Project Nutrition
 979-1220005593

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PROJECT NUTRITI ON

PER ESSERE PADRONI DEI CONCEITI ENON SCHIAVI DELLE DIETE

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Questo libro non intende fornire trattamento o prevenzione a disturbi, malattie o condizioni cliniche, né sostituirsi al trattamento medico o come alternativa ad un consulto specialistico. È una revisione di evidenze scientifiche presentate per scopi puramente informativi. Le raccomandazioni qui presentate non dovrebbero essere adottate senza una revisione completa dei riferimenti scientifici forniti ed una visita medica. L'uso delle indicazioni presentate in questo libro è a completa discrezione e responsabilità del lettore. Prima d'intraprendere uno stile alimentare, una dieta e/o dell'attività fisica consultate e chiedete il consenso al vostro medico di fiducia. Attenzione, la lettura di questo libro potrebbe portare ad un aumento della massa fecale .

Questo libro o qualsiasi parte di esso non può essere riprodotto o riscritto in nessun modo senza il permesso dell'autore, ne in formato cartaceo ne sul web.

Copyright: © 2015 project inVictus. Tutti i diritti riservati. Via Alberta no da Brescia 8 - 25126 - Brescia (BS) wwww.projectinvictus.it [email protected]

ISBN 979-12-20005-59-3 Stampa: 1GB GROUP S.r.l. www.igb.it

Dal profondo della notte che mi avvolge, Buia come un pozzo che va da un polo all'altro, Ringrazio qualunque Dio esista Per l'indomabile anima mia. Nella feroce stretta delle circostanze Non mi sono tirato indietro né ho gridato. Sotto i colpi d'ascia della sorte Il mio capo è sanguinante, ma indomito. Oltre questo luogo di collera e di lacrime Incombe solo l'Orrore delle ombre, Eppure la minaccia degli anni Mi trova, e mi troverà, senza paura. Non importa quanto stretto sia il passaggio, Quanto piena di castighi la vita, lo sono il padrone del mio destino: lo sono il capitano della mia anima.

inVictus Poesia scritta da William Ernest Henley, ma usata e resa famosa da Nelson Mandela durante la sua prigionia

Project inVictus

Project Nutriti on Per essere padroni dei concetti e non schiavi delle diete

Prefazione Contrariamente a quanto potreste pensare questo non è un libro sull'alimentazione. È un giallo, un poliziesco. Abbiamo un colpevole, degli indizi, quelle che potrebbero essere delle prove, dei testimoni e c'è un investigatore. Quell'investigatore siete voi, questo è un testo di logica applicata all'alimentazione. In questo campo si sente tutto ed il contrario di tutto, c'è chi accusa i carboidrati di far ingrassare, chi i grassi, chi è sicuro che servano tanti piccoli pasti per aumentare il metabolismo, chi invece pochi ed abbondanti. Dove sta la verità? Di chi ci possiamo fidare? La realtà è che in biochimica la stessa sostanza in funzione delle circostanze può produrre diversi effetti, talvolta opposti fra loro. Nello stesso modo due elementi antagonisti si possono coadiuvare e funzionare sinergicamente per raggiungere lo stesso obiettivo. Andate in un campo a zappare 16 ore, la sera non muoverete più il braccio. Oppure mettetevi il gesso: quando lo toglierete, dopo un mese, sarà ugualmente debole e dolorante. La composizione corporea è influenzata da oltre 200 fattori noti ed importanti. Se vogliamo migliorala dobbiamo conoscerli tutti e sapere come interagiscono e si relazionano. Ogni strategia alimentare attiva alcuni fattori dimagranti ma contemporaneamente altri ingrassanti si innescano per mediarne gli effetti. Questo avviene per preservare l'omeostasi (lo stato interno). Tutti sappiamo quanto è facile dimagrire all'inizio, quanto una dieta sembri miracolosa, per poi naufragare nel medio-lungo termine. Nel tuo corpo anche piccole variazioni possono mutare le reazioni biochimiche, portandoti di colpo dal perdere peso al mantenerlo. Questa è una delle ragioni per cui l'ambito dell'alimentazione è così controverso e difficile. Infatti troviamo tante scuole di pensiero, molte diete anche opposte tra loro. Ciascuno dà allo stesso problema una personale soluzione; ma concentrarsi solo su pochi fattori: indice glicemico, leptina/insulina, proteine animali, carboidrati a pranzo o di sera, è voler dare risposte semplici ad un caso complesso. La realtà, tuttavia, è che non esiste un unico colpevole. Almeno 200 sono i fattori che, interagendo tra loro, influenzano la composizione corporea. Scegliere di non conoscerli tutti a fondo e di non comprenderne le interconnessioni, significa lasciar spazio ad una visione miope e superficiale di una materia tanto affascinante quanto complessa. La vera conoscenza è saper collegare le nozioni, creare dei ponti tra diversi fattori. Unire la teoria alla pratica e viceversa. Solo in questo modo siamo padroni dei concetti e non schiavi del puro nozionismo. Con questo testo proveremo a disporvi sul tavolo tutti gli indizi che abbiamo trovato. Li metteremo in ordine e cercheremo di capire quali sono le cause che non vi permettono di

progredire come vorreste, sia che vogliate migliorare la salute, sia che vogliate dimagrire, aumentare la massa magra e la performance. Cercheremo di farvi capire i perché. Non ci limiteremo a dirvi che non solo i carboidrati aumentano l'insulina ( come erroneamente si crede) ma vi spiegheremo soprattutto come mai e come funziona la stimolazione di questo ormone; non vi diremo perché i trigliceridi intramuscolari diminuiscono (nel sedentario) la sensibilità insulinica ma vi spiegheremo come interagiscono con la membrana ed il nucleo cellulare. Questo vi permetterà d'essere padroni dei concetti e di ragionare autonomamente per arrivare alle conclusioni. Frequentemente si leggono studi dai risultati e dalle conclusioni totalmente discordanti. Comprendendo i motivi, vi sarà chiaro perché a seconda della situazione lo stesso evento evolve in direzioni completamente opposte. Per questo partiremo dai principi universali, scritti in tutti i libri di biochimica e fisiologia. Semplificheremo questi tomi, li renderemo digeribili anche per chi non ha un bagaglio universitario. Cosa dicono la biochimica, l'endocrinologia e la fisiologia? Sono i grassi saturi a portare all'insulino-resistenza o i carboidrati raffinati in eccesso? La scienza ha già risposto da anni a queste ed altre domande. Le diete e la moda non ve le spiegano, perché vi vogliono vendere la loro soluzione. In queste pagine non esistono fazioni, non abbiamo inventato nessuna nuova corrente, non troverete nessuna nuova dieta. Questo è un libro solo per chi vuol capire.

Per concludere, specifichiamo che in questo "aulico" testo utilizzeremo anche parole volgari. Perché? Perché fondamentalmente ci diverte (siamo immaturi) e perché questo libro lo scriviamo per piacere; pensiamo che di tanto in tanto qualche battuta, anche se un po' scurrile, possa rendere la lettura più piacevole, scorrevole e dare un'idea più chiara. Infine questo non è un testo universitario e non ha la pretesa di rivoluzionare il mondo dell'alimentazione. Non dobbiamo dimostrare nessuna nuova tesi, anzi alla fine del libro vi inviteremo ad approfondire gli argomenti su pubblicazioni più autorevoli. Questo in fondo è un "giallo" in cui sta a voi trovare il colpevole. L'idea del libro è nata dopo il successo del sito project in Victus 1 • Alcuni paragrafi sono estrapolati dagli articoli pubblicati, messi in ordine logico, rivisitati ed approfonditi, mentre altri rimarranno inediti. Prima dell'acquisto vi abbiamo chiesto di leggere questa introduzione per avvisarvi che ritroverete, in forma grezza, il 50% del materiale gratuitamente sul sito. Se l'avete comprato è perché ci credete, perché siete curiosi e volete sapere, perché voi gli avete dato valore. Quindi grazie, grazie di cuore. Nella vita accade sovente che ci si limiti a seguire la corrente, il nostro scopo è darvi i mezzi per comprendere, affinché siate persone che apprendono, analizzano e traggono proprie conclusioni! Troppo spesso questo non accade, sta a voi fare la differenza.

Esiste un'alimentazione vincente? Esiste una dieta universale che permetta, nel pieno delle energie e della salute, di dimagrire e mettere su muscolo? NO, purtroppo non esiste. Basta comparare gli stili alimentari dei vincitori dell'ultima olimpiade per osservare una varietà di approcci differenti e spesso contrastanti tra loro. Possiamo affermare in tutta evidenza che i campioni sono campioni non grazie a quello che mangiano, anche se spesso la pubblicità ed il marketing vogliono farci credere ( o sperare) il contrario.

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Nel corso della storia diversi autori, svariate diete (Mediterranea, Zona, Vegan, Gruppo sanguigno, pH, Paleo, ecc.) hanno provato a dare delle indicazioni generali, promettendo miracolosi risultati. C'è chi li ha ottenuti, chi ne ha avuti di modesti e chi addirittura è peggiorato. L'individualità biochimica regna sovrana, quello che funziona per uno non funziona per l'altro. Mettetevi il cuore in pace, troverete la vostra strada soltanto provando, misurando ed aggiustando il tiro. Ogni anno dopo ogni fase di reset metabolico (ricostruzione del metabolismo e della massa magra) e di cut (definizione), l'esperienza vi guiderà nella direzione più adatta a voi. Ricordatevi sempre che l'unica alimentazione vincente è quella personale e consapevole. Detto ciò il seguente libro ha lo scopo di migliorare il benessere della persona, la sua composizione corporea e la sua performance. È pensato per persone attive e che si allenano ( anche per gli agonisti). Alimentazione e sport sono indissolubilmente connessi e non si può raggiungere il massimo senza abbinarli. Divertitevi, adottate uno stile di vita sano, allenatevi, mangiate correttamente e fate tutte queste cose con logica. Questo libro seguirà sempre questa filosofia.

Chi è Andrea Biasci Il seguente testo è scritto da diversi autori: medici, nutrizionisti, fisiologi e divulgatori scientifici. L'autore principale è il dott. Andrea Biasci. "Io non sono un esperto di alimentazione, sono un appassionato che ha letto molto, ha studiato, si è confrontato ed ha provato. Ho dato solamente qualche esame di chimica e biochimica, ho insomma un'infarinatura di base rispetto ad un mondo vastissimo. Nel mio percorso ho avuto la fortuna di conoscere professionisti eccellenti, alcuni li ho invitati a scrivere degli approfondimenti per questo testo, altri non appaiono, ma in ogni caso, essendo tutti più bravi di me, sono riusciti a mostrarmi i miei limiti. Tuttavia, rispetto a loro sono stato appassionato del fumetto di Spiderman. In un numero, Peter Parker viene mandato ad intervistare dei testimoni di un incidente in cui è stato coinvolto l'uomo ragno (che poi sarebbe lui) e dove sono rimaste uccise due persone (rarità per un fumetto Marvel). Peter di solito fa il fotografo ma vista la penuria di personale il direttore lo reinventa giornalista per un giorno e cosa scopre? Che a seconda della persona intervistata l'interpretazione di quello che è avvenuto cambia radicalmente. Per alcuni è stato l'uomo ragno a scatenare gli eventi, per altri, invece, se non fosse intervenuto ci sarebbero stati molti più morti. Alla fine possiamo pensarla come vogliamo ma sono sempre punti di vista. Io mi faccio carico di queste esperienze, conscio d'essere un nano tra i giganti, conscio che non rivoluzionerò mai il mondo dell'alimentazione. Io so di non sapere ma forse per questo per guardare più lontano ho capito che non potevano bastare le mie forze, che dovevo salire sulle spalle dei giganti. Leggete questo libro seguendo questa filosofia, non fermatevi qui, mettete in discussione le sue verità, siate sempre alla ricerca, non accontentatevi di credere di sapere. Questo testo non è perfetto, nuove pubblicazioni scientifiche amplieranno quello che abbiamo scritto, tuttavia è onesto, non vi ho voluto vendere niente e se un argomento non lo conoscevo a fondo l'ho dichiarato. Ricordatevi sempre che chi si ferma è perduto e che: "è il viaggio la ricompensa". Un'altra delle mie caratteristiche è quella d'essere pigro. Ogni volta che ho letto, ho studiato, ho sempre evidenziato, catalogato, riassunto le nozioni apprese. Da piccolo avevo visto un film con Harrison Ford, nel quale il protagonista perde la memoria e deve ricominciare tutto da capo (camminare, parlare, riconoscere le persone care, ecc.).

Ecco, se perdessi la memoria e dovessi ristudiare tutto dall'inizio, mi sono chiesto, come potrei recuperare il tempo e velocizzare il processo d'apprendimento? Quando finisco un testo mi chiedo sempre: se dovessi rileggerlo quali parti salverei e quali salterei? In queste pagine abbiamo racchiuso, in modo semplice, le decine di manuali di chimica, biochimica, biologia cellulare, fisiologia, endocrinologia che abbiamo studiato, quello che abbiamo capito è racchiuso qui. Vi sembrerà forse poco ma per noi questo manuale è un piccolo tesoro, spero lo diventi anche per voi.

Chi siamo Questo libro è figlio di internet. Potrebbe sembrare anacronistico oggi scrivere un libro per informare. Chiunque sul suo telefonino ha la più grande biblioteca del mondo, qualsiasi nozione è presente, aggiornata in tempo reale. Eppure internet ha un grosso difetto, per ogni informazione corretta ce ne sono 19 scorrette. Informarsi è diventato difficilissimo, ognuno sostiene una cosa diversa. Per di più sulla rete il professore universitario conta come il ragazzino di 16 anni, il campione olimpico come chi va tre volte in palestra. I commenti valgono tutti nello stesso modo (tranne che per i contenuti). Le persone hanno così difficoltà a selezionare le informazioni, chi non ha una profonda conoscenza di base, non riesce a distinguere chi vende da chi informa. Alla fine "solo se conosci scegli, altrimenti credi di scegliere". Questo testo è figlio del confronto continuo, vi hanno partecipato 27 professionisti del settore; medici, nutrizionisti, laureati in scienze motorie, allenatori e atleti di altissimo livello. Ognuno ha una sua visione, spesso non ci troviamo neanche d'accordo. Tuttavia tutte le persone che hanno contribuito si sono distinte su internet per la forza delle loro argomentazioni. Perché sanno controbattere alle critiche, perché portano dei risultati sul campo in ambito agonistico, perché accettano chi non la pensa come loro. Il nostro obiettivo non è vendervi una verità, ma farvene conoscere tante. Alla fine del testo forse neanche la penserete come noi, ma se vi sarerete arricchiti delle esperienze degli altri, sarete sicuramente delle persone migliori. Questa è la nostra filosofia, questi siamo noi.

A chi si rivolge il libro Il seguente testo è rivolto a tutti coloro che vogliono avvicinarsi all'alimentazione, per capire e approfondire l'argomento in modo divertente e semplice. La cultura alimentare dovrebbe basarsi su una piramide. Le fondamenta sono costituite dalla chimica e dalla biochimica, strumenti essenziali per padroneggiare la materia. Al piano terra troviamo la fisiologia e l'endocrinologia, al primo piano la nutrizione e l'alimentazione. Solo il tetto è formato dalle diete. Normalmente le persone non del settore si fanno una "cultura" alimentare leggendo i libri commerciali (Mediterranea, Zona, Metabolica, Paleo, China Study, ecc.) e questo crea un gap facendo credere di sapere quando ip realtà non si sa niente. I libri sulle diete servono per vendere, quelli sÙlla nutrizione per far capire. In questo testo troverete indicazioni su come, attraverso l'alimentazione, arrivare ad avere un fisico atletico, magro, sano e performante. Siamo fermamente convinti che la prestazione passi per la salute e che quest'ultima arrivi da un corpo definito, con una buona massa muscolare, correttamente idratata e con degli esami ematici perfetti. L'obiettivo è quello di portarvi ad ottenere il miglior fisico possibile, senza arrivare a fare estremi sacrifici a scapito del benessere o della prestazione. Ci sono strategie alimentari molto efficaci per scendere al di sotto dell'6-8% di massa grassa (FM), ma visto che non sono salutari, non verranno prese in esame. Il nostro obiettivo è che alla performance e all'estetica si accompagni sempre il benessere.

L'ultima considerazione che possiamo fare è quella d'invitarvi a rimanere sempre aggiornati. Quando si pubblica un testo, il giorno dopo è già vecchio: nuovi studi, nuove conoscenze mettono in crisi le certezze passate. Per questo ad ogni ristampa amplieremo e aggiusteremo le vecchie nozioni, qualora ce ne sia il bisogno. Sul nostro sito troverete gratuitamente tuti gli aggiornamenti che apporteremo negli anni. Siate sempre affamati di conoscenza, non adagiatevi su comode verità, mettetele sempre in discussione e verificatele attraverso i numeri. Questa è la nostra forza, fate in modo che diventi anche la vostra. Se la massa grassa diminuisce, se l'idratazione e gli esami del sangue migliorano, avete dei numeri che danno vigore alle vostre convinzioni.

Una scrittura alternativa Il seguente testo è opera di scrittori del web e ne segue la filosofia. Quando si scrive un articolo su internet si tende ad essere più concisi, a creare link (collegamenti) con altri articoli e ad evidenziare le cose importanti. Anche se cartaceo questo libro segue queste regole. Ogni paragrafo anche se breve contiene un concetto importante da portarsi a casa. Talvolta troverete espressioni/affermazioni tecniche e/o formule matematiche che i più preparati o avvezzi alla trattazione di testi scientifici potrebbero trovare imprecise o non conformi al formalismo scientifico del settore d'appartenenza o altro. Non abbiatecene e dateci una sorta di "licenza poetica" in quanto ripetiamo: questo libro è stato pensato al fine di essere fruibile e godibile anche da coloro i quali non posseggano una accurata formazione scientifica di base.

Buona lettura.

Capitolo I

Capire dove siamo I numeri che contano Una delle diete più interessanti è quella per aumentare il testosterone. Si è visto da studi scientifici che un mix di alimenti ricchi d'aminoacidi solforati con leguminose provoca una crescita del 32% dei livelli dell'ormone. Bastano queste poche righe per attirare subito l'attenzione del lettore. La speranza di stare meglio, di essere più prestanti e di aumentare i propri livelli endocrini in modo naturale e salutare, subito ci spinge a voler credere in quello che si sta leggendo. Peccato che quasi nessuno si sia fatto un esame ematico dei livelli di testosterone e misuri realmente il prima ed il dopo.

Senza dati sono tutti atti di fede. Vi consigliamo di bere acqua alcalina per tamponare l'acidosi. Ma vi siete mai misurati se siete acidi? E che test avete fatto: la cartina tornasole o un esame BIA? E questi test che valore hanno? Sono il gold standard di riferimento? Che studi scientifici hanno alle spalle, come sono stati condotti e dove sono stati pubblicati, quante volte sono stati citati? Purtroppo ai giorni nostri tutti parlano di scienza, tutti sono supportati da ricerche scientifiche, ricerche che poi nessuno verifica. Ma chi ha le competenze per controllare se i dati sono significativi, se la statistica è rilevante? Chi conosce le razze dei topi usati per capire l'attendibilità ed il valore degli studi? In questa estrema complessità, la strada più facile è quella di voler credere: si prende un punto di riferimento, una persona, una corrente, una dieta e gli si consegna la propria fiducia. Questo libro si distacca da tutto questo, invita il lettore a farsi carico personalmente della verifica del risultato attraverso questi strumenti: esami ematici, bilancia+circonferenze, plicometria, biopedenziometria, DEXA. Raccogliete i dati, adottate una strategia alimentare e alla fine verificate se le variazioni sono state a carico della massa magra, di quella grassa o dell'acqua. Se non avete voglia di fare questo passo (misurare), rimarrete sempre passivi rispetto alle vostre credenze.

La scala delle priorità La nostra società egocentrica è basata sull'immagine: essere magri e muscolosi rimane una priorità:la bellezza è promessa di felicità. La maggior parte delle pubblicità ci mostrano persone magre ed attraenti. Tuttavia per l'organismo il nostro aspetto esteriore non riveste un ruolo così importante. Il controllo della glicemia, della temperatura corporea, dei battiti cardiaci, del pH sanguigno, dell'ossigenazione cellulare e centinaia d'altri parametri ricoprono un ruolo fondamentale per la salute indipendentemente dalla nostra estetica. Nessuno è mai morto perché non aveva gli addominali in evidenza. Diventa quindi chiaro che voler raggiungere certi modelli estetici è nella scala delle priorità fisiologiche una cosa futile. Il corpo, pur di non andare in ipoglicemia, consumerà il muscolo; piuttosto che utilizzare completamente le riserve energetiche (adipose e glucidiche), abbasserà i livelli degli ormoni tiroidei, ecc. Tutti possiamo stare dentro parametri salutistici e di benessere, non tutti possiamo rimanere con gli addominali squarciati tutto l'anno. Accettarlo e comprenderlo è il primo passo per non inseguire false promesse. Il doping ed i fotoritocchi hanno gettato troppo in là i modelli a cui aspiriamo; l'alimentazione e l'allenamento possono fare molto ma non basta infilarsi due piume nel sedere per diventare un pavone. Su internet e sulle riviste si vedono foto di bovini enormi, muscolosi e magrissimi. Negli articoli si parla di manipolazione genetica e di miostatina. In realtà, nella maggioranza dei casi, le "manipolazioni genetiche" avvengono semplicemente facendo accoppiare tra loro gli esemplari più dotati. Dopo 100 anni in Inghilterra ci sono razze di bovini giganteschi (Belgian blue). Perché abbiamo citato questo esempio? Perché guardandoli potremmo chiederci cosa mangiano per essere così grossi e magri. Si nutrono come tutte le altre mucche piccole e grasse. Questi capi sono fisicamente dotati dalla nascita (dalla genetica), l'alimentazione (sempre a base di mangimi industriali) non va a variare il loro aspetto. Quando osservate qualcuno con un fisico eccezionalmente atletico, pensate ai bovini inglesi. Con la giusta dieta ed il giusto allenamento migliorerete sicuramente, ma tanto quanto il vostro DNA vi ha concesso. Leoni si nasce non si diventa, purtroppo. Una percentuale di grasso corporeo a cui tutti dovrebbero mirare è: Uomini:10-15%

Donne: 18-24%

Se siete oltre queste percentuali, dimagrire vi permetterà di migliorare anche la salute. Con le indicazioni di questo libro dovete puntare almeno a questi livelli. Chi, invece, si vuole dedicare anima e corpo per migliorare il suo aspetto fisico e vuole avere un ottimo rapporto tra massa muscolare e massa grassa deve mirare almeno a: Uomini: 8-12%

Donne: 14-20%

Essere realistici, sapere dove possiamo arrivare è essenziale per non vivere frustrati e per non essere preda di false promesse. A seconda della vostra genetica, di cosa avete "costruito" finora, impiegherete più o meno tempo per arrivare al vostro obiettivo. Scoprirete che l'alimentazione è un processo ciclico, dove si migliora, si stalla, si peggiora, per poi ritornare a migliorare. È il trend annuale che conta, ogni anno vi ritroverete con un fisico migliore di quello precedente.

Bilancia e circonferenze Specialisti e professionisti del settore possono utilizzare apparecchiature più sofisticate ma chiunque, praticamente a costo zero, può verificare l'andamento della sua composizione corporea. Bastano una bilancia ed un metro. Ma facciamo un passo indietro. Il nostro peso corporeo è dato dall'insieme del tessuto muscolare, osseo, adiposo, ecc. i quali si possono raggruppare in due macro categorie: massa magra (FFM) e massa grassa (FM). Quando acquistiamo o perdiamo peso principalmente variano tre componenti: acqua, massa contrattile (liscia e striata), massa grassa. Le oscillazioni osservate quotidianamente sulla bilancia (basta pesarsi alla sera e poi al mattino), riguardano l'acqua che può variare facilmente anche di 1 kg nel corso della giornata. Valutarla a livello amatoriale risulta impossibile (amplieremo il discorso quando parleremo dell' impedenziometria). Per avere invece una stima (approssimativa, ma sufficiente) di quanto stiamo perdendo nelle zone che ci interessano, bastano una bilancia ed un metro. Misurate la circonferenza del vostro braccio, vita-fianchi e coscia e nello stesso tempo pesatevi (sempre alla stessa ora del giorno e a parità di condizioni). Quando il peso varia, confrontatelo con le circonferenze. Quali sono cambiate? Avete perso centimetri principalmente nelle circonferenze vita/fianchi oppure in quelle braccia/cosce? Ovviamente esistono dei metodi più accurati per misurare il grasso sottocutaneo (ne parleremo nel paragrafo sulla plicometria), ma metro· e bilancia sono strumenti presenti in ogni casa che non richiedono nessuna abilità specifica per essere utilizzati. Le variazioni a carico del girovita e dei fianchi (nella maggior parte degli uomini) e nelle cosce (nelle donne) sono sostanzialmente a discapito della massa grassa mentre quelle su braccia e/o gambe possono essere influenzate in modo rilevante anche dalla massa muscolare. Ovviamente più il test sarà accurato (BIA, plicometria, DEXA, pesata idrostatica) migliore sarà la stima di cosa stiamo perdendo; al contrario bilancia e metro risultano del tutto approssimativi ma sono gratis e potete utilizzarli quando volete.

Misurazioni antropometriche In questo paragrafo spendiamo due righe su tutte quelle misurazioni che hanno una valenza a livello epidemiologico, ma che sul singolo individuo dicono ben poco, non tenendo conto dell'età, del sesso, della razza, della costituzione, ecc. Tuttavia, vista la loro accessibilità e dal momento che chiunque può avere un responso immediato, vediamo di descriverle brevemente, ricordandoci che forniscono una stima quantitativa e non qualitativa della composizione corporea.

Il BMI ed altre misurazioni Il BMI (Body Mass Index) non è altro che il rapporto tra il peso della persona in chilogrammi e il quadrato della sua altezza in metri. È odiato da tutti i professionisti del settore, che vedono questo strumento come troppo grossolano e generico per valutare la composizione corporea . dell'individuo. I valori ottenuti corrispondono a: BMI

Condizione

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Obesità di alto grado

Se pesate 80 kg e siete alti 1.80 m il risultato sarà il seguente: 80 (l, x l, ) = 24,5 (al limite del normopeso) 8 8 Un valore di BMI di 20-25 nell'uomo corrisponde ad una percentuale di grasso corporeo tra 717%, mentr~ nella donna tra il 17-27%. È logico che con questo metodo di misurazione un bodybuilder di 100 kg con il 5% di grasso corporeo risulterà obeso, ma questa stima ha un valore soprattutto a livello statistico sulla popolazione generale. Tenete a mente il vostro BMI puramente per curiosità. Dal nostro punto di vista, un BMI che scenda sotto al 21 è indice di una massa contrattile insufficiente. Pertanto, se siete sotto que_sto valore, la vostra priorità sarà quella di incrementare la massa magra; "un secco con gli addominali è come una cicciona con le tette". Esiste un'altra formula per indirizzarci verso il peso ideale, ed è quella di Broca: Uomini: peso ideale ( kg) = altezza (cm) - 100 Donne: peso ideale ( kg) = altezza (cm) - 104

Se siete alti 180 cm il vostro peso dovrà aggirarsi intorno a 80 kg: 180-100 = 80 kg. Questa formula è molto valida se il grasso corporeo non supera negli uomini il 12% e nelle donne il 20%, ovvero il peso non è dato da un eccesso di massa grassa e poca massa contrattile, ma al contrario da tanti muscoli e poca ciccia. L'ultima misurazione facilmente ottenibile è quella del rapporto vita/fianchi.

Valori di circonferenza addominale superiori a 102 cm negli uomini ed 88 cm nelle donne sono considerati criteri diagnostici per gravi problemi di salute come la sindrome metabolica ed il diabete tipo 2. Se dividiamo il valore della vita per quello dei fianchi ed otteniamo risultati superiori a 0,9 nell'uomo e 0,8 nella donna vuol dire che il tipo di grasso è da considerarsi androide (obesità addominale), se è inferiore ginoide (accumulo su cosce e fianchi). Prendente sempre queste categorie con le pinze.

Stime più accurate per la composizione corporea I professionisti del settore hanno a disposizione strumenti più accurati per valutare, sia a livello quantitativo che qualitativo, la composizione corporea. Descriverli in un libro rivolto ad un pubblico generico lascia un po' il tempo che trova, tuttavia vi mettiamo a conoscenza delle metodologie di misurazione più utilizzate per reperire le informazioni sulla vostra composizione e vi diamo alla fine delle indicazioni pratiche su come fare se non disponete di questi attrezzi. Prima di iniziare a parlare di numeri è necessario comprendere cos'è il gold standard. In medicina è il test più accurato per misurare un certo dato. Per quanto riguarda la composizione corporea e la misurazione del tessuto grasso, il gold standard è lo scioglimento in solventi organici dei cadaveri. Soltanto in questo modo possiamo avere dei valori esatti. Insomma, se morite pensateci, è un'occasione! La pesata idrostatica, la DEXA, ecc. sono test che prendono come riferimento il gold standard e pertanto hanno una percentuale d'errore intrinseca. In questo capitolo prenderemo in considerazione le tre misurazioni che più facilmente avrete la possibilità di effettuare: la plicometria+circonferenze, la bioimpedenziometria (BIA) e la DEXA.

Plicometria e circonferenze

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Veniamo ora a una metodica semplice, attendibile ed economica di valutazione indiretta della composizione corporea secondo un modello bi-compartimentale, basato sulla divisione in due compartimenti del corpo umano: una componente grassa (FM) e una magra (FFM). Nella prima raggrupperemo il tessuto adiposo sottocutaneo e non verranno presi in considerazione il grasso viscerale e intramuscolare, nella seconda verranno considerati gli organi interni, l'acqua e le componenti muscolo-scheletriche. La plicometria consiste nella rilevazione di alcune pliche corporee di grasso sottocutaneo attraverso uno strumento simile ad un calibro chiamato appunto plicometro. La rilevazione della plica consiste essenzialmente nello staccare, attraverso una presa a pinza di pollice e indice, lo spessore di sottocute nel punto di repere precedentemente rilevato e marcato, misurando con l'altra mano lo spessore stesso (in millimetri) servendosi del plicometro. La metodica ha il difetto di essere operatore dipendente: più è bravo chi la esegue e minore sarà l'errore. Anche pochi centimetri di differenza sul punto di repere, rispetto all'analisi precedente, possono modificare il risultato. Allo stesso modo anche la differenza di pressione esercitata può generare errori. Sul mercato esistono plicometri professionali molto costosi che applicano sempre la medesima pressione, ma vanno periodicamente ritarati ed il prezzo, spesso, non vale l'acquisto. Non vergognatevi ad usare plicometri di plastica a basso costo, vanno benissimo! I protocolli generalmente utilizzati prevedono la rilevazione di 7 o 3 punti di repere .

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Protocollo a 3 pliche uomo (Jackson & Pollock) : Addome, Pettorale, Coscia .

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Protocollo a 3 pliche donna (Jackson & Pollock): Tricipite, Soprailiaca, Coscia .

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Protocollo a 7 pliche (Jackson & Pollock): Tricipite, Addome, Soprailiaca, Sottoscapolare, Ascellare, Pettorale, Coscia.

La metodica sfrutta la stretta correlazione tra grasso sottocutaneo, grasso totale e densità corporea per ricostruire, tramite grafici o equazioni specifiche per la popolazione, la percentuale di massa grassa e per differenza quella di massa magra. Le formule più utilizzate sono quelle di Jackson e Pollock. La formula che inseriamo qui è quella del protocollo a 3 pliche. duomini

ddonne

8,267 X = l, 10938 - ( 10 000

5) + (11,6000 000 5

9,929 X = l,0 994921 - ( 10 000

X

2

5) + (12,3000 000 5 X

(2,574 X 10 000

)

-

2

)

-

E)

(1,392 X 10 000

E)

S = Somma delle tre Pliche in mm E= Età Espressa in Anni Pliche Uomo= Petto, Addominale, Coscia Pliche Donna = Tricipite, Soprailica, Coscia

495) Grasso Corporeo Totale (%) = ( d - 450 3 (sul nostro sito potete trovare la guida illustrata per la rilevazione dei punti di repere e tutte le equazioni per stimare quanto grasso corporeo avete).

2 Del Dottor Andrea Roncari 3 www.projectinvictus.it

Attenzione però, il dato ottenuto costituirà una stima e non un valore reale assoluto del grasso corporeo. L'equazione presa in esame ha il limite di prendere come riferimento la densità corporea ottenuta con la p esata idrostatica, misurazione che, a sua volta, ha una percentuale d'errore del 46%. Abbiamo così una stima di una stima, l'errore totale, dunque, varia considerevolmente. Il valore fondamentale rilevato con la plicometria è la somma delle pliche, un valore che confrontato nel tempo può realmente indicarci l' andamento dei risultati. La plicometria non è utilizzabile con persone obese o fortemente sovrappeso (BMI oltre 27 -28, in quanto la misurazione delle pliche risulterebbe poco attendibile) ma è tuttavia un buonissimo metodo pratico ed economico per effettuare un buon lavoro con quella grossa fetta di clientela in palestra composta da persone molto allenate, mediamente in forma o in lieve sovrappeso. Ulteriori importanti informazioni da integrare con gli spessori rilevati in sede di plicometria possono essere tratte dalla misurazione delle circonferenze corporee con uno strumento semplicissimo come un metro da sarto. È possibile misurare numerose circonferenze ma il nostro consiglio è di non esagerare per non far sentire la persona una cavia da laboratorio procedendo con la rilevazione di dati che si riveleranno poi inutili. Generalmente consigliamo la misurazione di 5 circonferenze corporee (vita, fianchi , torace, braccio e coscia), utilissime poi per effettuare una corretta analisi dei risultati integrandole con le pliche corrispondenti (sul nostro sito potete trovare la guida illustrata per la corretta rilevazione delle circonferenze corporee indicate). Quando si parla di circonferenze corporee fine a se stesse si è portati spesso a ragionare erroneamente, come per il peso corporeo, in termini quantitativi e mai qualitativi . Troviamo così spesso donne entusiaste per la riduzione della circonferenza della coscia e per analogia maschietti in estasi per l'aumento della circonferenza del braccio, non sapendo esattamente chi si è preso carico di quella diminuzione e di quell'aumento. Il valore in centimetri può subire numerosi combinazioni diverse, ma ciò che conta è la variazione del valore in rapporto alla variazione della plica sottocutanea di grasso locale: solo in questo modo sapremo esattamente in che direzione stiamo andando attraverso un ragionamento di tipo qualitativo. Non è detto che una diminuzione della circonferenza "Coscia" di una signorina palesi sicuramente un miglioramento anzi, potrebbe palesare un peggioramento in termini di composizione corporea qualora la plica "Coscia" fosse rimasta invariata o addirittura aumentata nel tempo. Viceversa, non creiamo false speranze in un ragazzo che vede aumentare la sua circonferenza "Braccio" se quell'aumento è dato solo da un concomitante cospicuo aumento della plica "Tricipite". Analogo ragionamento sarà fatto con il peso corporeo per capire a cosa saranno imputabili eventuali variazioni rilevate.

La bioimpedenziometria (BIA) Se la plicometria è un'analisi quantitativa, la bioimpedenziometria è un'analisi qualitativa che stabilisce i livelli di idratazione intra ed extracellulare e determina in modo indiretto la percentuale di grasso corporeo e di massa magra. La BIA misura, attraverso degli elettrodi, la conduzione dei segnali ed i valori ottenuti corrispondono alla resistenza e alla reattanza. La velocità di conduzione dei diversi tessuti cambia a seconda della loro idratazione, la BIA non fa altro che stimare questi dati. È il gold standard per la misurazione dell'acqua nel corpo; tuttavia i suoi risultati, per quanto riguarda la composizione corporea, hanno un alto tasso di errore. In medicina non viene praticamente più utilizzata ( se non dai nefrologi prima di una dialisi per aiutare a stimare i volumi da dializzare) perché ottenere dati poco precisi non è rilevante. In ambito fitness e nella nutrizione invece occupa ancora un suo spazio ma i valori ottenuti sono poco

indicativi. L'ideale è quello di utilizzare sia la bioimpedenziometria sia la plicometria e di paragonare i dati ottenuti. In commercio si trovano bioimpedenziometrie che si possono utilizzare in piedi o stringendo tra le mani dei conduttori. Non usatele la% d'errore è troppo elevata. La BIA riconosciuta è quella da usare sdraiati su un lettino con gli elettrodi sul dorsoso della mano e dei piedi.

La DEXA Di tutti gli esami che potrete mai fare la DEXA è sicuramente il più preciso e attendibile, basta leggere gli studi in cui viene confrontata con gli altri strumenti sopracitati. Tuttavia nella singola misurazione l'errore può arrivare anche al 5%. Si tratta di un esame costoso ed il corpo assorbe una certa dose di raggi X, quindi, in ambito fitness, non viene utilizzata. Principalmente serve per misurare la densità ossea, ma si ricavano anche dati sulla massa grassa e la massa magra. Ricordiamoci che massa magra e massa contrattile non sono sinonimi. La DEXA moderna ha tempi di misurazione molto più sbrigativi rispetto ad una volta (5-1 O') pertanto è uno degli strumenti più utilizzati, in ambito medico, per la composizione corporea. Se potete paragonate i dati ottenuti con le tre misurazioni: DEXA, plicometria, BIA, vi spaventerete delle differenze.

Selfie C'è chi, preso da uno spirito compulsivo, si fotografa in bagno tutti i giorni. Trovandosi bello, "spamma" le sue foto sui vari gruppi Facebook, dove puntualmente viene, di nascosto, preso per il culo (vi ricordate la canzone: E Pippo Pippo non lo sa). Senza fare questa ingloriosa fine, fotografarsi rimane uno degli strumenti migliori per avere uno storico della propria composizione corporea. Scegliete un luogo, un'inquadratura, non variate le luci e ogni 21-30 giorni fotografatevi. Non avendo numeri oggettivi, a seconda del vostro stato emotivo, potreste trovarvi meglio o peggio, quindi non affidatevi unicamente alle foto. Tuttavia quando ne avrete almeno 4-5, potrete chiaramente notare il percorso che state seguendo. Inviateci i vostri prima e dopo; non c'è soddisfazione più grande.

Infine ... Indipendentemente da quali apparecchiature utilizzate ricordatevi di ancorarvi ai numeri, questi vi diranno se la strategia che state adottando vi sta portando a perdere peso o a dimagrire. La sola bilancia non vi fornisce gli strumenti per sapere se il calo è a carico della massa grassa o di quella magra. Scendere di peso bruciando il tessuto muscolare è il requisito fondamentale per smettere, a breve, di dimagrire. Quindi dovete essere in grado di capire se state realmente intaccando il grasso, se vi state disidratando o, infine, se state cannibalizzando la massa magra (approfondiremo il discorso nei capitoli successivi).

Calorie e bilanci energetici Presto capiremo che la dieta non può ridursi ad un mero conteggio calorico; tuttavia conoscere quanta energia stiamo introducendo attraverso il cibo ci può fornire un'indicazione utile su dove siamo e su dove vogliamo andare. Come premessa va ricordato che quando leggiamo dei dati, come quelli sul fabbisogno calorico, essi sono ricavati dall'analisi statistica di una popolazione (che segue una cosiddetta gaussiana o, più semplicemente, un grafico a forma di campana) della quale rappresentano il valore più frequente (diciamo pure la media). Se invece che in alto, vi trovate agli estremi di tale campana, le indicazioni generali saranno ~vviamente fuorvianti.

Tuttavia avere dei numeri di riferimento è utile perché molte persone pensano di assumere poche calorie, altre invece sono convinte d'introdurne in abbondanza. È palloso, ma mettersi a contare quante kcal abbiamo mangiato nel giorno e nella settimana può essere estremamente interessante. Su internet trovate delle App gratuite, per il vostro smartphone, che vi aiuteranno a monitorare i pasti. Usalete se non volete navigare alla cieca. Le indicazioni caloriche si dividono in tre macro categorie: quelle necessarie per mantenere il peso, quelle necessarie per dimagrire e quelle necessarie per mettere su muscolo. A seconda delle necessità, il bilancio energetico sarà neutro, negativo o positivo.

Una caloria è una caloria? Spesso su internet si discute se una caloria è una caloria. Da una parte troviamo la nutrizione accademica che vede nella caloria un 'unità di misura (cioè la quantità di energia necessaria a scaldare un grammo d'acqua da 14,5°C a 15,5°C). Dall'altra troviamo i sostenitori di nuove teorie che vedono nell'uomo qualcosa di diverso dalla bomba calorimetrica (strumentazione che determina le kcal negli alimenti). Fattori metabolici ed ormonali contano di più del mero conteggio energetico. Chi ha ragione? Nessuno dei due. La nutrizione classica vede come strumento principale, per far perdere chili, quello di creare un bilancio calorico negativo. Ma allora perché ci sono persone con lo stesso peso che assumono 2000 kcal ad altre invece 3000 kcal? Possono tutte e due togliere calorie o questa strategia darà buoni effetti solo nel secondo caso? Dall'altra parte chi sostiene che le leggi della termodinamica non si applicano all'uomo è fuori dalla scienza. Per dimagrire dovete creare un bilancio energetico negativo (assumere meno calorie di quelle che introducete), non ci sono altre soluzioni, se nei mitocondri c'è più ATP di quello di cui abbiamo bisogno si creano nuove molecole (anabolismo), altrimenti si riducono (catabolismo). L'unione tra le due visioni è quella vincente. Il nostro fabbisogno calorico viene da una sua storia, un suo percorso. Oggi siamo metabolicamente quello1che abbiamo costruito negli anni, partendo ovviamente dal nostro set point e dalla nostra genetica. In tutto questo tempo cosa abbiamo fatto per migliorarlo? Se siamo ancora grassi, con la pancetta e i fianchi ed assumiamo poche calorie, sicuramente abbiamo sbagliato qualcosa. La dieta viene vista sempre come un togliere, ma forse prima di poterlo fare dobbiamo investire. Tutti sanno che con l'avanzare dell'età il metabolismo "cala" ma nessuno immagina che con la giusta strategia, negli anni, il metabolismo "sale". Tra 12 mesi potrete permettervi di mangiare di più senza variare peso, tra 24 la situazione sarà ancora migliore, ecc. (ne parleremo meglio nei prossimo capitoli). Oltre a quanto abbiamo appena scritto va aggiunto il (fondamentale) fattore psicologico. Quasi tutte le persone in sovrappeso, anzi, tutte le persone in sovrappeso, sostengono di mangiare poco. La maggior parte di queste dice d'avere il metabolismo lento ma non riesce nemmeno a comprendere che cos'è il metabolismo (nell'immaginario collettivo si pensa ad una macchina che a parità di chilometri consuma meno). Nel 95% dei casi si tratta di un'alterata percezione della realtà, queste persone non sono sincere con se stesse, mangiano ma non se ne rendono conto. C'è una trasmissione inglese intitolata "Ciccioni bugiardi". Telecamere nascoste mostrano come non ci si renda conto di spiluccare fuori dai pasti, di condire eccessivamente o di mangiare alimenti ritenuti erroneamente "light ". Prendete vostra madre o moglie ed osservatela in cucina, sicuramente sarà convinta di non condire troppo. Ci dispiace dirlo ma nel 95% dei casi s'ingrassa ignorando di assumere più energie di quelle che si consumano (ritornando al concetto di caloria). C'è poi una piccola percentuale di persone che ha alterato l'assetto metabolico facendo diete del razzo; vedi effetto yo-yo (perdere e poi riacquistare peso) o low carb eccessivamente prolungate nel tempo. A livello cellulare si è creata così un'elevata insulino-resistenza, il corpo ha

perso la sua affinità con gli zuccheri. Per questi individui pensare alle calorie è prematuro e per impostare una dieta bisogna partire da. altri concetti. Infine, una piccola parte degli obesi (sotto al 3%), ha veramente malattie metaboliche congenite, mitocondriali o spesso tiroidee (le malattie metaboliche che si instaurano successivamente all'obesità I forte sovrappeso sono il prodotto di una cattiva alimentazione non la causa). Per concludere, esistono diete dove non si contano le calorie e si può mangiare a volontà fino a raggiungere il senso di sazietà. Possibile? Ma allora le calorie non contano? Falso, questi regimi adottano la strategia (molto utile) della densità energetica. Si ha libero accesso ad alimenti poco calorici come quelli che si possono mangiare crudi, esclusa la frutta secca. La persona introduce grandi quantitativi riempiendo lo stomaco ma assume poche energie, oppure passa da un'alimentazione iperglucidica ad una iperproteica. Gli enzimi ancora non sono in grado di permettere all'organismo di assimilare al meglio il cambio di macronutrienti e molte calorie introdotte non vengono assorbite (purtroppo questo giochino nei mesi smetterà di funzionare e il basso contenuto glucidico abbatterà i livelli di leptina abbassando il metabolismo). Le diete che prediligono alimenti a bassa densità energetica, se usate correttamente, portano ad una reale perdita di massa grassa, ma non perché una caloria non sia una caloria. In definitiva possiamo asserire che, in linea di massima, si ingrassa perché si introducono più calorie di quelle che si consumano, stop. Ci ritroviamo grassi non dall'oggi al domani ma perché giornalmente eccediamo senza accorgercene. Questo purtroppo inizia fin dall'infanzia, quando, pur restando magri, mangiamo male (patatine, bibite zuccherate, dolci e merendine). Il nostro corpo inizia a prediligere alimenti che portano il metabolismo verso il sovrappeso. Bambini magri saranno adulti grassi senza rendersene conto. Ogni volta che assumiamo delle calorie è come se portassimo sopra ad una ,collina un masso (energia potenziale). Non è detto che per forza debba rotolare giù nell'immediato. Senza accorgercene negli anni possiamo accumulare pietre su pietre, per poi una volta che ci siamo messi a dieta renderci conto che non dimagriamo. L'energia potenziale che abbiamo raccolto ci permette di mantenere il nostro stato anche se il deficit calorico è negativo. Soltanto col tempo e la perseveranza potremo modificare la nostra situazione, non bastano poche settimane di dieta ferrea. Se abbiamo mangiato male per anni non possiamo pensare di sbloccare la situazione in settimane o pochi mesi.

Un nuovo concetto di caloria Abbiamo scritto sopra che si ingrassa perché si assumono più calorie di quelle che si consumano. Ma allora perché il mio collega, col quale lavoro ormai da I O anni, che sta fermo come me, mangia come me, è magro ed io sono grasso? Per lo stesso motivo per cui con una temperatura esterna di 20° ci sarà chi ha freddo e chi invece sta bene. La caloria è un'unità di misura universale, la caloria metabolica è invece un'unità di misura soggettiva. Che cos'è la caloria metabolica? È un'indicazione che mette in relazione le calorie assunte con lo stato metabolico del soggetto. Chi ha una buona risposta insulinica e buoni mitocondri a parità di calorie ingrasserà meno mangiando i carboidrati, al contrario chi ha una resistenza insulinica dovrà stare attento (sempre a parità di calorie) ai picchi glicemici. Se le vostre cellule muscolari sono ricche di GLUT-4 (i trasportatori di membrana del glucosio) ed avete una buona densità mitocondriale, a parità di cibo assunto, gli effetti saranno completamente differenti rispetto a chi ha uno stato metabolico opposto. Il bilancio energetico determina sempre se si ingrassa oppure no, ma questo avviene sempre in base allo stato metabolico soggettivo dell'individuo. La caloria metabolica è ad personam, non

può essere utilizzata universalmente perché non ha un'unità di misura ma serve a livello concettuale per comprendere l'argomento. Per migliorare la composizione corporea bisogna lavorare su due fronti, da un lato sul conteggio calorico, dall'altro sullo stato metabolico. Dobbiamo fare in modo che le calorie introdotte vengano dirottate verso il tessuto contrattile e non verso la massa grassa. Dobbiamo aumentare l'ossidazione dei macronutrienti ( dentro i mitocondri) piuttosto che stimolare la formazione di nuovi trigliceridi. La dieta non si può limitare a fornire meno energie. Ci ridurremmo sempre a togliere, per poi seguire un regime non protraibile nel tempo. Dobbiamo far sì che le calorie introdotte vengano utilizzate correttamente attraverso uno stato recettoriale/mitocondriale ottimale. Quanto state introducendo al momento? E queste calorie nell'ultimo mese hanno determinato un aumento del peso, uno suo stato stazionario o una sua diminuzione? Il conteggio parte dall'individuo, è su di lui che bisogna iniziare a ragionare per capire che strada intraprendere Abbiamo margine per limitare le calorie o è meglio puntare a migliorare la sensibilità insulinica? E per farlo, che strada scegliamo? Una limitata low carb ( dieta con pochi carboidrati) o un regime con un alto contenuto di glucidi complessi e pochi grassi? L'allenamento che ruolo svolge in tutto questo? Dare delle indicazioni generali (1600-2000 kcal per le donne, 2500-3000 kcal per gli uomini) può andare bene se ci rivolgiamo ad una popolazione espansa. Partire dall'introito calorico giornaliero individuale è invece molto più utile per avere un quadro soggettivo su cui basare un regime alimentare efficace e salutare. Se proprio dobbiamo dare delle indicazioni generali (le quali verranno approfondite meglio nei prossimi capitoli), diremo che se siete un uomo di 80 kg e non assumete almeno 2550-3000 kcal (32-37 kcal/kg) sarà controproducente per voi mettersi a "dieta": converrà prima dedicare alcuni mesi ad un reset metabolico per "alzare" il rrietabolismo. In questo contesto è interessante citare il Minnesota Starvation Experiment, condotto negli anni quaranta. 36 soggetti ritenuti idonei vennero tenuti in un regime fortemente ipocalorico (meno 1600 kcal rispetto al loro fabbisogno) per 24 settimane. Inizialmente calarono tutti di peso fino ad arrivare mediamente intorno ad una perdita del 25%. Dopodiché in tutti i soggetti il peso si assestò e smisero complementazione di perderlo, anche se dai calcoli metabolici erano ancora fortemente con un bilancio calorico negativo (bisogna tuttavia dire che avevano raggiunto livelli di grasso minimi). Questo può avvenire perché quando la massa magra viene erosa, la dispersione in calore delle energie introdotte, cala vertiginosamente. In definitiva, il nostro organismo è ben più efficiente di una mera bomba calorimetrica, ma ricordiamoci che non per questo dobbiamo disprezzare il concetto di caloria.

L'efficienza metabolica Per concludere il discorso sulle calorie dobbiamo introdurre il concetto d'efficienza metabolica. Quando mangiamo gli alimenti, li digeriamo, scomponiamo ed assimiliamo. Tutti questi processi sono volti principalmente a ricavare dal cibo l'adenosintrifosfato (ATP), ovvero la moneta di scambio che il nostro organismo usa come energia. La resa di questo processo è in realtà però molto bassa, intorno al 40% per i carboidrati e lipidi ed del 30-35% per le proteine. Tradotto cosa vuol dire: che I 00 kcal di glucidi non corrisponderanno a I 00 kcal spendibili per i processi organici ma solo il 40% di queste sarà utilizzabile, il restante 60% verrà disperso in calore. Avete I 00 dollari, andate in banca per convertirli in euro e vi ridanno solo 40 euro. Lo sappiamo, vista così sembra una fregatura. In realtà non lo è (almeno totalmente) ma questo lo vedremo in seguito.

