Alfabeto della diversità. Un viaggio tra le parole per riflettere insieme 9791259843500

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Alfabeto della diversità. Un viaggio tra le parole per riflettere insieme
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SCAFFALE APERTO

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Luigi Falco

ALFABETO DELLA DIVERSITÀ Un viaggio tra le parole per riflettere insieme

ARMANDO EDITORE

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I disegni sono di Stefania Tribbioli e la parte grafica è di Elisabetta Grazzini L’immagine di copertina di Gianluca Angioli ISBN: 979-12-5984-350-0 Tutti i diritti riservati – All rights reserved Copyright © 2022 Armando Armando s.r.l. Via Leon Pancaldo 26, Roma. www.armandoeditore.it [email protected] – 06/5894525

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Sommario

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11 13 17 La lettera A, a… come amore

19

La lettera B, b… come bisogno

23

La lettera C, c… come comunicazione

26

La lettera D, d… come diversità

30

La lettera E, e… come educazione

34

La lettera F, f… come formazione

38

La lettera G, g… come globalizzazione

41

La lettera H, h… come handicap

45

La lettera I, i… come inclusione

49

La lettera L, l… come libertà

55

La lettera M, m… come magia

60

La lettera N, n… come normalità

65

La lettera O, o… come ostacolo

70

La lettera P, p… come passione

75

La lettera Q , q… come quotidianità

79

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La lettera R, r… come razzismo

83

La lettera S, s… come speranza

88

La lettera T, t… come tabù

92

La lettera U, u… come uguaglianza

96

La lettera V, v… come vulnerabilità

101

La lettera Z, z… come zelo

105

Conclusioni

108

Bibliografia ragionata

110

Alfabetario della diversità

122

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Al diverso che è dentro di noi

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Prefazione

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Anna Bernardini*1

Mi piace l’idea che Luigi Falco abbia voluto arricchire la sua ormai nutrita produzione letteraria con un nuovo contributo che intende indagare il tema della diversità creando un originale, inedito, alfabeto. È noto come ormai da tanti anni, in veste di autore ma ancor più come docente, abbia saputo proporci occasioni di riflessione e di azione, spesso in forma di provocazione o di sfida, dimostrando come in una scuola che intende promuovere processi di inclusione l’attenzione alla diversità possa fare la differenza. La sua penna leggera, il suo uno stile garbato, il suo agire discreto accompagnano il suo intento determinato, a volte veicolato da passaggi giocosi e ironici, che si articola in modo poliedrico intorno a nuclei tematici di grande spessore e complessità come quello ricorrente della disabilità. Leggendo il titolo di questa nuova pubblicazione ho pensato a quelle parole, che se pur scritte al singolare, siamo soliti avvertire al plurale, sia per il senso universale che nei secoli hanno assunto, sia per l’infinita possibilità di declinazioni che possiedono. Ho pensato come il termine alfabeto, nel complesso panorama della comunicazione, possa aprire un ampio ventaglio di significati alcuni dei quali ci giungono netti e inequivocabili, altri più versatili, duttili o sfumati. * Dirigente

Scolastico I.O. “G. Marcelli” di Foiano della Chiana (AR)

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La lettura del testo mi ha progressivamente condotta a pensare agli alfabeti come a un dinamico gioco di segni e disegni nel loro infinito comporsi ad interpretare e veicolare nuovi codici e messaggi. Immagine che ritengo possa essere colta nell’allegoria dell’attimo della rapida sedimentazione che segue la scossa del caleidoscopio, quando lo stupore delle nuove, casuali, combinazioni si rinnova. È in quel momento, infatti, che ci giunge con forza, la consapevolezza e l’energia del valore di un gesto semplice che incarna e genera il cambiamento. L’esperienza che ho maturato nel mondo della scuola mi ha portato più volte a rilevare come spesso in essa, pur tendendo al rinnovamento, si sfugga al cambiamento. Il cambiamento è un processo complesso, profondo, che ha bisogno di tempi lunghi, ma che si nutre anche della magia di attimi, che, come l’atto della scossa, rendono possibile il liberarsi dai vincoli dei significati convenzionali, dei luoghi comuni, dei pregiudizi. Il discorso che Luigi Falco è andato costruendo ci porta a credere in un cambiamento possibile a partire da gesti semplici e nel suo dipanarsi ha spesso incontrato anche la magia, un po’ per gioco, un po’ per la passione del narrare nelle varie forme e linguaggi, o anche solo per regalarci un sorriso. Emerge così nello scorrere delle pagine, a più riprese e in contesti diversi, l’idea che il superamento dei pregiudizi si origina anche dall’uso democratico delle parole e come l’attenzione al loro possibile significato sia essenziale nella costruzione del dialogo sulla diversità, perché in fondo le parole hanno il potere di creare legami che possono dissipare gli ostacoli e le costrizioni. Voglio dunque cogliere nell’argomentare dell’autore non solo l’invito a conoscere ma anche a sperimentare l’atto dello svuotarsi per poi assumere, nella ricomposizione, nuove forme, nuovi valori o più concretamente, nuovi colori, odori, sapori, volti a promuovere quell’uguaglianza che non sia mai uniformità.

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Premessa

L’alphabetos è un insieme di segni grafici (grafemi) che rappresentano i suoni di una lingua (fonemi). L’etimologia della parola deriva dal latino alphabetum, dal greco alphàbetos, composto da alpha e beta, prime due lettere dell’alfabeto greco. Con molta probabilità la realizzazione del primo alfabeto risale alla metà del II millennio avanti Cristo ad opera di popoli semitici della Siria e della Palestina, che idearono l’uso delle lettere e associarono a ciascuna di esse un segno grafico derivandolo dai geroglifici egiziani. A dire il vero la prima forma di scrittura è stata quella dell’arte rupestre, con la quale gli uomini Sapiens Sapiens hanno lasciato le loro tracce. L’evoluzione della specie umana ha determinato nel tempo nuove esigenze e quindi la necessità di elaborare sistemi di comunicazione più comprensibili e condivisibili. I simboli e i segni primordiali hanno assunto una veste rinnovata fino a diventare lo strumento di comunicazione più diffuso tra i popoli. La tradizione orale si è integrata con quella scritta e le lettere hanno cominciato ad assumere un ruolo determinante nella cultura dell’uomo. Le parole non hanno sempre avuto lo stesso significato, perché i vocaboli si sono evoluti e hanno assunto un nuovo aspetto, un contenuto rinnovato. Le vocali e le consonanti brillano di significati e si rivelano con tutta la loro forza trasformatrice. “Alfabeto della diversità” rappresenta semanticamente un’idea, dove le 21 lettere sono associate ai luoghi della memoria, ai valori dell’essere, ai posti reali o fantastici della conoscenza. Esploreremo 11

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una zona di confine incerta, dove i margini tra identità e differenza, tra uguaglianza e difformità sono sottili e sfumati. Sono migliaia le voci del nostro vocabolario, ma sono poche quelle il cui significato può cambiare la vita.

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Dalle incisioni rupestri a Internet

La comunicazione è antica quanto l’uomo. Già nelle prime comunità di uomini primitivi esisteva sicuramente uno scambio di informazioni fatto di segni e linguaggi primordiali. Le incisioni rupestri e le pitture dei nostri antenati ominidi rappresentano le prime prove di comunicazione nella storia. Con la nascita delle lingue si moltiplicarono i tentativi di preservare nel tempo documenti che potessero essere testimonianza della propria cultura di appartenenza. Ogni popolo ha così sviluppato un linguaggio, intorno al quale la comunità poteva condividere usanze, idee ed emozioni. Con un percorso iniziato decine di migliaia di anni fa, tramite la scrittura l’uomo non ha fatto altro che rendere permanente il proprio bisogno di comunicazione sociale. Esigenza, questa, che sin dall’antichità il genere umano si è posto di dover soddisfare, in qualsiasi parte del mondo vivesse e indipendentemente dalla forma politico/sociale che avesse adottato per la propria organizzazione1. I primi materiali su cui si scriveva erano i più vari, dalle pietre alla cera, dalle tavole di legno alle pergamene. L’invenzione della carta è stata un passo molto importante per lo sviluppo della comunicazione. I Cinesi la usavano già intorno al primo secolo avanti Cristo, mentre gli Arabi la adottarono nel 751. In Europa fu introdotta nel 1340. Nel 1450 l’invenzione della stampa a caratteri mobili, per opera 1 Costanza

Bondi, Alfabestoria, Bertoni Editore, 2019, p. 21

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di Gutenberg, rivoluzionò la comunicazione scritta. Il primo libro stampato con i nuovi caratteri fu la Bibbia, pubblicata nel 1456. Con il passare degli anni i libri e la stampa divennero accessibili ad un numero sempre maggiore di persone. La crescita progressiva della stampa come mezzo di comunicazione fu legata allo sviluppo tecnologico dei vari mezzi tecnici necessari al processo di stampa. Nel 1798 fu costruita la prima macchina per la produzione meccanica della carta. Essa permetteva di raggiungere una produzione giornaliera di ben 10 volte superiore rispetto alla produzione normale. Ci furono poi altri sviluppi tecnici, riguardanti la rilegatura, la composizione, ecc., che resero la produzione di testi stampati molto più a buon mercato. Intanto nel 1793 era stato inventato il telegrafo ottico, seguito nel 1835 dal telegrafo Morse. Nel 1866 viene posato il primo cavo sottomarino transatlantico e nel 1868 viene inventata la prima macchina per scrivere. Nel 1871 nasce il telefono e nel 1877 è ideato il fonografo. Con il XX secolo si diffondono nuovi mezzi di comunicazione: cinema, radio e televisione. Furono i fratelli Lumière i primi a produrre nel 1895 in Francia, il primo film della storia, Lavoratori che escono dalla fabbrica dei Lumière, della durata di pochi minuti. Nel 1897 Guglielmo Marconi inviò il primo messaggio senza fili, mentre nel 1916 a New York fu realizzata la prima trasmissione radiofonica. La scoperta del transistor, avvenuta nel 1947, consentì il funzionamento di un apparecchio radio senza corrente elettrica. La televisione, i cui primi esperimenti risalgono agli inizi del novecento, diventa nuovo media nel 1939, quando viene inaugurata la prima stazione televisiva. Le prime ricerche per la videoregistrazione risalgono al 1940, mentre nel 1948 nascono i primi dischi 33 giri. Con il lancio russo del 1957 del primo satellite SputniK inizia l’era delle comunicazioni satellitari. Nel 1975 sono messi in vendita i primi personal computer, i videogiochi e le videocassette con i videoregistratori. Nel 1981 viene realizzato il primo computer portatile. Nel 1982 vengono lanciati il compact disc audio e nel 1985 i primi cd-rom. Nel 1992 invenzione del Web, lo standard di comunicazione di Internet. 14

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Nel corso degli anni successivi stiamo assistendo al perfezionamento dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale e della multimedialità. Ogni giorno che passa porta al miglioramento dei mezzi e a nuove possibilità comunicative. Il cyberspazio, dagli ’90 dello scorso secolo, da soggetto di romanzi fantastici, è diventato un campo aperto, ancora parzialmente indeterminato, dove le parole, le relazioni umane, i dati, la ricchezza e il potere vengono espressi servendosi della telematica. La forma di comunicazione privilegiata è quella per immagini, attraverso uno schermo televisivo. Si tratta di una produzione e riproduzione indefinita di rappresentazioni, di immagini significanti. Questa nuova forma di comunicazione è definita virtuale e le parole chiave rivelatrici sono: · interattività, come possibilità di controllare le informazioni che il computer visualizza sul monitor e di scegliere quali e quando visualizzarle; · ipertestualità, come presentazione di informazioni scritte attraverso un’architettura esplorabile in più direzioni; · multimedialità, come uso e integrazione di diversi linguaggi (scritto, iconico, ecc.) per comunicare un unico messaggio. Internet da rete per la ricerca è diventata “madre di tutte le reti”, grazie alla facilità di utilizzo, alla flessibilità dei contenuti e alla diffusione globale2. Secondo R. Maragliano con la multimedialità si profila un nuovo ordine epistemico: la televisione e il computer non sono semplici macchine, ma apparati di conoscenza, metafore di un nuovo regime mentale caratterizzato da fluidità, contaminazione, interattività3. Internet può essere definito un medium ibrido, nel senso che rappresenta un insieme di forme comunicative, che hanno rivoluzionato abitudini e interazioni sociali. L’evidente cambio del rapporto spettatore-attore, nell’uso delle nuove tecnologie informatiche, mette in crisi modelli consolidati e 2 F. Mascolo -L.Fiorella – G. Michelone Internet, L’informazione senza frontiere, Ed. Paoline, 1997, pp. 21-32 3 R. Maragliano, La didattica multimediale, Laterza, 1994

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tradizionali di comunicazione. Non vengono seguiti percorsi precostituiti, ma ciascun navigatore sceglie la sua rotta di consultazione e si avventura nella rete alla ricerca delle informazioni che vuole e che può reperire. Si può decidere con chi entrare in relazione, a quale gruppo di riferimento fare capo, a quale gioco prendere parte e così via. Il nuovo spazio virtuale in definitiva non è un semplice strumento, ma un nuovo ambiente, all’interno del quale ci sono grandi risorse e altrettanti pericoli. Internet sta, inevitabilmente, conducendo la società verso una riflessione e ridefinizione dei contorni, non solo del sapere, ma dell’agire. Dalla monomedialità alla multimedialità è lo slogan di un nuovo modo di fare comunicazione. L’integrazione dei mezzi non è la semplice somma degli stessi, bensì è un prodotto di sintesi, fatto di testo, immagini, musica ecc., all’interno del quale coesistono la tradizio mass-mediale e l’innovatio multi-mediale4.

4 L. Falco., Comunicazione e Chiesa: le nuove frontiere della comunicazione – Tesi di diploma in Scienze Religiose, Istituto di Scienze Religiose Arezzo – a.s. 2004/2005

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Alfabetario

L’alfabetière (o alfabetàrio) è un sussidio didattico, costituito da una o più tavolette sulle quali sono stampate le diverse lettere dell’alfabeto, in carattere corsivo o stampatello. È uno strumento molto valido che aiuta i bambini (e non solo) a riconoscere, associare ed assimilare le lettere dell’alfabeto. Le lettere saranno le vere protagoniste di questo viaggio, ognuna con la sua identità, ciascuna con la sua importanza. A come…; B come…; Z come…

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Non solo la ricerca di un simbolo grafico, ma un richiamo al vero senso delle parole che ci aprono nuovi orizzonti di conoscenza. Lettera A, a B, b C, c D, d E, e F, f G, g H, h I, i L, l M, m N, n O, o P, p Q, q R, r S, s T, t U, u V, v Z, z

Parole Amore Bisogno Comunicazione Diversità Educazione Formazione Globalizzazione Handicap Inclusione Libertà Magia Normalità Ostacolo Passione Quotidianità Razzismo Speranza Tabù Uguaglianza Vulnerabilità Zelo

A proposito di… Accoglienza, assistenza BES CAA Disabilità Empatia Fede Genetica Help Illusione Lavoro Maieutica Noia Osmosi Pazzia Quiz Relazione Solidarietà Timore Umorismo Vita Zavorra

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La lettera A, a… come amore

La A è la prima lettera dell’alfabeto latino, greco e italiano, nonché della maggior parte degli alfabeti derivanti da quello fenicio. In italiano questa lettera è una vocale velare aperta, ma può assumere anche il ruolo di preposizione che introduce numerosi complementi e locuzioni avverbiali. Come prima lettera dell’alfabeto greco Alfa (Α o α) assume un grande significato simbolico, sacro e misterioso. Si usa come abbreviazione in vari linguaggi specifici. In metrologia rappresenta ara, in fisica ampere e angstrom, in chimica il simbolo dell’argo (fino al 1957). Sono poco più di 40.000 le parole che iniziano con la A. Tra le tante forse la più importante per affrontare il tema della diversità è l’AMORE. Questo sentimento è universale e oltrepassa tutti i confini, abbracciando ogni cultura. Non esiste religione, popolo, società, famiglia che possa fare a meno dell’amore. San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi (13,1-13), scrive il più celebre inno della storia, l’Inno alla Carità. 19

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“1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. 2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. 3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. 4 La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9 La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11 Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. 12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. 13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”. Per Paolo di Tarso tra le virtù teologali emerge quella della carità, intesa come amore verso Dio e il prossimo. Questo Inno, nonostante siano trascorsi dalla sua stesura circa duemila anni, è ancora oggi attuale. La nostra è una società che ha sete di “carità” nel senso anche laico del nome. È necessario superare la cosiddetta sindrome di NIMBY (Not in my back yard, ovvero non nel mio giardino) che ci impedisce di guardare oltre il nostro Io. Non avevo ancora riflettuto a sufficienza sulle capacità distruttive del genere umano e sulla crudeltà delle ferite inflitte alla Terra per mano nostra. Ora che riesco a rendermene conto, vedo distintamente incombere su di noi la minaccia di una punizione definitiva e ineluttabile: la nostra estinzione1. 1 James

Lovelock, La rivolta di Gaia, Rizzoli, 2006, p. 203

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Il tema ecologico si intreccia inevitabilmente con quello economico e sociale. Si affaccia una nuova cultura non più desiderosa di superare le “Colonne d’Ercole”, ma di vivere nella qualità e di svilupparsi dentro i limiti2. L’astronave Terra, unico mondo ad ospitare la vita, viaggia nello spazio con a bordo miliardi di individui che convivono, cercando faticosamente di sopravvivere. Il nostro destino è spesso legato al luogo di nascita che nessuno di noi ha scelto. Si corre troppo e non abbiamo tempo per riflettere sulle domande di senso: chi siamo, da dove veniamo, perché siamo qui. Rispetto al passato però la globalizzazione ci permette di essere tutti più vicini e di acquisire informazioni che ci arricchiscono umanamente e culturalmente. Per la prima volta il nostro pianeta appare un luogo comune di scambio non solo di merci, bensì di valori, idee, sentimenti. Come essere umani, dotati di esperienza, noi crediamo fermamente nel cambiamento. Possiamo donare soltanto ciò che abbiamo. In questo sta il miracolo. Se abbiamo l’amore, possiamo farne dono. Se non lo abbiamo, elargirlo è impossibile3. L’Amore quindi quello con la A maiuscola è dono, condivisione, scambio, affetto, passione, desiderio. È rispetto per l’altro, è amicizia sincera, è l’ingrediente che arricchisce ogni relazione, è l’utopia di un mondo migliore.

A proposito di a… (assistenza e accoglienza) Assistenza e accoglienza sono due facce della stessa medaglia. Da un lato è necessario prestare le proprie cure a chi ne ha bisogno, recando aiuto e conforto, dall’altro è indispensabile accogliere, aprendo il cuore all’altro. È più semplice assistere che accogliere, perché accettare l’altrui diversità è una scommessa rischiosa che mina certezze consolidate. Non è facile abbattere il muro dell’indifferenza e dell’ignoranza che resiste alle intemperie del nostro egoismo. Siamo soliti emettere sentenze sbrigative di fronte a situazioni di disagio e 2 Enzo 3 Leo

Tiezzi, Il capitombolo di Ulisse, Feltrinelli, 1992, p. 92 Buscaglia, Amore, Mondadori, 2008, p. 18

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di difficoltà, imputando al caso o alla sfortuna ciò che dipende semplicemente dalle circostanze. A volte mi sono chiesto come sarebbe stata la mia vita se fossi nato altrove, se avessi avuto un’altra famiglia, se non avessi incontrato le stesse persone, se avessi fatto altri studi, se fossi vissuto in un altro paese, se avessi avuto un’altra educazione. Tutti questi “se” mi fanno comprendere meglio quello che sono stato e che oggi sono, ma mi impediscono di avere una visione chiara del futuro, perché dietro ogni scelta c’è una conseguenza che solo a posteriori può essere ricostruita.

