un vocabolario di cui anche altrove (v. p. 209, 215) si ha trac­ cia tra gli appunti di Mosè; egli stesso, del resto, lo attesta a f. 1071’: iU k Col )>oi «Questo era (preparato) per il vocabolario, cioè per il vocabolario franco (ossia latino) e arabo; poi lo abbiamo annullato ». E poi, nei soliti caratteri mal formati: « questo era per uocabolario ». Anche di due altri codici, i Vat. Ar. 81 e 154, può affermarsi che sono passati per le mani del vescovo Mosè. Il primo, del sec·. xiv, che insieme coll’Ar. 82 costituisce una raccolta di omelie festive di origine egiziana e del quale sono andati perduti i primi 23 fogli, ha l’ultimo foglio (f. 176), contenente la fine di un’omelia battesimale di S. Basilio, scritto di mano di Mosè; il medesimo testo compare a principio del secondo volume, l’Ar. 82, e di li è stato copiato, senza dubbio per potere con esso chiudere il primo volume della raccolta con un’omelia completa. L’Ar. 154, raccolta generale dei canoni conciliari mutila in principio e in fine, è stato rilegato in Oriente coll’aggiunta di parecchi fogli bianchi pre- e postliminari prima del 1585, come risulta da un’annotazione che compare sull’ultimo dei fogli postliminari (f. 386”) ed è datata da Aleppo nell’anno 994 (cer­ tamente dell’egira, cominciato il 23 dicembre 1585): ^^UJI ¡so* yii lybji

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« Ha guardato in questo νόμος benedetto il servo peccatore, meschino, vile, immerso nel mare dei peccati e delle colpe, sperante nel perdono e nella remissione del Signore Cristo, Yuhanna di nome soltanto corepiscopo, abitante nella città di Aleppo, nell’anno 994 (dell’egira, com. 23 dicembre 1585), in casa di mastro B.rwanà (?). Chiunque legga queste misere linee e invochi per lui la remissione ne riceva l’equivalente secondo la promessa verace. Sia gloria a Dio in eterno ». Ad Aleppo esso deve essere stato acquistato subito dopo dall’Abel e

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questi, dopo il suo ritorno a Roma, deve averlo prestato a Mosè, giacché è di mano di questo un’annotazione sul primo dei fogli pre­ liminari, scritta, com’è probabile, per certificare la proprietà del libro: j JJ1 | ^ V! j *Asrdl

«Libro del vescovo di Sidone, il padre onorato,

che Dio lo faccia prosperare con esso lungo tempo, amen. È il libro dei sacri concilii»(1). Anche a f. 237 compare la mano di Mosè, in una curiosa nota marginale in cui i Melchiti sono accusati di essere usciti dal Cristianesimo per adottare l’Islam, poiché divorziano e sposano donne divorziate come i musulmani. E infine a f. 159” e 348, se non erro, si riconosce ancora la sua scrittura. Finalmente appartiene alla mano dello stesso Mosè un gruppo di fascicoli e di fogli isolati, riuniti insieme con altri frammenti diversi nel Vat. Ar. 1482, il quale a sua volta (come è stato già detto sopra p. 24-25 e cf. Elenco, p. 41) risulta dalla cernita fatta di recente dei cinque grossi involti messi insieme da G. S. Assemani sotto la segna­ tura Vat. Ar. 386. Si tratta, come per i Vat. Sir. 36 e 229 e per il Vat. Ar. 141, di appunti grammaticali e lessicali, di estratti da scritti di Yahyà ibn 'Adi e cose simili (tra l’altro vi si trovano i Salmi 145 e 146), il tutto in arabo, in karsnnl, in siriaco; la sola ragione per la quale tutti questi frammenti non sono stati uniti ai tre codici surri­ cordati è stata, credo, la differenza dei formati. Da quanto precede risulta non soltanto una relazione di cono­ scenza, ma anche una stretta collaborazione tra il metropolita siro e Leonardo A b e l dal diacono Ynsuf ibn Sa'lra al-Himsì nel 1891 Seleuc., du’l-higga 987 egira/gennaio-febbraio 1580; portato da questo in Siria, fu comprato dal diacono melchita Mansnr ibn Rizqallah di Hasrun nel Libano (cf. f. 1, 206” margine, 207*) nel 1893 Seleuc., gumada I 990 egira/maggio 1582; due anni dopo, 7092 èra di Costantinopoli, 992 egira/1584, era letto da Wahba ibn Rizqallah, fratello di Mansur, e fu verosimil­ mente acquistato poco dopo dall’Abel, il cui ex libris compare, nella forma usuale, a f. la . Ar. 97. Codice miscellaneo contenente tre redazioni delle notis­ sime «Questioni del discepolo al maestro » (v. sopra p. 55, 74) compren­ denti rispettivamente dieci, otto, ventidue questioni. A f. 1: Ex libris Leonardi Abel Episcopi Sidoniensis. Nel piatto superiore della lega­ tura di pergamena flessibile sono scritte le parole ¿6 «gloria a Dio » in scrittura calligrafica cancelleresca. Ar. 181. È il Daf al-hamm di Elia di Nisibi (cf. sopra p. 156157), seguito dall’epistola sulla castità (Risàia ftl-iffa) dello stesso (cf. sopra p. 53, 76) e da un trattato sull’unità e la trinità (Magala fi’t-tawhld wa't-tatlìt), mutilo in fine a metà del cap. 10°, di un vescovo di Sayda’ Bisr ibn as-Sarl del quale non si sa nulla (cf. L. C h e i k h o in ab-Masrig, X X [1922], 721, dove il suo nome è dato, contro il ma­ noscritto, nella forma S f* cA . A f. 1: Ex Libris Leonardi Abel Ep(iscop)i Sidoniensis. Nel catalogo Assemani-Mai dei codici vaticani persiani e turchi p. 631 è anche menzionata la provenienza dall’Abel del Pers. 3, sul1 (1 ) Ciò era già stato rilevato da H . G·. E v e l y n W h i t e , The Monasteries of Wàdt n-Natràn, New York 1932, ΓΓ, 4094, 452®. Come si vedrà più avanti, alquanti altri manoscritti di Nitria, siriaci e arabi, sono giunti a Roma molto prima di quelli acquistati da Elia Assemani nel 1707.

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I mss. orientali nella Vaticana all’ inizio del x v n secolo.

