Le parole e la vita 9788874702701, 8874702701

Le parole ci dicono "parole" perché non aderiscono pienamente alle cose. Non stanno nelle cose, non si pongono

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Le parole e la vita
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© 2013, Pagina soc. coop., Bari

Questo volume è stato pubblicato co11 il contributo del Dipartime11to di Filosofia, Letteratura e Scie11ze sociali (FLESS) dell'U11iversità degli Studi di Bari "Aldo Moro".

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Giovanni Cera

Le parole e la vita

edizioni di

pai"na

È vietata la riproduzione� con qualsiasi mezzo effettuata .. compresa la fotocopia. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso per­ sonale purché non danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro� chi mette a disposizio­ ne i mezzi per fotocopiare� chi favorisce que­ sta pratica commette un furto e opera ai dan­ ni della cultura.

Finito di stampare 11el maggio 2013 dalla Serigrafia Artistica Pugliese Solazzo s.n.c. Cassano clelle Murge (Bari) per conto di Pagina soc. coop. - Bari ISBN 978-88-7470-270-l ISSN 1973-9745

Le p arole e la vita

I conti che non si fanno

Poco è restituito di quello che viene dato. Poco è dato come dovrebbe esser dato. La vita non risarcisce né compensa. O magari lo fa. Impropriamente e casualmente. Quando gli esclusi sono accolti da altri esclusi o da chi, pur non esclu­ so, comprende che non è giusto che vi siano esclusi. Tu sei accompagnato, fra l'altro, dal pensiero delle cose che vor­ resti non aver mai fatto non meno che da quelle che hai subìto., non desiderate. Avverti di non essere stato in accor­ do con te. Senti in te un altrimenti perduto che ti rattrista. E sono le musiche malinconiche quelle che davvero colpi­ scono. Venendo ne avvolto., tu in esse ascolti l'eco di voci mai state voci, di luoghi mai stati luoghi.

Certi occhi su di noi

Noi siamo in attesa di essere. Non perché non siamo di volta in volta l'essere che siamo� ma perché l'essere che di volta in volta siamo non è mai pieno. E non ha certezza di senso. Così lo viviamo. Aspiriamo ad essere ciò che non siamo come se ciò che non siamo dovesse portarci� poi� quando lo saremo, a non volere altro essere. N el sentirei guardati con attenzione� con curiosità� con desiderio vedia­ mo come affermato il nostro essere. L'essere che siamo cat­ tura la persona che ci guarda. Avviene così, per caso e per incanto. Siamo afferrati senza sentirei afferrati. Non è di­ sturbante, questo sguardo. È piacevole, gradito. Vogliamo che gli occhi non si allontanino da noi, che continuino a guardarci o tornino a guardarci. È un paradosso: chi è de­ siderato è oggetto di chi lo desidera, ma, in quanto è desi­ derato, si sente soggetto. Si sente apprezzato. Si sente vin­ cente. Anche se non ha fatto nulla per vincere.

Un furto

Vediamo persone, per lo più senza patria, che raccolgono, magari trovandoli tra i rifiuti, oggetti, anche inservibili, che portano con sé nel loro girovagare quotidiano, dirette non si sa dove. Esprimono il bisogno di avere, di fare e di avere a che fare. Espulse dalla vita, si danno una parvenza di vita. In esse c'è la memoria di ciò che non hanno ottenuto. Il lavoro, le relazioni, gli affetti, la casa. È triste incontrar­ le. È come assistere a un furto avvenuto. Con chi l'ha subìto sfigurato, umiliato.

Il tem p o della no stalgia

Del futuro non sai nulla. Ti è ignoto. Gli dai un po' di luce, luce apparente tuttavia, facendo promesse, dice Hanna Arendt, o progettando, o immaginando altri luoghi e cose e persone In essi. Andiamo verso il futuro. Anzi è l'andare stesso, persino l'andare con la mente che esprime il futuro. Presenza non posta, non riflessa, ma assidua. Il futuro, il non ancora, l'oltre e l'altro dall'ora fa vivere. Magari illude, ma fa vive­ re. Fa apparire possibile il rimedio all'errore, la rinascita dopo la caduta o l'accettazione dopo il rifiuto. È comunque vita. Se temuto, è vita temuta, ma è vita. Non averlo, o non sentire di averlo, è non vivere. Sentiamo il futuro e con il futuro la vita perché siamo nostalgici . Il futuro è il passato in ciò che il passato non può essere. Il passato è stato vita. Il futuro lo sarà, o lo è già, pur se, in fondo, al modo di ciò che ha da essere. Non vivremmo se non la volessimo, la vita. E la vita la vogliamo solo al futuro perché lì solo essa è vita. Il senso della perdita è compensato dal senso di ri­ avere ciò che si è perduto nell'unica maniera in cui lo si può riavere. La nostalgia è un espediente che l'anima esco­ gita per vivere. Fa finta di volere il passato per non volerlo. Vede che il passato non c'è e si allontana da esso e guarda al futuro. Nella nostalgia, l'oblio prevale sulla memoria: vi •