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La lettera B, b… come bisogno

La B è la seconda lettera dell’alfabeto latino e italiano, nonché di quelli derivanti dall’alfabeto fenicio. Nella lingua italiana corrisponde alla consonante occlusiva bilabiale sonora, prodotta quando le labbra sono utilizzate per creare l’occlusione che impedisce momentaneamente all’aria di uscire dalla cavità orale.  La lettera deriva dall’antichissimo alfabeto lineare, usato nel Sinai più di 3.500 anni fa, a sua volta derivato dal geroglifico, in cui il suono era rappresentato da una casa. In chimica la lettera è il simbolo del boro, in fisica quello del bar. Sono circa 10.000 le parole che iniziano con la B e tra queste colpisce soprattutto quella di BISOGNO. Ognuno di noi durante il corso della sua vita ha delle aspettative che tende a soddisfare attraverso la motivazione. Lo psicologo Maslow nella sua Teoria gerarchica del bisogno4 (Motivation and personality, 1954) sostiene che la motivazione è dettata dai bisogni, ovvero dall’esigenza di colmare delle mancanze. 4

Abraham H. Maslow, Motivazione e personalità, Armando editore, 2010

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Esisterebbe una gerarchia dei bisogni idealmente riconducibile ad una piramide. Si parte dai bisogni primari, passando per i vari stadi (bisogni sociali, bisogni del sé) che consentono la progressione una volta soddisfatti. Solo dopo aver appagato i bisogni elementari l’individuo riesce ad esprimere esigenze di livello superiore. Nella struttura piramidale gerarchica dei bisogni, partendo dalla base che contiene i bisogni fondamentali, ci sono diversi gradini: 1) Bisogni fisiologici (fame, sete…); 2) Bisogni di salvezza, sicurezza e protezione; 3) Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione…); 4) Bisogni di stima, di prestigio, di successo; 5) Bisogni di realizzazione di sé e di trascendenza (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale). Facendo riferimento, dunque, alla teoria di Maslow, il superamento dei propri limiti per il raggiungimento di uno status elevato e di un benessere superiore va collocato nel quinto livello. Come afferma David J. Schwartz credere nei grandi risultati è la forza propulsiva, il potere che è dietro a tutti i grandi libri, le opere teatrali, le scoperte scientifiche. Il credere nel successo è dietro ogni impresa, congregazione e organizzazione politica di successo. Il credere nel successo è l’ingrediente assolutamente essenziale delle persone di successo ed è il termostato che regola quello che raggiungiamo nella vita5. Non è facile però scalare la piramide di Maslow, quando la vita ci mette di fronte a situazioni che impediscono una progettualità di lungo termine. Assaliti dai nostri problemi non riusciamo a scorgere le opportunità di un futuro tutto da costruire, correndo il rischio di rimanere ancorati saldamente solo ai bisogni essenziali. Dobbiamo allargare i nostri orizzonti, confrontarci con gli altri, condividere idee, riflettere insieme, perché come uomini sentiamo il bisogno di lasciare la nostra impronta a coloro che erediteranno ciò che saremmo riusciti a custodire. 5

David J. Schwartz, La magia di pensare in grande, NTS srl, 2010, p. 13

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A proposito di b… (Bisogni Educativi Speciali) Con la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 il MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) ha introdotto il riconoscimento degli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ovvero degli individui che con continuità o temporaneamente manifestano esigenze didattiche particolari, dettate da cause fisiche, psicologiche, sociali, fisiologiche o biologiche. Tre sono le categorie di alunni con B.E.S. identificate dal Miur: 1. alunni con disabilità, per il riconoscimento dei quali è richiesta la presentazione di un’apposita certificazione; 2. alunni con disturbi evolutivi specifici tra i quali: Disturbi Specifici dell’Apprendimento (per i quali è necessario presentare una diagnosi di DSA), deficit di linguaggio, deficit non verbali, deficit motorio, deficit di attenzione e iperattività (ADHD). 3. Alunni con svantaggio sociale, culturale e linguistico. Per chi non fa parte del mondo della scuola è molto complesso comprendere il significato e la portata della direttiva sui BES. In altri tempi si liquidava con facilità l’atteggiamento di scarsa partecipazione degli studenti e le difficoltà nello studio erano spesso associate alla carenza intellettiva o alla mancanza di volontà. Molte storie di uomini di successo ci rivelano la sconvolgente verità che nessuno è perfetto, perché è vero che la perfezione non esiste, siamo tutti diversi, siamo tutti speciali6. Oggi ci siamo resi conto che ogni persona ha i suoi bisogni ed un suo ritmo di apprendimento, per cui la sigla BES non identifica una malattia, né un disturbo in particolare, bensì una modalità di rispondere alle esigenze dei singoli. Il lavoro che la scuola conduce in sinergia con le famiglie comporta una rivoluzione culturale tesa a valorizzare le potenzialità dei singoli che diventano “speciali”, perché unici.

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Vladimiro Polchi, Nessuno è perfetto, la rivincita dei diversi, De Agostini, 2021, p. 13

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La lettera C, c… come comunicazione

La C è la terza lettera dell’alfabeto latino e italiano e sembra avere la stessa origine della lettera G derivante dall’etrusco che non differenziava le consonanti velari tra sorde e sonore. Pertanto il gamma greco, a sua volta derivante dal fenicio gamel era usato indifferentemente sia per il suono K che per quello G. In latino quindi alcune parole potevano essere scritte indifferentemente con l’una o l’altra lettera (ad esempio Caio/Gaio). Fu solo nel III secolo a.c. che un liberto del console Spurio Carvilio Massimo Ruga aprì una scuola di grammatica a Roma e differenziò le due lettere, inserendo il trattino orizzontale sulla C (che divenne G). Simbolicamente la lettera C nella numerazione romana equivale a 100, in chimica è il simbolo del carbonio, in fisica quello del Coulomb e del grado Celsius, in medicina la vitamina C. Sono poco più di 30.000 le parole che iniziano con la C, ma quella che sicuramente è più attinente al nostro percorso è COMUNICAZIONE. 26

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Il secolo appena trascorso è stato sicuramente il periodo più rivoluzionario della storia dell’umanità. I grandi progressi compiuti in tutti i campi dello scibile hanno arricchito la specie umana, alimentando utopiche speranze e false credenze sulla possibilità di costruire un futuro sempre più a misura d’uomo. Le innumerevoli scoperte degli ultimi centocinquanta anni hanno contribuito a migliorare enormemente le condizioni di vita di una minima parte della popolazione del globo, emarginando ulteriormente gli abitanti delle regioni più povere. La diffusione delle nuove tecnologie ha rapidamente trasformato la cultura e le culture, favorendo da un lato l’integrazione tra i popoli a livello planetario, dall’altro alimentando ulteriori discriminazioni tra i nuovi ricchi e i poveri. Gli eventi storici stanno dimostrando i limiti e le contraddizioni di un mondo, sempre più fragile e inquieto, incapace di rispondere, nonostante tutto, agli interrogativi esistenziali di sempre. L’uomo del terzo millennio ha, quindi, ereditato dal novecento i dubbi e le incertezze, che da sempre lo accompagnano lungo il sentiero della vita. La vita e la morte sono due aspetti della stessa cosa. Non è possibile sentirsi vivi senza essere consapevoli che si deve morire. Analogamente è impossibile riflettere sul fatto che si deve morire senza pensare al contempo che vivere è una cosa meravigliosamente strana7. Le trasformazioni del mondo in cui viviamo sono state così rapide che risulta arduo ricostruire una memoria del nostro presente. La comparsa dei mass-media e la diffusione di tutti gli altri mezzi di comunicazione hanno prodotto profondi cambiamenti nell’uomo. Alcuni studiosi parlano di mutazione culturale sostanziale tanto incisiva da generare il passaggio dall’Homo sapiens all’Homo communicans, cioè l’uomo della comunicazione. Dopo i mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, televisione, cinema) l’ultima conquista è stata il cyberspazio, con Internet, madre di tutte le reti. L’espressione comunicazione assume una maggiore chiarezza se prendiamo in considerazione la sua radice latina: communis (bene comune). Quindi il suo significato reale indica qualcosa di 7

Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia, Longanesi & C, 2002, p. 11

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condivisibile e, nel suo senso più ampio non può essere inteso come pura e semplice trasmissione di messaggi tra individui. Il processo comunicativo è circolare con il ruolo del ricevente e dell’emittente alternato e reversibile. L’elemento centrale e fondamentale di questo processo è il codice, come insieme di segni, simboli riconosciuto dagli interlocutori8. La comunicazione è un processo dialogico che impegna gli individui in un continuo confronto di esperienze. Questa relazione in forma di dialogo è un procedimento che può avere origine da una o da entrambe le parti e che implica un’opera di codifica e decodifica, determinata dal contesto socioculturale e dalla condizione personale degli interlocutori. La comunicazione assume così il ruolo di cellula base del tessuto formativo di ogni persona e diventa un preciso atto sociale in cui chi vi partecipa condivide una esperienza reciproca di scambio. Non sempre il passaggio dell’informazione è fluido, sia per le difficoltà di comprensione del messaggio, sia per i possibili disturbi di ricezione (visivi, uditivi, ecc.). L’utilizzo di una pluralità di codici (verbali e non verbali) garantisce lo sviluppo relazionale, aumentando le possibilità di interagire. Molte delle difficoltà che incontriamo lungo il cammino personale e professionale sono di natura comunicativa, perché non sempre quello che diciamo arriva all’altro come vorremmo e viceversa. L’interpretazione soggettiva tende a travisare la realtà a volte involontariamente, altre volte volutamente, per cui diventa fondamentale riappropriarsi del significato vero della comunicazione, ovvero quello di bene comune da condividere.

A proposito di c… (comunicazione aumentativa alternativa) La comunicazione aumentativa alternativa (CAA) è una modalità diversa di comunicare offerta a chi ha difficoltà ad usare i normali 8 R. Raffagnino, L. Occhini Il Corpo e l’altro – Imparare la comunicazione non verbale, Guerino Studio, 2000, pp. 41-62

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canali comunicativi, a causa di patologie congenite o acquisite. Questo approccio utilizza un insieme di strumenti e strategie finalizzate a favorire la diffusione di un linguaggio aumentativo (nuovi modi di comunicare) e alternativo (diverso dal linguaggio parlato). La CAA privilegia la voce, i gesti, il linguaggio del corpo e dei segni, le immagini, i supporti visivi e i dispositivi che generano parole vocalizzate. L’obiettivo finale di un intervento di Comunicazione Aumentativa Alternativa non è trovare una soluzione tecnologica ai problemi di comunicazione, ma è quello di consentire alle persone, che hanno difficoltà a condividere i normali codici comunicativi, di essere efficacemente coinvolte e di partecipare alle attività che preferiscono. Comunicare con chi usa la CAA significa fare un’esperienza incredibilmente coinvolgente che, stravolgendo l’ordinario, conduce in un mondo parallelo di significati, dove una semplice icona apre nuovi orizzonti di conoscenza.

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La lettera D, d… come diversità

La D è la quarta lettera e la terza consonante dell’alfabeto italiano, corrispondente al delta dell’alfabeto greco, derivato a sua volta da quello fenicio e dalla parola “daleth” che sta a significare porta o battente. La raffigurazione grafica che ne deriva è quella di un triangolo, usato come simbolo di distanze o lunghezze relativamente piccole, di deviazioni e deflessioni, di decrementi logaritmici, ecc.  Il D nella numerazione romana equivale a 500, in chimica invece è simbolo del deuterio, in matematica della derivata. Sono poco più di 25.000 le parole che iniziano con la D e DIVERSITÀ è una davvero speciale. La prima definizione del vocabolario Treccani su questo termine è… l’esser diverso, non uguale né simile9. La parola diversità è poliedrica nella sua accezione più ampia, aperta a riflessioni dalle mille interpretazioni e sfaccettature. La diversità biologica, culturale, sociale, religiosa diventa occasione di discussione e alimenta sentimenti contrastanti. 9 https://www.treccani.it/vocabolario/diversita/

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L’argomento non è di quelli facili, ma credo sia necessario e improrogabile tentare di avvicinarsi con discrezione alla foresta ombrosa delle differenze e dell’eterogeneità. Ancora oggi il colore della pelle, la lingua, la professione religiosa, la provenienza geografica, alimentano quella che potremmo definire un’entropia culturale, un disordine universale che produce sentimenti di rabbia e desolazione. L’apparenza spesso inganna e ognuno si costruisce la propria visione della realtà. Quando guardiamo gli altri dobbiamo vedere le tante cose visibili e invisibili, avendo a disposizione una vasta gamma di “utensili” con cui osservare la realtà. Il nostro bagaglio di conoscenze, il nostro linguaggio, le nostre percezioni spesso ci impediscono di vedere ciò che è essenziale, escludendo aspetti della realtà che percepiamo, ma non riusciamo a cogliere. Abbiamo spesso paura di guardare chi ci sta di fronte, sospettiamo di tutto ciò che risulta incomprensibile ai nostri occhi. La diversità in quanto tale rappresenta una zona di confine incerta, dove i margini tra identità e differenza, tra uguaglianza e difformità sono sottili e sfumati. Quando poi l’oggetto del contendere è la disabilità diventa tutto più difficile, perché ogni persona in situazione di handicap ci pone domande di aiuto e comprensione, alle quali non sempre riusciamo a dare risposte adeguate. L’incontro con il mondo della disabilità ci costringe a serie riflessioni, obbligandoci a rivedere la nostra vita con occhi diversi. Ci segna profondamente nell’anima e ci conduce alla scoperta di identità e soggettività sconosciute: il mondo dei cosiddetti invisibili, un popolo sparso ovunque. Una schiera di anime vaganti che ha una storia da raccontare, come quelle che Candido Cannavò definisce tesori di umanità, moltitudine che, lontana da ogni clamore, realizza l’impresa più grande: quella di vivere dignitosamente, giorno dopo giorno10. 10

Candido Cannavò, E li chiamano disabili, BUR Rizzoli 2005, p. 7

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La linea di confine che separa “noi” dagli “altri” svanisce quando cominciamo a chiederci chi siamo noi e chi sono gli altri, sia dal punto di vista biologico che culturale. L’uguaglianza può contenere in sé enormi pericoli proprio perché rischia di diventare uniformità e di degradare quella qualità essenziale della vita (sia biologica che intellettuale) che è la diversità11 Siamo tutti uguali è uno slogan inflazionato: la verità è che siamo tutti diversi, anche se non è facile accettarlo.

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A proposito di d… (disabilità) Nella Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009, la disabilità è definita come “il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri” (Preambolo, punto e). Le difficoltà di una persona vanno contestualizzata nell’ambiente in cui vive. Una barriera architettonica può ad esempio determinare qualche complicazione per un giovane non necessariamente invalido, diventare un ostacolo per una persona anziana e trasformarsi in un vero e proprio impedimento per un disabile in carrozzina. L’espressione disabilità per troppo tempo ha sottolineato il deficit, ciò che manca rispetto a un’abilità, rispetto alla norma. Disabile e disabilità sono concetti che identificano abbastanza chiaramente alcune categorie di persone e una serie di questioni relative alla vita associata, al diritto, alle politiche sociali. Nondimeno quello che oggi si chiama disabilità è una condizione sociale, biologica ed esistenziale sempre esistita nella storia dell’umanità12. L’antropologo napoletano Ernesto De Martino, pensando al disturbo psichico, afferma che il giudizio di normalità e anormalità è 11 Piero

Angela, La vasca di Archimede, Garzanti Editore, 1981, p. 351 Schianchi, Storia della disabilità, Carocci editore, 2012, p. 11

12 Matteo

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estremamente difficile, perché è necessario studiare i disordini mentali in rapporto al loro condizionamento socio-culturale in una determinata comunità13. La traduzione relativistica che ne deriva comporta che ogni collettività, ogni civiltà ha dei valori diversi. Quindi non esistono valori assoluti, ma ogni gruppo crede in cose diverse, interpreta la giustizia in modo diverso, ecc. Gli uomini vedono la realtà così come viene pensata nella comunità. Tuttavia possiamo affermare che tutti gli uomini hanno qualcosa in comune, un pensiero collettivo, e con questo pensiero in comune sentono la realtà. Gli uomini vedono la realtà così come appare ai loro occhi e quindi l’umanità può conoscere e condividere delle verità.

13 Canevaro

A, Goussot A., La difficile storia degli handicappati, Carocci editore, 2005, p. 60

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La lettera E, e… come educazione

La E è la quinta lettera dell’alfabeto italiano ed etrusco, nonché la seconda vocale in sequenza nel nostro vocabolario. Graficamente riprende la forma della maiuscola della epsilon greca, mentre la sua pronuncia può essere semiaperta o semichiusa. È una lettera che diventa “parola” (congiunzione) o verbo (terza persona del verbo essere). In geografia la lettera viene usata come abbreviazione di Est, in fisica come simbolo del vettore intensità del campo elettrico e della carica dell’elettrone, in medicina rappresenta la vitamina e. Sono poco più di 10.000 le parole che iniziano con la E, quella dell’EDUCAZIONE non può mancare in questo alfabeto. La parola educazione è un termine colto, la cui etimologia è incerta tra ducere (condurre), edere (alimentare), ex-ducere (tirar fuori, sviluppare). Come si può ben intuire l’interpretazione che ne deriva determina modelli educativi differenti. Una cosa è condurre il discente, altra è “nutrirlo” di nozioni e contenuti. Nel corso del tempo ha prevalso la derivazione etimologica da ex-ducere, che è stata utilizzata «allo scopo di evidenziare o rafforzare una 34

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visione teorica dell’educazione come processo in cui si sviluppano potenzialità che sono già “dentro” l’educando». L’educazione sarebbe cioè l’intervento con cui le potenzialità del soggetto «vengono “tirate fuori”, aiutate ad esprimersi, portate in atto; l’esito dell’educazione appare in qualche modo immanente al processo intrinseco al soggetto» e «l’intervento serve solo a permettere alla “natura” dell’educando di esprimersi»14. Quando si parla di educazione si indica sia la realizzazione di un processo inteso come «una sequenza organizzata di attività finalizzate alla strutturazione e al consolidamento della personalità e della sua vita relazionale (processo educativo) sia il suo esito, cioè il risultato complessivo di tali attività»15. Con educazione ci riferiamo dunque non solo alla crescita intellettuale di un individuo, ma anche alla sua capacità di adeguarsi a determinate regole e modelli sanzionati socialmente. Per questo definiamo beneducato chi sa comportarsi a modo; mentre è maleducato o addirittura ineducato chi non conosce le buone maniere e agisce di conseguenza. Il vero educatore è perciò colui che sa parlare, prima ancora che all’intelligenza, al cuore di coloro che vuole far crescere, primi fra tutti i giovani, come ha mostrato, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, nella scuola di Barbiana, Don Lorenzo Milani, (1923 – 1967), sacerdote ed educatore, il cui obiettivo fondamentale non era quello di trasmettere nozioni, bensì di formare uomini: «Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio a averla piena. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola»16. In questa prospettiva soddisfare il diritto all’educazione, come sostiene Piaget, significa «assumere una responsabilità molto più gravosa che assicurare a ciascuno l’acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo; significa veramente garantire a ciascun uomo l’intero 14 Maria Teresa Moscato, Il viaggio come metafora pedagogica. Introduzione alla pedagogia interculturale, La Scuola, Brescia, 1994, pp. 19-20 15 J.M. Prellezo, G. Malizia, C. Nanni, Dizionario di Scienze dell’educazione, Elle Di Ci-LASSEI, Torino, 1997, p. 340 16 Don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1957, p. 239

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sviluppo delle sue funzioni mentali, l’acquisizione delle conoscenze, come pure dei valori morali, che corrispondono all’esercizio di dette funzioni, fino all’adattamento alla vita sociale. Di conseguenza, significa soprattutto assumere l’impegno, tenendo conto della costituzione e delle attitudini, che distinguono ciascun individuo, di non distruggere o sciupare nessuna delle possibilità che l’uomo porta in sé e di cui la società è chiamata ad avvantaggiarsi per prima, invece di lasciare perdere importanti aliquote e di soffocarne altre»17. Per promuovere un’educazione rispondente alle esigenze di una “società delle persone” meno alienata e più solidale, è necessario valorizzare i talenti e le inclinazioni di ciascuno, favorendo la consapevolezza della propria identità, della coscienza di sé, in un processo di crescita sul piano etico-morale, spirituale e religioso.

A proposito di e… (empatia) L’incontro con gli altri non è quasi mai un evento neutro. L’altro è spesso causa di pathos, ovvero sofferenza, emozione, pur sempre “esperienza”. In una relazione l’atteggiamento, come l’insieme di componenti cognitive (conoscenze), affettive (emozioni) e conative (intenzioni), genera sentimenti contrastanti che determinano la distanza tra noi e l’altro in tre modi: · nella sim-patia. Syn significa “con”, ma anche “insieme a”. Nella simpatia l’altro mi rassicura e condivide i miei bisogni; · nell’anti-patia. Anti significa “invece di”, “in cambio di”. Nell’antipatia rifuggo dall’altro, perché provo una forma di avversione; · nell’em-patia. En, significa “dentro”, “fra”, “in” e “uno solo”. Nell’empatia mi immedesimo nell’altro diventando uno con lui. L’empatia è la chiave di volta delle nostre emozioni, perché ci consente di percepire il vissuto emotivo degli altri, offrendoci l’opportunità di farlo nostro. 17

J. Piaget, Dove va l’educazione, Armando, Roma, 1974, pp. 49-50

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Abbiamo tutti bisogno di una “cura” di empatia per guarire dal nostro cieco modo di agire. Forse basterebbe applicare la “Regola d’oro”, universalmente riconosciuta come il principio secondo il quale ciascun individuo ha diritto ad un giusto trattamento, oltre ad avere il dovere e la responsabilità di assicurare un giusto trattamento agli altri: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».

