Project nutrition. Per essere padroni dei concetti e non schiavi delle diete 9791220005593

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Project nutrition. Per essere padroni dei concetti e non schiavi delle diete
 9791220005593

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Questo libro non intende fornire trattamento o prevenzione a disturbi, malattie o condizioni cliniche, né sostituirsi al trattamento medico o come alternativa ad un consulto specialistico. È una revisione di evidenze scientifiche presentate per scopi puramente informativi. Le raccomandazioni qui presentate non dovrebbero essere adottate senza una revisione completa dei riferimenti scientifici forniti ed una visita medica.

L'uso delle indicazioni presentate in questo libro è a completa discrezione e responsabilità del lettore. Prima d'intraprendere uno stile alimentare, una dieta e/o dell'attività fisica consultate e chiedete il consenso al vostro medico di fiducia. Attenzione, la lettura di questo libro potrebbe portare ad un aumento della massa fecale.

Questo libro o qualsiasi parte di esso non può essere riprodotto o riscritto in nessun modo senza il permesso dell'autore, ne in formato cartaceo ne sul web.

Copyright: © 2015 project inVictus. Tutti i diritti riservati. Via Albertano da Brescia 8 - 25126 - Brescia (BS)

wwww.projectinvictus.it [email protected] ISBN 979-12-20005-59-3 Stampa: IGB GROUP S.r.l.

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Dal profondo della notte che mi avvolge, Buia come un pozzo che va da un polo all'altro, Ringrazio qualunque Dio esista Per l'indomabile anima mia. Nella feroce stretta delle circostanze Non mi sono tirato indietro né ho gridato. Sotto i colpi d'ascia della sorte Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e di lacrime Incombe solo /'Orrore delle ombre, Eppure la minaccia degli anni Mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio, Quanto piena di castighi la vita, lo sono il padrone del mio destino: lo sono il capitano della mia anima.

inVictus Poesia scritta da William Ernest Henley, ma usata e resa famosa da Nelson Mandela durante la sua prigionia

Project inVictus

Project Nutrition Per essere padroni dei concetti e non schiavi delle diete

Prefazione Contrariamente a quanto potreste pensare questo non è un libro sull'alimentazione. È un giallo, un poliziesco. Abbiamo un colpevole, degli indizi, quelle che potrebbero essere delle prove, dei testimoni e c'è un investigatore. Quell'investigatore siete voi, questo è un testo di logica applicata all’alimentazione. In questo campo si sente tutto ed il contrario di tutto, c'è chi accusa i carboidrati di far ingrassare, chi i grassi, chi è sicuro che servano tanti piccoli pasti per aumentare il metabolismo, chi invece pochi ed abbondanti. Dove sta la verità? Di chi ci possiamo fidare? La realtà è che in biochimica la stessa sostanza in funzione delle circostanze può produrre diversi effetti, talvolta opposti fra loro. Nello stesso modo due elementi antagonisti si possono coadiuvare e funzionare sinergicamente per raggiungere lo stesso obiettivo. Andate in un campo a zappare 16 ore, la sera non muoverete più il braccio. Oppure mettetevi il gesso: quando lo toglierete, dopo un mese, sarà ugualmente debole e dolorante. La composizione corporea è influenzata da oltre 200 fattori noti ed importanti. Se vogliamo migliorala dobbiamo conoscerli tutti e sapere come interagiscono e si relazionano. Ogni strategia alimentare attiva alcuni fattori dimagranti ma contemporaneamente altri ingrassanti si innescano per mediarne gli effetti. Questo avviene per preservare V omeostasi (lo stato interno). Tutti sappiamo quanto è facile dimagrire all’inizio, quanto una dieta sembri miracolosa, per poi naufragare nel medio-lungo termine. Nel tuo corpo anche piccole variazioni possono mutare le reazioni biochimiche, portandoti di colpo dal perdere peso al mantenerlo. Questa è una delle ragioni per cui l'ambito dell'alimentazione è così controverso e difficile. Infatti troviamo tante scuole di pensiero, molte diete anche opposte tra loro. Ciascuno dà allo stesso problema una personale soluzione; ma concentrarsi solo su pochi fattori: indice glicemico, leptina/insulina, proteine animali, carboidrati a pranzo o di sera, è voler dare risposte semplici ad un caso complesso. La realtà, tuttavia, è che non esiste un unico colpevole. Almeno 200 sono i fattori che, interagendo tra loro, influenzano la composizione corporea. Scegliere di non conoscerli tutti a fondo e di non comprenderne le interconnessioni, significa lasciar spazio ad una visione miope e superficiale di una materia tanto affascinante quanto complessa. La vera conoscenza è saper collegare le nozioni, creare dei ponti tra diversi fattori. Unire la teoria alla pratica e viceversa. Solo in questo modo siamo padroni dei concetti e non schiavi del puro nozionismo. Con questo testo proveremo a disporvi sul tavolo tutti gli indizi che abbiamo trovato. Li metteremo in ordine e cercheremo di capire quali sono le cause che non vi permettono di

progredire come vorreste, sia che vogliate migliorare la salute, sia che vogliate dimagrire, aumentare la massa magra e la performance. Cercheremo di farvi capire i perché. Non ci limiteremo a dirvi che non solo i carboidrati aumentano l'insulina (come erroneamente si crede) ma vi spiegheremo soprattutto come mai e come funziona la stimolazione di questo ormone; non vi diremo perché i trigliceridi intramuscolari diminuiscono (nel sedentario) la sensibilità insulinica ma vi spiegheremo come interagiscono con la membrana ed il nucleo cellulare. Questo vi permetterà d'essere padroni dei concetti e di ragionare autonomamente per arrivare alle conclusioni. Frequentemente si leggono studi dai risultati e dalle conclusioni totalmente discordanti. Comprendendo i motivi, vi sarà chiaro perché a seconda della situazione lo stesso evento evolve in direzioni completamente opposte. Per questo partiremo dai principi universali, scritti in tutti i libri di biochimica e fisiologia. Semplificheremo questi tomi, li renderemo digeribili anche per chi non ha un bagaglio universitario. Cosa dicono la biochimica, l’endocrinologia e la fisiologia? Sono i grassi saturi a portare all'insulino-resistenza o i carboidrati raffinati in eccesso? La scienza ha già risposto da anni a queste ed altre domande. Le diete e la moda non ve le spiegano, perché vi vogliono vendere la loro soluzione. In queste pagine non esistono fazioni, non abbiamo inventato nessuna nuova corrente, non troverete nessuna nuova dieta.

Questo è un libro solo per chi vuol capire.

Per concludere, specifichiamo che in questo “aulico” testo utilizzeremo anche parole volgari. Perché? Perché fondamentalmente ci diverte (siamo immaturi) e perché questo libro lo scriviamo per piacere; pensiamo che di tanto in tanto qualche battuta, anche se un po’ scurrile, possa rendere la lettura più piacevole, scorrevole e dare un’idea più chiara. Infine questo non è un testo universitario e non ha la pretesa di rivoluzionare il mondo dell'alimentazione. Non dobbiamo dimostrare nessuna nuova tesi, anzi alla fine del libro vi inviteremo ad approfondire gli argomenti su pubblicazioni più autorevoli. Questo in fondo è un “giallo ” in cui sta a voi trovare il colpevole. L'idea del libro è nata dopo il successo del sito project inVictus1. Alcuni paragrafi sono estrapolati dagli articoli pubblicati, messi in ordine logico, rivisitati ed approfonditi, mentre altri rimarranno inediti. Prima dell'acquisto vi abbiamo chiesto di leggere questa introduzione per avvisarvi che ritroverete, in forma grezza, il 50% del materiale gratuitamente sul sito. Se l'avete comprato è perché ci credete, perché siete curiosi e volete sapere, perché voi gli avete dato valore. Quindi grazie, grazie di cuore. Nella vita accade sovente che ci si limiti a seguire la corrente, il nostro scopo è darvi i mezzi per comprendere, affinché siate persone che apprendono, analizzano e traggono proprie conclusioni! Troppo spesso questo non accade, sta a voi fare la differenza.

Esiste un 'alimentazione vincente? Esiste una dieta universale che permetta, nel pieno delle energie e della salute, di dimagrire e mettere su muscolo? NO, purtroppo non esiste. Basta comparare gli stili alimentari dei vincitori dell'ultima olimpiade per osservare una varietà di approcci differenti e spesso contrastanti tra loro. Possiamo affermare in tutta evidenza che i campioni sono campioni non grazie a quello che mangiano, anche se spesso la pubblicità ed il marketing vogliono farci credere (o sperare) il contrario.

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Nel corso della storia diversi autori, svariate diete (Mediterranea, Zona, Vegan, Gruppo sanguigno, pH, Paleo, ecc.) hanno provato a dare delle indicazioni generali, promettendo miracolosi risultati. C'è chi li ha ottenuti, chi ne ha avuti di modesti e chi addirittura è peggiorato. L'individualità biochimica regna sovrana, quello che funziona per uno non funziona per l'altro. Mettetevi il cuore in pace, troverete la vostra strada soltanto provando, misurando ed aggiustando il tiro. Ogni anno dopo ogni fase di reset metabolico (ricostruzione del metabolismo e della massa magra) e di cut (definizione), l’esperienza vi guiderà nella direzione più adatta a voi. Ricordatevi sempre che l'unica alimentazione vincente è quella personale e consapevole. Detto ciò il seguente libro ha lo scopo di migliorare il benessere della persona, la sua composizione corporea e la sua performance. E pensato per persone attive e che si allenano (anche per gli agonisti). Alimentazione e sport sono indissolubilmente connessi e non si può raggiungere il massimo senza abbinarli. Divertitevi, adottate uno stile di vita sano, allenatevi, mangiate correttamente e fate tutte queste cose con logica. Questo libro seguirà sempre questa filosofia.

Chi è Andrea Biasci Il seguente testo è scritto da diversi autori: medici, nutrizionisti, fisiologi e divulgatori scientifici. L’autore principale è il dott. Andrea Biasci. “Io non sono un esperto di alimentazione, sono un appassionato che ha letto molto, ha studiato, si è confrontato ed ha provato. Ho dato solamente qualche esame di chimica e biochimica, ho insomma un'infarinatura di base rispetto ad un mondo vastissimo. Nel mio percorso ho avuto la fortuna di conoscere professionisti eccellenti, alcuni li ho invitati a scrivere degli approfondimenti per questo testo, altri non appaiono, ma in ogni caso, essendo tutti più bravi di me, sono riusciti a mostrarmi i miei limiti. Tuttavia, rispetto a loro sono stato appassionato del fumetto di Spiderman. In un numero, Peter Parker viene mandato ad intervistare dei testimoni di un incidente in cui è stato coinvolto l'uomo ragno (che poi sarebbe lui) e dove sono rimaste uccise due persone (rarità per un fumetto Marvel). Peter di solito fa il fotografo ma vista la penuria di personale il direttore lo reinventa giornalista per un giorno e cosa scopre? Che a seconda della persona intervistata l'interpretazione di quello che è avvenuto cambia radicalmente. Per alcuni è stato l'uomo ragno a scatenare gli eventi, per altri, invece, se non fosse intervenuto ci sarebbero stati molti più morti. Alla fine possiamo pensarla come vogliamo ma sono sempre punti di vista. Io mi faccio carico di queste esperienze, conscio d'essere un nano tra i giganti, conscio che non rivoluzionerò mai il mondo dell'alimentazione. Io so di non sapere ma forse per questo per guardare più lontano ho capito che non potevano bastare le mie forze, che dovevo salire sulle spalle dei giganti. Leggete questo libro seguendo questa filosofìa, non fermatevi qui, mettete in discussione le sue verità, siate sempre alla ricerca, non accontentatevi di credere di sapere. Questo testo non è perfetto, nuove pubblicazioni scientifiche amplieranno quello che abbiamo scritto, tuttavia è onesto, non vi ho voluto vendere niente e se un argomento non lo conoscevo a fondo l’ho dichiarato. Ricordatevi sempre che chi si ferma è perduto e che: “è il viaggio la ricompensa”. Un'altra delle mie caratteristiche è quella d’essere pigro. Ogni volta che ho letto, ho studiato, ho sempre evidenziato, catalogato, riassunto le nozioni apprese. Da piccolo avevo visto un film con Harrison Ford, nel quale il protagonista perde la memoria e deve ricominciare tutto da capo (camminare, parlare, riconoscere le persone care, ecc.).

Ecco, se perdessi la memoria e dovessi ristudiare tutto dall'inizio, mi sono chiesto, come potrei recuperare il tempo e velocizzare il processo d'apprendimento? Quando finisco un testo mi chiedo sempre: se dovessi rileggerlo quali parti salverei e quali salterei? In queste pagine abbiamo racchiuso, in modo semplice, le decine di manuali di chimica, biochimica, biologia cellulare, fisiologia, endocrinologia che abbiamo studiato, quello che abbiamo capito è racchiuso qui. Vi sembrerà forse poco ma per noi questo manuale è un piccolo tesoro, spero lo diventi anche per voi.

Chi siamo Questo libro è figlio di internet. Potrebbe sembrare anacronistico oggi scrivere un libro per informare. Chiunque sul suo telefonino ha la più grande biblioteca del mondo, qualsiasi nozione è presente, aggiornata in tempo reale. Eppure internet ha un grosso difetto, per ogni informazione corretta ce ne sono 19 scorrette. Informarsi è diventato difficilissimo, ognuno sostiene una cosa diversa. Per di più sulla rete il professore universitario conta come il ragazzino di 16 anni, il campione olimpico come chi va tre volte in palestra. I commenti valgono tutti nello stesso modo (tranne che per i contenuti). Le persone hanno così difficoltà a selezionare le informazioni, chi non ha una profonda conoscenza di base, non riesce a distinguere chi vende da chi informa. Alla fine “solo se conosci scegli, altrimenti credi di scegliere”. Questo testo è figlio del confronto continuo, vi hanno partecipato 27 professionisti del settore; medici, nutrizionisti, laureati in scienze motorie, allenatori e atleti di altissimo livello. Ognuno ha una sua visione, spesso non ci troviamo neanche d’accordo. Tuttavia tutte le persone che hanno contribuito si sono distinte su internet per la forza delle loro argomentazioni. Perché sanno controbattere alle critiche, perché portano dei risultati sul campo in ambito agonistico, perché accettano chi non la pensa come loro. Il nostro obiettivo non è vendervi una verità, ma farvene conoscere tante. Alla fine del testo forse neanche la penserete come noi, ma se vi sarerete arricchiti delle esperienze degli altri, sarete sicuramente delle persone migliori. Questa è la nostra filosofia, questi siamo noi.

A chi si rivolge il libro Il seguente testo è rivolto a tutti coloro che vogliono avvicinarsi all’alimentazione, per capire e approfondire l’argomento in modo divertente e semplice. La cultura alimentare dovrebbe basarsi su una piramide. Le fondamenta sono costituite dalla chimica e dalla biochimica, strumenti essenziali per padroneggiare la materia. Al piano terra troviamo la fisiologia e l'endocrinologia, al primo piano la nutrizione e l'alimentazione. Solo il tetto è formato dalle diete. Normalmente le persone non del settore si fanno una “cultura” alimentare leggendo i libri commerciali (Mediterranea, Zona, Metabolica, Paleo, China Study, ecc.) e questo crea un gap facendo credere di sapere quando in realtà non si sa niente. I libri sulle diete servono per vendere, quelli sulla nutrizione per far capire. In questo testo troverete indicazioni su come, attraverso l'alimentazione, arrivare ad avere un fisico atletico, magro, sano e performante. Siamo fermamente convinti che la prestazione passi per la salute e che quest'ultima arrivi da un corpo definito, con una buona massa muscolare, correttamente idratata e con degli esami ematici perfetti. L'obiettivo è quello di portarvi ad ottenere il miglior fisico possibile, senza arrivare a fare estremi sacrifici a scapito del benessere o della prestazione. Ci sono strategie alimentari molto efficaci per scendere al di sotto dell’6-8% di massa grassa (FM), ma visto che non sono salutari, non verranno prese in esame. Il nostro obiettivo è che alla performance e all'estetica si accompagni sempre il benessere.

L'ultima considerazione che possiamo fare è quella d'invitarvi a rimanere sempre aggiornati. Quando si pubblica un testo, il giorno dopo è già vecchio: nuovi studi, nuove conoscenze mettono in crisi le certezze passate. Per questo ad ogni ristampa amplieremo e aggiusteremo le vecchie nozioni, qualora ce ne sia il bisogno. Sul nostro sito troverete gratuitamente tuti gli aggiornamenti che apporteremo negli anni. Siate sempre affamati di conoscenza, non adagiatevi su comode verità, mettetele sempre in discussione e verificatele attraverso i numeri. Questa è la nostra forza, fate in modo che diventi anche la vostra. Se la massa grassa diminuisce, se l’idratazione e gli esami del sangue migliorano, avete dei numeri che danno vigore alle vostre convinzioni.

Una scrittura alternativa Il seguente testo è opera di scrittori del web e ne segue la filosofia. Quando si scrive un articolo su internet si tende ad essere più concisi, a creare link (collegamenti) con altri articoli e ad evidenziare le cose importanti. Anche se cartaceo questo libro segue queste regole. Ogni paragrafo anche se breve contiene un concetto importante da portarsi a casa. Talvolta troverete espressioni/affermazioni tecniche e/o formule matematiche che i più preparati o avvezzi alla trattazione di testi scientifici potrebbero trovare imprecise o non conformi al formalismo scientifico del settore d’appartenenza o altro. Non abbiatecene e dateci una sorta di “licenza poetica” in quanto ripetiamo: questo libro è stato pensato al fine di essere fruibile e godibile anche da coloro i quali non posseggano una accurata formazione scientifica di base.

Buona lettura.

L9 ' V

Capitolo I

Capire dove siamo I numeri che contano Una delle diete più interessanti è quella per aumentare il testosterone. Si è visto da studi scientifici che un mix di alimenti ricchi d’aminoacidi solforati con leguminose provoca una crescita del 32% dei livelli dell'ormone. Bastano queste poche righe per attirare subito l'attenzione del lettore. La speranza di stare meglio, di essere più prestanti e di aumentare i propri livelli endocrini in modo naturale e salutare, subito ci spinge a voler credere in quello che si sta leggendo. Peccato che quasi nessuno si sia fatto un esame ematico dei livelli di testosterone e misuri realmente il prima ed il dopo. Senza dati sono tutti atti di fede.

Vi consigliamo di bere acqua alcalina per tamponare l'acidosi. Ma vi siete mai misurati se siete acidi? E che test avete fatto: la cartina tornasole o un esame BIA? E questi test che valore hanno? Sono il gold standard di riferimento? Che studi scientifici hanno alle spalle, come sono stati condotti e dove sono stati pubblicati, quante volte sono stati citati? Purtroppo ai giorni nostri tutti parlano di scienza, tutti sono supportati da ricerche scientifiche, ricerche che poi nessuno verifica. Ma chi ha le competenze per controllare se i dati sono significativi, se la statistica è rilevante? Chi conosce le razze dei topi usati per capire l’attendibilità ed il valore degli studi? In questa estrema complessità, la strada più facile è quella di voler credere: si prende un punto di riferimento, una persona, una corrente, una dieta e gli si consegna la propria fiducia. Questo libro si distacca da tutto questo, invita il lettore a farsi carico personalmente della verifica del risultato attraverso questi strumenti: esami ematici, bilancia+circonferenze, plicometria, biopedenziometria, DEXA. Raccogliete i dati, adottate una strategia alimentare e alla fine verificate se le variazioni sono state a carico della massa magra, di quella grassa o dell’acqua. Se non avete voglia di fare questo passo (misurare), rimarrete sempre passivi rispetto alle vostre credenze.

La scala delle priorità La nostra società egocentrica è basata sull'immagine: essere magri e muscolosi rimane una priorità: la bellezza è promessa di felicità. La maggior parte delle pubblicità ci mostrano persone magre ed attraenti. Tuttavia per l'organismo il nostro aspetto esteriore non riveste un ruolo così importante. Il controllo della glicemia, della temperatura corporea, dei battiti cardiaci, del pH sanguigno, dell'ossigenazione cellulare e centinaia d'altri parametri ricoprono un ruolo fondamentale per la salute indipendentemente dalla nostra estetica. Nessuno è mai morto perché non aveva gli addominali in evidenza. Diventa quindi chiaro che voler raggiungere certi modelli estetici è nella scala delle priorità fisiologiche una cosa futile. Il corpo, pur di non andare in ipoglicemia, consumerà il muscolo; piuttosto che utilizzare completamente le riserve energetiche (adipose e glucidiche), abbasserà i livelli degli ormoni tiroidei, ecc. Tutti possiamo stare dentro parametri salutistici e di benessere, non tutti possiamo rimanere con gli addominali squarciati tutto l'anno. Accettarlo e comprenderlo è il primo passo per non inseguire false promesse. Il doping ed i fotoritocchi hanno gettato troppo in là i modelli a cui aspiriamo; l'alimentazione e l'allenamento possono fare molto ma non basta infilarsi due piume nel sedere per diventare un pavone. Su internet e sulle riviste si vedono foto di bovini enormi, muscolosi e magrissimi. Negli articoli si parla di manipolazione genetica e di miostatina. In realtà, nella maggioranza dei casi, le “manipolazioni genetiche” avvengono semplicemente facendo accoppiare tra loro gli esemplari più dotati. Dopo 100 anni in Inghilterra ci sono razze di bovini giganteschi (Belgian blue). Perché abbiamo citato questo esempio? Perché guardandoli potremmo chiederci cosa mangiano per essere così grossi e magri. Si nutrono come tutte le altre mucche piccole e grasse. Questi capi sono fisicamente dotati dalla nascita (dalla genetica), l'alimentazione (sempre a base di mangimi industriali) non va a variare il loro aspetto. Quando osservate qualcuno con un fisico eccezionalmente atletico, pensate ai bovini inglesi. Con la giusta dieta ed il giusto allenamento migliorerete sicuramente, ma tanto quanto il vostro DNA vi ha concesso. Leoni si nasce non si diventa, purtroppo. Una percentuale di grasso corporeo a cui tutti dovrebbero mirare è:

Uomini:10-15%

Donne: 18-24%

Se siete oltre queste percentuali, dimagrire vi permetterà di migliorare anche la salute. Con le indicazioni di questo libro dovete puntare almeno a questi livelli. Chi, invece, si vuole dedicare anima e corpo per migliorare il suo aspetto fisico e vuole avere un ottimo rapporto tra massa muscolare e massa grassa deve mirare almeno a: Uomini: 8-12%

Donne: 14-20%

Essere realistici, sapere dove possiamo arrivare è essenziale per non vivere frustrati e per non essere preda di false promesse. A seconda della vostra genetica, di cosa avete “costruito” finora, impiegherete più o meno tempo per arrivare al vostro obiettivo. Scoprirete che l’alimentazione è un processo ciclico, dove si migliora, si stalla, si peggiora, per poi ritornare a migliorare. E il trend annuale che conta, ogni anno vi ritroverete con un fisico migliore di quello precedente.

Bilancia e circonferenze Specialisti e professionisti del settore possono utilizzare apparecchiature più sofisticate ma chiunque, praticamente a costo zero, può verificare l'andamento della sua composizione corporea. Bastano una bilancia ed un metro. Ma facciamo un passo indietro. Il nostro peso corporeo è dato dall'insieme del tessuto muscolare, osseo, adiposo, ecc. i quali si possono raggruppare in due macro categorie: massa magra (FFM) e massa grassa (FM). Quando acquistiamo o perdiamo peso principalmente variano tre componenti: acqua, massa contrattile (liscia e striata), massa grassa. Le oscillazioni osservate quotidianamente sulla bilancia (basta pesarsi alla sera e poi al mattino), riguardano l'acqua che può variare facilmente anche di 1 kg nel corso della giornata. Valutarla a livello amatoriale risulta impossibile (amplieremo il discorso quando parleremo deìVimpedenziometria). Per avere invece una stima (approssimativa, ma sufficiente) di quanto stiamo perdendo nelle zone che ci interessano, bastano una bilancia ed un metro. Misurate la circonferenza del vostro braccio, vita-fianchi e coscia e nello stesso tempo pesatevi (sempre alla stessa ora del giorno e a parità di condizioni). Quando il peso varia, confrontatelo con le circonferenze. Quali sono cambiate? Avete perso centimetri principalmente nelle circonferenze vita/fianchi oppure in quelle braceia/cosce? Ovviamente esistono dei metodi più accurati per misurare il grasso sottocutaneo (ne parleremo nel paragrafo sulla plicometria), ma metro e bilancia sono strumenti presenti in ogni casa che non richiedono nessuna abilità specifica per essere utilizzati. Le variazioni a carico del girovita e dei fianchi (nella maggior parte degli uomini) e nelle cosce (nelle donne) sono sostanzialmente a discapito della massa grassa mentre quelle su braccia e/o gambe possono essere influenzate in modo rilevante anche dalla massa muscolare. Ovviamente più il test sarà accurato (BIA, plicometria, DEXA, pesata idrostatica) migliore sarà la stima di cosa stiamo perdendo; al contrario bilancia e metro risultano del tutto approssimativi ma sono gratis e potete utilizzarli quando volete.

Misurazioni antropometriche In questo paragrafo spendiamo due righe su tutte quelle misurazioni che hanno una valenza a livello epidemiologico, ma che sul singolo individuo dicono ben poco, non tenendo conto dell'età, del sesso, della razza, della costituzione, ecc. Tuttavia, vista la loro accessibilità e dal momento che chiunque può avere un responso immediato, vediamo di descriverle brevemente, ricordandoci che forniscono una stima quantitativa e non qualitativa della composizione corporea.

Il BMI ed altre misurazioni Il BMI (Body Mass Index) non è altro che il rapporto tra il peso della persona in chilogrammi e il quadrato della sua altezza in metri. E odiato da tutti i professionisti del settore, che vedono questo strumento come troppo grossolano e generico per valutare la composizione corporea dell’individuo. I valori ottenuti corrispondono a: BMI

Condizione

40

Obesità di alto grado

Se pesate 80 kg e siete alti 1.80 m il risultato sarà il seguente: 80 24,5 (al limite del normopeso) (1,8 x 1,8)

Un valore di BMI di 20-25 nell’uomo corrisponde ad una percentuale di grasso corporeo tra 717%, mentre nella donna tra il 17-27%.

È logico che con questo metodo di misurazione un bodybuilder di 100 kg con il 5% di grasse corporeo risulterà obeso, ma questa stima ha un valore soprattutto a livello statistico sulla popolazione generale. Tenete a mente il vostro BMI puramente per curiosità. Dal nostro punto di vista, un BMI che scenda sotto al 21 è indice di una massa contrattile insufficiente. Pertanto, se siete sotto questo valore, la vostra priorità sarà quella di incrementare la massa magra; “un secce con gli addominali è come una cicciona con le tette”. Esiste un'altra formula per indirizzarci verso il peso ideale, ed è quella di Broca'.

Uomini: peso ideale ( kg) = altezza (cm) — 100 Donne: peso ideale ( kg) - altezza (cm) -104 Se siete alti 180 cm il vostro peso dovrà aggirarsi intorno a 80 kg:

180- 100 = 80 kg. Questa formula è molto valida se il grasso corporeo non supera negli uomini il 12% e nelle donne il 20%, ovvero il peso non è dato da un eccesso di massa grassa e poca massa contrattile, ma al contrario da tanti muscoli e poca ciccia. L'ultima misurazione facilmente ottenibile è quella del rapporto vita/fìanchi.

Valori di circonferenza addominale superiori a 102 cm negli uomini ed 88 cm nelle donne sono considerati criteri diagnostici per gravi problemi di salute come la sindrome metabolica ed il diabete tipo 2. Se dividiamo il valore della vita per quello dei fianchi ed otteniamo risultati superiori a 0,9 nell'uomo e 0,8 nella donna vuol dire che il tipo di grasso è da considerarsi androide (obesità addominale), se è inferiore ginoide (accumulo su cosce e fianchi). Prendente sempre queste categorie con le pinze.

Stime più accurate per la composizione corporea I professionisti del settore hanno a disposizione strumenti più accurati per valutare, sia a livello quantitativo che qualitativo, la composizione corporea. Descriverli in un libro rivolto ad un pubblico generico lascia un po' il tempo che trova, tuttavia vi mettiamo a conoscenza delle metodologie di misurazione più utilizzate per reperire le informazioni sulla vostra composizione e vi diamo alla fine delle indicazioni pratiche su come fare se non disponete di questi attrezzi. Prima di iniziare a parlare di numeri è necessario comprendere cos'è il gold standard. In medicina è il test più accurato per misurare un certo dato. Per quanto riguarda la composizione corporea e la misurazione del tessuto grasso, il gold standard è lo scioglimento in solventi organici dei cadaveri. Soltanto in questo modo possiamo avere dei valori esatti. Insomma, se morite pensateci, è un'occasione! La pesata idrostatica, la DEXA, ecc. sono test che prendono come riferimento il gold standard e pertanto hanno una percentuale d'errore intrinseca. In questo capitolo prenderemo in considerazione le tre misurazioni che più facilmente avrete la possibilità di effettuare: la plicometria+circonferenze, la bioimpedenziometria (BIA) e la DEXA.

Plicometria e circonferenze23 Veniamo ora a una metodica semplice, attendibile ed economica di valutazione indiretta della composizione corporea secondo un modello bi-compartimentale, basato sulla divisione in due compartimenti del corpo umano: una componente grassa (FM) e una magra (FFM). Nella prima raggrupperemo il tessuto adiposo sottocutaneo e non verranno presi in considerazione il grasso viscerale e intramuscolare, nella seconda verranno considerati gli organi interni, l’acqua e le componenti muscolo-scheletriche. La plicometria consiste nella rilevazione di alcune pliche corporee di grasso sottocutaneo attraverso uno strumento simile ad un calibro chiamato appunto plicometro. La rilevazione della plica consiste essenzialmente nello staccare, attraverso una presa a pinza di pollice e indice, lo spessore di sottocute nel punto di repere precedentemente rilevato e marcato, misurando con l’altra mano lo spessore stesso (in millimetri) servendosi del plicometro. La metodica ha il difetto di essere operatore dipendente: più è bravo chi la esegue e minore sarà Terrore. Anche pochi centimetri di differenza sul punto di repere, rispetto all'analisi precedente, possono modificare il risultato. Allo stesso modo anche la differenza di pressione esercitata può generare errori. Sul mercato esistono plicometri professionali molto costosi che applicano sempre la medesima pressione, ma vanno periodicamente ritarati ed il prezzo, spesso, non vale l'acquisto. Non vergognatevi ad usare plicometri di plastica a basso costo, vanno benissimo!

I protocolli generalmente utilizzati prevedono la rilevazione di 7 o 3 punti di repere.

J Protocollo a 3 pliche uomo (Jackson & Pollock) : Addome, Pettorale, Coscia. V

Protocollo a 3 pliche donna (Jackson & Pollock): Tricipite, Soprailiaca, Coscia.

V

Protocollo a 7pliche (Jackson & Pollock): Tricipite, Addome, Soprailiaca, Sottoscapolare, Ascellare, Pettorale, Coscia.

La metodica sfrutta la stretta correlazione tra grasso sottocutaneo, grasso totale e densità corporea per ricostruire, tramite grafici o equazioni specifiche per la popolazione, la percentuale di massa grassa e per differenza quella di massa magra. Le formule più utilizzate sono quelle di Jackson e Pollock. La formula che inseriamo qui è quella del protocollo a 3 pliche. duomini

- U0938 -

ddonne =

1,0994921

/8,267 x S \ / 1,6 x S2 \ /2,574 x 1Q000 ) + 00Q 000J “ 10 000 )

9,929 x S 10 000

2,3 x S2 000 000

1

1,392 x E 10 000

S = Somma delle tre Pliche in mm E = Età Espressa in Anni Pliche Uomo = Petto, Addominale, Coscia Pliche Donna = Tricipite, Soprailica, Coscia /495\ —— — 450 \ d / (sul nostro sito potete trovare la guida illustrata per la rilevazione dei punti di repere e tutte le equazioni per stimare quanto grasso corporeo avete).

Grasso Corporeo Totale (%) =

2 De! Dottor Andrea Roncari 3 www.projectinvictus.it

Attenzione però, il dato ottenuto costituirà una stima e non un valore reale assoluto del grasso corporeo. L’equazione presa in esame ha il limite di prendere come riferimento la densità corporea ottenuta con la pesata idrostatica, misurazione che, a sua volta, ha una percentuale d'errore del 46%. Abbiamo così una stima di una stima, l'errore totale, dunque, varia considerevolmente.

Il valore fondamentale rilevato con la plicometria è la somma delle pliche, un valore che confrontato nel tempo può realmente indicarci l’andamento dei risultati.

La plicometria non è utilizzabile con persone obese o fortemente sovrappeso (BMI oltre 27-28, in quanto la misurazione delle pliche risulterebbe poco attendibile) ma è tuttavia un buonissimo metodo pratico ed economico per effettuare un buon lavoro con quella grossa fetta di clientela in palestra composta da persone molto allenate, mediamente in forma o in lieve sovrappeso.

Ulteriori importanti informazioni da integrare con gli spessori rilevati in sede di plicometria possono essere tratte dalla misurazione delle circonferenze corporee con uno strumento semplicissimo come un metro da sarto. E possibile misurare numerose circonferenze ma il nostro consiglio è di non esagerare per non far sentire la persona una cavia da laboratorio procedendo con la rilevazione di dati che si riveleranno poi inutili. Generalmente consigliamo la misurazione di 5 circonferenze corporee (vita, fianchi, torace, braccio e coscia), utilissime poi per effettuare una corretta analisi dei risultati integrandole con le pliche corrispondenti (sul nostro sito potete trovare la guida illustrata per la corretta rilevazione delle circonferenze corporee indicate).

Quando si parla di circonferenze corporee fine a se stesse si è portati spesso a ragionare erroneamente, come per il peso corporeo, in termini quantitativi e mai qualitativi. Troviamo così spesso donne entusiaste per la riduzione della circonferenza della coscia e per analogia maschietti in estasi per l’aumento della circonferenza del braccio, non sapendo esattamente chi si è preso carico di quella diminuzione e di quell’aumento.

11 valore in centimetri può subire numerosi combinazioni diverse, ma ciò che conta è la variazione del valore in rapporto alla variazione della plica sottocutanea di grasso locale: solo in questo modo sapremo esattamente in che direzione stiamo andando attraverso un ragionamento di tipo qualitativo. Non è detto che una diminuzione della circonferenza “Coscia” di una signorina palesi sicuramente un miglioramento anzi, potrebbe palesare un peggioramento in termini di composizione corporea qualora la plica “Coscia” fosse rimasta invariata o addirittura aumentata nel tempo. Viceversa, non creiamo false speranze in un ragazzo che vede aumentare la sua circonferenza “Braccio” se quell’aumento è dato solo da un concomitante cospicuo aumento della plica “Tricipite”. Analogo ragionamento sarà fatto con il peso corporeo per capire a cosa saranno imputabili eventuali variazioni rilevate.

La bioimpedenziometria (BIA) Se la plicometria è un'analisi quantitativa, la bioimpedenziometria è un'analisi qualitativa che stabilisce i livelli di idratazione intra ed extracellulare e determina in modo indiretto la percentuale di grasso corporeo e di massa magra. La BIA misura, attraverso degli elettrodi, la conduzione dei segnali ed i valori ottenuti corrispondono alla resistenza e alla reattanza. La velocità di conduzione dei diversi tessuti cambia a seconda della loro idratazione, la BIA non fa altro che stimare questi dati. E il gold standard per la misurazione dell'acqua nel corpo; tuttavia i suoi risultati, per quanto riguarda la composizione corporea, hanno un alto tasso di errore. In medicina non viene praticamente più utilizzata (se non dai nefrologi prima di una dialisi per aiutare a stimare i volumi da dializzare) perché ottenere dati poco precisi non è rilevante. In ambito fitness e nella nutrizione invece occupa ancora un suo spazio ma i valori ottenuti sono poco

indicativi. L’ideale è quello di utilizzare sia la bioimpedenziometria sia la plicometria e di paragonare i dati ottenuti. In commercio si trovano bioimpedenziometrie che si possono utilizzare in piedi o stringendo tra le mani dei conduttori. Non usatele la % d’errore è troppo elevata. La BIA riconosciuta è quella da usare sdraiati su un lettino con gli elettrodi sul dorsoso della mano e dei piedi.

La DEXA Di tutti gli esami che potrete mai fare la DEXA è sicuramente il più preciso e attendibile, basta leggere gli studi in cui viene confrontata con gli altri strumenti sopracitati. Tuttavia nella singola misurazione l'errore può arrivare anche al 5%. Si tratta di un esame costoso ed il corpo assorbe una certa dose di raggi X, quindi, in ambito fitness, non viene utilizzata. Principalmente serve per misurare la densità ossea, ma si ricavano anche dati sulla massa grassa e la massa magra. Ricordiamoci che massa magra e massa contrattile non sono sinonimi. La DEXA moderna ha tempi di misurazione molto più sbrigativi rispetto ad una volta (5-10') pertanto è uno degli strumenti più utilizzati, in ambito medico, per la composizione corporea. Se potete paragonate i dati ottenuti con le tre misurazioni: DEXA, plicometria, BIA, vi spaventerete delle differenze.

Selfie C’è chi, preso da uno spirito compulsivo, si fotografa in bagno tutti i giorni. Trovandosi bello, “spamma ” le sue foto sui vari gruppi Facebook, dove puntualmente viene, di nascosto, preso per il culo (vi ricordate la canzone: E Pippo Pippo non lo sa). Senza fare questa ingloriosa fine, fotografarsi rimane uno degli strumenti migliori per avere uno storico della propria composizione corporea. Scegliete un luogo, un’inquadratura, non variate le luci e ogni 21-30 giorni fotografatevi. Non avendo numeri oggettivi, a seconda del vostro stato emotivo, potreste trovarvi meglio o peggio, quindi non affidatevi unicamente alle foto. Tuttavia quando ne avrete almeno 4-5, potrete chiaramente notare il percorso che state seguendo. Inviateci i vostri prima e dopo; non c’è soddisfazione più grande.

Infine... Indipendentemente da quali apparecchiature utilizzate ricordatevi di ancorarvi ai numeri, questi vi diranno se la strategia che state adottando vi sta portando a perdere peso o a dimagrire. La sola bilancia non vi fornisce gli strumenti per sapere se il calo è a carico della massa grassa o di quella magra. Scendere di peso bruciando il tessuto muscolare è il requisito fondamentale per smettere, a breve, di dimagrire. Quindi dovete essere in grado di capire se state realmente intaccando il grasso, se vi state disidratando o, infine, se state cannibalizzando la massa magra (approfondiremo il discorso nei capitoli successivi).

Calorie e bilanci energetici Presto capiremo che la dieta non può ridursi ad un mero conteggio calorico; tuttavia conoscere quanta energia stiamo introducendo attraverso il cibo ci può fornire un'indicazione utile su dove siamo e su dove vogliamo andare. Come premessa va ricordato che quando leggiamo dei dati, come quelli sul fabbisogno calorico, essi sono ricavati dall’analisi statistica di una popolazione (che segue una cosiddetta gaussiana o, più semplicemente, un grafico a forma di campana) della quale rappresentano il valore più frequente (diciamo pure la media). Se invece che in alto, vi trovate agli estremi di tale campana, le indicazioni generali saranno ovviamente fùorvianti.

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Tuttavia avere dei numeri di riferimento è utile perché molte persone pensano di assumere poche calorie, altre invece sono convinte d'introdume in abbondanza. E palloso, ma mettersi a contare quante kcal abbiamo mangiato nel giorno e nella settimana può essere estremamente interessante. Su internet trovate delle App gratuite, per il vostro smartphone, che vi aiuteranno a monitorare i pasti. Usalete se non volete navigare alla cieca. Le indicazioni caloriche si dividono in tre macro categorie: quelle necessarie per mantenere il peso, quelle necessarie per dimagrire e quelle necessarie per mettere su muscolo. A seconda delle necessità, il bilancio energetico sarà neutro, negativo o positivo.

Una caloria è una caloria? Spesso su internet si discute se una caloria è una caloria. Da una parte troviamo la nutrizione accademica che vede nella caloria un’unità di misura (cioè la quantità di energia necessaria a scaldare un grammo d'acqua da 14,5°C a 15,5°C). Dall’altra troviamo i sostenitori di nuove teorie che vedono nell’uomo qualcosa di diverso dalla bomba calorimetrica (strumentazione che determina le kcal negli alimenti). Fattori metabolici ed ormonali contano di più del mero conteggio energetico. Chi ha ragione? Nessuno dei due. La nutrizione classica vede come strumento principale, per far perdere chili, quello di creare un bilancio calorico negativo. Ma allora perché ci sono persone con lo stesso peso che assumono 2000 kcal ad altre invece 3000 kcal? Possono tutte e due togliere calorie o questa strategia darà buoni effetti solo nel secondo caso? Dall’altra parte chi sostiene che le leggi della termodinamica non si applicano all’uomo è fuori dalla scienza. Per dimagrire dovete creare un bilancio energetico negativo (assumere meno calorie di quelle che introducete), non ci sono altre soluzioni, se nei mitocondri c’è più ATP di quello di cui abbiamo bisogno si creano nuove molecole (anabolismo), altrimenti si riducono (catabolismo). L’unione tra le due visioni è quella vincente. Il nostro fabbisogno calorico viene da una sua storia, un suo percorso. Oggi siamo metabolicamente quello che abbiamo costruito negli anni, partendo ovviamente dal nostro set point e dalla nostra genetica. In tutto questo tempo cosa abbiamo fatto per migliorarlo? Se siamo ancora grassi, con la pancetta e i fianchi ed assumiamo poche calorie, sicuramente abbiamo sbagliato qualcosa. La dieta viene vista sempre come un togliere, ma forse prima di poterlo fare dobbiamo investire. Tutti sanno che con l’avanzare dell’età il metabolismo “cala” ma nessuno immagina che con la giusta strategia, negli anni, il metabolismo “sale”. Tra 12 mesi potrete permettervi di mangiare di più senza variare peso, tra 24 la situazione sarà ancora migliore, ecc. (ne parleremo meglio nei prossimo capitoli). Oltre a quanto abbiamo appena scritto va aggiunto il (fondamentale) fattore psicologico. Quasi tutte le persone in sovrappeso, anzi, tutte le persone in sovrappeso, sostengono di mangiare poco. La maggior parte di queste dice d’avere il metabolismo lento ma non riesce nemmeno a comprendere che cos’è il metabolismo (nell’immaginario collettivo si pensa ad una macchina che a parità di chilometri consuma meno). Nel 95% dei casi si tratta di un'alterata percezione della realtà, queste persone non sono sincere con se stesse, mangiano ma non se ne rendono conto. C’è una trasmissione inglese intitolata “Ciccioni bugiardi”. Telecamere nascoste mostrano come non ci si renda conto di spiluccare fuori dai pasti, di condire eccessivamente o di mangiare alimenti ritenuti erroneamente “light”. Prendete vostra madre o moglie ed osservatela in cucina, sicuramente sarà convinta di non condire troppo. Ci dispiace dirlo ma nel 95% dei casi s’ingrassa ignorando di assumere più energie di quelle che si consumano (ritornando al concetto di caloria). C’è poi una piccola percentuale di persone che ha alterato l’assetto metabolico facendo diete del razzo; vedi effetto yo-yo (perdere e poi riacquistare peso) o low carb eccessivamente prolungate nel tempo. A livello cellulare si è creata così un’elevata insulino-resistenza, il corpo ha

perso la sua affinità con gli zuccheri. Per questi individui pensare alle calorie è prematuro e per impostare una dieta bisogna partire da altri concetti. Infine, una piccola parte degli obesi (sotto al 3%), ha veramente malattie metaboliche congenite, mitocondriali o spesso tiroidee (le malattie metaboliche che si instaurano successivamente all’obesità / forte sovrappeso sono il prodotto di una cattiva alimentazione non la causa). Per concludere, esistono diete dove non si contano le calorie e si può mangiare a volontà fino a raggiungere il senso di sazietà. Possibile? Ma allora le calorie non contano? Falso, questi regimi adottano la strategia (molto utile) della densità energetica. Si ha libero accesso ad alimenti poco calorici come quelli che si possono mangiare crudi, esclusa la frutta secca. La persona introduce grandi quantitativi riempiendo lo stomaco ma assume poche energie, oppure passa da un’alimentazione iperglucidica ad una iperproteica. Gli enzimi ancora non sono in grado di permettere all’organismo di assimilare al meglio il cambio di macronutrienti e molte calorie introdotte non vengono assorbite (purtroppo questo giochino nei mesi smetterà di funzionare e il basso contenuto glucidico abbatterà i livelli di leptina abbassando il metabolismo). Le diete che prediligono alimenti a bassa densità energetica, se usate correttamente, portano ad una reale perdita di massa grassa, ma non perché una caloria non sia una caloria. In definitiva possiamo asserire che, in linea di massima, si ingrassa perché si introducono più calorie di quelle che si consumano, stop. Ci ritroviamo grassi non dall'oggi al domani ma perché giornalmente eccediamo senza accorgercene. Questo purtroppo inizia fin dall'infanzia, quando, pur restando magri, mangiamo male (patatine, bibite zuccherate, dolci e merendine). Il nostro corpo inizia a prediligere alimenti che portano il metabolismo verso il sovrappeso. Bambini magri saranno adulti grassi senza rendersene conto. Ogni volta che assumiamo delle calorie è come se portassimo sopra ad una collina un masso (energia potenziale). Non è detto che per forza debba rotolare giù neH’immediato. Senza accorgercene negli anni possiamo accumulare pietre su pietre, per poi una volta che ci siamo messi a dieta renderci conto che non dimagriamo. L'energia potenziale che abbiamo raccolto ci permette di mantenere il nostro stato anche se il deficit calorico è negativo. Soltanto col tempo e la perseveranza potremo modificare la nostra situazione, non bastano poche settimane di dieta ferrea. Se abbiamo mangiato male per anni non possiamo pensare di sbloccare la situazione in settimane o pochi mesi.

Un nuovo concetto di caloria Abbiamo scritto sopra che si ingrassa perché si assumono più calorie di quelle che si consumano. Ma allora perché il mio collega, col quale lavoro ormai da 10 anni, che sta fermo come me, mangia come me, è magro ed io sono grasso? Per lo stesso motivo per cui con una temperatura esterna di 20° ci sarà chi ha freddo e chi invece sta bene. La caloria è un’unità di misura universale, la caloria metabolica è invece un’unità di misura soggettiva. Che cos’è la caloria metabolica? È un’indicazione che mette in relazione le calorie assunte con lo stato metabolico del soggetto. Chi ha una buona risposta insulinica e buoni mitocondri a parità di calorie ingrasserà meno mangiando i carboidrati, al contrario chi ha una resistenza insulinica dovrà stare attento (sempre a parità di calorie) ai picchi glicemici. Se le vostre cellule muscolari sono ricche di GLUT-4 (i trasportatori di membrana del glucosio) ed avete una buona densità mitocondriale, a parità di cibo assunto, gli effetti saranno completamente differenti rispetto a chi ha uno stato metabolico opposto. Il bilancio energetico determina sempre se si ingrassa oppure no, ma questo avviene sempre in base allo stato metabolico soggettivo dell’individuo. La caloria metabolica è ad personam, non

può essere utilizzata universalmente perché non ha un’unità di misura ma serve a livello concettuale per comprendere l’argomento. Per migliorare la composizione corporea bisogna lavorare su due fronti, da un lato sul conteggio calorico, dall'altro sullo stato metabolico. Dobbiamo fare in modo che le calorie introdotte vengano dirottate verso il tessuto contrattile e non verso la massa grassa. Dobbiamo aumentare l'ossidazione dei macronutrienti (dentro i mitocondri) piuttosto che stimolare la formazione di nuovi trigliceridi. La dieta non si può limitare a fornire meno energie. Ci ridurremmo sempre a togliere, per poi seguire un regime non protraibile nel tempo. Dobbiamo far sì che le calorie introdotte vengano utilizzate correttamente attraverso uno stato recettoriale/mitocondriale ottimale. Quanto state introducendo al momento? E queste calorie nell’ultimo mese hanno determinato un aumento del peso, uno suo stato stazionario o una sua diminuzione? Il conteggio parte dall'individuo, è su di lui che bisogna iniziare a ragionare per capire che strada intraprendere Abbiamo margine per limitare le calorie o è meglio puntare a migliorare la sensibilità insulinica? E per farlo, che strada scegliamo? Una limitata low carb (dieta con pochi carboidrati) o un regime con un alto contenuto di glucidi complessi e pochi grassi? L'allenamento che ruolo svolge in tutto questo? Dare delle indicazioni generali (1600-2000 kcal per le donne, 2500-3000 kcal per gli uomini) può andare bene se ci rivolgiamo ad una popolazione espansa. Partire dall'introito calorico giornaliero individuale è invece molto più utile per avere un quadro soggettivo su cui basare un regime alimentare efficace e salutare. Se proprio dobbiamo dare delle indicazioni generali (le quali verranno approfondite meglio nei prossimi capitoli), diremo che se siete un uomo di 80 kg e non assumete almeno 2550-3000 kcal (32-37 kcal/kg) sarà controproducente per voi mettersi a “dieta”', converrà prima dedicare alcuni mesi ad un reset metabolico per “alzare” il metabolismo. In questo contesto è interessante citare il Minnesota Starvation Experiment, condotto negli anni quaranta. 36 soggetti ritenuti idonei vennero tenuti in un regime fortemente ipocalorico (meno 1600 kcal rispetto al loro fabbisogno) per 24 settimane. Inizialmente calarono tutti di peso fino ad arrivare mediamente intorno ad una perdita del 25%. Dopodiché in tutti i soggetti il peso si assestò e smisero complementazione di perderlo, anche se dai calcoli metabolici erano ancora fortemente con un bilancio calorico negativo (bisogna tuttavia dire che avevano raggiunto livelli di grasso minimi). Questo può avvenire perché quando la massa magra viene erosa, la dispersione in calore delle energie introdotte, cala vertiginosamente. In definitiva, il nostro organismo è ben più efficiente di una mera bomba calorimetrica, ma ricordiamoci che non per questo dobbiamo disprezzare il concetto di caloria.

L'efficienza metabolica Per concludere il discorso sulle calorie dobbiamo introdurre il concetto d’efficienza metabolica. Quando mangiamo gli alimenti, li digeriamo, scomponiamo ed assimiliamo. Tutti questi processi sono volti principalmente a ricavare dal cibo l’adenosintrifosfato (ATP), ovvero la moneta di scambio che il nostro organismo usa come energia. La resa di questo processo è in realtà però molto bassa, intorno al 40% per i carboidrati e lipidi ed del 30-35% per le proteine. Tradotto cosa vuol dire: che 100 kcal di glucidi non corrisponderanno a 100 kcal spendibili per i processi organici ma solo il 40% di queste sarà utilizzabile, il restante 60% verrà disperso in calore. Avete 100 dollari, andate in banca per convertirli in euro e vi ridanno solo 40 euro. Lo sappiamo, vista così sembra una fregatura. In realtà non lo è (almeno totalmente) ma questo lo vedremo in seguito.

Sono tanti i fattori che giocano un ruolo nell’assimilazione delle calorie, il primo è lo stato della flora batterica intestinale. I microbi che vivono in simbiosi con noi ci permettono di non ammalarci e di stare in salute, ma hanno un costo. Meno ne abbiamo, per via di un’alimentazione errata, degli antibiotici, ecc. e più calorie passano la barriera intestinale, al contrario più la nostra bioflora sta bene e più calorie ci “ruba ”, Anche gli ormoni giocano un ruolo essenziale nel bilancio calorico: insulina, leptina, ormoni tiroidei, adiponectina, sono tra i principali regolatori del nostro stato energetico. Più si alzano e più disperdiamo in calore quello che assumiamo ma... ma a tutto c’è un limite. Quando i livelli diventano cronicamente troppo alti sviluppiamo una resistenza ad essi. Insulino-resistenza, leptino-resistenza, rendono poco recettivo l’organismo a livello ematico a questi ormoni. Il dispendio calorico si abbassa come se i valori fossero cronicamente minimi. Così il nostro corpo in sovrappeso vive come se fosse denutrito. Un altro punto importante riguarda il turnover dei tessuti vecchi e danneggiati. Continuamente l’organismo li ripara o sostituisce (i tessuti più coinvolto sono le cellule intestinali ed epatiche), per farlo, utilizza anche cicli futili che generano calore. Tale processo può essere più o meno accelerato e ripetuto a seconda della disponibilità energetica. Tutti gli eventi, che “sprecano” calorie, si svolgono all’interno del mitocondrio, l’organulo deputato a ricavare l’energia (almeno la maggior parte) nel nostro organismo. Di base più il mitocondrio sta bene, maggiore è la sua densità e più può permettersi d’essere spendaccione. Al contrario più è piccolo e danneggiato più diventa tirchio. Diversi fattori governano la loro efficacia. Le proteine mitocondriali UCP-2 e 3 regolano la produzione di ATP e la sua dispersione in calore. Sono influenzate da: ormoni tiroidei, glucocorticoidi, recettori di membrana e macronutrienti. Per esempio, un’elevata presenza d’acidi grassi nel flusso ematico smorza, nel lungo periodo, l’attività delle proteine UCP (nel breve invece fanno l’esatto contrario). L’ultimo fattore che contribuisce all’efficienza o inefficienza metabolica è l’infiammazione. Anche una leggera infiammazione silente, molto comune in chi mangia molti grassi saturi o carboidrati raffinati, contribuisce ad aumentare l'inflessibilità metabolica. La natura ci ha creato spreconi, inefficienti, ma questa inefficienza ci permette di avere un margine qualora il corpo si ritrovi in ristrettezza energetica. In questo caso diventa sempre più parsimonioso ed efficiente. Se il metabolismo non fosse flessibile un aumento minimo delle calorie porterebbe sempre ad un aumento di peso, in realtà questo si verifica solo nel primo periodo per poi bilanciarsi ed azzerarsi. Lo stesso avviene anche con i deficit calorici. Inizialmente portano ad un maggior catabolismo dei tessuti ma via via l’organismo neutralizza questo bilancio negativo migliorando l’efficienza e diminuendo la dispersione in calore. Per concludere dobbiamo abbinare ai concetti di efficienza ed inefficienza quello di capacità, altrimenti il significato che attribuiamo alle parole funziona al contrario, in quanto Teffìcienza viene comunemente vista come una cosa positiva. La capacità riguarda il pool enzimatico e la capacità metabolica di attingere alle energie. Chi ha un’alta inefficienza possiede un’alta capacità, ovvero ha molti enzimi deputati alla produzione di energia. L’organismo è in grado di utilizzare rapidamente le sue fonti energetiche, come durante lo sport, per esempio. Chi svolge abitualmente attività fìsiche intense ha più tessuto magro e possiede più enzimi, è come una macchina con un motore molto grosso. Il mantenere questa struttura ha un costo metabolico elevato anche a riposo. Al contrario chi ha una buona efficienza ha una bassa capacità metabolica. Pochi enzimi, pochi scambi biochimici, una scarsa capacità di produrre rapidamente energia. Questo si traduce in un piccolo motore con dei costi metabolici minimi.

Quando pensate al vostro metabolismo ricordatevi sempre questo:

Inefficienza metabolica / alta capacità energetica: alto metabolismo Efficienza metabolica / bassa capacità energetica: basso metabolismo

Quante calorie servono per non variare di peso? Se siete in uno stato stazionario (il vostro peso non varia nelle settimane) avete già trovato la risposta: quelle che state assumendo. Se invece nell’ultimo periodo avete perso o assunto chili, conviene partire da qualche formula. Ricordiamo che tutte le indicazioni qui riportate sono assolutamente generiche e vanno lette come indicazioni di partenza. La prima cosa che dobbiamo sapere è che il fabbisogno giornaliero è costituito dalla somma di questi tre parametri: 1) 70% da processi interni

È il metabolismo basale, quello che ci tiene in vita quando stiamo fermi, svegli a letto. Gli organi (fegato, cervello, cuore e rene) rappresentano solo il 6% del peso corporeo eppure contribuiscono per il 60-70% al metabolismo basale. Al contrario il muscolo rappresenta il 40% del peso corporeo ma consuma solo il 18-20% delle calorie. Questo ci fa capire che un aumento della massa muscolare non è così rilevante per aumentare il dispendio calorico giornaliero. Oltre il set point un chilo di muscolo aggiunge al metabolismo basale solo di 17-21 kcal/die, una cifra irrisoria calcolando quando sia difficile aumentare il tessuto contrattile.Tuttavia vedremo nei prossimi paragrafi perché possedere più muscolo aiuta a migliorare la composizione corporea senza influire particolarmente sul bilancio calorico.

2) 10% dall'ADS Ogni volta che mangiamo il nostro organismo impiega energie per digerire ed assimilare i nutrienti. In media il 10% della spesa totale è data dall'azione dinamica specifica (ADS). In realtà il corpo consuma di più per digerire e scomporre le proteine (in media 22,5%) e meno per carboidrati e grassi (7,5-3,5%). Tuttavia, se abbiamo una ripartizione dei macronutrienti bilanciata (secondo i canoni della dieta mediterranea; in % 60C-15P-25G), si fa un'approssimazione intorno al 10%.

3) 20% dall'attività fisica

Questa è la spesa indotta dell'attività lavorativa e dallo sport. Possiamo constatare che soltanto una piccola parte del fabbisogno giornaliero varia in base all'attività svolta. Se praticate tanto sport (non di resistenza) non crediate di potervi permettere di mangiare quanto volete.

Generalmente i nutrizionisti, quando calcolano il fabbisogno calorico indotto dall’attività fisica, tendono a sopravvalutare questo fattore, ottenendo clamorosi errori nel misurare il reale consumo dovuto alle diverse attività fisiche. Un conto è eseguire un gesto (esercizio), o uno sport nuovo, un altro è ripeterlo da anni. L'economia del gesto fa precipitare i dispendi energetici delle attività che svolgiamo abitualmente. L'ultimo punto che dobbiamo tenere presente riguarda la stazza e la percentuale di grasso corporeo della persona, due fattori che tenderanno a sovrastimare o sottostimare i dati che otterremo con le prossime formule. In proporzione un elefante consuma molte meno calorie di un topo. Questa legge antropometrica è valida anche per gli esseri umani. Più si è piccoli di statura, più si è magri geneticamente e più il nostro metabolismo sarà elevato. Al contrario persone alte, grosse e che geneticamente tendono al sovrappeso, avranno, in proporzione, un fabbisogno calorico più basso.

Le formule usate per calcolare le calorie giornaliere di solito si rivolgono a chi vuole dimagrire, pertanto se siete di media/bassa statura e/o magri di natura, facilmente il risultato ottenuto sarà sottostimato. La percentuale d’errore delle seguenti formule è circa del ± 20-30%. Pertanto una volta calcolato l’ipotetico fabbisogno calorico giornaliero va verificato ed adattato sull’individuo. 1 ° Formula

Il primo sistema per predire in modo semplice il metabolismo basale giornaliero (MB) consiste nell’utilizzo dell'equivalente metabolico, il MET.

1 MET corrisponde a 1 kcal/(kg*h). Perciò per un uomo di 80 kg: MB = 1 kcal/(kg*h)x 80 kg x 24 h = 1920 kcal A queste aggiungeremo un 30% (10% dall'ADS e 20% dall'attività): 1920 kcal + (1920 x 30% kcal) = 2496 kcal

Questo per un uomo di 80kg che non svolge mestieri pesanti e che si allena 3 volte a settimana.

Le donne al posto che moltiplicare per 1 kcal moltiplicheranno per 0,9 kcal. Quindi una ragazza di 55 kg avrà un metabolismo basale di: MB = 0,9 kcal/(kg*h) x 55 kg x 24 h = 1188 kcal A queste aggiungeremo un 30% (10% dall'ADS e 20% dall'attività): 1188 kcal + (1188 x 30% kcal) = 1544 kcal

Questo per una ragazza di 55kg che non svolge mestieri pesanti e che si allena 3 volte a week.

Dopo i quarant’anni il metabolismo si abbassa del 2-5% per ogni decade d'età. Negli ultimi anni questa formula è stata aggiustata al ribasso moltiplicando i valori per 23 e non più per 24. 2° Formula Un'altra formula molto semplice per conoscere il metabolismo basale, è quella di moltiplicare il proprio peso corporeo per:

Uomini 32-34 - Donne 30-32

Ad esempio, per un uomo di 80 kg di peso corporeo:

MB = 80 kg x 32 = 2560 kcal (valore minimo) MB = 80 kg x 34 = 2720 kcal (valore massimo) Il calcolo può essere veritiero per persone magre fino ad una percentuale di massa grassa non superiore al 12-15% (uomini) e al 22-24% (donne), sopra la massa grassa in eccesso richiede molte meno calorie. 3° Formula

Esistono anche altri calcoli più accurati per stimare il metabolismo basale (non quello giornaliero) che prendono in considerazione anche l'altezza. Uno specifico per gli atleti è :

MB = Uomini: 10 x Peso (kg) + 6,25 x h (cm)-5 x età (anni) + 5 MB = Donne: 10 x Peso (kg) + 6,25 x h (cm)-5 x età (anni) -161

Un atleta di 30 anni, alto 180 cm per 80kg di peso corporeo avrà un metabolismo basale pari a :

MB = 10 x 80 + 6,25 x 180-5 x 30 + 5 = 1770 kcal Come vedete un risultato è simile a quello del MET se lo moltiplichiamo per 23. 4° Formula

Lyle McDonald uno dei ricercatori più importanti usa un'altra formula molto semplice per calcolare il metabolismo giornaliero (MG): Selezionate i coefficienti sulla base dell'attività fisica Attività

Coefficienti

Sedentario

10-11

Attività moderata4

12 - 13

Attività intensa5

18 - 19

MG = Peso (kg) x 2,2 x Coefficiente

Ad esempio, per il nostro uomo di 80 kg che fa attività fisica moderata: MG minimo = 80 kg x 2,2 x 12= 2112 kcal MG massimo - 80 kg x 2,2 x 13= 2430 kcal 5° Formula

Altre formule, da tenere più in considerazione se siete in sovrappeso, basano il fabbisogno calorico giornaliero esclusivamente sull'altezza e non sul peso.

MG uomini: Altezza2 (m2) x 700-750 MG donne: Altezza2 (m2) x 600-650 Per il nostro uomo di 180 cm di altezza:

MG minimo = 1,8 x 1,8 x 700 = 2268 kcal

MG massimo = 1,8 x 1,8 x 750 = 2430 kcal 6° Formula Un’ultima formula per il metabolismo basale è quella di Harris-Benedict e comprende tutti i parametri antropometrici più l’età del soggetto:

MB uomini: 66,5 + 13,75 x Peso (kg) + 5,003 x Altezza (cm) — 6,775 x Età MB donne: 655,1 + 9,563 x Peso (kg) + 1,850 x Altezza (cm) —1,16 x Età A questo dato si aggiungono 25-30 kcal ogni punto percentuale di massa grassa in meno sotto al 16%, questo perché metabolicamente il muscolo consuma più del grasso (anche se non così tanto come abbiamo già visto). 4 3 allenamenti a settimana 5 Allenamenti giornalieri

Ad esempio, per un uomo di 80 kg, alto 180 cm, di 30 anni, col 10% di grasso corporeo:

MB = 66,5 + 13,75 x 80 + 5,003 x 180 - 6,775 x 30 = 1864 kcal A cui si aggiungono 150 kcal perché ha il 10% di grasso corporeo

Da notare che la formula è del 1919, un secolo fa. Ha una stima d’errore in soggetti sani in normopeso di 50-100 kcal. Possibile che in un secolo non si siano trovate formule migliori? Si, per ogni etnia, età, patologia, c’è un calcolo di riferimento, ma il margine d’errore per il pubblico a cui ci rivolgiamo non è rilevante. Se dopo un secolo una formula metabolica è ancora usata, è segno che le mode passano ma i principi rimangono. Come vedete a seconda dei calcoli che facciamo le calorie possono variare. Qual è quella corretta? Provatele e misurate, se il vostro peso non varia avete trovato quella che fa per voi. Ricordatevi che possiamo ancorarci ai numeri solo dopo averli verificati.

Quante calorie per dimagrire? Una volta calcolato e verificato il fabbisogno calorico totale, per dimagrire potrebbe bastare introdurre il 10-20% in meno delle calorie necessarie. Un leggero deficit abbinato ad un corretto allenamento porterà l'organismo lentamente a raggiungere una miglior composizione corporea. Deficit più importanti porteranno sicuramente a perdere peso più velocemente, ma intaccheranno maggiormente i livelli di glicogeno e la massa magra. Va ricordato che: 1. Una diminuzione di peso ristretta nell'arco di una giornata è a carico dell'acqua e del glicogeno. 2. Quando varia nella settimana è a carico principalmente dell'acqua, del glicogeno, della massa magra e della massa grassa. 3. Quando varia nei mesi è a carico soprattutto della massa grassa. Guardare solo alla bilancia può essere un grave errore; per questo, come abbiamo visto nel precedente capitolo, è sempre meglio verificare a quale tessuto è imputabile una variazione.

Un'altra strategia che possiamo adottare è quella di ridurre l’introito giornaliero di 50-100 kcal ogni settimana, monitorare i cambiamenti e solo quando non variamo più di peso scendere ulteriormente di altre 50-100 kcal. Mediamente si taglierà ogni 7-21 giorni. Va ricordato che la perdita di grasso non è un processo lineare, ma ad onde, magari per qualche settimana non si varia e poi improvvisamente si cala. Infine va specificato che, anche se Ig di grasso sono 9kcal, Ikg di adipe sono 7000kcaL Come mai questa differenza? Perché nell’adipocita troviamo anche una componente acquosa (15-20%) che riduce il suo contenuto energetico.Teoricamente per dimagrire di 500g a settimana dovremmo impostare un deficit calorico di 3500 kcal. Questo dato tuttavia non è indicativo e varia ± del 60% a seconda dello stato metabolico del soggetto. A parità di deficit (3500 kcal) le persone possono perdere dai 200g agli 800g. Una bella differenza. Quanto più una persona è grassa e più possiede massa magra (sportivo in sovrappeso) tanto più può permettersi di perdere peso velocemente, ma quando si arriva sotto al 15% di BF (Body Fat) negli uomini, 24% nelle donne, le variazioni non dovrebbero superare lo 0,5-1% del proprio peso corporeo, per non intaccare eccessivamente la massa muscolare. Quindi un individuo di 80kg col 15% di BF, dovrebbe scendere tra i 400 e 800g a settimana e non di più. Il segreto è che l'organismo non deve quasi accorgersi che sta perdendo grasso, in questo modo i cali ormonali (soprattutto la diminuzione della conversione del T4 in T3) vengono limitati. E ormai dimostrato che le diete ipocaloriche abbassano l'asse leptina-tiroide-gonadi (come vedremo nel capitolo sugli ormoni). La gradualità della perdita di peso limiterà questo evento fisiologico.

Un approccio moderato, se non siamo eccessivamente in sovrappeso, risulta la strategia migliore per modificare la composizione corporea, ma richiede tempo e pazienza. Per concludere, ribadiamo che possiamo togliere le calorie solo se prima le abbiamo aggiunte (fase di reset metabolico), ovvero se il nostro metabolismo di partenza ha un alto fabbisogno calorico. Non fate l’errore di abbassarle partendo da un metabolismo lento (vedi capitolo finale).

Quante calorie servono per mettere su massa? È stato dimostrato che gli ormoni anabolici tendono a calare quando nel lungo periodo mangiamo meno, allo stesso modo tendono ad aumentare quando seguiamo un'alimentazione ipercalorica. Gli ultimi studi mostrano come un surplus energetico del 30-40%, accompagnato da una sufficiente quota proteica-glucidica-lipidica, aumenti l'anabolismo e la massa magra nei sedentari. Ciò significa che la risposta è organica ed indipendente daH'allenamento. Tuttavia un approccio del genere porterà a farci accumulare anche molto grasso. Per questo, come per la dieta ipocalorica, conviene aumentare leggermente il fabbisogno giornaliero di un 10-15%, non di più. Alcune persone geneticamente magre tuttavia potranno andare anche oltre il 20%, aumentando di settimana in settimana di 50-100 kcal fino a quando non vedranno sbloccare la situazione. Va ricordato che se mangiate oltre le 4000-5000 kcal e continuate a non aumentare di peso potete soffrire di problemi di mal assorbimento. Piuttosto che continuare ad ingozzarvi di cibo meglio fare una visita da uno specialista. I glucidi in questa fase devono rimanere alti per segnalare continuamente all'organismo che i livelli energetici sono ottimali. La sintesi proteica è potenziata quando il glicogeno muscolare e quello epatico sono saturi. Durante la fase di massa state ben attenti a non aumentare eccessivamente col grasso corporeo. A seconda della propria genetica le percentuali di BF migliori per la crescita muscolare sono intorno al 11-12% (soggetti tendenti al magro) o al 14-15% (soggetti tendenti al grasso), non superatele. Se partite con percentuali superiori conviene, per iniziare, puntare ad una ricomposizione corporea (perdita di grasso e contemporaneamente acquisto di massa magra), ma di questo ne parleremo nel capitolo finale

Il fabbisogno settimanale Una volta stabilito quante calorie possiamo assumere al giorno è importante comprendere che l'organismo non ragiona nelle 24 ore ma in settimane o addirittura in mesi e, se guardiamo alla vita dell'adipocita, in anni (circa 8). I primi cambiamenti metabolici rilevanti avvengono solo dopo 4872 ore di dieta drastica (digiuno o pochissimi carboidrati) e non nel corso di una singola giornata. Non è vero che fare tanti piccoli pasti migliora la sintesi proteica e l’anabolismo e non è altrettanto vero che farne solo 1 -2 aiuta la perdita di grasso. Gli studi migliori (meta-analisi) mostrano che nel cronico è il conteggio calorico settimanale a dare la direzione metabolica all’organismo, non il numero di pasti nelle 24 ore. Pertanto non è importante quante calorie giornaliere assumete, ma quante ne prendete nell’arco della settimana. Ammettiamo che il vostro fabbisogno giornaliero sia di 3000kcaL In una settimana dovreste quindi assumerne 21000kcal. Se il sabato sera uscite con gli amici e la domenica siete dai parenti, ed in soli 2 giorni assumete 8000kcal, durante la settimana dovete tenervi più leggeri mangiandone solamente 2600kcal al giorno (anziché le 3000kcal). Programmate gli sgarri e ribilanciateli, “uno sgarro programmato non è più uno sgarro In una persona sana e magra 24-36 ore d'eccesso calorico (specialmente se glucidico) non portano ad ingrassare ma ad accumulare più glicogeno ed acqua. Il surplus energetico viene ossidato (soprattutto se deriva da un eccesso di carboidrati). Al contrario, chi tende all’insulinoresistenza, se mangia più zuccheri anche per un breve periodo, ingrassa più facilmente.

