Psicologia generale [Paperback ed.]
 9788815234711

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MANU

Psicologia

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www.mulino.it

LUIGI ANOLLI PAOLO LEGRENZI

Psicologia generale

il Mulino

ISBN 978-88-15-23471-1

Copyright© 2001 by Società editrice il Mulino, Bologna. Quinta edizione 2012. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie

Indice

Premessa

I.

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Origini e sviluppi della psicologia scientifica

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Il.

Psicologia ingenua e psicologia scientifica Nascita della psicologia scientifica Reazioni allo strutturalismo in Europa e negli Stati Uniti Cognitivismo e intelligenza artificiale Modularismo, psicologia evoluzionistica e connessionismo Mente situata e radicata nel corpo Direzioni future

Metodi della ricerca in psicologia

1. Oggetto e metodo della psicologia scientifica 2. Ricerca psicologica in pratica

lii. Sensazione e percezione

1. Sensazione 2. Percezione 3. Principali fenomeni percettivi della visione

IV. Attenzione, coscienza, azione 1. Attenzione 2. Coscienza 3. Azione

11 12 19

24 29 31 34

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44

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62 67 77

91 91 100 112

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V.

INDICE

Rappresentazione, conoscenza, simulazione mentale 1. 2. 3. 4.

Rappresentazione mentale Conoscenza Simulazione mentale Limiti della simulazione

VI. Apprendimento ed esperienza 1. Esperienza come fonte dell'apprendimento Apprendimento associativo Apprendimento da modelli Organizzazione gerarchica dell'apprendimento Apprendimento da mondi virtuali Fondamenti biologici dell'apprendimento

2. 3. 4. 5. 6.

VII. Memoria e oblio 1. Natura della memoria Memoria come processo Oblio e dimenticanza Memoria di lavoro La memoria in pratica: come preparare gli esami

2. 3. 4. 5.

VIII. Decisione, ragionamento, creatività 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Esperienza diretta e pensiero La decisione Induzioni, abduzioni, analogie e creatività Deduzioni L'incoerenza e la focalizzazione Soluzione di problemi e creatività

IX. Comunicazione e linguaggio 1. Comunicazione, comportamento, interazione Principali punti di vista sulla comunicazione Natura del significato Intenzione comunicativa Linguaggio Comunicazione non verbale Nuove frontiere della comunicazione

2. 3. 4. 5. 6. 7.

119 120 131 141 148

151 152 157 166 170 172

174

177

178 183 189 192 197

201 201 203 210 214 218 221

229 230 232 240 247 250 258 261

INDICE

X.

Valori, desideri, motivazioni

1. 2. 3. 4. 5.

Xl.

Valori e desideri Motivazione Esempio di motivazione primaria: la fame Punti di vista sulla motivazione Motivazioni secondarie

Emozioni e affetti

1. Che cosa è un'emozione 2. Principali componenti delle emozioni 3. Svolgimento delle emozioni 4. Manifestazione delle emozioni 5. Regolazione delle emozioni 6. Emozioni e cultura

Xli. Cultura e civiltà

1. 2. 3. 4. 5.

Che cosa è la cultura Origini della cultura Cultura come mediazione e partecipazione Diversità e identità culturali Dalla mente monoculturale alla mente multiculturale

7 263 264 272

276 279 282

291 292 298 304 312 324 326

331 331 339 347 350 356

Glossario

369

Riferimenti bibliografici essenziali

387

Indice analitico

393

Premessa

Nel corso di questi anni, la psicologia generale ha subito profondi cambiamenti sia nei contenuti sia nella didattica. Da un lato, le diverse riforme universitarie hanno ridisegnato gli insegnamenti; dall'altro, l'espandersi delle conoscenze e l' awento di nuovi paradigmi teorici hanno contribuito a consolidare, integrare e, in alcuni casi, rivoluzionare i modelli di spiegazione del funzionamento della nostra mente. Il presente manuale rispecchia entrambi questi aspetti. Nelle diverse riedizioni, susseguitesi nel corso di circa dieci anni, vi abbiamo apportato modifiche sostanziali, tenendo conto anche dei suggerimenti dei docenti che lo hanno utilizzato. In questa quinta edizione, pur assicurando una stretta continuità con il passato, abbiamo intrapreso una nuova stesura del volume. Il risultato è un manuale diverso, in linea con le più recenti acquisizioni nel dominio delle scienze psicologiche e con le attese degli attuali indirizzi universitari. Sebbene tutti i capitoli abbiano subito dei cambiamenti rilevanti, ne segnaliamo di seguito i principali. Il primo capitolo della precedente edizione, dedicato alla storia della psicologia e ai suoi metodi, è stato suddiviso in due capitoli distinti: uno incentrato sulle origini e lo sviluppo della psicologia scientifica (fino al situazionismo e alla mente radicata nel corpo), l'altro sui percorsi metodologici (incluse le tecniche di neuroimmagine e il riferimento all'algoritmo per rilevare modelli nascosti di interazione). Abbiamo inserito un capitolo sulla rappresentazione e la simulazione mentale come nuova frontiera della psicologia cognitiva, oltre che aspetto essenziale, a nostro avviso, dei processi di apprendimento. Gli altri capitoli sono stati rivisti e riscritti in funzione delle conoscenze oggi a disposizione in ambito psicologico. È il caso, per esempio, dell'introduzione del costrutto dei valori in relazione alle motivazioni, dell'analisi delle dimensioni psicologiche della mente multiculturale, delle sfide delle nuove tecnologie nei processi di apprendimento, del ruolo dei processi di induzione, abduzione, analogia e deduzione nel ragionamento o della relazione che intercorre tra emozione e decisione. I lettori cui ci indirizziamo sono i futuri esperti in scienze umane (filosofi della mente, psicologi, educatori, formatori, sociologi, operatori sociali e della comunicazione, economisti, architetti e designer ecc.), destinati a intervenire attivamente in società multietniche sempre più complesse,

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PREMESSA

qualificate da un ritmo accelerato di cambiamento e da un'elevata densità relazionale, nelle quali le conoscenze e gli interventi psicologici saranno sempre più rilevanti. Entro questo scenario, ci siamo attenuti ad alcune linee guida che si sono tradotte in una serie di criteri operativi sottesi all'architettura e alla stesura di questo volume. In primo luogo, abbiamo seguito il principio dell'attualità. Le scienze psicologiche, al pari di altre scienze empiriche, procedono oggi a un ritmo vertiginoso di espansione delle proprie conoscenze attraverso l'elaborazione di nuovi modelli e paradigmi sperimentali, la costruzione di nuove teorie esplicative, la creazione di nuovi punti di vista. Diventa, pertanto, una necessità procedere a un'esposizione aggiornata del sapere psicologico. Nello svolgimento di questo impegno, abbiamo tenuto presenti anche i fondamentali riferimenti ai «fatti cerebrali>> in quanto base e fondamento biologico delle attività mentali. In secondo luogo, ci siamo attenuti al principio della sintesi. Un manuale di psicologia generale deve poter offrire il patrimonio delle conoscenze accumulatesi negli ultimi decenni in modo conciso. Tuttavia, ciò non significa procedere alla semplificazione delle conoscenze, quanto, piuttosto, tendere alla massima completezza ed esaustività. Infine, ci siamo rifatti al principio della chiarezza. Le conoscenze, le teorie e gli esperimenti psicologici riportati sono stati affrontati in termini lineari, accessibili sotto il profilo esplicativo, rifuggendo il più possibile da ogni forma di opacità concettuale e semantica, evitando di dare come scontate nozioni che lo studente universitario che si avvicina alla psicologia non è tenuto a possedere. Semplicità e chiarezza, tuttavia, non comportano una banalizzazione del sapere psicologico. Ci siamo sforzati di evitare ogni forma di ovvietà e irrilevanza scientifica: abbiamo posto, invece, grande attenzione all'accuratezza e al rigore. Nel medesimo tempo, abbiamo rispettato la terminologia scientifica propria della psicologia, nella convinzione che le scienze psicologiche siano, prima di tutto, un linguaggio specialistico. In modo analogo sono stati rivisti e aggiornati tutti gli apparati editoriali: glossario, riferimenti bibliografici essenziali e indice analitico. Particolare spazio è stato assegnato al sito www.mulino.it/aulaweb. In esso, oltre ai riferimenti bibliografici completi, compaiono nuovi materiali scientifici e didattici (strumenti per l'autoverifica dell'apprendimento). Infine, una nota sugli autori. A differenza di altri manuali composti da saggi di numerosi autori, in questo caso vi trovate di fronte a un testo pensato, progettato e realizzato in modo unitario e con frequenti scambi e letture dei capitoli tra i due autori. Per quanto riguarda la stesura, Luigi Anolli ha scritto tutti i capitoli, eccetto il capitolo 8, che è di Paolo Legrenzi. Confidiamo così di aver raggiunto una soddisfacente omogeneità di stile, grazie anche all'editore e, in particolare, a Daniele Malaguti. Questo manuale è stato per noi un'occasione di apprendimento e un'impresa impegnativa. Il nostro auspicio è che possa diventare uno strumento utile ed efficace per comprendere meglio i dispositivi e i processi di funzionamento della nostra mente, per acquisire una mentalità sperimentale e scientifica, e che possa costituire una base solida per approfondire lo studio delle scienze psicologiche.

CAPITOW

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Origini e sviluppi della psicologia scientifica

La psicologia è un vincolo per la specie umana. Se non fossimo tutti psicologi, non saremmo in grado di sopravvivere. Èaltresì un'opportunità, poiché ci aiuta ad avere una soddisfacente qualità di vita. Per tale ragione, siamo predisposti a elaborare una psicologia ingenua, fondata sull'esperienza personale. È una forma di sapere su cui si innesta la psicologia scientifica. Sorgono spontanee alcune domande: quando e come è comparsa la psicologia? Che differenza esiste fra psicologia ingenua e psicologia scientifica? Di che cosa si occupa la psicologia? Quali sono i principali modelli di spiegazione della mente e del comportamento che la psicologia ha sviluppato finora? Sono le domande centrali di questo capitolo.