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La lettera F, f… come formazione

La F è la sesta lettera dell’alfabeto italiano e fenicio. Ha la stessa origine delle lettere V, U, Y e W che derivano dalla lettera semitica WAW. Si usa come abbreviazione in vari linguaggi specifici. In matematica si usa come simbolo di funzione, in chimica del fluoro, in fisica del Farad e del Fahrenheit, in medicina della vitamina F. Sono poco più di 10.000 le parole che iniziano con la F, ma quella più attuale è FORMAZIONE. Il concetto di formazione appare come sinonimo di educazione, istruzione, apprendimento, addestramento e, in un certo senso, li coinvolge tutti. Negli anni ’70, quando la stessa pedagogia si frantuma nelle scienze dell’educazione, la formazione si costituisce come sapere specifico della andragogia, cioè l’educazione degli adulti o educazione permanente. L’educazione riguardava la persona «dall’infanzia all’adolescenza, la formazione all’adulto». E in riferimento all’età adulta si 38

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distingueva l’educazione dell’uomo nella sua totalità «da formare o da formarsi nell’attività specifica della sua professione»18. Questa distinzione è presente anche nella letteratura pedagogica di oggi che per educazione intende lo sviluppo di tutte le potenzialità di una persona, mentre per formazione indica un’azione direttamente mirata al conseguimento di un “traguardo maturativo”. Un ulteriore modo di intendere l’educazione e la formazione è che la prima, «sarebbe generale», mentre la seconda «più specificamente orientata verso la professione»19. Il concetto di formazione quindi è molto complesso e assume plurimi significati. La nostra formazione comincia in tenera età e continua fino alla morte. Alla nascita i genitori hanno il compito di conferire una prima forma di educazione, contribuendo alla formazione dei bambini fino all’età scolare. Poi le istituzioni si prendono carico della formazione in maniera collettiva. Ogni Stato, infatti, impone una formazione obbligatoria per dare una conoscenza e una cultura minima ai suoi cittadini. Ognuno poi può coltivare liberamente i propri interessi su qualsiasi argomento e livello culturale, sia in privato sia pubblicamente (formazione libera). Il luogo privilegiato per valorizzare le peculiarità di tutti gli individui è la scuola, orientata alla pluralità e alla personalizzazione dei percorsi d’insegnamento-apprendimento. Il suo compito fondamentale è fornire gli strumenti necessari per crescere psicologicamente, socialmente e culturalmente, acquisire un certo grado di responsabilità e autonomia e, infine, formare alla cittadinanza attiva e alla vita democratica. La scuola affianca al compito dell’insegnare ad apprendere quello dell’insegnare ad essere. Abbiamo bisogno di allargare i nostri orizzonti, lavorando sul contesto scolastico per una seria e concreta inclusione, perché la diversità è un’occasione di crescita, è ricchezza, è un confronto con chi viaggia su questo pianeta alla ricerca di una relazione che vada oltre i confini biologici20. 18

Orlando Cian Diega, Metodologia della ricerca pedagogica, La Scuola, Brescia, 1997, p. 23 M. Laeng, Nuovo lessico pedagogico, La Scuola, Brescia, 1998, p. 194 20 Luigi Falco, Lettera aperta sulla diversità, Intrecci Edizioni, 2021, p. 42 19

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A proposito di f… (fede) La fede consiste nel ritenere possibile quello che ancora non si è sperimentato o non si conosce personalmente. È l’adesione a una verità accolta nonostante l’oscurità che l’avvolge. L’apostolo Paolo insegnò che la fede “è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Ebrei 11:1).  La fede è un principio di azione e di potere. Ogniqualvolta ci impegniamo per raggiungere un obiettivo meritevole, esercitiamo la fede, dimostriamo la nostra speranza per qualcosa che non possiamo ancora vedere. Secondo Francesco Agnoli «si può credere in un Dio personale oppure, non credendo in lui, si possono inventare altre divinità e altri idoli. L’ateo è colui che nega assolutamente un Dio creatore, personale, legislatore universale di ciò che è fisico e di ciò che è spirituale, non per togliere all’universo e all’umanità la possibilità di un senso, ma per creare, implicitamente una nuova fede, una nuova religione, un religamen con altre credenze, altri riti, altri dogmi. Questo tipo di ateo è dunque più che un non credente, “un diversamente credente”»21. Avere fede non significa necessariamente essere devoti di questa o quella religione, ma credere in qualcosa o qualcuno e condividerne idee, valori, credenze. Il termine fede, infatti, deriva dal latino fidem che vuol dire fiducia. L’uso dell’anello nuziale, ovvero della fede, rappresenta proprio la testimonianza della promessa matrimoniale. Nel linguaggio comune spesso con il termine fede si indica il carattere non sempre razionale di una scelta. Come credenti (forse anche creduloni) o laici consapevoli abbiamo bisogno di affidarci agli altri e di fidarci degli altri, consapevoli che la nostra esistenza limitata ci costringe a continui compromessi. Sempre l’apostolo Paolo diceva che “senza fede è impossibile piacere a Dio” (Ebrei 11:6) e io aggiungerei “agli uomini”.   21

Francesco Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Edizioni Piemme, 2009, p. 12-13

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La lettera G, g… come globalizzazione

La G è la settima lettera dell’alfabeto latino e italiano. Come già accennato in precedenza fu il liberto del console Spurio Carvilio Massimo Ruga che differenziò la C dalla G. Come per la C, anche la G si distingue in dolce (es, giallo, giusto) e dura (es. gallo, golfo) Il prefisso G, indica i Giga, ovvero il valore di un miliardo, mentre il simbolo g il grammo e l’accelerazione di gravità. Sono poco meno di 9000 le parole che iniziano con la G e tra queste merita un cenno sicuramente la GLOBALIZZAZIONE. Il termine globalizzazione è adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo22. Lo sviluppo tecnologico dell’ultimo secolo ha rapidamente trasformato la Terra in un grande villaggio globale, i cui abitanti condividono 22

https://www.treccani.it/enciclopedia/globalizzazione/

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idee, informazioni, merci, risorse. Il passaggio dalla società contadina quasi autosufficiente verso una società industriale sempre più dipendente dalla circolazione planetaria di capitali, prodotti, persone, ha determinato una vera e propria rivoluzione con effetti che si ripercuotono a grandi distanze. Il mondo è diventato sempre più interconnesso con differenze marcate tra i diversi paesi. L’accelerazione tecnologica e culturale ha notevolmente accorciato il “futuro” che appare ai nostri occhi sempre più vago e imprevedibile. Oggi si calcola che il parco delle conoscenze raddoppi ogni 10 o 20 anni (nell’ultimo secolo si sono scoperte più cose che nei 10.000 anni precedenti): anche se questo ritmo non continuasse in modo così vertiginoso, i millenni varrebbero forse milioni di anni, e i milioni varrebbero miliardi di anni23. Benvenuti nella nuova era geologica dell’Antropocene! L’era dell’uomo, così come coniata dal chimico e premio Nobel olandese Paul Crutzen, è caratterizzata dall’impronta dell’essere umano sull’ecosistema globale. Le attività antropiche, al pari delle grandi forze geologiche, stanno rimodellando la Terra, modificandone i delicati equilibri ecologici. Lo scienziato Enzo Tiezzi, in uno dei suoi più famosi libri24, descrive due tipi di tempo: il “tempo biologico” e il “tempo storico”. Il primo che ha un ordine di grandezza di miliardi di anni ci racconta la storia della vita sulla Terra, il secondo che ha un ordine di grandezza di migliaia di anni invece ci espone la storia dell’umanità. Il tempo storico, pur essendo una piccola frazione di quello biologico è in grado d’interferire con esso. La divergenza tra il tempo storico (scala umana) e quello biologico (scala della natura) è il vero problema della sostenibilità. Cambiamenti che prima avvenivano nell’ordine di migliaia, milioni di anni, oggi avvengono nell’ordine di decenni: i tempi biologici e i tempi storici seguono ormai ritmi diversi con la conseguente imprevedibilità di come intervenire, per limitare i danni all’ambiente, in futuro. 23

Piero Angela, Viaggio nella scienza, Mondadori, 2002, p. 533 Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Donzelletti Editore, 2005

24 Enzo

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Come scrive Papa Francesco “Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora. Niente di questo mondo ci risulta indifferente” 25. Il problema ecologico è fondamentalmente un problema etico. È necessario affermare il duplice primato della persona umana sullo sviluppo e sulla scienza/tecnologia26. Lo sviluppo non può coincidere solo con la crescita quantitativa, ma deve essere compatibile con uno sfruttamento delle risorse sostenibili per l’ambiente. Relativamente alla scienza/tecnologia il fine non può essere solo il mercato, bensì l’umanità intera. La giustizia ambientale è equivalente a quella sociale. Il rispetto e la considerazione della natura e del vivente non possono essere disgiunti dal rispetto e dalla considerazione per gli altri esseri umani27. Grandi sfide ci attendono al varco del futuro e nonostante la possibilità che qualunque disastro possa succedere, «il meglio finisce sempre per accadere e l’avvenire è migliore di qualunque passato»28.

A proposito di g… (genetica) Molti aspetti della nostra vita sono riconducibili a caratteristiche che ereditiamo dai genitori, i quali a loro volta le hanno ereditate dai loro antenati. Il colore dei capelli, i tratti somatici, l’altezza, la predisposizione a determinate malattie, sono solo alcuni esempi che ci fanno ben comprendere come siamo condizionati dal nostro passato biologico. Possiamo anche aggiungere che anche alcuni aspetti della nostra personalità, pur mediati e modificati dall’ambiente in cui viviamo, sono figli di un trascorso scritto nelle nostre cellule, precisamente nel DNA sotto forma di cromosomi. Ogni organismo vivente possiede un genoma, ovvero un patrimonio genetico. 25

Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, maggio 2015 pr. 2 Sergio Rondinara, L’ambiente dell’uomo, Citta Nuova, 1996, p. 32 27 Daniela Padoan, Niente di questo mondo ci risulta indifferente, Edizioni interno4, 2020, p. 263 28 Piero Pasolini, L’avvenire migliore del passato, Città Nuova, 1983, p. 270 26

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Il genoma umano, variamente definito come «il libro della vita», «il manuale dell’uomo», «il codice dei codici», contiene ricchezze di un valore quasi inestimabile29. La sequenza del DNA umano può essere rappresentata da un’enciclopedia, composta da ventitré volumi (coppie di cromosomi) che contengono migliaia di voci (geni) scritte solo con quattro lettere (basi azotate: Adenina, Citosina, Guanina, Timina). I circa tre miliardi di lettere che formano il nostro DNA sono identici per il 96 per cento a quelli di uno scimpanzè. In altre parole 120 milioni di piccole unità genetiche appena sufficienti a riempire uno dei ventitré cromosomi sono tutto ciò che separa i visitatori dagli inquilini dello zoo di San Diego30. Siamo imparentati non solo con i primati, ma da alcuni studi emerge che abbiamo l’88 per cento del DNA in comune con il topo, l’85 per cento con la mucca, l’84 per cento con il cane, il 65 per cento con il pollo, il 47 per cento con il moscerino della frutta, il 44 per cento con l’ape, il 38 per cento con il verme, il 24 per cento con l’uva31. Il legame di parentela tra gli esseri animali e vegetali indica un’origine comune che ci conferma di appartenere tutti a un grande universo vivente, con la sua straordinaria diversità. L’attività biologica è una proprietà planetaria, una continua interazione fra atmosfera, idrosfera, litosfera e biosfera, cioè piante, animali, microrganismi, molecole, elettroni, energia e materia, tutti legati in un unico “Super organismo”. E ciascun componente, per quanto insignificante possa sembrare, è essenziale per il mantenimento della vita 32.

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Kevin Davies, Il codice della vita, Oscar Mondadori, 2002, p. 45 Natalie Angier, Il canone della scienza, BUR Rizzoli, 2009, p. 224 31 Piero Angela, Tredici miliardi di anni, Rai Eri- Mondadori, 2015, p. 68 32 Giovanna Carli, Enzo Tiezzi, I limiti biofisici del pianeta, Giunti Marzocco, 1991, p. 62 30

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La lettera H, h… come handicap

La H è l’ottava lettera dell’alfabeto latino e italiano. Deriva dalla heth fenicia che rappresentava un recinto. Nel 1691 l’Accademia della Crusca stabilisce che la lettera acca va mantenuta nelle quattro forme del verbo «avere» per distinguerle dalle omofone che hanno suono simile, ma significato diverso (es. o e ho, a e ha). In chimica la maiuscola H è il simbolo dell’idrogeno, mentre la minuscola h rappresenta le ore, l’altezza, l’intensità del campo magnetico. Sono qualche centinaio le parole che iniziano con la H, la più ambigua è HANDICAP. L’etimologia della parola “handicap”, traducibile in italiano con “ostacolo o svantaggio”, deriva dall’ambiente delle corse ippiche inglesi. “Nel linguaggio sportivo […] competizione nella quale i valori dei singoli partecipanti vengono, sia pure parzialmente, pareggiati mediante opportune disposizioni di gara, o di punteggio, allo scopo di consentire qualche probabilità di aggiudicarsi un premio anche ai concorrenti che sono manifestamente inferiori. 45

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[…] Per estensione il vantaggio stesso che viene concesso, o lo svantaggio che viene imposto, ai partecipanti in tali gare”33. Nel linguaggio comune il termine handicap è sinonimo di impedimento, ostacolo, deficienza, invalidità, svantaggio, inabilità. A volte la parola viene usata e abusata in senso offensivo, per sottolineare l’inadeguatezza dell’interlocutore. Per troppo tempo dell’handicap si è evidenziato esclusivamente l’aspetto organico, rimarcandone la sintomatologia ed etichettando le persone come “sfortunate” o vittime di una “maledizione divina”. Sentimenti di disprezzo si sono alternati a quelli di compassione, quasi a sottolineare l’inevitabile barriera che divide la società in sani e malati, normali e handicappati. Pensando di non ferirne la sensibilità, sono state scelte definizioni alternative in grado di esprimere una “mancanza oggettiva”: non vedente, cerebroleso, spastico, mongoloide, invalido, e via di questo passo. L’idea era di focalizzare il deficit, per classificare e capire meglio come confrontarsi con una persona affetta da un determinato handicap. Da qui la parola “handicappato”, ritenuta più appropriata e rispondente alle esigenze terminologiche, con due significati opposti: quello di svantaggio e ostacolo, quindi negativo, e quello positivo di difficoltà. Molte persone che sono state definite prima handicappati, poi disabili, ora sostengono con forza il termine diversabilità. Termine propositivo che mette in evidenza l’essere diversamente abile di molte persone con deficit34. Leggendo uno dei tanti libri autobiografici mi sono imbattuto in un nuovo lemma che descrive gli aspetti della disabilità: difettoso. Così scrive l’autore Franco Vestri. Sì, difettoso è il termine che, con un po’ d’ironia, ritengo il più adatto per definirmi, in relazione alla mia situazione fisica. Non mi sono mai sentito a mio agio quando mi indicano come disabile o come handicappato. E ho sempre pensato che spesso le disabilità o gli handicap siano molto più numerosi di quelli che si vedono 33 34

https://www.treccani.it/vocabolario/handicap/ A. Canevaro, D. Ianes, Diversabilità, Erickson, 2003

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a occhio nudo. Ebbene, questo nostro mondo non è assolutamente attrezzato per accogliere la vita di un difettoso35. Dobbiamo essere consapevoli che le imperfezioni e i difetti fanno parte della vita di ognuno di noi. Si possono commettere errori, ma non per questo bisogna perseverare: chi è senza peccato scagli la prima pietra36 Per aggredire l’analfabetismo “culturale” che ci impedisce di costruire una società più accogliente e aperta all’altro bisogna liberare l’intero potenziale umano e metterlo al servizio dell’Uomo. Si tratta di lavorare per il bene di ciascuno e per il bene comune; si tratta di accettare le provocazioni della storia e di raccogliere le sfide del tempo presente37. A proposito di h… (help) In qualsiasi parte del mondo una richiesta di aiuto, soccorso e assistenza è riconducibile alla parola Help. Entrata prepotentemente nel nostro bagaglio linguistico assume in informatica la funzione, presente in programmi di software, per fornire spiegazioni e assistenza nell’uso del programma stesso. Help! è anche un celebre brano dell’album omonimo pubblicato dal famoso gruppo musicale britannico dei Beatles nel 196538. La canzone composta da John Lennon è una vera e propria richiesta di aiuto per una vita troppo prigioniera del successo. Le battute iniziali sono già tutto un programma di… aiuto Help, I need somebody Help, not just anybody Help, you know I need someone, help.

Aiuto, ho bisogno di qualcuno, Aiuto, non di uno qualsiasi Aiuto, sai ho bisogno di qualcuno, aiuto!

35 Franco Vestri, Diario di un difettoso, Apice libri, 2015, p. 104 36 Vangelo di Giovanni 8, 7 37 Nicola Paparella, Istituzioni di pedagogia, Pensa multimedia, 1996, p. 146 38 https://www.youtube.com/watch?v=2Q_ZzBGPdqE

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Non dobbiamo avere paura di chiedere soccorso e appoggio agli altri, perché la scelta coraggiosa di aprirsi è un deterrente rispetto a tutto ciò che sembra esserci di cattivo nel mondo. Leo Buscaglia nell’affrontare il tema della passione per un mondo migliore afferma: perchè permettiamo che l’orrido assuma un’importanza così dirompente nella nostra vita? Se non lo rigettiamo con determinazione, finirà di certo col renderci ciechi alla luminosa realtà che ci circonda. Se solo potessimo sfuggire alle nostre trappole percettive e accorgerci che bellezza e bontà esistono in eguale misura rispetto a quel che c’è di negativo. Quale miracolo illuminerebbe questo mondo se soltanto potessimo tutti condividere questa idea!39. Io la condivido e Voi?

39

Leo Buscaglia, Autobus per il paradiso, Mondadori, 1987, p. 206

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La lettera I, i… come inclusione

La I è la nona lettera e la terza vocale dell’alfabeto italiano. L’origine va rintracciata nella Jodh delle lingue semitiche e nella iota greca, per poi transitare senza mutare forma all’alfabeto etrusco e latino. Nel Medioevo gli amanuensi aggiunsero un punto sopra la i, per distinguerla dalla u, dalla m e dalla n nella scrittura gotica. I nella numerazione romana indica 1, in chimica è il simbolo dello Iodio e in matematica rappresenta l’unità immaginaria. Sono poco più di 36.000 le parole che iniziano con la I, ma non ho alcun dubbio di scegliere INCLUSIONE. Questo termine è parte di una triade ricca di significati: le tre I, ovvero Inserimento, Integrazione e Inclusione. Le tre parole hanno in comune diverse lettere, la cui combinazione le fa mutare di significato. · Inserimento contiene 2i, 2n, 1s, 2e, 1r, 1m, 1t, 1o (11 lettere) · Integrazione contiene 2i, 2n, 2e, 1r, 1t, 1o, 1g, 1a, 1z (12 lettere) · Inclusione contiene 2i, 2n, 1c, 1l, 1u, 1s, 1o, 1e (10 lettere) 49

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Inserimento ha in comune con integrazione l’81 per cento delle lettere, inclusione ne condivide con inserimento il 70 per cento e con integrazione il 60 per cento. Questo gioco di lettere per sottolineare che l’espressione profonda delle parole non è una semplice somma algebrica di caratteri, né tantomeno un casuale posizionamento di segni. Proviamo allora a definirne i confini non solo ortografici, con un occhio particolare alla scuola. Il termine inserimento è figlio di un lungo e travagliato percorso giuridico, caratterizzato da una prima fase che introduceva i “minorati” (portatori di handicap) e i disagiati in genere in scuole appositamente costituite (Legge Gentile del 1923). Negli anni sessanta vengono istituite le classi differenziate e le scuole speciali. La disabilità viene percepita come malattia sociale e l’approccio è di tipo medico. Negli anni settanta le prime norme che sanciscono il diritto delle persone con disabilità a frequentare la scuola pubblica (art. 28 legge 118/71) e ad avere un posto nella società. È questa la fase dell’inserimento fisico, fatto in maniera selvaggia, con poca attenzione alla qualità dell’intervento educativo. Il “Documento Falcucci” del 1975 getta le basi per una scuola realmente aperta al diverso. Con la legge 517 del 1977, venivano effettivamente inseriti a scuola i bambini con disabilità, si abolivano le classi differenziali e si definiva il ruolo dell’insegnante di sostegno. La legge 104 del 1992 intitolata “Legge- quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap” rappresenta un passo fondamentale verso l’integrazione che punta non più al semplice inserimento fisico, bensì alla qualità degli interventi, mirando alla piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società. Non per tutte le persone in situazione di handicap è facile poter usufruire in modo adeguato del “tempo sociale”40. Per farlo possono avere bisogno di assistenza. Chi li aiuta? Il problema delle opportunità è serio, quanto 40 Renzo Vianello, Difficoltà di apprendimento, situazioni di handicap, integrazione, Edizioni Junior, 1999, p. 112

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attuale, e va collocato nella sfera della “normalità”. Gianni Baini, con il quale ho condiviso diverse esperienze, a mo’ di provocazione afferma che…sono felice di non essere normale, se per normalità si intende indifferenza, paura del diverso, timore di vivere, compassione verso il prossimo 41. In effetti troppe volte tendiamo a circoscrivere in improvvisati confini i nostri pregiudizi verso coloro che sembrano meno baciati dalla fortuna. Diventa facile catalogare le persone e inserirle in contenitori di comodo. Con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 a New York dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, entrata in vigore il 3 maggio 2008, vengono finalmente assicurati e promossi i principi fondamentali di non discriminazione. Come recita l’articolo 1, lo scopo della Convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità 42. Si procede quindi verso la logica dell’inclusione che parte dal contesto per arrivare al soggetto, valorizzando le risorse in un’ottica di sostegno “distribuito”. L’inclusione fa riferimento alle varie prassi di risposta individualizzata realizzate su tutti i vari bisogni educativi di tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, l’integrazione fa riferimento specificamente ai disabili mentre l’inclusione riguarda i bisogni di tutti gli alunni. Valutando, infatti, tutti i Bisogni Educativi Speciali nasce l’esigenza di rispondere in modo inclusivo, considerando e dando dignità a tutti i bisogni di tutti gli alunni 43. Il cambiamento in atto è ormai irreversibile, ma dietro l’angolo incombe il pericolo di un ritorno ai fantasmi del passato. Fare marcia indietro sulla strada dei diritti, lasciar prevalere il mito dell’uomo produttivo, e quindi dell’uomo “utile”, sarebbe una sconfitta storica, gravida di rischi per tutti, anche per coloro che oggi si vantano “sani”44. 41 Gianni

Baini e Luigi Falco, Il valore della diversità, Intrecci edizioni, 2018, p. 69 https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/disabilita-e-non-autosufficienza/focus-on/ Convenzione-ONU/Documents/Convenzione%20ONU.pdf 43 Dario Ianes, Bisogni educativi speciali e inclusione, Erickson, 2005, p. 71 44 Massimo Fioranelli, Il decimo cerchio, appunti per una storia della disabilità, Editori Laterza, 2011, p. 121 42

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Dobbiamo guardare al futuro con ottimismo, consapevoli che molte profezie si realizzano solo dopo che sono accadute. Per usare una nota espressione latina: «Faber est suae quisque fortunae», che in italiano suona per l’appunto «ciascuno è artefice del proprio destino». Lasciamoci allora trasportare dalle parole di Nick Vujicic, nato senza braccia e gambe…arrendersi significa abbandonare l’illusione di essere al posto di guida. Certo, si decide come e quando agire, e l’atteggiamento da adottare nei confronti del mondo; si sogna, si definiscono obiettivi in base alla propria passione, ma è un’illusione credere di poter determinare ciò che accade a noi e intorno a noi. L’unica possibilità è prepararci al peggio e fare del nostro meglio, sviluppando appieno il nostro potenziale, in modo che, qualunque cosa accada, manteniamo salda la fiducia nella nostra capacità di perseverare e tuffarci nel futuro 45.