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si fonda., sì., ma., infine., la consuma. La rende inattiva. I ricordi ti dicono che la vita una volta vita non c'è più. Per vivere bisogna non indugiare sulla vita già stata vita. Il passato della nostalgia è il passato che non è passato, il passato non passato che è il futuro. Nel futuro il passato non è passato. ***

Il desiderio è nostalgico. Condizioni, percezioni e sensazio­ ni e relazioni passate spiegano il fatto che un viso attragga, un altro no. Non è meccanico., il desiderio: non è il mero affacciarsi o riaffacciarsi di un vuoto., di una lacuna. N o n è soltanto l'indice di uno stato d'essere di non pienezza. In ciò che desideri c'è, nascosto, ciò che hai già desiderato. O almeno visto. Un luogo ti piace perché ne evoca un altro. ***

In un malessere tu avverti l'irrompere in te dell'altro. È l'altro come il non di te. Non l'altro come l'altro da te o come la non giustificabilità della vita o come la parola che "copre" gli altri, amici o non amici, conoscenti o non cono­ scenti che siano. E neppure l'altro come il divenire "altro" di ciò che fai: è un altro, questo altro, che appare dopo, quando non sei più quello che eri. È piuttosto l'altro in quanto il non governo di te, l'essere tu della vita che vivi, la non vita che abita la tua vita. La nostalgia segnala la non vita. E fa avvertire., richiamandola., la vita. Vivere è finire di vivere. Rivolere la vita è non voler finire di vivere. La nostalgia non è lamento, non è la triste felicità del passato, non evoca l'irrevocabile. O non è solo questo. È afferma-

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zione della vita, soprattutto. Della giustizia della vita. L'on­ tologia rende possibile la nostalgia ma la nostalgia rivela l'ontologia. L'ontologia come il sapere della vita in quanto tempo, in quanto nascere e finire delle cose. Tu vuoi il già voluto per il fatto di volere. L'ontologia è la nostalgia radi­ calizzata, vista come il volere la vita dopo la vita, il tempo dopo il tempo, l'opera dopo l'opera, l'azione dopo l'azione, il cibo dopo il cibo. La nostalgia è il non più della vita. Se non mi ammalassi, se non avvertissi l'inquietudine non po­ trei (ri)volere la sanità, (ri)desiderare la serenità. L'abito logoro, espressione di vita già stata vita, porta a volere l'a­ bito nuovo. L'abito nuovo è l'apparire di nuovo dell'abito che fu nuovo. Se non fosse la vita passaggio e trapasso, non ci sarebbe il voler riavere la vita. Vivere non è subito voler di nuovo vivere. Occorre che passi ciò che vivi perché tu senta di voler ancora vivere. È il non esserci più delle cose a spingerti a rivolerle. Tu prima vedi partire, poi vuoi che tomi chi è partito. La fine di una presenza ti fa sentire l'assenza. La nostalgia è il doppio dell' ontologia della vita come tempo. Ma anche come caso. Intrecciandosi con gli interessi e coi movimenti delle altre vite, la vita la puoi perdere senza averla avuta, in questa o quell'aspirazione, in questo o quell'intento. La memoria di ciò che è stato, o non è stato ma avrebbe potuto e, per te, magari, dovuto essere, è la molla della nostalgia. La nostalgia nega il ne­ gativo. È positiva. ***

Dopo un lutto - lutto è pure la perdita di progetti e sodali­ zi e ambienti - si torna alla vita rivolendo la vita. Si torna alla vita per nostalgia della vita. In Sartre, la nostalgia non