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quale y. sopra p. 216. A f. 60: Ex Libris Leonardi Abel ep(iscop)i Sidoniensis·, nel piatto interno della copertina, di mano dell’Abel: « Euangelium s(ecundu)m Mattheum |lingua Persica conscriptu(m) ». Di altri due codici arabi il catalogo Assemani-Mai omette di indicare che portano note di possesso dell’Abel: Ar. 112. Codice miscellaneo contenente gli opuscoli teologici di Bnlus (ibn) ar-Rahib vescovo melchita di Sidone; una raccolta di canoni in 40 titoli e un opuscolo polemico di un certo Stefano sull’ere­ sia dei Giacobiti. È datato del 1 hazlran (giugno) 7051 dell’ èra di Costantinopoli/1543 ed è scritto da un Salirti ibn Dawtid Karlm, mel­ chita. A f. 1: (Ex libris cane.) Leonardi Abel Ep(iscop)i Sidoniensis. A f. 459”, dopo la sottoscrizione dello scriba, l’Abel ha notato: « Mense Junio. Anno ab Adamo 7051.1 ». Ar. 333. Il commento di Mulla Gami alla grammatica al-Kàfiya di Ibn al-IIagib intitolato al-Faivci’id ad-diya’iyya (v. Elenco, p. 31, dove la datazione « sec. x i » è un po’ troppo bassa); in calce a f. 1 si legge: lo. ( = Leonardi ?) Abel et G. Questa nota di proprietà, per vero poco chiara, potrebbe essere stata apposta dall’Abel prima della sua consacrazione episcopale. Certo è di mano sua il titoletto che si trova nello stesso foglio: « liber gram(m)atieae |de Nomine |Autore Cafia Milagiami. | cu(m) eius expositione ». Si è già visto sopra che anche l’Ar. 154 porta l’indicazione di appartenenza all’Abel, scritta in arabo dal vescovo Mosè. Il titoletto posto al disopra della nota araba, «Liber Conciliorum Universalium», è di mano dell’Abel. Altri cinque codici, pur non recando l’ex libris usuale dell’Abel, contengono la menzione del suo nome in forma tale da far supporre che gli siano appartenuti; essi sono i seguenti: Ar. 48, del quale si è già visto che contiene, tra l’altro, la tradu­ zione latina della professione di fede di Safar, scritta e sottoscritta dall’Abel. Ar. 148, che a f. 1 porta il titoletto, di mano dell’Abel: « Bulla Eugenii Papae iiij. |De Unione Jacobinor(um), Armenor(um), et Grecor(um) de latino |in arabicum versa |interprete Leonardo Ep(iscop)o |Sidoniensi »; a f. 24 in alto un titoletto (cancellato): « Professio Giacobinor(um) » è anch’esso di mano dell’Abel, e poiché il codice è unitario, non è dubbio che anche la seconda parte (f. 2548) gli sia appartenuta. Ar. 300, contenente un trattato di equitazione (kitdb fi’l-furusiyya) e uno sul maneggio dell’asta secondo l’insegnamento del fa­

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222

Capitolo IV .

moso Ya'qUb ibn Afe! Hizam (cf. Elenco, p. 24); a f. 20 si trova una lunga dichiarazione datata del 19 ottobre 1591 e scritta dal domeni­ cano Tommaso da Terracina (sul quale v. sopra p. 2043) e firmata da lui e dall’Abel, nella quale si dà parere favorevole alla stampa del codice (che tuttavia non risulta sia stata mai compiuta). Arm. 2, un codice miscellaneo contenente vari documenti rela­ tivi alla missione dell’Abel presso la Chiesa armena, tra cui la profes­ sione di fede di Azaria, katholikos dell’Armenia Minore, le lettere da lui mandate a papa Gregorio X III e al Cardinal Santoro ecc. (1); a f. 29*-30 si trova un’attestazione autografa e firmata dell’Abel, datata da Aleppo 20 maggio 1585 1 (2). Col codice precedente è strettamente connesso l’Arm. 13, che contiene la professione di fede prestata dagli Armeni e la professione tridentina tradotta in armeno: ambedue sono accompagnate dalla trascrizione latina interlineare dei caratteri armeni; la traduzione latina, cominciata per l’una e l’altra professione, è stata interrotta in sul principio. La scrittura è sicuramente quella dell’Abel, benché il suo nome non figuri nel codice, e fornisce una preziosa conferma della sua diligenza nello studio delle lingue orientali. Di mano del­ l’Abel è anche la dichiarazione apposta in calce a f. 21, attestante che la suddetta professione di fede fu giurata dall’arcivescovo di Altamar, Martos, il 15 giugno 1592, in presenza del Cardinal Santoro e del vescovo A b e l(3). I codici esaminati fin qui recano tutti (tranne l’Arm. 13 ricor­ dato per ultimo) il nome dell’Abel, sicché non può esservi dubbio (1) V. E . T i s s e r a n t , Codices Armeni Bybliothecae Vaticanae, p. 201-205. Il Tisserant (ibid. p. v i i ) , avendo trovato nell’Archivio della Biblioteca ( X I f. 157, già 155) la menzione di « Lettere diverse del patriarca del!Armenia Minore a Papa Gregorio X I I I » tra le carte del Sirleto giunte alla Vaticana dall’eredità di lui, ba creduto che l’Arm. 2 fosse appartenuto al Sirleto. Ma la menzione di esso in un inventario dei manoscritti di proprietà dell’Abel (v. più avanti p. 237 n. 5-7) esclude tale provenienza. Non resta che supporre che presso il Sirleto si trovassero copie delle lettere del patriarca armeno, a meno che non si voglia pensare (il che sembra poco verosimile) che l’Abel abbia avuto in prestito il codice e non l’abbia restituito. Nel Vat. Lat. 6380 (che è una raccolta di lettere proveniente dalle carte del Sirleto, ma del tutto diversa da quella elencata nel voi. X I dell’Archivio della Biblioteca) si trova f. 25-27 la traduzione latina della lettera di Hacatour, il katholicos predecessore di Azaria, a Gregorio X I I I , di cui l ’originale si trova appunto nel Vat. Arm. 2 f. 53-54®; ma si tratta di una sola lettera, non di diverse. (2) Pubblicata da A . B a l g y , Historia doctrinae catholicae inter Armenos . . ., Vindobonae 1878, p. 346-47. (3) Pubblicata in E. T i s s e r a n t , Codices Armeni, p. 245.

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I mss. orientali nella Vaticana all’ inizio del

x v ii

secolo.

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che siano passati per le sue mani; ma numerosi altri manoscritti orientali vaticani, benché non portino alcuna nota di possesso, risul­ tano essergli appartenuti, sia perchè vi si trovano titoletti latini e annotazioni di sua mano, sia perchè sono stati scritti, i più in Oriente, qualcuno a Eoma, da scribi che sono stati in relazione con lui. Sir. 27. È la copia, eseguita pagina per pagina, del rituale giacobita del battesimo attribuito a Severo di Antiochia (1) e della messa giacobita nell’edizione di Guido Fabricio Boderiano 1 (2) pubblicata ad Anversa nel 1572. Il copista del testo siriaco, che si sottoscrive a f. 47, è quel Melchizedeq, prete giacobita, che avremo occasione di menzionare più avanti; la versione latina, disposta in colonna a fronte del testo, come pure il frontispizio e la prefazione, sono di mano dell’A b e l(3). Il f. 34 non appartiene a questo codice, nel quale è stato rilegato per errore, bensì al Sir. 36, che si è visto sopra essere di mano del vescovo Mosè. Sir. 68. È un secondo esemplare del BreA-iario feriale giacobita, simile ma non identico al Sir. 67 (v. sopra p. 219. e F. N au in Patro­ logia Orientalis, X , 91-92) e porta al f. l c un titoletto identico a quello portato da quest’ultimo, di mano dell’Abel, ripetuto sul verso dell’ultimo foglio. Nel tisrln I 1878 Seleuc./ottobre 1566 il codice fu comprato dal diacono Mansur ibn Rizqallah di Aleppo (4) ed è probabile che in questa città l’abbia poi acquistato l’Abel. Sir. 98. Salterio karsUnT, seguito dai cantici dell’Antico e del Nuovo Testamento e da preghiere varie; trascritto a Eoma nel 1569 da Giorgio Maronita Arcivescovo di Damasco e vescovo di Cipro (v. sopra p. 195-197). Che sia appartenuto all’A bel(5) risulta dall’essere (1) Cf. A . B a u m s t a r k , Geschickte der syr. Literatur, p. 2531 e 353. (2) Ossia l’erudito francese Guy Lefèvre de la Boderie (1541-1598); l’edi­ zione porta il titolo D. Severi Alexandrini (sic) quondam Patriarchae De Ritibus Baptismi et Sacrae Synaxis apus Syros Christianos receptis TAber nunc primum in lucem editus Guidone Fabricio Boderiano exscriptore et interprete. (3) Qua e là, p. es. f. 21-25», 2 8-30, 38-48», la scrittura è di altra mano, più grossa e meno esperta. Tri alcuni fogli, essendo stata per inavvertenza spostata di una colonna la corrispondenza tra il latino e il siriaco, la scrittura primitiva è stata ricoperta da una striscia di carta incollatavi sopra, su cui lo stesso Abel ba ripetuto la copia della versione. (4) Egli si dà questo etnico a f . 1 6 (in un’ altra nota di possesso a f. 276» l’etnico non è ricordato), mentre nel Vat. Ar. 87 (v. sopra p. 220) si dice Libanese. È quindi probabile che fosse nativo del Libano e stabilito ad Aleppo. (5) Nel catalogo assemaniano, TI, 528 è detto che il codice «pertinuit olim ad Thomam Holdeuinum, quemadmodum initio et in fine adnotatur ». Ma attuai-