Questo vuol dire che se vi allenate e mangiate correttamente lo sgarro settimanale non preclude mai i risultati. Ovviamente se assumete molti zuccheri insieme a molti grassi, l'alta insulinemia in presenza di trigliceridi porterà a processi di liposintesi (come studieremo nel quarto capitolo). Meglio sgarrare solo con i carboidrati o solo coi grassi (tra i due meglio la prima scelta se siamo degli sportivi). All'opposto il corpo impiega 3-4 giorni ad accorgersi che sta introducendo meno calorie rispetto al suo fabbisogno (se la dieta non è eccessivamente estrema). Pertanto solo dopo 3-4 giorni la leptina (ormone che regola il metabolismo) inizia a scendere. Questo ci permette d'adottare strategie in cui abbiamo una riduzione calorica fino a 3 giorni consecutivi, ricaricare tornando ad una normocalorica il quarto e poi ripartire con la restrizione. È essenziale ricordare che la leptina è regolata dal metabolismo glucidico adipocitario, quindi non basta assumere sufficienti calorie ma bisogna anche assumerle sotto forma di carboidrati. Un'altra strategia vincente è quella di introdurre più calorie nei giorni in cui ci si allena e di assumerne meno nei giorni off. Magari cambiando anche il rapporto tra i macronutrienti.

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Giorni On: più calorie e carboidrati.

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Giorni Off: meno calorie e più proteine e grassi.

Alcuni autori suggeriscono addirittura il contrario per potenziare l'effetto rebound. Il corpo cresce quando non ci si allena. La disponibilità di calorie e carboidrati nei giorni Off assicura tutte le energie per attivare la sintesi proteica. Invece la carenza calorica e glucidica nei giorni On apporta una migliore ossidazione del grasso. È comune a molti avere più fame quando non ci si allena, mentre nei giorni deH’allenamento ci sentiamo appagati prima. Sono metodi che si basano su principi differenti, quale sia il migliore sta a voi trovarlo, noi crediamo che tutte le strade, se seguite con logica, portino ad una migliore composizione corporea. Ultima questione per quanto riguarda il fabbisogno settimanale è il digiuno. Alcuni approcci del digiuno intermittente (dieta che studieremo in seguito) propongono un giorno a settimana senza pasti. Conosciamo diverse persone che si sono trovate bene, ma riteniamo che questa sia una scelta non adatta a tutti. Un conto è rimanere senza mangiare per qualche ora (in media 16-18h) tutti i giorni della settimana, arrivando così nel tempo ad abituare l'organismo, un altro è saltare in una intera giornata tutti i pasti. La pratica discontinua impone un difficile adattamento organico che porta ad un maggior senso di stanchezza e ad una maggiore proteolisi.Digiunare un giorno ogni sette fa perdere peso perché assumiamo meno calorie settimanalmente, ma la perdita potrebbe essere anche a discapito della massa magra. Va ricordato in ogni caso che, nei soggetti allenati, il maggior catabolismo del tessuto contrattile dato dal digiuno, favorisce un effetto simile alla supercompensazione appena si introducono zuccheri ed aminoacidi in quantità sufficienti. La sintesi proteica è maggiore in chi digiuna rispetto a chi segue i canonici 3 pasti. Quindi, in definitiva, l’organismo recupera quello che ha perso. Il fabbisogno settimanale è un concetto utile per comprendere che possiamo vivere la dieta senza essere maniacali, ciclicizzare è sempre una strategia migliore della ripetitività; è inutile seguire un regime in cui dobbiamo per forza rispettare tutti i giorni una determinata percentuale di macronutrienti o un certo quantitativo calorico. L'uomo si è dato delle regole per gestire al meglio la giornata, regole che non sempre trovano una conferma a livello fisiologico. Questo comunque non toglie che una direzione la dobbiamo seguire, quindi il bilancio calorico settimanale risulta essere un dato molto utile e spendibile per migliorare.

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Capitolo II

Vuoi dimagrire? Vai dallo psicologo Prima di iniziare ad inoltrarci tra i processi biochimici e fisiologici che portano ad una migliore composizione corporea non possiamo non parlare della psicologia e del ruolo fondamentale che svolge in ognuno di noi, soprattutto per quanto riguarda il cibo. In una società perfetta tutti saremmo magri e con la barba.

Tutti conosciamo quali sono gli alimenti che ci fanno bene (frutta, verdura) e quali invece ci fanno male (cibi raffinati, zuccheri semplici, alimenti conditi ed eccessivamente grassi), eppure nessuno si limita a mangiare un finocchio o una zucchina senza aggiungere un po' di olio e sale. Il cibo è la prima forma d'amore

Da esso noi ricerchiamo il piacere, l'appagamento. Come con una grossa tetta ritroviamo il modo di consolarci e di premiarci. L'immagine che abbiamo di chi sta a dieta è quella di una persona triste, che si priva momentaneamente (finche resiste) dei piaceri della vita. Possiamo consolarci andando a fighe, ma in quanti possono tornare a casa sempre soddisfatti? Il frigo invece non ti abbandona mai. L'industria alimentare è incentrata non sul nutrire bene la popolazione ma sull’appagarla. Ci scandalizziamo di fronte alla droga (cosa giusta), quando l'alcol fa molti più morti ed ancora di più il sovrappeso. Oltre il 50% della popolazione italiana mangia a discapito della sua salute. Ignari continuiamo ad ingozzarci non per far fronte al nostro fabbisogno fisiologico ma per la dipendenza psicologica (inconscia) che abbiamo nei confronti del cibo. Non esistono ultracentenari grassi, chi è in sovrappeso vive male e chi è obeso vive peggio. Basterebbe poco per stare in salute eppure... Bisogna essere consci che noi mangiamo anche per nutrirci.

L'ortoressia Con l'avvento dei social network il sapere si è diffuso molto più facilmente; tuttavia, contemporaneamente il livello delle informazioni si è abbassato vertiginosamente. Su Facebook esistono delle verità che gli scienziati ignorano

Negli ultimi anni si sono diffuse tantissime diete che vendono pseudoscienza: un esempio classico è quella dei gruppi sanguigni, linkata milioni di volte ma con nessuno studio scientifico alle spalle. Sarebbe una scoperta utilissima a livello scientifico e medico sapere se, in base al nostro gruppo sanguigno, possiamo mangiare determinati alimenti rispetto ad altri. Se fossimo intolleranti ai latticini basterebbe conoscere il proprio antigene sanguigno, per esempio. Questa dieta, per quanto popolare sia, è pseudoscienza eppure tantissime persone si sentono subito meglio nel seguirla. Avviene la stessa cosa con chi toglie il glutine, le proteine animali, le caseine, ecc. Il fatto di eliminare alcuni alimenti, senza che ci sia una reale prova scientifica a riguardo, ci alza il nostro stato di benessere, ci convinciamo che quello che ci faceva male è stato tolto. 1 vegani si sentono benissimo senza carne, chi segue la Paleo sta nello stesso modo togliendo i cereali, tutti appena tolgono il latte rinascono. La nostra posizione è quella di giudicare realmente se a livello scientifico ci sono prove inconfutabili per togliere un alimento, oppure ci sono solo degli indizi o neanche quelli. Vedremo nel paragrafo sulla densità energetica che un cibo deve essere giudicato per il suo apporto calorico in rapporto ai micronutrienti che contiene. Se un alimento è naturalmente salutare (idratato, ricco di fibre, vitamine e minerali) e non ha subito processi che lo possono alterare (allevamenti industriali, raffinazioni, ecc.) non c'è motivo logico per toglierlo. Il benessere psicofisico neH’eliminare alcuni alimenti è reale ma è frutto di un'autosuggestione che nella maggior parte dei casi dura fino ad un paio d'anni, dopodiché la persona cerca nuovi cibi da sostituire ed eliminare per ritrovare quella sensazione, data dalla novità, che si è persa. L'effetto placebo è potentissimo (“il nulla che cura e ricongiunge mente e corpo”). Nella cultura occidentale è stato studiato la prima volta durante la grande guerra. Ai soldati semplici, vista la carenza di medicine, veniva veicolato un placebo per lenire il dolore delle ferite (in quel periodo venne anche sperimentata l'eroina). Persone mutilate, soffrivano meno se assumevano zucchero. Una cura comune nelle cliniche psichiatriche è quella di fornire falsi psicofarmaci ai pazienti che lamentano forti emicranie e dolori. Nel momento in cui una persona assume qualcosa per il suo benessere automaticamente ha un giovamento, indipendentemente dalla reale efficacia. Lo stesso avviene al contrario con l'effetto nocebo. Test sperimentali hanno mostrato che pazienti a cui venivano somministrati impacchi di false erbe urticanti presentavano eritemi: credere che qualcosa faccia male scatena reazioni biochimiche di difesa. In maniera molto simile succede col cibo: pensare che un determinato alimento faccia bene o male determina in noi sensazioni diametralmente opposte, a volte anche reazioni pseudo-allergiche ed immunitarie. Ricordiamoci che sentirsi meglio non vuol dire stare meglio. Utilizziamo test oggettivi: i parametri ematici sono variati? Avete perso grasso viscerale? Avete fatto qualche esame da uno specialista per dire che non potete assumere un alimento? E questo specialista che test ha usato, che valore ha a livello scientifico? E pieno di medici che consigliano, nel proprio ambulatorio privato, analisi prive di riferimenti scientifici. Ad inizio carriera lavoravo in un centro polifunzionale dove si faceva utilizzare una macchina per misurare lo stato bio-energetico. Ovviamente l’apparecchiatura non aveva nessuno studio a proprio supporto anche se a consigliarla era un medico. Abbiamo conosciuto persone entusiaste àeW'urinoterapia (una volta si chiamava volgarmente pissing). Solo dopo aver bevuto per molti mesi, rigorosamente a stomaco vuoto, centinaia di litri della propria pipì, si sono rese conto che forse la loro salute non migliorava. Ogni volta che intraprenderete una nuova strada, una nuova dieta, una nuova filosofìa, l'effetto psicologico sarà sempre dominante. Rimanete sempre ancorati alla realtà e ai dati oggettivi e numerici. Per concludere va evidenziato che alcune università e centri medici eseguono screening genetici per dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo mangiare. Purtroppo questi test (eseguiti col

tampone gengivale) non hanno alcun valore perché ormai è dimostrato che nella selezione alle risposte personali ai cibi intervengono almeno decine di geni (alcuni prò, alcuni contro), non uno, due o tre. Dire che geneticamente non siamo predisposti per mangiare determinati alimenti, vuol dire aver fatto un’analisi accurata del nostro patrimonio genetico. Al momento tale analisi viene fatta solo negli Stati Uniti ad un costo di 100.000 dollari. Voi quanto avete speso per il vostro test genetico? Anche per gli esami sulle intolleranze l’attendibilità è molto bassa. Le allergie sono facilmente individuabili, le intolleranze invece sono difficili da evidenziare. Il test fatto in farmacia, per esempio, è una bufala. Siete in sovrappeso e non riuscite a dimagrire? Probabilmente non avete intolleranze, perché nel 95% dei casi queste portano a problemi d’assorbimento, ad essere denutriti, non al sovrappeso. Guardate sempre l’attendibilità scientifica dei test a cui vi sottoponete, non fidatevi e non buttate via i vostri soldi...se non per soddisfare un’esigenza psicologica di trovare un colpevole al vostro problema.

I frutti del sapere Una delle domande più frequenti che ci viene posta è la seguente: esiste qualche prodotto che aiuti a dimagrire? La caffeina si è rilevata una delle sostanze migliori, inibendo i recettori a adipocitari e potenziando l'intervento delle catecolamine, ormoni utili al dimagrimento. Tuttavia esiste un mix naturale di prodotti molto più efficace. Da studi condotti all'università di Iena si è visto che un insieme di ananas e pompeimo rosso, assunti a stomaco vuoto, inibiscono la produzione di malonil-CoA permettendo così di potenziare gli effetti di una dieta ipocalorica fino al 37%.Risulta quindi evidente che spendendo pochissimo, senza effetti collaterali (anzi ananas e pompeimi sono ricchi di sostanza nutritive), possiamo dare uno scossa al nostro metabolismo. Si consiglia, per essere certi dell'effetto, di assumere mezzo ananas e 2 pompeimi a stomaco vuoto, tutte le mattine, per via rettale. Interessante vero? Peccato che, ovviamente, non sia vero. Su internet, su Facebook, è pieno di articoli simili che invitano a credere a quanto viene affermato. Ormai il lettore assorbe molte informazioni passivamente, gli basta leggere che esiste qualche studio a supporto, che ci sono pochi sacrifici da fare ed inconsciamente è bendisposto a credere in quello che legge. Io soffro di vene varicose (degenerazione dei vasi sanguigni), a 30 anni le due safene si sono sfaldate e le altre vene non sono messe molto meglio. Su internet trovo decine di articoli che mi dicono i 10 alimenti contro le vene varicose. Peccato che già di mio li assumo quasi tutti ma questo non ha mai cambiato il mio stato. Quando leggete che qualcosa fa dimagrire, fa guarire, fa mettere su massa, chiedetevi sempre quanto, perché anche 0,01 è più di zero ma è irrilevante. Siamo portati a credere a quello che ci piace, che ci da speranza. Se assumo aminoacidi ramificati dopo l'allenamento sento di recuperare prima. Ma realmente, a livello fisiologico, ho potenziato i processi di recupero? Siate critici, uno studio non fa primavera. Sulle riviste si legge sempre degli effetti benefici di qualcosa. Assumere il limone al mattino non vi farà male, ma allo stesso tempo non vi curerà dall'acidosi o dal cancro. Se esistesse un prodotto per il dimagrimento realmente efficace e senza effetti collaterali, chi lo ha inventato sarebbe l'uomo più ricco del mondo. Voi lo conoscete? Ad oggi senza impegno, sacrificio e costanza, i migliori risultati sono preclusi. E una pastiglia amara, ma per quanto olio si aggiunga alla supposta, infilarla non è mai piacevole Diffidate da tutti gli articoli che hanno come titolo: i 10 miglior alimenti per dimagrire, i 10 segreti per una salute d’acciaio, i 10 cibi da evitare, ecc. Le semplificazioni tendono a spostare l’informazione verso il marketing; credere di sapere è un attimo.

Contestualizzare i dati con cognizione di causa6 In teoria, non c'è differenza tra teoria e pratica, ma in pratica, ce n'è

Il termine “medicina basata sulle evidenze’’ è stato coniato negli anni '90, quando ci si res conto che molte terapie mediche erano basate solamente sull'esperienza clinica individuale o si mera aneddotica. "Evidenza” è una traduzione ingannevole: il termine non va inteso com "qualcosa che salta all'occhio immediatamente". "Evidence" in inglese significa infatti prova, il questo caso prova scientifica. Diversi trattamenti venivano all’epoca raccomandati perché apparentemente supportati da ui razionale sensato. La disturbante notizia fu scoprire invece che la pratica basata sulla sol esperienza correlasse con outcomes (risultati) peggiori (lavoro pubblicato su Annals of Interna Medicine nel 2005).A questo punto era evidente che fosse necessaria un'evoluzione del metodo Da quel momento la pratica della medicina crebbe in qualità, diventando più scientifica e men< soggetta a scivoloni dovuti ad errori metodologici derivati dalla "medicina basata sull'esperienza" L'approccio "faccio così perché questo concetto ha senso in quanto estrapolato dallafisiologie o dalla scienza di base" fu relegato all'ultimo posto nella piramide delle evidenze (ovvero in fondt alla gerarchia), mentre al vertice vennero collocati gli studi scientifici randomizzati e controllati i le meta-analisi e review sistematiche (ovvero un insieme di metodi statistici che permettono d riassumere ed integrare i dati provenienti da più studi e di giungere così a conclusioni più forti d quelle tratte sulla base degli studi presi singolarmente). Hierarchy of Research Design & Levels of Scientifìc Evidence Clinical Practice Guidelines 1. Meta-analysis, Sistemac Review 2. Randomized Controlled Trial 3. Cohort Studies 4. Case Control Studies 5. Case Report or Case Series, Expert Opinions 6. Animai and Laboratory Studies In alcun modo questo non significa che l'esperienza sul campo sia necessariamente fallace. I punto della questione è che, essendo effettivamente presente tale rischio, è fondamentale che vi si; un metodo collaudato ed efficiente per definire se l'assunzione presa in esame sia valida o meno.

L'errore più comune Post hoc ergo propter hoc

Una correlazione temporale non definisce automaticamente un nesso causa-effetto. Vi faccic un esempio: se vi capitasse di vincere una gara mentre indossate le mutande di un certo colore, c magari l'evento si proponesse diverse volte, ammetterete comunque che sarebbe irrazionale affermare che quella specifica biancheria vi abbia davvero fornito una marcia in più Ciononostante, in molti probabilmente continuerebbero ad indossare il feticcio o a perpetrare i gesto che nella propria mente hanno associato al risultato positivo: ciò accade perché siame programmati a selezionare gli eventi in un certo modo (guardate a tale proposito gli esperimenti d James Randi, un famoso prestigiatore-debunker). Il ragionamento "ho preso il decotto di ortica e mi è passato il mal di testa" oppure "ho seguite la dieta X ed ora sono molto più performante" sottendono questo errore metodologico. Cosa vi assicura che il mal di testa non sarebbe passato comunque (o addirittura più velocemente) o che la

6 del Dottor Angelo Passio

vostra eccellente prestanza fisica sia dovuta non alla dieta ma ad altri diversi (innumerevoli) fattori? Nulla. Bisogna saper collocare le affermazioni al loro posto corretto. Vi sono alcuni ambiti in cui i dati e gli studi di buona qualità mancano. In tali situazioni dobbiamo scendere giù dalla piramide finché arriviamo ad un livello dove troviamo effettivamente qualche riscontro. In alcuni casi il livello di evidenza più elevato disponibile è il VI, ovvero quello che fa riferimento alla "opinione dell'esperto" (l'etichetta "esperto" deve essere assegnata con cognizione di causa). Il fatto stesso che il grado di evidenza sia il VI deve tuttavia far scattare, automaticamente, diverse considerazioni. 1. Bisogna riconoscere effettivamente l'esperto in quanto tale: egli si deve occupare di quella cosa tutti i giorni, viverci, dormici, respirarla. Se ci rendiamo conto che è un "esperto della domenica", anche la validità delle sue tesi decade a livello di "tesi della domenica". 2. Nonostante tutto, non si può escludere che le sue affermazioni (qualora basate sulla "semplice" esperienza personale) siano scevre da errori o imprecisioni. Non esiste il Dogma calato dall'alto (vedi fallacia ab auctoritate). Per concludere: ogni volta che leggete delle raccomandazioni, valutate le vostre fonti. Chiarite di esse almeno:

J il curriculum della persona in esame. Un laboratorista è qualificato per parlare di esami di laboratorio, non è proprio automatico che sappia discutere di endocrinologia. L'abito non fa necessariamente il monaco. Sappiamo benissimo come né un particolare titolo universitario, né un camice, né un fisico statuario siano garanzie di competenza, soprattutto non a 360°;

/ verificate le fonti delle affermazioni che esaminate, sia che vengano dall'esperto (ad esempio: esperienza personale vs studi controllati) o da qualsiasi altra sorgente (internet, libri cartacei o virtuali, youtube). Se non trovate nulla, accendete la lampadina dello scetticismo. Se non conoscete la sorgente e non avete riferimenti bibliografici, ciò che leggete ha lo stesso valore della vostra opinione (con la differenza che voi non avete secondi fini nei confronti di voi stessi). Non lasciatevi ingannare dalle supercazzole. Il lessico tecnico non vuol dire nulla quando non è accompagnato da documentazione appropriata. E il caso di questo libro, quindi sviluppate la sana attitudine mentale di approfondire i concetti che vi interessano su fonti più autorevoli e non fermatevi qui.

10 Motivi per cui mangiamo oltre a nutrirci La mia fortuna, o sfortuna dipende dai punti di vista, è che sono stato paziente di me stesso. Per anni (e purtroppo in parte ancora adesso), il cibo ha rivestito un ruolo psicologico fortissimo per me. Quando mi siedo a tavola dimentico chi sono e continuo a mangiare fino a che la pancia non mi scoppia. Ogni sera, pentito per aver esagerato, mi prometto di controllarmi dal giorno dopo, ma puntualmente ogni mattina (o pomeriggio a seconda di quando passa il gonfiore) me ne dimentico. In tutto questo c'è ben poco del fabbisogno fisiologico di nutrirmi. Per questo nel tempo mi sono analizzato e mi sono chiesto cosa mi portasse a mangiare.

1. Consolazione Chi tornando a casa dopo una giornata storta al lavoro o con la ragazza non ha trovato nel frigorifero un amico fedele che non lo abbandona mai, sempre disposto ad aprirsi di fronte alle nostre richieste. Il cibo è una valvola di sfogo enorme nella nostra società. Milioni d'individui scaricano le loro angosce e frustrazioni, bagni nell'insulina lavano quasi tutti i dispiaceri, almeno finché la glicemia non cala, poi l'angoscia ritorna ed il ciclo riparte.

2. Noia Provate a passare tutta la giornata a casa senza far niente. Vi ritroverete a spiluccare in continuazione; annoiati non saprete che fare se non mangiare. Spesso a cene noiose ho trovato compagnia in quello che degustavo. Quando non si sa cosa fare, mangiare, magari di fronte alla televisione, è sempre un bel passatempo, peccato solo che non sia proprio salutare.

3. Abitudine La società ci inserisce fin da piccoli all’interno di un ingranaggio a cui è quasi impossibile sottrarsi. Scuola, lavoro, le nostre abitudini sono scandite dal fatto che dobbiamo guadagnare per vivere. Ci svegliamo quando magari staremmo ancora a letto e mangiamo tra le pause in cui non lavoriamo. Tre pasti al giorno: colazione, pranzo, cena, chi l'ha deciso? Gli uomini delle caverne avevano queste usanze o mangiavano quando avevano voglia o disponibilità? II senso di fame segue le nostre abitudini: provate ad abituarvi a non fare colazione e vi verrà soltanto a pranzo. Abituatevi a fare due spuntini tra i pasti e alle 11.00 avrete di nuovo fame. Andate in un convento e vi abituerete a cenare alle 18.00. Non c'è nessuna legge fisiologica che dice che dobbiamo mangiare tre volte al giorno, lo si fa solo per comodità. Nello stesso modo ci si abitua alle porzioni. Lo stomaco si dilata o si restringe a seconda della quantità di cibo che abitualmente ingeriamo. Si è sazi grazie a diversi ormoni e fattori, uno di questi è la distensione delle pareti dello stomaco. Chi normalmente mangia tanto dovrà introdurre molto cibo prima d'essere soddisfatto. Ricordiamoci che alle porzioni ci si abitua.

4. Socializzare Il cibo riveste una funzione sociale fortissima nel consolidare o creare nuovi legami. Mangiare e bere con gli amici è ancora più soddisfacente. Io quando ci sono gli altri mi abbuffo e bevo sempre di più. Le cene di lavoro sono la prova di come si cerchi di fare gruppo e di legare attraverso il cibo. Ci sono studi che mostrano che più aumenta il numero di persone sedute a tavola più si tende a mangiare. Io, di sicuro, non mi faccio rubare il cibo dagli altri.

5. Dipendenza Come mai siamo portati a ricercare quei cibi grassi o zuccherati tanto appetitosi piuttosto che un bel ravanello? Da una parte c'è un motivo recettoriale. Quando i recettori gustativi sono saturi abbiamo bisogno di sapori sempre più forti per avvertirli. Dall'altra si instaura una dipendenza, noi siamo drogati dal cibo senza saperlo. Glutine e caseine sono due sostanze che rilasciano endorfine, così come la feniletilammina contenuta nel cacao. In generale tutto ciò che porta ad un aumento dell'insulina ha un effetto positivo sul sistema limbico, creando così un continuo feedback tra il nostro stato emotivo e quello che introduciamo. Molti cibi rilasciano sostanze psicoattive che stimolano la gratificazione creando così dipendenza.

6. Gola Roberto Albanesi scrive: “per il dolce c'è sempre spazio’’. Possiamo essere sazi, non avere fame ma quando c'è qualcosa che ci piace tirarci indietro è quasi impossibile. Tra le strategie dimagranti c'è quella d'introdurre i piatti in ordine di palatabilità. Dal meno gustoso al più buono. Sgarrare da pieni limita comunque le porzioni e l'introito calorico.

7. Curiosità La curiosità per il cibo è tipica delle persone intelligenti. Quando si viaggia in paesi esotici e ci si trova di fronte a piatti mai assaggiati, la sazietà passa sempre in secondo piano. Il cervello ricerca esperienze gustative nuove per aumentare la sua mappatura sensoriale.

8. Riempire un vuoto Chi dopo essere stato lasciato o licenziato non ha provato a colmare il vuoto con il cibo? È tipico degli uomini di mezza età, che appena smettono di trombare con le mogli si sfogano sul cibo. Meno si tromba e più si mangia. Lo stomaco pieno può forse sostituire un vuoto sentimentale?

9. Punirci Odio e amore, alcune persone tendono a punirsi mangiando. Il loro fisico in sovrappeso li porta ad essere insoddisfatti. Quando mangiano sanno che si pentiranno, ma come un bambino che distrugge il giocattolo a cui è affezionato, per punirsi tendono ad eccedere a tavola.

10. Gratificazione Questo è il motivo principale, già accennato nei punti precedenti, per cui non siamo tutti magri. Nella nostra esistenza siamo continuamente alla ricerca della gratificazione. Tutto quello che ci da piacere ci gratifica. Il cibo, senza impegno, a bassissimo costo, ci permette di premiarci. Possiamo pensare alla dieta migliore del mondo, al rapporto tra carboidrati, proteine e grassi ottimale, ai particolari e alle finezze ma alla fine se questa dieta non ci appaga, la seguiremo per un lasso di tempo limitato, a meno che il miglior aspetto fisico non ci dia una gratificazione maggiore rispetto al mangiare. Che lo desideriate oppure no, o siete magri e muscolosi di natura o per diventarlo dovrete lottare contro voi stessi. Noi scappiamo dal dolore e ricerchiamo il piacere. Per questo le diete falliscono nel tempo, perché per seguirle non basta un singolo atto eroico, ma la perseveranza e continue piccole rinunce quotidiane.

La psicologia in cucina, alcuni consigli pratici Concludiamo il capitolo sulla psicologia per rimarcare tre aspetti fondamentali, che influiscono in modo rilevante sulla composizione corporea.

Sei grasso? Sei sincero con te stesso? Ognuno di noi vive in una realtà propria, è difficile trovare chi, in sovrappeso, dichiari di mangiare male. La maggior parte delle persone è convinta di mangiare poco e bene. Questo aspetto psicologico della nostra mente, per cui non siamo mai in torto, non ci fa accorgere che fuori dai pasti spilucchiamo, che gli strappi alla regola sono molto più frequenti di quello che ricordiamo e che in mezzo ai cibi salutari finisce sempre qualche schifezza. E molto diffìcile avere la percezione reale di quello che si mangia. L'esempio più classico riguarda il diario alimentare. Chiedete ad un persona di tenerlo e contemporaneamente chiedete a sua moglie o marito di prendere nota di nascosto di quello che assume. Alla fine della settimana la persona a dieta avrà scritto il 30-40% in meno rispetto al partner che la spiava. Ciò non avviene perché vuole mentire a terzi, ma perché mente a se stessa. Quando si segue un regime stretto, ogni volta che si sgarra (se non era programmato) si subisce una sconfitta psicologica. Ciò significa non essere riusciti ad essere coerenti con l’obiettivo che ci si era prefissati. Per questo tendiamo a dimenticare, perché le sconfitte non fanno mai bene al proprio io interiore ed alla percezione che abbiamo di noi stessi. Ricordiamolo, per natura, non abbiamo la consapevolezza esatta di quello che abbiamo mangiato.

Sei grasso? Quanto ti senti gratificato? Abbiamo già detto come il cibo sia una fonte di gratificazione importante nella nostra società. In quanti si sentono soddisfatti del lavoro che fanno, del percorso di studi che hanno scelto, del proprio coniuge, ecc? Siamo perennemente insoddisfatti: vorremmo avere più tempo per noi stessi, essere meno stressati, ricevere meno no, essere più liberi; il cibo sopperisce a tutto questo. Ci gratifica e per questo è tanto difficile rinunciarci. Se la dieta è vissuta come un'ulteriore privazione, per quanto tempo può essere protratta? Per questo è sconsigliato mettersi a dieta in periodi della vita difficili ed impegnativi, a meno che la frustrazione che abbiamo non ci dia la carica e la cattiveria per seguirla. Se volete essere costanti nel tempo, consigliamo di scegliere approcci soft (in cui il dimagrimento è lento), o al contrario, brevi periodi intensi. Diete drastiche per pochi giorni alternate da fasi di mantenimento intaccano anche la massa magra ma in alcuni casi aiutano a sbloccare situazioni di stallo. Alcuni autori consigliano un approccio 80-20. Cioè assumere 80% alimenti salutari e un 20% cibi liberi. In questo modo possiamo continuare a sentirci appagati anche stando a dieta.

Sei grasso? Quanto sei stressato? Dal punto di vista fisiologico questo argomento è quello più rilevante che collega la psicologia con la composizione corporea. Per centinaia di migliaia di anni abbiamo vissuto in mezzo alla savana, caccia e riposo, lotta e fuga. Il nostro apparato ormonale si è sviluppato per farci sopravvivere nella natura. Cascate umorali in risposta allo stress ci hanno permesso di rimanere vigili e scattanti nel momento del bisogno. Oggi lo stress non è più rappresentato dal leone ma da tutto quello che sta attorno a noi: il traffico, il datore di lavoro, gli esami all'università, ecc. Molti passano buona parte della giornata sotto tensione e per questo il corpo continua a secernere gli ormoni dell'attacco e fuga. Ciò causa una costante immissione di zuccheri (gluconeogenesi) impedendo così il dimagrimento anche con regimi ipocalorici (i livelli basici d'insulina rimangono elevati smorzando la lipolisi) ed erodendo la massa magra (data dal catabolismo degli aminoacidi glucogenetici). Lo stress gioca veramente un brutto scherzo, qualcuno diventa magrissimo, altri, al contrario, smettono di perdere peso. C’è una correlazione statistica tra il cancro e lo stress, figuriamoci tra quest’ultimo e la composizione corporea. I migliori risultati si hanno quando smettiamo di preoccuparci e di essere stressati. Chi vive serenamente ha meno bisogno di sfogarsi sul cibo ed ha livelli ormonali stabili e fisiologici. Volete diventare magri e muscolosi? Rilassatevi e distendetevi. Come farlo in questa società? Ecco, qui sotto, alcuni stratagemmi che possono rivelarsi utili.

Come reagire e combattere lo stress Ciò che di positivo può nascere da una situazione negativa State guidando in tangenziale sotto la pioggia e non vedete l'ora di tornare a casa dopo una giornata nera a lavoro. Sentite un rumore strano provenire dal motore e poco dopo inizia ad uscire del fumo. Preoccupati vi accostate in un'area di sosta. Scendete sotto la pioggia, aprite il cofano e vi rendete conto che dovete chiamare l'intervento stradale. Una giornata pessima si è conclusa ancora peggio. In questa situazione piuttosto che continuare a crogiolarvi nella negatività, cercate di scorgere il sole. Il carroattrezzi impiegherà un po' di tempo prima d'arrivare, nel mentre potete rilassarvi sul sedile, approfittatene per ascoltare della musica di vostro gradimento, chiamare un amico e raccontargli quello che vi è accaduto.

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Insomma, quello che è successo è successo, sta a voi decidere come viverlo. Potete guardare solo al lato negativo, oppure potete pensare se esiste anche un risvolto positivo. La prossima volta se vi ricapiterà avrete già fatto un'esperienza simile e sarete meno spaventati ed impreparati. Siamo noi che decidiamo come ci sentiamo, perché siamo noi che scegliamo come leggere gli eventi che ci capitano. Cercate sempre di vedere cosa c'è di buono nelle esperienze negative che vivete. Scegliete d’essere felici, perché in fondo siete voi a decidere come vi sentite.

"Non pregare per una vita facile, prega per avere la forza d'affrontarne una difficile" Bruce Lee

La nostra mente non distingue la realtà dalla finzione Quando guardate un film horror sapete benissimo che è falso, che sono attori, eppure siete agitati lo stesso. Durante il giorno tendiamo a pensare agli eventi futuri (eventi che magari non capiteranno mai) in modo negativo: verrò bocciato, il mio intervento alla conferenza andrà male, perderò quel cliente, lei si stuferà di me, ecc. Queste sono paure immaginarie. La nostra mente vaga continuamente e spesso approda in brutti pensieri. Quando succede ribaltate la situazione visto che è la vostra immaginazione a pensare male. Visualizzate qualcosa di positivo: verrò promosso, l'intervento sarà un successo, il cliente sarà molto soddisfatto, la nostra storia andrà avanti. Piuttosto che farsi seghe mentali al negativo, fatele al positivo, tanto è pura immaginazione, ma proprio perché associamo al pensare male sensazioni negative (rilasciando gli ormoni dello stress), ogni volta che si presentano ribaltiamole. Questo funziona anche nello sport. Quando correte e sentite fatica pensate a quando finirete, a quanto sarete soddisfatti di voi stessi, pensate alla fica. Focalizzatevi sulla sensazione del rilassamento dopo un bello sforzo, di quel piacere nel sentirsi appagati dall'attività portata a termine. Ricordatevi che la nostra mente non distingue la finzione, pensieri negativi porteranno gli ormoni dello stress ad attivarsi, spegneteli! Se non c'è una soluzione perché ti preoccupi? Se c'è una soluzione perché ti preoccupi? E importante pensare a come risolvere i problemi e le situazioni, ma è anche inutile continuare a preoccuparsi e a ritornare con la mente al problema. Una volta che avete elaborato razionalmente tutte le possibili soluzioni affidate il futuro a Dio, al destino, all'universo, al fato. Non ha senso continuare a stressarci per qualcosa di cui non possiamo fare niente. Se siete credenti affidate a Dio il vostro destino, se non lo siete trovare un Karma, una forza universale positiva, che risolverà, alla fine, la situazione. Questo non è un invito a non essere attivi e padroni del proprio futuro, ma semplicemente a smettere d'essere ansiosi per la vostra sorte. Rimanere preoccupati non vi porterà nulla di buono. Siate sicuri d'aver fatto tutto quello che era nelle vostre possibilità per raggiungere il vostro scopo, dopodiché toglietevi i pensieri affidando la responsabilità a qualcosa di superiore. Le cose andranno come dovranno andare; voi avete fatto il vostro, l'universo farà il suo. Il fatto di sapere che c'è un'entità che guida le sorti dell'umanità, che conduce al progresso, che contrappone al male il bene, aiuta a vivere meglio. Sentitevi parte di qualcosa di più grande, l’umanità, la terra, l'universo. Questo vi permetterà di vivere con più serenità e di abbassare lo stress quotidiano.

Datevi dei piccoli obiettivi giornalieri Sapete qual è il miglior modo per combattere lo stress, le paure e l’ansia? Agire. Nel momento che facciamo, che affrontiamo la situazione, tutto svanisce, tutto sembra più piccolo. L’affrontare i problemi non solo li risolve, ma toglie anche le ansie che ci eravamo creati. Si dice che la persona

coraggiosa non è quella che non prova paura ma quella che reagisce in positivo. L’azione sconfigge lo stress. Convincersi di voler perdere 10 kg prima dell'estate porta a partire motivati, ma a perdersi lungo la strada. Questo perché l’obiettivo è lontano, non abbiamo bisogno d’intervenire adesso, c’è tempo. Dirsi invece che questa settimana devo allenarmi tre volte, che oggi non devo usare l'ascensore, pone il focus su obiettivi immediati e continuativi, molto più facili da raggiungere o da recuperare. Il focus va continuamente alimentato. Obiettivi lontani portano a perdere la motivazione. In quanti facevano i compiti estivi l'ultima settimana delle vacanze? Con l'alimentazione questo non funziona; impariamo a godere delle piccole vittorie quotidiane. Ogni giorno una sfida, ogni giorno una conquista, la goccia è più forte della pietra. Ricordatevi di premiarvi sempre, anche per le piccole cose. Godete delle vostre conquiste, questo terrà alta la motivazione.

Decalogo della cultura fisica - Cosa dire al giovane Fran7 C’è una frase che si sente sovente in palestra: “fino a due anni migliori, poi ti fermi e rimani sempre uguale”. Beh in effetti per la maggior parte dei frequentatori è assolutamente vera. Le persone si allenano senza una periodizzazione, senza un vero piano a medio-lungo termine. Le schede sono un collage di mesocicli attaccati l’uno all’altro. Non c’è una visione, un saper mettere i mattoncini in fila, uno sopra l’altro, per costruire qualcosa. Questo fa la differenza tra migliorare negli anni e fermarsi dopo i primi due. Fran fa parte di quella cerchia ristretta di persone che sono in grado di aggiungere un centimetro alla volta, di imparare, correggere e progredire.

"L'uomo intelligente impara dai propri errori, il genio da quelli degli altri"

Ormai da più di sei anni riversa le sue esperienze nel suo canale YouTube8 mostrando come si possa coniugare un lavoro impegnativo, di successo, con il bodybuilding. La sua mentalità la potremmo definire SMART.

S: Specific (pensa a 10 cose che vorresti fare, fanne solo 3 ma fatte bene). M: Measurable (ancorati ai numeri, ti diranno se hai ragione). A: Action oriented (improntato all’azione, pianifica, pensa ma soprattutto agisci).

R: Realistic (fai in modo che le tue ambizioni siano reali e concretizzabili). T: Time bound (la differenza tra un sogno ed un progetto è una data). Il suo approccio al bodybuilding è flessibile e sostenibile, lontano dalla mentalità del tutto subito. Questo negli anni l’ha portato ad essere uno dei principali punti di riferimento in Italia.

Mi chiamo Fran (a.k.a. IronManager) e sono un Lifetime Drug-free Bodybuilder, vivo a Londra da 10 anni dove lavoro per una grande multinazionale come Strategy & Innovation Manager. Il nickname Iron-Manager nasce appunto 5 anni fa con il corrispettivo canale YouTube (ironmanager82) dal desiderio di dimostrare a tutti coloro che sostengono di non avere tempo per un po’ di sana attività fisica che tutto è possibile con la giusta pianificazione, passione e forza di volontà. IronManager non è uno dei tanti Guru, un professore o un articolista che pubblica quotidianamente sul Web. Mi piace descrivermi come un appassionato di Cultura Fisica a cui non piace solo parlare davanti ad una telecamera o scrivere su una tastiera, ma a cui piace invece 7 di Francesco Pignatti (www.ironmanager.it) 8 https://www.youtube.com/user/ironmanager82

cercare di metter in pratica quello che impara dalle sue letture e dall’esperienza di 16 anni di allenamento. Un’atleta agonista con 12 gare all’attivo che condivide da 5 anni con altri appassionati il suo percorso di Cultura Fisica come stile di vita all’insegna della Salute a 360 gradi.

Nel corso degli ultimi anni ho conseguito diversi successi ed insuccessi, commesso tanti errori ed imparato da questi per continuare a migliorare il mio percorso e stile di vita. Questo è il mio breve Decalogo di Cultura Fisica, nella speranza che possa tornar utile ad altri appassionati, novizi o più esperti.

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Fissa degli obiettivi realistici lungo il tuo percorso e convinciti che, se vuoi cambiare qualcosa, ogni volta dovrai fare qualcosa di diverso da quello a cui sei stato abituato fino a quel momento #NeverSettle.

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La gara è sempre contro te stesso/a , il tuo avversario sono le tue paure ed insicurezze, la tua forza di volontà l’arma per abbatterle. L’atteggiamento più equilibrato dovrebbe sempre essere volto alla ricerca di un percorso di continuo miglioramento individuale. Ogni anno dovremmo porci questa domanda: “Cosa posso fare per diventare la versione migliore di ME STESSO?”#YouvsYou.

J Armati di tanta forza di volontà e soprattutto di tanta pazienza! Non esistono scorciatoie, quelle sono per chi non ha voglia di mettersi in gioco per guadagnarsi i traguardi con sacrifici, passione e resilienza. Il prezzo da pagare è più alto ma le soddisfazioni finali ugualmente più appaganti! #RomeWasntBuiltInaDay!

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#NoExcuses! Visualizza il tuo obiettivo e lavora ogni giorno per fare un piccolo passo verso il tuo traguardo. Tutti riescono a trovare un po’ di tempo per della sana attività fisica durante la giornata. Consideralo come tempo da dedicare alla cura di te stesso/a! Prenditi cura di te stesso/a!

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Sii critico nei confronti di tutto e tutti, non credere alle favole, assumi un approccio scientifico ed obiettivo in ogni occasione, non dare nulla per scontato, non esistono dogmi - rimani flessibile ed aperto di mente: accetta la possibilità di dover cambiare radicalmente le tue sicurezze ed il tuo credo in itinere.

J Non perderti nelle minuzie, nei dettagli e in inutili bicchier d’acqua. Tieni sempre come riferimento il grande schema delle cose per raggiungere il tuo obiettivo! Non è quello che facciamo in un determinato momento della giornata che fa la differenza ma il percorso inesorabile di anni ed anni di lavoro! J Non puoi far crescere un muscolo che non riesci a sentire! In palestra lascia il tuo Ego a casa ed impara prima i corretti schemi motori per attivare i muscoli target e mantenerli sotto tensione continua durante l’intero arco del movimento.

J Non esiste il protocollo di allenamento ideale ma tante strade che permettono di raggiungere lo stesso traguardo...dobbiamo rimanere aperti di mente, sperimentare il più possibile, scegliere il meglio di ciascun programma e cucirci addosso una soluzione su misura! Quella in cui crediamo fermamente, che ci porta risultati e che ci motiva a dare sempre del nostro meglio! J A tavola scegli un approccio Flessibile e Sostenibile all’alimentazione che ti permetta di seguire la “dieta” come stile di vita alimentare da portare avanti per tutta la vita. Ricorda sempre che è quello che facciamo sul lungo termine che fa la differenza, non quello che si fa durante una breve finestra temporale.

J Vivi la Cultura Fisica come stile di vita, nella continua ricerca di un equilibrio salutare fra mente e corpo (Mens Sana in Corpore Sano). Fai tesoro dei principi della Cultura Fisica come stile di vita per affrontare tutte le altre situazioni e dinamiche della vita quotidiana...la disciplina, la perseveranza, la determinazione, la caparbietà, la grinta, il

rispetto per il prossimo sono qualità trasferibili in qualsiasi contesto della nostra vita sociale #HaveFun!2

Estremismi ed estreme considerazioni9 Normalmente la psicologia serve soprattutto per motivare, per trovare delle ragioni valide per fare qualcosa costantemente nel tempo. La bilancia ha due pesi, il dolore e il piacere, a seconda di quale prevale scegliamo se fare una cosa oppure no: metterci a dieta, andare ad allenarci, ecc. Mediamente prevale il dolore. Perché? Perché la rinuncia, la fatica, sono immediati. I benefici invece sono futuri, devi stare tot tempo a dieta, allenarti per tot mesi, prima di vedere evidenti benefìci. Prima paghi e successivamente arriveranno i risultati. Ognuno si crea delle scuse, delle giustificazioni per non fare oggi quello che dovrebbe. “Ormai è tardi, piove, oggi ho lavorato troppo, domani sono più libero per andare in palestra, ecc. ”. Siamo dei giudici di noi stessi e siamo sempre assolti. La psicologia serve a questo, serve a farti capire che l'immagine, la visione che hai delle cose è soggettiva, il mondo lo vedi come vuoi te. Puoi decidere solo una cosa, cosa fare ora! Domani è domani, nuovi impegni, nuovi imprevisti, nuove scuse ti bloccheranno. Le guerre si vincono con le battaglie, piccoli obiettivi quotidiani portano alla meta. La psicologia non serve per trovare fuori da te le motivazioni, ma per fartele nascere dentro. Se ti automotivi tutto sarà in discesa, ricordati che:

"lo sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima." Questo paragrafo conclusivo è diverso ed è rivolto non a chi non ha la motivazione, ma a chi ne ha troppa. A chi incentra tutta la sua vita sulla dieta, sull’allenamento. A chi ritrova se stesso soltanto quando fa una cosa. Il bodybuilding è un po’ lo specchio di questa realtà. Nel bodybuilding tutto è estremo, tutto è portato all’eccesso. Questo ovviamente non vale solo per questo sport, ma anche per il ciclismo, triathlon e molti altri. Ma negli anni si stanno creando nuove realtà, nuovi modi d’approcciarsi alla propria passione. Riccardo Grandi è uno dei preparatori più famosi e importanti d’Italia ed il suo approccio è rivoluzionario perché è moderato. Senza estremismi, senza falsi miti e bugie. "Noi facciamo quello che facciamo perché questo è ciò vogliamo fare. La nostra passione ha costruito il nostro carattere, ed il nostro carattere ci definisce come persone.Non perdete mai la vostra passione".

È vero, troppe persone vivono una vita senza passione, ma è anche giusto ricordarsi che la vita non è solo quello, la vita si arricchisce se non viviamo solo per una cosa. Essere estremi non è un vantaggio. Riccardo lo dimostra perché il suo approccio sostenibile crea campioni. Faccio il preparatore di naturai bodybuilding. Seguo atleti agonisti e non, uomini e donne, giovani e meno giovani. Avete presente uno di quei preparatori “alchimisti” che dicono “togli questo e metti quello”, che affermano “la frutta fa male”, che obbligano “scarica l’acqua, il sodio, il latte, la verdura, la frutta, il pane, i carboidrati, il frumento, il glutine, l’aria e non fare la doccia”... ecco io non sono così.

Nella mia vita di atleta - allenatore - preparatore, ne ho viste di tutti i colori, da quello che non beve un goccio d’acqua per tre giorni a quello che se ne scola undici litri, da quello che mangia solo gallette di riso “perché asciugano” a quello che mangia solo frutta, da quello che legge i giornaletti pomo tra una serie e l’altra “perché stimolano il testosterone” a quello che prende un

di Riccardo Grandi, fondatore del progetto "Sustainable Bodybuilding'

chilo di fieno greco, gamma orizanolo e tribulus per lo stesso motivo ... insomma un mondo strano, variopinto e a tratti mentalmente instabile. Neirimmaginario collettivo c’è sempre la ricerca della “pillola magica” per ottenere di più o più velocemente un qualcosa che senza equilibrio non si otterrà mai, senza comprendere che i campioni, quelli naturai, quelli veri, sono persone bilanciatissime con una vita appagante anche oltre il body building e assolutamente in asse con se stessi e le loro convinzioni che sono, guarda caso, fortemente attivanti (convinzione ... con-vinzione ... vincere con ...). Nella storia il doping (o presunto tale) è nato più di 2000 anni fa. Ci sono degli scritti che raccontano che nell’antica Grecia gli atleti delle Olimpiadi mangiavano testicoli di toro per migliorare la loro prestazione. Il doping non è solo un body builder che s’inietta del testosterone o un ciclista che si fa dell’EPO, ma è anche una cosa mentale, che è intrinseca nell’immaginario collettivo e nella cultura di ogni essere umano. Chi non pagherebbe per avere una pillola che la mattina dopo lo trasformi in un essere più magro, più muscoloso, più fìsicato, più figo/a? Praticamente tutti, soprattutto i sedentari cronici. Per questo motivo ho sempre cercato di creare un qualcosa di efficace, sensato, vero, tangibile e soprattutto salutare e cercare di fare cultura in un modo controllato. Dopo tanti anni sono arrivato alla conclusione che nulla ho creato, tutto era già stato scritto e fatto, solo che è stato anche storpiato, ecceduto e maltrattato ed io mi sono limitato a “ri-masterizzare” ciò che da una vita è sotto i miei occhi. Tutto quello che in questo libro è stato scritto, ogni credenza destrutturata, ogni “scienza da social network” demolita, ha per me un significato e un campo di applicazione. Si parla di dieta alcalina senza capire che il nostro corpo ha dei sistemi tampone che controbilanciano ogni cosa (come vedremo nei prossimi capitoli), ed è proprio in questi frangenti che si vede l’eccesso...quello che mangia il tal ortaggio invece che l’altro perché è più alcalino senza capire che una volta che il corpo è in salute nulla di tutto questo ha senso, e se invece non è in salute...nulla di tutto questo ha senso. Si cerca di sistemare l’albero senza guardare la foresta. Un’alimentazione varia, ricca di ogni alimento (qualcuno più frequente di altri che in accumulo possono dare “fastidio”), con un allenamento rispettoso del sistema nervoso e ormonale del soggetto, congruo con gli obiettivi dello stesso e tanto tanto tempo. Ecco la “pillola magica” che porta salute e performance. Che cosa spinge una persona ad allenarsi 6-7 volte a settimana per ore e ore (spesso anche in doppia split quotidiana) e mangiare solo merluzzo e acqua (poca)? Perché un atleta (o presunto tale) deve dimostrare la sua “forza” sforzandosi in maniera immane? Per quale motivo ci sono persone che pensano che da uno squilibrio si crei un equilibrio? La risposta è racchiusa nella mente degli atleti, nel loro disagio, nella loro mancanza di accettazione, nel fastidio interiore di chi ha un qualcosa da dimostrare a se stesso o ad altri. Per molti, il body building, non è una parte arricchente della vita, ma è la sola ragione della propria vita. Tutto questo ha un senso se si vede come un’opportunità. Solo dopo aver visto il buio, si può apprezzare la luce ed ecco che allora si scopre che il body building è l’unico sport (se si può chiamare così) che prevede una depauperazione, una violenza fìsica e mentale autoindotta, una disidratazione, una forza che cala man mano che la gara si avvicina, una prestazione dimezzata nel giorno più importante, proprio per quella striatura, quel dettaglio in più che spesso manca proprio in quel giorno cruciale per rispuntare all’indomani a seguito di una ricarica fatta di tre pizze, due birre e una torta. Avete mai visto un centometrista che fa il record mondiale negli allenamenti e il giorno della gara è debole, stanco, disidratato o grasso? Certo che no. Un centometrista è al massimo delle sue capacità fisiche, mentali, funzionali e in quel giorno è con la massima massa muscolare possibile,

massima velocità, massima forza e minima quantità di grasso. Perché nel body building allora bisogna arrivare a “violarsi” nascondendosi dietro ad un No Pain No Gain? Ecco che tutto questo ha un senso se l’atleta inizia a riflettere, pensare e decidere in maniera più equilibrata. Si domanda, ma cosa sto facendo? Ed ecco che l’atleta cerca (e trova) l’alternativa. Alimentazione sostenibile che preveda tutto ciò che il nostro mondo alimentare ci propone. Non fraintendetemi, non pensate che io proponga a tutti di mangiare pizza, birra e dolce, ma non sono infrequenti atleti che si “tirano” con 300-400 g di carboidrati al giorno e con 2,5 g di proteine TOTALI per ogni chilo di massa magra, spaziando in un parco di 50-60 alimenti diversi, invece dei soliti riso, pollo, insalata, avena, Whey, albumi, che si allenano quattro giorni a settimana in maniera pesante ma anche sensata e che lasciano il tempo per il lavoro, la vita privata e i rapporti affettivi. Ho cercato di eliminare digiuni, scariche, ricariche (“pulite” o “sporche” che siano), split multiple quotidiane e tutti questi eccessi, per avere un equilibrio che lentamente ha portato da un punto A a un punto B. Nel body building si lavora con lo stress. Lo stress ci serve per migliorare, progredire e crescere, ma credo che si sia perso di vista il concetto di tale termine. Lo stress è visto come un “più ce n’è e meglio è”, ci si concentra sullo stress muscolare, quando invece bisogna tenere presente anche lo stress sistemico (sistema nervoso, ormonale, emozionale, mentale). Un atleta appena mollato dalla morosa avrà molto più stress sistemico di uno sentimentalmente stabile, e quindi perché non tenerne presente in una preparazione? Se un atleta ha un surplus lavorativo e passa da 8 a 10 ore di lavoro perché devo ucciderlo con scariche e allenamenti all’alba e al tramonto? Se ho un livello di sopportazione dello stress 100 (come unità di misura immaginaria) non è puntando a 200 che troverò una super-compensazione, ma mirando a 101-102, solo per un breve periodo. E poi... che cos’è Io stress? Ognuno di noi ha una chiave di lettura diversa e questa libera interpretazione arriva da ciò che ognuno di noi pensa riguardo a quello che fa. Provate a dire a un ciclista: “adesso farai una salita durissima!!!” Esso proverà autentico godimento. Ora provate a dirlo alla signora Pina ... si sarà scoraggiata ancora prima di vederla. E allora perché in una preparazione non si tiene conto anche di quello che pensa l’atleta riguardo a quello che gli è proposto? La preparazione di Marco Bassi (il campione italiano assoluto NBFI 2014) che l’ha portato a vincere non è iniziata due mesi prima tagliando e togliendo, ma otto mesi prima aggiungendo e aggiustando. Si sono tolti gli eccessi proteici e aggiunti gli alimenti mancanti in un quadro che doveva essere sostenibile, completo e appagante per lui. La preparazione non era basata su “mangia questo e quello”, ma su “aggiungi e ascoltati”. Si è “ricostruito” un metabolismo che era già rallentato e si è fatto insieme, parlando e provando a “mettere” continuamente un qualcosa di nuovo che il suo corpo recepisse come una sorta di adattamento migliorativo, che de-stressasse la sua parte sistemica lasciando così al suo fisico più spazio di azione, potendo cosi aumentare l’intensità d’allenamento. Dal punto di vista alimentare si cercava di togliere stress e dare “benzina” sempre in maggiore quantità, e neH’allenamento si poteva aumentare lo stress spingendo a fondo l’acceleratore con una frequenza che permettesse completi recuperi. In poche parole si è portata una BMW sportiva a diventare una Ferrari da Formula 1. Solo dopo questo processo si è potuto tagliare e arrivare a quella definizione e qualità estreme che l’hanno portato a essere vincente. Un taglio programmato e mai sbilanciato, tutto doveva rimanere in asse con quanto creato in precedenza, e quattro settimane prima della gara si è cominciata quella ricarica lenta, centellinata, continua e progressiva che l’ha portato sul palco nelle condizioni di quel centometrista che fa il record del mondo nel giorno in cui c’è in palio l’Olimpiade. Acqua, sale, alimenti vari, frequenza dei pasti, tutto è rimasto in linea con quello che lui riteneva fattibile, attuabile e sostenibile.

Il concetto di “naturai” che io cerco di proporre nei miei seminari e consulenze non è solo ed esclusivamente un drug free ma soprattutto un sistema di preparazione che porti ad un andamento naturale delle cose. Credo che la vita sia troppo breve perché si sciupi dietro l’inseguimento di una medaglia di latta che rappresenta “l’essere vincente”, ma che sia sicuramente più appagante se si riesce a viverla con “mentalità vincente”, e se poi tale mentalità porta alla vittoria di quella medaglia sarà diventata il simbolo del completamento di un cammino che rimarrà comunque arricchente e vitalizzante.

Conclusioni Speriamo, con questo capitolo, di avervi fatto capire quanto la psicologia influenza la nostra relazione col cibo e di conseguenza la nostra composizione corporea. Possiamo studiare tutti gli aspetti biochimici e fisiologici che riguardano il dimagrimento e la massa muscolare, ma se non affrontiamo il lato psicologico non otterremo mai il massimo del risultato. Molte diete dubbie funzionano semplicemente perché chi le segue ha fiducia nella loro filosofia, è convinto che otterrà dei risultati e questo permette al suo organismo di stressarsi di meno e di godere appieno del potere psicofisico della mente (non perdetevi quest’arma).

Post scriptum: quello che rimane10 Da bambino mi sdraiavo in montagna a guardare il cielo, vedevo le nuvole libere passare. Il vento pettinava l'erba che si increspava come onde sul mare.

Tutto si muoveva ma era come se rimanesse fisso, immobile, perenne. Quando si è giovani tutto passa lentamente, ogni esperienza ti segna, rimane impressa nella memoria, indelebile. Mano a mano che si cresce la vita prende la rincorsa, i giorni iniziano a galoppare e gli anni scorrono veloci come le nuvole in montagna.

La vita è così, un battere di ciglia, e alla fine cosa rimane? Ricordi, sensazioni, sapori che affiorano dal profondo della bocca, rumori lontani. A volte mi chiedo perchè mi alleno, perchè lo faccio? Da anni, ogni giorno, sfido me stesso, a volte vinco altre perdo, eppure sono sempre li con 40° o -10°, col sole e la pioggia.

Ogni giorno costringo il mio corpo alla fatica, lo annego nel dolore, alla ricerca di quella ripetizione in più, di quel chilo da aggiungere al bilanciere, di quel tempo da battere. Ogni giorno miro a salire un gradino più in alto, come se volessi arrivare a toccare le nuvole che stanno in cielo. Quand'ero ragazzo mi allenavo perchè volevo essere il migliore, volevo fare il pugile professionista, poi un giorno ai campionato regionali sono finito al tappeto al primo round; in un altro incontro mi sono accorto alla terza ripresa che il mio avversario si stava limitando a portare a casa il match senza infierire.

Allora mi sono reso conto che non sarei mai potuto diventare il migliore.

Ho continuato, tuttavia, ad allenarmi, ho smesso di ricercare le sfide nel battere gli altri ed ho deciso di gareggiare solo contro me stesso. Sono passato dall'esercitarmi in palestra per poi finire a farlo a casa, in camera, in un metro quadro. La notte accanto al letto avevo i kettlebells, la magnesite rimaneva nell'aria, si appoggiava sulla scrivania, sulla sedia e sulle coperte. I miei occhi, alla luce della lampada, guardavano la polvere galleggiare ma vedevano le nuvole in montagna.

10 di Andrea Biasci, articolo apparso su http://wwwjvwtraining.eu/bacheca/quello-che-rimane/

Cosa rimane dell'allenamento? Muscoli indolenziti? Una fatica che ti cade addosso e ti sprofonda nel sonno? Oppure resta qualcosa di più? Perchè, in fondo, noi siamo la nostra storia, e se questa è fatta da mille allenamenti passati, noi siamo anche quelli. Siamo la nostra passione che ci scorre impetuosa dentro come sangue. Siamo le nostre aspettative, la nostra voglia di migliorare e di toccare le nuvole in cielo.

Non so cosa mi regalerà la vita ma posso ritenermi fortunato. Ho conosciuto uomini di una forza incredibile che mi hanno fatto sentire piccolo e mi hanno stimolato a crescere. Ne ho conosciuti altri che hanno fatto assieme a me questo percorso e sono diventati Master Sport, persone comuni che hanno ottenuto risultati eccezionali. Ho incontrato tanti ragazzi simili a me, con gli occhi che vedevano quello che vedevo io.

Un giorno da vecchio, davanti al camino, mi accorgerò che al mantello della vita, come foglie, sono rimasti attaccati tutti i trionfi, le sfide portate a casa, le vittorie ottenute. Mentre davanti agli occhi, nascosti dal fumo della legna, ci sono ancora i sogni irrealizzati, le sconfitte cocenti, le delusioni mai dimenticate. Tra le scintille, che salgono, tutte le nuvole che non sono riuscito e non riuscirò mai a prendere. Allora mi dico che oggi vale ancora la pena di lottare, vale ancora la pena di stringere i denti, di rincorrere i sogni. Tutto passa, per questo è meglio lasciarsi alle spalle un passato glorioso fatto di piccole vittorie personali, di risultati indimenticabili ottenuti col sudore e la costanza. Il futuro è più importante del presente, soffrire oggi per goderne domani, senza rimproverarsi niente. Ricordatevi che siete la vostra storia, fate in modo che sia una storia di successo.

Capitolo III

I nutrienti In questo capitolo analizzeremo i mattoni principali della nostra alimentazione: carboidrati, proteine, grassi, acqua, alcol ed alcuni micronutrienti. Grazie a questi l'organismo ricava le energie per vivere e per portare avanti i processi organici. Ma i macronutrienti non sono solo dei mattoni con cui costruiamo il nostro corpo. Sono anche dei segnali che gli diamo per l’espressione genica, messaggi che poi si riflettono sulla nostra composizione corporea e sulla nostra salute. Quando introduciamo dei carboidrati al posto dei grassi o viceversa, stiamo mandando degli ordini ai nostri geni, che si attiveranno o spegneranno, a seconda del nutriente introdotto. Le proteine sono ancora di più l’emblema di come l’alimentazione influenzi l’espressione genica. Determinati aminoacidi, rispetto ad altri, attivano la traduzione e trascrizione di specifiche proteine. I macronutrienti, in alcuni casi, svolgono un ruolo molto simile a quello degli ormoni.

I carboidrati Le prime nozioni da sapere Per anni c’è stato detto dalla televisione che la pasta, il pane e la pizza erano cibi salutari. Ma ne siamo veramente sicuri? Chiunque abbia provato a ridurre fortemente i carboidrati ha notato immediatamente un calo di peso, in primis dato dalla perdita d’acqua legata al glicogeno muscolare, in seguito anche dal grasso (spesso viscerale). Ma allora perché gli zuccheri sono tanto esaltati se ci fanno ingrassare? I carboidrati, definiti anche glucidi, sono il macronutriente più consumato nell’alimentazione italiana e mondiale. Hanno una funzione principalmente energetica e sono un carburante "pulito La loro composizione chimica può essere scritta con la formula Cm(H2O)n, che ai più non dirà molto se non che H2O è la sostanza più presente nel nostro corpo. Mangiare carboidrati in abbondanza (secondo le necessità) equivale a porre le basi per rimanere idratati. Nel nostro corpo abbiamo una riserva di 350-500 g di glucidi sotto forma di glicogeno, di questi 250-400 g sono accumulati nei muscoli, 100 g nel fegato. Prendete pure questi numeri con le pinze, altri testi modificano leggermente i valori ma i rapporti rimangono più o meno gli stessi. Il glicogeno muscolare è il miglior carburante per l'attività fisica intensa, la sua composizione chimica e la sua locazione (corte catene, vicino a dove serve) fanno si che sia immediatamente

utilizzabile dall’organismo; a differenza dei trigliceridi intramuscolari non ha bisogno d'ossigeno per essere utilizzato, pertanto la velocità con cui si trasforma in energia è più elevata. Il glicogeno epatico (del fegato) è invece meno sfruttabile durante gli sforzi (lunghe catene che devono essere trasportate dal fegato ai muscoli) ma è fondamentale per regolare la glicemia ematica (del sangue). Durante il digiuno è solo la componente epatica che interviene come fonte energetica di sostentamento; le riserve muscolari si attivano solo localmente, quando il muscolo specifico lavora. A riposo i muscoli delle persone magre ed allenate utilizzano quasi esclusivamente gli acidi grassi come fonte energetica (flessibilità metabolica), mentre nelle persone grasse e sedentarie c’è sempre un mix tra zuccheri e grassi (inflessibilità metabolica). Ad attivare la glicogenolisi, la rottura dei pacchetti di glicogeno (zucchero complesso) in glucosio (zucchero semplice), sono principalmente due ormoni: catecolamine (adrenalina e noradrenalina) e glucagone. La differenza sostanziale è che le prime hanno un'influenza sul glicogeno muscolare, il secondo su quello epatico. Durante l'attività fisica sono le catecolamine ad aumentare, questo permette all'organismo d'attingere alle riserve muscolari senza intaccare eccessivamente quelle del fegato. Se anche il glicogeno epatico intervenisse pesantemente durante l'attività fisica, non rimarrebbe nessuna riserva in grado di regolare la glicemia, pertanto, fenomeni d'ipoglicemia sarebbero molto più frequenti. Il corpo dà sempre la priorità al mantenimento dell'omeostasi (regolazione delle funzioni interne), piuttosto che alla contrazione muscolare e alla performance.

1 g di carboidrati apporta mediamente 4 kcal La quantità di scorte di zuccheri equivale, più o meno, al metabolismo basale ovvero 2000 kcal (500g), in una persona allenata di 70 kg. Il corpo predilige stoccare grassi piuttosto che carboidrati perché ogni grammo di glicogeno richiama 2,5-2,7g d’acqua, mentre un grammo di lipidi solo 0,3 g. Se accumulassimo 10 kg di zuccheri aumenteremmo di 35-37 kg (10+25-27 kg), mentre ingrassare di 10 kg di lipidi equivale a pesare “solo” 13 kg (10+3 kg) in più, una aggiunta molto meno dispendiosa ed ingombrante da trasportare. La quota basale di glucidi da introdurre con l'alimentazione (fabbisogno) è di 180 g (720 kcal), per una persona sedentaria di 70 kg e serve a nutrire il sistema nervoso centrale (il cervello da solo consuma 120 g), gli eritrociti (globuli rossi), una parte del rene, i testicoli ed i globuli bianchi. Il fabbisogno glucidico non è dipendente dall’alimentazione, se non si introducono carboidrati l’organismo si procura gli zuccheri da altri substrati (aminoacidi glucogenetici, acido lattico, glicerolo) e shifta il metabolismo neurale verso i corpi chetonici (derivati degli acidi grassi). Vedremo successivamente le diverse strategie per decidere quanti carboidrati mangiare a seconda del proprio obiettivo e stato metabolico. L'assunzione di glucidi è strettamente legata alla stimolazione ormonale del pancreas che seceme Vinsulina. Questo avviene come risposta all'aumento della glicemia; tuttavia, anticipiamo che anche gli altri macronutrienti (proteine e grassi) possono stimolarla, anche se in misura minore, pur non variando i livelli glicemici. Se da una parte una buona dose di zuccheri è ottimale per la salute, dall’altra un suo eccesso può portare a vari problemi (ipoglicemia riflessa, stanchezza, gonfiore, insulino-resistenza, diabete). Vedremo successivamente che questo macronutriente è il punto cardine per migliorare la composizione corporea. Saperlo sfruttare, saper introdurre sempre più carboidrati senza ingrassare, è la chiave del successo per restare magri, muscolosi ed in salute.

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Il fabbisogno giudàico Si sente spesso dire: non esistono carboidrati essenziali ma solo aminoacidi e grassi essenziali. Ottimo e questo cosa vuol dire? Che i carboidrati sono un macronutriente meno importante? Che possiamo benissimo vivere senza? Certo, possiamo vivere anche senza figa se è per questo. Certe affermazioni apparentemente logiche, non mostrano una comprensione reale del metabolismo del corpo, dei suoi regolatori e degli effetti che questi hanno sulla nostra composizione corporea. Per essenziale intendiamo un nutriente che: J deve essere presente in quantità adeguate per non danneggiare i tessuti o le funzioni organiche; J il corpo non può sintetizzarlo o comunque non ne può produrre in quantità sufficiente; J si può ricavare esclusivamente con la dieta.

I carboidrati in alimentazione non vengono considerati essenziali ma necessari', la malnutrizione proteica si verifica dopo mesi, senza zuccheri in pochi minuti si muore. Noi non possiamo vivere senza glucosio per questo è necessario, perché se non avessimo potuto procurarcelo ci saremmo già estinti. Il fatto che possa derivare dagli altri macronutrienti (aminoacidi glucogenetici, glicerolo, acido lattico), non ne abbassa l’importanza, anzi la eleva. Limitare l'assunzione di glucidi, come succede solitamente nelle diete iperproteiche, è una delle tante strategie per perdere peso. Funziona? Si funziona. E ottimale? No non è ottimale, almeno sul lungo periodo. Come succede per tutti macronutrienti conviene assumerne il giusto quantitativo, né inferiore né superiore. Cosa ci perdiamo se limitiamo eccessivamente i carboidrati?