Sono tanti i fattori che giocano un ruolo nell'assimilazione delle calorie, il primo è lo stato ·della flora batterica intestinale. I microbi che vivono in simbiosi con noi ci permettono di non ammalarci e di stare in salute, ma hanno un costo. Meno ne abbiamo, per via di un 'alimentazione errata, degli antibiotici, ecc. e più calorie passano la barriera intestinale, al contrario più la nostra bioflora sta bene e più calorie ci "ruba". Anche gli ormoni giocano un ruolo essenziale nel bilancio calorico: insulina, leptina, ormoni tiroidei, adiponectina, sono tra i principali regolatori del nostro stato energetico. Più si alzano e più disperdiamo in calore quello che assumiamo ma ... ma a tutto c'è un limite. Quando i livelli diventano cronicamente troppo alti sviluppiamo una resistenza ad essi. Insulino-resistenza, leptino-resistenza, rendono poco recettivo l'organismo a livello ematico a questi ormoni. Il dispendio calorico si abbassa come se i valori fossero cronicamente minimi. Così il nostro corpo in sovrappeso vive come se fosse denutrito. Un altro punto importante riguarda il turnover dei tessuti vecchi e danneggiati. Continuamente l'organismo li ripara o sostituisce (i tessuti più coinvolto sono le cellule intestinali ed epatiche), per farlo, utilizza anche cicli futili che generano calore. Tale processo può essere più o meno accelerato e ripetuto a seconda della disponibilità energetica. Tutti gli eventi, che "sprecano" calorie, si svolgono ali' interno del mitocondrio, l'organulo deputato a ricavare l'energia (almeno la maggior parte) nel nostro organismo. Di base più il mitocondrio sta bene, maggiore è la sua densità e più può permettersi d'essere spendaccione. Al contrario più è piccolo e danneggiato più diventa tirchio. Diversi fattori governano la loro efficacia. Le proteine mitocondriali UCP-2 e 3 regolano la produzione di ATP e la sua dispersione in calore. Sono influenzate da: ormoni tiroidei, glucocorticoidi, recettori di membrana e macronutrienti. Per esempio, Ùn'elevata presenza d'acidi grassi nel flusso ematico smorza, nel lungo periodo, l'attività delle proteine UCP (nel breve invece fanno l'esatto contrario). L'ultimo fattore che contribuisce ali' efficienza o inefficienza metabolica è l'infiammazione. Anche una leggera infiammazione silente, molto comune in chi mangia molti grassi saturi o carboidrati raffinati, contribuisce ad aumentare l'inflessibilità metabolica. La natura ci ha creato spreconi, inefficienti, ma questa inefficienza ci permette di avere un margine qualora il corpo si ritrovi in ristrettezza energetica. In questo caso diventa sempre più parsimonioso ed efficiente. Se il metabolismo non fosse flessibile un aumento minimo delle calorie porterebbe sempre ad un aumento di peso, in realtà questo si verifica solo nel primo periodo per poi bilanciarsi ed azzerarsi. Lo stesso avviene anche con i deficit calorici. Inizialmente portano ad un maggior catabolismo dei tessuti ma via via l'organismo neutralizza questo bilancio negativo migliorando l'efficienza e diminuendo la dispersione in calore. Per concludere dobbiamo abbinare ai concetti di efficienza ed inefficienza quello di capacità, altrimenti il significato che attribuiamo alle parole funziona al contrario, in quanto l'efficienza viene comunemente vista come una cosa positiva. La capacità riguarda il pool enzimatico e la capacità metabolica di attingere alle energie. Chi ha un'alta inefficienza possiede un'alta capacità, ovvero ha molti enzimi deputati alla produzione di energia. L'organismo è in grado di utilizzare rapidamente le sue fonti energetiche, come durante lo sport, per esempio. Chi svolge abitualmente attività fisiche intense ha più tessuto magro e possiede più enzimi, è come una macchina con un motore molto grosso. Il mantenere questa struttura ha un costo metabolico elevato anche a riposo. Al contrario chi ha una buona efficienza ha una bassa capacità metabolica. Pochi enzimi, pochi scambi biochimici, una scarsa capacità di produrre rapidamente energia. Questo si traduce in un piccolo motore con dei costi metabolici minimi.

Quando pensate al vostro metabolismo ricordatevi sempre questo:

Inefficienza metabolica/ alta capacità energetica: alto metabolismo . Efficienza metabolica I bassa capacità energetica: basso metabolismo

Quante calorie servono per non variare di peso? Se siete in uno stato stazionario (il vostro peso non varia nelle settimane) avete già trovato la risposta: quelle che state assumendo. Se invece nell'ultimo periodo avete perso o assunto chili, conviene partire da qualche formula. Ricordiamo che tutte le indicazioni qui riportate sono assolutamente generiche e vanno lette come indicazioni di partenza. La prima cosa che dobbiamo sapere è che il fabbisogno giornaliero è costituito dalla somma di questi tre parametri: 1) 70% da processi interni

È il metabolismo basale, quello che ci tiene in vita quando stiamo fermi, svegli a letto. Gli organi (fegato, cervello, cuore e rene) rappresentano solo il 6% del peso corporeo eppure contribuiscono per il 60-70% al metabolismo basale. Al contrario il muscolo rappresenta il 40% del peso corporeo ma consuma solo il 18-20% delle calorie. Questo ci fa capire che un aumento della massa muscolare non è così rilevante per aumentare il dispendio calorico giornaliero. Oltre il set point un chilo di muscolo aggiunge al metabolismo basale solo di 17-21 kcal/die, una cifra irrisoria calcolando quando sia difficile aumentare il tessuto contrattile.Tuttavia vedremo nei prossimi paragrafi perché possedere più muscolo aiuta a migliorare la composizione corporea senza influire particolarmente sul bilancio calorico. 2} 10% dall'ADS Ogni volta che mangiamo il nostro organismo impiega energie per digerire ed assimilare i nutrienti. In media il 10% della spesa totale è data dall'azione dinamica specifica (ADS). In realtà il corpo consuma di più per digerire e scomporre le proteine (in media 22,5%) e meno per carboidrati e grassi (7,5-3,5%). Tuttavia, se abbiamo una ripartizione dei macronutrienti bilanciata (secondo i canoni della dieta mediterranea; in % 60C- l 5P-25G), si fa un'approssimazione intorno al 10%. 3} 20% dall'attività fisica Questa è la spesa indotta dell'attività lavorativa e dallo sport. Possiamo constatare che soltanto una piccola parte del fabbisogno giornaliero varia in base all'attività svolta. Se praticate tanto sport (non di resistenza) non crediate di potervi permettere di mangiare quanto volete. Generalmente i nutrizionisti, quando calcolano il fabbisogno calorico indotto dall'attività fisica, tendono a sopravvalutare questo fattore, ottenendo clamorosi errori nel misurare il reale consumo dovuto alle diverse attività fisiche. Un conto è eseguire un gesto (esercizio), o uno sport nuovo, un altro è ripeterlo da anni. L'economia del gesto fa precipitare i dispendi energetici delle attività che svolgiamo abitualmente. L'ultimo punto che dobbiamo tenere presente riguarda la stazza e la percentuale di grasso corporeo della persona, due fattori che tenderanno a sovrastimare o sottostimare i dati che otterremo con le prossime formule. In proporzione un elefante consuma molte meno calorie di un topo. Questa legge antropometrica è valida anche per gli esseri umani. Più si è piccoli di statura, più si è magri geneticamente e più il nostro metabolismo sarà elevato. Al contrario persone alte, grosse e che geneticamente tendono al sovrappeso, avranno, in proporzione, un fabbisogno calorico più basso.

. V .

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Le formule usate per calcolare le calorie giornaliere di solito si rivolgono a chi vuole dimagrire, pertanto se siete di media/bassa statura e/o magri di natura, facilmente il risultato ottenuto sarà sottostimato. La percentuale d'errore delle seguenti formule è circa del ± 20-30%. Pertanto una volta calcolato l'ipotetico fabbisogno calorico giornaliero va verificato ed adattato sull'individuo. 1° Formula

Il primo sistema per predire in modo semplice il metabolismo basale giornaliero (MB) consiste nell'utilizzo dell'equivalente metabolico, il MET. 1 MET corrisponde a 1 kcal/(kg*h). Perciò per un uomo di 80 kg: MB= 1 kcal/(kg*h)x 80 kg x 24 h = 1920 kcal

A queste aggiungeremo un 30% (10% dall'ADS e 20% dall'attività): 1920 kcal + (1920 x 30% kcal)

=2496 kcal

Questo per un uomo di 80kg che non svolge mestieri pesanti e che si allena 3 volte a settimana. Le donne al posto che moltiplicare per 1 kcal moltiplicheranno per 0,9 kcal. Quindi una ragazza di 55 kg avrà un metabolismo basale di: MB= OJ9 kcal/(kg*h) x 55 kg x 24 h = 1188 kcal

A queste aggiungeremo un 30% (10% dall'ADS e 20% dall'attività): 1188 kcal + (1188 x 30% kcal) = 1544 kcal

Questo per una ragazza di 55kg che non svolge mestieri pesanti e che si allena 3 volte a week. Dopo i quarant'anni il metabolismo si abbassa del 2-5% per ogni decade d'età. Negli ultimi anni questa formula è stata aggiustata al ribasso moltiplicando i valori per 23 e non più per 24. 2° Formula

. Un'altra formula molto semplice per conoscere il metabolismo basale, è quella di moltiplicare , il proprio peso corporeo per: Uomini 32-34 - Donne 30-32

Ad esempio, per un uomo di 80 kg di peso corporeo: MB= 80 kg x 32 = 2560 kcal (valore minimo) MB= 80 kg x 34 = 2720 kcal (valore massimo)

Il calcolo può essere veritiero per persone magre fino ad una percentuale di massa grassa non superiore al 12-15% (uomini) e al 22-24% (donne), sopra la massa grassa in eccesso richiede molte meno calorie. 3° Formula

Esistono anche altri calcoli più accurati per stimare il metabolismo basale (non quello giornaliero) che prendono in considerazione anche l'altezza. Uno specifico per gli atleti è : MB= Uomini: 10 x Peso (kg)+ 6J25 x h (cm)-5 x età (anni)+ 5

MB= Donne: 10 x Peso

v 25 (cm)-5 xh

x età (anni)-161

Un atleta di 30 anni, alto 180 cm per 80kg di peso corporeo avrà un metabolismo basale pari a : MB= 10 x 80 + 6,25 x 180-5 x 30 + 5 = 1770 kcal

Come vedete un risultato è simile a quello del MET se lo moltiplichiamo per 23. 4° Formula

Lyle McDonald uno dei ricercatori più importanti usa un'altra formula molto semplice per calcolare il metabolismo giornaliero (MG): Selezionate i coefficienti sulla base dell'attività fisica Attività

Coefficienti

Sedentario

10-11

Attività moderata Attività intensa

4

12-13

5

18-19

MG= Peso (kg) x 2,2 x Coefficiente

Ad esempio, per il nostro uomo di 80 kg che fa attività fisica moderata: MG minimo= 80 kg x 2,2 x 12= 2112 kcal MG massimo = 80 kg x 2,2 x 13= 2430 kcal 5° Formula

Altre formule, da tenere più in considerazione se siete in sovrappeso, basano il fabbisogno calorico giornaliero esclusivamente sull'altezza e non sul peso. 2

2

2

2

MG uomini: Altezza (m MG donne: Altezza (m

)

x 700-750

) x

600-650

Per il nostro uomo di 180 cm di altezza: MG minimo = 1,8 x 1,8 x 700 = 2268 kcal MG massimo = 1,8 x 1,8 x 750 = 2430 kcal 6° Formula

Un'ultima formula per il metabolismo basale è quella di Harris-Benedict e comprende tutti i parametri antropometrici più l'età del soggetto: MB uomini: 66,5 + 13,75 x Peso (kg)+ 5,003 x Altezza (cm) - 6,775 x Età MB donne: 655,1 + 9,563 x Peso (kg)+ 1,850 x Altezza (cm) -1,16 x Età

A questo dato si aggiungono 25-30 kcal ogni punto percentuale di massa grassa in meno sotto al 16%, questo perché metabolicamente il muscolo consuma più del grasso (anche se non così · tanto come abbiamo già visto).

I

r e ]

o

n 4 3 allenamenti a settimana

s Allenamenti giornalieri

Ad esempio, per un uomo di 80 kg, alto 180 cm, di 30 anni, col 10% di grasso corporeo: MB =66,5 + 13, 75 x 80 + 5,003 x 180 - 6,775 x 30 =1864 kcal A cui si aggiungono 150 kcal perché ha il 10% di grasso corporeo

Da notare che la formula è del 1919, un secolo fa. Ha una stima d'errore in soggetti sani in normopeso di 50-100 kcal. Possibile che in un secolo non si siano trovate formule migliori? Si, per ogni etnia, età, patologia, c'è un calcolo di riferimento, ma il margine d'errore per il pubblico a cui ci rivolgiamo non è rilevante. Se dopo un secolo una formula metabolica è ancora usata, è segno che le mode passano ma i principi rimangono. Come vedete a seconda dei calcoli che facciamo le calorie possono variare. Qual è quella corretta? Provatele e misurate, se il vostro peso non varia avete trovato quella che fa per voi. Ricordatevi che possiamo ancorarci ai numeri solo dopo averli verificati.

Quante calorie per dimagrire? Una volta calcolato e verificato il fabbisogno calorico totale, per dimagrire potrebbe bastare introdurre il 10-20% in meno delle calorie necessarie. Un leggero deficit abbinato ad un corretto allenamento porterà l'organismo lentamente a raggiungere una miglior composizione corporea. Deficit più importanti porteranno sicuramente a perdere peso più velocemente, ma intaccheranno maggiormente i livelli di glicogeno e la massa magra. Va ricordato che: 1. Una diminuzione di peso ristretta nell'arco di una giornata è a carico dell'acqua e del glicogeno. 2. Quando varia nella settimana è a carico principalmente dell'acqua, del glicogeno, della massa magra e della massa grassa. 3. Quando varia nei mesi è a carico soprattutto della massa grassa. Guardare solo alla bilancia può essere un grave errore; per questo, come abbiamo visto nel precedente capitolo, è sempre meglio verificare a quale tessuto è imputabile una variazione. Un'altra strategia che possiamo adottare è quella di ridurre l'introito giornaliero di 50-100 kcal ogni settimana, monitorare i cambiamenti e solo quando non variamo più di peso scendere ulteriormente di altre 50-100 kcal. Mediamente si taglierà ogni 7-21 giorni . Va ricordato che la perdita di grasso non è un processo lineare, ma ad onde, magari per qualche settimana non si varia e poi improvvisamente si cala. Infine va specificato che, anche se 1g di grasso sono 9kcal, 1kg di adipe sono 7000kcal. Come mai questa differenza? Perché nell'adipocita troviamo anche una componente acquosa (15-20%) che riduce il suo contenuto energetico.Teoricamente per dimagrire di 500g a settimana dovremmo impostare un deficit calorico di 3500 kcal. Questo dato tuttavia non è indicativo e varia± del 60% a seconda dello stato metabolico del soggetto. A parità di deficit (3500 kcal) le persone possono perdere dai 200g agli 800g. Una bella differenza. Quanto più una persona è grassa e più possiede massa magra (sportivo in sovrappeso) tanto più può permettersi di perdere peso velocemente, ma quando si arriva sotto al 15% di BF (Body Fat) negli uomini, 24% nelle donne, le variazioni non dovrebbero superare lo 0,5-1 % del proprio peso corporeo, per non intaccare eccessivamente la massa muscolare. Quindi un individuo di 80kg col 15% di BF, dovrebbe scendere tra i 400 e 800g a settimana e non di più. Il segreto è che l'organismo non deve quasi accorgersi che sta perdendo grasso, in questo modo i cali ormonali (soprattutto la diminuzione della conversione del T4 in T3) vengono limitati. È ormai dimostrato che le diete ipocaloriche abbassano l'asse leptina-tiroide-gonadi (come vedremo nel capitolo sugli ormoni). La gradualità della perdita di peso limiterà questo evento fisiologico.

Un approccio moderato, se non siamo eccessivamente in sovrappeso, risulta la strategia migliore per modificare la composizione corporea, ma richiede tempo e pazienza. Per concludere, ribadiamo che possiamo togliere le calorie solo se prima le abbiamo aggiunte (fase di reset metabolico), ovvero se il nostro metabolismo di partenza ha un alto fabbisogno calorico. Non fate Ferrore di abbassarle partendo da un metabolismo lento (vedi capitolo finale).

Quante calorie servono per mettere su massa? È stato dimostrato che gli ormoni anabolici tendono a calare quando nel lungo periodo mangiamo meno, allo stesso modo tendono ad aumentare quando seguiamo un'alimentazione ipercalorica. Gli ultimi studi mostrano come un surplus energetico del 30-40%, accompagnato da una sufficiente quota proteica-glucidica-lipidica, aumenti l'anabolismo e la massa magra nei sedentari. Ciò significa che la risposta è organica ed indipendente dall'allenamento. Tuttavia un approccio del genere porterà a farci accumulare anche molto grasso. Per questo, come per la dieta ipocalorica, conviene aumentare leggermente il fabbisogno giornaliero di un 10-15%, non di più. Alcune persone geneticamente magre tuttavia potranno andare anche oltre il 20%, aumentando di settimana in settimana di 50-100 kcal fino a quando non vedranno sbloccare la situazione. Va ricordato che se mangiate oltre le 4000-5000 kcal e continuate a non aumentare di peso potete soffrire di problemi di mal assorbimento. Piuttosto che continuare ad ingozzarvi di cibo meglio fare una visita da uno specialista. I glucidi in questa fase devono rimanere alti per segnalare continuamente all'organismo che i livelli energetici sono ottimali. La sintesi proteica è potenziata quando il glicogeno muscolare e quello epatico sono saturi. Durante la fase di massa state ben attenti a non aumentare eccessivamente col grasso corporeo. A seconda della propria genetica le percentuali di BF migliori per la crescita muscolare sono intorno al 11-12% (soggetti tendenti al magro) o al 14-15% (soggetti tendenti al grasso), non superatele. Se partite con percentuali superiori conviene, per iniziare, puntare ad una ricomposizione corporea (perdita di grasso e contemporaneamente acquisto di massa magra), ma di questo ne parleremo nel capitolo finale

Il fabbisogno settimanale Una volta stabilito quante calorie possiamo assumere al giorno è importante comprendere che l'organismo non ragiona nelle 24 ore ma in settimane o addirittura in mesi e, se guardiamo alla vita dell'adipocita, in anni (circa 8). I primi cambiamenti metabolici rilevanti avvengono solo dopo 4872 ore di dieta drastica (digiuno o pochissimi carboidrati) e non nel corso di una singola giornata. Non è vero che fare tanti piccoli pasti migliora la sintesi proteica e l'anabolismo e non è altrettanto vero che farne solo 1-2 aiuta la perdita di grasso. Gli studi migliori (meta-analisi) mostrano che nel cronico è il conteggio calorico settimanale a dare la direzione metabolica all'organismo, non il numero di pasti nelle 24 ore. Pertanto non è importante quante calorie giornaliere assumete, ma quante ne prendete nell'arco della settimana. Ammettiamo che il vostro fabbisogno giornaliero sia di 3000kcal. In una settimana dovreste quindi assumerne 21 OOOkcal. Se il sabato sera uscite con gli amici e la domenica siete dai parenti, ed in soli 2 giorni assumete 8000kcal, durante la settimana dovete tenervi più leggeri mangiandone solamente 2600kcal al giorno (anziché le 3000kcal). Programmate gli sgarri e ribilanciateli, "uno sgarro programmato non è più uno sgarro". In una persona sana e magra 24-36 ore d'eccesso calorico (specialmente se glucidico) non portano ad ingrassare ma ad accumulare più glicogeno ed acqua. Il surplus energetico viene ossidato ( soprattutto se deriva da un eccesso di carboidrati). Al contrario, chi tende all' insulinoresistenza, se mangia più zuccheri anche per un breve periodo, ingrassa più facilmente.

Questo vuol dire che se vi allenate e mangiate correttamente lo sgarro settimanale non preclude mai i risultati. Ovviamente se assumete molti zuccheri insieme a molti grassi, l'alta insulinemia in presenza di trigliceridi porterà a processi di liposintesi ( come studieremo nel quarto capitolo). Meglio sgarrare solo con i carboidrati o solo coi grassi (tra i due meglio la prima scelta se siamo degli sportivi). All'opposto il corpo impiega 3-4 giorni ad accorgersi che sta introducendo meno calorie rispetto al suo fabbisogno (se la dieta non è eccessivamente estrema). Pertanto solo dopo 3-4 giorni la leptina ( ormone che regola il metabolismo) inizia a scendere. Questo ci permette d'adottare strategie in cui abbiamo una riduzione calorica fino a 3 giorni consecutivi, ricaricare tornando ad una normocalorica il quarto e poi ripartire con la restrizione. È essenziale ricordare che la leptina è regolata dal metabolismo glucidico adipocitario, quindi non basta assumere sufficienti calorie ma bisogna anche assumerle sotto forma di carboidrati. Un'altra strategia vincente è quella di introdurre più calorie nei giorni in cui ci si allena e di assumerne meno nei giorni off. Magari cambiando anche il rapporto tra i macronutrienti .

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Giorni Off: meno calorie e più proteine e grassi.

Alcuni autori suggeriscono addirittura il contrario per potenziare l'effetto rebound. Il corpo cresce quando non ci si allena. La disponibilità di calorie e carboidrati nei giorni Off assicura tutte le energie per attivare la sintesi proteica. Invece la carenza calorica e glucidica nei giorni On apporta una migliore ossidazione del grasso. È comune a molti avere più fame quando non ci si allena, mentre nei giorni dell'allenamento ci sentiamo appagati prima. Sono metodi che si basano su principi differenti, quale sia il migliore sta a voi trovarlo, noi crediamo che tutte le strade, se seguite con logica, portino ad una migliore composizione corporea. Ultima questione per quanto riguarda il fabbisogno settimanale è il digiuno. Alcuni approcci del digiuno intermittente (dieta che studieremo in seguito) propongono un giorno a settimana senza pasti. Conosciamo diverse persone che si sono trovate bene, ma riteniamo che questa sia una scelta non adatta a tutti. Un conto è rimanere senza mangiare per qualche ora (in media l 6-l 8h) tutti i giorni della settimana, arrivando così nel tempo ad abituare l'organismo, un altro è saltare in una intera giornata tutti i pasti. La pratica discontinua impone un difficile adattamento organico che porta ad un maggior senso di stanchezza e ad una maggiore proteolisi.Digiunare un giorno ogni sette fa perdere peso perché assumiamo meno calorie settimanalmente, ma la perdita potrebbe essere anche a discapito della massa magra. Va ricordato in ogni caso che, nei soggetti allenati, il maggior catabolismo del tessuto contrattile dato dal digiuno, favorisce un effetto simile alla supercompensazione appena si introducono zuccheri ed aminoacidi in quantità sufficienti. La sintesi proteica è maggiore in chi digiuna rispetto a chi segue i canonici 3 pasti. Quindi, in definitiva, l'organismo recupera quello che ha perso. Il fabbisogno settimanale è un concetto utile per comprendere che- possiamo vivere la dieta senza esse1e maniacali, ciclicizzare è sempre una strategia migliore della ripetitività; è inutile seguire un regime in cui dobbiamo per forza rispettare tutti i giorni una determinata percentuale di macronutrienti o un certo quantitativo calorico . L'uomo si è dato delle regole per gestire al meglio la giornata, regole che non sempre trovano una conferma a livello fisiologico. Questo comunque non toglie che una direzione la dobbiamo seguire, quindi il bilancio calorico settimanale risulta essere un dato molto utile e spendibile per migliorare.

Capitolo Il

Vuoi dimagrire? Vai dallo psicologo Prima di iniziare ad inoltrarci tra i processi biochimici e fisiologici che portano ad una migliore composizione corporea non possiamo non parlare della psicologia e del ruolo fondamentale che svolge in ognuno di noi, soprattutto per quanto riguarda il cibo. In una società perfetta tutti saremmo magri e con la barba. Tutti conosciamo quali sono gli alimenti che ci fanno bene (frutta, verdura) e quali invece ci fanno male ( cibi raffinati, zuccheri semplici, alimenti conditi ed eccessivamente grassi), eppure nessuno si limita a mangiare un finocchio o una zucchina senza aggiungere un po' di olio e sale. Il cibo è la prima forma d'amore

Da esso noi ricerchiamo il piacere, l'appagamento. Come con una grossa tetta ritroviamo il modo di consolarci e di premiarci. L'immagine che abbiamo di chi sta a dieta è quella di una persona triste, che si priva momentaneamente (finche resiste) dei piaceri della vita. Possiamo consolarci andando a fighe, ma in quanti possono tornare a casa sempre soddisfatti? ll frigo invece non ti abbandona mai. L'industria alimentare è incentrata non sul nutrire bene la popolazione ma sull'appagarla. Ci scandalizziamo di fronte alla droga (cosa giusta), quando l'alcol fa molti più morti ed ancora di più il sovrappeso. Oltre il 50% della popolazione italiana mangia a discapito della sua salute. Ignari continuiamo ad ingozzarci non per far fronte al nostro fabbisogno fisiologico ma per la dipendenza psicologica (inconscia) che abbiamo nei confronti del cibo. Non esistono ultracentenari grassi, chi è in sovrappeso vive male e chi è obeso vive peggio. Basterebbe poco per stare in salute eppure ... Bisogna essere consci che noi mangiamo anche per nutrirci .

l'ortoressia Con l'avvento dei social network il sapere si è diffuso molto più facilmente; tuttavia, contemporaneamente il livello delle informazioni si è abbassato vertiginosamente. Su Facebook esistono delle verità che gli scienziati ignorano

Negli ultimi anni si sono diffuse tantissime diete che vendono pseudoscienza: un esempio classico è quella dei gruppi sanguigni, linkata milioni di volte ma con nessuno studio scientifico alle spalle. Sarebbe una scoperta utilissima a livello scientifico e medico sapere se, in base al nostro gruppo sanguigno, possiamo mangiare determinati alimenti rispetto ad altri. Se fossimo intolleranti ai latticini basterebbe conoscere il proprio antigene sanguigno, per esempio. Questa dieta, per quanto popolare sia, è pseudoscienza eppure tantissime persone si sentono subito meglio nel seguirla. Avviene la stessa cosa con chi toglie il glutine, le proteine animali, le caseine, ecc. Il fatto di eliminare alcuni alimenti, senza che ci sia una reale prova scientifica a riguardo, ci alza il nostro stato di benessere, ci convinciamo che quello che ci faceva male è stato tolto. I vegani si sentono benissimo senza carne, chi segue la Paleo sta nello stesso modo togliendo i cereali, tutti appena tolgono il latte rinascono. La nostra posizione è quella di giudicare realmente se a livello scientifico ci sono prove inconfutabili per togliere un alimento, oppure ci sono solo degli indizi o neanche quelli. Vedremo nel paragrafo sulla densità energetica che un cibo deve essere giudicato per il suo apporto calorico in rapporto ai micronutrienti che contiene. Se un alimento è naturalmente salutare (idratato, ricco di fibre, vitamine e minerali) e non ha subito processi che lo possono alterare (allevamenti industriali, raffinazioni, ecc.) non c'è motivo logico per toglierlo. Il benessere psicofisico nell'eliminare alcuni alimenti è reale ma è frutto di un'autosuggestione che nella maggior parte dei casi dura fino ad un paio d'anni, dopodiché la persona cerca nuovi cibi da sostituire ed eliminare per ritrovare quella sensazione, data dalla novità, che si è persa. L'effetto placebo è potentissimo ( "il nulla che cura e ricongiunge mente e corpo"). Nella cultura occidentale è stato studiato la prima volta durante la grande guerra. Ai soldati semplici, vista la carenza di medicine, veniva veicolato un placebo per lenire il dolore delle ferite (in quel periodo venne anche sperimentata l'eroina). Persone mutilate, soffrivano meno se assumevano zucchero. Una cura comune nelle cliniche psichiatriche è quella di fornire falsi psicofarmaci ai pazienti che lamentano forti emicranie e dolori. Nel momento in cui una persona assume qualcosa per il suo benessere automaticamente ha un giovamento, indipendentemente dalla reale efficacia. Lo stesso avviene al contrario con l'effetto nocebo. Test sperimentali hanno mostrato che pazienti a cui venivano somministrati impacchi di false erbe urticanti presentavano eritemi: credere che qualcosa faccia male scatena reazioni biochimiche di difesa. In maniera molto simile succede col cibo: pensare che un determinato alimento faccia bene o male determina in noi sensazioni diametralmente opposte, a volte anche reazioni pseudo-allergiche ed immunitarie. Ricordiamoci che sentirsi meglio non vuol dire stare meglio. Utilizziamo test oggettivi: i parametri ematici sono variati? Avete perso grasso viscerale? Avete fatto qualche esame da uno specialista per dire che non potete assumere un alimento? E questo specialista che test ha usato, che valore ha a livello scientifico? È pieno di medici che consigliano, nel proprio ambulatorio privato, analisi prive di riferimenti scientifici. Ad inizio carriera lavoravo in un centro polifunzionale dove si faceva utilizzare una macchina per misurare lo stato bio-energetico. Ovviamente l'apparecchiatura non aveva nessuno studio a proprio supporto anche se a consigliarla era un medico. Abbiamo conosciuto persone entusiaste dell'urinoterapia (una volta si chiamava volgarmente pissing). Solo dopo aver bevuto per molti mesi, rigorosamente a stomaco vuoto, centinaia di litri della propria pipì, si sono rese conto che forse la loro salute non migliorava. Ogni volta che intraprenderete una nuova strada, una nuova dieta, una nuova filosofia, l'effetto psicologico sarà sempre dominante. Rimanete sempre ancorati alla realtà e ai dati oggettivi e numerici. Per concludere va evidenziato che alcune università e centri medici eseguono screening genetici per dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo mangiare. Purtroppo questi test (eseguiti col

tampone gengivale) non hanno alcun valore perché ormai è dimostrato che nella selezione alle risposte personali ai cibi intervengono almeno decine di geni (alcuni pro, alcuni contro), non uno, due o tre. Dire che geneticamente non siamo predisposti per mangiare determinati alimenti, vuol dire aver fatto un'analisi accurata del nostro patrimonio genetico. Al momento tale analisi viene fatta solo negli Stati Uniti ad un costo di I 00.000 dollari. Voi quanto avete speso per il vostro test genetico? Anche per gli esami sulle intolleranze l'attendibilità è molto bassa. Le allergie sono facilmente individuabili, le intolleranze invece sono difficili da evidenziare. Il test fatto in farmacia, per esempio, è una bufala. Siete in sovrappeso e non riuscite a dimagrire? Probabilmente non avete intolleranze, perché nel 95% dei casi queste portano a problemi d'assorbimento, ad essere denutriti, non al sovrappeso. Guardate sempre l'attendibilità scientifica dei test a cui vi sottoponete, non fidatevi e non buttate via i vostri soldi ... se non per soddisfare un'esigenza psicologica di trovare un colpevole al vostro problema.

I frutti del sapere Una delle domande più frequenti che ci viene posta è la seguente: esiste qualche prodotto che aiuti a dimagrire? La caffeina si è rilevata una delle sostanze migliori, inibendo i recettori a adipocitari e potenziando l'intervento delle catecolamine, ormoni utili al dimagrimento. Tuttavia esiste un mix naturale di prodotti molto più efficace. Da studi condotti all'università di Iena si è visto che un insieme di ananas e pompelmo rosso, assunti a stomaco vuoto, inibiscono la produzione di malonil-CoA permettendo così di potenziare gli effetti di una dieta ipocalorica fino al 37%.Risulta quindi evidente che spendendo pochissimo, senza effetti collaterali (anzi ananas e pompelmi sono ricchi di sostanza nutritive), possiamo dare uno scossa al nostro metabolismo. Si consiglia, per essere certi dell'effetto, di assumere mezzo ananas e 2 pompelmi a stomaco vuoto, tutte le mattine, per via rettale. Interessante vero? Peccato che, ovviamente, non sia vero. Su internet, su Facebook, è pieno di articoli simili che invitano a credere a quanto viene affermato. Ormai il lettore assorbe molte informazioni passivamente, gli basta leggere che esiste qualche studio a supporto, che ci sono pochi sacrifici da fare ed inconsciamente è bendisposto a credere in quello che legge. Io soffro di vene varicose ( degenerazione dei vasi sanguigni), a 30 anni le due safene si sono sfaldate e le altre vene non sono messe molto meglio. Su internet trovo decine di articoli che mi dicono i I O alimenti contro le vene varicose. Peccato che già di mio li assumo quasi tutti ma questo non ha mai cambiato il mio stato. Quando leggete che qualcosa fa dimagrire, fa guarire, fa mettere su massa, chiedetevi sempre quanto, perché anche 0,0 I è più di zero ma è irrilevante. Siamo portati a credere a quello che ci piace, che ci da speranza. Se assumo aminoacidi ramificati dopo l'allenamento sento di recuperare prima. Ma realmente, a livello fisiologico, ho potenziato i processi di recupero? Siate critici, uno studio non fa primavera. Sulle riviste si legge sempre degli effetti benefici di qualcosa. Assumere il limone al mattino non vi farà male, ma allo stesso tempo non vi curerà dall'acidosi o dal cancro. Se esistesse un prodotto per il dimagrimento realmente efficace e senza effetti collaterali, chi lo ha inventato sarebbe l'uomo più ricco del mondo. Voi lo conoscete? Ad oggi senza impegno, sacrificio e costanza, i migliori risultati sono preclusi. È una pastiglia amara, ma per quanto olio si aggiunga alla supposta, infilarla non è mai piacevole Diffidate da tutti gli articoli che hanno come titolo: i I O miglior alimenti per dimagrire, i I O segreti per una salute d'acciaio, i I O cibi da evitare, ecc. Le semplificazioni tendono a spostare l'informazione verso il marketing; credere di sapere è un attimo.

Contestualizzare i dati con cognizione di causa

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In teoria, non c'è differenza tra teoria e pratica, ma in pratica, ce n'è Il termine "medicina basata sulle evidenze" è stato coniato negli anni '90, quando ci si rese conto che molte terapie mediche erano basate solamente sull'esperienza clinica individuale o su mera aneddotica. "Evidenza" è una traduzione ingannevole: il termine non va inteso come "qualcosa che salta all'occhio immediatamente". "Evidence" in inglese significa infatti prova, in questo caso prova scientifica. Diversi trattamenti veniva~o ali' epoca raccomandati perché apparentemente supportati da un razionale sensato. La disturbante notizia fu scoprire invece che la pratica basata sulla sola esperienza correlasse con outcomes (risultati) peggiori (lavoro pubblicato su Annals of Internal Medicine nel 2005).A questo punto era evidente che fosse necessaria un'evoluzione del metodo. Da quel momento la pratica della medicina crebbe in qualità, diventando più scientifica e meno soggetta a scivoloni dovuti ad errori metodologici derivati dalla "medicina basata sull'esperienza". L'approccio ''faccio così perché questo concetto ha senso in quanto estrapolato dalla fisiologia o dalla scienza di base" fu relegato all'ultimo posto nella piramide delle evidenze (ovvero in fondo alla gerarchia), mentre al vertice vennero collocati gli studi scientifici randomizzati e controllati e le meta-analisi e review sistematiche ( ovvero un insieme di metodi statistici che permettono di riassumere ed integrare i dati provenienti da più studi e di giungere così a conclusioni più forti di quelle tratte sulla base degli studi presi singolarmente). Hierarchy of Research Design & Levels of Scientific Evidence Clinica/ Practice Guidelines 1. Meta-analysis, Sistemac Review 2. Randomized Controlled Trial 3. Cohort Studies 4. Case Control Studies 5. Case Report or Case Series, Expert Opinions 6. Animai and Laboratory Studies In alcun modo questo non significa che l'esperienza sul campo sia necessariamente fallace. Il punto della questione è che, essendo effettivamente presente tale rischio, è fondamentale che vi sia un metodo collaudato ed efficiente per definire se l'assunzione presa in esame sia valida o meno.

L'errore più comune Post hoc ergo propter hoc Una correlazione temporale non definisce automaticamente un nesso causa-effetto. Vi faccio un esempio: se vi capitasse di vincere una gara mentre indossate le mutande di un certo colore, e magari l'evento si proponesse diverse volte, ammetterete comunque che sarebbe irrazionale affermare che quella specifica biancheria vi abbia davvero fornito una marcia in più. Ciononostante, in molti probabilmente continuerebbero ad indossare il feticcio o a perpetrare il gesto che nella propria mente hanno associato al risultato positivo: ciò accade perché siamo programmati a selezionare gli eventi in un certo modo (guardate a tale proposito gli esperimenti di James Randi, un famoso prestigiatore-debunker). Il ragionamento "ho preso il decotto di ortica e mi è passato il mal di testa" oppure "ho seguito la dieta X ed ora sono molto più performante" sottendono questo errore metodologico. Cosa vi assicura che il mal di testa non sarebbe passato comunque ( o addirittura più velocemente) o che la

6 del Dottor Angelo Fassio

vostra eccellente prestanza fisica sia dovuta non alla dieta ma ad altri diversi (innumerevoli) fattori? Nulla. Bisogna saper collocare le affermazioni al loro posto corretto. Vi sono alcuni ambiti in cui i dati e gli studi di buona qualità mancano. In tali situazioni dobbiamo scendere giù dalla piramide finché arriviamo ad un livello dove troviamo effettivamente qualche riscontro. In alcuni casi il livello di evidenza più elevato disponibile è il VI, ovvero quello che fa riferimento alla "opinione dell'esperto" (l'etichetta "esperto" deve essere assegnata con cognizione di causa). Il fatto stesso che il grado di evidenza sia il VI deve tuttavia far scattare, automaticamente, diverse considerazioni. 1. Bisogna riconoscere effettivamente l'esperto in quanto tale: egli si deve occupare di quella cosa tutti i giorni, viverci, dormici, respirarla. Se ci rendiamo conto che è un "esperto della domenica", anche la validità delle sue tesi decade a livello di "tesi della domenica". 2. Nonostante tutto, non si può escludere che le sue affermazioni (qualora basate sulla "semplice" esperienza personale) siano scevre da errori o imprecisioni. Non esiste il Dogma calato dall'alto (vedifallacia ab auctoritate). Per concludere: ogni volta che leggete delle raccomandazioni, valutate le vostre fonti. Chiarite di esse almeno: ~

il curriculum della persona in esame. Un laboratorista è qualificato per parlare di esami di laboratorio, non è proprio automatico che sappia discutere di endocrinologia. L'abito non fa necessariamente il monaco. Sappiamo benissimo come né un particolare titolo universitario, né un camice, né un fisico statuario siano garanzie di competenza, soprattutto non a 360°;

~

verificate le fonti delle affermazioni che esaminate, sia che vengano dall'esperto (ad esempio: esperienza personale vs studi controllati) o da qualsiasi altra sorgente (internet, libri cartacei o virtuali, youtube ). Se non trovate nulla, accendete la lampadina dello scetticismo. Se non conoscete la sorgente e non avete riferimenti bibliografici, ciò che leggete ha lo stesso valore della vostra opinione (con la differenza che voi non avete secondi fini nei confronti di voi stessi). Non lasciatevi ingannare dalle supercazzole.

Il lessico tecnico non vuol dire nulla quando non è accompagnato da documentazione appropriata. È il caso di questo libro, quindi sviluppate la sana attitudine mentale di approfondire i concetti che vi interessano su fonti più autorevoli e non fermatevi qui.

10 Motivi per cui mangiamo oltre a nutrirci La mia fortuna, o sfortuna dipende dai punti di vista, è che sono stato paziente di me stesso. Per anni (e purtroppo in parte ancora adesso), il cibo ha rivestito un ruolo psicologico fortissimo per me. Quando mi siedo a tavola dimentico chi sono e continuo a mangiare fino a che la pancia non mi scoppia. Ogni sera, pentito per aver esagerato, mi prometto di controllarmi dal giorno dopo, ma puntualmente ogni mattina (o pomeriggio a seconda di quando passa il gonfiore) me ne dimentico. In tutto questo c'è ben poco del fabbisogno fisiologico di nutrirmi. Per questo nel tempo mi sono analizzato e mi sono chiesto cosa mi portasse a mangiare.

1. Consolazione o /1

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Chi tornando a casa dopo una giornata storta al lavoro o con la ragazza non ha trovato nel frigorifero un amico fedele che non lo abbandona mai, sempre disposto ad aprirsi di fronte alle nostre richieste. Il cibo è una valvola di sfogo enorme nella nostra società. Milioni d'individui scaricano)e-loro angosce e frustrazioni, bagni nell'insulina lavano quasi tutti i dispiaceri, almeno finché la glicemia non cala, poi l'angoscia ritorna ed il ciclo riparte.

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2. Noia Provate a passare tutta la giornata a casa senza far niente. Vi ritroverete a spiluccare in continuazione; annoiati non saprete che fare se non mangiare. Spesso a cene noiose ho trovato compagnia in quello che degustavo. Quando non si sa cosa fare, mangiare, magari di fronte alla televisione, è sempre un bel passatempo, peccato solo che non sia proprio salutare.

3. Abitudine La società ci inserisce fin da piccoli all'interno di un ingranaggio a cui è quasi impossibile sottrarsi. Scuola, lavoro, le nostre abitudini sono scandite dal fatto che dobbiamo guadagnare per vivere. Ci svegliamo quando magari staremmo ancora a letto e mangiamo tra le pause in cui non lavoriamo. Tre pasti al giorno: colazione, pranzo, cena, chi l'ha deciso? Gli uomini delle caverne avevano queste usanze o mangiavano quando avevano voglia o disponibilità? Il senso di fame segue le nostre abitudini: provate ad abituarvi a non fare colazione e vi verrà soltanto a pranzo. Abituatevi a fare due spuntini tra i pasti e alle 11.00 avrete di nuovo fame. Andate in un convento e vi abituerete a cenare alle 18.00. Non c'è nessuna legge fisiologica che dice che dobbiamo mangiare tre volte al giorno, lo si fa solo per comodità. Nello stesso modo ci si abitua alle porzioni. Lo stomaco si dilata o si restringe a seconda della quantità di cibo che abitualmente ingeriamo. Si è sazi grazie a diversi ormoni e fattori, uno di questi è la distensione delle pareti dello stomaco. Chi normalmente mangia tanto dovrà introdurre molto cibo prima d'essere soddisfatto. Ricordiamoci che alle porzioni ci si abitua.

4. Socializzare Il cibo riveste una funzione sociale fortissima nel consolidare o creare nuovi legami. Mangiare e bere con gli amici è ancora più soddisfacente. Io quando ci sono gli altri mi abbuffo e bevo sempre di più. Le cene di lavoro sono la prova di come si cerchi di fare gruppo e di legare attraverso il cibo. Ci sono studi che mostrano che più aumenta il numero di persone sedute a tavola più si tende a mangiare. Io, di sicuro, non mi faccio rubare il cibo dagli altri.

5. Dipendenza Come mai siamo portati a ricercare quei cibi grassi o zuccherati tanto appetitosi piuttosto che un bel ravanello? Da una parte c'è un motivo recettoriale. Quando i recettori gustativi sono saturi abbiamo bisogno di sapori sempre più forti per avvertirli. Dall'altra si instaura una dipendenza, noi siamo drogati dal cibo senza saperlo. Glutine e caseine sono due sostanze che rilasciano endorfine, così come la feniletilammina contenuta nel cacao. In generale tutto ciò che porta ad un aumento dell'insulina ha un effetto positivo sul sistema limbico, creando così un continuo feedback tra il nostro stato emotivo e quello che introduciamo. Molti cibi rilasciano sostanze psicoattive che stimolano la gratificazione creando così dipendenza.

6. Gola Roberto Albanesi scrive: ''per il dolce c'è sempre spazio". Possiamo essere sazi, non avere fame ma quando c'è qualcosa che ci piace tirarci indietro è quasi impossibile. Tra le strategie dimagranti c'è quella d'introdurre i piatti in ordine di palatabilità. Dal meno gustoso al più buono. Sgarrare da pieni limita comunque le porzioni e l'introito calorico.

7. Curiosità La curiosità per il cibo è tipica delle persone intelligenti. Quando si viaggia in paesi esotici e ci si trova di fronte a piatti mai assaggiati, la sazietà passa sempre in secondo piano. Il cervello ricerca esperienze gustative nuove per aumentare la sua mappatura sensoriale.

8. Riempire un vuoto Chi dopo essere stato lasciato o licenziato non ha provato a colmare il vuoto con il cibo? È tipico degli uomini di mezza età, che appena smettono di trombare con le mogli si sfogano sul cibo. Meno si tromba e più si mangia. Lo stomaco pieno può forse sostituire un vuoto sentimentale?

9. Punirci Odio e amore, alcune persone tendono a punirsi mangiando. Il loro fisico in sovrappeso li porta ad essere insoddisfatti. Quando mangiano sanno che si pentiranno, ma come un bambino che distrugge il giocattolo a cui è affezionato, per punirsi tendono ad eccedere a tavola.

10. Gratificazione Questo è il motivo principale, già accennato nei punti precedenti, per cui non siamo tutti magri. Nella nostra esistenza siamo continuamente alla ricerca della gratificazione. Tutto quello che ci da piacere ci gratifica. Il cibo, senza impegno, a bassissimo costo, ci permette di premiarci. Possiamo pensare alla dieta migliore del mondo, al rapporto tra carboidrati, proteine e grassi ottimale, ai particolari e alle finezze ma alla fine se questa dieta non ci appaga, la seguiremo per un lasso di tempo limitato, a meno che il miglior aspetto fisico non ci dia una gratificazione maggiore rispetto al mangiare. Che lo desideriate oppure no, o siete magri e muscolosi di natura o per diventarlo dovrete lottare contro voi stessi. Noi scappiamo dal dolore e ricerchiamo il piacere. Per questo le diete falliscono nel tempo, perché per seguirle non basta un singolo atto eroico, ma la perseveranza e continue piccole rinunce quotidiane.

La psicologia in cucina, alcuni consigli pratici Concludiamo il capitolo sulla psicologia per rimarcare tre aspetti fondamentali, che influiscono in modo rilevante sulla composizione corporea.

Sei grasso? Sei sincero con te stesso? Ognuno di noi vive in una realtà propria, è difficile trovare chi, in sovrappeso, dichiari di mangiare male. La maggior parte delle persone è convinta di mangiare poco e bene. Questo aspetto psicologico della nostra mente, per cui non siamo mai in torto, non ci fa accorgere che fuori dai pasti spilucchiamo, che gli strappi alla regola sono molto più frequenti di quello che ricordiamo e che in mezzo ai cibi salutari finisce sempre qualche schifezza. È molto difficile avere la percezione reale di quello che si mangia. L'esempio più classico riguarda il diario alimentare. Chiedete ad un persona di tenerlo e contemporaneamente chiedete a sua moglie o marito di prendere nota di nascosto di quello che assume. Alla fine della settimana la persona a dieta avrà scritto il 30-40% in meno rispetto al partner che la spiava. Ciò non avviene perché vuole mentire a terzi, ma perché mente a se stessa. Quando si segue un regime stretto, ogni volta che si sgarra (se non era programmato) si subisce una sconfitta psicologica. Ciò significa non essere riusciti ad essere coerenti con l'obiettivo che ci si era prefissati. Per questo tendiamo a dimenticare, perché le sconfitte non fanno mai bene al proprio io interiore ed alla percezione che abbiamo di noi stessi. Ricordiamolo, per natura, non abbiamo la consapevolezza esatta di quello che abbiamo mangiato.

Sei grasso? Quanto ti senti gratificato? Abbiamo già detto come il cibo sia una fonte di gratificazione importante nella nostra società. In quanti si sentono soddisfatti del lavoro che fanno, del percorso di studi che hanno scelto, del proprio coniuge, ecc? Siamo perennemente insoddisfatti: vorremmo avere più tempo per noi stessi, essere meno stressati, ricevere meno no, essere più liberi; il cibo sopperisce a tutto questo. Ci gratifica e per questo è tanto difficile rinunciarci. Se la dieta è vissuta come un'ulteriore privazione, per quanto tempo può essere protratta? Per questo è sconsigliato mettersi a dieta in periodi della vita difficili ed impegnativi, a meno che la frustrazione che abbiamo non ci dia la carica e la cattiveria per seguirla. Se volete essere costanti nel tempo, consigliamo di scegliere approcci soft (in cui il dimagrimento è lento), o al contrario, brevi periodi intensi. Diete drastiche per pochi giorni alternate da fasi di mantenimento intaccano anche la massa magra ma in alcuni casi aiutano a sbloccare situazioni di stallo. Alcuni autori consigliano un approccio 80-20. Cioè assumere 80% alimenti salutari e un 20% cibi liberi. In questo modo possiamo continuare a sentirci appagati anche stando a dieta.

Sei grasso? Quanto sei stressato? Dal punto di vista fisiologico questo argomento è quello più rilevante che collega la psicologia con la composizione corporea. Per centinaia di migliaia di anni abbiamo vissuto in mezzo alla savana, caccia e riposo, lotta e fuga. Il nostro apparato ormonale si è sviluppato per farci sopravvivere nella natura. Cascate umorali in risposta allo stress ci hanno permesso di rimanere vigili e scattanti nel momento del bisogno. Oggi lo stress non è più rappresentato dal leone ma da tutto quello che sta attorno a noi: il traffico, il datore di lavoro, gli esami all'università, ecc. Molti passano buona parte della giornata sotto tensione e per questo il corpo continua a secernere gli ormoni dell'attacco e fuga. Ciò causa una costante immissione di zuccheri (gluconeogenesi) impedendo così il dimagrimento anche con regimi ipocalorici (i livelli basici d'insulina rimangono elevati smorzando la lipolisi) ed erodendo la massa magra (data dal catabolismo degli aminoacidi glucogenetici). Lo stress gioca veramente un brutto scherzo, qualcuno diventa magrissimo, altri, al contrario, smettono di perdere peso. C'è una correlazione statistica tra il cancro e lo stress, figuriamoci tra quest'ultimo e la composizione corporea. I migliori risultati si hanno quando smettiamo di preoccuparci e di essere stressati. Chi vive serenamente ha meno bisogno di sfogarsi sul cibo ed ha livelli ormonali stabili e fisiologici. Volete diventare magri e muscolosi? Rilassatevi e distendetevi. Come farlo in questa società? Ecco, qui sotto, alcuni stratagemmi che possono rivelarsi utili.

Come reagire e combattere lo stress Ciò che di positivo può nascere da una situazione negativa State guidando in tangenziale sotto la pioggia e non vedete l'ora di tornare a casa dopo una giornata nera a lavoro. Sentite un rumore strano provenire dal motore e poco dopo inizia ad uscire del fumo. Preoccupati vi accostate in un'area di sosta. Scendete sotto la pioggia, aprite il cofano e vi rendete conto che dovete chiamare l'intervento stradale. Una giornata pessima si è conclusa ancora peggio. In questa situazione piuttosto che continuare a crogiolarvi nella negatività, cercate di scorgere il sole. Il carroattrezzi impiegherà un po' di tempo prima d'arrivare, nel mentre potete rilassarvi sul sedile, approfittatene per ascoltare della musica di vostro gradimento, chiamare un amico e raccontargli quello che vi è accaduto.

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Insomma, quello che è successo è successo, sta a voi decidere come viverlo. Potete guardare solo al lato negativo, oppure potete pensare se esiste anche un risvolto positivo. La prossima volta se vi ricapiterà avrete già fatto un'esperienza simile e sarete meno spaventati ed impreparati. Siamo noi che decidiamo come ci sentiamo, perché siamo noi che scegliamo come leggere gli eventi che ci capitano. Cercate sempre di vedere cosa c'è di buono nelle esperienze negative che vivete. Scegliete d'essere felici, perché in fondo siete voi a decidere come vi sentite.

