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"Quali sono le idee. le nozioni e le parole ebraiche più importanti che tutti dovrebbero conoscere? E qual è il diz

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Arthur Green Queste sono le parole Un dizionario della vita spirituale ebraica

Giuntina

Quali sono le idee. le nozioni e le parole ebraiche più importanti che tutti dovreb­ bero conoscere? E qual è il dizionario es­ senziale della vita spirituale ebraica? In que to libro di Arthur Green, docente di pcn iero ebraico al l a Brandeis Univer­ sity, apprenderete il significato, la storia e !"origine di quel nuc leo essenziale di parole condiviso e compreso da tutto il mondo ebraico e capirete perché sia im­ portante conoscere e usare queste parole in ebraico, la lingua ne ll a quale fede, de­ sideri. aspirazioni e sogni di un intero po­ pol o sono stari espressi nei secoli. Da

Ado11ài («mio Signore») a zekh1ì1 («meri­ to») queste sono le 149 parole che costi­ tuiscono il dizionario di base dell'identità ebraica comunitaria e re ligi osa.

ISBN 88-8057-144-3

€ 15

9

Il Il Il 1 11 I 788880 571445

Arthur Green Queste sono le parole Un dizionario della vita spirituale ebraica

Traduzione di Rosanella Volponi

Giuntina

Titolo originale: These Are the Wonis Jewish Lights Publishing, Woodstock, Vermont Copyright © 1999 Arthur Green Copyright © 2002 Editrice La Giuntina, Via Ricasoli 26, Firenze

www.giuntina.it

ISBN 88-8057-144-3

Queste sono le parole

per mia sorella Paula, seguace di Aronne, costruttrice di pace. «Cerca la pace» - dove ti trovi; «e

cm1ti1111a a cercarla» - fino

agli estremi co11ji11i della terrei.

Indice

Indice alfabetico . . . . .

11

. . .. . . 70

23. Haggadàh

24. Halakhàh ... ... Introduzione

. . . .. ..

Nota sulla lingua ebraica

1. Dio

e

15 22

i mond i superni

I. Y-H-V-H 2. Adonài

27

. .. . .. . .

29

3. Attàh... . . .. . . 31 4. Din .......... 33 5. Elohìm .. ... ...

35

6. Emèt .. ...... .

37

7. En Sof ........

40

8. Kavòd ........ 41 9. Malàkh ...... . 42 10. Mélekh

......

.

44

1 1. Neshamàh ......

46

12. 'Olàm .. ..... . 48 13. Pardès ........

50

14. Qclippàh ....... 51 15. Rachamìm .. .. .

.

53 54

16. Rùach ha-Qòdesh

17. Sefiròt . . . . . .. 56 1 8. Shaddài . .. ... . 60 .

19. Shekhinàh ...... 6 1

20. Tzimtzùm . . . ..

.

63

2. Toràh: testo e metodo

21. Aggadàh . .. . ... 67 . . . . . . 69

22. Chumào;h

26. Midràsh

. .. . . . .

75

27. Mishnàh ... . ... 78

28. Perùsh, Parshanùt 29. Pirqé Avòt . . . . . . 30. Piyyùt . . . . ... 31. Qabbalàh . ... .. .

. .. ...

71

25. Machzòr . . . . . . . 74

80 83

85 87

32. Séfer . ... .. ... 89 33. Shir ha-Shirìm . . 34. Shulchàn 'Arùkh . . .

90 92

35. Siddùr .. . . ....

94

36 . Talmùd ... . . . .

96

37. Tanàkh ... . . ...

99

38. Techinnòt . .

. . . . 102

39. Tehillìm ....... 104 40. Toràh

. . .. . . . . I 06

3. Pratica religiosa 4 1. 'Amidàh . .. .. . . I 13 42. 'Arvìl, Ma'arìv . . .

115

43. Berakhàh, Barùkh

1 16

44. Dàven, Dàvncn . . .

1 18

45. Dukhàn, Dùkhnen

120

46. Haftaràh . .. ... . 12 2 47. Hallèl

. . . ... ..

48. Havdalàh

. . . . ..

49. Kashèr, Kashrùt

.

.

123 124 126

50. Kol Nidré . .. ... 128 51. Minchàh . . . 5 2. Minhàg

.

. . . . 130

. . . . . . 13 1

7

53. Mitzvàh ....... 133

89. Minyàn . ...... 206

54. Musàf ........ 136

90. Musàr

55. Qabbalàt Shabbàt .. 138

91. Navì

56. Qaddìsh ....... 140

92. Qehillàh ...... 212

57. Qiddùsh . ...... 142

93. Qiddùsh ha-Shem/ Chillùl ha-Shem .. 214

58. Shacharìt

...... 144

59. Shemà'

....... 145 60. Shiv'àh ....... 147 6 1. Ta'anìt ........ 149 62. TaharàWfumàh ... 151 63. Tefillàh ....... 153 64. Yizkòr ... .... 155 .

....... 208 .......

94. Rav ........ 95. Rebbe

.

.

210

215

..... . 217 .

96. Shalòm .. .... 219 .

97. Simchàh ...... 221 98.Talmìd Chakhàm . 223 99. Tikkùn 'Olàm ... 225 100. Tzà'ar Ba alé '

Chayyìm ...... 227

4. Vita spirituale 65. Ahavàh

.. ..... 159

66. 'Anavàh .. ..... 161 67. 'Avodàh ....... 163 68. Bittachòn . ..... 165 69. Deveqùt ....... 167 70. Emunàh .... ... 169 71. Hitbodedùt .. ... 170 72. Hitlahavùt ...... 172

IO1. Tzaddìq

.... .. 229

102. Tzedaqàh

..... 231

103. Tzélem Elohìm .. 233 104. Tzeni'ùt ...... 235 105. Yeshivàh ...... 237 I 06. Yisraèl ....... 239

6. Cose sacre

73. Kavvanàh ...... 174

107. Aròn Qòdesh

74. Neshamàh Yeteràh 75. Penimiyyùt .....

108. Chuppàh ...... 245

.

176 177

109. Lulàv/Etròg

243 .... 246

76. Qadòsh, Qedushàh . 179

llO. Matzàh .... .. 248

77. Ruchaniyyùt

111. Meghillàh

.... 18 1

.

..... 250

78. Teshuvàh ...... 183

112. Menoràh .... .. 252

79. Yétzer ha-ThvNétzer

113. Mezuzàh ...... 254

ha-Rà ' ....... :• 185

114. Neròt Shabbàt ... 255

80. Yiràh ......... 187

115. Shotàr

81. Yissurìm ....... 189

116. Sukkàh ....... 258

....... 257

82. Zekhùt . ....... 19 1

117. Tallìt .... .... 260 118. Tefillìn . ...... 262

5. Comunità, vita con gli altri

7. Luoghi sacri

83. Avòt ......... 195

119. Beriàh

84. Chasìd . .... ... 197

120. Bet ha-Miqdàsh .. 269

85. Chavuràh ...... 199 86. Dérekh Éretz . ... 20 1

122. Éretz Yisraèl .... 274

87. lmmahòt .. .... . 203

123. Kòtel Ma'aravì

88. Mashìach

1 24. Miqvéh ....... 279

8

.... . . 204

. . . . .. 267 .

121. Bet Kenéset .... 272 .. 277

125. Mishkàn .

.

.

. . 281 .

126. Mitzràyim .... . 282 127. 'Olàm 128.

ha-Ba .. . 283 Yerushalàyim ... 285 .

8. Tempi sacri 129. Bar

Mitzvàh/Bat Mitzvàh . ..... 291 130. Brit Milàh ..... 294 131. Chanukkàh ..... 296 132. Levayàh ...... 298 133. Ne'ilàh ....... 299 134. Nissuìn ....... 301

138. Rosh

Hashanàh .. 308 ha-'Òmer . 311 140. Shabbàt ... .. 313 141. Shavu'òt ...... 318 142. Sheminì 'Atzéret . 320 143. Shemittàh/Yovèl .. 322 144. Simchàt Toràh ... 324 145. Sukkòt . .. . 326 146. Tish'àh be-Av ... 328 147. Yom Kippùr .. . 330 148. Yom Tov ...... 332 149. Yortzait ...... 334 139. Sefiràt

.

.

.

.

.

135. Pésach ... ... 302 .

136. Purìm ........ 304 137. Rosh

Chòdesh

.

.. 306

Indice delle parole italiane . ... .. .. 335 .

.

.