Sono le quattro del mattino. Sono appena arrivato a casa da una festa. Ho conosciuto una ragazza, Elena. Mi ha stregato con il suo sorriso. Mi piace da morire. Lei niente. Dice che ha già un amico. Mi ha comunque lasciato il numero di cellulare. Il cuore è in tumulto. Il cervello un vortice di pensieri. Sono sveglio come un grillo. Come faccio a conquistarla? Che parole usare? Le mando un sms? A quest'ora? Non posso essere ridicolo. Sono stanco e annoiato. Ho dovuto prendere il treno per andare dai miei, perché l'auto è fuori uso. Nel vagone ci sono altre quattro persone: una coppia di stranieri (slavi, dall'accento), una signora anziana che sembra venuta fuori dal paese delle meraviglie e un uomo abbastanza giovane, vestito in modo casual, che da un po' di tempo mi sta guardando. Mi dà l'impressione che sia un impiccione. A un certo punto comincia a parlarmi della sporcizia che c'è sul vagone. Ha ragione. Ma non ho voglia di parlare. Che faccio? Fingo di dormire? Tiro fuori un libro e mi metto a leggere? Mando un sms a qualcuno? Gli rispondo e dico che ha proprio ragione? Abbiamo appena descritto due fra le infinite situazioni che tessono la nostra esperienza e che ci pongono delle domande. Per riuscire a rispondervi, occorre trovare la reazione più efficace in quel momento particolare. Non dopo. Spesso

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CAPITOLO

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non abbiamo molto tempo a nostra disposizione per riflettere. Per poter governare queste e tante altre situazioni simili, ci serviamo di una serie di conoscenze che fanno parte della nostra psicologia ingenua. Queste stesse due situazioni sono state studiate in modo sistematico da due branche della psicologia scientifica: la psicologia della seduzione e la psicologia sociale. Per entrambi questi ambiti (al pari di molti altri) abbiamo a nostra disposizione un bagaglio esteso di conoscenze valide e attendibili, documentate a vari livelli (neuropsicologico, comunicativo, relazionale ecc.), in grado di farci capire una serie di processi mentali che poniamo in atto sia quando siamo attratti sessualmente da qualcuno (psicologia dell'intimità) , sia quando incontriamo estranei indiscreti (percezione delle persone e gestione delle prime impressioni). In questo capitolo prendiamo in esame la rete di connessioni che intercorre fra la psicologia ingenua (peraltro necessaria) e la psicologia scientifica. Occorre, tuttavia, considerare in che modo, nel corso della nostra evoluzione, siamo diventati «psicologi», come sulla psicologia ingenua sia venuta a fondarsi la psicologia scientifica, quali siano le principali linee di spiegazione (modelli e teorie) che la psicologia scientifica ha elaborato finora e quali le attuali traiettorie di studio in psicologia.

1. PSICOLOGIA INGENUA E PSICOLOGIA SCIENTIFICA Psicologia ingenua e psicologia scientifica affrontano entrambe le opportunità e i vincoli della vita cui andiamo incontro. Le trattano, tuttavia, in modo assai diverso in funzione delle conoscenze che abbiamo acquisito tramite la nostra esperienza sia come specie sia come individui.

1.1. Presupposti evolutivi della psicologia

In principio era la biologia. Dopo, molto dopo, è comparsa la psicologia. Per la nostra specie, la storia imprevedibile e contingente che separa questi due mondi è iniziata con l'ominide Sahelanthropus tchadensis, detto Toumaf( «speranza di vita» in goran), nel deserto del Ciad, circa 7 milioni di anni fa, all'inizio del Pliocene, in una fase di inaridimento del clima africano [Brunet et al. 2002]. Fino ad allora, eravamo un gruppo unico con gli scimpanzé, con cui condividevamo lo stesso genoma. Con il Sahelanthropus inizia la nostra separazione dagli scimpanzé . Da allora questo distacco è proseguito e oggi abbiamo in comune con gli scimpanzé circa il 96 % del genoma. In che modo è avvenuta questa biforcazione? Dal confronto sistematico fra il nostro genoma e quello degli scimpanzé risulta che siamo diventati umani non per addizione (aggiungendo DNA al nostro corredo genetico), bensì per sottrazione (eliminando «pezzi» di DNA-ne sono stati contati ben 510! - rispetto a quello condiviso con gli scimpanzé) [McLean et al. 2011]. Fra di essi, è interessante

ORIGINI E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA

segnalare l'eliminazione del gene recettore androgeno, che implica l'estinzione delle spine cheratinose dal pene. Questa mutazione cambia notevolmente le modalità dei rapporti sessuali: veloci e brevi negli scimpanzé (elevata competizione intrasessuale), più lenti e lunghi negli umani (premessa rimarchevole per stabilire legami più profondi e duraturi fra i partner) . Parimenti, negli umani scompare il gene inibitore del tumore cerebrale: l'estinzione di tale gene implica uno svantaggio evidente, ma comporta altresì l'enorme vantaggio di promuovere l'aumento della massa cerebrale (negli umani il volume del cervello passa da 350 cc di Homo habilis a 1.350 cc circa in Homo sapiens; negli scimpanzé è rimasto pressoché invariato, inferiore a 350 cc). Nel tempo, l'evoluzione della nostra specie, al pari delle altre, non è avvenuta in modo lineare e progressivo (ipotesi incrementalista), come prevedeva il modello della Sintesi moderna degli anni Trenta, bensì in modo contingente, irregolare e discontinuo, come sostiene il modello degli equilibri punteggiati proposto da Stephen Gould [2002] (cfr. più avanti). A periodi di relativa stabilità seguono fasi di profondi e rapidi cambiamenti evolutivi. Nell'evoluzione delle specie, vi sono, quindi, sia «anelli mancanti» (veri e propri «buchi» evolutivi), sia «salti in avanti», che implicano la riorganizzazione dell'assetto generale di una data specie per delineare nuove traiettorie evolutive. Oggi, unica nel mondo, la specie umana, comparsa in Africa circa 160-150.000 anni fa, discende da Homo sapiens arcaicus (uomo di Altamura, vissuto fra 500.000 e 100.000 anni fa) , che a quell'epoca comprendeva diverse specie umane: Homo neanderthalensis, Homo heidelbergensis, Homo erectus cinese (pekinensis, nankinensis ecc.), Homo /loresiensis (vissuto in Indonesia fino a circa 15.000 anni fa, caratterizzato da «nanismo insulare», perché alto 120 cm circa), Homo rhodesiensis (ritenuto l'antenato diretto dell'Homo sapiens sapiens [White et al. 2003 ]). L'insieme di queste diverse specie umane, convissute in varie parti della Terra per un certo arco di tempo, è stato definito il cespuglio degli ominidi, poiché non si è evoluto secondo una catena lineare e progressiva, bensì ha presentato una discendenza ramificata, «a cespuglio» [Tattersall 2003]. A quale periodo si possono far risalire gli albori della psicologia nella nostra specie? È evidente che non vi è (né vi potrà mai essere) nessuna data. Oggi, tuttavia, vi è una notevole concordanza nel ritenere che attorno a circa 100.000 anni fa (4.000 generazioni a partire da oggi) la nostra specie sia diventata una specie simbolica, in grado di «maneggiare» simboli, intesi in senso generale come entità che rappresentano mentalmente altre entità [Deacon 1997] (sul simbolo cfr. cap. 9). Ne è testimonianza l'impiego di pigmenti e di collane di conchiglie, probabilmente per usi ornamentali, ritrovati in Sudafrica, risalenti a circa 80.000 anni fa [Marean et al. 2007]. In quel medesimo arco di tempo Homo sapiens migrò fuori dall'Africa (out o/ Africa In per colonizzare tutta la Terra [Ehrlich 2002]. Allo stesso periodo si attribuisce in modo plausibile la comparsa del linguaggio [Corballis 2002; Jackendoff 2007]. È un primo sbalorditivo «salto in avanti» della nostra specie nella conquista di nuove abilità psicologiche. Capacità simboliche e abilità linguistiche, innestate su precedenti e robuste competenze di comunicazione non verbale (espressioni facciali, gesti, suoni ecc.),

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CAPITOLO 1

consentono agli umani di diventare una specie psicologica, in grado di riflettere sugli eventi in termini mentali. La psicologia, quindi, ha un percorso remoto e affonda le radici nell'evoluzione dell'Homo sapiens. Assai probabilmente lo sviluppo delle competenze psicologiche subisce un rapido e forte impulso circa 30-40.000 anni fa in virtù di un drastico avanzamento tecnologico: raffinata manifattura di utensili (levigatura delle pietre), sculture (Venere di Willendorf), pitture rupestri (Altamira, Lascaux) ecc. A circa 30.000 anni fa si fa risalire la prima sepoltura rituale, sontuosa e ricca di ornamenti, a Sungir (Russia). Sempre nella stessa epoca arriva in Europa l'uomo di Cro-Magnon, in grado, fra l'altro, di «inventare» una sorta di calendario lunare [Tattersall 1998]. Sono le premesse per la rivoluzione del Neolitico, avvenuta circa 10.000 anni fa. In questo periodo assistiamo a un incremento esponenziale delle capacità psicologiche degli umani. È l'avvento dell'agricoltura, forse la più importante rivoluzione umana di tutti i tempi (cfr. cap. 12). Da nomadi, raccoglitori e cacciatori, esploratori incessanti di nuovi ambienti e nicchie ecologiche, diventiamo agricoltori, stanziali e locali. Dalla raccolta del cibo alla sua produzione e conservazione. Per la prima volta compare la nozione di «territorio», con ciò che ne consegue (confini, proprietà, difesa, stato, suddivisione dei ruoli, organizzazione sociale, gerarchia, economia, religione ecc.). Compare una nuova tecnologia (lavorazione dei metalli, strumenti sofisticati, costruzione delle abitazioni ecc., cfr. cap. 12). Non sappiamo se la rivoluzione del Neolitico sia avvenuta solo a seguito di importanti pressioni ambientali (fine della glaciazione di Wiirm), o sia dovuta anche a una riorganizzazione del cervello. Un fatto è chiaro. Ha predisposto una «cassetta degli attrezzi mentali» (pensiero, coscienza, comunicazione, elevata socialità, valori ecc.), tuttora validi e in uso. È la configurazione di base delle nostre competenze psicologiche e rappresenta la nascita della cultura nelle sue diverse forme e manifestazioni [Anolli 2011]. Evidentemente la mente di oggi, pur nella continuità con allora, presenta un diverso impiego delle capacità psicologiche sotto la massiccia influenza di un'enorme quantità di artefatti sempre più sofisticati e avanzati (basti pensare a internet o ai satelliti). È altresì evidente che anche «il cervello del ventunesimo secolo» (titolo fortunato del libro del neuroscienziato Steven Rose [2005]), pur mantenendo le stesse strutture cerebrali, sia caratterizzato da processi di funzionamento notevolmente diversi da quelli di allora. La ragione è semplice: la cultura e i suoi artefatti (per esempio, internet) vanno a modificare la configurazione delle connessioni nervose a nostra disposizione (neuropsicologia culturale, cfr. cap. 12). Oggi, la «cassetta degli attrezzi mentali» elaborati nel corso dell'evoluzione, è impiegata sia dalla psicologia ingenua sia da quella scientifica. È naturale domandarsi che rapporti esistano fra esse.