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è esplicita. Obliquamente o sotterraneamente� essa appare nell'idea per la quale l'uomo tende a colmare il vuoto d'es­ sere che è. Vuoto sempre ritornante� dopo ogni desiderio soddisfatto. La non pienezza d'essere dell'uomo� svelata proprio dai suoi desideri� non è solo costitutiva� per così dire organica. Essa sta anche nel fatto che si fa finendo di fare. Ogni fare si conclude anche quando non si conclude. Tu fai e vivi facendo. E ti trovi sempre alla fine del fare. Le cose che fai� pur se restano� tu le perdi. Il romanzo che hai scritto non è più il romanzo che stavi scrivendo. Non è tuo� ora che hai finito di scriverlo. L'hai perduto proprio in quanto hai finito di scriverlo. (Perdi te stesso quando non fai più quello che facevi.) Rivuoi il fare, vuoi fare di nuovo. Vuoi di nuovo la vita. E fai di nuovo., fai ancora in un in­ cessante fare e rifare perché incessante è il perdersi di ciò che fai. Vivi e muori� facendo. È la morte che sollecita la vita. La nostalgia è il non voler abitare la morte. È senti­ mento della vita. Tu vuoi vivere perché sperimenti la morte. Miri al nuovo perché il nuovo è diventato vecchio. Se nien­ te morisse non ci sarebbe la vita. La vita esige la morte: vivi aspirando a b, ma aspiri a b perché hai perduto a. Così è, nel fondo. La nostalgia fa rivolere ciò che si è volu­ to. Vivi perché la vita è finita e tu vuoi che la sua fine non sia. E vuoi altra vita, come la puoi volere. Si vuole tornare alla vita perché non ci sia solo la morte, la vita finita. Il passato è cifra della morte. Nella nostalgia rivuoi il passa­ to. Ma lo rivuoi volendo il futuro. Il non ancora è la traccia viva dell'allora. Il futuro è il passato prima di essere passa­ to. Se il futuro non è., come., in effetti., non è., non è nel senso del non dell'essere che è (stato) il passato. E non è anche perché è indefinito. La vita è desiderio di tornare.

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Desiderio non solo manifesto, quando lo è, ma anche na­ scosto, profondo. Tornare là dove la vita è stata già: nelle cose mangiate, nelle emozioni provate, negli amplessi go­ duti. Ciò che si è vissuto lo si vuole rivivere. Ci alziamo la mattina volendo riavere ciò che abbiamo avuto., non accet­ tiamo che ciò che abbiamo avuto non l'abbiamo più. (Non volersi alzare, restare a letto è il segno che la vita non la si rivuole perché non la si è avuta. Non la si scorge nel non ancora perché non c'è stata nell'allora. È la speranza rima­ sta troppo a lungo speranza, è la fiducia non corrisposta. È il futuro che non si vuole ma solo perché non vi si vede la vita. Come quando siamo portati a tenere le cose che ab­ biamo, a non cambiare nulla. È il vecchio, il già stato vita che si vede come nuovo, come vita. ) La nostalgia è l'anti­ doto alla vita come perdita. La vita la perdiamo per sempre, vivendola. Ma per questo la rivogliamo. Il tendere al nuovo è volere il vecchio prima del vecchio. Non sei più ciò che sei stato. Ed è la ragione per cui vuoi essere ancora. l tuoi occhi sono attenti a quel viso. Poi il viso scompare. N o n lo vedi più. Lo vuoi rivedere. Nel non ottenere, nel non esse­ re ammessi., nel non essere inclusi., nel non affermarsi c'è il senso della morte. C'è il sentimento della vittoria del nulla sull'essere. Portiamo con noi oggetti che ci ricordano situazioni e persone . È come non (voler) lasciare la vita, averla con sé anche quando non c'è più. È evitare la nostal­ gia. O è renderla più intensa, più facile. Vedere l'oggetto e non vedere la vita. Volerla e non poterla avere. Vuoi vivere e per questo non ti guardi, non guardi il tuo viso ora che sei, o in quanto sei, nel viso che sei, vita passata. Non ti guardi neppure in chi è passato come te. In chi ha il tuo tempo, il tempo che è stato. Se il sosia disturba perché