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Capitolo IV .

di mano sua la numerazione dei Salmi e i loro titoli secondo la Vol­ gata apposti in margine fino al Salmo 37 (36) nonché (f. I*12 ') una ver­ sione latina interlineare del primo Salmo. Sua è anche una dedica a f. I1’: « Sebastiano Primo Portugalie Et algharb Begi Aug(us)to |Africo, Ethyopico, Arabico, Persico, Indico, Brasilico |omniu(m) orientem versus p(er) oceanu(m) Insular(um) Domino |Ioannis Regis fr(atr)is Nepoti pijssimo. Henricus Eex, |Sanctissime Memorie eius » (1). Il codice deve dunque essere venuto in possesso dell’Abel prima del dicembre 1578, il che mostra come egli avesse cominciato a racco­ gliere manoscritti orientali già prima della sua missione. Sir. 99. In questo codice, nel quale sono stati riuniti opuscoli e frammenti di provenienza varia, in gran parte arabi, i fi:. 40-65 contengono la liturgia della messa copta di S. Basilio in arabo, seguita da altre preghiere della liturgia copta, anche in arabo; i fi. 45-501' sono in karsunl, senza interruzione del testo. Sul verso dei fi. 40r (rimasto in bianco) e 61 sono scritti per traverso gli inizi di due let­ tere, di mano dell’Abel: f. 40av: «111.1"0et R .moSig.re |Fra Teclamariam »(2); f. 61: «Die xxviij Mensis Junij MD xcviij ». L ’Abel si è dun­ que servito del verso di fogli inutilizzati per copiarvi la liturgia copta, del cui esame e traduzione in latino egli si occupò durante i primi mesi del 1595, in occasione della venuta a Eoma della missione inviata dal patriarca Gabriele V i l i (3); infatti anche l’arabo e il karmente non esiste traccia di queste due note, le quali forse si trovavano su fogli che furono asportati nel preparare la nuova legatura, sotto Pio V I. Chi fosse questo Thomas Holdevinus non sono riuscito a rintracciare. (1) È la copia dell’iscrizione apposta sul catafalco eretto per il funerale fatto a Roma al re Sebastiano del Portogallo, ucciso nella disfatta subita dal suo eser­ cito nel Marocco il 4 agosto 1578 (Avviso di Roma del 13 dicembre 1578 nellTJrh. Lat. 1406 f. 453, cf. P a s t o r , Storia dei papi [trad. it.], I X , 2575, dove è errato 423*). Come è noto, a Sebastiano successe nel regno il prozio Enrico, cardinale resi­ dente allora in Roma. (2) Su questo prete abissino del convento di S. Stefano dei Mori, che ebbe poi parte nelle missioni in Etiopia e morì nel ritorno (nel 1605), v. M a u r o d a L e o ­ n e s s a , Santo Stefano Maggiore degli Abissini e le relazioni romano-etiopiche, Città del Vaticano 1929, p. 250-252. È citato spesso nel diario delle udienze del Santoro (voi. 20 f. 365*; voi. 21 f. 82®, 138, 299, 306®, 321) per gli anni 1594-1597, anche in connessione coll’Abel; e le sue relazioni con questo sono poi attestate dalla nota autografa nel Vat. Ar. 137 di cui si dirà più avanti p. 239. V . anche P a s t o r , Storia dei papi (trad. it.), X I , 501. (3) V. V . B uri, L'Unione detta Chiesa copta, p. 261 (dal diario delle udienze del Santoro): « si parlò . . . della risoluzione presa ieri sera [25 gennaio 1595] in Congregazione . . . di far copiare la messa di questi Copti e poi farla tradurre »;

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I mss. orientali nella Vaticana all’inizio del x v ii secolo.

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snnT, ambedue di forma un po’ goffa che tradisce la mano europea, sono suoi. La stessa liturgia si trova, di altra mano, nel Vat. Ar. 48 f. 1-6*, anch’esso proveniente dall’Abel, ma giunge soltanto a f. 56 del nostro codice, e non può quindi essere stata il modello di esso. Sir. 197. Evangeli in karsnnT; trascritto a Costantinopoli nel 1799 Seleuc./1488 (cf. f. 22, 35*), tranne l’ultima parte (ff. 67-83), che è di mano molto più recente e su carta europea, con filigrane varie, tra cui quella col trimonzio e il giglio è eguale al n. 11936 del Briq u e t(1), dove è segnalata per Lucca nel 1583. In questo tempo presso a poco il codice sarà stato acquistato dall’Abel, del quale è il titoletto a f. I: « Quattuor Euangelia lingua Arabica, et syriaco charactere conscripta ». Nello stesso foglio, più in alto, una nota in scrittura più cursoria sembra anch’essa di sua mano: « Anno D(omi)ni 1583 concurrit cu(m) Anno ab Alexandro Magno 1894 »; e certamente suoi sono i titoli latini apposti in principio dei quattro Evangeli e dei sin­ goli capitoli. Sir. 199. Eaccolta di leggende agiografiche in karsunl, trascritte a Sadad presso Damasco nel 1856 Seleuc./1545, notevole per l’abbon­ dante, per quanto rozza, decorazione policroma. F. II « Historiae sermones et gesta et vitae sanctorum», cui il Contelori ha aggiunto: «lingua arabica charactere syriaco ». Sir. 203. Epistole di S. Paolo in karsunl, finite di trascrivere al Cairo nel tisrln I (ottobre) 1888 Seleuc./1576 κοντάκιον) appartiene a suo fratello 'Abdalmasìh. Ma a f. 7 leggiamo un autografo dello stesso patriarca Michele in cui si dichiara che esso è passato per eredità familiare (a ^Xa NJ) ^ y *j) al figlio di Gregorio, il prete Mansür (D, essendogli morti il padre e lo zio (2). Poiché l’Abel si trattenne ad Aleppo, (1) È lo stesso che figura come possessore dell’Ar. 16. (2) Veramente il testo ha

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I mss. orientali nella Vaticana all’ inizio del x v n secolo.

36. 37. 38. 39.