1.2. Esperienza, psicologia del senso comune e scienze psicologiche Gli empiristi inglesi lo hanno detto con forza: ogni forma di conoscenza a nostra disposizione deriva dall'esperienza per il tramite delle sensazioni. Non vi sono idee innate, anche se (è ovvio) la nostra mente si serve di una gamma indefinita

ORIGINI E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA

di dispositivi nervosi su base genetica. È un punto di vista che la psicologia contemporanea ha abbracciato in pieno (cfr. più avanti e cap. 5). Il termine esperienza (dal latino experiri =, ) di comportamento «nascosto», non osservabilea occhio nudo.Tale modello si compone di una sequenza prolungata di azioni (eventi-tipo) e si ripete 4 volte nel corso de/l'interazione fra due bambine durante un gioco della durata di 13,5 minuti.A sinistra è riportato l'elenco dei 27 eventi-tipo considerati; a destra è raffigurato il« T-pattermi identificato mediante l'algoritmo THEME. Fonte: Magnusson [2005].

rilevato dal segnale «dipendente dal livello dell'ossigenazione del sangue» (Blood Oxigenation Level Dependent, BOLD). La fMRI è sostanzialmente una tecnica di localizzazione cerebrale: consente di individuare le regioni cerebrali attivate in corrispondenza di specifiche attività mentali. In psicologia è un'antica tradizione che risale alla frenologia (cfr. cap. 1). Tuttavia, la fMRI si limita a dirci dove nel cervello una certa operazione mentale innesca l'attività di una struttura nervosa specializzata, ma non ci aiuta a capire come si svolga tale corrispondenza fra mentale e cerebrale. A livello metodologico la fMRI solleva alcuni interrogativi, essendo una tecnica altamente complessa. Dato che il cervello è sempre attivo, crea inevitabili interferenze nelle neuroimmagini grezze, che vanno «trattate» per eliminare le attivazioni non rilevanti per gli scopi dell'indagine. Questo ostacolo è affrontato con il metodo della sottrazione cognitiva, già introdotto da Donders [1868] con i tempi di reazione (cfr. cap.1). In pratica, il compito sperimentale è confrontato con un compito di controllo che richieda esattamente le stesse funzioni mentali, meno quelle che interessano il ricercatore. Per esempio, nello studio delle moltiplicazioni il compito di controllo potrebbe consistere nell'invitare i partecipanti a ripetere ad alta voce i numeri ascoltati. Applicando la sottrazione cognitiva, si eliminerebbero le attivazioni delle aree cerebrali coinvolte nell'elaborazione uditiva e nella produzione vocale, mentre resterebbero attive le regioni implicate

nella moltiplicazione dei numeri. È evidente, tuttavia, che non sempre è così facile individuare un compito di controllo valido. Emergono altre difficoltà nell'inferenza. Poiché da una neuroimmagine ottenuta con la fMRI si ottengono confronti multipli, i metodi tradizionali di analisi previsti per questa condizione non sono utilizzabili. Tali metodi sono efficaci per un numero limitato di confronti (10 o 20, metodo Bonferroni), mentre in una neuroimmagine fMRI i confronti da effettuare sono dell'ordine di decine di migliaia (fra 100.000 e 150.000). Occorre, quindi, cautela nei confronti dei risultati ottenuti con la fMRI per i limiti qui posti in evidenza. Ciononostante, oggi se ne registra un'applicazione estesa ai domini più diversi (neuroeconomia, neuroetica, neuroestetica ecc.). Spesso si eccede. A questo riguardo, con ragione, Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà [2009] parlano di «neuromania».

La stimolazione magnetica transcraniale. La stimolazione magnetica transcraniale (Transcranial Magnetic Stimulation, TMS) è un a tecnica non invasiva in grado di causare la depolarizzazione o l'iperpolarizzazione dei neuroni cerebrali. Elaborata da Anthony Barker e collaboratori, impiega l'induzione elettromagnetica per generare deboli correnti elettriche grazie a rapidi cambiamenti del campo magnetico; tale condizione produce un'attività in specifiche aree del cervello causando un disagio minimo e consentendo di studiare il loro funzionamento e le interconnessioni cerebrali [Barker, Jalinous e F reeston 1985]. La TMS, interferendo selettivamente con una di queste aree, consente di stabilire se ciascuna di esse ha una funzione causale nello svolgimento di determinate attività mentali. Rispetto alla fMRI, la TMS non solo consente di localizzare dove si svolge l'attivazione di una data popolazione di neuroni, ma anche di progredire nella comprensione del come si svolge una certa attività mentale a livello cerebrale.

2.3.2. Attendibilità e validità delle misure Una volta acquisiti i protocolli, occorre procedere alla loro misurazione in base ai livelli sopra descritti. L'obiettivo di questa operazione è disporre di un insieme di dati validi e degni di fiducia, da sottoporre successivamente a un'elaborazione statistica.

Attendibilità delle misure. Un ostacolo che ogni ricercatore non può non affrontare concerne la variabilità dei fenomeni che deve misurare. Siffatta variabilità è generata da alterazioni dovute a fattori temporali, ai partecipanti (intersoggettive) e allo stesso soggetto (intrasoggettive). Sono interferenze inevitabili che influenzano l'accuratezza delle misure. Pur riconoscendo questa condizione, il ricercatore è interessato a ottenere misure dotate di un alto grado di attendibilità, intesa come possibilità di ottenere gli stessi risultati sia in prove ripetute (stabilità), sia con strumenti equivalenti (equivalenza). La stabilità nel tempo è misurata con la tecnica test-retest, ripetendo la rilevazione sugli stessi soggetti a una distanza congrua di tempo. L'equivalenza è valutata tramite l'applicazione di due procedure diverse, ma assai simili fra loro.

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ÙPITOl.O

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Validità delle misure. La validità esprime il livello di pertinenza con cui una prova riesce a misurare ciò che si propone di misurare. Riguarda classicamente i test, ma anche le misure se/freport, le griglie di osservazione, le procedure sperimentali ecc. La validità può essere verificata sia mediante l'esame dei contenuti impiegati, sia mediante il grado di connessione con altre prove che misurano contenuti equivalenti. Abbiamo varie forme di validità: validità di contenuto (gli elementi che compongono la prova), convergente (livello di concordanza con altre prove che misurano contenuti equivalenti), predittiva (connessione dei risultati ottenuti con le future prestazioni dei soggetti), concorrente (legame fra i risultati raggiunti alla prova e le prestazioni dei soggetti a una concomitante attività affine alla prova) e di facciata (presentazione appropriata, formalmente soddisfacente della prova).

2.4. Elaborazione dei dati Dopo aver raccolto i protocolli in modo rigoroso, il ricercatore ha il compito di elaborarli. I protocolli sono una nebulosa dispersa di valori, difficile (se non impossibile) da capire e interpretare direttamente: occorre sintetizzare i risultati e verificare poi se da essi è possibile trarre inferenze degne di interesse. Come prima cosa, bisogna disporre in ordine i dati grezzi (punteggi effettivi). A tal fine, il ricercatore fa ricorso alla distribuzione delle frequenze: si registra quanti soggetti di ogni gruppo si distribuiscono nella gamma dei valori di una data variabile. Tale operazione va ripetuta per ogni variabile e per ciascun gruppo. Le distribuzioni delle frequenze possono essere rappresentate visivamente mediante grafici (a barre, a istogrammi, a torta ecc.). Sulla base della distribuzione delle frequenze, il ricercatore può procedere a descrivere in termini statistici i fenomeni osservati (statistica descrittiva), come pure a verificare l'ipotesi sperimentale e a fare le opportune induzioni (statistica inferenziale).

Statistica descrittiva . La statistica descrittiva fornisce un quadro sintetico dell'insieme dei dati grezzi ottenuti con le misure sia della tendenza centrale sia della variabilità . Le prime sono il centro di gravità dei fenomeni e consistono classicamente nella moda, mediana e media. Le seconde sintetizzano la dispersione dei dati, poiché il valore della prestazione di ogni soggetto, di solito, si discosta dal valore medio del gruppo. La principale misura della variabilità di un fenomeno è la deviazione standard (indica il valore medio delle differenze fra i risultati di ogni partecipante e la media osservata). Nella statistica descrittiva è utile altresì verificare se e quanto una certa variabile X sia connessa con un'altra Y: al variare dei valori di X variano anche i valori di Yin positivo o in negativo (correlazione). Quanto più aumentano le capacità di risolvere problemi, tanto più cresce il QI (correlazione positiva). Quanto più l'offesa a un amico è grave, tanto più basso è il livello di autostima (correlazione negativa). Il coefficiente di correlazione misura l'entità della connessione fra

METOO DELLA RICTRCA IN PSKOLOGIA

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due variabili: va da+ 1 (massimo positivo) a - 1 (massimo negativo). Il valore O indica che le due variabili sono indipendenti (non connesse) fra loro.

Statistica inferenziale. La statistica inferenziale consente di verificare se sia possibile fare induzioni (inferenze) dai risultati ottenuti, al fine di convalidare (o meno) l'ipotesi sperimentale e di fare delle previsioni. Mediante opportuni test statistici, il ricercatore è in grado di decidere se le differenze di un insieme di dati che si discostano dai valori medi registrati siano da attribuire in modo significativo alle variabili considerate oppure al caso. Supponiamo di essere interessati a controllare se una certa moneta non sia truccata (ipotesi di ricerca). Come protocollo sperimentale, scegliamo di fare sequenze di 8 lanci. Procediamo a effettuare 1.000 sequenze di 8 lanci. Registriamo che nel 27 ,3 % delle volte escono sequenze con 4 teste (o croci) e che solo nello 0,031 % (31 sequenze su 1.000) escono sequenze con 7 teste o, viceversa, con una sola testa (cfr. tab. 2.2). Come possiamo vedere, i fenomeni naturali si presentano regolarmente con una certa probabilità: i fenomeni tipici (standard) sono assai più probabili di quelli atipici (anomali). Poiché non siamo in grado di dimostrare in modo diretto l'ipotesi di ricerca (moneta non truccata), siamo autorizzati ad accettare tale ipotesi solo se riusciamo a dimostrare che l'ipotesi contraria (ipotesi nulla: la moneta è truccata) è falsa. Assumiamo che la moneta possa essere truccata a favore sia delle teste sia delle croci prendendo in considerazione le sequenze di lanci in cui escono O, 1, 7 e 8 teste (se le teste sono O, allora vi sono 8 croci). In questa condizione, la frequenza con cui otteniamo solo teste è pari al 7% (0,004 + 0,031+0,031 + 0,004). Se su 1.000 lanci esce un numero di sequenze superiore al 7%, vuol dire che la moneta è truccata e occorre accettare l'ipotesi nulla. Se invece, sempre su 1.000 lanci, otteniamo un numero di sequenze pari o inferiore al 7%, siamo legittimati a respingere l'ipotesi nulla (la moneta è truccata) e ad accogliere, per inferenza, l'ipotesi di ricerca Oa moneta non è truccata). L'insieme dei risultati che ci consente di rigettare l'ipotesi nulla, chiamata regione critica, è regolato dalle leggi della probabilità. Occorre ora stabilire la probabilità di rischio con cui decidiamo di commettere un errore. In effetti, se siamo poco prudenti (propensi all'azzardo), corriamo il rischio di accettare ciò che in realtà non esiste (errore alfa , detto anche di I tipo: è un falso 2.2. Probabilità dei possibili esiti quando positivo); viceversa, se siamo troppo prudenti (contrari a TAB. si lancia una moneta per 8 volte assumendo ogni incognita), corriamo il rischio di non accettare ciò l'ipotesi che la moneta non sia truccata che in realtà esiste (errore beta, detto anche di II tipo: è

unfalso negativo). Nel nostro caso, se siamo moderatamente propensi all'azzardo, scegliamo in precedenza di correre il rischio di fare un errore alfa (accettare che la moneta sia truccata, mentre in realtà non lo è) se, su 1.000 lanci, in meno del5% delle volte (tecnicamente, p < 0,05) otteniamo sequenze intere di O, 1, 7 e 8 teste. Per contro, se siamo molto prudenti, scegliamo in precedenza di ridurre la regione critica e di