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Si abbassa il metabolismo. La leptina (ormone che studieremo in seguito) è regolata sul metabolismo glucidico adipocitario. Mangiare pochi carboidrati porta ad abbassarla, con ripercussioni sugli ormoni tiroidei e gonadici. Tra l'altro Venzima deiodinasi che converte l'ormone tiroideo T4 (poco attivo) in T3 (molto attivo) è regolato principalmente a livello epatico, renale e muscolare. Più le scorte di glicogeno sono elevate e più è alto il metabolismo. Si limita la crescita muscolare. La sintesi proteica è un processo che richiede un surplus calorico. Lo stato energetico cellulare è governato anche dai depositi di glicogeno. Diete low carb abbassano i valori delle scorte muscolari.

Perché sono i carboidrati il carburante preferenziale?

Per quattro ragioni.

A parità di consumo d'ossigeno producono più energia: 1 I di O2 produce 5,36 kcal ossidando il glucosio; 1 1 di O2 produce 4,47 kcal ossidando acido paimitico; 1 1 di O2 produce 3,33 kcal ossidando Isoleucina /leucina; 2. Gli acidi grassi non possono essere ossidati in assenza d'ossigeno. 3. I carboidrati non producono prodotti di scarto come l'azoto delle proteine o i chetoni degli acidi grassi. 4. I marcatori dei fattori di crescita si innescano con una dieta ipercalorica ma rimangono prevalentemente silenti se non attivati dall’insulina. Senza carboidrati è molto più difficile mettere su muscolo. Oltre a tutto questo, aumentando la glicemia, hanno un'azione diretta contro la proteo li si, come vedremo nei prossimi paragrafi.

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Quant'è il fabbisogno giudàico. Il nostro corpo possiede tessuti glucosio dipendenti e glucosio preferenziali. I primi sono quelli privi di mitocondri come i globuli bianchi e rossi, che possono usare solo la glicolisi anaerobica come fonte energetica. I secondi sono quelli praticamente privi degli enzimi per la betaossidazione e che utilizzano come metabolita energetico il glucosio, ma che possono, in caso d’evenienza (digiuno, dieta chetogenica), sfruttare anche i corpi chetonici se occorre (il neurone è uno di questi tessuti). Dopo due ore da un pasto, quando la glicemia toma a valori quasi normali, il fegato inizia a rilasciare glucosio nel sangue. Mediamente l'organismo ha bisogno 7-8 g di glucosio all'ora (0,1-0,12 g/kg di peso corporeo) se la persona non è attiva. Il fabbisogno glucidico raggiunge il suo massimo dopo 10-12 ore di digiuno dopodiché il metabolismo inizia a shiftarsi verso la beta-ossidazione (grassi). S Il SNC ha bisogno mediamente di 120 g al giorno, pari al 40-60% del consumo totale di glucosio; in una persona moderatamente attiva di 70 kg. J

Gli eritrociti (i globuli rossi) consumano invece 37 g nelle 24 h (tra il 12-15% del consumo totale).

S

Midollare del surrene, testicoli, retina e tutti gli altri tessuti glucosio-dipendenti consumano 45-50 g (17-21% del consumo).

J

I muscoli, a seconda dell'attività svolta, richiedono più o meno glucosio. A riposo il loro dispendio è prevalentemente a carico degli acidi grassi ed in una persona sedentaria consumano al giorno 30-40 g di glucosio (15-18% del totale).

In condizioni basali il fabbisogno glucidico si aggira intorno ai 180 g al giorno (2,5-2,6 g/kg di peso corporeo), e può aumentare a seconda dell’attività lavorativa e sportiva che la persona svolge. Mediamente il consumo giornaliero può arrivare a 210-220 g per chi non fa mestieri pesanti né sport (3-3,2 g/kg di peso corporeo). Va fatta una premessa che vedremo meglio nel paragrafo suU’insulino-resistenza. Molte persone non tollerano i glucidi, o per via di diete sbagliate, o perché sedentarie da anni, o perché sovrallenate. Anche pochi quantitativi di carboidrati le gonfiano e le fanno ingrassare. Questo dipende principalmente da una capacità mitocondriale limitata, da una resistenza alla leptina/insulina e da bassi livelli di adiponectina. Se mangiando glucidi ingrassate subito avete un bel reset metabolico da fare (come vedremo nel capitolo finale).

Da dove arrivano gli zuccheri che non introduciamo

In condizioni di digiuno (per le prime 12-16 ore) il glucosio rilasciato nel sangue per soddisfare le esigenze dell'organismo arriva principalmente dal fegato che ne eroga 7-8 g all'ora. Di questi, 2/3 arrivano direttamente per glicogenolisi, mentre 1/3 da processi di gluconeogenesi (derivante dal lattato, aminoacidi muscolari, glicerolo). Il rapporto esatto tra i due dipende dalle scorte di glicogeno: più sono ampie e più vengono in prevalenza utilizzati i glucidi epatici. Abbiamo così in queste ore di “digiuno” una lisi muscolare atta a fornire energia. Va evidenziato che per ottenere un grammo di glucosio è necessario spendere non un grammo bensì 1,75 g di aminoacidi. In una giornata intera senza mangiare una persona utilizzerà mediamente 150 g di proteine per fornire glucosio, una somma molto rilevante per il catabolismo muscolare. Il digiuno intermittente è una delle strategie per perdere peso ma va fatto correttamente, il rischio è di catabolizzare in parte il tessuto contrattile. Va precisato che l'adattamento al digiuno, permette di limitare la lisi muscolare. Il corpo regola la biosintesi proteica in base alla disponibilità degli aminoacidi nel flusso ematico. Motivo per cui chi attua Vintermittent fasting (dieta che studieremo in seguito), dopo un primo periodo d'adattamento, non cannibalizza il suo corpo

quando non mangia. O meglio, ne limita la lisi ed ha una supercompensazione dell’anabolismo proteico una volta che reintroduce i macronutrienti (proteine+carboidrati).

Morale della favola La morale della favola è che tutte le strade portano a Roma. Potete scegliere se fare tanti piccoli pasti durante la giornata per limitare il catabolismo muscolare, oppure potete scegliere il digiuno intermittente lasciando all'organismo la possibilità d'adattarsi e di sfruttare dopo una fase catabolica una sovra-fase anabolica. Potete decidere di mangiare tante proteine in modo che la loro più lenta digestione/assorbimento rilasci in modo graduale aminoacidi nel sangue, oppure potete assumere molti carboidrati per limitare il più possibile la lisi epatica e muscolare. Quello che non potete fare è impedire al vostro organismo di consumare 180-220 g di glucosio al giorno (senza allenamento). La strategia che sceglierete dipenderà da voi, low carb, chetogeniche sono diete che funzionano benissimo (soprattutto per tempi limitati), tuttavia difficilmente le persone si trovano bene per tutta la vita. Perché? Perché non assumere il giusto quantitativo di carboidrati è un po' come vivere in Italia e scambiare gli euro in dollari per poi doverli ricambiare per potersi comprare gli oggetti. E scomodo e poco fruttuoso. Impariamo ad alimentarci in modo intelligente, impariamo a dare al nostro organismo quello di cui ha bisogno, carboidrati compresi.

Il metabolismo giuridico Si dice che la struttura è al servizio della funzione ed anche la nostra dentatura risponde a questo principio. Osservando il cranio dei primati si nota una forma stretta e affusolata essenziale per ospitare potenti muscoli masticatori (temporale e massetere), funzionali a triturare cibo tutto il giorno. I gorilla ed i nostri antenati avevano molari tre volte più grandi dei nostri adibiti alla macerazione di arbusti (il gorilla mangia 16-18 kg di vegetali al giorno). Gli erbivori passano buona parte del tempo a digerire i vegetali in bocca, questo grazie aWamilasi salivare. I carnivori possiedono invece potenti canini utili a squarciare la carne, ma non a masticarla e infatti la ingoiano. Il viaggio digestivo dei carboidrati inizia così, all’inizio dell’apparato digerente, nella bocca. I glucidi per essere scomposti devono rimanere in un ambiente neutro (pH 7) e per essere assorbiti devono essere trasformati in monosaccaridi. Il pane, che è formato da pacchetti di glucosio (amido polisaccaride), non può essere assorbito così com’è e pertanto viene inizialmente scisso tramite idrolisi in bocca, per poi successivamente completare la sua scomposizione nella parte digiunale dell’intestino (amilasi pancreatica). Una volta che è stato trasformato in glucosio semplice (monosaccaride) passa attraverso la membrana intestinale e viene immesso nel circolo portale dove arriva al fegato. La velocità con cui il nostro corpo può assorbire il glucosio (processo ATP dipendente) è molto rapida e raggiunge la velocità di 1 g/kg corporeo/ora. Se pesate 80 kg potete assorbire al massimo 80 g di glucosio all’ora. Questo non vuol dire che potete mangiare soltanto 80 g di pasta alla volta: uno perché 80 g di pasta corrispondono a meno di 80 g di zuccheri, due perché se introducete anche altri alimenti i tempi di digestione possono superare facilmente l'ora. Tuttavia mangiare troppi carboidrati, se mischiati ad altri macronutrienti (in un contesto ipercalorico), risulta uno dei modi più facili per ingrassare. Ricordatevelo la prossima volta che mangiate mezzo chilo di pane insieme al primo e al secondo. Ogni volta che ingeriamo un buon quantitativo di carboidrati (60% delle calorie del pasto), la glicemia si alza entro 40-60 minuti, passando da 80-90 (livelli ottimali) a 120-130 mg /100 mi. Dopo due ore e trenta toma al livello basale o addirittura a valori leggermente inferiori.

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Nella valutazione della funzionalità del metabolismo degli zuccheri, il fattore da considerare, non è tanto l’entità dei picchi glicemici generati (i quali costituiscono un evento del tutto fisiologico), bensì è il tempo con cui la glicemia toma a livelli basali dopo l’assunzione di carboidrati. Per esempio, i diabetici di tipo 2 e tutti quelli che soffrono d'insulino-resistenza hanno una difficoltà estrema nel far tornare, in periodi accettabili, la glicemia ai valori basali, palesando un cattivo stato del metabolismo glucidico. Per sapere se il corpo gestisce bene gli zuccheri (l’efficacia con cui il corpo li metabolizza), esiste il test di tolleranza al glucosio (che vedremo nel successivo paragrafo). Una volta che il glucide è stato assorbito come monosaccaride (glucosio-fruttosio-galattosio) arriva, come già accennato, al fegato dove hanno inizio le reazioni biochimiche che lo porteranno a trasformarsi in energia. Affinché il glucosio possa entrare nelle cellule ha bisogno insulina. Lo zucchero è idrosolubile mentre le membrane cellulari sono principalmente lipidiche. Questo ormone pancreatico permetterà di richiamare dal citosol uno specifico trasportatore (GLUT-4), che consentirà il passaggio del glucosio attraverso la membrana. Nel fegato, nel cervello e negli eritrociti (globuli rossi) non ce n’è bisogno perché sono tessuti insulino indipendenti e la velocità di passaggio dipende soltanto dai livelli plasmatici di glucosio (passa principalmente attraverso gradiente). Una volta che lo zucchero entra nelle cellule dell’organismo abbiamo la fosforilazione a glucosio-6-fosfato. L’aggiunta di un gruppo fosfato imprigiona il glucosio dentro la membrana e ne impedisce la fuoriuscita. Esochinasi e glucochinasi sono gli enzimi che catalizzano la reazione. Soltanto il fegato possiede la glucochinasi e questa aggiunta lo rende il tessuto corporeo più idoneo per impacchettare e salvaguardare il glucosio trasformandolo in glicogeno. Quest’ultimo, è la forma finale ottimale di conservazione degli zuccheri nella cellula, questo perché il potere osmotico del glucosio sarebbe di molto maggiore rispetto a quello del glicogeno e la cellula richiamerebbe troppa acqua dentro di se (potere osmotico degli zuccheri). Abbiamo visto precedentemente che il fegato non ha bisogno d’insulina per captare gli zuccheri mentre il muscolo si. C’è un’altra grossa differenza tra i due tessuti. Mentre tutte e due possono conservare al loro interno il glucosio sottoforma di glicogeno, solo il fegato è in grado di rilasciarlo nel circolo ematico, grazie all’enzima glucosio-6-fosfato fosforilasi. Questa caratteristica garantisce l’esclusiva di quest’organo sul controllo della glicemia (durante il digiuno per esempio), mentre le cellule muscolari possono utilizzare gli zuccheri solo per la propria attività. Pertanto, al risveglio dopo 10 ore che non mangiamo, le riserve epatiche saranno state intaccate mentre quelle muscolari saranno quasi piene. I magazzini glucidici del corpo sono influenzati in modo rilevante dai livelli ormonali ed energetici. Il glucagone rende più facilmente disponibile il glicogeno epatico, mentre quello muscolare viene influenzato dall’adrenalina, come abbiamo già visto. L’insulina permette l’avvio dei processi di glicogenosintesi e blocca quelli opposti di glicogenolisi. Al contrario il cortisolo aumenta la gluconeogenesi ed interrompe la glicogenosintesi. Abbiamo così un antagonismo tra insulina e cortisolo. Questa rivalità crea dei problemi quando i due ormoni si alzano contemporaneamente. Per esempio, sotto stress, il cortisolo immette zuccheri nel sangue, i livelli basali d’insulina rispondono alzandosi e così la presenza simultanea dei due ormoni peggiora l’affinità dei recettori cellulari GLUT-4 (soprattutto quelli situati nell’addome) portando verso l’insulino-resistenza. La composizione dei pasti (glucidici o proteici) influenza la stimolazione ormonale adibita alla produzione e allo stoccaggio dell’energia. L’assunzione di carboidrati stimola il metabolismo glucidico adipocitario, aumentando la produzione di leptina e indirettamente degli ormoni tiroidei (repetita iuvant). Questa è la ragione per cui non possiamo limitare i carboidrati nel lungo periodo nella dieta, pena vedere il proprio metabolismo scendere vorticosamente.

Il glucosio non può essere utilizzato se non attraverso la glicolisi. Questo processo porta alla formazione di due molecole di piruvato a partire da una di glucosio. A questo punto, se nella cellula sarà presente sufficiente ossigeno (aerobiosi), avremo l’ossidazione in CO2 e H2O, altrimenti verrà degradato in acido lattico (anaerobiosi). I passaggi ossidativi (in presenza d’ossigeno) avvengono tutti all’interno del mitocondrio, mentre gli altri nel citosol cellulare. Questo è il processo glicolitico: Glucosio + 2NAD+ + 2ADP + 2Pt

2Piruvato + 2NADH + 2H+ + 2ATP + 2H2O

Questo porta ad un guadagno complessivo di due molecole di ATP e due di NADH (particolari importanti solo per gli addetti ai lavori). La glicolisi è solo il primo passaggio della degradazione degli zuccheri. Successivamente, grazie all’intervento dei mitocondri, il piruvato verrà ossidato in anidride carbonica e acqua, garantendo un guadagno totale di 36-38 molecole di ATP. L’ossidazione del piruvato non è l’unica via di destinazione. Può indirizzarsi anche su un percorso anabolico e fornire lo scheletro carbonioso per la formazione dell’aminoacido alanina e per la sintesi degli acidi grassi e del colesterolo. Quello che ora ci preme sottolineare è l’estrema differenza di produzione d’energia tra l’anareobiosi ed i processi ossidativi (2 ATP contro 36-38 ATP). Ogni volta che la cellula produce lattato contrae un debito d’ossigeno che successivamente dovrà ripagare (ciclo di Cori). Per gluconeogenesi si intende la formazione di glucosio a partire da precursori non glucidici. I principali sono gli aminoacidi glucogenetici (58% degli aminoacidi) che per transaminazione o deaminazione producono ossalacetato. Gli altri aminoacidi sono invece chetogenici e producono acetil-CoA. Ossalacetato e acetil-CoA sono elementi fondamentali nel ciclo di Krebs, ma per ora non approfondiremo il discorso. Anche il lattato (il corpo ne produce almeno 40 g al giorno) e il glicerolo sono due precursori utili alla gluconeogenesi. Rapporti ormonali, livelli energetici citoplasmatici (ATP/ADP+AMP) e presenza di lattato, costituiscono quindi i fattori chiave per l’attivazione di processi glicolitici o glucogenetici a livello epatico. Ricordiamo infine che solo fegato e reni sono gli organi adibiti alla produzione di glucosio ex novo.

Test del glucosio ed AGE Il metabolismo glucidico è il metabolismo della vita, senza un buon utilizzo degli zuccheri tutto il nostro sistema si intasa e funziona male. Non possiamo essere dei buoni ossidatori di grassi se non sappiamo bruciare correttamente i carboidrati (tranne nella dieta chetogenica). Le ragioni sono diverse, prima fra tutte è che le cellule hanno imparato inizialmente a nutrirsi col glucosio e successivamente con gli altri macronutrienti. I metabolismi sono universali, gli studi sui farmaci vengono fatti prima virtualmente al computer, poi sui batteri, sui topi, su cani, scimmie ed infine sull’uomo. Le leggi della biochimica sono comuni a tutte le forme di vita, dal batterio all’elefante. Esiste un test OGTT (Orai Glucose Tolerance Test) che analizza la nostra risposta all'ingestione del glucosio. A stomaco vuoto, dopo 10-12 ore di digiuno, si somministrano 75 g di glucosio sciolti in 250 mi d'acqua in 5 minuti. La metodologia classica prevede ogni 30' un prelievo del sangue (il test semplificato limita la rilevazione glicemica tra 0 e 120 minuti). A seconda di come risponde il soggetto possiamo determinare la sua tolleranza agli zuccheri, se dopo due ore i valori glicemici tornano sotto i 120 mg/dl, il test è negativo e abbiamo una buona risposta. Valori glicemici elevati (superiori a 100 mg/dl) prima dell'assunzione del glucosio (a digiuno) possono indicare la presenza d'insulino-resistenza. I tessuti periferici mal gestiscono gli zuccheri e

i livelli basali glicemici sono alti. Valori invece elevati dopo due ore dall'assunzione indicano più una prevalenza di un deficit della risposta insulinica che una resistenza insulinica vera e propria. Il primo caso è ricorrente nei soggetti giovani e col grasso localizzato sull’addome, il secondo nei soggetti anziani e magri. Valori costantemente elevati di zuccheri nel sangue si possono misurare anche attraverso un semplice esame ematico, in cui si prende in considerazione {'emoglobina glicata. Gli eritrociti (globuli rossi) hanno un'emivita di 60 giorni, pertanto la loro convivenza con gli zuccheri del sangue è sufficientemente lunga. L’emoglobina glicata è pertanto un test che permette di riassumere i livelli di glicemia medi degli ultimi 2-3 mesi. Alti livelli glicemici portano il glucosio nel tempo a legarsi con le proteine dando vita ai famosi AGE (Advanced Glycation End-product). La glicazione è una reazione non enzimatica tra uno zucchero, i gruppi aminici liberi delle proteine, gli acidi nucleici e i composti lipidici. Il glucosio nel sangue non è l'unico glucide a determinare questo processo: il fruttosio, il ribosio e tutti gli zuccheri fosforilati sono molto più potenti nell'innescare la glicazione. Forse è per questo che l'evoluzione ha selezionato il glucosio e non altri zuccheri come fonte energetica principale. I tessuti più colpiti dai glucidi sono quelli che non hanno barriere cellulari selettive per limitarne l'assorbimento. Le cellule endoteliali, quelle dei nervi periferici di Schwann, quelle dei glomeruli renali e della retina, non sono in grado di modulare il trasporto dello zucchero, pertanto sono più soggetti ai danni dati da un'iperglicemia. In base a nuovi standard, dosaggi di emoglobina glicata (HbAlc) > 6,5% identificano una condizione di diabete, mentre valori compresi tra 5,4% e 6,5% determinano una situazione di “pre-diabete”. Più tendete ai range di salute 4,0-5,3% (avvicinandovi al valore più basso) e meno dovete preoccuparvi degli zuccheri nel sangue.

L'indice glicemico è una cagata pazzesca Conoscere un dato è importante soltanto se all’atto pratico si rivela di qualche utilità. Conoscere l’indice glicemico (IG) degli alimenti ci aiuta a dimagrire? Serve per mettere su massa? Vedremo in questo paragrafo come l’IG sia un dato ormai obsoleto e poco rilevante, superato dal carico glicemico, dall’indice insulinico e dal carico insulinico. L’IG misura la velocità con cui si alza la glicemia assumendo 50 g di carboidrati di un alimento. Letto in questo modo sembra quasi che l’IG indichi quanto un cibo influenzi gli zuccheri nel sangue ma non è esattamente così. Vediamo di capire il perché: pesa di più un chilo di chiodi o un chilo di piume? L’IG a parità di 50 g di carboidrati ci dice con che velocità entrano nel flusso ematico, ma a parità di 50 g (ribadiamo). La carota, per esempio, ha un IG alto. Tuttavia, questo alimento possiede per 100 g solo 9,5 g di zuccheri, un quantitativo modesto, ma visto che i suoi glucidi sono a rapido assorbimento viene indicata tra gli alimenti ad alto IG. La glicemia è influenzata si in modo rilevante, ma con 50 g dei sui zuccheri non con 50 g di carota in toto. Dobbiamo mangiare più di 500 g di carote per arrivare ad assumere 50 g dei suoi glucidi. L’IG vi indica che tra i “gratta e vinci” ce n’è uno da 200.000 euro ma non vi dice tra quanti biglietti vi capiterà, magari è tra 10 e vai la pena di comprarli tutti, magari è tra 1.000.000 e quindi il gioco non vale la candela.

È un indicatore della qualità ma non tiene conto della quantità. Ha un IG più elevato la banana o il pane integrale? Non ci interessa perché il primo alimento ha al suo interno solo 22-23 g di carboidrati (sempre su 100 g) mentre il secondo dai 50 g in su. Insomma, conta quanto ce l’hai duro, ma anche (mi suggeriscono dalla regia) quanto ce l’hai grosso. Per superare questa critica all’IG è stato introdotto il carico glicemico (CG) che tiene conto sia della qualità degli zuccheri ma anche della loro quantità. Ora potremmo pensare d'aver trovato un indicatore utile, invece non è tutto oro quello che zucchera.

Il CG è sicuramente interessante, ma non ci dice tutto perché tiene conto solo degli zuccheri. È stato ormai dimostrato che non sono solo i carboidrati a far aumentare l’insulina ma anche le proteine, i grassi (i quali abbassano il CG ma possono alzare l’indice insulinico) ed in misura maggiore un mix tra questi macronutrienti. Abbiamo così, alimenti con pochi carboidrati che alzano in modo rilevante l’insulina (per esempio i latticini). Per questo è stato creato l’indice insulinico ed il carico insulinico, i corrispettivi dell’IG e del CG ma che guardano l’insulina e non più la glicemia. Finalmente abbiamo trovato un dato utile a farci capire quali alimenti più facilmente ci fanno ingrassare o ci aiutano nella spinta anabolica (ricordiamo che l’insulina blocca la lipolisi e la gluconeogenesi, stimola la liposintesi ed aumenta l’up-take cellulare). Purtroppo è molto difficile reperire tabelle col carico insulinico in quanto sono presenti negli studi che la trattano ma tengono in considerazione le calorie (100 kcal) e non i grammi (100 g). Va infine aggiunto che, contrariamente a quanto si crede, non è principalmente l’insulina che ci fa ingrassare. Infatti abbiamo alimenti con alto carico insulinico che possono far dimagrire (latticini). Lo so è un casino ma ne parleremo meglio nel capitolo relativo agli ormoni. Concludendo, fermarsi all’indice glicemico degli alimenti vuol dire essere fermi alla preistoria, conoscere il carico glicemico ed insulinico può essere utile ma ormai non basta. Capire come funziona il nostro corpo, quando un ormone ci fa ingrassare, quando dimagrire, conoscere la nutrigenomica e l’effetto che gli alimenti hanno sui nostri geni è la chiave del futuro. Ma è una strada complessa, 200 fattori influenzano in modo rilevante la composizione corporea, mettetevi comodi (e prendete appunti), il viaggio continua.

Il mito dell'integrale Giustamente tutti prediligono, o dovrebbero farlo, i cibi integrali rispetto a quelli raffinati. L'errore di fondo tuttavia sta nel pensare che visto che è integrale possiamo mangiarne di più. Se confrontiamo i diversi indici glicemici (con tutti i limiti che abbiamo visto finora) possiamo notare che la differenza tra i prodotti integrali e raffinati non è rilevante. Se il vostro riso integrale ha 59 di IG e quello raffinato 64, il quantitativo per stimolare la stessa risposta glicemica differisce di pochi grammi. Provate a mangiare 128 g di riso integrale rispetto a 118 g di raffinato e vedrete che a livello glicemico non ci sarà differenza. Quando cercate le tabelle degli indici glicemici su internet, consultate siti famosi come wìkipedia, molto spesso altrove si trovano tabelle costruite più per fini commerciali che scientifici. L’indice glicemico negli amidi è influenzato principalmente dal rapporto tra amilosio e amilopectina (che studieremo tra poco), dalla cottura e temperatura dell’alimento, dal quantitativo glucidico e solo infine dal contenuto di fibre. Se il vostro pane integrale ha 12 g di fibre su 100 g è rilevante, se ne ha solo 3 g non è quello a fare la differenza. Purtroppo è più facile abbondare coi cibi integrali perché psicologicamente ci perdoniamo più facilmente lo sgarro. Ricordatevi sempre che un cibo disidratato (come i cereali) è calorico a prescindere che sia integrale oppure no. Il primo parametro a stimolare la glicemia è il quantitativo glucidico non l'indice glicemico. Si dice che i nostri nonni mangiavano meglio (pensiero in parte falso) perché mangiavano alimenti meno lavorati (questo invece è vero). Tuttavia la differenza non sta tanto nel fatto che loro mangiassero integrale e noi no, ma nel fatto che loro si muovessero molto di più. E meglio fare tanto sport e mangiare raffinato che essere sedentari ma mangiare integrale. Ovviamente l’ideale è unire le due cose positive. Va inoltre ricordato che se cerchiamo le fibre e i minerali, mangiare del riso raffinato con zucchine e pomodorini apporta tutti gli stessi benefici, se non di più, del riso integrale. Questo paragrafo non vuole demolire uno stile di vita che prediliga alimenti integrali (che dovrebbero diventare la quotidianità), ma semplicemente non vi vuole illudere che basta questo

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accorgimento per migliorare la vita. Tra l’altro, nella crusca, sono contenuti antinutrienti che chelano i minerali. Quindi, è vero che i cereali raffinati hanno solo calorie vuote senza micronutrienti, ma la biodisponibilità di quelli integrali rimane bassa. Quando comprate cereali non raffinati assicuratevi di prenderli biologici poiché i pesticidi si accumulano nella parte esterna del chicco che, nella sua forma integrale, viene conservata. In aggiunta, comprare cereali “bio” raffinati ha poco senso, poiché con la raffinazione la parte esterna e il suo contenuto vengono rimossi e le analisi da laboratorio non riescono a rilevare la presenza di eventuali pesticidi nell’endosperma rimasto (il chicco). E anche per questo motivo che moltissimo biologico raffinato, che trovate sul mercato oggi, è un falso (vedi inchiesta di Report). Infine, quando acquistate la pasta integrale, probabilmente avete tra le mani un prodotto raffinato a cui è stato aggiunta la parte mancante. Infatti alle aziende conviene spesso raffinare tutto, per poi rintrodurre la crusca nei prodotti integrali. Costituiscono invece sempre un’ottima scelta quinoa, amaranto e avena, venduti sempre grezzi, vista la difficoltà nel separare la crusca dall’endosperma e dagli alti costi di lavorazione, fattore che scoraggia le aziende dal farlo.

I carboidrati fanno ingrassare? Una volta si diceva, italiani: pizza, spaghetti e mandolino. L’Italia d’altronde è il paese della dieta Mediterranea, difficile sedersi a tavola senza un buon primo. Fino a 20-30 anni fa questo stile alimentare molto difficilmente veniva messo in discussione, ma con la diffusione della dieta a Zona le cose sono iniziate a cambiare: indice glicemico, sbalzi insulinici, hanno iniziato a far traballare qualche certezza. Ma alla fine i carboidrati fanno ingrassare? Vedremo che la risposta non è per nulla scontata. Iniziamo col riflettere su dove teniamo la pasta: in freezer, in frigo o nella dispensa? Più un alimento è idratato, più gli scambi metabolici avvengono velocemente e più si degrada; l’insalata già lavata ha qualche giorno di vita al fresco; quanto dura invece una confezione di fusilli? Più un cibo è disidratato più è calorico, quando si dice che è il sugo a far ingrassare e non la pasta, è una mezza verità; prendete 100 g di miele o di marmellata e guardate quante calorie hanno in rapporto a 100 g di spaghetti. Traete poi le vostre conseguenze. Valori indicativi per 100 g di prodotto. Miele: 304 kcal Marmellata: 278 kcal

Pasta di semola: 371 kcal

Riso: 358kcal Non fatevi fregare dal gusto dolce, questo è dato dal fruttosio non dalle calorie. È vero che durante la cottura la pasta si reidrata ma rimane comunque un alimento molto calorico. Chi non si muove, chi non ha una buona massa magra, dovrà fare attenzione a non mangiarne eccessivamente, oppure dovrà adottare altre strategie che vedremo in seguito. Quindi, la prima considerazione che dobbiamo fare è che i farinacei sono alimenti calorici, se vogliamo mangiarli e rimanere magri dobbiamo seguire i prossimi consigli. E ormai risaputo che per smorzare il carico glicemico dobbiamo aggiungere qualche grasso. Ecco, questo è uno degli errori che più spesso si compiono perché questo principio funziona benissimo, come nella dieta a Zona, finché i quantitativi di cibo sono bassi e con poche calorie. Avete mai spento una candela con le dita di una mano? Quelli sono gli effetti dei grassi nei piccoli pasti glicemici. Avete mai spento un tronco infuocato con le dita di una mano? Quelli sono gli effetti dei grassi con medio-grandi quantitativi glicemici. Quando nel flusso sanguigno troviamo alti livelli di zuccheri e grassi, l’acetilazione (l’accumulo di grasso) è assicurata. Se non volete fare disastri metabolici o mangiate poco di tutto o continuate a leggere.

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Spesso si dimentica che non tutte le calorie degli alimenti vengono assorbite. Sovente un eccesso piuttosto che essere accumulato sotto forma di trigliceridi aumenta semplicemente la dispersione energetica in calore. Finché le vie metaboliche rimangono libere e non abbiamo antagonismi recettoriali a livello cellulare e mitocondriale, i carboidrati in eccesso vengono ossidati piuttosto che convertiti in trigliceridi. Sono stati fatti diversi esperimenti a riguardo prendendo in considerazione i seguenti parametri: quando vengono sintetizzati lipidi a partire dai carboidrati (lipogenesi) il quoziente respiratorio (QR) è maggiore di 1 (rapporto tra il CO2 prodotto e O2 consumato) in quanto nella conversione di una mole di piruvato (prodotta dalla glicolisi) in una mole di acetil-CoA (unità base della sintesi lipidica) avviene una decarbossilazione con produzione di una mole di CO2. In pasti iperglucidici (fino a 600 g) si registrano QR compresi tra 0,8 e 1, segno che il corpo umano smaltisce l’eccesso di carboidrati aumentando il dispendio energetico piuttosto che convertendoli in lipidi. Da qui il detto “è il sugo che fa ingrassare non la pasta”, è in buona parte vero. Se usate condimenti grassi con medio-alti quantitativi di pasta, difficilmente il vostro girovita ne gioverà. Nell’alimentazione si sente tutto ed il contrario di tutto. Con una stessa strategia nutrizionale due persone rispondono in maniera diametralmente opposta. Qui di seguito elenchiamo alcuni elementi da prendere in considerazione se vogliamo mangiare pane e pasta senza ingrassare.

Gli esami ematici Quali sono i vostri valori? Vedremo i parametri ottimali in un prossimo capitolo. Se avete già nel sangue zuccheri e grassi elevati, i vostri margini di manovra sono limitati. Non potete sperare di partire subito mangiando un piatto di pasta abbondante. Dovete limitarvi adottando strategie che vi riportino i livelli ematici a valori più salutari. Passate da 3 macropasti e 6 minipasti, oppure adottate regimi diametralmente opposti come l’intermittent fasting. La strategia è quella di mantenere la glicemia stabile il più possibile, portando nel tempo i tessuti periferici a migliorare la captazione del glucosio. Questo avviene sia con tanti piccoli pasti, sia col digiuno programmato 16-18h (se ci riflettete abbiamo in tutte e due i casi una stabilizzazione della glicemia). La massa magra

Più massa magra avete e più si crea un antagonismo tra muscolo e grasso per chi deve captare gli zuccheri. Una buona massa magra vi darà un buon margine di tolleranza ai glucidi, al contrario se siete completamente sedentari difficilmente avrete sufficiente tessuto muscolare affamato di glucosio. // quoziente respiratorio

Il QR definisce se il vostro organismo sta consumando più zuccheri o più grassi. Più i vostri mitocondri sono in salute e più siete delle macchine brucia grassi. Se dopo tre piani di scale avete il fiatone, questo è un buon indicatore che la vostra produzione energetica derivante dall’ossigeno non è ottimale (in realtà il fiatone deriva da uno scarso condizionamento cardiovascolare e quindi da un inefficiente trasporto dell’ossigeno alla periferia, non tanto dal metabolismo intracellulare dell’ossigeno). I sedentari in sovrappeso rimangono dipendenti anche a riposo dai glucidi e sopportano male l’introduzione di alti quantitativi di zuccheri.

L'attività fisica ed il glicogeno Questo punto si ricollega con quello precedente. Più vi muovete (il segreto dei magri è che non sono pigri nei piccoli gesti quotidiani), più fate sport e più consumate glicogeno muscolare. Bassi livelli di glicogeno permettono al corpo d’accumulare zuccheri senza ingrassare. Ricapitolando, pane, pasta e tutti i cereali lavorati sono degli alimenti calorici con un’influenza marcata sull’insulina. Soggetti attivi, con buone masse magre, possono utilizzarli come fonte primaria d’energia senza paura d’ingrassare. Per stare in un range di sicurezza basta: Z non assumere più di 1 g di glucosio per kg di peso corporeo per pasto. 100 g di pasta (cruda) hanno mediamente 80 g di zuccheri, il discorso è differente se fate l’IF o se siete dei soggetti che risponondo bene ai carichi glicemici; Z non mescolare troppi glucidi con troppi lipidi (vedremo nel prossimo paragrafo maggiori dettagli), se siete in un regime iper-normocalorico; Z preferire i farinacei nei pasti post allenamento e muovete il culo svolgendo sia attività anaerobiche che aerobiche; Z abituarsi ai carichi glicemici. Spendete 20-24 settimane nel riabituarvi ai carboidrati. Partite con bassi quantitativi e ogni 7-14 giorni aggiungetene 5-10 g. In questo modo l’organismo si riabituerà ad una loro corretta ossidazione. La fonte da cui attingere i glucidi è molto importante. Legumi, tuberi, frutti amidacei, possono essere ottimi alimenti, ricchi di sostanze nutritive che possono apportare gli zuccheri di cui abbiamo bisogno. Pertanto non è importante soltanto trovare il quantitativo glucidico ottimale ma anche da quale fonte introdurlo.

I grassi ed i carboidrati vanno mangiati assieme? Esistono infinite strategie per dimagrire e migliorare la composizione corporea. Nel corso del tempo diverse diete hanno fornito diverse chiavi di lettura su questo argomento. Inizialmente la “dissociata ” ti faceva mangiare carboidrati a mezzogiorno e proteine-grassi la sera. Poi è arrivata la “Zona", che ha ribaltato il numero dei pasti (dai canonici 3 a 5-6) ed ha mescolato in proporzione (in %) tutti i macronutrienti (40-30-30). Anche se queste due strategie alimentari sono molto differenti in realtà portano tutte e due a dimagrire in quanto, indipendentemente da come e cosa mangiamo, se nei mitocondri c’è poco ATP si innescano i processi catabolici, se invece sono saturi si innescano quelli anabolici. Potremmo semplicemente dire che noi contiamo le calorie (dieta ipocalorica, normocalorica, ipercalorica), l’organismo conta l’energia nei mitocondri. A volte le cose coincidono, a volte ci sono significative differenze, ma questo è un discorso dei capitoli successivi. Per ora sappiamo che: 1. se nel flusso ematico abbiamo contemporaneamente alti zuccheri e alti trigliceridi siamo sicuri d’ingrassare. Quindi su questo punto possiamo stare sereni eccedere con i carboidrati e con i grassi nello stesso pasto (in un contesto giornaliero ipercalorico) è il miglior modo per vedere gli addominali fare la valigia. Il cenone di Natale è un ottimo esempio di quello che non bisognerebbe fare; 2. un pasto con un alto carico glicemico potrebbe far ingrassare o comunque, se ripetuto continuamente, va a sputtanare i recettori cellulari GLUT-4 portando a peggiorare il nostro stato metabolico. Potrebbe, perché se le vie metaboliche sono libere (non ostruite da grassi e proteine) l’eccesso glucidico viene ossidato e non si converte in acidi grassi, specie in soggetti allenati e magri;

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l’insulina non viene stimolata solo dalla glicemia, ma anche dagli ormoni gastrici, dagli aminoacidi che bypassano il metabolismo epatico e da un mix di macronutrienti. Quindi è vero che se vi misurate la glicemia e mangiate solo carboidrati senza grassi questa, dopo il pasto, risulta più alta, ma state appunto misurando la glicemia non l’insulina. Il bignè alla crema è un ottimo esempio di un alimento in cui l’aggiunta di grassi abbassa il carico glicemico ma alza il carico insulinico.

Morale della favola Noi ingrassiamo perché c’è un eccesso d’energia nei mitocondri (lo so che l’avete capito ma repetita iuvant). Cosa, come, quando mangiamo è secondario a questo. Tuttavia adottare strategie vincenti ci permette di mangiare di più senza inficiare i risultati. La scelta così di mischiare i macronutrienti (carboidrati-proteine-grassi) dipende essenzialmente da quanta energia assumete in un pasto. / Fino a 400-600 kcal potete mischiare tutto quello che volte. Da 600-800 kcal siete in una zona di confine, più massa magra avete, più siete attivi e meno vi dovete preoccupare.

Sopra le 1000-1200 kcal rischiate la malattia dell’agnello (vi cresce la pancia e vi cala l’uccello). Detto questo concludiamo con un MA grande come una casa, ma che vi aiuta a riflettere su che cos’è l’alimentazione. Durante il digiuno intermittente si mangia mediamente 1-2 volte al giorno, come facciamo ad assumere tutti i macronutrienti senza ingrassare dopo il pasto? Ingrassare-dimagrire non vogliono dire niente se non si prende in considerazione un determinato lasso di tempo. Per capirci, se mangiate solo una volta al giorno a cena è normale ingrassare dopo il pasto. Ma è il bilancio calorico giornaliero (per non dire settimanale) a contare, non i pasti. Possiamo benissimo ingrassare mischiando i macronutrienti se poi nel resto della giornata perdiamo più di quello che abbiamo acquistato. E il totale a fare la differenza, preoccupatevi della composizione dei pasti soltanto in un contesto ipercalorico.

Le fibre alimentari Molti meccanismi nel corpo umano (vedi il sistema ormonale) si comportano come delle chiavi in una serratura. Non basta avere tutti gli elementi, questi devono anche combaciare. Anche per le fibre alimentari funziona così. Facciamo l’esempio della cellulosa. Questa è un polisaccaride formato da glucosio proprio come Vamido, ma la differente struttura chimica la rende resistente all'idrolisi degli enzimi digestivi umani e quindi non assorbibile. Tutti i residui di cellule vegetali commestibili che non possiamo assimilare e finisco nella cacca vengono definite fibre alimentari. La loro funzione è molto importante per l'organismo umano per diverse ragioni. Il nostro corpo è formato da un universo, un universo vivo, non solo perché abbiamo miliardi di cellule, che nascono, comunicano e muoiono ma perché per ogni nostra cellula ospitiamo dieci batteri (rapporto 1/10). Alcuni chili del nostro peso sono dati proprio da loro. Nel nostro intestino miliardi di batteri vivono, si riproducono, lottano, in perfetta simbiosi con noi. Ne esistono oltre quattrocento specie e a seconda di cosa mangiamo alcune proliferano, altre si estinguono. Per questo un'alimentazione corretta è tanto importante, perché la nostra salute dipende anche da una sana flora intestinale e questa si sviluppa sulla base di quello che mangiamo (approfondiremo in un prossimo capitolo). Le fibre sono un elemento essenziale per nutrire i nostri ospiti. Si suddividono in solubili ed insolubili. Le prime sono delle ladre, assorbono (chelano) al loro interno zuccheri, grassi e sali

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biliari, riducendo così l'apporto calorico assunto e il colesterolo. Al contrario di quello che comunemente si può pensare, mangiare troppe fibre solubili non fa cagare. Quelle insolubili, invece, sono dei “moltiplicatori di particelle”. Avete mai notato che mangiando poca crusca fate invece tanta cacca? Questo avviene perché le fibre insolubili catturano l'acqua ed aumentano il loro volume, portando ad un più rapido svuotamento intestinale. Così si riduce sia l'assorbimento dei nutrienti, sia si diluisce la presenza di sostanze tossiche nell'intestino ed il tempo di contatto con le pareti. Se si mangia tanta carne è importante accompagnarla con un buon quantitativo di fibre insolubili che permetta d'espellere le molecole azotate tossiche rimaste nel tratto digerente. La presenza di fibre modifica il pH intestinale e permette ai batteri “buoni ” di proliferare a discapito di quelli “cattivi Purtroppo non è tutto oro quello che luccica ed eccedere (la quota raccomandata è di 25-35 g) può comportare problemi d'assorbimento di importanti nutrienti a causa dei fìtati contenuti nelle fibre. Carenze di calcio, ferro, selenio, zinco possono essere favorite da un eccesso d'acido fitico introdotto con la dieta. Anche chi ha problemi nell'aumentare di peso dovrebbe fare attenzione a non esagerare, per non ostacolare i processi d'assorbimento dei macronutrienti. Le fibre aumentano di molto l’indice di sazietà, pertanto a parità di calorie un alimento che ne contiene un quantitativo maggiore sarà più saziante. Gli antinutrienti contenuti nelle fibre sono l’elemento che aumenta di più il senso di sazietà negli alimenti. Ne sono ricchi i legumi, che sono consigliati per migliorare l’assetto metabolico (amido a lento rilascio), per riempire lo stomaco e per non soffrire la fame.

Il fruttosio Negli anni Novanta l'industria alimentare, dopo la divulgazione al pubblico dell'indice glicemico, scoprì il fruttosio. Sui banchi dei supermercati apparvero, accanto ai sacchetti dello zucchero classico (saccarosio), vasetti di fruttosio. Questa notorietà, tuttavia, è negli anni giustamente diminuita, perché non è tutto oro quello che zucchera. Il fruttosio è un monosaccaride con la stessa formula chimica del glucosio (C6H12O6) ma con una differente forma. Questo gli conferisce delle particolarità uniche. Non è captato dai recettori GLUT-4 delle cellule muscolari e grasse, pertanto spetta unicamente al fegato il compito di metabolizzarlo e convertirlo in glucosio. Questo è il motivo per cui ha un indice glicemico tanto basso (da 19 a 23), perché non stimola l'insulina in quanto non entra nelle cellule muscolari grazie ad essa. Oltre a questo non stimola, ma anzi ostacola la produzione di leptina. Grazie alla sua forma, tuttavia, ha un potere dolcificante doppio rispetto al glucosio. Il miele è così dolce non perché è esageratamente zuccherato (82g/100g poco più del riso che ne ha 79g/100g) ma perché i glucidi che lo compongono sono prevalentemente composti da fruttosio. Se ingerito in eccesso (oltre i 30-50 g a pasto) va incontro a fermentazione neH'intestino portando a dolori di pancia, crampi, flatulenze e diarrea. Se volete fare una sfida di scoregge con gli amici, un'integrazione di fruttosio può farvi diventare dei campioni, ma attenti a non cagarvi addosso. Avendo il fegato come unico tessuto bersaglio, non crea nessun problema finché non viene assunto in eccesso. Mediamente la quota massima consigliata è di 40-50 g al giorno, ma alcuni soggetti con sindromi da malassorbimento (soprattutto chi ha il colon irritabile), devono ridurre ulteriormente la quantità a 20 g. Se assunto in grossi quantitativi (ricordiamo che il saccarosio, lo zucchero da cucina è formato al 50% da questo glucide), insieme a dolci, miele, succhi di frutta e bevande gasate, inizia a fare disastri neH'organismo. Il nostro corpo non può permettersi di mantenere nel circolo sanguigno questo zucchero, pertanto viene rapidamente convertito in trigliceridi che si depositano nel fegato dando vita al

fegato grasso. Una parte di fruttosio si legherà alle proteine del corpo per formare prodotti di glicazione avanzata, gli AGE, di cui abbiamo parlato in precedenza, creando così danni tissutali. Insomma l'eccesso è alquanto dannoso per la salute, per fortuna però se togliamo dalla cucina lo zucchero e seguiamo un'alimentazione sana (senza eccedere coi dolci) raggiungere la quota massima solo con la frutta è alquanto improbabile. Se mangiate 2-3 frutti al giorno potete stare tranquilli. Fino ai tempi dei nostri nonni la frutta era molto meno dolce, oggi grazie alle selezione artificiale riusciamo a coltivare sempre più frutti zuccherini ma meno salutari (anche con meno fibre). Il contenuto di carboidrati nella frutta è raddoppiato negli ultimi cinquant’anni. Purtroppo il fruttosio non ha un potere saziante perché non stimola l'insulina e non reprime la grelina. E più facile accorgersi di un suo eccesso perché ci fa male la pancia, piuttosto che per l'essere sazi. Il momento ideale in cui assumerlo è dopo il digiuno o l'attività fisica. In questi momenti le scorte epatiche e muscolari di glicogeno saranno scarse, pertanto il fegato sarà ben disposto ad assorbirlo. Si è visto che il glicogeno si ricarica più rapidamente se introduciamo piccoli quantitativi di fruttosio o galattosio post allenamento. In ultima analisi, questo glucide, non interagendo neanche con l'adipocita non stimola la produzione di leptina, pertanto rispetto all'amido o al glucosio risulta uno zucchero meno interessante sia dal punto di vista della stimolazione del metabolismo sia per migliorare la composizione corporea.

Carboidrati di sera, dormir bene si spera È opinione comune pensare che sia meglio assumere carboidrati nel corso della giornata e non a cena. Questo principalmente per due motivi. Il primo riguarda il consumo calorico: immettere zuccheri quando ci apprestiamo ad andare a letto aumenta le probabilità che si trasformino in grassi non venendo consumati da nessuna attività. Il secondo invece è un discorso ormonale: la produzione ed il picco notturno del GH vengono smorzati dall’introduzione di glucidi. Ricordiamo che l'ormone della crescita è in antagonismo con gli zuccheri, in quanto spinge la cellula ad utilizzare il metabolismo lipidico. Entrambe queste convinzioni sono sbagliate. La prima perché non ci si accorge che il dispendio energetico nel sonno è pressappoco uguale rispetto a quello di attività a basso impatto (stare seduti su un banco o una scrivania). Quindi se svolgete un lavoro sedentario le variazioni caloriche non sono così significative da giustificare la ripartizione giornaliera dei carboidrati. La seconda perchè le variazioni ormonali circadiane nelle persone naturai (che non fanno uso di anabolizzanti) non sono così significative da cambiare radicalmente la composizione corporea. Per capirci a parità di calorie non è che se non avete il picco notturno non dimagrite, le differenze ci sono ma non sono così determinati. Per di più se mangiamo carboidrati ad alto indice glicemico alle 20.00 avremo un'ipoglicemia reattiva la notte che andrà a potenziare gli effetti del GH. Quindi è tutto relativo. In verità i motivi per cui possiamo assumere i glucidi anche a cena sono principalmente quattro. 1. Gli zuccheri danno facilmente sonnolenza e aumentano l'attività del sistema parasimpatico. Pertanto se vogliamo tenerci svegli ed attivi conviene limitarli durante l'orario lavorativo. 2. Stimolano l’organismo a secernere più leptina nel giorno successivo alla loro introduzione serale. Questo porta in soggetti sani ad una miglior composizione corporea, mentre in soggetti affetti da resistenza alla leptina (data generalmente da un eccesso di grasso) ad aumentare l’insulino-resistenza.

La leptina se non esplica la sua normale funzione produce l’effetto contrario (come molti ormoni). Quindi carboidrati di giorno o di sera potrebbe dipendere dalla risposta individuale. 3. Favoriscono indirettamente il rilascio di serotonina, un precursore della melatonina che è essenziale per dormire bene. I glucidi, stimolano l'insulina e aumentano l'up-take cellulare del muscolo per gli aminoacidi. Il triptofano, un precursore della serotonina, non viene captato dalle cellule e i suoi livelli ematici rimangono elevati (in assenza di aminoacidi antagonisti) favorendo il suo passaggio attraverso la barriera emato-encefalica. Giunto cosi nel cervello verrà convertito in serotonina. Questo evento diminuisce anche l'appetito, determinando un maggior senso di sazietà, fattore da non sottovalutare. 4. Il cortisolo la sera cala, questo porta a migliorare la sensibilità insulinica in questa fase della giornata. Arrivati a questo punto dovremmo aver capito che possiamo benissimo mangiare i carboidrati anche alla sera e che il momento ideale in cui assumerli non dipende da nessuno dei fattori sopra esposti bensì daH'allenamento. Questo è il vero evento fondamentale che determina quando mangiarli in maggiore quantità. La sensibilità all'insulina rimane elevata fino a due ore successive al training, dopo non cala drasticamente, ma inizia a scendere costantemente. Conviene introdurre quindi più zuccheri in questo lasso di tempo: se vi allenate al mattino assumeteli a pranzo, se vi allenate al pomeriggio assumeteli a cena. Questo è il vero fattore da tenere in considerazione. Quando mangiate poco si affamano sia le cellule muscolari sia quelle grasse. Dopo l’allenamento invece sono solo le cellule muscolari ad essere affamate. Questo farà si che gli zuccheri introdotti finiscano tutti nei muscoli e nel fegato, evitando gli adipociti. L’ultima considerazione che possiamo fare riguarda il tenere le scorte glucidiche esaurite per molte ore dopo fallenamento. Questo inizialmente può far dimagrire, grazie ad una migliore attività lipolitica data dai bassi livelli di glicogeno, ma nel medio-lungo periodo può innescare processi che portano verso l'insulino-resistenza (momentanea). Quando le cellule hanno pochi zuccheri aumentano i recettori GLUT-4 per capitarli, ma se scarseggiano per troppo tempo shiftano eccessivamente il loro metabolismo sui grassi, perdendo così l’affinità col glucosio. Pertanto, tutte le scelte alimentari su quando assumere i carboidrati rimangono aperte e vanno rapportate alla persona, alle sue abitudini e al suo carattere mattutino o serotino; alcune persone hanno un’attività simpatica (produzione i catecolamine) più elevata nella prima parte del giorno, altre invece verso sera. Su intenernet si legge che in base al proprio morfotipo (biotipo) dobbiamo mangiare i glucidi di giorno o di sera. Lasciate perdere i biotipi, se cercate su PubMed soprirete che hanno a che fare più col marketing che con la fisiologia.

Meglio la pasta, il riso o le patate? L'argomento è complesso e ricco di spunti. Non prenderemo in considerazione il glutine (contenuto nella pasta), la solanina (contenuta nelle patate), antinutrienti, inibitori della proteasi e ledine, argomenti troppo complessi per dare ora una risposta completa in un unico paragrafo, tuttavia approfondiremo il discorso quando parleremo della permeabilità intestinale. Per il momento ricordiamoci semplicemente di due concetti: 1. se non avete problematiche specifiche la cottura rende poco rilevanti la presenza di ledine, saponine e solanine; 2. tutti gli alimenti hanno dei contro, quindi è inutile focalizzarsi sugli aspetti negativi quando quelli positivi sono molto maggiori.

Per effettuare una prima scrematura su cosa sia meglio tra pasta, riso e patate consideriamo la lavorazione a cui sono sottoposti gli alimenti: più un cibo è sottoposto a processi (macinazione, raffinazione, brillatura, ecc.) e più perde i suoi valori nutrizionali, oltre a venire facilmente a contatto con sostanze non sempre salutari. Da questo punto di vista la pasta è la più sconsigliata, mentre le patate sono le più naturali. Per ottenere il riso bianco si esegue un procedimento industriale di brillatura utilizzando talco (nocivo per la salute) e glucosio: inutile dire che le versioni integrali sono molto più salutari. Ricordatevi sempre di preferire il biologico integrale. Il secondo fattore da tenere in considerazione è la densità energetica: i cereali sono prodotti disidratati che solo con la cottura richiamano acqua (reperita iuvant). La patata invece è un alimento molto idratato e poco calorico, la cui cottura (solo se bollita o al vapore) non altera l’idratazione. A parità di peso 100 g di pasta o riso apportano oltre il triplo delle calorie rispetto a questo tubero. E vero che quest'ultimo possiede un indice glicemico alto, superiore ai cereali (dato da un amido maggiormente composto da amilopectina) ma in rapporto il carico glicemico rimane inferiore visto il quantitativo d'acqua al suo interno. Se mangiate spesso le patate preoccupatevi di sceglierle giovani (piccole) e di conservarle al buio per limitare la produzione di solanina che continua anche una volta raccolte. Non dimentichiamoci che la qualità dell'alimento si basa sul suo rapporto tra calorie e micronutrienti. Da questo punto di vista pasta, riso e patate non sono alimenti proprio vincenti. Anche la versione integrale, molto più ricca di minerali, ha in realtà una bassa biodisponibilità dei micronutrienti data proprio dal maggior contenuto di fibre che li chelano. Il loro grosso vantaggio è quello di aumentare l'idratazione del corpo (come vedremo nel paragrafo sull'acqua), di stimolare il metabolismo e di aumentare le scorte di glicogeno muscolare in virtù del loro alto contenuto di amido. La pasta tra tutti questi alimenti è quello col contenuto proteico più elevato, tuttavia è costituita da aminoacidi con un basso valore biologico per via della scarsità di triptofano e di lisina. Il riso invece, anche se possiede meno proteine, ha aminoacidi con un valore biologico superiore il che rende i due prodotti equiparabili dal punto di vista dell’apporto proteico. In ogni caso, se vogliamo ricercare una buona fonte proteica è meglio guardare altri cibi o ad un mix tra cereali-legumi e non al singolo alimento. Per concludere il vero vincitore rimane la varietà. Se continuiamo a mangiare sempre gli stessi alimenti la varietà enzimatica del nostro organismo si riduce. Come per l'allenamento fornire sempre nuovi stimoli (cibi) permette di continuare a stimolare positivamente l'apparato digerente ed i relativi enzimi, allenando così il nostro organismo all'assimilazione. Il vero segreto nella scelta delle fonti glucidiche sta nel scegliere fonti a medio-lento rilascio che stimolino la leptina (quindi senza fruttosio o galattosio). E pura utopia pensare di sostituire all'amido la frutta e la verdura. Infine ricordiamo che, mentre la farina bianca devasta la nostra sensibilità insulinica (questo perché i picchi ormonali, se ripetuti, stressano l'organismo e la captazione cellulare), carboidrati integrali, cotti al dente, rilasciano zuccheri lentamente nell'organismo migliorando l'affinità col glucosio da parte delle cellule. Qui sta la grossa differenza tra dimagrire o ingrassare con la pasta, il riso e le patate.

Conosciamo i diversi tipi di amido Abbiamo già visto che soltanto i monosaccaridi possono passare la barriera intestinale e venire assorbiti. Pertanto tutti gli alimenti amidacei devono prima essere scissi in glucosio per essere introdotti nel circolo ematico. Ma allora, perché la pasta ha un indice glicemico differente dal pane

se sono entrambi costituiti da amido? E perché la banana (frutto amidaceo) se acerba ha un certo indice glicemico mentre se matura questo diventa più alto? L'amido può essere classificato in assimilabile e resistente', la banana, quando è acerba, è costituita prevalentemente da amido resistente, che ne impedisce l'idrolisi nell'intestino tenue. La sua digestione/assorbimento prosegue fino all'intestino crasso dove fermenta grazie ai batteri della flora intestinale. Questa è la ragione per cui Vamido resistente viene considerato a tutti gli effetti una fibra alimentare (solubile). I frutti amidacei cambiano il loro tipo di amido da resistente ad assimilabile con la maturazione e per questo motivo si modifica anche il loro indice glicemico. L'amido è costituito da due differenti polimeri di glucosio: amilosio e amilopectina. Il primo ha una forma chimica lineare poco attaccabile dagli enzimi digestivi, mentre il secondo è molto più digeribile. I farinacei sono costituti da entrambi, ma a seconda di quale prevale, l'indice glicemico risulta più o meno alto; ecco spiegata la differenza tra il pane (ricco di amilopectina) e la pasta (più ricca di amilosio). Amilosio

Amilopecinta

Patata

21%

79%

Frumento

28%

72%

Riso

17%

83%

Il riso basmati che si compra al supermercato è raffinato, tuttavia viene considerato un riso integrale perché l’alto quantitativo di amilosio ne conferisce caratteristiche chimiche simili al riso integrale. La cottura aumenta l'indice glicemico perché porta alla gelatinizzazione dell'amido rendendolo più facilmente assimilabile; al contrario il raffreddamento lo riporta alla cristallizzazione fenomeno che lo conduce verso l'amido resistente. Mediamente i farinacei che compriamo mantengono un 10% d’amido resistente anche dopo la cottura. La pasta al dente ha meno calorie della pasta ben cotta perché una porzione maggiore di amido rimane non assimilabile. Nello stesso modo la pasta fredda da frigo (anche se fa schifo) ha ancora meno calorie perché il polisaccaride tende a retrogradarsi tornando alla sua forma originale cristallizzata. La stessa cosa succede per il pane secco. Composizione degli alimenti amidacei, maturazione, cottura e conservazione, sono tutti fattori che influiscono in modo considerevole sulla velocità e sulla quantità di assorbimento del polissacaride.

Le proteine Le prime nozioni da sapere Non c’è nulla che infiammi più del napalm se non le discussioni a proposito di quante proteine abbiamo bisogno. C’è chi sostiene che 0,3 g/kg di peso corporeo (d’ora in poi per comodità useremo solo “g/kg”) bastano e avanzano, chi invece afferma che con 5 g/kg abbiamo un’assunzione sicura ed ottimale. Dove stia la verità lo ignoriamo, ma siamo convinti che la logica applicata allo studio possa fare chiarezza. Iniziamo a conoscere le basi sulle proteine per poter poi leggere con coscienza i paragrafi che seguiranno.

Le proteine hanno una struttura chimica particolare che conferisce loro delle caratteristiche uniche tra i macronutrienti. Un grammo di proteine fornisce in media 4 kcal, ma in realtà questo è scorretto o meglio inesatto: un grammo di protidi contiene 5,65 kcal. Ma allora perché questa differenza? Perché se le ossidiamo in una macchina (bomba calorimetrica) otteniamo 5,65 kcal, mentre se le mangiamo abbiamo solo 4 kcal? La risposta sta negli atomi che le compongono. Tutti i macronutrienti sono composti da carbonio (C ), ossigeno (O ), idrogeno (H ). E soprattutto quest’ultimo che permette al corpo di ottenere energia dai nutrienti. Infatti i lipidi sono molto più ricchi di idrogeno rispetto a tutti gli altri. I protidi, oltre a questi elementi, contengono anche azoto (N) ed in alcuni casi zolfo, fosforo, ecc. Nel nostro corpo il grosso dell’azoto non può essere ossidato, pertanto deve venire espulso legandosi con atomi di idrogeno per formare l’urea CO(NH2)2- Gli atomi di idrogeno che si perdono tolgono all’incirca il 19% del contenuto energetico delle proteine, portando il loro valore effettivo da 5,65 a circa 4 kcal. Quindi possiamo dire che:

1 g di protidi apporta mediamente 4 kcal Tutti i protidi formano dei prodotti di scarto (ammoniaca, che diventa urea); pertanto in biochimica le proteine vengono considerate una forma di energia “sporca”. Gli aminoacidi (i mattoni delle proteine) hanno anche un’altra caratteristica unica che è quella di non poter essere stoccati come riserve nel nostro organismo. Mentre i glucidi si possono accumulare come glicogeno, i lipidi come trigliceridi negli adipociti, le proteine in eccesso non hanno nessun luogo del corpo dove possono essere depositate come riserva. La teoria (amino tank theory) per cui un eccesso di proteine si stocchi nei muscoli fino ad ora non è mai stata provata. Se volete illudervi fatelo! Tutti i protidi in eccesso seguono queste vie metaboliche: J vengono ossidati (il principale destino metabolico);

J vengono convertiti in glucosio (qualora manchino i glucidi); J vengono convertiti successivamente in grassi (evento rarissimo). La loro funzione principale è quella plastica (di costruzione) e non energetica. La conversione degli aminoacidi glucogenici (il 58% degli aminoacidi) in glucosio è un processo biochimico molto facile, ma la loro successiva conversione in trigliceridi è un avvenimento molto raro che richiede un surplus energetico rilevante e la presenza di altri macronutrienti per creare “ingorghi metabolici”. Pertanto è molto difficile che un eccesso proteico, in una dieta normocalorica, porti ad ingrassare realmente. Il loro nome deriva da protos (primario). Si trovano praticamente in qualunque tessuto dei viventi (e non solo), ad esempio il tessuto muscolare ne contiene circa il 20%. Non esiste struttura del nostro corpo che non abbia all’interno delle proteine. Un uomo di media statura ne ha 10-12 kg. È essenziale non avere carenze di questo nutriente, la quota minima raccomandata è di 0,75 g/kg, in media il 13,5% delle calorie introdotte, il che corrisponde mediamente al turnover proteico. Una persona sedentaria può vivere in salute assumendo 0,9-1 g/kg, pari al 20% delle calorie giornaliere. La quota raccomandata agli atleti è invece ancora elemento di discussione. Alcuni autori (di fama mondiale) arrivano a consigliare fino a 1,7-2,7 g/kg. Questa quota non sembra creare problemi alla salute, tuttavia non è ancora definitivamente stato provato che la performance migliori; ad oggi, le evidenze degli ultimi studi, consigliano tra 1,5 e 2,5 g/kg come quota ottimale per soggetti naturai alla ricerca una miglior composizione

corporea, ma sono valori ancora da valutare e soprattutto vanno contestualizzati con gli altri macronutrienti. Più i carboidrati salgono, più le proteine possono scendere. E un credo del bodybuilding quello di pensare che più protidi si assumono e più il corpo cresce. Oltre le necessità fisiologiche il surplus non apporta nessun vantaggio, anzi affatica l’organismo. Una volta soddisfatto il fabbisogno, protidi in eccesso occupano solamente i trasportatori di membrana cellulare e mitocondriale, aumentando la probabilità che gli altri macronutrienti non vengano ossidati in calore, ma si convertano in grasso. Negli ultimi anni era emersa la teoria che atleti di resistenza (corsa, ciclismo, nuoto) avessero più bisogno delle proteine rispetto agli atleti di potenza. Questo è dato dal fatto che la degradazione proteica (catabolismo) è maggiore negli sport di endurance. Oggi questa teoria traballa, ma una verità di fondo rimane. Sicuramente chi fa molta attività fisica ha bisogno di elevati livelli di proteine e carboidrati per limitare la lisi muscolare. I grammi ideali di protidi dovrebbero essere considerati in rapporto alla massa magra più il grasso essenziale per le persone che si allenano esclusivamente coi pesi, mentre per chi pratica attività usando come sovraccarico il proprio corpo (vedi la corsa), il conteggio migliore si basa su un rapporto con tutto il peso corporeo. J Ad oggi la quota ideale nei periodi di massa varia da 0,9-1,5 g/kg.

J

Nei periodi di mantenimento l,4-2g/kg con diete normocaloriche.

J

Nei periodi ipocalorici di definizione 1,7- 2,5 g/kg.

Ovviamente queste indicazioni non sono unanimi. Le linee guide ed altre correnti di pensiero adottano quantitativi inferiori o superiori. Noi abbiamo deciso di prendere una posizione di mezzo (in medio stai virtus).

Le proteine sono tutte uguali? Come l'intestino non era in grado di assimilare carboidrati complessi (i quali devono essere scissi in monosaccaridi), così non può assorbire le proteine ma le deve scomporre in aminoacidi (possono passare la barriera intestinale solo i tripeptidi). Questo ci fa capire perché i diabetici non bevono finsulina (ormone proteico) ma se la iniettano. Per via orale passerebbe per l’intestino come semplici aminoacidi perdendo così la sua funzione. Gli aminoacidi sono la struttura fondamentale dei protidi. Negli alimenti che mangiamo ne esistono 20 e, a seconda di come si combinano, danno vita a strutture completamente differenti. Il nostro organismo può autoprodume 11 (per alcuni autori 12), gli altri 9 (8) sono considerati essenziali. Questo vuol dire che se non sono introdotti con la dieta il corpo non può creare la proteina di cui ha bisogno. Va fatta tuttavia maggiore chiarezza su questo punto: in un pasto non è necessario I avere contemporaneamente tutti gli 8-9 aminoacidi essenziali. Nel flusso ematico è facilissimo che I siano presenti, soltanto una volta che saranno esauriti anche nel sangue il nostro organismo dovrà I catabolizzare i propri tessuti per ricavarli. Questo vuol dire che in persone vegetariane non c'è l'obbligo di mangiare contemporaneamente I cereali (carenti di triptofano e lisina) e legumi (carenti di metionina e cisteina) per completare lo I spettro amminoacidico, ma semplicemente si potrà mangiare gli uni a pranzo e gli altri a cena. Ultimamente si parla molto di proteine animali e proteine vegetali. La prima cosa da chiarire è I che dovremmo parlare di aminoacidi maggiormente presenti nelle fonti animali o vegetali, visto I che sono questi ad essere assorbiti. Il nostro organismo non è in grado di riconoscere da quale I fonte alimentare proviene un aminoacido. Le proteine animali sono più ricche di aminoacidi! essenziali, mentre quelle vegetali hanno uno spettro meno completo.

Isoleucina, leucina e vaiina (i famosi BCAA) rivestono tra quelli essenziali un ruolo particolare. Quasi tutto quello che assorbiamo passa e viene metabolizzato dal fegato. Ma quest'ultimo non possiede l'enzima BCAA amino-transferasi lasciando questo compito al muscolo. La loro introduzione, con la dieta o con l'integrazione, permette al miocita di avere una fonte energetica o plastica immediatamente spendibile. Questo segnala alla cellula un'elevata disponibilità energetica utile sia durante l'attività fisica, sia per attivare l'm-Tor e per promuovere la crescita muscolare. Fino ad ora è ancora valida scientificamente (checché ne dicano sostenitori di altre diete) l'affermazione che sono da preferire le proteine con un valore biologico più elevato (uova, latte, carne) se vogliamo migliorare la nostra composizione corporea. Ovviamente si può ottenere lo stesso risultato anche con fonti vegetali, ma bisogna impegnarsi maggiormente. Le proteine animali sono digeribili al 95%, quelle vegetali leggermente meno (85-92%) se provengono da fonti raffinate, altrimenti la percentuale scende ulteriormente al 75-80%.

Gli amminoacidi non sono tutti uguali Gli amminoacidi si divido, dal punto di vista energetico, in due grandi famiglie glucogenetici che possono essere degradati in piruvato da cui ricaviamo glucosio e chetogenetici i quali invece sono degradati in acetil-CoA da cui ricaviamo corpi chetonici. Esiste anche un gruppo misto che è coinvolto in tutte e due i metabolismi. In base al loro rapporto stechiometrico possono dosare l’ossidazione, la glicolisi e la sintesi proteica nella cellula. Questo cosa vuol dire? Ora ci arriviamo. Oggi ci interroghiamo molto sul ruolo della carne e della sua influenza sulla salute dell’essere umano. Se molte accuse risultano veramente infondate, suscita invece interesse la composizione aminoacidica della carne rossa. La forte presenza di aminoacidi ramificati e il rapporto tra metionina e cisteina, fanno si che l’ossidazione mitocondriale venga accelerata, portando la cellula ad “invecchiare” precocemente. Quanto questa teoria sia fondata sinceramente lo ignoriamo, in quanto non sono stati pubblicati sufficienti studi a riguardo, ma visto che i quantitativi proteici che proponiamo sono considerati, dalla nutrizione italiana, elevati, era doveroso aprire questa parentesi per fornire al lettore ulteriori spunti se vuole approfondire. I testi di alimentazione universitari riportano ad oggi che un eccesso di aminoacidi ramificati, di metionina e tirosina possono essere tossici. Le fonti proteiche dovrebbero così essere diversificate, comprendendo anche quelle vegetali.