243

epistola canonica apostolorum Atto delli apostoli concioni di diuersi sa(n)ti in due tomi cerimoniali della chiesa in lingua Araba (insieme sopra la linea) et grega e de matrimonio

dove certamente acquistò il codice, dal luglio 1583 all’ agosto 1586, tanto il hurl ‘Abdalmasih quanto suo fratello l’ arcivescovo Gregorio devono esser morti poco dopo la data della trascrizione del codice; il quale è interessante per le numerose note in arabo e in greco (queste ultime a f. 10») relative a membri della chiesa melchita di Aleppo. Della temporanea ed errata sua collocazione tra i codici copti sarà detto più avanti p. 345. 36. È molto probabilmente l’Ar. 30 (v. sopra p. 227), il quale contiene anche l’Apocalisse, ma nel titolo arabo porta

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¿JLoj « . . . epistole degli Apostoli. . . e al principio delle Cattoliche si trova l’epistola di Giacomo »; le quali parole sono certamente la fonte del titolo dell’elenco, in cui « cattoliche » è stato frainteso « canoniche ». 37. Ar. 20 (v. sopra p. 220). Anche questo codice è legato in pergamena fles­ sibile, col titolo latino scritto in inchiostro sul dorso, come i nn. 26 e 29 (D. 38. Ar. 81-82 (v. sopra p. 228). 39. Ar. 54. Appartiene al gruppo di manoscritti melchiti di cui al n. 35, ed è una specie di manuale del sacerdote, come è esattamente indicato nel titolo a f . 2:

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« Questa raccolta benedetta comprende l’Eucologio, i rapporti di parentela che consentono il matrimonio legittimo, la divisione delle eredità, il calcolo del ciclo, preghiere, sù/ai, date e altre nozioni, tutto ciò di cui ha bisogno il sacerdote ». A esso segue l’ indice dei 40 capitoli in cui l’opera è divisa. A f. 30»-60 si trova ef­ fettivamente il rituale del matrimonio, preceduto da un elenco degli impedimenti matrimoniali per parentela. Il codice, nel quale è fatto largo uso di greco, è di bella e chiara scrittura e può assegnarsi alla prima metà del sec. xvi; apparteneva*1

y

yS «il defunto

. . . arcivescovo Gregorio fratello del defunto arci­

vescovo Κύριος Gregorio ». Ma il primo « arcivescovo Gregorio » deve esser nato da una distrazione del vecchio patriarca. Della mano di Mansur (identificabile per mezzo della nota apposta da lui al Vat. Ar. 174 f. 295) sono i ff. 95-100, aggiunti in fine al codice. (1) Nell’ interno del codice si trovava un foglietto volante (ora fatto incol­ lare sulla faccia interna della copertina) recante vari appunti lessicografici di arabo e due di siriaco di mano dell’Abel. Questi si è servito per annotarli, come altre volte, del verso rimasto in bianco di un abbozzo di lettera, della quale rimane solo il prin­ cipio, pieno di pentimenti e correzioni. La lettera è diretta a un vescovo risiedente a Venezia (ine.: « Molto Mag(nifi)co come fr(at)ello. Hauendo inteso questa matina che il nepote di V . S. parteua per uenir a trouarla in Venetia . . . »).

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244

Capitolo IV .

40. libro oonpendio con posto dal Padre Panolo intiocheno contra i Giudei turche e nostoriani e i filosofi ginitilo 41. uangelio in lingua persiana di san matteo 42. un libro trattato in uersi di umanità 43. un libro doue risolue lobissione fatto da turchi modo di dialogo

alla biblioteca delprete Musàibn Hiyara, il quale lo vendette al vescovo Gregorio!12 ). A f. 215 un’autenticazione del patriarca Michele; nel f. 83, che era stato lasciato in bianco, una mano che si riconosce per q uella del prete Mansur figlio di Gre­ gorio (v. sopra al n. 35) ha inserito una preghiera, datandola del venerdì 11 iyar (maggio) 101 dell’èra di Costantinopoli ('->■ A f. 195®, originariamente bianco, una mano rozzissima e inesperta ha scritto

^>1 (J ossia «neophytus»,

il che fa pensare che l’ultimo possessore del codice abbia dimorato nel Collegio dei Neofiti a Eoma. 40. Ar. 112 (v. sopra p. 221). 41. Pers. 3 (Horn 6). Come è stato notato sopra (p. 216, 220-221), questo codice è copia del Pers. 4, che si trovava in Vaticana prima del 1574, eseguita dal­ l’armeno Tumagan nel rabì' II 1007/novembre 1598. La sua sottoscrizione è ripro­ dotta in parte dal H orn in Zeitsohr. d. Deutschen Morgenl. Gesellschaft, L I (1897), 7. 42. Che cosa si nasconda sotto questo titolo è estremamente difficile indovi­ nare. Il Vat. Ar. 83, nel quale, come si è già visto e come si vedrà più avanti, sono legati numerosi opuscoli provenienti dall’Abel, contiene due operette in versi: f. 101-116 il noto trattatello arabo-turco di sorti coraniche (fa’l nameh) attribuito a Ga'far as-Sadiq (v. Elenco, p. 281) datato della prima decade del ragab 990 egira/ fine luglio 1582 ; f. 189-195 il compendio di tagwìd (ortoepia coranica) al-M uqaddima di Ibn al-Gazarl (v. Elenco, ibid.), che per la scrittura appare presso a poco della medesima età. È possibile, ma niente affatto sicuro, che l’una o l’altra di queste operette, o anche ambedue, siano state designate come « versi di uma­ nità». Potrebbe anche pensarsi all’Ar. 137 f. 55-131, una specie di manuale di istru­ zione di pessima scrittura e ortografia, che si apre coll’ alfabeto, l’elenco dei nomi dei giorni della settimana e dei mesi, alcune preghiere, e a f. 58*-61® contiene una raccolta di versi gnomici, cui fanno seguito (dopo alcune preghiere) degli encomii di Cristo, della Vergine e di santi in prosa rimata. La prima parte del codice pro­ viene senza dubbio dall’Abel (v. a n. 21), ma, essendo esso miscellaneo, nulla può dirsi di sicuro intorno all’origine della seconda parte. 43. Per quanto il titolo sia quanto mai vago, credo che si riferisca all’Ar. 133, contenente la raccolta dei « Grandi Trattati » di Yahyà ibn 'Adi, il primo dei quali è appunto la risposta alle obbiezioni di Abu Tsà al-Warràq. Il problema relativo alla data e alla derivazione di questo codice (sul quale v. A . P é r ie r , Yahyà Ben 'Adi, Paris 1920, p. 17-18) è facilmente risolto dopo che gli ultimi fogli dell’Ar. 114

(1) F. 1 a, il quale era stato incollato al f. 1 (bianco) e, staccatone recente­ mente, ha rivelato le due note di proprietà di Musa e di Gregorio. (2) Ossia Fanno 7101, corrispondente al 1593. Il giorno del mese è dato na­ turalmente secondo il calendario giuliano; nel gregoriano, allora da poco intro­ dotto, la data è quella del 21 maggio, che cadde appunto di venerdì.

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I mss. orientali nella Vaticana all’ inizio del x v n secolo.

44. 45. 46. 47.

245

Canoni in lingua Araba tutti intieri libro doue si tratta il modo di caualchare ligi Canonica turchescha maumettana dispositione del creddo

sono stati ritrovati (v. sopra p. 206): l’Ar. 133 non è che la copia dell’Ar. 114, ese­ guita quando questo si trovava nel Collegio dei Neofiti; la mano dello scriba è quella del neofito Domenico Sirleto, che ha eseguito molti altri lavori per conto dell’Abel, del quale fu maestro di lingua araba, come si è visto sopra p. 233. 44. Ar. 154(v. sopra p. 215, 231). Il codice, mutilo in prinpipio e in fìne,econ vari fogli mancanti o fuori posto e altri guasti, è di notevole antichità, certamente anteriore al 1245, poiché questa data portano due annotazioni nei margini superiori dei ff. 63» 64»; è senza dubbio di provenienza melchita: i quaderni di cui consta sono contrassegnati in basso da cifre greche e vari passi in greco si trovano a f. 53»-», 54, 63»-», 74», 110, 285. E in mano diMelchiti deve essere rimasto a lungo, giacché nel margine inferiore del f. 168» un’annotazione relativa alla fuga del metropolita di Mayyafàriqln (Mayferqat) ad Amid è datata secondo l’èra di Costantinopoli (1) ; anche la più recente delle annotazioni, sull’ultimo di quattro fogli aggiunti alla fine del codice (f. 386»), benché sia datata secondo l’ egira, appartiene probabil­ mente a un melchita: essa attesta che nell’anno 994 (comincia il 12 dicembre 1585) il codice fu letto ad Aleppo dal corepiscopo Yuhannà. 45. Ar. 300 (v. sopra p. 221-222). 46. Ar. 264 (v. sopra p. 232). 47. Potrebbe essere la professione di fede del vescovo Michele di Amid e Mayyafàriqln nell’Ar. 83 f. 229-239, sicuramente appartenuto all’Abel (v. sopra p. 228-229), che comincia colle parole aì^LLU