A proposito di i… (illusione) Ognuno di noi è abituato a guardarsi intorno, scrutando il mondo con i propri sensi. Occhi, orecchie, naso, bocca e pelle ci aiutano a percepire la realtà finemente rielaborata dal nostro cervello. Rimaniamo incantati di fronte al cielo stellato e restiamo altrettanto affascinati quando la natura diventa nelle sue manifestazioni spettacolare. I nostri occhi ci consentono di avvertire la tridimensionalità degli oggetti, le orecchie di captare i suoni che ci circondano, il naso di sentire odori e profumi, la bocca di gustare cibi e prelibatezze, la pelle di entrare in contatto fisico con la materialità intorno a noi. Le sensazioni, pur soggette alla caducità del nostro pensiero, ci consentono di superare i limiti del corpo e di entrare in contatto con l’esterno. Tuttavia la percezione della realtà può essere falsata dai sensi o dalla mente che focalizzano l’attenzione su alcuni dettagli, trascurandone altri. Il nostro cervello, per funzionare in maniera efficace, seleziona 45 Nick

Vujicic, Non smettere di crederci mai, Newton Compton Editori, 2013, p. 187

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le informazioni ritenute importanti, scartandone altre che sembrano inutili. Di conseguenza, riesce piuttosto difficile ricordare esattamente cose che non appaiono avere un senso o che non hanno nessun legame tra loro46. Ciò è particolarmente vero ad esempio per la descrizione di accadimenti che i testimoni oculari riferiscono in maniera completamente differente oppure per le apparenti dimostrazioni paranormali. Il problema oggi è proprio quello di separare ciò che si sa da ciò che si vede47, perché come abbiamo già accennato la nostra percezione è limitata e ingannevole. “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”: con questa affermazione del V secolo a.C. il filosofo sofista Protagora di Abdera affermava che il valore delle cose varia da persona a persona e per lo stesso individuo, da momento a momento48. L’idea dell’Homo mensura inaugura in occidente la prima forma di relativismo con l’impossibilità di stabilire verità o valori assoluti, perché ogni affermazione è relativa al contesto in cui viene detta. Il problema è chiaramente molto ampio, ma a distanza di oltre duemila anni suona ancora attuale la provocazione di Protagora. Fin dai tempi antichi e in ogni parte del mondo, i segni e i fenomeni della natura (la flora, la fauna, gli astri), ma anche gli oggetti e i numeri, sono stati interpretati in modo fantasioso e vivace da parte degli uomini e hanno avuto un ruolo importante nella loro vita spesso complessa e incomprensibile49. Le credenze popolari e le leggende hanno contribuito a fornire spiegazioni dei fenomeni fino all’affermazione del pensiero scientifico. L’illusione però di arrivare alla conoscenza tramite percorsi di natura soggettiva o per scorciatoie poco razionali resiste all’usura del tempo. Inoltre il pregiudizio, ovvero la tendenza a rimanere ancorati a idee e concetti ai quali “si crede”, può ostacolare seriamente il raggiungimento della verità. Questo 46

Massimo Polidoro, L’illusione del paranormale, Franco Muzzio Editore, 1998, p. 302 Piero Angela, Viaggio nel mondo del paranormale, Garzanti, 1992, p. 408 48 Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia greca-I presocratici, Mondadori, 1998, p. 216 49 Fabiola Marchet, Non è vero, però ci credo, Armenia, 2008, p. 7 47

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accade anche quando il soggetto è in perfetta buona fede e le convinzioni in cui esso crede possono addirittura influire sulla valutazione dei dati sperimentali50. Il proliferare delle bufale e la diffusione di false notizie ci sottomette a forme di depistaggio continuo che possono ingannare chiunque. Non è facile rispondere al bombardamento mediatico e prima o poi ognuno di noi vuole arrivare alla radice delle cose. Quanto più consideriamo le cose in modo obiettivo ed equilibrato, tanto più ci viene a mancare il coraggio di modificarle in qualche modo. Più le comprendiamo, più ci appaiono complesse51. A volte preferiamo vivere di illusioni, piuttosto che affrontare la “cruda” realtà.

50

Silvano Fuso, Realtà o illusione, Edizioni Dedalo, 1999, p. 96 Drewermann, I tempi dell’amore, Queriniana, 1996, p. 42

51 Eugen

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La lettera L, l… come libertà

La L è la decima lettera dell’alfabeto italiano e la dodicesima dell’alfabeto latino moderno, nel quale è preceduta da J e K. La forma grafica deriverebbe dalla schematizzazione del braccio dell’uomo tenuto a 90° come funzione di misura. In matematica la lettera l indica la lunghezza, ma è anche il simbolo del litro e rappresenta in fisica il lavoro (L). Sono poco meno di 6000 le parole che iniziano con la l e la più sublime è indiscutibilmente LIBERTÀ. Il valore universale di questa parola apre infinite riflessioni e considerazioni. L’uomo da sempre insegue la sua libertà e la storia è ricca di esempi in questa direzione. Cosa vuol dire essere liberi? Da un punto di vista giuridico per libertà di ogni individuo si intende, in linea di massima, il diritto di disporre liberamente della propria persona. Una frase attribuita a Martin Luther King, già presente nel filosofo Kant, recita che la libertà finisce dove comincia quella degli altri. 55

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L’ambiguità di questa affermazione comporta diverse interpretazioni, perché nessuno è in grado di circoscrivere il campo d’azione altrui e quindi di individuare il limite da non oltrepassare. Tuttavia rimane il fatto che la mia libertà non può e non deve ostacolare quella degli altri. Avevo appena dieci anni quando, nel settembre del 1978, su Rai 2 veniva trasmessa la miniserie televisiva Radici, ispirata all’omonimo romanzo di Alex Haley che, attraverso i personaggi, ripercorre le sue radici afroamericane. Siamo nella seconda metà del settecento e durante le vicende che ruotano intorno alla tratta degli schiavi, Kunta, un ragazzo del Gambia della famiglia dei Kinte viene catturato e condotto nella colonia britannica del Maryland e di qui in Virginia. La storia di Kunta Kinte che non accettò mai la sua condizione di schiavo, ribellandosi fino a subire l’amputazione di un piede, è un inno alla libertà contro un mondo che si riteneva civilizzato. Troppo volte l’umanità ha compiuto errori macroscopici, in virtù di convincimenti culturali, religiosi, economici, sociali. Sono errori che si ripetono e che assumo vesti solo apparentemente diverse dal passato. Allora forse aveva ragione Sant’Agostino d’Ippona, quando nei suoi Sermones (164,14) affermava che Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere (“cadere nell’errore è stato proprio dell’uomo, ma è diabolico insistere nell’errore per superbia”). La riflessione si complica ulteriormente nel momento in cui proviamo a capire come operiamo le nostre scelte e in che modo siamo artefici del nostro destino. Nel libro “Homo deus”, l’autore Yuval Noah Harari provocatoriamente sottolinea che la scatola nera di Homo Sapiens non contiene un’anima, né il libero arbitrio, né il sé, ma soltanto geni, ormoni e neuroni che obbediscono alle stesse leggi fisiche e chimiche che governano il resto della realtà52. Ridurre l’uomo a mera creatura come le altre comporta un forte riduzionismo, perché se è vero che siamo parte integrante del processo evolutivo naturale è altrettanto innegabile che abbiamo capacità e abilità in grado di modificare sostanzialmente il mondo. Da qui la necessità di comprendere fino in fondo chi siamo. 52

Yuval Noah Harari, Homo deus, breve storia del futuro, Bompiani, 2017, p. 428

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Nell’epigrafe della tomba di Kant il suo pensiero riecheggia nella frase Due cose riempiono il mio animo di ammirazione: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me 53. Dunque siamo chiamati a scrutare il nostro io, bussando alla coscienza per ricercare dentro di noi quelle risposte che inseguiamo da sempre. La coscienza è la facoltà mediante la quale l’uomo percepisce sé stesso come soggetto di pensiero, di azione, di creatività, di decisioni, di scelte sempre nuove. È nella coscienza che l’uomo accoglie ed elabora i grandi principi, mediante i quali egli giudica il valore morale delle proprie azioni. La grandezza della coscienza, perciò, consiste nel fatto che essa, in definitiva, è l’unità di misura che consente all’uomo di affrontare responsabilmente la realtà 54. In quest’ottica la libertà diventa confronto con sé stessi e dialogo con gli altri. Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, fa riferimento a quattro tipi di dialogo, a seconda degli interlocutori nei vari ambienti. Nel mondo cattolico, per dare il proprio contributo al perfezionamento di quella nota tipica della Chiesa che la definisce “Una”; nel mondo cristiano, per contribuire alla sua unificazione; nel mondo delle religioni, onde, attraverso una più profonda conoscenza ed una più profonda stima reciproca, si possa arrivare a testimoniare e far conoscere il Dio di Gesù Cristo; nel mondo della secolarizzazione, collaborando con gli uomini di buona volontà per suscitare o consolidare ed estendere la fraternità universale55. Alla parola libertà è possibile associare numerosi sostantivi, aggettivi e verbi, ma nei fatti ciò che conta è salvaguardare i diritti di tutti gli uomini senza alcuna distinzione. A tal proposito l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 ha proclamato la Dichiarazione universale sui diritti umani finalizzata a promuovere, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, il rispetto dei diritti e delle libertà. All’articolo 1 si legge che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza; un grande impegno, una scommessa si cui si giocherà il nostro futuro. 53

p. 179 54 55

Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia moderna da Cartesio a Kant, Mondadori, 2004, Gino Rocca, Coscienza, libertà e morale, Citta Nuova, 1990, p. 24 Chiara Lubich, L’avventura dell’unità, Edizioni Paoline, 1991, p. 117

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A proposito di l… (lavoro) Il principe della risata Antonio De Curtis (1898-1967), in arte Totò, in quasi cinquant’anni di carriera ha spaziato tra il teatro, il cinema e la televisione, diventando uno dei comici più popolari di sempre. In uno dei tanti film56 da lui interpretato espone la sua visione dell’umanità, divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali per fortuna è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama. I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza avere l’autorità, l’abilità o l’intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque. Dunque, dottore, ha capito? Caporali si nasce, non si diventa: a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera. Il tema è quello del lavoro come espressione di un’umanità che insegue sé stessa alla ricerca di un’identità. Scavare dentro di noi ci apre nuovi orizzonti, perché non possiamo dare a nessuno al mondo ciò che non abbiamo. Perciò dovete impegnarvi ad “avere”. Dovete diventare la persona più meravigliosa, sensibile, prodigiosa, magica, unica, fantastica del mondo, per avere molte cose da donare e condividere. Pensateci. Se non possiedo la saggezza, posso insegnarvi soltanto la mia ignoranza. Se non possiedo la gioia, posso insegnarvi soltanto la disperazione. Se non ho la libertà, posso soltanto mettervi in gabbia. Ma tutto ciò che ho, posso donarlo 57. In sintonia con questa considerazione il lavoro diventa occasione per esaltare le capacità di servizio dell’uomo. Agli occhi della ragione e della fede, come affermava Papa Leone XIII alla fine del XIX secolo, 56 Siamo uomini o caporali? Regia di Camillo Mastrocinque con Totò e Paolo Stoppa, Lux Film, 1955 57 Leo Buscaglia, Vivere, amare, capirsi, Mondadori, 1982, p. 134

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il lavoro non degrada l’uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere onestamente con l’opera propria58. Voltaire, una delle massime figure del settecento europeo, nel racconto filosofico Candido, pubblicato a Ginevra nel 1759, narra le peripezie di un giovane tedesco in diversi paesi del mondo, dove scopre la violenza che guida le relazioni umane, sperimentando al contempo la precarietà dell’uomo di fronte alla natura. Nella parte conclusiva del racconto il protagonista Candido durante l’ultimo incontro con un turco trova la chiave per dare un senso alla vita e a proposito del lavoro ode queste parole: «Il lavoro ci salva da tre mali grandissimi: noia, vizio e bisogno»59. L’attualità di questi termini riecheggia nelle strade e nei vicoli di quelle città, di quelle periferie, dove il lavoro è ancora oggi un’utopia irraggiungibile. Lo è ancora di più per quelle categorie, le cosiddette fasce deboli, ritenute ai margini della società come disabili, detenuti, tossicodipendenti, stranieri, tutte persone, al cui svantaggio più o meno evidente, bisogna sommare il pregiudizio. Tendiamo a confondere l’essere con l’avere, la sostanza con l’apparenza. La vita è tutta in questa formula: metà amore e metà lavoro. E quando dico lavoro, non penso a una fatica, a un supplizio che uno deve sopportare dalla mattina alla sera per rendersi indipendente dal punto di vista economico, ma un’opportunità che Dio ci ha offerto per dare più senso alla nostra esistenza. Una cosa è “fare” il tabaccaio, e una cosa è “essere” tabaccaio60. Non è facile far coincidere il lavoro con le passioni personali e i tentativi di far convergere la propria attività con ciò che si vorrebbe essere risultano il più delle volte vani. Il compromesso tra Fare qualcosa ed essere qualcuno si consuma nel quotidiano vivere, quando proviamo a bilanciare il nostro “fare” con ciò che siamo. Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), il fondatore della compagnia dei Gesuiti, ci esorta ad essere vigile e attivi «Prega come se tutto dipendesse da Dio. Lavora come se tutto dipendesse da te». 58

Lettera enciclica Rerum Novarum, punto 3 Relazioni tra le classi sociali, 15 maggio 1891 Voltaire, Candido, Einaudi, 2014 60 Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia greca, da Socrate in poi, Mondadori, 2004, p. 115 59

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La lettera M, m… come magia

La M è la undicesima lettera dell’alfabeto italiano. Dietro all’origine della lettera si nasconde il simbolo dell’acqua, derivante dal geroglifico che rappresentava una N nell’antico egizio e che divenne M in semitico perché in questa lingua con tale suono iniziava appunto la parola acqua. La lettera m è abbreviazione di metro e simbolo della massa. In maiuscolo rappresenta i Mega, ovvero il valore di un milione. Sono più di 13000 le parole che iniziano con la M e la più intricante è MAGIA. I fenomeni naturali hanno stupito l’uomo fin dall’antichità e l’idea di ricorrere a spiegazioni sovrannaturali ha portato alla nascita delle prime forme di religiosità. I rituali finalizzati a dominare le ire di una natura incontenibile sono stati affiancati da un atteggiamento “magico” capace di influire sul destino dei singoli e del mondo. 60

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Il senso del magico è importantissimo per comprendere molti aspetti della vita sociale a partire dalla preistoria. Nell’introduzione alla celebre storia dell’arte magica di Henry R. Evans leggiamo che la parola magia è molto antica, ci è stata tramandata dai Greci e dai Romani che l’avevano ricevuta dai Persiani. Ma a loro volta la devono ai Babilonesi, e i Babilonesi agli Assiri e gli Assiri ai Sumeri della regione Accad. Il termine accadico Imga significava sacerdote, in Assiro divenne maga e rab-mag fu chiamato il sacerdote-stregone che esercitava l’attività di esorcizzare, predire la fortuna, fare miracoli. Nella versione latina il termine diventa magus, uomo saggio dotato di poteri soprannaturali, stregone, taumaturgo61. Nell’antichità il “mago” era il “sapiente” o “filosofo”, oggi la magia viene distinta dalla stregoneria che si manifesterebbe come potenza malefica. La capacità di controllare le forze della natura ha prodotto nel tempo una forma di sapere esoterico che nulla a che vedere con l’arte di intrattenimento della prestigiazione. Uno sguardo attento della realtà che ci circonda apre la strada a molteplici riflessioni di carattere esistenziale. L’atteggiamento magico e religioso verso l’interpretazione del mondo non sono da considerarsi in senso storico ed evolutivo. I due atteggiamenti sussistono contemporaneamente, come dimostra oggi il duplice e contemporaneo credere del cristiano in un fatto puramente dottrinale come la grazia, e in un altro tipicamente magico, come il potere taumaturgico delle reliquie. La natura magica o religiosa di un rito o di una preghiera dipende dall’intenzione di chi vi ricorre: è magia aspettarsi il miracolo da una preghiera, ed è religione considerare la preghiera stessa un puro atto di fede, privo di intenti utilitaristici62. La varietà di forme viventi, la complessità degli ecosistemi, l’influenza dei fattori biotici (organismi viventi) e abiotici (luce, acqua, clima, ecc.) rendono sicuramente “magica” l’interpretazione del mondo. La biodiversità è la ricchezza della vita sulla Terra, vincolante per la nostra stessa sopravvivenza. La verità può far male. Può andare contro tutto ciò in cui crediamo, può smentire idee che pensavamo solidissime, può essere in contrasto con quello che a 61 62

Henry R. Evans, The Old and New Magic, Chicago, Open Court, 1906, p. 5 Silvan, La nuova arte magica, La nave di Teseo, 2020, p. 23

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prima vista ci “sembra” più logico e ragionevole, ma la forza dei fatti è tale che sarebbe sufficiente sviluppare uno spirito curioso per iniziare a vedere il mondo con occhi nuovi63. Per salvare l’umanità è necessario salvaguardare la biodiversità. Urge più che mai un’inversione di rotta, fondata su elementi condivisibili. La lotta contro i cambiamenti climatici implica una mobilitazione generale, un ricorso alla scienza, vista non solo come un insieme di conoscenze, al contrario è un vero e proprio modo di pensare, fondato sulla ricerca dell’oggettività, termine troppo carico di implicazioni epistemologiche. Ciò che caratterizza la scienza è essenzialmente una visione realistica e razionale del mondo contrapposta a una visione magica e animistica del pensiero mitico-teologico64. Come afferma il Mago dei Numeri nel libro di Hans M. Enzensberger: «Devi scusarmi, ma il fatto è che mostrare è facile e divertente. Anche fare delle ipotesi non è male. E provare se l’ipotesi è giusta è ancora meglio. Solo che questo purtroppo ancora non basta. Quel che conta è la prova65». Ancora oggi, mentre aumentano le nostre preoccupazioni per il futuro, inseguiamo prove, consapevoli che l’oggettività è un’utopia irraggiungibile. Nella canzone vincitrice di Sanremo 2013 “L’essenziale” Marco Mengoni esprime la necessità di ritagliarsi degli spazi, al riparo da tutte le cose che non vanno per il verso giusto. Ritornare a ciò che ci fa star bene, alla semplicità dell’essere che ci salva… Mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a te. Mentre il mondo cade a pezzi mi allontano dagli eccessi e dalle cattive abitudini, tornerò all’origine, torno a te che sei per me l’essenziale. Il tema della semplicità e della riscoperta diventa la metafora della vita di ciascuno. Per rimanere ancorati alla realtà, abbiamo bisogno anche dell’immaginazione. La realtà e l’immaginazione sono due aspetti in contrasto o due facce della stessa medaglia? «Credo, sottolinea Linda Frola, che ognuna abbia bisogno dell’altra. Nel comune sapere, la realtà è la terraferma e la fantasia l’immenso mare. Alcune persone guardano 63

Massimo Polidoro, Il mondo sottosopra, Piemme edizioni, 2019, p. 298 Silvano Fuso, Realtà o illusione?, op. cit., p. 224 65 Hans M. Enzensberger, Il mago dei numeri, Einaudi, 1998, p. 213 64

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dubbiose la facoltà dell’immaginazione e credono si tratti di non realtà. Può essere anche così, a volte la fantasia è, infatti, come un vascello per eludere il reale. Io vorrei considerare l’immaginazione in un suo aspetto essenziale: come, cioè, potenziale creativo66». Abbiamo bisogno di una metamorfosi, una trasformazione profonda, un mutamento radicale, un cambiamento di idee e di sentimenti, per dare nuova forma ai frammenti della nostra esistenza. Per fare questo dobbiamo innaffiare il seme della magia, nella sua accezione più nobile, che dà vita a una pianticella che nasce, cresce e si fortifica col tempo dentro di noi67.

A proposito di m… (maieutica) Uno dei filosofi greci più famosi dell’antichità è Socrate. Nacque ad Atene nel 470 a.c. e morì nella stessa città nel 399 a.c., dopo essere stato condannato dal tribunale della città natale.  Durante la sua vita non scrisse nulla, per cui i lineamenti storici e la ricostruzione del suo pensiero sono il frutto di aneddoti riportati da altri pensatori postumi. Socrate inaugurò la Scuola di Atene e fu maestro di Platone, che a sua volta fu maestro di Aristotele. La vita di Socrate fa tutt’uno col suo pensiero. Lui, in pratica, non ha fatto altro che cercare la verità in ogni persona con la quale è riuscito a mettersi in contatto68. Egli si divertiva a punzecchiare i suoi interlocutori dicendo che la sua unica conoscenza certa era di non saper nulla. Dietro questa affermazione si nasconde l’intuizione secondo la quale l’unica cosa più pericolosa dell’autentica ignoranza è l’illusione della conoscenza. Il grande pensatore quattrocentesco tedesco Nicola Cusano aveva coniato la formula “dotta ignoranza” come titolo della sua opera maggiore per dimostrare che per essere sapienti bisogna dichiararsi ignoranti. 66

Linda Frola, Evangelizzare con fantasia, Troll libri, 2014, p. 11 La magia della vita, Mondadori, 2015, p. X 68 Luciano De Crescenzo, Storia della filosofia greca, da Socrate in poi, op. cit. p. 41 67 Silvan,

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La ricetta di Socrate per guarire il prossimo dall’ignoranza si basava sul portare alla luce le virtualità nascoste nella mente di ciascuno69. Per il filosofo ateniese la conoscenza altro non è che un ricordo. Così quando un bambino impara a nuotare non fa altro che acquisire consapevolezza sui movimenti che già percepiva vagamente. Il motto socratico “So di non sapere”, non nega l’esistenza della verità, ma ne incita la ricerca. Come giungere alla conoscenza? La prima fase è la pars destruens, ovvero interrogare dissimulando con l’ironia. Manifestando la più assoluta ignoranza e sprovvedutezza, si finge sempre di voler imparare dal suo interlocutore, mettendolo poi di fronte alle sue stesse contraddizioni. Una volta liberato il campo dai pregiudizi, dai falsi ideali e dalle superstizioni, bisogna tirar fuori la vera conoscenza attraverso la maieutica, l’arte di far partorire le menti. Socrate nel Teeto, ricordandosi della madre levatrice, ce ne dà una descrizione: «Il mio lavoro di ostretico rassomiglia in tutto a quello delle levatrici, solo che loro operano sulle donne e io sugli uomini, loro sui corpi e io sulle anime70». Socrate non si presenta come depositario di una “sua verità”, al massimo aiuta gli altri a cercarla in sé stessi. Per esercitare la maieutica Socrate si serve del dialogo che improvvisa a seconda degli input che riceve dall’interlocutore. Oggi dobbiamo recuperare questa importante intuizione per favorire una cultura del dialogo che non sa la verità, ma la cerca.