BCAA alcuni aspetti da comprendere Scrivere sugli aminoacidi ramificati è un'impresa gargantuesca. Gli argomenti da trattare sarebbero talmente tanti da poter pubblicare un manuale solo su questo. Qui affronteremo l'argomento in sintesi, soffermandoci solo sui due punti fondamentali da comprendere. Iniziamo a dire che i BCAA sono importanti per la salute, per la composizione corporea e per l'attività fisica, ma non è ancora del tutto chiaro se l'integrazione migliori questi parametri in chi già mangia correttamente. La letteratura scientifica è divisa a riguardo ed al momento la nostra posizione è che se mangiate già bene potete benissimo non integrarli. Tuttavia va anche specificato che prenderli, se non in eccesso, non causa problemi di salute. Ad oggi tutti i ricercatori sono concordi unicamente sull'effetto placebo che esercitano. Gli aminoacidi ramificati sono formati da Leucina, Isoleucina, Vaiina, tre dei nove aminoacidi essenziali. Da soli compongono il 35% delle proteine muscolari; pertanto la loro richiesta è fisiologicamente più elevata rispetto agli altri aminoacidi. Questi aminoacidi possiedono una particolarità: una volta introdotti nel flusso ematico bypassano il fegato che non può metabolizzarli poiché non possiede l'enzima BCAA aminotransferasi, e finiscono rapidamente nel muscolo. Fisiologicamente ciò ha senso perché tale

processo permette al tessuto più bisognoso (miocita) di non entrare in antagonismo con il fegato (che è sempre il primo organo a ricevere i macronutrienti). Un'altra loro particolarità è che sono dei forti stimolatori dell'insulina (insulinogenici): stimolano le cellule beta del pancreas anche senza la presenza di zuccheri. Anche questo è logico, visto che per essere veicolati nel muscolo devono utilizzare l'azione dell'insulina sui GLUT-4. Questa caratteristica li rende particolarmente efficaci nel migliorare la composizione corporea attraverso una più efficace sensibilità insulinica. Cerchiamo di capire perché questo avviene: se l'insulina è stimolata da un pasto fortemente glucidico, il corpo aumenterà i recettori sia nel tessuto adiposo sia in quello muscolare, gli zuccheri alti troveranno tutte le porte aperte (epatocita, miocita, adipocita, con questa gerarchia). Ma se l'insulina viene stimolata dai BCAA, senza una forte introduzione glucidica, il muscolo sarà il solo destinatario. La glicemia verrà correttamente modulata migliorando il profilo ematico, visto che gli zuccheri in eccesso finiranno nel miocita. In definitiva al corpo basterà produrre poca insulina per migliorare la glicemia. Questa azione ci fa capire come questo ormone pancreatico, spesso accusato di far ingrassare, ha questo difetto solo quando è attivato da un eccesso glucidico; quando sono gli aminoacidi a stimolarlo ha un effetto completamente differente. Ancora una volta a seconda di dove finiscono i macronutrienti (se nel muscolo o negli adipociti) sta la differenza. Compreso questo passaggio concludiamo tornando al turnover proteico. Le proteine del nostro corpo sono continuamente assemblate e disassemblate; in questo modo il corpo può verificare se siano avvenuti degli errori e può aggiustarli. In questi passaggi, una piccola parte di aminoacidi viene persa e consumata. Essendo la componente proteica del muscolo composta da 1/3 di aminoacidi ramificati, le mancanze sono soprattutto a loro carico. Una presenza di BCAA nel flusso ematico va immediatamente a sopperire il deficit evitando o limitando il catabolismo muscolare. Questo è ancora più evidente durante l'attività fisica e il digiuno, quando il loro scheletro carbonioso viene utilizzato per formare energia attraverso la conversione in alanina. Gli aminoacidi ramificati hanno la funzione specifica di proteggere il muscolo limitando il catabolismo e migliorando così in modo indiretto l'anabolismo. Ricordiamoci tuttavia che il catabolismo muscolare è essenziale per una supercompensazione anabolica; cercare di limitarlo sempre non è conveniente (vedi chi assume le caseine la sera). Se la vostra attività fìsica dura un'ora o meno e assumete attraverso l'alimentazione tutte le proteine di cui avete bisogno, un'integrazione di BCAA non risulta assolutamente necessaria. Se invece svolgete attività come la corsa per più di 15-20 km, un'integrazione, prima dell’allenamento, potrebbe aiutare a preservare la massa magra. Stesso discorso se adottate strategie alimentari come il digiuno intermittente, oppure se seguite una dieta ipocalorica. In tali casi integrare, prima del training, può aiutare a preservare il tessuto contrattile.

Quante proteine servono per mettere su muscolo Ecco la domanda che tutti in palestra si fanno: quante proteine devo mangiare? Questa è la classica visione distorta di questo ambiente, perché ci si focalizza sull’ultima parte di un processo molto più complesso. Vediamo la punta dell’iceberg senza scorgerne la parte sommersa. Non abbiamo idea di quante proteine servano esattamente per mettere su muscolo, ma alla fine del paragrafo capiremo che non è questa la cosa essenziale. Da sempre il tessuto contrattile viene equiparato alle proteine. D’altronde tra carboidrati, grassi e protidi, da cosa sarà principalmente composto? Acqua, è composto principalmente da acqua, la componente proteica si aggira intorno al 20% (la stessa quota presente in una bistecca).

Possiamo quindi esteticamente variare moltissimo, senza aggiungere o togliere una proteina, ma semplicemente variando l’acqua (ma questo è un altro discorso). Quello che ci preme ora considerare è che: 1 kg di muscolo = 200 g di protidi e non 1 kg di proteine. Volete mettere su 1 kg di massa magra in un mese? Sono 200 g in 30 giorni, cioè 6,66 g in più al giorno. Vedremo, a breve, che anche questa considerazione ha poco senso. Cerchiamo di capire il perché. Guardatevi allo specchio, riuscite a notare qualcosa? La cheratina che sta cadendo o si sta accumulando nelle unghie e nei capelli? Notate, attraverso le vene ciliari, i globuli rossi ormai vecchi che stanno morendo? Ogni cellula del vostro viso pulsa di vita, ogni secondo qualcosa muore in voi e qualcos’altro rinasce. Tutto ha un’emivita. Pensate agli ormoni. Fate la vostra serie di squat da venti ripetizioni, il testosterone vi sale e vi esce dagli occhi, diventate un toro da monta, il GH vi scorre come acido nelle vene, avete più ormoni voi di una farmacia...e poi? Poi tutto cala, i livelli scendono, gli ormoni si inattivano e vengono degradati. Oppure pensate agli enzimi. Scoprite che per quanta palestra fate, per quanto gli ormoni anabolici siano influenzati, rimarrete sempre impotenti e allora vi date all’alcol. Le prime sere vi bastano due bicchieri per essere ubriachi, ma col tempo gli enzimi si adeguano, imparano a degradarlo più velocemente e la vostra tolleranza all’alcol aumenta. Alcuni enzimi del metabolismo sono aumentati, altri diminuiti; il corpo lavora per adeguarsi alle vostre abitudini alimentari e per permettervi di assimilare e sintetizzare al meglio quello che gli date. Cheratina, ormoni, enzimi, trasportatori di membrana, ecc. sono tutti costituiti da proteine, le quali sono ovunque, non solo nei muscoli. Il corpo continuamente degrada i protidi e li risintetizza. La macchina umana è talmente perfetta che i suoi controllori continuamente smontano e verificano i pezzi per garantirne la qualità. Un uomo di 80 kg ha un turnover proteico più o meno di 350 g al giorno. 350 g in un mese sono 10.500 g: dieci chili e mezzo di proteine non introdotte con la dieta, ma già presenti nell’organismo che vengono riassemblate. Di queste, solo una piccola parte (meno del 5%) viene completamente persa e dev’essere sostituita con l’alimentazione. Se il vostro scopo è quello di migliorare la composizione corporea e mettere su muscolo, la prima attenzione dev’essere riservata a migliorare i processi relativi al turnover. E inutile focalizzarsi sul buttare dentro più legna se la caldaia funziona male. Nell’estrema semplificazione del nostro ambiente invece, si cerca di risolvere un problema complesso aumentando la materia prima (le proteine), senza preoccuparsi di ottimizzare i processi biochimici che portano alla sintesi di nuovo materiale contrattile. Il surplus calorico aumenta l’anabolismo del corpo ma va specificato che l’anabolismo non comprende solo la sintesi di nuove proteine nel muscolo, ma anche di nuovo glicogeno nel fegato e di nuovi trigliceridi negli adipociti. Per questo si fa il periodo di massa e si mette su muscolo e grasso, perché crescere “sporcandosi” è estremamente più facile. L’importante è crescere ingrassando il meno possibile, ma questo lo vedremo successivamente. Abbiamo già visto che l'organismo misura i livelli energetici attraverso il metabolismo glucidico adipocitario ed il livello del glicogeno epatico. Tutti i tessuti sono interconnessi tra di loro e si influenzano a vicenda. Abbiamo un antagonismo adipocita-miocita (vedi relativo paragrafo) sullo stoccaggio dei nutrienti. Dal momento che è la capacità di utilizzare in modo ottimale gli zuccheri a determinare tutta una cascata di eventi, l’abilità di metabolizzare questo carburante diventa fondamentale anche per potenziare la crescita muscolare. Una miglior sensibilità insulinica aumenta l’up-take cellulare facendo crescere il miocita. Glucosio e trigliceridi sanguigni sono un primo dato per monitorare lo stato del nostro organismo. Se avete gli zuccheri o i grassi alti (o tutti e due) smettete di guardare al dito.

Migliorare i parametri ematici (glicemia, trigliceridi, rapporto colesterolo HDL/LDL) diventa così il primo obiettivo per una migliore salute, ma anche per un miglior turnover proteico. Un muscolo che funziona bene ripulisce il sangue dall’eccesso di grassi e zuccheri. Per concludere facciamo un classico esempio. Avete presente il film “Tremors”? Val ed Earl trovano il vecchio Fred morto di fame sopra un palo della linea telefonica. La paura del vermene ha avuto la priorità sull’istinto di nutrirsi. Il nostro organismo ragiona per priorità. Cibo o figa? Sonno o videogiochi? Respiro o mantengo la temperatura corporea? Nella scala delle priorità aumentare la massa muscolare è tra gli ultimi posti. Portiamo il nostro organismo in un range di salute ottimale e lui ci ripagherà migliorando tutti i processi metabolici. Se il vostro corpo è ingolfato aumentare le proteine non è la strada corretta. Questo non significa che una buona dose proteica non stimoli l’mTOR e la sintesi muscolare. Abbiamo appena visto che gli aminoacidi che non intervengono nel metabolismo epatico (BCAA) stimolano l’anabolismo del miocita, ma questi svolgono più un ruolo anticatabolico che anabolico. 11 messaggio da portarsi a casa è che ci sono solo tre strade per ottimizzare la sintesi proteica: 1. il doping e qui potete fare quello che volete (a discapito della vostra salute); 2. mangiare come porci aumentando anche l’anabolismo adipocitario; 3. concentrarsi sullo stato di salute del corpo in generale: sui livelli ematici, sullo scambio cellulare sodio/potassio, sulla sensibilità insulinica, sull’idratazione e l’efficienza mitocondriale. Quante proteine servono? Dipende. Dipende da troppi fattori, ma se tutto l’organismo funziona correttamente il quantitativo proteico che abbiamo indicato nei precedenti paragrafi risulterà sufficiente.

Cosa dice oggi la scienza su quante proteine servono? Fino ad ora non è ancora certo il fabbisogno massimo individuale. Attraverso dei semplici esami, tuttavia, riusciamo a sapere se le proteine che introduciamo sono almeno sufficienti. Il primo test usato è quello dell'azoto urinario. I soggetti devono essere sani e normopeso. La quantità d'azoto urinario espulso (95% sotto forma d'urea) corrisponde ad una stima delle sostanze azotate (proteine) consumate durante il giorno. Il corpo perde anche un altro 1-2% attraverso la desquamazione della cute, le feci, la saliva, ecc. Il fattore di conversione dell'azoto in proteine corrisponde a 6,25, cioè 10 g di azoto corrispondono a 62,5 g di proteine. Mediamente un individuo di 70 kg espelle con le urine tra 7,515 g, pari a 47-94 g di protidi. Questo vuol dire che assumendo 0,75-1,4 g/kg andiamo a ristabilire il bilancio proteico. Il test dell'azoto non ha tuttavia un valore assoluto perché non tiene conto da quali aminoacidi arriva l’azoto espulso. Mangiando così fonti con un profilo amminoacidico incompleto non potremmo soddisfare le esigenze dell'organismo pur mangiando la quota proteica adeguata. Se manca un aminoacido essenziale è inutile guardare al bilancio azotato. Per questo è importante assicurarsi con l'alimentazione di introdurre tutti gli aminoacidi essenziali, soprattutto se seguiamo un regime vegetariano o vegan.

Un altro test a disposizione è quello AcW albumina. Questa proteina ematica ha un'emivita di 14-20 giorni. Se non diamo abbastanza proteine il fegato produrrà meno albumina, segnalando una mancanza proteica. I valori di riferimento sono 3,5-5 g/dl. È un test che potete verificare con dei semplici esami del sangue. Va ricordato, tuttavia, che un’ipoalbuminemia si verifica davvero solo in casi di severa malnutrizione. La scienza, ad oggi, ha stabilito i fabbisogni proteici per preservare la salute tra 0,8-1,4 g/kg, con una media indicativa tra 0,9-1 g/kg. Quali siano quelli invece utili per migliorare la

performance e la composizione corporea rimangono ancora poco chiari e con una forte variabilità soggettiva. Una recente e famosa review sul bodybuilding naturai indica un quantitativo proteico tra 2,33,1 tug/kg di massa magra, come quota ottimale, durante un peridodo di definizione, per chi fa bodybuilding. Forse la difficoltà più elevata nel riuscire a comprendere effettivamente quante proteine servano è che questo macronutriente è coinvolto nell’anabolismo cellulare assieme ai carboidrati. Potete assumere quante proteine volete, ma se siete carenti di glucidi i marcatori dei fattori di crescita non saranno mai ottimali. Protidi e zuccheri andrebbero quasi calcolati insieme quando vogliamo enfatizzare l’anabolismo proteico o limitare la sua lisi.

Massimo 30 g di proteine per pasto? Un argomento che si trova spesso sulle riviste di bodybuilding è: “Il corpo può assorbire al massimo 30 g di proteine a pasto!”. Questa affermazione l'ho sentita anche al corso di nutrizione all'università. Incuriosito ho chiesto al docente il motivo e la risposta è stata questa: “Come per la glicemia, nel sangue la concentrazione di aminoacidi tende a rimanere stabile. Quando cala, il catabolismo muscolare viene rallentato, quando aumenta, l'eccesso viene ossidato o trasformato, non avendo il corpo un deposito dove stoccarli,. Pertanto 30 g di proteine è la quota massima assimilabile. Superarla non apporta nessun vantaggio. ” Da questo punto di vista il discorso sembra non fare una piega. Il dubbio sorge quando pensiamo che, modificando la composizione del pasto, i tempi di digestione ed assorbimento cambiano radicalmente. Facendo una ricerca su internet potete trovare delle indicazioni sui tempi di digestione e assimilazione degli alimenti, tuttavia, si riferiscono sempre solo al singolo alimento in un quantitativo standard di 100 g. 30 grammi di proteine potrebbero essere in realtà assorbiti in 4-14 ore a seconda della fonte da cui provengono e da che alimenti li accompagnano. Vista in questo modo la questione cambia completamente. Un conto è guardare agli aminoacidi nel sangue, un contro è guardare in quanto tempo l’intestino li immette nel circolo portale (la vena porta collega l’intestino al fegato). Se a ciò aggiungiamo che negli ultimi anni sono usciti diversi studi che mostrano un profilo ormonale migliore (soprattutto per via della maggior produzione di GH) se la quota proteica giornaliera viene condensata in 1-2 pasti piuttosto che frazionata, è lecito chiederci se ha ancora senso parlare di un assorbimento massimo di 30 g per pasto. Morale della favola: pensare a quante proteine possiamo assumere ogni volta che mangiamo è una sega mentale inutile, nata da chi vi vuole vendere gli integratori in polvere, piuttosto che dalla fisiologia. Se vi trovate bene a fare tanti piccoli pasti, se avete problemi di assorbimento o di digestione, frazionare la quota proteica è una buona idea. Se, al contrario, vi trovate bene a fare i canonici tre pasti o i due del digiuno intermittente continuate pure su questa strada. Chi ha fatto la warrior diet e ha mangiato tutte le proteine in un'unica cena non è andato incontro ad una malnutrizione proteica perché non assumeva solo 30 g di protidi al giorno. Insomma le indicazioni nutrizionali e scientifiche devono essere lette alla luce del buonsenso, senza complicare ulteriormente quello che è già complesso.

Diversi studi mostrano che bastano 20-30 g di proteine di alta qualità per innescare la massima sintesi proteica. Questo è vero ma... ma se assumete un quantitativo maggiore la spinta anabolica perdura per più tempo, quindi niente viene sprecato.

I 69 '

Le proteine fanno male? Non presi 30 all'esame di Biochimica perché quando il professor mi chiese quant'è il fabbisogno proteico risposi 0,9 g/kg al giorno. “0,75g/kg” mi corresse immediatamente lui. Io annuii (i sacri testi dicevano così) e l'esame andò avanti con successo. Da allora la posizione della nutrizione italiana non è molto cambiata: non bisogna mangiare troppe proteine perché fanno male. Ci tengo a specificare che questo è un testo divulgativo e non ha nessuna pretesa di dare risposte o verità. Pertanto se volte informarvi correttamente leggete libri più prestigiosi (consigliati alla fine del testo) e ascoltate medici specialisti. Tuttavia sulle proteine ed i loro possibili danni aH’organismo aleggia l'ombra oscura del bias. Negli studi si parla di bias quando chi li effettua parte da un preconcetto o un pregiudizio (conscio ma anche inconscio) e questo va ad inficiare la reale oggettività dello studio. C'è in atto una revisione molto importante sulle ricerche che dicevano che le proteine fanno male ai reni, al fegato, che causano osteoporosi, ecc. in chi non ha patologie. Sembrerebbe non esserci nessuna evidenza scientifica che in soggetti sani, ribadisco in soggetti sani, si possano avere problematiche per chi ciclicizza i quantitativi proteici. Su Pubmed si possono leggere e trovare molti spunti a riguardo. Questo non vuol dire che se siete sani potete mangiare quante proteine volete, ma che semplicemente la questione è aperta e le attuali convinzioni potrebbero modificarsi alla luce di nuovi elementi (come la revisione degli studi corrotti da bias). Ma vediamo le attuali linee guida cosa dicono. L’Institute of Medicine stabilisce la RDA proteica a 0,8 g/kg/die e la considera valida per il 97% della popolazione La quantità minima di proteine da consumare giornalmente per prevenirne il deficit sembra infatti essere piuttosto diversa da quella necessaria per garantire una funzionalità ottimale. L’RDA è stata calcolata sulla base del bilancio azotato di giovani adulti sani (nella vita reale la maggior parte sono sedentari), ovvero di individui con un fabbisogno proteico relativamente basso (essendo individui giovani - ma non in fase di crescita - e quindi in “steady state”). Tale valore nell’anziano potrebbe essere sottostimato persino come valore minimo. L’Institute of Medicine stabilisce poi come distribuzione percentuale ottimale del macronutriente “proteine” un range dal 10 al 35% dell’introito calorico totale (quindi potremmo già a questo punto intenderci per una definizione di dieta iperproteica: una dieta in cui si superi questo 35%). Facciamo due calcoli: in una persona di 70 kg (parliamo di dieta isocalorica), in cui stimiamo | un TDEE (fabbisogno calorico giornaliero) di 2500 kcal/die, se il 35% viene dalle proteine, quante I proteine sono? Risposta: circa 219 g di proteine al giorno, ovvero 3 g/kg/die! Quasi quattro volte I quanto riportato in precedenza. Il che è praticamente il doppio del fabbisogno indicato negli atleti I secondo le raccomandazioni dell’American College of Sport Medicine. Insomma secondo le vecchie raccomandazioni anche una quota di 0,9-1 g/kg poteva essere I considerata iperproteica. Oggi alla luce delle nuove revisioni i dati per gli sportivi sono I completamente cambiati. Per concludere è interessante andare a ricercare cosa mangiano i grandi erbivori, quanto pesano I e quanto cibo introducono. Andate su Google e fate un paio di ricerche sul gorilla. Guardate I quante proteine contiene il bambù (2,6 g/lOOg) un’inezia. Poi andate a vedere quanti chili al giorno I ingurgita (16-18 kg).Vi stupirete di scoprire che tutti i grandi erbivori mangiano più del doppio I delle proteine rispetto a noi. A questo punto è lecito chiederci se esiste animale della nostro taglia I con una RDA proteica così bassa come l’uomo.

Proteine e danno renale1112 Uno dei punti clou che si correla ai danni delle proteine sono i reni. Basta guardare tre uova e già perdiamo 100 nefroni, no? La preoccupazione nascerebbe dall’osservazione che il volume di filtrazione glomerulare (GFR) tende ad aumentare dopo il consumo di un pasto ricco in proteine (un aumento inappropriato del GFR avviene ad esempio nelle fasi iniziali della nefropatia diabetica e prelude ad un danno successivo). In realtà ad oggi le evidenze non sono riuscite a dimostrare in maniera convincente un reale pericolo per gli individui sani (sebbene in persone nefropatiche una dieta iperproteica possa risultare sfavorevole). Per la cronaca, le raccomandazioni della National Kidney Foundation per pazienti con insufficienza renale comica non in dialisi prevedono valori più bassi rispetto a quelli della popolazione generale già citati [0,6-0,75 g/kg/die]. Nel caso di una dieta spiccatamente iperproteica, alcuni studi avrebbero inoltre evidenziato l’importanza di una buona idratazione, necessaria per evitare condizioni di disidratazione (soprattutto nei periodi estivi). Questo avviene perché a causa dell’elevato intake proteico vi è un’aumentata escrezione di soluti (urea ed altri prodotti azotati). Attenzione: mantenere una buona idratazione è una saggia abitudine i cui principi basilari sono comuni per tutti, atleti compresi, ma ciò non significa bere 8-10 L di acqua al dì a prescindere (come talora si vede consigliare da alcuni pseudoguru)! Pertanto per le persone sane non vi sono particolari preoccupazioni: seguire una dieta con 1,5l,7g/kg/die come consigliato dall’ACSM è sicuro; valori tra 1,1 e l,5g/kg/die sono considerati addirittura necessari negli anziani con funzione renale nella norma. Cautela è invece indicata in persone potenzialmente a rischio (almeno una creatinina sierica, una emoglobina glicata ed un esame urine per rilevare un’eventuale proteinuria sarebbero test di screening consigliabili). Rimane nebuloso un possibile effetto negativo a lunghissimo termine (es. > 10 anni) sulla funzione renale di diete a regime proteico costantemente molto elevato (diciamo sopra il famigerato 35%) per il semplice motivo che il numero di studi in merito non è ancora corposo e quindi viene consigliata prudenza (tra l’altro non vi sono delle motivazioni reali a favore di un regime alimentare tanto spinto e continuativo per così lungo tempo). Una dieta iperproteica è stata tuttavia collegata al rischio di litiasi renale (calcolosi renale). In tale categoria di persone una dieta di questo tipo potrebbe non essere una scelta ottimale: un elevato consumo proteico viene infatti considerato un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di calcoli renali in individui predisposti. Come vedremo a breve le proteine aumentano l’escrezione renale di calcio ed acidificano il pH urinario, fattori che aumentano il rischio di formare calcoli. Alcuni autori consigliano, in questi casi, l’assunzione di limone e citrato. •

Proteine e cancro

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La preoccupazione in questo caso è piuttosto mal direzionata. Fondamentalmente l’unico timore nei confronti delle proteine di per sé era dovuto all’aumento dell’IGF-1 potenzialmente stimolato dalle stesse (i livelli di IGF-1 circolanti sono ritenuti positivamente correlati con alcune neoplasie, ed esempio mammella). In realtà all’atto pratico tale preoccupazione si è rivelata infondata. Uno studio su più di 20.000 donne ha smentito l’associazione tra l’ammontare proteico complessivo (sia di origine animale che vegetale) e la mortalità per neoplasia. Vi sono addirittura dei lavori che evidenzierebbero una migliore sopravvivenza delle donne con neoplasia mammaria che assumono “high intakes” di proteine alimentari [Sottolineo che entrambi i riferimenti

11 del Dr Angelo Fassio

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bibliografici non sono stati presi a caso ma sono riportati dal report WHO, sul sito potete trovare tutta la bibliografia].

Il fattore cruciale è piuttosto ciò che accompagna le proteine nel contesto degli alimenti che introduciamo. Un certo numero di studi longitudinali avrebbe infatti suggerito una correlazione positiva tra l’assunzione di carne rossa e carne processata ed il rischio di sviluppare una neoplasia (suggerirei a questo punto di chiarire bene nella propria mente i significati e le implicazioni dei termini “studio longitudinale” e “correlazione positiva”). Il rischio relativo (altro termine da chiarire!) pare maggiore nel caso di un aumento del consumo di carne processata rispetto alla carne rossa non processata. Come scrivevo prima, il problema non concerne le proteine di per sé ma la presenza di alcune sostanze intrinsecamente presenti nell’alimento (soprattutto nitroso composti) e di accompagnamento (ad esempio le elevate quantità di sale nella carne processata). Per quanto riguarda le modalità di cottura, sebbene sia noto l’effetto cancerogeno di alcune sostanze che si possono sviluppare durante la combustione, la relazione è difficile da indagare.

Quante proteine diventano davvero troppe13 E individuabile un limite superiore che può provocare, persino nel breve-medio termine, problemi seri? In realtà si, sebbene i dati siano complessivamente molto pochi. La condizione viene chiamata “rabbit starvation syndromé” e comporterebbe dapprima la comparsa di nausea e diarrea ingravescenti ed infine potenzialmente la morte in 2-3 settimane. Questa sindrome è stata inizialmente scoperta in due esploratori. Uno dei due, nutrendosi solamente di carne molto magra (con un rapporto grassi/proteine molto basso, come nel caso della carne di coniglio e da qui il nome della sindrome) sviluppò il caratteristico corteo di segni e sintomi. La componente proteica stimata era del 60% del suo TDEE; per il nostro omino di 70 kg saremmo sopra il 5,3 g/kg/die ma dobbiamo tenere a mente che in questo caso si trattava di un esploratore in condizioni estreme e quindi con un fabbisogno calorico decisamente più elevato.

Il problema si risolse quando la componente lipidica della dieta venne nuovamente ripristinata (e la percentuale di proteine riportata al 25% circa).

Rudman et al. eseguirono negli anni ‘70 uno studio che andò a valutare il rate epatico massimo di produzione di urea (MRUS). Oltre questa soglia l’organismo inizierebbe a manifestare sintomi di iperammoniemia ed iperaminoacidemia. Alla MRUS teorica va poi aggiunta la quota di aminoacidi che vengono utilizzati per le funzioni strutturali; in questo modo si ottiene un range teorico di assunzione proteica massima tollerabile. Considerando come soglia di sicurezza prudenziale il limite inferiore del range, per il consueto omino di 70kg con 2500 kcal di TDEE, ci aggiriamo intorno ai 256 grammi al dì, ovvero 3,65g/kg/die = il 40% del TDEE (sempre considerando una dieta isocalorica). Quindi il 40% sembra essere una quota non più sicura nell’assunzione proteica.

Vi lascio con l’ultimo approfondimento di buon senso che potete scaricare da internet http://www. cnpp. usda.gov/dietary-guidelines-2010.

Proteine ed osteoporosi14 Affermare che la dieta abbia un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita dell’individuo è lapalissiano; il metabolismo dell’osso non fa eccezione. Sfortunatamente è sin troppo facile

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imbattersi, più o meno ovunque, in informazioni non del tutto corrette oppure in vere e proprie cialtronerie. Mi rendo conto che questo paragrafo genererà qualche scompenso in alcuni, vorrei tuttavia sottolineare che non sto esponendo la mia personale opinione, il mio metodo o quant’altro: possiamo fornire a supporto di quanto scritto una bibliografia essenziale composta da linee guida, dareview sistematiche e metanalisi. Considerate infine che nell’ambiente del fitness e su internet la componente “marketing” è piuttosto pervasiva e non sempre ricavata da evidenza scientifiche di buona qualità. Proviamo a fare un po’ di chiarezza partendo da una veloce occhiata alle linee guida per osteoporosi, alla sezione “alimentazione” (SIOMMS 2012 — potete recuperare nella bibliografia la versione completa e gratuita). “L’aumento dell’apporto proteico in soggetti con inadeguato introito riduce il rischio di fratture delfemore in entrambi i sessi. Un adeguato apporto proteico è necessario per mantenere la funzione del sistema muscolo­ scheletrico, ma anche per ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica. “ Ma come? Le proteine non determinano un importante carico acidificante che costringe l’osso a “sciogliersi” per tamponare l’eccesso d’acido? Abbandoniamo le linee guida per proseguire il discorso. Di per sé l’idea non sarebbe insensata. Qualcuno, in passato, notò che le proteine inducevano un aumento della calciuria (quantità giornaliera complessiva di calcio escreto con le urine). Ripeto: in passato. Parliamo infatti del 1973. Dal ’73 (ovvero, in medicina, praticamente la preistoria) cosa è invece emerso? 1. Che una dieta ad alto “potential renai acid load” o PRAL determina un aumento della frazione di assorbimento intestinale del calcio, che compensa l’ipercalciuria. 2. Un’alimentazione con una quota proteica adeguata non solo non modifica i marker di turnover osseo (per chi sa che cosa siano) ma aumenterebbe i livelli di IGF-1 e ridurrebbe quelli di paratormone (addirittura suggerendo un ruolo favorevole nei confronti della massa ossea). 3. Non vi è nessuna relazione causale nei confronti del bilancio fosfo-calcico complessivo o variazioni del dato densitometrico (valore di densità minerale ossea valutato dalla DEXA ovvero la metodica gold standard) né tantomeno nei confronti del il rischio di frattura. 4. Non vi è nessuna evidenza a supportare l’ipotesi che una dieta ad elevato PRAL determini osteoporosi e nemmeno che una alcalinizzante la prevenga. Allo stesso modo non vi sono evidenze a supportare il consumo di integratori alcalinizzanti (attenzione, non è uno studietto da quattro soldi: è una metanalisi-review sistematica di trial randomizzati di elevata qualità statistica e di studi longitudinali a basso rischio di bias). Quindi una dieta iperproteica è favorevole? In realtà, sebbene vi siano sono studi epidemiologici che individuerebbero una certa correlazione positiva tra massa ossea e intake proteico, questo aspetto va contestualizzato. L’osteoporosi primaria (quindi postmenopausale-senile) è una malattia tendenzialmente dell’anziano. Tale popolazione è esposta, ad esempio, ad un elevato rischio di sarcopenia e malnutrizione (interessante è, a questo proposito, la cosiddetta “obesità sarcopenica”). Una dieta con un buon contenuto proteico è un fattore protettivo nei confronti di tale problematica e tendenzialmente si accompagna anche ad un decente apporto calorico. Prevenire la sarcopenia permette di mantenere dei migliori livelli di funzionalità muscoloscheletrica che a loro volta sono protettivi nei confronti dell’osso, così come un introito calorico adeguato. Va da sé che il nesso causa-effetto non è così automatico (NB: come spesso accade in medicina).

E frutta e verdura come influenzano la matrice ossea? Potenzialmente tali alimenti sono ricchi di nutrienti favorevoli per la salute dell’osso. Antiossidanti, vitamine C e K (implicate nella sintesi della matrice ossea), minerali (potassio, magnesio, calcio). Ad oggi gli studi hanno tuttavia portato a risultati non concordanti, molto probabilmente a causa di una elevata eterogeneità dei campioni esaminati ed ad un elevato rischio di bias degli studi.

E l'alcol che influenza ha?

L’abuso alcolico è un fattore di rischio assolutamente ben conosciuto. Troverete montagne di letteratura in merito. Ci sono altri alimenti che influenzano il metabolismo del calcio?

L’eccessivo consumo di caffeina, bibite e sodio sembrerebbe avere un effetto negativo nei confronti del bilancio del calcio, ma le evidenze complessive sono limitate. Esiste una correlazione tra sovrappeso, introito calorico e ossa?

Sebbene le persone obese abbiano dei valori di massa ossea mediamente più elevati (attenzione: ciò non significa un ridotto rischio di frattura, ovvero il vero risvolto applicabile alla clinica quando si parla di osteoporosi, anzi!), da uno studio emergerebbe come il grasso viscerale possa avere un effetto sfavorevole nei confronti della densità minerale ossea. D’altro canto, una restrizione calorica potrebbe comunque determinare una perdita di massa ossea, in particolare se di entità importante (nello studio in questione ciò si evidenzia per percentuali inferiori al 55% della RDA). Per concludere se ancora pensate che le proteine, il latte causino osteoporosi potete essere liberissimi di crederlo. Ma ricordatevi che nell’era dell’informazione rimanere ignoranti è una scelta. Scegliete attentamente le fonti da cui reperite le informazioni.

Alcune aggiunte sull'argomento relative al latte

Q: il latte è acidificante? A: NO. Svariati studi hanno dimostrato che il latte non è un cibo “acidificante”. Addirittura uno studio sul NAE (neat acid excretion) ha dimostrato come il carico del latte sia sovrapponibile a quello...dell’acqua ! Q: il latte causa osteoporosi? A: NO. Questa è davvero l’ennesima trovata commerciale. Una tesi ad effetto, che carpisce l’attenzione proprio per il paradosso che porta con sé e per il fatto che soddisfa quella vena complottista che ultimamente sta andando piuttosto di moda (il che va a braccetto con le altre eresie del tipo: l’HlV non causa l’AIDS, le conseguenze della malattia neoplastica sono in realtà dovute alla terapia, i vaccini sono il flagello dell’umanità, ecc.). Una review sistematica (pubblicata sul Lancet) ha confermato il ruolo del calcio nel supportare la salute dell’osso. Per completezza, una recentissima review sistematica uscita nel settembre 2015 sul British Medicai Journal sottolinea dei dati meno impattanti per quanto riguarda la correlazione calcio alimentare, utilizzo di supplementi di calcio e rischio di frattura. Il discorso diventa complesso da una parte, ma all’atto pratico rimane semplice. Assicuriamoci un introito adeguato di calcio e, soprattutto, un compenso ottimale di vitamina D. Q: allora il latte cura l'osteoporosi? A: NO. Il latte è un alimento ricco di calcio. Il calcio non cura l’osteoporosi, sarebbe come pensare che frutta e verdura possano curare una coronaria occlusa. Ripeto: un adeguato apporto di calcio e vitamina D rappresenta una corretta abitudine nutrizionale per la salute dell’osso. Le I persone intolleranti al lattosio o che non consumano latticini per i motivi più svariati possono I

senz’altro recuperare il fabbisogno giornaliero di calcio da altre fonti alimentari (o eventualmente da supplementi, che vengono tuttavia ritenuti di seconda scelta per vari motivi). Q: le diete alcalinizzanti alcalinizzano? A: NO, né il sangue né l’interstizio. Una dieta “acida” affatica il rene come il cuore si affatica a battere ed il polmone a respirare. Ad oggi queste sono le evidenze supportate.

Le proteine fanno ingrassare? Normalmente, e giustamente, ci si sofferma sui grassi e sui carboidrati quando si parla di macronutrienti che fanno ingrassare. Negli ultimi anni tuttavia, anche grazie al Dr. Berrino, alcuni studi epidemiologici hanno mostrato che le persone più grasse sono quelle che mangiano più proteine. Possibile? Studi osservazionali, sui quali si basa il Dr. Berrino, correlano due eventi ma non possono per definizione dimostrare un nesso di causalità e ciò è il limite di queste ricerche. L’esempio classico, sugli studi statistici, è quello della colazione. Solitamente chi non la fa è più grasso. Ma è saltarla che provoca un aumento di peso? In realtà abbiamo questo dato perché mediamente molti di quelli che non la fanno mantengono quest’abitudine per pigrizia o per risparmiare tempo quando si prepararono per andare a lavoro, ma poi a metà mattina in preda agli attacchi di fame finiscono col riempirsi al bar con cappuccio e brioche. Al contrario la maggior parte degli sportivi e delle persone attente all’alimentazione la fanno correttamente, con frutta, yogurt magri, avena, ecc. Quindi, è saltare la colazione che fa ingrassare o mangiare male? E ormai dimostrato che ciò che fa aumentare o diminuire di peso è la qualità e la quantità di quello che introduciamo (nell’intera giornata), non il saltare i pasti. Se pensate che farlo vi rallenterà il metabolismo leggete il paragrafo sulla colazione ed il digiuno intermittente. Perché le proteine possono far ingrassare

Quando mangiamo e introduciamo macronutrienti, questi per venire metabolizzati ed ossidati devono superare due membrane, una cellulare ed una mitocondriale. Trasportatori specifici permettono il passaggio dei macronutrienti (glucosio, aminoacidi, acidi grassi). Alcuni aminoacidi (quelli ramificati e l’arginina), stimolano i recettori GLUT-4 a portarsi sulla superficie di membrana senza la presenza del glucosio e questo migliora la sensibilità insulinica. Tuttavia un eccesso ematico di aminoacidi abbinato ad un surplus calorico ostacola l’ingresso del glucosio nella cellula, portando all’opposto all’insulino-resistenza. Quest’ultima non ha effetto solo sulla membrana cellulare, ma anche a livello mitocondriale. Qui l’eccesso energetico non verrà dissipato in calore, ma darà il via a processi di liposintesi. Oltre a questo importante effetto le proteine hanno un’azione anabolica (combinata all’insulina) sulle cellule. L’anabolismo non porta soltanto il muscolo ad aumentare la sintesi proteica, ma aumenta anche la sintesi di glicogeno del fegato e la formazione di acidi grassi nell’adipocita. Va infine ricordato che molto spesso assieme alle proteine animali si trovano anche i grassi animali. La carne e i formaggi del supermercato non sono sicuramente ricchi di grassi salutari come quelli dei bovini dei pascoli. Il grasso che la mucca stocca è dipendente da quello che mangia. Se introduce mangimi industriali ricchi di omega-6 sarà pro-infiammatorio; se pascola mangiando l’erba, ricca naturalmente di omega-3, sarà anti-infiammatorio. Questi tre fattori legati alle proteine, inseriti in un contesto di sedentarietà e di ipernutrizione, possono contribuire in modo significativo a far ingrassare maggiormente la persona. Perché le proteine NON fanno ingrassare Nelle persone attive che mangiano correttamente, le proteine non portano assolutamente ad aumentare i processi di liposintesi. Le ragioni sono principalmente tre:

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la spesa energetica (ADS) del corpo per digerirle ed assimilare è la più elevata tra i macronutrienti, tra il 10 e 35% (con una media del 22,5%). Questo vuol dire che un quinto delle calorie introdotte con le proteine viene speso per dissembrarle. Per questa ragione si dice che i protidi “alzano” il metabolismo, perché metabolicamente lo fanno lavorare aumentando la termogenesi; la conversione dell’eccesso proteico in glucosio e successivamente in trigliceridi è un passaggio estremamente dispendioso e solo teorico. Il corpo preferisce ossidare il surplus proteico, disperdendolo in calore, piuttosto che convertirlo in grasso; il potere saziante delle proteine è il più elevato rispetto agli altri macronutrienti, molto di più degli zuccheri (che danno un senso di sazietà a breve termine) e dei grassi (senso di sazietà a lungo termine). E difficile ritrovarsi affamati mangiando molte proteine.

Conclusioni Come sempre analizzare un solo fattore, le proteine, senza contestualizzarlo, (rispetto agli altri macronutrienti, le abitudini lavorative ed alimentari), risulta piuttosto forviante. Infatti è vero che solitamente chi mangia più proteine è più grasso. Ma questo avviene non perché la persona si mangia due bistecche in più e due piatti di pastasciutta in meno, ma perché mangia tutto di più. Statisticamente chi assume più protidi assume anche più calorie. Alla luce di questi fattori ogni speculazione diventa vana. Se state seguendo una dieta per la massa, con un buon quantitativo glucidico e/o lipidico non conviene esagerare con i protidi. Molti autori come abbiamo visto consigliano un intervallo tra 0,9-1,5 g/kg, eccedendo vi ritroverete non più grossi ma più grassi! Al contrario, se state seguendo un regime ipocalorico aumentare le proteine fino a 1,7-2,5 g/kg potrebbe portare un grosso vantaggio, sia per proteggere la massa magra, sia per sopportare meglio la fame. Dieta Mediterranea ed obesità

La dieta Mediterranea è diventata patrimonio universale dell’umanità (giustamente). E innegabile che questa alimentazione sia più salutare rispetto a quella americana. Tuttavia negli ultimi 10-15 anni c’è stata un’inversione di tendenza.L’Italia meridionale ha più obesi e persone in sovrappeso rispetto a quella del nord e la Grecia si ritrova coi bambini più grassi d’Europa. Cosa sta succedendo ai paesi bagnati dal Mediterraneo? Mangiano più proteine. In tutte le società in cui si introducono più protidi abbiamo un aumento vertiginoso del sovrappeso. Ma non possiamo soffermarci solo a questa analisi. Mediamente, più un paese è povero meno proteine mangiano i suoi abitanti. Nello stesso tempo, tuttavia, abbiamo anche meno comodità, ci si sposta meno in macchina, si lavora nei campi 12-14 ore al giorno, spesso non si raggiunge il fabbisogno calorico giornaliero, ecc. Insomma paragonare i paesi poveri a quelli occidentali, o confrontare l’alimentazione che avevano i nostri nonni e bisnonni con noi ha poco senso se prendiamo in considerazione solo l’aumento proteico. Statisticamente più le persone fanno una vita agiata e sono sedentarie più proteine mangiano. Quali dei due fattori incide di più sul grasso corporeo? Lasciamo a voi rispondere.

Il glutine fa male? La prima premessa da fare è che il glutine è una proteina, una proteina di origine vegetale ma pur sempre una proteina. Questo è il motivo per cui è stato inserito in questa parte del libro e non in quella sui carboidrati.

Parlare di glutine, caseine e carne è sempre complesso, perché le persone partono da un preconcetto e spesso ascoltano solo quello che conferma le proprie convinzioni. Creano così attorno a sè un'informazione selettiva che rafforza sempre di più la loro idea e finiscono col credere che la maggior parte degli studi scientifici affermano che... Chi decide di eliminare dalla sua dieta un gruppo di alimenti, che sia il glutine, caseine, carne, ecc. sta subito meglio (ma questo dopo il capitolo sulla psicologia lo sappiamo di già). Vi avvisiamo che in questo paragrafo non c'è la soluzione all'enigma glutine; non c'è neanche un parere autorevole da ascoltare, ma solo alcune considerazioni di buon senso. L'argomento trattato non si rivolge ai celiaci o a chi ha problemi con il glutine conclamati e verificati, ma a quella grossa fetta di popolazione che non avendo fatto test medici è incerta sull'argomento e si basa sulle proprie sensazioni e convinzioni. L'assorbimento intestinale

I macronutrienti non possono essere assorbiti nella stessa forma con cui li ingeriamo, devono essere scomposti, riconosciuti, trasportati, assimilati. L'organismo è molto selettivo, pena l’ammalarsi e l’introdurre sostanze tossiche. Le proteine che assumiamo devono essere scisse in di-tripeptidi per passare l'epitelio intestinale, oppure (aggiunta che facciamo ora), entrano tramite transcitosi un passaggio non fisiologico di macromolecole nei villi intestinali. Se questo succede possono avvenire reazioni infiammatore e danneggiamenti alla membrana intestinale (permeabilità intestinale). Questo comporta una serie di eventi che generalmente peggiora lo stato di salute della persona. Perché abbiamo sempre più casi di celiaci ed intolleranti al glutine? Fino a cinquant’anni fa la nostra popolazione, pur mangiando molti cerali non conosceva la celiachia e l’intolleranza al glutine. I fattori principali di questa impennata improvvisa sono principalmente tre. 1. Una volta il medico faceva fare l'esame per la celiachia solo ai soggetti in cui la malattia era ormai conclamata (forte sottopeso, difficoltà di crescita). Aumentando il numero della popolazione sottoposto agli esami e con l'introduzione dei test ematici, la percentuale è ovviamente salita. (Apriamo una piccola parentesi sugli intolleranti al glutine. Queste persone non hanno né positività per i tradizionali autoanticorpi che si usano nella diagnostica della celiachia, né positività patognomoniche alla biopsia duodenale, né il corredo genetico classico. La diagnosi è praticamente fatta attraverso una dieta di esclusione, ma presenta poche certezze cliniche e scientifiche. Ad oggi definirsi intolleranti al glutine vuol dire ancora tutto o niente) 2. L'irraggiamento dei grani ha portato a modificare sia la loro composizione, aumentando la percentuale di glutine, sia modificando la dimensione dei chicchi. Se da una parte la celiachia, essendo una patologia alimentare autoimmune permanente che si scatena in soggetti geneticamente predisposti in seguito all’ingestione di glutine, non è dose dipendente (il glutine fa sempre male al celiaco indipendentemente da quanto ne assume) non dovrebbe essere influenzata da questo fattore. L'intolleranza al glutine, al contrario, può variare in base al quantitativo introdotto durante tutta la vita. Pertanto si può diventare intolleranti anche a 30-50 anni. 3. Negli ultimi anni si è visto un peggioramento della qualità dei cibi presenti nelle nostre tavole. Alimenti industriali hanno preso il posto ai prodotti nostrani, cibi sempre più lavorati, contaminati, si sono fatti largo nella nostra cucina. Come vedremo a breve questo fattore diventa determinate quando parliamo del glutine.

Assorbimento del Glutine (gliadina - glutenina) Il neonato può assorbire proteine intere. Questo gli permette di munirsi degli anticorpi passati dalla mamma. Dopo lo svezzamento, la barriera intestinale diventa più selettiva. E noto che i bambini che assorbono glutine prima dei sei mesi più facilmente diventano celiaci. Ma nell'adulto che succede? Il nostro corpo è munito di specifiche proteine (enzimi) che devono scomporre i macronutrienti. Abbiamo lipasi per i grassi, amilasi per i polisaccaridi e proteasi per le proteine. Quest'ultime sono presenti sia a livello gastrico, sia a livello intestinale. Il glutine è formato da due unità proteiche: la gliadina e la glutenina. Entrambe sono insolubili in acqua e pertanto tale caratteristica conferisce al glutine quel potere di panificazione tanto sfruttato in cucina, ma che a livello digestivo invece la rende più complessa da essere digerita. Diventa ormai evidente che più una proteina ha difficoltà ad essere scomposta dall'organismo più facilmente fa danni e provoca infiammazioni. Anche qualora il glutine venga scisso in gliadina, se quest'ultima non riuscisse ad essere scomposta in un tripeptide il suo passaggio tramite transcitosi provocherebbe processi patogeni. La permeabilità intestinale consente così l'ingresso nell'organismo di macromolecole e batteri. La questione digestione e scomposizione diventa così fondamentale. L'avena ed il glutine L'avena è un ottimo esempio per comprendere meglio la questione. E un cereale contenente glutine ma rispetto al grano la sua prolamina è l'avenina e non la gliadina. Questo, tuttavia, non sembra essere il solo fattore per cui è mediamente ben tollerata dai celiaci e dagli intolleranti al glutine. Quello che mangiamo influenza i nostri processi digestivi. La qualità degli alimenti e il loro abbinamento fa si che gli enzimi possano avere più o meno difficoltà nel svolgere il loro compito. Normalmente i cerali hanno al loro interno naturalmente degli inibitori delle proteasi. Questo comporta un ulteriore impegno da parte degli enzimi che scompongono le proteine. Se a questo aggiungiamo una lavorazione dei farinacei e una cottura che ne velocizzano l’assimilazione, ci possiamo ritrovare grossi quantitativi di glutine a contatto con l'epitelio intestinale. Le farine raffinate, i processi industriali, il vantaggio aggregante del glutine nella panificazione, hanno portato le aziende alimentari a creare prodotti con carichi glicemici e quantitativi di glutine sempre più elevati. Al contrario, l'avena, è di per se un alimento ben bilanciato, con un'ottima ridistribuzione dei macronutrienti rispetto a molti altri cereali (maggior quantità di lipidi, proteine, fibre e meno carboidrati). Non viene quasi mai lavorata e si acquista sempre in forma grezza. La sua digestione e il suo assorbimento risultano così essere molto più semplici per il nostro apparato digerente, permettendo così all’organismo di scomporre correttamente tutti i suoi elementi proteici.

Morale della favola

La morale della favola è che chi mangia bene non deve avere paura del glutine perché introdurrà alimenti che ne permetteranno la corretta assimilazione. Varierà i cibi introdotti senza abusarne. Chi invece continuerà ad eccedere prediligendo farine raffinate, potrà rientrare in quella fetta di popolazione che nel corso della vita andrà incontro a problematiche dovute a questa proteina. Voler far ricadere su un unico fattore (glutine-caseine-carne) i problemi alimentari è sempre una semplificazione. Un modo semplice per dare una risposta ad un problema che invece è complesso. Infine va ricordato che il glutine causa una lieve dipendenza perché, come per le caseine, reagisce coi recettori oppiacei del cervello, dando senso di benessere (gliadorfina). Per questo è facile eccedere con alimenti che lo contengono e sentire il bisogno di mangiarci un bel piatto di spaghetti quando siamo depressi.

Alimenti senza glutine (pasta, pane, biscotti, ecc.) utilizzano addensanti e prodotti chimici che li rendono meno salutari. Pertanto per la salute, per chi non ha problemi, è meglio mangiare una pasta col glutine che una senza (ma con dentro gli additivi chimici).

I grassi Le prime nozioni da sapere Più di trent’anni fa i nutrizionisti americani, presa coscienza dell’epidemia dilagante di sovrappeso e obesità, diedero come linea guida quella di mangiare meno grassi e di sostituirli coi carboidrati. Da allora i ciccioni sono in continuo aumento. La nazione che guida il mondo sta diventando un paese di lardosi e culi molli, alla faccia delle indicazioni alimentari. Cos’è andato storto? Oggi sono tornate di moda le diete iperproteiche come la Atkins (travestita da Dukan), la Metabolica, la Paleo e c’è una corrente di nutrizionisti che vede nei lipidi un mezzo per dimagrire e migliorare i parametri salutistici. Stiamo commettendo un altro errore? Dove sta la verità? Cosa c’entrano i trigliceridi col diabete? Ne sono la causa o migliorano l'assetto metabolico? Un passo alla volta e ci arriviamo. I grassi o lipidi, sono un macronutriente con una funzione prevalentemente energetica ma possiedono anche una parte plastica (formano le membrane cellulari, le cellule gliali), regolano la produzione degli ormoni steroidei, hanno una funzione antiossidante (ma anche pro­ infiammatoria) e sono precursori di sostanze regolatrici del sistema cardiovascolare come prostaglandine, trombossani, ecc. 1 g di grassi apporta mediamente 9 kcal, sono i nutrienti più calorici Questo è dovuto al fatto che la loro struttura chimica è caratterizzata dalla presenza di pochi atomi di ossigeno (in rapporto a quelli di idrogeno); pertanto sono molecole “disidratate ”, il che rende il rapporto energia/particella molto elevato. Nelle diete viene spesso raccomandata una loro moderata assunzione. Sono associati a rischi cardiovascolari, a un aumento del colesterolo e del sovrappeso. Vedremo successivamente che anche questa è una mezza verità, come al solito dipende. La composizione dei lipidi è caratterizzata dal legame tra tre molecole di acidi grassi e una molecola di glicerolo, da qui il nome trigliceridi. Pertanto, anche se nel gergo comune acidi grassi e grassi sono la stessa cosa, in realtà non lo sono perché solo quest'ultimi hanno il legame con il glicerolo. Esistono acidi grassi essenziali che devono essere introdotti con la dieta: i più importanti sono l’acido linoleico, l’acido linolenico e l’acido arachidonico (quest’ultimo è il meno conosciuto perché lo si può bio-sintetizzare dall’acido linoleico). Il corpo utilizza questo macronutriente soprattutto come riserva energetica, stoccandolo negli adipociti. Ma è fondamentale anche per la costruzione delle membrane cellulari e per una corretta sintesi e produzione ormonale. Una dieta ipolipidica nel medio lungo periodo abbassa i livelli degli ormoni anabolici, come dal resto anche una dieta costantemente ipoglucidica. Un uomo di 70 kg ha mediamente 90.000-100.000 kcal stoccate come riserve di grasso, quantità sufficiente per vivere diversi mesi senza mangiare. Quando parleremo del “digiuno ” sarà lecito chiedersi come mai una persona che si porta dietro riserve sufficienti ad affrontare mesi di carestia, se non introduce del cibo dopo 12 ore ha giramenti di testa e si sente stanca. Sicuramente si è creato uno squilibrio tra la capacità di stoccare il grasso e quella di riuscire ad attingerlo.

I lipidi non sono tutti uguali, si dividono in saturi, monoinsaturi e poiinsaturi, che si differenziano in base alla loro struttura chimica, (attraverso la lavorazione industriale di idrogenazione possiamo ottenere come sottoprodotto non desiderato anche i grassi trans, i quali hanno una composizione che non si trova quasi mai in natura). I saturi non posseggono alcun doppio legame e non possono legarsi con altri atomi di idrogeno. Questo rende la loro conformazione lineare, motivo per cui sono solidi a temperatura ambiente. Hanno un punto di fusione elevato che li porta ad essere meno degradabili alle alte temperature ma anche meno digeribili. Se dovete cuocere qualcosa ad alte temperature, questo tipo di lipidi è quello che si degrada meno. I grassi insaturi hanno uno o più doppi legami liberi, questo gli permette di essere biologicamente attivi permettendogli di legarsi con altre sostanze del corpo. La loro struttura è curvilinea e si presentano liquidi a temperatura ambiente. I grassi poiinsaturi, rispetto ai monoinsaturi, hanno una struttura molto più instabile e tendono facilmente ad ossidarsi. I processi di perossidazione lipidica nelle arterie che portano all’aterosclerosi si attivano a causa dei radicali liberi che attaccano i poiinsaturi nel flusso ematico. La loro conservazione deve essere molto accurata. Il loro punto di fusione è il più basso tra tutti, il che li rende da una parte termosensibili dall’altra molto più digeribili. A livello muscolare c’è una certa competizione fra l’utilizzo del glucosio e quello degli acidi grassi (sia a livello recettoriale che mitocondriale). Quando uno dei due aumenta l’altro diminuisce. Questo parametro è di fondamentale importanza quando si decide la percentuale di lipidi da introdurre nella dieta. Un filone di pensiero tende a ridurre il più possibile (tra il 15-20%) l’introito calorico dei grassi e ciò aumenta la capacità del corpo di bruciare il glucosio e ne migliora la sua tolleranza (ovviamente non bisogna eccedere). Ricordiamo però che la quota minima di lipidi consigliata è di almeno 20-30 g al giorno, fondamentali a trasportare le vitamine liposolubili. Un altro filone al contrario tende ad aumentarne la quota al 30-35%. Una maggior quantità di grassi aumenta la capacità del corpo di ossidarli migliorando la beta-ossidazione. Tuttavia se il corpo metabolizza di più i grassi riduce la sua sensibilità ai glucidi, come abbiamo appena visto. In linea di massima più la persona sarà attiva e svolgerà attività sportive glicolitiche, più la percentuale di grassi potrà essere ridotta, poiché il corpo avrà bisogno di buone quantità di zuccheri. Invece se è sedentaria la percentuale di grassi potrà essere più consistente. Anche gli atleti di endurance non devono sacrificare eccessivamente i grassi, dal momento che una buona percentuale della loro performance dipende da essi.

Non tutti i grassi sono stati creati uguali15 Il Dr Claudio Zanella è stato tra i primi divulgatori scientifici su internet in Italia. Il suo contributo sul forum: di bbhomepage 16 ha contribuito a creare le basi per far passare correttamente le nozioni attraverso un linguaggio, chiaro, conciso e diretto. Questo testo nasce anche dalla sua passione nel trasmettere i contenuti e siamo molto orgogliosi di averlo tra noi. Claudio lavora come medico a Messina ed è anche un eccellente atleta nel powerlifting. La famiglia dei lipidi è piuttosto ampia e una loro trattazione approfondita esula dagli scopi di questo testo. In questo capitolo parleremo dei lipidi detti “semplici”, costituiti solo da idrogeno, ossigeno e carbonio. Tra i lipidi chiamati “composti” perché contenenti anche zolfo, azoto e fosforo ricordiamo le lipoproteine piasmatiche (come LDL e HDL) di cui parleremo nei prossimi paragrafi. Sono costituiti dall’unione di una molecola di glicerolo con tre molecole di acidi grassi. 15 Del Dottor Claudio Zanella, e-mail [email protected] 16 http://www.bbhomepage.com

Trigliceridi

E importante sapere che una delle proprietà nocive dei grassi fritti deriva proprio dalla presenza del glicerolo che, sottoposto ad una temperatura superiore al punto di fumo del grasso che lo contiene, si disidrata formando acroleina, tossica per il fegato e irritante per le mucose. Il punto di fumo, come altre caratteristiche fisico-chimiche di oli e grassi, è influenzato dal tipo di acido grasso costituente il trigliceride, essendo più basso per quelli costituiti da acidi grassi poiinsaturi e più alto per quelli costituiti da monoinsaturi e saturi. Per questo motivo sarebbe preferibile utilizzare per le fritture, ma anche per le normali cotture, olio extravergine di oliva o di arachidi, ricchi di monoinsaturi e con un punto di fumo tra i 160 e 210°C, piuttosto che olio di semi di girasole, ricco di poiinsaturi e con punto di fumo intorno a 110°C. Classificazione degli acidi grassi Gli acidi grassi possono essere classificati in base alla lunghezza della loro catena o al numero di doppi legami (grado di insaturazione). J Acidi grassi a catena corta: numero di atomi di carbonio da 1 a 5. Acidi grassi a catena media: numero di atomi di carbonio da 6 a 12

J Acidi grassi a catena lunga: numero di atomi di carbonio da 13 a 21.

J Acidi grassi a catena molto lunga: numero di atomi di carbonio maggiore o uguale a 22. In base alla presenza di doppi legami gli acidi grassi si classificano in saturi, monoinsaturi e poiinsaturi. La presenza di doppi legami e la lunghezza della catena carboniosa influenzano, oltre al punto di fumo, la temperatura di fusione e di cristallizzazione così che gli acidi grassi saturi e a catena lunga si presentano solidi a temperatura ambiente (burro), mentre quelli insaturi si presentano generalmente liquidi (oli). Acidi grassi saturi Come anticipato, non contengono alcun doppio legame, per questo motivo a temperatura ambiente si presentano solidi. Da sempre demonizzati come killer delle nostre arterie, negli ultimi anni i saturi e gli alimenti che li contengono (come uova, latte e latticini) sono stati scagionati dalla ricerca scientifica che Addirittura gli attribuisce proprietà protettive nei confronti di diverse patologie tra cui il diabete mellito, ma i luoghi comuni sono duri a morire. Vedremo che non sono tutti uguali e non tutti sono da temere allo stesso modo. Gli acidi paimitico e stearico sono i più abbondanti nel nostro organismo e in quello degli altri organismi superiori. Possono essere denominati numericamente indicando il numero di atomi di carbonio (C) e di doppi legami che contengono. Per esempio l’acido grasso saturo paimitico viene denominato CI6:0 (o semplicemente 16:0), dove 16 indica il numero di atomi di C e 0 il numero di doppi legami che nei saturi è uguale a zero. L’acido paimitico, presente in abbondanza nell’olio di palma (41.2% circa) è al centro delle ^critiche mediatiche ormai da tempo. Diversi studi gli attribuiscono un effetto aterogeno ed ipercolesterolemizzante, entrambe caratteristiche che influiscono negativamente sul rischio ^cardiovascolare, di cui parleremo in seguito. In verità l’olio di palma vergine conterrebbe un’alta percentuale di acido oleico (38.4%), 'betacarotene e anti-ossidanti che però vengono persi durante i processi di raffinazione. Ma perché l’industria alimentare dovrebbe puntare sull’olio di palma? Semplice, costa poco, dona agli alimenti un sapore gradevole e soprattutto la presenza di acidi grassi saturi e monoinsaturi conferisce un’alta stabilità che garantisce una lunga conservazione.

Ma non tutti gli acidi grassi saturi sono uguali! L’acido stearico (CI8:0), un altro grasso estremamente diffuso nel mondo animale e vegetale, non influenza la sintesi di “colesterolo cattivo” (vedremo di cosa si tratta). Una parte di esso viene trasformato in grasso monoinsaturo (acido oleico) che possiede effetti benefìci. Ecco perché non ha senso parlare di grassi saturi come se si trattasse di un’unica molecola. Acidi grassi monoinsaturi

Sono caratterizzati dalla presenza di un doppio legame, quasi sempre in configurazione cis, in cui entrambi gli atomi di idrogeno si trovano dallo stesso lato del piano formato dal doppio legame, che conferisce alla catena una ripiegatura, responsabile dell’abbassamento del punto di fusione. Per denominare gli acidi grassi insaturi si utilizza spesso la numerazione omega. Con tale sistema l’acido oleico viene indicato con la sigla CI8:1 (omega) Q9, o n9. Il primo numero indica il numero degli atomi di C (18), il secondo numero dei doppi legami (1), il terzo la posizione del doppio legame iniziando a contare da quello terminale, o omega (9). I principali acidi grassi monoinsaturi sono l’acido palmitoleico (CI6:1 n9) (derivante dal metabolismo dell’acido paimitico), l’acido oleico e l’acido erucico. Anche in questo caso è importante ribadire che non tutti i monoinsaturi sono uguali. Sono infatti noti gli effetti benefìci dell’acido oleico (CI8:1 n9), presente nell’olio d’oliva e protagonista indiscusso della dieta Mediterranea, in grado di influenzare positivamente l’assetto lipidico, mentre sono altrettanto noti gli effetti lesivi soprattutto sul cuore, dell’acido erucico (C22:l nl3), presente in abbondanza nell’olio di colza. In virtù dei sui effetti positivi sull’assetto lipidico e alla sua stabilità chimica che gli conferisce resistenza alle alte temperature e ai processi ossidativi, l’acido oleico occupa meritatamente un posto preferenziale nella scelta dei lipidi da assumere giornalmente, dei quali dovrebbe rappresentare circa il 50%. Acidi grassi poiinsaturi e acidi grassi essenziali

I grassi poiinsaturi sono noti anche come PUF A, acronimo di Poly-Unsaturated Fot Acids. Come abbiamo già detto, in corrispondenza di ogni doppio legame cis l’acido grasso presenta una ripiegatura che impedisce al trigliceride che lo contiene di “impacchettarsi ” per bene, per questo motivo gli alimenti che ne sono ricchi presentano un maggior grado di fluidità rispetto alle fonti di grassi saturi e rimangono liquidi anche a basse temperature. In natura esistono numerosi tipi di PUFA che differiscono tra loro per numero di atomi di carbonio, quantità di doppi legami e posizione di questi ultimi. Le famiglie di PUFA più importanti per il metabolismo umano sono quelle denominate omega-6 (®-6 o n-6) e omega-3 (©-3 o n-3). La denominazione chimica dell’ALA è 18:3 ro-3, come abbiamo visto, la prima cifra indica il numero di atomi di carbonio (18), la seconda il numero di doppi legami (3), la terza la posizione del primo doppio legame contando a partire dall’ultimo carbonio (3). Acidi grassi essenziali

Il nostro organismo possiede enzimi elongasi e desaturasi che però non riescono ad allungare la catena carboniosa e desaturarla (cioè inserire doppi legami) in prossimità del carbonio terminale (omega). Per questo motivo siamo in grado di sintetizzare l’acido oleico (CI8:1 ®-9) dall’acido stearico (CI8:0) ma non possiamo sintetizzare acido a-linolenico (ALA) (18:3 co-3) né acido linoleico (AL) (18:2 co-6) partendo dalla stessa base lipidica.

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Se così non fosse, cioè se non fossimo incapaci di attuare queste “banali” vie enzimatiche, non dovremmo preoccuparci di introdurre omega-3 e omega-6 con gli alimenti (che per questo motivo vengono chiamati grassi “essenziali” o EFA, Essential Fatty Acids) e io non avrei scritto questo testo. Tra gli acidi grassi essenziali viene generalmente annoverato anche l’acido arachidonico (AA) che però può essere sintetizzato a partire dall’acido linoleico. In natura solo le alghe e le piante sono in grado di sintetizzare ALA e AL, mentre gli organismi superiori sono molto efficienti nel trasformarli allungandoli e desaturandoli, sintetizzando quindi i cosiddetti “semi-essenziali ” o EFA-derivati. Dagli acidi grassi della serie omega-3 derivano EPA e DHA, da quelli della serie omega-6 derivano GLA (acido y-linolenico), DGLA e il temutissimo Acido Arachidonico (AA). Noi possiamo quindi assumere EFA sia in forma essenziale (o acidi grassi precursori, ALA e AL) dai vegetali, che in forma semi-essenziale (EFA-derivati) dagli animali che li hanno accumulati nel proprio grasso di deposito, in particolar modo i pesci che vivono in acque fredde e che li sfruttano proprio per la loro caratteristica di rimanere fluidi alle basse temperature. È importante dire però che gli enzimi deputati alla “maturazione” degli EFA-precursori non hanno una capacità infinita, per questo motivo i loro derivati possono diventare “condizionatamente essenziali” in alcune occasioni. Il fabbisogno di EFA-derivati è infatti maggiore durante la prima infanzia e durante la terza età (per inefficienza dei meccanismi di maturazione). Questa è una delle principali ragioni per cui gli integratori di omega-3 contengono (o dovrebbero contenere) soprattutto EPA e DHA. Com’è noto, non è difficile assumere una buona quantità di omega-6 (essenziali e semi essenziali) da frutta secca, oli vegetali e carni animali, mentre risultano notevolmente inferiori le opzioni alimentari a base di omega-3 sotto forma di ALA (essenzialmente noci, semi di lino, soia e canapa) o EPA e DHA (soprattutto pesci, tra cui: salmone, acciuga, sgombro, pesce spada). Ma perché la natura ci vuole dipendenti dagli EFA? In genere l’evoluzione fa sì che ciò che è realmente importante non sia essenziale, sembra una contraddizione ma non lo è, basti pensare al glucosio che è assolutamente fondamentale per la nostra sopravvivenza e per questo motivo ottenibile dalla conversione di altri substrati. Se l’uomo non è stato selezionato per sintetizzare ALA e AL ma è comunque sopravvissuto alla selezione naturale, le ipotesi plausibili sono essenzialmente due. La prima è che gli EFA non sono realmente importanti e quella degli omega3/6 non è altro che una montatura architettata dalle multinazionali degli integratori lipidici e del commercio ittico, la seconda è che la nostra specie si è evoluta in un ambiente in cui era relativamente facile ricavare una quantità sufficiente di EFA dagli alimenti. Visto che sono note le patologie da carenza di EFA, direi che la prima ipotesi è da scartare. Da quali fonti venivano assunti quindi gli EFA necessari? Alcuni identificano nell’inizio della pesca uno degli elementi responsabili del nostro salto evolutivo, altri escludono che l’uomo primitivo africano, che viveva in prossimità di fonti di acqua non salata bensì dolce, potesse beneficiare costantemente di un’alimentazione ricca in pesci di acqua fredda (con un alto contenuto in omega-3). E anche possibile che la nostra alimentazione prevedesse una quota sufficientemente elevata di fonti vegetali, anche se poco “dense” di omega-3 e che le carni (o meglio, i grassi) animali avessero un rapporto omega-3 / omega-6 (di cui parleremo in seguito) diverso rispetto all’attuale. Vorrei anche fare un'altra considerazione. La gente “comune”, cioè quella che non ha interesse a leggere questo libro, non si preoccupa di quanti omega-3 assume giornalmente o del rapporto con gli altri omega, eppure sfido chiunque a trovare un conoscente che abbia manifestato chiari segni di una carenza di omega-3.

Vari studi evidenziano come la nostra alimentazione attuale sia completamente sbilanciata a favore degli omega-6, tanto che alcune popolazioni assumono un rapporto co 6/ co 3 di circa 18:1, eppure la sopravvivenza media continua ad aumentare. Il tema è affascinante ma forse andrebbe ridimensionato. Perché ci interessiamo tanto agli EFA? Quanti EFA dobbiamo assumere? In quale rapporto? In che modo gli EFA influenzano la nostra salute? Non mi aspetto di rispondere in modo definitivo a questi interrogativi, ma vorrei offrirvi una panoramica utile a difendervi dal bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti giornalmente. Perchè ci interessiamo tanto agli EFA? Negli anni ’70 fu pubblicato lo studio “The composition of food consumed in Greenland Eskimos“ nel quale si evidenziava come i soggetti residenti in Groenlandia presentassero una minore incidenza di malattie cardiovascolari rispetto a quelli della stessa etnia che però risiedevano in paesi industrializzati. Faccio presente che gli Inuit vengono utilizzati, dai sostenitori delle diete chetogeniche e lowcarb, anche per evidenziare come le popolazioni che consumano una dieta ricca in grassi e proteine e bassa in carboidrati presentino un basso rischio cardi ©vascolare, a dimostrazione del fatto che forse bisognerebbe considerare la dieta nel suo insieme, piuttosto che focalizzarsi su singoli elementi. Da quel momento gli EFA, già noti per la loro importanza nell’accrescimento umano, acquisivano un nuovo significato, perché in grado di influenzare il nostro stato di salute e la nostra sopravvivenza. Fioccarono studi in cui si evidenziava come un aumentato consumo di PUFA, soprattutto omega-3, fosse in grado di prevenire le principali patologie cardiache o influenzasse positivamente l’outcome dei pazienti già ammalati, altri studi attribuivano all’assunzione di omega-3 effetti miracolosi nel trattamento di quasi qualunque tipo di patologia. Purtroppo l’entusiasmo iniziale si scontra con le metanalisi più recenti che evidenzierebbero come il trattamento con omega-3 non modifichi la mortalità per tutte le cause (infarto, ictus etc.), inoltre stanno venendo a galla alcune problematiche legate ad un aumentato consumo di fonti di EFA, che non sarebbe esente da rischi ed effetti collaterali.