NUMERO DI TESTE

PRolABIUTÀ

o

0,004 0,031 0,109 0,219 0,273 0,219 0,109 0,031 0,004

1 2

3 4 5 6 7 8

60

CAPrrot.o 2

correre il rischio di commettere un errore alfa se, su 1.000 lanci, in meno dell' 1% delle volte (tecnicamente, p < 0,01) otteniamo sequenze intere di O, 1, 7 e 8 teste. Procediamo a effettuare 1.000 sequenze di 8 lanci ciascuna e registriamo il risultato di ogni sequenza. Alla fine, otteniamo che in 43 volte (4,3 %) abbiamo ottenuto sequenze intere di O, 1, 7 e 8 teste. Se abbiamo scelto in precedenza la regione critica con una probabilità inferiore al5% (p < 0,05), poiché4,3% è inferiore a5%, decidiamo di respingere l'ipotesi nulla (moneta truccata) e di accettare indirettamente l'ipotesi di ricerca (moneta non truccata) e ci sentiamo legittimati ad affermare che la moneta sia «buona». Se, invece, abbiamo scelto prima la regione critica con una probabilità inferiore all'l % (p < 0,01), siccome il risultato ottenuto pari a 4,3 % è superiore a 1 % , decidiamo di accettare l'ipotesi nulla (moneta truccata) e di rifiutare l'ipotesi di ricerca (moneta non truccata) e siamo autorizzati a ritenere che la moneta sia «falsa». Nella ricerca psicologica, i ricercatori sono soliti ritenere accettabile (fondata su processi reali) una differenza quando la probabilità che essa sia dovuta al caso risulta inferiore a5 % (p < 0,05) o a 1%(p> è l'emblema della «Ragione umana», come pensare di studiare la 239

semantici provenienti dal testo (prospettiva internalista) e aspetti semantici derivanti dal contesto (prospettiva esternalista). Da una parte, il testo contribuisce in modo efficace a definire il contesto, poiché, data una certa parola o gesto, sono attivati piu facilmente certi contesti standard piuttosto che altri. Se dico: «gatto», i contesti legati a «correre, dormire, miagolare» sono assai più plausibili e ricorrenti rispetto a contesti associati a «leggere, calcolare, mangiare con la forchetta>> (prospettiva internalista). Dall'altra, il contesto attribuisce una certa forma e interpretazione al testo, poiché, di volta in volta, seleziona, attiva ed enfatizza certe proprietà semantiche di una parola o frase, mentre ne attenua e ne inibisce altre («cane»= specie nella lezione di zoologia; «cane»= occorrenza concreta riferita a Fido). Ogni significato, quindi, non è astratto né determinabile a priori, ma è sempre legato allo svolgersi di un contesto immediato (context-bound). Di per sé, non vi è nessuna proprietà semantica di una parola o frase o gesto che non possa essere «filtrata» o addirittura «cancellata» da un dato contesto. Di volta in volta, il contesto attiva ed enfatizza certe proprietà semantiche, ne lascia altre inattive e ne attenua altre ancora. I significati non sono universali e fissi nel tempo, ma cambiano al mutare del contesto immediato. Se dico: «Sono stato mangiato dal lupo cattivo», posso costruire un mondo possibile di significati in cui questa frase abbia un senso preciso, rigoroso e atteso. Tutti i giochi di finzione si muovono a questo livello. Anche nella vita quotidiana. In occasione di un trasloco, in un momento di stanchezza, posso dire a un amico: «Ehi! Non prendermi la sedia» indicando un baule. In questo caso il significato di baule assume un doppio valore: il baule resta baule come oggetto, ma svolge la funzione di sedia, poiché consente lazione di sedersi. Entra qui in gioco il già menzionato fenomeno della risemantizzazione contestuale, in base a cui ciascuno di noi è in grado di attribuire proprietà semantiche a qualcosa che di per sé non le possiede, ma che le viene ad acquisire in modo temporaneo grazie a un contesto immediato [Violi 1997]. Di norma, la regolarità dei significati (e la loro prevedibilità) si fondano sulla regolarità (e prevedibilità) dei contesti [Anolli 2012] . La comunicazione si svolge secondo sequenze routinarie (non automatiche), definite in termini sia culturali e istituzionali (le cosiddette «pratiche culturali») sia relazionali (i modelli di interazione che si sono costruiti fra due o più soggetti).

2.4. Il punto di vista psicologico: la comunicazione come gioco delle relazioni Bateson [1972] pone in evidenza che gli individui non «si mettono» in comunicazione (approccio centrato sull'informazione), né vi «partecipano» (approccio interazionista), bensì «sono» in comunicazione e tramite la comunicazione giocano se stessi e la propria identità. Nello studio degli scambi comunicativi fra i delfini e l'uomo e nell'analisi della comunicazione dei sistemi familiari caratterizzati da transazioni schizofreniche, osservò che il comunicante pro-

cede in ogni messaggio su due piani distinti e interdipendenti: il livello di notizia (le cose che dice, i contenuti che manifesta) e quello di comando (far capire all'interlocutore come prendere le cose che dice). A fronte di un'azione maldestra di un amico, possiamo dire: «La prossima volta fai più attenzione» (livello di «notizia»); ma, a seconda di come pronunciamo questa frase (tono, intensità della voce ecc.), dell'espressione facciale e dello sguardo, dei gesti che la accompagnano ecc., possiamo comunicare: «Guarda che è un rimprovero molto serio», oppure: «È un commento che non potevo non fare, data la presenza di altre persone», oppure ancora: «È una battuta bonaria» ecc. (livello di comando). La comunicazione, quindi, si articola su più piani: il piano della comunicazione (i contenuti che si scambiano) e quello della metacomunicazione (comunicazione sulla comunicazione, la «cornice» con cui interpretare i messaggi) . L'attenzione si sposta dalle informazioni trasmesse alla relazione interpersonale che si crea fra due o più interlocutori nel momento in cui comunicano fra loro. Ogni scambio comunicativo implica un'interazione concreta fra due o più individui; a sua volta, una sequenza di scambi che si ripetono nel tempo costruisce un modello di relazione fra loro. La comunicazione diventa, quindi, lo spazio che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami (di qualsiasi tipo) fra i soggetti. Ogni volta che ciascuno di noi comunica qualcosa a un altro definisce nello stesso tempo se stesso e l'altro, nonché la natura della relazione che li unisce. La comunicazione genera la definizione di sé e dell'altro. In modo più o meno esplicito, in ogni messaggio ciascuno di noi è come se dicesse: «Ecco come sono. Ecco come mi vedo. Ecco come mi presento», e contemporaneamente: «Ecco come ti vedo. Ecco come tu sei secondo me», e ancora: «Ecco che tipo di relazione ci lega» (relazione fra pari, docente-discente ecc.). La comunicazione, così intesa, diventa la base costitutiva dell'identità personale e della rete di relazioni in cui ciascuno è inserito. Si stabilisce in tal modo un rimando continuo fra relazione interpersonale e comunicazione. Non vi è l'una senza l'altra. Le relazioni sono intrise di comunicazione e la comunicazione vive attraverso le relazioni. Tale interdipendenza conduce alla creazione dei giochi psicologici, di varia natura e di differente intensità, che costituiscono il tessuto della nostra esistenza (dalla seduzione e innamoramento alla guerra, alla competizione, alla persuasione, alla relazione di aiuto, alla cooperazione ecc.).

3. NATURA DEL SIGNIFICATO I:essere umano vive di significati e non può fare a meno della ragnatela di significati che egli stesso ha tessuto insieme con i suoi simili. Fin da piccolo, è alla ricerca di un significato che possa dare un senso e offrire una spiegazione accettabile alle condotte sue e degli altri. In particolare, assumono una posizione eminente i significati degli enunciati linguistici, che, più di altri mezzi comunicativi, servono ad attribuire un senso alle condotte proprie e altrui.

COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO

3.1.

n significato di significato

Fin dall'antichità, il significato è al centro della riflessione di un numero assai elevato di studiosi (filosofi, teologi, psicologi, antropologi ecc.). Negli ultimi decenni, la loro attenzione è stata rivolta a spiegare l'apparente contraddittorietà del significato, poiché è caratterizzato, da un lato, dalla stabilità (fattore di comprensibilità e prevedibilità negli scambi), dall'altro, dalla variabilità (fondamento della flessibilità, plasticità e versatilità dei significati).

Il significato come insieme di condizioni necessarie e sufficienti. Secondo la semantica logico-filosofica (o vero-funzionale), sorta all'inizio del Novecento nell'ambito della filosofia del linguaggio, il significato di una parola o di una frase è dato dal rapporto che esiste fra il linguaggio e la realtà. In particolare, il significato di un enunciato consiste nell'affermare qualcosa su un certo stato di cose che può essere vero o falso. Ogni enunciato, pertanto, è dotato di un certo valore di verità. Poiché il linguaggio costituisce un'immagine e una copia del mondo, i rapporti fra le entità del mondo sono riprodotti nei rapporti fra gli elementi di un enunciato. Capire una frase è, allora, capire di quale stato di cose essa è immagine. Le condizioni di verità sono diverse dall'effettiva verità o falsità di un enunciato. Comprendere l'enunciato «I miei gerani sono tutti fioriti» non implica affatto che ciò sia vero, ma presuppone soltanto capire come sarebbero le cose se esse fossero così. Le condizioni di verità sono di natura linguistica e sono le caratteristiche che un certo stato di cose all'interno di un mondo reale o possibile deve possedere affinché un certo enunciato sia vero in quel mondo. Anche se dicessi: «I miei gerani blu sono tutti fioriti», avrebbe senso a condizione che esistesse un mondo possibile in cui i gerani siano blu. In quanto insieme di condizioni di verità, il significato non è un monolite, ma una realtà articolata, scomponibile in unità specifiche (analisi componenziale introdotta da Leibniz [1666] per studiare il calcolo infinitesimale). Per la semantica vero-condizionale, il significato sarebbe composto da un insieme limitato di tratti semantici, intesi come condizioni necessarie e sufficienti (CNS) [Hjelmslev 1943]. I tratti semantici per definire uomo, donna, bambino, bambina sono: uomo: ANIMATO & UMANO & MASCHIO & ADULTO; donna: ANIMATO & UMANO & NON MASCHIO & ADULTO; bambino: ANIMATO & UMANO & MASCHIO & NON ADULTO; bambina: ANIMATO & UMANO & NON MASCHIO & NON ADULTO. Tale concezione del significato implica alcune conseguenze: a) nessun tratto può essere eliminato (cancellato) in quanto sono tutti condizioni necessarie; b) nessun tratto può essere aggiunto, poiché i tratti sono condizioni sufficienti; c) tutti i tratti hanno la medesima rilevanza e sono sullo stesso piano, senza nessuna organizzazione gerarchica; d) il significato di qualsiasi termine presenta confini netti e precisi secondo una logica binaria (presenza o assenza).