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Pietro Emanuele, Cogito ergo sum, Salani Editore, 2002, p. 39 Luciano De Crescenzo, Socrate e compagnia bella, Mondadori, 2009, p. 22

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La lettera N, n… come normalità

La N è la dodicesima lettera dell’alfabeto italiano. Probabilmente deve il proprio significato alla parola geroglifica serpente o a quella di pesce che in semitico era indicato con il termine nun. Successivamente si è evoluta nella lettera greca ni, da cui è derivata, per via etrusca, la en latina. In chimica la N indica il simbolo dell’azoto, in fisica quello del Newton, in geografia è l’abbreviazione del Nord. Sono poco meno di 4000 le parole che iniziano con la N e in un alfabeto sulla diversità non può mancare un cenno alla NORMALITÀ. Fino alla fine del 1800 il termine “normale” era usato in geometria come sinonimo di perpendicolare; deriva dal latino “norma” che significa “squadra” (lo strumento per misurare gli angoli retti) e, in senso più generico, “regola”. Oggi con l’aggettivo normale intendiamo tutto ciò che è ordinario, consueto, usuale anche in riferimento a condizioni psicofisiche e ai comportamenti assunti. 65

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Nelle mentalità comune la normalità è associata alle situazioni diffuse. Di contro l’handicap è il risultato (negativo) dell’impatto che una diversità ha su quella che di volta in volta viene ritenuta la “normalità”71. La deviazione dalla norma infrange l’ordine e l’altro diventa sovversivo rispetto al comune modo di vivere. L’alterazione di ordini e misure, di una normalità fatta di convenzioni comunemente condivise, lo stravolgimento di forme precise, delineate, conosciute, questo rende il deforme pericoloso72. È più produttivo l’ordine o il disordine? Si chiedeva De Crescenzo. La sua risposta era: «Non è facile dirlo, dipende dal contesto73». In effetti il concetto di normalità è non è univoco ed è soggetto a mille interpretazioni. Nel racconto “Il paese delle carrozzine” il protagonista, un ragazzo qualunque, si ritrova in un mondo ribaltato, un paese dove tutti indistintamente viaggiano in carrozzina. La sua presenza risulta imbarazzante e anomala in un luogo che non ha mai visto persone che camminano. Avevo sempre pensato che essere autosufficienti rappresentasse la condizione minima vitale per la sopravvivenza. Ero assalito da tanti interrogativi, alimentati probabilmente dalla mancanza di esperienza diretta e di conoscenza del problema. Mi sentivo a disagio, un vero handicappato, incapace di cogliere il senso di ciò che mi circondava. Inutilmente cercavo di gridare la mia normalità, già… Normalità Un concetto molto labile che differisce a seconda dell’angolazione da cui viene osservata74. La nostra società ci ha abituati all’idea che gli atteggiamenti conformi alle regole comunemente accettate rispondono ai requisiti di normalità. Oggi più che mai la disabilità è una minaccia, una condizione possibile degli esseri umani e ciò produce rimosse e pervasive paure. Accostata da un punto di vista antropologico, sociologico e psicologico alla paura della certa morte, la disabilità come possibilità dell’essere umano è addomesticata e rimossa attraverso il “codice della normalità” 75. 71 Massimo Fioranelli, Il Decimo cerchio, appunti per una storia della disabilità, Editori Laterza, 2011, p. XVI 72 Andrea Canevaro, Storia degli handicappati, Carocci, 2005, p. 137 73 Luciano De Crescenzo, Ordine e disordine, Mondadori, 2005, p. 29 74 Gianni Baini e Luigi Falco, Il paese delle carrozzine, Intrecci Edizioni, 2015, p. 22 75 Matteo Schianchi, Storia della disabilità, dal castigo degli dèi alla crisi del welfare, Carocci editore, 2012, p. 208

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Tendiamo a credere che la normalità sia ciò che è atteso e prevedibile, che ha a che fare con il nostro quotidiano, le nostre abitudini, mentre la anormalità con ciò che è inatteso e che ci sfugge. Non c’è niente di statico e quello che è normalità oggi, può diventare anormalità domani, così come comportamenti che accettiamo oggi possono diventare inaccettabili domani. Sentiamo un forte bisogno di normalità. Questo bisogno non nega la diversità o il bisogno speciale dei deficit o delle patologie specifiche, soltanto lo colloca all’interno di un fondamentale ed essenziale bisogno di normalità, di valore, di dignità. L’affermazione dell’uguaglianza e del pari valore non nega le reali diversità delle persone, ma non le usa come discriminanti o per giustificare la riduzione di diritti e opportunità76. Abbiamo l’abitudine di lamentare la normalità della nostra vita, quasi ad indicare in maniera dispregiativa le routine di una giornata, i compiti da svolgere, le attività da portare avanti. Quando le circostanze improvvise, come una malattia, un dolore, un incidente ci impediscono di affrontare la nostra quotidianità rivalutiamo senza remore la normalità perduta. E coloro che invece sono etichettati anormali dalla nascita? Quale condanna li attende? Abbiamo tutti bisogno di intraprendere un viaggio nel mondo dell’handicap che non contempla confini geografici. È un viaggio non immaginario, ma reale e affascinante, per capovolgere il granitico teorema di un’emarginazione, di una condanna civile conclamata dall’abitudine, dalle convenzioni sociali, dall’incultura77. Probabilmente solo così riusciremo a capire che la normalità è solo una invenzione di chi non ha fantasia.

A proposito di n… (noia) La band musicale dei Negrita nel singolo In un mare di noia, estratto dal loro terzo album in studio XXX (1997) esprime la difficoltà di uscire da una giornata noiosa, dalla solitudine e dal senso 76 77

Dario Ianes, La speciale normalità, Erickson, 2006, p. 12 Candido Cannavò, E li chiamano disabili, op. cit., p. 6

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di soffocamento che ne deriva: «che fatica nuotare in un mare di noia, senza pinne e senz’aria in un mare di noia». Anche Vasco Rossi nel brano La noia del suo quinto album Vado al massimo (1982) parla della noia della vita di periferia, dalla quale si tenta di scappare, ma allo stesso tempo affronta il rapporto tra l’uomo e l’infinito: «non è vero che c’è sempre da scoprire e che l’infinito è strano ma per noi sai tutto l’infinito finisce qui». Lo stesso Franco Califano nel brano dell’album omonimo Tutto il resto è noia (1977) affronta il senso della noia che subentra alle emozioni iniziali di ogni storia d’amore: «Cominciano i silenzi della sera, inventi feste e inviti gente in casa, così non pensi almeno fai qualcosa. Si, d’accordo ma poi. Tutto il resto è noia No, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia Maledetta noia». La noia è quel senso di insoddisfazione, di fastidio, di tristezza, che proviene dalla mancanza di attività e dall’ozio o dal sentirsi occupato in cosa monotona, contraria alla propria inclinazione, tale da apparire inutile e vana78. La noia ha dominato la storia del pensiero quasi quanto l’idea della vita, della morte, della giustizia, di Dio, ecc. Uno dei primi a parlare di un particolare stato d’animo, di un “taedium vitae” che arriva all’improvviso fu Lucrezio nel libro del De rerum natura, nel I secolo avanti Cristo. In tempi a noi più vicini sicuramente Leopardi (1798-1837) ci ha dato un contributo veramente interessante sulla noia. Nel pensiero LXVIII afferma la sublimità della noia rispetto agli altri sentimenti umani. Giustifica questa affermazione sostenendo che […] il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; […] e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e vòto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali79. La noia diventa positiva perché è il segnale dell’esperienza: chi conosce la vita si annoia di essa perché non lo stupisce più. 78 79

https://www.treccani.it/vocabolario/noia/ Giacomo Leopardi, Pensieri, Adelphi, 1982

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Dobbiamo a Charles Baudelaire (1821-1867) il merito di aver portato la noia a un livello realmente artistico. Per il poeta francese la noia si tramuterà nel terribile spleen: uno stato di scoraggiamento, di umor nero che contagia i giovani borghesi. Nella poesia di apertura “Al lettore” de I fiori del male80 emerge che lo spleen, è una forma di noia decisamente raffinata, perché non ha a che fare con la vita, ma solo con la bellezza. Sono molti gli autori che nella storia hanno affrontano il tema della noia. Da Orazio a Petrarca, da Kierkegaard ad Alberto Moravia da Jean Paul Sartre a Martin Heidegger, da Bergson a Freud. La noia come male oscuro, anticamera della depressione, richiama al concetto di accidia, il vizio capitale associato a torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene. In uno scritto su L’Avvenire del 12.05.2013 il prof. Luigino Bruni afferma che: «c’è un vizio che si sta insinuando anche nel nostro tempo di crisi e che rischia di diventare una vera e propria malattia sociale. È l’accidia, una forma di malattia del carattere, dello spirito e della volontà. Nonostante la sua evidente pervasività, di accidia oggi si parla troppo poco, la si considera una parola arcaica e desueta, e i pochi che ancora ne comprendono il significato fanno fatica a considerarla un vizio81». Per evitare di cadere nella trappola del “vizio” della noia, probabilmente ha ragione lo psicanalista inglese di origine indiana Masud Kahn82 (1924-1989) quando sostiene la necessità di lasciare la mente come un campo a maggese in maniera da recuperare i pensieri e i desideri più profondi, mantenendo il contatto con sé stessi. Il tempo libero allora non è uno spazio vuoto e sterile delle nostre giornate, bensì un’opportunità per dare nuova linfa alle attività. Impariamo allora a mettere in agenda un appuntamento con “noi stessi”.

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Charles Baudelaire, I fiori del male, Feltrinelli, 2014 https://www.lumsa.it/sites/default/files/UTENTI/u261/BINI%20Sergio%20%282 013%20d%29%20-%20L%27ACCIDIA%20%28n%203-2013%20de%20i%20NURSINI%29.pdf 82 F. Gazzillo, M. Silvestri, Sua maestà Masud Khan. Vita e opere di uno psicoanalista pakistano a Londra, Cortina Raffaello, 2008 81

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La lettera O, o… come ostacolo

La O è la tredicesima lettera e la quarta vocale dell’alfabeto italiano. Può essere aperta (es. oca, osso) e chiusa (es. orma, orso). Nell’alfabeto greco le due alternative venivano rappresentate da due caratteri diversi: omega (maiuscolo Ω, minuscolo ω) e omicron (maiuscolo O, minuscolo o). Nel corso del tempo è prevalso il secondo carattere che praticamente è rimasto inalterato per la facilità con cui si può tracciare il segno. La lettera O in chimica indica il simbolo dell’Ossigeno, in geografia è abbreviazione di Ovest, in matematica si usa come valore vicino allo zero, punto di riferimento dell’origine delle coordinate o centro di proiezione. Sono poco meno di 6000 le parole che iniziano con la O e una delle più pertinenti al nostro percorso è OSTACOLO. Il mio primo pensiero per questo vocabolo vola all’atletica leggera, alle corse con ostacoli, nelle quali l’atleta deve superare delle barriere poste sul percorso di gara. La buona riuscita della performance 70

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è legata al senso del ritmo, perché il superamento dell’ostacolo modifica la corsa senza mai interromperla. Durante la preparazione fisica si acquisiscono le tecniche che affinano le abilità/capacità motorie e solo un allenamento costante garantisce la possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati. La nostra vita in un certo senso assomiglia ad una gara ad ostacoli che ci costringe a prendere decisioni continue, a volte affrettate, altre volte rimandate sine die (senza scadenza). L’amore, il lavoro, lo studio, la salute diventano spesso barriere che proviamo a raggirare, anziché saltare. La paura si impadronisce delle nostre decisioni, ci disorienta, ci rende incapaci di agire. Il giudice Paolo Borsellino, martire vittima della mafia, affermava che «è normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti». La vita è più forte della paura, ci mette alla prova. Nessun uccello vola appena nato, ma arriva il momento in cui il richiamo dell’aria è più forte della paura di cadere e allora la vita gli insegna a spiegare le ali83. È però necessario conoscersi a fondo, perché…Scellerato è colui che agisce senza conoscere i propri limiti, ragionevole chi, verificandoli, vuol capire come superarli84. Per trasformare i limiti in opportunità bisogna far tesoro anche degli errori. Se gli adulti riuscissero a vedere l’errore come il segnale che conviene provare un’altra strada, potrebbero conservare quella dote tipica dei bambini che è la capacità di imparare. E quindi di cambiare85. Il cambiamento è sinonimo di dinamismo, capovolgimento, ribaltamento, rivoluzione, l’esatto contrario di peggioramento, regresso, stasi, involuzione. Molte volte diventiamo, ma non cambiamo un granché. Ci arrangiamo con quello che siamo86.

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Luis Sepúlveda, Storia del gatto e del topo che diventò suo amico, Guanda, 2012 Paolo Crepet, I figli non crescono più, Einaudi, 2005, p. 110 85 Francesca Fedeli, Lotta e sorridi, Sperling & Kupfer, 2015, p. 88 86 Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, 2007, p. 82 84

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Dal frutto si riconosce l’albero e per quanto ci si sforzi è impossibile che da un ciliegio nasca una mela. Nulla toglie però che la mela sia gradevole e dolce come una ciliegia. Il successo e il fallimento sono i principali elementi che nutrono lo sviluppo del sé. Eppure possiamo non essere noi gli arbitri ultimi del successo e del fallimento, che sono spesso definiti dall’esterno, secondo criteri specificati culturalmente87. Molti ostacoli, infatti, sul nostro cammino sono il risultato di pregiudizi, insofferenze, indecisioni, titubanze. Troppi calcoli ci impediscono di essere quello che siamo e per rimanere fortemente ancorati alle nostre certezze siamo disponibili a compromessi anche con noi stessi. Proviamo ad ingannare il tempo e impauriti dal cambiamento ne rimaniamo prigionieri. Bisogna fare a pezzi il tempo privo di misura, abbandonare l’istante presente per tuffarsi nel successivo senza rimpianti, né aspettative, meravigliarsi della ripetizione88. Del resto nella corsa ad ostacoli la ripetizione del salto delle barriere consente all’atleta di arrivare al traguardo.

A proposito di o… (osmosi) Il 2 novembre del 2001 a Parigi durante la 31esima sessione della Conferenza Generale dell’UNESCO viene adottata all’unanimità la Dichiarazione universale sulla diversità culturale. Il dialogo tra le culture e la pacifica convivenza tra i popoli diventa occasione di scambio e di rispetto tra le diverse identità presenti nei gruppi e nelle società che compongono l’Umanità. La diversità culturale rappresenta, quindi, un valore per lo sviluppo umano simile al valore della biodiversità per la natura. Ogni uomo deve poter esprimere la sua diversità in maniera “creativa” nel pieno esercizio della propria libertà. L’immaginazione non può avere confini, né tantomeno essere circoscritta in uno spazio “mentale” delimitato. 87 88

Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, 2002, p. 50 Philippe Pozzo di Borgo, Il diavolo custode, Ponte alle Grazie, 2013, p. 196

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Un bambino nei primi anni di vita sviluppa la capacità di camminare, parlare, pensare… imitare. L’imitazione, che significa “Fare come”, indica il riprodurre qualcosa o un atteggiamento, vuol dire imparare guardandosi intorno. Imitare ci consente di replicare, di emulare la realtà, ci rende in un certo senso uguale agli altri. A tal proposito l’uguaglianza deve evitare il suo più grosso rischio: quello di trasformarsi in uniformità89. In tal senso l’uguaglianza deve dare a ogni persona le stesse chances, opportunità, mezzi, ecc., al contempo però deve salvaguardare la libertà di pensiero, la creatività. Ognuno di noi deve avere la possibilità di imparare a suonare, ma non deve essere obbligato a suonare lo stesso strumento o la medesima musica. La circolazione di idee, lo scambio di conoscenze, l’influenza tra le culture può avvenire senza che vi sia bisogno di un processo attivo di insegnamento. È possibile quindi che l’integrazione delle conoscenze, la condivisione di informazioni, la diffusione di convinzioni segua uno sviluppo “spontaneo” senza particolari forzature. Questo fenomeno richiama, in senso figurato, quello che in fisica e chimica si definisce Osmosi, ovvero uno scambio tra liquidi a diversa concentrazione, separati da una membrana semipermeabile. In parole povere l’osmosi è un processo fisico spontaneo, cioè senza nessun contributo esterno di energia, che consente di ridurre la differenza di concentrazione tra due soluzioni fino a raggiungere un equilibrio. L’osmosi è di importanza vitale per le nostre cellule, perché, grazie alle membrane semipermeabili che le racchiudono, è consentito solo il passaggio delle molecole di acqua e non di altre sostanze. Sarà sicuramente capitato a tutti di osservare la pelle delle dita raggrinzita dopo una prolungata immersione in piscina o in mare. Ebbene in questo caso le cellule (delle dita) per la diversa concentrazione di sali tra il corpo e il mare perdono acqua in virtù del processo osmotico. Come abbiamo visto l’osmosi avviene in maniera spontanea, senza cioè alcun intervento esterno. In generale la natura sempre spontaneamente tende a degradarsi, raggiungendo uno stato di equilibrio. La 89

Piero Angela, La vasca di Archimede, op. cit., p. 358

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grandezza che esprime la tendenza spontanea della natura verso un aumento del disordine (maggiore equilibrio) è chiamata “Entropia”. Solo un intervento “esterno” può ribaltare il processo avvenuto. Il profumo che esce da una bottiglia aperta si espande in una stanza; è altamente improbabile, se non impossibile il ritorno spontaneo delle molecole di profumo nella bottiglia vuota. L’ordine non è spontaneo, ma necessita di un intervento esterno che consenta di invertire la tendenza. C’è un aumento di entropia quando un processo si verifica nella direzione di massimo disordine, di massima dispersione dell’energia: la casa che si deteriora, l’albero che muore, la società che produce rifiuti, il petrolio che brucia, l’acqua che scorre a valle e giunge al mare90. Tutto si degrada, si altera, si modifica. Gli esseri viventi sembrano essere un’eccezione a questa tendenza generale, perché in essi tutto deve essere ordine, tutto deve essere regolato, tutto deve contribuire a un funzionamento, settoriale e complessivo, che qualcuno nel settecento paragonava a quello di una macchina ben regolata, come un orologio meccanico91. La vita è, quindi, una lotta contro l’entropia fino al sopraggiungere della morte che rappresenta l’equilibrio ultimo. Il rito della “trasformazione” si rinnova ogni volta che scatta in noi il desiderio di inseguire una vita migliore. La storia dell’uomo è la testimonianza più evidente di questo desiderio: dalle caverne alle grandi metropoli, dalla scoperta del fuoco all’automobile, dal nomadismo all’industria, dai papiri ai computer e così via. Se oggi siamo quello che siamo lo dobbiamo a tutti coloro che ci hanno preceduto, lasciandoci in eredità un patrimonio incommensurabile. Una citazione antica, ripresa anche dal fisico e matematico Isaac Newton (1642-1726) recita «Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti», ovvero le nostre conoscenze hanno radici profondamente ancorate nel passato. Dobbiamo ai “giganti”, uomini e donne, che ci hanno preceduto l’ambizione di guardare al terzo millennio consapevoli che senza uno sguardo attento al passato non ci sarebbe alcun futuro. 90 91

Enzo Tiezzi, Sergio Ulgiati, Entropia e dintorni, Giunti Marzocco, 1991, p. 32 Edoardo Boncinelli, Io e lei oltre la vita, Guanda, 2017, p. 159

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La lettera P, p… come passione

La P è la quattordicesima lettera dell’alfabeto italiano. È una consonante che deriva dalla Pê semitica (bocca), quindi dal pì dell’alfabeto greco π. In chimica la lettera P indica il simbolo del fosforo, in fisica quello della potenza elettrica, della pressione, del peso, in sismologia le onde longitudinali o prime. Sono poco più di 23000 le parole che iniziano con la P, ma non ho alcun tentennamento su quale scegliere: PASSIONE. La parola passione deriva dal latino passio e indicava il turbamento dell’animo. Nel tempo ha assunto molteplici significati, condizionati da situazioni storiche e culturali che hanno attraversato le diverse epoche. Con l’espressione pathos (sofferenza, patimento), presente nella traduzione greca dei Vangeli veniva posta l’attenzione sul martirio di Gesù. Nei quattro Vangeli canonici il racconto della passione di Gesù è lo strato più antico, nucleo fondante della fede cristiana. 75

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L’intensità di questa dolorosa condizione interiore, caratterizzata da sofferenza, pena, dolore è diventata un’antonomasia con cui indicare sensazioni e sentimenti spesso in contrapposizione alla ragione: la passione indomabile di uno sportivo, la passione irrefrenabile di due amanti, la passione incontenibile dei bambini. Nei trattati di medicina antica si parla di passione dei denti, passione del fegato invece che di mal di denti o mal di fegato. Accanto al significato di sofferenza fisica si trova quello di sofferenza morale, per cui la passione diventa un’emozione incontrollabile, un sentimento poco gestibile, come l’amore, l’odio, la rabbia. Man mano che si indebolisce l’idea della sofferenza e dell’incontrollabilità la passione prende il significato positivo di interesse, di inclinazione, di scoperta, di curiosità. Il cantautore italiano Eros Ramazzotti nel suo singolo Più bella cosa non c’è, pubblicato nel febbraio 1996, in due passaggi del testo, sottolinea l’importanza della passione nella relazione con l’altro… Ci vuole passione con te E un briciolo di pazzia Ci vuole pensiero perciò Lavoro di fantasia Ci vuole passione con te Non deve mancar mai Ci vuole mestiere perché Lavoro di cuore lo sai Nella vita di ognuno di noi non deve assolutamente mancare quella passione che alimenta il nostro impegno per qualcosa o per qualcuno. La vocazione disinteressata e spontanea può diventare il traino di un’esistenza che ci vede protagonisti e non semplici spettatori.