A-L y i i

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J-oi-ll

Iaa JCòo ÀiH_j « Sezione sesta della terza parte, in cui

riferiamo la professione e la fede creduta dai cristiani siri orientali ». Più verosi milmente peraltro si tratta dell’Ar. 140, contenente una professione di fede pre­ parata, colla collaborazione appunto dell’Abel, sotto il pontificato di Sisto V (1 2) : il testo presentato da questo codice (trascritto da un orientale) è intermedio tra

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« TI metropolita di Mayyafàriqln venne e abitò ad Amid custodita

da Dio a causa del timore e delle paure che aveva, non potendo abitare nella sua sede, nell’anno 7023 della creazione ( = 1515) ». La fuga deve essere stata causata dalla guerra tra il sultano ottomano Selim e lo scià di Persia Isma‘11. (2) Come è dichiarato verso la fine (f. 18»-19r): »LAI li!

LI» A ^ jJ l ¡sJ^J ¿¿JLJ aJI

« E inoltre prometto come

figlio obbediente di essere sempre obbediente ai precetti, ai comandi, alle censure e ai decreti di Papa Sisto V e ai suoi successori i pontefici romani che assume­ ranno questo grado a norma dei canoni ». Si noti la scarsa correttezza della lingua.

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Capitolo IV .

246

48. libretto in lingua crega et Araba. 49. la uita di san ciriaeo martire quello dell’edizione del 1580 (il cui originale si trova nel Vat. Ar. 48 f. 48-53 ed è anch’esso probabilmente appartenuto all’Abel) e quello dell’edizione del 1595 (v. sopra p. 230), stampata dalla tipografia medicea (1); numerose correzioni, che lo avvicinano anche più a quest’ultima edizione, sono di mano dell’Abel. 48. Ar. 50, un tropario melchita con parti in greco (porta il titolo arabo d^LJJl

C jIjLo « preghiere delle ore notturne e diurne ») il cui

formato è effettivamente tanto piccolo (cm. 11 x 8) da giustificare la denomi­ nazione «lib re tto »!2); dalla sottoscrizione a f. 211 risulta copiato dal vescovo Gregorio ad Aleppo il 3 elùl (settembre) 7070 dell’èra di Costantinopoli/1562. Fa dunque parte del gruppo di codici melchiti di cui sopra al n. 35. 49. Ar. 173 (v. sopra p. 232). (1) La relazione tra il testo dell’Ar. 48 e quello dell’edizione del 1580 (lo stampatore è Francesco Zanetti; i caratteri adoperati sono quelli del Collegio R o­ mano che si trovano usati nella Brevis Confessio del 1566, su cui v. p. 257®) è rilevata nel catalogo tuttora inedito del Graf, p. 142-143, stampato nell’ottobre del 1938 (le ricerche relative sono state compiute dal card. Tisserant). Per dare al lettore un’idea dei successivi ritocchi e cambiamenti cui è stata sottoposta la professione di fede in arabo, riproduco il brano citato nella nota precedente secondo le edizioni: a) del Collegio Romano, 1566: J i 0 ! U.-A 1

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Colui che ci dato la grazia della Sua guida e ha confermato i Suoi profeti coi Suoi miracoli. Dice l’umile servo bisognoso della misericordia del Signore potente, Ahmed

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I mss. orientali nella Vaticana all’inizio del x v n secolo.

259

che i due codici vaticani contengono una seconda redazione del dia­ logo, la quale non è stata mai mandata alle stampe. La stessa reda­ zione compare anche nel codice fiorentino della Laurenziana n. 473, che è dell’identico formato dei Vat. Ar. 244 e, 245 e, se la memoria non mi tradisce, della stessa mano dell’uno o dell’altro di essi(1); rimane ignoto a quale redazione appartengano i due manoscritti della Bi­ blioteca Nazionale di Parigi Supplém. Ar. 104 e 105bis (218 e 219 del catalogo De Siane), il secondo dei quali è datato del 1599; mentre il codice Rossiano 924 della Vaticana è una semplice riproduzione dell’edizione a stampa. I due codici vaticani portano in alto al foglio di guardia poste­ riore (che diviene naturalmente l’anteriore quando si apra il libro alla maniera europea) l’indicazione « Ex libris studij S(anctissi)mi » di una mano del principio del sec. xvn; ambedue hanno una legatura in pelle a linguetta, con fregi impressi in oro sui piatti e sulla linguetta: sono dunque esemplari distinti, i quali dovettero essere offerti in omaggio a un Pontefice. Ora un documento dell’Archivio della Bi­ blioteca . ilei 1657, quando i libri della Biblioteca Urbinate, sul punto di essere trasportati a Roma, furono collocati entro casse, il primo custode della Vaticana, Luca Holstenio, ne fece compilare un inventa­ rio, conservato nel Vat. Lat. 9475 f. 1-22 (4)5 . Esso è tratto, in gene­ rale, dall’indice alfabetico di cui si è detto or ora, e ne conserva le segnature; ma i codici dovettero essere riconfrontati, come lo mo­ strano alcune varianti nei titoli dati a essi, e, al disotto della segna­ tura, fu indicata la collocazione entro le casse preparate per il trasporto a Roma. Due soli tra i codici arabi figurano in questo inventario: (f. 21) scanz(ia) 8 ord(ine) 6 N ° 16 | Surat Elmahami (5) Arabie. 8 | Cassa 40 N ° 103 [Ar. 228], scanz(ia) 8 ord(ine) 6 N° 171Alcorani {sic) Arabice. 8 |Cassa 40 N ° 104 [Ar. 221].

Bello stesso Vat. Lat. 9475 f. 23-41 è conservato un inventario, fatto compilare nella medesima occasione dal Holstenio, dei codici che Francesco Maria II, l’ultimo dei duchi di Urbino, aveva radunati nella sua villa di Casteldurante (6)7 . Insieme con quelli comprati da lui direttamente vi si trovavano anche parecchi codici della biblio­ teca del palazzo di Urbino; tra gli altri gli Ar. 155 e 212 (7>:

(1) A tanti erano già ridotti, dal numero originario di 82 (si ricordi che il n. 83 delTIndiee Vecchio è l’Ar. 155), prima del 1616 (v. L e Grelle , p. xxrv *). (2) Ciò dovette avvenire dopo il trasporto deH’Urbinate a Roma, quando i codici furono di nuovo raggruppati per lingue. (3) Quanto i pochi codici arabi dell’ Urbinate dovessero trovarsi dispersi fra quelli greci, latini e volgari, sì da sfuggire facilmente a un esame frettoloso, ri­ sulta dal computo fatto dal Holstenio all’atto del trasporto a Roma (v. Stornatolo in Godd. Urb. Gr., p. x l ii 2), in cui gli « Hebraici et Arabici » sono indicati in numero di 58, ossia viene annoverato mi solo codice arabo (probabilmente proprio il nostro Ar. 212). (4) Le G r e l l e , ibid., dove per errore tipograficc si legge 9875 fol. 1-25. (5) V . sopra (p. 4033). Come si vede, il numero di collocazione dei due codici è stato intervertito. (6) L e Grelle , p. x m * -x v * (Ordo V i l i ) . L ’inventario è pubblicato inte­ gralmente dal L e G relle , p. xlvi - l x ix . (7) Le « Casse vecchie » sono quelle in cui furono riposti i codici nel trasporto ' , una volta