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242 CAPITOLO 9

Il significato di qualsiasi unità linguistica (una parola) costituisce un oggetto mentale univoco e chiuso, immutabile nel tempo, definito da confini precisi e netti, organizzato in unità discrete e separate fra loro, in modo analogo a quanto avviene per gli oggetti della realtà fisica. Il significato MELA è chiaro e univoco, fisso e definito, senza ambiguità e senza possibilità di equivoci. Siamo in presenza di una concezione oggettualistica che fa astrazione dagli aspetti soggetfig. 9.2. Esempi di sedie che non sarebbero sedie secondo il modello CNS. ti vi, saldamente ancorata alle condizioni di verità. Costituisce una sorta di deposito oggettivo, condiviso Fonte: Violi (1997]. da tutti i parlanti di una certa comunità, condensato nei dizionari [Frege 1892]. Il significato, pertanto, sarebbe indipendente dalla mente dei singoli individui e dai modi con cui essi elaborano le informazioni sulla realtà, poiché sarebbe un'entità oggettiva e identificato con le condizioni di verità (concezione re/erenzialista e antipsicologista). Questa impostazione rigida del significato va incontro a numerose critiche e appare teoricamente insostenibile. Anzitutto, la distinzione fra tratti necessari e tratti accidentali non è così precisa e di natura dicotomica come prevede il modello CNS, ma nel significato di qualsiasi parola (o frase) esiste una gradualità delle proprietà semantiche. Per esempio, se il significato SEDIA presenta queste cinque CNS: a) un oggetto rigido, b) a un posto, c) senza braccioli, d) con lo schienale, e) con quattro gambe, si vede come gli oggetti A e B riportati nella figura 9.2 non potrebbero essere definiti come sedie (assenza delle proprietà c) ed e) rispettivamente), anche se le consideriamo sedie a tutti gli effetti. Parimenti, per i termini dei generi naturali (come cane, piombo, pino, acqua ecc.) non è possibile determinare in modo univoco le loro proprietà necessarie. Se diciamo che per i cani è necessario avere quattro zampe, come ci comportiamo di fronte a un cane che ha perso una zampa? Rimane appartenente alla categoria dei significati CANE o non va più considerato un cane? La medesima considerazione vale per tutte le altre caratteristiche del cane, come degli altri generi naturali. Inoltre, la definizione di confini netti fra un significato e l'altro non appare sostenibile se consideriamo che per molti oggetti esiste una zona di vaghezza semantica. Il medesimo oggetto può essere alternativamente considerato una tazza, una ciotola o un bicchiere a seconda del modo in cui è usato. La linea di confine fra eventi o oggetti non è netta, ma vaga e sfumata, in funzione del continuum della realtà. Infine, il modello CNS prevede che il significato sia separabile dalla conoscenza del mondo e che, basandosi su un numero limitato di tratti, sia riportato in modo definito e oggettivo in un apposito dizionario. Per contro, la nostra conoscenza della realtà non è di tipo dizionariale, ma è data dall'enciclopedia delle nostre esperienze, vale a dire dalla somma e dalla sintesi delle nostre interazioni con la realtà. Infatti, data l'impossibilità di fissare le condizioni necessarie e sufficienti, il significato di qualsiasi cosa dipende dalla nostra conoscenza enciclopedica del mondo. Sotto questo profilo i dizionari sono enciclopedie parziali e limitate. A

B

COMUNICAZIONE ElJlllGlWiGIO

Il significato come valore. La semantica strutturale, proposta da de Saussure [1916], si prefigge di giungere a una definizione esclusivamente linguistica del significato. Essa concepisce il significato come valore, ossia la possibilità per ogni parola di essere confrontata e opposta a qualsiasi altra parola della medesima lingua. Il significato PERA non è dato in senso positivo dall'identità della pera (ciò che essa è), ma è definito dal confronto con tutti gli altri termini opponibili di un dato sistema linguistico. PERA è quello che è, poiché nessun altro termine occupa quella posizione in una certa lingua. Il significato di una parola, allora, nasce dalle relazioni intralinguistiche con le altre parole e consiste nelle differenze che esistono fra quella parola e tutte le altre. È una semantica differenziale in negativo: il significato di un termine non è definito per quello che è, ma per quello che non è. Parimenti, il significato possiede una dimensione unicamente linguistica ed è sganciato da qualsiasi riferimento alla realtà (concezione antireferenzialista) e da qualsiasi elaborazione concettuale e rappresentazione mentale dell'individuo (concezione antipsicologista). Come corollario di tale impostazione si arriva alla rivendicazione di una completa autonomia della semantica, emancipata sia dall'ontologia sia dalla psicologia. La prospettiva strutturalista, tuttavia, non appare sostenibile nella sua versione radicale, poiché è inficiata da un circolo vizioso di partenza. Se i termini sono definibili solo in base alle relazioni, come si possono individuare tali relazioni senza fare riferimento ai termini? Definiamo i termini grazie ai rapporti, ma i rapporti non possono essere definiti se non una volta che siano definiti i termini. In questo solipsismo linguistico si perde di vista il processo stesso della significazione e della produzione del senso. Conoscere l'insieme delle relazioni linguistiche che esistono fra un termine e tutti gli altri non genera alcun significato. Apprendere che ze/fo è opposto a zolfo, contrario di zuf/o e superlativo di zaffo non ci consente di conoscere il significato ZEFFO. Il significato non si fonda unicamente sulle differenze intralinguistiche, ma rimanda necessariamente sia a qualcosa esistente nel mondo sia alla mente del soggetto. Si fonda inevitabilmente sulla nostra esperienza del mondo.

Il significato come prototipo. In tempi più recenti, attorno agli anni Settanta, la semantica cognitiva ha interpretato il significato come il modo con cui comprendiamo le espressioni linguistiche e con cui rappresentiamo mentalmente la conoscenza della realtà (teoria della comprensione). Oggetto della semantica cognitiva è stabilire quale rappresentazione mentale è connessa con la parola in oggetto, nonché quali relazioni esistono fra un messaggio, il suo contesto e i processi della sua interpretazione. La significazione dipende in modo intrinseco dalla spiegazione e dalla comprensione dell'esperienza. La semantica cognitiva, quindi, è una teoria referenzialista e psicologica, presuppone il realismo psicologico e la rinuncia all'autonomia della semantica. Non è possibile separare le conoscenze della lingua dalle conoscenze enciclopediche del mondo e dell'esperienza. All'interno di questo punto di vista, il significato assume il valore di prototipo, proposto inizialmente da Rosch (cfr. cap. 5). All'interno di qualsiasi categoria alcuni membri sono maggiormente salienti rispetto ad altri. Nella categoria UC-

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UPITOW 9

CELLO, la rondine, il passero o laquila sono membri più rappresentativi della categoria rispetto allo struzzo, al pinguino o al pollo. Sono i migliori esemplari di una data categoria, poiché hanno maggiore rilevanza e posseggono in numero più elevato le proprietà distintive della categoria in oggetto (modello standard del prototipo). Prevale il principio di somiglianza e di appartenenza. Gli esemplari prototipici, in quanto più rappresentativi, costituiscono il cuore di una categoria e altre entità possono farvi parte se e nella misura in cui sono simili a essi. La somiglianza diventa il criterio di appartenenza. Quanto più altri elementi sono simili ai prototipi, tanto maggiori sono le probabilità di appartenenza a una data categoria. Tuttavia, questo modello standard è andato incontro a diverse critiche. In particolare, la coincidenza fra rappresentatività e appartenenza appare insostenibile, poiché fondata su criteri imprecisi, spesso impressionistici e soggettivi, senza un confine preciso fra l'inclusione in o l'esclusione da una certa categoria. Anche il canarino e lelefante presentano diversi tratti di somiglianza (animali, emissione di suoni, presenza di zampe, di organi di senso ecc.); eppure, non appartengono alla stessa categoria. D'altra parte, si può fare parte di una certa categoria, anche senza essere simili ai prototipi. Come somiglianza, il pinguino ha poco da condividere con il passero, pur essendo entrambi membri della stessa categoria. I.: appartenenza a una categoria va fondata su un criterio più robusto e preciso. Possiamo affermare che un'entità può far parte di una categoria se possiede le proprietà comuni a tutti i membri di quella categoria [Giv6n 2010). Sono le proprietà essenziali. Per la categoria UCCELLO, occorre possedere due proprietà essenziali, comuni a tutti gli uccelli, anche a quelli meno rappresentativi (pinguino, kiwi ecc.): avere il becco ed essere oviparo (cfr. fig. 9.3) [Geeraerts 2006). Le proprietà essenziali definiscono l'appartenenza categoriale in negativo: se un animale non ha il becco e non è oviparo, non può appartenere alla categoria UCCELLO. La definizione di tali proprietà è il risultato di una convenzione culturale, storicamente definita. Per esempio, la balena, in passato considerata un pesce, oggi rientra nella categoria MAMMIFERI, pur nuotando e pur vivendo in mare. I.:appartenenza a una categoria è favorita, oltre che dalle proprietà essenziali, anche dalla presenza di proprietà tipiche: proprietà specifiche aggiuntive, soggette a eccezioni e cancellabili. Il fatto di volare costituisce una proprietà tipica per la categoria UCCELLO, poiché diversi uccelli non volano (pinguino, kiwi, struzzo). Tra le proprietà essenziali e quelle tipiche esiste, pertanto, una gerarchia di rilevanza, in quanto le prime sono più importanti delle seconde. È il modello esteso del prototipo, inteso non più come entità fisica, ma come linsieme delle proprietà tipiche possedute. Quanto più è elevato il numero di proprietà tipiche presenti in un componente di una categoria, tanto più elevato è il valore della sua rappresentatività (prototipicità). Il passero e laquila sono uccelli che hanno il numero più alto di proprietà tipiche (avere le piume, volare, avere le ali, non essere addomesticati, avere una forma a S); hanno, quindi, un valore di prototipicità per la categoria UCCELLO assai superiore a quello posseduto dallo struzzo o dal pinguino.

COMUNICAZIONE E iJNGUAGG10

1-----------------------------------------------------------------: :'

6

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'' 5 4

Pollo

'

' ' ' ------------------------- ------- --- ----- ---- -------- ------ -------1' fig. 9.3. Raffigurazione schematica della categoria UCCELLO. Le proprietà di tale categoria sono: (1) essere capace di volare; (2) avere le piume; (3) avere una forma a 5;(4) avere le ali; (5) non essere addomesticato; (6) essere oviparo; (7) avere un becco. Le proprietà (6) e (7) sono essenziali e comuni a tutti i componenti della categoria; le proprietà da (1) a (5) sono tipiche e non sono presenti in tutte le specie di uccelli. Fonte: Adattata da Geeraerts [2006].

Il prototipo come insieme teorico di proprietà tipiche diviene uno schema mentale (modello), rispetto a cui le singole entità costituiscono occorrenze concrete. Non definisce più la struttura della categoria nella sua totalità che viene affidata alla presenza delle proprietà essenziali, ma si limita a indicare gli aspetti e i gradi di maggiore (o minore) rappresentatività della categoria medesima.