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A proposito di p… (pazzia) Il termine pazzia ha la stessa radice etimologica di passione, dal greco pathos: sentimento, sofferenza. La passione che assume il significato di qualcosa di irrazionale, inconcepibile, bizzarro diventa ai nostri occhi “pazzia”. Per la collettività il matto è un deviato che infrange l’ordine e diventa sovversivo rispetto al comune modo di vivere. Gli atteggiamenti conformi alle regole comunemente accettate, funzionali ai valori sociali dominanti, rispondono ai requisiti di normalità. In una delle citazioni più celebri, Pirandello afferma che “La pazzia è una forma di normalità”, in quanto tutti in un modo o nell’altro siamo più o meno folli. Ogni individuo nella società indossa una maschera che lo obbliga a recitare una parte sulla base delle convenzioni sociali. Per evitare l’isolamento, l’unico modo è rimanere saldamente ancorato alla maschera che ci uniforma agli altri. L’immagine che una persona ha di sé stessa è in primo luogo un’immagine sociale, soggetta all’approvazione degli altri. La storia di Antonio, il protagonista del brano “Ti regalerò una rosa” (febbraio 2007) di Simone Cristicchi, ne è l’evidente dimostrazione. La canzone è sostanzialmente la rilettura di una lettera scritta da un uomo chiuso in manicomio sin da bambino, perché credeva di parlare con il demonio. Rinchiuso da quarant’anni, vive da vent’anni nell’attesa di Margherita, prima di togliersi la vita. Il componimento è una riflessione sulla condizione delle persone con disagi mentali e sul concetto di pazzia. Ecco alcuni passaggi molto significativi. “Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura! Puzza di piscio e segatura!” a sottolineare l’allontanamento dalla società. “Punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base”, cioè l’incapacità di collocare queste persone in un contesto senza che apportino disturbi. “I matti sono apostoli di un dio che non li vuole” come ad evidenziare che rappresentano uno scarto che nemmeno Dio accoglie. “I matti siamo noi quando nessuno ci capisce! Quando pure il tuo migliore amico ti tradisce!”, a dimostrazione dell’isolamento da tutto e da tutti. 77

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A proposito di follia, il noto imprenditore, informatico e inventore statunitense Steve Jobs (1955-2011), il 12 giugno 2005 tenne un discorso di auguri ai laureandi di Stanford, una delle più famose università del mondo. Il suo intervento è diventato una sorta di testamento spirituale, riassumibile nella frase finale: «Ragazzi, siate affamati, siate folli». Affamati di sogni, di vita e di speranza. E folli al punto di osare il tutto e per tutto per seguire il proprio cuore e cercare la vera felicità. Il suo è un incitamento a non sprecare il tempo che è limitato, ma ad avere coraggio per inseguire i propri sogni e le speranze che si trascinano dietro.

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La lettera Q, q… come quotidianità

La Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano. Deriverebbe dalla lettera dell’alfabeto greco arcaico qoppa (poi caduta in disuso nel greco antico), a sua volta legata ad una variante usata dagli Etruschi e dagli abitanti della Magna Grecia. La lettera Q è simbolo del quintale (100 Kg) e aggiunta ad un’unità di misura lineare assume lo stesso valore dell’esponente al quadrato (es. mq, cmq, Kmq). Sono poco meno di 1000 le parole che iniziano con la Q e quella che ci accompagna tutti i giorni è QUOTIDIANITÀ. Nelle Confessioni S. Agostino, nell’undicesimo libro dei tredici di cui è composta l’intera opera, descrive le tappe della sua conversione e la sua ricerca della Grazia divina, riservando un particolare spazio al problema del tempo: «Quid est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio? (Cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so)». 79

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La sua è una riflessione quanto mai attuale. Il passato e il presente non esisterebbero. Il primo, infatti, non è più esistente, mentre il secondo non esiste ancora. Ma anche il presente, in fondo, è solo un momento che si traduce in passato e, in quanto tale, esso non esiste. Per Agostino: il passato e il futuro possono essere pensati solo come presente, il passato come «memoria», il futuro come «attesa», e la memoria e l’attesa sono entrambe fatti presenti92. Come diceva Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari: «La vita non è fatta che di attimi presenti e valgono quelli per chi vuole operare qualcosa. Il passato è già passato e mettiamolo nella misericordia di Dio, il futuro ancora non c’è. Ci sarà quando diverrà “presente”. È il presente che conta, il momento che fugge, che per me, per te, per noi, deve essere colto al volo e vissuto bene, fino in fondo, facendo in quello ciò che Dio vuole da noi: studiare, camminare, dormire, mangiare, soffrire, godere, giocare…»93. Siamo talmente impegnati a scrivere il nostro futuro che dimentichiamo quello che John Lennon cantava nel brano “Beautiful Boy”: «Life is what happens to you while you’re busy making other plans (La vita è quello che ti accade, mentre sei occupato a fare altri progetti)». La celebre locuzione latina “Carpe diem” tratta dalle Odi del poeta Orazio (65–8 a.c.) ribadisce il concetto di cogliere l’attimo presente, per apprezzare ciò che si ha. L’invito è afferrare il frutto di ciascun giorno, coltivandolo con intensità nella quotidianità, senza rimandare al domani eternamente incerto. In fin dei conti come diceva il filosofo Blaise Pascal (1623-1662): «Non si deve misurare la virtù di un uomo dalla sua eccezionalità ma nel quotidiano»94. È la quotidianità il banco di prova che ci rende uomini liberi e consapevoli del proprio destino.

92 Estratto dall’articolo di Michele Strazza Il “Tempo” nelle Confessioni di S. Agostino, Pensiero filosofico 24/11/2015 93 Colloqui con i Gen. Anni 1966/69, Città Nuova Ed. 94 Blaise Pascal, Pensieri, Rusconi, 2014

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A proposito di q… (quiz) Correva l’anno 1987, quando a dicembre esordiva su Rai 2 la popolare trasmissione televisiva “Indietro tutta”, condotta da Renzo Arbore e Nino Frassica. Il programma apparentemente ricalcava un gioco a premi dove si sfidavano concorrenti del Nord e del Sud Italia, ma in realtà era un varietà con forti intenti satirici che, enfatizzando luoghi comuni, esasperava gli aspetti grotteschi della volgarità televisiva. Lo show era basato sull’improvvisazione con scenografie e costumi spropositatamente appariscenti e stravaganti. La sigla di apertura “Sì, la vita è tutt’un quiz” era un inno polemico e ironico contro la quiz-mania dilagante in televisione. Da allora però non soltanto non si sono ridotte le trasmissioni Tv basate sui quiz, ma si è diffusa l’abitudine a ricorrere a test di ogni tipo non solo per l’ammissione all’università, ma per una valutazione sempre più diffusamente formativa. Esistono anche test standardizzati finalizzati a misurare l’intelligenza e lo sviluppo cognitivo, il cosiddetto Quoziente intellettivo (Q.I.). La formula originaria metteva in relazione l’età mentale della persona, ottenuta attraverso il test del quoziente intellettivo, e l’età reale, espressa in anni e mesi. Il risultato veniva poi moltiplicato per 100. Secondo questi parametri una persona di 10 anni con un’età mentale di 10 aveva un QI di 100. I test per valutare il QI consistono in prove che tentano di stimare l’intelligenza di un individuo in base alle risposte fornite. Il vero problema è che ancora oggi non esiste nella comunità scientifica una definizione univoca di intelligenza, per cui, il QI pur rimanendo un ottimo strumento ai fini diagnostici, va usato con cautela per gli evidenti limiti teorici. Nella scala di funzionamento intellettivo che ha una media di 100, si considerano normali i valori di QI tra 85 e 115, si parla di funzionamento intellettivo minimo con valori di QI tra 70 e 85, mentre per prestazioni inferiori a 70 si entra nel campo della disabilità intellettiva. In conclusione i test QI possono rivelarsi molto utili per identificare i bisogni di bambini e ragazzi con problematiche dell’appren81

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dimento, ma non vanno considerati come misura universale dell’intelligenza. Del resto sembra che lo stesso Einstein affermava: «Il nostro genio è per l’1% talento e per il 99% duro lavoro».

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La lettera R, r… come razzismo

La R è sedicesima lettera dell’alfabeto italiano. La sua origine risale alla lingua semitica con il significato di testa (res) che poi viene ribadito nei geroglifici egiziani e successivamente nei diversi alfabeti (fenicio, greco, etrusco, latino). In fisica rappresenta la resistenza elettrica e in geometria il raggio del cerchio. Sono poco meno di 40.000 le parole che iniziano con la R e una delle più indefinibili è RAZZISMO. Siamo tutti uguali è uno slogan fin troppo inflazionato: la verità è che siamo tutti diversi anche se non è facile accettarlo. La linea di confine che separa “noi” dagli “altri” svanisce quando cominciamo a chiederci chi siamo noi e chi sono gli altri, sia dal punto di vista biologico che da quello culturale. L’umanità è fatta di gente diversa, ma queste differenze sono solo in parte genetiche e quindi ereditarie. Le vere discrepanze sono prevalentemente di natura culturale, nei modi di vivere e di pensare. 83

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Per secoli gli studi scientifici hanno inseguito l’idea di razza per individuare elementi di contrasto tra gruppi etnici e giustificare la supremazia di alcuni individui su altri. Ciò ha comportato il diffondersi di ideologie che, nutrite dal determinismo biologico, secondo il quale sono i geni a condizionare un organismo, hanno portato a molte forme di razzismo e di discriminazione razziale. Al riguardo è illuminante il saggio “Sono razzista, ma sto cercando di smettere” che affronta il tema della razza come differenza tra gli uomini scritta solo parzialmente nel DNA e moltissimo nella nostra cultura. Il razzismo, per gli autori del saggio, vuol dire che una persona viene valutata non per quello che è (e trattata di conseguenza), ma in blocco con tutti quelli che ne condividono le origini o l’aspetto, trascurandone le caratteristiche individuali95. Quindi il costrutto sociale di razza non si fonda soltanto su caratteristiche esteriori, ma anche su presunte particolarità culturali, religiose, estetiche, ecc. Eppure se confrontiamo il genoma completo di un essere umano e quello di uno scimpanzè le differenze sono intorno al 3%; se invece confrontiamo due membri della nostra specie vediamo che abbiamo in comune con qualunque sconosciuto il 99,99% del nostro DNA. I moderni studi di genetica e di antropologia ci dicono che i nostri antenati erano africani che sono riusciti a colonizzare in poche migliaia di anni l’intero pianeta. Siamo tutti africani, ma alcuni tra noi lo sono più degli altri. Gli esseri umani lasciarono il continente natìo circa 65.000 anni fa, passando in Medio Oriente. Da lì si diffusero, raggiungendo le Americhe circa ventimila anni fa e la Nuova Zelanda soltanto un migliaio di anni fa96. Quindi, in barba a chi ancora crede alle razze, viene dall’Africa non solo il genere Homo (diciamo qualcosa come più di 2 milioni di anni fa), ma la nostra specie, Homo Sapiens 97. 95

G. Barbujani e P. Cheli, Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Laterza, 2008, p. 13 AA.VV, Darwin, l’eredità del primo scienziato globale, Zanichelli, 2017, p. 92 97 G. Barbujani, Gli Africani siamo noi, Laterza, 2016, p. 45 96

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Eliminare la discriminazione razziale richiede impegno costante. Papa Francesco sul suo profilo twitter ha pubblicato il 21 marzo del 2021 una riflessione, nella quale afferma che “Il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato. Le espressioni di razzismo rinnovano in noi la vergogna dimostrando che i progressi della società non sono assicurati una volta per sempre”98. Dal 1966 le Nazioni Unite hanno proclamato il 21 marzo Giornata internazionale per l’eliminazione dell’odio razziale. Questa data è stata scelta per ricordare il massacro di Sharpeville del 21 marzo 1960, quando, in Sudafrica, in pieno apartheid, la polizia aprì il fuoco su un gruppo di dimostranti di colore uccidendone sessantanove e ferendone 180. L’argomento si presterebbe a infinite riflessioni, innumerevoli discussioni e altrettante valutazioni, ma per dare un senso a quanto finora detto non si può non ricordare il pastore protestante statunitense Martin Luther King (1929-1968), uno dei più importanti attivisti di tutti i tempi, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, che, in una frase tratta da uno dei suoi numerosi discorsi diceva: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli». La genuinità di questa affermazione si scontra con la complessità di una società troppo spesso impegnata a costruire muri, piuttosto che ponti tra le persone.

A proposito di r… (relazione) Viviamo in un mondo che ci costringe inevitabilmente ad interagire con diverse persone. Lo facciamo ogni qualvolta entriamo in contatto con gli altri per i più svariati motivi: amore, amicizia, lavoro, salute, ecc.

98 https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-03/giornata-internazionale-eliminazione discriminazione-razziale-tw.html

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Il legame tra le persone si traduce in una relazione, cioè in un rapporto che si basa sulla condivisione di un sentimento, di un impegno, di un’attività. Il mondo animale è ricco di esempi di convivenza sociale complessa anche se la stragrande maggioranza degli animali è solitaria e ogni individuo deve svolgere tutti i compiti essenziali per la sua sopravvivenza, dalla ricerca del cibo alla lotta con i rivali per il partner. Le società animali più note delle api e delle formiche costituivano già per Darwin un appassionante enigma per il contrasto tra la lotta per la sopravvivenza e il sacrificio del singolo per il gruppo. Il comportamento di tutte le creature viventi dipende dall’interazione tra il patrimonio ereditario e l’ambiente. Lo zoologo ed etologo Konrad Lorenz (1903-1989) riconosce che quanto vale per gli esseri viventi deve essere in una certa misura vero anche per l’uomo e in una frase afferma: «c’è tutto l’animale nell’uomo, ma non tutto l’uomo è animale»99. Il dilemma irrisolto tra animalità e umanità ha determinato interpretazioni che nel tempo hanno contribuito da un lato a sostenere l’isolamento sociale, dall’altro a sviluppare relazioni interpersonali. Una cosa è certa, la capacità relazionale è un’esigenza che ci predispone alla socializzazione già prima della nascita, quando nel grembo materno facciamo le prime esperienze di contatto con l’esterno. La qualità delle relazioni è garantita solo se sappiamo apprezzare il valore e i meriti degli altri, partendo da noi stessi. Cercare di capire che cosa succede a lungo andare sembra rendere nel tempo perché ci abitua a ricercare dentro di noi e a usare le nostre risorse di adulti davanti ai problemi del vivere100. Per costruire una relazione efficace è importante saper comunicare le proprie emozioni, condividendo pensieri, passioni, bisogni. Tale aspetto diventa essenziale in tutte quelle situazioni limite che ci costringono al confronto con il diverso, a chiudere un attimo gli 99

Alec Nisbett, La vita di Konrad Lorenz, Bompiani, 1978, p. 211 Alba Marcoli, Il bambino arrabbiato, Mondadori, 2004, p. 269

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occhi e ad aprirli per comprendere meglio: «Chi è quel ragazzo che cammina lungo il muro? Lo vedo per la prima volta, è un disabile. Penso a quella che sarebbe stata la mia vita senza di lui. No, non ci riesco. Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra101».

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Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, Mondadori, 2009, p. 232

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La lettera S, s… come speranza

La S è la diciassettesima lettera dell’alfabeto italiano. Può essere sorda (es. sole, sale) o sonora (es. viso, rosa). In origine la lettera protosemitica šîn significava “denti”, per poi evolversi nei diversi alfabeti, come il sigma del greco. In chimica la lettera s è simbolo dello zolfo, in fisica indica i secondi, in geografia è abbreviazione di Sud, in matematica rappresenta la superficie e la somma. Sono poco meno di 60.000 le parole che iniziano con la S, ma la più emblematica è SPERANZA. La speranza è sempre stata presente in ogni cultura di qualunque epoca e si è modellata sul pensiero dei diversi popoli. Non è facile cogliere la profondità di questo concetto che sfugge ai nostri occhi, diventando positivo e negativo insieme. Alcuni proverbi di saggezza popolare, infatti, recitano: “la speranza è l’ultima a morire” o “chi di speranza vive disperato muore”. Per molti la speranza è 88

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considerata una pia illusione riepilogabile nell’affermazione “spero che accada qualcosa”. Nel cristianesimo la speranza insieme alla fede e alla carità fa parte delle cosiddette “virtù teologali”. Papa Francesco ha parlato tante volte di speranza, definendola come “la più piccola delle virtù, ma la più forte” (Angelus, 15 novembre 2015), “la più umile delle tre virtù teologali, perché rimane nascosta” (Omelia di Santa Marta, 29 ottobre 2013), “la speranza fa entrare nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce” (Udienza Generale, 28 dicembre 2018)102. Potremmo aggiungere che per la Bibbia la speranza è “aspettativa con convinzione” e non semplice attesa passiva. Una delle più belle poesie di Antonio De Curtis, in arte Totò, parla della speranza103 e lo fa ironizzando sul sogno di vincere al Totocalcio. In tempi ormai lontani da lotterie virtuali indovinare la schedina era un gran colpo di fortuna che poteva realmente cambiare la vita di una persona. L’intera settimana era di attesa e di speranza per una vincita che non arrivava facilmente. L’epilogo della poesia è straordinario: Si avesse già pigliato ‘e meliune a st’ora ‘e mo starrie già disperato Invece io sto cu ‘a capa dinto ‘a luna, tengo sempe ‘a speranza d’ ‘e ppiglià.

se avessi già preso i milioni a quest’ora sarei già disperato invece sto con la testa sulla luna e ho sempre la speranza di vincere.

Quindi la speranza è più forte di qualsiasi vincita e di qualunque attrattiva, perché è una grande scommessa per costruire un mondo migliore. Prevale l’idea di una società egoista che tende a premiare i forti, i furbi, i senza scrupoli, ma esiste anche un mondo parallelo di persone sconosciute e silenziose che accarezzano il sogno di una realtà alternativa a quella proposta. Lo fanno con la convinzione che le 102 https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-05/la-speranza-la-virtu-piu-piccola-ma-la-piu-forte.html 103 Antonio De Curtis, ‘A Livella, p. 85

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proprie gesta diventano eroiche quando, passando inosservate, contribuiscono al cambiamento. La foresta che cresce quotidianamente non fa rumore. Un albero che lentamente si sviluppa è un vero e proprio miracolo, ma è un miracolo così normale che non stupisce nessuno. Il riconoscimento della altrui diversità è volontà di rispetto, è richiesta di pari dignità, è un diritto all’identità, è speranza. Si, speranza come modo d’essere. Non è qualcosa di concreto, né qualcosa di fisso e immutabile. Non può prescindere da alcuni dati di realtà. È come un albero. Ha le fronde protese verso il cielo, ma le radici ben radicate nella terra. È flessibile al vento. È in movimento di crescita verso il basso e verso l’alto. È una necessità dell’uomo per vincere l’angoscia del futuro104. Abbiamo paura del domani, ma non possiamo fare a meno di affrontare il nostro destino. Nel mondo esiste sempre qualcuno che attende qualcun altro, che ci si trovi in un deserto o in una grande città. E quando questi due esseri si incontrano, e i loro sguardi si incrociano, tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza. Esistono solo quel momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose sotto il sole sono state scritte dalla stessa Mano: la Mano che risveglia l’Amore e che ha creato un’anima gemella per chiunque lavori, si riposi e cerchi i propri tesori sotto il sole. Perché, se tutto ciò non esistesse, non avrebbero più alcun senso i sogni dell’umanità105. La speranza ci dà la forza per rialzarci e ripartire anche quando tutto sembra perduto. Luciano De Crescenzo parlava del sodalizio dei nati due volte: «Bisognerebbe sempre ricominciare da capo, avere una seconda vita, come chi ha un secondo lavoro106».