Fabbisogno di EFA Il fabbisogno di omega-3 e il rapporto w 6 / co 3 consigliato differiscono da stato a stato. Negli ’ stati esteri l’apporto giornaliero raccomandato di omega-3 varia da 500 mg/die per la Francia a 1-2 g/die per la Norvegia. La WHO (World Health Organization) raccomanda un’assunzione tra 0,3 e 0.5 g/die, mentre la società internazionale per lo studio degli acidi grassi e lipidi (ISSFAL) consiglia 500 mg/die. Le più recenti raccomandazioni della American Hearth Association (AHA) sottolineano l’importanza per gli adulti sani di consumare pesce (senza precisare il tipo e i quantitativi) almeno 2 volte a settimana. In Italia i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la’ popolazione italiana) consigliano l'assunzione almeno del 2% di PUFA rispetto alle calorie totali con un rapporto co6/co3 di circa 4:1. Il livello di assunzione raccomandata per l'acido alfa linolenico non è ben distinto ma rientra in) quello dell'intero gruppo omega-3 che, sempre secondo i LARN, deve comprendere circa lo 0,5%' delle chilocalorie totali nella dieta, pari a 1-1,5 grammi al giorno nell'adulto. Non mancano, comunque, le raccomandazioni per un apporto più generoso, nell'ordine dei 2-3 grammi di omega-3 al giorno comprendenti 2 g di ALA e 0,5-1 g di EPA+DHA. Chiaro no? Non credo. Non è mia intenzione confondervi ma vorrei dare un’idea del quadro generale e far notare come, ad oggi, non sappiamo quanti EFA dobbiamo assumere giornalmente.

Funzioni degli EFA

I PUFA co-3 e co-6 svolgono numerose funzioni vitali nell’organismo umano. Entrando a far parte dei fosfolipidi delle membrane cellulari ne modulano la fluidità, la trasduzione dei segnali, le interazioni con altre cellule. Inoltre, come vedremo, influenzano il sistema immunitario, agendo come precursori degli eicosanoidi, tra cui le prostaglandine. Al DHA viene attribuita la capacità di influenzare positivamente la sintesi di ossido nitrico (NO), avrebbe inoltre effetti anti-coagulanti e anti-aggreganti. Nel capitolo relativo alle lipoproteine piasmatiche vedremo come gli omega-3 siano in grado di ridurre i livelli di trigliceridi, migliorando l’assetto lipidico. Gli EFA sono quindi importanti e potenzialmente utili, vediamo come la loro assunzione può influenzare il nostro stato di salute. Eicosanoidi buoni e cattivi Gli EFA sono le molecole base da cui vengono sintetizzati gli eicosanoidi, dei “superormom” che regolano molte funzioni organiche tra cui la coagulazione, la risposta immunitaria e l’infiammazione. Alla categoria degli eicosanoidi appartengono le prostaglandine, le prostaciciline, le lipossine, i trombossani e i leucotrieni. Gli eicosanoidi più studiati sono senz'altro le prostaglandine. Queste possono derivare dal metabolismo degli omega-3 e degli omega-6. Dai loro metaboliti, come l’acido arachidonico, sono prodotte circa 30 tipi di prostaglandine che spesso vengono classificate in “buone” e “cattive”, le prime aventi proprietà antiinfiammatorie, antiaggreganti e vaso-dilatanti, le seconde con effetti opposti. Inutile dire che questa distinzione è una forzatura perché tutte le prostaglandine svolgono funzioni importantissime per l’organismo e solo un loro squilibrio può essere considerato dannoso. Alcuni autori, tra cui Sears, l’ideatore della dieta a Zona, basano le proprie teorie sul meccanismo di produzione degli eicosanoidi. Personalmente trovo affascinante l’idea di modulare la tipologia di eicosanoidi prodotta tramite l’utilizzo di “blocchi” che controllano la secrezione di insulina e glucagone e ingerendo una dose sufficiente di omega-3. Purtroppo queste teorie appaiono ottimistiche e non immuni da critiche, prime tra tutte quelle che ci ricordano che i fattori in grado di influenzare la sintesi delle prostaglandine sono numerosi e poco controllabili. Tra questi ricordiamo l’apporto di minerali (soprattutto zinco e magnesio), vitamine (C, B3, B6) e le proporzioni tra i grassi poiinsaturi, di cui parleremo a breve. Alcuni studi inoltre ridimensionerebbero gli effetti dell’ingestione di omega-6 sulla sintesi di acido arachidonico (la quale sarebbe finemente regolata e controllata e quindi solo parzialmente influenzabile con la dieta) e addirittura gli stessi effetti pro-infiammatori degli omega-6. Se così non fosse, le popolazioni che assumono elevati quantitativi di omega-6 avrebbero una mortalità altissima, in balia di una tempesta infiammatoria senza controllo. Ricordiamo inoltre che dall’acido arachidonico derivano anche prostaglandine “buone”.

Il rapporto omega-6 /omega-3

Il rapporto tra gli acidi grassi omega-6/3 e la sua capacità di influenzare la nostra salute è un altro degli aspetti molto dibattuti, che vale la pena approfondire. La conversione dei precursori essenziali (ALA e LA) nei rispettivi semiessenziali (EPA e DHA per la famiglia omega-3, GLA, DGLA e Acido Arachidonico per gli omega-6) avviene ad opera di desaturasi e elongasi.

Il primo enzima, la delta-6-desaturasi è comune ad entrambe le vie e spiega perché un eccesso di acido linoleico può influenzare negativamente il metabolismo degli omega-3-derivati (l’acido linoleico “ruberebbe” enzimi alla via destinata all’acido linolenico). Per contro, un’aumentata assunzione di omega-3-derivati (EPA e DHA), inibendo gli enzimi a monte, sarebbe in grado di diminuire la sintesi di omega-6 derivati. Alcuni autori sostengono che l’uomo si sia evoluto assumendo una dieta con un rapporto omega-6/omega-3 di circa 1. Negli ultimi 150 anni l’apporto di omega-6 sarebbe aumentato, mentre quello degli omega-3 sarebbe parallelamente diminuito tanto che le attuali diete occidentali presenterebbero rapporti tra 10/1 e 18/1. Attualmente il rapporto raccomandato è circa 4/1. Le ragioni di questo insano rapporto tra PUF A sarebbe da ricercare nell’aumentato consumo di oli di mais e girasole (ricchi in omega-6), un basso consumo di pesce e un elevato consumo di carne di bovino, pollo e maiale allevati con mangimi a base di mais che determina la produzione di carni più ricche in omega-6 rispetto agli animali cosiddetti “grass fed” (letteralmente “alimentati ad erba ”, cioè, nel caso di bovini, allevati al pascolo). Uno squilibrio tra PUFA sarebbe alla base di diverse patologie cardiovascolari, tumori, malattie infiammatorie e autoimmuni nei confronti delle quali gli omega-3 eserciterebbero un effetto soppressivo. Vi propongo qualche dato per confondervi un po’. V Nella prevenzione secondaria di patologie cardiovascolari un rapporto di 4/1 sarebbe associato ad una diminuzione di mortalità del 70%. J

Un rapporto di 2.5/1 ridurrebbe la proliferazione neoplastica in pazienti con cancro del colon-retto, mentre un rapporto di 4/1 non avrebbe alcun effetto.

V

Un basso rapporto omega-6/omega-3 è associato ad una riduzione del rischio di morte nelle donne con tumore del seno e un rapporto di 2-3/1 sopprime l’infiammazione in pazienti con artrite reumatoide.



S Un rapporto di 5/1 ha un effetto benefico nei pazienti con asma, mentre un rapporto 10/1 avrebbe effetti avversi.

Gli studi attualmente disponibili indicherebbero quindi che il rapporto ottimale può variare in base alla patologia considerata, il che è coerente con il fatto che le patologie croniche sono multigeniche e multi-fattoriali. Quello che può essere ottimale in un soggetto che ha subito un infarto può non esserlo per uno che soffre di artrite e probabilmente il rapporto potrebbe variare anche tra soggetti affetti dalla stessa patologia. Altri lavori suggerirebbero che aumentando semplicemente la quantità di ALA, EPA e DHA nella dieta se ne possa incrementare la concentrazione nei tessuti periferici. Non sarebbe quindi necessario diminuire l’apporto di omega-6 e acido arachidonico. Altri ancora, evidenziano come, in termini di rischio cardiovascolare, il rapporto omega6/omega-3 non giochi un ruolo rilevante. Piuttosto che impazzire alla ricerca del rapporto ottimale sarebbe preferibile sostituire i grassi saturi e i trans con quantità analoghe di PUFA o addirittura di solo linoleico (omega-6). Purtroppo, anche in questo caso, non è possibile trarre conclusioni definitive e applicabili in modo universale.

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Controversie: il movimento anti-pufa A fronte di un bombardamento mediatico che vorrebbe attribuire agli omega-3 poteri miracolosi, si sta sviluppando una corrente di pensiero anti-PUFA che vorrei presentare senza alcuna intenzione di fare terrorismo psicologico. Le conoscenze attuali, infatti, non mi consentono di assumere una posizione definitiva al riguardo. Allo stesso tempo non vorrei che leggeste queste informazioni come bufale al pari del latte che causa l’osteoporosi o del bicarbonato che cura ogni male. Se siete convinti sostenitori dell’integrazione di omega-3 evitate di indirizzare la vostra formazione solo sugli articoli e gli studi che ne tessono le lodi, leggete invece con mente aperta chi li contesta perché, come dice il mio amico Andrea, solo se siete informati siete veramente liberi di scegliere.

Perossidazione La peculiarità chimico-fisica di possedere dei doppi legami rappresenta un’arma a doppio taglio. Se infatti i PUFA presentano un punto di fusione molto più basso rispetto ai saturi corrispondenti e sono utili proprio per questo, dall’altro ne costituisce il tallone d’Achille, rendendoli maggiormente suscettibili a fenomeni di irrancidimento ossidativo (perossidazione lipidica) ad opera dei cosiddetti “radicali liberi Questo è uno dei motivi per cui è difficile conoscere realmente la quota di PUFA introdotta con il cibo e perfino con gli integratori, una buona parte di essi si deteriora con la cottura, con l’esposizione alla luce, all’aria e perfino spontaneamente in relazione al tempo di conservazione. I processi perossidativi avvengono anche all’interno dello stesso organismo, contrastati dalle molecole anti-ossidanti, in particolar modo la vitamina E, che quindi risulta essere “consumata” maggiormente nei soggetti che assumono quantità maggiori di PUFA. Alla luce di quanto detto sembra saggio consumare fonti di EFA crude o appena cotte e prestare molta attenzione alle modalità di conservazione delle stesse.

Metalli pesanti Dal momento che non consumiamo i singoli macronutrienti ma l’alimento che li contiene, non possiamo non preoccuparci del problema del bioaccumulo. L’assunzione di PUFA omega-3 mediante il consumo di pesce trova infatti alcune limitazioni tra cui la contaminazione da metilmercurio, un metallo pesante normalmente presente in piccole quantità nei pesci con ciclo vitale breve ma che viene invece accumulato nei pesci di grossa taglia e soprattutto nei predatori. Tra le fonti “problematiche” ricordiamo il pesce spada, la cernia, lo squalo, il tonno. La concentrazione di mercurio nelle carni di questi pesci è proporzionale alle loro dimensioni, per questo motivo, contrariamente a quanto si pensi, il contenuto di mercurio è minore nelle confezioni di tonno in scatola, preparate con esemplari di piccola taglia. Fonti ittiche di omega-3 con basso contenuto di mercurio sono invece rappresentate da aringhe, naselli, sogliole, alici e sardine che, per questo motivo, dovrebbero essere consumate in quantità relativamente maggiore. Immunosoppressione e rischio tumorale Gli effetti benefici anti-infiammatori e immunomodulanti che tanto ricerchiamo potrebbero rappresentare invece un pericolo se preponderanti. Se infatti l’assunzione di omega-3 sembra essere protettiva nei confronti dei tumori al colonretto e alla mammella, non mancano studi che li associano ai tumori della prostata e al melanoma.

Ricordo comunque che questi studi non sono esenti da errori e che possono essere falsati da fattori di confondimento come l’esposizione solare o la classe sociale dei soggetti studiati.

Aumentato rischio di sanguinamento Le proprietà anti-coagulanti e anti-aggreganti degli omega-3 potrebbero aumentare il rischio di sanguinamento, soprattutto nei soggetti che già assumono aspirina o anti-coagulanti dei quali potenzierebbero l’effetto. In effetti studi recenti smentirebbero questo rischio. È possibile assumere un eccesso di grassi poiinsaturi?

11 bombardamento mediatico ci induce ad assumere sempre più poiinsaturi, “mangiate più pesce” è un mantra che viene ripetuto in ogni trasmissione che parli di cibo e salute, inculcandoci l’idea che quando si parla di omega-3 o semplicemente di poiinsaturi, “dipiù è meglio”. Se partiamo dal presupposto che anche un eccesso di acqua non è esente da rischi, non c’è motivo di pensare che non si possa assumere un eccesso di PUFA o addirittura di “preziosissimi” omega-3, alcuni di questi problemi sono stati già esposti nel paragrafo precedente. Lo sportivo che si preoccupa della qualità del cibo che ingerisce e arricchisce la propria dieta con l’utilizzo di integratori è il candidato perfetto per un’assunzione eccessiva di poiinsaturi. Consumo giornaliero di fonti animali o vegetali ricchi di PUFA (pesce, frutta secca, olio di lino), alimenti arricchiti in omega-3, tanto di moda oggi (ad esempio le uova), utilizzo di capsule di olio di pesce e il gioco è fatto. Attualmente non è possibile definire quale sia una dose “sicura” di poiinsaturi. Uno studio pubblicato sull’ EFSA journal, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha concluso che i dati attualmente disponibili non sono sufficienti per stabilire un limite massimo tollerabile, cioè sicuro, di omega-3, tuttavia, su un periodo di 12-16 settimane, un’assunzione fino a 5 g/die non determinerebbe l’insorgenza di effetti collaterali. L’indicazione che mi sento di dare è quella di avere un approccio moderato all’assunzione di poiinsaturi, preoccupandovi innanzitutto di raggiungere i dosaggi minimi di entrambi gli EFA. Non cercate di correggere il rapporto omega-6/omega-3 all’intemo della stessa giornata perché rischiate di iper-integrare per compensare un eccesso di omega-6, aumentando i fenomeni perossidativi e il consumo di anti-ossidanti. Quando si parla di nutrienti e in particolar modo di grassi, cercate di ragionare su periodi di tempo più lunghi, ad esempio la settimana, per questo motivo il consiglio di consumare pesce 2-3 volte a settimana, seppur vago, ha una sua ratio. Naturalmente sentitevi liberi di sperimentare brevi fasi con alti omega-3 (o con un rapporto omega-6/omega-3 più spostato verso i secondi) per sfruttarne i possibili effetti benefici come quello anti-infiammatorio o quello ipotrigliceridemizzante, se ne avete necessità, ma non diventate schiavi del conteggio e delle percentuali. Acidi grassi trans

Come abbiamo visto, i grassi insaturi possono esistere in forma cis, con entrambi gli atomi di idrogeno disposti dallo stesso lato del doppio legame, o trans, se questi sono disposti su lati opposti. Durante il secolo scorso alcuni produttori scoprirono che era possibile trasformare i grassi insaturi vegetali nei corrispettivi saturi attraverso un processo di idrogenazione catalitica. I grassi risultanti erano quindi solidi (vedi margarine) e chimicamente stabili. Oggi sappiamo però, che durante il processo di idrogenazione, alcuni acidi grassi, invece di diventare saturi, vengono convertiti nel proprio isomero trans. Inizialmente considerati sicuri e fortemente consigliati come sostituto dei grassi animali, oggi sappiamo che possono essere dannosi per la nostra salute.

La presenza del doppio legame in posizione trans rende rigida la catena carboniosa che quindi non tende a ripiegarsi come avviene invece per i corrispettivi grassi con legami in cis, con conseguenti effetti sulla fluidità delle membrane cellulari che li incorporano. Tra i principali effetti attribuiti al consumo di grassi trans ricordiamo un peggioramento dell’assetto lipidico (aumento del colesterolo LDL, riduzione del colesterolo HDL, aumento della concentrazione di lipoproteina a), riduzione della sensibilità insulinica, interferenza nel metabolismo dei PUFA, alterazioni della risposta immunitaria e un aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari (infarto, ictus cerebri). Naturalmente anche in questo caso non dobbiamo estremizzare il problema. Il nostro corpo è in grado di tollerare una certa quota di acidi grassi trans, altrimenti i nostri genitori e noi stessi che abbiamo assunto margarine, cornetti e merendine varie non saremmo qui a raccontarlo. Inoltre i processi di idrogenazione e isomerizzazione non sono stati inventati dall’uomo ma avvengono naturalmente anche nell’apparato digerente dei ruminanti (bioidrogenazione), i cui prodotti derivati (carne e latticini) contengono una bassa quota, variabile, di questi acidi grassi. Addirittura ad alcuni di essi, tra cui l’acido trans vaccenico, vengono oggi attribuiti effetti benefici, a riprova del fatto che non tutti i grassi, neanche i trans, sono uguali. L’indicazione prudente che possiamo dare comunque è quella di minimizzare al massimo l’apporto giornaliero di acidi grassi trans industriali, possibilmente al di sotto del grammo/die. Colesterolo Il colesterolo è un lipide che fa parte della famiglia degli steroidi, molecole costituite da una struttura comune rappresentata dal ciclopentanoperidrofenantrene. Il colesterolo è una molecola essenziale per la nostra sopravvivenza, si inserisce tra gli strati fosfolipidici delle membrane cellulari diminuendone la fluidità e aumentandone la stabilità, consente la formazione delle vescicole di trasporto, costituisce la base da cui vengono sintetizzati gli ormoni steroidei (testosterone, estrogeni, cortisolo ecc.), è il precursore della vitamina D3, è un componente fondamentale della bile, essenziale per la digestione dei lipidi. Nominare il colesterolo è un po’ come nominare il demonio. In verità questa sostanza è così importante per la nostra sopravvivenza che l’evoluzione lo ha reso non essenziale, produciamo infatti autonomamente la maggior parte del colesterolo necessario, tra 1 e 2 grammi al giorno negli adulti, mentre solo una piccola parte (circa 300 milligrammi) viene assunta con l'alimentazione. Come vedremo nel capitolo sulle lipoproteine, la biosintesi del colesterolo è modulata dalla sua concentrazione all’interno della cellula, stimolata dall’insulina ed è inversamente proporzionale alla quantità assunta con la dieta. Elevati livelli intracellulari di colesterolo inibiscono infatti l'enzima HMG-CoA riduttasi, bloccandone così la sintesi e controllando il contenuto di colesterolo dell’organismo che ammonta a circa 150 g. L’assunzione di colesterolo con la dieta non rappresenta di per sé un fattore di rischio cardiovascolare, quello che dovreste monitorare è piuttosto la colesterolemia e soprattutto l’indice di rischio cardiovascolare, di cui parleremo in seguito.

L'assorbimento dei lipidi17 Per comprendere appieno il ruolo e la funzione dei grassi può essere utile conoscere il loro metabolismo. Il lipide, rispetto ai protidi e ai glucidi è insolubile in acqua (idrofobico), pertanto utilizza delle vie uniche per essere assorbito. Il corpo seceme per ogni macronutriente enzimi specifici, proteasi per le proteine, amilasi per gli amidi, ecc.

17 Del Dottor Claudio Zanella, e-mail [email protected]

Per i grassi le sole lipasi non sono sufficienti. Infatti nello stomaco la forte acidità e la presenza d'acqua portano i grassi a condensarsi ed unirsi. Le lipasi gastriche, che sono idrofile, non riesco ad intaccare i grassi se non in superficie, proprio come succede nella minestra alle gocce d'olio. Una volta arrivato nell'intestino (duodeno) le cose cambiano, sia per il pH che diventa leggermente basico ma soprattutto per la presenza dei sali biliari. Quest'ultimi sono sostanze anfipatiche, cioè possiedono una testa idrofilica e una coda idrofobica (come i fosfolipidi delle membrane cellulari), che gli consentono di aggredire in profondità i grassi permettendo così alle lipasi pancreatiche di scinderli in monogliceridi ed acidi grassi liberi. Ora finalmente sono pronti per essere assorbiti dagli enterociti (cellule dell'intestino); anche se qui le cose si complicano. A seconda della loro struttura prendono due diverse direzioni. Il glicerolo e gli acidi grassi a corta e media catena finiscono subito nel circolo portale (quello che collega l'intestino al fegato), poiché hanno la peculiarità di essere solubili in acqua (più la catena è corta e più hanno questa caratteristica). Inoltre non hanno bisogno della carnitina per entrare nel mitocondrio, caratteristica che li rende un ottimo e veloce carburante (molto chetogenico). Gli acidi grassi a lunga catena invece, per via della loro struttura, non possono essere veicolati nel sangue da soli, pertanto aH’intemo degli enterociti vengono aggregati a delle lipoproteine (chilomicrom), che hanno la funzione di trasportarli nei liquidi acquosi. Dall'intestino passano nella via linfatica e solo successivamente a quella ematica. Infine nel fegato verranno scomposti e riorganizzati e finalmente una volta ritornati nel sangue esplicheranno la loro funzione sui tessuti periferici. L'assorbimento dei lipidi rispetto a quello degli altri macronutrienti è lungo e laborioso. Tuttavia, come succede anche per molte altre sostanze, quando si trovano nel circolo ematico i due principali tessuti preposti al loro assorbimento sono quello muscolare e adipocitario. A differenza dei sedentari, negli sportivi, un aumento dei grassi intramuscolari non provoca insulino-resistenza, mentre in chi non fa attività fisica aerobica/glicolitica, un aumento delle scorte lipidiche, anche all'intemo dei muscoli, diminuisce i recettori cellulari del glucosio. In questo contesto possiamo ritrovare atleti di forza e potenza (powerlifters, weightlifters, strongmen) che, pur avendo masse muscolari rilevanti, hanno una grossa percentuale di tessuto grasso. Senza una buon numero di mitocondri efficienti, la capacità del corpo di smaltire le sue riserve I lipidiche è ridotta, soprattutto nel muscolo con fibre IIx, dove la scarsa presenza di mitocondri I rischia di far accumulare eccessivamente grasso intramuscolare. La massa contrattile aiuta a I dimagrire solo se possiede una buona capacità ossidativa.

Il viaggio dei lipidi18 Quella che segue è una spiegazione semplificata di come avviene il traffico di trigliceridi e I colesterolo all’interno dell’organismo e ha lo scopo di fornire una conoscenza di base I sull’argomento, cogliendo l’occasione per proporre alcuni spunti di riflessione. Per una trattazione più dettagliata si consiglia di fare riferimento ai testi di biochimica.

Abbiamo visto che i trigliceridi alimentari vengono "scomposti” (idrolizzati) nel lume I intestinale e successivamente riassemblati all’interno della cellula intestinale. Questo processo potrebbe apparire inutilmente dispendioso ma rappresenta una prima forma di I controllo da parte dell’organismo sui lipidi esogeni prima che questi possano avere accesso I all’interno dell’organismo.

18 De! Dottor Claudio Zanella, e-mail [email protected]

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L’evoluzione ha reso il nostro corpo più intelligente di noi e le nostre scelte alimentari riescono ad influenzare solo parzialmente il nostro equilibrio interno (omeostasi), “siamo ciò che mangiamo ” è una verità parziale (fortunatamente, altrimenti io a 12 anni sarei stato un soffìcino). I lipidi non sono solubili nel plasma per cui vengono trasportati al suo interno in forma di aggregati lipoproteici (lipoproteine). Ciascun tipo di lipoproteina si differenzia dagli altri per peso molecolare, densità, composizione chimica e funzione. Le lipoproteine piasmatiche alle quali sono associati tutti i lipidi ematici sono suddivisibili, in base alla loro densità, in 4 classi principali:

J VLDL

Very Low Density Lipoprotein Proteine a bassissima densità J IDL Intermediate Density Lipoprotein Lipoproteine a densità intermedia / LDL Low Density Lipoprotein Lipoproteine a bassa densità J HDL High Density Lipoprotein Lipoproteine ad alta densità A queste si aggiungono i chilomicroni che rappresentano il mezzo grazie al quale sono trasportati i lipidi ingeriti con gli alimenti e sono riscontrabili in circolo solo nelle 6-8 ore seguenti ad un pasto lipidico. Quando sentiamo parlare di “colesterolo ” o di “colesterolo buono ” e “colesterolo cattivo ” in realtà non ci stiamo riferendo alla molecola di steroide in sé, ma alla classe lipoproteica che è principalmente responsabile del suo trasporto all’interno del torrente ematico e che ne determina il comportamento. L’organismo è in grado di “riconoscere ” le varie classi di lipoproteine grazie alla presenza di Apolipoproteine (o Apo), proteine strutturali che fungono anche da cofattori degli enzimi necessari al loro metabolismo e da “carta d’identità’’ tramite la quale queste possono essere riconosciute dalla membrana delle cellule bersaglio. I chilomicroni vengono secreti nei vasi linfatici e da questi passano nel circolo venoso che li diffonde ai vari tessuti. Come già anticipato, i trigliceridi a media catena (MCT, con numero di atomi di carbonio tra 6 e 12) seguono un destino differente, non sono incorporati nei chilomicroni ma passano immediatamente in circolo, veicolati dall’albumina. Immessi in circolo, i chilomicroni scambiano costituenti, tra cui altre Apo (cofattori enzimatici) con le altre lipoproteine. Dalle HDL acquisiscono 1’ attivatore della lipoprotein-lipasi (LPL) (Apo CII) che scinde i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi. Grazie a questo saranno in grado di interagire con l’endotelio vasale, cedendo ai vari tessuti (soprattutto adiposo e muscolo scheletrico) gli acidi grassi. Alla fine di questo processo, dei chilomicroni “svuotati”, resteranno le HDL discoidali e i remnants che saranno captati dal fegato per la sintesi di HDL. I lipidi endogeni, sintetizzati dal fegato, sono invece trasportati ai tessuti periferici tramite le VLDL (lipoproteine a densità molto bassa). I fattori che influenzano la sintesi di VLDL sono l’apporto di grassi, alcool e carboidrati. Un eccesso di carboidrati quindi, non solo di grassi, come siamo abituati a pensare, può essere responsabile di un aumento dei valori di colesterolo VLDL dal quale deriveranno successivamente le altre lipoproteine. Anche le VLDL ricevono dalle HDL degli attivatori della lipoprotein-lipasi (Apo CII e Apo CHI). Anch’esse infatti, hanno l’importante funzione di trasportare i lipidi (soprattutto trigliceridi) ai tessuti che ne hanno necessità.

Ricordiamo che la LPL del tessuto adiposo è attivata dall’insulina, mentre quella muscolare è attivata dagli ormoni contro-insulari (come adrenalina e glucagone) e inibita dall’insulina. Questa caratteristica consente di stabilire a quale tessuto destinare l’energia chimica contenuta nei lipidi in base alle necessità e allo stato energetico dell’organismo. Grazie ad una serie di scambi con i tessuti e con le altre lipoproteine, le VLDL si trasformano prima in IDL e poco dopo in LDL.

Il colesterolo cattivo

Note come “colesterolo cattivo”, le LDL (lipoproteine a bassa densità) derivano come abbiamo visto dal metabolismo delle VLDL e hanno la funzione di trasportare il colesterolo esterificato, soprattutto con acidi grassi poiinsaturi, ai tessuti. Se da un lato questo ci fa capire quanto siano importanti perché costituiscono la modalità tramite la quale gli acidi grassi essenziali vengono distribuiti alle cellule periferiche, dall’altro la presenza di doppi legami rende queste lipoproteine suscettibili ai processi di lipoperossidazione. L’ingresso del colesterolo nelle cellule dei tessuti periferici e negli epatociti inibisce la sintesi del recettore per le LDL (la cellula è “sazia” di colesterolo e smette di introdurne) e dell’enzima HMG-CoA reduttasi (preposto alla sintesi di nuovo colesterolo) regolando in questo modo le quantità di colesterolo all’interno dell’organismo. Il riscontro di colesterolo esterificato e di apo B-100 (l’apoproteina comune a VLDL, IDL e LDL) nelle placche ateromatose (le lesioni caratteristiche dell’aterosclerosi) ha fatto si che le LDL venissero considerate “colesterolo cattivo”. In verità sarebbero le LDL piccole e dense e in particolare le LDL perossidate ad accumularsi nella parete vasale. Non potendo essere rimosse tramite meccanismo recettore-mediato, vengono riconosciute dai macrofagi che divengono così cellule schiumose, caratteristiche delle placche ateromatose. Il colesterolo buono In condizioni fisiologiche l’eccesso di colesterolo viene rimosso dalle HDL che lo riportano al fegato (trasporto inverso del colesterolo), per questo motivo il colesterolo HDL viene considerato “colesterolo buono Questi e altri meccanismi di compenso (come quelli esposti sopra) spiegano perché l’apporto dietetico di colesterolo ha un’influenza generalmente minima sulla colesterolemia. Le HDL vengono sintetizzate dal fegato e dall’intestino, ed in parte dal catabolismo dei chilomicroni. Sono lipoproteine di piccole dimensioni contenenti prevalentemente fosfolipidi e colesterolo libero. Al loro interno il colesterolo viene esterificato (grazie all’ enzima LCAT) e ceduto alle VLDL, le quali a loro volta, cedonono colesterolo libero. Un elevato contenuto ematico di HDL viene oggi considerato un fattore protettivo nei confronti I delle patologie cardiovascolari, indicherebbe infatti che il sistema di rimozione del colesterolo dai I tessuti periferici è efficientemente operante. A questo punto vi sarà chiaro perchè il semplice valore di “colesterolo totale” (VLDL + IDL+ I LDL + HDL ) non possa rappresentare un indice di “salute metabolica” e quindi di rischio cardio- I vascolare affidabile. Il rischio cardiovascolare

Perché siamo tutti fissati con il colesterolo? Il motivo è legato all’ipotesi lipidica di cui I abbiamo già accennato e al rischio cardiovascolare che ne deriva. Il rischio cardiovascolare quantifica le probabilità di sviluppare una malattia a carico del cuore I o dei vasi sanguigni in base alla presenza o meno di determinati fattori di rischio.

I

I fattori di rischio sono quelle caratteristiche non modificabili (come l’età, il sesso e la familiarità) o derivanti da fattori ambientali e comportamentali (stile di vita), quindi modificabili. Alti valori di colesterolo ematico sono sicuramente un importante fattore di rischio cardiovascolare ma la sua importanza è sovrastimata. Inoltre il rischio di morte in relazione ai valori di colesterolo totale segue un andamento a U: aumenta in modo significativo sia per valori molto alti che molto bassi, probabilmente perché la regolazione dei valori delle lipoproteine è un meccanismo talmente fine che un loro eccesso o difetto è indice di un malfunzionamento localizzato in una delle tappe del loro percorso metabolico. Per valori “medi” invece il significato della colesterolemia va letto in relazione alla presenza di altri fattori di rischio. Se dovessimo stilare una classifica degli elementi che influenzano negativamente la salute cardiovascolare, il colesterolo totale non sarebbe al primo posto, superato o a pari livello con obesità, sedentarietà, resistenza insulinica e diabete, ipertensione, abitudine al fumo, alti livelli di fibrinogeno, proteina C reattiva, bassi livelli di adiponectina (di cui tratteremo in seguito nel libro) e altri. Oggi si parla spesso anche di infiammazione silente, una condizione caratterizzata da un’attivazione bassa ma cronica della risposta infiammatoria causata da vari fattori già elencati tra cui l’iperinsulinismo e un aumento delle prostaglandine “cattive” (esistono davvero?), dovuto, forse, a sua volta all’assunzione di elevate quantità di omega-6, di cui abbiamo già parlato nel capitolo sui lipidi.

Come si calcola il rischio cardiovascolare?

La valutazione del rischio cardiovascolare e le eventuali decisioni terapeutiche che ne derivano sono di competenza medica e questo testo non vuole sostituirsi al parere del vostro medico curante ma se stai leggendo vuol dire che sei curioso di capirne di più, andando oltre le semplici (e “talvolta" valide) indicazioni date dai nostri medici. Dal momento che le patologie cardiovascolari riconoscono un’eziologia multifattoriale oggi la valutazione del rischio viene effettuata in modo multiparametrico utilizzando vari strumenti come la carta del rischio cardiovascolare che prende in considerazione sei fattori (sesso, età, colesterolemia LDL, presenza di diabete, presenza di ipertensione e abitudine al fumo), potrete trovare facilmente questo e altri strumenti sul sito internet dell’istituto Superiore di Sanità. I valori di colesterolo assumono un significato diverso in base alla pressione sistolica e soprattutto come lo status di fumatore determini la presenza di un rischio cardiovascolare aumentato in condizioni che altrimenti sarebbero da definirsi normali. Se volete avere un’idea della bontà del vostro assetto lipidico potete calcolare in modo molto rapido l’indice di rischio cardiovascolare dividendo i valori di colesterolo totale (VLDL + LDL + HDL) per quelli di HDL. L’indice di rischio è considerato basso quando risulta inferiore a 5 nell’uomo e a 4,5 nella donna.

Rischio cardiovascolare

uomini

donne

molto basso

3.43

3.27

medio

4.97

4.44

moderato

9.55

7.05

alto

24

>11.04

È evidente il motivo per cui non ha senso riferirsi al solo colesterolo totale. È infatti possibile avere un rischio cardiovascolare aumentato pur avendo valori di colesterolo entro la norma ma HDL bassi, ad esempio:

colesterolo totale = 190, HDL = 35 -> indice di rischio CV = 5,43

Oppure un rischio cardiovascolare molto basso con valori di colesterolo totale sopra la norma ma HDL elevati, ad esempio: colesterolo totale = 210, HDL = 65 -> indice di rischio CV = 3,23

Chi tra i due dovrebbe preoccuparsi maggiormente per la salute delle proprie arterie?

Ho il colesterolo o i trigliceridi alti, che faccio?

Come anticipato, lo scopo di questo libro non è quello di sostituirsi in alcun modo al parere del medico che vi ha in cura, ciò non toglie che una conoscenza più approfondita di come alcuni macronutrienti possono influenzare il nostro assetto lipidico sia importante per strutturare uno stile alimentare adatto alle nostre caratteristiche individuali, pur restando sempre valida e imprescindibile l’indicazione di eliminare gli altri fattori di rischio (fumo, alcool, obesità, ecc.). HDL

LDL

VLDL trigliceridi

saturi (C14-C16) Miristico, Paimitico

-

TT

-

saturi (C18) Stearico monoinsaturi (CI8:1 n9) Oleico

-

-

- i

T

poliinsaturi (n6)

- 1

U

- T

poliinsaturi (n3)

T

- i

U

trans

;

T

T

Nella tabella è riportato l’effetto medio dell’assunzione di vari tipi di acidi grassi sulle diverse classi di lipoproteine (le frecce verso l’alto indicano incremento, verso il basso decremento, il trattino nessun effetto). Ricordiamo che la risposta non può che essere individuale e influenzata da altri fattori come l’associazione tra i macro e tra questi e i micronutrienti o la presenza di anti­ nutrienti. Le schematizzazioni sono utili per fare chiarezza ma noi non assumiamo la somma dei singoli nutrienti bensì gli alimenti interi che li contengono o meglio ancora, non consumiamo una somma di alimenti ma una dieta nel suo insieme. Perché alcune diete iperlipidiche migliorano i parametri lipidici e altri fattori di rischio cardiovascolare? Perché lo stesso effetto lo si può ottenere con approcci alimentari diametralmente opposti? Noi non siamo quello che mangiamo ma quello che il nostro corpo ottiene da ciò che mangiamo. Prendete la tabella con il benefìcio di inventario, serve solo come fonte di indicazioni generiche. Il messaggio da portare a casa alla fine di questa parte di libro è che l’apporto lipidico, così come le altre componenti della dieta dovrebbe essere cucito sull’individuo. E giusto fornire delle indicazioni generali sulla quota di grassi da assumere con l’alimentazione ma la caratterizzazione degli stessi dovrebbe essere modulata sull’assetto lipidico.

Ai soggetti che non soffrono di ipertrigliceridemia non c’è motivo di consigliare un’integrazione di omega-3 al fine di abbassare ulteriormente i valori di trigliceridi (un apporto sufficiente a coprire il fabbisogno è comunque raccomandabile), chi non soffre di ipercolesterolemia non ha motivo di evitare il consumo di grassi saturi (soprattutto quelli costituiti da acido stearico), se non per bilanciare gli altri macro e manipolare l’apporto calorico.

I Grassi fanno ingrassare? La risposta è NI, dipende. I fattori in gioco sono ovviamente tanti, il quantitativo calorico, lo stato ormonale, lo stato metabolico, ecc. Inizialmente i nutrizionisti sconsigliavano l'assunzione di grassi perché rispetto agli altri macronutrienti sono più calorici, più del doppio (9 kcal) rispetto a carboidrati e proteine (4 kcal). Inoltre, mentre i glucidi per essere convertiti in trigliceridi dissipano in questa trasformazione 24% del loro contenuto energetico in calore, i trigliceridi non hanno praticamente costi (0-3%) nel depositarsi nel tessuto adiposo. Tutto questo rende molto più difficile ingrassare da un eccesso glucidico rispetto ad un eccesso lipidico. Ma allora perché se mangiamo tanti carboidrati ingrassiamo? Perché l’innalzamento dell’insulina, provocato dai picchi glicemici, permette all’organismo di immagazzinare tutti i grassi assunti col pasto, più quelli già presenti nel flusso ematico, dentro agli adipociti. Al contrario con l’insulina bassa il tessuto di deposito è il muscolo, cellula molto più efficace nell’ossidarli. Successivamente, passata questa prima fase in cui i lipidi alimentari erano considerati come il male assoluto, l'attenzione si è spostata all'insulina (come abbiamo appena accennato), uno degli ormoni maggiormente accusati di far aumentare di peso. I grassi hanno poco effetto sull'insulina (se non abbinati con gli altri macronutrienti), pertanto alcune diete hanno preferito shiftare l’introito calorico dai glucidi ai lipidi. Assumendo più calorie ma tenendo a bada l'ormone i grassi vengono metabolizzati in modo più efficace. Meno insulina abbiamo, meno glicogeno è presente nel fegato e migliore sarà la lipolisi e l'utilizzo a livello energetico delle scorte di grasso. Alcuni autori hanno anche affermato (forse presi troppo dall’euforia o dal marketing) che i grassi non solo non fanno ingrassare ma addirittura aiutano a dimagrire. Purtroppo non è tutto oro quello che unge. Se da una parte i grassi non stimolano l'insulina, dall'altra inibiscono VHSL, ovvero la lipasi ormone-sensibile, uno degli enzimi preposti a rilasciare e mobilizzare i trigliceridi dal tessuto adiposo. Così, se noi mangiamo tanti grassi, l’aumento dei livelli di trigliceridi nel sangue verrà segnalato all'adipocita il quale, attraverso l’inibizione dell’HSL, bloccherà l’immissione di nuovi acidi grassi nel torrente circolatorio. Se voi siete già sazi mica vi risedete a tavola per mangiare un altro pasto! Funziona così anche per l'organismo. L'introduzione di molti lipidi blocca la lipolisi, come la blocca l’introduzione degli zuccheri. In questo contesto il conteggio calorico ritorna ad essere rilevante. Alti grassi e poche calorie aiutano a dimagrire, alti grassi ed alte calorie sono ottimi per far ingrassare. C'è un ulteriore aspetto negativo che abbiamo già accennato, ma vista l’importanza ribadiamo. Se da una parte aumentare il metabolismo lipidico è figo (diventi una macchina “bniciagrassi”') dall'altra limitare il metabolismo glucidico è un disastro. Se non introduciamo ciclicamente carboidrati, il metabolismo si abbassa a causa della leptina. In più quando li reintroduciamo il nostro corpo non li sa più metabolizzare bene e gli zuccheri nell'organismo fanno disastri. Insomma serve a poco avere un'ottima beta-ossidazione se poi diventiamo resistenti all'insulina. Esistono inoltre numerose discordanze tra alcuni studi sulle diete high-fat low-carb riguardo il miglioramento o il peggioramento della sensibilità insulinica e l’insorgenza o meno dell'insulino-

resistenza. Possibile? Chi ha ragione? Ad oggi una risposta sicura non c'è ma il fattore tempo/calorie sembrerebbe quello determinante. Nel breve periodo una carenza di zuccheri porta l'organismo ad essere affamato di glucidi. Pertanto le cellule muscolari si riempiono di GLUT-4 per captarlo al meglio. Nel medio-lungo periodo invece le cose si invertono. Una carenza glucidica costante porta l'organismo a preservare il glucosio ematico per evitare un'eccessiva gluconeogenesi. Di conseguenza le cellule diventano insulino-resistenti, migliorando il consumo di grassi ed utilizzando con parsimonia gli zuccheri. Il corpo risponde in modo intelligente alle condizioni in cui si trova. Conoscere come reagisce a seconda dello stato metabolico-biochimico ci permette così d'elaborare strategie vincenti per la composizione corporea. Ma questo lo vedremo meglio nel capito finale. Per concludere, la questione sui grassi rimane aperta. Ci sarà chi predilige diete low-carb e high-fat: l'abbinamento dieta ipocalorica con alti grassi ha un effetto lipolitico marcato soprattutto sul grasso ostinato inibendo i recettori alfa degli adipociti (questo è forse l’aspetto più interessante). Chi al contrario preferirà limitarne l'assunzione per ridurre l'apporto calorico e per sfruttare al meglio il metabolismo glucidico. Chi infine preferirà alternare tra le due strategie. Insomma un'unica soluzione non esiste, quello che sappiamo è che i grassi, come gli altri macronutrienti, non sono ne buoni ne cattivi, ne fanno ingrassare ne dimagrire. Noi consigliamo di partire assumendo una quota di 0,7-0,8 g/kg e di provare a variare gradualmente questo quantitativo per scoprire come ci si trova meglio.

I Grassi bruciano al fuoco dei carboidrati? Chiunque ha dato un esame di biochimica ha sentito questa frase: i grassi bruciano alfuoco dei carboidrati. Nel gergo sta ad indicare che non possiamo dimagrire (correttamente) se non assumiamo una giusta dose di glucidi. Ma sarà vero? Iniziamo a fare un paio di premesse. Il termine bruciare potrebbe essere fuorviante. Potremmo pensare che bruciare sta ad indicare distruggere, dimagrire. Non è così. In biochimica si intende la capacità d’estrarre energia dai macronutrienti, di ricavare ATP. Cosa l’organismo ne faccia poi di questo ATP è tutta un’altra questione. Altra premessa importante è capire come funziona a pieno regime il ciclo di Krebs. Più avanti lo approfondiremo meglio ma sappiate che i macronutrienti per essere utilizzati ed entrare dentro al ciclo devono essere scomposti. Il glucosio diventa piruvato ed in presenza d’ossigeno a seconda dell’abbondanza dei carboidrati assunti diventa ossalacetato o acetil-CoA. I trigliceridi vengono scissi in acidi grassi e glicerolo. Quest’ultimo entra a far parte della glicolisi e segue le vie del glucosio, gli acidi grassi invece formano acetil-CoA. Gli aminoacdici utilizzano il loro scheletro carbonioso e a seconda se sono glucogenetici o chetogenici seguono due vie differenti: ossalacetato o acetil-CoA. L’acetil-CoA per entrare nel ciclo di Krebs ha bisogno dell’ossalacetato che svolge la funzione di butta-dentro. Per questo motivo viene detto che i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati, perché l’acetil-CoA senza ossalacetato rallenta o blocca l’ossidazione lipidica nel ciclo. Tuttavia la pratica quotidiana ci dimostra che anche senza carboidrati possiamo dimagrire. Ma perché questo avviene? Perché nel fegato l’acetil-CoA in eccesso va incontro ad altri processi fisiologici e nella matrice mitocondriale degli epatociti forma acetoacetil-CoA il precursore dei corpo chetonici. Quest’ultimi possono essere ossidati da tutti i tessuti extraepatici dell’organismo che abbiano mitocondri, fornendo energia. Quindi è vero che i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati ma anche a quello dei corpi chetonici.

Per concludere vi anticipiamo quello che vedremo successivamente con la flessibilità metabolica. Il muscolo è il principale tessuto che metabolizza i grassi durante il riposo. Il suo consumo di glucosio-glicogeno quando non facciamo nessuna attività impegnativa è veramente minimo a patto di non avere l’insulino resistenza (inflessibilità metabolica). Il muscolo scheletrico umano può ossidare almeno sette aminoacidi: leucina, isoleucina, vaiina, glutammato, asparagina, aspartato e alanina. Quindi quest’ultimi, visto che la capacità glicolitica muscolare a riposo rimane bassa, forniscono gli intermedi per far funzionare il ciclo di Krebs. Pertanto nel muscolo i grassi bruciano anche (o prevalentemente) al fuoco degli aminoacidi e non solo dei carboidrati.

I Grassi saturi fanno male? La questione è ancora aperta, che pensiate SI o No la risposta è purtroppo ancora dipende. La prima cosa che dobbiamo evidenziare è che, a prescindere da quello che leggete, dovete verificare su di voi cosa accade. Mangiate tanti grassi saturi (oltre al 10% delle calorie) e di colpo li dimezzate. Il colesterolo HDL è peggiorato, rimasto uguale o migliorato? Se non vi fate un esame ematico prima e uno dopo 4-5 mesi non lo saprete mai, rimarrete della vostra convinzione senza mai verificarla. E molto facile osservare le variazioni ematiche dei trigliceridi, un po’ meno del colesterolo. Prendete in considerazione l'idea di farvi dei prelievi regolari (ogni 6-12 mesi) per monitorare i cambiamenti. Ma ritorniamo alla domanda iniziale: i grassi saturi sono cattivi? La risposta è ovviamente NI. Un loro eccesso porta inevitabilmente ad un aumento dei trigliceridi ematici per una semplice ragione fisica. Se buttate olio in un circuito di tubi questi si riempiono. Se oltre il 35% delle calorie (in una dieta normocalorica-ipercalorica) arrivano dai grassi (non solo quelli saturi), l’organismo si “intasa” ed i trigliceridi ematici salgono in modo rilevante. I lipidi funzionano da segnalatori genetici, un po’ come fanno gli ormoni con le cellule, un loro eccesso (>35%) segnala (per via di altre reazioni indirette) al nucleo cellulare di depotenziare la produzione di proteine disaccoppianti mitocondriali UCP-2 e 3. Tradotto, l’organismo inizia a dissipare meno energie in calore. Questo si traduce in una maggior resa delle energie introdotte e quindi in una maggior possibilità di ingrassare e di peggiorare i livelli ematici. È interessante sottolineare che il corpo si autoproduce gli acidi grassi saturi di cui ha bisogno, anche grazie ai carboidrati in eccesso. L'acido paimitico è il primo acido grasso prodotto dalla sintesi endogena di lipidi. Da esso vengono prodotti altri acidi grassi a catena più lunga. Possibile che il corpo si autoproduca grassi saturi se fanno tanto male? La natura ha sbagliato qualcosa? La risposta viene dalle popolazioni non industrializzate che assumono grossi quantitativi d'olio di palma. È stato riscontrato che non soffrono di malattie cardiovascolari e il lume dei vasi sanguigni non presenta tracce di colesterolo. Ma allora l'olio di palma che troviamo nei prodotti industriali non è dannoso? No, può esserlo. Ma la differenza non è tanto nell'olio ma negli oligoelementi che l'accompagnano. In natura l'assunzione di questo grasso viene accompagnata da vitamine e minerali che ne consento un corretto utilizzo da parte dell'organismo, prevenendo tutti i processi di perossidazione. La lavorazione industriale invece tende a degradare i micronutrienti, portando più facilmente a processi infiammatori. Ancora una volta la qualità di quello che si assume fa la differenza. Lo stesso olio, a seconda dei processi industriali a cui è sottoposto, interagisce in modo differente con l’organismo. In natura i grassi saturi sono ricchi di vitamine liposolubili che ne impediscono la degradazione e proteggono l’organismo dall’azione dei radicali liberi. Altro discorso va fatto se prendiamo in considerazione il paimisto (altro olio derivato dal frutto della palma). Precisato questo punto, una dieta che contenga la giusta dose di grassi saturi rimane una dieta sana. Mangiare grassi aiuta l'organismo a mantenere allenato il metabolismo lipidico, la beta-

ossidazione e la produzione ormonale (ormai dovreste saperlo). Senza grassi saturi e monoinsaturi i livelli di testosterone possono abbassarsi; se volete mantenere nel tempo una buona massa magra anche loro aiutano. I grassi saturi hanno anche un’azione diretta sul colesterolo. Ogni punto percentuale delle calorie da loro introdotte aumenta di 2,5 mg/dl le LDL nel sangue mentre una loro diminuzione fa calare le HDL; quindi, ancora una volta, la soluzione sta nel giusto quantitativo. I grassi saturi non sono tutti uguali. Senza entrare nel dettaglio, quelli dell'uovo hanno meno incidenza sul colesterolo (non ditelo in giro), quelli derivati dai latticini sono una via di mezzo e quelli della carne (d’allevamento) sono i più direttamente correlati con alti livelli di colesterolo cattivo. Tutto ciò cambia radicalmente se vivete in mezzo alla natura, con mucche che pascolano libere sui prati. Questo perché a cambiare radicalmente sarà anche il rapporto tra omega-3/grassi saturi/vitamine nella carne che mangiate. Infine qualche indicazione pratica. La percentuale di calorie dai lipidi può variare molto a seconda del tipo di dieta. Dal 15 al 35% sono parametri ancora accettabili, dipende molto se sono assunti in un contesto ipo-normo-ipercalorico. Generalmente per un atleta di sport misti e glicolitici si consiglia di rimanere tra 0,4-1,5 g/kg. Una persona di 80 kg dovrà così assumere 32-120 g al giorno. Più i grammi introdotti sono bassi più in percentuale i grassi saturi possono essere presenti, maggiore è il quantitativo lipidico più dovranno prevalere i monoinsaturi.

La perossidazione lipidica Su internet ci sono migliaia di articoli che descrivono gli effetti nefasti del glutine, delle proteine animali, delle caseine, ecc. Lasciamo questi spauracchi volentieri ad altri autori e ci concentriamo su quello che è uno dei veri problemi legati all’alimentazione e alla salute, comprovato da diverse review scientifiche: la perossidazione lipidica. Avete presente quando tutti raccomandano di mangiare più frutta e verdura? I motivi sono tanti, ma uno dei più importanti, se non il principale riguarda l’ossidazione dei lipidi nel nostro corpo. Il mitocondrio è una centrale energetica (che funziona grazie all’ossigeno) che ci consente di vivere, tuttavia per sfruttare l’ossigeno un prezzo lo dovevamo pagare. Questo prezzo è la formazione di radicali liberi (ROS) durante la fosforilazione ossidativa. Avete un amico che fa tanto sport di resistenza e pur essendo magro sembra più vecchio? Sforzi aerobici quotidiani protratti nel tempo aumentano di molto la formazione di anioni superossido. Per fortuna non tutto il male viene per nuocere, il nostro organismo ha imparato ad utilizzare a proprio favore anche i radicali liberi, i quali, a bassi livelli, vengono utilizzati contro i microrganismi patogeni. Una loro produzione controllata durante un’infiammazione aiuta a guarire prima, al contrario se i livelli salgono sono più gli effetti negativi. Così come spesso succede in fisiologia in medio stai virtus. Fate parte di quelli che assumono superdosi di vitamine? Ormai molti studi dimostrano che una sovrabbondanza di antiossidanti non aiuta la salute e neanche la performance, sarebbe troppo semplice e bello. Torniamo ai nostri lipidi. Il nostro organismo ha due strutture principali che vengono attaccate I dai ROS: le lipoproteine ematiche e le membrane cellulari. Attualmente c’è un grosso dibattito sul | colesterolo, alcuni dicono che alti valori non sono assolutamente predittivi di problemi cardiovascolari. La verità è tuttavia un’altra. Più lipoproteine abbiamo e più siti possono essere attaccati dai radicali liberi, i quali reagiscono con i grassi insaturi delle lipoproteine mutandone l’azione. Le HDL smettono di raccogliere il colesterolo “cattivo ”, le LDL si depositano e danno vita a I cellule schiumose. I lipidi perossidati inibiscono la produzione di ossido nitrico aumentando la I

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vasocostrizione e favorendo l’aggregazione piastrinica. Insomma chi ha rischi cardiovascolari dovrebbe preoccuparsi dei ROS e dei RNS (altri prodotti reattivi all’azoto). L’azione dei radicali liberi sulle membrane cellulari non è meno grave. Questi determinano un irrigidimento della superfìcie, alterazioni della permeabilità delle proteine di trasporto e variazioni delle dinamiche recettoriali. La cellula inizia a soffrire, andando incontro ad un precoce invecchiamento aumentando così di molto il rischio di insorgenza di patologie come cancro, sclerosi multipla, diabete, artrite reumatoide, Parkinson, Alzheimer, ecc. E scientificamente provato che più invecchiamo e più siamo sottoposti al rischio di malattie. Un eccesso di radicali liberi ci fa invecchiare precocemente a livello cellulare. Concludendo, aggiungiamo ulteriori spunti. I ROS non solo vengono prodotti tramite il metabolismo ossidativo, ma possono venir introdotti o potenziati anche con l’alimentazione. Avete presente quando un cibo diventa rancido? I suoi grassi sono andati incontro a perossidazione. Per fortuna il sapore sgradevole scoraggia dal mangiarlo. La cottura eccessiva degli alimenti (per esempio la carne cotta alla griglia), crea idrocarburi. Questi sono presenti in moltissimi cibi: quando mangiate la pizza e sul fondo vedete delle piccole bruciature sono altri idrocarburi, gli stessi dei gas di scarico e del fumo di sigaretta. Inutile ribadire la loro correlazione coi tumori. Tutti sappiamo di quanto facciano bene gli omega-3, in pochi sanno che sono proprio i grassi poiinsaturi i più soggetti a perossidazione. Per questo nell’alimentazione viene consigliato di non abusarne. I grassi vegetali ricchi d’omega-6 sono completamente da evitare (altro che olio Cuore che fa bene alla salute), come i grassi trans. La cottura aumenta l’esposizione dei grassi all’attacco dei ROS, solo i grassi saturi sono abbastanza resistenti. Per questo anche l’olio d’oliva andrebbe usato crudo e non per fare il soffritto (anche se comunque il suo punto di fumo è alto). Quando comprate integratori d’omega-3 assicuratevi che non siano estati esposti al caldo e che non siano diventati rancidi. Ogni volta che mangiate grassi poiinsaturi assumete anche vitamine, la C permette di proteggere i lipidi in ambienti acquosi, la A e la E invece esplicano la loro funzione protettrice a livello delle membrane biologiche. Esistono anche test medici ma con basse evidenze scientifiche (prelievo del sangue capillare) per chi fa molto sport o vive in ambienti altamente inquinati, che permettono di conoscere quanti radicali liberi sono presenti nel flusso ematico ed in che rapporti sono con gli antiossidanti. Sarebbero molto utili anche per verificare se stiamo seguendo una corretta alimentazione, se ci fossero più studi scientifici che ne avvalorano meglio la validità.

Il colesterolo, chi ha ragione? Quando la rivista Times pubblicò il 23 giugno 2014 in copertina l'immagine del burro con la scritta: “Non incolpate il grasso”, si riaccese l'ennesima polemica. Le malattie cardiovascolari e l'aterosclerosi, sono causate dai grassi saturi, dal colesterolo o dagli zuccheri in eccesso? Ormai un'idea il lettore dovrebbe essersela fatta, ma vediamo di aggiungere un ulteriore tassello. La struttura idrofobica degli acidi grassi impone all'organismo di creare soluzioni per trasportarli, così costruisce specifiche lipoproteine come traghettatori delle molecole lipiche. Queste hanno una struttura idrofila esterna che sta a contatto col sangue (acqua) ed una idrofobica interna che trattiene i lipidi. Un eccesso di lipoproteine a bassa densità aumenta il rischio di aterosclerosi anche perché aumenta il traffico nei vasi. Altro discorso riguarda finfiammazione delle pareti, elemento essenziale per l'aterosclerosi come abbiamo visto nel paragrafo sulla perossidazione lipidica. Per comprendere la questione colesterolo analizziamo due diete opposte quella Vegana e quella Paleo e vediamo che effetti producono a livello ematico. Partiamo dai vegani: assumono zero

grassi d’origine animale, zero colesterolo animale introdotto con la dieta, ma tantissimi carboidrati. Morale della favola? I parametri del ematici migliorano. Perché? 1. Il 30% del colesterolo dipende dal quantitativo esogeno (derivato dal cibo), non introducendolo stiamo già limitando un 30%. 2. Una dieta con un alto contenuto di fibre solubili crea, per fermentazione, acido propionico, che limita la sintesi endogena di colesterolo da parte del fegato. 3. Sempre le fibre solubili chelano i sali biliari. Buona parte del colesterolo prodotto dagli epatociti dovrà essere speso per ricrearli andando a ridurre quello ematico. 4. L’assunzione di steroli vegetali (il colesterolo delle piante) limita, in modo moderato, l’assimilazione del colesterolo. Insomma, è vero che gli zuccheri in eccesso sono una delle cause della trigliceridemia, ma bisogna sempre analizzare il contesto. Alti carbo, in assenza d’insulino-resistenza, senza tanti grassi e tante proteine formano trigliceridi o si ossidano producendo calore? Biochimica di base, se scegliete la prima opzione rileggete il capitolo sui carboidrati. All’opposto della dieta Vegana c’è quella Paleo. Qui il colesterolo ematico come si comporta? Uguale. Eppure mangiamo tanti grassi provenienti da fonti animali. Ma allora perché funziona? 1. Stesso discorso fatto per le fibre solubili introdotte con la dieta Vegana. 2. Con limitati zuccheri il metabolismo lipidico viene potenziato permettendo una migliore ossidazione d’acidi grassi e derivati. 3. La quota endogena (70%) si bilancia sulla quota esogena (30%), più colesterolo introducete meno ne producete a livello del fegato. 4. Le uova hanno tanto colesterolo ma la lecitina contenuta al suo interno (ricordatevi che è termosensibile) ne limita fortemente la biodisponibilità. 5. Tante vitamine liposolubili ed idrosolubili aiutano a combattere l’infiammazione della pareti del sistema cardiovascolare. Morale della favola: anche qui il colesterolo migliora. Alla fine come vedete, approcci differenti possono portare al medesimo risultato. Vorremo aggiungere un ulteriore e definitivo tassello; solitamente tutte le diete ipocaloriche portano ad una riduzione del colesterolo. Perché? La produzione di acidi grassi è limitata dalla produzione energetica mitocondriale, se l’AMPK (lo studieremo nei prossimi capitoli) è alto, nel ciclo di Krebs verrà prodotto poco acetil-CoA, un precursore degli acidi grassi fondamentali per sintetizzare il colesterolo endogeno. Per questo indipendentemente dalla strategia alimentare seguita, mediamente, una riduzione del peso comporta un miglioramento di tutti i parametri ematici. Le leggi biochimiche sono universali e sovrastano i nostri regimi alimentari. Tradotto, il nostro organismo è più intelligente della dieta che seguiamo. Aggiungiamo un ulteriore tassello molto illuminante: cosa succede alle persone che mangiano spesso nei fast food? Diventano dei ciccioni di merda con degli esami del sangue inguardabili (il film: Super size me, ne descrive bene gli effetti). Ma cosa succede a queste persone se al McDonald’s seguono una dieta ipocalorica? I parametri del sangue migliorano. Lo riscriviamo, i parametri del sangue migliorano (almeno nel breve termine). Questo vuol dire che, anche se le persone mangiano carboidrati raffinati, zuccheri, grassi idrogenati e proteine di bassissima qualità il colesterolo scende lo stesso. Ma com'è possibile? Una risposta univoca non esiste se non quella che il corpo umano è una macchina meravigliosa che si autoripara da se. E l'eccesso che intasa e blocca questo meccanismo. Da ora avete la risposta spendibile alla questione colesterolo.

Oggi è diventata una questione epidemiologica semplicemente perché la maggior parte della popolazione occidentale mangia alimenti industriali (ipercalorici) e non ha uno stile di vita sano. Focalizzarsi sui grassi o gli zuccheri è semplicemente non affrontare a fondo il problema. Morale della favola quando leggiamo gli articoli su internet chiediamoci sempre i perché, ma soprattutto quando verificare su di noi è semplice, come con i livello di colesterolo (HDL-LDL), facciamolo. Per una volta diventiamo padroni dei concetti e dei numeri e non schiavi delle mode e delle fazioni. Per concludere, il colesterolo alto può essere primario o secondario, genetico o dato dallo stile di vita. Un 15% di chi soffre di ipercolesterolemia ha una sovrapproduzione genetica indipendentemente da quello che mangia, ma parliamo sempre di una percentuale modesta della popolazione, perché molti di quelli che sostengono di avere familiarità all'ipercolesterolemia, sono in sovrappeso e/o mangiano più di quello che dovrebbero, come i loro parenti.

Ridurre il colesterolo ed i trigliceridi in eccesso In questo paragrafo introduciamo alcuni consigli pratici su come ridurre il colesterolo e i trigliceridi in eccesso. Dobbiamo fare due premesse. La prima riguarda chi già assume farmaci per gli esami del sangue sballati, in questo caso dovrebbe prima parlarne col proprio medico, visto che un’alimentazione adeguata potrebbe far scendere eccessivamente i valori. La seconda riguarda l’omeostasi del colesterolo che è finemente regolata dall’organismo e pertanto ci vogliono almeno 3-4 mesi prima d’iniziare a vedere gli effetti delle strategie che abbiamo intrapreso. Al contrario i trigliceridi ematici variano nel breve tempo e sono influenzati considerevolmente dal pasto fatto nelle 12 ore precedenti al prelievo. Pertanto prima di fare degli esami assicuratevi che sia passato qualche mese e che non abbiate esagerato col pasto serale. Come abbiamo già scritto l’alimentazione aggiunge poco ai valori del colesterolo, visto che l’influenza endogena prevale su quella esogena. Coi trigliceridi invece i margini son maggiori e la prima cosa da sistemare è bilanciare i vari tipi di grassi assunti. Il rapporto dev’essere correttamente tarato: 25% saturi (devono essere inferiori al 7% delle calorie assunte), 50% monoinsaturi, 25% poiinsaturi con un corretto bilanciamento tra omega6/omega-3 (6:1, 4:1). 11 loro contributo calorico giornaliero non deve eccedere il 30% in soggetti sedentari ed il 35% negli sportivi (anche se tuttavia può convenire abbassarli ulteriormente), l’importante è non sostituirli con carboidrati raffinati. Sul colesterolo le linee guida continuano a consigliare di limitare i cibi che ne sono troppo ricchi: in primis la carne e poi i derivati dei latticini ( grassi saturi), i dolci e le merendine confezionate (grassi trans), gli oli tropicali (di palma e di colza) e quelli di semi (i cui grassi si ossidano facilmente e sono pro-infiammatori). Sono da evitare gli zuccheri in eccesso e le farine raffinate che hanno un potere ipercolesterolemizzante molto maggiore perché aumentano la produzione endogena. Alimenti che hanno invece un’influenza positiva sui parametri ematici sono tutti quelli ricchi di fibre, soprattutto quella insolubile presente nell’avena e nell’orzo (betaglucani). La lecitina contenuta negli steroli vegetali (soia), ma anche nel tuorlo d’uovo (attenzione che è termosensibile), abbassa la biodisponibilità del colesterolo e influenza l’assorbimento dei sali biliari. Il riso rosso si è rivelato molto efficace nella lotta contro le lipoproteine ma ha mostrato di possedere gli stessi effetti collaterali delle statine, quindi non bisogna abusarne. Cacao amaro e frutti di bosco aiutano grazie ai flavonoidi a combattere i trigliceridi in eccesso. La frutta oleosa (20-30g di mandorle o noci) contiene L-arginina e grassi poiinsaturi che abbassano i trigliceridi ed il colesterolo. Effetto simile lo si ottiene con la cannella che limita la conversione dei glucidi in trigliceridi.

Un’integrazione aggiuntiva d’omega-3 (2-4 g) potrebbe aiutare ulteriormente, ma state attenti a non assumerli se avete il sistema immunitario depresso o una diatesi emorragica perché influenzano anche questi due parametri. In generale si consiglia di mangiare tanta frutta e verdura per la loro azione antiossidante che protegge le lipoproteine dall’attacco dei radicali liberi. E raccomandato seguire una dieta ipocalorica che aiuta a perdere i chili di troppo, limitare l’ingestione di sale, un corretto stile di vita, smettere di fumare e di bere in eccesso (l’alcol è una della cause principali deH’ipertrigliceridemia) sono gli ultimi consigli che ci vengono dati dalle linee guida. Tutte queste indicazioni, in soggetti sani, dovrebbero essere sufficienti per riportare il colesterolo e i trigliceridi in un range di salute.

L'acqua

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Le prime nozioni da sapere Quando si parla di alimentazione e performance tutti guardano al dito: quanti carboidrati e proteine devo mangiare? Cosa devo assumere prima e dopo l’allenamento? Quanti pasti devo fare? ecc. Peccato che la luna rimanga nascosta ai più. Come una falena siamo attratti dalla luce della lampada, incapaci di scorgere il mondo che ci circonda. L’acqua è il parametro fondamentale che influenza la performance, la salute e la composizione corporea. Volete essere sicuri di potervi allenare al 100%? Ottimizzate la vostra idratazione!

Noi siamo fatti d'acqua, i muscolo ne sono composti al 75%, il cervello al 76%, il sangue! all'82% ed i polmoni addirittura al 90%. Un atleta di 75 kg ne possiede 48 kg e se si allena I pesantemente (in sport aerobici), dovrà rimpiazzarla completamente in 6 giorni.

Quando nasciamo siamo iperidratati. Possiamo paragonare il bambino ad una prugna appena I colta e ricca d’acqua. Piccola parentesi, il neonato ne è ricco ma allo stesso tempo è molto grasso,] possibile? I grassi non sono forse idrofobici e possiedono al loro interno solo il 15-20% d’acqua?] Il lattante è ricco di grasso bruno che ha una conformazione differente rispetto a quello bianco, il I citoplasma di questo adipocita è molto idratato, motivo per cui possiede sia acqua che grasso] contemporaneamente. Più cresciamo e andiamo avanti con l’età e più ci disidratiamo, fino a diventare una prugna ] secca. Più siete ricchi d'acqua più siete giovani e maggiori scambi metabolici avvengono nelle ] vostre cellule. Allo stesso modo più siete magri e più siete idratati. Possiamo immaginare il nostro] metabolismo come un fiume, se è in secca i pesci all'interno avranno poco margine di movimentoI e rimarranno confinati nelle pozzanghere; al contrario se è rigoglioso scenderanno e risaliranno] lungo il suo letto senza problemi. Può succedere che il fiume straripi, allagando i campi circostanti] e disperdendo i pesci, ma di solito è un evento molto raro causato da qualche cataclisma] eccezionale (disfunzione e malattia). Per capirci, è facile essere disidratati, è molto difficile essere iperidratati e questo può avvenire! o perché abbiamo pochissima massa cellulare ed i liquidi sono confinati nel compartimento! extracellulare o perché abbiamo qualche grave malattia (o un insieme dei due fattori). Lai ritenzione idrica (tipica tragedia femminile) non è indice di troppa acqua accumulata, mal dell'incapacità del corpo di stoccarla correttamente. L’acqua nel nostro corpo (TBW) è suddivisa in un compartimento intracellulare (ICW 60%) e I in uno extracellulare (ECW 40%). Non solo è importante essere idratati sufficientemente, ma è! anche fondamentale mantenere il rapporto corretto tra ICW ed ECW (vedi paragrafo sulla I ritenzione idrica). Purtroppo, a meno che voi non abbiate una macchina bioimpedenziometrical

valida (se l’esame è effettuato in piedi su una bilancia ha una percentuale di errore enorme), risulta molto difficile valutare con correttezza l’acqua corporea.

Possiamo tuttavia farci alcune domande che possono chiarire il nostro stato. Di che colore è normalmente l’urina, soprattutto appena alzati?

Si sente l’esigenza di andare in bagno appena si beve?