Indice alfabetico

Adonài 29 Aggadàh 67 Ahavàh 159 'Amidàh 113 'Anavàh 161 Aròn Qòdesh 243 'Arvìt 115 Attàh 31 'Avodàh 163 Avòt 195 Bar/Bat Mitzvàh 291 Berakhàh/Barùkh 116 Beriàh 267 Bet ha-Miqdàsh 269 Bet Kenéset 272 Bittachòn 165 Brit Milàh 294 Chanukkàh 296 Chasìd 197 Chavuràh 199 Chumà'ih 69 Chuppàh 245 Dàven/Dàvnen 118 Dérekh Éretz 20 l Deveqùt 167 Din 33 Dukhàn/Dùkhnen 120 Elohìm 35 Emèt 37

Emunàh 169 Éretz Yisraèl 274 En Sof 40 Haftaràh 122 Haggadàh 70 Halakhàh 71 Hallèl 123 Havdalàh 124 Hitbodedùt 170 Hitlahavùt 172 lmmahòt 203 Kashèr/Kashrùt 126 Kavòd 41 Kavvanàh 174 Kol Nidré 128 Kòtel Ma'aravì 277 Lcvayàh 298 Lulàv/Etròg 246 Ma'arìv 1 15 Machzòr 74 Malàkh 42 Mashìach 204 Matzàh 248 Meghillàh 250 Mélekh 44 Menoràh 252 Mezuzàh 254 Midràsh 75

II

Minchàh 130 Minhàg131 Minyàn 206 Miqvéh 279 Mishkàn 281 Mishnàh 78 Mitzràyim 282 Mitzvàh133 Musàf 136 Musàr 208

Rosh Chòdesh 306 Rosh Hashanàh 308 Rùach ha-Qòdesh 54 Ruchaniyyùt 181 Séfer 89 Sefiràt ha-'Òmer 311 Sefiròt 56 Shabbàt 313 Shacharit 144 Shaddài 60 Shalòm219 Shavu'òt 318 Shekhinàh 61 Shemà' 145 Sheminì 'Atzéret 320 Shemittàh/Yovèl 322 Shir ha-Shirim 90 Shiv'àh 147 Shof'ar 257 Shulchàn Arùkh 92 Siddùr 94 Simchàh 221 Simchàt Toràh 324 Sukkàh 258 Sukkòt 326

Navì 210 Ne'ilàh 299 Neròt Shabbàt 255 Neshamàh 46 Neshamàh Yeteràh 176 Nissuìn 301 'Olàm48 'Olàm ha-Ba 283



Pardès 50 Penimiyyùt 177 Perùsh, Parshanùt 80 Pésach 302 Pirqé Avòt 83 Piyyùt 85 Purim 304

Qabbalàh 87 Qabbalàt Shabbàt 138 Qaddìsh 140 Qadòsh 179 Qedushàh 179 Qehillàh212 Qelippàh 51 Qiddùsh 142 Qiddùsh/Chillùl ha-Shem 214 ..

Rachamìm 53 Rav 215 Rebbe 217

12

Ta'anìt 149 Taharàh/Tumàh 151 Tallìt 260 Talmìd Chakhàm 223 Talmùd 96 Tanàkh 99 Techinnòl 102 Tefillàh 153 Tefillìn 262 Tehillìm I04 Teshuvàh 183 Tikkùn 'Olàm 225 Tish'àh be-Av 328 Toràh 106 Tzà'ar Ba'alé Chayyìm 227 Tzaddìq 229

Tzedaqàh231 Tzélem Elohìm233 Tzeni 'ùt235 Tzimtzùm 63 Yerushalàyim285 Yeshivàh237 Yétzer ha-Tòv/ha-Rà' 185 Y-H-V-H27

Yiràh187 Yisraèl239 Yissurìm189 Yizkòr155 Yom Kippùr330 Yom Tov332 Yortzait334 Zekhùt 191

Introduzione

Verso una nuova lingua ebraica «Come si dice in jewish?» era una domanda che ricor­ reva frequentemente nel mondo della mia infanzia. Poteva­ no essere una zia o un cugino che facevano questa doman­ da, mentre cercavano di spiegare qualcosa ad un parente più anziano che non era mai riuscito a conoscere a fondo l inglese. Ovviamente, il jewish allora voleva dire lo yid­ dish, il che è esattamente ciò che il termine yiddish signi­ fica: la lingua di noi yidn, gli ebrei. Parlare jewish oggi è cosa ben diversa. Lo yiddish ha perso la sua posizione di lingua franca (o mameloshn, la «madrelingua») tra gli ebrei ashkenaziti (ovvero gli ebrei originari dell' Europa centrale e orientale), e l ' ebraico par­ lato si è identificato sempre di più con la lingua degli israe­ liani. Una nuova lingua per la comunicazione internaziona­ le è emersa all ' interno della comunità ebraica: l ' inglese. In parte perché molti di noi ebrei vivono ora in paesi anglo­ foni, e in parte perché l' inglese è la seconda lingua della maggior parte delle persone istruite, nel mondo, compresi gli israeliani, ed è quindi naturale che sia diventato la lin­ gua internazionale anche fra gli ebrei. Ciò significa che noi leggiamo libri d' argomento ebraico in inglese, vediamo il teatro della nostra tradizione in lingua inglese, ci occupia­ mo della cultura ebraica in inglese, leggiamo le nostre no­ tizie in inglese. A dire il vero quelli di noi che pregano lo fanno, almeno in parte, in ebraico ed alcuni di noi studiano i testi ebraici classici, eppure discutiamo perfino di questi, tra noi, in inglese, la lingua che parliamo per la maggior parte della nostra vita. 15

Non c'è nulla da eccepire sull' uso dell' inglese. Siamo «caduti» piuttosto bene, scegliendo un mezzo linguistico veramente denso di sfumature, arric chito in modo insolita­ mente complesso dal le molte lingue che formano il retag­ gio occidentale. Il solo problema nell' uso dell 'inglese co­ me nuovo linguaggio ebraico internazionale sta proprio nel fatto che non è nostro, poiché siamo ebrei. L' eredità cultu­ rale e spirituale che ha creato gli ebrei e lebraismo non è la stessa che ha creato la lingua inglese. Ci sono, ovvia­ mente, sovrapposizioni importanti poiché entrambe le lin­ gue sono parte della stessa eredità occidentale: la lingua delle Scritture ha grandemente influenzato il modo di espri­ mersi inglese e i tropi letterari, mentre lo yiddish e l ' ingle­ se sono tra loro collegati attraverso una comune eredità germanica ed alcune parole sono simili. Le differenze tut­ tavia rimangono, e abbiamo motivo di temere che molta dell' essenza della nostra eredità vada persa se tradotta completamente in inglese. Una lingua a metà fra l' ebraico e l' inglese è destinata ad emergere nelle prossime generazioni. Si tratterà di un in­ glese parlato e scritto, da e per gli ebrei, che conterrà ele­ menti del vocabolario ebraico e di quello yiddish. Non vi­ viamo più, per fortuna, quel tipo d' esistenza nel ghetto ne­ cessario per generare un altro yiddish, che era il risultato di un rigido isolamento degli ebrei. Certo non propongo che la nostra comunità, caratterizzata da un' elevata cultura, debba parlare I' «yinglish», quell' idioma della zona di Brooklyn, popolare 'tra le generazioni post-immigrazione. Quello che propongo è piuttosto che nel comunicare l' uno con l' altro in un inglese corretto (ammesso che gli ameri­ cani siano capaci di fare una cosa del genere, aggiungereb­ bero i miei amici inglesi ! ) noi integriamo un nucleo di pa­ role ebraiche fondamentali che siano condivise e comprese in tutta la nostra comunità. Queste parole dovrebbero costi­ tuire il vocabolario di base della nostra identità religiosa e comunitaria, dando in prestito alla lingua «straniera» che parliamo un' autentici tà ebraica e un radicamento nei molti secoli di vita culturale che ci hanno preceduto. 16

A dire il vero è difficile vivere una vita ebraica seria in traduzione. Tra le religioni mondiali, l ebraismo ha in co­ mune con l' islam un profondo legame d' affetto con la sua lingua sacra. Ci sono grandi opere appartenenti al mondo islamico scritte in lingua farsi, in urdu e in molte altre lin­ gue, ma qualsiasi mussulmano sa che l arabo, e in partico­ lare l arabo del Corano, è essenziale alla pratica islamica. L' ebraismo è molto simile. L ' insegnamento della nostra tradizione è così intimamente collegato ai testi in lingua ebraica, ai loro sottili significati basati su una lettura mi­ nuziosa e su giochi di parole possibili soltanto nella lingua originale, che un ebraismo espresso attraverso la traduzio­ ne non darebbe mai la sensazione di essere ciò che è real­ mente. Dobbiamo tuttavia accettare il dato di fatto che non tutti gli ebrei, o altri interessati ad avvicinarsi all ' ebraismo, sa­ ranno capaci di impararne la lingua. Avere un'ottima cono­ scenza dell' ebraico, e specialmente acquisire l ' abilità ne­ cessaria per apprezzare le sue molte sottigliezze, richiede anni. Questo nostro mondo, sempre in veloce movimento, s fortunatamente non offre a tutti quelle possibilità di stu­ diare di cui alcuni di noi hanno largamente beneficiato.