"Non pregare per una vita facile~ prega per avere la forza d~affrontarne una difficile" Bruce Lee La nostra mente non distingue la realtà dalla finzione Quando guardate un film horror sapete benissimo che è falso, che sono attori, eppure siete agitati lo stesso. Durante il giorno tendiamo a pensare agli eventi futuri (eventi che magari non capiteranno mai) in modo negativo: verrò bocciato, il mio intervento alla conferenza andrà male, perderò quel cliente, lei si stuferà di me, ecc. Queste sono paure immaginarie. La nostra mente vaga continuamente e spesso approda in brutti pensieri. Quando succede ribaltate la situazione visto che è la vostra immaginazione a pensare male. Visualizzate qualcosa di positivo: verrò promosso, l'intervento sarà un successo, il cliente sarà molto soddisfatto, la nostra storia andrà avanti. Piuttosto che farsi seghe mentali al negativo, fatele al positivo, tanto è pura immaginazione, ma proprio perché associamo al pensare male sensazioni negative (rilasciando gli ormoni dello stress), ogni volta che si presentano ribaltiamole. Questo funziona anche nello sport. Quando correte e sentite fatica pensate a quando finirete, a quanto sarete soddisfatti di voi stessi, pensate alla fica. Focalizzatevi sulla sensazione del rilassamento dopo un bello sforzo, di quel piacere nel sentirsi appagati dall'attività portata a termine. · , Ricordatevi , che la nostra mente non distingue la finzione, pensieri negativi porteranno gli ormoni dello stress ad attivarsi, spegneteli! Se non c'è una soluzione perché ti preoccupi? Se c'è una soluzione perché ti preoccupi? È importante pensare a come risolvere i problemi e le situazioni, ma è anche inutile continuare a preoccuparsi e a ritornare con la mente al problema. Una volta che avete elaborato razionalmente tutte le possibili soluzioni affidate il futuro a Dio, al destino, all'universo, al fato. Non ha senso continuare a stressarci per qualcosa di cui non possiamo fare niente. Se siete credenti affidate a Dio il vostro destino, se non lo siete trovare un Karma, una forza universale positiva, che risolverà, alla.fine, la situazione. Questo non è un invito a non essere attivi e padroni del proprio futuro, ma semplicemente a smettere d'essere ansiosi per la vostra sorte. Rimanere preoccupati non vi porterà nulla di buono. Siate sicuri d'aver fatto tutto quello che era nelle vostre possibilità per raggiungere il vostro scopo, dopodiché toglietevi i pensieri affidando la responsabilità a qualcosa di superiore. Le cose andranno come dovranno andare; voi avete fatto il vostro, l'universo farà il suo. Il fatto di sapere che c'è un'entità che guida le sorti dell'umanità, che conduce al progresso, che contrappone al male il bene, aiuta a vivere meglio. Sentitevi parte di qualcosa di più grande, l'umanità, la terra, l'universo. Questo vi permetterà di vivere con più serenità e di abbassare lo stress quotidiano.

Datevi dei piccoli obiettivi giornalieri Sapete qual è il miglior modo per combattere lo stress, le paure e l'ansia? Agire. Nel momento che facciamo, che affrontiamo la situazione, tutto svanisce, tutto sembra più piccolo. L'affrontare i problemi non solo li risolve, ma toglie ançh le sie che ci eravamo creati. Si dice che la persona

coraggiosa non è quella che non prova paura ma quella che reagisce m positivo. L'azione sconfigge lo stress. Convincersi di voler perdere 1O kg prima dell'estate porta a partire motivati, ma a perdersi lungo la strada. Questo perché l'obiettivo è lontano, non abbiamo bisogno d'intervenire adesso, c'è tempo. Dirsi invece che questa settimana devo allenarmi tre volte, che oggi non devo usare l'ascensore, pone il focus su obiettivi immediati e continuativi, molto più facili da raggiungere o da recuperare. Il focus va continuamente alimentato. Obiettivi lontani portano a perdere la motivazione. In quanti facevano i compiti estivi l'ultima settimana delle vacanze? Con l'alimentazione questo non funziona; impariamo a godere delle piccole vittorie quotidiane. Ogni giorno una sfida, ogni giorno una conquista, la goccia è più forte della pietra. Ricordatevi di premiarvi sempre, anche per le piccole cose. Godete delle vostre conquiste, questo terrà alta la motivazione.

Decalogo della cultura fisica - Cosa dire al giovane Fran

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C'è una frase che si sente sovente in palestra: ''fino a due anni migliori, poi ti fermi e rimani sempre uguale". Beh in effetti per la maggior parte dei frequentatori è assolutamente vera. Le persone si allenano senza una periodizzazione, senza un vero piano a medio-lungo termine. Le schede sono un collage di mesocicli attaccati l'uno all 'altro. Non c'è una visione, un saper mettere i mattoncini in fila, uno sopra l'altro, per costruire qualcosa. Questo fa la differenza tra migliorare negli anni e fermarsi dopo i primi due. Fran fa parte di quella cerchia ristretta di persone che sono in grado di aggiungere un centimetro alla volta, di imparare, correggere e progredire. "L'uomo intelligente impara dai propri errori, il genio da quelli degli altri"

Ormai da più di sei anni riversa le sue esperienze nel suo canale YouTube 8 mostrando come si possa coniugare un lavoro impegnativo, di successo, con il bodybuilding. La sua mentalità la potremmo definire SMART. S: Specific (pensa a 10 cose che vorrestifare,fanne solo 3 ma/atte bene). M· Measurable (ancorati ai numeri, ti diranno se hai ragione). A: Action oriented (improntato all'azione, pianifica, pensa ma soprattutto agisci). R: Realistic (fai in modo che le tue ambizioni siano reali e concretizzabili). T: Time bound (la differenza tra un sogno ed un progetto è una data). Il suo approccio al bodybuilding è flessibile e sostenibile, lontano dalla mentalità del tutto subito. Questo negli anni l'ha portato ad essere uno dei principali punti di riferimento in Italia.

Mi chiamo Fran (a.k.a. IronManager) e sono un Lifetime Drug-free Bodybuilder, vivo a Londra da 1O anni dove lavoro per una grande multinazionale come Strategy & Innovati on Manager. Il nickname Iron-Manager nasce appunto 5 anni fa con il corrispettivo canale YouTube (ironmanager82) dal desiderio di dimostrare a tutti coloro che sostengono di non avere tempo per un po' di sana attività fisica che tutto è possibile con la giusta pianificazione, passione e forza di volontà. IronManager non è uno dei tanti Guru, un professore o un articolista che pubblica quotidianamente sul Web. Mi piace descrivermi come un appassionato di Cultura Fisica a cui non piace solo parlare davanti ad una telecamera o scrivere su una tastiera, ma a cui piace invece 7

di Francesco Pignatti (www.ironmanager.it)

B https://www.youtube.com/user/ironmanager82

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cercare di metter in pratica quello che impara dalle sue letture e dall'esperienza di 16 anni di allenamento. Un'atleta agonista con 12 gare all'attivo che condivide da 5 anni con altri appassionati il suo percorso di Cultura Fisica come stile di vita all'insegna della Salute a 360 gradi. Nel corso degli ultimi anni ho conseguito diversi successi ed insuccessi, commesso tanti errori ed imparato da questi per continuare a migliorare il mio percorso e stile di vita. Questo è il mio breve Decalogo di Cultura Fisica, nella speranza che possa tornar utile ad altri appassionati, novizi o più esperti . ./

Fissa degli obiettivi realistici lungo il tuo percorso e convinciti che, se vuoi cambiare qualcosa, ogni volta dovrai fare qualcosa di diverso da quello a cui sei stato abituato fino a quel momento #NeverSettle .

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La gara è sempre contro te stesso/a , il tuo avversario sono le tue paure ed insicurezze, la tua forza di volontà l'arma per abbatterle. L'atteggiamento più equilibrato dovrebbe sempre essere volto alla ricerca di un percorso di continuo miglioramento individuale. Ogni anno dovremmo porci questa domanda: "Cosa posso fare per diventare la versione migliore di ME STESSO?"#YouvsYou .

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Armati di tanta forza di volontà e soprattutto di tanta pazienza! Non esistono scorciatoie, quelle sono per chi non ha voglia di mettersi in gioco per guadagnarsi i traguardi con sacrifici, passione e resilienza. Il prezzo da pagare è più alto ma le soddisfazioni finali ugualmente più appaganti! #RomeWasntBuiltlnaDay!

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#NoExcuses! Visualizza il tuo obiettivo e lavora ogni giorno per fare un piccolo passo verso il tuo traguardo. Tutti riescono a trovare un po' di tempo per della sana attività fisica durante la giornata. Consideralo come tempo da dedicare alla cura di te stesso/a! Prenditi cura di te stesso/a!

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Sii critico nei confronti di tutto e tutti, non credere alle favole, assumi un approccio scientifico ed obiettivo in ogni occasione, non dare nulla per scontato, non esistono dogmi - rimani flessibile ed aperto di mente: accetta la possibilità di dover cambiare radicalmente le tue sicurezze ed il tuo credo in itinere .

./ Non perderti nelle minuzie, nei dettagli e in inutili bicchier d'acqua. Tieni sempre come riferimento il grande schema delle cose per raggiungere il tuo obiettivo! Non è quello che facciamo in un determinato momento della giornata che fa la differenza ma il percorso inesorabile di anni ed anni di lavoro! · ./

Non puoi far crescere un muscolo che non riesci a sentire! In palestra lascia il tuo Ego a casa ed impara prima i corretti schemi motori per attivare i muscoli target e mantenerli sotto tensione continua durante l'intero arco del movimento .

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Non esiste il protocollo di allenamento ideale ma tante strade che permettono di raggiungere lo stesso traguardo ... dobbiamo rimanere aperti di mente, sperimentare il più possibile, scegliere il meglio di ciascun programma e cucirci addosso una soluzione su misura! Quella in cui crediamo fermamente, che ci porta risultati e che ci motiva a dare sempre del nostro meglio!

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A tavola scegli un approccio Flessibile e Sostenibile all'alimentazione che ti permetta di seguire la "dieta" come stile di vita alimentare da portare avanti per tutta la vita. Ricorda sempre che è quello che facciamo sul lungo termine che fa la differenza, non quello che si fa durante una breve finestra temporale .

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Vivi la Cultura Fisica come stile di vita, nella continua ricerca di un equilibrio salutare fra mente e corpo (Mens Sana in Corpore Sano). Fai tesoro dei principi della Cultura Fisica come stile di vita per affrontare tutte le altre situazioni e dinamiche della vita quotidiana .. .la disciplina, la perseveranza, la determinazione, la caparbietà, la grinta, il

rispetto per il prossimo sono qualità trasferibili m qualsiasi contesto della nostra vita sociale #HaveFun !2

Estremismi ed estreme considerazioni

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Normalmente la psicologia serve soprattutto per motivare, per trovare delle ragioni valide per fare qualcosa costantemente nel tempo. La bilancia ha due pesi, il dolore e il piacere, a seconda di quale prevale scegliamo se fare una cosa oppure no: metterci a dieta, andare ad allenarci, ecc. Mediamente prevale il dolore. Perché? Perché la rinuncia, la fatica, sono immediati. I benefici invece sono futuri, devi stare tot tempo a dieta, allenarìi per tot mesi, prima di vedere evidenti benefici. Prima paghi e successivamente arriveranno i risultati. Ognuno si crea delle scuse, delle giustificazioni per non fare oggi quello che dovrebbe. "Ormai è tardi, piove, oggi ho lavorato troppo, domani sono più libero per andare in palestra, ecc. ". Siamo dei giudici di noi stessi e siamo sempre assolti. La psicologia serve a questo, serve a farti capire che l 'immagine, la visione che hai delle cose è soggettiva, il mondo lo vedi come vuoi te. Puoi decidere solo una cosa, cosa fare ora! Domani è domani, nuovi impegni, nuovi imprevisti, nuove scuse ti bloccheranno. Le guerre si vincono con le battaglie, piccoli obiettivi quotidiani portano alla meta. La psicologia non serve per trovare fuori da te le motivazioni, ma per fartele nascere dentro. Se ti automotivi tutto sarà in discesa, ricordati che:

"lo sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima. u Questo paragrafo conclusivo è diverso ed è rivolto non a chi non ha la motivazione, ma a chi ne ha troppa. A chi incentra tutta la sua vita sulla dieta, sull'allenamento. A chi ritrova se stesso soltanto quando fa una cosa. Il bodybuilding è un po' lo specchio di questa realtà. Nel bodybuilding tutto è estremo, tutto è portato all'eccesso. Questo ovviamente non vale solo per questo sport, ma anche per il ciclismo, triathlon e molti altri. Ma negli anni si stanno creando nuove realtà, nuovi modi d'approcciarsi alla propria passione. Riccardo Grandi è uno dei preparatori più famosi e importanti d'Italia ed il suo approccio è rivoluzionario perché è moderato. Senza estremismi, senza/a/si miti e bugie.

Noi facciamo quello che facciamo perché questo è ciò vogliamo fare. La nostra passione ha costruito il nostro carattere, ed il nostro carattere ci definisce come persone.Non perdete mai la vostra passione". 11

È vero, troppe persone vivono una vita senza passione, ma è anche giusto ricordarsi che la vita non è solo quello, la vita si arricchisce se non viviamo solo per una cosa. Essere estremi non è un vantaggio. Riccardo lo dimostra perché il suo approccio sostenibile crea campioni. Faccio il preparatore di natural bodybuilding. Seguo atleti agonisti e non, uomini e donne, giovani e meno giovani. Avete presente uno di quei preparatori "alchimisti" che dicono "togli questo e metti quello", che affermano "la frutta fa male", che obbligano "scarica l'acqua, il sodio, il latte, la verdura, la frutta, il pane, i carboidrati, il frumento, il glutine, l'aria e non fare la doccia" ... ecco io non sono così. Nella mia vita di atleta - allenatore - preparatore, ne ho viste di tutti i colori, da quello che non beve un goccio d'acqua per tre giorni a quello che se ne scola undici litri, da quello che mangia solo gallette di riso "perché asciugano" a quello che mangia solo frutta, da quello che legge i giornaletti pomo tra. una serie e l'altra "perché stimolano il testosterone" a quello che prende un

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di Riccardo Grandi, fondatore del progetto "Sustai' b··. e ·B .. . · building"

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chilo di fieno greco, gamma orizanolo e tribulus per lo stesso motivo . . . insomma un mondo strano, variopinto e a tratti mentalmente instabile. Nell'immaginario collettivo c'è sempre la ricerca della "pillola magica" per ottenere di più o più velocemente un qualcosa che senza equilibrio non si otterrà mai, senza comprendere che i campioni, quelli natural, quelli veri, sono persone bilanciatissime con una vita appagante anche oltre il body building e assolutamente in asse con se stessi e le loro convinzioni che sono, guarda caso, fortemente attivanti (convinzione ... con-vinzione ... vincere con ... ). Nella storia il doping (o presunto tale) è nato più di 2000 anni fa. Ci sono degli scritti che raccontano che nell'antica Grecia gli atleti delle Olimpiadi mangiavano testicoli di toro per migliorare la loro prestazione. Il doping non è solo un body builder che s'inietta del testosterone o un ciclista che si fa dell'EPO, ma è anche una cosa mentale, che è intrinseca nell'immaginario collettivo e nella cultura di ogni essere umano. Chi non pagherebbe per avere una pillola che la mattina dopo lo trasformi in un essere più magro, più muscoloso, più fisicato, più figo/a? Praticamente tutti, soprattutto i sedentari cronici. Per questo motivo ho sempre cercato di creare un qualcosa di efficace, sensato, vero, tangibile e soprattutto salutare e cercare di fare cultura in un modo controllato. Dopo tanti anni sono arrivato alla conclusione che nulla ho creato, tutto era già stato scritto e fatto, solo che è stato anche storpiato, ecceduto e maltrattato ed io mi sono limitato a "ri-masterizzare" ciò che da una vita è sotto i miei occhi. Tutto quello che in questo libro è stato scritto, ogni credenza destrutturata, ogni "scienza da social network" demolita, ha per me un significato e un campo di applicazione. Si parla di dieta alcalina senza capire che il nostro corpo ha dei sistemi tampone che controbilanciano ogni cosa (come vedremo nei prossimi capitoli), ed è proprio in questi frangenti che si vede l'eccesso ... quello che mangia il tal ortaggio invece che l'altro perché è più alcalino senza capire che una volta che il corpo è in salute nulla di tutto questo ha senso, e se invece non è in salute ... nulla di tutto questo ha senso. Si cerca di sistemare l'albero senza guardare la foresta. Un'alimentazione varia, ricca di ogni alimento (qualcuno più frequente di altri che in accumulo possono dare "fastidio"), con un allenamento rispettoso del sistema nervoso e ormonale del soggetto, congruo con gli obiettivi dello stesso e tanto tanto tempo. Ecco la "pillola magica" che porta salute e performance. Che cosa spinge una persona ad allenarsi 6-7 volte a settimana per ore e ore (spesso anche in doppia split quotidiana) e mangiare solo merluzzo e acqua (poca)? Perché un atleta (o presunto tale) deve dimostrare la sua "forza" sforzandosi in maniera immane? Per quale motivo ci sono persone che pensano che da uno squilibrio si crei un equilibrio? La risposta è racchiusa nella mente degli atleti, nel loro disagio, nella loro mancanza di accettazione, nel fastidio interiore di chi ha un qualcosa da dimostrare a se stesso o ad altri. Per molti, il body building, non è una parte arricchente della vita, ma è la sola ragione della propria vita. Tutto questo ha un senso se si vede come un'opportunità. Solo dopo aver visto il buio, si può apprezzare la luce ed ecco che allora si scopre che il body building è l'unico sport (se si può chiamare così) che prevede una depauperazione, una violenza fisica e mentale autoindotta, una disidratazione, una forza che cala man mano che la gara si avvicina, una prestazione dimezzata nel giorno più importante, proprio per quella striatura, quel dettaglio in più che spesso manca proprio in quel giorno cruciale per rispuntare all'indomani a seguito di una ricarica fatta di tre pizze, due birre e una torta. Avete mai visto un centometrista che fa il record mondiale negli allenamenti e il giorno della gara è debole, stanco, disidratato o grasso? Certo che no. Un centometrista è al massimo delle sue capacità fisiche, mentali, funzionali e in quel giorno è con la massima massa muscolare possibile,

massima velocità, massima forza e minima quantità di grasso. Perché nel body building allora bisogna arrivare a "violarsi" nascondendosi dietro ad un No Pain No Gain? Ecco che tutto questo ha un senso se l'atleta inizia a riflettere, pensare e decidere in maniera più equilibrata. Si domanda, ma cosa sto facendo? Ed ecco che l'atleta cerca (e trova) l'alternativa. Alimentazione sostenibile che preveda tutto ciò che il nostro mondo alimentare ci propone. Non fraintendetemi, non pensate che io proponga a tutti di mangiare pizza, birra e dolce, ma non sono infrequenti atleti che si "tirano" con 300-400 g di carboidrati al giorno e con 2,5 g di proteine TOTALI per ogni chilo di massa magra, spaziando in un parco di 50-60 alimenti diversi, invece dei soliti riso, pollo, insalata, avena, Whey, albumi, che si allenano quattro giorni a settimana in maniera pesante ma anche sensata e che lasciano il tempo per il lavoro, la vita privata e i rapporti affettivi. Ho cercato di eliminare digiuni, scariche, ricariche ("pulite" o "sporche" che siano), split multiple quotidiane e tutti questi eccessi, per avere un equilibrio che lentamente ha portato da un punto A a un punto B. Nel body building si lavora con lo stress. Lo stress ci serve per migliorare, progredire e crescere, ma credo che si sia perso di vista il concetto di tale termine. Lo stress è visto come un "più ce n'è e meglio è", ci si concentra sullo stress muscolare, quando invece bisogna tenere presente anche lo stress sistemico (sistema nervoso, ormonale, emozionale, mentale). Un atleta appena mollato dalla morosa avrà molto più stress sistemico di uno sentimentalmente stabile, e quindi perché non tenerne presente in una preparazione? Se un atleta ha un surplus lavorativo e passa da 8 a 1O ore di lavoro perché devo ucciderlo con scariche e allenamenti ali' alba e al tramonto? Se ho un livello di sopportazione dello stress 100 (come unità di misura immaginaria) non è puntando a 200 che troverò una super-compensazione, ma mirando a 1O1-102, solo per un breve periodo. E poi ... che cos'è lo stress? Ognuno di noi ha una chiave di lettura diversa e questa libera interpretazione arriva da ciò che ognuno di noi pensa riguardo a quello che fa. Provate a dire a un ciclista: "adesso farai una salita durissima!!!" Esso proverà autentico godimento. Ora provate a dirlo alla signora Pina ... si sarà scoraggiata ancora prima di vederla. E allora perché in una preparazione non si tiene conto anche di quello che pensa l'atleta riguardo a quello che gli è proposto? La preparazione di Marco Bassi (il campione italiano assoluto NBFI 2014) che l'ha portato a vincere non è iniziata due mesi prima tagliando e togliendo, ma otto mesi prima aggiungendo e aggiustando. Si sono tolti gli eccessi proteici e aggiunti gli alimenti mancanti in un quadro che doveva essere sostenibile, completo e appagante per lui. La preparazione non era basata su "mangia questo e quello", ma su "aggiungi e ascoltati". Si è "ricostruito" un metabolismo che era già rallentato e si è fatto insieme, parlando e provando a "mettere" continuamente un qualcosa di nuovo che il suo corpo recepisse come una sorta di adattamento migliorativo, che de-stressasse la sua parte sistemica lasciando così al suo fisico più spazio di azione, potendo così aumentare l'intensità d'allenamento. Dal punto di vista alimentare si cercava di togliere stress e dare "benzina" sempre in maggiore quantità, e nell'allenamento si poteva aumentare lo stress spingendo a fondo l'acceleratore con una frequenza che permettesse completi recuperi. In poche parole si è portata una BMW sportiva a diventare una Ferrari da Formula 1. Solo dopo questo processo si è potuto tagliare e arrivare a quella definizione e qualità estreme che l'hanno portato a essere vincente. Un taglio programmato e mai sbilanciato, tutto doveva rimanere in asse con quanto creato in precedenza, e quattro settimane prima della gara si è cominciata quella ricarica lenta, centellinata, continua e progressiva che l'ha portato sul palco nelle condizioni di quel centometrista che fa il record del mondo nel giorno in cui c'è in palio l'Olimpiade. Acqua, sale, alimenti vari, frequenza dei pasti, tutto è rimasto in linea con quello che lui riteneva fattibile, attuabile e sostenibile.

Il concetto di "natural" che io cerco di proporre nei miei seminari e consulenze non è solo ed esclusivamente un drug free ma soprattutto un sistema di preparazione che porti ad un andamento naturale delle cose. Credo che la vita sia troppo breve perché si sciupi dietro l'inseguimento di una medaglia di latta che rappresenta "l'essere vincente", ma che sia sicuramente più appagante se si riesce a viverla con "mentalità vincente", e se poi tale mentalità porta alla vittoria di quella medaglia sarà diventata il simbolo del completamento di un cammino che rimarrà comunque arricchente e vitalizzante.

Conclusioni Speriamo, con questo capitolo, di avervi fatto capire quanto la psicologia influenza la nostra relazione col cibo e di conseguenza la nostra composizione corporea. Possiamo studiare tutti gli aspetti biochimici e fisiologici che riguardano il dimagrimento e la massa muscolare, ma se non affrontiamo il lato psicologico non otterremo mai il massimo del risultato. Molte diete dubbie funzionano semplicemente perché chi le segue ha fiducia nella loro filosofia, è convinto che otterrà dei risultati e questo permette al suo organismo di stressarsi di meno e di godere appieno del potere psicofisico della mente (non perdetevi quest'arma).

Post scriptum: quello che rimane

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Da bambino mi sdraiavo in montagna a guardare il cielo, vedevo le nuvole libere passare. Il vento pettinava l'erba che si increspava come onde sul mare. Tutto si muoveva ma era come se rimanesse fisso, immobile, perenne. Quando si è giovani tutto passa lentamente, ogni esperienza ti segna, rimane impressa nella memoria, indelebile. Mano a mano che si cresce la vita prende la rincorsa, i giorni iniziano a galoppare e gli anni scorrono veloci come le nuvole in montagna. La vita è così, un battere di ciglia, e alla fine cosa rimane? Ricordi, sensazioni, sapori che affiorano dal profondo della bocca, rumori lontani. A volte mi chiedo perchè mi alleno, perchè lo faccio? Da anni, ogni giorno, sfido me stesso, a volte vinco altre perdo, eppure sono sempre li con 40° o -10°, col sole e la pioggia. Ogni giorno costringo il mio corpo alla fatica, lo annego nel dolore, alla ricerca di quella ripetizione in più, di quel chilo da aggiungere al bilanciere, di quel tempo da battere. Ogni giorno miro a salire un gradino più in alto, come se volessi arrivare a toccare le nuvole che stanno in cielo. Quand'ero ragazzo mi allenavo perchè volevo essere il migliore, volevo fare il pugile professionista, poi un giorno ai campionato regionali sono finito al tappeto al primo round; in un altro incontro mi sono accorto alla terza ripresa che il mio avversario si stava limitando a portare a casa il match senza infierire. Allora mi sono reso conto che non sarei mai potuto diventare il migliore. Ho continuato, tuttavia, ad allenarmi, ho smesso di ricercare le sfide nel battere gli altri ed ho deciso di gareggiare solo contro me stesso. Sono passato dall'esercitarmi in palestra per poi finire a farlo a casa, in camera, in un metro quadro. La notte accanto al letto avevo i kettlebells, la magnesite rimaneva nell'aria, si appoggiava sulla scrivania, sulla sedia e sulle coperte. I miei occhi, alla luce della lampada, guardavano la polvere galleggiare ma vedevano le nuvole in montagna.

10 di Andrea

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Biasci, articolo apparso su http://www ra

Cosa rimane dell'allenamento? Muscoli indolenziti? Una fatica che ti cade addosso e ti sprofonda nel sonno? Oppure resta qualcosa di più? Perchè, in fondo, noi siamo la nostra storia, e se questa è fatta da mille allenamenti passati, noi siamo anche quelli. Siamo la nostra passione che ci scorre impetuosa dentro come sangue. Siamo le nostre aspettative, la nostra voglia di migliorare e di toccare le nuvole in cielo. Non so cosa mi regalerà la vita ma posso ritenermi fortunato. Ho conosciuto uomini di una forza incredibile che mi hanno fatto sentire piccolo e mi hanno stimolato a crescere. Ne ho conosciuti altri che hanno fatto assieme a me questo percorso e sono diventati Master Sport, persone comuni che hanno ottenuto risultati eccezionali. Ho incontrato tanti ragazzi simili a me, con gli occhi che vedevano quello che vedevo io. Un giorno da vecchio, davanti al camino, mi accorgerò che al mantello della vita, come foglie, sono rimasti attaccati tutti i trionfi, le sfide portate a casa, le vittorie ottenute. Mentre davanti agli occhi, nascosti dal fumo della legna, ci sono ancora i sogni irrealizzati, le sconfitte cocenti, le delusioni mai dimenticate. Tra le scintille, che salgono, tutte le nuvole che non sono riuscito e non riuscirò mai a prendere. Allora mi dico che oggi vale ancora la pena di lottare, vale ancora la pena di stringere i denti, di rincorrere i sogni. Tutto passa, per questo è meglio lasciarsi alle spalle un passato glorioso fatto di piccole vittorie personali, di risultati indimenticabili ottenuti col sudore e la costanza. Il futuro è più importante del presente, soffrire oggi per goderne domani, senza rimproverarsi niente. Ricordatevi che siete la vostra storia, fate in modo che sia una storia di successo.

Capitolo ÌII

I nutrienti In questo capitolo analizzeremo i mattoni principali della nostra alimentazione: carboidrati, proteine, grassi, acqua, alcol ed alcuni micronutrienti. Grazie a questi l'organismo ricava le energie per vivere e per portare avanti i processi organici. Ma i macronutrienti non sono solo dei mattoni con cui costruiamo il nostro corpo. Sono anche dei segnali che gli diamo per l'espressione genica, messaggi che poi si riflettono sulla nostra composizione corporea e sulla nostra salute. Quando introduciamo dei carboidrati al posto dei grassi o viceversa, stiamo mandando degli ordini ai nostri geni, che si attiveranno o spegneranno, a seconda del nutriente introdotto. Le proteine sono ancora di più l'emblema di come l'alimentazione influenzi l'espressione genica. Determinati aminoacidi, rispetto ad altri, attivano la traduzione e trascrizione di specifiche proteine. I macronutrienti, in alcuni casi, svolgono un ruolo molto simile a quello degli ormoni.

I carboidrati Le prime nozioni da sapere Per anni c'è stato detto dalla televisione che la pasta, il pane e la pizza erano cibi salutari. Ma ne siamo veramente sicuri? Chiunque abbia provato a ridurre fortemente i q1rboidrati ha notato immediatamente un calo di peso, in primis dato dalla perdita d'acqua legata al glicogeno muscolare, in seguito anche dal grasso (spesso viscerale). Ma allora perché gli zuccheri sono tanto esaltati se ci fanno ingrassare? I carboidrati, definiti anche glucidi, sono il macronutriente più consumato nell'alimentazione italiana e mondiale. Hanno una funzione principalmente energetica e sono un carburante ''pulito". La loro composizione chimica può essere scritta con la formula Cm(H20)n, che ai più non dirà molto se non che H 20 è la sostanza più presente nel nostro corpo. Mangiare carboidrati in abbondanza (secondo le necessità) equivale a porre le basi per rimanere idratati. Nel nostro corpo abbiamo una riserva di 350-500 g di glucidi sotto forma di glicogeno, di questi 250-400 g sono accumulati nei muscoli, 100 g nel fegato. Prendete pure questi numeri con le pinze, altri testi modificano leggermente i valori ma i rapporti rimangono più o meno gli stessi. Il glicogeno muscolare è il miglior carburante per l'attività fisica intensa, la sua composizione chimica e la sua locazione (corte catene, vicino a dove serve) fanno si che sia immediatamente

utilizzabile dall'organismo; a differenza dei trigliceridi intramuscolari non ha bisogno d'ossigeno per essere utilizzato, pertanto la velocità con cui si trasforma in energia è più elevata. Il glicogeno epatico (del fegato) è invece meno sfruttabile durante gli sforzi (lunghe catene che devono essere trasportate dal fegato ai muscoli) ma è fondamentale per reg9lare la glicemia ematica (del sangue). Durante il digiuno è solo la componente epatica che interviene come fonte energetica di sostentamento; le riserve muscolari si attivano solo localmente, quando il muscolo specifico lavora. A riposo i muscoli delle persone magre ed allenate utilizzano quasi esclusivamente gli acidi grassi come fonte energetica (flessibilità metabolica), mentre nelle persone grasse e sedentarie c'è sempre un mix tra zuccheri e grassi (inflessibilità metabolica). Ad attivare la glicogenolisi, la rottura dei pacchetti di glicogeno (zucchero complesso) in glucosio (zucchero semplice), sono principalmente due ormoni: catecolamine (adrenalina e noradrenalina) e glucagone. La differenza sostanziale è che le prime hanno un'influenza sul glicogeno muscolare, il secondo su quello epatico. Durante l'attività fisica sono le catecolamine ad aumentare, questo permette all'organismo d'attingere alle riserve muscolari senza intaccare eccessivamente quelle del fegato. Se anche il glicogeno epatico intervenisse pesantemente durante l'attività fisica, non rimarrebbe nessuna riserva in grado di regolare la glicemia, pertanto, fenomeni d'ipoglicemia sarebbero molto più frequenti. Il corpo dà sempre la priorità al mantenimento dell'omeostasi (regolazione delle funzioni interne), piuttosto che alla contrazione muscolare e alla performance. 1 g di carboidrati apporta mediamente 4 kcal

La quantità di scorte di zuccheri equivale, più o meno, al metabolismo basale ovvero 2000 kcal (500g), in una persona allenata di 70 kg. Il corpo predilige stoccare grassi piuttosto che carboidrati perché ogni grammo di glicogeno richiama 2,5-2,7g d'acqua, mentre un grammo di lipidi solo 0,3 g. Se accumulassimo 10 kg di zuccheri aumenteremmo di 35-37 kg (10+25-27 kg), mentre ingrassare di 10 kg di lipidi equivale a pesare "solo" 13 kg (1 O+ 3 kg) in più, una aggiunta molto meno dispendiosa ed ingombrante da trasportare. La quota basale di glucidi da introdurre con l'alimentazione (fabbisogno) è di 180 g (720 kcal), per una persona sedentaria di 70 kg e serve a nutrire il sistema nervoso centrale (il cervello da solo consuma 120 g),' gli eritrociti (globuli rossi), una parte del rene, i testicoli ed i globuli bianchi. II fabbisogno glucidico non è dipendente dall'alimentazione, se non si introducono carboidrati l'organismo si procura gli zuccheri da altri substrati (aminoacidi glucogenetici, acido lattico, glicerolo) e shifta il metabolismo neurale verso i corpi chetonici (derivati degli acidi grassi). Vedremo successivamente le diverse strategie per decidere quanti carboidrati mangiare a seconda del proprio obiettivo e stato metabolico. L'assunzione di glucidi è strettamente legata alla stimolazione ormonale del pancreas che secerne l'insulina. Questo avviene come risposta all'aumento della glicemia; tuttavia, anticipiamo che anche gli altri macronutrienti (proteine e grassi) possono stimolarla, anche se in misura minore, pur non variando i livelli glicemici. Se da una parte una buona dose di zuccheri è ottimale per la salute, dall'altra un suo eccesso può port~re a vari problemi (ipoglicemia riflessa, stanchezza, gonfiore, insulino-resistenza, diabete). Vedremo successivamente che questo macronutriente è il punto cardine per migliorare la composizione corporea. Saperlo sfruttare, saper introdurre sempre più carboidrati senza ingrassare, è la chiave del successo per restare magri, muscolosi ed in salute.

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Il fabbisogno glucidico Si sente spesso dire: non esistono carboidrati essenziali ma solo aminoacidi e grassi essenziali. Ottimo e questo cosa vuol dire? Che i carboidrati sono un macronutriente meno importante? Che possiamo benissimo vivere senza? Certo, possiamo vivere anche senza figa se è per questo. Certe affermazioni apparentemente logiche, non mostrano una comprensione reale del metabolismo del corpo, dei suoi regolatori e degli effetti che questi hanno sulla nostra composizione corporea. Per essenziale intendiamo un nutriente che: ./ deve essere presente in quantità adeguate per non danneggiare i tessuti o le funzioni organiche; ./ il corpo non può sintetizzarlo o comunque non ne può produrre in quantità sufficiente; ./ si può ricavare esclusivamente con la dieta. I carboidrati in alimentazione non vengono considerati essenziali ma necessari; la malnutrizione proteica si verifica dopo mesi, senza zuccheri in pochi minuti si muore. Noi non possiamo vivere senza glucosio per questo è necessario, perché se non avessimo potuto procurarcelo ci saremmo già estinti. Il fatto che possa derivare dagli altri macronutrienti (aminoacidi glucogenetici, glicerolo, acido lattico), non ne abbassa l'importanza, anzi la eleva. Limitare l'assunzione di glucidi, come succede solitamente nelle diete iperproteiche, è una delle tante strategie per perdere peso. Funziona? Si funziona. È ottimale? No non è ottimale, almeno sul lungo periodo. Come succede per tutti macronutrienti conviene assumerne il giusto quantitativo, né inferiore né superiore. Cosa ci perdiamo se limitiamo eccessivamente i carboidrati?

1.

2.

Si abbassa il metabolismo. La leptina (ormone che studieremo in seguito) è regolata sul metabolismo glucidico adipocitario. Mangiare pochi carboidrati porta ad abbassarla, con ripercussioni sugli ormoni tiroidei e gonadici. Tra l'altro l'enzima deiodinasi che converte l'ormone tiroideo T4 (poco attivo) in T3 (molto attivo) è regolato principalmente a livello epatico, renale e muscolare. Più le scorte di glicogeno sono elevate e più è alto il metabolismo. Si limita la crescita muscolare. La sintesi proteica è un processo che richiede un surplus calorico. Lo stato energetico cellulare è governato anche dai depositi di glicogeno. Diete low carb abbassano i valori delle scorte muscolari. ·

Perché sono i carboidrati il carburante preferenziale?

Per quattro ragioni. 1.

2. 3. 4.

A parità di consumo d'ossigeno producono più energia: 1 1 di 0 2 produce 5,36 kcal ossidando il glucosio; 1 l di 0 2 produce 4,47 kcal ossidando acido palmitico; 1 1 di 0 2 produce 3,33 kcal ossidando Isoleucina /leucina; Gli acidi grassi non possono essere ossidati in assenza d'ossigeno. I carboidrati non producono prodotti di scarto come l'azoto delle proteine o i chetoni degli acidi grassi. I marcatori dei fattori di crescita si innescano con una dieta ipercalorica ma rimangono prevalentemente silenti se non attivati dall' insulina. Senza carboidrati è molto più difficile mettere su muscolo. Oltre a tutto questo, aumentando la glicemia, hanno un'azione diretta contro la proteolisi, come vedremo nei prossimi paragrafi.

Quant'è il fabbisogno glucidico.

Il nostro corpo possiede tessuti glucosio dipendenti e glucosio preferenziali. I primi sono quelli privi di mitocondri come i globuli bianchi e rossi, che possono usare solo la glicolisi anaerobica come fonte energetica. I secondi sono quelli praticamente privi degli enzimi per la betaossidazione e che utilizzano come metabolita energetico il glucosio, ma che possono, in caso d'evenienza (digiuno, dieta chetogenica), sfruttare anche i col])i(chetonici se occorre (il neurone è uno di questi tessuti). Dopo due ore da un pasto, quando la glicemia torna a valori quasi normali, il fegato inizia a rilasciare glucosio nel sangue. Mediamente l'organismo ha bisogno 7-8 g di glucosio all'ora (0,1-0,12 g/kg di peso corporeo) se la persona non è attiva. Il fabbisogno glucidico raggiunge il suo massimo dopo 10-12 ore di digiuno dopodiché il metabolismo inizia a shiftarsi verso la beta-ossidazione (grassi) . ./ Il SNC ha bisogno mediamente di 120 gal giorno, pari al 40-60% del consumo totale di glucosio; in una persona moderatamente attiva di 70 kg . ./

Gli eritrociti (i globuli rossi) consumano invece 37 g nelle 24 h (tra il 12-15% del consumo totale) .

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Midollare del surrene, testicoli, retina e tutti gli altri tessuti glucosio-dipendenti consumano 45-50 g (17-21% del consumo) .

./

I muscoli, a seconda dell'attività svolta, richiedono più o meno glucosio. A riposo il loro dispendio è prevalentemente a carico degli acidi grassi ed in una persona sedentaria consumano al giorno 30-40 g di glucosio (15-18% del totale).

In condizioni basali il fabbisogno glucidico si aggira intorno ai 180 g al giorno (2,5-2,6 g/kg di peso corporeo), e può aumentare a seconda dell'attività lavorativa e sportiva che la persona svolge. Mediamente il consumo giornaliero può arrivare a 210-220 g per chi non fa mestieri pesanti né sport (3-3,2 g/kg di peso corporeo). Va fatta una premessa che vedremo meglio nel paragrafo sull'insulino-resistenza. Molte persone non tollerano i glucidi, o per via di diete sbagliate, o perché sedentarie da anni, o perché sovrallenate. Anche pochi quantitativi di carboidrati le gonfiano e le fanno ingrassare. Questo dipende principalmente da una capacità mitocondriale limitata, da una resistenza alla leptina/insulina e da bassi livelli di adiponectina. Se mangiando glucidi ingrassate subito avete un bel reset metabolico da fare (come vedremo nel capitolo finale). Da dove arrivano gli zuccheri che non introduciamo

In condizioni di digiuno (per le prime 12-16 ore) il glucosio rilasciato nel sangue per soddisfare le esigenze dell'organismo arriva principalmente dal fegato che ne eroga 7-8 g all'ora. Di questi, 2/3 arrivano direttamente per glicogenolisi, mentre 1/3 da processi di gluconeogenesi (derivante dal lattato, aminoacidi muscolari, glicerolo). Il rapporto esatto tra i due dipende dalle scorte di glicogeno: più sono ampie e più vengono in prevalenza utilizzati i glucidi epatici. Abbiamo così in queste ore di "digiuno" una lisi muscolare atta a fornire energia. Va evidenziato che per ottenere un grammo di glucosio è necessario spendere non un grammo bensì 1,75 g di aminoacidi. In una giornata intera senza mangiare una persona utilizzerà mediamente 150 g di proteine per fornire glucosio, una somma molto rilevante per il catabolismo muscolare. Il digiuno intermittente è una delle strategie per perdere peso ma va fatto correttamente, il rischio è di catabolizzare in parte il tessuto contrattile. Va precisato che l'adattamento al digiuno, permette di limitare la lisi muscolare. Il corpo regola la biosintesi proteica in base alla disponibilità degli aminoacidi nel flusso ematico. Motivo per cui chi attua l'intermittent fasting (dieta che studieremo in seguito), dopo un primo periodo d'adattamento, non cannibalizza il suo corpo

quando non mangia. O meglio, ne limita la lisi ed ha una supercompensazione dell'anabolismo proteico una volta che reintroduce i macronutrienti (proteine+carboidrati). Morale della favola

La morale della favola è che tutte le strade portano a Roma. Potete scegliere se fare tanti piccoli pasti durante la giornata per limitare il catabolismo muscolare, oppure potete scegliere il digiuno intermittente lasciando all'organismo la possibilità d'adattarsi e di sfruttare dopo una fase catabolica una sovra-fase anabolica.

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Potete decidere di mangiare tante proteine in modo che la loro più lenta digestione/assorbimento rilasci in modo graduale aminoacidi nel sangue, oppure potete assumere molti carboidrati per limitare il più possibile la lisi epatica e muscolare. Quello che non potete fare è impedire al vostro organismo di consumare 180-220 g di glucosio al giorno (senza allenamento). La strategia che sceglierete dipenderà da voi, low carb, chetogeniche sono diete che funzionano benissimo (soprattutto per tempi limitati), tuttavia difficilmente le persone si trovano bene per tutta la vita. Perché? Perché non assumere il giusto quantitativo di carboidrati è un po' come vivere m Italia e scambiare gli euro in dollari per poi doverli ricambiare per potersi comprare gli oggetti. È scomodo e poco fruttuoso. Impariamo ad alimentarci in modo intelligente, impariamo a dare al nostro organismo quello di cui ha bisogno, carboidrati compresi.

Il metabolismo glucidico Si dice che la struttura è al servizio della funzione ed anche la nostra dentatura risponde a questo principio. Osservando il cranio dei primati si nota una forma stretta e affusolata essenziale per ospitare potenti muscoli masticatori (temporale e massetere), funzionali a triturare cibo tutto il giorno. I gorilla ed i nostri antenati avevano molari tre volte più grandi dei nostri adibiti alla macerazione di arbusti (il gorilla mangia 16-18 kg di vegetali al giorno). Gli erbivori passano buona parte del tempo a digerire i vegetali in bocca, questo grazie all'amilasi salivare. I carnivori possiedono invece potenti canini utili a squarciare la carne, ma non a masticarla e infatti la ingoiano.

Il viaggio digestivo dei carboidrati inizia così, all'inizio dell'apparato digerente, nella bocca. I glucidi per essere scomposti devono rimanere in un ambiente neutro (pH 7) e per essere assorbiti devono essere trasformati in monosaccaridi. Il pane, che è formato da pacchetti di glucosio (amido polisaccaride), non può essere assorbito così com'è e pertanto viene inizialmente scisso tramite idrolisi in bocca, per poi successivamente completare la sua scomposizione nella parte digiunale dell'intestino (amilasi pancreatica). Una volta che è stato trasformato in glucosio semplice (monosaccaride) passa attraverso la membrana intestinale e viene immesso nel circolo portale dove arriva al fegato. La velocità con cui il nostro corpo può assorbire il glucosio (processo ATP dipendente) è molto rapida e raggiunge la velocità di 1 g/kg corporeo/ora. Se pesate 80 kg potete assorbire al massimo 80 g di glucosio all'ora. Questo non vuol dire che potete mangiare soltanto 80 g di pasta alla volta: uno perché 80 g di pasta corrispondono a meno di 80 g di zuccheri, due perché se introducete anche altri alimenti i tempi di digestione possono superare facilmente l'ora. Tuttavia mangiare troppi carboidrati, se mischiati ad altri macronutrienti (in un contesto ipercalorico), risulta uno dei modi più facili per ingrassare. Ricordatevelo la prossima volta che mangiate mezzo chilo di pane insieme al primo e al secondo. Ogni volta che ingeriamo un buon quantitativo di carboidrati (60% delle calorie del pasto), la glicemia si alza entro 40-60 minuti, passando da 80-90 (livelli ottimali) a 120-130 mg /100 ml. Dopo due ore e trenta torna al livello basale o addirittura a valori leggermente inferiori.

Nella valutazione della funzionalità del metabolismo degli zuccheri, il fattore da considerare, non è tanto l'entità dei picchi glicemici generati (i )quali costituiscono un evento del tutto fisiologico), bensì è il tempo con cui la glicemia torna a livelli basali dopo l'assunzione di carboidrati. Per esempio, i diabetici di tipo 2 e tutti quelli che soffrono d'insulino-resistenza hanno una difficoltà estrema nel far tornare, in periodi accettabili, la glicemia ai valori basali, palesando un cattivo stato del metabolismo glucidico. Per sapere se il corpo gestisce bene gli zuccheri (l'efficacia con cui il corpo li metabolizza), esiste il test di tolleranza al glucosio (che vedremo nel successivo paragrafo). Una volta che il glucide è stato assorbito come monosaccaride (glucosio-fruttosio-galattosio) arriva, come già accennato, al fegato dove hanno inizio le reazioni biochimiche che lo porteranno a trasformarsi in energia. Affinché il glucosio possa entrare nelle cellule ha bisogno dell'insulina. Lo zucchero è idrosolubile mentre le membrane cellulari sono principalmente lipidiche. Questo ormone pancreatico permetterà di richiamare dal citosol uno specifico trasportatore (GLUT-4), che consentirà il passaggio del glucosio attraverso la membrana. Nel fegato, nel cervello e negli eritrociti (globuli rossi) non ce n'è bisogno perché sono tessuti insulino indipendenti e la velocità di passaggio dipende soltanto dai livelli plasmatici di glucosio (passa principalmente attraverso gradiente). Una volta che lo zucchero entra nelle cellule dell'organismo abbiamo la fosforilazione a glucosio-6-fosfato. L'aggiunta di un gruppo fosfato imprigiona il glucosio dentro la membrana e ne impedisce la fuoriuscita. Esochinasi e glucochinasi sono gli enzimi che catalizzano la reazione. Soltanto il fegato possiede la glucochinasi e questa aggiunta lo rende il tessuto corporeo più idoneo per impacchettare e salvaguardarè il glucosio trasformandolo in glicogeno. Quest'ultimo, è la forma finale ottimale di conservazione degli zuccheri nella cellula, questo perché il potere osmotico del glucosio sarebbe di molto maggiore rispetto a quello del glicogeno e la cellula richiamerebbe troppa acqua dentro di se (potere osmotico degli zuccheri). Abbiamo visto precedentemente che il fegato non ha bisogno d'insulina per captare gli zuccheri mentre il muscolo si. C'è un'altra grossa differenza tra i due tessuti. Mentre tutte e due possono conservare al loro interno il glucosio sottoforma di glicogeno, solo il fegato è in grado di rilasciarlo nel circolo ematico, grazie all'enzima glucosio-6-fosfato fosfori/asi. Questa caratteristica garantisce l'esclusiva di quest'organo sul controllo della glicemia (durante il digiuno per esempio), mentre le cellule muscolari possono utilizzare gli zuccheri solo per la propria attività. Pertanto, al risveglio dopo 1O ore che non mangiamo, le riserve epatiche saranno state intaccate mentre quelle muscolari saranno quasi piene. I magazzini glucidici del corpo sono influenzati in modo rilevante dai livelli ormonali ed energetici. Il glucagone rende più facilmente disponibile il glicogeno epatico, mentre quello muscolare viene influenzato dall'adrenalina, come abbiamo già visto. L'insulina permette l'avvio dei processi di glicogenosintesi e blocca quelli opposti di glicogenolisi. Al contrario il cortisolo aumenta la gluconeogenesi ed interrompe la glicogenosintesi. Abbiamo così un antagonismo tra insulina e cortisolo. Questa rivalità crea dei problemi quando i due ormoni si alzano contemporaneamente. Per esempio, sotto stress, il cortisolo immette zuccheri nel sangue, i livelli basali d'insulina rispondono alzandosi e così la presenza simultanea dei due ormoni peggiora l'affinità dei recettori cellulari GLUT-4 (soprattutto quelli situati nell'addome) portando verso l'insulina-resistenza. La composizione dei pasti (glucidici o proteici) influenza la stimolazione ormonale adibita alla produzione e allo stoccaggio dell'energia. L'assunzione di carboidrati stimola il metabolismo glucidico adipocitario, aumentando la produzione di leptina e indirettamente degli ormoni tiroidei (repetita iuvant). Questa è la ragione per cui non possiamo limitare i carboidrati nel lungo periodo nella dieta, pena vedere il proprio metabolismo scendere vorticosamente.

Il glucosio non può essere utilizzato se non attraverso la glicolisi. Questo processo porta alla formazione di due molecole di piruvato a partire da una di glucosio. A questo punto, se nella cellula sarà presente sufficiente ossigeno (aerobiosi), avremo l'ossidazione in C0 2 e H 20, altrimenti verrà degradato in acido lattico (anaerobiosi). I passaggi ossidativi (in presenza d'ossigeno) avvengono tutti all'interno del mitocondrio, mentre gli altri nel citosol cellulare. Questo è il processo glicolitico: Glucosto

+ 2NAD+ + 2ADP + 2Pi

~ 2Piruvato

+ 2NADH + 2H+ + 2ATP + 2H2 0

Questo porta ad un guadagno complessivo di due molecole di ATP e due di NADH (particolari importanti solo per gli addetti ai lavori). La glicolisi è solo il primo passaggio della degradazione degli zuccheri. Successivamente, grazie all'intervento dei mitocondri, il piruvato verrà ossidato in anidride carbonica e acqua, garantendo un guadagno totale di 36-38 molecole di ATP. L'ossidazione del piruvato non è l'unica via di destinazione. Può indirizzarsi anche su un percorso anabolico e fornire lo scheletro carbonioso per la formazione dell'aminoacido alanina e per la sintesi degli acidi grassi e del colesterolo. Quello che ora ci preme sottolineare è l'estrema differenza di produzione d'energia tra l'anareobiosi ed i processi ossidativi (2 ATP contro 36-38 ATP). Ogni volta che la cellula produce lattato contrae un debito d'ossigeno che successivamente dovrà ripagare (ciclo di Cori). Per gluconeogenesi si intende la formazione di glucosio a partire da precursori non glucidici. I principali sono gli aminoacidi glucogenetici (58% degli aminoacidi) che per transaminazione o deaminazione producono ossalacetato. Gli altri aminoacidi sono invece chetogenici e producono acetil-CoA. Ossalacetato e acetil-CoA sono elementi fondamentali nel ciclo di Krebs, ma per ora non approfondiremo il discorso. Anche il lattato (il corpo ne produce almeno 40 g al giorno) e il glicerolo sono due precursori utili alla gluconeogenesi. Rapporti ormonali, livelli energetici citoplasmatici (ATP/ADP+AMP) e presenza di lattato, costituiscono quindi i fattori chiave per l'attivazione di processi glicolitici o glucogenetici a livello epatico. Ricordiamo infine che solo fegato e reni sono gli organi adibiti alla produzione di glucosio ex novo.