(f. 170) con

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b*Oj «spiegazione di Mosè di Sòr »; una volta sola (f. 318®) l ’intitolazione della glossa è in arabo

ma la glossa stessa è in siriaco. A titolo d’esempio

riporto la glossa del margine di f. 116 che si riferisce al testo di Bar Salibi p. 419--,, dell’edizione Sedlacek-Chabot (a Mt. 19, 29): y! »

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Do »oicuimjo -otcu^cuu Jjaj* Joj JJ a ;a o

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faa/o )ld—/ o fii/o Jì=> Jaaot «E al tempo in cui egli predicava l’Evangelo, se un padre credeva in Cristo e suo figlio non voleva credere in lui, lo sprezzava e lo aborriva e non viveva con lui; e così, il figlio e i fratelli, e le sorelle, e la madre ».

Joot

(3) Una nota di possessore si trova a f. 187: j

• ^ cl ^ . » J o o — a u a a l s a o A . I h i —/

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(tuttala linea è erasa) . . .

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« Questo commento appartiene a Rabban Sargis,

monaco di . . . ; pregate per lui per amore di Gesù Nazareno perchè trovi miseri­ cordia nel giorno estremo ». (4) V. sopra p. 2131.

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Capitolo V I.

416

copia è stata accuratamente collazionata dal copista stesso; la mano cambia a mezzo il f. 258 dell’Ar. 330 e la copia non è stata portata a compimento (l’ultimo articolo è L·^')· Una nota di possessore sul primo foglio dell’Ar. 329 (diun TaqiyyaddlnMuhammad al-Mahalli (?) as-Sàfiì) porta la data del 925 egira/1519, un’altra che si ripete sul primo foglio di tutti tre i tomi è di un Abmad ibn 'All ibn al-Fallugi al-'Umarl al-Muqri’ aè-èsfi'i ed è datata del 938 egira/ 1531-32. La nisba al-Fallugi ci riporta all’ 'Iraq. A f. 44* una glossa sembra della mano di Mosè (forse anche un’altra a f. 135*), sicché questi potrebbe aver acquistato i tre volumi nella sua patria e averli portati con sé a Eoma; ma potrebbe anche, d’altra parte, aver apposto una o due glosse su un esemplare da lui trovato già esistente presso i neofiti. I tre tom i del Qàmus portano sul primo foglio il titoletto in grossi caratteri della fine del sec. xvi: « Camus. i(d est) dictionarium. Tom. . . . (rispettivamente pus, 2US, 3US) |Collegij n eo­ phytorum ) ac Transmarinor(um) ! Rom(ae) »; l’Ar. 328 ha inoltre, sul verso dell’ultimo foglio, l’annotazione, di una mano dell’inizio del sec. xvn: « Sette Tomi di q(ues)ta Cop(er)ta » (relativa forse alla legatura ?). 4. Ar. 114, sul quale v. sopra p. 206. A f. 1: «Ihiha i(dest) Dispu­ tationes de Trinitate |et Incarnatione |Collegij neophytorum ac | Tra(n)smarinorum Rom (ae)»; f. 120: «Ihiha part 2a |Collegij n eo­ phytorum ac Tra(n)smarinor(um) | Rom(ae) » della stessa mano già incontrata negli Ar. 328, 329, 330. 5. È senza dubbio il Sir. 57 (46 E), descritto partitamente dall’Assemani, che riproduce le note di possessore, non datate, a f. 1. Benché non rechi alcun segno di appartenenza al Collegio dei n eo­ fiti, deve provenire da questo, non solo perchè il numero che esso ha ricevuto nel catalogo dell’Ecchellense mostra che il codice è entrato in Vaticana dopo il 1660 (1), ma anche perchè è il solo dei rituali giacobiti del fondo antico. È molto in cattivo stato e porta le tracce di essere stato molto usato, eom’è naturale, dato il suo carattere, n on porta nessuna annotazione di mano di Mosè, ed è poco probabile che gli sia appartenuto; può essere stato portato ai neofiti da quel « Giacomo Giacopito di Merdin » che si è visto sopra essere stato alunno del collegio dal 1582 al 1589, oppure da quel « Jacomo Jacopito maggiore » che vi rimase dal 1582 al 1584; meglio ancora (poiché i due giacobiti sopra menzionati non sembrano essere (1) V . sopra p. 15.

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N u o re accessioni e inizi di catalogazione, eoe.

417

stati ecclesiastici) dal prete 'Abdannur, che vi fu professore. A f. 1 una mano molto rozza, che potrebbe essere di un Orientale, ha annotato: « questo Libro e di Jacobiti |nel quale son molti errori | e cosi sie ne la forma dell [corredo da ne il] battesimo la benedictione j della sposa e sposo e altre orationi di Pentecoste |e della stimana santa ». Al disopra, in grossi caratteri:

U f o . Nello stesso

foglio, in arabo, la data 1870 Sei./1568. 6. Sir. 6 (38 E), il solo codice Vaticano siriaco che contenga l’Ecclesiastico, il che ne rende sicura l’ identificazione, benché esso non rechi alcuna traccia di appartenenza al Collegio dei Neofiti; doveva tuttavia recarne ancora al tempo dell’Assemani, il quale glielo assegna colle parole «pertinuit olim ad Bibliothecam Collegij Neophytorum et Transmarinorum de Urbe, u t su b e j u s i n i t i u m a d n o t a t u r » . L ’annotazione doveva quindi trovarsi su un foglio di guardia che sarà stato rimosso nell’ultima rilegatura del codice, la quale ebbe luogo, come risulta dagli stemmi di Pio VI e del Cardi­ nal bibliotecario Zelada impressi sui piatti, tra il 1779 e il 1799. Il codice, membranaceo e scritto su due colonne in estrangela abbastanza antica (1), contiene il testo completo dell’ Ecclesiastico, ed è il frammento di un esemplare che doveva comprendere l’Antico Testamento o un volume di esso. Manca di qualsiasi nota di pro­ venienza; a f. 27” reca una variante di mano del vescovo Mosè 1 (2) e nei margini sono segnati in cifre romane gli inizi dei capitoli secondo la divisione della Volgata. 35 probabilmente sua copia il Barber. Or. 76, scritto di mano di Mosè, sul quale v. sopra p. 209. 7. Sir. 108 (47 E). Questo magnifico codice del vii secolo, contenente i capitoli 26-50 del secondo libro della confutazione di Damiano di Pietro di Callinico (3), non ha nessun segno esterno di appartenenza al Collegio dei Neofiti, ma l’indicazione esplicita del­ l’elenco e il numero assegnatogli nel catalogo dell’Ecchellense non lasciano dubbio al proposito. Benché scritto in Mesopotamia, esso fu portato nel convento di S. Maria Deipara nel deserto di Scete (Dayr as-Suryan) da Mosè di Nisibi nel 932, come mostra l’Assemani, ma abbandonò l’Egitto per ritornare in Oriente molto prima che gli altri preziosi codici siriaci che si trovavano nel convento venissero

(1) L ’Assemani lo dice a torto scritto in caratteri nestoriani. (2) Non sono sicuro che siano sue quelle che si trovano a f. 3” e 20”. (3) V . B a u m s t a r k , Oesóh. d. syr. Lit., p. 1779.