Il potere delle parole Assistiamo, in tempi recenti, ad un' enorme ondata d' in­ teresse per la tradizione mistica spirituale ebraica. Entusia­ smati da una gran varietà di esperienze spirituali, gli ebrei sprovvisti di un' educazione religiosa di base «tornano a ca­ sa» per ritrovare la loro tradizione. Anche i gentili, incurio­ siti dall' antichità e dalla ricchezza dell'ebraismo, hanno percepito quella grande saggezza che giace nascosta in quei libri che essi non sono in grado di leggere. Alcune for­ me di meditazione ebraica hanno registrato un ampio se­ guito. Nel caso di questi aspetti mistici ed esoterici del1' ebraismo, la comprensione del vocabolario chiave e delle sfumature della lingua è ancora più importante. La sempli17

ce traduzione in inglese non aiuta molto il lettore, in parti­ colare nel cercare di trasmettere le implicazioni mistiche. Dobbiamo essere in grado di comprendere le associazioni che ciascuna parola evoca, e questo spesso dipende da gio­ chi linguistici e da interrelazioni sottili di parole che non si realizzano nella traduzione. L 'ebraico, come altre lingue semitiche, è basato su un sistema di tre lettere radicali . La maggior parte dei nomi e dei verbi, nel vocabolario dell'ebraico biblico, derivano da questi temi trilitteri. Le parole che derivano dalla stessa ra­ dice sono considerate l' una in relazione con l' altra, anche se sono rese in traduzione inglese con parole completa­ mente diverse. Questa rete di modelli radicali dà al lin­ guaggio una ricchezza associativa che si perde spesso nel­ la traduzione. Un esempio classico di questo modello si trova nella relazione tra le parole rachamìm ( «compassio­ ne» o «misericordia») e réchem («utero» o «grembo»). En­ trambe le parole derivano da un tema c-n-ilr-ch-m. Come far comprendere al lettore di lingua inglese che la «mise­ ricordia» di Dio per tutte le sue creature è come quella di una madre che le ha portate in grembo? Oppure, come esprimere in inglese che il termine halakhàh («legge ebrai­ ca») deriva da 1-"-illh-l-kh, la radice che indica «cammi­ nare», perché essa ci indica il cammino che noi dobbiamo seguire durante la nostra vita? Queste sono le parole è un tentativo di creare un elenco di termini per le persone che aspirano a una comprensione più approfondita della vita ebraica, con un particolare ac­ cento sull ' aspetto spirituale. Nel preparare questo libro, mi sono chiesto: «Quali sono le parole più importanti che un "cercatore" ebreo deve conoscere? Quale è il dizionario fondamentale della vita spirituale ebraica? Per ciascun ter­ mine, ho offerto una definizione, qualche dato storico ed etimologico. Poi ho provato a chiedermi cosa è importante, interessante, o intraducibile con riferimento ad un certo ter­ mine ebraico. Perché, in altre parole, è importante conosce­ re e usare questa parola? 18

Ho iniziato questo libro con un elenco di 100 parole. Poiché da ogni ebreo ci si aspetta, per tradizione, che reciti un centinaio di benedizioni al giorno, ho pensato: imparia­ mo un centinaio di parole. La mia lista, tuttavia, ha supe­ rato ben presto questo limite. Ho deciso allora di attenermi a 120 parole, un numero dal valore positivo nella tradizio­ ne ebraica. Mosè, dopotutto, visse 1 20 anni, e, quando vo­ gliamo augurare a qualcuno lunga vita, diciamo: «Fino a 120 anni ! » . Ma l 'elenco continuava ad allungarsi. Sono di­ ventate 148. Dal momento che ogni combinazione di lette­ re in ebraico può essere letta sia come una parola sia come un numero, ho preso in considerazione il 1 48 e mi sono re­ so conto che noi (perché voi, come lettori, fate parte di quest'impresa) c' eravamo imbattuti in qualcosa d' impor­ tante. Il numero 1 48 in ebraico è scritto ncp e si pronuncia «qémach». Se letto come una parola, tuttavia, ncp!qémach significa «farina». Questo richiama immediatamente alla mente il detto rabbinico: «Se non c ' è farina, non c ' è To­ ràh». Molti commentatori interpretano questo detto come un modo di dire che perfino gli studiosi devono mangiare (e quindi date un contributo . . . ). In questo contesto, invece, noi interpretiamo la «farina» come la materia prima neces­ saria per fare il pane. Questo libro vi fornisce la farina - la materia prima linguistica - per dar forma alla vostra vita ebraica. Dovete mescolarla con quell'acqua di sorgente che solo voi potete fornire (e, possibilmente, con alcune uo­ va . . . ) per preparare il pane della Toràh (oh ! a causa di un'ultima aggiunta, ci sono ora di fatto 1 49 parole in que­ sto libro). Come, spero, scoprirete qui, l ebraismo stesso è una lin­ gua, la maniera di una collettività di esprimere fede, desi­ deri, aspirazioni, sogni. Questo vogliamo insegnare e con­ dividere, per poi passarlo ai nostri figli. Il dizionario della vita ebraica è la struttura attraverso la quale restiamo in collegamento con il passato, ma che ci fornisce anche i so­ stegni a cui agganciare le nostre speranze e i nostri sogni per il futuro. 19

Vi invito pertanto a venire ad apprendere questa lingua con me. Leggete quello che scrivo riguardo a un certo ter­ mine. Pensateci su alla vostra maniera. Confrontate la mia interpretazione con altre che vi sono state insegnate da rab­ bini o insegnanti . Siate liberi di non condividere la mia comprensione (spesso neo-chassidica) della tradizione, o alcune mie interpretazioni idiosincratiche dell'ebraismo. Questo libro presenta, intenzionalmente. molti spazi vuoti, alcuni vicini a ciascun termine. Vi invito caldamente a scri­ vere in questo l ibro. Usate gli spazi vuoti per aggiungere le vostre interpretazioni . Appropriatevi di questo libro pren­ dendo parte alla sua scrittura. Mettete i vostri commenti ac­ canto ai miei per rileggerli poi più avanti negli anni . Tra­ smettete questo elenco, se possibile nella versione arricchi­ ta dai vostri interventi, alla successiva generazione. La Toràh è un processo che non ha mai fine. Il fatto stesso che ognuno di noi costituisce un anello fra quelli che ci hanno preceduto e quelli che verranno dopo di noi signi­ fica che siamo tutti trasmettitori di Toràh. Per fare ciò fe­ delmente, dobbiamo apprendere, assorbire e comprendere gli insegnamenti di tutte le generazioni che ci hanno prece­ duto. Imparare il vocabolario della vita ebraica è un passo piccolo ma cruciale in quella direzione. Dopo di esso c'è un secondo passo: dobbiamo fare nostra questa tradizione, inserirla nel nostro linguaggio, arricchirla con i nostri inte­ ressi . L' ebraismo che cerchiamo di condividere con gli altri e di trasmettere ai nostri figli dovrebbe essere migliore e più ricco perché ·fa nostra generazione lo ha «vissuto» . Nessuna tradizione può sopravvivere come mera eredità, un passato oneroso che non possiamo evitare. Soltanto ag­ giungendo l ' esperienza e l' esempio della nostra vita ebrai­ ca ali' eredità che ci è stata tramandata, affidiamo veramen­ te una toràt cha)�vìm, un insegnamento vivo, a coloro che verranno dopo di noi. Nel dedicare questo libro a mia sorella Paula, ho in mente anche le innumerevoli donne, come lei, alle quali non era stata offerta la possibilità - data a noi loro fratelli di ricevere un' istruzione ebraica. Fortunatamente questa si20

tuazione è cambiata ai nostri giorni, ma ci sono ancora molte donne (e non pochi uomini) che si dolgono di non aver ricevuto, in parte o del tutto, un' adeguata istruzione ebraica. Ecco qui , Paula - per te e per tutti gli altri -, quel1' ebraismo fondamentale, di cui sentivate la mancanza, fil­ trato attraverso gli anni da me vissuti condividendo questa nostra tradizione. Che possiate trarne gioia!

21

Nota sulla lingua ebraica

Traslitterazione e pron uncia Q uesto libro fa uso di una versione semplificata della traslitterazione usata dagli studiosi. Le lettere, tutte consonanti, dell'alfabeto ebraico sono rappresentate secondo lo schema seguente: Lettera

Traslitt.

Nome

Pronuncia

llt

non traslitterata

àlef

lettera praticamente senza suono

::J

V

vet

V

:li

b

bet

b sempre g duro

l

g-gh

ghimcl

,

d

dàI et

d

ii

h

he

leggermente aspirata, ma muta in fine di parola

,

V

vav

V

T

z

n

eh

t:I

..

zàin

s

chèt

gutturale aspra, come nel tedesco «ach»

tet

t dura ed enfatica

dolce come in «rosa»

'I

y-i

yod

1=>

kh

khaf

praticamente come la c/1èt; la forma allungata si usa in fine di parola



k

kaf

k (e dura)

"

làmed

I

Cl'.:>

m

mem

m; la forma quadrata si usa in fine di parola

p

n

nun

n; la forma allungata si usa in fine di parola

22

Lettera

Traslitt.