Test del glucosio ed AGE Il metabolismo glucidico è il metabolismo della vita, senza un buon utilizzo degli zuccheri tutto il nostro sistema si intasa e funziona male. Non possiamo essere dei buoni ossidatori di grassi se non sappiamo bruciare correttamente i carboidrati (tranne nella dieta chetogenica). Le ragioni sono diverse, prima fra tutte è che le cellule hanno imparato inizialmente a nutrirsi col glucosio e successivamente con gli altri macronutrienti. I metabolismi sono universali, gli studi sui farmaci vengono fatti prima virtualmente al computer, poi sui batteri, sui topi, su cani, scimmie ed infine sull'uomo. Le leggi della biochimica sono comuni a tutte le forme di vita, dal batterio all'elefante. Esiste un test OGTT (Oral Glucose Tolerance Test) che analizza la nostra risposta all'ingestione del glucosio. A stomaco vuoto, dopo 10-12 ore di digiuno, si somministrano 75 g di glucosio sciolti in 250 ml d'acqua in 5 minuti. La metodologia classica prevede ogni 30' un prelievo del sangue (il test semplificato limita la rilevazione glicemica tra O e 120 minuti). A seconda di come risponde il soggetto possiamo determinare la sua tolleranza agli zuccheri, se dopo due ore i valori glicemici tornano sotto i 120 mg/dl, il test è negativo e abbiamo una buona risposta. Valori glicemici elevati (superiori a 100 mg/dl) prima dell'assunzione del glucosio (a digiuno) possono indicare la presenza d'insulino-resistenza. I tessuti periferici mal gestiscono gli zuccheri e

i livelli basali glicemici sono alti. Valori invece elevati dopo due ore dall'assunzione indicano più una prevalenza di un deficit della risposta insulinica che una resistenza insulinica vera e propria. Il primo caso è ricorrente nei soggetti giovani e col grasso localizzato sull'addome, il secondo nei soggetti anziani e magri. Valori costantemente elevati di zuccheri nel sangue si possono misurare anche attraverso un semplice esame ematico, in cui si prende in considerazione l'emoglobina glicata. Gli eritrociti (globuli rossi) hanno un'emivita di 60 giorni, pertanto la loro convivenza con gli zuccheri del sangue è sufficientemente lunga. L'emoglobina glicata è pertanto un test che permette di riassumere i livelli di glicemia medi degli ultimi 2-3 mesi. Alti livelli glicemici portano il glucosio nel tempo a legarsi con le proteine dando vita ai famosi AGE (Advanced Glycation End-product). La glicazione è una reazione non enzimatica tra uno zucchero, i gruppi aminici liberi delle proteine, gli acidi nucleici e i composti lipidici. Il glucosio nel sangue non è l'unico glucide a determinare questo processo: il fruttosio, il ribosio e tutti gli zuccheri fosforilati sono molto più potenti nell'innescare la glicazione. Forse è per questo che l'evoluzione ha selezionato il glucosio e non altri zuccheri come fonte energetica principale. I tessuti più colpiti dai glucidi sono quelli che non hanno barriere cellulari selettive per limitarne l'assorbimento. Le cellule endoteliali, quelle dei nervi periferici di Schwann, quelle dei glomeruli renali e della retina, non sono in grado di modulare il trasporto dello zucchero, pertanto sono più soggetti ai danni dati da un'iperglicemia. In base a nuovi standard, dosaggi di emoglobina glicata (HbA I c) 2: 6,5% identificano una condizione di diabete, mentre valori compresi tra 5,4% e 6,5% determinano una situazione di "pre-diabete". Più tendete ai range di salute 4,0-5,3% (avvicinandovi al valore più basso) e meno dovete preoccuparvi degli zuccheri nel sangue. L'indice glicemico è una cagata pazzesca Conoscere un dato è importante soltanto se all'atto pratico si rivela di qualche utilità. Conoscere l'indice glicemico (IG) degli alimenti ci aiuta a dimagrire? Serve per mettere su massa? Vedremo in questo paragrafo come l'IG sia un dato ormai obsoleto e poco rilevante, superato dal carico glicemico, dall'indice insulinico e dal carico insulinico. L'IG misura la velocità con cui si alza la glicemia assumendo 50 g di carboidrati di un alimento. Letto in questo modo sembra quasi che l 'IG indichi quanto un cibo influenzi gli zuccheri nel sangue ma non è esattamente così. Vediamo di capire il perché: pesa di più un chilo di chiodi o un chilo di piume? L'IG a parità di 50 g di carboidrati ci dice con che velocità entrano nel flusso ematico, ma a parità di 50 g (ribadiamo). La carota, per esempio, ha un IG alto. Tuttavia, questo alimento possiede per I 00 g solo 9,5 g di zuccheri, un quantitativo modesto, ma visto che i suoi glucidi sono a rapido assorbimento viene indicata tra gli alimenti ad alto IG. La glicemia è influenzata si in modo rilevante, ma con 50 g dei sui zuccheri non con 50 g di carota in toto. Dobbiamo mangiare più di 500 g di carote per arrivare ad assumere 50 g dei suoi glucidi. L'IG vi indica che tra i "gratta e vinci" ce n'è uno da 200.000 euro ma non vi dice tra quanti biglietti vi capiterà, magari è tra 1O e val la pena di comprarli tutti, magari è tra 1.000.000 e quindi il gioco non vale la candela.

È un indicatore della qualità ma non tiene conto della quantità. Ha un IG più elevato la banana o il pane integrale? Non ci interessa perché il primo alimento ha al suo interno solo 22-23 g di carboidrati (sempre su 100 g) mentre il secondo dai 50 g in su. Insomma, conta quanto ce l'hai duro, ma anche (mi suggeriscono dalla regia) quanto ce l'hai grosso. Per superare questa critica all'IG è stato introdotto il carico glicemico (CG) che tiene conto sia della qualità degli zuccheri ma anche della loro quantità. Ora potremmo pensare d'aver trovato un indicatore utile, invece non è tutto oro quello che zucchera.

Il CG è sicuramente interessante, ma non ci dice tutto perché tiene conto solo degli zuccheri. È stato ormai dimostrato che non sono solo i carboidrati a far aumentare l'insulina ma anche le proteine, i grassi (i quali abbassano il CG ma possono alzare l'indice insulinico) ed in misura maggiore un mix tra questi macronutrienti. Abbiamo così, alimenti con pochi carboidrati che alzano in modo rilevante l'insulina (per esempio i latticini). Per questo è stato creato l'indice insulinico ed il carico insulinico, i corrispettivi dell'IG e del CG ma che guardano l'insulina e non più la glicemia. Finalmente abbiamo trovato un dato utile a farci capire quali alimenti più facilmente ci fanno ingrassare o ci aiutano nella spinta anabolica (ricordiamo che l'insulina blocca la lipolisi e la gluconeogenesi, stimola la liposintesi ed aumenta l'up-take cellulare). Purtroppo è molto difficile reperire tabelle col carico insulinico in quanto sono presenti negli studi che la trattano ma tengono in considerazione le calorie (100 kcal) e non i grammi (100 g). Va infine aggiunto che, contrariamente a quanto si crede, non è principalmente l'insulina che ci fa ingrassare. Infatti abbiamo alimenti con alto carico insulinico che possono far dimagrire (latticini). Lo so è un casino ma ne parleremo meglio nel capitolo relativo agli ormoni. Concludendo, fermarsi all'indice glicemico degli alimenti vuol dire essere fermi alla preistoria, conoscere il carico glicemico ed insulinico può essere utile ma ormai non basta. Capire come funziona il nostro corpo, quando un ormone ci fa ingrassare, quando dimagrire, conoscere la nutrigenomica e l'effetto che gli alimenti hanno sui nostri geni è la chiave del futuro. Ma è una strada complessa, 200 fattori influenzano in modo rilevante la composizione corporea, mettetevi comodi (e prendete appunti), il viaggio continua.

Il mito dell'integrale Giustamente tutti prediligono, o dovrebbero farlo, i cibi integrali rispetto a quelli raffinati. L'errore di fondo tuttavia sta nel pensare che visto che è integrale possiamo mangiarne di più. Se confrontiamo i diversi indici glicemici (con tutti i limiti che abbiamo visto finora) possiamo notare che la differenza tra i prodotti integrali e raffinati non è rilevante. Se il vostro riso integrale ha 59 di IG e quello raffinato 64, il quantitativo per stimolare la stessa risposta glicemica differisce di pochi grammi. Provate a mangiare 128 g di riso integrale rispetto a 118 g di raffinato e vedrete che a livello glicemico non ci sarà differenza. Quando cercate le tabelle degli indici glicemici su internet, consultate siti famosi come wikipedia, molto spesso altrove si trovano tabelle costruite più per fini commerciali che scientifici. L'indice glicemico negli amidi è influenzato principalmente dal rapporto tra . amilosio e amilopectina (che studieremo tra poco), dalla cottura e temperatura dell'alimento, dal quantitativo glucidico e solo infine dal contenuto di fibre. Se il vostro pane integrale ha 12 g di fibre su 100 g è rilevante, se ne ha solo 3 g non è quello a fare la differenza. Purtroppo è più facile abbondare coi cibi integrali perché psicologicamente ci perdoniamo più facilmente lo sgarro. Ricordatevi sempre che un cibo disidratato (come i cereali) è calorico a prescindere che sia integrale oppure no. Il primo parametro a stimolare la glicemia è il quantitativo glucidico non l'indice glicemico. Si dice che i nostri nonni mangiavano meglio (pensiero in parte falso) perché mangiavano alimenti meno lavorati (questo invece è vero). Tuttavia la differenza non sta tanto nel fatto che loro mangiassero integrale e noi no, ma nel fatto che loro si muovessero molto di più. È meglio fare tanto sport e mangiare raffinato che essere sedentari ma mangiare integrale. Ovviamente l'ideale è unire le due cose positive. Va inoltre ricordato che se cerchiamo le fibre e i minerali, mangiare del riso raffinato con zucchine e pomodorini apporta tutti gli stessi benefici, se non di più, del riso integrale. Questo paragrafo non vuole demolire uno stile di vita che prediliga alimenti integrali (che dovrebbero diventare la quotidianità), ma semplicemente non vi vuole illudere che basta questo

accorgimento per migliorare la vita. Tra l'altro, nella crusca, sono contenuti antinutrienti che chetano i minerali. Quindi, è vero che i cereali raffinati hanno solo calorie vuote senza micronutrienti, ma la biodisponibilità di quelli integrali rimane bassa. Quando comprate cereali non raffinati assicuratevi di prenderli biologici poiché i pesticidi si accumulano nella parte esterna del chicco che, nella sua forma integrale, viene conservata. In aggiunta, comprare cereali "bio" raffinati ha poco senso, poiché con la raffinazione la parte esterna e il suo contenuto vengono rimossi e le analisi da laboratorio non riescono a rilevare la presenza di eventuali pesticidi nell'endosperma rimasto (il chicco). È anche per questo motivo che moltissimo biologico raffinato, che trovate sul mercato oggi, è un falso (vedi inchiesta di Report). Infine, quando acquistate la pasta integrale, probabilmente avete tra le mani un prodotto raffinato a cui è stato aggiunta la parte mancante. Infatti alle aziende conviene spesso raffinare tutto, per poi rintrodurre la crusca nei prodotti integrali. Costituiscono invece sempre un'ottima scelta quinoa, amaranto e avena, venduti sempre grezzi, vista la difficoltà nel separare la crusca dall'endosperma e dagli alti costi di lavorazione, fattore che scoraggia le aziende dal farlo.

I carboidrati fanno ingrassare? Una volta si diceva, italiani: pizza, spaghetti e mandolino. L'Italia d'altronde è il paese della dieta Mediterranea, difficile sedersi a tavola senza un buon primo. Fino a 20-30 anni fa questo stile alimentare molto difficilmente veniva messo in discussione, ma con la diffusione della dieta a Zona le cose sono iniziate a cambiare: indice glicemico, sbalzi insulinici, hanno iniziato a far traballare qualche certezza. Ma alla fine i carboidrati fanno ingrassare? Vedremo che la risposta non è per nulla scontata. Iniziamo col riflettere su dove teniamo la pasta: in freezer, in frigo o nella dispensa? Più un alimento è idratato, più gli scambi metabolici avvengono velocemente e più si degrada; l'insalata già lavata ha qualche giorno di vita al fresco; quanto dura invece una confezione di fusilli? Più un cibo è disidratato più è calorico, quando si dice che è il sugo a far ingrassare e non la pasta, è una mezza verità; prendete 100 g di miele o di marmellata e guardate quante calorie hanno in rapporto a 100 g di spaghetti. Traete poi le vostre conseguenze. Valori indicativi per 100 g di prodotto. Miele: 304 kcal Marmellata: 278 kcal Pasta di semola: 371 kcal Riso: 358kcal

Non fatevi fregare dal gusto dolce, questo è dato dal fruttosio non dalle durante la cottura la pasta si reidrata ma rimane comunque un alimento molto muove, chi non ha una buona massa magra, dovrà fare attenzione eccessivamente, oppure dovrà adottare altre strategie che vedremo in seguito. Quindi, la prima considerazione che dobbiamo fare è che i farinacei sono vogliamo mangiarli e rimanere magri dobbiamo seguire i prossimi consigli.

calorie. È vero che calorico. Chi non si a non mangiarne alimenti calorici, se

È ormai risaputo che per smorzare il carico glicemico dobbiamo aggiungere qualche grasso. Ecco, questo è uno degli errori che più spesso si compiono perché questo principio funziona benissimo, come nella dieta a Zona, finché i quantitativi di cibo sono bassi e con poche calorie. · Avete mai spento una candela con le dita di una mano? Quelli sono gli effetti dei grassi nei piccoli pasti glicemici. Avete mai spento un tronco infuocato con le dita di una mano? Quelli sono gli effetti dei grassi con medio-grandi quantitativi glicemici. Quando nel flusso sanguigno troviamo alti livelli di zuccheri e grassi, l'acetilazione (l'accumulo di grasso) è assicurata. Se non volete fare disastri metabolici o mangiate poco di tutto o continuate a leggere. I

Spesso si dimentica che non tutte le calorie degli alimenti vengono assorbite. Sovente un eccesso piuttosto che essere accumulato sotto forma di trigliceridi aumenta semplicemente la dispersione energetica in calore. Finché le vie metaboliche rimangono libere e non abbiamo antagonismi recettoriali a livello cellulare e mitocondriale, i carboidrati in eccesso vengono ossidati piuttosto che convertiti in trigliceridi. Sono stati fatti diversi esperimenti a riguardo prendendo in considerazione i seguenti parametri: quando vengono sintetizzati lipidi a partire dai carboidrati (lipogenesi) il quoziente respiratorio (QR) è maggiore di 1 (rapporto tra il C0 2 prodotto e 0 2 consumato) in quanto nella conversione di una mole di piruvato (prodotta dalla glicolisi) in una mole di acetil-CoA (unità base della sintesi lipidica) avviene una decarbossilazione con produzione di una mole di C0 2 • In pasti iperglucidici (fino a 600 g) si registrano QR compresi tra 0,8 e 1, segno che il corpo umano smaltisce l'eccesso di carboidrati aumentando il dispendio energetico piuttosto che convertendoli in lipidi. Da qui il detto "è il sugo che fa ingrassare non la pasta", è in buona parte vero. Se usate condimenti grassi con medio-alti quantitativi di pasta, difficilmente il vostro girovita ne gioverà. Nell'alimentazione si sente tutto ed il contrario di tutto. Con una stessa strategia nutrizionale due persone rispondono in maniera diametralmente opposta. Qui di seguito elenchiamo alcuni elementi da prendere in considerazione se vogliamo mangiare pane e pasta senza ingrassare. Gli esami ematici

Quali sono i vostri valori? Vedremo i parametri ottimali in un prossimo capitolo. Se avete già nel sangue zuccheri e grassi elevati, i vostri margini di manovra sono limitati. Non potete sperare di partire subito mangiando un piatto di pasta abbondante. Dovete limitarvi adottando strategie che vi riportino i livelli ematici a valori più salutari. Passate da 3 macropasti e 6 minipasti, oppure adottate regimi diametralmente opposti come l 'intermittent fasting. La strategia è quella di mantenere la glicemia stabile il più possibile, portando nel tempo i tessuti periferici a migliorare la captazione del glucosio. Questo avviene sia con tan.ti piccoli pasti, sia col digiuno programmato 16-18h ( se ci riflettete abbiamo in tutte e due i casi una stabilizzazione della glicemia). La massa magra

Più massa magra avete e più si crea un antagonismo tra muscolo e grasso per chi deve captare gli zuccheri. Una buona massa magra vi darà un buon margine di tolleranza ai glucidi, al contrario se siete completamente sedentari difficilmente avrete sufficiente tessuto muscolare affamato di glucosio. Il quoziente respiratorio

Il QR definisce se il vostro organismo sta consumando più zuccheri o più grassi. Più i vostri mitocondri sono in salute e più siete delle macchine brucia grassi. Se dopo tre piani di scale avete il fiatone, questo è un buon indicatore che la vostra produzione energetica derivante dall'ossigeno non è ottimale (in realtà il fiatone deriva da uno scarso condizionamento cardiovascolare e quindi da un inefficiente trasporto dell'ossigeno alla periferia, non tanto dal metabolismo intracellulare dell'ossigeno). I sedentari in sovrappeso rimangono dipendenti anche a riposo dai glucidi e sopportano male l'introduzione di alti quantitativi di zuccheri.

L'attività fisica ed il glicogeno

Questo punto si ricollega con quello precedente. Più vi muovete (il segreto dei magri è che non sono pigri nei piccoli gesti quotidiani), più fate sport e più consumate glicogeno muscolare. Bassi livelli di glicogeno permettono al corpo d'accumulare zuccheri senza ingrassare. Ricapitolando, pane, pasta e tutti i cereali lavorati sono degli alimenti calorici con un'influenza marcata sull'insulina. Soggetti attivi, con buone masse magre, possono utilizzarli come fonte primaria d'energia senza paura d'ingrassare. Per stare in un range di sicurezza basta: ./ non assumere più di 1 g di glucosio per kg di peso corporeo per pasto. 100 g di pasta (cruda) hanno mediamente 80 g di zuccheri, il discorso è differente se fate l'IF o se siete dei soggetti che risponondo bene ai carichi glicemici; ./ non mescolare troppi glucidi con troppi lipidi (vedremo nel prossimo paragrafo maggiori dettagli), se siete in un regime iper-normocalorico; ./

preferire i farinacei nei pasti post allenamento e muovete il culo svolgendo sia attività anaerobiche che aerobiche; ./ abituarsi ai carichi glicemici. Spendete 20-24 settimane nel riabituarvi ai carboidrati. Partite con bassi quantitativi e ogni 7-14 giorni aggiungetene 5-10 g. In questo modo l'organismo si riabituerà ad una loro corretta ossidazione. La fonte da cui attingere i glucidi è molto importante. Legumi, tuberi, frutti amidacei, possono essere ottimi alimenti, ricchi di sostanze nutritive che possono apportare gli zuccheri di cui abbiamo bisogno. Pertanto non è importante soltanto trovare il quantitativo glucidico ottimale ma anche da quale fonte introdurlo.

I grassi ed i carboidrati vanno mangiati assieme? Esistono infinite strategie per dimagrire e migliorare la composizione corporea. Nel corso del tempo diverse diete hanno fornito diverse chiavi di lettura su questo argomento. Inizialmente la "dissociata" ti faceva mangiare carboidrati a mezzogiorno e .proteine-grassi la sera. Poi è arrivata la "Zona", che ha ribaltato il numero dei pasti (dai canonici 3 a 5-6) ed ha mescolato in proporzione (in%) tutti i macronutrienti (40-30-30). Anche se queste due strategie alimentari sono molto differenti in realtà portano tutte e due a dimagrire in quanto, indipendentemente da come e cosa mangiamo, se nei mitocondri c'è poco ATP si innescano i processi catabolici, se invece sono saturi si innescano quelli anabolici. Potremmo semplicemente dire che noi contiamo le calorie (dieta ipocalorica, normocalorica, ipercalorica), l'organismo conta l'energia nei mitocondri. A volte le cose coincidono, a volte ci sono significative differenze, ma questo è un discorso dei capitoli successivi. Per ora sappiamo che: 1. se nel flusso ematico abbiamo contemporaneamente alti zuccheri e alti trigliceridi siamo sicuri d'ingrassare. Quindi su questo punto possiamo stare sereni eccedere con i carboidrati e con i grassi nello stesso pasto (in un contesto giornaliero ipercalorico) è il miglior modo per vedere gli addominali fare la valigia. Il cenone di Natale è un ottimo esempio di quello che non bisognerebbe fare; 2. un pasto con un alto carico glicemico potrebbe far ingrassare o comunque, se ripetuto continuamente, va a sputtanare i recettori cellulari GLUT-4 portando a peggiorare il nostro stato metabolico. Potrebbe, perché se le vie metaboliche sono libere (non ostruite da grassi e proteine) l'eccesso glucidico viene ossidato e non si converte in acidi grassi, specie in soggetti allenati e magri;

3. l'insulina non viene stimolata solo dalla glicemia, ma anche dagli ormoni gastrici, dagli aminoacidi che bypassano il metabolismo epatico e da un mix di macronutrienti. Quindi è vero che se vi misurate la glicemia e mangiate solo carboidrati senza grassi questa, dopo il pasto, risulta più alta, ma state appunto misurando la glicemia non l'insulina. Il bignè alla crema è un ottimo esempio di un alimento in cui l'aggiunta di grassi abbassa il carico glicemico ma alza il carico insulinico.

Morale della favola Noi ingrassiamo perché c'è un eccesso d'energia nei mitocondri (lo so che l'avete capito ma repetita iuvant). Cosa, come, quando mangiamo è secondario a questo. Tuttavia adottare strategie vincenti ci permette di mangiare di più senza inficiare i risultati. La scelta così di mischiare i macronutrienti (carboidrati-proteine-grassi) dipende essenzialmente da quanta energia assumete in un pasto . ./ Fino a 400-600 kcal potete mischiare tutto quello che volte . ./ Da 600-800 kcal siete in una zona di confine, più massa magra avete, più siete attivi e meno vi dovete preoccupare . ./ Sopra le 1000-1200 kcal rischiate la malattia dell'agnello (vi cresce la pancia e vi cala l'uccello). Detto questo concludiamo con un MA grande come una casa, ma che vi aiuta a riflettere su che cos'è l'alimentazione. Durante il digiuno intermittente si mangia mediamente 1-2 volte al giorno, come facciamo ad assumere tutti i macronutrienti senza ingrassare dopo il pasto? Ingrassare-dimagrire non vogliono dire niente se non si prende in considerazione un determinato lasso di tempo. Per capirci, se mangiate solo una volta al giorno a cena è normale ingrassare dopo il pasto. Ma è il bilancio calorico giornaliero (per non dire settimanale) a contare, non i pasti. Possiamo benissimo ingrassare mischiando i macronutrienti se poi nel resto della p,mata perdiamo più di quello che abbiamo acquistato. È il totale a fare la differenza, preoccupatevi della composizione dei pasti soltanto in un contesto ipercalorico.

Molti meccanismi nel corpo umano (vedi il sistema ormonale) si comportano come delle chiavi una serratura. Non basta avere tutti gli elementi, questi devono anche combaciare. Anche per le alimentari funziona così. Facciamo l'esempio della cellulosa. Questa è un polisaccaride to da glucosio proprio come l'amido, ma la differente struttura chimica la rende resistente lisi degli enzimi digestivi umani e quindi non assorbibile. Tutti i residui di cellule vegetali estibili che non possiamo assimilare e finisco nella cacca vengono definite fibre alimentari. La loro funzione è molto importante per l'organismo umano per diverse ragioni. Il nostro corpo to da un universo, un universo vivo, non solo perché abbiamo miliardi di cellule, che no, comunicano e muoiono ma perché per ogni nostra cellula ospitiamo dieci batteri rto 1/1 O). Alcuni chili del nostro peso sono dati proprio da loro. el nostro intestino miliardi di batteri vivono, si riproducono, lottano, in perfetta simbiosi con Ne esistono oltre quattrocento specie e a seconda di cosa mangiamo alcune proliferano, altre si no. Per questo un'alimentazione corretta è tanto importante, perché la nostra salute e anche da una sana flora intestinale e questa si sviluppa sulla base di quello che mangiamo fondiremo in un prossimo capitolo). fibre sono un elemento essenziale per nutrire i nostri ospiti. Si suddividono in solubili ed ili. Le prime sono delle ladre, assorbono (chelano) al loro interno zuccheri, grassi e sali

biliari, riducendo così l'apporto calorico assunto e il colesterolo. Al contrari0 di quello che comunemente si può pensare, mangiare troppe fibre solubili non fa cagare. Quelle insolubili, invece, sono dei "moltiplicatori di particelle". Avete mai notato che mangiando poca crusca fate invece tanta cacca? Questo avviene perché le fibre insolubili catturano l'acqua ed aumentano il loro volume, portando ad un più rapido svuotamento intestinale. Così si riduce sia l'assorbimento dei nutrienti, sia si diluisce la presenza di sostanze tossiche nell'intestino ed il tempo di contatto con le pareti. Se si mangia tanta carne è importante accompagnarla con un buon quantitativo di fibre insolubili che permetta d'espellere le molecole azotate tossiche rimaste nel tratto digerente. La presenza di fibre modifica il pH intestinale e permette ai batteri "buoni" di proliferare a discapito di quelli "cattivi". Purtroppo non è tutto oro quello che luccica ed eccedere (la quota raccomandata è di 25-35 g) può comportare problemi d'assorbimento di importanti nutrienti a causa dei fitati contenuti nelle fibre. Carenze di calcio, ferro, selenio, zinco possono essere favorite da un eccesso d'acido fitico introdotto con la dieta. Anche chi ha problemi nell'aumentare di peso dovrebbe fare attenzione a non esagerare, per non ostacolare i processi d'assorbimento dei macronutrienti. Le fibre aumentano di molto l'indice di sazietà, pertanto a parità di calorie un alimento che ne contiene un quantitativo maggiore sarà più saziante. Gli antinutrienti contenuti nelle fibre sono l'elemento che aumenta di più il senso di sazietà negli alimenti. Ne sono ricchi i legumi, che sono consigliati per migliorare l'assetto metabolico (amido a lento rilascio), per riempire lo stomaco e per non soffrire la fame.

11 fruttosio Negli anni Novanta l'industria alimentare, dopo la divulgazione al pubblico dell'indice glicemico, scoprì il fruttosio. Sui banchi dei supermercati apparvero, accanto ai sacchetti dello zucchero classico (saccarosio), vasetti di fruttosio. Questa notorietà, tuttavia, è negli anni giustamente diminuita, perché non è tutto oro quello. che zucchera. Il fruttosio è un monosaccaride con la stessa formula chimica del glucosio ( C6H 120 6 ) ma con una differente forma. Questo gli conferisce delle particolarità uniche. Non è captato dai recettori GLUT-4 delle cellule muscolari e grasse, pertanto spetta unicamente al fegato il compito di metabolizzarlo e convertirlo in glucosio. Questo è il motivo per cui ha un indice glicemico tanto basso (da 19 a 23), perché non stimola l'insulina in quanto non entra nelle cellule muscolari grazie ad essa. Oltre a questo non stimola, ma anzi ostacola la produzione di leptina. Grazie alla sua forma, tuttavia, ha un potere dolcificante doppio rispetto al glucosio. Il miele è così dolce non perché è esageratamente zuccherato (82g/l OOg poco più del riso che ne ha 79g/l OOg) ma perché i glucidi che lo compongono sono prevalentemente composti da fruttosio. Se ingerito in eccesso (oltre i 30-50 g a pasto) va incontro a fermentazione nell'intestino portando a dolori di pancia, crampi, flatulenze e diarrea. Se volete fare una sfida di scoregge con gli amici, un'integrazione di fruttosio può farvi diventare dei campioni, ma attenti a non cagarvi addosso. Avendo il fegato come unico tessuto bersaglio, non crea nessun problema finché non viene assunto in eccesso. Mediamente la quota massima consigliata è di 40-50 g al giorno, ma alcuni soggetti con sindromi da malassorbimento (soprattutto chi ha il colon irritabile), devono ridurre ulteriormente la quantità a 20 g. Se assunto in grossi quantitativi (ricordiamo che il saccarosio, lo zucchero da cucina è formato al 50% da questo glucide), insieme a dolci, miele, succhi di frutta e bevande gasate, inizia a fare disastri nell'organismo. Il nostro corpo non può permettersi di mantenere nel circolo sanguigno questo zucchero, pertanto viene rapidamente convertito in trigliceridi che si depositano nel fegato dando vita al

fegato grasso. Una parte di fruttosio si legherà alle proteine del corpo per formare prodotti di glicazione avanzata, gli AGE, di cui abbiamo parlato in precedenza, creando così danni tissutali. Insomma l'eccesso è alquanto dannoso per la salute, per fortuna però se togliamo dalla cucina lo zucchero e seguiamo un'alimentazione sana (senza eccedere coi dolci) raggiungere la quota massima solo con la frutta è alquanto improbabile. Se mangiate 2-3 frutti al giorno potete stare tranquilli. Fino ai tempi dei nostri nonni la frutta era molto meno dolce, oggi grazie alle selezione artificiale riusciamo a coltivare sempre più frutti zuccherini ma meno salutari (anche con meno fibre). Il contenuto di carboidrati nella frutta è raddoppiato negli ultimi cinquant'anni. Purtroppo il fruttosio non ha un potere saziante perché non stimola l'insulina e non reprime la grelina. È più facile accorgersi di un suo eccesso perché ci fa male la pancia, piuttosto che per l'essere sazi. Il momento ideale in cui assumerlo è dopo il digiuno o l'attività fisica. In questi momenti le scorte epatiche e muscolari di glicogeno saranno scarse, pertanto il fegato sarà ben disposto ad assorbirlo. Si è visto che il glicogeno si ricarica più rapidamente se introduciamo piccoli quantitativi di fruttosio o galattosio post allenamento. In ultima analisi, questo glucide, non interagendo neanche con l'adipocita non stimola la produzione di leptina, pertanto rispetto all'amido o al glucosio risulta uno zucchero meno interessante sia dal punto di vista della stimolazione del metabolismo sia per migliorare la

carboidrati di sera, dormir bene si spera È opinione comune pensare che sia meglio assumere carboidrati nel corso della giornata e non

acena. Questo principalmente per due motivi. Il primo riguarda il consumo calorico: immettere mccheri quando ci apprestiamo ad andare a letto aumenta le probabilità che si trasformino in pssi non venendo consumati da nessuna attività. Il secondo invece è un discorso ormonale: la uzione ed il picco notturno del GH vengono smorzati dall'introduzione di glucidi. Ricordiamo l'ormone della crescita è in antagonismo con gli zuccheri, in quanto spinge la cellula ad e il metabolismo lipidico. Entrambe queste convinzioni sono sbagliate. La prima perché non ci si accorge che il dispendio etico nel sonno è pressappoco uguale rispetto a quello di attività a basso impatto (stare seduti un banco o una scrivania). Quindi se svolgete un lavoro sedentario le variazioni caloriche non così significative da giustificare la ripartizione giornaliera dei carboidrati. La seconda perchè variazioni ormonali circadiane nelle persone natural (che non fanno uso di anabolizzanti) non così significative da cambiare radicalmente la composizione corporea. Per capirci a parità di calorie non è che se non avete il picco notturno non dimagrite, le nze ci sono ma non sono così determinati. Per di più se mangiamo carboidrati ad alto indice ·co alle 20.00 avremo un'ipoglicemia reattiva la notte che andrà a potenziare gli effetti del Quindi è tutto relativo. per cui possiamo assumere i glucidi anche a cena sono principalmente zuccheri danno facilmente sonnolenza e aumentano l'attività del sistema parasimpatico. Pertanto se vogliamo tenerci svegli ed attivi conviene limitarli durante l'orario lavorativo. Stimolano l'organismo a secernere più leptina nel giorno successivo alla loro introduzione serale. Questo porta in soggetti sani ad una miglior composizione corporea, mentre in soggetti affetti da resistenza alla leptina (data generalmente da un eccesso di grasso) ad aumentare l'insulino-resistenza.

La leptina se non esplica la sua normale funzione produce l'effetto contrario (come molti ormoni). Quindi carboidrati di giorno o di sera potrebbe dipendere dalla risposta individuale. 3. Favoriscono indirettamente il rilascio di serotonina, un precursore della melatonina che è essenziale per dormire bene. I glucidi, stimolano l'insulina e aumentano l'up-take cellulare del muscolo per gli aminoacidi. Il triptofano, un precursore della serotonina, non viene captato dalle cellule e i suoi livelli ematici rimangono elevati (in assenza di aminoacidi antagonisti) favorendo il suo passaggio attraverso la barriera emato-encefalica. Giunto così nel cervello verrà convertito in serotonina. Questo evento diminuisce anche l'appetito, determinando un maggior senso di sazietà, fattore da non sottovalutare. 4. Il cortisolo la sera cala, questo porta a migliorare la sensibilità insulinica in questa fase della giornata. Arrivati a questo punto dovremmo aver capito che possiamo benissimo mangiare i carboidrati anche alla sera e che il momento ideale in cui assumerli non dipende da nessuno dei fattori sopra esposti bensì dall'allenamento. Questo è il vero evento fondamentale che determina quando mangiarli in maggiore quantità. La sensibilità all'insulina rimane elevata fino a due ore successive al training, dopo non cala drasticamente, ma inizia a scendere costantemente. Conviene introdurre quindi più zuccheri in questo lasso di tempo: se vi allenate al mattino assumeteli a pranzo, se vi allenate al pomeriggio assumeteli a cena. Questo è il vero fattore da tenere in considerazione. Quando mangiate poco si affamano sia le cellule muscolari sia quelle grasse. Dopo l'allenamento invece sono solo le cellule muscolari ad essere affamate. Questo farà si che gli zuccheri introdotti finiscano tutti nei muscoli e nel fegato, evitando gli adipociti. L'ultima considerazione che possiamo fare riguarda il tenere le scorte glucidiche esaurite per molte ore dopo l'allenamento. Questo inizialmente può far dimagrire, grazie ad una migliore attività lipolitica data dai bassi livelli di glicogeno, ma nel medio-lungo periodo può innescare processi che portano verso l'insulino-resistenza (momentanea). Quando le cellule hanno pochi zuccheri aumentano i recettori GLUT-4 per capitarli, ma se scarseggiano per troppo tempo shiftano eccessivamente il loro metabolismo sui grassi, perd~ndo così l'affinità col glucosio. Pertanto, tutte le scelte alimentari su quando assumere i carboidrati rimangono aperte e vanno rapportate alla persona, alle sue abitudini e al suo carattere mattutino o serotino; alcune persone hanno un'attività simpatica (produzione i catecolamine) più elevata nella prima parte del giorno, altre invece verso sera. Su intenernet si legge che in base al proprio morfotipo (biotipo) dobbiamo mangiare i glucidi di giorno o di sera. Lasciate perdere i biotipi, se cercate su PubMed soprirete che hanno a che fare più col marketing che con la fisiologia.

Meglio la pasta, il riso o le patate? L'argomento è complesso e ricco di spunti. Non prenderemo in considerazione il glutine ( contenuto nella pasta), la so lanina ( contenuta nelle patate), antinutrienti, inibitori della proteasi e lectine, argomenti troppo complessi per dare ora una risposta completa in un unico paragrafo, tuttavia approfondiremo il discorso quando parleremo della permeabilità intestinale. Per il momento ricordiamoci semplicemente di due concetti: 1. se non avete problematiche specifiche la cottura rende poco rilevanti la presenza di lectine, saponine e solanine; 2. tutti gli alimenti hanno dei contro, quindi è inutile focalizzarsi sugli aspetti negativi quando quelli positivi sono molto maggiori.

Per effettuare una prima scrematura su cosa sia meglio tra pasta, riso e patate consideriamo la lavorazione a cui sono sottoposti gli alimenti: più un cibo è sottoposto a processi (macinazione, raffinazione, brillatura, ecc.) e più perde i suoi valori nutrizionali, oltre a venire facilmente a contatto con sostanze non sempre salutari. Da questo punto di vista la pasta è la più sconsigliata, mentre le patate sono le più naturali. Per ottenere il riso bianco si esegue un procedimento industriale di brillatura utilizzando talco (nocivo per la salute) e glucosio: inutile dire che le versioni integrali sono molto più salutari. Ricordatevi sempre di preferire il biologico integrale. Il secondo fattore da tenere in considerazione è la densità energetica: i cereali sono prodotti disidratati che solo con la cottura richiamano acqua (repetita iuvant). La patata invece è un alimento molto idratato e poco calorico, la cui cottura (solo se bollita o al vapore) non altera l'idratazione. A parità di peso 100 g di pasta o riso apportano oltre il triplo delle calorie rispetto a questo tubero. È vero che quest'ultimo possiede un indice glicemico alto, superiore ai cereali (dato da un amido maggiormente composto da amilopectina) ma in rapporto il carico glicemico rimane inferiore visto il quantitativo d'acqua al suo interno. Se mangiate spesso le patate preoccupatevi di sceglierle giovani (piccole) e di conservarle al buio per limitare la produzione di so lanina che continua anche una volta raccolte. Non dimentichiamoci che la qualità dell'alimento si basa sul suo rapporto tra calorie e micronutrienti. Da questo punto di vista pasta, riso e patate non sono alimenti proprio vincenti. Anche la versione integrale, molto più ricca di minerali, ha in realtà una bassa biodisponibilità dei micronutrienti data proprio dal maggior contenuto di fibre che li chelano. Il loro grosso vantaggio è quello di aumentare l'idratazione del corpo (come vedremo nel paragrafo sull'acqua), di stimolare il metabolismo e di aumentare le scorte di glicogeno muscolare in virtù del loro alto contenuto di amido. La pasta tra tutti questi alimenti è quello col contenuto proteico più elevato, tuttavia è costituita da aminoacidi con un basso valore biologico per via della scarsità di triptofano e di lisina. Il riso invece, anche se possiede meno proteine, ha aminoacidi con un valore biologico superiore il che rende i due prodotti equiparabili dal punto di vista dell'apporto proteico. In ogni caso, se vogliamo ricercare una buona fonte proteica è meglio guardare altri cibi o ad un mix tra cereali-legumi e non al singolo alimento. Per concludere il vero vincitore rimane la varietà. Se continuiamo a mangiare sempre gli stessi alimenti la varietà enzimatica del nostro organismo si riduce. Come per l'allenamento fornire sempre nuovi stimoli (cibi) permette di continuare a stimolare positivamente l'apparato digerente ed i relativi enzimi, allenando così il nostro organismo all'assimilazione. Il vero segreto nella scelta delle fonti glucidiche sta nel scegliere fonti a medio-lento rilascio che stimolino la leptina (quindi senza fruttosio o galattosio). È pura utopia pensare di sostituire all'amido la frutta e la verdura. Infine ricordiamo che, mentre la farina bianca devasta la nostra sensibilità insulinica (questo perché i picchi ormonali, se ripetuti, stressano l'organismo e la captazione cellulare), carboidrati integrali, cotti al dente, rilasciano zuccheri lentamente nell'organismo migliorando l'affinità col glucosio da parte delle cellule. Qui sta la grossa differenza tra dimagrire o ingrassare con la pasta, il riso e le patate.

Conosciamo i diversi tipi di amido Abbiamo già visto che soltanto i monosaccaridi possono passare la barriera intestinale e venire assorbiti. Pertanto tutti gli alimenti amidacei devono prima essere scissi in glucosio per essere introdotti nel circolo ematico. Mà allora, perché la pasta ha un indice glicemico differente dal pane

se sono entrambi costituiti da amido? E perché la banana (frutto amidaceo) se acerba ha un certo indice glicemico mentre se matura questo diventa più alto? L'amido può essere classificato in assimilabile e resistente: la banana, quando è acerba, è costituita prevalentemente da amido resistente, che ne impedisce l'idrolisi nell'intestino tenue. La sua digestione/assorbimento prosegue fino all'intestino crasso dove fermenta grazie ai batteri della flora intestinale. Questa è la ragione per cui l'amido resistente viene considerato a tutti gli effetti una fibra alimentare (solubile). I frutti amidacei cambiano il loro tipo di amido da resistente ad assimilabile con la maturazione e per questo motivo si modifica anche il loro indice glicemico. L'amido è costituito da due differenti polimeri di glucosio: amilosio e amilopectina. Il primo ha una forma chimica lineare poco attaccabile dagli enzimi digestivi, mentre il secondo è molto più digeribile. I farinacei sono costituti da entrambi, ma a seconda di quale prevale, l'indice glicemico risulta più o meno alto; ecco spiegata la differenza tra il pane (ricco di amilopectina) e la pasta (più ricca di amilosio ). Amilosio

Amilopecinta

Patata

21%

79%

Frumento

28%

72%

Riso

17%

83%

Il riso basmati che si compra al supermercato è raffinato, tuttavia viene considerato un riso integrale perché l'alto quantitativo di amilosio ne conferisce caratteristiche chimiche simili al riso integrale. La cottura aumenta l'indice glicemico perché porta alla gelatinizzazione dell'amido rendendolo più facilmente assimilabile; al contrario il raffreddamento lo riporta alla cristallizzazione fenomeno che lo conduce verso l'amido resistente. Mediamente i farinacei che compriamo mantengono un 10% d'amido resistente anche dopo la cottura. La pasta al dente ha meno calorie della pasta ben cotta perché una porzione maggiore di amido rimane non assimilabile. Nello stesso modo la pasta fredda da frigo (anche se fa schifo) ha ancora meno calorie perché il polisaccaride tende a retrogradarsi tornando alla sua forma originale cristallizzata. La stessa cosa succede per il pane secco. Composizione degli alimenti amidacei, maturazione, cottura e conservazione, sono tutti fattori che influiscono in modo considerevole sulla velocità e sulla quantità di assorbimento del polissacaride.

Le proteine Le prime nozioni da sapere Non c'è nulla che infiammi più del napalm se non le discussioni a proposito di quante proteine abbiamo bisogno. C'è chi sostiene che 0,3 g/kg di peso corporeo (d'ora in poi per comodità useremo solo "g/kg ") bastano e avanzano, chi invece afferma che con 5 g/kg abbiamo un'assunzione sicura ed ottimale. Dove stia la verità lo ignoriamo, ma siamo convinti che la logica applicata allo studio possa fare chiarezza. Iniziamo a conoscere le basi sulle proteine per poter poi leggere con coscienza i paragrafi che seguiranno.

Le proteine hanno una struttura chimica particolare che conferisce loro delle caratteristiche uniche tra i macronutrienti. Un grammo di proteine fornisce in media 4 kcal, ma in realtà questo è scorretto o meglio inesatto: un grammo di protidi contiene 5,65 kcal. Ma allora perché questa differenza? Perché se le ossidiamo in una macchina (bomba calorimetrica) otteniamo 5,65 kcal, mentre se le mangiamo abbiamo solo 4 kcal? La risposta sta negli atomi che le compongono. Tutti i macronutrienti sono composti da carbonio (C ), ossigeno (O), idrogeno (H ). È soprattutto quest'ultimo che permette al corpo di ottenere energia dai nutrienti. Infatti i lipidi sono molto più ricchi di idrogeno rispetto a tutti gli altri. I protidi, oltre a questi elementi, contengono anche azoto (N) ed in alcuni casi zolf9, fosforo, ecc. Nel nostro corpo il grosso dell'azoto non può essere ossidato, pertanto deve venire espulso legandosi con atomi di idrogeno per formare l'urea CO(NH 2)2. Gli atomi di idrogeno che si perdono tolgono all'incirca il 19% del contenuto energetico delle proteine, portando il loro valore effettivo da 5,65 a circa 4 kcal. Quindi possiamo dire che: 1 g di protidi apporta mediamente 4 kca/

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Tutti i protidi formano dei prodotti di scarto (ammoniaca, che diventa urea); pertanto in biochimica le proteine vengono considerate una forma di energia "sporca". Gli aminoacidi (i mattoni delle proteine) hanno anche un'altra caratteristica unica che è quella di non poter essere stoccati come riserve nel nostro organismo. Mentre i glucidi si possono accumulare come glicogeno, i lipidi come trigliceridi negli adipociti, le proteine in eccesso non hanno nessun luogo del corpo dove possono essere depositate come riserva. La teoria (amino tank theory) per cui un eccesso di proteine si stocchi nei muscoli fino ad ora non è mai stata provata. Se volete illudervi fatelo! Tutti i protidi in eccesso seguono queste vie metaboliche: ./ vengono ossidati (il principale destino metabolico); ./ vengono convertiti in glucosio ( qualora manchino i glucidi); ./ vengono convertiti successivamente in grassi ( evento rarissimo).

La loro funzione principale è quella plastica ( di costruzione) e non energetica. La conversione degli aminoacidi glucogenici (il 58% degli aminoacidi) in glucosio è un processo biochimico molto facile, ma la loro successiva conversione in trigliceridi è un avvenimento molto raro che richiede un surplus energetico rilevante e la presenza di altri macronutrienti per creare "ingorghi metabolici". Pertanto è molto difficile che un eccesso proteico, in una dieta normocalorica, porti ad ingrassare realmente. Il loro nome deriva da protos (primario). Si trovano praticamente in qualunque tessuto dei viventi (e non solo), ad esempio il tessuto muscolare ne contiene circa il 20%. Non esiste struttura del nostro corpo che non abbia all'interno delle proteine. Un uomo di media statura ne ha 10-12 kg. È essenziale non avere carenze di questo nutriente, la quota minima raccomandata è di 0,75 f'kg, in media il 13,5% delle calorie introdotte, il che corrisponde mediamente al turnover teico. Una persona sedentaria può vivere in salute assumendo 0,9-1 g/kg, pari al 20% delle calorie · maliere. La quota raccomanda~a agli atleti è invece ancora elemento di discussione. Alcuni ri (di fama mondiale) arrivano a consigliare fino a 1,7-2,7 g/kg. Questa quota non sembra creare problemi alla salute, tuttavia non è ancora definitivamente provato che la performance migliori; ad oggi, le evidenze degli ultimi studi, consigliano tra ~ e 2,5 g/kg come quota ottimale per soggetti natural alla ricerca una miglior composizione

corporea, ma sono valori ancora da valutare e soprattutto vanno contestualizzati con gli altri macronutrienti. Più i carboidrati salgono, più le proteine possono scendere. È un credo del bodybuilding quello di pensare che più protidi si assumono e più il corpo cresce. Oltre le necessità fisiologiche il surplus non apporta nessun vantaggio, anzi affatica l'organismo. Una volta soddisfatto il fabbisogno, protidi in eccesso occupàno solamente i trasportatori di membrana cellulare e mitocondriale, aumentando la probabilità che gli altri macronutrienti non vengano ossidati in calore, ma si convertano in grasso. Negli ultimi anni era emersa la teoria che atleti di resistenza (corsa, ciclismo, nuoto) avessero più bisogno delle proteine rispetto agli atleti di potenza. Questo è dato dal fatto che la degradazione proteica (catabolismo) è maggiore negli sport di endurance. Oggi questa teoria traballa, ma una verità di fondo rimane. Sicuramente chi fa molta attività fisica ha bisogno di elevati livelli di proteine e carboidrati per limitare la lisi muscolare. I grammi ideali di protidi dovrebbero essere considerati in rapporto alla massa magra più il grasso essenziale per le persone che si allenano esclusivamente coi pesi, mentre per chi pratica attività usando come sovraccarico il proprio corpo (vedi la corsa), il conteggio migliore si basa su un rapporto con tutto il peso corporeo . ./ Ad oggi la quota ideale nei periodi di massa varia da 0,9-1,5 g/kg . ./

Nei periodi di mantenimento 1,4-2g/kg con diete normocaloriche .

./

Nei periodi ipocalorici di definizione 1, 7 - 2,5 g/kg.

Ovviamente queste indicazioni non sono unanimi. Le linee guide ed altre correnti di pensiero adottano quantitativi inferiori o superiori. Noi abbiamo deciso di prendere una posizione di mezzo (in medio stat virtus ).

Le proteine sono tutte uguali? Come l'intestino non era in grado di assimilare carboidrati complessi (i quali devono essere scissi in monosaccaridi), così non può assorbire le proteine ma le deve scomporre in aminoacidi (possono passare la barriera intestinale solo i tripeptidi). Questo ci fa capire perché i diabetici non bevono l'insulina (ormone proteico) ma se la iniettano. Per via orale passerebbe per l'intestino come semplici aminoacidi perdendo così la sua funzione. Gli aminoacidi sono la struttura fondamentale dei protidi. Negli alimenti che mangiamo ne esistono 20 e, a seconda di come si combinano, danno vita a strutture completamente differenti. Il nostro organismo può autoprodume 11 (per alcuni autori 12), gli altri 9 (8) sono considerati essenziali. Questo vuol dire che se non sono introdotti con la dieta il corpo non può creare la proteina di cui ha bisogno. Va fatta tuttavia maggiore chiarezza su questo punto: in un pasto non è necessario avere contemporaneamente tutti gli 8-9 aminoacidi essenziali. Nel flusso ematico è facilissimo che siano presenti, soltanto una volta che saranno esauriti anche nel sangue il nostro organismo dovrà catabolizzare i propri tessuti per ricavarli. Questo vuol dire che in persone vegetariane non c'è l'obbligo di mangiare contemporaneamente cereali (carenti di triptofano e lisina) e legumi (carenti di metionina e cisteina) per completare lo spettro amminoacidico, ma semplicem~nte si potrà mangiare gli uni a pranzo e gli altri a cena. Ultimamente si parla molto di proteine animali e proteine vegetali. La prima cosa da chiarire è che dovremmo parlare di aminoacidi maggiormente presenti nelle fonti animali o vegetali, visto che sono questi ad essere assorbiti. Il nostro organismo non è in grado di riconoscere da quale fonte alimentare proviene un aminoacido. Le proteine animali sono più ricche di aminoacidi essenziali, mentre quelle vegetali hanno uno spettro meno completo.

Isoleucina, leucina e valina (i famosi BCAA) rivestono tra quelli essenziali un ruolo particolare. Quasi tutto quello che assorbiamo passa e viene metabolizzato dal fegato. Ma quest'ultimo non possiede l'enzima BCAA amino-transferasi lasciando questo compito al muscolo. La loro introduzione, con la dieta o con l'integrazione, permette al miocita di avere una fonte energetica o plastica immediatamente spendibile. Questo segnala alla cellula un'elevata disponibilità energetica utile sia durante l'attività fisica, sia per attivare l'm-Tor e per promuovere la crescita muscolare. Fino ad ora è ancora valida scientificamente (checché ne dicano sostenitori di altre diete) l'affermazione che sono da preferire le proteine con un valore biologico più elevato (uova, latte, carne) se vogliamo migliorare la nostra composizione corporea. Ovviamente si può ottenere lo stesso risultato anche con fonti vegetali, ma bisogna impegnarsi maggiormente. Le proteine animali sono digeribili al 95%, quelle vegetali leggermente meno (85-92%) se provengono da fonti raffinate, altrimenti la percentuale scende ulteriormente al 75-80%.