27

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Capitolo V I.

acquistati da Elia Assemani per la Biblioteca Vaticana (1), ed è verosimile che venisse acquistato dal vescovo Mosè insieme con gli altri manoscritti provenienti dallo stesso convento. 8. Ar. 21 (106 E). Copiato sull’Ar. 22 (v. n. 10) da Guglielmo Africano (f. 204“ la sottoscrizione y^yy A-Vy

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la parola y ty y è stata poi cancellata e sostituita da ^ ^ y J I

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« Africano Tunisino »). La derivazione da questo risulta, tra l’altro, dall’essere stata trascritta a f. 105 la glossa (¿AAU.) di Ar. 22 f. 106 (a Hebr. 2, 18) e dal trovarsi ripetuta a f. 103“ la pia eiaculazione posta dallo scriba dell’Ar. 22 f. 104 in fine alla lettera a Pilemone: 1AybjJl Ah« Ally y'-’UJI b «Signore, ricorda il povero peccatore che ha copiato e sii benigno verso di lui e salvalo dal giudizio tremendo ». La trascrizione è dunque avvenuta a Roma sotto la direzione del vescovo Mosè, al quale apparteneva l’Ar. 22; la sola differenza dal modello consiste nell’introduzione della divisione in capitoli secondo la Volgata, la quale manca nell’Ar. 22 ma vi è stata aggiunta, in latino, nei margini. La provenienza del codice è indicata in alto a f. 1“: « Epistolae S.u Pauli et alior(um). Acta Apostolor(um). Col­ leg i)! iseophyt(orum) ac Tra(n)smarin(orum). |Rom(ae) ». 9. Ar. 330. V. ai nn. 2, 3. 10. Ar. 22 (107 E). Scritto al Cairo da un monaco melchita nel 6780 dell’èra di Costantinopoli /1288, è appartenuto al vescovo Mosè, giacché sono di sua mano i ff. 123-127 che colmano una lacuna nell’epistola di Giacomo (1,116 alla fine), in calce all’ultimo dei quali si legge la sottoscrizione ^ ¿jyl ly ' UL ¿bJ y=\lL i_y b o ÀJLwj oJ-A |**ob

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« l’epistola di Giacomo è stata com­

pletata - e a Dio sia gloria in eterno - per mano del più misero tra i servi di Dio, Mosè metropolita soltanto di nome ». A f . 148 una glossa marginale che segnala una variante del testo siriaco di Act. 1, 12 è è anch’essa di mano di Mosè. Il codice è stato per qualche tempo (1) Sui manoscritti di S. Maria Deipara migrati in Europa prima del 1633, l’anno in cui il cappuccino Griles de Losches (Egidius Lochiensis) diede all’ Occi­ dente la prima notizia positiva dell’esistenza di essi, v. W . W right , Catalogne of thè Syriac Manuscripts in thè British Museum, III, v, nota §; H. G-. E velyn W h ite , The Monasteries of thè Wàdi’n -Natrun, New York 1932, II, 454 (The M e­ tropolitan Museum of Art Egyptian Expedition). Provengono dallo stesso convento anche l’Ar. 87 e, probabilissimamente, il Sir. 5, ambedue venuti in Europa nel sec. xvi (v. sopra p. 220 e 302)

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N uove accessioni e inizi di catalogazione, ecc.

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nel convento di Dayr as-Suryan nel deserto di Scete (f. 4). È pro­ babile che ne sia stato tolto insieme coi Sir. 18, 107, 108 (forse an­ che 145, 158 e altri), e forse colui che li portò dall’Egitto e li ven­ dette a Mosè fu quel diacono egiziano Gubayr da cui Mosè acquistò l’Ar. 114 (v. al n. 4). La provenienza dal Collegio dei Neofiti è indi­ cata alla fine del codice colla stessa formula e nella stessa scrittura che si riscontrano negli altri codici. 11. Sir. 18 (34 E), un evangeliario giacobita (1> trascritto nel 1792 Sel./1481 nel convento di S. Maria Deipara del deserto di Scete per commissione dell’abate di esso Severo-Ciriaco, il quale porta in calce un anatema contro chi lo distolga dal suo luogo, scritto dal metropolita di Gerusalemme Gregorio non molti anni dopo la copia del codice 1 (2). Anche questo codice (3)4è passato per le mani del ve­ scovo Mosè il quale vi ha apposto nei margini una glossa in arabo (f. 135) e una in siriaco (f. 179”), in quest’ultima menzionando il pro­ prio nome / a s a . scarno ! & .a a c u

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«Ha comprato questo libro dei Salmi

il metropolita Mosè siriano dal diacono Ynsuf ibn Gabriyal e da sua madre Tag - il sommo Iddio dia requie alle loro anime, amen - e da suo fratello Binyamln. Ciò avvenne in presenza del diacono Yn­ suf figlio del diac[ono] . . . di Hims e del diacono Sulayman: Iddio abbia misericordia dei loro morti e dei morti di tutti i fedeli, per mezzo del Signore Cristo, amen ». A f. la: « Collegi] Neophyt)orum Biom(ae) », e più in basso, di altra mano: « Psalmista ». 16. Ar. 341 (117 E), l’opera grammaticale Sarh at-Tasrlf al'izzi (di as-Zanganì) di Mas'ud at-Taftazanl. Il codice, del secolo XV I (x dell’ègira), è stato per un certo tempo in mano di musulmani; non risulta che sia mai appartenuto a Mosè: a f. la l’eulogia cristiana ¿1) asnll « Gloria a Dio continuamente, sempre in eterno, amen » è di mano del neofito Domenico Sirleto. Sui margini dei ff. 13®, 16, 17, 17“, 20, 27, 29 delle annotazioni in italiano e in1 2 (1) Non può essere anteriore a questo tempo, poiché è scritto su carta euro­ pea filigranata, che compare nell’ Oriente Mediterraneo appunto verso il 1540-1550. (2) Leggo un po’ diversamente dal Graf, la cui descrizione del codice è già stampata (nel dicembre 1934).

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Capitolo V I.

latino mostrano che il testo è stato studiato da europei. La nota di prorietà « Collegij neophytor(um) » si legge a f. la; sul v. di f. 1 (pre­ liminare) è incollato un frammento cartaceo (che doveva far parte di un foglio preliminare rimosso nella rilegatura fatta fare sotto Pio IX e il Cardinal bibliotecario G. B. Pitra [1869-1878]) colla nota « Expositio Tasrif. |Collegij Neophyt(orum) ac Transmarin(orum). Rom(ae) ». 17. - Sir. 35 (36 E). Benché il codice (un messale giacobita, tra­ scritto da un vescovo Paolo-Severo nell’elnl (settembre) 1830 Sei./ 1519) non porti la nota di possesso dei Neofiti, la quale può essere andata perduta nella rilegatura fatta fare sotto Clemente X I e il Cardinal bibliotecario Enrico Xoris (1700-1704), non vi è dubbio che esso non provenga dal Collegio; tre note marginali a f. 33, 78”, 83 sono di mano del vescovo Mosè, e la terza, che colma una lacuna del testo, è firmata in arabo « l’ha completata il misero Mosè ». 18. - Ar. 122 (119 E), copiato, secondo la sottoscrizione a f. 106*, dal neofito Domenico Sirleto nel 1580; contiene, come m’informa il Graf, degli estratti dal Kitàb al-magdal di Mari ibn Sulaymàn senza titolo nè nome d’autore. Il titolo datogli dall’elenco si spiega col titolo del terzo capitolo dell’opera, al^ArTccin, che si legge a f. 30. Anche qui la nota di possesso dei Neofiti è scomparsa; la legatura è moderna, dell’età di Pio I X e del Cardinal bibliotecario Pitra. 19. - Sir. 95 (35 E), una collezione di « Scale » (Seblàta) mutila in principio e in fine (1). Il codice, molto in cattivo stato e guasto dall’umidità, viene attribuito al sec. x m (2); non porta traccia di ap­ partenenza ai Neofiti; una glossa araba a f. 68* sembra essere della mano del vescovo Mosè (3). 20. - Ar. 346 (116 E), un esemplare della notissima grammatica aì^Kafiya trascritto il 16 du’l-higga 979 egira/30 aprile 1572 da un Muhammad Derwls, certamente in Persia, come è mostrato dalla calligrafia, in cui il nasta'llq si alterna al nasfil, e da annotazioni in persiano negli ultimi fogli. Dopo la fine del testo a f. 79 si trova il rozzo disegno di una croce colle lettere latine I. N. E. I. nel centro e la scritta ¿AJU i_Ni (sic) LUAA L·) ¿jì yfcUiJI. « Il segno della nostra redenzione è: in nome del (1) B aumstark ,