Nome

e

s

sàmekh

l7

'ì�

f

Pronuncia s

aspra come in «casa»

'àyin

suono gutturale (praticamente muto)

fe

f; la forma allungata si usa in fine di parola

D

p

pc

r::i:

tz

tzadi

p

q

qof

k (e dura cd enfatica)

ì

r

resh

r

Ili

sh

shin

tz1

s

sin

n

tav

p z

dura come in «nazione»; la forma allungata si usa in fine di parola

se come in «scena» s;

non si distingue dalla sàmekh (vedi sopra) t

Le lettere ebraiche che hanno al loro interno il dagh èsh forte (un puntino) in italiano raddoppiano la lettera, come in Qabbalàh e Shabbàt. Da non confondere questo dagh èsh con quello cosiddetto lene che serve soltanto a distinguere, per esempio, la vet dalla bet (vedi sopra). L'ebraico moder­ no segue la tradizione sefardita nel porre l'accento sull' ul­ tima sillaba di ogni parola (salvo eccezioni da noi debita­ mente segnalate). Le vocali, che suonano praticamente co­ me in italiano, sono segnate nei libri di preghiere con ag­ giunte di punti o di lineette sopra o sotto le lettere. In questo libro, come ormai è consuetudine, non sono riporta­ le. Ricordiamo infine che l' ebraico si legge da destra a si­ nistra!

Forme singolari e plurali Il plurale in ebraico si forma di solito aggiungendo il suffisso -im o -ot alla parola. Poiché di solito ot è il suf­ fisso usato per il femminile plurale, la desinenza in -ah, che indica il femminile singolare, cade prima del suffisso -ot. Ecco alcuni esempi: -

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SINGOLARE

PLURALE

etròg c:hasìd tallìt yeshivàh

etroghìm chasidìm tallitòt yeshivàt

Nota s ui «Rabbini» L' ebraismo, come lo conosciamo, venne creato dai pri­ mi maestri in quello che è chiamato il periodo rabbinico della storia ebraica, l' epoca della Mishnàh* e del Talmùd*, intorno al 100-600 e.v. Quando parlo dei Rabbini, in questo libro, non mi riferisco a Rav Goldberg del Bronx o a Rav Shapiro di Chicago. ma alle guide di quel periodo di for­ mazione.

* L ' asterisco che segue ogni termine ebraico indica che esso è spiegato in questo volume. Vedi l' indice alfabetico a p. 1 1 .

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1

c:i.,:J,.,',:sJ nio',i17 ,nin',N Dio e i mondi supemi

Y-H-V-H

Non iniziamo in ordine alfabetico. Tutte le altre parole di questo libro lo rispetteranno, ciascuna all'interno della sua categoria. Ma questa è la parola al di là di ogni altra, quella che deve essere la prima, la sorgente dell'energia cosmica e verbale che è alla base dell' esistenza di tutte le altre. La Toràh* indica con Y-H-V-H il nome di Dio. Quando il Signore appare a Mosè nel roveto ardente per inviarlo a compiere la sua missione (Es. 3:15), gli rivela questo no­ me. A Mosè viene detto che questo è il nome di Dio «per sempre», sebbene quella parola sia scritta in un modo che

potrebbe significare anche «segreto» o «nascosto». I com­ menti inteipretano n-i-n-.,!Y-H-V-H come il nome nasco­

sto, misterioso di Dio. In cosa consiste il suo mistero? Prima di tutto, esso non ha vocali. Senza vocali, che di solito si presentano come pu nti al di sotto o accanto alle lettere, è impossibile pro­ nunciarlo. Inoltre Y-H-V-H non è composto di vere conso­ nanti! Y, H e V sono in realtà emissioni di respiro, il fluire

veloce dell' aria attraverso la bocca. Non vi è niente di so­ lido o concreto in esse, non il suono di una «B» o di un «K» che richiedono un preciso intervento delle labbra, dei denti o della gola. L'idea è quella dell'inafferrabilità o del1' astrazione. Il nome di Dio è così sottile che può sfuggirvi. Y-H-V-H non è un Dio che potete afferrare ed essere sicuri di averlo saldamente stretto nella vostra «presa» mentale. Y-H-V-H, come la maggior parte delle parole ebraiche, sembra derivare da una radice trilittere. H-V-H è la radi­ ce che significa «essere» o «esistenza». La Y all'inizio di

Y-H-V-H

potrebbe indicare il tempo incompiuto, per cui

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potremmo tradurre il nome con il significato di «ciò che è» o «ciò che sarà». Ma Y-H-V-H è, molto probabilmen­ te, un' ardua unione di tutti i tempi, ed è meglio tradurlo come « È-Era-Sarà». In effetti la parola ebraica per «esse­ re» è HaVaYaH, che è una semplice inversione delle let­ tere in Y-H-V-H. Il verbo iussivo di Genesi 1, yehì o «che sia», è in stretto rapporto con esso. Y-H-V-H, in realtà, non è affatto un nome, ma un verbo afferrato nel suo movimento, reso artificialmente immobile dalle no­ stre menti ignoranti sotto forma di nome, un movimento concepito come se fosse una «cosa». È lo stesso proce­ dimento di una macchina fotografica ferma, che fissa l ' istantanea di un'azione dando l ' impressione di aver «Catturato» qualcosa di immobile. Non soltanto noi non siamo in grado di pronunciare correttamente questa parola; non ci è neppure permesso di tentare. Questo nome «preciso» di Dio doveva essere pro­ nunciato solo una volta all ' anno dal sommo sacerdote nel Sancta Sanctorum, il giorno di Yom Kippur* . Nessuno sce­ nario di minore importanza era considerato adeguato al proferimento del Nome. Dopo che il Secondo Tempio fu distrutto (nel 70 e.v., dai Romani) fu assolutamente proibi­ to il pronunciarlo in qualsiasi occasione, e fu sostituito da diversi altri termini, a cominciare da Adonài*.

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Adonài

Significa. letteralmente, «mio Signore», un termine con cui rivolgersi ad un superiore, come «m'lord» nel vecchio stile inglese. Sin dai primissimi tempi questo termine è sta­ to usato in sostituzione di Y-H-V-H*, che non poteva essere pronunciato. Quando la Bibbia ebraica venne tradotta per la prima volta in greco (intorno al 200 a.e.v.) fu la parola Adcmài che i traduttori greci resero come Kyrios o Signore. La tradizione midrashica offre una spiegazione illumi­ mmte per lorigine di questo termine come sostituto per il nome di Dio. Quando Dio creò Adamo, si racconta che gli ungeli furono presi da una gelosia rabbiosa. «Un semplice terrestre!» dicevano, negando che Adamo avesse un qual­

siusi valore speciale. Ma Dio amava Adamo e voleva che egli mostrasse la sua saggezza. Cosl Dio fece venire avanti i.lii animali, uno dopo l'altro, e chiese agli angeli di dar loro un nome. Non avendo alcuna esperienza del mondo anima­ le, gli angeli non seppero rispondere. Allora Dio chiamò Adamo e chiese a lui di dare un nome agli animali. Adamo fece ciò in breve tempo. «E ora - disse Dio - quale do­ vrebbe essere il tuo nome?». Rispose Adamo: «Il mio no­ me dovrebbe essere Adamo, perché sono stato tratto da mlt11nah ("terra")». «E quale dovrebbe essere il mio no­ me?» chiese Dio. «Tu - replicò Adamo immediatamente dovresti essere chiamato Adonài, perché Tu sei il Signore di tutte le Tue opere». Da questo midràsh* si può apprendere una duplice le1.ione. Una è che l'essere Signore sopra di noi non è la par­ te più importante del Sé Divino. L'essenza divina è espres­ sa in modo migliore dal nome Y-H-V-H*, perché la Presen1.u di v ina permea tutta l'esistenza. Siamo noi esseri umani

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che attribuiamo a Dio il dominio, per il nostro bisogno di sottomissione. Il potere è una proiezione della società uma­ na nell'Essere divino, misterioso, inconoscibile. Nonostan­ te questo, tuttavia, chiamiamo Dio Adonài perfino nelle no­ stre preghiere più intime. Usiamo questa parola come se fosse realmente un nome. Questa è la seconda lezione. Dire «Signore» ci mette in relazione con Y-H-V-H. Questo desi­ derio di un rapporto, anche se con un essere così astratto come Y-H-V-H, è un segno del nostro amore. Dio risponde al nostro amore e sceglie di essere chiamato con questo no­ me che abbiamo creato per lui, alle nostre origini, piuttosto che con il suo nome dichiarato, Y-H-V-H.