Gli amminoacidi non sono tutti uguali

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Gli amminoacidi si divido, dal punto di vista energetico, in due grandi famiglie glucogenetici che possono essere degradati in piruvato da cui ricaviamo glucosio e chetogenetici i quali invece sono degradati in acetil-CoA da cui ricaviamo corpi chetonici. Esiste anche un gruppo misto che è coinvolto in tutte e due i metabolismi. In base al loro rapporto stechiometrico possono dosare l'ossidazione, la glicolisi e la sintesi proteica nella cellula. Questo cosa vuol dire? Ora ci arriviamo. Oggi ci interroghiamo molto sul ruolo della carne e della sua influenza sulla salute dell'essere umano. Se molte accuse risultano veramente infondate, suscita invece interesse la composizione aminoacidica della carne rossa. La forte presenza di aminoacidi ramificati e il rapporto tra metionina e cisteina, fanno si che l'ossidazione mitocondriale venga accelerata, portando la cellula ad "invecchiare" precocemente. Quanto questa teoria sia fondata sinceramente lo ignoriamo, in quanto non sono stati pubblicati sufficienti studi a riguardo, ma visto che i quantitativi proteici che proponiamo sono considerati, dalla nutrizione italiana, elevati, era doveroso aprire questa parentesi per fornire al lettore ulteriori spunti se vuole approfondire. I testi di alimentazione universitari riportano ad oggi che un eccesso di aminoacidi ramificati, di metionina e tirosina possono essere tossici. Le fonti proteiche dovrebbero così essere diversificate, comprendendo anche quelle vegetali.

BCAA alcuni aspetti da comprendere Scrivere sugli aminoacidi ramificati è un'impresa gargantuesca. Gli argomenti da trattare sarebbero talmente tanti da poter pubblicare un manuale solo su questo. Qui affronteremo l'argomento in sintesi, soffermandoci solo sui due punti fond~ mentali da comprendere. Iniziamo a dire che i BCAA sono importanti per la salute, per la composizione corporea e per l'attività fisica, ma non è ancora del tutto chiaro se l'integrazione migliori questi parametri in chi già mangia correttamente. La letteratura scientifica è divisa a riguardo ed al momento la nostra posizione è che se mangiate già bene potete benissimo non integrarli. Tuttavia va anche specificato che prenderli, se non in eccesso, non causa problemi di salute. Ad oggi tutti i ricercatori sono concordi unicamente sull'effetto placebo che esercitano. Gli aminoacidi ramificati sono formati da Leucina, Isoleucina, Valina, tre dei nove aminoacidi .,aenziali. Da soli compongono il 35% delle proteine muscolari; pertanto la loro richiesta è iologicamente più elevata rispetto agli altri aminoacidi. Questi aminoacidi possiedono una particolarità: una volta introdotti nel flusso ematico sano il fegato che non può metabolizzarli poiché non possiede l'enzima BCAA aminoferasi, e finiscono rapidamente nel muscolo. Fisiologicamente ciò ha senso perché tale 1

processo permette al tessuto più bisognoso (miocita) di non entrare in antagonismo con il fegato (che è sempre il primo organo a ricevere i macronutrienti). Un'altra loro particolarità è che sono dei forti stimolatori dell'insulina (insulinogenici): . stimolano le cellule beta del pancreas anche senza la presenza di zuccheri. Anche questo è logico, visto che per essere veicolati nel muscolo devono utilizzare l'azione dell'insulina sui GLUT-4. Questa caratteristica li rende particolarmente efficaci nel migliorare la composizione corporea attraverso una più efficace sensibilità insulinica. Cerchiamo di capire perché questo avviene: se l'insulina è stimolata da un pasto fortemente glucidico, il corpo aumenterà i recettori ~ia nel tessuto adiposo sia in quello muscolare, gli zuccheri alti troveranno tutte le porte aperte (epatocita, miocita, adipocita, con questa gerarchia). Ma se l'insulina viene stimolata dai BCAA, senza una forte introduzione glucidica, il muscolo sarà il solo destinatario. La glicemia verrà correttamente modulata migliorando il profilo ematico, visto che gli zuccheri in eccesso finiranno nel miocita. In definitiva al corpo basterà produrre poca insulina per migliorare la glicemia. Questa azione ci fa capire come questo ormone pancreatico, spesso accusato di far ingrassare, ha questo difetto solo quando è attivato da un eccesso glucidico; quando sono gli aminoacidi a stimolarlo ha un effetto completamente differente. Ancora una volta a seconda di dove finiscono i macronutrienti (se nel muscolo o negli adipociti) sta la differenza. Compreso questo passaggio concludiamo tornando al turnover proteico. Le proteine del nostro corpo sono continuamente assemblate e disassemblate; in questo modo il corpo può verificare se siano avvenuti degli errori e può aggiustarli. In questi passaggi, una piccola parte di aminoacidi viene persa e consumata. Essendo la componente proteica del muscolo composta da 1/3 di aminoacidi ramificati, le mancanze sono soprattutto a loro carico. Una presenza di BCAA nel flusso ematico va immediatamente a sopperire il deficit evitando o limitando il catabolismo muscolare. Questo è ancora più evidente durante l'attività fisica e il digiuno, quando il loro scheletro carbonioso viene utilizzato per formare energia attraverso la conversione in alanina. Gli aminoacidi ramificati hanno la funzione specifica di proteggere il muscolo limitando il catabolismo e migliorando così in modo indiretto l'anabolismo. Ricordiamoci tuttavia che il catabolismo muscolare è essenziale per una supercompensazione anabolica; cercare di limitarlo sempre non è conveniente (vedi chi assume le caseine la sera). Se la vostra attività fisica dura un'ora o meno e assumete attraverso l'alimentazione tutte le proteine di cui avete bisogno, un'integrazione di BCAA non risulta assolutamente necessaria. Se invece svolgete attività come la corsa per più di 15-20 km, un'integrazione, prima dell'allenamento, potrebbe aiutare a preservare la massa magra. Stesso discorso se adottate strategie alimentari come il digiuno intermittente, oppure se seguite una dieta ipocalorica. In tali casi integrare, prima del training, può aiutare a preservare il tessuto contrattile.

Quante proteine servono per mettere su muscolo Ecco la domanda che tutti in palestFa si fanno : quante proteine devo mangiare? Questa è la classica visione distorta di questo ambiente, perché ci si focalizza sull'ultima parte di un processo molto più complesso. Vediamo la punta dell'iceberg senza scorgerne la parte sommersa. Non abbiamo idea di quante proteine servano esattamente per mettere su muscolo, ma alla fine del paragrafo capiremo che non è questa la cosa essenziale. Da sempre il tessuto contrattile viene equiparato alle proteine. D'altronde tra carboidrati, grassi e protidi, da cosa sarà principalmente composto? Acqua, è composto principalmente da acqua, la componente proteica si aggira intorno al 20% (la stessa quota presente in una bistecca).

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Possiamo quindi esteticamente variare moltissimo, senza aggiungere o togliere una proteina, ma semplicemente variando l'acqua (ma questo è un altro discorso). Quello che ci preme ora considerare è che: 1 kg di muscolo= 200 g di protidi e non 1 kg di proteine. Volete mettere su 1 kg di massa magra in un mese? Sono 200 gin 30 giorni, cioè 6,66 gin più al giorno. Vedremo, a breve, che anche questa considerazione ha poco senso. Cerchiamo di capire il perché. Guardatevi allo specchio, riuscite a notare qualcosa? La cheratina che sta cadendo o si sta accumulando nelle unghie e nei capelli? Notate, attraverso le vene ciliari, i globuli rossi ormai vecchi che stanno morendo? Ogni cellula del vostro viso pulsa di vita, ogni secondo qualcosa muore in voi e qualcos'altro rinasce. Tutto ha un'emivita. Pensate agli ormoni. Fate la vostra serie di squat da venti ripetizioni, il testosterone vi sale e vi esce dagli occhi, diventate un toro da monta, il GH vi scorre come acido nelle vene, avete più ormoni voi di una farmacia ... e poi? Poi tutto cala, i livelli scendono, gli ormoni si inattivano e vengono degradati. Oppure pensate agli enzimi. Scoprite che per quanta palestra fate, per quanto gli ormoni anabolici siano influenzati, rimarrete sempre impotenti e allora vi date all'alcol. Le prime sere vi bastano due bicchieri per essere ubriachi, ma col tempo gli enzimi si adeguano, imparano a degradarlo più velocemente e la vostra tolleranza all'alcol aumenta. Alcuni enzimi del metabolismo sono aumentati, altri diminuiti; il corpo lavora per adeguarsi alle vostre abitudini alimentari e per permettervi di assimilare e sintetizzare al meglio quello che gli date. Cheratina, ormoni, enzimi, trasportatori di membrana, ecc. sono tutti costituiti da proteine, le quali sono ovunque, non solo nei muscoli. Il corpo continuamente degrada i protidi e li risintetizza. La macchina umana è talmente perfetta che i suoi controllori continuamente smontano e verificano i pezzi per garantirne la qualità. Un uomo di 80 kg ha un turnover proteico più o meno di 350 g al giorno. 350 g in un mese sono 10.500 g: dieci chili e mezzo di proteine non introdotte con la dieta, ma già presenti nell'organismo che vengono riassemblate. Di queste, solo una piccola parte (meno del 5%) viene completamente persa e dev'essere sostituita con l'alimentazione. Se il vostro scopo è quello di migliorare la composizione corporea e .mettere su muscolo, la prima attenzione dev'essere riservata a migliorare i processi relativi al tumover. È inutile focalizzarsi sul buttare dentro più legna se la caldaia funziona male. Nell'estrema semplificazione del nostro ambiente invece, si cerca di risolvere un problema complesso aumentando la materia prima (le proteine), senza preoccuparsi di ottimizzare i processi biochimici che portano alla sintesi di nuovo materiale contrattile. Il surplus calorico aumenta l'anabolismo del corpo ma va specificato che l'anabolismo non comprende solo la sintesi di nuove proteine nel muscolo, ma anche di nuovo glicogeno nel fegato e di nuovi trigliceridi negli adipociti. Per questo si fa il periodo di massa e si mette su muscolo e grasso, perché crescere "sporcandosi" è estremamente più facile. L'importante è crescere ingrassando il meno possibile, ma questo lo vedremo successivamente. Abbiamo già visto che l'organismo misura i livelli energetici attraverso il metabolismo glucidico adipocitario ed il livello del glicogeno epatico. Tutti i tessuti sono interconnessi tra di loro e si influenzano a vicenda. Abbiamo un antagonismo adipocita-miocita (vedi relativo faragrafo) sullo stoccaggio dei nutrienti. Dal momento che è la capacità di utilizzare in modo ottimale gli zuccheri a determinare tutta :UDa cascata di eventi, l'abilità di metabolizzare questo carburante diventa fondamentale anche per tenziare la crescita muscolare. Una miglior sensibilità insulinica aumenta l 'up-take cellulare do crescere il miocita. Glucosio e trigliceridi sanguigni sono un primo dato per monitorare lo stato del nostro ·smo. Se avete gli zuccheri o i grassi alti (o tutti e due) smettete di guardare al dito.

Migliorare i parametri ematici (glicemia, trigliceridi, rapporto colesterolo HDL/LDL) diventa così il primo obiettivo per una migliore salute, ma anche per un miglior turnover proteico. Un muscolo che funziona bene ripulisce il sangue dall'eccesso di grassi e zuccheri. Per concludere facciamo un classico esempio. Avete presente il film "Tremors "? Val ed Earl trovano il vecchio Fred morto di fame sopra un palo della linea telefonica. La paura del vermone ha avuto la priorità sull'istinto di nutrirsi. Il nostro organismo ragiona per priorità. Cibo o figa? Sonno o videogiochi? Respiro o mantengo la temperatura corporea? Nella scala delle priorità aumentare la massa muscolare è tra gli ultimi posti. Portiamo il nostro organismo in un range di salute ottimale e lui ci ripagherà migliorando tutti i processi metabolici. Se il vostro corpo è ingolfato aumentare le proteine non è la strada corretta. Questo non significa che una buona dose proteica non stimoli l 'mTOR e la sintesi muscolare. Abbiamo appena visto che gli aminoacidi che non intervengono nel metabolismo epatico (BCAA) stimolano l'anabolismo del miocita, ma questi svolgono più un ruolo anticatabolico che anabolico. Il messaggio da portarsi a casa è che ci sono solo tre strade per ottimizzare la sintesi proteica: il doping e qui potete fare quello che volete (a discapito della vostra salute); 2. mangiare come porci aumentando anche l'anabolismo adipocitario; 3. concentrarsi sullo stato di salute del corpo in generale: sui livelli ematici, sullo scambio cellulare sodio/potassio, sulla sensibilità insulinica, sull'idratazione e l'efficienza mitocondriale. Quante proteine servono? Dipende. Dipende da troppi fattori, ma se tutto l'organismo funziona correttamente il quantitativo proteico che abbiamo indicato nei precedenti paragrafi risulterà sufficiente. 1.

Cosa dice oggi la scienza su quante proteine servono? Fino ad ora non è ancora certo il fabbisogno massimo individuale. Attraverso dei semplici esami, tuttavia, riusciamo a sapere se le proteine che introduciamo sono almeno sufficienti. Il primo test usato è quello dell'azoto urinario. I soggetti devono essere sani e normopeso. La quantità d'azoto urinario espulso (95% sotto forma d'urea) corrisponde ad una stima delle sostanze azotate (proteine) consumate durante il giorno. Il corpo perde anche un altro 1-2% .attraverso la desquamazione della cute, le feci, la saliva, ecc. Il fattore di conversione dell'azoto in proteine corrisponde a 6,25, cioè 1O g di azoto corrispondono a 62,5 g di proteine. Mediamente un individuo di 70 kg espelle con le urine tra 7,515 g, pari a 47-94 g di protidi. Questo vuol dire che assumendo 0,75-1,4 g/kg andiamo a ristabilire il bilancio proteico. Il test dell'azoto non ha tuttavia un valore assoluto perché non tiene conto da quali aminoacidi arriva l'azoto espulso. Mangiando così fonJi con un profilo amminoacidico incompleto non potremmo soddisfare le esigenze dell'organismo pur mangiando la quota proteica adeguata. Se manca un aminoacido essenziale è inutile guardare al bilancio azotato. Per questo è importante assicurarsi con l'alimentazione di introdurre tutti gli aminoacidi essenziali, soprattutto se seguiamo un regime vegetariano o vegan. Un altro test a disposizione è quello dell'albumina. Questa proteina ematica ha un'emivita di 14-20 giorni. Se non diamo abbastanza proteine il fegato produrrà meno albumina, segnalando una mancanza proteica. I valori di riferimento sono 3,5-5 g/dl. È un test che potete verificare con dei semplici esami del sangue. Va ricordato, tuttavia, che un'ipoalbuminemia si verifica davvero solo in casi di severa malnutrizione. La scienza, ad oggi, ha stabilito i fabbisogni proteici per preservare la salute tra 0,8-1,4 g/kg, con una media indicativa tra 0,9-1 g/kg. Quali siano quelli invece utili per migliorare la

perfonnance e la composizione corporea rimangono ancora poco chiari e con una forte variabilità soggettiva. Una recente e famosa review sul bodybuilding natural indica un quantitativo proteico tra 2,33, 1 tug/kg di massa magra, come quota ottimale, durante un peridodo di definizione, per chi fa bodybuilding. Forse la difficoltà più elevata nel riuscire a comprendere effettivamente quante proteine servano è che questo macronutriente è coinvolto nell'anabolismo cellulare assieme ai carboidrati. Potete assumere quante proteine volete, ma se siete carenti di glucidi i marcatori dei fattori di crescita non saranno mai ottimali. Protidi e zuccheri andrebbero quasi calcolati insieme quando vogliamo enfatizzare l'anabolismo proteico o limitare la sua lisi.

Massimo 30 g di proteine per pasto? Un argomento che si trova spesso sulle riviste di bodybuilding è: "Il corpo può assorbire al massimo 30 g di proteine a pasto!". Questa affermazione l'ho sentita anche al corso di nutrizione all'università. Incuriosito ho chiesto al docente il motivo e la risposta è stata questa: "Come per la glicemia, nel sangue la concentrazione di aminoacidi tende a rimanere stabile. Quando cala, il catabolismo muscolare viene rallentato, quando aumenta, l'eccesso viene ossidato o trasformato, non avendo il corpo un deposito dove stoccarli, . Pertanto 30 g di proteine è la quota massima assimilabile. Superarla non apporta nessun vantaggio. " Da questo punto di vista il discorso sembra non fare una piega. Il dubbio sorge quando pensiamo che, modificando la composizione del pasto, i tempi di digestione ed assorbimento cambiano radicalmente. Facendo una ricerca su internet potete trovare delle indicazioni sui tempi di digestione e assimilazione degli alimenti, tuttavia, si riferiscono sempre solo al singolo alimento in un quantitativo standard di 100 g. 30 grammi di proteine potrebbero essere in realtà assorbiti in 4-14 ore a seconda della fonte da cui provengono e da che alimenti li accompagnano. Vista in questo modo la questione cambia completamente. Un conto è guardare agli aminoacidi nel sangue, un contro è guardare in quanto tempo l'intestino li immette nel circolo portale (la vena porta collega l'intestino al fegato). Se a ciò aggiungiamo che negli ultimi anni sono usciti diversi studi che mostrano un profilo onnonale migliore (soprattutto per via della maggior produzione di GH) se la quota proteica giornaliera viene condensata in 1-2 pasti piuttosto che frazionata, è lecito chiederci se ha ancora senso parlare di un assorbimento massimo di 30 g per pasto. Morale della favola: pensare a quante proteine possiamo assumere ogni volta che mangiamo è una sega mentale inutile, nata da chi vi vuole vendere gli integratori in polvere, piuttosto che dalla fisiologia. Se vi trovate bene a fare tanti piccoli pasti, se avete problemi di assorbimento o di digestione, ftazionare la quota proteica è una buona idea. Se, al contrario, vi trovate bene a fare i canonici tre pasti o i due del digiuno intermittente continuate pure su questa strada. Chi ha fatto la warrior diet e ha mangiato tutte le proteine in un'unica cena non è andato incontro ad una malnutrizione proteica perché non assumeva solo 30 g di protidi al giorno. Insomma le indicazioni nutrizionali e scientifiche devono essere lette alla luce del buonsenso, senza complicare ulteriormente quello che è già complesso. Diversi studi mostrano che bastano 20-30 g di proteine di alta qualità per innescare la massima sintesi proteica. Questo è vero ma ... ma se assumete un quantitativo maggiore la spinta anabolica perdura per più tempo, quindi niente viene sprecato.

Le proteine fanno male? Non presi 30 all'esame di Biochimica perché quando il professor mi chiese quant'è il fabbisogno proteico risposi 0,9 g/kg al giorno. "0,75g/kg" mi corresse immediatamente lui. Io annuii (i sacri testi dicevano così)e l'esame andò avanti con successo. Da allora la posizione della nutrizione italiana non è molto cambiata: non bisogna mangiare troppe proteine perché fanno male. Ci tengo a specificare che questo è un testo divulgativo e non ha nessuna pretesa di dare risposte o verità. Pertanto se volte informarvi correttamente leggete libri più prestigiosi (consigliati alla fine del testo) e ascoltate medici specialisti. Tuttavia sulle proteine ed i loro possibili danni ali' organismo aleggia l'ombra oscura del bias. Negli studi si parla di bias quando chi li effettua parte da un preconcetto o un pregiudizio (conscio ma anche inconscio) e questo va ad inficiare la reale oggettività dello studio. C'è in atto una revisione molto importante sulle ricerche che dicevano che le proteine fanno male ai reni, al fegato, che causano osteoporosi, ecc. in chi non ha patologie. Sembrerebbe non esserci nessuna evidenza scientifica che in soggetti sani, ribadisco in soggetti sani, si possano avere problematiche per chi ciclicizza i quantitativi proteici. Su Pubmed si possono leggere e trovare molti spunti a riguardo. Questo non vuol dire che se siete sani potete mangiare quante proteine volete, ma che semplicemente la questione è aperta e le attuali convinzioni potrebbero modificarsi alla luce di nuovi elementi (come la revisione degli studi corrotti da bias ). Ma vediamo le attuali linee guida cosa dicono. L'Institute of Medicine stabilisce la RDA proteica a 0,8 g/kg/die e la considera valida per il 97% della popolazione La quantità minima di proteine da consumare giornalmente per prevenirne il deficit sembra infatti essere piuttosto diversa da quella necessaria per garantire una funzionalità ottimale. L'RDA è stata calcolata sulla base del bilancio azotato di giovani adulti sani (nella vita reale la maggior parte sono sedentari), ovvero di individui con un fabbisogno proteico relativamente basso (essendo individui giovani - ma non in fase di crescita - e quindi in "steady state"). Tale valore nell'anziano 'potrebbe essere sottostimato persino come valore minimo. L 'Institute of Medicine stabilisce poi come distribuzione percentuale ottimale del macronutriente "proteine" un range dal 10 al 35% dell'introito calorico totale (quindi potremmo già a questo punto intenderci per una definizione di dieta iperproteica: una dieta in cui si superi questo 35%). Facciamo due calcoli: in una persona di 70 kg (parliamo di dieta isocalorica), in cui stimiamo un TDEE (fabbisogno calorico giornaliero) di 2500 kcal/die, se il 35% viene dalle proteine, quante proteine sono? Risposta: circa 219 g di proteine al giorno, ovvero 3 g/kg/die! Quasi quattro volte quanto riportato in precedenza. Il che è praticamente il doppio del fabbisogno indicato negli atleti secondo le raccomandazioni dell 'American College of Sport Medicine. Insomma secondo le vecchie raccomandazioni anche una quota di 0,9-1 g/kg poteva essere considerata iperproteica. Oggi alla luce delle nuove revisioni i dati per gli sportivi sono completamente cambiati. Per concludere è interessante andare a ricercare cosa mangiano i grandi erbivori, quanto pesano e quanto cibo introducono. Andate su Google e fate un paio di ricerche sul gorilla. Guardate quante proteine contiene il bambù (2,6 g/1 OOg) un 'inezia. Poi andate a vedere quanti chili al giorno ingurgita ( 16-18 kg). Vi stupirete di scoprire che tutti i grandi erbivori mangiano più del doppio delle proteine rispetto a noi. A questo punto è lecito chiederci se esiste animale della nostro taglia con una RDA proteica così bassa come l'uomo.

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Proteine e danno renale

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Uno dei punti clou che si correla ai danni delle proteine sono i reni. Basta guardare tre uova e già perdiamo 100 nefroni, no? La preoccupazione nascerebbe dall'osservazione che il volume di filtrazione glomerulare (GFR) tende ad aumentare dopo il consumo di un pasto ricco in proteine ( un aumento inappropriato del GFR avviene ad esempio nelle fasi iniziali della nefropatia diabetica e prelude ad un danno successivo). In realtà ad oggi le evidenze non sono riuscite a dimostrare in maniera convincente un reale pericolo per gli individui sani (sebbene in persone nefropatiche una dieta iperproteica possa risultare sfavorevole). Per la cronaca, le raccomandazioni della National Kidney Foundation per pazienti con insufficienza renale comica non in dialisi prevedono valori più bassi rispetto a quelli della popolazione generale già citati [0,6-0, 75 g/kg/die]. Nel caso di una dieta spiccatamente iperproteica, alcuni studi avrebbero inoltre evidenziato l'importanza di una buona idratazione, necessaria per evitare condizioni di disidratazione (soprattutto nei periodi estivi). Questo avviene perché a causa dell'elevato intake proteico vi è un'aumentata escrezione di soluti (urea ed altri prodotti azotati). Attenzione: mantenere una buona idratazione è una saggia abitudine i cui principi basilari sono comuni per tutti, atleti compresi, ma ciò non significa bere 8-1 O L di acqua al dì a prescindere (come talora si vede consigliare da alcuni pseudo guru)! Pertanto per le persone sane non vi sono particolari preoccupazioni: seguire una dieta con l ,51,7g/kg/die come consigliato dall 'ACSM è sicuro; valori tra 1, 1 e l ,5g/kg/die sono considerati addirittura necessari negli anziani con funzione renale nella norma. Cautela è invece indicata in persone potenzialmente a rischio (almeno una creatinina sierica, una emoglobina glicata ed un ·esame urine per rilevare un'eventuale proteinuria sarebbero test di screening consigliabili). Rimane nebuloso un possibile effetto negativo a lunghissimo termine (es. > 1O anni) sulla funzione renale di diete a regime proteico costantemente molto elevato (diciamo sopra il famigerato 35%) per il semplice motivo che il numero di studi in merito non è ancora corposo e quindi viene consigliata prudenza (tra l'altro non vi sono delle motivazioni reali a favore di un regime alimentare tanto spinto e continuativo per così lungo tempo). Una dieta iperproteica è stata tuttavia collegata al rischio di litiasi renale (calcolosi renale). In tale categoria di persone una dieta di questo tipo potrebbe non essere una scelta ottimale: un elevato consumo proteico viene infatti considerato un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di calcoli renali in individui predisposti. Come vedremo a breve le proteine aumentano l'escrezione renale di calcio ed acidificano il pH urinario, fattori che aumentano il rischio di formare calcoli. Alcuni autori consigliano, in questi casi, l'assunzione di limone e citrato.

Proteine e cancro

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La preoccupazione in questo caso è piuttosto mal direzionata. Fondamentalmente l'unico timore nei confronti delle proteine di per sé era dovuto all'aumento dell'IGF-1 potenzialmente stimolato dalle stesse (i livelli di IGF-1 circolanti sono ritenuti positivamente correlati con alcune neoplasie, ed esempio mammella). In realtà all'atto pratico tale preoccupazione si è rivelata infondata. Uno studio su più di 20.000 donne ha smentito l'associazione tra l'ammontare proteico complessivo (sia di origine animale che vegetale) e la mortalità per neoplasia. Vi sono addirittura dei lavori che evidenzierebbero una migliore sopravvivenza delle donne con neoplasia mammaria che assumono "high intakes" di proteine alimentari [Sottolineo che entrambi i riferimenti

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del Dr Angelo Fassio

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bibliografici non sono stati presi a caso ma sono riportati dal report WHO, sul sito potete trovare tutta la bibliografia]. Il fattore cruciale è piuttosto ciò che accompagna le proteine nel contesto degli alimenti che introduciamo. Un certo numero di studi longitudinali avrebbe infatti suggerito una correlazione positiva tra l'assunzione di carne rossa e carne processata ed il rischio di sviluppare una neoplasia (suggerirei a questo punto di chiarire bene nella propria mente i significati e le implicazioni dei termini "studio longitudinale" e "correlazione positiva"). Il rischio relativo (altro termine da chiarire!) pare maggiore nel caso di un aumento del consumo di carne processata rispetto alla carne rossa non processata. Come scrivevo prima, il problema non concerne le proteine di per sé ma la presenza di alcune sostanze intrinsecamente presenti nell'alimento (soprattutto nitroso composti) e di accompagnamento (ad esempio le elevate quantità di sale nella carne processata). Per quanto riguarda le modalità di cottura, sebbene sia noto l'effetto cancerogeno di alcune sostanze che si possono sviluppare durante la combustione, la relazione è difficile da indagare.

Quante proteine diventano dawero troppe

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È individuabile un limite superiore che può provocare, persino nel breve-medio termine, problemi seri?

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In realtà si, sebbene i dati siano complessivamente molto pochi. La condizione viene chiamata "rabbit starvation syndrome" e comporterebbe dapprima la comparsa di nausea e diarrea ingravescenti ed infine potenzialmente la morte in 2-3 settimane. Questa sindrome è stata inizialmente scoperta in due esploratori. Uno dei due, nutrendosi solamente di carne molto magra (con un rapporto grassi/proteine molto basso, come nel caso della carne di coniglio e da qui il nome della sindrome) sviluppò il caratteristico corteo di segni e sintomi. La componente proteica stimata era del 60% del suo TDEE; per il nostro omino di 70 kg saremmo sopra il 5,3 g/kg/die ma dobbiamo tenere a mente che in questo caso si trattava di un esploratore in condizioni estreme e quindi con un fabbisogno calorico decisamente più elevato.

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Il problema si risolse quando la componente lipidica della dieta venne nuovamente ripristinata (e la percentuale di proteine riportata al 25% circa). Rudman et al. eseguirono negli anni '70 uno studio che andò a valutare il rate epatico massimo di produzione di urea (MRUS). Oltre questa soglia l'organismo inizierebbe a manifestare sintomi di iperammoniemia ed iperaminoacidemia. Alla MRUS teorica va poi aggiunta la quota di aminoacidi che vengono utilizzati per le funzioni strutturali; in questo modo si ottiene un range teorico di assunzione proteica massima tollerabile. · Considerando come soglia di sicurezza prudenziale il limite inferiore del range, per il consueto omino di 70kg con 2500 kcal di TDEE, ci aggiriamo intorno ai 256 grammi al dì, ovvero 3,65g/kg/die = il 40% del TDEE (sempre considerando una dieta isocalorica). Quindi il 40% sembra essere una quota non più sicura nell'assunzione proteica. Vi lascio con l'ultimo approfondimento di buon senso che potete scaricare da internet http://www. cnpp.usda.govldietary-guidelines-201 O.

Proteine ed osteoporosi

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Affermare che la dieta abbia un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita dell'individuo è lapalissiano; il metabolismo dell'osso non fa eccezione. Sfortunatamente è sin troppo facile

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imbattersi, più o meno ovunque, in informazioni non del tutto corrette oppure in vere e proprie cialtronerie. Mi rendo conto che questo paragrafo genererà qualche scompenso in alcuni, vorrei tuttavia sottolineare che non sto esponendo la mia personale opinione, il mio metodo o quant'altro: possiamo fornire a supporto di quanto scritto una bibliografia essenziale composta da linee guida, da review sistematiche e metanalisi. Considerate infine che nell'ambiente del fitness e su internet la componente "marketing" è piuttosto pervasiva e non sempre ricavata da evidenza scientifiche di buona qualità. Proviamo a fare un po' di chiarezza partendo da una veloce occhiata alle linee guida per osteoporosi, alla sezione "alimentazione" (SIOMMS 2012 - potete recuperare nella bibliografia la versione completa e gratuita). "L 'aumento del! 'apporto proteico in soggetti con inadeguato introito riduce il rischio di fratture del femore in entrambi i sessi. Un adeguato apporto proteico è necessario per mantenere la funzione del sistema muscoloscheletrico, ma anche per ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica. " Ma come? Le proteine non determinano un importante carico acidificante che costringe l'osso a "sciogliersi" per tamponare l'eccesso d'acido? Abbandoniamo le linee guida per proseguire il discorso. Di per sé l'idea non sarebbe insensata. Qualcuno, in passato, notò che le proteine inducevano un aumento della calci uria ( quantità giornaliera complessiva di calcio escreto con le urine). Ripeto: in passato. Parliamo infatti del 1973. Dal '73 (ovvero, in medicina, praticamente la preistoria) cosa è invece emerso? 1. Che una dieta ad alto ''potential renai acid load" o PRAL determina un aumento della frazione di assorbimento intestinale del calcio, che comp~nsa l 'ipercalciuria. 2. Un'alimentazione con una quota proteica adeguata non solo non modifica i marker di turnover osseo (per chi sa che cosa siano) ma aumenterebbe i livelli di IGF-1 e ridurrebbe quelli di paratormone ( addirittura suggerendo un ruolo favorevole nei confronti della massa ossea). 3. Non vi è nessuna relazione causale nei confronti del bilancio fosfo-calcico complessivo o variazioni del dato densitometrico (valore di densità minerale ossea valutato dalla DEXA ovvero la metodica gold standard) né tantomeno nei confronti del il rischio di frattura. 4. Non vi è nessuna evidenza a supportare l'ipotesi che una dieta ad elevato PRAL determini osteoporosi e nemmeno che una alcalinizzante la prevenga. Allo stesso modo non vi sono evidenze a supportare il consumo di integratori alcalinizzanti ( attenzione, non è uno studietto da quattro soldi: è una metanalisi-review sistematica di trial randomizzati di elevata qualità statistica e di studi longitudinali a basso rischio di bias ). Quindi una dieta iperproteica è favorevole? In realtà, sebbene vi siano sono studi epidemiologici che individuerebbero una certa correlazione positiva tra massa ossea e intake proteico, questo aspetto va contestualizzato. L'osteoporosi primaria (quindi postmenopausale-senile) è una malattia tendenzialmente dell'anziano. Tale popolazione è esposta, ad esempio, ad un elevato rischio di sarcopenia e malnutrizione (interessante è, a questo proposito, la cosiddetta "obesità sarcopenica "). Una dieta con un buon contenuto proteico è un fattore protettivo nei confronti di tale problematica e tendenzialmente si accompagna anche ad un decente apporto calorico. Prevenire la sarcopenia permette di mantenere dei migliori livelli di funzionalità muscoloscheletrica che a loro volta sono protettivi nei confronti dell'osso, così come un introito calorico adeguato. Va da sé che il nesso causa-effetto non è così automatico (NB: come spesso IICC8de in medicina).

Efrutta e verdura come influenzano la matrice ossea? Potenzialmente tali alimenti sono ricchi di nutrienti favorevoli per la salute dell'osso. Antiossidanti, vitamine C e K (implicate nella sintesi della matrice ossea), minerali (potassio, magnesio, calcio). Ad oggi gli studi hanno tuttavia portato a risultati non concordanti, molto probabilmente a causa di una elevata eterogeneità dei campioni esaminati ed ad un elevato rischio di bias degli studi.

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E l'alcol che influenza ha? L'abuso alcolico è un fattore di rischio assolutamente ben conosciuto. Troverete montagne di letteratura in merito.

Ci sono altri alimenti che influenzano il metabolismo del calcio? L'eccessivo consumo di caffeina, bibite e sodio sembrerebbe avere un effetto negativo nei confronti del bilancio del calcio, ma le evidenze complessive s~no limitate.

Esiste una correlazione tra sovrappeso, introito calorico e ossa? Sebbene le persone obese abbiano dei valori di massa ossea mediamente più elevati (attenzione: ciò non significa un ridotto rischio di frattura, ovvero il vero risvolto applicabile alla clinica quando si parla di osteoporosi, anzi!), da uno studio emergerebbe come il grasso viscerale possa avere un effetto sfavorevole nei confronti della densità minerale ossea. D'altro canto, una restrizione calorica potrebbe comunque determinare una perdita di massa ossea, in particolare se di entità importante (nello studio in questione ciò si evidenzia per percentuali inferiori al 55% della RDA). Per concludere se ancora pensate che le proteine, il latte causino osteoporosi potete essere liberissimi di crederlo. Ma ricordatevi che nell'era dell'informazione rimanere ignoranti è una scelta. Scegliete attentamente le fonti da cui reperite le informazioni.

Alcune aggiunte sull'argomento relative al latte Q: il latte è acidificante? A: NO. Svariati studi hanno dimostrato che il latte non è un cibo "acidificante". Addirittura uno studio sul NAE (neat acid excretion) ha dimostrato come il carico del latte sia sovrapponibile a quello ... dell'acqua ! Q: il latte causa osteoporosi? A: NO. Questa è davvero l'ennesima trovata commerciale. Una tesi ad effetto, che carpisce l'attenzione proprio per il paradosso che porta con sé e per il fatto che soddisfa quella vena complottista che ultimamente sta andando piuttosto di moda (il che va a braccetto con le altre eresie del tipo: l'HIV non causa l'AIDS, le conseguenze della malattia neoplastica sono in realtà dovute alla terapia, i vaccini sono il flagello dell'umanità, ecc.). Una review sistematica (pubblicata sul Lancet) ha confermato il ruolo del calcio nel supportare la salute dell'osso. Per completezza, una recentissima review sistematica uscita nel settembre 2015 sul British Medicai Joumal sottolinea dei dati meno impattanti per quanto riguarda la correlazione calcio alimentare, utilizzo di supplementi di calcio e rischio di frattura. Il discorso diventa complesso da una parte, ma all'atto pratico rimane semplice. Assicuriamoci un introito adeguato di calcio e, soprattutto, un compenso ottimale di vitamina D. Q: allora il latte cura l'osteoporosi? A: NO. Il latte è un alimento ricco di calcio. Il calcio non cura l'osteoporosi, sarebbe come pensare che frutta e verdura possano curare una coronaria occlusa. Ripeto: un adeguato apporto di calcio e vitamina D rappresenta una corretta abitudine nutrizionale per la salute dell'osso. Le persone intolleranti al lattosio o che no~ cons1;1mano latticini per i motivi più svariati possono

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senz'altro recuperare il fabbisogno giornaliero di calcio da altre fonti alimentari (o eventualmente da supplementi, che vengono tuttavia ritenuti di seconda scelta per vari motivi). Q: le diete alcalinizzanti alcalinizzano? A: NO, né il sangue né l'interstizio. Una dieta "acida" affatica il rene come il cuore si affatica a battere ed il polmone a respirare. Ad oggi queste sono le evidenze supportate.

Le proteine fanno ingrassare? Normalmente, e giustamente, ci si sofferma sui grassi e sui carboidrati quando si parla di macronutrienti che fanno ingrassare. Negli ultimi anni tuttavia, anche grazie al Dr. Berrino, alcuni studi epidemiologici hanno mostrato che le persone più grasse sono quelle che mangiano più proteine. Possibile? Studi osservazionali, sui quali si basa il Dr. Berrino, correlano due eventi ma non possono per definizione dimostrare un nesso di causalità e ciò è il limite di queste ricerche. L'esempio classico, sugli studi statistici, è quello della colazione. Solitamente chi non la fa è più grasso. Ma è saltarla che provoca un aumento di peso? In realtà abbiamo questo dato perché mediamente molti di quelli che non la fanno mantengono quest'abitudine per pigrizia o per risparmiare tempo quando si prepararono per andare a lavoro, ma poi a metà mattina in preda agli attacchi di fame finiscono col riempirsi al bar con cappuccio e brioche. Al contrario la maggior parte degli sportivi e delle persone attente all'alimentazione la fanno correttamente, con frutta, yogurt magri, avena, ecc. Quindi, è saltare la colazione che fa ingrassare o mangiare male? . È ormai dimostrato che ciò che fa aumentare o diminuire di peso è la qualità e la quantità di quello che introduciamo (nell'intera giornata), non il saltare i pasti. Se pensate che farlo vi rallenterà il metabolismo leggete il paragrafo sulla colazione ed il digiuno intermittente. Perché le proteine possono far ingrassare

Quando mangiamo e introduciamo macronutrienti, questi per venire metabolizzati ed ossidati devono superare due membrane, una cellulare ed una mitocondriale. Trasportatori specifici permettono il passaggio dei macronutrienti (glucosio, aminoacidi, acidi grassi). Alcuni aminoacidi (quelli ramificati e l'arginina), stimolano i recettori GLUT-4 a portarsi sulla superficie di membrana senza la presenza del glucosio e questo migliora la sensibilità insulinica. Tuttavia un eccesso ematico di aminoacidi abbinato ad un surplus calorico ostacola l'ingresso del glucosio nella cellula, portando all'opposto all 'insulino-resistenza. Quest'ultima non ha effetto solo sulla membrana cellulare, ma anche a livello mitocondriale. Qui l'eccesso energetico non verrà dissipato in calore, ma darà il via a processi di liposintesi. Oltre a questo importante effetto le proteine hanno un'azione anabolica (combinata all'insulina) sulle cellule. L'anabolismo non porta soltanto il muscolo ad aumentare la sintesi proteica, ma aumenta anche la sintesi di glicogeno del fegato e la formazione di acidi grassi nell 'adipocita. Va infine ricordato che molto spesso assieme alle proteine animali si trovano anche i grassi animali. La carne e i formaggi del supermercato non sono sicuramente ricchi di grassi salutari come quelli dei bovini dei pascoli. Il grasso che la mucca stocca è dipendente da quello che mangia. Se introduce mangimi industriali ricchi di omega-6 sarà pro-infiammatorio; se pascola mangiando l'erba, ricca naturalmente di omega-3, sarà anti-infiammatorio. Questi tre fattori legati alle proteine, inseriti in un contesto di sedentarietà e di ipernutrizione, possono contribuire in modo significativo a far ingrassare maggiormente la persona. Perché le proteine NON fanno ingrassare

Nelle persone attive che mangiano correttamente, le proteine non portano assolutamente ad aumentare i processi di liposintesi. Le ragioni sono principalmente tre: I

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la spesa energetica (ADS) del corpo per digerirle ed assimilare è la più elevata tra i macronutrienti, tra il 10 e 35% (con una media del 22,5%). Questo vuol dire che un quinto delle calorie introdotte con le proteine viene speso per dissembrarle. Per questa ragione si dice che i protidi "alzano" il metabolismo, perché metabolicamente lo fanno lavorare aumentando la termogenesi; la conversione dell'eccesso proteico in glucosio e successivamente in trigliceridi è un passaggio estremamente dispendioso e solo teorico. Il corpo preferisce ossidare il surplus proteico, disperdendolo in calore, piuttosto che convertirlo in grasso; il potere saziante delle proteine è il più elevato rispetto agli altri macronutrienti, molto di più degli zuccheri (che danno un senso di sazietà a breve termine) e dei grassi ( senso di sazietà a lungo termine). È difficile ritrovarsi affamati mangiando molte proteine.

Conclusioni Come sempre analizzare un solo fattore, le proteine, senza contestualizzarlo, (rispetto agli altri macronutrienti, le abitudini lavorative ed alimentari), risulta piuttosto forviante. Infatti è vero che solitamente chi mangia più proteine è più grasso. , Ma questo avviene non perché la persona si mangia due bistecche in più e due piatti di pastasciutta in meno, ma perché mangia tutto di più. Statisticamente chi assume più protidi assume anche più calorie. Alla luce di questi fattori ogni speculazione diventa vana. Se state seguendo una dieta per la massa, con un buon quantitativo glucidico e/o lipidico non conviene esagerare con i protidi. Molti autori come abbiamo visto consigliano un intervallo tra 0,9-1,5 g/kg, eccedendo vi ritroverete non più grossi ma più grassi! Al contrario, se state seguendo un regime ipocalorico aumentare le proteine fino a 1,7-2,5 g/kg potrebbe portare un grosso vantaggio, sia per proteggere la massa magra, sia per sopportare meglio la fame. Dieta Mediterranea ed obesità La dieta Mediterranea è diventata patrimonio universale dell'umanità (giustamente). È innegabile che questa alimentazione sia più salutare rispetto a quella americana. Tuttavia negli ultimi 10-15 anni c'è stata un'inversione di tendenza.L'Italia meridionale ha più obesi e persone in sovrappeso rispetto a quella del nord e la Grecia si ritrova coi bambini più grassi d'Europa. Cosa sta succedendo ai paesi bagnati dal Mediterraneo? Mangiano più proteine. In tutte le società in cui si introducono più protidi abbiamo un aumento vert1gmoso del sovrappeso. Ma non possiamo soffermarci solo a questa analisi. Mediamente, più un paese è povero meno proteine mangiano i suoi abitanti. Nello stesso tempo, tuttavia, abbiamo anche meno comodità, ci si sposta meno in macchina, si lavora nei campi 12-14 ore al giorno, spesso non si raggiunge il fabbisogno calorico giornaliero, ecc. Insomma paragonare i paesi poveri a quelli occidentali, o confrontare l'alimentazione che avevano i nostri nonni e bisnonni con noi ha poco senso se prendiamo in considerazione solo l'aumento proteico. Statisticamente più le persone fanno una vita agiata e sono sedentarie più proteine mangiano. Quali dei due fattori incide di più sul grasso corporeo? Lasciamo a voi rispondere.

Il glutine fa male? La prima premessa da fare è che il glutine è una proteina, una proteina di origine vegetale ma pur sempre una proteina. Questo è il motivo per cui è stato inserito in questa parte del libro e non in quella sui carboidrati.

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Parlare di glutine, caseine e carne è sempre complesso, perché le persone partono da un preconcetto e spesso ascoltano solo quello che conferma le proprie convinzioni. Creano così attorno a sè un'informazione selettiva che rafforza sempre di più la loro idea e finiscono col credere che la maggior parte degli studi scientifici affermano che ... Chi decide di eliminare dalla sua dieta un gruppo di alimenti, che sia 'il glutine, caseine, carne, ecc. sta subito meglio (ma questo dopo il capitolo sulla psicologia lo sappiamo di già). Vi avvisiamo che in questo paragrafo non c'è la soluzione all'enigma glutine; non c'è neanche un parere autorevole da ascoltare, ma solo alcune considerazioni di buon senso. L'argomento trattato non si rivolge ai celiaci o a chi ha problemi con il glutine conclamati e verificati, ma a quella grossa fetta di popolazione che non avendo fatto test medici è incerta sull'argomento e si basa sulle proprie sensazioni e convinzioni. L'assorbimento intestinale

I macronutrienti non possono essere assorbiti nella stessa forma con cui li ingeriamo, devono essere scomposti, riconosciuti, trasportati, assimilati. L'organismo è molto selettivo, pena l'ammalarsi e l'introdurre sostanze tossiche. Le proteine che assumiamo devono essere scisse in di-tripeptidi per passare l'epitelio intestinale, oppure (aggiunta che facciamo ora), entrano tramite transcitosi un passaggio non fisiologico di macromolecole nei villi intestinali. Se questo succede possono avvenire reazioni infiammatore e danneggiamenti alla membrana intestinale (permeabilità intestinale). Questo comporta una serie di eventi che generalmente peggiora lo stato di salute della persona. Perché abbiamo sempre più casi di celiaci ed intolleranti al glutine?

Fino a cinquant'anni fa la nostra popolazione, pur mangiando molti cerali non conosceva la celiachia e l'intolleranza al glutine. I fattori principali di questa impennata improvvisa sono principalmente tre. 1. Una volta il medico faceva fare l'esame per la celiachia solo ai soggetti in cui la malattia era ormai conclamata (forte sottopeso, difficoltà di crescita). Aumentando il numero della popolazione sottoposto agli esami e con l'introduzione dei test ematici, la percentuale è ovviamente salita. (Apriamo una piccola parentesi sugli intolleranti al glutine. Queste persone non hanno né positività per i tradizionali autoanticorpi che si usano nella diagnostica della celiachia, né positività patognomoniche alla biopsia duodenale, né il corredo genetico classico. La diagnosi è praticamente fatta attraverso una dieta di esclusione, ma presenta poche certezze cliniche e scientifiche. Ad oggi definirsi intolleranti al glutine vuol dire ancora tutto o niente) 2. L'irraggiamento dei grani ha portato a modificare sia la loro composizione, aumentando la percentuale di glutine, sia modificando la dimensione dei chicchi. Se da una parte la celiachia, essendo una patologia alimentare autoimmune permanente che si scatena in soggetti geneticamente predisposti in seguito all'ingestione di glutine, non è dose dipendente (il glutine fa sempre male al celiaco indipendentemente da quanto ne assume) non dovrebbe essere influenzata da questo fattore. L'intolleranza al glutine, al contrario, può variare in base al quantitativo introdotto durante tutta la vita. Pertanto si può diventare intolleranti anche a 30-50 anni. 3. Negli ultimi anni si è visto un peggioramento della qualità dei cibi presenti nelle nostre tavole. Alimenti industriali hanno preso il posto ai prodotti nostrani, cibi sempre più lavorati, contaminati, si sono fatti largo nella nostra cucina. Come vedremo a breve questo fattore diventa determinate quando parliamo del glutine.

Assorbimento del Glutine (gliadina - glutenina)

Il neonato può assorbire proteine intere. Questo gli permette di munirsi degli anticorpi passati dalla mamma. Dopo lo svezzamento, la barriera intestinale diventa più selettiva. È noto che i bambini che assorbono g~utine prima dei sei mesi più facilmente diventano celiaci. Ma nell'adulto che succede? Il nostro corpo è munito di specifiche proteine (enzimi) che devono scomporre i macronutrienti. Abbiamo lipasi per i grassi, amilasi per i polisaccaridi e proteasi per le proteine. Quest'ultime sono presenti sia a livello gastrico, sia a livello intestinale. Il glutine è formato da due unità proteiche: la gliadina e la glutenina. Entrambe sono insolubili in acqua e pertanto tale caratteristica conferisce al glutine quel potere di panificazione tanto sfruttato in cucina, ma che a livello digestivo invece la rende più complessa da essere digerita. Diventa ormai evidente che più una proteina ha difficoltà ad essere scomposta dall'organismo più facilmente fa danni e provoca infiammazioni. Anche qualora il glutine venga scisso in gliadina, se quest'ultima non riuscisse ad essere scomposta in un tripeptide il suo passaggio tramite transcitosi provocherebbe processi patogeni. La permeabilità intestinale consente così l'ingresso nell'organismo di macromolecole e batteri. La questione digestione e scomposizione diventa così fondamentale. L'avena ed il glutine

L'avena è un ottimo esempio per comprendere meglio la questione. È un cereale contenente glutine ma rispetto al grano la sua prolamina è l'avenina e non la gliadina. Questo, tuttavia, non sembra essere il solo fattore per cui è mediamente ben tollerata dai celiaci e dagli intolleranti al glutine. Quello che mangiamo influenza i nostri processi digestivi. La qualità degli alimenti e il loro abbinamento fa si che gli enzimi possano avere più o meno difficoltà nel svolgere il loro compito. Normalmente i cerali hanno al loro interno naturalmente degli inibitori delle proteasi. Questo comporta un ulteriore impegno da parte degli enzimi che scompongono le proteine. Se a questo aggiungiamo una lavorazione dei farinacei e una cottura che ne velocizzano l'assimilazione, ci possiamo ritrovare grossi quantitativi di glutine a contatto con l'epitelio intestinale. Le farine raffinate, i processi industriali, il vantaggio aggregante del glutine nella panificazione, hanno portato le aziende alimentari a creare prodotti con carichi glicemici e quantitativi di glutine sempre più elevati. Al contrario, l'avena, è di per se un alimento ben bilanciato, con un'ottima ridistribuzione dei macronutrienti rispetto a molti altri cereali (maggior quantità di lipidi, proteine, fibre e meno carboidrati). Non viene quasi mai lavorata e si acquista sempre in forma grezza. La sua digestione e il suo assorbimento risultano così essere molto più semplici per il nostro apparato digerente, permettendo così all'organismo di scomporre correttamente tutti i suoi elementi proteici. Morale della favola

La morale della favola è che chi mangia bene non deve avere paura del glutine perché introdurrà alimenti che ne permetteranno la corretta assimilazione. Varierà i cibi introdotti senza abusarne. Chi invece continuerà ad eccedere prediligendo farine raffinate, potrà rientrare in quella fetta di popolazione che nel corso della vita andrà incontro a problematiche dovute a questa proteina. Voler far ricadere su un unico fattore (glutine-caseine-carne) i problemi alimentari è sempre una semplificazione. Un modo semplice per dare una risposta ad un problema che invece è complesso. Infine va ricordato che il glutine causa una lieve dipendenza perché, come per le caseine, reagisce coi recettori oppiacei del cervello, dando senso di benessere (gliadorfina). Per questo è facile eccedere con alimenti che lo contengono e sentire il bisogno di mangiarci un bel piatto di spaghetti quando siamo depressi.

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Alimenti senza glutine (pasta, pane, biscotti, ecc.) utilizzano addensanti e prodotti chimici che li rendono meno salutari. Pertanto per la salute, per chi non ha problemi, è meglio mangiare una pasta col glutine che una senza (ma con dentro gli additivi chimici).