3.2. Partecipazione e condivisione dei significati In base a quanto finora esaminato, emerge che il significato costituisce un prodotto sociale e culturale. In quanto tale, oltre a essere convenzionale, è partecipazione, condivisione e reciprocità. Partecipazione non significa solo «fare parte di» -0 «prendere parte a», ma «essere parte di>> uno scambio interpersonale. La partecipazione di un individuo a qualsiasi pratica comunicativa vuol dire che è in grado di influenzarla nel momento stesso in cui ne è influenzato attraverso un andamento reciproco senza fine. È la trama e l'ordito dei processi comunicativi a tutti i livelli e in ogni contesto. La partecipazione, quindi, va considerata come il fondamento per l'elaborazione, la condivisione e l'evoluzione dei significati. Essi costituiscono l'intreccio di diverse componenti. Non solo includono il rimando alle rappresentazioni mentali in grado di fornire una comprensione degli eventi (componente cognitiva); non solo fanno riferimento a uno specifico fenomeno dell'esperienza

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(componente referenziale); essi vanno intesi soprattutto come «eventi sociali», poiché emergono nello scambio concreto fra i parlanti in una data situazione (componente pragmatica e sociale). Per questa ragione, i significati sono pubblici, poiché sono 1'esito di un processo di scambio fra gli interlocutori. Non ha senso parlare di «comunicazione privata»: se qualcosa è comunicazione, non può essere (logicamente) privato, e se qualcosa è privato, non è (né potrebbe essere) comunicazione [Wittgenstein 1953]. La partecipazione implica, quindi, la consapevolezza della propria responsabilità personale nello svolgimento degli scambi comunicativi. È un processo che inizia fin dalle prime settimane di vita fra il neonato e l'adulto (dall'allattamento al sorriso sociale, alla coorientazione degli sguardi ecc.). Il bambino apprende il significato degli eventi che vive mediante la partecipazione attiva a un contesto interattivo alimentato dagli scambi ripetuti e regolari con la madre. Di conseguenza, le interazioni sociali sono la radice dello sviluppo mentale e comunicativo del bambino. In esso, l'accordo (cioè, la convenzione) su come deve essere fatto qualcosa è assai più importante della cosa stessa. La conoscenza del mondo da parte del bambino non è diretta, ma mediata dall'azione strutturante dell'adulto. Il bambino non sviluppa le sue capacità mentali né attraverso un processo casuale (per prove ed errori), né affidandosi unicamente al suo repertorio innato (maturazione), bensì all'interno di sequenze interattive con ladulto. In questa prospettiva l'elaborazione dei significati costituisce l'attività congiunta e condivisa da parte di più interlocutori. Essi non si collocano solo nella mente (e nelle parole) del parlante e nemmeno unicamente nella mente (e nell'interpretazione di queste parole) del ricevente, bensì nello scambio fra di essi. I significati si trovano immersi nelle relazioni interpersonali. Non vi sono relazioni senza qualche forma di significato, così come non vi sono significati senza l'esistenza di una relazione. Per questo motivo essi sono dotati di un elevato grado di adattabilità alle situazioni immediate fra gli interlocutori. Entro limiti piuttosto ampi, possono quindi essere estesi, espansi o ridotti in accordo alle aspettative, alle credenze e agli scopi degli interlocutori. In virtù di queste condizioni, i significati possiedono numerosi gradi di libertà e un valore di apertura che rende possibile una gamma estesa, né caotica né casuale, di applicazioni e interpretazioni. Entra in azione la gestione locale dei significati , poiché sono attivati in modo contingente nel flusso degli scambi comunicativi [O'Keefe e Lambert 1995]. Tale gestione locale rende possibile la negoziabilità dei significati, poiché favorisce una serie di calibrazioni e aggiustamenti reciproci fra gli interlocutori fino a giungere a un adeguato livello di accomodazione reciproca. Gli individui non generano significati perfettamente identici per mera duplicazione, né si capiscono l'un 1' altro facendo riferimento esattamente alla medesima rappresentazione mentale, ma pongono a confronto i loro punti di vista e l'enciclopedia delle loro conoscenze (la loro esperienza) attraverso una serie di regolazioni e concessioni reciproche. Per queste ragioni, ogni significato è in parte determinato e in parte indeterminato. È in parte determinato dai vincoli posti dai modelli culturali di apparte-

nenza, dalla struttura della mente, dalle convenzioni locali di quella comunità di parlanti, dal patrimonio precedente di conoscenze (continuità con il passato). È in parte indeterminato, poiché l'attribuzione di un certo valore semantico a una parola (o frase) da parte del comunicante in una certa circostanza e la sua interpretazione da parte dell'interlocutore non sono del tutto prevedibili né sono conosciute in anticipo. Come esito di questa condizione, i significati delle parole cambiano e sono cancellabili (in tutto o in parte) nel corso del tempo; le stesse parole possono avere significati differenti in comunità diverse; compaiono significati nuovi in funzione di nuove esperienze condivise e partecipate. I significati vanno intesi, quindi, come un flusso che procede continuamente in avanti, alimentato dal passato, ma in grado di assumere forme e percorsi nuovi e imprevedibili, indeducibili dalle componenti precedenti. In questi processi entra in azione l'intelligenza interattiva come combinazione della capacità di prefigurare le condizioni attuali dell'interlocutore (da parte del parlante) e di attribuire una data intenzione al parlante (da parte dell'interlocutore). È un gioco reciproco. Affinché il ricevente sia in grado di attribuire la corretta interpretazione, il parlante deve assicurarsi che i suoi enunciati siano formulati in modo tale da attendersi che il ricevente sia in grado di coglieie la sua intenzione reale [De Ruiter et al. 2010].

4. INTENZIONE COMUNICATIVA La comunicazione non appare un processo casuale né involontario, ma implica una pianificazione intenzionale, poiché ogni messaggio è voler rendere l'interlocutore consapevole della propria intenzione. Senza intenzionalità non vi può essere comunicazione. Di conseguenza, non ogni comportamento è comunicativo, bensì solo quello dotato di intenzionalità. L'intenzionalità può essere intesa secondo due accezioni differenti: a) una proprietà essenziale della coscienza umana in quanto «consapevolezza di» qualcosa (prospettiva di Brentano, cfr. cap. l); b) la proprietà di un'azione compiuta in modo deliberato e «di proposito» per raggiungere un certo scopo; l'intenzione è «tendere in», muoversi verso l'altro e si manifesta nell'interazione con l'ambiente [Damasio 2010]. In entrambe le accezioni, l'intenzionalità è una proprietà di certi stati mentali (non di tutti) che si manifesta attraverso l'elaborazione di specifiche intenzioni e che concerne lo scambio comunicativo nella sua globalità (parlante e ricevente) [Anolli 2012].

4.1. Intenzione comunicativa da parte del parlante Quando generiamo un messaggio, abbiamo l'intenzione di comunicare qualcosa a qualcun altro. Grice [1989] ha distinto fra intenzione informativa («ciò che

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viene detto», il contenuto, le cose dette) e intenzione comunicativa («ciò che intendiamo dire», il voler rendere il destinatario consapevole di qualcosa di cui prima non era consapevole). Questo processo non è un meccanismo discreto o dicotomico, ma è caratterizzato da una graduazione continua. Tale gradualità intenzionale consente di mettere regolarmente a fuoco e di calibrare i messaggi nel corso delle interazioni. In questo modo il parlante può passare agevolmente da atti comunicativi semplici (i saluti} a quelli molto impegnativi (l'ironia, la seduzione, la menzogna ecc.). Occorre parlare della forza dell'intenzione, direttamente proporzionale sia all'importanza dei contenuti trasmessi, sia alla rilevanza dell'interlocutore, sia alla natura del contesto. Implica la messa a fuoco e la puntualizzazione del messaggio: tanto più l'intenzione comunicativa è forte, quanto più l'atto conseguente tende a essere a fuoco. Il fuoco comunicativo è un processo attivo di concentrazione dell'attenzione e dell'interesse del parlante su certi aspetti della realtà da condividere con il destinatario. Produce pertinenza comunicativa, grazie a cui alcuni aspetti diventano prominenti e più importanti rispetto ad altri per la presenza di una particolare accentuazione dei dispositivi espressivi [Anolli 2012]. Inoltre, qualsiasi messaggio può essere governato da una pluralità di intenzioni, incastrate l'una nell'altra e disposte in modo gerarchico (gerarchia delle intenzioni) . Per esempio, in una menzogna preparata vi sono diversi livelli di intenzioni: a) un'intenzione nascosta (o latente: il soggetto intende ingannare il destinatario falsificando le informazioni); b) un'intenzione manifesta (o evidente: il soggetto intende trasmettere le informazioni false al destinatario). Questo secondo livello intenzionale si articola a sua volta in: bl) intenzione informativa (il soggetto intende dare al destinatario le informazioni false come se fossero vere); b2) intenzione di «sincerità» (il parlante desidera che il destinatario creda che egli crede in ciò che ha detto) [Anolli 2003a; 2011] . Anche senza far riferimento alla menzogna, negli scambi quotidiani il parlante deve selezionare un certo livello di intenzionalità per trasmettere ciò che ha in mente. È il dispositivo della «pars pro toto», secondo cui nella produzione di un messaggio possiamo manifestare solo una parte di ciò che abbiamo in testa. Tale principio ha un preciso fondamento biologico nell'articolazione della laringe che funziona come un collo di bottiglia nel sistema comunicativo. In funzione di questa costrizione fonetica siamo in grado di emettere in media 5 ,4 sillabe al secondo, inferiore a 100 bitls (bit di informazione per secondo). Basta confrontare questo dato con le prestazioni fornite dai computer attuali, che possono giungere fino alla velocità di 1.000 Gbls (gigabit per secondo; ossia, un miliardo di bit per secondo) [Levinson 2005a]. È una delle radici della paradossalità della comunicazione. Da un lato, vi sono aspetti di sé inesprimibili, poiché non vi sono sistemi semiotici così potenti e stabili da consentire una comunicazione esaustiva di tutto il mondo privato (residuo di incomunicabilità). Dall'altro, anche la scelta di non voler comunicare va espressa attraverso atti comunicativi.