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Attàh

La parola ebraica che traduce «tu» può sembrare una Ncclta abbastanza strana da introdurre in quest'elenco di

k�rmini spirituali. Nell'ebraico moderno parlato essa è usa111 continuamente nella conversazione senza pensarci. Ma «tu» è anche «Tu», il pronome con cui ci rivolgia­ mo a Dio nella preghiera. Questo ci fornisce una buona oc­ l'nsione per riflettere un poco sull'ebraico, una lingua nella 11uale anche la parola più breve e semplice non può essere pronunciata senza sottintesi teologici profondi. Poiché l\!hraico si è mantenuto cosi a lungo come lingua sinago­ tinlc, la mag gior parte degli ebrei, per più di mille anni, ha upprcso attàh come la parola che segue barùkh (nella frase « hcnedetto sei Tu ... ») ali' inizio di tutte le benedizioni c·hrniche tradizionali. La grande intuizione del filosofo Martin Buber nel1 'opera. diventata un classico, Io e Tu sta nel percepire in o�ni «tu» che noi pronunciamo gli echi dell'«eterno Tu». Venne colto da quest'intuizione perché stava pensando in c•hraico. Ogni attàh, per l'ascoltatore sensibile al ritmo tlcll'cbraico, porta in sé l'attàh che proferiamo quando ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Ogni attàh, quindi, con­ licnc in sé qualche frammento nascosto di preghiera. La parola è inevitabilmente parola sacra, se analizziamo pro­ fondamente la sua radice. Il genio di Buber stava nel ren­ lk!rc universale l'esperienza che ha l'ebreo di questa paro­ In ebraica primaria. Le prime due lettere di attàh sono alef e tav. Queste for­ mano l'inizio e la fine dell'alfabeto ebraico. Poiché i mae­ stri della mistica credono che Dio abbia creato tutti i mondi rnn la combinazione delle lettere, alef e tav si possono

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considerare come simbolo di tutta la Creazione. Tutto ciò che è stato o mai sarà accade solo attraverso le lettere dal­ l' aie/ alla tav (si tratta di qualcosa di simile al detto di Ge­ sù, in greco, «lo sono l ' alfa e l ' omega», intendendo con ciò «lo sono l' inizio e la fine»). Tuttavia, combinare insieme queste due lettere ci dà soltanto la parola et, una particella usata per il complemento oggetto. Aie/ e tav fanno riferi­ mento al mondo soltanto come ad un oggetto. La terza lettera in attàh, la he, è usata qui per rappre­ sentare il nome di Dio. Aggiungete il nome di Dio alla aie/ e alla tav e la parola prende vita. Con l' aggiunta della he (anche se la he in realtà non è altro che un soffio ! ) la parola non è più il segno dell' oggetto, ma «Tu» ! Il suono finale «aaahh» ci porta all'esterno, ci connette con l ' altro. Con attàh noi ci rivolgiamo al Soggetto vivente, non all ' oggetto inanimato o astratto.

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l>in

,

.,

,

Din è il termine ebraico più comune per «giudizio». Un

lri hunale è un bet din («una casa del giudizio»); un giudice � un dayyàn, una persona che emette il din. Una delle più conosciute rappresentazioni di Dio nella lrndizione popolare ebraica è quella del Giudice che presie11t� il tribunale celeste. Questa immagine è collegata in par­ licolar modo

a Rosh Hashanah*, che è conosciuto come lo

''""' ha-din («il giorno del giudizio»). Il forte senso che ha

l'chraismo della responsabilità morale suscita quest'imma­ !'inc. Ciascuno di noi è responsabile delle sue azioni e noi 'iimno chiamati a renderne conto davanti a Dio. Ma l'attributo del giudizio (middàt ha-din) è solo un nspctlo dell'Identità divina. Dio ha un senso, ugualmente forte, della misericordia nei nostri confronti, poiché siamo tutti suoi figli. Perciò facciamo appello a Dio perché ci giu­ dichi come un Padre divino, come Uno nel cui amore pos­ siumo sempre confidare, anche quando dovremmo essere

puniti. 11 perfetto equilibrio di questi due attributi divini - din e

mdwmìm* («misericordia»), qualche volta descritti anche rnme la mano «sinistra» e la «destra» di Dio - è importan­ lc nello speciale simbolismo della Qabbalàh*: Là il din, l'uspetto di Dio che giudica e punisce, ha una natura cru­

de le e quasi incontrollabile. Se non viene adeguatamente mi t ig ato dalla forza della misericordia. esso diventa la ra­ dice del male, la fonte all'interno di quell'unico Dio di tut10 ciò che si oppone alla divinità. Il male è costituito, per­ l'iò, dal giudizio divino fuori controllo. Per dirla in modo diverso, la Qabbalàh insegna che il giudizio, quando non

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va di pari passo con l ' amore e con la misericordia. può es­ sere demoniaco piuttosto che divino. I dinìm, nel linguaggio qabbalistico, sono le forze nega­ tive, le scintille del male. Esse devono essere restituite a Dio tramite i nostri atti di venerazione e «purificate» men­ tre esse ritornano alla loro radice. Questi dinìm non devono essere confusi con i dinìm della letteratura halakhica. nella quale questo termine vuol dire semplicemente «leggi» o «sentenze».

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Elohìm

E/oltìm è il comune termine ebraico per «dio». La Bib­ hiu lo usa quando fa riferimento sia al «Dio» d'Israele che 111tli «dei » degli altri popoli. La parola è, talvolta, usata nel �ignificato di «eminente» con riferimento ad un'autorità umana rispettata.

La cosa più interessante riguardo a Elohìm è il fatto che �i tratta di una forma plurale. La Bibbia riconosce questo fnllo nell'usarla quando parla degli «dei degli altri». In 'lucslo caso verbo ed aggettivi a nasce dal comandamento biblico (Lev. 23 : 1 5) di contare cinquanta giorni dal giorno dopo il Sabato (Shabbàt*) che segue l' offerta del primo orzo. fino alla festa delle primizie (Shavu 'òt*), che in greco viene chiamata Pentecoste (cinquantesimo) proprio per questo motivo. I farisei, e in seguito i rabbini, stabilirono che quel «Sabato» fosse il primo giorno di Pésach, anche se esso cadeva durante la settimana. Nella pratica tradizionale ebraica, il conto di ciascun giorno è eseguito come un atto rituale, preceduto da una benedizione (berakhàh *). Il conto viene eseguito preferi­ bilmente la sera, dopo che sono spuntate le stelle. Le settimane del conto dell"àmer sono considerate da­ gli ebrei osservanti come un periodo di afflizione, sia pure di minore importanza. Non vengono celebrati matrimoni, la musica non viene suonata, ed altri tipi di intrattenimento sono evitati. Non si tagliano i capelli cd alcuni uomini non accorciano la loro barba durante il periodo della sefiràh, come esso è chiamato. Le origini di questa indicazione co­ me un periodo di lutto sono oscure. Una spiegazione tradi­ zionale è che una pestilenza uccise molti degli studenti di Rabbi Akiva, cessando soltanto nel trentatreesimo giorno (lag ba- 'òmer), il che spiega perché le proibizioni legate a questo periodo siano cancellate quel giorno (ed alcuni di­ cono: a partire da quel giorno). Gli antropologi hanno evi­ denziato un' analoga stagione primaverile di cordoglio (la Quaresima cristiana, per esempio) in molte altre culture. I qabbalisti (Qabbalàh*) collegano ciascuno dei quaran­ tanove giorni della sefirat ha- 'òmer ad alcune combinazio­ ni di due delle sette sefiràt* inferiori. Perciò il primo gior311

no è chésed all' interno di chésed, un periodo di grande gra­ zia divina; il secondo è din all ' interno di chésed, un perio­ do di pericolo superato ecc. Soltanto dopo la combinazione finale di malkhùt entro malkhùt, con il potere sovrano di Dio pienamente stabilito, può arrivare Shavu 'òt, e si può celebrare il dono della Toràh* . L'insegnamento chassidico vede le sette settimane come un periodo di purificazione, durante il quale Israele si prepara ancora una volta a rice­ vere la Torà/i.

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Shabbàt

n::iro

Shabbàt, o Sabato, è l' istituzione religiosa centrale del­ l' ebraismo rabbinico. L' osservanza dello Shabbàt è la pra­ tica che definisce più di tutto l' appartenenza alla comunità osservante degli ebrei credenti. L' idea di un giorno santo, diversamente da qualsiasi concetto di luogo sacro, è consi­ derata dalla Toràh* come esistente fino dall 'inizio del mon­ do. È iniziato il giorno dopo la creazione degli uomini, il giorno in cui Dio si è riposato. Dio ha santificato il Sabato dall 'inizio stesso del tempo (Gen. 2: 1 -4). Questo è un mo­ do di dire che l esistenza umana stessa non può essere im­ maginata in un mondo dove non c'è lo Shabbàt. La radice della parola Shabbàt significa «cessare» o «desistere». Osservare lo Shabbàt vuol dire cessare la no­ stra vita lavorativa ed interrompere la nostra routine gior­ naliera ogni settimo giorno, rendendo quel giorno santo. Shabbàt deve essere un giorno di godimento del mondo di Dio piuttosto che di scontro con esso; un giorno di disten­ sione piuttosto che di lotta, un momento per vivere in ar­ monia piuttosto che di conseguimento del dominio. Due eventi sono celebrati ogni Shabbàt. Uno è la Crea­ zione del mondo da parte di Dio. Il nostro riposo è un mo­ do di prender parte al riposo di Dio, addirittura rientrando, per un momento, in quel giardino perfetto che era il mondo secondo l ' intenzione di Dio. Shabbàt è famoso per portare in sé «il sapore dell' Eden» e «qualcosa del mondo a venire ( 'olàm ha-ba*)», che è un Giardino dell' Eden ripristinato. Ma Shabhàt commemora anche l' Esodo dall' Egitto (Mitz­ ràyim*). Gli schiavi non sono in grado di scegliere il loro riposo. La capacità di creare il proprio equilibrio tra lavoro e svago è un segno di libertà. Secondo il Midràsh*, Mosè 313