I grassi Le prime nozioni da sapere Più di trent'anni fa i nutrizionisti americani, presa coscienza dell'epidemia dilagante di sovrappeso e obesità, diedero come linea guida quella di mangiare meno grassi e di sostituirli coi carboidrati. Da allora i ciccioni sono in continuo aumento. La nazione che guida il mondo sta diventando un paese di lardosi e culi molli, alla faccia delle indicazioni alimentari. Cos'è andato storto? Oggi sono tornate di moda le diete iperproteiche come la Atkins (travestita da Dukan), la Metabolica, la Paleo e c'è una corrente di nutrizionisti che vede nei lipidi un mezzo per dimagrire e migliorare i parametri salutistici. Stiamo commettendo un altro errore? Dove sta la verità? Cosa c'entrano i trigliceridi col diabete? Ne sono la causa o migliorano l'assetto metabolico? Un passo alla volta e ci arriviamo. I grassi o lipidi, sono un macronutriente con una funzione prevalentemente energetica ma possiedono anche una parte plastica (formano le membrane cellulari, le cellule gliali), regolano la produzione degli ormoni steroidei, hanno una funzione antiossidante (ma anche proinfiammatoria) e sono precursori di sostanze regolatrici del sistema cardiovascolare come prostaglandine, trombossani, ecc. 1 g di grassi apporta mediamente 9 kca/, sono i nutrienti più calorici

Questo è dovuto al fatto che la loro struttura chimica è caratterizzata dalla presenza di pochi atomi di ossigeno (in rapporto a quelli di idrogeno); pertanto sono molecole "disidratate", il che rende il rapporto energia/particella molto elevato. Nelle diete viene spesso raccomandata una loro moderata assunzione. Sono associati a rischi cardiovascolari, a un aumento del colesterolo e del sovrappeso. Vedremo successivamente che anche questa è una mezza verità, come al solito dipende. La composizione dei lipidi è caratterizzata dal legame tra tre molecole di acidi grassi e una molecola di glicerolo, da qui il nome trigliceridi. Pertanto, anche se nel gergo comune acidi grassi e grassi sono la stessa cosa, in realtà non lo sono perché solo quest'ultimi hanno il legame con il glicerolo. Esistono acidi grassi essenziali che devono essere introdotti con la dieta: i più importanti sono l'acido linoleico, l'acido linolenico e l'acido arachidonico (quest'ultimo è il meno conosciuto perché lo si può bi o-sintetizzare dall'acido linoleico). Il corpo utilizza questo macronutriente soprattutto come riserva energetica, stoccandolo negli adipociti. Ma è fondamentale anche per la costruzione delle membrane cellulari e per una corretta sintesi e produzione ormonale. Una dieta ipolipidica nel medio lungo periodo abbassa i livelli degli ormoni anabolici, come dal resto ancb.e una dieta costantemente ipoglucidica. Un uomo di 70 kg ha mediamente 90.000-100.000 kcal stoccate come riserve di grasso, quantità sufficiente per vivere diversi mesi senza mangiare. Quando parleremo del "digiuno" sarà lecito chiedersi come mai una persona che si porta dietro riserve sufficienti ad affrontare mesi di carestia, se non introduce del cibo dopo 12 ore ha giramenti di testa e si sente stanca. Sicuramente si è creato uno squilibrio tra la capacità di stoccare il grasso e quella di riuscire ad attingerlo.

I lipidi non sono tutti uguali, si dividono in saturi, monoinsaturi e polinsaturi, che si differenziano in base alla loro struttura chimica. (attraverso la lavorazione industriale di idrogenazione possiamo ottenere come sottoprodotto non desiderato anche i grassi trans, i quali hanno una composizione che non si trova quasi mai in natura). I saturi non posseggono alcun doppio legame e non possono legarsi con altri atomi di idrogeno. Questo rende la loro conformazione lineare, motivo per cui sono solidi a temperatura ambiente. Hanno un punto di fusione elevato che li porta ad essere meno degradabili alle alte temperature ma anche meno digeribili. Se dovete cuocere qualcosa ad alte temperature, questo tipo di lipidi è quello che si degrada meno. I grassi insaturi hanno uno o più doppi legami liberi, questo gli permette di essere biologicamente attivi permettendogli di legarsi con altre sostanze del corpo. La loro struttura è curvilinea e si presentano liquidi a temperatura ambiente. I grassi polinsaturi, rispetto ai monoinsaturi, hanno una struttura molto più instabile e tendono facilmente ad ossidarsi. I processi di perossidazione lipidica nelle arterie che portano all'aterosclerosi si attivano a causa dei radicali liberi che attaccano i polinsaturi nel flusso ematico. La loro conservazione deve essere molto accurata. Il loro punto di fusione è il più basso tra tutti, il che li rende da una parte termosensibili dall'altra molto più digeribili. A livello muscolare c'è una certa competizione fra l'utilizzo del glucosio e quello degli acidi grassi (sia a livello recettoriale che mitocondriale). Quando uno dei due aumenta l'altro diminuisce. Questo parametro è di fondamentale importanza quando si decide la percentuale di lipidi da introdurre nella dieta. Un filone di pensiero tende a ridurre il più possibile (tra il 15-20%) l'introito calorico dei grassi e ciò aumenta la capacità del corpo di bruciare il glucosio e ne migliora la sua tolleranza (ovviamente non bisogna eccedere). Ricordiamo però che la quota minima di lipidi consigliata è di almeno 20-30 g al giorno, fondamentali a trasportare le vitamine liposolubili. Un altro filone al contrario tende ad aumentarne la quota al 30-35%. Una maggior quantità di grassi aumenta la capacità del corpo di ossidarli migliorando la beta-ossidazione. Tuttavia se il corpo metabolizza di più i grassi riduce la sua sensibilità ai glucidi, come abbiamo appena visto. In linea di massima più la persona sarà attiva e svolgerà attività sportive glicolitiche, più la percentuale di grassi potrà essere ridotta, poiché il corpo avrà bisogno di buone quantità di zuccheri. Invece se è sedentaria la percentuale di grassi potrà essere più consistente. Anche gli atleti di endurance non devono sacrificare eccessivamente i grassi, dal momento che una buona percentuale della loro performance dipende da essi.

Non tutti i grassi sono stati creati uguali

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Il Dr Claudio Zanella è stato tra i primi divulgatori scientifici su internet in Italia. Il suo contributo sul forum: di bbhomepage 16 ha contribuito a creare le basi per far passare correttamente le nozioni attraverso un linguaggio, chiaro, conciso e diretto. Questo testo nasce anche dalla sua passione nel trasmettere i contenuti e siamo molto orgogliosi di averlo tra noi. Claudio lavora come medico a Messina ed è anche un eccellente atleta nel powerlifting.

La famiglia dei lipidi è piuttosto ampia e una loro trattazione approfondita esula dagli scopi di questo testo. In questo capitolo parleremo dei lipidi detti "semplici", costituiti solo da idrogeno, ossigeno e carbonio. Tra i lipidi chiamati "composti" perché contenenti anche zolfo, azoto e fosforo ricordiamo le lipoproteine plasmatiche (come LDL e' HDL) di cui parleremo nei prossimi paragrafi. Sono costituiti dall'unione di una molecola di glicerolo con tre molecole di acidi grassi. 15 16

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Del Dottor Claudio Zane/la, e-mail [email protected] http://www.bbhomepage.com

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Trigliceridi

È importante sapere che una delle proprietà nocive dei grassi fritti deriva proprio dalla presenza del glicerolo che, sottoposto ad una temperatura superiore al punto di fumo del grasso che lo contiene, si disidrata formando acroleina, tossica per il fegato e irritante per le mucose. Il punto di fumo, come altre caratteristiche fisico-chimiche di oli e grassi, è influenzato dal tipo di acido grasso costituente il trigliceride, essendo più basso per quelli costituiti da acidi grassi polinsaturi e più alto per quelli costituiti da monoinsaturi e saturi. Per questo motivo sarebbe preferibile utilizzare per le fritture, ma anche per le normali cotture, olio extravergine di oliva o di arachidi, ricchi di monoinsaturi e con un punto di fumo tra i 160 e 210°C, piuttosto che olio di semi di girasole, ricco di polinsaturi e con punto di fumo intorno a 110°c. Classificazione degli acidi grassi

Gli acidi grassi possono essere classificati in base alla lunghezza della loro catena o al numero di doppi legami (grado di insaturazione) . ./ Acidi grassi a catena corta: numero di atomi di carbonio da 1 a 5 . ./

Acidi grassi a catena media: numero di atomi di carbonio da 6 a 12

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Acidi grassi a catena lunga: numero di atomi di carbonio da 13 a 21 .

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Acidi grassi a catena molto lunga: numero di atomi di carbonio maggiore o uguale a 22.

In base alla presenza di doppi legami gli acidi grassi si classificano in saturi, monoinsaturi e polinsaturi. La presenza di doppi legami e la lunghezza della catena carboniosa influenzano, oltre al punto di fumo, la temperatura di fusione e di cristallizzazione così che gli acidi grassi saturi e a catena lunga si presentano solidi a temperatura ambiente (burro), mentre quelli insaturi si presentano generalmente liquidi (oli). Acidi grassi saturi

Come anticipato, non contengono alcun doppio legame, per questo motivo a temperatura ambiente si presentano solidi. Da sempre demonizzati come killer delle nostre arterie, negli ultimi anni i saturi e gli alimenti che li contengono (come uova, latte e latticini) sono stati scagionati dalla ricerca scientifica che 'addirittura gli attribuisce proprietà protettive nei confronti di diverse patologie tra cui il diabete mellito, ma i luoghi comuni sono duri a morire. Vedremo che non sono tutti uguali e non tutti sono da temere allo stesso modo. · Gli acidi palmitico e stearico sono i più abbondanti nel nostro organismo e in quello degli altri organismi superiori. Possono essere denominati numericamente indicando il numero di atomi di carbonio (C) e di doppi legami che contengono. Per esempio l'acido grasso saturo palmitico viene denominato C16:0 (o semplicemente 16:0), dove 16 indica il numero di atomi di C e O il numero di doppi legami che nei saturi è uguale a zero. L'acido palmitico, presente in abbondanza nell'olio di palma (41.2% circa) è al centro delle ~ritiche mediatiche ormai da tempo. Diversi studi gli attribuiscono un effetto aterogeno ed 1Jpercolesterolemizzante, entrambe caratteristiche che influiscono negativamente sul rischio ~ardiovascolare, di cui parleremo in seguito. In verità l'olio di palma vergine conterrebbe un'alta percentuale di acido oleico (38.4%), \betacarotene e anti-ossidanti che però vengono persi durante i processi di raffinazione. Ma perché ,l'industria alimentare dovrebbe puntare sull'olio di palma? Semplice, costa poco, dona agli alimenti un sapore gradevole e soprattutto la presenza di acidi grassi saturi e monoinsaturi conferisce un'alta stabilità che garantisce una lunga conservazione.

Ma non tutti gli acidi grassi saturi sono uguali! L'acido stearico (C18:0), un altro grasso estremamente diffuso nel mondo animale e vegetale, non influenza la sintesi di "colesterolo cattivo" (vedremo di cosa si tratta). Una parte di esso viene trasformato in grasso monoinsaturo (acido oleico) che possiede effetti benefici. Ecco perché non ha senso parlare di grassi saturi come se si trattasse di un'unica molecola. Acidi grassi monoinsaturi

Sono caratterizzati dalla presenza di un doppio legame, quasi sempre in configurazione cis, in cui entrambi gli atomi di idrogeno si trovano dallo stesso lato del piano formato dal doppio legame, che conferisce alla catena una ripiegatura, responsabile dell'abbassamento del punto di fusione. Per denominare gli acidi grassi insaturi si utilizza spesso la numerazione omega. Con tale sistema l'acido oleico viene indicato con la sigla C 18: 1 (omega) 09, o n9. Il primo numero indica il numero degli atomi di C (18), il secondo numero dei doppi legami (1 ), il terzo la posizione del doppio legame iniziando a contare da quello terminale, o omega (9). I principali acidi grassi monoinsaturi sono l'acido palmitoleico (Cl6:l n9) (derivante dal metabolismo dell'acido palmitico ), l'acido oleico e l'acido erucico. Anche in questo caso è importante ribadire che non tutti i monoinsaturi sono uguali. Sono infatti noti gli effetti benefici dell'acido oleico (C18:1 n9), presente nell'olio d'oliva e protagonista indiscusso della dieta Mediterranea, in grado di influenzare positivamente l'assetto lipidico, mentre sono altrettanto noti gli effetti lesivi soprattutto sul cuore, dell'acido erucico (C22:1 n13), presente in abbondanza nell'olio di colza. In virtù dei sui effetti positivi sull'assetto lipidico e alla sua stabilità chimica che gli conferisce resistenza alle alte temperature e ai processi ossidativi, l'acido oleico occupa meritatamente un posto preferenziale nella scelta dei lipidi da assumere giornalmente, dei quali dovrebbe rappresentare circa il 50%. Acidi grassi polinsaturi e acidi grassi essenziali

I grassi polinsaturi sono noti anche come PUFA, acronimo di Poly-Unsaturated Fat Acids. Come abbiamo già detto, in corrispondenza di ogni doppio legame cis l'acido grasso presenta una ripiegatura che impedisce al trigliceride che lo contiene di "impacchettarsi" per bene, per questo motivo gli alimenti che ne sono ricchi presentano un maggior grado di fluidità rispetto alle fonti di grassi saturi e rimangono liquidi anche a basse temperature. In natura esistono numerosi tipi di PUF A che differiscono tra loro per numero di .atomi di carbonio, quantità di doppi legami e posizione di questi ultimi. Le famiglie di PUF A più importanti per il metabolismo umano sono quelle denominate omega-6 (ro-6 o n-6) e omega-3 (m-3 o n-3). La denominazione chimica dell'ALA è 18:3 ro-3, come abbiamo visto, la prima cifra indica il numero di atomi di carbonio (18), la seconda il numero di doppi legami (3), la terza la posizione del primo doppio legame contando a partire dall'ultimo carbonio (3). Acidi grassi essenziali

Il nostro organismo possiede enzimi elongasi e desaturasi che però non riescono ad allungare la catena carboniosa e desaturarla (cioè inserire doppi legami) in prossimità del carbonio terminale (omega). Per questo motivo siamo in grado di ·sintetizzare l'acido oleico (Cl8:l ro-9) dall'acido stearico (C18:0) ma non possiamo sintetizzare acido a-linolenico (ALA) (18:3 ro-3) né acido linoleico (AL) (18:2 ro-6) partendo dalla stessa base lipidica.

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Se così non fosse, cioè se non fossimo incapaci di attuare queste "banali" vie enzimatiche, non dovremmo preoccuparci di introdurre omega-3 e omega-6 con gli alimenti (che per questo motivo vengono chiamati grassi "essenziali" o EFA, Essential Fatty Acids) e io non avrei scritto questo testo. Tra gli acidi grassi essenziali viene generalmente annoverato anche l'acido arachidonico (AA) che però può essere sintetizzato a partire dall'acido linoleico. In natura solo le alghe e le piante sono in grado di sintetizzare ALA e AL, mentre gli organismi superiori sono molto efficienti nel trasformarli allungandoli e desaturandoli, sintetizzando quindi i cosiddetti "semi-essenziali" o EFA-derivati. Dagli acidi grassi della serie omega-3 derivano EPA e DHA, da quelli della serie omega-6 derivano GLA (acido y-linolenico), DGLA e il temutissimo Acido Arachidonico (AA). Noi possiamo quindi assumere EF A sia in forma essenziale (o acidi grassi precursori, ALA e AL) dai vegetali, che in forma semi-essenziale (EFA-derivati) dagli animali che li hanno accumulati nel proprio grasso di deposito, in particolar modo i pesci che vivono in acque fredde e che li sfruttano proprio per la loro caratteristica di rimanere fluidi alle basse temperature. È importante dire però che gli enzimi deputati alla "maturazione" degli EF A-precursori non hanno una capacità infinita, per questo motivo i loro derivati possono diventare "condizionatamente essenziali" in alcune occasioni. Il fabbisogno di EFA-derivati è infatti maggiore durante la prima infanzia e durante la terza età (per inefficienza dei meccanismi di maturazione). Questa è una delle principali ragioni per cui gli integratori di omega-3 contengono (o dovrebbero contenere) soprattutto EPA e DHA. Com'è noto, non è difficile assumere una buona quantità di omega-6 (essenziali e semi essenziali) da frutta secca, oli vegetali e carni animali, mentre risultano notevolmente inferiori le opzioni alimentari a base di omega-3 sotto forma di ALA (essenzialmente noci, semi di lino, soia e canapa) o EPA e DHA (soprattutto pesci, tra cui: salmone, acciuga, sgombro, pesce spada). Ma perché la natura ci vuole dipendenti dagli EF A? In genere l'evoluzione fa sì che ciò che è realmente importante non sia essenziale, sembra una contraddizione ma non lo è, basti pensare al glucosio che è assolutamente fondamentale per la nostra sopravvivenza e per questo motivo ottenibile dalla conversione di altri substrati. Se l'uomo non è stato selezionato per sintetizzare ALA e AL ma è comunque sopravvissuto alla selezione naturale, le ipotesi plausibili sono essenzialmente due. La prima è che gli EF A non sono realmente importanti e quella degli omega3/6 non è altro che una montatura architettata dalle multinazionali degli integratori lipidici e del commercio ittico, la seconda è che la nostra specie si è evoluta in un ambiente in cui era relativamente facile ricavare una quantità sufficiente di EF A dagli alimenti. Visto che sono note le patologie da carenza di EF A, direi che la prima ipotesi è da scartare. Da quali fonti venivano assunti quindi gli EF A necessari? Alcuni identificano nell'inizio della pesca uno degli elementi responsabili del nostro salto evolutivo, altri escludono che l'uomo primitivo africano, che viveva in prossimità di fonti di acqua non salata bensì dolce, potesse beneficiare costantemente di un'alimentazione ricca in pesci di acqua fredda (con un alto contenuto in omega-3). È anche possibile che la nostra alimentazione prevedesse una quota sufficientemente elevata di fonti vegetali, anche se poco "dense" di omega-3 e che le carni (o meglio, i grassi) animali avessero un rapporto omega-3 I omega-6 (di cui parleremo in seguito) diverso rispetto all'attuale. Vorrei anche fare un'altra considerazione. La gente "comune", cioè quella che non ha interesse a leggere questo libro, non si preoccupa di quanti omega-3 assume giornalmente o del rapporto con gli altri omega, eppure sfido chiunque a trovare un conoscente che abbia manifestato chiari segni di una carenza di omega-3.

Vari studi evidenziano come la nostra alimentazione attuale sia completamente sbilanciata a favore degli omega-6, tanto che alcune popolazioni assumono un rapporto co 6/ co 3 di circa 18:1, eppure la sopravvivenza media continua ad aumentare. Il tema è affascinante ma forse andrebbe ridimensionato. Perché ci interessiamo tanto agli EFA? Quanti EFA dobbiamo assumere? In quale rapporto? In che modo gli EFA influenzano la nostra salute? Non mi aspetto di rispondere in modo definitivo a questi interrogativi, ma vorrei offrirvi una panoramica utile a difendervi dal bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti giornalmente. Perchè ci interessiamo tanto agli EFA?

Negli anni '70 fu pubblicato lo studio "The composition of food consumed in Greenland Eskimos" nel quale si evidenziava come i soggetti residenti in Groenlandia presentassero una minore incidenza di malattie cardiovascolari rispetto a quelli della stessa etnia che però risiedevano in paesi industrializzati. Faccio presente che gli Inuit vengono utilizzati, dai sostenitori delle diete chetogeniche e lowcarb, anche per evidenziare come le popolazioni che consumano una dieta ricca in grassi e proteine . e bassa in carboidrati presentino un basso rischio cardiovascolare, a dimostrazione del fatto che forse bisognerebbe considerare la dieta nel suo insieme, piuttosto che focalizzarsi su singolV -1 elementi. Da quel momento gli EFA, già noti per la loro importanza nell'accrescimento umano, acquisivano un nuovo significato, perché in grado di influenzare il nostro stato di salute e la nostra sopravvivenza. Fioccarono studi in cui si evidenziava come un aumentato consumo di PUFA, soprattutto omega-3, fosse in grado di prevenire le principali patologie cardiache o influenzasse positivamente l'outcome dei pazienti già ammalati, altri studi attribuivano all'assunzione di omega-3 effetti miracolosi nel trattamento di quasi qualunque tipo di patologia. Purtroppo l'entusiasmo iniziale si scontra con le metanalisi più recenti che evidenzierebbero come il trattamento con omega-3 non modifichi la mortalità per tutte le cause (infarto, ictus etc.), inoltre stanno venendo a galla alcune problematiche legate ad un aumentato consumo di fonti di EF A, che non sarebbe esente da rischi ed effetti collaterali.



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Le lipoproteine ad alta densità hanno la funzione di riportare il colesterolo dai tessuti periferici al fegato, pertanto vengono definiti come il colesterolo buono. Una corretta alimentazione (rapporto ottimale grassi saturi- monosaturi- polinsaturi) ed una attività fisica adeguata portano ad innalzare le HDL. Avere alti valori, spesso gli atleti superano i 60 mg/di, è un parametro di ottima salute, al contrario bassi valori di HDL si associano facilmente con ipertrigliceridemia (la catabolizzazione epatica delle HDL aumenta i trigliceridi ematici). Il fattore di rischio del colesterolo non si misura sul suo valore totale ma sul rapporto tra LDL/HDL. Negli uomini il rapporto deve essere inferiore a 5 mentre nelle donne a 4,5. È meglio avere un colesterolo totale a 220 e le HDL a 60, piuttosto che 180 con le HDL a 30. La glicemia

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L'ultimo parametro da valutare riguarda il glucosio nel sangue. Consigliamo valori inferiori a: glicemia 60 anni

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9-55 ng/dL

Postmenopausa

6-25 ng/dL

A seconda degli esami nei diversi laboratori i livelli potrebbero variare

I valori ematici di testosterone, tuttavia, non dicono tutto. Andrebbe calcolato quello libero (la forma attiva) e andrebbero eseguiti più prelievi. Infatti i livelli variano molto nell'arco della giornata e dei mesi (sono più alti durante l'estate).

Il punto di rottura Avete mai visto un istruttore di spinning, un'istruttrice di aerobica o di Zumba in sovrappeso? Possibile? Con tutta l'attività "brucia grassi" che fanno non dovrebbero essere magri? C'è chi penserà che mangiano troppo, chi che sono così per genetica, ma in realtà la ragione è un'altra ed affligge tutte le persone che pur facendo attività fisica non perdono più peso (rivedi il paragrafo "L'allenamento abbassa il metabolismo"). Ma iniziamo per prima cosa a cercare di capire ciò che accade alla persona sedentaria che decide di iscriversi in palestra per rimettersi in forma. Dopo anni passati a non fare nulla e a mangiare gli alimenti più golosi ed appetitosi, il suo stile di vita cambia radicalmente, spinto via dai buoni intenti. Fa attività fisica 3-5 volte a settimana (passando da zero ad andare in palestra quasi tutti i giorni), rinuncia ai dolci, pizza, pasta e pane. Nel piatto si ritrova della verdurina al vapore con una fettina di carne. Spinta dalla volontà e dalla motivazione va avanti lungo questa strada ed i risultati non tardano ad arrivare. Perde peso, si sente meglio, è contenta. Finché ad un certo punto si ritrova improvvisamente davanti ad un muro, SBANG! I risultati si fermano. Allora frustrata, aumenta la frequenza degli allenamenti, mangia ancora meno, ma alla fine si ritrova a sacrificare tutto per portarsi a casa poco o niente. A questo punto si rassegna all'idea che la colpa sia della genetica e nel 99% di casi riprende a mangiare e smette di fare sport. Chi ha lavorato in palestra di casi come questo ne ha visti a centinaia. Eppure non si riesce ancora a comprendere che non è la mancanza di dedizione a non portare ai risultati, ma semplicemente si sprecano le forze in una direzione sbagliata. Se consumi mangia

Se inizi a fare sport devi continuare a mangiare. L'organismo mal sopporta i cambiamenti, soprattutto quando avvengono su più fronti. L'attività fisica porta già un deficit calorico rispetto al rimanere sedentari. Non c'è un bisogno ulteriore di ridurre il quantitativo di cibo.

Piuttosto sarebbe corretto cercare di alimentarsi di più e meglio. I carboidrati (pane-pasta-ecc.) riserviamoli per il pasto post allenamento; la pizza gustiamola una volta a settimana per gratificarci (magari senza farcirla eccessivamente). Negli altri pasti invece sostituiamo i cibi raffinati e disidratati con alimenti freschi pieni d'acqua. Se l'organismo si ritrova rapidamente in un deficit calorico, inizialmente, preso alla sprovvista, inizia a bruciare le scorte, ma appena si riprende gioca a livello recettoriale ed ormonale per stabilizzare la situazione. Praticamente inizia a frenare il dispendio calorico.

Poca aerobica, tanti pesi Normalmente chi si iscrive in palestra sbaglia attività. Chi vuole dimagrire passa ore a camminare sul tapis roulant o seduto sulla cyclette e non tocca mai un peso. Invece dovrebbe capire che il tempo che utilizza per fare sport non dovrebbe essere speso solo per bruciare calorie nell'immediato ma soprattutto per dare una direzione metabolica all'organismo. Non è importante "bruciare grassi" mentre si fa attività fisica è più importante stimolare l'organismo verso un reset metabolico. I pesi servono per aumentare i recettori sulle cellule muscolari in modo che siano più affamate di zuccheri e grassi. L'attività aerobica col tempo deve diventare intesa non lenta e confortevole. Solo se mettiamo in crisi la produzione energetica mitocondriale riusciremo a stimolare correttamente la proliferazione di questi organuli. Non è importante dimagrire mentre si corre ma aumentare il numero di mitocondri. Altrimenti ci accontenteremo di due monete quando potevamo avere il forziere. Quindi la persona sedentaria che si iscrive in palestra deve dimenticarsi delle calorie e col tempo e con la gradualità, indirizzarsi sempre di più verso attività "intense" (in relazione alle sue capacità).

Rimanere idratati Uno dei motivi per cui avviene il "blocco del metabolismo" riguarda la disidratazione dei tessuti. Una dieta ipocalorica povera di carboidrati e un'attività che porta a sudare, abbassano le riserve d'acqua. L'organismo rallenta così i suoi scambi metabolici non vitali, bloccando i futuri risultati. La persona che si pesa sulla bilancia non distingue se le variazioni sono a carico del tessuto adiposo, di quello muscolare o dell'acqua. Un chilo in meno è sempre un chilo in meno. Peccato che molto spesso la perdita di peso sia principalmente a carico del compartimento idrico. Meno liquidi uguale meno scambi metabolici. Ricordiamocelo! Il punto di rottura

Si smette di dimagrire quando l'organismo, dilaniato tra un deficit calorico costante e da un'attività fisica frequente, decide di abbassare la serranda del metabolismo. Lo fa attraverso tre strade . ./ Quella recettoriale, per cui diminuisce i GLUT-4 delle cellule muscolari e aumenta quelli delle cellule adipose . ./

Quella ormonale: la leptina calerà paurosamente portandosi dietro anche gli ormoni tiroidei e quelli gonadici .

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Infine quella mitocondriale, per cui il nuovo assetto ormonale indicherà agli organuli di bloccare la dissipazione delle energie in calore.

Le strade per continuare a bruciare grasso saranno così precluse. Il corpo potrà ancora perdere soltanto acqua e massa magra. Un quadro del genere, per quanto disastroso, è piuttosto comune.

Come evitare il punto di rottura

Una visione a lungo termine, rispetto a quella del "tutto e subito" è la strada migliore per raggiungere i risultati. La dieta dovrà essere varia, abbondante con cibi a bassa densità energetica e dovrà alternare giorni di ipocalorica con giorni di normocalorica. La quota glucidica dovrà essere consumata prevalentemente dopo l'allenamento. Inizialmente conviene prediligere i legumi rispetto ai cereali per il miglior rapporto tra amilosio e amilopectina. Una volta che, grazie all'attività fisica, sarà migliorata la sensibilità insulinica si possono invertire i rapporti. L'allenamento dovrà essere graduale se si è rimasti sedentari per molto tempo, magari iniziando con due volte a settimana. Ci si dovrà concentrare prevalentemente su esercizi contro resistenze (pesi), con sovraccarichi a medio alto carico (4-12 ripetizioni). L'attività aerobica deve iniziare gradualmente (per 1-3 mesi) e dovrà essere via via sempre più intensa e sempre più breve. Come abbiamo già spiegato, non si cercherà di "bruciare grassi", ma di migliorare il sistema mitocondriale. Il punto di rottura (momento in cui il corpo non riesce più a rispondere in modo adeguato allo stress) dovrà essere evitato, procedendo gradualmente, tornando a volte indietro e rispettando il giusto rapporto tra allenamento e alimentazione: quando consumeremo di più mangeremo di più. Ricordiamoci sempre che quando l'organismo sta bene si libera facilmente dei chili di troppo.

Quando ingrassiamo? Quando ingrassiamo? La risposta è semplice: quando mangiamo! Cerchiamo tuttavia di capire, in modo chiaro, come funziona il tutto, come gli adipociti, pasto dopo pasto si riempiano. In questo contesto abbiamo diversi attori: i macronutrienti, le calorie, gli ormoni, le membrane plasmatiche, le scorte glucidiche e i mitocondri. Insomma la questione è lunga, ma in questo paragrafo faremo un breve ripasso di tutto quello che stimola la liposintesi. L'insulina: perché fa ingrassare?

Tra tutti gli ormoni che svolgono un ruolo importante nella lipogenesi, l'insulina, in misura maggiore, è sul banco degli imputanti. Iniziamo dicendo che ogni volta che mangiamo viene prodotta, non solo a causa degli zuccheri (come abbiamo visto in precedenza). Quando il cibo arriva nel tratto gastro-intestinale si attivano due incretine (GPL-1 e GIP) che stimolano l'insulina .. Gli zuccheri, attraverso la variazione della glicemia, hanno una particolare influenza sull'ormone. Ma se pensate di non stimolarla semplicemente non mangiandoli vi sbagliate! Detto questo, come fa a farci ingrassare? Ora ci arriviamo. -I trigliceridi, essendo idrofobici, viaggiano nel sangue attraverso dei trasportatori (proteine plasmatiche). La lipoproteina lipasi (LPL) li idrolizza (libera) per farli entrare nella cellula. Quando il glucagone è alto e l'insulina bassa si attiva l'isoenzima presente nelle cellule muscolari, quando i livelli ormonali si invertono sono gli adipociti a captare gli acidi grassi. Quindi l'insulina cambia la destinazione dei trigliceridi ematici, dal muscolo alle cellule grasse. I trigliceridi imprigionati negli adipociti per essere bruciati o liberati nel flusso ematico devono essere scissi in acidi grassi. La lipasi ormone·sensibile (HSL e MAGL) svolge questo compito. Le catecolamine (adrenalina e noradrenalina) potenziano l'effetto lipolitico, ma quando l'insulina si alza blocca tutto. Pertanto svolge un ruolo antilipolitico, impedendo lo svuotamento degli adipociti. Oltre a questo aumenta la pressione sanguigna e la vasocostrizione, limitando l'irrorazione delle zone dove alberga il grasso ostinato.

Quando il ciclo di Krebs è sovra-saturo (abbiamo troppa energia nei mitocondri), il citrato prodotto è trasportato nel citosol dove viene trasformato in acetil-CoA. L'insulina attiva l'acetil-CoA carbossilasi, portando alla formazione di malonil-CoA precursore degli acidi grassi a lunga catena e di altri lipidi come il colesterolo. La presenza di malonil-CoA blocca anche il complesso carnitina dipendente impedendo agli acidi grassi di entrare nel mitocondrio e bloccando così la beta-ossidazione. Tradotto: un eccesso di insulina fa ingrassare. Per finire, specifichiamo che l'insulina esplica la sua funzione antilipolitica con livelli molto più bassi rispetto a quelli ipoglicemizzanti. Questo vuol dire che se nel sangue, anche a digiuno, troviamo alti livelli di zuccheri (magari a causa del cortisolo elevato), dimagrire diventa difficile, indipendentemente da quello che mangiamo. Le variazioni ematiche

Per comprendere a fondo la questione, analizziamo cosa succede dopo un pasto classico in cui si introducono 500 - 700 kcal, formato per il 55% da carboidrati, 30% da grassi e 15% da proteine. L'insulina si alza di dieci volte rispetto al suo livello basale, passa da 50 - 60 a 500 - 600 mmol/L. I livelli rimangono stabili per un'ora, poi iniziano a scendere rapidamente fino a 2 ore successive il pasto, per poi tornare ai livelli basali solo dopo 5-6 ore. Il glucagone scende e si rialzerà dopo 3-4 ore. La glicemia passa da 80 - 110 a 120 - 140 mg/dl. Avrà il suo picco 30 - 60' dopo il pasto e tornerà, nei soggetti sani, nel suo range dopo 2 ore, seguendo l'andamento dell'insulina. L'acido lattico aumenta di 2,5 volte, segno che la glicolisi aerobica non riesce a degradare tutto il glucosio. I trigliceridi nel sangue si abbassano e torneranno a salire un'ora dopo il pasto, tornando a valori basali solo dopo 7 - 8 ore. Ma dove finiscono intanto questi trigliceridi? L'adipocita

La cellula grassa è quasi sempre ghiotta di nuovi trigliceridi, soprattutto se non ne è satura. Quindi per riempirsi ha due strade. Può produrre da sola nuovi acidi grassi dal glucosio captato. L'ingresso dello zucchero nell 'adipocita non è così facile, infatti il glucosio viene prima indirizzato verso altri 4 tessuti (ricordiamoci che tutti i monosaccaridi che non sono glucosio finiscono prima nel fegato, dove vengono convertiti). I tessuti glucosio dipendenti-preferenziali sono: cervello, sistema nervoso, globuli rossi e bianchi, testicoli, retina, midollare del surrene. Possono usare solo il glucosio o lo preferiscono ad altre fonti energetiche. Questi tessuti hanno un fabbisogno più o meno costante nel corso delle 24h e vengono influenzati in maniera meno rilevante dai pasti o dall'attività fisica. Pertanto non li prenderemo in considerazione. Il loro fabbisogno in una persona sedentaria è mediamente di 180 g di glucosio al giorno come abbiamo già visto. Il fegato è il primo organo a venire a contatto con il glucosio. I suoi recettori di membrana GLUT-2 gli permettono di captarlo anche in assenza di insulina. Quello epatico è inoltre anche il tessuto col maggior numero di recettori per questo ormone (per ogni epatocita 17 .000 contro 10.000 dell'adipocita). La prima ondata di zucchero se la prende lui, il resto se lo contendono gli altri tessuti. Purtroppo anche il fegato contribuisce a formare acidi grassi ex novo, quindi non è detto che ingrassiamo solo a livello degli adipociti. Il miocita (la cellula muscolare) riesce a captare il glucosio anche a digiuno (GLUT-1), tuttavia, per aumentare il suo up-take ha bisogno dell'insulina che porti in superficie i GLUT-4.

Più il tessuto muscolare è ipertrofico, più ha recettori, inoltre, più è allenato a sforzi glicolitici (aerobici ed anerobici) e più scorte di glicogeno riesce ad accumulare. Quando queste diminuiscono, il muscolo assorbe ancora zuccheri per gradiente di concentrazione. Una volta nutriti i tessuti glucosio dipendenti-preferenziali (fegato e muscoli), rimangono solo gli adipociti, cellule sempre disponibili a captare il glucosio in eccesso. Come i miociti, utilizzano i GLUT-4 e anche loro hanno bisogno dell'insulina per farlo entrare. Una volta che il glucosio penetra nell'adipocita la glicolisi lo trasformerà o in energia, o in grasso, o in altri prodotti del metabolismo. Perché il glucosio porti a processi di liposintesi i mitocondri devono essere saturi di ATP. Il ciclo di Krebs deve essere rallentato così che la sovrabbondanza di citrato si riversi nel citoplasma per dar via alla liposintesi. Normalmente, poiché questo avvenga, dobbiamo mangiare veramente molti carboidrati (oltre 600-700 g), altrimenti il corpo trasformerà l'eccesso energetico in calore piuttosto che convertirlo in acetil-CoA. Questo processo fisiologico tuttavia non avviene correttamente se siamo insulino resistenti. In soggetti sani soltanto il 10% del grasso di deposito viene dalla glicolisi. Ma allora, il restante 90% da dove arriva? Quando ingrassiamo

Ingrassiamo quando mangiamo, ma sono i grassi ematici e quelli assunti col cibo che, per il 90% ,finiscono con l'ingrossare gli adipociti. Quando l'insulina è alta i trigliceridi hanno una sola destinazione: il tessuto grasso. Così la nostra abitudine di mangiare un bel piatto di pasta e un secondo ricco, ci porta inevitabilmente ad ingrassare. Sono i trigliceridi i colpevoli, ma la maggior parte delle volte gli zuccheri fanno da complici. L'alta glicemia di per se non fa ingrassare, ma costituisce il principale fattore che veicola nell'adipocita tutti i grassi presenti, sia quelli introdotti col pasto, sia quelli già presenti nel sangue. In nutrizione le soluzioni a questo problema sono principalmente sei. Ora le vediamo brevemente e successivamente le approfondiremo . ./ Mangiare poco di tutto. Quello che tutti consigliano ma che è difficile da realizzare, principalmente perché il cibo serve non solo per nutrirci ma anche per gratificarci. Per di più, in quanti possono permettersi di resistere nel tempo alla fame? ./

Mangiare tanti carboidrati e pochi grassi. In questo modo anche se l'insulina sale l'eccesso glucidico si ossida e i pochi grassi non si accumulano. Funziona se siete dei buoni ossidatori (ve ne accorgete dagli ottimi esami ematici) e non avete resistenza all'insulina .

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Mangiare tanti grassi e pochi carboidrati. Con quest'altra soluzione i trigliceridi ematici non trovando l'insulina alta vengono bruciati dal muscolo e non si depositano negli adipociti. Funziona nel breve-medio termine, poi crea insulino-resistenza al pari di mangiare tanti carboidrati raffinati .

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Nutrirsi di tutto (40-30-30%) ma suddividendo l'introito calorico in tanti piccoli pasti. Così facendo l'insulina rimane sotto controllo .

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Mangiare molto ma condensando tutto in 1-2 pasti. È il principio delle diete del digiuno intermittente, perderemo peso 18 ore al giorno ed ingrasseremo per le restanti 6. Il bilancio sarà comunque a favore del dimagrimento .

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Mangiare in un pasto principalmente o grassi o carboidrati, la vecchia dieta dissociata.

Tutte queste soluzioni funzionano. Sfidiamo chiunque a trovare qualcuno che con uno di questi metodi non ha ottenuto risultati. L'individualità biochimica e i gusti personali ci fanno optare per una soluzione o per l'altra, ma tutte queste differenti strategie rispondono allo stesso problema. La verità è semplicemente che noi ci muoviamo troppo poco per quello che mangiamo, che i nostri muscoli non sono abbastanza ipertrofici (andando così a limitare i recettori di membrana e le scorte glucidiche), che i nostri mitocondri non sono sufficientemente grandi e numerosi (riducendo così le fornaci per l'ossidazione lipidica) e che i nostri livelli ematici non sono ottimali (fornendo in continuazione zuccheri e trigliceridi per la liposintesi). Questo è il motivo per cui ingrassiamo, perché semplicemente abbiamo un eccesso energetico. Ogni dieta vi vende una soluzione, ma per fortuna la biochimica di base rimane sempre e per tutti la stessa.

Ingrassiamo ex novo Ribadiamo in questo paragrafo il concetto sulla liposintensi appena visto nel precedente. Normalmente si pensa che ingrassiamo quando si formano nuovi acidi grassi nel nostro organismo. L' immagine più comune è quella dell'eccesso di zuccheri che si converte in trigliceridi. Questa visione in realtà è molto limitata, la trasformazione del glucosio in acidi grassi è un evento raro e che contribuisce ai nostri depositi mediamente per un 10%. Cerchiamo di capire perché. Quando introduciamo zuccheri questi devono essere metabolizzati, tutti i passaggi che portano dal pane mangiato alla formazione di ATP vedono un 60% delle energie dissipate in calore. Tradotto, su 100 kcal ne rimangono disponibili solo 40 kcal. Questa è la riserva, il cuscinetto, che l'organismo si crea, quello che comunemente si definisce metabolismo alto. Meno glucidi mangiamo, più siamo sedentari e introduciamo grassi e più perdiamo la capacità di dissipare le energie in calore. Di questo 40% di chilocalorie rimaste, l'organismo ne consuma un ulteriore 24% (1/4) per trasformare gli zuccheri in acidi grassi (mentre utilizza solo un 5% per convertirli in glicogeno). Alla luce di questi dati capiamo che, partendo da un fabbisogno glucidico di base di 2,2 -2,3 g/kg180-220 g e aggiungendo un buon quantitativo glucidico consumato con l'allenamento, possiamo concludere che il corpo è in grado di sopportare anche alti quantitativi di zuccheri (4-7 g/kg) senza ingrassare. Ma allora perché chi mangia pane, pasta, pizza è mediamente grasso? Perché non si muove abbastanza con sforzi glicolitici e perché non ha più una buona affinità col glucosio. · La capacità metabolica va allenata. Mediamente chi si mette a dieta assume meno calorie (e fin qui potrebbe anche andare bene) e introduce meno carboidrati. Facilmente erode contemporaneamente sia la massa magra sia la capacità metabolica e i mitocondri diventano meno capaci di dissipare le energie. Ma allora sono i grassi a farci ingrassare? Comunemente si. Mentre per creare acidi grassi da altri substrati il corpo spreca molte energie, per depositare quelli introdotti con la dieta consuma solo il 3 - 4%. Sentiamo di già le obiezioni (corrette) delle persone che dicono: "ma io con la low carb sono dimagrito ". È vero, il motivo sta nel capire dove il corpo rilascia i grassi. Se l'insulina è tenuta sotto controllo, il tessuto principalmente preposto alla captazione dei trigliceridi è quello muscolare. Qui gli acidi grassi verranno ossidati in energia e quindi non ingrasseremo. Per questo molte diete puntano sulla calma insulinica, perché vogliono indirizzare le calorie sui muscoli e non sugli adipociti.

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Le persone che mangiano pane, pasta e pizza ingrassano perché assieme a questi alimenti sicuramente stanno assumendo anche dei grassi, stimolando così l'insulina a cambiare il tessuto preposta alla loro captazione. Ma allora bisogna fare la dieta dissociata? No, perché l'organismo, per fortuna, non ragiona a pasto (a meno che non sia veramente molto calorico) ma a giornata o meglio a settimana. Puoi anche mischiare i macronutrienti, purché rientri nel tuo bilancio calorico. Per dimagrire quello che devi fare è: 1. muoverti e muoverti sempre più intensamente coi pesi o con attività aerobiche glicolitiche; 2. evitare di tenere costantemente l'insulina basale elevata; 3. riabituarti a sopportare i carichi glucidici. Cosa vuol dire? Che se fino ad ora mangiavi meno di 4 g/kg di carboidrati devi a poco a poco riprendere feeling con questo macronutriente. E non di botto iniziando ad introdurre un sacco di carboidrati, ma partendo con gradualità. Quanti glucidi stai assumendo al giorno? Quanti grassi? Ogni 7 - 15 giorni alza di 50 kcal il quantitativo di carboidrati e abbassali eventualmente dai grassi. Questi non devono scendere sotto ai 0,4 g/kg ma è meglio se stanno intorno a 0,7 - 0,8 g/kg. La gradualità è la chiave di volta, gradualità abbinata al corretto allenamento; 4. trova il giusto rapporto tra i macronutrienti. Vedremo nel capitolo finale che il quantitativo proteico, glucidico, lipidico è soggettivo, c'è chi si trova meglio a bruciare zuccheri, chi grassi. Ci sono però dei range entro cui tutti dovrebbero stare. Questi range ci permettono di stare in salute, di preservare e sviluppare la massa magra e di dimagrire. Ognuno di noi deve trovare i propri, ti insegneremo come fare; 5. Aumenta il tuo metabolismo. Facile a dirsi, ma come fare? Anche qui con gradualità, introducendo poche calorie (da fonti amidacee) in più a settimana. Prima di preoccuparti di voler perdere peso assicurati di assumere abbastanza calorie. Stai assumendo almeno 33 - 34 kcal/kg per gli uomini, 30 - 31 kcal/kg per le donne? Se non raggiungi questi valori di partenza, sarebbe meglio aumentare il metabolismo piuttosto che pensare di togliere calorie. È ancora il momento di investire. Per ora è tutto, stiamo aggiungendo un tassello alla volta, segnatevi le cose importanti, vedrete che arrivati alla fine avrete il quadro completo della situazione.

La flora batterica Contrariamente a quanto si crede, il nostro organismo non è a contatto con l'ambiente circostante soltanto tramite la cute, ma anche attraverso il tratto digerente. Dalla bocca all'ano comunichiamo con l'esterno, la mucosa intestinale occupa 200 m 2, spazio in cui viene a contatto con le sostanze esterne. Per questo adeso all'intestino troviamo il sistema linfatico. Il 70% del sistema immunitario risiede qui, in questo tratto del nostro organismo deputato al passaggio delle sostanza dall'esterno all'interno. Nell'intestino vivono più batteri rispetto a tutte le cellule del nostro corpo, pertanto, per la nostra salute, la.flora batterica deve funzionare in simbiosi con noi. Batteri ed organismo devo cooperare per la salute dell'individuo. Noi forniamo un posto sicuro ai microrganismi dove sopravvivere, loro ci aiutano attraverso due aspetti primari. I. Mantenendo l'integrità della mucosa intestinale. In seguito all'assunzione di polisaccaridi di origine vegetale, i batteri creano acidi grassi a catena corta (acido acetico, propionico, bitirrico ), essenziali sia come fonte di energia per le nostre cellule epiteliali, sia per i colonociti (cellule del colon).

2.

Proteggendoci da organismi patogeni. I batteri presenti nel tratto digerente occupano spazio e lottano contro i batteri provenienti dall'esterno per non cedere il loro ambiente. Per questo ancora prima che si attivi il nostro sistema immunitario attaccano gli elementi patogeni, aumentando così le difese dell'organismo. La flora intestinale ha anche altri aspetti secondari altrettanto utili per la nostra salute: ./ produce vitamina B 12 e K (purtroppo la loro assimilazione avviene nel duodeno e non nel colon dove vengono prodotti, così il loro utilizzo sarà a carico degli stessi batteri che gli hanno creati); ./

produce alcuni aminoacidi (arginina, glutammina, cisteina);

./

aiuta il metabolismo degli acidi biliari e della bilirubina;

./

favorisce il processo di digestione e assorbimento;

./

modula l'infiammazione del tratto digerente.

La flora batterica può essere influenzata negativamente dall'assunzione di farmaci, dall'alcol, dal fumo, da cibi inquinati, dai carboidrati raffinati, dall'eccesso di proteine animali, dall'assunzione di poche fibre, da stress, da uno stile di vita sedentario, dagli antibiotici e dal masticare poco i cibi. A seconda degli alimenti che mangiamo alcuni batteri intestinali vengono facilitati o ostacolati nella loro proliferazione. Per esempio, un'alimentazione molto proteica non supportata da sufficienti quantitativi di vegetali abbassa il pH intestinale. Questo provoca una minor proliferazione dei batteri prosimbiontici, causando il rallentamento del passaggio delle sostanze nel colon. L'organismo viene così per più tempo a contatto con sostanze potenzialmente dannose, come acidi biliari secondari, ammine, ammoniaca, ecc. Ogni volta che la microflora si indebolisce, anche il nostro organismo ne risente, per questo un'alimentazione bilanciata, che favorisca i cibi naturali e freschi e che contenga nel giusto rapporto tutti i macronutrienti, porta a migliorare la salute organica attraverso la proliferazione dei batteri biosimbiontici. Un intestino che sta bene è in grado di ridurre l'assorbimento di colesterolo, portando a migliorare i trigliceridi nel sangue e di conseguenza migliorando la composizione corporea. Così, dimagrire o ingrassare inizia ancora prima che abbiamo assimilato il cibo. Assumere antibiotici aumenta la percentuale di grasso corporeo, questo si è evidenziato negli allevamenti; gli animali sottoposti a cicli di antibiotici risultano essere più grassi. Meno batteri simbiontici avete e meno calorie vi ruberanno per nutrirsi. Va ricordato che la somma di tutti i microrganismi del nostro corpo arriva a qualche chilo, quindi non sono per nulla irrilevanti. Inoltre, il sistema nervoso di relazione è strettamente correlato col sistema nervoso viscerale. Quello che succede al nostro intestino si riflette esternamente e viceversa, le nostre vicissitudini (ansie, preoccupazioni, dispiaceri, rabbie) si possono ripercuotere sui visceri. Esiste una relazione tra salute intestinale (microbioma) e senso della fame. Una flora batterica alterata manderà segnali al cervello per chiedere di introdurre nuovo cibo. Il nostro senso dell'appetito così non è solo modulato dalle richieste dell'organismo ma anche dai batteri che ospitiamo. Quello che sembra emergere è che questo rapporto simbiotico si instaura fin dalla nascita. Bambini che mangiano male, avranno un flora alterata e avranno più facilmente fame.

Probiotici e Prebiotici Forse perché sono cresciuto senza bere il latte materno, ma da piccolo ero sempre ammalato. Curato con antibiotici su antibiotici, all'età di quattro anni sono finito in ospedale per via di un'irrefrenabile diarrea. Sarei potuto morire soffocato dalla mia stessa merda, ma per fortuna non è finita così (almeno per me). Cos'era successo? Gli antibiotici avevano decimato la flora batterica, meno microrganismi simbiotici meno digestione di carboidrati e meno produzione di acidi grassi a catena corta. Questo provoca per osmosi un richiamo d'acqua nell'intestino, che la espelle come diarrea. All'ospedale mi curarono con l'assunzione di probiotici, l'intestino tornò rapidamente a posto e dopo poco mi dimisero. Cosa sono i probiotici? Non sono altro che microrganismi che una volta ingeriti sopravvivono all'acidità dello stomaco, ed arrivati nell'intestino si stabilizzano portando benefici per l'animale che li ospita. Il colostro e il latte materno aiutano il neonato a crearsi una flora batterica positiva, caratteristica che ritroviamo anche in alcuni latti biologici e in alcuni yogurt che possiedono determinati batteri lattici. La presenza di quest'ultimi la possiamo leggere sulle etichette nutrizionali dei prodotti che li contengono sotto la dicitura lattobacilli o bifidobatteri. In questi anni, famose marche sono state condannate per pubblicità ingannevole, quindi non pensate di risolvere i vostri problemi intestinali semplicemente mangiando lo yogurt. I prebiotici invece sono alimenti di origine vegetale che non possono essere assorbiti dall'organismo ma che vengono digeriti dalla flora intestinale, aiutandola a proliferare. Le fibre alimentari sono la fonte principale di prebiotici e non dovrebbero mai mancare nella nostra alimentazione (vedi paragrafo sulle fibre). Finché li mangiamo perdurano i vantaggi per l'organismo, altrimenti si perdono gli effetti, per cui le sane abitudini vanno mantenute per tutta la vita. Dopo un ciclo di antibiotici potrebbe avere senso assumere probiotici. Per far si che i soldi che avete speso abbiano effetto, assicuratevi che siano microincapsulati, in modo da resistere meglio al passaggio gastrico e che contengano almeno due miliardi di cellule vive formate da non meno di cinque ceppi di batteri differenti. Molti studi non correlano benefici con l'assunzione di probiotici, spesso questo succede perché il prodotto assunto non era qualitativo e perché la dieta non supportava l'integrazione. Anche l'integrazione di Glutammina ed Arginina sembrerebbe aiutare sia la flora batterica sia il turnover della mucosa intestinale. È interessante sapere che le cellule intestinali hanno una vita media di solo 3 - 4 giorni e la maggior parte del turnover proteico dell'organismo avviene quindi per sostituire gli enterociti e gli epatociti. Ricordatevi tuttavia che una volta che smettete di assumere l'integratore, la flora tende a ritornare com'era prima se non correggete l'alimentazione.