G esch . d . s y r . h i t . ,

p. 485-6.

(2) rbid. (3) Non è sua, invece, l’annotazione siriaca in caratteri arabi a f. 54.

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Padre, del Piglio e dello Spirito Santo; con esso vincerai i tuoi nemici esterni ed interni », di mano, mi sembra, di Domenico Sirleto, il quale ha anche scritto a f. 1 la basmala cristiana e la nota latina « Correctus fuit. P. P. S. C. N. A. ». La solita nota di pos­ sesso dei Neofiti si trova in alto a f. 2, mentre nell’interno della coperta (che è quella originale, di cuoio rosso a linguetta con impres­ sioni in oro) è stata incollata una strisciolina di carta con scrit­ tovi: « Tractatus dictus caffia ». 21. - Ar. 96 (115 E). È una raccolta di estratti di mano di Domenico Sirleto. La sola prova della sua provenienza dal collegio dei Neofiti è data dal posto che occupa nel catalogo dell’Ecchellense. 22. - Sir. 229 (45 E). La sola prova della provenienza di questo codice dal Collegio dei Neofiti è data dalla sua collocazione nel cata­ logo dell’Ecchellense. È una raccolta di appunti di mano del vescovo Mosè, tra cui un piccolo lessico siriaco, tabelle calendariologiche, ricette ecc.; a f. 70, 70* la data 1580. 23. - Ar. 194 (113 E.). Questo piccolo codice, di formato oblungo (cm. 11 x 15), è stato finito il 13 elnl (settembre) 1584 da Domenico Sirleto, che lo ha scritto per proprio uso (1), con una certa pretesa di eleganza: la carta è spruzzata di rosa e viola, le pagine sono in­ quadrate, nei primi fogli è fatto largo uso di inchiostro rosso e verde, il principio (f. 1*) è ornato con un motivo decorativo a palmette. Il testo consiste in una breve prefazione che sembra dello stesso Sirleto, in un’esortazione al giovane perchè coltivi lo studio e la pa­ zienza (ine. ^AXal |_sxàJl UaiJ) attribuita a S. Efrem e (f. 9 sgg.: l’ordine dei fogli è turbato) in una raccolta di proverbi attribuiti ad Abu 'Ubayd (2). E di fatto i proverbi e gli scolli che li accom­ pagnano corrispondono esattamente a quelli pubblicati dallo Sca­ fi) i_jl

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libro, coll’ aiuto del sommo Iddio, per mano del povero tra gli umani, di nome Abu’ l-ahad ossia Domenico Sirleto, pianta nuova [ = neofito], che lo ha raccolto per proprio uso e scritto di sua mano. Il compimento di ciò avvenne il giorno 13 elul dell’ anno 1584 di Cristo. Lode a Dio, Signore liberale generoso». (2) Ossia Abu 'Ubayd al-Qasim ibn Sallam, il celebre filologo morto nel 223/ 837 (v. B r o c k e l m a n n , I, 106-107, Supplementband, I, 166-167).

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Capitolo V I.

ligero e dall’ Erpenio (1>, salvo elle sono in minor numero e in ordine diverso; anche la breve prefazione che si trova in testa all’edizione e che contiene l’attribuzione ad Abn 'Ubayd l2) è quasi identica a quella del nostro codice. È noto dall’introduzione dell’Erpenio che il codice donde fu tratta l’edizione era stato acquistato a Roma pri­ ma del 1600 dal De Elorence, più tardi precettore di Luigi X III, il quale lo aveva fatto tradurre in latino da un Maronita e aveva por­ tato testo e traduzione ad Isacco Casaubon; questi a sua volta aveva trasmesso una copia del codice allo Scaligero (3). Dove sia andato a finire il codice originale non è noto, ma il codice arabo della Bibliothèque Nationale di Parigi Ancien fonds 1625 è detto nel catalogo del De Siane (n. 3969) contenere la raccolta di proverbi di Abn 'Ubayd ed essere stato scritto nel 1581 da Domenico Sirleto (4); anch’esso è di formato oblungo (cm. 11 x 16). È lecito supporre che si tratti ap­ punto del codice portato da Roma al Casaubon: questo era infatti (così l’Erpenio nella prefazione) fornito di vocalizzazione influenzata dall’arabo volgare e del tutto errata, e tale appare il nostro codice, che è tutto quanto accuratamente vocalizzato, ma senza alcun ri­ guardo alle regole dell’arabo lettarario. La provenienza dal Collegio dei Neofiti è indicata nella solita forma e scrittura in alto a f. 2 ; a f. 1 il titoletto, della stessa scrit­ tura: « Proverbia et Sententie passim collecte ». 24. - Yi corrisponde in E l’Ar. 114. Si tratta di uno stampato, e precisamente dell’edizione in karsnai eseguita a Roma nel 1584 dal tipografo Domenico Basa , varie preghiere e i Salmi 107, 108 (Volgata). La nota di proprietà del Col­ legio dei Neofiti si legge a f. 1 e 8®, in quest’ultimo luogo preceduta dal titoletto « Doctrina Christiana ». 27. - Sir. 212 (Arabo 118 E); il catalogo dell’Ecchellense lo dice proveniente dal Collegio dei Neofiti. È copia del Sir. 211 (v. sopra p. 250). 28. - Ar. 331 (102 E). Quest’ultima parte del Qàmiis (dall’ultima parte della radice alla fine) è stata senza dubbio trascritta per completare l’esemplare mutilo in fine contenuto negli Ar. 328-330 (v. a nn. 2, 3, 9), alla fine del quale si riattacca. È scritto su carta europea, con due filigrane che sono attestate per gli anni 1581 e 1582 ( B r i q u e t nn. 9245 e 9301) e conserva la legatura orientale origi­ nale a linguetta in carta rosa con dorso e coste di pelle nera. Nessuna nota di proprietà del Collegio dei Neofiti. 29. - Ar. 188 (103 E). Questo codice presenta un trattato completo di lingua araba, per opera di Domenico Sirleto (che non sappiamo se ne sia stato l’autore o, come mi sembra più probabile, soltanto l’esecu­ tore); a f. 70® si legge la data del compimento, un lunedì del mese di iyar (maggio) 1581, mentre a f. 112, alla fine del codice, il Sirleto si sottoscrive col nome di Abu’l-ahad ( — Dominicus, v. sopra, p. 4231) e ricorda la data del proprio battesimo, ricevuto in Roma nel 1577. Il titolo, f. 1®, suona |1«-=

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(1) Y . sopra p. 3874.

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426

Capitolo V I.

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