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mette in crisi la tua identità., l'identità solo tua., il chi di te come senso di te., il tuo coetaneo svela il nascondimento che tu fai di te a te. La vita sta nelle cose che non sono state usate, in ciò e in chi è giovane. E in ciò e in chi è giovane tu vuoi specchiarti per non vederti, per vivere. An­ nunciare e non fare è voler vivere. È rimandare per avere mete a cui guardare. Vivere è aver da fare. È aver da vive­ re. Annunciando e non facendo si evita la fine, si previene la nostalgia. O magari la si fa essere. Ma è la nostalgia re­ alizzata, la nostalgia compiuta. La vita dopo la morte è idea nostalgica. Idea della religione che ricorda la fine e la na­ sconde. Annuncia il nuovo inizio e non lo fa mai arrivare. Nessuno lo vede. Nessuno può dire che c'è. Così fa vivere nell'attesa. La religione non muore perché l'annuncio resta annuncio. (Le tante strategie dell'io piacere falliscono. �io realtà si impone, fatale. La religione recupera l'io piacere. Gli ridà spazio. Promette all'uomo l'altra vita e gliela fa desiderare.) ***

È pur da considerare che tu ci sei, vivi, se vivi,quando chi muore non c'è più. Il finire di una cosa è funzionale al vivere, al tuo sentirti vivere. Com'è anche il passare di un evento atteso. Sopravvivi a ciò che ha finito di vivere. Avverti il non vivere più di ciò che finisce come il tuo stesso vivere. La morte di ciò che muore è vita per te. Lo svanire di una presenza è altra presenza per te che sei ancora pre­ sente. Hai persino bisogno della fine per sentire di non essere finito. Ciò non contraddice il fatto che la vita passa­ ta non è vita. Non lo è dopo esserlo stata. Con l'evento passato sei passato anche tu. E tu vuoi riavere te. Desideri

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tornare dove sei stato, riessere in attesa dell'evento, rivi­ verlo. E lo riattendi attendendo altri eventi. Vivi come è dato a te di vivere. Non nell'essere che è stato, ma nell'es­ sere che sarà.

Ogni p orta che a p ri

Che cosa resterebbe da fare e che cosa da aspettare o da sperare e ci sarebbe ancor� perfino� da gridare se le cose della vita fossero non (più) coperte� non (più) velate? Se fossero tutte sotto i tuoi occhi., tutte nelle tue mani? Come potresti tu vivere� tu dentro ogni dentro? Se fosse possibile a te non essere più quello che sei� alle prese con le mille porte che apri� se le apri� l'una dopo l'altra ma mai tutte� essendoci sempre quella che non riesci ad aprire, se fosse dato a te di avere quello che non hai� non vivresti più. La vita la vivi perché non la possiedi. Ti fa paura e per questo te la tieni . Non la conosci e non passa istante che non ten­ da a conoscerla. La perdi e la rivuoi. Ti viene tolta e la ri­ vendichi, pur se solo nel silenzio della tua anima. Invec­ chia� la vita. Mostra la polvere che tu scansi, tuttavia. At­ tento molto più al muro, all'edificio che al consumo che vi è inciso. Vivi� sapendo che non ce la farai ad avere lo sguar­ do che guarda oltre ogni sguardo. Epperò, è per questo che la vita ti attrae� perché non si dà tutta. Si offre a te in qual­ che suo lembo. Non più che così. Infine avrai preso poco di quel poco che essa permette. Ma sarà stato tanto. Avrai vissuto� non sapendo della vita� ma da essa affascinato. La penserai nella nostalgi� nella malinconia la racconterai.

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Essere accolti è trovare altra luce. Tu sei messo a parte della casa di chi ti accoglie. Vedi altre cose, sai altre verità. Altre presenze ti vengono date. Ed altre sensazioni . Avver­ ti di vivere di più, avverti di più la vita. Se ti si dice "No", tu resti nel chiuso della tua vita: non accettato, ma soprat­ tutto lasciato fuori, costretto a non vedere. Vivere è voler vedere, è vedere. ***

Tenere all'oscuro la persona con cui vivi di tue attività o propositi o beni è tradirla. Tanto più se di queste cose altri sanno. È il tradimento in una delle forme più frequenti: tradisci in quanto non fai partecipe della tua vita chi ne è parte, chi dovrebbe esserne parte. Mostri di non stimare. È come se dicessi: ''Posso fare a meno di te. Non sei essen­ ziale per me" . Fai intendere che chi escludi non conta. La reazione è quella di una presa di distanza emotiva: "Tu mi escludi dalle tue cose, io ti escludo da me. Non c'è posto per te, in me" . Come, nella memoria della nostra vita, ci sono le strade abbandonate, il tempo che ci è stato rubato, i sogni sacrificati, così, in noi, ospitiamo, nascosto, il senso del sentire offeso. La vita è sempre doppia. Quella che si vede e quella che non si vede. La più vera, forse, è la se­ conda.