/ Lo stimolo della sete è percepibile più volte durante il giorno? Queste semplici domande dovrebbero iniziare a farvi riflettere su come il vostro corpo sta gestendo l’acqua che introduce. Un altro test che potete fare è quello di tirarvi la pelle del dorso della mano per 5 secondi. Più tempo impiega a tornare normale e più l’idratazione non è ottimale (infatti mediamente più siete anziani e meno sarà elastica). L’acqua nel nostro organismo è influenzata da tantissimi fattori (ormoni, minerali, ecc.). Purtroppo non basta bere tanto per essere correttamente idratati, perché se l’acqua che introduciamo non viene poi adeguatamente trattenuta ogni volta che beviamo andremo facilmente in bagno. Per questo (vedi paragrafo successivo) è essenziale iniziare ad idratarsi anche attraverso il cibo che introduciamo. E importante ricordarsi che il senso della sete si allena, meno bevete e meno percepite il bisogno di farlo. Se quando mangiate sentite la necessità di un bel bicchiere d'acqua vuol dire che i cibi che assumete hanno un forte potere osmotico e richiamano acqua nell’apparato digerente. Al contrario, frutta, verdura, alimenti amidacei ben reidratati, carni al sangue e soprattutto un ridotto condimento, rilasciano acqua, dissetandoci e contribuendo, in positivo, al nostro bilancio idrico giornaliero.

Per concludere, ricordiamoci che l'acqua fresca viene assorbita più rapidamente dallo stomaco rispetto a quella tiepida o calda e la velocità d'assorbimento dipende anche dalla quantità, più beviamo e più sarà rapida l'assimilazione (ovviamente non dobbiamo esagerare, altrimenti grossi quantitativi introdotti finiranno direttamente nella vescica e non verranno trattenuti). Una dieta che preservi ed aumenti le scorte glucidiche potenzia l’idratazione (un grammo di glicogeno trattiene 2,5-2,7 g d'acqua), in più durante l'esercizio fìsico l'utilizzo del glicogeno libera 0,6 g d’acqua per ogni grammo consumato, questo è essenziale per disperdere il calore generato dall'attività sportiva. Nei prossimi paragrafi vedremo che uno dei modi per migliorare la composizione corporea è quello di regolare il quantitativo d’acqua, aumentandolo in modo molto graduale (assieme agli elettroliti). Questo ci permetterà di migliorare la ritenzione sottocutanea, di idratare e migliorare il tono muscolare ed infine di potenziare il metabolismo.

Idratazione e metabolismo L'acqua introdotta, oltre a stabilire il livello di idratazione cellulare (intra ed extra) determina anche cambiamenti ormonali. Un maggior volume sanguigno abbassa la pressione ematica in arterie sane ed elastiche. La velocità del sangue è in relazione col volume del liquido nei vasi, se il letto di un fiume si allarga l'acqua scorre lenta, se si restringe aumenta la corrente fino a formare delle rapide. Così più sangue abbiamo e meno i vasi si devono costringere (vasocostrizione).

Questo succede tuttavia quando i volumi sono nella norma ed il soggetto è giovane, sano e sportivo. In clinica la volemia rimane uno dei principali determinanti della pressione. Un ipoteso si tratta idratandolo, a meno che non vi sia una grave insufficienza cardiaca, un iperteso disidratandolo con diuretici.

Un aumento del volume ematico determina importanti variazioni ormonali, stimolando il rilascio del peptide natriuretico atriale (ANP) e inibendo l'angìotensina IL Questo permette a livello adipocitario (soprattutto nelle zone del grasso ostinato) di portare in superficie i recettori

beta-adrenergici, limitando quelli alfa-adrenergici. L'adipocita può così venire a contatto con un flusso maggiore di sangue, rilasciando così una maggior quantità di acidi grassi.

Ricordiamoci, inoltre, che il volume sanguigno aumenta sia bevendo molto, sia facendo attività aerobica (corsa-bici-nuoto). La maggior richiesta di sangue durante l'attività fìsica farà si che a poco a poco il corpo aumenti il suo volume sanguigno per sopportare meglio gli sforzi cardiovascolari. I medesimi effetti avvengono anche negli sport metabolici dove i carichi sollevati sono abbastanza gestibili e non causano una completa vasocostrizione muscolare. Anche l’allenamento al caldo, dopo alcune settimane, induce un aumento del volume ematico per sopperire ad una maggiore sudorazione. Se il volume sanguigno si modifica è importante variare in proporzione anche l’assunzione di sodio, potassio e magnesio (come vedremo nel paragrafo sulla gestione dell’acqua).

Hai sete? Mangia. Hai fame? Bevi Si chiamano soluzioni ipotoniche-ipertoniche, due miscele separate da una barriera semipermeabile, con lo stesso solvente ma con due concentrazioni differenti di soluto. Il solvente tenderà a passare la barriera finché le due concentrazioni di soluto non saranno uguali. Che cosa I vuol dire? Che se bevete l'acqua del mare, nel caso foste dispersi su una zattera in mezzo all'oceano, morite di sete lo stesso. La concentrazione di sale nel mare è molto maggiore rispetto a quella nelle nostre cellule e così queste ultime si disidrateranno ulteriormente, piuttosto che assorbire la nuova acqua la cederanno. Il senso della sete è dato dai centri ipotalamici che valutano il rapporto esistente nel sangue tra l'acqua ed i sali in esso disciolti. Quando l'acqua cala e il corpo si disidrata avvertiamo il bisogno I impellente di bere. Questo senso può essere alterato dalle abitudini: se siamo soliti bere poco il | corpo avvertirà meno una leggera mancanza di liquidi. Alimenti disidratati (troppo cotti, raffinati o I lavorati), a cui spesso aggiungiamo ulteriormente del sale o dello zucchero, tenderanno a I richiamare acqua nel tratto digerente; alimenti freschi naturali, al contrario, porteranno a I rilasciarla. Una mela è composta da oltre 1’85% d'acqua, un taglio magro di carne dal 78%, un'orata dal I 75%. Questo vuol dire che mentre li mangiate state assumendo un buon quantitativo di liquidi. Gli I animali di grossa taglia sono tutti erbivori perché bevono mentre mangiano (l’erba è composta dal I 95% d’acqua). Se fossero carnivori per idratarsi dovrebbero vivere costantemente intorno a fonti I d’acqua, perdendo così la loro autonomia nello spostarsi.

Una persona normale assume un litro d'acqua al giorno attraverso gli alimenti, chi mangia cibi I salutari idratati può arrivare anche oltre i due litri. La cottura altera questi rapporti: frutta, verdura, I carne, pesce, ecc., tendono a disidratarsi quando vengono cotti, mentre cereali e legumi si I reidratano. A secondo di come cucciamo gli alimenti, di come li condiamo, andiamo ad alterare la I loro azione idratante. Non è la stessa cosa condire o cuocere eccessivamente un alimento per poi I compensare con un bel bicchiere d'acqua. Si sente spesso dire che non bisogna bere durante i pasti I perché l'acqua introdotta diluisce gli acidi digestivi dello stomaco. In realtà, se abbiamo sete a B causa dei cibi introdotti, l'organismo da solo richiamerà acqua nell’apparato digerente, quindi tanto B vale bere (i succhi gastrici hanno bisogno d'acqua per funzionare bene). Alimenti freschi e naturali oltre all'acqua hanno anche un quantitativo idoneo di micronutrienti B e fibre e questo fa si che l'acqua assunta rimanga nell'organismo e non venga espulsa. B Un'idratazione ottimale non si raggiunge esclusivamente con il bere abbondantemente, ma anche B con l'assumere l'acqua e le giuste proporzioni di sodio, potassio, magnesio e fibre. La natura ha già B pensato da sola a bilanciare questi elementi nei cibi. Una dieta varia in cui la quantità di frutta e B verdura è elevata, in cui i cibi freschi sono poco cotti, dove si tende a condire il minimo, permette B d'idratarsi correttamente semplicemente mangiando durante i pasti e bevendo fuori da essi.

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Se quando vi sedete a tavola sentite il bisogno di bere è perché gli alimenti hanno un effetto ipertonico e non idratano correttamente. La regolazione della composizione corporea passa attraverso una corretta idratazione ed una corretta idratazione passa per una corretta alimentazione. Imparate ad osservare nei cibi il contenuto d'acqua ed il loro potere idratante, in questo modo avrete fatto un ulteriore passo verso una migliore massa magra ed una minore massa grassa. Otre al mangiare per bere, possiamo bere al posto di mangiare lontano o prima dei pasti. Molto spesso l'organismo somma al senso di fame quello della sete, così quando a metà mattinata o nel pomeriggio ci sale l'appetito, per toglierlo o attenuarlo è sufficiente bere un bel bicchiere d'acqua fresca. Per questo, sovente, per smorzare la fame è consigliato bere prima del pasto. Ricordiamoci sempre che l'organismo facilmente confonde il senso della sete con quello della fame e che la dilatazione dello stomaco, data anche dai liquidi, contribuisce a smorzare l’appetito.

Una persona attiva dovrebbe bere 1 mi d'acqua ogni caloria introdotta. Se segue un regime ipocalorico, fa attività fisica particolarmente intensa o sta al caldo può arrivare anche a 1,5 mi per caloria. Un altro calcolo per sapere quanta acqua dobbiamo assumere (senza tener conto dell'attività fisica) consiste nel dividere il proprio peso corporeo per 10 e moltiplicarlo per 0,28.

Un uomo di 80 kg dovrà assumere mediamente 80/10 x 0,28 = 2,24 I d'acqua al giorno. Nella prime due ore dopo il risveglio è consigliato bere almeno 300-500 mi d'acqua, questo perché durante la notte ci disidratiamo. E anche consigliato smettere di bere almeno due ore prima di andare a dormire per migliorare la qualità del sonno. Non preoccupatevi se per le prime settimane andate in bagno sovente perché vi mettete a bere appena svegli. Col tempo, l’organismo imparerà a trattenere l’acqua e a gestirla. Se introduciamo il caffè dobbiamo assumere 200-300 mi d'acqua in più per compensare la sua azione disidratante. E consigliato bere un bicchiere d'acqua ogni ora. Inizialmente non ne sentiremo l'esigenza ma anche lo stimolo della sete si allena. Ovviamente non bisogna nemmeno esagerare: un'eccessiva idratazione porta a diluire i sali contenuti nel sangue conducendo l'organismo verso l'iponatremia (una concentrazione troppo bassa di sodio nel plasma). Un'ora prima dell'attività fisica conviene assumere 500 mi. Per far si che non finisca nella vescica e non ostacoli la performance conviene bere a piccoli sorsi. Durante l'allenamento non aspettate di sentire lo stimolo della sete (vuol dire che è già presente una carenza), ma sorseggiate almeno ogni 15'.

Allenamento al caldo ed idratazione Tutti sappiamo che dobbiamo evitare di allenarci nelle ore più calde, che dobbiamo bere e reintegrare i liquidi e gli elettroliti, ma in quanti sanno che cosa avviene nel nostro organismo quando ci alleniamo con alte temperature? Alla fine, grazie a questo paragrafo, forse non cambierete le vostre sane abitudini ma capirete perché le seguite.

Non si può parlare di surriscaldamento corporeo senza coinvolgere il sangue. Il flusso ematico è l’elemento fondamentale sul quale si gioca la regolazione della nostra temperatura. Comprendendo come funziona il sangue, capirete cosa avviene nel nostro organismo quando ci alleniamo in ambienti caldi. Per caldi intendiamo quando la temperatura esterna supera i 26-28°.

Partiamo dalla base. La nostra temperatura interna deve stare intorno ai 37°. Durante l’esercizio buona parte dell’energia consumata si trasforma in calore, portando la temperatura corporea anche oltre i 40° e quella muscolare a 42°. Un innalzamento porta solo benefici alla prestazione fisica, lo dico sempre alle ragazze che si lamentano che sudo mentre trombo! Se

aumenta la temperatura muscolare gli scambi chimici e gassosi nei muscoli avvengono pi facilmente. Ma come accade tuttavia per tutte le cose, il troppo stroppia. Superati i 40° il corp perde la capacità di regolare il calore interno, il sistema nervoso viene ostacolato e iniziano i guai.

Ma chi regola la temperatura corporea? Nel nostro corpo abbiamo due termometri, un periferico e uno centrale. Quello periferico è costituito dai termocettori situati nella cute, quell centrale e dato dall’ipotalamo. Quest’ultimo legge la temperatura del sangue che lo irrora. 1 proprio l’ipotalamo il cervellone che decide come reagire ai cambiamenti di temperatura e lo f attraverso quattro effettori.

1. Ghiandole sudoripare. 2. Muscoli lisci intorno alle arterie, col caldo si vasodilatano le arterie della cute, se fa fredde si vasocostringono. 3. Muscoli scheletrici, contrazioni e brividi per aumentare la temperatura. 4. Ghiandole endocrine, se fa caldo e avviene una perdita di liquidi vengono stimolati quest due ormoni: aldosterone (evita la perdita di sodio e altri elettroliti), ADH (ormone antidiuretico, stimola i reni a trattenere acqua). Se invece fa freddo, tiroxina e catecolamine vengono aumentate. All’inizio abbiamo parlato del sangue, vediamo la sua funzione come regolatore. La temperatura interna quando si alza viene veicolata alla periferia tramite il flusso ematico, arrivate nella cute il passaggio di calore avviene attraverso quattro fenomeni. S

Conduzione: passaggio di calore attraverso il contatto molecolare diretto.

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Convenzione: trasferimento di calore attraverso il movimento di un gas o di un liquido. Avete presente quando state fermi grondando sudore, poi prendete la vostra rivista preferita e iniziate a sventolarla. Immediatamente l’aria in movimento vi raffredda. Ecco la convenzione è questa, l’aria stagna accanto a voi è più calda rispetto a quella lontana da altre fonti di calore.

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Irraggiamento: il corpo a riposo elimina il 60% del calore attraverso l’irraggiamento. La cute irradia calore sotto forma di raggi infrarossi, che poi in definitiva non sono altro che una tipologia di onda elettromagnetica.

C

Evaporazione: Durante l’esercizio fisico almeno 1’80% del calore viene disperso in questo modo. Si ha una perdita di liquidi impercettibile, dovuta alla respirazione polmonare e alla traspirazione cutanea. Un’altra, invece, percettibile data dalle gocce di sudore che colano dal mento o dalla punta del naso e finiscono direttamente sul partner sotto di voi. L’evaporazione d’un litro di sudore corrisponde alla dispersione di 580 kcal. Ma l’acqua che perdete da dove arriva? Dal plasma, cioè dalla parte liquida del sangue.

Dimensioni e composizione corporea Avete mai notato i ciccioni sudare? Le vostre dimensioni e quanto grasso avete influiscono sulla vostra capacità di disperdere calore. Più metri di pelle quadrata possedete e più la vostra superficie è in grado di dissipare calore, tuttavia è vero anche il contrario, se fa molto caldo più siete grossi e più lo sentite. Il grasso inoltre è un ottimo isolante, avete presente i trichechi come si proteggono dal freddo? Metteteli all’equatore. Battito cardiaco e dimagrimento Chi non è appassionato del settore (fitness e sport) pensa che più suda, più brucia calorie e consuma più grassi. In realtà è proprio l’opposto, più vi riscaldate e meno grassi bruciate. Andiamo a vedere perché.

Partiamo da lontano. Durante l’attività fisica il corpo ridistribuisce il flusso sanguigno. Gli organi interni vengono meno irrorati e i muscoli attivi convogliano la maggior parte del flusso ematico. E noto che più sangue arriva ad un muscolo e più ossigeno ha a disposizione ma non solo. Più anidride carbonica e ioni H+ vengono eliminati, più sostanze tampone arrivano. Insomma il sangue è il regolatore principale dell’equilibrio del pH muscolare. Senza, l’attività diventa anaerobica e il pH acido blocca la contrazione. L’altra parte coinvolta nella vasodilatazione, durante l’attività fisica, è la cute. Questo perché la dispersione di calore avviene grazie al plasma caldo che viene portato alla periferia per permettere il passaggio di calore aH’esterno. Così se l'organismo si riscalda vasodilata le arterie della cute le quali ricevono buona parte del flusso sanguigno. Durante l'attività fisica si crea così un conflitto tra la parte del corpo che svolge il lavoro meccanico e quella che disperde il calore. Il sangue deve essere ripartito tra entrambe (muscoli e cute) ed il lavoro non sarà più ottimale. La pressione sanguigna si abbassa, minor flusso ematico ritorna al cuore, il quale così si ritrova con una sola possibilità: aumentare i battiti cardiaci. Cosa c’entra tutto questo con la prestazione e il dimagrimento? Tutti sanno che a riposo abbiamo il massimo consumo di grassi in percentuale (vedi quoziente respiratorio). Quando l’attività fisica si fa impegnativa il corpo porta il consumo dai grassi ai carboidrati. A parità di lavoro in un ambiente caldo il cuore deve battere più forte, il quoziente respiratorio che determina la percentuale dei nutrienti utilizzata sale e il consumo si riversa a favore dei carboidrati. Abbiamo così una deplezione del glicogeno più veloce a parità di lavoro ed una percentuale di grammi di grasso ossidati in meno. Volete sudare di più? Sappiate che “dimagrite” di meno!

Apriamo anche una piccola parentesi sull’utilizzo di grassi durante l'attività fisica. Correre in fascia lipolitica per cercare di consumare più grassi possibile a discapito degli zuccheri è del tutto irrilevante per la composizione corporea. Vedremo in seguito (nel capitolo sull’attività fisica) che la quota dei lipidi bruciata durante la corsa è molto basso, quello che conta non è quanti grassi state consumando ma quante calorie. Quest'ultime andranno ad influenzare il bilancio calorico giornaliero-settimanale. Facciamo finta che due attività consumino le stesse calorie (1000 kcal), la prima consuma il 65% dai lipidi ed il 35% dai glucidi, la seconda inverte le %. Quale porta a dimagrire di più? Tutte e due, perché chi utilizzerà meno grassi durante l'attività ne brucerà di più a riposo. Il ripristino delle scorte glucidiche aumenterà il consumo energetico a riposo. Pertanto, a parità di calorie consumate, conviene sempre fare attività più intense, questo perché le risposte endocrine date daH'allenamento (rapporto catecolamine/cortisolo) sono migliori. Per concludere il paragrafo parliamo di disidratazione. Una perdita d'acqua del 3-4% comporta una abbassamento della performance del 20-30%. Abbiamo visto che il metodo principale con cui il corpo disperde calore è l’evaporazione. Questo ovviamente comporta una diminuzione del plasma nel sangue, provocando un aumento dell’ematocrito ovvero della parte corpuscolata (globuli rossi, bianchi, piastrine, ecc.). Meno il sangue è liquido, più aumenta la sua viscosità e più cresce la difficoltà nel circolare. Così non solo ci ritroviamo ad avere più richiesta di sangue (cute e muscoli), ma ne abbiamo anche meno perché evapora e diventa più viscoso. State tranquilli, i problemi non sono finiti. Nel sudore non troviamo solo acqua, ma anche elettroliti (principalmente sodio, cloro e potassio). Quando ci disidratiamo l’ormone aldosterone limita la perdita del sodio. Il problema è che se la perdita di liquidi è cospicua, l’azione dell’ormone non è sufficiente ed abbiamo comunque una diminuzione significativa dei sali. E chi è che si occupa della conduzione nervosa e della contrazione muscolare? Proprio sodio, potassio, magnesio e calcio. Così una perdita di questi ultimi rallenta il sistema nervoso e peggiora la contrazione muscolare, sino ad arrivare ai crampi. Molto spesso per alleviarli vengono consigliati sali minerali, vanno benissimo ma insieme a molta acqua.

Infine, prima di fornirvi gli ultimi consigli, ci preme ribadire questa cosa. Sappiamo che senza mangiare si campa anche un mese, ma senza bere si resiste pochi giorni. L’acqua nel nostro organismo è distribuita per il 60% nella parte intracellulare e per il 40% in quella extracellulare (di quest’ultima fa parte anche il plasma). Il sangue quindi non è altro che il filo conduttore con la vita. Alcune delle sue funzioni sono: J trasporto globuli rossi e sostanze nutritive alle cellule; trasporto di anidride carbonica e prodotti del metabolismo cellulare fuori dalla cellula; trasporto di ormoni;

regolazione del pH;

•S

regolazione della temperatura corporea;

S

regolazione della funzione cardiovascolare.

Più sangue avete e più queste funzioni vengono potenziate. L’allenamento che comporta una perdita di liquidi (sport aerobici) genera come risposta una supercompensazione ed un aumento del plasma. Anche allenarsi al caldo provoca la stessa reazione. Il problema, come in tutte le cose, è che ci vuole gradualità. Il corpo risponde molto meglio a nuovi stimoli sub-massimali piuttosto che a stimoli massimali. Pertanto d'estate, con l’arrivo delle alte temperature, allenatevi sempre, per le prime settimane, in modo leggero. Questo consentirà una compensazione dei liquidi corporei ed un miglior adattamento, senza stress per l’organismo.

La ritenzione idrica Inseriamo nel paragrafo sull'acqua un breve approfondimento sulla ritenzione idrica (RI), un problema esistenziale per milioni di donne. Come abbiamo già spiegato l'acqua nel nostro corpo è suddivisa principalmente in una componente intracellulare ed una extracellulare. La RI avviene quando abbiamo un eccesso di liquidi nella parta interstiziale (tra le cellule), quindi è principalmente un discorso non di eccesso d'acqua ma di una sua cattiva distribuzione. La pubblicità è stata ingannevole per molti anni facendoci credere che bastasse bere acqua con poco sodio per migliorare il problema. In realtà il sodio contenuto nell'acqua potabile è irrilevante come quantità e questo elemento è solo uno (e neanche il più importante) dei fattori che possono portare alla ritenzione idrica, un fattore che anzi, se gestito correttamente, aiuta a migliorarla. Purtroppo questo problema ha molteplici cause: ormonali, tissutali, ambientali, stagionali, alimentari. Vediamo brevemente cosa possiamo fare per migliorare.

Fattori non alimentari 1.

2.

3.

Aumentare la componente intracellulare. Una massa cellulare attiva porta a richiamare al suo interno i liquidi interstiziali. Con la stessa quantità d'acqua, soltanto collocata diversamente, la donna sembrerà tonica e magra e non flaccida. Ovviamente l'unico fattore per migliorare questa componente è l'allenamento contro resistenze, in cui la percentuale del sovraccarico sia superiore al 60% (quindi niente allenamenti coi pesetti ad altissime ripetizioni). Aumentare il ritorno venoso. Una circolazione problematica (sia venosa, che linfatica) può ostacolare il defluire dei liquidi dagli arti. Per questo è importante fare dei test di mobilità per verificare che i muscoli, ma soprattutto la fascia, non siano retratti. Meno il collagene stringerà i vostri tessuti e più facilmente il ritorno venoso verrà aiutato. Ma attenzione, anche essere eccessivamente lassi non va bene. La fascia deve mantenere la sua componente elastica, quindi stretching in catena si ma senza esagerare e solo se c'è una reale necessità. Potenziare la pompa muscolare. Oltre al cuore anche i muscoli contribuiscono al ritorno venoso, quando camminiamo e corriamo la contrazione dei muscoli degli arti inferiori aiutano il sangue a tornare al tronco. Per questo è importante dedicare una parte della giornata alla

camminata o ancora meglio alla corsa leggera (sull’erba). Evitate di stare sia troppo seduti ma anche troppo fermi in piedi. La bicicletta o il nuoto non hanno lo stesso effetto perché non stimolano la volta plantare. Solo se abbiamo la rollata del piede (tipica della camminata e della corsa) l'azione dei muscoli del polpaccio e della coscia si compierà correttamente (timing spazio-temporale). In quest'ottica può essere utile massaggiare la pianta del piede con una pallina rigida per migliorarne la propriocezione. 4. Liberare il diaframma. Il ritorno venoso trova il suo ultimo ostacolo a livello del diaframma respiratorio. Per questo può essere utile controllare che non sia bloccato in espirazione o in inspirazione, che la nostra respirazione segua il normale decorso diaframmatico-toracico e non avvenga esclusivamente in uno dei due settori (anche se la respirazione diaframmatica deve prevalere soprattutto a riposo). 5. Evitare d'allenarsi al caldo. Chi per dimagrire si copre, cerca di sudare il più possibile, creerà più danni che benefici. Il caldo vasodilata portando l'acqua ad accumularsi sempre di più nella parte extracellulare. L'effetto che si ottiene perdendo liquidi è così soltanto momentaneo ma rischia di peggiorare una volta reintrodotti. Piuttosto che sudare fate bagni e docce fredde.

Fattori alimentari

1. Controllo dell'insulina. Diversi ormoni intervengono nell'equilibrio idrosalino. L'insulina è forse però quello più facilmente influenzabile e che ha un'azione diretta sulla pressione sanguigna. Un suo eccesso porta a vasocostrizione soprattutto per quello che riguarda la microcircolazione. Migliorare il controllo dell'insulina aiuta a migliora la circolazione del corpo e la distribuzione dei liquidi. 2. Distribuire correttamente i carboidrati (a basso carico glicemico). L’assunzione adeguata di amidi a lento rilascio, nella giornata, aiuta ad aumentare il glicogeno muscolare. Più glicogeno abbiamo e più l’acqua sarà richiamata nei muscoli e non nella parte interstiziale. Quindi la maggior quota glucidica andrebbe assunta dopo l’allenamento per fare fronte ad depauperamento delle scorte muscolari. I giorni che non fate nessuna attività fìsica limitate i carboidrati mentre abbondate nei giorni del training. 3. Dieta ricca di potassio. Gli alimenti in natura hanno un bilancio salino opposto ai cibi industriali i quali invece hanno molto sodio e poco potassio. Invertire questa tendenza permette alle cellule di richiamare più acqua al loro interno, variando in positivo la distribuzione idrica. 4. Alimentazione più proteica. Le proteine aiutano la lotta contro la ritenzione idrica, chi non ne assume a sufficienza, meno di 0,9-1,2 g/kg, più facilmente ne soffrirà. Per questo aumentare leggermente la propria quota proteica, soprattutto con l'abbinamento coi pesi, facilita la soluzione del problema. 5. Dieta ricca di frutta e verdura. Assicurarsi d'assumere questi alimenti permette d'essere sicuri d'avere una buona dose di vitamina C. Se il suo rapporto con la A e la E è ottimale avremo una buona azione sulla formazione del collagene e sul buon funzionamento dei capillari sanguigni. In più frutta e verdura sono degli ottimi alimenti per combattere finfiammazione silente, altro elemento che può essere causa della RI. 6. Assicurarsi di bere correttamente. Molte donne vedendosi gonfie incominciano a bere meno acqua. Questo può essere un errore perché non aiuta a far capire all'organismo che il problema non è l'iperidratazione (fenomeno molto raro) ma un suo scorretto posizionamento. Bere poco non farà migliorare la RI, anzi. Aumentare gradualmente l'acqua assunta, soprattutto se viene da frutta e verdura, aiuta il corpo contro la RI. 7. Cibi diuretici. Soltanto dopo che abbiamo completato tutti i punti sopra esposti possiamo usare alcuni alimenti per aiutare il corpo a liberarsi dell'acqua che non riesce a far entrare dentro le cellule. Asparagi, finocchi, ananas, cavolfiori, caffè e tè verde (più altri alimenti che

potete cercare su internet) sono dei diuretici naturali che possono liberarvi dai liquidi eccesso.

La gestione dell'acqua In questo paragrafo cercheremo di capire come gestire l’acqua nel nostro corpo. Andando avanti nel libro vedremo che il nostro obiettivo sarà quello di abituare l’organismo ad assumere sempre più calorie senza ingrassare. Per fare questo assieme all’aumento dei glucidi introdurremo gradualmente anche più acqua (rispettando il rapporto 1 kcal/1,5-2 mi d’acqua). Questo permetterà sia di migliorare la salute e il metabolismo sia di ottenere ottimi benefici estetici riducendo il volume interstiziale sottocutaneo.

Geneticamente c’è chi è propenso ad accumulare più o meno acqua sotto la pelle, per esempio alcuni ceppi africani si distinguono per trattenerne pochissima, rendendo i loro fisici all’apparenza molto muscolosi e magri (anche il colore nero della pelle aiuta ad evidenziare i muscoli). Iniziamo col dire che l’omeostasi dell’acqua e dei relativi minerali è finemente regolata dall’organismo, quindi ci vogliono anche 2-3 mesi prima di intravedere i primi veri benefici. Sia a livello dell’apparato digerente, sia a livello renale, il corpo modifica la captazione e l’eliminazione degli ioni, a seconda della quantità di cui dispone. Per esempio, più sodio avete nel sangue meno ne assorbite e più ne espellete. Gli adattamenti che andremo a portare devono essere graduali, (come faremo poi anche con tutti i macronutrienti), non dovete di colpo iniziare a bere come cammelli. Partirete sempre da quanta acqua state introducendo e lentamente aumenterete ogni settimana di un bicchiere al giorno. L’abbinata di assumere maggiori glucidi aumentando l’acqua è vincente ma va combinata con l’allenamento, il quale svolge un ruolo chiave per indirizzarla correttamente. Per evitare di gonfiarsi come palloni bevete soprattutto al mattino appena svegli, prima, durante e dopo l’allenamento. Cercate di evitare di bere troppo quando sgarrate o con pasti molto glucidici. Così facendo, con l’aumento dell’insulina e la produzione di glicogeno, l’acqua vena richiamata dagli adipociti, dal liquido interstiziale e passerà al muscolo, creando paradossalmente I un aspetto migliore il giorno seguente all’abbuffata glucidica. Se non fate questo ed affogate i picchi insulinici bevendo molta acqua rischiate di vedervi invece appannare.

Acqua ed elettroliti La concentrazione tonica del sangue tende a non mutare, se diventa troppo ipotonica andiamo I subito in bagno, se diventa troppo ipertonica, abbiamo lo stimolo impellente del bere. Variazioni importanti che perdurano nel tempo creano gravi problemi all’organismo in tutte e due i casi. I Diversi minerali e proteine influenzano la capacità osmotica del sangue.

Il sodio Iniziamo col prendere in considerazione il sodio, lo ione extracellulare più presente nel flusso I ematico. Se beviamo troppa acqua e non assumiamo abbastanza sale (cloruro di sodio), il sangue I tende a diventare ipotonico e questo non va bene. Normalmente questa situazione nelle persone! comuni non si presenta, perché tendono a bere poco e all’opposto introducono troppo sale. I Tuttavia chi sta attento all’alimentazione non deve fare neanche l’errore contrario.

L’assunzione di sodio giornaliera raccomandata in Italia varia da 0,5 a 3 g (1 g di sodio sono I 2,5 g di sale da cucina). Mediamente si consiglia di mantetere un raporto di 1 g di sodio ogni I 700ml-l,41 d’acqua. Quando proviamo gradualmente ad aumentare l’introduzione d’acqua l’obiettivo è quello dii rispettare le quote di sale, conservando i giusti rapporti.

L’aldosterone è l’omone deputato a riassorbire questo ione a livello renale: quando assumiamo odio in eccesso questo si disattiva permettendone una maggiore eliminazione con le urine. Nella naggior parte della popolazione questo meccanismo funziona perfettamente ed anche se si assume roppo sale non si soffre d’ipertensione o ritenzione idrica. 1/3 dei soggetti ipertesi invece ha un neccanismo difettoso e deve fare attenzione all’apporto di sodio in relazione alla pressione anguigna. Il potassio Siccome ci piace complicarci la vita non possiamo aumentare sodio-acqua senza aumentare in apporto anche il potassio. Questo catione è al 95% presente dentro la cellula ed influenza lirettamente l’azione e l’omeostasi del sodio. Diversi studi correlano ad un aumento del potassio nella dieta, una diminuzione delle pressione arteriosa. Il rapporto sodio/potassio è molto importante e quando esso è maggiore di 1-2 abbiamo I massimo rischio d’ipertensione, che diminuisce fortemente per rapporti inferiori ad 1. In clinica si sono riscontrati casi di iperpotassemia in alcuni soggetti che avevano assunto dosi naggiori di 17,5 g/die. Se non sapete con che cibi assumerlo basta mangiare correttamente rerdura, legumi e frutta che ne sono ricchi, ma anche il pesce. Generalmente tutti gli alimenti laturali che si possono mangiare anche crudi hanno un rapporto sodio/potassio ottimale. Il magnesio

L’ultimo minerale da prendere in considerazione col carico d’acqua è il magnesio. La pompa ellulare sodio-potassio funziona solo con la presenza del magnesio, che funge da cofattore. Senza, I sodio tende ad accumularsi nella cellula. Se i due ioni aumentano, anche il magnesio deve salire. Normalmente si consiglia di assumere 400 mg per gli uomini e 320 mg per le donne (il magnesio arbonato è più biodisponibile). Questa quota deve aumentare in rapporto a tutti gli altri parametri, ùiche qui, gli alimenti naturali e freschi sono ricchi di magnesio.

L'alcol Le prime nozioni da sapere Anche se l’alcol non è un vero e proprio macronutriente viene di solito considerato tale, questo ter via del suo contributo calorico e delle sua influenza sulla composizione corporea. 1 g di alcol apporta 7 kcal

Per anni in nutrizione il suo contributo energetico è stato considerato “vuoto ”, il corpo non può tttenere nessun metabolita utile se non calorie. E una sostanza chetogenica (non si può ricavare 'lucosio dal suo metabolismo) e la sua formazione avviene tramite la fermentazione batterica del liruvato, con un processo biochimico simile a quello che avviene nell’uomo per la produzione del attato. L’alcol è una sostanza tossica che l’organismo deve immediatamente neutralizzare e lo fa sia lello stomaco (in maniera limitata), sia nel fegato tramite tre vie metaboliche. È una sostanza ipofila che riesce a passare facilmente la barriera emato-encefalica e pertanto acquista un potere >sico-attivo, potere che avvertiamo quando ci da alla testa ma che in realtà inizia molto prima basta già un bicchiere). Essendo tossico, se ingerito troppo rapidamente lo stomaco reagisce con o stimolo del vomito, mentre con un’assunzione lenta e costante l’organismo sviene per evitare di issumeme ancora.

Oltre al fegato (che può andare incontro a steatosi epatica e cirrosi epatica), i tessuti che può danneggiare sono la bocca, l’esofago, l’apparato gastroenterico ed il cervello. Un suo eccesso provoca anche malassorbimento delle vitamine Bl, B6, A e dell’acido folico. La quota giornaliera massima raccomandata nell’uomo si aggira intorno ai 24 g (2 drink), mentre nella donna è di 12 g (1 drink). Il gentil sesso ha una quota inferiore sia perché pesa meno, sia perché ha meno enzimi per neutralizzarlo. Nei ragazzi sotto i 16 anni l’enzima ADH (alcol deidrogenasi) funziona molto meno per cui sono più soggetti a danni. S 12 g d’alcol corrispondono a:

J

330 mi di birra (una lattina);

J

120 mi di vino rosso a 13° (un bicchiere pieno);

J

40 mi di un superalcolico a 37° (un bicchierino).

Per conoscere quanti grammi di alcol stiamo assumendo basta moltiplicare il quantitativo introdotto per la gradazione alcolica (in volume) per 0,8. Per esempio 100 mi di vino rosso a 13 corrispondono a:

100 X 0,13 x 0,8 = 10,5 g d'alcol

Bastano solo pochi giorni consecutivi in cui superiamo la quota raccomandata per iniziare ad accumulare grasso nel fegato e per aumentare l’insulino-resistenza, per cui se il nostro obiettivo è la composizione corporea meglio non esagerare. Questi effetti si verificano mediamente in chi supera i 14 drink a settimana, o in chi supera i 4 drink in un giorno. La quota va dimezzata se siete una donna quindi regolatevi di conseguenza. Al contrario, in chi rispetta le quote raccomandate (1-2 bicchieri di vino rosso al giorno), abbiamo un miglioramento della sensibilità insulinica data dal blocco della gluconeogenesi e dalla stimolazione dell’adiponectina. Tutti gli effetti di resistenza o sensibilità all’insulina sono mediati anche dall’apporto calorico giornaliero, quindi non pensate di migliorare il vostro assetto metabolico bevendo solo un bicchiere ma mangiando in eccesso. In chi beve il vino rosso è associata una maggior produzione del colesterolo HDL (+12%) ed una minor infiammazione sistemica. Questi effetti si esplicano per via dei polifenoli contenuti nel vino rosso, soprattutto del resveratrolo. Il vino bianco ne possiede una quota inferiore del 75% ed ha anche l’aggiunta di solfiti. Quest’ultimi sono naturalmente prodotti dalla fermentazione alcolica. Si trovano anche nel vino rosso, ma in quello bianco vengono aggiunti ulteriormente per preservarlo dall’ossidazione, vista la minor presenza di antiossidanti. Concludendo, va ricordato che nelle bevande assieme all’alcol troviamo anche gli zuccheri (per esempio una lattina di birra ha 12 g d’alcol e 13 g di zucchero). Per cui, al conteggio delle calorie e dei carboidrati assunti durante il giorno, va sommato anche questo quantitativo introdotto con le bevande alcoliche. Un abuso di alcol può portare all’anemia megaloblastica (data da una riduzione dell’assorbimento d’acido folico), ad un effetto mielotossico e ad ipertrigliceridemia.

I micronutrienti Le prime nozioni da sapere In questo libro non affronteremo l'argomento micronutrienti in modo approfondito in quanto ciò richiederebbe la stesura di un altro testo (cosa che non escludiamo) e lo studio di alcuni metabolismi che hanno un grado di complessità troppo elevato rispetto a questo manuale. Pertanto mostreremo solo gli aspetti generali più importanti. Abbiamo già accennato ad alcuni minerali, qui

prenderemo maggiormente in considerazione alcune vitamine. Per iniziare diciamo subito che l'integrazione multivitaminica non è necessaria se seguite una corretta alimentazione (basta verificare i valori ematici) almeno finché l'apporto energetico rimane ipercalorico e normocalorico. Quando assumiamo meno calorie di quelle di cui abbiamo bisogno più facilmente rischiamo di introdurre anche meno vitamine e minerali. Va tuttavia ricordato che diversi studi mostrano come ci sia una sostanziale differenza tra chi assume la corretta dose di micronutrienti mangiando frutta e verdura rispetto a chi si limita ad assumere la stessa quota con gli integratori. Pertanto è sempre meglio cercare di raggiungerla attraverso il cibo. E vero che i terreni su cui si coltiva sono sempre più poveri, che la conservazione, la luce e la cottura abbassano la biodisponibilità dei micronutrienti, tuttavia, salvo casi specifici, non servono megadosi di vitamine o minerali per stare bene e in forma. Le RDA e le LARN, ovvero le dosi giornaliere raccomandate (la prima è statunitense, la seconda italiana), sono state elaborate per rispondere alle esigenze della maggior parte degli individui. Indicano, tuttavia, non la quota ottimale ma solo quella che garantisce all'organismo di non avere carenze. Capire quando aumentarne l'assunzione aiuta ma attenzione a non cadere nell'errore che se un nutriente fa bene è sempre meglio introdurne di più.

Il principio della sinergia Per comprendere perché anche il troppo non va bene dobbiamo spiegare il concetto della sinergia. I miconutrienti non funzionano mai singolarmente ma cooperano o si antagonizzano tra loro. Quando aumentiamo la dose di un minerale o di una vitamina andiamo ad alterare un equilibrio dinamico, spesso eccedere con determinate sostanze crea delle carenze in altre; facciamo alcuni esempi. Lo zinco (spesso integrato dagli sportivi), se in eccesso può interferire con l'assorbimento del rame provocandone possibili carenze. Se assumiamo con la dieta o l'integrazione un buon quantitativo di ferro ma non abbastanza rame, perdiamo la nostra capacità metabolica di utilizzarlo. Il ferro in eccesso andrà ad esaurire (tramite processi ossidativi) la vitamine E a livello delle membrane cellulare. Lo stesso avviene con gli omega-3. Chi gli integra per migliorare il proprio assetto metabolico non preoccupandosi allo stesso tempo di assumere anche vitamina C ed E, può facilmente aumentare lo stress ossidativo dell'organismo, andando ad esaurire le vitamine liposolubili sulla membrana. Ogni microelemento è complementare ad un altro, vedi l'equilibrio degli ioni nei fluidi organici, esagerare non aiuta mai. Ormai molti studi dimostrano che chi assume megadosi di vitamine, anche se idrosolubili, non migliora la performance ma addirittura la peggiora. Se fate parte di quelli che pensano che “di più è meglio ” fate attenzione e monitoratevi accuratamente. Generalmente può valer la pena integrare quando: J seguiamo un regime ipocalorico; J beviamo alcol o fumiamo; / non riusciamo a seguire un regime alimentare corretto; / abbiamo superato i 40-50 anni; / facciamo sport ossidativi; viviamo in città inquinate.

Le vitamine Le vitamine sono micronutrienti essenziali per la vita e per il benessere. L'etimologia del nome (anima della vita), sta a indicare che senza ci ammaliamo e cala il nostro stato di salute. Si dividono in idrosolubili (la C e quelle del gruppo B) e liposolubili (A, D, E, K). Le prime esplicano la loro funzione immediatamente e se in eccesso vengono espulse con le urine, le

seconde invece si accumulano nell'organismo e possono durare mesi. Svolgono tutta una serie di funzioni molto importanti come quella di attivare alcune vie metaboliche e quella antiossidante, intervengono nella replicazione del DNA, potenziano il sistema immunitario, ecc. In questo capitolo vedremo solo alcune vitamine, mostrandone gli aspetti più interessanti. La Vitamina C

In natura non esiste carenza di vitamina C in quanto tutte le piante, ma anche gli animali (a parte rare specie) riescono ad autoprodursela essendo un derivato del D-glucosio (il glucosio degli animali). Specifici enzimi permettono la trasformazione del glucosio in vitamina C. L'uomo sapiens sapiens ha perso, in tempi recenti, questa capacità enzimatica, probabilmente perché questo micronutriente era presente in ogni alimento. Le vie metaboliche hanno un costo e si estinguono se possono essere by-passate tramite la dieta. Teoricamente la vitamina C dovrebbe essere contenuta nell'insalata, nel pesce, nella mucca, nei cerali, ecc. Ma allora perché non si ritrova in tutti questi alimenti? Perché è una molecola molto sensibile, viene distrutta dalla luce, dal calore, dal lavaggio (essendo idrosolubile) e dalla conservazione. Se cacciamo un cinghiale e lo mangiamo rapidamente possiamo beneficiarne, se lo frolliamo, Io portiamo in una cella frigorifera ed infine a tavola, della vitamina C non è rimasto niente. Così funziona anche per le piante. I broccoli o vengono mangiati molto rapidamente, dopo che sono stati colti, oppure perdono buona parte della vitamina. Oggi si è creata una carenza di vitamina che in natura non è mai esistita. Il prezzo con cui viene venduta in Italia è spropositato, se vi capita d'andare all'estero, noterete grosse differenze. Il suo costo di produzione è simile a quello del glucosio e viene comunemente utilizzata come additivo alimentare (acido ascorbico). Oggi per evitare l'ipovitaminosi vengono consigliati 75-90 mg di vitamina C, un quantitativo sufficiente per non ammalarsi di scorbuto ma non per stare in forma. Anche dosi 10-20 volte superiori non hanno mostrato di creare problemi nell'organismo se non allo stomaco in chi è predisposto. Probabilmente una quota che varia da 500-1000 mg è ottimale per la maggior parte delle persone. La vitamina C è un potente antiossidante idrosolubile, pertanto protegge dai danni ossidativi sia il torrente ematico che il citoplasma cellulare. Rigenera la vitamina E, limita l'azione dei metalli pesanti, smorza gli effetti collaterali di molti farmaci, diminuisce la presenza di nitrosammine (abbassando la probabilità di sviluppare il cancro), aiuta l'assorbimento del ferro, degrada l'istamina (abbassa finfiammazione), potenzia il sistema immunitario, partecipa alla costruzione del collagene (tessuto connettivo). Insomma svolge un ruolo di primaria importanza nel nostro organismo. Come abbiamo già scritto conviene sempre cercare di assumerla dai cibi freschi di stagione: kiwi, fragole, arance, pompeimi, broccoli, peperoni sono alimenti ricchi di vitamina C. La percentuale di vitamina che troviamo dipende da quando sono stati colti, da quanta luce hanno preso e quanto sono stati a contatto con l'acqua. Più l'assunzione della quota vitaminica viene fatta in un pasto solo e meno riusciamo ad assorbirne, più viene distribuita nel corso della giornata e, a parità di dose, maggiore è l’assorbimento. La vitamina A

Indovinate qual è stata la prima vitamina ad essere stata scoperta? La B1. La vitamina A viene spesso associata alla salute degli occhi e in effetti la sua assunzione assicura una buona vista. Le rodopsine sono proteine che si trovano principalmente nelle cellule a bastoncello della retina e che convertono i segnali luminosi in segnali elettrici. Una delle funzioni

della vitamina A è quella di ricaricarle quando si degradano. Intanto che leggete questo libro, quando lavorate al computer o state molte ore davanti al televisore affaticate la vostra vista e una corretta dose vitaminica vi permette di preservare la salute degli occhi. Un calo di vitamina A potrebbe evidenziarsi quando fate fatica a scorgere gli oggetti in penombra o quando rimanete di notte abbagliati da una improvvisa fonte di luce. La funzione della vitamina A non riguarda solo gli occhi ma l'intero organismo, regola l'espressione genetica della pelle (quando avete la cute secca sotto al gomito potrebbe essere un segno di carenza vitaminica), delle vie urinarie e della mucosa (apparato digerente). C'è una relazione diretta tra una carenza di vitamina A e una maggior probabilità di contrarre infezioni e raffreddori. Una sua somministrazione combatte le infezioni e potenzia la replicazione dei leucociti. È associata ad una diminuzione dei tumori all'apparato digerente e probabilmente anche della cute. La sua forma attiva è il retinolo che si trova nelle fonti animali, specialmente nelle frattaglie (fegato), mentre i muscoli ne sono carenti. Tuttavia per non incorrere in eccessi d'assorbimento la sua integrazione viene consigliata tramite carotenoidi vegetali, precursori della forma attiva molto più gestibili dall'organismo. Il loro grado di assorbimento va dal 5 al 50% e dipende da quanto ne abbiamo bisogno e dalla presenza di lipidi. Essendo liposolubili assorbiamo i carotenoidi, per esempio della carota, se li accompagniamo con un po' d'olio, altrimenti la maggior parte non rimane biodisponibile. Zucca, patata americana, broccoli, melone, papaya, mango, carota sono tra le fonti vegetali più ricche. Il quantitativo maggiore in un alimento si trova nel fegato di merluzzo (85000 unità). La RDA della vitamina A è di 5.000 UI al giorno, anche se la dose ottimale sembrerebbe arrivare fino a 8.000-10.000 UI. In ogni caso essendo liposolubile prima di decidere eventualmente di integrarla conviene sentire il parere del proprio medico e fare specifici esami. La vitamina D

19

La vitamina D viene prodotta a partire dal colesterolo (7-deidrocolestorolo o previtamina D3) e, grazie all’esposizione alla luce solare, viene convertita a livello della cute in vitamina D3 (colecalciferolo, la forma liposolubile “di deposito ”). In seguito l’idrossilazione in posizione 25 e 1 da parte del fegato e dei reni (quest’ultimo passaggio è indotto dall’azione del paratormone a livello del rene), porta alla formazione della molecola attiva dal punto di vista ormonale: 1,25 OH2 Vitamina D.

A cosa serve

Tradizionalmente, la vitamina D è associata al benessere dell’osso. Essa favorisce non solo l’assorbimento intestinale di calcio, ma modula inoltre l’omeostasi del tessuto osseo stesso. Livelli di vitamina D sierica bassi (indicativamente inferiori ai 30 ng/mL) determinano un’elevazione secondaria del paratormone avente lo scopo di mantenere l’omeostasi ematica del fosforo e del calcio (che per la fisiologia umana ha l’assoluta priorità). Ne risulta quindi un’aumentata mobilizzazione di calcio dall’osso e di conseguenza un’aumentata fragilità ossea. Questa serie di eventi è potenzialmente in grado, ad esempio, di aumentare in un atleta il rischio di fratture da stress. E tuttavia noto ormai da tempo che la vitamina D è fondamentale anche per molti altri aspetti.

19 del Dr Angelo Passio

Il tessuto muscolare L’1,25 0H2 VitD stimola la produzione di proteine muscolari. Non solo: essa è in grado d’attivare alcuni meccanismi essenziali per la contrazione muscolare. La carenza di vitamina D, soprattutto se protratta nel tempo, può portare a quadri di vera e propria disabilità. Il corrispettivo istologico è costituito da un’atrofia delle fibre muscolari di tipo II, con un aumento degli spazi tra le fibrille muscolari e la sostituzione del tessuto muscolare con cellule adipose e tessuto fibroso. Questi effetti sono tuttavia reversibili se la carenza viene corretta tramite un’adeguata supplementazione. Gli effetti extra-scheletrici

La presenza di recettori per la vitamina D è stata dimostrata in diversi altri tipi cellulari, tra cui i macrofagi, i cheratinociti ed a livello delle cellule di prostata, colon e mammella. Questi meccanismi sembrerebbero fortemente implicati nella regolazione della proliferazione cellulare, potenzialmente giocando un ruolo protettivo nei confronti di diverse patologie (psoriasi, neoplasie in particolare della prostata, colon, mammella). Altri effetti documentati riguardano la modulazione del sistema immunitario, con particolare riguardo nei confronti delle patologie autoimmuni, infettive, cardiovascolari, respiratorie, neurologiche, ecc. Una piccola chicca: probabilmente ricorderete come in passato i malati di TBC venissero portati nei cosiddetti “sanatori”, ovvero stabilimenti in località generalmente abbastanza isolate. Questo aveva un duplice scopo: sia isolare, per quanto possibile, gli infetti sia favorirne la guarigione attraverso l’esposizione “all’aria buona”. In realtà non era l’aria di montagna a determinare questo favorevole effetto, ma proprio l’aumentata esposizione alla luce solare (veniva aumentata la sintesi di vitamina D che a sua volta induceva la produzione da parte del sistema immunitario di una molecola, la catelicidina, estremamente efficace contro il M. Tubercolosis).

La Vitamina D e le performance atletiche Il collegamento tra vitamina D e performance è noto da molti decenni. La variabilità stagionale delle performance atletiche fu riportata sin dal 1950, con un picco di performance riportato durante l’estate inoltrata, ed un nadir delle stesse durante l’inverno. A quanto pare sarebbe inoltre dimostrabile una correlazione diretta tra le variazioni stagionali di performance atletica e le fluttuazioni stagionali di Vitamina D. Addirittura, l’esposizione ad UVB è stata a lungo ritenuta responsabile dell’aumento delle performance atletiche: già nel 1938 alcuni ricercatori russi rilevarono un aumento delle performance negli atleti irradiati (100 metri piani). Se siete interessati, possiamo fornire la bibliografia con tutta una serie di riferimenti a studi in merito.

Chi è potenzialmente carente di vitamina D?

In Italia la prevalenza di ipovitaminosi D è molto più pesante di quello che si potrebbe I immaginare. Uno studio risalente al 2003 ha dimostrato che quasi il 90% delle donne italiane sopra I i 70 anni mostra livelli bassissimi di vitamina D. Ma per quanto riguarda il giovane sano? Uno studio del 2009 ha messo in luce come circa il 65 I percentuale dei soggetti sani dimostri un’ipovitaminosi D. Particolarmente a rischio è inoltre chi I presenta una carnagione scura (e quindi più “resistente” all’attivazione da parte degli UVB). Dove troviamo la vitamina D?

I principali determinanti dei livelli di vitamina D sono due: l’esposizione solare e l’apporto I dietetico.

116

L’esposizione solare era una volta una necessità difficilmente eludibile. Oggi le nostre abitudini di vita sono cambiate, la vita all’aria aperta è più un aspetto voluttuario che una necessità, ed è gradito (o possibile) solo ad una parte della popolazione, anche giovane (pensate agli studenti rinchiusi in casa per le sessioni estive). Inoltre il sole che più attiva la vitamina D è quello che il dermatologo caldamente consiglia di evitare: a spanne quello dalle 12.00 alle 15.00 da maggio a settembre. Come se non bastasse, siamo perennemente ricoperti di crema protettiva (che d’estate, è ad esempio il mio personale salvavita). La vitamina D è inoltre presente nei cibi in limitate quantità. La maggiore fonte è costituita dai grassi animali contenuti soprattutto nei pesci grassi (ad esempio il salmone) e nei latticini. Negli USA e nel Nord Europa tale problema viene in parte ovviato dall’addizione di vitamina D nei prodotti lattiero-caseari. Ciò non avviene invece in Italia.

Interpretazione dei livelli ematici

Definizione

nmol/L

ng/ml

100

Intossicazione

>375

>150

Carenza

Come affrontare il problema? In realtà oggigiorno non c’è alcuna necessità di mangiare tonnellate di salmone o abbrustolirsi vivi sotto il sole cocente per garantirsi dei livelli ottimali di vitamina D. Sono disponibili dei supplementi, sotto ricetta medica, in grado di compensare eventuali carenze. Il rischio di tossicità dovuta al sovradosaggio è assolutamente remoto per il fatto che viene somministrato il pre-ormone liposolubile (ovvero la vitamina D3, forma non idrossilata), il quale viene immagazzinato nel tessuto adiposo ed attivato dall’organismo in base alle necessità dello stesso. Questi presidi sono in ogni caso da considerarsi dei farmaci, per cui il fai-da-te è sconsigliabile: non tutte le “vitamine D” sono uguali. Senza dilungarsi troppo in considerazioni farmacologiche, va sottolineato come in commercio si trovino varie forme: da una parte abbiamo i precursori ormonali (che trovano appunto indicazione nella supplementazione in soggetti ipovitaminosici), dall’altra troviamo il vero e proprio ormone attivo (1,25 OH2 vitamina D), il quale rappresenta invece un farmaco molto delicato, non indicato per la correzione dell’ipovitaminosi bensì per supplire ad un deficit di attivazione (ad esempio nel caso di un’insufficienza renale cronica), e da assumere sotto stretto monitoraggio medico. Attualmente, nei vari consensus intemazionali, non c’è un vero accordo sul razionale di una misurazione a tappeto dei livelli di 25 OH VitD nel sangue. Tuttavia si tratta di un dosaggio banale (e del costo di pochi euro). Un ragionevole punto di partenza potrebbe essere, ad esempio, chiedere al vostro medico di base di aggiungere anche il dosaggio della 25 OH Vitamina D al prossimo controllo degli ematochimici che vi capiterà di fare. Se doveste risultare carenti, egli saprà senz’altro indicarvi la strategia migliore per ottimizzarne i livelli (un intervento davvero banale). Supplementazione vitamina D Il fabbisogno di vitamina D varia da 1.500 Ul/die (adulti sani) a 2.300 Ul/die (anziani, con

basso apporto di calcio con la dieta). L’alimentazione in Italia fornisce in media circa 300 Ul/die, per cui quando l’esposizione solare è virtualmente assente debbono essere garantiti supplementi per 1.200-2.000 Ul/die. La vitamina E

La vitamina E è forse la più importante a livello della membrana cellulare. La protegge dagli stress ossidativi preservandone così la fluidità e l'up-take. Una sua deficienza si correla ad un aumento di rischio per il diabete e delle malattie metaboliche, oltre a tutta una serie di altre malattie come il Parkinson, malattie gastrointestinali, vene varicose, ecc. Coopera con la vitamina C ed A e sembrerebbe partecipare alla regolazione del colesterolo. Chi fuma, beve o è avanti con gli anni può esserne facilmente carente. Le raccomandazioni americane consigliano di assumerne dai 200 ai 400 UI al giorno. In generale con la dieta si introducono solo 20 UI. La luce, l'ossigeno ed il calore distruggono la vitamina E, il ferro ne abbassa l'assorbimento intestinale, se state integrando questo minerale la vitamine E deve essere assunta almeno ad una distanza di otto ore. Essendo liposolubile un suo eccesso può creare svariati problemi ma generalmente fino a 800 UI non si verificano controindicazioni. Gli alimenti vegetali densi di grassi sono quelli più ricchi (semi, frutti oleosi e oli vegetali in particolare quello di germe di grano) ma attenzione che non siano raffinati. Anche i grassi degli animali nutriti naturalmente la possiedono mentre quelli che provengono dagli allevamenti industriali ne sono carenti. Assieme alla vitamina C e alla D potrebbe essere uno dei pochi micronutrienti deficitari ma, prima di integrarla, consultatevi col vostro medico di fiducia.

Il ferro Il ferro negli sportivi riveste un ruolo particolarmente importante. Ecco alcune cose di base da sapere. Il ferro nel nostro corpo dipende totalmente dall’apporto alimentare. Il bilancio tra entrate ed uscite determina il suo corretto equilibrio. Come per tutti i micronutrienti soltanto una piccola parte ingerita viene assorbita (5-10% che corrispondono a 1-2 mg) la restante viene espulsa. In caso di carenza l’assorbimento aumenta anche ad un 20-30%. Mediamente con un’alimentazione bilanciata assumiamo 10-20 mg al giorno. Il bilancio del ferro è regolato dall’assorbimento intestinale, dai livelli di deposito e dalle esigenze dell’eritropoiesi (formazione di globuli rossi). Le cellule renali sono dotate di sensori all’ipossia (la riduzione d’ossigeno nel sangue), più cala e più producono l’eritropoietina (Epo), un ormone essenziale per la produzione e lo sviluppo dei globuli rossi. Alimenti ricchi di ferro sono: il fegato, i molluschi, il cioccolato-cacao amaro, le carni (anche quelle bianche) ed i legumi. Gli spinaci, contrariamente a quanto si pensa, non sono così ricchi di ferro, si classificano al centesimo posto dopo il caffè, l’avena, ecc. L’equivoco nasce agli inizi del secolo scorso quando, nelle tabelle nutrizionali, per errore venne aggiunto uno zero al loro quantitativo da 3 mg/lOOg a 30 mg/lOOg. Ancora oggi perdura questa credenza.

I fattori che ne impediscono l’assorbimento sono: J

alterazione del pH gastrico. Un pH più basico ne diminuisce l’assorbimento;

S

sostanze chelanti contenute nei farmaci o nei vegetali (cereali integrali e legumi);

•S

minerali antagonisti come lo zinco o il calcio se in eccesso;

J

carenza di vitamina B12 e folati;

J

conservanti alimentari (EDTA), tannati (tè), ossalati;

J

situazioni di malassorbimento (diarrea, motilità intestinale, sindromi da malassorbimento).

J

I fattori che ne aumentano l’assorbimento invece sono:

J

presenza di vitamina C ed acido citrico (agrumi);

J

aminoacidi e zuccheri di origine alimentare.

Il ferro viene assorbito molto più facilmente se è di origine animale ed è legato all’emoglobina o alla mioglobina (ferro eminico). Tuttavia è anche molto più reattivo, aumentando il rischio di danni ossidativi al sistema circolatorio e alle membrane cellulari. Per questo si consiglia sempre d’assumerlo assieme alla vitamina C (ribadiamo che ne aumenta anche l’assorbimento) e lontano dalla vitamina E (che verrebbe immediatamente ossidata). Una volta assorbito si lega nel sangue alla transferrma una proteina piasmatica in grado di trasportarlo e di cederlo ai tessuti, principalmente al fegato o al midollo osseo. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo ai prossimi capitoli relativi agli esami ematici.

Capitolo IV

Fisiologia e nutrizione L'organo adiposo L’anatomia classica definisce “organo” un insieme di tessuti che cooperano per un fine strategico funzionale. Se partiamo da questa definizione risulterà scorretto parlare di tessuto adiposo mentre sarà più giusto parlare di organo adiposo, in quanto al suo interno troviamo differenti tipi di cellule (adipocitarie bianche o brune e non adipocitarie adibite allo stroma, alla vascolarizzazione e all’innervazione) che lavorano e cooperano per fornire segnali immuno-neuroendocrini. L’organo adiposo è una vera e propria fabbrica molecolare che sintetizza e seceme una serie di mediatori (conosciuti comunemente come adipochine) in grado di modulare attraverso azioni endocrine, paracrine e autocrine, l’assunzione di cibo, l’omeostasi metabolica e cardiovascolare, il sistema riproduttivo e quello immunitario. Se vi siete persi con questi termini non preoccupatevi, li abbiamo scritti solo per far capire che non siamo degli scemi; ora semplifichiamo il tutto per spiegarvi, con un esempio, quello che abbiamo scritto finora: se non vi tira più bene il pistolino può essere coinvolto anche il tessuto adiposo (aumento degli estrogeni e resistenza alla leptina). L’unità funzionale dell’organo adiposo è Vadipocita, dove si accumula il tanto detestato grasso. Esistono due forme di adipocita (vedremo in seguito che possono essere anche tre): quello bruno e quello bianco. Il primo prende il nome dal suo colore scuro al microscopio. E formato da tante gocce lipidiche con all’interno moltissimi mitocondri ed enzimi. La sua funzione è quella di bruciare calorie (per disaccoppiamento) per creare calore (indovinate che tipo di grasso avete sotto le ascelle o dove sudate di più?), ed è presente in gran parte negli animali che vanno in letargo e nel neonato; crescendo viene via via sostituito da quello bianco, chiaro al microscopio. E interessante osservare che le popolazioni che vivono al freddo tendono meno a coprire i neonati, questo gli permette, oltre che di adattarsi meglio al clima, di preservare gli adipociti bruni. Ricordatevi di non vestire eccessivamente i vostri bambini: sono fatti per essere delle fornaci viventi. L’adipocita bianco invece ha una forma sferica e raggruppa il nucleo e gli altri organuli alla periferia mentre l’accumulo di grasso occupa la parte centrale. La sua funzione è principalmente

quella di contenere gli acidi grassi del nostro corpo. Ci interessa aprire una piccola parentesi sui mitocondri, poiché il corpo può bruciare i lipidi solo al loro interno. Avete presente le creme bruciagrassi? Controllate se tra gli ingredienti ci sono dei mitocondrio degli enzimi mitocondriali, altrimenti come possono agire sui nostri depositi adiposi? Ogni anno le grandi aziende estetiche vengono multate con milioni di euro per pubblicità ingannevole. Tuttavia ogni anno si ripresentano perché gli introiti ricoprono senza problemi le multe. Negli ultimi tempi si parla sempre di più di grasso beige (il terzo tipo), un adipocita intermedio in grado di trasformarsi da bianco a bruno a seconda delle necessità. Come le fibre muscolari intermedie possono shiftare il metabolismo a seconda deH’allenamento e delle richieste organiche, sembrerebbe che anche gli adipociti siano in grado (in piccola %) di modificarsi. Freddo ed esercizio fisico ad alta intensità sembrano poter aumentare l'attività metabolica della cellula grassa (bianca), portandola a comportarsi come quelle brune e a produrre calore. Il fenomeno è mediato da una miochina, V iris ina. Questo ormone, prodotto dalla contrazione muscolare intensa o dai brividi, manda il segnale di conversione alle cellule adipose. Per questo sembrerebbe che l'allenamento coi pesi aggiunga un ulteriore tassello utile a miglioramento della composizione corporea. Al momento non vi è ancora nessuna review che confermi al 100% quanto esposto, purtroppo basta andare nelle palestre per accorgersi che non è sufficiente fare pesi per trasformare il grasso da bianco in bruno. Probabilmente esisteranno dei meccanismi di feedback negativo che creeranno resistenza all'irisina, qualora se ne produca in continuazione. Quindi se l'allenamento contro resistenza è sicuramente utile, un suo eccesso non porta ad ulteriori vantaggi, ma anzi rischia di limitarli (ne parleremo meglio nel capitolo sull'attività fisica). L’adipocita non ha solo la funzione di accumulo dei trigliceridi, ma influenza anche differenti fattori: vasodilatazione/vasocrostrizione, metabolismo lipidico e del glucosio, risposta immunitaria, proteine leganti e della matrice extracellulare, infiammazione, produzione di citochine e fattori di crescita. Tra gli ormoni prodotti, quelli più famosi e rilevanti sulla composizione corporea sono adiponectina e leptina in virtù della loro azione sulla sensibilità insulinica ed il metabolismo. Nel capitolo degli ormoni approfondiremo questo argomento. L’organo adiposo serve anche per protegge il nostro corpo dalle intossicazioni, comportandosi come una spugna. Alle neomamme viene consigliato di non perdere il peso acquistato durante la gravidanza finché allattano, proprio perché le scorie accumulate nell’adipocita potrebbero arrivare al bambino. La perdita di grasso porta la cellula a svuotarsi liberando assieme ai trigliceridi anche altre sostanze accumulate. L’adipocita fùnge da controllore del dispendio calorico, attraverso il suo metabolismo glucidico decide se bruceremo più o meno calorie. È tanto difficile dimagrire proprio perché il nostro corpo aumenta la spesa energetica quando gli adipociti si riempiono e la abbassa quando si svuotano. Per fortuna però, mano a mano che la cellula grassa si rimpicciolisce, aumenta la produzione di ormoni dimagranti come l’adiponectina e diminuiscono le adipochine ingrassanti come la resistine Ognuno di noi dopo i dieci anni di vita crea un set point adipocitario. Il numero delle cellule grasse non varierà più nel corso della vita (o quasi) e le dimensioni tenderanno a rimanere stabili. Per questo siamo tendenzialmente magri o grassi. A prescindere dalle nostre strategie alimentari tenderemo sempre a tornare al nostro set point. Soltanto con la costanza possiamo modificarlo. Una volta che siamo dimagriti, prima che questo si ricalibri possono volerci anche 6-12 mesi (se il nuovo peso rimane stabile). Se siamo ingrassati solo nell’ultimo anno sarà facile stabilizzare il peso una volta che siamo dimagriti, ma se eravamo in sovrappeso da oltre vent’anni, prima che la situazione metabolica si risetti, possono passare anche un paio d’anni. E questa la ragione per cui mediamente tutte le diete

falliscono. Nei primi sei mesi le persone dimagriscono, mentre passati due anni la maggior parte dei soggetti ritorna al peso originario. I recettori cellulari degli adipociti sono i GLUT-4, gli stessi del miocita (muscolo). Si crea così un antagonismo tra questi due tessuti tra chi deve accumulare le sostanze. L’attività fisica aumenta i recettori muscolari e abbassa quelli adipocitari. Anche l’alimentazione può avere lo stesso effetto o l’opposto. Una dieta con un buon quantitativo proteico infatti aumenta i recettori del miocita, al contrario se è povera di proteine e ricca di glucidi potenzia i recettori delle cellule grasse. Quello che è importante conoscere è che i recettori adipocitari suscettibili all'attività adrenergica (adrenalina-noradrenalina) possono essere di due tipi: a e fi. I primi rispondono all'attività delle catecolamine imprigionando gli acidi grassi e risucchiandoli dal microcircolo, svolgendo un’ azione antilipolitica, i secondi invece reagiscono ad un aumento dell'attività adrenergica (che si instaura grazie all'attività fisica o al digiuno) aumentando la liberazione di acidi grassi e svolgendo quindi attività lipolitica. L'adipocita ha così recettori antagonisti che mediano le risposte e preservano l'omeostasi. È come una vasca da bagno (la sfera adipocitaria), da una parte ha un rubinetto che immette i grassi (recettori a), dall’altra ha un buco che butta fuori gli acidi grassi (recettori p). Quando fate attività ad alta intensità, esercizi con sovraccarichi o seguite il digiuno intermittente, state aumentando l’azione adrenergica degli ormoni e pertanto generalmente dimagrite, anche se spesso in una zona del corpo rimarrete con ancora un po’ di grasso. Ecco che avete individuato dove risiedono i vostri recettori a. Va ricordato che l'attività delle catecolamine è comunque prevalentemente lipolitica. Uno dei modi migliori per disinibire l'attività dei recettori a è quello di aumentare gli acidi grassi liberi del flusso ematico. Questo avviene dopo il digiuno (anche quello breve notturno) o introducendo lipidi e pochissimi carboidrati. Un pasto ‘‘grasso ”, in cui comunque il conteggio calorico è limitato (ipocalorico), può essere una buona strategia per la lotta al grasso ostinato. Quasi nessuno mangia poche calorie introducendo alimenti ricchi di lipidi (9 kcal/g), ma quando questo avviene funziona dannatamente bene. Gli acidi grassi a lunga catena bloccano la liposintesi, a patto che dopo la loro introduzione vengano captati dalle cellule muscolari per essere ossidati (questo avviene con un bilancio energetico negativo e tenendo bassa l’insulina) e non depositati dentro agli adipociti. Per finire, ricordiamo che un aumento degli acidi grassi nel sangue aumenta nel medio-lungo periodo anche l'insulino-resistenza. E così, purtroppo è una coperta corta: da una parte miglioriamo il rapporto recettoriale a-0, dall'altro abbassiamo i GLUT-4. Se decidete di mangiare pochi carboidrati, per combattere il grasso ostinato, non fatelo per molto tempo, ma ciclicizzate.

Dove si accumula il grasso Quando facciamo riferimento al grasso corporeo immaginiamo sempre quello legato all’estetica, ovvero quello che si deposita sulla pancia, sui fianchi o sulle cosce. In realtà esistono diversi distretti in cui il corpo può depositare i trigliceridi.

// grasso sottocutaneo

E quello che possiamo ‘‘vedere”, che si localizza sotto la pelle e che possiamo pinzare con la plicometria. Tutte le aziende che si occupano di estetica e dimagrimento sono concentrate su questo tipo di grasso, va tuttavia ricordato che, anche se visivamente sgradevole, non comporta particolari pericoli per la salute e proprio per questo l'organismo tenderà a liberarsene per ultimo.