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4.2. Intenzione comunicativa da parte del destinatario All'inizio degli studi sulla comunicazione (per esempio, nel modello di Shannon e Weaver) il ricevente era inteso in modo passivo come il terminale verso cui è destinato il messaggio, lasciando al parlante la responsabilità maggiore dei processi di comunicazione. Questa prospettiva, nota come intenzionalismo, prevede che il significato di un messaggio dipenda dall'intenzione del parlante e che il compito del destinatario sia quello di identificare (registrare) l'intenzione «di partenza» del parlante medesimo. Grice [1989) ha introdotto il concetto di condivisione consapevole dell'intenzione comunicativa fra i comunicanti, in base al principio già considerato: P sa che A sa che P sa che A sa (e così senza fine) che P ha una data intenzione comunicativa. In tal modo si raggiunge la condizione di reciprocità intenzionale: per avere successo, uno scambio comunicativo deve essere caratterizzato non solo dalla manifestazione di un'intenzione comunicativa da parte del parlante, ma anche dal suo riconoscimento da parte del destinatario. Questo riconoscimento implica un'attività consapevole e la partecipazione del ricevente ali' elaborazione del significato. In modo più articolato, il destinatario procede, più che a un semplice riconoscimento, a una reale attribuzione di intenzione al messaggio del soggetto. Comprendere la sua intenzione vuol dire assumere che il suo messaggio abbia un significato e impegnarsi per interpretarlo. Considerata l'impossibilità di avere un accesso diretto all'intenzione del parlante, qualsiasi interpretazione della sua intenzione comunicativa è parziale e limitata, poiché è regolata dal dispositivo del «totum ex parte». Il destinatario attribuisce un'intenzione completa e coerente al messaggio sulla base di un insieme ristretto di indizi. Tale attribuzione di intenzione a ciò che comunica il parlante è un processo attivo, autonomo e soggettivo, grazie al quale il destinatario si assume le sue responsabilità nella gestione dello scambio comunicativo. L'attribuzione intenzionale qui considerata garantisce una gamma estesa di gradi di libertà a disposizione del ricevente, che ha sempre davanti a sé diverse alternative interpretative fra cui sceglierne una e in base alla quale fornire la sua risposta. Concetti come «significato letterale» o «interpretazione autentica» vanno, quindi, considerati in modo diverso. Il significato letterale o figurato di un enunciato dipende dall'attribuzione di intenzione fatta dal ricevente e la cosiddetta >, inteso come una forma schematica di rappresentazione mentale di un evento, organizzata in modo sequenziale a livello temporale e psicologico (non logico), nella quale l'evento in esame è scomposto in sottoeventi [Abelson 1981]. La prospettiva dello script fu applicata all'ambito delle emozioni negli anni Ottanta da diversi studiosi [de Sousa 1980; Fehr e Russell 1984]. Le emozioni non sono strutture opache e mute sul piano semantico. Non sono dei «primitivi semantici» non analizzabili. Sono scomponibili in una sequenza di sottoeventi conoscibili che «compongono» l'emozione stessa: le situazioni antecedenti, le cause e le credenze, i desideri e gli interessi, i cambiamenti fisiologici, le espressioni verbali e non verbali, le azioni di risposta. Tali componenti dell'esperienza emotiva si svolgono secondo una data sequenza e sono organizzate secondo una certa articolazione in modo da definire la sua configurazione globale (per un esempio relativo allo script della collera cfr. tab. 11.1). Il modello dello script emotivo comporta un metodo di analisi e sintesi, di scomposizione e ricomposizione dell'esperienza emotiva nelle sue diverse componenti essenziali e tipiche. È una teoria della conoscenza, poiché indica il percorso mentale utilizzato per cogliere, assemblare e ordinare le informazioni derivanti dal flusso degli eventi, nonché per impiegarle in modo efficace. Nello stesso tempo, lo script consente di collegare in modo interdipendente gli aspetti semantici delle emozioni con le pratiche quotidiane a esse connesse. Rende possibile, inoltre, il confronto sistematico fra un'emozione e la corrispettiva categoria emotiva presente in una data cultura e quella equivalente (la più prossima) in un'altra cultura. Siffatto confronto è una premessa fondamentale per la traducibilità di una categoria emotiva di una cultura in quella analoga di un'altra cultura.

4. MANIFESTAZIONE DELLE EMOZIONI Non solo le emozioni sono «sentite», ma sono altresì manifestate all'esterno dall'intero organismo. È una loro componente vincolante. Diversamente dai

EMOZIONI E AFrm1

pensieri, dalle fantasie e dai ricordi, le emozioni «emergono» in modo visibile dal nostro corpo attraverso una serie molto estesa di indizi più o meno palesi, compresi i microindizi. Come ricorda Damasio [2010) , il corpo è il «teatro» (meglio, il «palcoscenico») delle emozioni, poiché consente la loro rappresentazione tangibile e pubblica. Parliamo di ostensione emotiva. La comprensione delle emozioni implica l'analisi del percorso e dello scambio fra chi prova emozioni e chi le osserva. Da una parte, le emozioni provate dal primo sono manifestate all'esterno attraverso indizi in parte osservabili a occhio nudo e in parte non osservabili. Dall'altra, sulla base della percezione di tali indizi il secondo è nella condizione di fare inferenze e di attribuire determinati stati d'animo al primo.

4.1. Espressioni emotive della faccia Le espressioni facciali sono universali, variabili e flessibili, dinamiche e mutevoli, capaci di assumere una gamma molto estesa di forme, attivate e regolate da un gruppo ampio di fasce muscolari volontarie, idonee a produrre movimenti anche lievi e sottili. Sono un fenomeno elettivo per la nostra specie, poiché costituiscono un fuoco centrale per l'attenzione. 4.1.1. Fisiognomica delle emozioni Fin dall'antichità, le espressioni facciali sono state oggetto di studio da parte della fisiognomica. Già Aristotele, negli Analitici Primi (2, 27), sosteneva che le emozioni «naturali» generano segnali per cui siamo in grado di «inferire il carattere [di una persona] dalle sembianze». Tale concezione è stata ripresa in tempi moderni da Thomas Browne [1643; trad. it. 2008, 2, 2), secondo cui «nei tratti del nostro volto è scolpito il ritratto della nostra anima>>. Ampliata daJohann Caspar Lavater (1775-1778) , fu sviluppata, fra gli altri, da Darwin (1872) come supporto alla sua teoria evoluzionistica, da Cesare Lombroso (1876) nell'ambito dell'antropologia criminale e da Philipp Lersch [1932) nel dominio della caratterologia. Secondo la fisiognomica, la conformazione strutturale del volto conduce alla produzione di specifiche espressioni facciali e alla rilevazione del carattere (temperamento) delle persone. Essa si fonda sul metodo del giudizio, poiché fa riferimento alla valutazione di «giudici» che inferiscono la presenza di certe emozioni a partire da certe espressioni facciali. Questa concezione strutturalista fu rivoluzionata dalla metodologia neurofisiologica messa a punto da Ekman e Friesen (1978). Essi seguirono il «metodo delle componenti», che consente di misurare in modo accurato le diverse componenti motorie di una data configurazione facciale. Attraverso meticolose misurazioni elettromiografiche dei muscoli facciali, Ekman e Friesen furono in grado di individuare 44 «unità di azione» (Action Units, AU) , ossia movimenti elementari, attivati da una o più fasce muscolari striate (o volontarie), in grado di dare origine a oltre 7 .000 configurazioni espressive della faccia. Sulla scorta di questi dati essi elaborarono il Facial Action Coding System (FACS), che è un sistema comprensivo di osservazione di tutti i movimenti facciali visibili, fondato

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I

sulla rilevazione dei loro correlati anatomo-fisiologici. Oggi, grazie ali' ausilio di dispositivi digitali sempre più avanzati, si sta procedendo al riconoscimento automatico delle espressioni facciali via computer [Ekman, Friesen e Hager 2002]. Tale strumento ha consentito di acquisire una mole impressionante di dati in questi ultimi anni a livello internazionale e di accrescere in modo rilevante la consapevolezza sulla complessità, dinamicità e versatilità delle espressioni facciali. 4.1.2. Ipotesi dell'universalità delle espressioni emotive Per primo, Darwin [1872] si è chiesto se le espressioni facciali delle emozioni fossero culturalmente invarianti. Partì dai resoconti di inglesi residenti in 46 paesi, e, sebbene il suo metodo fosse piuttosto rudimentale, giunse alla conclusione che le emozioni fossero categorie discrete (emozioni «di base»), che le loro espressioni facciali fossero universali in quanto attivate da esperienze emotive comuni e che fossero riconosciute in modo attendibile dagli intervistati (ipotesi dell'universalità). Inoltre, ritenne che le espressioni facciali degli umani avessero caratteristiche in comune con quelle di altri primati non umani (il riso o l'aggressione; ipotesi della continuità evoluzionistica).

I dati di partenza. A un secolo di distanza, Ekman, Sorenson e Friesen [1969] si sono proposti di verificare empiricamente le affermazioni di Darwin. Basandosi su ricerche sperimentali condotte presso varie popolazioni, comprese comunità non alfabetizzate (i Fore, i Bahinemo e i Dani della Nuova Guinea, nonché i Sadong del Borneo), seguendo ciò che successivamente fu chiamato il metodo standard (mostrare fotografie di espressioni facciali posate, cfr. più avanti), questi studiosi si sentirono autorizzati ad affermare che le espressioni facciali emotive sono Gestalt unitarie e chiuse, universali e fisse, di natura discreta. L'espressione facciale di ciascuna delle sei emozioni «di base» (collera, disgusto, paura, gioia, tristezza, sorpresa) è unica e universale, presente in tutte le culture, riconosciuta da tutti in modo attendibile (al di sopra delle probabilità da attribuire al caso), innescata e governata da un preciso programma neuromotorio che attiva una specifica configurazione di fasce muscolari (cfr. fig. 11.3 ). Al momento della nascita, le emozioni «di base» emergono già strutturate come totalità distinte seguendo un programma maturativo innato (teoria differenziale) [Izard 1977; 1994; 2009]. Fin dai primi mesi, vi sarebbe una concordanza naturale e biunivoca fra l'espressione facciale e l'emozione corrispondente per alcune esperienze soggettive primarie (disgusto, distress, interesse). Parimenti, l'universalità e il fondamento genetico delle espressioni emotive facciali sarebbero dimostrate dalle condotte emotive degli individui non vedenti congeniti. A partire da alcuni studi su casi singoli [Dumas 1932), sono state osservate notevoli somiglianze nell'attivazione delle espressioni facciali spontanee delle emozioni in soggetti vedenti e non vedenti sia nei bambini sia negli adulti. Tuttavia, la mimica facciale dei non vedenti risulta assai più ridotta e limitata [Matsumoto e Willingham 2009), non presenta quasi mai una configurazione completa e spesso è compensata dalla maggiore frequenza di certi movimenti (innalzamento delle sopracciglia, bocca aperta, sollevamento della testa).

EMOZIONI E AFFETll

Collera

Disgusto

Paura

Gioia

Tristezza

Sorpresa

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fig. 11 .3. Le sei espressioni emotive facciali delle emozioni ritenute uniche e universali (panculturali). Ciascuna di esse sarebbe

attivata da uno specifico programma affettivo. Fonte: Ekman e Friesen (1975].

Sulla base di questi dati, Ekman ha sostenuto che le espressioni facciali delle emozioni siano biologicamente programmate, universali e univoche, costanti in tutte le culture (panculturali). Poiché tale ipotesi è affine alla psicologia del senso comune, è stata accettata in modo sostanzialmente acritico, e diffusa in tutti i manuali di psicologia come evidenza scontata e owia. In realtà, siamo in presenza di un'ipotesi non così owia.