andò da Faraone e chiese un giorno settimanale di riposo per gli schiavi ebrei, istituendo così Io Shabbàt perfino pri­ ma che essi lasciassero l ' Egitto. Parte di ogni celebrazione dello Shabbàt consiste nella nostra ammissione che siamo ancora schiavi del lavoro, schiacciati, oggi, dal ritmo velo­ ce della nostra vita lavorativa e dalla pressione di vivere in una società orientata sempre più verso la conquista. I nostri padroni, oggi, possono essere elettronici piuttosto che uma­ ni, ci blandiscono più che frustarci per farci lavorare anco­ ra un po' più velocemente e più duramente. La nostra ca­ pacità di metterli da parte una volta alla settimana è la no­ stra proclamazione di liberta, un motivo autentico di cele­ brazione. La Toràh non dà quasi alcuna istruzione su come osser­ vare il Sabato. Il «lavoro» è proibito, ma la natura di que­ sto lavoro non è specificata. Alcuni dettagli, compreso il divieto di accendere il fuoco e di raccogliere legna il gior­ no di Sabato, sono tutto ciò che il testo fornisce. I rabbini, tuttavia, trovarono un intero corpo di leggi del Sabato ce­ lato nella Toràh, basato su un' analogia tra la melakhcìh («lavoro») proibita per Shabhàt e il lavoro richiesto per la costruzione del tabernacolo nel deserto (mishkàn*). Tutti i tipi di lavoro richiesti per la costruzione (ci sono trentano­ ve categorie principali e molte da esse derivate) sono quelli proibiti i l giorno di Shabbàt. Il tabernacolo. naturalmente, rappresenta il Tempio di Gerusalemme (bet ha-miqdcìsh*). Nei tempi antichi la reli­ gione d ' Israele aveva il suo punto focale nel Tempio, e i riti più importanti avevano luogo solo in quel posto sacro. Tutto il resto del mondo, per così dire, era situato tutto intorno ad esso (dal momento che i cristani hanno ereditato questa geografia sacra dagli ebrei, non sorprende che le mappe più antiche mostrino Gerusalemme come il centro del mondo). I rabbini del primo e del secondo secolo, di fronte alla perdita del Tempio, capirono che esso doveva essere in qualche modo sostituito. Un centro sacro portatile, tale che santifi­ casse il tempo più che l o spazio, poteva servire ugualmente allo scopo sia in esilio che nella Terra Santa, e non avrebbe 314

minacciato il loro costante attaccamento a Gerusalemme ( Yerushalàyim*). Ingegnosamente essi collegarono stretta­ mente il Sabato al Tempio, impiegando la stessa serie di re­ gole. Facendo questa serie di lavori, costruiamo lo spazio sacro; astenendoci dallo stesso elenco di lavori santifichia­ mo il tempo sacro. Shabbàt diventa così un' immagine spe­ culare del Tempio, un tabernacolo-in-esilio che funge, nei secoli, da centro effettivo della vita ebraica. Shabbàt può essere ancora il modello religioso più im­ portante che l'ebraismo può dare all' umanità. Nella nostra epoca dall' andatura sempre più veloce e dalle esigenze sempre maggiori, la necessità di un giorno di autentico ri­ poso è ancora più importante. Ma le forme di osservanza del Sabato, nel loro evolversi in infiniti dettagli, sono, per molti ebrei, soffocanti e perfino opprimenti nei confronti dello stesso spirito di libertà dello Shabhàt. Lo Shabbàt dei nostri giorni dovrà essere più semplice e efficiente. Ciò è necessario prima che Io Shabbàt possa essere accettato da settori più vasti del popolo ebraico, ed anche per il bene di qualsiasi messaggio nuovo. relativo al Sabato, che speria­ mo di potere estendere al di là dei confini della nostra co­ munità. Uno Shabbàt di questo tipo dovrà naturalmente es­ sere totalmente spontaneo, senza alcun tipo di costrizione. Nell' intento di provvedere a questa necessità, ecco l elenco di dieci consigli per un Sabato moderno. Possono essere utilizzati singolarmente, per creare uno Shabbàt per voi e la vostra famiglia, o in unione con qualunque cosa vi sembri giusta, contenuta nell'halakhàh* tradizionale.

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Dieci consigli

per

un Nuovo Shabbàt

Cose da farsi: I . Rimanete a casa. Passate del tempo prezioso con la vo­

stra famiglia e i veri runici . 2. Festeggiate con gli altri : alla vostra tavola, in sinagoga, con la vostra comunità o chavuràh*, o con coloro con i quali potete meglio condividere il sentimento di apprez­ zrunento per il mondo di Dio. 3. Studiate o leggete qualcosa che vi istruisca, vi sia di sti­ molo o vi faccia crescere. 4. Rimanete da soli. Prendete del tempo per voi stessi . Esaminatevi. Riconsiderate la vostra settimana. Chiede­ tevi a che punto siete nella vostra vita. 5. Contrassegnate l ' inizio e la fine di questo tempo sacro: con l 'accensione delle candele e il qiddùsh* la sera del venerdì, e I' ha vdalàh* il sabato sera.

Cose da evitare:

6. Fare tutto quello che sia legato al vostro lavoro. Questo comprende le letture obbligatorie, i compiti a casa dei figli (anche se non scritti !), gli obblighi sociali non de­ siderati e il prepararsi al lavoro o farlo addirittura. 7. Spendere denaro. Separatevi totalmente dalla cultura consumistica che ci assedia. 8. Fare affari. Nessuna telefonata al vostro operatore di borsa, nessuna attenzione agli annunci economici , nes­ sun pagamento di conti. Tutto questo può attendere. 3 16

9. Viaggiare. Evitate in particolare gli aeroporti, le stazio­ ni, gli alberghi e altri luoghi di incontro altrettanto spersonalizzanti . Tenetevi lontani da situazioni nelle quali è probabile che gli altri vi augurino una buona giornata ! («Shabbàt è sempre una buona giornata, gra­ zie !»). 10. Dedicarsi ad un tipo di intrattenimento consumistico e pre-confezionato, come quello della tivvù o del com­ puter. Fate in modo di trovarvi faccia a faccia con co­ loro che sono intorno a voi piuttosto che stare di fronte ad un video onnipotente.

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Shavu'òt

Shavu 'òt, che si fe steggia cinquantun giorni dopo l' ini­ zio di Pésac:h*, è descritta nella Bibbia come una festa agricola. La ricca descrizione di questa festa, che leggiamo nella Toràh* (Deut. 1 6:9- 1 2) la mostra come un periodo pieno di gioia, che celebra la piena maturazione dei raccol­ ti. È anche la festa durante la quale le primizie vengono portati al Tempio. Soltanto nelle scritture post-bibliche Shavu 'òt è presen­ tala come il giorno in cui fu data la Toràlz. Nel l' ebraismo rabbinico, questo è il significato principale della festività. Le sinagoghe sono decorate con foglie verdi, in un modo che richiama alla memoria lo scenario esterno del monte Sinai . La lettura della Toràh è presa dall' Esodo 1 9-20, il racconto del dono della Torà/i, seguìta da un' hajìaràh* presa dal primo capitolo di Ezechiele, la visione del carro divino, una replica del l ' esperienza del Sinai nella vita di un singolo profeta. I qabbalisti (Qabbalàlz *) dettero origine ad un' usanza ora ampiamente diffu.sa, quella di rimanere svegli tutta la notte della vigilia di Shavu 'òt, studiando la Toràh, come preparazione al dono della Toràh, che avverrà ancora una volta, all ' alba. Sebbene ci siano varie consuetudini per quanto riguarda cosa si debba studiare in questa occasione, venne compilato ad hoc uno speciale elenco, chiamato Tikkùn Lei Shavu 'òt, contenente letture da ogni sezione della B ibbia (Tanakh*) e anche una crestomazia degli inse­ gnamenti rabbinici. Il patto del Sinai è spesso rappresentato come il matri­ monio simbolico tra Dio e il popolo ebraico. Nelle sinago­ ghe sefardite, una speciale ketubbàh. o contratto di matri318

monio, viene letta in sinagoga per celebrare quest' occasio­ ne. Per Shavu 'òt vi è anche la consuetudine di leggere il Libro di Ruth, perché gli eventi di questo racconto ebbero luogo «all' inizio della raccolta dell' orzo» (Ruth I :22). È appropriato che Ruth, la madre simbolica di tutti i conver­ titi all' ebraismo, sia accolta con favore nel giorno della fe­ sta in cui viene rinnovata l' alleanza del Sinai.