104 Mercedes Indri De Carli, Barbara Lombardi, Speranza vuol dire, Paoline editoriali libri, 2000, p. 17 105 Paolo Coelho, L’alchimista, Bompiani, 1995, p. 108 106 Luciano De Crescenzo, Il caffè sospeso, Mondadori, 2008, p. 200

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A proposito di s… (solidarietà) Il filosofo Seneca (4 a.c. – 65 d.c.) negli anni del suo disimpegno politico, tra il 62 e il 65, scrisse 124 Epistulae morales ad Lucilium (Lettere morali a Lucilio), suddivise in 20 libri. Nel V libro al paragrafo 48 afferma che «Nessuno può vivere felice se bada a sé stesso, se volge tutto al proprio utile: devi vivere per il prossimo, se vuoi vivere per te». La potenza di questa frase è quanto mai attuale, perché ci costringe a riflettere sull’eterna diatriba tra il sano egoismo e il fervido altruismo. In un mondo sempre più globalizzato diventa necessario impegnarsi a costruire ponti tra persone e non barriere. Il modo attuale di affrontare i problemi è superficiale, in quanto si fonda sulla reazione a pericoli ed eventi nel momento in cui si percepisce il loro insorgere, come un governo di crisi che cerchi di eliminare i sintomi di cause non diagnosticate. Questo è il modo in cui stiamo preparando lo scenario per l’impatto dell’umanità con il pianeta107. Bisogna prendere coscienza che la solidarietà non è un accessorio, ma è una necessità, perché come diceva Papa Giovanni XXIII: «Nulla di quello che accade all’uomo deve risultarci estraneo». Dare un senso all’esistenza aggiunge valore alla nostra vita. E quando tutti i giorni diventano uguali è perché non ci si accorge più delle cose belle che accadono nella vita ogniqualvolta il sole attraversa il cielo108. La moltitudine di persone che quotidianamente lotta per un mondo migliore è spesso lontana dai riflettori, ma le tracce che lascia sono indelebili. Non tutti nel mondo possono far tutto. Ma se ognuno fa la sua parte partecipa al bene dell’insieme, così come l’occhio vede, l’orecchio ode, la mano prende, ma tutti partecipano della vita del corpo in cui ognuno trova il senso del proprio essere. Dio che vede ciascuno di noi e l’umanità intera sa qual è il servizio che ognuno deve tributarle. Per questo occorre la massima attenzione a ciò che Egli vuole109. Cominciamo a fare la nostra parte per contribuire a realizzare il sogno del miglior mondo possibile. 107Alexander

King, Bertrand Schneider, Questioni di sopravvivenza, Mondadori, 1992, p. 113 Paolo Coelho, L’alchimista, op. cit., p. 43 109 Intervista a Chiara Lubich” in Città Nuova, 24 (1980), pp. 26-28 108

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La lettera T, t… come tabù

La T è la diciottesima lettera dell’alfabeto italiano. Deriva dal Taw semitico, poi tau greco, te etrusco. Nell’alfabeto fenicio aveva una forma a croce di Sant’Andrea, invece nell’alfabeto greco il taglio si era raddrizzato e spostato fino alla sommità dell’asta verticale. La lettera T in chimica indica il Trizio, in fisica è simbolo della temperatura assoluta, del tempo, del periodo. Viene usata anche per indicare le tonnellate (1000 kg) e come abbreviazione di Tera (1000 giga) Sono poco meno di 14.000 le parole che iniziano con la T e quella di TABÙ è davvero ricca di considerazioni. Ognuno di noi sicuramente coltiva interessi personali che, arricchendo il proprio “io”, lo aiutano a crescere. Può capitare a volte però di imbattersi in situazioni e/o argomenti che preferiamo ignorare o addirittura evitare. Quando questo atteggiamento si traduce in un rifiuto a trattare, dire o fare qualcosa che noi consideriamo intoccabile, allora siamo di fronte ad un tabù. Il nostro modo di agire 92

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è condizionato da diversi fattori, dipendenti dalla cultura, dall’età, dalle amicizie, dall’ambiente di vita e di lavoro, ecc. Ogni società da sempre ha costruito divieti e proibizioni che, in nome di ragioni religiose o politiche, hanno influenzato il pensiero delle persone. Non esistono tabù universali anche se alcuni si ritrovano nella maggior parte di esse. Argomenti come il sesso, i soldi, le malattie, la morte non sono circoscrivibili, perché hanno una portata planetaria. Freud all’inizio del novecento diceva che «Fondamento del tabù è un’azione proibita verso la quale esiste nell’inconscio una forte inclinazione110». In effetti siamo spesso attratti da ciò che è vietato. Lo stesso poeta romano Ovidio nel I secolo a.C. affermava: «Nitimur in vetitum semper cupimusque negatum (Propendiamo sempre per ciò che è vietato e desideriamo ciò che ci è negato)». Le parole stesse possono diventare tabù per la loro carica offensiva oppure per la paura che suscitano. Molti discorsi sull’etnia, sul sesso e sulla salute contengono elementi di “inviolabilità”. Il tema dell’appartenenza etnica è di assoluta attualità, alla luce degli attuali massicci fenomeni migratori; il “nuovo” immancabilmente può essere tremendo e destabilizzante. Allo stesso modo il tema della diversità, in senso ampio, alimenta fortissimi timori incontrollabili. Cosa dire del sesso? Ci sono domande che ci vedono impreparati, perché nella nostra memoria non c’è alcun ricordo di come i genitori hanno affrontato questo tema con noi. Abbiamo capito con l’esperienza che alcune domande era meglio non farle, perché potevano generare risposte sofferte e incomplete. Sembra proprio che ci spetti il compito di capire, valutare e decidere cosa fare della nostra sessualità. A parlarne troppo, è vero, si corre il rischio di rompere l’incanto, ma senza qualche riflessione sul sesso si perde il valore altissimo e felice della conoscenza111. 110 Sigmund Freud, Totem e tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, Mondadori, 2019 111 Fabio Veglia e Rossella Pellegrini, C’era una volta la prima volta, Erickson, 2019, p. 37

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Di fronte agli interrogativi da cui siamo assaliti diventa necessario trovare risposte. La morte, la malattia, il sesso, il razzismo, la diversità, la lingua, il colore della pelle diventano tabù ogni qualvolta il timore si impadronisce della ragione, trasformando la paura in terrore. Del resto siamo esseri viventi…una presenza strana nell’universo, una specie di scandalo o, se vogliamo, di bestemmia scientifica. Non a caso nell’ambito dell’universo che conosciamo meglio, di esseri viventi se ne trovano solo da queste parti112.

A proposito di t… (timore) Il pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944), importante esponente del simbolismo e precursore dell’espressionismo, ha dato forma ai sentimenti più oscuri e profondi dell’animo umano113. “L’urlo” è il lavoro più celebre di Munch ed è ispirato da circostanze che lo stesso autore descrive in una pagina di diario: “Una sera camminavo lungo un viottolo in collina nei pressi di Kristiania – con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a brandelli la mia anima. Il sole calava – si era immerso fiammeggiando sotto l’orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliasse la volta celeste. Il cielo era di sangue – sezionato in strisce di fuoco – le pareti rocciose infondevano un blu profondo al fiordo – scolorandolo in azzurro freddo, giallo e rosso – Esplodeva il rosso sanguinante – lungo il sentiero e il corrimano – mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente – ho avvertito un grande urlo ho udito, realmente, un grande urlo – i colori della natura – mandavano in pezzi le sue linee – le linee e i colori risuonavano vibrando – queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie – perché io realmente ho udito quell’urlo – e poi ho dipinto il quadro L’urlo” L’urlo rappresenta in primo piano un volto sfigurato e sproporzionato che potrebbe raffigurare l’intera umanità; l’espressione del 112 113

Edoardo Boncinelli, Io e lei, oltre la vita, op. cit., p. 159 Virginio Gracci, L’urlo di Munch e altre storie, Campanotto, 2015

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volto è visibilmente atterrita e la natura è raffigurata in maniera sproporzionata. Il grido di disperazione trasmette con intensità tutto il malessere, diventando simbolo universale di angoscia e paura. Il dipinto ci offre lo spunto per affrontare fugacemente il tema della paura o del timore, una reazione radicata in tutti gli esseri viventi che ha lo scopo di allarmarci di fronte a minacce esterne. In mancanza di risposte immediate ed adeguate ai pericoli sarebbe minacciata la sopravvivenza stessa dell’uomo. Tuttavia la paura verso l’ignoto, il diverso da noi, può degenerare in maniera incontrollata, rafforzando emozioni negative a fronte di pregiudizi legati alla condizione sociale, religiosa, culturale dell’altro. Bisogna riconoscere che la diversità non è un qualcosa di dannoso di cui aver paura, ma è invece un “mondo nuovo” da scoprire, al quale è possibile avvicinarsi con interesse, confronto e curiosità. Per dirla con una frase di una celebre canzone di Ligabue: «Niente paura, niente paura! Niente paura, ci pensa la vita, mi han detto così!114».

114 Niente paura è il primo singolo estratto dalla prima raccolta di successi di Luciano Ligabue Primo tempo pubblicato nel 2007

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La lettera U, u… come uguaglianza

La U è la diciannovesima lettera e la quinta vocale dell’alfabeto italiano. L’origine della U è la stessa delle lettere F, V, W, Y che derivano dal protosemitico waw, evolutosi poi in wow fenicio. Gli Etruschi e i latini non distinguevano graficamente la U e la V, i cui suoni però venivano pronunciati in modo diverso. La questione relativa al grafema e al fonema fu risolta nel Rinascimento dall’umanista Gian Giorgio Trissino che portò alla distinzione tra la consonante e la vocale. La lettera U in chimica indica l’Uranio, in fisica il simbolo dell’energia potenziale. Sono circa 2000 le parole che iniziano con la U e, a mio avviso, la più importante è UGUAGLIANZA. Il 14 luglio 1789 in Francia con la presa della Bastiglia, simbolo dell’antico regime, inizia la Rivoluzione francese. Questo evento segnerà per sempre la storia degli anni a venire, ponendo fine all’assolutismo monarchico e facendo trionfare gli ideali di libertà, 96

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uguaglianza e fratellanza. Il 26 agosto dello stesso anno, prendendo spunto dalla dichiarazione d’indipendenza americana del 1776, fu approvata a Parigi la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che definisce diritti “naturali ed imprescrittibili” la libertà, la proprietà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione. Venne riconosciuta l’uguaglianza tra gli uomini, specie davanti alla legge e alla giustizia, infine il principio della separazione tra i poteri politici e religiosi. Questo documento ha ispirato numerose carte costituzionali che hanno messo al centro la libertà e la dignità umana; il motto di “Libertè, Egalitè, Fraternitè” ha influenzato tutte le società democratiche. Molto resta ancora da fare, ma le premesse sono oramai (fortunatamente) incancellabili. Eric Arthur Blair (1903-1950), che firmerà come George Orwell tutti i suoi libri, deve la sua fama ai suoi ultimi due romanzi, La fattoria degli animali e 1984. In particolare La fattoria degli animali è una fiaba classica, con la quale l’autore ricorre allo stratagemma degli animali antropomorfi per raccontare la storia di una rivoluzione fallita. Gli animali di una fattoria si ribellano alla tirannia umana e provano ad instaurare una società egalitaria. Ben presto però i maiali assumono il comando, rafforzando il loro potere, diventando sempre più simili agli uomini. Dei sette principi che avevano ispirato la loro rivoluzione ne rimane uno solo: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri115. Il tema dell’uguaglianza è incredibilmente attuale e lo è a maggior ragione in un mondo con enormi contraddizioni ancora tutte da risolvere. La strada è tracciata e la direzione è quella di arrivare ad una sola civiltà umana, fondata sui punti comuni alle diverse culture e sul dialogo tra tutti gli uomini di buona volontà. Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde ‘razza umana’, non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. È questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza116. 115 116

George Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, 2015, p. 107 Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, op. cit.

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Don Lorenzo Milani, il già citato fondatore della famosa scuola di Barbiana, un’esperienza di istruzione a tempo pieno rivolta ai figli di contadini e montanari del Mugello nel suo libro Lettera a una professoressa117 espone il manifesto di un sistema formativo più inclusivo, aperto, innovativo, concreto. Celebre è la frase: «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali», affermazione tanto scontata, quanto attuale. Per Don Milani i giovani hanno bisogno di un insegnamento che li conduca alla sostanza delle cose, distanti da sterili nozioni che li allontanano dalla vita reale. Per lui vanno formate prima le coscienze e poi le competenze, perché una «Una scuola che perde i più fragili non è più una scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati». L’uguaglianza implica pari dignità, pari opportunità e si nutre delle diversità. Mentre le differenze dividono e creano disuguaglianze, le diversità uniscono e arricchiscono la collettività. Il principio di uguaglianza, quindi, tutela i diversi e combatte le differenze. L’uguaglianza è solo un’illusione, siamo tutti diversi ed è proprio questa diversità e renderci unici118.

A proposito di u… (umorismo) Nel 1998 esce negli Stati Uniti il film tragicomico Patch Adams, basato sulla storia di Hunter Patch Adams, pioniere della clownterapia. Il protagonista Patch interpretato da Robin Williams è uno scalmanato e geniale ragazzo iscritto a medicina che, dopo un’esperienza in una casa di cura psichiatrica, decide di portare il sorriso negli ospedali per ribaltare l’idea che i pazienti sono solo numeri. Patch diventa così promotore di una campagna in favore di un più umano trattamento dei malati al grido di “bisogna curare le persone, non le malattie”. Una delle frasi più eloquenti del dottor sorriso è: «L’humour è l’antidoto per tutti i mali. Credo che il divertimento sia importante quanto l’amore. Alla fin fine, quando si chiede alla gente che cosa piaccia loro della vita, quello che conta è il divertimento che provano, che si tratti di corse di 117

Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Libreria editrice fiorentina, 1996 Gianni Baini e Luigi Falco, L’elefante in carrozzina, oltre i limiti della diversità, Armando editore, 2010, p. 93 118

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automobili, di ballare, di giardinaggio, di golf, di scrivere libri. La vita è un tale miracolo ed è così bello essere vivi che mi chiedo perché qualcuno possa sprecare un solo minuto! Il riso è la medicina migliore». L’umorismo non è altro che la capacità di cogliere gli aspetti comici di una situazione, di un avvenimento, traducendoli in maniera divertente. Da un punto di vista psicologico può essere definito come quella disposizione mentale che fa cogliere di ogni situazione, anche la più drammatica, il risvolto buffo che sfocia nel riso. Molti studi evidenziano l’influsso positivo della risata sul benessere fisico e psicologico della persona. Quando però la battuta facile mira a prendere in giro gli altri o a lasciare che gli altri prendano in giro noi stessi, allora il potere dell’umorismo diventa offensivo e dannoso. Nel 1908 Luigi Pirandello nel saggio L’Umorismo presenta la sua visione poetica sull’arte umoristica, proponendo un esempio: “Ebbene (…) da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico”119. La vecchia signora vestita e truccata da giovane, provoca il riso, è il momento dell’“avvertimento del contrario” ovvero del comico. Però quando noi riflettiamo sulle ragioni che hanno indotto quella donna 119

Luigi Pirandello, L’umorismo, Garzanti, 2008

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a trasformarsi in quel modo per il desiderio di apparire più giovane, di piacere ancora al marito, il nostro riso si tramuta in un sorriso che contiene le ragioni profonde dell’altro, ovvero l’umorismo o “sentimento del contrario”. I fin dei conti siamo tutti comici e o umoristici in particolari momenti della nostra esistenza. L’umorismo frantuma pregiudizi e dispone l’animo alla condiscendenza. Non va confuso con la beffa e con l’ironia. «Quando si fa dell’ironia si ride degli altri – affermava Carlo M. Cipolla – Quando si fa umorismo si ride con gli altri»120.

120 Carlo Maria Cipolla, Allegro ma non troppo con Le leggi fondamentali della stupidità umana, Il Mulino, 1988

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La lettera V, v… come vulnerabilità

La V è la ventesima lettera dell’alfabeto italiano. Come accennato per la U, l’umanista Gian Giorgio Trissino operò la distinzione grafica con la V. Tuttavia anche in tempi più recenti nella epigrafe si preferisce usare V invece di U maiuscola. In latino e nell’italiano più antico si faceva riferimento alla u vocale (U) e alla u consonante (V). In chimica la lettera V è simbolo del Vanadio, in fisica indica il Volt, la velocità, il volume. Sono poco meno di 6 000 le parole che iniziano con la V e VULNERABILITÀ non ha pari tra le altre. Lo scrittore cileno Luis Sepúlveda nella favola “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” ci porta alla scoperta di un mondo piccolo e lento, caratterizzato da molti dettagli a cui prestare attenzione. La lentezza e la vulnerabilità di una colonia di lumache diventa occasione di riflessione per riconquistare la dimensione del tempo che sfugge. La lumaca di nome Ribelle, rinunciando a una vita tranquilla, intraprende un viaggio alla ricerca di un posto migliore, 101

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di un nuovo Paese del Dente di Leone. Il cammino della lumaca è un inno verso la libertà per coloro che non si accontentano di quello che vedono, ma osano guardare oltre… «Ho imparato l’importanza della lentezza e, adesso, ho imparato che il Paese del Dente di Leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi»121. La vulnerabilità è un valore aggiunto alla nostra esistenza, è l’altra faccia della medaglia che ci rende umani, imperfetti e ricchi interiormente; ci rende sensibili ai nostri bisogni e contemporaneamente ci consente di entrare in empatia con noi stessi e con gli altri. Rifiutare la propria vulnerabilità vuol dire perdere in umanità: «Io sono vulnerabile. Commetto errori. Sono imperfetto. Ho paura. In altre parole, sono un essere umano. Ed è la cosa più preziosa. E tutto ciò che voglio essere»122. Il mitico Achille sarebbe stato immerso appena nato nelle acque del fiume infernale Stige. La madre Tetide lo avrebbe tenuto per un tallone che rimanendo scoperto sarebbe rimasta l’unica parte vulnerabile del corpo. Durante la guerra di Troia, Paride, lo uccise colpendolo con una freccia al tallone. Da qui l’affermazione diffusa “tallone di Achille” per indicare un punto debole o un aspetto fragile di una persona. Ognuno di noi ha il suo tallone di Achille ed esserne consapevoli restituisce uno sguardo realistico alla nostra vita. Come dice Papa Francesco: «Vulnerabilità è l’incontro di ferite diverse, di debolezze diverse: tutti siamo deboli, tutti siamo vulnerabili»123.

A proposito di v… (vita) Qualunque cosa che nell’Universo è fatta di atomi e occupa spazio è detta materia. Può essere invisibile, ma deve essere sempre tangibile. Quello che rende le sostanze diverse tra di loro sono le 121

p. 95

122 123

Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Guanda, 2014, Leo Buscaglia, Vivere, amare, capirsi, op. cit., 1982 https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-cittadella-carita-caritas

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caratteristiche delle particelle che le compongono. Da questo punto di vista non fanno eccezione nemmeno gli esseri viventi (materia vivente) che hanno in comune con i non viventi (materia in generale) gli stessi elementi chimici fondamentali. Il cocktail della vita, costituito principalmente da idrogeno, ossigeno, carbonio, fosforo, azoto, calcio, ha prodotto una entità eccezionale presente in tutti i viventi: la cellula. Un sasso e una formica sono entrambi fatti di atomi, vincolati alle stesse leggi fisiche del mondo, ma appartengono a due tipi di materie differenti che ne segnano il destino. Il sasso è statico, soggetto alle trasformazioni fisiche e chimiche della natura, può sgretolarsi, rompersi, dividersi, cambiare aspetto, inglobare altre sostanze, oppure rimanere in eterno nella condizione in cui si trova. Una formica, per quanto piccola e insignificante, è in grado di mangiare, respirare, crescere, riprodursi, evolversi, ma a differenza del sasso ha una vita limitata, perché sottoposta all’usura del tempo che la fa invecchiare fino alla morte. Edoardo Boncinelli afferma che «La domanda su quel che renda un essere vivo, su quali caratteristiche consentano di definirlo tale, ha sempre rappresentato una delle sfide più affascinanti e complesse del pensiero filosofico e scientifico». Egli continua sottolineando che «la via seguita per arrivare a svelare quel che a molti appare come un “segreto” passa per l’enumerazione di un insieme di proprietà e funzioni che concorrono a distinguere il vivente da ciò che non lo è»124. La materia vivente è organizzata in maniera da garantire il consumo di energia (cibo), la crescita (ciclo vitale), la riproduzione (generare organismi simili), l’evoluzione (adattamento ai cambiamenti dell’ambiente), la risposta agli stimoli (freddo, caldo), il metabolismo (reazioni chimiche nell’organismo). La stragrande maggioranza della vita del nostro pianeta è vita vegetale. Il nostro è senza ombra di dubbio un pianeta verde. Le piante sono il tramite fra l’energia del sole e la Terra. Sono i vegetali che, grazie alla fotosintesi, riescono nell’apparentemente miracoloso risultato di trasformare l’energia luminosa 124

Edoardo Boncinelli, Prima lezione di biologia, Laterza, 2001, p. 3-4

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nell’energia chimica (zuccheri) che permette agli animali di vivere e moltiplicarsi125. Il miracolo della vita è ancora oggi un grande mistero inspiegabile, perché non è sufficiente mescolare tanti elementi chimici per formare una cellula come non è attendibile il ricorso alla semplicità casualità. C’è qualcosa che ancora oggi sfugge: gli ingredienti sono ormai noti, ma il segreto di questa “ricetta” è ancora tutto da comprendere. Per l’astrofisico Amedeo Balbi «È importante provare a scoprire se nell’universo ci sia qualcun altro, oltre a noi, Dimostrare che non siamo unici, verificando l’esistenza di altre forme di vita fuori dalla Terra, anche molto semplici, ci aiuterebbe a chiarire il nostro posto nel cosmo, e nella sua storia. E in definitiva, a capire chi siamo»126. Che cosa è la vita? Un interrogativo ancora senza una risposta definitiva e lo è ancora di più se riflettiamo sulla nostra esistenza. Negli ultimi diecimila anni l’uomo è rimasto biologicamente lo stesso, ma negli ultimi quattrocento anni c’è stata una straordinaria evoluzione culturale. Pertanto, se è vero che i viventi hanno in comune gli stessi elementi, è altrettanto vero che non basta il semplice assemblaggio a determinare differenze di natura culturale. L’evoluzione biologica della specie umana non la si può dedurre dall’evoluzione biologica di altre forme di materia vivente127.

125

Stefano Mancuso, Botanica, Aboca, 2017, p. 17 Amedeo Balbi, Dove sono tutti quanti? Rizzoli, 2016, p. 69 127 Antonino Zichichi, Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, Il saggiatore, 1999, p. 89-90 126

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La lettera Z, z… come zelo

La Z è la ventunesima e ultima lettera dell’alfabeto italiano. L’origine è alquanto incerta e sembra derivare dal simbolo semitico Zayin che i greci chiamarono poi zeta. In fisica la lettera Z è simbolo dell’Impedenza e in matematica della variabile complessa. Sono poco più di 1000 le parole che iniziano con la Z e ZELO è una di quelle che non passano inosservate. Zelo deriva dal latino Zelum e prima dal greco Zélos, con significato di brama, desiderio, operoso impegno. È quindi zelante colui che compie con sollecitudine il proprio dovere, che sostiene una causa con fervore. Nella lettera ai Romani, Paolo di Tarso scrive «Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito»128. In altre parole l’Apostolo delle Genti scuote coloro che, impigriti dallo scorrere monotono della vita, non si impegnano nelle loro attività. Bisogna essere diligenti 128

Lettera ai Romani, capitolo 12, versetto 11

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ogni volta che siamo chiamati a svolgere un compito come studente, insegnante, operaio, imprenditore, marito, moglie, ecc. La pigrizia è figlia di un malessere interiore, della poca motivazione, della paura del cambiamento. Non è un tratto della personalità, ma la conseguenza delle comode abitudini. Si dice che non è il carattere a formare le abitudini, ma sono le abitudini a dare vita al carattere. Le scelte consapevoli ci aiutano ad affrontare gli inevitabili cambiamenti che la vita ci sottopone. Una volta un insegnante entrò in classe con un grande foglio bianco sul quale vi era una piccola macchia d’inchiostro al centro. Domandò ai ragazzi: “Che cosa vedete qui?”. Tutti risposero. “Una macchia d’inchiostro!”. E l’insegnante: “Ma guarda come vanno le cose! Tutti vedono la piccola macchia d’inchiostro e nessuno vede il bel foglio bianco!”129. Tutti abbiamo ricevuto un foglio bianco su cui scrivere, modificare, rinnovare e per quanto possa essere macchiato, il “nostro foglio” è ciò che noi siamo. Nell’Antico Testamento leggiamo che lo zelo senza riflessione non è cosa buona, e chi va a passi frettolosi inciampa130. Un modo per sottolineare l’importanza di ponderare decisioni e scelte che la fretta potrebbe inficiare. Lo zelo, inteso come impegno assiduo, diventa una virtù nel momento in cui le azioni assumono una veste spontanea. In una società frenetica e globalizzata come la nostra la lotta per l’affermazione del proprio “io” incarna i caratteri di una sfida che coinvolge tutti coloro che operano in maniera zelante nei contesti in cui vivono. Tanti i dubbi, molte le perplessità: nel deserto della vita il tentatore non è il diavolo, è il deserto stesso, tentazione naturale di tutti gli abbandoni131.