Il grasso viscerale Si deposita nell'addome tra gli organi interni, non è visibile e dal momento che è ricco di recettori p viene mobilizzato molto facilmente. È il grasso pericoloso per la salute e un suo eccesso fa si che si crei facilmente resistenza all'insulina dato che gli adipociti viscerali continuano ad immettere nel circolo sanguigno acidi grassi, aumentando così i livelli di trigliceridi ematici. Quando si inizia a dimagrire è il primo deposito a venire coinvolto, motivo per cui spesso non si associa alla perdita iniziale di peso un miglior aspetto estetico. Non sempre l'aspetto esteriore rispecchia se stiamo realmente perdendo grasso oppure no. Il lipidi viscerali sono una riserva sostanziale, che può far sembrare inefficace la strategia alimentare che stiamo seguendo. Questo succede sia quando iniziamo a dimagrire, sia quando i risultati sembrano bloccarsi. Persone magre ma con la pancetta hanno ancora alti i fattori di rischio per la salute anche se il loro BMI indica che sono normopeso. E possibile accorgersene dai livelli ematici relativi al glucosio e ai trigliceridi che, pur rimanendo nella norma, non raggiungono mai livelli ottimali (vedi paragrafo relativo agli esami del sangue). Il grasso intramuscolare

Nei muscoli troviamo piccole riserve di grasso che, a seconda dell'attività svolta, aumentano o diminuiscono. I miociti anaerobici prediligono il glicogeno, mentre quelli aerobici i trigliceridi. Il grasso intramuscolare è il primo ad essere utilizzato durante l'attività fisica moderata e non ha nessuna rilevanza estetica. L'unica considerazione che possiamo fare è che, se si cerca di bruciare grasso con 30' di corsetta, probabilmente stiamo consumando principalmente questi trigliceridi. Anche questa localizzazione porta nei sedentari un aumento dell’insulino-resistenza. Cosa che invece non avviene negli atleti. Perché? Perché chi fa sport ha buoni mitocondri che utilizzano le riserve di grasso muscolare; al contrario il sedentario ha le scorte piene ma non ha le fornaci per smaltirle.

Il grasso essenziale Possediamo alcune riserve lipidiche che non devono essere intaccate e un loro depauperamento comporta gravi problemi per la salute. Mediamente le donne hanno un 8-12% del proprio peso sotto forma di grasso essenziale, gli uomini intorno al 3-5%. Questa differenza è dovuta a una riserva aggiuntiva che, nel gentil sesso, sarà utile durante la gravidanza. Le donne che si avvicinano o scendono sotto queste percentuali vanno incontro ad amenorrea (mancanza del ciclo mestruale), proprio per evitare di rimanere gravide in assenza di scorte sufficienti a sostenere il feto. Un’eccessiva magrezza spesso comporta problemi anche a carico dell’apparato scheletrico, questo per via di un abbassamento degli estrogeni che hanno una funzione protettrice sulle ossa. Ginoide-Androide

La conformazione tipica “a pera” delle donne (grasso sulle cosce e fianchi) e “a mela” degli uomini (grasso addominale) è data in primis da una distribuzione differente del grasso essenziale femminile, situato di solito appunto su cosce e fianchi. Questa localizzazione permette a questo deposito di essere l'ultimo a venir metabolizzato, essendo meno irrorato dalla microcircolazione. La deposizione del grasso è anche influenzata dagli ormoni (androgeni/estrogeni). Infatti, quando la donna entra in menopausa, assistiamo a una ridistribuzione del grasso simile a quella maschile, dovuta a un cambiamento dei livelli ormonali. Ultimamente va molto di moda l'idea che attraverso l'alimentazione si possano variare le concentrazioni ematiche di alcuni ormoni. Se fosse vero il cibo potrebbe essere utilizzato come sostituto dei farmaci. Purtroppo solo alcuni ormoni rispondo direttamente a quello che mangiamo

(insulina-cortisolo), mentre altri (testosterone-estrogeni) sono influenzati in modo poco rilevante, con variazioni che non sono sufficientemente elevate da portare ad una ricomposizione corporea (come alcune diete vogliono farci credere). Le modifiche croniche a carico degli ormoni gonadici sono sempre graduali, lente e spesso sono in negativo (eccessiva dieta ipocalorica). Ci sono uomini con differenti rapporti tra androgeni ed estrogeni che accumulano comunque il grasso sulla parte inferiore del corpo. Così i livelli ormonali rimangono solo uno dei fattori che influenza la localizzazione dei trigliceridi. Quello più importante riguarda i recettori a/|3 degli adipociti (come abbiamo precedentemente visto) ed è determinato geneticamente.

La resistenza al cambiamento dell'adipocita Negli ultimi anni è stata formulata una teoria interessante, basata sull’esperienza pratica. Sembrerebbe che la cellula adiposa tenda a mantenere la sua forma sferica quando dimagriamo e, piuttosto che “sgonfiarsi”, cerchi di preservarsi richiamando acqua al suo interno. Questa potrebbe essere una ragione al blocco estetico del dimagrimento. Inspiegabilmente, quando in un regime ipocalorico smettiamo di perdere peso, subito pensiamo al metabolismo che si è rallentato. In realtà, dopo qualche settimana, improvvisamente ci sgonfiamo ed abbiamo un aspetto decisamente migliore. L'adipocita ha ceduto la sua riserva d'acqua, mostrando il reale dimagrimento che avevamo ottenuto. Questo si evidenzia molto spesso nel giorno dello sgarro. Dopo aver mangiato schifezze ci aspetteremmo di essere più gonfi ed appannati. In realtà questo non sempre succede anzi, spesso possiamo osservare il contrario. Pasti che scatenano picchi insulinici (dopo che abbiamo per un buon periodo mantenuto un controllo glicemico) indirizzano il glucosio e l’acqua verso i muscoli (se ci siamo allenati correttamente), portando l’adipocita a liberarsi dell’eccesso idrico più facilmente e mostrandoci, paradossalmente, un aspetto estetico migliore il giorno successivo (muscoli gonfi e adipociti vuoti).

Rivalità adipocita-muscolo Nella vita si agisce principalmente per due emozioni: amore e odio. C'è chi è spinto dal primo (l'amore verso i figli ci porta a sobbarcarci lavori immani) e chi dal secondo (il desiderio di rivalsa e vendetta è un sentimento fortissimo). Per quanto mi riguarda io ho intrapreso la “carriera” di blogger per odio, stufo di leggere sempre le solite minchiate dell’ambiante del fitness. Ho deciso di contrappormi al pensiero comune e di provare a dare un mio punto di vista ( “io non voglio essere un prodotto della società, voglio che la società sia un mio prodotto ”). Chi nella vita non ha una propria nemesi perde uno stimolo fortissimo nel fare le cose. Anche il corpo umano ha, al suo interno, due forze contrapposte che influenzano la composizione corporea: adipocita (grasso) e miocita (muscolo). Questo è dato dal fatto che tutte e due le cellule utilizzano come recettori per il glucosio i GLUT-4. Quando molecole di zuccheri (in realtà solo il glucosio e non il fruttosio o galattosio) sono presenti nel sangue, muscoli e grasso si contendono chi potrà assorbirle. Un po' come se ci fosse solo una figa ad un ballo. A decidere chi prevarrà tra i due sono principalmente due fattori: il rapporto proteinecarboidrati nella dieta e l'esercizio fisico. Uno stile alimentare ricco di zuccheri e povero di proteine diminuisce i recettori del miocita a favore di quelli dell'adipocita. Al contrario se le proteine hanno un buon rapporto rispetto agli zuccheri avviene l'opposto. Questo è dato dal potere insulinogenico dei due macronutrienti. Una volta si credeva che solo gli zuccheri (aumentando la glicemia) alzassero l'insulina. Oggi sappiamo che questo ormone è

stimolato anche dalle proteine ed in minima parte dai grassi ma ancora di più da un mix di macronutrienti. Se l'insulina è alta ma i glucidi sono bassi o moderati, le cellule muscolari sono stimolate ad aumentare i loro recettori di membrana. Questo gli permette di captare i macronutrienti anche quando gli zuccheri non sono elevati. Se questo non avvenisse andremmo incontro ad una carenza nutrizionale ogni volta che non mangiamo glucidi. Quindi gli aminoacidi insulinogenici hanno un'azione positiva nel migliorare l’up-take del miocita, aumentandone l’influenza recettoriale. Mantenere sempre la quota di proteine intorno a 0,75 - 0,9 g/kg (come consigliano molte diete), soprattutto in regimi ipocalorici, non è una scelta vincente se vogliamo far prevalere i miociti sugli adipociti. I quantitativi che abbiamo consigliato durante i periodi di mantenimento (1,4 - 2 g/kg) aiutano sicuramente di più in questo senso. Va ricordato comunque che valori proteici sempre elevati (come quelli indicati), potrebbe nel lungo periodo sortire l’effetto opposto perdendo la spinta anabolica delle proteine. L’organismo risponde sempre con una resistenza ad un eccesso di una sostanza (vedi la resistenza all’insulinao alla leptina). Durante i periodi di definizione (dimagrimento) il rapporto tra carboidrati e proteine dovrebbe essere inferiore a 2/1 (almeno 1 g di proteine ogni 2 g di carboidrati). Durante i periodi di reset metabolico (ricostruzione del metabolismo) il rapporto invece può essere più distaccato ed arrivare anche oltre il 4/1(1 g di proteine ogni 4 g di carboidrati). Prendete questi numeri con le pinze, più siete tendendi al grasso e più la quota proteica non deve essere troppo sbilanciata rispetto ai glucidi.

L’altro fattore in grado di potenziare i miociti rispetto agli adipociti è l'esercizio fisico. 11 corpo, durante l’attività, aumenta il consumo di zuccheri intramuscolari Le fibre muscolari che lavorano continuano ad aver bisogno di nutrimento per poter andare avanti e così richiamano, grazie all’aumento dell’AMPK (lo studieremo in seguito), GLUT-4 sulla membrana., Durante l'attività fisica l'insulina è molto bassa ma il muscolo ha bisogno di far entrare continuamente energia dal flusso ematico. La risposta che si genera è una miglior sensibilità insulinica, funzionale alle richieste energetiche della cellula. Le attività glicolitiche (circuiti, sprint) sono quelle che influenzano maggiormente i recettori, perché alzano di più l’AMPK. Per aumentare la propria massa muscolare e per diminuire quella grassa è essenziale che sia il muscolo a venir nutrito e non il grasso. L‘attività fìsica in quest'ottica non ha la sola funzione di aumentare il dispendio energetico, ma anche quella di variare la destinazione del glucosio e degli acidi grassi (partizionamento calorico). A dispetto di ciò che erroneamente si crede, nuovo tessuto muscolare non aumenta in modo rilevante il metabolismo energetico, in quanto 1 kg di tessuto contrattile aumenta il metabolismo di 17-24 kcal, una quantità del tutto irrilevante sul fabbisogno calorico giornaliero. Tuttavia incrementando la massa contrattile, una percentuale maggiore di zuccheri e grassi sarà indirizzata a questo tessuto, piuttosto che a quello adiposo. La liposintesi, a parità di calorie, sarà così limitata, in quanto i macronutrienti saranno indirizzati più facilmente su una via ossidativa. La perdita di massa magra non è deleteria solo perché diminuisce il metabolismo, ma soprattutto perché cala la dissipazione in calore delle energie introdotte. Meno muscolo abbiamo e più si abbassa la capacità dell’organismo, aumentando così l’efficienza metabolica. Vedremo nel capitolo finale che prima di dimagrire bisogna assicurarsi di avere una buona massa magra, investendo diverse settimane per fare un reset metabolico.

Perché molti atleti muscolosi sono grassi? Continuamente veniamo bombardati dall'informazione che sostiene che aumentare il tessuto muscolare aiuti a dimagrire (vero). Ma allora perché molti atleti con masse muscolari importanti come i rugbisti, i powerlifters, gli strongmen, ecc., rimangono grassi? Qualcuno semplicemente risponderà perché mangiano più di quello che consumano. Questa è la causa principale, ma andiamo a scoprire tutte le ragioni. Sappiamo già che il tessuto muscolare (oltre il set point) non aumenta il metabolismo se non di poche calorie non rilevanti; al contrario migliora la capacità recettoriale cellulare e l'antagonismo muscolo-adipocita, come abbiamo appena visto. Tuttavia non tutte le fibre muscolari sono uguali, quelle resistenti (rosse per l'alto contenuto di mioglobina) hanno un'alta capacità ossidativa (tanti mitocondri), quelle bianche al contrario funzionano bene col metabolismo anaerobico (pochi mitocondri). Va ricordato che a riposo l'organismo umano funziona col sistema aerobico (tranne per quelle cellule prive degli organuli ossidativi) e questo vale anche per tutti i tipi di fibre. Le scorte lipidiche che si creano nelle fibre rosse (grassi intracellulari) non alterano la loro capacità di captare il glucosio; al contrario in quelle bianche (come avviene negli obesi o negli atleti di forza con bassa capacità ossidativa) creano insulino-resistenza. L'accumulo di grasso può essere quindi sia fisiologico, come risposta ad una maggior richiesta ossidativa data dallo sport, sia “patologico”, come un eccesso cronico di trigliceridi ematici. Se vi allenate coi pesi senza sviluppare una buona densità mitocondriale (grazie ad allenamenti su alte ripetizioni: >20) rischiate di diventare grossi, ma anche molto grassi (se non fate attenzione alla dieta). La resistina è un'adipochina che interferisce con la sensibilità insulinica e la produzione di AMPK (fattori strettamente correlati). La sua azione si esplica a livello del fegato e delle cellule muscolari. Atleti muscolosi ma grassi avranno miociti sguarniti di recettori GLUT-4 e alti livelli di resistina. Il tessuto muscolare rappresenterà così un debole vantaggio per la composizione corporea. Grassi intracellulari e resistina sono fattori determinanti per disattivare i recettori GLUT4. Vi è anche un altro fattore. Allenamenti con sovraccarichi in cui la fase eccentrica causa molti danni, apportano nel breve periodo resistenza all'insulina. Il sarcolemma (membrana cellulare della fibra muscolare) danneggiato perde momentaneamente la capacità di captare adeguatamente il glucosio. Per fortuna questo avviene con allenamenti estenuanti e pesanti. Al contrario una sessione coi sovraccarichi adeguata alla capacità di recupero sortisce l'effetto opposto. Per questo l'allenamento coi pesi viene in alcuni studi (la maggior parte) correlato con una miglior sensibilità insulinica, mentre in altri si evidenzia l'effetto opposto. Per concludere, la morale della favola qual è? 1. Anche se vi allenate con i sovraccarichi non potete eccedere con le calorie.

2. Attività anaerobica e aerobica (intensa) devono alternarsi per migliorare tutti i metabolismi. 3. Il riposo e lo scarico aiutano il dimagrimento. Molti atleti alternano allenamenti intensi ad altri leggeri per aiutare il recupero attraverso uno scarico attivo. Si è visto che un'attività leggera aiuta a riprendersi prima rispetto allo stare completamente fermi. 4. Il carico di lavoro va modulato sulle capacità dell'organismo. Persone che si allenano quotidianamente in modo intenso si stupiscono di non dimagrire. In realtà, un'attività fisica quotidiana abbassa l'ormone tiroideo T3 e se lo stimolo è cronicamente eccessivo peggiora l'affinità cellulare dei recettori col glucosio.

5.

Se vi allenate per la forza o con sforzi anaerobici glicolitici quale carburante sarà più indicato? Se i grassi alimentari sono eccessivi (>30% delle calorie) peggiorano Taffinità col glucosio mentre, al contrario, se sono limitati (15-25%) le fibre bianche migliorano la loro risposta ai glucidi.

L'allenamento abbassa il metabolismo Ok, ok, il titolo è provocatorio ma è anche vero, soprattutto alla luce di quanto abbiamo appena letto. L’allenamento può ridurre il metabolismo e tantissima gente lo sperimenta sulla propria pelle. Quante persone vedete tutti i giorni in palestra che si sforzano quotidianamente di dimagrire ma rimangono continuamente dei ciccioni? Cosa c’è che non va? Vediamo di capire prima perché l’allenamento alza il metabolismo, per poi comprendere perché può anche abbassarlo. Il nostro organismo risponde allo stress in molti modi. Generalmente cerca di “supercompensare” lo stimolo per essere pronto qualora si ripresenti. Dopo Tallenamento abbiamo diverse risposte. 1. Ormonali - Nel breve termine l’adrenalina aumenta l’attività del sistema simpatico (sistema lipolitico). Nel lungo termine gli ormoni tiroidei aumentano la produzione di calore e con esso il dispendio energetico. 2. Depauperamento delle riserve energetiche - Durante il recupero, il corpo si adopera per ripristinare creatinfosfato e glicogeno consumati durante l’attività e tutto questo ha un ulteriore costo energetico. 3. Riequilibrio idroelettrico - L’attività fisica influenza diversi ioni (calcio, potassio, sodio, ecc.). Il corpo ristabilisce il corretto equilibrio intra-extracellulare e ovviamente anche questa azione non è gratis. 4. Danneggiamento dei tessuti - Tessuto muscolare e connettivo sono sottoposti a stimoli e danni durante l’attività fisica. La loro riparazione ha un costo metabolico. Tutti questi fattori portano ad un aumento del dispendio energetico non solo durante l’attività fisica ma anche a riposo. Figo vero? Ma aspettate, purtroppo non abbiamo un happy end. Tra le principali leggi fisiologiche troviamo questa: “ad uno stesso stimolo, l’organismo risponde con adattamenti via via decrescenti”. Tradotto per noi cosa vuol dire? Che se siamo abituati ad allenarci l’organismo non si stressa/stimola più come le prime volte. Non so quante supposte vi siete presi nella vita, ma la prima non si scorda mai. La risposta neuro-endocrina data daU’allenamento nel tempo decresce. Il testosterone non si alza più in modo marcato facendo pesi, il GH non vi schizza alle stelle all’aumento dell’acido lattico, ecc. L’organismo ormai ha imparato e non crede più alla storia del lupo. Tra l’altro gli ormoni tiroidei ci giocano un brutto scherzo. Se Tallonamento calibrato correttamente li alza, un allenamento quotidiano li abbassa. La loro forma attiva, data dalla conversione da T4 in T3, cala e produciamo così meno calore e abbiamo un metabolismo “più basso ”. L’attività fisica rispetto al metabolismo segue una curva gaussiana (a cono rovesciato), poca ma anche troppa lo tengono basso. Lo sappiamo, è una fregatura! Vi avevamo avvisato. La soluzione? Approfitta della fantastica offerta per la liposuzione del centro estetico cinese. Oppure? V Non esagerare, 3-5 allenamenti a settimana sono più che sufficienti per chi lavora e ha una vita stressante. V

Diversifica l’attività. Se vai sempre a correre, cambia usando la bici o il vogatore, se fai sempre pesi inserisci qualche seduta di corsa lenta o HIIT.

V

La varietà uccide l’economia del gesto e tiene alta la risposta neuro-endocrina. Ricordatevi sempre che non siamo fatti per fare tanto di una cosa, ma poco di tante cose. Nel capitolo

sull’attività fisica vedremo che questo è uno dei “segreti” per una ricomposizione corporea.

I termometri energetici All'interno del nostro corpo sono situati dei termometri energetici che determinano, come un condizionatore, quando premere il pulsante del catabolismo o quello dell'anabolismo. Va ricordato che la via catabolica degrada molecole complesse (glicogeno, trigliceridi, proteine) per ricavare molecole semplici (glucosio, acidi grassi, glicerolo, aminoacidi) col fine di utilizzarle per produrre energia (in realtà i prodotti del catabolismo possono essere la base per la sintesi di nuove molecole: ciclo catabolismo/anabolismo). La via anabolica funziona esattamente all'opposto: sintetizza molecole complesse a partire da quelle semplici. Come due facce di una stessa medaglia non possono esistere l'una senza l'altra e spesso cooperano tra loro: il corpo scompone alcune molecole per ricavare i mattoni per costruirne altre. Segnali neuro-ormonali, meccanici e chimici, agiscono in contemporanea per indicare all'organismo quando percorrere una via rispetto ad un'altra. Nell'estrema semplificazione dell'argomento, possiamo individuare due zone deputate a livello organico a segnalare (termometri) i livelli energetici sistemici: il fegato e l'organo adiposo. Il primo attraverso i livelli di glicogeno segnala la disponibilità glucidica dell'organismo. Se le scorte sono piene (100-110 g in media), il corpo sa che nelle ore successive (16-24h) avrà abbastanza carburante per sostenere i tessuti glucosio-dipendenti (eritrociti, leuciti, testicoli, midollo osseo, ecc.) e glucosio-preferenziali (gran parte del cervello). Questo permette al sistema di spendere energie anche per altre attività oltre al mantenimento e quindi dar via all'anabolismo. Al contrario scorte limitate o esaurite (20-30 g), mettono in atto processi catabolici per creare energia. Un altro indicatore è dato dall'organo adiposo, il quale attraverso la leptina e l'adiponectina (più tutta una serie di altre adipochine meno famose) regola il metabolismo umano. Anche in questo caso gli adipociti che si riempiono o si svuotano segnalano la disponibilità energetica. Oltre a questo, in tutte le cellule, l'AMPK (che vedremo tra breve) rivela le variazioni tra ATPADP-AMP e degli ioni calcio (essenziali per la contrazione muscolare), segnalando quando interrompere la sintesi di glicogeno, quando aumentare i GLUT-4 nelle cellule (anche senza la presenza di insulina), quando fermare la lipolisi, la produzione di colesterolo e ancora altri effetti importanti. Viene così a crearsi un circuito di feedback negativi, che permettono all'organismo di regolare i processi a seconda del dispendio del momento e delle scorte energetiche. Dimagrire è tanto difficile perché i termometri del nostro corpo settano il dispendio energetico in base alle nostre scorte: più si esauriscono e minore sarà l'attività metabolica dell'organismo. Ma mentre il fegato ha una risposta a breve termine, che noi possiamo modulare con l’alimentazione, l’adipocita esplica la sua attività anche sul lungo periodo. Per questo a livello epatico possiamo alternare giorni low carb a giorni di high carb, perché quando ci saranno pochi zuccheri sarà maggiore la beta-ossidazione; a livello adipocitario invece possiamo alternare settimane di ipocalorica (4-8) a settimane di normocalorica (1-2). La ciclicizzazione permette così di attenuare gli effetti negativi del ridurre le scorte energetiche. Un ultimo punto importante riguarda la massa contrattile. Il muscolo funge da freno o acceleratore per la dispersione in calore delle energie introdotte. Normalmente quando dimagriamo sotto al nostro set point abbiamo un’erosione della massa magra. Questo porta l’organismo ad ottimizzare tutti i processi biochimici. Se invece con la diminuzione del grasso non abbiamo una perdita sostanziale del tessuto contrattile, il corpo si accorge meno del calo di peso.

Per questo motivo, come vedremo successivamente, è importante seguire una dieta graduale e scendere poco per volta. Pena ritrovarsi già dopo 3-4 settimane a stallare.

L'AMPK Vi avvisiamo che questo paragrafo è più impegnativo rispetto agli altri, preparatevi. Per comprendere cos’è l’AMPK dobbiamo almeno sapere che cos’è l’ATP (adenosina trifosfato). L’ATP è la moneta di scambio che l’organismo utilizza per compiere la maggior parte delle reazioni biochimiche. E come una banconota da 50 euro, se viene utilizzata si riduce ad ADP (adenosina difosfato), ovvero 20 euro; se a sua volta consumiamo ADP rimane l’AMP (adenosina monofosfato) 2 euro. L’idrolisi è la reazione tramite cui l’acqua ci scambia la moneta. Quando avete un costo energetico, avete una spesa di ATP (Vincenzo vi spiegherà meglio questi processi nel prossimo paragrafo). Se parliamo di termometri energetici non possiamo non citare l'AMPK. Si tratta di una chinasi, un enzima che trasferisce gruppi fosfato da una molecola ad alta energia a specifici substrati. La sua regolazione è data principalmente da tre fattori. 1. I livelli cellulari di ADP e AMP. Più l'ATP viene scisso in ADP e AMP, più l'AMPK cellulare aumenta. Tutte le sostanze che inibiscono la produzione energetica mitocondriale, come i polifenoli contenuti nel vino, aumentano la produzione di questa chinasi. 2. I livelli di ioni calcio. In relazione al consumo energetico, anche la contrazione muscolare influenza la produzione di AMPK. Più gli ioni calcio variano all'interno della cellula e più la chinasi viene prodotta (motivo per cui la sensibilità insulinica migliora durante l'attività fisica). 3. Il livello del glicogeno cellulare. Quando i glucidi vengono consumati, l'AMPK potenzia la sua azione cellulare. I suoi livelli sono dunque direttamente correlati con l'attività e le scorte energetiche cellulari. Un suo aumento determina una migrazione dei GLUT-4 dal citoplasma alla membrana, migliorando la sensibilità insulinica (repetita iuvant). La sua azione contribuisce anche a migliorare il consumo locale degli acidi grassi. Questo avviene grazie all’inibizione dell'enzima acetil-CoA decarbossilasi, precursore del malonil-CoA (enzimi che studieremo in seguito). Il malonil-CoA è prodotto da un eccesso di citrato ed ha, tra le sue funzioni, quella di bloccare la lipolisi andando ad interagire con la camitina e col trasporto degli acidi grassi aH'intemo del mitocondrio (quelli a lunga catena). Questo ha un senso perché quando il mitocondrio ha un eccesso energetico (facendo fuoriuscire il citrato) non immette nuovo carburante (acidi grassi) al suo interno. D’altronde se siete sazi anche voi smettete di mangiare. Se l’AMPK localmente ha un effetto lipolitico, a livello umorale ha un effetto antilipolitico andando a disinibire la lipasi sensibile agli ormoni (HSL), un enzima responsabile dell'idrolisi dei trigliceridi. Questa azione impedisce ai trigliceridi di fuoriuscire eccessivamente dalla cellula, aumentando il loro utilizzo in loco e soddisfando il fabbisogno energetico immediato. Generalmente possiamo affermare che l'AMPK ha un effetto catabolico, bloccando l'anabolismo delle molecole. Questo si osserva anche a livello della produzione di colesterolo e della sintesi proteica, processi che vengono ostacolati da questa chinasi. L’azione dell’AMPK a livello ipotalamico si riduce in seguito alla produzione degli ormoni dell'abbondanza (insulina e leptina) mentre viene stimolata da quelli della fame (grelina ed adiponectina). La sua funzione si esplica inibendo i centri della sazietà e spingendo la persona a mangiare di più, motivo per cui quando dimagriamo siamo assaliti da attacchi di fame.

r Bioenergetica della nutrizione e dell'esercizio fisico Vincenzo Tortora è il fondatore del sito VivereinForma20. Buona parte della cultura alimentare e del benessere, in Italia, passa anche da lui e pertanto ci tenevamo ad averlo dentro questo libro e a farvelo conoscere. Anche se la parola bioenergetica può spaventare, faremo qui delle considerazioni teoriche ma non troppo complesse, per capire come la comprensione di certi meccanismi possa essere molto utile nella realtà pratica. La bioenergetica è la branca della biochimica che studia le reazioni biologiche che portano a scambi di energia. Questo potrebbe non voler dire nulla, in realtà è un concetto di fondamentale importanza quando si parla di dieta, allenamento e la loro integrazione: noi restringiamo o aumentiamo calorie e nutrienti alimentari, eseguiamo un allenamento più o meno intenso, più o meno voluminoso, o combiniamo le cose, per cercare di generare un certo flusso di energia attraverso il nostro corpo e l’ambiente esterno. Andando più nel dettaglio, si arriva alla nozione che per la perdita di peso occorra introdurre meno energia di quella che si utilizza, per l’accumulo occorre introdurne di più. E doveroso far notare che parliamo di energia e non di calorie: le calorie sono semplicemente l’unità di misura dell’energia scambiata dal nostro corpo con l’ambiente esterno, e non prettamente il numero riportato sulle etichette nutrizionali o sul display del tapis roulant. Detto questo, comunque, è bene capire che dal punto di vista empirico (da osservatori esterni), effettivamente tutto ciò che basterebbe sapere per comprendere cosa sta accadendo al nostro corpo è conoscere intensità e direzione del flusso di energia attraverso di esso. In realtà, a chi è nell’ambito sport e fitness, piacerebbe anche conoscere il flusso di energia tra i diversi comparti organici: preferiremmo tutti che i carboidrati e le proteine assunti post allenamento nel tentativo di favorire il recupero, si “trasferiscano” dall’ambiente esterno al nostro corpo e successivamente (o contemporaneamente, non ha importanza ora) il nostro corpo li “trasferisca” nel tessuto muscolare piuttosto che in quello adiposo. In ogni caso, questi trasferimenti di energia determinano la risposta organica a ciò che al nostro corpo stiamo applicando: se aumenteremo o diminuiremo il nostro peso, il nostro grasso corporeo, o la nostra massa muscolare, dipende da come l’energia fluisce dal sistema ambiente al sistema corpo e, all’interno del sistema corpo, dal sistemo muscolo al sistema grasso. Per questo motivo la comprensione della bioenergetica, se non a livelli troppo dettagliati, che esulano dagli scopi di questo paragrafo e di questo libro, è di fondamentale importanza negli ambiti fitness e nutrizione.

Regolazione del metabolismo energetico Innanzitutto è bene comprendere che quando parliamo di energia, riferendoci alle reazioni che avvengono nel nostro organismo, dobbiamo necessariamente parlare di ATP: l’organismo non utilizza calorie o energia in forma astratta, ma avvalendosi della liberazione di energia determinata dalla rottura di particolari legami molecolari. L’ATP è un po’ come una sedia regolabile in altezza, tramite l’apposita levetta sul fianco: per abbassarla, noi ci sediamo sulla sedia, spingendola e facendogli accumulare energia. Quando vogliamo regolare l’altezza verso l’alto, ci basta alzarci dalla sedia e tirare la levetta: l’energia precedentemente accumulata viene dunque utilizzata per un lavoro meccanico che porta schienale e sedile verso l’alto. L’ATP è una sedia regolata all’altezza più bassa: ha accumulato energia sotto forma di legami fosfoanidridici che tengono insieme i fosfati presenti nella molecola (tre, da cui il nome: adenosina trifosfato). Quando ci alziamo dalla sedia ATP, e tiriamo a noi la levetta, essa rilascia un fosfato 20 www.vivereinforma.it .

(P) a terra e libera energia. In alto, la nostra “sedia metabolica” è ora ADP: adenosina difosfato, vale a dire un ATP a cui è stato sottratto un fosfato. 1 modi con cui possiamo spingere verso il basso la nostra nuova sedia metabolica, all’interno dell’organismo, sono molteplici e riguardano complesse interazioni che vedono coinvolte le sostanze costituenti i nutrienti che noi ingeriamo tramite l’alimentazione: glucosio, aminoacidi e acidi grassi, provenienti rispettivamente da carboidrati, proteine e grassi alimentari (o glucidi, protidi e lipidi). In particolare, nel quadro generale del metabolismo energetico, tre sono le vie metaboliche principalmente coinvolte in ciò che a noi interessa per capire cosa succede quando si parla di dieta, esercizio fisico, o una combinazione dei due: il ciclo di Krebs o degli acidi tricarbossilici, la glicolisi e la lipolisi. Una visione d'insieme Nonostante i libri di Biochimica dividano i capitoli relativi alle tre vie metaboliche, poiché qui non si vuole fare una trattazione biochimica ma cercare di dare dei risvolti pratici, meglio considerare il tutto dal punto di vista complessivo. Questo perché le tre vie e le reazioni che esse coinvolgono sono finemente regolate, sia a monte, sia tra loro: sono connesse in modo che alcuni sottoprodotti metabolici (metaboliti) di una via possano interagire con le altre vie per permetterne un rallentamento o una accelerazione. Questo è ovvio: ad esempio, non occorre insistere nell’ossidazione degli acidi grassi, se l’acetil-CoA generato da essa non ha modo di essere utilizzato per la produzione di substrati energetici, come può accadere in condizioni di surplus alimentare. Più che concentrarci sullo studio delle reazioni, comunque, è bene considerare il tutto in maniera intuitiva. Innanzitutto, è bene sottolineare che il “minimo comune denominatore” di glicolisi, beta-ossidazione e ciclo di Krebs è l’acetil-coenzimaA. Ampliando, l’acetil-CoA deriva dal catabolismo di lipidi e glucidi (più alcuni aminoacidi) ed entra nel ciclo di Krebs per dare vita a tutta quella serie di reazioni che formeranno coenzimi ridotti da destinare alla catena di trasporto degli elettroni, un particolare insieme di proteine deputate alla produzione di ATP. Sappiamo che “a monte” l’organismo tenta in qualche modo di mantenere l’omeostasi energetica, va da sé che “a valle” ci debba essere un perfetto bilanciamento di queste vie per fare in modo che questo accada. Il concetto in sé è molto semplice, la complessità nasce dal fatto che oltre ad una regolazione metabolica (fatta, cioè, tramite i metaboliti delle varie reazioni) vi è una regolazione sistemica organica (tramite ormoni, neurotrasmettitori, ecc.). Pur essendo tutto molto complesso, però, possiamo osservare questo microcosmo dal punto di vista di chi è in grado di “sentire” ciò che sta succedendo, sia dal punto di vista metabolico sia da quello ormonale, e conseguentemente “operare” in una delle vie suddette per attivarle o inibirle.

Il mastro regolatore e il metabolismo energetico Un “personaggio” del tipo appena descritto è sostanzialmente il “mastro regolatore” del metabolismo cellulare: nonostante la grande complessità dei fenomeni, alla fine dei giochi lui si basa sulla situazione metabolica e ormonale attuale e reagisce di conseguenza. Immaginatevi questo mastro regolatore all’intemo di una azienda: sarebbe lui a mettere in relazione il consiglio amministrativo con quanto sta succedendo nell’azienda. Ogni organo aziendale è composto da diversi membri, questi membri operano e cooperano per un certo fine e fanno riferimento al responsabile del loro gruppo per comunicargli come stanno andando le cose. I responsabili di ogni gruppo comunicano quindi a questo “mastro” tutto ciò che sta succedendo, in modo che lui abbia un quadro d’insieme anche se effettivamente non sa cosa

succede al singolo operaio. Il mastro, poi, sintetizza tutte le informazioni per il consiglio amministrativo, a cui indica cosa fare, se investire, trattenere, ecc. Il nostro mastro regolatore si comporta proprio così: gli arrivano segnali di ogni tipo, da ormoni, neurotrasmettitori, particolari proteine, altri componenti cellulari, che gli permettono di valutare l’andamento energetico organico e indicare alla cellula quali decisioni prendere (investire energia, trattenerla, ecc.). Questo mastro regolatore ha un nome lungo e complicato, proteina chinasi dipendente dall’adenosina monofosfato, o AMPK, che riflette proprio il modo con cui è regolato. L’attività della AMPK è modificata da una moltitudine di fattori, ormoni, citochine e sostanze. Per capire come il suo comportamento si modifica basti ricordare che praticamente qualsiasi stimolo “anabolico” (che sia l’ingresso di nutrienti, il legame di un ormone anabolico ai suoi recettori, l’attivazione di particolari vie messe in moto dal legame insulina-recettore insulinico) inibisce AMPK; qualsiasi stimolo catabolico, al contrario, la attiva. L’attivazione o inibizione di AMPK si riflette sul metabolismo cellulare proprio perché questa chinasi (sostanzialmente una proteina ad azione enzimatica che, interagendo con altre proteine enzimatiche, ne aumenta o diminuisce l’attività) agisce in tutte e tre le vie sopra descritte: glicolisi, lipolisi e ciclo di Krebs. AMPK e glicolisi 11 mastro regolatore del metabolismo cellulare attiva la glicolisi, o meglio aumenta la velocità con cui le reazioni avvengono, in primo luogo rendendo più glucosio disponibile alla cellula. Infatti, l’AMPK determina lo spostamento delle vescicole che contengono i trasportatori del glucosio (GLUT-4) e il loro inglobamento sulla membrana, aumentando così up-take. Il motivo per cui l’esercizio fisico aumenta la sensibilità delle cellule al glucosio (in maniera non insuline dipendente) è proprio questo: l’esercizio fisico stimola l’AMPK e questa fa aumentare i GLUT-4 sulla membrana cellulare, permettendo l’ingresso del glucosio. I famarci antidiabetici agiscono più o meno allo stesso modo, avendo AMPK tra i target d’azione. Anche la restrizione energetica, che sarebbe bene considerare come concetto funzionale (come una sostanza o un farmaco, che si chiama “restrizione energetica”), attiva AMPK, ma il meccanismo è un po’ diverso e più sistemico (fa aumentare sia la sensibilità muscolare che adipocitaria al glucosio). Per questi motivi chi mira a migliorare il proprio corpo non può semplicemente limitarsi a ridurre la quota energetica assunta con la dieta: questo non determinerebbe un buon “partizionamento ” dei nutrienti, e quindi si rischierebbe di perdere peso in generale, sia di grasso che di muscolo (con l’ovvio risultato che conosciamo tutti: effetto “palloncino sgonfio ”).

AMPK e lipolisi

Nei confronti della lipolisi, l’AMPK ha un effetto differente a seconda della cellula nella quale esercita la sua azione: in una cellula muscolare, l’AMPK determina una maggiore velocità ed efficienza di trasporto degli acidi grassi aH’interno del mitocondrio per essere ossidati; in una cellula adiposa, l’attivazione della nostra chinasi regolatrice compete con altre proteine regolatrici per modificare l’attività di alcuni enzimi lipolitici, come la HSL; al contempo aumenta l’espressione dei geni che poi serviranno all’adipocita per implementare fenomeni lipolitici. Anche per quanto riguarda la lipolisi, si può osservare quanto la modifica della composizione corporea non possa prescindere dal connubio di corretta alimentazione e corretto allenamento: ad esempio, la sola attivazione di AMPK nell’adipocita, indotta dalla restrizione energetica, non necessariamente indica che verranno rilasciati acidi grassi.

Nei confronti della HSL, infatti, l’AMPK ha azione inibitoria (e quindi antilipolitica); ma sulla stessa lipasi agiscono anche altre proteine chinasi la cui attivazione dipende da ormoni quali adrenalina e noradrenalina, prodotti molto più in risposta all’esercizio fisico che alla dieta.

AMPK e ciclo di Krebs In maniera semplice, gli effetti dell’AMPK sul ciclo di Krebs avvengono sostanzialmente su due fronti: uno, a monte, è quello dell’acetil-CoA (riduzione della sua formazione a partire dal piruvato, o riduzione della formazione di citrato per condensazione dell’acetil-CoA con l’ossalacetato), l’altro, a valle, è quello della formazione di ATP tramite l’accoppiamento della catena di trasporto degli elettroni con la fosforilazione ossidativa (quando l’ATP cellulare è basso, la velocità della fosforilazione ossidativa aumenta, per incrementare la produzione dell’ATP stesso). Ad ogni modo, se considerassimo che glicolisi e lipolisi avvengono antecedentemente (in termini di tempo) al ciclo di Krebs, ci accorgeremmo che l’AMPK mette “preventivamente" (nell’ipotesi che le vie si attivino in maniera asincrona) a disposizione acetil-CoA per il ciclo di Krebs, e al tempo stesso attua una sorta di misura preventiva nei confronti dell’ossalacetato. L’ossalacetato è il composto per così dire “permissivo”, nei confronti dell’acetil-CoA, per l’ingresso di quest’ultimo nel ciclo di Krebs. Non viene messo completamente e preventivamente a disposizione perché, in caso di carenza di glucosio, nel fegato deve essere sottratto alla via del ciclo di Krebs in modo che l’acetil- CoA si accumuli a formare corpi chetonici (che serviranno al Sistema Nervoso Centrale come substrato energetico alternativo), in periferia deve essere deviato verso la produzione di glucosio. Un ampliamento molto dettagliato è stato fornito da Lorenzo Pansini nell’articolo “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati. Giusto? ” sul blog di Vivere in forma.

Mettere tutto insieme Dopo questa overview generale e molto sintetica di complesse vie metaboliche e loro interazioni, descriviamo perché è importante sapere come viene regolato il metabolismo. Prendendo in esame l’AMPK, essa fa parte di una sorta di rete “sensore” dell’energia cellulare: questa rete rileva i cambiamenti e i flussi dell’energia cellulare, e in base a questi modifica determinate proteine per produrre una risposta adeguata. E bene non perdere di vista il fatto che i meccanismi in gioco sono estremamente complessi, ma anche che funzionano, in un senso e nell’altro, tramite “programmazioni” scritte nei nostri geni e che, per quanto riguarda fitness, dieta e salute, hanno uno scopo fondamentale: mantenere l’omeostasi. Va da sé che un calo dell’energia cellulare, provocato da qualsiasi stimolo (la restrizione calorica, l’esercizio o un farmaco), induca l’organismo a voler ristabilire l’omeostasi per ripristinare il rapporto ATP/ADP. L’abbassamento di questo rapporto induce l’attivazione di AMPK, che mette in moto le vie metaboliche suddette in modo da produrre nuovo ATP; successivamente, il nuovo e ripristinato rapporto viene rilevato dalla rete di cui fa parte AMPK per diminuire la velocità dei processi tramite cui l’ATP è rigenerato. L’importanza di tutto questo risiede nel fatto che tramite la dieta, tramite l’esercizio fisico o tramite la corretta combinazione dei due, noi cerchiamo di determinare: S direzione della modifica della rete cellulare (induzione o inibizione); V

entità della modifica (quanto potentemente attivare o inibire la rete);

V

tempistiche (quanto deve durare l’induzione e quanto l’inibizione);

V

tessuto coinvolto (in quale tessuto, muscolare o adiposo, determinare questa modifica).

Una “fase di massa” si traduce in un abbassamento dell’AMPK con conseguente riduzione di tutti i processi catabolici, cioè quelli che portano alla produzione di ATP a partire da substrati complessi. Una “fase di definizione” si traduce in cambiamenti contrari. Un deficit energetico enorme attiva molto più potentemente AMPK (e tutta la rete di cui fa parte) rispetto a un deficit meno drastico, determinando quindi tassi di perdita tissutale (sia muscolare che adiposa) più cospicui, tanto più grandi quanto più queste restrizione viene applicata. Un tipo di allenamento piuttosto che un altro determinerà in quale tessuto, prioritariamente, sarà più o meno attivo AMPK rispetto all’altro (in caso di fitness e dieta, ci rivolgiamo in particolare al tessuto muscolare e a quello adiposo). Tutti fenomeni conosciuti, scontati, quasi banali, di cui però è bene conoscere ciò che ne è alla base, in modo da agire in maniera opportuna quando la situazione lo richiede, piuttosto che applicare protocolli inadeguati al contesto in cui si sta lavorando. Una cronica attivazione del nostro mastro regolatore potrebbe comportare un catabolismo eccessivo, che però si potrebbe compensare tramite il giusto allenamento. Una cronica inattivazione della stessa proteina regolatrice, potrebbe determinare una crescita tissutale esagerata e al limite incontrollata (tumore); una attivazione muscolare e inattivazione adipocitaria potrebbe provocare un effetto “anti-ricomposizione corporea”, con perdita di muscolo e acquisto di grasso corporeo e conseguente compromissione di vari aspetti del metabolismo. Sono questi i motivi per cui la comprensione della teoria alla base di questi fenomeni sia di fondamentale importanza per lo sportivo che voglia modificare la sua composizione corporea e la performance al meglio, e il professionista del settore, in modo che scelga di volta in volta i protocolli più adeguati per i propri clienti.

Evoluzione ed alimentazione Negli ultimi anni si è parlato tantissimo di cibo ed evoluzione, argomento spinto anche dall'introduzione della Paleo dieta nel dibattito alimentare. Ma quanto conta la nostra storia biologica con quello che mangiamo? Quanto influisce sulla nostra composizione corporea e sulla nostra salute? Iniziamo subito col dire che la nostra alimentazione “storica” risale solo a 10.000-12.000 anni fa, quando l'uomo da raccoglitore cacciatore diventa stanziale. 10.000 anni, nell'evoluzione della nostra specie, sono un battito di ciglia. L'uomo non ha la capacità di immaginare periodi di tempi troppo lunghi; arriviamo a visualizzare fino ad un secolo. Oltre questo lasso di tempo, mano a mano che i periodi si allungano, questi vengono percepiti erroneamente sempre più brevi. Vi riporto in seguito un trafiletto del mio libro universitario sull’evoluzione, per darvi un’idea: “Se immaginiamo il tempo dell'evoluzione umana come ad un anno solare, si può dire che l'Europa ha visto i suoi primi abitanti i primi di giugno, il primo novembre l'uomo impara l'uso del fuoco, il giorno di Natale si ha il regalo dell'Homo sapiens, la specie a cui apparteniamo. Quattro giorni dopo (29 dicembre) inventa l'arte ed il culto della morte, il 31 dicembre alle 10 del mattino finisce l'epoca basata sulla caccia ed il raccolto ed inizia quella dell'agricoltura. Sessanta secondi prima dello scoccare del nuovo anno si entra nell'era moderna. ” Quindi quando sosteniamo che la nostra alimentazione è quella mediterranea, ci riferiamo ad una goccia in un oceano, ad un lasso di tempo della nostra storia estremamente ristretto. Quanto conta l'evoluzione, quanto conta la genetica, quanto conta l'ambiente? Sono queste le domande che si pone chi si studia l'evoluzione alimentare. Ad oggi una risposta certa non esiste.

Tuttavia, utilizzando un po' di Logica, un po' di Storia e di Biochimica possiamo provare a trarre qualche conclusione. Iniziamo partendo con l'origine della vita sulla terra, dai nostri antenati più lontani, dalle prime forme di vita apparse sul nostro pianeta: i batteri. Contrariamente a quanto immaginiamo la vita si creò senza la dipendenza dall'ossigeno. Anche se tutti gli animali oggi sono aerobici e senza ossigeno non possono vivere, i primi batteri erano anaerobici (esistono ancora oggi). Cellule prive di mitocondri sfruttavano solo il metabolismo anaerobico. Ormai dovremmo sapere che l'unico posto dove l'organismo può ossidare i grassi sono i mitocondri, diventa così chiaro che l'unica molecola energetica anaerobica era il glucosio, la fonte della vita. Ancora oggi tutti gli animali carnivori ricavano il glucosio trasformando una parte delle proteine che mangiano (senza questo zucchero non esisterebbe la vita sulla terra, almeno come la immaginiamo noi). Perché proprio il glucosio? È una bella domanda. Forse perché è la molecola da cui è più facile estrarre energia. La vita, il sistema solare, le leggi universali, ragionano e funzionano seguendo principi di risparmio e semplicità. Per ottenere qualcosa si cerca sempre la via più semplice e meno dispendiosa. Diventiamo esseri aerobici nel momento in cui le nostre cellule anaerobiche iniziano a cooperare con altri batteri aerobici: i mitocondri. Questi organuli hanno un DNA indipendente dal nostro. Infatti i nostri figli non lo ereditano da entrambi i genitori ma esclusivamente dal DNA mitocondriale della madre. Questi batteri si sono fusi con le nostre cellule per trovare riparo ed in cambio ci hanno fornito energia aerobica. Si parla infatti della teoria dell’origine endosimbiontica dei mitocondri. Tornando all'evoluzione, facciamo un bel salto in avanti ed arriviamo ai nostri primi antenati, le scimmie antropomorfe. Questi primati erano fruttariani, cioè si nutrivano principalmente con la frutta che cresceva sugli alberi (è interessante sapere che anche le scimmie fruttariane mangiano sporadicamente formiche ed insetti che trovano sui tronchi). I nostri predecessori passavano la loro esistenza al sicuro sulle piante senza dover mettere piede per terra. Rivoluzioni climatiche abbatterono la vegetazione e li costrinsero a scendere, si passò da scimmie a primati bipedi che cercavano tra i cespugli bacche e sotto al terreno tuberi per nutrirsi. Ma il cibo scarseggiava, così si trovò rapidamente un'altra fonte di nutrimento per evitare l’estinzione. Introduciamo prima un concetto essenziale per comprendere quello che sta per succedere. In natura non esistono animali esclusivamente erbivori o carnivori come li intendiamo noi. La mucca ed il cavallo che brucano l'erba mangiano inavvertitamente anche vermi e piccoli insetti rimasti sui fili; così come il leone ed il gatto, che si nutrono prevalentemente delle interiora degli animali predati, mangiano anche l'erba ed i vegetali contenuti nello stomaco delle loro vittime. Così l'alimentazione è prevalentemente carnivora o erbivora, ma non lo è mai esclusivamente. Anche gli scimpanzé (vegetariani), per esempio, non disdegnano piccoli rettili, larve ed insetti e saltuariamente uccidono e si nutrono di piccoli mammiferi. Sono interessanti i documentari che mostrano quando scambiano le prede uccise per potersi accoppiare, segno che la carne viene considerata preziosa. Ritorniamo ai nostri predecessori, senza più frutti cosa mangiarono? La stessa cosa dei i sopravvissuti del volo precipitato sulle Ande nel ‘72: cadaveri. Spinti dalla fame iniziarono a nutrirsi dei resti dei grandi predatori della savana. Non avevano ancora la capacità di procurarsi del I cibo che si spostava. Si limitavano a raccoglierlo: frutta, bacche, radici, tuberi, carcasse. Una delle ragioni per cui la nostra specie è diventata la più intelligente del pianeta è che abbiamo dovuto iniziare a procurarci del cibo che scappava senza essere dei predatori dotati di forti zampe e potenti I mascelle.

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Un leone, un coccodrillo, non sono selezionati dalla natura per le loro doti intellettuali, ma per i loro muscoli. Il più forte è quello che riesce a cacciare di più e a sopravvivere. Noi non potevamo basarci sulla forza o velocità, gli individui che mangiavano di più erano quelli più intelligenti. Per fortuna all'inizio del nostro periodo da cacciatori, la nostra forma da primati non ci ha fatto riconoscere come dei predatori. Se andate in una riserva dove è vietato cacciare, ma anche dare da mangiare agli animali, noterete che questi non friggono perché non ci riconoscono come una minaccia. La stessa cosa è successa anche ai nostri antenati: nei primi periodi potevamo avvicinarci alle antilopi senza farle scappare, questo perché senza zanne ed artigli non vedevano in noi un pericolo (e teoricamente neanche dovevamo esserlo). Inizia così la storia, anzi la preistoria, dell'uomo cacciatore raccoglitore. Le popolazioni che ancora oggi vivono allo stato naturale sul nostro pianeta si distinguono per un'estrema differenza nelle abitudini alimentari. Alcune sono prevalentemente vegetariane (mangiano tuberi, radici, bacche e frutta), altre invece si cibano principalmente di carne. Praticamente l'uomo si caratterizza per la capacità di adattarsi a nutrirsi di qualsiasi cosa. Basta osservare i cenoni di Natale! Anche se non riguarda l’alimentazione, è importante sottolineare che il senso di comunità e di uguaglianza è comune a tutte le tribù di cacciatori raccoglitori; il senso di individualità e di proprietà privata nasce invece con l’agricoltura. In Natura l’uomo è obbligato a cooperare per sopravvivere; oggi questo senso si sta sempre più perdendo. Altra cosa importante è sapere che la vita media dell’uomo primitivo doveva essere intorno ai 30-35 anni, ma questo dato è il risultato di un’alta mortalità alla nascita e dei primi anni di vita. Mediamente l’uomo delle caverne che diventava adulto aveva buone possibilità di sopravvivere fino a 60-65 anni. Con l’avvento dell’agricoltura la vita media è precipitata e si è rialzata solo negli ultimi due secoli grazie alle scoperte scientifiche (antibiotici). Anche la statura è crollata con la fine della caccia e raccolta: gli uomini primitivi erano alti quasi come noi, segno che comunque una dieta variegata, stagionale, apporta ottimi benefici per la salute dell’uomo, mentre mangiare sempre gli stessi alimenti, soprattutto se molto calorici, abbassa il nostro stato di benessere. Morale della favola: la Natura ci ha sottoposto a diverse sfide alimentari, chi oggi sostiene che dobbiamo mangiare solo alcuni alimenti perché gli altri non fanno parte della nostra storia evolutiva dovrebbe avere un approccio più scientifico (biochimico e fisiologico) e analizzare un cibo in base alle sue proprietà nutrizionali: micronutrienti presenti in rapporto alle calorie apportate. I cibi nuovi come latticini, legumi e cereali, anche se non fanno parte della nostra preistoria, hanno (mediamente) un bilancio positivo tra effetti nocivi e benefici. Ricordiamoci sempre che non tutti gli alimenti naturali sono sani, non tutti i cibi lavorati fanno male. Dobbiamo poi tenere presente che è insita nel nostro DNA una capacità adattativa che ci permette di mangiare quello che la civiltà ci offre. L’epigenetica (ovvero l’attivazione o la soppressione di alcuni geni in risposta all’ambiente) prevale sulla genetica, altrimenti ci saremmo già estinti.

Il crudismo L’uomo moderno si può permettere tante stravaganze, tra quelle alimentari troviamo il ritorno al crudismo. E facile imbattersi su Facebook e su internet in chi sostiene che non siamo fatti per mangiare cibi cotti. L’uomo in quanto animale per gran parte della sua esistenza ha mangiato soltanto alimenti non processati e crudi. Se vogliamo una super salute dobbiamo ritornare alle nostre origini? Cosa c’è di vero e di sbagliato in tutto questo?

/ due cervelli

Per poter parlare di crudismo dobbiamo ristudiare un attimo la nostra evoluzione e la nostra fisiologia. Anche se come uomini sapiens sapiens non siamo diversi rispetto agli uomini delle caverne, abbiamo avuto una selezione artificiale che ha radicalmente modificato le capacità del nostro apparato digerente. Ma prima una breve premessa. Le due zone del corpo più innervate sono il SNC (ovviamente) e l’intestino. Quest’ultimo viene considerato un secondo cervello e possiede miliardi di neuroni. La ragione è alquanto ovvia visto che questa è una delle zone più delicate di tutto l’organismo. L’apparato digerente non solo scompone ed assimila i nutrienti ma soprattutto deve riconoscerli. Senza questo adeguato riconoscimento, scatena reazioni immunitarie per proteggersi dall’attacco di eventuali agenti patogeni. Cervello ed intestino sono direttamente collegati, chi è molto preoccupato facilmente ha problemi viscerali e viceversa quando abbiamo male alla pancia facciamo fatica a concentrarci. Finché l’uomo non ha iniziato a cuocere gli alimenti, il nostro apparato digerente era molto più innervato, questo aveva un costo metabolico molto elevato visto che i neuroni sono tra le cellule che richiedono più energia. In natura c’è un antagonismo tra cervello ed intestino, gli animali che hanno più neuroni nella pancia ne hanno meno nella testa (cervelli piccoli) e viceversa. Avere un’innervazione molto elevata in tutte e due le zone avrebbe costi energetici elevatissimi e la selezione naturale non l’ha mai permesso. Con la scoperta del fuoco, è venuta meno la necessità di avere un intestino molto intelligente. La selezione ha cosi preferito gli individui che avevano meno neuroni in pancia e più nel cervello. Anche per questo l’uomo moderno non è più l’uomo preistorico. Il fuoco ha contribuito a selezionare chi aveva grandi masse celebrali ma ci ha reso dipendenti dalla cottura. Pro e contro del mangiare crudo Il cucinare gli alimenti ha sia dei vantaggi che degli svantaggi. Dal punto di vista dell’assimilazione le alte temperature spezzano i legami chimici rendendo le proteine e i carboidrati più assimilabili. Il contenuto calorico degli alimenti aumenta con la cottura perché diminuisce la parte non edibile (assimilabile) presente in ogni cibo. Alcune vitamine diventano più biodisponibili come i beta-carotenoidi (nelle carote quando sono crude sono in buona parte imprigionati nella cellulosa), altre termosensibili (vitamina C e del gruppo B) invece vengono degradate dalla cottura. È doveroso ricordate che le alte temperature bruciano gli alimenti creando benzopireni cancerogeni. Le proteine vanno incontro a glicazione legandosi con gli zuccheri. Potete notare il fenomeno nella reazione di Maillard, quando la carne acquista quel colore marroncino dorato, o nella crosta croccante del pane. Finché la temperatura di cottura rimane inferiore ai 180°, una corretta alimentazione ricca di frutta e verdura è in grado di contrastare tutti i fenomeni negativi della glicazione, mentre con temperature maggiori gli effetti tossici potrebbero sovrastare l’azione degli antiossidanti. I paladini del crudismo sostengono anche che cuocere disattivi gli enzimi contenuti negli alimenti, ma questo punto di vista è molto folcloristico e poco scientifico. E vero che la cottura denatura le proteine, ma va ricordato che non tutti gli alimenti contengono enzimi che facilitano la digestione e in ogni caso, una volta ingeriti, vengono in gran parte disassemblati dai succhi gastrici. Inoltre, il nostro corpo è fornito abbondantemente di lipasi, proteasi, amilasi, ecc. per poter digerire autonomamente tutti gli alimenti assunti.

Dentizione L’unico vero elemento importante a favore del crudismo riguarda la nostra bocca. Oggi la maggior parte della popolazione soffre di denti storti, ha problemi con quelli del giudizio e carie. Cerchiamo di capire cosa c’entrano tutti questi elementi col crudismo. La matrice ossea si modifica in base agli stimoli che gli diamo (legge di Wolf). Quando l’osso deve resistere a delle tensioni aumenta la sua densità, quando invece non è sottoposta a forze diminuisce. Mentre nell’adulto le dimensioni dell’osso non possono più variare, nel bambino gli stimoli influenzano la crescita. L’uomo preistorico masticava alimenti molto più duri e resistenti (assumeva intorno ai 100 g di fibre al giorno). Questo portava nei bambini a sviluppare mascelle forti e grandi, tutti i denti avevano lo spazio per crescere. Esperimenti su animali mostrano che i cuccioli indotti a nutrirsi, dopo lo svezzamento, con cibi molli, sviluppano denti storti con mascelle piccole. Anche le prime generazione di aborigeni nate dopo essere state “civilizzate” hanno sviluppato le prime dentature non perfette in rapporto ai loro genitori. Un altro effetto negativo della cottura sono le carie. Tuberi crudi e frutti fibrosi possiedono zuccheri poco compatibili con il metabolismo dei batteri della bocca. Al contrario l’amido cotto sviluppa molto le carie nutrendo i batteri. Sono impressionanti i resti degli antichi egizi con denti storti e devastati dalle carie. Al contrario quelli degli uomini preistorici presentano ottime occlusioni, con denti sani anche in età adulta. 1 resti dei denti sani ritrovati a Pompei riguardano bambini e non adulti. Ovviamente questa ragione non basta per giustificare il fatto di non cuocere gli alimenti. Oggi le correnti crudiste sono principalmente tre: quella Vegana, quella Vegetariana e quella Paleo, nessuna tuttavia è supportata da studi che possono avvalorare la tesi per cui non siamo fatti per mangiare cibi cotti, o che si possa acquisire una miglior salute col crudismo.

Il mio gatto si chiama Zeus Allego una piccola parentesi, collegandomi al discorso sull'evoluzione, descrivendo la vita alimentare del mio gatto (Zeus). Un po' per comodità, un po' perché spinti dai veterinari che abbiamo interpellato, Zeus ha sempre mangiato crocchette. Da quando è stato svezzato lo abbiamo nutrito così, perché teoricamente, dovrebbero contenere tutto quello di cui ha bisogno. Se andiamo a leggere le indicazioni nutrizionali vediamo subito che sono arricchite di vitamine e minerali, segno che gli alimenti che vengono utilizzati ne sono sprovvisti o quantomeno carenti. La cosa che più mi colpisce è che l'ingrediente principale sono i cereali. In alcune confezioni arrivano anche oltre il 70%. Ora, quello che mi sono sempre chiesto, senza avere alcuna risposta, è perché un gatto, che è un animale carnivoro, deve per la sua salute mangiare prevalentemente cereali? La risposta che io mi sono dato è esclusivamente legata a ragioni di tipo economico, quelle che ho invece ricevuto dai veterinari sono le seguenti: 1. dare da mangiare al gatto gli avanzi della carne e del pesce non va bene perché non hanno tutte le vitamine necessarie; 2. dare le scatolette di tonno al gatto non è sufficiente perché in natura mangia di tutto, per esempio del topo si nutre anche delle interiora e quello che è in esse contenuto, cosa non presente nelle scatolette di tonno; 3. dare troppe proteine gli fa male perché sovraccarica i reni.

Di tutte queste posso rispondere soltanto alla terza (anche se il buon senso ci da un'idea delle prime due). La correlazione tra proteine e problemi renali è un argomento ancora dibattuto come abbiamo già visto nel capitolo sulle proteine. Sicuramente i reni lavorano di più dovendo smaltire le scorte azotate delle proteine. Se su persone sane è molto dubbio che le proteine possano fare male, in soggetti malati (per esempio in insufficienza renale cronica) la correlazione sembra evidente. Per anni i nefrologi sono stati istruiti su questo, anche se ad oggi le cose stanno cambiando. Ma un altro fattore che sovraccarica questo organo e che non viene mai menzionato è l'insulina. Picchi insulinici aumentano il lavoro renale. Un'alimentazione così iperproteica e iperinsulinica sovraccarica sicuramente il rene. Il gatto di casa passa dalla padella alla brace, non mangia troppe proteine ma alza costantemente l'insulina. Per concludere l’argomento aggiungo che, sull'alimentazione del gatto, sorge un’ulteriore questione rappresentata dagli additivi chimici e gli esaltatori del sapore di cui sono ricche le crocchette. Le aziende più importanti aggiungono sostanze chimiche per influenzare il gusto dell’animale, il quale tenderà a mangiare esclusivamente la marca di cui è abituato e quelle simili. Il nostro veterinario ha lavorato per una delle aziende più importanti e ci racconta degli esperimenti sui gatti in cui si cercava, attraverso gli esaltatori del gusto, di portare l’animale a nutrirsi esclusivamente di quel prodotto, disdegnando la concorrenza. Infatti ormai Zeus mangia praticamente solo le sue crocchette e rifiuta la maggior parte delle altre marche o della carne che gli offriamo. Questo breve accenno è utile per capire che siamo, anche noi come i gatti, principalmente consumatori e che le nostre scelte alimentari sono influenzate soprattutto da ragioni economiche e di sostenibilità e solo successivamente da quelle salutistiche.

Non è facile ingrassare È una giornata come tante, scandita dalle abitudini quotidiane. Il sole scalda e sveglia fin dalle prime ore mattutine. Sembra non apparire mai e poi in un attimo è già alto sulla pianura sottostante. Il rumore dello stomaco gli ricorda che è già ora di mangiare. Percorre 10 km a piedi fino a quando si ferma di fronte a tre alberi. Sembra il luogo ideale dove mettersi a scavare. Cerca nei paraggi qualche attrezzo utile per alzare la terra, passa una buon'ora piegato a lottare contro il terreno, quando infine riesce a liberare la radice tuberosa. Prende un sasso che aveva utilizzato e colpisce la corteccia. Della polpa bianca fuoriesce un liquido trasparente, attacca la bocca secca e succhia. Con il raccolto della giornata (tre tuberi) si rimette in cammino verso il rifùgio quando intravede, in mezzo ad una radura, le lunghe orecchie di una lepre. Inizia un inseguimento tra gli alberi e i cespugli. La preda è più veloce, per questo sa che deve mantenere una distanza di sicurezza, deve farla correre senza farla scappare. Deve portare l'animale lontano dalla sua tana, dove non si potrà rifugiare. Correndo raccoglie un sasso per colpire l'animale. L'inseguimento continua per diversi minuti fino a quando si presenta l'occasione: la lepre si è fermata, è ritta su due zampe e sembra ascoltare, trattiene il respiro prende la mira, tira e... la manca! L'animale questa volta fugge troppo velocemente per poterlo inseguire. Rabbioso decide di tornare ai tuberi, ma dove li aveva lasciati? Sarà anche un racconto di fantasia ma per i nostri antenati non era così facile procurarsi il cibo. Camminare, scavare, cacciare, scuoiare, arrampicarsi, correre, lottare, erano attività quotidiane a cui si aggiungevano tempi di magra (nelle stagioni morte) e cibi con densità energetiche bassissime. Insomma nell'antichità era impossibile essere in sovrappeso (figuriamoci obesi). Ancora oggi non sarebbe così facile se non ci sottoponessimo per anni e anni a regimi ipercalorici con cibi

industriali accompagnati da una vita sedentaria. Basta osservare i bambini o i cani e paragonarli ai propri genitori o padroni. Quando in spiaggia da ragazzino ci provavo con le tedesche erano tutte belle, bionde e magre mentre le mamme erano delle balene. Il metabolismo glucidico da giovani ha un fabbisogno triplo rispetto agli adulti, questo è uno dei motivi per cui i bambini rimangono magri pur mangiando schifezze. L'altro è che si muovono. Finché siamo giovani siamo degli atleti naturali: per spostarci corriamo, abbiamo l'istinto d'arrampicarci ecc. Da adulti il massimo sforzo che ci viene da fare è quello di cagare! I bambini diventano obesi quando prendono le abitudini dei grandi, quando si rinchiudono in casa e smettono di correre dietro ad un pallone tutto il giorno. Ci ritroviamo a 30 anni, per non parlare dei 40 o 50, con la pancetta e ci chiediamo da dove arriva (se da giovani eravamo magri, se eravamo già grassi non ce lo chiediamo). Arriva da una vita passata a mangiare male e a muoversi poco, possiamo dare la colpa ai carboidrati, ai grassi o alle proteine ma la realtà è che semplicemente mangiamo troppo per quello che consumiamo. Studi scientifici mostrano che nelle città costruite in collina le persone sono mediamente più magre semplicemente perché sono obbligate a camminare in salita. In quest'ottica osserviamo che la difficoltà che abbiamo nel perdere peso è spesso (oltre alla nostra genetica) frutto di errori passati (sia alimentari, sia legati al movimento) protratti per anni. Il nostro organismo è predisposto ad un set point che ci permette di mantenere il giusto equilibro tra le scorte lipidiche per eventuali carestie ed un peso ottimale per rimanere agili e scattanti. Gli atleti uomini devono mirare a non superare il 10% di grasso corporeo, mentre le atlete donne il 18%, stessa percentuale che possedevano gli aborigeni prima di conoscere la civiltà occidentale. Per i sedentari invece abbiamo percentuali di riferimento leggermente più alte: un uomo non dovrebbe superare il 15% , una donna il 24%, parametri entro cui la salute è ancora preservata. Andare oltre è cedere alle tentazioni della società dell'abbondanza e dimenticarsi di quelle della natura.

Perché non dimagrisco Una delle frustrazioni più grandi della società del benessere è quella di non capire perché, anche dopo tanti sforzi, si smette di dimagrire. Lo so ci sono cose peggiori, per esempio essere impotenti, ma se avete la fortuna di essere dei ciccioni impotenti questo paragrafo può fare per voi. Perché ad un certo punto smettiamo di dimagrire? Perché ogni volta che perdiamo peso arriviamo a quel punto dove ci blocchiamo e non riusciamo a mettere in evidenza tutti i tasselli degli addominali. Cosa ci blocca? Ovviamente non esiste una sola risposta a questa domanda. Tre sono i principali fattori. 1. Diete in cui il calo di peso è troppo rapido. In questo modo catabolizziamo anche la massa magra, diminuendo la capacità dell’organismo di dissipare le energie in eccesso in calore. 2. Diete con troppo pochi carboidrati a lento rilascio. I glucidi influenzano il metabolismo tenendolo alto. Zuccheri raffinati peggiorano la sensibilità insulinica, mentre carboidrati a lento rilascio (buon rapporto amilosio/amilopectina) la migliorano. Questo si traduce anche in una miglior salute mitocondriale ed in una maggior conversione degli ormoni tiroidei. 3. Diete ipocaloriche al momento sbagliato. Se ci mettiamo a regime ma il nostro metabolismo di base è già troppo basso, andiamo a peggiorare la situazione, andando incontro ad un crollo metabolico. Per questo prima di mettersi a dieta bisogna assicurarsi che il metabolismo si sia riattivato.