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Sheminì 'Atzéret

Sheminì 'Atzéret è l 'ottavo giorno dall' inizio di Sukkòt*, ma è considerata una festa a parte nel calendario ebraico. La sukkàlz* non viene più utilizzata; né lo sono il lulàv* e I' etròg * Non vi è alcun simbolo particolare collegato a questo giorno, che è visto come un perdurare della gioia di Sukkòt. In Israele, Sheminì 'Atzéret e Simchàt Toràh* sono celebrate nello stesso giorno, e il carattere della festa è dato principalmente dalla seconda. Il Midràsh* offre varie spiegazioni per questa festa «in più». I pellegrini erano soliti intraprendere un lungo viag­ gio verso Gerusalemme per celebrare Sukkòt, probabilmen­ te la festa di pellegrinaggio più ampiamente osservata. Al­ cuni restavano per quasi l ' intero mese per stare nella città santa e dimorare «nelle corti di Dio». Desideroso della loro compagnia. Dio è come il re che chiede ai suoi di letti ospiti di trattenersi un giorno in più, per il puro piacere di stare insieme. Altre fonti fanno notare che Sukkòt è una festa a carattere universale, quando settanta vitelli sono offerti du­ rante i sette giorni, in, onore delle settanta nazioni del mon­ do. Dio invita poi Israele a rimanere ancora un altro giorno, soltanto loro due, come il cerimoniere che rimane alla corte del suo signore, dopo che tutti gli ospiti importanti sono partiti. In quanto ultimo giorno stabilito delle festività autun­ nali, Slzeminì 'Atzéret è il giorno in cui si dice una pre­ ghiera per la pioggia nella preghiera di musàj* . Questa preghiera introduce la supplica quotidiana per la pioggia (glzéshem). recitata nell"amidàh* per tutta la stagione delle piogge, che fini sce con Pésach* . Come l ' analoga preghiera per la rugiada (tal), recitata il primo giorno di .

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Pésach, essa vien cantata con una melodia solenne e ter­ ribile insieme, che ricorda la liturgia di Rosh Hashancìh* e di Yom Kippùr*.

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Shemittàh/Yovèl

Shemittàh, l ' anno sabbatico, e yovèl, il giubileo, sono parte dell' antica legislazione biblica che riguarda specifica­ mente il popolo ebraico che vive in Éretz Yisraèl* . Queste leggi, riportate in Levitico 25, ricordano a Israele che la terra appartiene a Dio. Noi siamo soltanto i suoi ammini­ stratori. Il ruolo d ' Israele sulla terra è analogo a quello di Adamo nell' Eden: «lavorarlo e custodirlo» (Geo. 2: 1 5). La Terra d ' Israele è un dono divino, che è in relazione con la capacità del popolo di vivere secondo i termini del patto. «Custodire» la terra significa estendere anche ad essa il riposo che ci viene concesso nello Shabbàt*. Prima che si avesse una buona informazione sulla rotazione dei raccolti e su come essa poteva dare nuovo vigore al suolo, gli antichi intuirono che la terra coltivata poteva esaurirsi se troppo sfruttata. L' anno sabbatico, che esigeva che la terra fosse la­ sciata a maggese ogni settimo anno, è sicuramente collegato a questa consapevolezza. Durante quell ' anno di shemittàh, non si ha né semina né raccolto. Anche altre attività agricole sono proibite o rigidam e nte limitate. Pertanto gli effetti del­ la shemittàh si protraggono oltre due anni o più. Al termine di sette cicli di shemittàh viene proclamato un giubileo. In questo anno. anch'esso di riposo per il suolo, tutto il terreno agricolo, che è stato venduto o altrimenti tra­ sferito da un proprietario ad un altro, doveva tornare di pro­ prietà della famiglia o della tribù originaria. Tutti i prestiti all ' interno della comunità d' Israele dovevano essere condo­ nati. Tutti i servi ebrei, che si trovavano in questa condizio­ ne sulla base di un contratto, dovevano essere liberati. Il Tanaklz * riporta la legislazione relativa alla shemittàh e allo yovèl soltanto sotto forma ipotetica. Non c ' è alcuna 322

conferma che la shemittàh fosse realmente osservata nei tempi biblici, o su come il popolo si regolasse al riguardo. La Mislmàh * e il Talmùd di Gerusalemme invece conten­ gono più di un dettaglio delle leggi che erano certamente osservate dagli agricoltori rispettosi dell' autorità rabbinica nel primi secoli dell' era volgare. Dopo quel periodo, la shemittàh e lo yovèl vennero considerati per secoli come sezioni irrealizzabili del!' halakhàh *, analoghe alle leggi del Tempio e del sacerdozio che non avevano più alcuna applicazione pratica. Le piccole comunità ebraiche di Éretz Yisraèl non si dedicavano all' agricoltura, cosicché non c' era nessuno a cui le leggi si riferissero. Con l' inizio di un ritorno alla Terra di Israele basato sul1' agricoltura, alla fine del diciannovesimo secolo, furono cercati vari modi per affrontare le difficili richieste della le­ gislazione della shemittàh, che imponevano degli oneri quasi inostenibili alle comunità agricole in lotta per soprav­ vivere. Alcuni ebrei devoti d'Israele insistono nel mangiare soltanto prodotti coltivati da coltivatori non ebrei, durante la shemittàh e l' anno seguente. Altri sono giunti ad accet­ tare l idea di una «vendita» virtuale dei terreni agricoli a proprietari non ebrei, durante l ' anno sabbatico. Ma, sfortu­ natamente, ben poca creatività di pensiero è stata dedicata alle conseguenze della shemittàh e dello yovèl, e a come essi potrebbero essere applicati ai nostri giorni. Può un po­ polo, a cui era stato insegnato a lasciare riposare la terra, inquinare ora quella stessa terra con fertilizzanti chimici che alla fine distruggeranno la sua naturale ricchezza? È consentito agli ebrei proprietari di terre (o che investono in compagnie che possiedono la terra) e di risorse naturali ovunque nel mondo di depredarle per assecondare le richie­ ste dei consumatori ? O c ' è un imperativo divino, che emer­ ge in qualche modo da queste antiche limitazioni sull ' uso della terra, a servirsi delle ricchezze naturali soltanto con cura e senso di responsabilità? La chiara formulazione di tale responsabilità, nella struttura convincente del! ' agga­ clàh* e del!' halakluìh *, è una necessità stringente del1' ebraismo contemporaneo. 323

Simchàt

Toràh

Simchàt Toràh (letteralmente : «la gioia della Toràh») è il giorno conclusivo del ciclo festivo autunnale. Nella dia­ spora è il giorno dopo Sheminì 'Atzèret*, o il ventiquattre­ simo giorno del mese di Tishrì. In Israele, Simchàt Toràh viene celebrata lo stesso giorno di Sheminì 'Atzèret. La celebrazione di Simcluìt Toràh ebbe inizio come un' usanza (minhàg*) delle comunità ebraiche dell'Europa occidentale nel Medioevo, e si è poi diffusa in tutto il mon­ do ebraico. In questo giorno, il ciclo annuale di lettura del­ la Toràh* si conclude ed inizia nuovamente, evidenziando così la salda forza della Toràh e il suo posto nella vita del popolo ebraico. Il passo conclusivo del Deuteronomio, la cronaca della benedizione di Mosè e della sua morte, viene letto da colui che è chiamato Chatcìn Torcìh, che significa lo «sposo della Toràh». Poi, da un secondo rotolo, il primo capitolo della Toràh è letto dal Chatàn Bereshìt, ovvero lo «sposo della Genesi » . Tutto ciò si svolge con una grande allegria. Alla vigilia di Simc:hcìt Toràh, in preparazione di questo evento, i roto1 i della Toràh sono estratti dall' arca per festeggiare e ballare con essi . L' atmosfera in molte si­ nagoghe è simile a quella di Purìm, sebbene ci sia una de­ cisa differenza tra i due eventi. Strutturalmente Simc:hàt Toràh ha, rispetto alle festività autunnali, una posizione analoga a quella di Shavu 'òt ri­ spetto al ciclo di primavera. Essa è l' ultimo giorno del periodo sacro durante il quale viene donata la Toràh. Sim­ chàt Toràh può essere vista come un periodo in cui la Tl>­ ràh viene ricevuta, assimilata e portata dentro di sé. Ognuno di questi due giorni conclusivi guida Israele ver324

so i successivi giorni profani, ma fortificato dalla Toràlz necessaria per elevarli e trasformarli.

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Sukkòt

Sukkòt, la festa del plenilunio d' autunno, è celebrata per sette giorni che iniziano il 1 5 di Tishrì. Questo è il «settimo mese» biblico, come stabilito in Levitico 23:33 e in Deute­ ronomio 1 6 : 1 3. Sukkàt è la festa religiosa del raccolto, «la stagione dell' adunanza». Come raccogliamo i prodotti dei campi nelle nostre case per l ' inverno, così Dio ci raduna nel Suo luogo speciale, la sukkàh *. Forse il nucleo originale di questa festività sta nella transizione dei nostri antenati più antichi dalla fase del no­ madismo ad un' esistenza stanziale basata sull' agricoltura. Gli agricoltori conservavano nei loro cuori l' antico ricordo della loro vita nomade. Una volta l ' anno, al tempo del pri­ mo plenilunio d' autunno, essi solevano uscire dalle loro ca­ se e vivere nelle tende dei nomadi per una settimana; pro­ prio come al primo plenilunio di primavera si concedevano una settimana durante la quale mangiare soltanto il pane dei nomadi, durante la Festa delle Matzàt (Matzàh* ), che doveva in seguito coll egarsi al nostro Pésach * . La sukkàh finì per essere colleg �ta col tempo del raccolto, e in seguito con le capanne nelle quali il popolo d' Israele aveva vissuto durante i quarant'anni di vagabondaggio nel deserto. Sukk C1"'