129

Pino Pellegrino, Ti racconto Dio, Mario Astegiano Editore, 2004, p. 43 Libro dei Proverbi, capitolo 19, versetto 2 131 Daniel Pennac, Diario di scuola, op. cit., p. 83 130

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A proposito di z… (zavorra) La parola che ci accompagna verso la conclusione di questo percorso è Zavorra, cioè quell’ingombro che dà equilibrio e stabilità a navi e aerei. Non si tratta di un materiale pregiato, anzi è un peso di cui all’occorrenza ci si libera; la zavorra, però, non è affatto un ingombro inutile. In senso figurato la zavorra è il peso di un ricordo, il dramma di un passato difficile da dimenticare, la paura per un futuro incerto, una condizione di disagio, un amore non corrisposto, una malattia indecifrabile. Tutto questo può essere limitante, ma contemporaneamente ci può conferire saggezza e prudenza. Dobbiamo liberarci delle nostre zavorre esistenziali e per farlo occorre guardarsi intorno, cogliendo tutti gli aspetti della realtà. Un contadino povero, nel rincasare la sera tardi dal mercato, si accorse di non avere con sé il suo libro di preghiere. Al suo carro si era staccata una ruota in mezzo al bosco ed egli era angustiato al pensiero che la giornata finisse senza aver recitato le preghiere. Allora pregò in questo modo: «Ho commesso una grave sciocchezza, Signore. Sono partito da casa questa mattina senza il mio libro di preghiere e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a formulare neppure un’orazione. Ma ecco che cosa farò: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto cinque volte e tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare». Disse allora il Signore ai suoi angeli: «Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è senz’altro la più bella, perché è nata da un cuore semplice e sincero»132. La nostra vita è come un alfabeto fatto di tante lettere che la casualità riempie di significati. Cosa rappresenti effettivamente il caso è un enigma, al quale ciascuno è chiamato a trovare la sua risposta.

132

Anthony De Mello, La preghiera della rana, Edizioni Paoline, 2017, p. 25-26

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Conclusioni

Siamo ormai giunti in fondo a questo viaggio che ha lambito il significato di alcune parole, una goccia nel mare di un vocabolario praticamente infinito. Ho provato a toccare le sponde della diversità, raggirando gli scogli del pregiudizio. Le acque della riflessione a volte sono state intorbidite da interpretazioni personali, sostenute da letture e scritti di altri autori che non mi hanno mai lasciato solo durante il percorso. I vocaboli mutano, si trasformano, cambiano aspetto, assumendo una nuova veste sul palcoscenico delle frasi e dei modi di dire. Sono le lettere le vere protagoniste di questo processo: ognuna ha la sua identità, ciascuna la sua importanza, ma solo unendosi danno un senso alla loro esistenza. Dalle periferie esistenziali sta emergendo una nuova generazione di parole-testimoni che non si accontentano di rimanere chiuse in un bel libro o su uno scaffale abbandonato. Tanti i sinonimi per indicare la diversità, molti gli acronimi per individuare potenti sigle, infinite le combinazioni di lettere per affrontare in tutte le lingue il tema del diverso. Oggi sono in voga molti termini, come per esempio inclusione, integrazione, inserimento, ecc. Fiumi di parole scorrono intorno a questi lemmi, allagando territori sconfinati che alimentano il disagio e le difficoltà di una società non sempre capace di accogliere l’altro. È sempre più diffusa la convinzione che tali definizioni possano realizzarsi da sole. Ebbene da che mondo è mondo senza la piena consapevolezza del significato 108

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attribuito alle parole nulla è possibile: è inattuabile l’inclusione, è impraticabile l’integrazione, diventa assurdo l’inserimento. La mia solo speranza è che un giorno i fatti diano ragione alle parole e che le parole diventino artefici dei fatti.

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Bibliografia ragionata

La lettura è anche il preambolo della scrittura, perché, come diceva il mio prof. di italiano delle Superiori Giovanni, solo chi ama leggere riesce a scrivere bene. In questo mondo sempre più virtuale, la scrittura è ancora oggi lo strumento più autorevole per raccontare la realtà. Un libro libera spazio all’immaginazione e al fantastico che aleggia dentro di noi; le parole diventano occasione per lasciare segni indelebili con un potere taumaturgico incredibile. Allora ho pensato di dare qualche indicazione sui testi, gli scrittori e i siti che ho consultato, in maniera che ognuno possa scoprire qualcosa di nuovo e di diverso da quello che ho provato a trasporre nell’Alfabeto della 110

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diversità. Ho suddiviso la bibliografia in aree di interesse, mettendo informazioni più approfondite per le pubblicazioni e per gli autori, ai quali sono più affezionato, senza per questo trascurare riferimenti a tutti i titoli, alle canzoni e ai film citati nel libro.

Autori

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Antonio De Curtis detto Totò (1898-1967) Attore simbolo dello spettacolo comico in Italia, soprannominato “Il principe della risata” è stato uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema. Accostato a comici come Charlie Chaplin in quasi cinquant’anni di carriera ha recitato in un centinaio di film e ha calcato numerosi teatri. La sua arte venne rivalutata dopo la morte, tanto da risultare ancora oggi il comico più popolare di sempre. Molti cinquantenni della mia generazione sono cresciuti con i suoi film, caratterizzati da una comicità schietta, mai volgare, ricca di colpi scena. Una piacevole scoperta è stata la sua passione per la scrittura delle liriche. La poesia più celebrata recitata anche su un disco è ‘A livella, con la sua visione della morte che equilibra tutte le ingiustizie sociali. Chiara Lubich (1920-2008) È la fondatrice del Movimento dei Focolari, diffuso in tutto il mondo, approvato dalla Chiesa cattolica nel 1962 con il nome ufficiale di Opera di Maria. Il carisma che contraddistingue i Focolarini è quello dell’unità tra i popoli. Il Movimento è aperto ai cristiani di molte Chiese e comunità, fedeli di altre religioni e persone di convinzioni non religiose. In questa rivoluzione dell’amore vengono coinvolte anche le giovani generazioni, definite Gen. Durante il mio cammino ho fatto alcune esperienze che mi hanno fatto incontrare persone travolte dall’onda di Chiara. 111

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· L’avventura dell’unità, Edizioni Paoline, 1991 · Intervista a Chiara Lubich” in Città Nuova, 24 (1980), pp. 26-28 · Colloqui con i Gen. Anni 1966/69, Città Nuova Ed.

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Leo Buscaglia (1924-1998) Felice Leonardo Buscaglia è stato un docente pedagogista e scrittore statunitense con i genitori di origine italiana. Fu il primo ad istituire negli Stati Uniti un corso universitario sul tema dell’Amore, come elemento unificatore delle diverse culture e religioni. Ho letto nella mia prima adolescenza uno dei suoi libri più famosi Vivere, amare, capirsi e sono rimasto praticamente folgorato, al punto di trovare ad ogni successiva rilettura nuovi spunti di riflessione. · Vivere, amare, capirsi, Mondadori, 1982 · Autobus per il paradiso, Mondadori, 1987 · Amore, Mondadori, 2008 Luciano De Crescenzo (1928-2019) Scrittore, attore, regista, uomo poliedrico che nel pieno della carriera da ingegnere, decise di dedicarsi alla sua passione per la filosofia. Tutte le sue produzioni sono marchiate dalle origini napoletane che hanno contraddistinto un successo di inimmaginabile fattura. Il mio incontro con i suoi libri risale a quando frequentavo l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” come studente di Scienze geologiche. Ecco alcuni dei suoi testi che ho consultato: · Storia della filosofia greca-I presocratici, Mondadori, 1998 · Storia della filosofia moderna da Cartesio a Kant, Mondadori, 2004 · Storia della filosofia greca, da Socrate in poi, Mondadori, 2004 · Ordine e disordine, Mondadori, 2005 · Il caffè sospeso, Mondadori, 2008 · Socrate e compagnia bella, Mondadori, 2009 112

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Enzo Tiezzi (1938-2010) Chimico e ambientalista, precursore del concetto di sviluppo sostenibile ha dimostrato come la divergenza tra la scala temporale dell’uomo (tecnologica) e quella della natura (biologica) sia determinante sui cambiamenti ambientali. Fenomeni che prima avvenivano nell’ordine di migliaia, milioni di anni, oggi avvengono nell’ordine dei decenni, troppo rapidamente per essere sopportati dalla biosfera. Ho avuto l’opportunità di conoscerlo personalmente nel lontano 1994, durante il primo corso in Italia per “Agenti di Sviluppo del Territorio”, svoltosi a Siena. Grande divulgatore ha anticipato i grandi temi ambientali che caratterizzano i dibattiti di questi ultimi anni. Ho letto molti dei suoi libri e tra questi ho trovato citazioni interessanti in: · Il capitombolo di Ulisse, Feltrinelli, 1992 · Tempi storici, tempi biologici, Donzelletti Editore, 2005 · I limiti biofisici del pianeta, Giunti Marzocco, 1991 · Entropia e dintorni, Giunti Marzocco, 1991 Luis Sepúlveda (1949-2020) Scrittore cileno di indubbio talento. Lascia la sua terra per motivi politici, trasferendosi in Europa. I suoi romanzi spaziano tra varie tematiche con uno stile unico e inimitabile. · Storia del gatto e del topo che diventò suo amico, Guanda, 2012 · Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Guanda editore, 2014 · Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Guanda, 2014 Piero Angela (1928-2022) Giornalista scientifico, recentemente scomparso, è stato uno dei massimi divulgatori italiani. Ha scritto numerosi libri e realizzato programmi televisivi che hanno trasformato il modo di presentare 113

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i documentari (Quark e Superquark) al grande pubblico. Medaglia d’oro per la cultura italiana e 12 lauree honoris causa all’attivo nel suo curriculum. I miei precoci interessi verso le scienze mi hanno portato alle soglie della scuola media a leggere i primi libri di questo incredibile autore, la cui dote principale è la semplicità nello spiegare fenomeni complessi, senza mai renderli per questo banali. · La vasca di Archimede, Garzanti Editore, 1981 · Viaggio nel mondo del paranormale, Garzanti, 1992 · Viaggio nella scienza, Mondadori, 2002 · Tredici miliardi di anni, Rai Eri- Mondadori, 2015 Mago Silvan Pseudonimo di Aldo Savoldello è l’illusionista italiano più famoso che ha portato l’arte della prestidigitazione ai massimi livelli in tutto il mondo. A soli sette anni già intratteneva i suoi coetanei e i più grandi nel piccolo oratorio Don Bosco della Serenissima, facendosi chiamare “Saghibù”. Esordì in TV negli anni cinquanta, inaugurando la sua leggendaria carriera. È stato l’unico mago non statunitense ad aver vinto il premio “Magician of the Year” nel 1990 e nel 1999. Nel 2015 ha vinto il “Masters Fellowship Award”, l’equivalente del premio Nobel per la magia. Come per tanti bambini, affascinati da questa figura elegante, anche la mia passione per la magia è cominciata in tenera età. Il regalo di una scatola magica ha scatenato in me il desiderio di incantare parenti e amici. Ancora oggi, sotto le vesti di un sorridente clown, quando ne ho la possibilità continuo a divertirmi con la magia, perché tutto sommato non siamo mai abbastanza cresciuti. · La nuova arte magica, La nave di Teseo, 2020 · La magia della vita, Mondadori, 2015

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Edoardo Boncinelli

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Genetista e divulgatore scientifico italiano si è dedicato allo studio dello sviluppo embrionale degli animali superiori e dell’uomo. L’importanza delle sue scoperte nel campo della genetica è riconosciuta a livello internazionale. Nel 2011 il Corriere della Sera, in occasione del 150º anniversario dell’Unità d’Italia, ha incluso le sue scoperte tra le 10, prodotte dal genio degli scienziati, da ricordare nella storia d’Italia. · Prima lezione di biologia, Laterza, 2001 · Io e lei oltre la vita, Guanda, 2017 Guido Barbujani Genetista, scrittore e professore universitario. Specializzato in genetica delle popolazioni ha lavorato nelle Università di Padova, Bologna, Stony Brook University di New York. I suoi studi si concentrano su numerosi aspetti della diversità della genetica umana e della biologia evoluzionistica.  · Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Laterza, 2008 · Gli Africani siamo noi, Laterza, 2016 Massimo Polidoro Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze). Allievo del noto illusionista James Randi è autore di numerosi libri che spaziano dalla psicologia dell’insolito alle pseudoscienze, dal complottismo ai misteri inspiegabili. · L’illusione del paranormale, Franco Muzzio Editore, 1998 · Il mondo sottosopra, Piemme edizioni, 2019

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Titoli per aree di interesse

Comunicazione R. Maragliano, La didattica multimediale, Laterza, 1994 F. Mascolo -L.Fiorella – G. Michelone Internet, L’informazione senza frontiere, Ed. Paoline, 1997 R.Raffagnino, L.Occhini Il Corpo e l’altro – Imparare la comunicazione non verbale, Guerino Studio, 2000 Costanza Bondi, Alfabestoria, Bertoni Editore, 2019 Ambiente Alexander King, Bertrand Schneider, Questioni di sopravvivenza, Mondadori, 1992 Sergio Rondinara, L’ambiente dell’uomo, Citta Nuova, 1996 James Lovelock, La rivolta di Gaia, Rizzoli, 2006 Daniela Padoan, Niente di questo mondo ci risulta indifferente, Edizioni interno4, 2020 Psicologia Carlo Maria Cipolla, Allegro ma non troppo con Le leggi fondamentali della stupidità umana, Il Mulino, 1988 Eugen Drewermann, I tempi dell’amore, Queriniana, 1996 Mercedes Indri De Carli, Barbara Lombardi, Speranza vuol dire, Paoline editoriali libri, 2000 116

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Alba Marcoli, Il bambino arrabbiato, Mondadori, 2004 Paolo Crepet, I figli non crescono più, Einaudi, 2005 Abraham H. Maslow, Motivazione e personalità, Armando editore, 2010 David J. Schwartz, La magia di pensare in grande, NTS srl, 2010 Sigmund Freud, Totem e tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, Mondadori, 2019 Diversità Renzo Vianello, Difficoltà di apprendimento, situazioni di handicap, integrazione, Edizioni Junior, 1999 A. Canevaro, D. Ianes, Diversabilità, Erickson, 2003 Candido Cannavò, E li chiamano disabili, BUR Rizzoli 2005 Canevaro A, Goussot A., La difficile storia degli handicappati, Carocci, 2005 Dario Ianes, Bisogni educativi speciali e inclusione, Erickson, 2005 Andrea Canevaro, Storia degli handicappati, Carocci, 2005 Dario Ianes, La speciale normalità, Erickson, 2006 Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, 2007 Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, Mondadori, 2009 Gianni Baini e Luigi Falco, L’elefante in carrozzina, oltre i limiti della diversità, Armando editore, 2010 Massimo Fioranelli, Il Decimo cerchio, appunti per una storia della disabilità, Editori Laterza, 2011 Matteo Schianchi, Storia della disabilità, dal castigo degli dèi alla crisi del welfare, Carocci editore, 2012 Nick Vujicic, Non smettere di crederci mai, Newton Compton Editori, 2013 Philippe Pozzo di Borgo, Il diavolo custode, Ponte alle Grazie, 2013 Gianni Baini e Luigi Falco, Il paese delle carrozzine, Intrecci Edizioni, 2015 Franco Vestri, Diario di un difettoso, Apice libri, 2015 Francesca Fedeli, Lotta e sorridi, Sperling & Kupfer, 2015 Gianni Baini e Luigi Falco, Il valore della diversità, Intrecci edizioni, 2018 Fabio Veglia e Rossella Pellegrini, C’era una volta la prima volta, Erickson, 2019 117

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Vladimiro Polchi, Nessuno è perfetto, la rivincita dei diversi, De Agostini, 2021 Luigi Falco, Lettera aperta sulla diversità, Intrecci Edizioni, 2021

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Storia e filosofia Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia, Longanesi & C, 2002 Pietro Emanuele, Cogito ergo sum, Salani Editore, 2002 Yuval Noah Harari, Homo deus, breve storia del futuro, Bompiani, 2017 Educazione e Istruzione Don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1957 J. Piaget, Dove va l’educazione, Armando, Roma, 1974 Maria Teresa Moscato, Il viaggio come metafora pedagogica. Introduzione alla pedagogia interculturale, La Scuola, Brescia, 1994 Nicola Paparella, Istituzioni di pedagogia, Pensa multimedia, 1996 Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Libreria editrice fiorentina, 1996 J. M. Prellezo, G. Malizia, C. Nanni, Dizionario di Scienze dell’educazione, Elle Di Ci-LAS-SEI, Torino, 1997 Orlando Cian Diega, Metodologia della ricerca pedagogica, La Scuola, Brescia, 1997 M. Laeng, Nuovo lessico pedagogico, La Scuola, Brescia, 1998 Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, 2002 Religione Lettera enciclica Rerum Novarum, punto 3 Relazioni tra le classi sociali 1891 Piero Pasolini, L’avvenire migliore del passato, Città Nuova, 1983 Gino Rocca, Coscienza, libertà e morale, Citta Nuova, 1990 Pino Pellegrino, Ti racconto Dio, Mario Astegiano Editore, 2004 Francesco Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Edizioni Piemme, 2009 Linda Frola, Evangelizzare con fantasia, Troll libri, 2014 Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, maggio 2015 118

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Anthony De Mello, La preghiera della rana, Edizioni Paoline, 2017 Prima lettera ai Corinzi Lettera agli Ebrei Lettera ai Romani Libro dei Proverbi Vangelo di Giovanni Confessioni di Sant’Agostino d’Ippona Scienze Henry R. Evans, The Old and New Magic, Chicago, Open Court, 1906 Alec Nisbett, La vita di Konrad Lorenz, Bompiani, 1978 Hans M. Enzensberger, Il mago dei numeri, Einaudi, 1998 Silvano Fuso, Realtà o illusione, Edizioni Dedalo, 1999 Antonino Zichichi, Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, Il saggiatore, 1999 Kevin Davies, Il codice della vita, Oscar Mondadori, 2002 Fabiola Marchet, Non è vero, però ci credo, Armenia, 2008 Natalie Angier, Il canone della scienza, BUR Rizzoli, 2009 Amedeo Balbi, Dove sono tutti quanti? Rizzoli, 2016 AA.VV, Darwin, l’eredità del primo scienziato globale, Zanichelli, 2017 Stefano Mancuso, Botanica, Aboca, 2017 Classici Giacomo Leopardi, Pensieri, Adelphi, 1982 Paolo Coelho, L’alchimista, Bompiani, 1995 F. Gazzillo, M. Silvestri, Sua maestà Masud Khan. Vita e opere di uno psicoanalista pakistano a Londra, Cortina Raffaello, 2008 Luigi Pirandello, L’umorismo, Garzanti, 2008 Voltaire, Candido, Einaudi, 2014 Charles Baudelaire, I fiori del male, Feltrinelli, 2014 Blaise Pascal, Pensieri, Rusconi, 2014 George Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, 2015 Virginio Gracci, L’urlo di Munch e altre storie, Campanotto, 2015 119

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Film Radici, miniserie televisiva, RAI 2, 1978 Siamo uomini o caporali? Regia di Camillo Mastrocinque con Totò e Paolo Stoppa, 1955 Patch Adams. Regia di Tom Shadyac con Robin Williams, 1999

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Canzoni The Beatles – Help! https://www.youtube.com/watch?v=2Q_ZzBGPdqE Ligabue – Niente paura https://www.youtube.com/watch?v=7NGwKbr5Oz4 Marco Mengoni – L’essenziale https://www.youtube.com/watch?v=unRjK82bDLw Negrita – In Un Mare Di Noia https://www.youtube.com/watch?v=Dnos8CsQYzU Vasco Rossi – Vado al massimo https://www.youtube.com/watch?v=t8JIidzAuDk Franco Califano- Tutto il resto è noia https://www.youtube.com/watch?v=0Xjx1xLqid4 Eros Ramazzotti – Più Bella Cosa https://www.youtube.com/watch?v=eTOKcxIujgE Simone Cristicchi – Ti regalerò una rosa https://www.youtube.com/watch?v=x8RiA5ZRKMs Jhon Lennon – Beautiful Boy https://www.youtube.com/watch?v=1BZkYfqa4Fs 120

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Renzo Arbore – Sì, la vita è tutta un quiz https://www.youtube.com/watch?v=zhGQk5r4ZeY

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Sitografia Alla radice di alcune parole https://www.treccani.it/vocabolario/diversita/ https://www.treccani.it/enciclopedia/globalizzazione/ https://www.treccani.it/vocabolario/handicap/ https://www.treccani.it/vocabolario/noia/ Uno dei mali del nostro tempo https://www.lumsa.it/sites/default/files/UTENTI/u261/ BINI%20Sergio%20%282013%20d%29%20-%20 L%27ACCIDIA%20%28n%203-2013%20de%20i%20NURSINI%29.pdf Il razzismo https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-03/giornata-internazionale-eliminazione-discriminazione-razziale-tw.html Il tema della speranza https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-05/la-speranzala-virtu-piu-piccola-ma-la-piu-forte.html La debolezza dell’umanità https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-cittadellacarita-caritas I diritti delle persone con disabilità https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/disabilita-e-non-autosufficienza/focus on/Convenzione-ONU/Documents/Convenzione%20ONU.pdf

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Alfabetario della diversità

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