Regole di esibizione e teoria neuroculturale. Ekman [1972), pur ribadendo la determinazione genetica e l'universalità delle espressioni emotive della faccia, ha ammesso che nella loro esibizione esistono rilevanti differenze culturali. Tali differenze espressive sono generate e governate dalle regole di esibizione (display rules), apprese nei primi anni di vita in funzione delle esperienze e degli apprendimenti culturali. Sono ) della vita quotidiana. Conoscenza retrospettiva: senso esagerato circa l'inevitabilità di un evento una volta conosciuto I' esito. Conoscenza riflessiva: capacità di rendere consapevole ed esplicita la conoscenza tacita. Conoscenza tacita: conoscenza implicita e condivisa, di norma inconsapevole, fondata su pratiche quotidiane. Contagio emotivo: provare le stesse emozioni che sta provando un altro, senza averne nessuna ragione. Contesto: insieme delle condizioni e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e

culturali per la realizzazione di qualsiasi atto comunicativo. Contingenza: confluenza fra le cose che capitano e il modo con cui le facciamo capitare. Contorni anomali: figure nelle quali i contorni non sono «fisicamente» presenti, pur essendo «percettivamente» colti (effetto Kanizsa). Controlli di valutazione dello stimolo emotivo: sequenza lineare progressiva distinta in cinque livelli per il controllo dello stimolo emotigeno (la novità dello stimolo; la piacevolezza/ spiacevolezza intrinseca; la pertinenza e la rilevanza dello stimolo per i bisogni e gli scopi dell'organismo; la capacità di far fronte allo stimolo; la compatibilità con le norme sociali e con l'immagine di sé). Controllo di manipolazione: verifica della coerenza e della congruenza fra gli obiettivi dell'esperimento, le istruzioni fornite e il comportamento dei soggetti sperimentali. «Copio~> emotivo: capacità di far fronte a un' esperienza emotiva e di regolarne la manifestazione. Correlazione: rapporto di connessione che intercorre tra due fenomeni o due insiemi di dati. Coscienza : stato particolare della mente in cui si ha conoscenza dell'esistenza di sé e dell'ambiente. Costanza percettiva: processo in base al quale il soggetto percepisce gli oggetti come dotati di invarianza e di stabilità, pur al continuo variare delle stimolazioni. Creatività: trovare non solo nuove risposte ma anche nuove domande rispetto a problemi per la cui soluzione è necessaria una ristrutturazione cognitiva. Criteri di protocollarità: criteri specifici in base ai quali ogni scienza decide in via immediata sull'accettabilità o meno dei dati acquisiti mediante le operazioni compiute. Cronometria mentale: studio delle corrispondenze fra i processi mentali impiegati in un dato compito e le misure osservabili in termini di tempo di esecuzione. Cultura: l'appropriazione (da parte di un novizio) di una rete globale e dinamica, più o meno coerente, di conoscenze e credenze, di significati, valori ed emozioni e di pratiche di vita attraverso l'apprendimento sociale all'interno di un gruppo umano (comunità, nazione ecc.) socialmente organizzato, in modo da adattarsi attivamente al proprio ambiente (nicchia ecologica) e dare senso all'esperienza propria e altrui.

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Decomposizione: operazione consistente nella suddivisione di un problema complesso in sottoproblemi relativamente indipendenti in modo da renderlo meno complesso. Deduzione: inferenza logica valida grazie alla sua struttura formale e non ai suoi contenuti. Desiderio: aspirazione a raggiungere qualcosa che riteniamo ci consenta di trovarci in uno stato migliore delle cose rispetto a quello attuale. Diplopia: visione doppia; si verifica quando le immagini retiniche non corrispondono fra loro. Discriminazione: condizionamento dell' organismo a rispondere esclusivamente a determinati stimoli, e non a quelli simili. Disegno di ricerca: organizzazione complessiva dell'esperimento. Disegno entro soggetti: disegno sperimentale in cui ogni soggetto è sottoposto a tutte le condizioni sperimentali (gruppo unico). Disegno fattoriale: disegno in cui il ricercatore intende valutare nello stesso esperimento leffetto di due o più variabili indipendenti (fattori) sulla variabile dipendente. Disegno tra soggetti: disegno sperimentale in cui a ogni condizione corrisponde un gruppo sperimentale. Dislocazione dell'attenzione: strategia per la regolazione delle emozioni. Disparazione binoculare: fenomeno retinico per cui le immagini nei due emicampi retinici (destro e sinistro) non corrispondono fra loro. Distorsione della negatività: disposizione generale a essere influenzati molto più dalle informazioni negative che da quelle positive. Diversità culturale: esistenza di evidenti differenze fra una cultura e un'altra. Dogmatismo ideologico: adesione monolitica e totale alle proprie credenze. Effetto àncora (effetto contrasto): la sensazione dello stimolo antecedente influenza quella dello stimolo successivo. Effetto «cocktail party»: orientamento dell'attenzione verso uno stimolo esterno che interrompe quanto si sta facendo. Effetto dotazione: tendenza a valutare di più quello che si ha, essendo già in nostro possesso, rispetto a quello che non si ha. Effetto Kanizsa: figure anomale generate da margini fisicamente inesistenti (quasi-percettivi).

Effetto Kulesov: influenza emotiva dello stimolo antecedente su uno stimolo neutro susseguente. Effetto placebo: quando i partecipanti a un esperimento modificano le loro risposte in assenza di qualunque tipo di manipolazione sperimentale. Elaborazione automatica delle informazioni: svolgimento inconsapevole nella selezione e acquisizione delle informazioni. Elaborazione controllata delle informazioni: processo di controllo diretto e continuo nella selezione e acquisizione delle informazioni. «E-learning»: (da electronic learning, noto anche come online learning, open learning, web-based training), è lo sviluppo esponenziale della formazione a distanza basata sul computer e su internet. Emozione modale: emozione più compatibile in una determinata situazione. Emozioni: processi emergenti in funzione dell' organismo e degli accadimenti all'interno di un dato contesto (situazionalità). Emozioni autoconsapevoli: emozioni che hanno come oggetto l'immagine di sé, come la colpa, la vergogna e lorgoglio. Emozioni primarie: sono le emozioni di base, come la gioia, la collera, la tristezza, la sorpresa, la paura e il disgusto. Empatia: consonanza di affetti ed emozioni fra due o più individui. Emulazione: ripetizione meccanica di movimenti, azioni o posture di altri senza comprenderne l'intenzione. Epigenetica: studio dell'interdipendenza fra informazioni genetiche e condizioni ambientali. Errore alfa (o di I tipo): rischio di accettare ciò che in realtà non esiste (falso positivo). Errore beta (o di II tipo): rischio di non accettare ciò che in realtà esiste (falso negativo). Errore del campione: errore in base al quale lo stimolo standard è sovrastimato rispetto allo

stimolo di confronto. Errore dell'esperienza: attribuire alla realtà proprietà che sono invece esclusive della percezione. Errore dell'essenzialismo: considerare gli stati mentali come en"tità fisse, regolari, corrispondenti a fenomeni circoscritti e isolati (cecità platonica).

Errore dello stimolo: descrivere sul piano percettivo non ciò che si vede ma ciò che si sa, confondendo i percetti con le conoscenze. Errore di Cartesio: Cartesio, proponendo un dualismo radicale fra mente e corpo, finì per «dematerializzare» la mente (riducendola a una res cogitans) e «dementalizzare» il corpo (riducendolo a una res extensa e a una semplice «macchina vivente»). Errore di posizione: errore in base al quale, se gli stimoli sono disposti nello spazio in posizioni diverse, si può verificare la sovrastima di uno stimolo che occupa una determinata posizione. Esecutivo centrale: sistema che svolge la funzione di coordinamento e di integrazione delle informazioni provenienti dai tre sottosistemi della memoria di lavoro: il circuito fonologico , il taccuino visivo-spaziale e il tampone episodico. Esperienza: enciclopedia delle conoscenze esplicite (formali) e implicite (tacite), accumulate nel corso del tempo, acquisite tramite il coinvolgimento personale nelle azioni e l'imitazione dei comportamenti altrui. Esperimenti guidati: esperimenti in cui si manipola una variabde indipendente per misurare i suoi effetti sulla variabile dipendente. Esperimenti naturali: esperimenti in cui si sfruttano le variazioni create in natura (utili quando un fenomeno non può venire studiato, pena l'artificiosità, con esperimenti guidati). Espressione facciale delle emozioni: analisi della corrispondenza (o meno) fra la mimica facciale e le emozioni provate. Espressione vocale delle emozioni: analisi delle molteplici variazioni soprasegmentali della voce in concomitanza con la presenza delle diverse emozioni in funzione della frequenza fondamentale, dell'intensità e della velocità dell'eloquio. Estinzione: diminuzione della risposta incondizionata quando si presenta da solo lo stimolo condizionato, senza l'associazione con lo

stimolo incondizionato. Etnocentrismo: assolutizzare il proprio punto di vista culturale ritenendolo l'unico giusto e vero. Etologia: studio del comportamento degli animali nei loro ambienti naturali su base osservativa. Euristica: insieme di regole approssimative ma utili per affrontare problemi complessi; non portano in maniera certa alla soluzione (cfr. algoritmo), ma possono essere di aiuto.

Evoluzione culturale: continuo divenire della cultura nel tempo. Evoluzionismo: teoria dell'evoluzione delle specie, formulata da Darwin. «Exaptation»: processo evolutivo in base al quale una struttura biologica destinata a una

certa funzione è «cooptata» a svolgere una funzione nuova assieme a quella originaria (per esempio, le piume degli uccelli). Falsità: condizione logica di un enunciato che descrive uno stato delle cose che non corrisponde alla conoscenza in proprio possesso. Feedback (o retroazione) : quantità di informazione che dal ricevente ritorna all'emittente. Figura e sfondo (articolazione della): fenomeno percettivo primario che segmenta il flusso delle stimolazioni, in quanto non c'è figura senza sfondo. Figure reversibili: figure nelle quali si ha una inversione sistematica tra la figura e lo sfondo. Flash di memoria: ricordi particolarmente vivi, dettagliati, concreti e permanenti di eventi sorprendenti. Focalità emotiva: sistema di criteri e di credenze in base ai quali un certo evento assume una particolare rilevanza emotiva in una cultura piuttosto che in un'altra. Focalizzazione: meccanismo cognitivo per cui ci si concentra su una sola ipotesi senza esaminare altre possibilità (cfr. attenzione

focalizzata). Fondamentalismo culturale: esigenza di stabilire solidi confini fra le culture, di procedere a una loro discriminazione e di difendere in modo estremo il proprio punto di vista culturale. Fonema: unità fonica dotata di valore discreto e oppositivo in grado di distinguere significati lessicali diversi come /bi e /p/ in bere e pere. Fonetica: studio fisico della produzione e della percezione dei suoni vocali (foni) prodotti dall'apparato fonatorio umano. Fonologia: studio dei suoni di una lingua in rapporto alla loro funzione distintiva e discreta

(fonemi) . Forza illocutoria: è la forza di un atto linguistico e favorisce l'interpretazione di un enunciato. Frenologia: le varie funzioni mentali (facoltà) dipendono da aree del cervello delimitate; più sono sviluppate tali aree, più efficienti sono le facoltà corrispondenti (concezione localizzatrice del cervello).

GL.OS5AAIO

Funzionalismo: scuola psicologica che privilegia

lo studio delle modalità di svolgimento dei processi mentali. Fuoco dell'attenzione: zona di un oggetto o evento su cui si concentrano le risorse dell' attenzione. Generalizzazione dello stimolo: dopo che l' ap-

prendimento dello stimolo condizionato ha avuto luogo, stimoli simili tendono a suscitare anch'essi la risposta condizionata. Grammatica: sistema di regole che in una lingua naturale permette di combinare le parole per formare enunciati; la