Yom Kippùr, il decimo giorno di 1ishri. è il giorno più santo e più terribile del calendario ebraico. È chiamato il «Sabato dei Sabati». Ogni lavoro proibito il giorno di Saba­ to è proibito anche per Yom Kippùr. In aggiunta, è un giorno di digiuno completo, il che significa che ci sono cinque di­ vieti speciali: il divieto di mangiare, di bere, di avere rap­ porti sessuali, di lavarsi, di indossare scarpe di cuoio e di usare profumi. Il trattato talmudico ( Talmùd*) relativo a Ycm1 Kippùr è chiamato semplicemente «Il Giorno» ( Ycmuì). Yt'Jm Kippùr è anche una delle festività ebraiche più an­ tiche. Il suo rituale, probabilmente come era eseguito al­ i' epoca del Primo Tempio, è elaborato pienamente in Levi­ tico 1 6. Lo scopo di quel rituale era quello di fare atto di espiazione per Israele, i suoi sacerdoti e il suo Tempio, di «nascondere» i loro peccati e permettere una nuova purità. Questo risultato era raggiunto con il sacrificio, l' aspersione dcl sangue e , fatto unico. la cacciala dcl capro espiatorio, che trasportava i peccati d' Israele nel deserto. Un resoconto del ,rito del Tempio, chiamato l "avodàh, si legge ancora nelle sinagoghe tradizionali durante il ser­ vizio di musàf* per Yom Kippùr. Ma Yom Kippùr è stato trasformato, nella tradi zione rabbinica, in un giorno di pre­ ghiera intensa e d'esame di coscienza, incoraggiati dall' at­ mosfera del digiuno. Ci sono cinque funzioni per Yom Kip­ pùr: 'mvit, alla vigilia del santo giorno (preceduto dal Kol Nidré*), shacharìt*. musàf e minchàh, il giorno stesso, e un servizio conclusivo speciale chiamato ne 'ilàh* . Ad ognuno di questi è aggiunta una speciale sezione di pre­ ghiere penitenziali chiamate selichòt; nei primi quattro ser­ vizi è compresa anche una lunga confessione dei peccati. 330

Gli inni penitenziali, o selic:hòt, sono disseminati di fre­ quenti invocazioni dei tredici attributi di Dio, che si trova­ no in Esodo 34:6- 7. Questa è la formula che Mosè miste­ riosamente udì recitare nel momento in cui Dio perdonò ad Israele il peccato del vitello d' oro, ed è tuttora considerata molto potente nel sollecitare il perdono del peccato. Molte delle grandi composizioni liturgiche sinagogali, sia poetiche che musicali, sono state scritte per Yom Kip­ ptìr. Esso è generalmente considerato un giorno permeato di preghiere. Nelle sinagoghe tradizionali, ci può essere ap­ pena un breve intervallo tra il servizio di musiif e quello di mim:luìh. Colui che guida la preghiera e anche molti altri sono vestiti di bianco, che simboleggia l ' innocenza, e l' arò11 qòdesh* e i rotoli della Toràh* sono anch'essi co­ perti di bianco, come lo sono per tutto il resto del periodo penitenziale. La lunghezza e la ripetitività delle funzioni di Yom Kippùr hanno un effetto catartico, e alla fine del digiu­ no, che segue l apparizione di tre stelle nel cielo serale, sia­ mo pieni di un senso d' esaurimento e di pulizia. La Mislmcìh * dice chiaramente che la puri ficazione di Ytm1 Kippùr è efficace soltanto per le trasgressioni contro Dio. I peccati contro il nostro prossimo hanno bisogno del perdono dell' individuo offeso. Poiché gli ebrei non voglio­ no trascorrere Yom Kippùr con il fardello dei peccati che grava ancora su di essi. è invalso l' uso, prima o nel giorno stesso di Ytm1 Kipptì1; di chiedersi reciprocamente perdono.

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Yom Tov

Il comune tennine ebraico che indica la «festa» significa semplicemente «giorno buono». In effetti il saluto festivo, in yiddish, gut yontef (vom tov) è in realta pleonastico: «Che tu abbia un buon buon giorno ! » . I l tennine s i riferisce a tutte le feste durante le quali il lavoro è probito (che buon giorno può essere se dobbiamo andare a lavorare?). Tecnicamente, pertanto, Yom Kippùr è uno yom tov, e gut yontef può essere usato come un augu­ rio. Purìm* e Chanukkàh* , tuttavia, non sono yom tov, poi­ ché durante queste feste il lavoro è pennesso. Ciascuna ha la sua fonnula augurale (in yiddish queste sono: a frey­ lekhn chanuke e gut purim, e in ebraico sono chag orìm sa­ mèach e purìm samèach). L'elemento principale nella celebrazione dello yom tov è la gioia (diversamente da Shabbàt*, nel quale è il riposo l'elemento principale). Il Talmùd* dice che questa gioia dovrebbe comprendere il bere vino e mangiare carne (i ve­ getariani possono adempiere a quest' obbligo in altri modi, come ad esempio mangiando un po' più di melanzane). Poiché il cibo è un elemento importante nel concetto ebrai­ co di celebrazione gioiosa. le rigide regole del Sabato rela­ tive alla cottura dei cibi sono attenuate nello yom tov. Pos­ siamo usare e spostare il fuoco. Poiché questo è pennesso per cucinare di yom tov, ciò è permesso anche per altri sco­ pi. Non possiamo, tuttavia, usare yom tov per preparare il cibo per il giorno seguente, a meno che il Sabato non sia il giorno immediatamente successivo. Il cantare è un' altra espressione caratteristica della gioia dello yom tov a cui si dedicano gli ebrei. Sia in sinagoga (specialmente all ' hallèl*) che in casa alla tavola della festa, 332

il canto è un elemento della celebrazione dello yom tov, la cui gioia è considerata essere «metà per Dio, metà per noi stessi».

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Yortzait

Yortzait (letteralmente, in yiddish, «tempo dell ' anno») è l ' anniversario di una morte. È tradizione commemorare lo yortzait dei genitori, del coniuge, dei fratelli e dei figli. Lo yortzait viene osservato il giorno esatto della morte (non della sepoltura), secondo il calendario ebraico. La sua osservanza non è posposta dallo Shabbàt* o dallo yom tov*. Il qaddìsh è recitato in sinagoga. Alla persona che os­ serva uno yortzait ed è in grado di condurre un servizio li­ turgico settimale verrà chiesto di farlo. Se la Toràh * viene letta in quel giorno. è possibile chiedere che venga recitata una preghiera in memoria, subito dopo la lettura della To­ ràh, sebbene ciò sia fatto solitamente soltanto per il primo yortzait, o in commemorazione di un grande rabbino o di un capo della comunità. È inoltre consuetudine fare della beneficenza per uno yortzait. In alcuni luoghi. chi osserva lo yortzait porta cibo e bevande da offrirsi dopo la funzione di shacharìt* . Una candela comntemorativa viene accesa in casa. Se lo yortzait cade di Sabato o in un altro giorno di festa, si ha cura di accendere la candela dello yortzait prima del1' accensione delle candele di Shabbàt o dello yom tov. Si effettuano anche delle vi site al cimitero in prossimità del lo yortzait, o nel giorno stesso.

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Indice delle parole italiane

Aldilà2 83 Amore 159 Angeli 42 Anima 46 Anno sabbatico32 2 Arca 24 3 Baldacchino nuziale2 45 Benedizione 11 6 Bibbia99 Candele del Sabato255 Cantico dei Cantici 90 Capodanno3 0 8 Circoncisione294 Commento alla Scrittura8 0 Compassione5 3 Comunità212 Commemorazione defunti 334 Creazione2 67 Culto 1 63 Devozione 1 67 Digiuno1 49 Dio2 7 .29,35 Donne 203 Egitto 282 Estasi 1 72 Etica 208 Fede 169 Fede (professione di) 1 45

Festività3 32 Fiducia1 65 Funerale298 Gerusalemme 285 Gioia22 1 Giorno dell'Espiazione33 0 Giubileo322 Giudi:t:io33 Gloria41 Guscio51 Immagine di Dio 233 lnclina:t:ione (buona e cattiva) 1 85 Interiorità 1 77 Israele (popolo)23 9 Israele (terra) 274 Liturgia 1 1 3 Lutto1 47 Maggiorità religiosa 29 1 Matriarche 203 Matrimonio3 0 I Meditazione170 Merito19 1 Messia 204 Mistica 8 7 Modestia23 5 Mondi 48 Morte 298 Muro occidentale 277

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Narrazione 67 Pace 219 Paqua 302 Patriarchi 195 Paura 187 Pentateuco 106 Pentecoste 31 8 Pentimento 183 Preghiera 153 Presenza divina 61 Profeti 210 Purità 151

Saggi 223 Salmi 104 Santità 179 Signore 29 Sinagoga 272 Sofferenza 189 Spirito Santo 54 Spiritualità 177 Studio 96 Tabernacolo 28 1 Tempio 269 Timore sacro 187 Tu 3 1

Rabbini 2 1 5 Racconto 70 Re 44 Rettitudine 231

Umiltà 161 Usanze 131

Sabato 3 1 3

Verità 37

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