La permeabilità intestinale L'intestino è attaccato continuamente da microrganismi patogeni, ma anche da quello che mangiamo. Il nostro organismo per assimilare qualcosa la deve prima riconoscere, poi dissembrarla portandola alla sua forma più semplice (amido>glucosio), veicolarla nell'epitelio intestinale e riassemblarla. In tutti questi passaggi possono avvenire degli errori. Una flora intestinale alterata, un'alimentazione con troppi zuccheri, alcol, caffè, l'assunzione di medicinali, alimenti con inibitori della proteasi, possono alterare il passaggio intestinale.

Le proteine più grandi così non verranno scisse in aminoacidi ma riusciranno a penetrare intere nell'organismo, producendo danni e promuovendo l'infiammazione cronica. Il glutine è una delle proteine più sotto accusa (vedi relativo paragrafo). Se l'intestino "si buca" oltre ai macronutrienti possono penetrare anche agenti patogeni, batteri, funghi e parassiti. Oggi esiste un test medico (con bassa validità scientifica) per verificare la presenza della permeabilità intestinale. Si somministra uno zucchero più grande, il lattulosio ed uno più piccolo, il mannitolo e si guarda la loro presenza nel sangue. Teoricamente il corpo dovrebbe assorbire i monosaccaridi più facilmente, se il rapporto è alterato vuol dire che anche le molecole più grandi riescono a passare la barriera intestinale. Se questo avviene la dieta dev'essere seguita da uno specialista che indicherà quali alimenti evitare. Una corretta alimentazione, la presenza di probiotici e prebiotici, il giusto quantitativo di fibre (se abbiamo già una permeabilità intestinale le fibre potrebbero scatenare effetti negativi) aiutano a mantenere integra la barriera intestinale. Ricordiamoci sempre che tutto quello che viene correttamente digerito dai succhi gastrici e pancreatici difficilmente crea problemi a livelli intestinali, quindi attenti a cosa e a quanto mangiate.

Colon irritabile e problemi intestinali La sindrome del colon irritabile (IBS) è una delle patologie più diffuse nella società occidentale. Mediamente ne è affetto un 15% della popolazione adulta. La diagnosi della malattia è molto difficile perché spesso ne un esame radiologico ne endoscopico riescono a trovare alcuna alterazione. Anche l'esame delle allergie o intolleranze è positivo soltanto nell' 1-3% dei pazienti affetti, il restante 12-14% non presenta nessuna alterazione dagli esami medici. Rimangono solo i sintomi, ovvero: dolore addominale, nausea, sensazione di disagio, gonfiore addominale, stitichezza, diarrea, possibile alvo alterno. I sintomi generalmente migliorano dopo la defecazione. La malattia potrebbe essere scatenata in molti casi dalla relazione che intercorre tra il nostro intestino e l'apparato nervoso. Dopo il cervello il tratto digerente è la parte più innervata dell'organismo. Un eccessivo stress potrebbe riversarsi così sul nostro intestino. Tale affermazione è in parte supportata dai benefici dei pazienti trattati con placebo. I sintomi mediamente aumentano con: ./ pasti abbondanti ./

accumulo di gas nel colon

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assunzione di farmaci

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assunzione di grano, orzo, segale, cioccolata, latte e derivati o alcool

./

assunzione di bevande contenenti caffeina

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situazioni di stress, conflitto o turbamento emotivo

La serotonina potrebbe essere uno dei fattori chiave nella sindrome del colon irritabile. Mediamente questo neurotrasmettitore è associato alle funzioni del cervello. In realtà soltanto il 5% si trova nel SNC, il restante 95% è situato nell'intestino. Pazienti affetti da questa patologia presentano sovente dei recettori alterati, questo interagisce con le normali funzioni degli organi intestinali, rallentandone e alterando la motilità ed aumentando la sensibilità della zona al dolore. Anche il microbioma sembra essere implicato. Una sua alterazione sia in difetto che in eccesso può creare problemi. Per questo alcuni pazienti presentano un aumento dei sintomi se assumono fibre (soprattutto insolubili) mentre altri sembrano migliorare. Lo stesso effetto lo si ha con i latticini.

Il glutine inizialmente è stato incolpato e si è parlato di soggetti affetti da una lieve celiachia. Tuttavia negli ultimi tempi si è visto che alcuni soggetti che non assumevano più glutine, dopo una sua reintroduzione sono migliorati. L'apparato digestivo non è solamente interconnesso con quello nervoso ma anche con quello immunitario. Per questo alcuni pazienti possono presentare reazioni immunologiche all'introduzione di determinati cibi. Ad oggi si consiglia di prestare attenzione ai seguenti alimenti: latte, dolcificanti (sorbitolo, fruttosio), marmellate, frutta, verdura, spezie, caffè, tè, bevande zuccherate o con caffeina I rimedi generali sono: ./ adottare una dieta opportuna ./

mangiare ad orari regolari e senza fretta masticando lentamente

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evacuare sempre alla stessa ora (preferibile al mattino dopo la colazione, quando interviene un riflesso fisiologico)

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praticare una moderata ma costante attività fisica

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evitare l'uso eccessivo di farmaci, lassativi in particolare

./

evitare alcolici e cibi troppo speziati

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consumare tisane al finocchio e zenzero

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ridurre lo stress

Cosa provoca i tumori (le linee guida) Inseriamo in questo capitolo un argomento che non è di nostra competenza (la relazione tra alimentazione e tumori), tuttavia visto che su internet si legge di tutto e di più, proviamo a scrivere, senza commentare, le linee guida del WCRF ( Word Cancer Research Funci). Quando leggete una notizia su Facebook tipo: "La causa primaria del cancro fu scoperta nel 1931 ", "Grazie a questo alimento il tumore è regredito", "Scoperto cosa provoca il cancro negli alimenti", ecc., siete sicuri di leggere cazzate. Guardate le grandi organizzazioni mondiali e nazionali cosa dicono, perché prendono in considerazione tutti gli studi, non uno che dimostra che le ciliegie sono cancerogene. Potete credere che tutte le linee guida si basano solo sugli interessi delle multinazionali, ma a questo punto non citate nessuno studio, perché tutte le ricerche seguono lo stesso percorso scientifico e sono sottoposte alle stesse analisi. O nessuna pubblicazione è valida, o sono le review e le meta-analisi degli studi a dare le linee guida! Non c'è bisogno di nessuna congiura o complotto delle multinazionali a discapito del cittadino. Milioni di persone al mondo prendono statine, farmaci per il diabete o l'osteoporosi, ma potrebbero evitarli semplicemente migliorando il loro stile di vita. Non lo fanno perchè costa fatica. Questa è la realtà! I tumori sono la seconda causa di morte in Europa e in Italia. I numeri sono costantemente in crescita. Le forme tumorali che causano il maggior numero di decessi a livello mondiale sono il tumore al polmone, allo stomaco, al colon retto, al fegato e alla mammella. Quando leggete che un fattore aumenta del 100% il rischio di contrarre un tumore non vuol dire che vi ammalerete sicuramente ma semplicemente che la probabilità di base è raddoppiata. Quindi se in partenza tutti ci possiamo ammalare di un determinato tumore con un rischio dello 0,003% (numero preso a caso sul sito dell'AIRC trovate tutte le statistiche esatte) , raddoppiare la possibilità vuol dire passare a 0,006%. I tumori hanno sempre delle cause multifattoriali, non ci si

ammala perchè si mangia un alimento (a meno che non sia fortemente contaminato) ma perchè si sommano tutta una serie di fattori. Le evidenze scientifiche vengono espresse su tre livelli: convincente, probabile, limitata evidenza, più un quarto livello per cui l'associazione col tumore è altamente improbabile. Le prime linee guida vedono nel sovrappeso il primo fattore di rischio e raccomandano di basare la propria alimentazione principalmente su alimenti di origine vegetale, di limitare le carni rosse e di evitare quelle processate. Negli ultimi cinquant'anni il consumo di cereali si è dimezzato, mentre il tumore al colon-retto è quintuplicato . ./ Si ritiene che gli alimenti ricchi di fibre (ortaggi, frutta, legumi, cereali integrali, radici e tuberi), riducano il rischio d'ammalarsi di malattie croniche e cardiovascolari e probabilmente proteggano contro il cancro . ./

Si ritiene convincente che i cibi contaminati da aflatossine (metaboliti secondari di funghi e muffe) siano causa del cancro al fegato. I principali alimenti contaminati sono: frumento, riso, mais, avena, orzo e le arachidi. Anche i mangimi per animali possono essere contaminati e le aflatossine possono essere secrete nel latte o accumulate nei tessuti. Un altro fattore di rischio molto importante correlato al fegato è l'epatopatia alcolica .

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Vi è una correlazione positiva che la carne rossa e quelle processate rappresentino una causa del cancro al colon-retto. Per carni rosse si intende quelle di vitello, manzo, maiale, agnello e capra. Per carni conservate invece quelle sottoposte ad affumicatura, essicazione, salatura, o aggiunta di conservanti chimici. La carne conservata per refrigerio non è ritenuta processata, mentre la carne tritata come gli hamburger si. Tra le cause del cancro correlate alla carne c'è la produzione batterica nell'intestino di N-nitroso conseguente a una sua assunzione. I nitrati utilizzati per conservala si convertono in nitriti e in N-nitroso. La cottura ad alte temperature crea amine enteriche ed idrocarburi che aumentano il rischio di tumori. La cottura alla griglia e la caduta di grassi, determina la produzione di PAHs che aderiscono alla superficie dell'alimento. Anche la presenza di ferro eme nelle carni promuove la formazione di N-nitrosi, oltre quella di ferro libero che crea invece danni ossidativi, cellulari e la formazione di citochine pro-infiammatorie .

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Si ritiene il latte abbia un'azione probabilmente di protezione dal rischio al cancro del colon-retto. Questo grazie al contenuto di calcio che contiene. Al contrario una sua eccessiva assunzione sembrerebbe incrementare il rischio di cancro alla prostata (giudicato probabile).

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Si ritiene il sale come causa probabile del cancro allo stomaco. Si raccomanda una assunzione massima di 5 g al giorno.

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Si ritiene esista una probabile evidenza tra bevande molto calde e l'insorgenza del tumore all'esofago .

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Si ritiene che le bevande alcoliche abbiano un livello convincente di evidenza come causa di cancro alla bocca, faringe, laringe, esofago, colon-retto (uomini) e mammella. Risulta come livello probabile per il cancro al fegato e colon-retto (donna). L'alcol agisce come carcinogeno sinergico col tabacco per indurre mutazioni nel DNA.

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Si ritiene ci siano evidenze probabili tra l'assunzione di vegetali non amidacei e l'effetto protettivo contro tumori alla bocca, laringe, faringe, esofago e stomaco .

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Si ritiene che gli alimenti della famiglia delle liliacee (aglio, cipolla, porri, ecc.) presentino una probabile azione protettiva per i tumori allo stomaco e al colon-retto.

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Si ritiene probabile che la frutta in generale possa abbassare il rischio di cancro alla bocca, laringe, faringe, esofago, stomaco e polmone.

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Si ritiene che i cibi che contengono carotenoidi (spinaci, cavoli, zucca, peperoni, carote, pomodori, melone, patate dolci, ecc.) abbiano una probabile azione protettiva contro i tumori alla bocca, laringe, faringe e polmone.

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Si ritiene probabile che i cibi contenenti folati (vegetali, frutta, fagioli, fegato) proteggano dal tumore al pancreas. Nello stesso modo quelli contenenti selenio (pesce, cereali integrali, germe di grano, semi di girasole, noci brasiliane), proteggano dal cancro alla prostata.

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I cibi contenenti vitamina C (peperoni rossi e gialli, kiwi, broccoli, papaya, agrumi, fragole, pomodori), probabilmente hanno un'azione protettiva contro il tumore all'esofago.

Le raccomandazioni finali del WCRF sono: 1. mantenersi snelli tutta la vita; 2. muoversi attivamente tutti i giorni; 3. evitare gli alimenti ad alta densità calorica e le bevande zuccherate; 4. basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non raffinati e legumi in ogni pasto, assumendo un'ampia varietà di frutta e verdura; 5. limitare il consumo di carni rosse ed evitare quelle processate; 6. limitare il consumo di bevande alcoliche; 7. limitare il consumo di sale e cibi conservati; 8. assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrimenti attraverso il cibo; 9. allattare i bambini al seno almeno per 6 mesi; 10. le raccomandazioni per la prevenzione alimentare al cancro valgono anche per chi è già ammalato. Non abbiamo finora mai citato il fumo come causa del cancro perché non è un alimento. Tuttavia rimane una concausa evidente che peggiora e aumenta, in modo sinergico, gli effetti dati da una cattiva alimentazione. Diamo di seguito alcuni strumenti per non essere preda di chi vi cita gli studi sul cancro. 1. Paragonare studi epidemiologici dei paesi più poveri con quelli della popolazione occidentale è sprofondamene scorretto, perché non tiene conto dello stile di vita. La stessa cosa avviene se paragoniamo la popolazione benestante a quella povera o se guardiamo i dati relativi ai nostri nonni rispetto a noi. Tutte le persone che si nutrono di meno (senza carestie) e si muovono di più sono soggette a meno malattie croniche per via di un migliore BMI. 2. Paragonare uno stile alimentare in cui si tiene conto della qualità del cibo con l'alimentazione dell'americano medio ha poco senso. I paragoni devono essere fatti tra campioni della popolazione che prestano la stessa attenzione alla qualità degli alimenti. 3. Il fattore primario per molte malattie (compresi alcuni tipi di cancro) è il grasso viscerale. Alcune diete sono considerate protettive nei confronti dei tumori perché portano a dimagrire. Si associano così diversi fattori per trovare una correlazione diretta, quando in realtà è indiretta. 4. Gli studi osservazionali (epidemiologici) hanno un grado d'evidenza più basso rispetto a quelli causali. Questo perché trovano correlazioni quando i fattori in gioco possono essere molteplici e forvianti. Per esempio a livello statistico chi mangia all'ospedale ha un'aspettativa di vita più bassa. Ma questo succede perché mangia li o perché si trova ricoverato per problemi di salute? Studi causali sono invece più attendibili perché dimostrano un nesso diretto (di causeeffetto ), replicabile e verificabile da qualsiasi ricercatore.

L'equilibrio acido-base e la dieta alcalina Negli ultimi anni si è assistito ad una separazione dell'informazione. Da una parte il metodo scientifico si è fatto più rigoroso. Oggi non solo possiamo leggere cosa dice una ricerca, ma possiamo vedere quante volte viene citata da altre, sappiamo che alcuni studi sono probabilmente corrotti da bias e che le metanalisi-review hanno più valore delle singole ricerche. La scienza non ha risposto a tutti i perché (anzi la maggior parte delle porte rimangono ancora chiuse), ma si è strutturata in modo che l'opinione del singolo non conti e valgano i dati oggettivi. Dall'altra parte internet, le riviste, la televisione e i social, hanno creato un'informazione "free" (gli studi generalmente si pagano), veloce, semplice e concisa. In poche righe il lettore viene a conoscenza di sconvolgenti verità e di soluzioni pratiche per migliorare la sua vita e la sua alimentazione.

asu Facebook ci sono verità che gli scienziati ignorano". Questa premessa era doverosa per introdurre il tema dell'alimentazione alcalina, una dieta ormai resa famosa dalla trasmissione televisiva "Le Iene", ma anche da "esperti" del settore, medici e anche qualche professore universitario. Insomma, all'apparenza questo approccio sembrerebbe avere una schiera di personaggi illustri pronti a sostenerlo e a divulgarlo, ma a livello scientifico cosa troviamo? Niente

Non troviamo niente (solo studi a basso impatto), la dieta alcalina è una bufala che non ha nessuna base fisiologica. È un po' come sostenere che la terra è piatta senza portare alcuna evidenza. Ovviamente non è che dovete credere a quello che scriviamo, fatevi carico del vostro bagaglio informativo, andate su pubmed e spendete del tempo ad informarvi, oppure ricercate su google nei siti ufficiali di ricerca medica (AIRC). Guardate cosa dicono gli studi, non le persone. Un medico, un professore universitario, quando parlano non parlano a nome della scienza, medico e medicina non sono sinonimi, altrimenti non sentiremmo tanti pareri discordanti. Il medico studia la medicina, la interpreta e purtroppo molto spesso vende la sua visione facendola passare per scienza. Quando vi accorgerete che dietro alla dieta alcalina non c'è nessuna prova scientifica chiedetevi, perché chi la promuove non ci fa uno studio sopra? Potrebbe vincere il Nobel per la medicina e non lo fa. Potrebbe essere ricordato dalla storia e ci rinuncia magari per vendere qualche prodotto, qualche consulenza o per pubblicare un libro commerciale senza valore ( come il nostro). Dopo questa lunga ma doverosa premessa (ci siamo soffermati perché la disinformazione è veramente dilagante), affrontiamo dal punto di vista fisiologico l'equilibrio acido-base. Se avete studiato medicina o nutrizione, troverete in qualsiasi libro universitario quello che riassumeremo, lo scriviamo per farvi capire che questa non è la nostra posizione ma è la fisiologia e la biochimica di base, universale e presente in tutti i libri universitari. Se non potete respirare, in pochi secondi morite soffocati. Bene, il pH sta alle cellule, come l'aria sta al nostro organismo. La sua stabilità è fondamentale per regolare la funzione degli enzimi, se varia si innescano o si bloccano centinaia di reazioni, portando nell'immediato la cellula a morire. Pertanto l'organismo preserva l'omeostasi del pH come priorità assoluta. Anche piccole variazioni permanenti portano la persona ad essere ricoverata in ospedale. Ma cerchiamo di definire cosa vuol dire acido e basico. L'idrogeno è l'elemento più diffuso in natura, nei sistemi biologici è presente principalmente in forma legata al carbonio (legami C-H), all'ossig~no (legami 0-H) e all'azoto (legami N-H).

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A seconda della forza con cui l'idrogeno è legato agli altri atomi, è possibile che si dissoci (ovvero passi dalla forma legata a quella disciolta) e si presenti sotto forma di ione con una carica elettrica positiva (H+). Questo può avvenire in tutte le soluzioni acquose. Nella nostra scala, una soluzione contenente acqua, si considera neutra quando ha un pH di 7. Quando una sostanza disciolta in acqua libera ioni idrogeno, aumenta la concentrazione e abbassa il pH, pertanto viene considerata acida. Viceversa, quando una sostanza disciolta in acqua lega ioni idrogeno, diminuisce la concentrazione ed alza il pH, pertanto viene considerata basica. Il pH si misura in scala logaritmica in base 1O. Che vuol dire? In matematica, il logaritmo di un numero, in una data base, è l'esponente al quale la base deve essere elevata per ottenere il numero stesso. Per esempio, il logaritmo in base 10 di 1000 è 3, poiché bisogna elevare 10 alla terza potenza per ottenere 1000, ovvero 10 3 • Tradotto, le variazioni del pH sono esponenziali ed anche piccoli decimali ottengono grandi effetti. Per questo il corpo neutralizza il pH degli alimenti che introduciamo. Bevete il succo di limone (pH 2,4) che è molto acido ma quest'ultimo quando viene a contatto coi succhi gastrici (pH 2) si acidifica ulteriormente, tuttavia quando arriva nell'intestino viene a contatto con la bile (pH 7,6 - 8,6) che lo alcalinizza. Grosse variazioni del pH negli alimenti vengono neutralizzate facilmente dall'organismo. Tuttavia i cibi che ingeriamo hanno sali inorganici che arrivano inalterati a contatto con il flusso sanguigno e hanno un potere acidificante o alcalinizzante. Per questo il limone pur essendo acido basifica, perché i suoi sali inorganici hanno questa tendenza. Qui, purtroppo, si ferma la dieta alcalina ed inizia la fisiologia. Perché è vero che gli alimenti hanno un'influenza sul nostro pH, ma è il quanto, il punto rilevante. Se togliete dal mare una quantità d'acqua pari a un bicchiere, questa è sicuramente diminuita ma la quantità sottratta sarà del tutto irrilevante. L'omeostasi del pH è un parametro talmente importante che l'organismo ha diversi sistemi per governarlo. Il primo e più importane è la respirazione. Quando vi allenate vi viene il fiatone. In realtà l'aumento della frequenza e/o profondità ventilatoria non è dato in primis da un aumento delle richieste d'ossigeno, ma da un'esigenza di espellere l'anidride carbonica. Il lavoro muscolare sta producendo acido lattico che potenzialmente acidifica l'organismo. Buona parte dell'acido lattico viene convertito in anidride carbonica ed acqua, ecco spiegata l'esigenza d'espellerla il più rapidamente possibile. C'è un altro modo che l'organismo utilizza per basificarsi, vomitare. Succede raramente e probabilmente c'entra di più quello che vi è rimasto sullo stomaco che l'eccesso d'acidosi dato dall'allenamento ma il vomito è un altro mezzo per alzare il pH rapidamente. Tornando alla dieta alcalina, gli alimenti ricoprono un ruolo nella regolazione del pH come io occupo un posto nel cuore di Belen. Se "tendiamo" leggermente all'acido, la profondità del respiro varia impercettibilmente e subito abbiamo ricreato un equilibrio. Oltre alla respirazione, c'è un secondo importante regolatore: i reni. Questi attraverso il riassorbimento dei bicarbonati o l'escrezione dei fosfati e dell'ammonio regolano il pH sanguigno. Il loro ruolo è fondamentale per espellere sostanze organiche non volatili e se subiscono alterazioni state certi di finire dal medico e in ospedale. Quando vi fate le analisi delle urine con la cartina tornasole non state valutando il sovraccarico renale, sarebbe troppo bello e le aziende dei bicarbonati sarebbero multinazionali miliardarie. Se mangiate acido i reni abbassano il pH delle urine tramite un meccanismo del tutto fisiologico. Non si affaticano, sarebbe come dire che il cuore si stanca a battere o i polmoni a respirare. Per concludere, la dieta alcalina può far stare realmente bene perché spinge le persone a mangiare alimenti idratati, ricchi di vitamine, minerali ed antiossidanti (frutta e verdura sono i

principali alimenti basici) ma il miglior benessere fisico sarà raggiunto per questi motivi e non perché vi siete alcalinizzati. Se avete ancora dei dubbi a riguardo pensate, che test fate per verificare il vostro pH? E questo test che valore scientifico ha (che studi lo supportano su Pubmed, che attendibilità ha rispetto al gold standard scientifico)? Rispondete a questa domanda e finirà la vostra convinzione sulla dieta alcalina.

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Sonno e cicli circadiani Troviamo l'argomento sonno sempre noioso da trattare perché, in sintesi, potrebbe essere così riassunto: se puoi dormire dormi, se non puoi farlo stai sereno perché otterrai i risultati lo stesso. Ormai quasi tutti i mesi esce un articolo che correla la mancanza di sonno con una maggior probabilità di ingrassare. I fattori sono molteplici: ./ più stai sveglio e più è facile avvertire lo stimolo della fame ./

sotto le 6-7 ore di sonno la leptina scende e sale la grelina, due ormoni che influenzano l'appetito e la composizione corporea

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mangiare la notte interrompe il digiuno notturno, ovvero il momento della giornata dove dimagriamo maggiormente

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più si sta svegli e mediamente più si alza il cortisolo abbassando l'affinità del corpo col glucosio

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dormire poco sballa i cicli circadiani

Vista in questo modo, ed in parte è così, il sonno è un potente alleato per migliorare la composizione corporea e la salute. L'uomo preistorico dormiva molto più di noi (da quando calava il sole a quando sorgeva), per questo è logico pensare che siamo programmati per dormire 8 - 12 ore al giorno (a seconda della stagione). Fatta questa doverosa premessa ripartiamo dalla frase iniziale. Se potete dormire meno di 8 ore per notte, non preoccupatevi, i risultati arriveranno lo stesso. Questo perché l'essere umano è una macchina meravigliosa, capace di adattarsi alle necessità. Un esempio sono le variazioni dei cicli circadiani. Cosa sono? L'uomo possiede un orologio interno che gli permette di mantenere, nel suo equilibrio, un'alternanza dei valori ormonali, senza che questo comporti problemi per la salute o per l'omeostasi. Gli ormoni variano in base agli stimoli esterni-interni. Luce-buio e il cambiamento della temperatura dell'ambiente sono i due fattori chiave su cui si programmano i nostri cicli circadiani. In assenza di stimoli esterni (luce artificiale costante in una stanza tenuta sempre con la stessa temperatura), nel tempo, la nostra giornata si allungherebbe intorno alle 36 ore. La melatonina è la sostanza (simil-ormone) che influenza i cicli circadiani. È prodotta principalmente dalla ghiandola pineale in assenza di stimoli luminosi (quando fa buio). La mancanza di sonno e la luce artificiale possono influenzare in negativo la sua produzione. La cosa importante da sapere è che se le abitudini che abbiamo rimangono costanti e sono sopportabili (non dormite sempre solo 3 ore a notte), il corpo si autoregola. Sono i cicli circadiani a regolarsi sulle nostre abitudini e non viceversa. Così chi lavora sempre di notte avrà alterato il picco notturno del GH ma questo sarà comunque sempre presente in altri orari del giorno. È inutile basare la propria alimentazione o i propri allenamenti in base al momento più proficuo per i cicli circadiani, perché anche il momento peggiore se reiterato nel tempo diventerà il migliore.

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Chi ci ha ideato l'ha fatto per permetterci di essere degli animali versatili, capaci di regolare il proprio orologio biologico in base alle esigenze. Dormite 6 ore a notte e vi allenate al mattino alle 5.30? Non preoccupativi, col tempo vi abituerete e vi allenerete come se fossero le 18.00. L'importante è che lo stimolo sia sopportabile, se il corpo non riesce a compensare dovrete trovare un compromesso tra i cicli circadiani originali e le vostre abitudini. Regolazione oraria dei cicli circadiani

Il cortisolo ha una secrezione basale costante nelle 24 ore, con un picco massimo poco prima del risveglio (ci permette di attivarci), poi decresce durante la giornata ed ha un minimo nelle prime ore del sonno. Il GH raggiunge il suo massimo dopo le prime ore di sonno (tra le 24.00 e le 02.00), permettendo di mantenere stabile la glicemia preservando il glucosio, mentre registra valori minimi dal mattino all'ora di cena. Il testosterone ed il TSH (l'ormone che regola le funzioni tiroidee) hanno un apice notturno e nelle primissime ore del mattino per poi calare nella giornata arrivando ad un minimo nel tardo pomeriggio.

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Capitolo V

Gli ormoni e la nutrizione Introduzione agli ormoni Bisognerebbe scrivere un libro intero per descrivere tutti gli ormoni, con le relative funzioni, disfunzioni, come entrano in gioco nella regolazione della composizione corporea, nella performance, nella salute e nel metabolismo. Questo testo vuole essere un'introduzione ad altri più completi e specifici. Pertanto affronteremo l'argomento semplificandolo con l'intento di dare al lettore gli spunti essenziali per comprendere come queste sostanze ci influenzano. Autocrini-Paracrini-Endocrini

Gli ormoni sono dei messaggeri che permettono al corpo di comunicare aprendo o chiudendo specifiche porte. Quando pensiamo ad essi viene naturale visualizzare quelli che si riversano nel flusso ematico (umorale) e dal pancreas, dalle gonadi e dalla tiroide arrivano alle cellule muscolari o adipose. In realtà questa è soltanto una fetta del quadro. I messaggeri si dividono in autocrini, prodotti dalla stessa cellula che li utilizza; paracrini, prodotti nel liquido extracellulare con un'area d'azione molto limitata; endocrini, secreti nel sangue viaggiano in tutto il corpo. Questo breve accenno ci fa capire come la modulazione ormonale sia veramente complessa e chiara solo in minima parte fino ad oggi. Noi guardiamo alla punta dell'iceberg quando in realtà l'argomento è molto più vasto. Per esempio, solamente l'intestino produce 15 ormoni, mentre l'adipocita I O adipochine differenti. Quindi ricordiamoci che i macroeffetti che possono avere gli ormoni endocrini risultano alquanto limitati se a livello paracrino ed autocrino non sono supportati, ovvero è sempre una sinergia di fattori organici e locali a decretare l'efficacia di un'azione ormonale. Peptidici-Steroidei

La natura dei messaggeri può essere molto diversa. Alcuni ormoni sono di natura proteica e peptidica, come l'insulina e il glucagone. La loro azione è limitata alla membrana della cellula bersaglio. Non potendo oltrepassarla stimolano indirettamente il nucleo o il citoplasma attraverso messaggeri interni. La loro azione è molto rapida e gli effetti si esplicano nel breve termine.

Altri invece hanno una natura lipidica e vengono definiti ormoni steroidei. Derivano dal colesterolo, tra questi ricordiamo il testosterone. Il fatto di essere idrofobici permette loro di entrare direttamente nella cellula, ma non potendo viaggiare nel sangue da soli devono accoppiarsi a specifiche proteine di trasporto che sono in grado di disattivarli (testosterone totale e libero). La loro azione è più lenta, ma di più lunga durata. Abbiamo anche degli ormoni derivanti dagli aminoacidi, come l'adrenalina e la tiroxina e derivanti dagli acidi grassi come gli eicosanoidi. La vita media degli ormoni è piuttosto breve, una volta esplicata la loro azione vengono rapidamente disattivati. Questo permette all'organismo di avere una risposta adeguata e controllata. Alcuni ormoni continuano ed essere prodotti attraverso secrezioni pulsatorie e mantengono livelli basali anche senza stimoli esterni. Recettori di membrana

Non è sufficiente soltanto il valore di un ormone per decretarne l'effetto. Se le cellule bersaglio sono poco affini, questo verrà facilmente degradato o convertito piuttosto che adempiere al suo compito. In molti casi, vedi la resistenza all'insulina o alla leptina, anche se i valori ematici sono elevati, le cellule non rispondono più ai segnali. L'interazione ormone-recettore è decretata dall'affinità di quest'ultimo, dalla capacità di legarsi e dal numero di recettori. Livelli ormonali eccessivi inducono la cellula a diminuire i suoi recettori attraverso il fenomeno della down-regulation. Il detto "il troppo stroppia" funziona anche per i nostri tessuti: la sovrabbondanza abbassa l'affinità con una determinata sostanza, portando nel tempo un peggioramento della risposta cellulare. Feedback negativo-positivo

Il nostro organismo tende all'omeostasi, pertanto ha ideato un sistema di feedback per regolare i dosaggi ormonali. Come nelle operazioni in borsa, quando le azioni vengono bloccate per eccesso di rialzo o ribasso, il corpo ad un aumento dei livelli ormonali, blocca o regola la sovraproduzione attraverso l'attivazione o l'inibizione di altri ormoni. Un esempio sono gli ormoni tiroidei. La loro produzione è stimolata dal TRH, che a sua volta stimola il TSH; ma ogni passaggio, oltre a innescare quello successivo, inibisce anche quello precedente. Questo evita che l'organismo continui a produrre T4-T3, anche quando i valori sono sufficienti a soddisfare le necessità organiche. Raggiunto un certo livello, la secrezione rallenta o si interrompe. La produzione è stimolata dalla domanda, quando questa cessa anche la produzione cessa. Almeno così avviene quando l'organismo è sano. Diete estreme (sia troppo ipercaloriche che troppo ipocaloriche) e stili di vita non salutari possono alterare il sistema di feedback. Effetti ormonali

L'azione degli ormoni generalmente influenza la cellula in tre modi: 1. incentivando la sintesi di determinate proteine; 2. modificando la permeabilità a specifiche sostanze; 3. modulando (stimolando o inibendo) l'attività di determinati enzimi. Patologico-natural-doped

C'è molto marketing dietro all'informazione riguardante gli ormoni. Riviste del settore, azie di integratori, ricerche finanziate, confondono gli effetti ormonali agli ignari lettori. Se leggete che i BCAA aumentano del 140% la sintesi proteica sarete tentati di comp Peccato però che chi divulga la notizia si dimentica di dirvi che l'effetto è dimostrato in so ustionati e non in persone sane. Altrettanto avviene per l'azione anabolizzante del testosterone

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tessuto muscolare, che è molto rilevante solo con variazioni non fisiologiche. I cambiamenti dei livelli ematici nei soggetti natural non inducono a sviluppare più muscolo (l'ipertrofia è governata in primis da altri fattori come vedremo successivamente). Non è che grazie allo squat o allo stacco il maggior testosterone prodotto vi farà crescere di più le braccia. Le fluttuazioni ormonali possono aiutare ma gli effetti riguardano più la salute che l'estetica. Questo breve (ed incompleto) paragrafo ci deve far riflettere su quanto sia vasto questo mondo e su quanto il focalizzarci solo su un ormone sia riduttivo, rispetto ad un quadro molto più ampio ed in gran parte ancora sconosciuto.

Falsi miti a proposito del GH Il GH (o somatotropo) è un ormone peptidico ricercatissimo. Sarà per il suo nome (ormone della crescita) o perché gli atleti che se lo iniettano illegalmente diventano magrissimi e grossissimi (a volte anche diabetici), ma normalmente leggere che qualcosa (macronutriente, ciclo circadiano o allenamento) fa aumentare il GH colpisce subito la nostra attenzione. In realtà molti vantaggi apportati alla composizione corporea non sono dipendenti da lui. Ma andiamo per gradi. Iniziamo dalla crescita muscolare. L'ipertrofia non è dovuta da un aumento di GH (che comunque ha un effetto positivo sulla ritenzione d'azoto) e neanche all'IGF-1 (il fattore di crescita epatico che viene stimolato dalla produzione del somatotropo), ma dall'MGF (fattore di crescita meccanico). Questo ormone ha un'isoforma identica all'IGF-1 ed ha un'azione autocrina e paracrina (per cui sono colpiti solo i muscoli allenati), con un effetto ipertrofico locale sul miocita e sulle sue cellule satelliti. Lavori lattacidi aumentano il GH (ricordiamo che la vita media di questo ormone è di 20') ma stimolano anche l'MGF. L'effetto principale sulla composizione corporea del somatotropo è quello lipolitico, non anabolico. Purtroppo anche sul dimagrimento l'utilità dell'ormone della crescita è limitato. Il suo scopo è quello di preservare l'utilizzo del glicogeno che altrimenti sarebbe velocemente depauperato dall'effetto delle catecolamine (per farlo aumenta la lisi dei trigliceridi). Questo ha si un risultato dimagrante ma nel breve termine. Ogni volta che la cellula shifta il suo metabolismo sui grassi lo fa a discapito degli zuccheri. Pertanto a livello cellulare diminuiscono i GLUT-4. Questo cosa vuol dire? Che livelli cronici troppo alti di GH portano verso l'insulino-resistenza e il diabete. Infatti i bodybuilder che se lo iniettano per evitare l'iperglicemia (visto che il corpo utilizza sempre meno zuccheri e questi si accumulano nel sangue) assumono anche l'insulina. A lungo andare questo gioco (livelli ematici alti di GH e di insulina) portano chi si dopa a diventare diabetico di tipo II. Concludendo, il somatotropo è sicuramente un ormone utile alla composizione corporea ma basta stimolarlo in modo naturale con l'allenamento. Non dobbiamo essere ossessionati dai sui cicli circadiani (picco notturno) e da tutto quello che porta ad innalzarlo attraverso il cibo, come l'azione delle proteine, dell'arginina, ornitina e glutammina. Quindi allenatevi in modo intenso e poi godetevi il riposo senza troppe seghe mentali sul GH.

Testosterone e Cortisolo Testosterone e Cortisolo sono due ormoni spesso associati, entrambi originano dal colesterolo ma prendono due vie metaboliche differenti. La loro associazione non avviene per somiglianza ma per antagonismo. L'esame endocrino testosterone-cortisolo viene utilizzato nello sport per individuare stati di sovrallenamento. Se prevale il primo siamo in fase anabolica, se prevale il secondo il catabolismo ha la meglio.

Il testosterone: il nostro miglior amico immaginario

Dopo che si sono osservati i risultati ottenuti con anabolizzanti ricavati dal testosterone, atleti sportivi hanno cercato in tutti i modi di trovare stratagemmi che, in modo naturale e senza effetti collaterali, portassero ad un suo aumento. Sono nati così diversi integratori (tribulus, fieno greco, ecc.) che sfruttano principi attivi naturali per implementarlo (con dubbio successo). Iniziamo subito dicendo che si guarda al dito senza scorgere la luna (come al solito). Nei natural le modifiche dell'ormone sono quasi irrilevanti e non cambiano l'assetto metabolico, altrimenti al posto del Viagra verrebbe consigliato il tribulus o una seduta di squat. L'ipertrofia muscolare (sempre nei natural) è data in primis da un vantaggio recettoriale non da livelli sieri ci più elevati. In chi si dopa la questione cambia perché il testosterone può arrivare a superare 1O - 20 volte i livelli fisiologici massimi, portando così un notevole incremento di massa contrattile, anche in chi non si allena. Purtroppo nei natural le variazioni ematiche non sono così importanti come il marketing vuole farci credere. Per comprendere perché non basta innalzare i livelli ematici va detto che oltre ai valori sierici bisogna analizzare il valore del testosterone libero, quello attivo non legato alle proteine di trasporto. Inoltre bisogna conoscere il numero dei recettori cellulari, altrimenti gli effetti saranno comunque modesti. Per concludere, non basta sapere il numero dei recettori ma anche la loro affinità all'ormone. Praticamente nessuno è in grado di stabilire tutti questi fattori, quindi finché la concentrazione è nella norma è inutile perdere la testa per seguire la dieta del testosterone. Tra l'altro un aumento del valore base porta facilmente a una conversione in estradiolo (un estrogeno). Quindi, ammesso che si riesca a trovare un alimento naturale che lo stimoli fortemente, difficilmente potremmo impedire (senza l'utilizzo di farmaci) la sua conversione. Forse il solo modo naturale è quello di dimagrire depotenziando l'aromatasi (la conversione degli androgeni) delle cellule adipose. Tuttavia diete ipocaloriche abbassano naturalmente · testosterone, quindi si ritorna al punto di partenza. Il Mc Ardle e Katch 21 , il libro di fisiologia più importante a livello sportivo, scrive che UDI dieta cronicamente iperproteica (oltre 1,5 - 1, 7 g/kg) abbassa il testosterone. Vediamo di capire perché. Il testosterone ha moltissime funzioni tra cui quella di facilitare l'ingresso degli aminoaci nelle cellule, infatti viene correlato con una minor resistenza all'insulina visto che aumenta l'uptake cellulare. Se cronicamente abbiamo sempre molti aminoacidi nel sangue (soprattutto a ca ramificata) questa sua funzione può essere bypassata visto che sono già facilitati ad entrare ne cellula (vedi il paragrafo sui BCAA). Ecco spiegato perché diete cronicamente iperproteiche ( aminoacidi di alta qualità) potrebbero nel tempo abbassarlo. Ovviamente il "potrebbe" è d'obbli visto che al momento sono solo teorie senza una serie di studi a supporto. Se volete do · tranquilli ciclicamente fate giorni o pasti ipoproteici. Non catabolizzerete ed ottimizzerete tutti i processi biochimici. L'ultima cosa, per concludere, che possiamo ricordare è l'affinità del testosterone con le celi adipose dell'addome. Da una parte le sensibilizza ai livelli glicemici, motivo per cui il gras addominale è sensibile all'insulina ed al cortisolo, dall'altra facilita lo svuotamento potenziando i recettori ~-adrenergici (quelli lipolitici) rispetto a quelli a-adrenergici (quelli liposintetici). Pertanto il testosterone è un'arma a doppio taglio, con le giuste concentrazioni permette d'av un addome piatto e magro, con un quadro ematico non ottimale contribuisce a portare il grasso localizzarsi principalmente sulla pancia.

21 W.D. McArdle, F.L. Katch, V.L. Katch, "Fisiologia ~pplicata allo sport", Casa Editrice Ambrosiana, 2009.

Il cortisolo ed i carboidrati Per quanto riguarda il cortisolo (il cattivo), è utile precisare che è un ormone essenziale per la vita. La sua funzione anti-infiammatoria ed immunitaria ci ha permesso di sopravvivere fino ad oggi, quindi averlo cronicamente basso non è sicuramente salutare. I globuli bianchi sono sprovvisti di mitocondri, pertanto utilizzano solo il glucosio. Il cortisolo ha la funzione di supportare il nostro sistema immunitario. Tuttavia un suo eccesso, dovuto allo stile di vita, all'allenamento e ad un'alimentazione cronicamente iperproteica, può rallentare il dimagrimento e peggiorare la composizione corporea, oltre che causare veri e propri problemi di salute come l'ipertensione. Il cortisolo si relaziona con diversi ormoni: col testosterone, come abbiamo appena visto, ma anche con l'insulina, con il GH e con gli ormoni tiroidei (limita la conversione del T4 poco attivo in T3) ed ha un'influenza sul metabolismo del sodio-potassio. Per contrastarlo, oltre che abbassare lo stress della vita quotidiana ( che forse è il parametro più importante), è utile introdurre carboidrati complessi a scapito di quelli raffinati che al contrario lo alzano. Su questa questione, tuttavia, ci sono due scuole di pensiero contrastanti. Chi sostiene che duranti i suoi picchi (post allenamento e al risveglio) sia importante introdurre subito zuccheri per stimolare l'insulina (la sua disattivazione avviene per l'inibizione dell'enzima l IHSD 1 che rigenera il cortisolo dal cortisone nelle cellule adipose e del fegato), chi invece ritiene meglio aspettare che cali naturalmente e poi introdurre i glucidi. Proviamo a sbrigare la matassa. Il cortisolo è alto al mattino perché ci permette di avere immediatamente zuccheri disponibili. Il risveglio è considerato uno stress per l'organismo ed il corpo naturalmente risponde con il macronutriente più facilmente utilizzabile, il glucosio. Se introduciamo zuccheri, l'organismo si rende conto che non ha più bisogno di autoprodurseli (gluconeogenesi) e smette di stimolare la produzione dell'ormone. Chi non è d'accordo con questa indicazione vede nel tempo di latenza, tra l'assorbimento ed il calo ematico del cortisolo, un periodo rilevante per sviluppare nell'organismo insulina-resistenza. Post allenamento e al risveglio la ~-ossidazione è alta (il corpo visto le riserve energetiche basse, sposta il metabolismo sui grassi), introducendo zuccheri ci ritroviamo contemporaneamente immersi sia negli zuccheri che nei grassi, un disastro. Pertanto è meglio aspettare che fisiologicamente la produzione endogena di cortisolo cali e solo successivamente introdurre carboidrati. Sinceramente non abbiamo una soluzione a questo dilemma e forse tutte e due le tesi sono solo pippe mentali; come al solito a seconda di come vi trovate meglio proseguite su quella strada. Volete aspettare prima di introdurre zuccheri? Aspettate. Volete invece mangiarli subito? Assumeteli integrali a lento rilascio (al mattino), a medio-rapido assorbimento post allenamento. Molto spesso i problemi teorici biochimici nella pratica non fanno la differenza. È importante capire a livello fisiologico cosa avviene ma allo stesso tempo è importante dare il giusto peso alle cose, altrimenti ci stressiamo troppo ed il cortisolo sale. Comunque raccogliendo due dati, provando una strategia e verificando i nuovi risultati, possiamo sapere di preciso qual è la strada migliore, togliendoci ogni dubbio. Per concludere e avere un quadro completo, diciamo che il cortisolo ha una duplice funzione antagonista. Nel breve termine è un ormone lipolitico, perché per preservare la glicemia mobilizza il grasso; nel lungo termine tuttavia promuove anche la gluconeogenesi (soprattutto utilizzando gli aminoacidi alanina e leucina, da qui il suo ruolo catabolico a livello muscolare) e a livello nucleare abbassa la sintesi proteica nei miociti. Questa doppia azione che determina l'utilizzo sia di grassi che di zuccheri, porta nel lungo periodo a creare insulino-resistenza, disinibendo i recettori cellulari GLUT-4, in modo particolare a livello addominale dove i grassi sono più facili da mobilizzare.

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Pertanto valori basali cronici elevati di questo ormone portano un aumento della glicemia, stimolando l'insulina che blocca il dimagrimento, catabolizza il muscolo e al tempo stesso crea insulino-resistenza. Un vero disastro.

Cortisolo ed affaticamento surrenale - approfondimento

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Questo libro non vuole assolutamente essere esaustivo. Alla fine troverete tutta una serie di testi universitari consigliati sui cui potrete approfondire ogni paragrafo. Abbiamo deciso, per mantenere leggera la lettura, d'inserire qui un solo approfondimento. Questo per dare un 'idea al lettore di come si possa ampliare (in modo esponenziale) ogni argomento trattato. Abbiamo scelto per assolvere a questo compito un pezzo da 90. Giuseppe Seripierri studia medicina ed è un futuro endocrinologo. Oltre alla sua conoscenza accademica, Giuseppe ha un approccio pratico sul campo. La sua capacità d'unire lo studio alla realizzazione pratica, hanno fatto si che sia uno degli esponenti italiani più interessanti da leggere e da ascoltare.