L� es p erienz a

Il cammino dell'uomo è stato un cammino di ripetute prove, di finitizzazioni mai finite. Stabilizzato nella regolarità ir­ regolare del nascere e del morire, nell'essere che è l'uomo continua a saggiare il pericolo. Conosce, trasformando i segmenti di realtà via via conosciuti nella propria casa. Ma altri e sempre rinascenti spazi non conosciuti compaiono. È il ritorno e il riconfermarsi dell'altro, del non familiare. Gli uomini, nelle particolari situazioni in cui di volta in volta si trovano, addomesticano la vita, vi vendo la. N e fanno esperienza. Allontanano la possibilità della fine ridandosi l'inizio. Solo l'attraversamento dell'estraneo rende attrez­ zati contro l'estraneo. Correre il rischio per evitare il ri­ schio. L'esperienza è questo. Quando hai frequentato il 1tE'ìpa non sei più linEtpoç. O lo sei ancora per il fatto che l'estraneo si ripresenta sotto altre sembianze e in altri modi. Aperti al futuro nell'imprevedibiltà del futuro, alle prese con la necessità di fare altre prove oltre quelle fatte, noi viviamo in un « commercio » e in una « lotta» (Merleau­ Ponty, La struttura del comportamento) con l'altro che non può avere termine se non con il terminare della vita. (L'linEtpoç delnÉpaç non abita l'esperienza, non fa prove, non è ignorante, non tende al sapere. Sa già. E sa tutto. È luce non essendo mai stato buio. È luce piena. Sconfinato,

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non si è dato i confini. Non si è definito. Non si è costruito. E non può decostruirsi, non può tornare nel non essere non essendoci mai stato., non è destinato a morire non essendo mai nato.)

Dimenticati e ricordati

Il castello e La metamorfosi di Kafka, su piani e con accen­ ti diversi, parlano anche di chi, non riconosciuto o impedi­ to., si ritira., rinuncia. La vita lo abbandona e lui abbandona la vita, !asciandola ai forti, forti per lo più di una forza impudica e impropria. E costoro, quelli che restano, sicuri, si attribuiscono e spartiscono beni, ruoli, funzioni. La lotta c'è, se c'è, fino a quando si lotta: dopo, solo chi ha avuto la meglio vive. Vive e decide. Nelle competizioni, nei concor­ si, nelle guerre la pace esprime la giustizia della fine. l sopraffatti dimenticati, i vincitori ricordati . Al di là del me­ rito. (Nel declinare degli anni, nel finire del lavoro si ritira senza ritirarsi., rinuncia senza rinunciare e nell'intimo non volendo ritirarsi, non volendo rinunciare pure chi vede che il suo tempo è passato e che di altri è ora la vita, di quelli che, peraltro, non sopportano che si indugi, che si tardi ad andar via. È come se li si disturbasse nel sentimento della vita. Vivere è non "sapere" che si finirà di vivere. E chi "non vive più", con la sua presenza, dice a chi "vive anco­ ra" che anche lui, poi, non vivrà. Si aspira a liberarsi di chi prima "viveva" non vedendolo più. Così non si scorge la propria futura fine. Mutato ciò che va mutato, è il senso delle parole di Cioran: « In un giardino pubblico, questo cartello: ''A causa dello stato - età e malattia- degli albe-

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ri si è proceduto alla loro sostituzione" . Il conflitto delle generazioni, anche qui! Al semplice fatto di vivere, sia pu­ re per un vegetale, è apposto un coefficiente fatale. Perciò si è contenti di respirare soltanto quando si dimentica di essere vivi » , Squartamento, Adelphi, p. 155. ) ***

�atmosfera de Il castello, in particolare, per altro verso, è quella del sogno. Sono l'agrimensore del castello ma nel castello non mi si fa entrare. Sono dentro e sono fuori. Co­ me quando in un sogno, appunto, si vive un divieto illogico: mi si vieta di entrare dove già sto. Il castello come metafo­ ra di un aspetto essenziale della vita: non si ha accesso a un luogo del quale idealmente si fa parte, avendo titolo a fame parte. Si è fuori ingiustamente. Non mi si permette di fare quello che sarei capace di fare. So fare l'agrimensore ma non me lo si fa fare. È il possibile che si trasforma in impossibile per irrealizzazione.

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La parola "parola" vediamola composta da nap -, anche costoro attraversano