Le ghiandole surrenali sono piccoli organi pari situati al di sopra di ciascun polo superiore renale. Ciascuna di esse consta di due porzioni: la porzione corticale, più esterna e la porzione midollare, più interna. Dal punto di vista istologico, fisiologico e di derivazione embrionale le due porzioni sono differenti. La corticale del surrene è costituita da cellule epiteliali specializzate, costituenti tre strati con tre differenti disposizioni e differenti funzioni endocrine. Essa produce differenti classi di steroidi a partire dal colesterolo, sotto stimolo dell'onnone adrenocorticotropo (ACTH o corticotropina), ad eccezione dell'aldosterone, il quale sottostà ad una diverso sistema di regolazione. La sintesi ed il rilascio di ACTH sono a loro volta sotto controllo dell'ipotalamo, che dai nuclei neurosecernenti secerne il fattore di rilascio della corticotropina (CRH), il quale giunge all'ipofisi anteriore, mediante il circolo portale ipofisario, dove stimola la sintesi ed il rilascio di POMC (Proopiomelanocortina), da cui poi derivano l 'ACTH, l'ormone stimolante i melanociti (MSH) ed altri ormoni peptidici, tra cui la betaendorfina. Anche l'ormone antidiuretico (ADH), prodotto e secreto dai neuroni sopraottici e paraventricolari dell'ipotalamo, rappresenta uno stimolo al rilascio di ACTH da parte dell 'adenoipofisi. Nell'insieme il sistema è definito asse ipotalamico-ipofisario-corticosurrenale (HPA). Nel corticosurrene si distinguono: la zona glomerulare, deputata alla sintesi ed il rilascio di mineralcorticoidi, principalmente l 'aldosterone. I mineralcorticoidi sono ormoni steroidei che partecipano al mantenimento del bilancio idro-elettrolitico dell'organismo. Nello specifico, l'aldosterone agisce a livello delle porzioni distali del tubulo renale, dove incrementa il riassorbimento di sodio ed acqua, mentre favorisce l'escrezione di potassio e di ioni idrogeno. La secrezione di questo ormone avviene principalmente sotto controllo renale, mediante il. sistema renina-angiotensina ed è stimolata dall'ipovolemia, da bassi livelli plasmatici di sodio, ma soprattutto da elevati livelli sierici di potassio. L'ormone adrenocorticotropo (ACTH) possiede un ruolo "permissivo" sulla secrezione di aldosterone, in quanto stimola il trofismo dell'intera corteccia surrenale. La zona fascicolata, deputata alla sintesi di glucocorticoidi, steroidi che assolvono a diverse funzioni metaboliche vitali, tra i cui più importanti figura il cortisolo. La zona reticolare, deputata alla sintesi di steroidi sessuali. In questa porzione del surrene vengono prodotti androgeni a partire dal colesterolo, in particolare Deidroepiandrosterone (DHEA), in parte convertito in DHEA Solfato (DHEAS), ed androstenedione. Le cellule della zona reticolare del surrene mancano dell'enzima 17-beta-idrossisteroide deidrogenasi, enzima che converte l'androstenedione in testosterone, pertanto, questa conversione avviene a livello di altri tessuti (come le gonadi). Il testosterone, a sua volta, viene convertito in estradiolo, mentre 22

di Giuseppe Seripierri

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l'androstenedione in estrone. Entrambe le reazioni sono catalizzate dall'enzima aromatasi. In questo modo, il surrene fornisce una quota aggiuntiva a quella prodotta dalle gonadi, maschili e femminili, di androgeni ed estrogeni, rispettivamente. Questa piccola quota di steroidi sessuali è importante durante la pubertà, ma soprattutto in età avanzata, quando si ha la menopausa nella donna e la riduzione della funzionalità gonadica nell'uomo. I livelli plasmatici di DHEA e DHEAS sono ottimi indicatori della funzionalità surrenalica, in quanto la produzione di questi ormoni è stimolata dall' ACTH. I livelli di DHEA si riducono notevolmente con l'avanzare dell'età, tanto che questo ormone è stato soprannominato "ormone della giovinezza". La midollare del surrene

La porzione midollare del surrene può essere considerata una dislocazione periferica, una sorta di "succursale" della branca ortosimpatica del sistema nervoso autonomo. Il sistema nervoso autonomo (o vegetativo) è costituito da neuroni e fibre nervose che innervano i visceri, il cuore, i vasi sanguigni e le ghiandole, regolandone funzioni e secrezione, al di fuori del controllo volontario. Esso è suddiviso in due branche: sistema nervoso ortosimpatico (o semplicemente simpatico) e sistema nervoso parasimpatico (o vagale, in quanto gran parte delle funzioni sono esplicate dal nervo vago e dalle sue diramazioni). Esiste inoltre una terza branca, il sistema nervoso enterico, che regola le funzioni dell'apparato digerente, ma meriterebbe una trattazione a sé stante. Entrambe le branche presentano un'organizzazione analoga, ovvero sono costituite da due classi di fibre nervose collegate in serie: le fibre pre-gangliari, che non innervano direttamente visceri e ghiandole, ma entrano in contatto sinaptico con i gangli, ovvero raggruppamenti di nuclei neuronali, da cui origina il secondo ordine di fibre, ovvero le fibre post-gangliari, che si portano ad innervare direttamente organi, vasi e ghiandole. Nel sistema nervoso ortosimpatico, i gangli sono situati in prossimità della regione toraco-lombare del midollo spinale, mentre i gangli parasimpatici sono dislocati in prossimità degli organi innervati. Il neurotrasmettitore rilasciato da tutte le fibre pre-gangliari, sia simpatiche che parasimpatiche, è l'acetilcolina, rilasciata anche a livello della maggior parte delle terminazioni nervose postgangliari parasimpatiche. Quasi tutte le fibre post-gangliari simpatiche invece, rilasciano come neurotrasmettitore le noradrenalina. L'unica ghiandola a rappresentare un'eccezione, in quanto innervata direttamente da fibre pre-gangliari ortosimpatiche e non da fibre post-gangliari, è appunto la midollare del surrene. Potremmo quindi definire questa ghiandola come un grosso "ganglio" periferico, e le sue cellule, dette cellule cromaffini, come cellule nervose modificate (esse infatti, durante lo sviluppo embrionale, derivano dalle creste neurali, proprio come altre cellule nervose). Le cellule cromaffini producono e secernono nel circolo ematico, sotto stimolo del sistema nervoso simpatico, adrenalina e noradrenalina (in rapporto di 85:15, rispettivamente) ed in minor parte altri peptidi (quali proencefaline, peptide F, ecc.). L'adrenalina e la noradrenalina rilasciate nel circolo ematico esplicano le loro funzioni legandosi ai recettori adrenergici. I recettori adrenergici appartengono alla superfamiglia dei recettori accoppiati a proteine G eterotrimeriche e sono attivati dal legame con le catecolammine o altri agonisti sintetici. Questi recettori si suddividono in due categorie: a-adrenergici e ~-adrenergici. I recettori P-adrenergici si suddividono a loro volta in P-1, P-2 e P-3. Tutti e tre i recettori ~-adrenergici sono accoppiati positivamente all'enzima adenilato ciclasi, ovvero la loro attivazione, tramite il legame con un agonista, aumenta la produzione di cAMP all'interno della cellula. In base ai tessuti in cui essi sono disposti, determinano risposte tessuto-specifiche. In particolare, l'attivazione dei recettori /J-1 adrenergici, che sono situati prevalentemente sul miocardio, determina aumento della forza di contrazione cardiaca, aumento della frequenza

cardiaca ed aumento dell'eccitabilità del miocardio. I recettori /J-2 adrenergici si trovano prevalentemente sulla muscolatura liscia bronchiale e dei vasi sanguigni che irrorano il muscolo scheletrico, a livello epatico e nel tessuto adiposo; la loro attivazione causa rilassamento della muscolatura liscia, broncodilatazione, vasodilatazione muscolare, aumento della glicogenolisi epatica e della lipolisi. I recettori /J-3 adrenergici si trovano a livello del tessuto adiposo e la loro attivazione determina un incremento della lipolisi e, nel tessuto adiposo bruno, aumenta la sintesi di proteine disaccoppianti mitocondriali (UCP), responsabili del fenomeno di termogenesi. I recettori a-adrenergici si suddividono in a-1 (di cui esistono i sottotipi a-1 A, a-1 B e a-1 C) e a-2 (di cui esistono i sottotipi a-2A, a-2B e a-2C). L'attivazione dei recettori alfa-I provoca vasocostrizione generalizzata, contrazione della muscolatura liscia del pavimento pelvico, midriasi e piloerezione. L'attivazione dei recettori a-2 adrenergici causa l' inibizione dell'enzima adenilato ciclasi e di conseguenza l' inibizione della produzione di cAMP e della trasduzione del segnale ad esso associata. L'attivazione di questi recettori determina: inibizione della lipasi HSL (quindi inibizione della lipolisi), contrazione della muscolatura liscia vasale, inibizione del rilascio di noradrenalina nel sistema nervoso centrale ed inibizione del rilascio di insulina dalle cellule beta del pancreas. Delle catecolammine, l'adrenalina presenta maggiore affinità verso i recettori beta adrenergici, in particolare i beta-2, mentre la noradrenalina possiede affinità maggiore nei riguardi dei recettori alfa adrenergici. Il cortisolo

Il cortisolo, o idrocortisone, poiché rappresenta la forma idrossilata del cortisone (le due forme sono interconvertibili a livello periferico, ad opera degli enzimi I I -beta idrossisteroide deidrogenasi 1 e 2), è il principale ormone glucocorticoide. Noto anche come "l'ormone dello stress" per eccellenza, in quanto la sua secrezione aumenta ogni qualvolta l'organismo si trova a dover affrontare situazioni stressanti, quali stress fisici (attività fisica, lavori manuali, ferite, interventi chirurgici, ecc.), psichici (ansia, paura, spavento, ecc.), metabolici (digiuno, malnutrizione, ipoglicemia, ecc.), biochimici (assunzione di determinate sostanze o farmaci) e reazioni immunitarie/infiammatorie. Le principali funzioni del cortisolo

Funzione glucostatica. Il cortisolo è uno degli ormoni maggiormente mantenimento dei livelli di glucosio ematici. Esso viene annoverato tra gli ormoni controinsulari, ovvero quegli ormoni che svolgono ruoli opposti a quelli dell'insulina (tra cui figurano anche il glucagone, il GH e le catecolammine). Il cortisolo è un ormone iperglicemizzante e catabolico, ovvero promuove la degradazione di substrati energetici (glicogeno, proteine enzimatiche, strutturali, muscolari e lipidi) per innalzare la glicemia e fornire energia ai tessuti, nel momento in cui viene richiesta (stress psicofisico, ipoglicemia, digiuno, restrizione calorica/glucidica, ecc). Spesso si sente dire che il cortisolo faccia ingrassare, in realtà questo non avviene, o per lo meno non in maniera diretta. Infatti, il cortisolo è un ormone lipolitico, ovvero promuove la degradazione dei grassi ed il loro utilizzo a scopo energetico, quindi è necessario ai fini del dimagrimento. Il suo effetto "ingrassante" è dovuto allo stato di insulino-resistenza che si instaura nel momento in cui i livelli ematici di questo ormone sono elevati. Il cortisolo infatti, riduce l'uptake di glucosio da parte dei tessuti, innalza la glicemia, contrastando gli effetti dell'insulina ed interferisce direttamente con i recettori di quest'ultima, compromettendone la trasduzione del segnale cellulare e gli effetti fisiologico-metabolici. Una peculiarità del cortisolo è rappresentata dalla capacità di redistribuire i depositi di grasso corporeo. Quando i livelli di questo ormone sono cronicamente elevati (come ad esempio nel morbo di Cushing o in caso di assunzione di corticosteroidi esogeni), si assiste ad una diminuzione di massa grassa negli arti ed all'estremità, ment~~ si ha un aumento di grasso corporeo nel tronco

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(specie a livello viscerale) e sul volto. L'aumento della massa grassa viscerale nel tronco è dovuto allo stato di insulino-resistenza, ed a sua volta, come in un circolo vizioso, genera ulteriore resistenza all'insulina, a causa dello stato infiammatorio cronico generato da citochine prodotte da questo tessuto adiposo, che inducono localmente la produzione di cortisolo. Quando l'organismo è sotto stress, la richiesta di energia e glucosio da parte dei tessuti incrementa notevolmente ed il cortisolo riveste un ruolo fondamentale nel consentire un rapido aumento della disponibilità energetica e glucidica, e quindi alla cellule di rispondere adeguatamente agli stressor. Senza cortisolo l'organismo non può sopravvivere, in quanto non sarebbe in grado di affrontare anche il più piccolo evento stressante. Funzione antinfiammatoria. Il cortisolo è il più potente antinfiammatorio endogeno, esercitando azione anti-edemigena ed anti-allergica. Come tutti gli steroidi e diversi altri ormoni, agisce sia per via non genomica, rapida, sia per via genomica, a lungo termine. In particolar modo, l'azione genomica sul processo infiammatorio è estremamente efficace, in quanto il legame dell'ormone con il proprio recettore determina la riduzione o la soppressione della trascrizione genica dei geni codificanti gli enzimi coinvolti nel processo infiammatorio (come le ciclossigenasi). Quindi si ha un blocco "a monte" del processo infiammatorio, con inibizione della sintesi di molecole quali le prostaglandine ed i leucotrieni. Ciò si traduce in una riduzione dell'iperemia locale e quindi dello stato edematoso (rossore e gonfiore), nonché il miglioramento della ventilazione bronchiale per inibizione della sintesi di leucotrieni (i corticosteroidi sono infatti utilizzati nel trattamento di alcune forme asmatiche). Il cortisolo inoltre, inibisce la degranulazione dei mastociti e dei basofili, processo che porta alla liberazione di molecole coinvolte nella risposta allergica, quali l'istamina o la serotonina. I corticosteroidi sono infatti utilizzati nel trattamento di allergie e come primo soccorso negli stati di shock anafilattico. I processi allergici, cosi come i processi infiammatori, specie se cronici, attivano l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene a rilasciare cortisolo e stimolano la produzione periferica di questo ormone (specie a livello adiposo, muscolare ed epatico) mediante la conversione del poco attivo cortisone a cortisolo. Questo spiega in parte i motivi dello stato di insulino resistenza indotto dall'assunzione di alimenti a cui si è intolleranti e/o allergici (ad esempio il glutine). Il cortisolo esercita una potente azione nel regolare la sintesi e l'azione dei leucociti (globuli bianchi), modulando quindi l'azione del sistema immunitario. L'azione del cortisolo in quest'ambito è un'azione soppressiva ed inibitoria, esercitata in particolar modo sui linfociti (comprese le cellule NK antitumorali), in quanto questo ormone riduce il ritmo di sintesi dei globuli bianchi, ne accelera l'apoptosi (morte cellulare programmata) e ne inibisce la chemiotassi, ovvero il fenomeno di migrazione di queste cellule nei siti in cui avviene un'infezione/infiammazione. L'effetto complessivo è un'immunosoppressione, che, in condizioni normali, ha lo scopo di prevenire una risposta immunitaria eccessiva e/o fenomeni autoimmuni. Infatti, nel trattamento di patologie autoimmuni, quali la sclerosi multipla o il lupus eritematoso sistemico, i corticosteroidi sono ampiamente utilizzati. Ovviamente, la soppressione del sistema immunitario predispone l'organismo a contrarre più facilmente infezioni ed a sviluppare neoplasie. Il cortisolo come minera/corticoide

Il cortisolo possiede un'elevata affinità verso i recettori per i mineralcorticoidi, dalle dieci alle quaranta volte più elevata dell'affinità verso i recettori per i glucocorticoidi. Quindi il cortisolo si lega "avidamente" ai recettori per l'aldosterone, esercitandone gli stessi effetti sodio ed idroritentivi. Tuttavia, l'organismo "si difende" dall'attività mineralcorticoide del cortisolo mediante un enzima, la 11-beta-idrossisteroide deidrogenasi 2 (11-beta-HSD2). Questo enzima, NAD+ dipendente e con elevata affinità nei confronti del cortisolo, ne catalizza la conversione in cortisone (o 11-deidrocorticosterone), mediante l'ossidazione del gruppo ossidrilico in posizione

11 a gruppo chetonico (il cortisolo è infatti noto anche con il nome di idrocortisone). Dato che l'ossidrile sul carbonio 11 è fondamentale sia per l'affinità verso i recettori per i glucocorticoid~ sia verso i recettori per i mineralcorticoidi, il cortisone possiede un'azione molto più blanda rispetto al cortisolo. La 11-beta-HSD 2 è espressa in particolar modo nei tessuti soggetti ali' azione dei mineralcorticoidi, quali i tubuli distali dei nefroni, le ghiandole sudoripare, le ghiandole salivari e l'epitelio intestinale, dove evita, appunto, che il cortisolo abbia accesso ai recettori per l' aldosterone in maniera anomala. Questo enzima viene inibito dall'acido glicirretico (o enossolone ), un composto presente nella liquirizia, per questo nota per le sue proprietà ipertensive e sodio-ritentive, e dal carbenoxolone (composto sintetico). Per questo motivo, in situazioni di stress eccessivo e cronico, in cui vi è un aumento del rilascio di cortisolo, i sistemi enzimatici vengono saturati ed il cortisolo ha libero accesso ai recettori per i mineralcorticoidi, partecipando alla genesi del fenomeno della "ritenzione idrica".

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Effetti del cortisolo su/l'apparato cardiocircolatorio e sul sistema nervoso centrale

Il cortisolo ha effetti complessi e spesso opposti sull'apparato cardiocircolatorio. Generalmente, esso tende ad aumentare il tono muscolare delle arterie di medio calibro, rendendole maggiormente responsive ad agenti vasocostrittori più potenti (quali la noradrenalina) e riducendo la produzione di molecole ad azione vasodilatatrice, quali le prostaglandine, esercitando una modesta azione ipertensiva. La sua azione contribuisce a regolare le concentrazioni di sodio e potassio attorno alla muscolatura cardiaca, quindi, indirettamente, a regolarne la contrattilità. I glucocorticoidi esercitano potenti effetti sul sistema nervoso centrale, modulando l'eccitabilità neuronale, le connessioni sinaptiche e l'attività elettrica dei neuroni. Livelli di cortisolo troppo elevati o al di sotto della norma sono causa frequente di problemi nervosi, quali cambiamenti d'umore e disturbi del sonno. In particolare, livelli troppo bassi di cortisolo possono provocare insonnia o letargia, difficoltà di concentrazione e rallentamento del pensiero, sbalzi d'umore e depressione. Effetti del cortisolo su altri assi endocrini

Il cortisolo esercita un'azione anti-gonadotropa, ovvero tende a sopprimere la secrezione pulsatile di LH ed FSH, riducendo la produzione di steroidi sessuali (androgeni, estrogeni e progesterone) e le funzioni riproduttive. Un eccesso di cortisolo può portare a dismenorrea ed alterazioni del ciclo mestruale nelle donne. A livello muscolare, l'azione catabolica del cortisolo viene esercitata anche mediante competizione per il legame ai recettori androgeni. Il rapporto testosterone/cortisolo e testosteronelibero/cortisolo è infatti spesso utilizzato come marker delle condizioni di overtraining ed overreaching. Il cortisolo esercita un'azione soppressiva sulla funzionalità tiroidea, in due modi: 1) a livello dei nuclei paraventricolari ipotalamici e nell'adenoipofisi, riducendo la secrezione pulsatile di TRH e TSH; 2) sopprimendo l'attività degli enzimi desiodasi Dl, responsabili della conversione periferica (specie a livello epatico e renale) del poco attivo T4 in T3, ed esaltando l'attività della desiodasi D3, il che determina riduzione dei livelli di T3 ed aumento dei livelli dell'inattivo rT3 (T3 inverso, che tra l'altro inibisce ulteriormente l'asse tiroideo). Condizioni di ipercortisolemia sono associate ad una ridotta conversione di T4 in T3, un'aumentata produzione di rT3 ed una ridotta secrezione di TSH. Al contrario, soggetti che presentano deficit di cortisolo sembrano avere livelli di T4 leggermente più bassi ma una più elevata produzione di T3 ed una ridotta produzione di rT3. Il sesso femminile sembra essere maggiormente sensibile a questi effetti del cortisolo.

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La regolazione della secrezione di cortisolo

Come la maggior parte degli ormoni, anche il cortisolo sottostà ad una regolazione a feedback negativo, ovvero la sua secrezione è stimolata da fattori di rilascio che esso stesso inibisce. Il fattore che determina la produzione ed il rilascio di cortisolo ed altri steroidi dalla corteccia surrenale è l'ACTH (Ormone Adrenocorticotropo), prodotto e rilasciato dall'adenoipofisi, a sua volta stimolata dal fattore di rilascio CRH (o CRF) da parte dell'ipotalamo. L'ipotalamo è una regione chiave del sistema nervoso centrale. È il centro regolatore della vita vegetativa e delle funzioni autonome dell'organismo. All'ipotalamo giungono tutte le afferenze sensoriali, tattile, dolorifica, termica, chimica, viscerale, visiva, uditiva ed olfattiva, sia in maniera diretta, sia dopo l'elaborazione a livello corticale. Esso è integrato con il sistema limbico, porzione dell'encefalo sede dell'emozioni, degli istinti, dei ricordi, dell'inconscio, e riceve afferenze da strutture quali l'amigdala e l'ippocampo. L'ipotalamo integra questi segnali ed elabora risposte adeguate, stimolando o inibendo diversi assi ormonali e modulando l'azione del sistema nervoso autonomo, a sua volta responsabile del controllo delle funzioni dei visceri. Nella risposta allo stress, gli stressor vengono percepiti dalle specifiche vie della sensibilità, giungono all'ipotalamo e determinano l'attivazione del sistema nervoso ortosimpatico (fasci nervosi che dall'ipotalamo ed altri centri superiori si portano alle sezioni toraco-lombari del midollo spinale) ed il rilascio di CRH, che a sua volta stimola l'adenoipofisi a rilasciare ACTH, che, a sua volta ancora, determina il rilascio di corticosteroidi, cortisolo in primis, dalla corteccia surrenale. Un ulteriore stimolo al rilascio di ACTH da parte dell'adenoipofisi è dato dall'ormone antidiuretico (ADH, o vasopressina). L' ADH viene rilasciato dall'ipotalamo in condizioni di disidratazione ed ipovolemia, come può accadere durante un'attività fisica o a seguito, di un'emorragia, entrambe situazioni "stressanti", ed agisce a livello delle porzioni distali dei nefroni, incrementando il riassorbimento di acqua e concentrando l'urina. Infine, l'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene è stimolata da alcune citochine infiammatorie (in particolare Interleuchine 1 e 6 e TNF-alfa), così come da alcuni neurotrasmettitori, soprattutto noradrenalina e serotonina. Il ritmo circadiano del cortisolo

Come per gran parte degli ormoni, anche la secrezione di cortisolo non è costante nell'arco della giornata, ma presenta un pattern di variazioni ben preciso. Il picco nella secrezione di cortisolo è raggiunto attorno alle 8 del mattino, mentre i valori più bassi si registrano tra mezzanotte e le 4 a.m. Dalle ore 8-9 a.m. in poi, i livelli di cortisolo tendono a calare gradualmente, con un leggero picco negativo tra le 15 e le 17 nel pomeriggio. Va considerato tuttavia, che questo pattern di secrezione "standard" è soggetto a variazioni, dovute all'assunzione di cibo, ad eventuali eventi stressanti, all'assunzione di farmaci, stimolanti o alcol, alla pratica di attività fisica, ecc. Non solo, ma va considerata anche la presenza nel plasma di cortisone, il corrispettivo chetonico del cortisolo, di per sé biologicamente poco attivo, ma in grado di essere convertito in cortisolo in diversi tessuti (epatico, muscolare, nervoso, ecc.), ad opera dell'enzima 11-betaidrossisteroide deidrogenasi di tipo 1 (11-beta-HSD-l ). La produzione di cortisone, a differenza del cortisolo, non segue un ritmo circadiano ben preciso e i livelli plasmatici di questo steroide sono maggiori nel pomeriggio. Inoltre, il cortisone, rispetto al cortisolo, non viene avidamente legato dalle proteine plasmatiche ed è quindi maggiormente biodisponibile, rappresentando una sorta di "riserva". Le infiammazioni tissutali, soprattutto croniche, determinano maggiore produzione locale di cortisolo a partire dal cortisone, stimolando l'espressione e l'attività della 11-beta-HSD-1. La secrezione di aldosterone segue un ritmo ~ircadiano molto simile a quello del cortisolo.

Lo stress

Con il termine stress ci si riferisce ad una serie di reazioni fisiologiche, acute o croniche, messe in atto dall'organismo in risposta agli "stressor", ovvero stimoli di diversa natura (meccanica, biochimica, fisica, psichica, metabolica, ecc.) che agiscono perturbando l'omeostasi. Queste reazioni determinano il raggiungimento di un nuovo punto di equilibrio (omeostasi), in una fase definita adattamento allo stress. Come avviene la risposta allo stress? Sono proprio le ghiandole surrenali i principali organi deputati a far fronte agli stressar e riportare l'organismo in una nuova situazione di equilibrio. Nel 1936, il medico austriaco Hans Selye propose per primo un modello di risposta allo stress, caratterizzato da tre fasi: Allarme. L'organismo reagisce immediatamente agli stressor, con una rapida produzione di catecolammine e cortisolo da parte del surrene. Aumentano frequenza e contrattilità cardiaca, aumenta la pressione arteriosa, aumenta lo stato di vigilanza e la concentrazione, le pupille si dilatano (midriasi), la muscolatura bronchiale si rilassa, aumenta la contrattilità della muscolatura scheletrica, aumenta il flusso ematico muscolare, aumentano glicogenolisi, gluconeogenesi e lipolisi. Questa fase è di breve durata (alcune ore) e spesso è seguita da un fenomeno di rebound, a causa della sottoregolazione di questi meccanismi endocrini, che può durare fino a 24-48 ore. Dopo un forte stress infatti, quale pu~ essere un'intensa attività fisica, si può sperimentare il cosiddetto "crash energetico", dovuto; al ritorno ai livelli basali e sottobasali di cortisolo e catecolammine. Resistenza. Se gli stressor permangono, l'organismo cerca di farvi fronte incrementando la produzione di ormoni surrenali ci ( soprattutto di cortisolo), che restano cronicamente al di sopra dei valori normali. È in questa fase che si possono sperimentare gli effetti negativi di un'ipersecrezione di cortisolo, quali l'indebolimento del sistema immunitario, la perdita di massa muscolare, la ritenzione idrica, disturbi dell'appetito, indebolimento dei tessuti e disturbi del sonno. Questa fase è inoltre caratterizzata da una prevalenza del sistema nervoso ortosimpatico sul tono parasimpatico, situazione che può generare stati di ansia, nervosismo, aritmie cardiache, ipertensione ed insonnia. Dati gli stimoli continui da parte dell 'ACTH e del sistema nervoso autonomo, a volte in questa fase si può osservare ipertrofia del surrene. La fase di resistenza può durare a lungo, anche anni, prima di passare allo stadio successivo. Esaurimento. Se lo stress permane ancora a lungo, dopo un periodo di tempo variabile, l'organismo non è più in grado di fronteggiarlo e di reagire agli stressor. La produzione di ormoni surrenalici diminuisce, nonostante gli stimoli centrali (ACTH). Si ha una desensibilizzazione del surrene agli stimoli centrali. La carenza di cortisolo, catecolammine ed aldosterone è responsabile della sintomatologia caratteristica di questa fase. L'organismo presenta una scarsa capacità di tolleranza e resistenza agli eventi stressanti, anche minimi, una ridotta capacità di gluconeogenesi, che compromette il mantenimento stabile della glicemia ( si ha frequentemente ipoglicemia, specie nelle prime ore del mattino), un'esagerata risposta infiammatoria ed allergica (possono insorgere anche nuove allergie), capacità cerebrali rallentate, ipotensione arteriosa, specie ortostatica (a causa della ridotta produzione di aldosterone e catecolammine), intolleranza al freddo/caldo e disturbi del sonno. Inoltre, nella fase di esaurimento prevale il tono parasimpatico sull'ortosimpatico, con conseguenze quali rallentamento della frequenza e della contrattilità cardiaca, con conseguente riduzione della gittata e della pressione arteriosa. Questo può condurre ad astenia e difficoltà a svolgere attività fisiche impegnative. Anche la motilità gastro-instestinale e la secrezione acida

dello stomaco vengono influenzate, portando a problemi digestivi e/o cambiamenti dell'alvo intestinale. È in questa fase che possiamo inquadrare "l'affaticamento surrenale". Stress ed appetito Si sente spesso molta gente affermare: "mangio per nervosismo, non per fame, perché sono stressato". Cosa c'è di vero in tutto ciò? Lo stress, in acuto, tende a sopprimere l'appetito. La noradrenalina rilasciata a livello delle terminazioni sinaptiche centrali sopprime la voglia di cibo e spesso causa inappetenza o addirittura sensazione di nausea. Non a caso, gran parte dei farmaci e delle molecole anoressizzanti, quali la sibutramina, l'efedrina, le amfetamine, la sinefrina, la nicotina, la caffeina ed analoghi delle feniletilamine, si comportano da simpatico mimetici o stimolano direttamente/indirettamente il rilascio di catecolammine, sia a livello centrale che periferico. Inoltre, sia l'adrenalina che il cortisolo, rilasciati nel circolo ematico dal surrene, incrementano la glicemia a discapito del glicogeno epatico e delle proteine strutturali, e la glicemia elevata riduce a livello centrale la sensazione di fame e la ricerca di cibo. Lo stesso peptide CRH, rilasciato dall'ipotalamo in condizioni di stress, è un potente soppressore dell'appetito, oltre a stimolare il rilascio di ACTH e cortisolo. Dato che l 'ACTH viene prodotto a partire dalla Pro-opiomelanocortina (POMC), vengono rilasciati anche oppioidi endogeni, quali le beta endorfine, ed altri ormoni come l'alfaMSH, tutti con potente azione anoressizzante. Difficilmente infatti, subito dopo un'intensa attività fisica, si avverte fame. E allora perché lo stress può portare a mangiare di più? E soprattutto, perché cibi ricchi di zuccheri, grassi e sale? Va anche considerato il ruolo anoressizzante, a livello ipotalamico, dell'insulina, la quale attiva diverse vie metaboliche comuni alla leptina, che determinano soppressione dell'appetito ed incremento del metabolismo basale e della termogenesi (la stessa insulina è un potente attivatore del sistema nervoso ortosimpatico). In condizioni di stress cronico, i livelli elevati di cortisolo instaurano una condizione di insulino-resistenza, che oltre a causare ampie fluttuazioni dei livelli glicemici, riduce l'azione anoressizzante centrale dell'insulina. Il cortisolo inoltre, agisce a feedback negativo sul rilascio di CRH, inibendo quindi la sua azione anoressizzante e può stimolare la produzione ed il rilascio di peptidi oressigeni, quali il neuropeptide Y (NPY). Questo peptide è anche in grado di ridurre l'attività di scarica del sistema nervoso ortosimpatico, agendo su un centro del tronco encefalico, detto "Locus Coeruleus", facilitando quindi l'azione parasimpatica, la digestione e lo stoccaggio dei nutrienti. La secrezione di NPY viene inibita, a livello ipotalamico, dall'insulina e dalla leptina. Quando poi si passa dalla fase di resistenza allo stress (stress cronico) alla fase di "esaurimento", la ridotta funzionalità del surrene e del tono ortosimpatico, la down-regulation dei recettori adrenergici e la prevalenza del tono parasimpatico/vagale rendono più arduo per l'organismo resistere a condizioni di digiuno e/o ridotta assunzione glucidica. La persistente condizione di ipoghcemia stimola i centri ipotalamici della fame, spingendo l'organismo alla ricerca di alimenti ricchi di zuccheri, in grado di innalzare rapidamente la glicemia. La diminuita produzione di cortisolo ed aldosterone causa l'attivazione di alcuni centri ipotalamici responsabili della ''fame di sale". L'organismo viene spinto alla ricerca di alimenti ricchi di cloruro di sodio per mantenere costanti ed a livelli sufficienti la natremia, il volume plasmatico e la pressione arteriosa. L'ipertono vagale incrementa la salivazione, la motilità, l'attività secretiva del tratto gastroenterico e la produzione di grelina ed altri ormoni oressigeni da parte di questo apparato, stimolando ulteriormente l'appetito. Infine, va considerata la componente psichica dello stress, spesso associata o causata da eventi, situazioni ed azioni che comportano una ridotta stimolazione o un'inibizione dei centri della

gratificazione a livello centrale. Questi centri, tra cui figurano il "Nucleo Accumbens ", l'area tegmentale ventrale ed altri componenti del cosiddetto Striato Ventrale, sono ricchi di terminazioni sinaptiche dopaminergiche. La dopamina attiva i centri della gratificazione, ed il suo rilascio può essere stimolato, oltre che da diverse droghe (molte delle quali ne inibiscono anche il re-uptake), anche dall'assunzione di particolari categorie di alimenti, specie quelli ricchi di zuccheri, grassi saturi, sale ed esaltatori di sapidità. Anche la serotonina è un neurotrasmettitore fortemente coinvolto nella regolazione del tono dell'umore. L'aminoacido suo precursore, il triptofano, non attraversa facilmente la barriera ematoencefalica. L'insulina ne facilita l'ingresso nel sistema nervoso centrale attraverso questa barriera. In alcune situazioni stressanti quindi, il cibo assume il ruolo di antidepressivo, stimolando i centri della gratificazione e del piacere. Data la complessità delle basi endocrine e fisiologiche, le variazioni dell'appetito causate dalla risposta allo stress possono cambiare da individuo a individuo. Generalmente, il sesso femminile sembra essere maggiormente suscettibile a queste variazioni.

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"Fight or Flight" - Combatti o fuggi

Qualsiasi animale, uomo compreso, che si trovi in una situazione di pericolo imminente, ha di fronte due scelte: affrontare la situazione ("combattere") o allontanarsi dalla fonte di pericolo ("fuggire"). Entrambe le scelte richiedono: rapida disponibilità di energia, concentrazione mentale e prontezza dei riflessi, "spegnimento" delle funzioni non strettamente vitali. Può sembrare obsoleto, nei tempi odierni, parlare ancora di "lotta e fuga", ma così non è. È fondamentale infatti comprendere che la risposta del surrene agli stressor, di qualunque natura essi siano, è sempre la medesima. Quindi, che sia l'ansia per un esame, un forte spavento, una relazione complicata, una ferita, uno sprint sub-massimale in salita o la tensione nel guardare un film horror o una partita, la risposta del surrene sarà sempre l'atavica ed "animalesca" "fight or flight". Ciò che cambia è l'intensità di questa risposta, che dipende dall'entità e dalla durata dello stress. Affaticamento surrenale

Ridotta funzionalità del surrene: l'ipoadrenia In medicina, si parla di ridotta funzionalità surrenalica, o ipoadrenia, facendo riferimento agli aspetti clinici di determinate patologie che riducono la funzionalità del surrene, o meglio, della corteccia surrenale, in particolare nella secrezione di glucocorticoidi e mineralcorticoidi. L'insufficienza surrenale viene definita, come per altre patologie endocrine, in base alla sede dell'asse endocrino che presenta una ridotta o assente funzionalità. Avremo . quindi un'insufficienza surrenale di tipo primario, quando ad essere colpita direttamente è la corteccia surrenale. Ci sono diverse cause di insufficienza surrenale primaria, tra queste la più comune è rappresentata da un disordine autoimmune, in cui vengono prodotti anticorpi contro l'enzima 21idrossilasi. La 21-idrossilasi catalizza la conversione del progesterone in deossicorticosterone e del 17-alfa-idrossi-progesterone in 11-deossicortisolo, entrambe reazioni fondamentali per la sintesi di cortisolo ed aldosterone. Venendo a mancare la produzione di questi ormoni, la secrezione di ACTH aumenta in maniera compensatoria, portando spesso ad iperplasia del surrene, ad una produzione eccessiva di altri steroidi e ad una colorazione scura della cute (I' ACTH deriva dalla POMC, da cui deriva anche l'ormone stimolante i melanociti). Questa patologia è denominata Morbo di Addison, e rappresenta la forma più comune di insufficienza surrenale primaria. Il Morbo di Addison può essere associato ad altre endocrinopatie autoimmuni (sindromi poli endocrine), oppure, in una minoranza di casi, può verificarsi a seguito di tumori primari e secondari del surrene, infezioni e lesioni a carattere infiammatorio, infarti o emorragie surrenali, ridotta responsività delle ghiandole all 'ACTH o ipoplasia congenita del surrene.

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Altre cause di insufficienza surrenale primaria includono: infezioni (batteriche, virali o .micotiche), la Sindrome di Waterhouse-Friderichsen, la Sindrome Adrenogenitale, l' Adrenoleucodistrofia, trombosi o infarti surrenalici, insufficienza surrenale indotta da farmaci (quali Aminoglutetimide, Etomidate, Trilostano e Ketoconazolo ). Se ad essere colpiti sono l'adenoipofisi o l'ipotalamo, si parlerà, rispettivamente, di insufficienza surrenale secondaria e terziaria. In questi casi avremo una ridotta o assente secrezione di ACTH o di CRH. Le cause sono molteplici, tra cui: tumori, lesioni occupanti spazio, infiltrazioni a carattere infiammatorio, patologie genetiche (come la Sindrome di Prader-Willi), assunzione di farmaci (quali corticosteroidi, clorpromazina, imipramina, mifepristone ). Non è descritta una vera e propria insufficienza della midollare del surrene, in quanto la funzione di questa ghiandola può essere ben compensata dall'attività del sistema nervoso ortosimpatico. Esistono deficit congeniti dell'enzima dopamina beta-idrossilasi, enzima che catalizza la conversione della dopamina in noradrenalina. Tuttavia questo difetto si manifesta sia a livello surrenale che a livello del sistema nervoso ortosimpatico. Le patologie che compromettono la funzionalità del corticosurrene presentano un quadro clinico più o meno grave, spesso incompatibile con la vita, tanto da rendere necessario il ricorso alla terapia ormonale sostitutiva (cortisone ed analoghi dell'aldosterone). Il quadro clinico dell'insufficienza corticosurrenale è caratterizzato dai seguenti segni e sintomi: astenia, letargia e ridotta tolleranza allo stress, ipoglicemia, squilibri elettrolitici, in particolare iponatremia ed iperkaliemia, con conseguenti acidosi metabolica ed aritmie cardiache, ipotensione, vertigini, ipotensione ortostatica, difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, ansia, irritabilità, disfunzioni della sfera sessuale, difficoltà digestive, dolori addominali, nausea, vomito e diarrea. L"'affaticàmento surrenale" esiste? La medicina ufficiale non riconosce altre forme di ipoadrenia oltre alle succitate patologie. Tuttavia, ciò non nega l'esistenza di forme più sfumate e subdole di insufficienza surrenale, e non per questo meno invalidanti la vita di ogni giorno. Ci sono alcuni medici, come il Dr. James L. Wilson, che hanno studiato in modo approfondito questa "sindrome". Cos'è allora l'affaticamento surrenale? L'affaticamento surrenale è una sindrome, con diversi gradi di gravità, che insorge nella terza fase di risposta allo stress, ovvero la fase di esaurimento. Le ghiandole surrenali vengono messe "sotto torchio" per lunghi periodi da eventi e situazioni stressanti, oppure per brevi periodi da stress molto intensi (ad esempio: un incidente, una grave patologia, un intervento chirurgico, un forte spavento o la perdita di una persona cara). Esse non sono più in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze dell'organismo, ma, a differenza delle condizioni patologiche precedentemente descritte, in questa condizione non si giunge alla potenziale incompatibilità con la sopravvivenza stessa. Non si conoscono le basi fisiopatologiche esatte di questa condizione, anche perché, non essendo riconosciuta ufficialmente dalla medicina, non vi sono studi sufficienti a riguardo. Si può ipotizzare una desensibilizzazione della corteccia surrenale all'ormone ACTH, unita ad una riduzione del tono ortosimpatico e della secrezione di catecolammine. Le cause ed i fattori predisponenti La causa principale dell'affaticamento surrenale è lo stress cronico, ma anche stress molto forti in acuto. Come precedentemente descritto, lo stress può essere di diversa natura: fisico, emotivo, psicologico, metabolico, patologico, traumatico, ecc. È importante ribadire che la risposta del surrene allo stress è sempre la medesima, indipendentemente dalla natura dello stesso. Gli stressor quindi, si sommano; un lavoro stressante, l'ansia per un esame, un'infezione batterica, un'errata alimentazione, la perdita di una persona cara, eccessiva attività fisica e/o sovrallenamento,

mancanza di sonno, assunzione eccessiva di stimolanti, farmaci o alcolici, sono tutti situazioni che possono verificarsi contemporaneamente, mettendo a dura prova il surrene. Nell'ambito patologico, sembrano essere particolarmente incisive le infezioni e gli stati infiammatori o allergici dell'apparato respiratorio (bronchite, sinusite, asma, ecc.). Viceversa, soggetti che soffrono di affaticamento surrenale, sono maggiormente predisposti a contrarre infezioni del tratto respiratorio. Lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale. La carenza di sonno, l'abuso di caffeina ed altri stimolanti quando si è stanchi, il cercare di spingersi sempre oltre i propri limiti, l'essere perfezionisti, il fumo di sigaretta, una dieta ricca di alimenti processati e raffinati ma povera di micronutrienti essenziali e la mancanza di svago ed attività piacevoli, sono tutti fattori che predispongono all'affaticamento surrenale. Generalmente questa sindrome insorge gradualmente, a causa degli effetti cumulativi dello stress, ma può insorgere anche rapidamente.

Segni e sintomi dell'affaticamento surrenale Molti dei sintomi e dei segni qui riportati non sono esclusivi dell'affaticamento surrenale. Trattandosi spesso di sintomi vaghi e subdoli, che potrebbero essere la spia di altre patologie, si consiglia sempre di rivolgersi al proprio medico. Difficoltà a svegliarsi al mattino. Non si tratta di semplice mancanza di voglia ad abbandonare il letto, ma di una grossa fatica a svegliarsi, non assolutamente proporzionata alle energie richieste per compiere tale azione. Alla luce di quanto spiegato nei precedenti paragrafi, il motivo è chiaro. Il picco circadiano mattutino del cortisolo ha proprio la funzione di aiutare la fase di risveglio, che, nel suo piccolo, rappresenta uno stress per l'organismo. Anche il sistema nervoso ortosimpatico e la midollare del surrene partecipano a questo processo. Se i livelli di cortisolo sono inferiori alla norma, alzarsi dal letto al mattino sarà un'azione più ardua del normale.

Letargia e senso di fatica continui. Non importa quante ore si dorma, il sonno non è ristoratore e fatica e letargia sono una costante. Non ci si sente mai riposati e "freschi". Aumento dello sforzo percepito nel compiere le azioni quotidiane. Ogni azione, anche la più banale, sembra un'impresa. Sbalzi energetici durante la giornata. Chi è affetto da affaticamento surrenale presenta un ritmo circadiano della secrezione di cortisolo alterato. Generalmente, al mattino si avverte mancanza di energia fino alle ore 1O, dopodiché la situazione migliora temporaneamente, per essere seguita da un "crash" energetico tra le 15 e le 17. Un nuovo temporaneo miglioramento si ha verso le ore 18, specie a seguito di un pasto. I livelli energetici tornano a crollare nuovamente tra le 21 e le 22, ma, nonostante la stanchezza, è presente difficoltà ad addormentarsi e tendenza a rimanere svegli oltre le 23. Insonnia e/o frequenti risvegli notturni. Sia livelli superiori che inferiori alla norma di cortisolo possono causare insonnia. Quantità troppo elevate di questo ormone pongono l'organismo in un costante stato di "allarme", aumentando lo stato di vigilanza, la pressione arteriosa, il metabolismo e l'utilizzo di risorse energetiche. Tuttavia, quando i livelli basali di cortisolo sono inferiori al normale, durante il digiuno notturno la glicemia può abbassarsi troppo, scatenando una risposta di allarme che stimola sia l'asse surrenale che il sistema nervoso ortosimpatico, per riportare la glicemia alla normalità. Questo può causare risvegli notturni, spesso accompagnati da attacchi d'ansia e palpitazioni. Dipendenza esogena eccessiva. Necessità di assumere caffeina o altri stimolanti e di fare pasti frequenti per avere sufficienti energie nel corso della giornata. Desiderio di cibi ricchi di sale e zuccheri semplici. Questo è spiegato dalla ridotta produzione di cortisolo ed aldosterone. La ritenzione renale di sodio diminuisce e di conseguenza le concentrazioni plasmatiche di questo ione si riducono, portando all'attivazione di alcuni centri ipotalamici che spingono l'organismo alla ricerca di

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Il glucosio forma acidi grassi quando la sua accelerata trasformazione in piruvato e quindi in acetil-CoA e ossalacetato porta ad un'elevata produzione di citrato. Quindi, quando l'insulina è alta ed i livelli di ATP del mitocondrio sono già saturi, la lipogenesi con gli zuccheri in eccesso diventa un fenomeno inevitabile. Ma negli altri casi (glicemia alta senza trigliceridi o eccesso di ATP, insulinemia elevata come risposta agli aminoacidi ramificati), gli effetti ingrassanti non sono così rilevanti. Altra questione che riguarda questo ormone è relativa al suo livello basale. Quello che ci deve preoccupare non sono tanto i picchi, che sono fisiologici e che anzi aiutano a far calare l'eccesso di zuccheri nel sangue, ma piuttosto la sua produzione costante fuori dai pasti. Chi anche a digiuno continua ad immettere zuccheri nel sangue (la maggior parte per via dello stress) obbliga il corpo a continuare a produrre cronicamente insulina. Questo porta l'organismo a generare contemporaneamente catecolamine, cortisolo, glucagone, GH ed insulina. Ormoni antagonisti e contrastanti che fisiologicamente non dovrebbero coesistere (se non a bassissimi livelli). In questa situazione dimagrire diventa molto difficile per via degli effetti antilipolitici dell'insulina, effetti che si attivano a concentrazioni molto più basse rispetto a quelle responsabili dell'azione ipoglicemizzante. Muoversi spesso aiuta a tenere bassi i livelli glicemici giornalieri, migliorando il profilo ematico ed ormonale. Anche se passeggiare, per esempio, consuma poche calorie, aiuta a migliorare il profilo ematico-metabolico. A livello recettoriale i muscoli e gli adipociti si contendono questo ormone. La lotta tra chi dovrà captare più insulina e quindi glucosio, tra tessuto muscolare e grasso dipende principalmente da tre fattori. I. Quantità di glicogeno contenuta nel muscolo, più le riserve sono basse, rispetto alla capacità del miocita, più il muscolo prevarrà rispetto all'adipocita. Gli sportivi aumentano le loro riserve di glicogeno muscolare, questo gli da un enorme vantaggio rispetto ai sedentari che si ritrovano miociti piccoli e con bassa capacità di captazione. Tuttavia il muscolo aumenta la sua affinità con l'insulina principalmente quando le riserve, dopo l'attività fisica, si ritrovano depauperate. Stato di membrana del miocita. Allenamenti intensi che danneggiano la membrana cellulare, diminuiscono i recettori sul muscolo. Ipertrofia cellulare. Normalmente soltanto il 10% dei recettori si sposta dal citoplasma alla membrana. Più una cellula è grande e più recettori porterà in superficie. Atleti di forza e potenza con basse percentuale di grasso si ritrovano miociti ipertrofici e piccoli adipociti, al contrario sedentari obesi hanno poco volume cellulare per quanto riguarda il tessuto muscolare mentre quello adiposo in rapporto occupa molto più spazio. Altro effetto negativo che comportano livelli cronici elevati di insulina riguarda l'azione delle prostaglandine PG2 pro-infiammatore, che aumentano la pressione sanguigna. L'insulina alta, peggiorando la circolazione attraverso il suo effetto vasocostrittore, frena il dimagrimento di tutte quelle zone con una bassa irrorazione (grasso ostinato). Al contrario livelli ottimali di questo ormone portano a vasodilatare. Dobbiamo quindi iniziare a vederla come un soggetto neutro che può essere sia una nemico sia un alleato e che, se stimolato al momento opportuno e con le giuste dosi (alta affinità cellulare), ci aiuta a migliorare la nostra composizione corporea. L'ultima cosa da precisare riguarda l'ipoglicemia reattiva. Questa è causata dal pancreas, che dopo un pasto, non capisce che deve interrompere la produzione di insulina. Questa si arresta in ritardo rispetto al calo glicemico già avvenuto. La sua vita media è di 7-15 minuti, quindi c'è un lasso di tempo che intercorre tra il calo repentino della concentrazione di glucosio nel sangue (data dall'impennata insulinica) e la degradazione di questo ormone. I cali glicemici sono tra i principali

fattori che portano a stati di apatia e stanchezza e ad attacchi di fame. Mangiare lentamente aiuta ad evitarli.

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La resistenza all'insulina La resistenza all'insulina è un problema che affligge sempre più persone. Ma come funziona esattamente? Perché ci fa ingrassare e perché porta a seri problemi per la salute? In questo paragrafo indagheremo a fondo quali sono gli aspetti biochimici e fisiologici della questione e perché a volte pur mangiando bene e/o poco non riusciamo a far calare la pancia ed i fianchi.

Cos'è la resistenza all'insulina (up-down regulation) Il nostro corpo cerca in ogni modo di preservare l'omeostasi (lo stato interno). Per fare ciò ha escogitato tutta una serie di strategie come i feedback negativi: avete sete, bevete, il nuovo stato idrico interrompe lo stimolo della sete. Oltre ai feedback a livello cellulare, ha creato una serie di risposte recettoriali (up-down regulation). Tanto più una sostanza è rara e quanti più recettori vengono portati in superficie per captarla, tanto più la sua quantità è elevata e al contrario nel tempo meno ne troviamo sulla membrana. L'immagine che possiamo utilizzare è quella di una bella fica che scende in uno scantinato pieno di ragazzi cicci e brufolosi che giocano ai giochi di ruolo. La sua presenza catturerebbe appieno l'attenzione dei presenti, tranne quello in fondo sul divano che è svenuto per l'eccitazione. Se invece la stessa fica si presenta ad una festa di Play Boy in piscina, la sua presenza non verrebbe quasi neanche notata per l'eccesso di figaggine presente. Quando nel sangue viene immesso dello zucchero, il pancreas attiva l'insulina e questo ormone stimola i recettori (GLUT-4) a catturare il surplus glucidico nelle cellule muscolari ed adipose. Il gioco funziona finché non esageriamo. Un po' come la storia di Pierino con il lupo. Se quotidianamente abbondiamo con troppi zuccheri, i recettori GLUT-4 smettono di trasferirsi sulla superficie di membrana. Il pancreas è così costretto a secernere più insulina per sortire lo stesso effetto. Alla fine il sistema si rompe, il pancreas perde la sua capacità di regolare la glicemia e da insulino-resistente diventiamo diabetici di tipo 2. Insomma, forse non si può mangiare fino a scoppiare letteralmente, ma sicuramente si può mangiare fino a diventare diabetici.

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Resistenza all'insulina e grassi Purtroppo la resistenza all'insulina non riguarda solo l'eccesso di zuccheri ma anche di grassi (ed in minor parte di proteine). Cosa centrano i grassi con l'insulina? Poco, almeno a livello ematico, ma a livello dei recettori di membrana molto. Alti livelli di trigliceridi nel sangue si correlano con un aumento dei trigliceridi intracellulari e questo ostacola l'ingresso del glucide nella cellula. Per questo c'è una correlazione tra chi mangia molta carne grassa e il diabete.

Resistenza all'insulina una facile soluzione Se vogliamo risolvere il problema dell'insulina è inutile incolpare l'eccesso di zuccheri (visione della dieta a Zona e Paleo) o dei grassi (visione della dieta Mediterranea e Vegana). Bisogna in primis accusare l'eccesso calorico. È quando abbiamo un surplus energetico che la cellula soffre, quindi i problemi non sono dati dai carboidrati o dalla carne ma dal fatto che semplicemente mangiamo troppo in rapporto a quanto ci muoviamo. Seguite la dieta che volete (purché abbia una base scientifica) e vedrete che in ipocalorica tutti i parametri ematici miglioreranno.

Quello che non si sa sulla resistenza all'insulina Luca è un collega coetaneo di Marco. Tutti e due sono sedentari e tutti e due sono alti 1,80 me pesano 75 kg. Mangiano sempre alla mensa insieme e a fine giornata assumono le stesse calorie. Tuttavia nel giro di 5 anni Luca ingrassa di 1O kg mentre Marco rimane uguale. Alcuni potrebbero

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sostenere che questa è la prova che Dio non esiste. Vediamo invece di capire perché questo avviene. La flessibilità metabolica

Il nostro corpo consuma prevalentemente due carburanti: i grassi e i carboidrati. A riposo il muscolo attiva quasi esclusivamente il metabolismo lipidico (azione bruciagrassi), mentre dopo un pasto classico (60-15-25%) la situazione si inverte e consuma quasi esclusivamente zuccheri. Questa alternanza viene chiamataflessibilità metabolica e sta ad indicare un meccanismo ON/OFF tra i due metabolismi. In chi è insulino-resistente la situazione purtroppo varia. A riposo il muscolo continua ad attivare anche il metabolismo glucidico, mentre dopo il pasto continua a mantenere attivo anche quello lipidico. Questo si riflette sul Quoziente Respiratorio, più la persona è in sovrappeso e meno grassi brucia a riposo rispetto agli zuccheri. I mitocondri

Non possiamo parlare di salute e dimagrimento se non parliamo di mitocondri. Come si riflette la resistenza all'insulina su di essi? Quando parliamo di metabolismo accelerato o metabolismo lento cosa intendiamo? Che gli scambi biochimici nel nostro corpo avvengono più o meno rapidamente? Sbagliato. Lavoisier diceva che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma (in calore). Quando mangiamo pensiamo che quello che ingurgitiamo vada a rimpiazzare le scorte energetiche consumate, che ripari i tessuti o che venga convertito in grasso. Quello che non consideriamo mai è che le calorie introdotte possono dissiparsi in calore. È questo il segreto dei magri che mangiano tanto e non ingrassano. Mitocondri sani, numerosi, con un'alta densità portano a dissipare in calore l'eccesso energetico piuttosto che a convertirlo in nuovi acidi grassi. La resistenza all'insulina ha un'azione diretta sia sulla membrana cellulare sia sui mitocondri, depotenziando il loro ruolo termogenico. Luca e Marco erano identici fuori ma internamente avevano differenze mitocondriali. Luca ne possedeva meno e più piccoli, questo nel tempo lo ha portato ad ingrassare, Marco al contrario aveva più fornaci dove dissipare in calore l'eccesso. Resistenza all'insulina: una NON facile soluzione

L'insulino-resistenza crea un circolo vizioso, porta ad ingrassare e più si ingrassa più si diventa insulino resistenti. Mangiare meno non sempre funziona per spezzare questo meccanismo. Spesso ci ritroviamo ancora grassi pur mangiando poco. Un disastro! · Diete low carb, con pochi carboidrati, a volte migliorano la sensibilità insulinica, perché la scarsità di glucosio porta nuovi recettori GLUT -4 in superficie, a volte però la peggiorano perché le cellule ormai abituate a sfruttare sempre il metabolismo lipidico preservano il poco glucosio presente a livello ematico, consumando lentamente i grassi e perdendo l'affinità coi glucidi. C'è tanta confusione a livello alimentare e si sente tutto ed il contrario di tutto, proprio perché una soluzione definitiva tuttora non esiste. Una reale soluzione all'insulina-resistenza

Ma allora cosa dobbiamo fare? Muoversi e ricominciare a mangiare con gradualità. L'esercizio fisico è l'unico fattore che migliora la sensibilità insulinica, indipendentemente dall'alimentazione. La produzione energetica aumenta enormemente nelle cellule muscolari che lavorano e ciò porta a consumare le scorte energetiche e a riportare in superficie i GLUT -4 per captare più glucosio possibile. Questo meccanismo non è mediato dalla glicemia, per questo migliora la sensibilità insulinica (repetita iuvant).

Affinché tutto questo avvenga l'attività fisica deve essere intensa (proporzionale alla capacità della persona). Se vi limitate a camminare mezzora per dimagrire, il vostro corpo utilizzerà sempre i grassi come combustibile, idem se correte in ''fascia lipolitica". Per carità, muoversi è sempre meglio che stare fermi, ma visto che immaginiamo che non abbiate tempo da buttare via, sfruttatelo allenandovi nel migliore dei modi. Purtroppo le persone guardano al dito perdendo di vista la luna. Appena leggono che un'attività fa consumare più grassi la prediligono senza indagare che ripercussioni ha sullo stato metabolico. Dal punto di vista alimentare dovete riprendere l'affinità coi carboidrati. Se li mangiate ed ingrassate c'è qualcosa che non va. Questo avviene perché i mitocondri hanno perso la capacità di ossidare in calore l'eccesso glucidico. Ci sono diverse strategie per migliorare l'affinità col glucosio. Ora le esporremo brevemente (nell'ultimo capitolo parleremo solo di questo) ma tenete sempre a mente questi due punti: nessuna dieta funziona bene se non è abbinata alla giusta attività fisica; alimentazione + training servono per far capire al vostro organismo che deve indirizzare i macronutrienti ai muscoli e non alle cellule adipose. 1. Dieta low-fat. La presenza di pochi grassi (