Questi punti li studieremo meglio andando avanti nel libro, in questo paragrafo prenderemo in considerazione la glicemia e gli ormoni che la influenzano. Gli zuccheri nel sangue possono essere un parametro molto interessante per il nostro stato metabolico. La concentrazione basale (a digiuno) della glicemia può essere influenzata da molti fattori. Il più importante, in soggetti sani, è l’immissione degli zuccheri da parte del fegato, questi possono pervenire sia dalle scorte glucidiche (glicogeno epatico) sia da processi glucogenetici (glucosio derivato dal lattato, glicerolo ed aminoacidi). ' Il fegato viene influenzato a rilasciare, a digiuno, il glucosio da diversi ormoni, il principale è il glucagone ma anche il cortisolo, come vedremo in seguito, svolge un ruolo chiave in questo processo. Tutti gli ormoni iperglicemizzanti sono antagonisti all'insulina, in particolare una sovrapproduzione di GH e cortisolo nel tempo portano all'insulino-resistenza. Questo avviene perché i due ormoni disattivano Taffinità ed il trasporto dei recettori GLUT-4. Il cortisolo in particolare esplica questa funzione nelle cellule grasse viscerali e addominali. Molte persone si ritrovano, per diversi motivi, con dei livelli glicemici non ottimali (vedi prossimo paragrafo), questo comporta una produzione basale d’insulina più elevata che blocca tutti i processi di lipolisi. Una strategia per sbloccare la situazione potrebbe essere quella di abbassare i carboidrati nella dieta, ma questa scelta può portare a un doppio esito. Generalmente nei soggetti obesi ed in sovrappeso migliora la glicemia, stabilizzandola ed abbassandola. Nei soggetti magri con la pancetta invece può ulteriormente aumentarla. Questo avviene perché una dieta con meno carboidrati e più proteine generalmente alza il cortisolo. Il corpo potenzia i processi di conversione degli aminoacidi in glucosio e per farlo aumenta anche i livelli di cortisolo. Siccome la risposta è sempre individuale, qualora si voglia adottare una strategia low carb conviene comprarsi un misuratore della glicemia e verificare come varia col nuovo regime alimentare. Lo strumento, per i non diabetici, costa un po’ ma permette di raccogliere dati interessanti. L’ultimo tassello che aggiungiamo riguarda i soggetti stressati (chi non lo è oggi?). I livelli di cortisolo basali, in queste persone, sono già mediamente elevati e si correlano con un valore di glicemia più alto e la presenza di uno strato di grasso addominale. Lo stress può essere dato da lavoro-famiglia-scuola, ma anche da allenamenti troppo frequentiintensi, o da un sonno inadeguato e disturbato. Il corpo sottoposto allo stress continua ad autoprodursi zuccheri che immette nel sangue stimolando le cellule P del pancreas. L’insulina e il cortisolo rimangono così sopra ai livelli basali contemporaneamente e si ostacolano a vicenda portando all’insulino-resistenza. La dieta qui gioca un ruolo fondamentale in quanto, se troviamo il corretto apporto glucidico (non assumendo ne troppi, ne troppo pochi carboidrati), possiamo far prevalere l’insulina sul cortisolo. Questo permetterà di inibire l’enzima 11HSD1 che rigenera il cortisolo dal cortisone alTintemo del fegato e degli adipociti. In questo caso l’insulina si rivela un ottimo alleato, utile ad una miglior composizione corporea (ricordatevi sempre che l’insulina se stimolata adeguatamente aiuta a dimagrire e non fa ingrassare). I livelli di cortisolo caleranno, portando di conseguenza anche la glicemia basale a scendere. Si crea così una casata di eventi positivi atti a migliorare la nostra salute. Nel capitolo finale vedremo come trovare i quantitativi idonei di glucidi che possono andare da un minimo di 2,5 g/kg ad un massimo di più di 7 g/kg.

Gli esami del sangue L'auto-lettura delle analisi del sangue è cosa buona e giusta per chi si interessa all'argomento ma attenzione a non innescare meccanismi del tipo: Auto-prescrizione

auto-lettura

auto-diagnosi

auto-trattamento.

In caso di dubbi e perplessità rivolgetevi ad una figura medica di fiducia.

Gli esami del sangue sono degli indicatori fondamentali di come stiamo mangiando e di come stiamo rispondendo agli alimenti. Conoscerli e sapere quali livelli ottimali dobbiamo raggiungere ci permette di elaborare e verificare le strategie per migliorare, oltre ai parametri, anche la nostra salute e la composizione corporea. Trigliceridi, colesterolo e glicemia sono i primi dati da approfondire e ottimizzare, scopriamo perché. C’è un episodio del fumetto Rat Man dove c’è una cicciona appassionata di Start Trek (di quei fan sfegatati che si vestono coi costumi della serie televisiva). Per tutto il numero rompe le balle a tutti dicendo che lei è bella dentro, finche ad un certo punto della storia la nave dove sono affonda. Nell’ultima scena Rat Man si salva su una scialuppa. Si sente un grido provenire dalle onde: “aiuto, aiuto ”, è la cicciona. Rat Man la guarda, si gira a fissare lo spazio rimasto sulla scialuppa e le dice: “mi spiace cara, non posso, sei troppo bella dentro Perché abbiamo raccontato questo aneddoto? Perché a volte è vero anche il contrario, possiamo essere belli fuori ma non “sani” dentro. C’è una correlazione diretta tra salute, performance, composizione corporea ed esami del sangue. Non basta essere magri, è fondamentale monitorarsi per capire se stiamo sovraccaricando il nostro organismo (transaminasi alte) o se il nostro corpo sfrutta correttamente il carburante che gli diamo. Ci sono tantissimi valori da tenere sotto osservazione ma per iniziare partiremo ad analizzare i tre principali. 1. Trigliceridi 2. Colesterolo HDL 3. Glicemia Attenzione: i valori che consigliamo di raggiungere non rispettano le linee guida ma sono ancora più restrittivi, quindi consultatevi sempre con il vostro medico di fiducia prima d’adottare qualsiasi strategia alimentare.

/ trigliceridi

Trigliceridi alti, sopra i 200 mg/dl, vengono correlati con un aumento dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari.

Consigliamo dei valori inferiori a: Trigliceridi < 130mg/dL Più il vostro metabolismo è efficace ed il rapporto tra quello che assumete e quello che consumate è ottimale, più i trigliceridi si abbassano. Alti livelli possono essere dati da: 1. un eccesso di carboidrati (oltre il 60% delle energie introdotte). I glucidi non correttamente metabolizzati si convertono in trigliceridi; 2. una attività fisica insufficiente. Non pensate perché sollevate pesi tre volte a settimana d’essere degli atleti. Anche se la palestra aumenta il dispendio energetico a riposo, questo non è sufficiente per influire in modo significativo sui parametri ematici se non lo abbiniamo ad una corretta alimentazione o ad una attività aerobica. Corsa, bici, nuoto sono invece sport che

hanno un’influenza diretta sui trigliceridi e sulla glicemia alta. Abbinare pesi ed attività aerobica è sempre un ottimo compromesso 3. insulino-resistenza. Questa può essere causata sia da una cattiva tolleranza al glucosio, sia da un metabolismo eccessivamente sbilanciato sui grassi che col tempo diminuisce l’affinità dei recettori cellulari (GLUT-4). Qualunque sia la ragione per cui i trigliceridi sono alti, il loro valore ottimale è sotto ai 130 mg/dl, soglia in cui il loro diametro non è superiore ai 25,5 nm per cui sono gestiti meglio dall’organismo.

Il colesterolo HDL Insieme ai trigliceridi un altro importante parametro da valutare è il colesterolo HDL.

Consigliamo valori superiori a: HDL > 40mg /di. Le lipoproteine ad alta densità hanno la funzione di riportare il colesterolo dai tessuti periferici al fegato, pertanto vengono definiti come il colesterolo buono. Una corretta alimentazione (rapporto ottimale grassi saturi- monosaturi- poiinsaturi) ed una attività fisica adeguata portano ad innalzare le HDL. Avere alti valori, spesso gli atleti superano i 60 mg/dl, è un parametro di ottima salute, al contrario bassi valori di HDL si associano facilmente con ipertrigliceridemia (la catabolizzazione epatica delle HDL aumenta i trigliceridi ematici). Il fattore di rischio del colesterolo non si misura sul suo valore totale ma sul rapporto tra LDL/HDL. Negli uomini il rapporto deve essere inferiore a 5 mentre nelle donne a 4,5. È meglio avere un colesterolo totale a 220 e le HDL a 60, piuttosto che 180 con le HDL a 30.

La glicemia L’ultimo parametro da valutare riguarda il glucosio nel sangue.

Consigliamo valori inferiori a: glicemia 60 anni

300-720 ng/dL

41-51

9-55 ng/dL

Postmenopausa

6-25 ng/dL

Età

A seconda degli esami nei diversi laboratori i livelli potrebbero variare

I valori ematici di testosterone, tuttavia, non dicono tutto. Andrebbe calcolato quello libero (la forma attiva) e andrebbero eseguiti più prelievi. Infatti i livelli variano molto nell’arco della giornata e dei mesi (sono più alti durante l’estate).

Il punto di rottura Avete mai visto un istruttore di spinning, un'istruttrice di aerobica o di Zumba in sovrappeso? Possibile? Con tutta l'attività “brucia grassi” che fanno non dovrebbero essere magri? C'è chi penserà che mangiano troppo, chi che sono così per genetica, ma in realtà la ragione è un'altra ed affligge tutte le persone che pur facendo attività fisica non perdono più peso (rivedi il paragrafo “L’allenamento abbassa il metabolismo”). Ma iniziamo per prima cosa a cercare di capire ciò che accade alla persona sedentaria che decide di iscriversi in palestra per rimettersi in forma. Dopo anni passati a non fare nulla e a mangiare gli alimenti più golosi ed appetitosi, il suo stile di vita cambia radicalmente, spinto via dai buoni intenti. Fa attività fisica 3-5 volte a settimana (passando da zero ad andare in palestra quasi tutti i giorni), rinuncia ai dolci, pizza, pasta e pane. Nel piatto si ritrova della verdurina al vapore con una fettina di carne. Spinta dalla volontà e dalla motivazione va avanti lungo questa strada ed i risultati non tardano ad arrivare. Perde peso, si sente meglio, è contenta. Finché ad un certo punto si ritrova improvvisamente davanti ad un muro, SBANG! I risultati si fermano. Allora frustrata, aumenta la frequenza degli allenamenti, mangia ancora meno, ma alla fine si ritrova a sacrificare tutto per portarsi a casa poco o niente. A questo punto si rassegna all’idea che la colpa sia della genetica e nel 99% di casi riprende a mangiare e smette di fare sport. Chi ha lavorato in palestra di casi come questo ne ha visti a centinaia. Eppure non si riesce ancora a comprendere che non è la mancanza di dedizione a non portare ai risultati, ma semplicemente si sprecano le forze in una direzione sbagliata.

Se consumi mangia

Se inizi a fare sport devi continuare a mangiare. L'organismo mal sopporta i cambiamenti, soprattutto quando avvengono su più fronti. L'attività fisica porta già un deficit calorico rispetto al rimanere sedentari. Non c'è un bisogno ulteriore di ridurre il quantitativo di cibo.

Piuttosto sarebbe corretto cercare di alimentarsi di più e meglio. I carboidrati (pane-pasta-ecc.) riserviamoli per il pasto post allenamento; la pizza gustiamola una volta a settimana per gratificarci (magari senza farcirla eccessivamente). Negli altri pasti invece sostituiamo i cibi raffinati e disidratati con alimenti freschi pieni d'acqua. Se l'organismo si ritrova rapidamente in un deficit calorico, inizialmente, preso alla sprovvista, inizia a bruciare le scorte, ma appena si riprende gioca a livello recettoriale ed ormonale per stabilizzare la situazione. Praticamente inizia a frenare il dispendio calorico. Poca aerobica, tanti pesi

Normalmente chi si iscrive in palestra sbaglia attività. Chi vuole dimagrire passa ore a camminare sul tapis roulant o seduto sulla cyclette e non tocca mai un peso. Invece dovrebbe capire che il tempo che utilizza per fare sport non dovrebbe essere speso solo per bruciare calorie nell’immediato ma soprattutto per dare una direzione metabolica aH'organismo. Non è importante “bruciare grassi” mentre si fa attività fisica è più importante stimolare l’organismo verso un reset metabolico. I pesi servono per aumentare i recettori sulle cellule muscolari in modo che siano più affamate di zuccheri e grassi. L'attività aerobica col tempo deve diventare intesa non lenta e confortevole. Solo se mettiamo in crisi la produzione energetica mitocondriale riusciremo a stimolare correttamente la proliferazione di questi organuli. Non è importante dimagrire mentre si corre ma aumentare il numero di mitocondri. Altrimenti ci accontenteremo di due monete quando potevamo avere il forziere. Quindi la persona sedentaria che si iscrive in palestra deve dimenticarsi delle calorie e col tempo e con la gradualità, indirizzarsi sempre di più verso attività “intense” (in relazione alle sue capacità). Rimanere idratati Uno dei motivi per cui avviene il “blocco del metabolismo” riguarda la disidratazione dei tessuti. Una dieta ipocalorica povera di carboidrati e un'attività che porta a sudare, abbassano le riserve d'acqua. L'organismo rallenta così i suoi scambi metabolici non vitali, bloccando i futuri risultati. La persona che si pesa sulla bilancia non distingue se le variazioni sono a carico del tessuto adiposo, di quello muscolare o dell'acqua. Un chilo in meno è sempre un chilo in meno. Peccato che molto spesso la perdita di peso sia principalmente a carico del compartimento idrico. Meno liquidi uguale meno scambi metabolici. Ricordiamocelo!

Il punto di rottura Si smette di dimagrire quando l'organismo, dilaniato tra un deficit calorico costante e da un'attività fisica frequente, decide di abbassare la serranda del metabolismo. Lo fa attraverso tre strade. J Quella recettoriale, per cui diminuisce i GLUT-4 delle cellule muscolari e aumenta quelli delle cellule adipose. J

Quella ormonale: la leprina calerà paurosamente portandosi dietro anche gli ormoni tiroidei e quelli gonadici.

J

Infine quella mitocondriale, per cui il nuovo assetto ormonale indicherà agli organuli di bloccare la dissipazione delle energie in calore.

Le strade per continuare a bruciare grasso saranno così precluse. Il corpo potrà ancora perdere soltanto acqua e massa magra. Un quadro del genere, per quanto disastroso, è piuttosto comune.

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Come evitare il punto di rottura Una visione a lungo termine, rispetto a quella del “tutto e subito” è la strada migliore per raggiungere i risultati. La dieta dovrà essere varia, abbondante con cibi a bassa densità energetica e dovrà alternare giorni di ipocalorica con giorni di normocalorica. La quota glucidica dovrà essere consumata prevalentemente dopo Tallonamento. Inizialmente conviene prediligere i legumi rispetto ai cereali per il miglior rapporto tra amilosio e amilopectina. Una volta che, grazie all’attività fìsica, sarà migliorata la sensibilità insulinica si possono invertire i rapporti. L’allenamento dovrà essere graduale se si è rimasti sedentari per molto tempo, magari iniziando con due volte a settimana. Ci si dovrà concentrare prevalentemente su esercizi contro resistenze (pesi), con sovraccarichi a medio alto carico (4-12 ripetizioni). L'attività aerobica deve iniziare gradualmente (per 1 -3 mesi) e dovrà essere via via sempre più intensa e sempre più breve. Come abbiamo già spiegato, non si cercherà di “bruciare grassi”, ma di migliorare il sistema mitocondriale. Il punto di rottura (momento in cui il corpo non riesce più a rispondere in modo adeguato allo stress) dovrà essere evitato, procedendo gradualmente, tornando a volte indietro e rispettando il giusto rapporto tra allenamento e alimentazione: quando consumeremo di più mungeremo di più. Ricordiamoci sempre che quando l’organismo sta bene si libera facilmente dei chili di troppo.

Quando ingrassiamo? Quando ingrassiamo? La risposta è semplice: quando mangiamo! Cerchiamo tuttavia di capire, in modo chiaro, come funziona il tutto, come gli adipociti, pasto dopo pasto si riempiano. In questo contesto abbiamo diversi attori: i macronutrienti, le calorie, gli ormoni, le membrane piasmatiche, le scorte glucidiche e i mitocondri. Insomma la questione è lunga, ma in questo paragrafo faremo un breve ripasso di tutto quello che stimola la liposintesi. L'insulina: perché fa ingrassare? Tra tutti gli ormoni che svolgono un ruolo importante nella lipogenesi, Tinsulina, in misura maggiore, è sul banco degli imputanti. Iniziamo dicendo che ogni volta che mangiamo viene prodotta, non solo a causa degli zuccheri (come abbiamo visto in precedenza). Quando il cibo arriva nel tratto gastro-intestinale si attivano due incretine (GPL-1 e GIP) che stimolano l'insulina.. Gli zuccheri, attraverso la variazione della glicemia, hanno una particolare influenza sull'ormone. Ma se pensate di non stimolarla semplicemente non mangiandoli vi sbagliate! Detto questo, come fa a farci ingrassare? Ora ci arriviamo. I trigliceridi, essendo idrofobici, viaggiano nel sangue attraverso dei trasportatori (proteine piasmatiche). La lipoproteina lipasi (LPL) li idrolizza (libera) per farli entrare nella cellula. Quando il glucagone è alto e l'insulina bassa si attiva l'isoenzima presente nelle cellule muscolari, quando i livelli ormonali si invertono sono gli adipociti a captare gli acidi grassi. Quindi l'insulina cambia la destinazione dei trigliceridi ematici, dal muscolo alle cellule grasse. I trigliceridi imprigionati negli adipociti per essere bruciati o liberati nel flusso ematico devono essere scissi in acidi grassi. La lipasi ormone sensibile (HSL e MAGL) svolge questo compito. Le catecolamine (adrenalina e noradrenalina) potenziano l'effetto lipolitico, ma quando l'insulina si alza blocca tutto. Pertanto svolge un ruolo antilipolitico, impedendo lo svuotamento degli adipociti. Oltre a questo aumenta la pressione sanguigna e la vasocostrizione, limitando Tirrorazione delle zone dove alberga il grasso ostinato.

Quando il ciclo di Krebs è sovra-saturo (abbiamo troppa energia nei mitocondri), il citrato prodotto è trasportato nel citosol dove viene trasformato in acetil-CoA. L'insulina attiva Vacetil-CoA carbossilasi, portando alla formazione di malonil-CoA precursore degli acidi grassi a lunga catena e di altri lipidi come il colesterolo. La presenza di malonil-CoA blocca anche il complesso camitina dipendente impedendo agli acidi grassi di entrare nel mitocondrio e bloccando così la beta-ossidazione. Tradotto: un eccesso di insulina fa ingrassare. Per finire, specifichiamo che l'insulina esplica la sua funzione antilipolitica con livelli molto più bassi rispetto a quelli ipoglicemizzanti. Questo vuol dire che se nel sangue, anche a digiuno, troviamo alti livelli di zuccheri (magari a causa del cortisolo elevato), dimagrire diventa difficile, indipendentemente da quello che mangiamo.

Le variazioni ematiche Per comprendere a fondo la questione, analizziamo cosa succede dopo un pasto classico in cui si introducono 500 - 700 kcal, formato per il 55% da carboidrati, 30% da grassi e 15% da proteine. L'insulina si alza di dieci volte rispetto al suo livello basale, passa da 50 - 60 a 500 - 600 mmol/L. I livelli rimangono stabili per un'ora, poi iniziano a scendere rapidamente fino a 2 ore successive il pasto, per poi tornare ai livelli basali solo dopo 5-6 ore. Il glucagone scende e si rialzerà dopo 3-4 ore. La glicemia passa da 80 - 110 a 120 - 140 mg/dl. Avrà il suo picco 30 - 60' dopo il pasto e tornerà, nei soggetti sani, nel suo range dopo 2 ore, seguendo l'andamento dell'insulina. L'acido lattico aumenta di 2,5 volte, segno che la glicolisi aerobica non riesce a degradare tutto il glucosio. I trigliceridi nel sangue si abbassano e torneranno a salire un'ora dopo il pasto, tornando a valori basali solo dopo 7-8 ore. Ma dove finiscono intanto questi trigliceridi? L'adipocita

La cellula grassa è quasi sempre ghiotta di nuovi trigliceridi, soprattutto se non ne è satura. Quindi per riempirsi ha due strade. Può produrre da sola nuovi acidi grassi dal glucosio captato. L’ingresso dello zucchero nell’adipocita non è così facile, infatti il glucosio viene prima indirizzato verso altri 4 tessuti (ricordiamoci che tutti i monosaccaridi che non sono glucosio finiscono prima nel fegato, dove vengono convertiti). I tessuti glucosio dipendenti-preferenziali sono: cervello, sistema nervoso, globuli rossi e bianchi, testicoli, retina, midollare del surrene. Possono usare solo il glucosio o lo preferiscono ad altre fonti energetiche. Questi tessuti hanno un fabbisogno più o meno costante nel corso delle 24h e vengono influenzati in maniera meno rilevante dai pasti o dall'attività fisica. Pertanto non li prenderemo in considerazione. Il loro fabbisogno in una persona sedentaria è mediamente di 180 g di glucosio al giorno come abbiamo già visto. Il fegato è il primo organo a venire a contatto con il glucosio. I suoi recettori di membrana GLUT-2 gli permettono di captarlo anche in assenza di insulina. Quello epatico è inoltre anche il tessuto col maggior numero di recettori per questo ormone (per ogni epatocita 17.000 contro 10.000 dell'adipocita). La prima ondata di zucchero se la prende lui, il resto se lo contendono gli altri tessuti. Purtroppo anche il fegato contribuisce a formare acidi grassi ex novo, quindi non è detto che ingrassiamo solo a livello degli adipociti. Il miocita (la cellula muscolare) riesce a captare il glucosio anche a digiuno (GLUT-1), tuttavia, per aumentare il suo up-take ha bisogno dell'insulina che porti in superfìcie i GLUT-4.

Più il tessuto muscolare è ipertrofico, più ha recettori, inoltre, più è allenato a sforzi glicolitici (aerobici ed anerobici) e più scorte di glicogeno riesce ad accumulare. Quando queste diminuiscono, il muscolo assorbe ancora zuccheri per gradiente di concentrazione. Una volta nutriti i tessuti glucosio dipendenti-preferenziali (fegato e muscoli), rimangono solo gli adipociti, cellule sempre disponibili a captare il glucosio in eccesso. Come i miociti, utilizzano i GLUT-4 e anche loro hanno bisogno dell'insulina per farlo entrare. Una volta che il glucosio penetra nell'adipocita la glicolisi lo trasformerà o in energia, o in grasso, o in altri prodotti del metabolismo. Perché il glucosio porti a processi di liposintesi i mitocondri devono essere saturi di ATP. Il ciclo di Krebs deve essere rallentato così che la sovrabbondanza di citrato si riversi nel citoplasma per dar via alla liposintesi. Normalmente, poiché questo avvenga, dobbiamo mangiare veramente molti carboidrati (oltre 600-700 g), altrimenti il corpo trasformerà l'eccesso energetico in calore piuttosto che convertirlo in acetil-CoA. Questo processo fisiologico tuttavia non avviene correttamente se siamo insulino resistenti. In soggetti sani soltanto il 10% del grasso di deposito viene dalla glicolisi. Ma allora, il restante 90% da dove arriva?

Quando ingrassiamo

Ingrassiamo quando mangiamo, ma sono i grassi ematici e quelli assunti col cibo che, per il 90% finiscono con l’ingrossare gli adipociti. Quando l'insulina è alta i trigliceridi hanno una sola destinazione: il tessuto grasso. Così la nostra abitudine di mangiare un bel piatto di pasta e un secondo ricco, ci porta inevitabilmente ad ingrassare. Sono i trigliceridi i colpevoli, ma la maggior parte delle volte gli zuccheri fanno da complici. L'alta glicemia di per se non fa ingrassare, ma costituisce il principale fattore che veicola nell'adipocita tutti i grassi presenti, sia quelli introdotti col pasto, sia quelli già presenti nel sangue. In nutrizione le soluzioni a questo problema sono principalmente sei. Ora le vediamo brevemente e successivamente le approfondiremo. S Mangiare poco di tutto. Quello che tutti consigliano ma che è difficile da realizzare, principalmente perché il cibo serve non solo per nutrirci ma anche per gratificarci. Per di più, in quanti possono permettersi di resistere nel tempo alla fame? J

Mangiare tanti carboidrati e pochi grassi. In questo modo anche se l'insulina sale l'eccesso glucidico si ossida e i pochi grassi non si accumulano. Funziona se siete dei buoni ossidatori (ve ne accorgete dagli ottimi esami ematici) e non avete resistenza all’insulina.

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Mangiare tanti grassi e pochi carboidrati. Con quest'altra soluzione i trigliceridi ematici non trovando l'insulina alta vengono bruciati dal muscolo e non si depositano negli adipociti. Funziona nel breve-medio termine, poi crea insulino-resistenza al pari di mangiare tanti carboidrati raffinati.

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Nutrirsi di tutto (40-30-30%) ma suddividendo l’introito calorico in tanti piccoli pasti. Così facendo l'insulina rimane sotto controllo.

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Mangiare molto ma condensando tutto in 1-2 pasti. E il principio delle diete del digiuno intermittente, perderemo peso 18 ore al giorno ed ingrasseremo per le restanti 6. Il bilancio sarà comunque a favore del dimagrimento.

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Mangiare in un pasto principalmente o grassi o carboidrati, la vecchia dieta dissociata.

Tutte queste soluzioni funzionano. Sfidiamo chiunque a trovare qualcuno che con uno di questi metodi non ha ottenuto risultati. L'individualità biochimica e i gusti personali ci fanno optare per una soluzione o per l'altra, ma tutte queste differenti strategie rispondono allo stesso problema. La verità è semplicemente che noi ci muoviamo troppo poco per quello che mangiamo, che i nostri muscoli non sono abbastanza ipertrofici (andando così a limitare i recettori di membrana e le scorte glucidiche), che i nostri mitocondri non sono sufficientemente grandi e numerosi (riducendo così le fornaci per l'ossidazione lipidica) e che i nostri livelli ematici non sono ottimali (fornendo in continuazione zuccheri e trigliceridi per la liposintesi). Questo è il motivo per cui ingrassiamo, perché semplicemente abbiamo un eccesso energetico. Ogni dieta vi vende una soluzione, ma per fortuna la biochimica di base rimane sempre e per tutti la stessa.

Ingrassiamo ex novo Ribadiamo in questo paragrafo il concetto sulla liposintensi appena visto nel precedente. Normalmente si pensa che ingrassiamo quando si formano nuovi acidi grassi nel nostro organismo. L’immagine più comune è quella dell’eccesso di zuccheri che si converte in trigliceridi. Questa visione in realtà è molto limitata, la trasformazione del glucosio in acidi grassi è un evento raro e che contribuisce ai nostri depositi mediamente per un 10%. Cerchiamo di capire perché. Quando introduciamo zuccheri questi devono essere metabolizzati, tutti i passaggi che portano dal pane mangiato alla formazione di ATP vedono un 60% delle energie dissipate in calore. Tradotto, su 100 kcal ne rimangono disponibili solo 40 kcal. Questa è la riserva, il cuscinetto, che l’organismo si crea, quello che comunemente si definisce metabolismo alto. Meno glucidi mangiamo, più siamo sedentari e introduciamo grassi e più perdiamo la capacità di dissipare le energie in calore. Di questo 40% di chilocalorie rimaste, l’organismo ne consuma un ulteriore 24% (1/4) per trasformare gli zuccheri in acidi grassi (mentre utilizza solo un 5% per convertirli in glicogeno). Alla luce di questi dati capiamo che, partendo da un fabbisogno glucidico di base di 2,2 -2,3 g/kg 180-220 g e aggiungendo un buon quantitativo glucidico consumato con l’allenamento, possiamo concludere che il corpo è in grado di sopportare anche alti quantitativi di zuccheri (4-7 g/kg) senza ingrassare. Ma allora perché chi mangia pane, pasta, pizza è mediamente grasso? Perché non si muove abbastanza con sforzi glicolitici e perché non ha più una buona affinità col glucosio. La capacità metabolica va allenata. Mediamente chi si mette a dieta assume meno calorie (e fin qui potrebbe anche andare bene) e introduce meno carboidrati. Facilmente erode contemporaneamente sia la massa magra sia la capacità metabolica e i mitocondri diventano meno capaci di dissipare le energie. Ma allora sono i grassi a farci ingrassare? Comunemente si. Mentre per creare acidi grassi da altri substrati il corpo spreca molte energie, per depositare quelli introdotti con la dieta consuma solo il 3 - 4%. Sentiamo di già le obiezioni (corrette) delle persone che dicono: “ma io con la low carb som dimagrito”. E vero, il motivo sta nel capire dove il corpo rilascia i grassi. Se l’insulina è tenuta sotto controllo, il tessuto principalmente preposto alla captazione dei trigliceridi è quello muscolare. Qui gli acidi grassi verranno ossidati in energia e quindi non ingrasseremo. Per questo molte diete puntano sulla calma insulinica, perché vogliono indirizzare le calorie sui muscoli e non sugli adipociti.

Le persone che mangiano pane, pasta e pizza ingrassano perché assieme a questi alimenti sicuramente stanno assumendo anche dei grassi, stimolando così l’insulina a cambiare il tessuto preposta alla loro captazione. Ma allora bisogna fare la dieta dissociata? No, perché l’organismo, per fortuna, non ragiona a pasto (a meno che non sia veramente molto calorico) ma a giornata o meglio a settimana. Puoi anche mischiare i macronutrienti, purché rientri nel tuo bilancio calorico. Per dimagrire quello che devi fare è: 1. muoverti e muoverti sempre più intensamente coi pesi o con attività aerobiche glicolitiche; 2. evitare di tenere costantemente l’insulina basale elevata; 3. riabituarti a sopportare i carichi glucidici. Cosa vuol dire? Che se fino ad ora mangiavi meno di 4 g/kg di carboidrati devi a poco a poco riprendere feeling con questo macronutriente. E non di botto iniziando ad introdurre un sacco di carboidrati, ma partendo con gradualità. Quanti glucidi stai assumendo al giorno? Quanti grassi? Ogni 7-15 giorni alza di 50 kcal il quantitativo di carboidrati e abbassali eventualmente dai grassi. Questi non devono scendere sotto ai 0,4 g/kg ma è meglio se stanno intorno a 0,7 - 0,8 g/kg. La gradualità è la chiave di volta, gradualità abbinata al corretto allenamento; 4. trova il giusto rapporto tra i macronutrienti. Vedremo nel capitolo finale che il quantitativo proteico, glucidico, lipidico è soggettivo, c’è chi si trova meglio a bruciare zuccheri, chi grassi. Ci sono però dei range entro cui tutti dovrebbero stare. Questi range ci permettono di stare in salute, di preservare e sviluppare la massa magra e di dimagrire. Ognuno di noi deve trovare i propri, ti insegneremo come fare; 5. Aumenta il tuo metabolismo. Facile a dirsi, ma come fare? Anche qui con gradualità, introducendo poche calorie (da fonti amidacee) in più a settimana. Prima di preoccuparti di voler perdere peso assicurati di assumere abbastanza calorie. Stai assumendo almeno 33 - 34 kcal/kg per gli uomini, 30-31 kcal/kg per le donne? Se non raggiungi questi valori di partenza, sarebbe meglio aumentare il metabolismo piuttosto che pensare di togliere calorie. E ancora il momento di investire. Per ora è tutto, stiamo aggiungendo un tassello alla volta, segnatevi le cose importanti, vedrete che arrivati alla fine avrete il quadro completo della situazione.

La flora batterica Contrariamente a quanto si crede, il nostro organismo non è a contatto con l'ambiente circostante soltanto tramite la cute, ma anche attraverso il tratto digerente. Dalla bocca all'ano comunichiamo con l'esterno, la mucosa intestinale occupa 200 m2, spazio in cui viene a contatto con le sostanze esterne. Per questo adeso all'intestino troviamo il sistema linfatico. Il 70% del sistema immunitario risiede qui, in questo tratto del nostro organismo deputato al passaggio delle sostanza dall'esterno all'interno. Nell'intestino vivono più batteri rispetto a tutte le cellule del nostro corpo, pertanto, per la nostra salute, la flora batterica deve funzionare in simbiosi con noi. Batteri ed organismo devo cooperare per la salute dell'individuo. Noi forniamo un posto sicuro ai microrganismi dove sopravvivere, loro ci aiutano attraverso due aspetti primari. 1. Mantenendo l’integrità della mucosa intestinale. In seguito all'assunzione di polisaccaridi di origine vegetale, i batteri creano acidi grassi a catena corta (acido acetico, propionico, bitirrico), essenziali sia come fonte di energia per le nostre cellule epiteliali, sia per i colonociti (cellule del colon).

2. Proteggendoci da organismi patogeni. I batteri presenti nel tratto digerente occupano spazio e lottano contro i batteri provenienti dall’esterno per non cedere il loro ambiente. Per questo ancora prima che si attivi il nostro sistema immunitario attaccano gli elementi patogeni, aumentando così le difese delforganismo. La flora intestinale ha anche altri aspetti secondari altrettanto utili per la nostra salute: J produce vitamina B12 e K (purtroppo la loro assimilazione avviene nel duodeno e non nel colon dove vengono prodotti, così il loro utilizzo sarà a carico degli stessi batteri che gli hanno creati);

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produce alcuni aminoacidi (arginina, glutammina, cisteina);

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aiuta il metabolismo degli acidi biliari e della bilirubina;

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favorisce il processo di digestione e assorbimento;

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modula l'infiammazione del tratto digerente.

La flora batterica può essere influenzata negativamente dall'assunzione di farmaci, dall'alcol, dal fumo, da cibi inquinati, dai carboidrati raffinati, dall'eccesso di proteine animali, dall'assunzione di poche fibre, da stress, da uno stile di vita sedentario, dagli antibiotici e dal masticare poco i cibi. A seconda degli alimenti che mangiamo alcuni batteri intestinali vengono facilitati o ostacolati nella loro proliferazione. Per esempio, un'alimentazione molto proteica non supportata da sufficienti quantitativi di vegetali abbassa il pH intestinale. Questo provoca una minor proliferazione dei batteri prosimbiontici, causando il rallentamento del passaggio delle sostanze nel colon. L'organismo viene così per più tempo a contatto con sostanze potenzialmente dannose, come acidi biliari secondari, ammine, ammoniaca, ecc. Ogni volta che la microflora si indebolisce, anche il nostro organismo ne risente, per questo un'alimentazione bilanciata, che favorisca i cibi naturali e freschi e che contenga nel giusto rapporto tutti i macronutrienti, porta a migliorare la salute organica attraverso la proliferazione dei batteri biosimbiontici. Un intestino che sta bene è in grado di ridurre l'assorbimento di colesterolo, portando a migliorare i trigliceridi nel sangue e di conseguenza migliorando la composizione corporea. Così, dimagrire o ingrassare inizia ancora prima che abbiamo assimilato il cibo. Assumere antibiotici aumenta la percentuale di grasso corporeo, questo si è evidenziato negli allevamenti; gli animali sottoposti a cicli di antibiotici risultano essere più grassi. Meno batteri simbiontici avete e meno calorie vi ruberanno per nutrirsi. Va ricordato che la somma di tutti i microrganismi del nostro corpo arriva a qualche chilo, quindi non sono per nulla irrilevanti. Inoltre, il sistema nervoso di relazione è strettamente correlato col sistema nervoso viscerale. Quello che succede al nostro intestino si riflette esternamente e viceversa, le nostre vicissitudini (ansie, preoccupazioni, dispiaceri, rabbie) si possono ripercuotere sui visceri. Esiste una relazione tra salute intestinale (microbioma) e senso della fame. Una flora batterica alterata manderà segnali al cervello per chiedere di introdurre nuovo cibo. Il nostro senso I dell'appetito così non è solo modulato dalle richieste dell'organismo ma anche dai batteri che I ospitiamo. Quello che sembra emergere è che questo rapporto simbiotico si instaura fin dalla nascita. I Bambini che mangiano male, avranno un flora alterata e avranno più facilmente fame.

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Probiotici e Prebiotici Forse perché sono cresciuto senza bere il latte materno, ma da piccolo ero sempre ammalato. Curato con antibiotici su antibiotici, all'età di quattro anni sono finito in ospedale per via di un'irrefrenabile diarrea. Sarei potuto morire soffocato dalla mia stessa merda, ma per fortuna non è finita così (almeno per me). Cos'era successo? Gli antibiotici avevano decimato la flora batterica, meno microrganismi simbiotici meno digestione di carboidrati e meno produzione di acidi grassi a catena corta. Questo provoca per osmosi un richiamo d'acqua nell'intestino, che la espelle come diarrea. All'ospedale mi curarono con l'assunzione di probiotici, l'intestino tornò rapidamente a posto e dopo poco mi dimisero. Cosa sono i probiotici? Non sono altro che microrganismi che una volta ingeriti sopravvivono all'acidità dello stomaco, ed arrivati nell'intestino si stabilizzano portando benefici per l'animale che li ospita. Il colostro e il latte materno aiutano il neonato a crearsi una flora batterica positiva, caratteristica che ritroviamo anche in alcuni latti biologici e in alcuni yogurt che possiedono determinati batteri lattici. La presenza di quest’ultimi la possiamo leggere sulle etichette nutrizionali dei prodotti che li contengono sotto la dicitura lattobacilli o bifidobatteri. In questi anni, famose marche sono state condannate per pubblicità ingannevole, quindi non pensate di risolvere i vostri problemi intestinali semplicemente mangiando lo yogurt. I prebiotici invece sono alimenti di origine vegetale che non possono essere assorbiti dall'organismo ma che vengono digeriti dalla flora intestinale, aiutandola a proliferare. Le fibre alimentari sono la fonte principale di prebiotici e non dovrebbero mai mancare nella nostra alimentazione (vedi paragrafo sulle fibre). Finché li mangiamo perdurano i vantaggi per l’organismo, altrimenti si perdono gli effetti, per cui le sane abitudini vanno mantenute per tutta la vita. Dopo un ciclo di antibiotici potrebbe avere senso assumere probiotici. Per far si che i soldi che avete speso abbiano effetto, assicuratevi che siano microincapsulati, in modo da resistere meglio al passaggio gastrico e che contengano almeno due miliardi di cellule vive formate da non meno di cinque ceppi di batteri differenti. Molti studi non correlano benefici con l’assunzione di probiotici, spesso questo succede perché il prodotto assunto non era qualitativo e perché la dieta non supportava l’integrazione. Anche l’integrazione di Glutammina ed Arginina sembrerebbe aiutare sia la flora batterica sia il turnover della mucosa intestinale. E interessante sapere che le cellule intestinali hanno una vita media di solo 3-4 giorni e la maggior parte del turnover proteico dell’organismo avviene quindi per sostituire gli enterociti e gli epatociti. Ricordatevi tuttavia che una volta che smettete di assumere l’integratore, la flora tende a ritornare com’era prima se non correggete l’alimentazione.

La permeabilità intestinale L'intestino è attaccato continuamente da microrganismi patogeni, ma anche da quello che mangiamo. Il nostro organismo per assimilare qualcosa la deve prima riconoscere, poi dissembrarla portandola alla sua forma più semplice (amido>glucosio), veicolarla nell'epitelio intestinale e riassemblarla. In tutti questi passaggi possono avvenire degli errori. Una flora intestinale alterata, un'alimentazione con troppi zuccheri, alcol, caffè, l'assunzione di medicinali, alimenti con inibitori della proteasi, possono alterare il passaggio intestinale.

Le proteine più grandi così non verranno scisse in aminoacidi ma riusciranno a penetrare intere nell'organismo, producendo danni e promuovendo l'infìammazione cronica. Il glutine è una delle proteine più sotto accusa (vedi relativo paragrafo). Se l'intestino “si buca” oltre ai macronutrienti possono penetrare anche agenti patogeni, batteri, funghi e parassiti. Oggi esiste un test medico (con bassa validità scientifica) per verificare la presenza della permeabilità intestinale. Si somministra uno zucchero più grande, il lattulosio ed uno più piccolo, il mannitolo e si guarda la loro presenza nel sangue. Teoricamente il corpo dovrebbe assorbire i monosaccaridi più facilmente, se il rapporto è alterato vuol dire che anche le molecole più grandi riescono a passare la barriera intestinale. Se questo avviene la dieta dev'essere seguita da uno specialista che indicherà quali alimenti evitare. Una corretta alimentazione, la presenza di probiotici e prebiotici, il giusto quantitativo di fibre (se abbiamo già una permeabilità intestinale le fibre potrebbero scatenare effetti negativi) aiutano a mantenere integra la barriera intestinale. Ricordiamoci sempre che tutto quello che viene correttamente digerito dai succhi gastrici e pancreatici difficilmente crea problemi a livelli intestinali, quindi attenti a cosa e a quanto mangiate.

Colon irritabile e problemi intestinali La sindrome del colon irritabile (IBS) è una delle patologie più diffuse nella società occidentale. Mediamente ne è affetto un 15% della popolazione adulta. La diagnosi della malattia è molto difficile perché spesso ne un esame radiologico ne endoscopico riescono a trovare alcuna alterazione. Anche l’esame delle allergie o intolleranze è positivo soltanto nell’1-3% dei pazienti affetti, il restante 12-14% non presenta nessuna alterazione dagli esami medici. Rimangono solo i sintomi, ovvero: dolore addominale, nausea, sensazione di disagio, gonfiore addominale, stitichezza, diarrea, possibile alvo alterno. I sintomi generalmente migliorano dopo la defecazione. La malattia potrebbe essere scatenata in molti casi dalla relazione che intercorre tra il nostro intestino e l’apparato nervoso. Dopo il cervello il tratto digerente è la parte più innervata dell’organismo. Un eccessivo stress potrebbe riversarsi così sul nostro intestino. Tale affermazione è in parte supportata dai benefici dei pazienti trattati con placebo. 1 sintomi mediamente aumentano con: J pasti abbondanti

accumulo di gas nel colon

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assunzione di farmaci

assunzione di grano, orzo, segale, cioccolata, latte e derivati o alcool

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assunzione di bevande contenenti caffeina

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situazioni di stress, conflitto o turbamento emotivo

La serotonina potrebbe essere uno dei fattori chiave nella sindrome del colon irritabile. Mediamente questo neurotrasmettitore è associato alle funzioni del cervello. In realtà soltanto il 5% si trova nel SNC, il restante 95% è situato nell’intestino. Pazienti affetti da questa patologia presentano sovente dei recettori alterati, questo interagisce con le normali funzioni degli organi intestinali, rallentandone e alterando la motilità ed aumentando la sensibilità della zona al dolore. Anche il microbioma sembra essere implicato. Una sua alterazione sia in difetto che in eccesso può creare problemi. Per questo alcuni pazienti presentano un aumento dei sintomi se assumono fibre (soprattutto insolubili) mentre altri sembrano migliorare. Lo stesso effetto lo si ha con i latticini.

Il glutine inizialmente è stato incolpato e si è parlato di soggetti affetti da una lieve celiachia. Tuttavia negli ultimi tempi si è visto che alcuni soggetti che non assumevano più glutine, dopo una sua reintroduzione sono migliorati. L’apparato digestivo non è solamente interconnesso con quello nervoso ma anche con quello immunitario. Per questo alcuni pazienti possono presentare reazioni immunologiche all’introduzione di determinati cibi. Ad oggi si consiglia di prestare attenzione ai seguenti alimenti: latte, dolcificanti (sorbitolo, fruttosio), marmellate, frutta, verdura, spezie, caffè, tè, bevande zuccherate o con caffeina I rimedi generali sono: J adottare una dieta opportuna

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mangiare ad orari regolari e senza fretta masticando lentamente

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evacuare sempre alla stessa ora (preferibile al mattino dopo la colazione, quando interviene un riflesso fisiologico)

J praticare una moderata ma costante attività fisica J evitare l’uso eccessivo di farmaci, lassativi in particolare J

evitare alcolici e cibi troppo speziati

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consumare tisane al finocchio e zenzero

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ridurre lo stress

Cosa provoca i tumori (le linee guida) Inseriamo in questo capitolo un argomento che non è di nostra competenza (la relazione tra alimentazione e tumori), tuttavia visto che su internet si legge di tutto e di più, proviamo a scrivere, senza commentare, le linee guida del WCRF (Word Cancer Research Fund). Quando leggete una notizia su Facebook tipo: “La causa primaria del cancro fu scoperta nel 1931 ”, “Grazie a questo alimento il tumore è regredito ”, “Scoperto cosa provoca il cancro negli alimenti”, ecc., siete sicuri di leggere cazzate. Guardate le grandi organizzazioni mondiali e nazionali cosa dicono, perché prendono in considerazione tutti gli studi, non uno che dimostra che le ciliegie sono cancerogene. Potete credere che tutte le linee guida si basano solo sugli interessi delle multinazionali, ma a questo punto non citate nessuno studio, perché tutte le ricerche seguono Io stesso percorso scientifico e sono sottoposte alle stesse analisi. O nessuna pubblicazione è valida, o sono le review e le meta-analisi degli studi a dare le linee guida! Non c’è bisogno di nessuna congiura o complotto delle multinazionali a discapito del cittadino. Milioni di persone al mondo prendono statine, farmaci per il diabete o l’osteoporosi, ma potrebbero evitarli semplicemente migliorando il loro stile di vita. Non lo fanno perchè costa fatica. Questa è la realtà!

I tumori sono la seconda causa di morte in Europa e in Italia. I numeri sono costantemente in crescita. Le forme tumorali che causano il maggior numero di decessi a livello mondiale sono il tumore al polmone, allo stomaco, al colon retto, al fegato e alla mammella. Quando leggete che un fattore aumenta del 100% il rischio di contrarre un tumore non vuol dire che vi ammalerete sicuramente ma semplicemente che la probabilità di base è raddoppiata. Quindi se in partenza tutti ci possiamo ammalare di un determinato tumore con un rischio dello 0,003% (numero preso a caso sul sito dell’AIRC trovate tutte le statistiche esatte) , raddoppiare la possibilità vuol dire passare a 0,006%. I tumori hanno sempre delle cause multifattoriali, non ci si

ammala perchè si mangia un alimento (a meno che non sia fortemente contaminato) ma perchè si sommano tutta una serie di fattori. Le evidenze scientifiche vengono espresse su tre livelli: convincente, probabile, limitata evidenza, più un quarto livello per cui l’associazione col tumore è altamente improbabile. Le prime linee guida vedono nel sovrappeso il primo fattore di rischio e raccomandano di basare la propria alimentazione principalmente su alimenti di origine vegetale, di limitare le carni rosse e di evitare quelle processate. Negli ultimi cinquant’anni il consumo di cereali si è dimezzato, mentre il tumore al colon-retto è quintuplicato. S Si ritiene che gli alimenti ricchi di fibre (ortaggi, frutta, legumi, cereali integrali, radici e tuberi), riducano il rischio d’ammalarsi di malattie croniche e cardiovascolari e probabilmente proteggano contro il cancro.

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Si ritiene convincente che i cibi contaminati da aflatossine (metaboliti secondari di funghi e muffe) siano causa del cancro al fegato. I principali alimenti contaminati sono: frumento, riso, mais, avena, orzo e le arachidi. Anche i mangimi per animali possono essere contaminati e le aflatossine possono essere secrete nel latte o accumulate nei tessuti. Un altro fattore di rischio molto importante correlato al fegato è l’epatopatia alcolica.

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Vi è una correlazione positiva che la carne rossa e quelle processate rappresentino una causa del cancro al colon-retto. Per carni rosse si intende quelle di vitello, manzo, maiale, agnello e capra. Per carni conservate invece quelle sottoposte ad affumicatura, essicazione, salatura, o aggiunta di conservanti chimici. La carne conservata per refrigerio non è ritenuta processata, mentre la carne tritata come gli hamburger si. Tra le cause del cancro correlate alla carne c’è la produzione batterica nell’intestino di N-nitroso conseguente a una sua assunzione. I nitrati utilizzati per conservala si convertono in nitriti e in N-nitroso. La cottura ad alte temperature crea amine enteriche ed idrocarburi che aumentano il rischio di tumori. La cottura alla griglia e la caduta di grassi, determina la produzione di PAHs che aderiscono alla superficie dell’alimento. Anche la presenza di ferro eme nelle carni promuove la formazione di N-nitrosi, oltre quella di ferro libero che crea invece danni ossidativi, cellulari e la formazione di citochine pro-infiammatorie.

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Si ritiene il latte abbia un’azione probabilmente di protezione dal rischio al cancro del colon-retto. Questo grazie al contenuto di calcio che contiene. Al contrario una sua eccessiva assunzione sembrerebbe incrementare il rischio di cancro alla prostata (giudicato probabile).

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Si ritiene il sale come causa probabile del cancro allo stomaco. Si raccomanda una assunzione massima di 5 g al giorno.

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Si ritiene esista una probabile evidenza tra bevande molto calde e l’insorgenza del tumore all’esofago.

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Si ritiene che le bevande alcoliche abbiano un livello convincente di evidenza come causa di cancro alla bocca, faringe, laringe, esofago, colon-retto (uomini) e mammella. Risulta come livello probabile per il cancro al fegato e colon-retto (donna). L’alcol agisce come carcinogeno sinergico col tabacco per indurre mutazioni nel DNA.

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Si ritiene ci siano evidenze probabili tra l’assunzione di vegetali non amidacei e l’effetto protettivo contro tumori alla bocca, laringe, faringe, esofago e stomaco.

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Si ritiene che gli alimenti della famiglia delle liliacee (aglio, cipolla, porri, ecc.) presentino una probabile azione protettiva per i tumori allo stomaco e al colon-retto.

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Si ritiene probabile che la frutta in generale possa abbassare il rischio di cancro alla bocca, laringe, faringe, esofago, stomaco e polmone.

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Si ritiene che i cibi che contengono carotenoidi (spinaci, cavoli, zucca, peperoni, carote, pomodori, melone, patate dolci, ecc.) abbiano una probabile azione protettiva contro i tumori alla bocca, laringe, faringe e polmone.

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Si ritiene probabile che i cibi contenenti folati (vegetali, frutta, fagioli, fegato) proteggano dal tumore al pancreas. Nello stesso modo quelli contenenti selenio (pesce, cereali integrali, germe di grano, semi di girasole, noci brasiliane), proteggano dal cancro alla prostata.

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I cibi contenenti vitamina C (peperoni rossi e gialli, kiwi, broccoli, papaya, agrumi, fragole, pomodori), probabilmente hanno un’azione protettiva contro il tumore all’esofago.

Le raccomandazioni finali del WCRF sono: 1. mantenersi snelli tutta la vita; 2. muoversi attivamente tutti i giorni; 3. evitare gli alimenti ad alta densità calorica e le bevande zuccherate; 4. basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non raffinati e legumi in ogni pasto, assumendo un’ampia varietà di frutta e verdura; 5. limitare il consumo di carni rosse ed evitare quelle processate; 6. limitare il consumo di bevande alcoliche; 7. limitare il consumo di sale e cibi conservati; 8. assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrimenti attraverso il cibo; 9. allattare i bambini al seno almeno per 6 mesi; 10. le raccomandazioni per la prevenzione alimentare al cancro valgono anche per chi è già ammalato. Non abbiamo finora mai citato il fumo come causa del cancro perché non è un alimento. Tuttavia rimane una concausa evidente che peggiora e aumenta, in modo sinergico, gli effetti dati da una cattiva alimentazione. Diamo di seguito alcuni strumenti per non essere preda di chi vi cita gli studi sul cancro. 1. Paragonare studi epidemiologici dei paesi più poveri con quelli della popolazione occidentale è sprofondamene scorretto, perché non tiene conto dello stile di vita. La stessa cosa avviene se paragoniamo la popolazione benestante a quella povera o se guardiamo i dati relativi ai nostri nonni rispetto a noi. Tutte le persone che si nutrono di meno (senza carestie) e si muovono di più sono soggette a meno malattie croniche per via di un migliore BMI. 2. Paragonare uno stile alimentare in cui si tiene conto della qualità del cibo con l’alimentazione deH’americano medio ha poco senso. I paragoni devono essere fatti tra campioni della popolazione che prestano la stessa attenzione alla qualità degli alimenti. 3. Il fattore primario per molte malattie (compresi alcuni tipi di cancro) è il grasso viscerale. Alcune diete sono considerate protettive nei confronti dei tumori perché portano a dimagrire. Si associano cosi diversi fattori per trovare una correlazione diretta, quando in realtà è indiretta. 4. Gli studi osservazionali (epidemiologici) hanno un grado d’evidenza più basso rispetto a quelli causali. Questo perché trovano correlazioni quando i fattori in gioco possono essere molteplici e forvianti. Per esempio a livello statistico chi mangia all’ospedale ha un’aspettativa di vita più bassa. Ma questo succede perché mangia li o perché si trova ricoverato per problemi di salute? Studi causali sono invece più attendibili perché dimostrano un nesso diretto (di causeeffetto), replicabile e verificabile da qualsiasi ricercatore.

L'equilibrio acido-base e la dieta alcalina Negli ultimi anni si è assistito ad una separazione dell'informazione. Da una parte il metodo scientifico si è fatto più rigoroso. Oggi non solo possiamo leggere cosa dice una ricerca, ma possiamo vedere quante volte viene citata da altre, sappiamo che alcuni studi sono probabilmente corrotti da bias e che le metanalisi-review hanno più valore delle singole ricerche. La scienza non ha risposto a tutti i perché (anzi la maggior parte delle porte rimangono ancora chiuse), ma si è strutturata in modo che l'opinione del singolo non conti e valgano i dati oggettivi. Dall'altra parte internet, le riviste, la televisione e i social, hanno creato un'informazione “free” (gli studi generalmente si pagano), veloce, semplice e concisa. In poche righe il lettore viene a conoscenza di sconvolgenti verità e di soluzioni pratiche per migliorare la sua vita e la sua alimentazione. 'Su Facebook ci sono verità che gli scienziati ignorano". Questa premessa era doverosa per introdurre il tema dell'alimentazione alcalina, una dieta ormai resa famosa dalla trasmissione televisiva “Le Iene”, ma anche da “esperti” del settore, medici e anche qualche professore universitario. Insomma, all'apparenza questo approccio sembrerebbe avere una schiera di personaggi illustri pronti a sostenerlo e a divulgarlo, ma a livello scientifico cosa troviamo?

Niente

Non troviamo niente (solo studi a basso impatto), la dieta alcalina è una bufala che non ha nessuna base fisiologica. E un po' come sostenere che la terra è piatta senza portare alcuna evidenza. Ovviamente non è che dovete credere a quello che scriviamo, fatevi carico del vostro bagaglio informativo, andate su pubmed e spendete del tempo ad informarvi, oppure ricercate su google nei siti ufficiali di ricerca medica (AIRC). Guardate cosa dicono gli studi, non le persone. Un medico, un professore universitario, quando parlano non parlano a nome della scienza, medico e medicina non sono sinonimi, altrimenti non sentiremmo tanti pareri discordanti. Il medico studia la medicina, la interpreta e purtroppo molto spesso vende la sua visione facendola passare per scienza. Quando vi accorgerete che dietro alla dieta alcalina non c'è nessuna prova scientifica chiedetevi, perché chi la promuove non ci fa uno studio sopra? Potrebbe vincere il Nobel per la medicina e non lo fa. Potrebbe essere ricordato dalla storia e ci rinuncia magari per vendere qualche prodotto, qualche consulenza o per pubblicare un libro commerciale senza valore (come il nostro). Dopo questa lunga ma doverosa premessa (ci siamo soffermati perché la disinformazione è veramente dilagante), affrontiamo dal punto di vista fisiologico l'equilibrio acido-base. Se avete studiato medicina o nutrizione, troverete in qualsiasi libro universitario quello che riassumeremo, lo scriviamo per farvi capire che questa non è la nostra posizione ma è la fisiologia e la biochimica di base, universale e presente in tutti i libri universitari. Se non potete respirare, in pochi secondi morite soffocati. Bene, il pH sta alle cellule, come l'aria sta al nostro organismo. La sua stabilità è fondamentale per regolare la funzione degli enzimi, se varia si innescano o si bloccano centinaia di reazioni, portando nell'immediato la cellula a morire. Pertanto l'organismo preserva l'omeostasi del pH come priorità assoluta. Anche piccole variazioni permanenti portano la persona ad essere ricoverata in ospedale. Ma cerchiamo di definire cosa vuol dire acido e basico. L’idrogeno è l’elemento più diffuso in natura, nei sistemi biologici è presente principalmente in forma legata al carbonio (legami C-H), all’ossigeno (legami O-H) e all’azoto (legami N-H).

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A seconda della forza con cui l’idrogeno è legato agli altri atomi, è possibile che si dissoci (ovvero passi dalla forma legata a quella disciolta) e si presenti sotto forma di ione con una carica elettrica positiva (H+). Questo può avvenire in tutte le soluzioni acquose. Nella nostra scala, una soluzione contenente acqua, si considera neutra quando ha un pH di 7. Quando una sostanza disciolta in acqua libera ioni idrogeno, aumenta la concentrazione e abbassa il pH, pertanto viene considerata acida. Viceversa, quando una sostanza disciolta in acqua lega ioni idrogeno, diminuisce la concentrazione ed alza il pH, pertanto viene considerata basica. Il pH si misura in scala logaritmica in base 10. Che vuol dire? In matematica, il logaritmo di un numero, in una data base, è l'esponente al quale la base deve essere elevata per ottenere il numero stesso. Per esempio, il logaritmo in base 10 di 1000 è 3, poiché bisogna elevare 10 alla terza potenza per ottenere 1000, ovvero IO3. Tradotto, le variazioni del pH sono esponenziali ed anche piccoli decimali ottengono grandi effetti. Per questo il corpo neutralizza il pH degli alimenti che introduciamo. Bevete il succo di limone (pH 2,4) che è molto acido ma quest'ultimo quando viene a contatto coi succhi gastrici (pH 2) si acidifica ulteriormente, tuttavia quando arriva nell'intestino viene a contatto con la bile (pH 7,6 - 8,6) che lo alcalinizza. Grosse variazioni del pH negli alimenti vengono neutralizzate facilmente dall'organismo. Tuttavia i cibi che ingeriamo hanno sali inorganici che arrivano inalterati a contatto con il flusso sanguigno e hanno un potere acidificante o alcalinizzante. Per questo il limone pur essendo acido basifica, perché i suoi sali inorganici hanno questa tendenza. Qui, purtroppo, si ferma la dieta alcalina ed inizia la fisiologia. Perché è vero che gli alimenti hanno un'influenza sul nostro pH, ma è il quanto, il punto rilevante. Se togliete dal mare una quantità d'acqua pari a un bicchiere, questa è sicuramente diminuita ma la quantità sottratta sarà del tutto irrilevante. L’omeostasi del pH è un parametro talmente importante che l'organismo ha diversi sistemi per governarlo. Il primo e più importane è la respirazione. Quando vi allenate vi viene il fiatone. In realtà l'aumento della frequenza e/o profondità ventilatoria non è dato in primis da un aumento delle richieste d'ossigeno, ma da un'esigenza di espellere l'anidride carbonica. Il lavoro muscolare sta producendo acido lattico che potenzialmente acidifica l'organismo. Buona parte dell'acido lattico viene convertito in anidride carbonica ed acqua, ecco spiegata l'esigenza d'espellerla il più rapidamente possibile. C'è un altro modo che l'organismo utilizza per basificarsi, vomitare. Succede raramente e probabilmente c’entra di più quello che vi è rimasto sullo stomaco che l'eccesso d'acidosi dato dall’allenamento ma il vomito è un altro mezzo per alzare il pH rapidamente. Tornando alla dieta alcalina, gli alimenti ricoprono un ruolo nella regolazione del pH come io occupo un posto nel cuore di Belen. Se “tendiamo” leggermente all'acido, la profondità del respiro varia impercettibilmente e subito abbiamo ricreato un equilibrio. Oltre alla respirazione, c'è un secondo importante regolatore: i reni. Questi attraverso il riassorbimento dei bicarbonati o l'escrezione dei fosfati e dell'ammonio regolano il pH sanguigno. Il loro ruolo è fondamentale per espellere sostanze organiche non volatili e se subiscono alterazioni state certi di finire dal medico e in ospedale. Quando vi fate le analisi delle urine con la cartina tornasole non state valutando il sovraccarico renale, sarebbe troppo bello e le aziende dei bicarbonati sarebbero multinazionali miliardarie. Se mangiate acido i reni abbassano il pH delle urine tramite un meccanismo del tutto fisiologico. Non si affaticano, sarebbe come dire che il cuore si stanca a battere o i polmoni a respirare. Per concludere, la dieta alcalina può far stare realmente bene perché spinge le persone a mangiare alimenti idratati, ricchi di vitamine, minerali ed antiossidanti (frutta e verdura sono i

principali alimenti basici) ma il miglior benessere fisico sarà raggiunto per questi motivi e non perché vi siete alcalinizzati. Se avete ancora dei dubbi a riguardo pensate, che test fate per verificare il vostro pH? E questo test che valore scientifico ha (che studi lo supportano su Pubmed, che attendibilità ha rispetto al gold standard scientifico)? Rispondete a questa domanda e finirà la vostra convinzione sulla dieta alcalina.

Sonno e cicli circadiani Troviamo l’argomento sonno sempre noioso da trattare perché, in sintesi, potrebbe essere così riassunto: se puoi dormire dormi, se non puoi farlo stai sereno perché otterrai i risultati lo stesso. Ormai quasi tutti i mesi esce un articolo che correla la mancanza di sonno con una maggior probabilità di ingrassare. I fattori sono molteplici: J più stai sveglio e più è facile avvertire lo stimolo della fame

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sotto le 6-7 ore di sonno la leptina scende e sale la grelina, due ormoni che influenzano l’appetito e la composizione corporea mangiare la notte interrompe il digiuno notturno, ovvero il momento della giornata dove dimagriamo maggiormente

più si sta svegli e mediamente più si alza il cortisolo abbassando l’affinità del corpo col glucosio S

dormire poco sballa i cicli circadiani

Vista in questo modo, ed in parte è così, il sonno è un potente alleato per migliorare la composizione corporea e la salute. L’uomo preistorico dormiva molto più di noi (da quando calava il sole a quando sorgeva), per questo è logico pensare che siamo programmati per dormire 8 - 12 ore al giorno (a seconda della stagione). Fatta questa doverosa premessa ripartiamo dalla frase iniziale. Se potete dormire meno di 8 ore per notte, non preoccupatevi, i risultati arriveranno lo stesso. Questo perché l’essere umano è una macchina meravigliosa, capace di adattarsi alle necessità. Un esempio sono le variazioni dei cicli circadiani. Cosa sono? L’uomo possiede un orologio interno che gli permette di mantenere, nel suo equilibrio, un’alternanza dei valori ormonali, senza che questo comporti problemi per la salute o per l’omeostasi. Gli ormoni variano in base agli stimoli esterni-interni. Luce-buio e il cambiamento della temperatura dell’ambiente sono i due fattori chiave su cui si programmano i nostri cicli circadiani. In assenza di stimoli esterni (luce artificiale costante in una stanza tenuta sempre con la stessa temperatura), nel tempo, la nostra giornata si allungherebbe intorno alle 36 ore. La melatonina è la sostanza (simil-ormone) che influenza i cicli circadiani. E prodotta principalmente dalla ghiandola pineale in assenza di stimoli luminosi (quando fa buio). La mancanza di sonno e la luce artificiale possono influenzare in negativo la sua produzione. La cosa importante da sapere è che se le abitudini che abbiamo rimangono costanti e sono sopportabili (non dormite sempre solo 3 ore a notte), il corpo si autoregola. Sono i cicli circadiani a regolarsi sulle nostre abitudini e non viceversa. Così chi lavora sempre di notte avrà alterato il picco notturno del GH ma questo sarà comunque sempre presente in altri orari del giorno. E inutile basare la propria alimentazione o i propri allenamenti in base al momento più proficuo per i cicli circadiani, perché anche il momento peggiore se reiterato nel tempo diventerà il migliore.

Chi ci ha ideato l’ha fatto per permetterci di essere degli animali versatili, capaci di regolare il proprio orologio biologico in base alle esigenze. Dormite 6 ore a notte e vi allenate al mattino alle 5.30? Non preoccupativi, col tempo vi abituerete e vi allenerete come se fossero le 18.00. L’importante è che lo stimolo sia sopportabile, se il corpo non riesce a compensare dovrete trovare un compromesso tra i cicli circadiani originali e le vostre abitudini.

Regolazione oraria dei cicli circadiani

Il cortisolo ha una secrezione basale costante nelle 24 ore, con un picco massimo poco prima del risveglio (ci permette di attivarci), poi decresce durante la giornata ed ha un minimo nelle prime ore del sonno. Il GH raggiunge il suo massimo dopo le prime ore di sonno (tra le 24.00 e le 02.00), permettendo di mantenere stabile la glicemia preservando il glucosio, mentre registra valori minimi dal mattino all’ora di cena. Il testosterone ed il TSH (l’ormone che regola le funzioni tiroidee) hanno un apice notturno e nelle primissime ore del mattino per poi calare nella giornata arrivando ad un minimo nel tardo pomeriggio.

Capitolo V

Gli ormoni e la nutrizione Introduzione agli ormoni Bisognerebbe scrivere un libro intero per descrivere tutti gli ormoni, con le relative funzioni, disfunzioni, come entrano in gioco nella regolazione della composizione corporea, nella performance, nella salute e nel metabolismo. Questo testo vuole essere un'introduzione ad altri più completi e specifici. Pertanto affronteremo l'argomento semplificandolo con l'intento di dare al lettore gli spunti essenziali per comprendere come queste sostanze ci influenzano. Autocrini-Paracrini-Endocrini Gli ormoni sono dei messaggeri che permettono al corpo di comunicare aprendo o chiudendo specifiche porte. Quando pensiamo ad essi viene naturale visualizzare quelli che si riversano nel flusso ematico (umorale) e dal pancreas, dalle gonadi e dalla tiroide arrivano alle cellule muscolari o adipose. In realtà questa è soltanto una fetta del quadro. I messaggeri si dividono in autocrini, prodotti dalla stessa cellula che li utilizza; paracrini, prodotti nel liquido extracellulare con un'area d'azione molto limitata; endocrini, secreti nel sangue viaggiano in tutto il corpo. Questo breve accenno ci fa capire come la modulazione ormonale sia veramente complessa e chiara solo in minima parte fino ad oggi. Noi guardiamo alla punta dell'iceberg quando in realtà l’argomento è molto più vasto. Per esempio, solamente l'intestino produce 15 ormoni, mentre l'adipocita 10 adipochine differenti. Quindi ricordiamoci che i macroeffetti che possono avere gli ormoni endocrini risultano alquanto limitati se a livello paracrino ed autocrino non sono supportati, ovvero è sempre una sinergia di fattori organici e locali a decretare l’efficacia di un’azione ormonale.

Peptidici-Steroidei

La natura dei messaggeri può essere molto diversa. Alcuni ormoni sono di natura proteica e peptidica, come l'insulina e il glucagone. La loro azione è limitata alla membrana della cellula bersaglio. Non potendo oltrepassarla stimolano indirettamente il nucleo o il citoplasma attraverso messaggeri interni. La loro azione è molto rapida e gli effetti si esplicano nel breve termine.

Altri invece hanno una natura lipidica e vengono definiti ormoni steroidei. Derivano dal colesterolo, tra questi ricordiamo il testosterone. Il fatto di essere idrofobici permette loro di entrare direttamente nella cellula, ma non potendo viaggiare nel sangue da soli devono accoppiarsi a specifiche proteine di trasporto che sono in grado di disattivarli (testosterone totale e libero). La loro azione è più lenta, ma di più lunga durata. Abbiamo anche degli ormoni derivanti dagli aminoacidi, come {'adrenalina e la tiroxina e derivanti dagli acidi grassi come gli eicosanoidi. La vita media degli ormoni è piuttosto breve, una volta esplicata la loro azione vengono rapidamente disattivati. Questo permette all'organismo di avere una risposta adeguata e controllata. Alcuni ormoni continuano ed essere prodotti attraverso secrezioni pulsatorie e mantengono livelli basali anche senza stimoli esterni.

Recettori di membrana Non è sufficiente soltanto il valore di un ormone per decretarne l'effetto. Se le cellule bersaglio sono poco affini, questo verrà facilmente degradato o convertito piuttosto che adempiere al suo compito. In molti casi, vedi la resistenza all'insulina o alla leptina, anche se i valori ematici sono elevati, le cellule non rispondono più ai segnali. L'interazione ormone-recettore è decretata dall'affinità di quest'ultimo, dalla capacità di legarsi e dal numero di recettori. Livelli ormonali eccessivi inducono la cellula a diminuire i suoi recettori attraverso il fenomeno della down-regulation. Il detto “il troppo stroppia” funziona anche peri nostri tessuti: la sovrabbondanza abbassa l'affinità con una determinata sostanza, portando nel tempo un peggioramento della risposta cellulare. Feedback negativo-positivo

Il nostro organismo tende all'omeostasi, pertanto ha ideato un sistema di feedback per regolare i dosaggi ormonali. Come nelle operazioni in borsa, quando le azioni vengono bloccate per eccesso di rialzo o ribasso, il corpo ad un aumento dei livelli ormonali, blocca o regola la sovraproduzione attraverso l'attivazione o l'inibizione di altri ormoni. Un esempio sono gli ormoni tiroidei. La loro produzione è stimolata dal TRH, che a sua volta stimola il TSH; ma ogni passaggio, oltre a innescare quello successivo, inibisce anche quello precedente. Questo evita che l'organismo continui a produrre T4-T3, anche quando i valori sono sufficienti a soddisfare le necessità organiche. Raggiunto un certo livello, la secrezione rallenta o si interrompe. La produzione è stimolata dalla domanda, quando questa cessa anche la produzione cessa. Almeno così avviene quando l'organismo è sano. Diete estreme (sia troppo ipercaloriche che troppo ipocaloriche) e stili di vita non salutari possono alterare il sistema di feedback. Effetti ormonali L'azione degli ormoni generalmente influenza la cellula in tre modi: 1. incentivando la sintesi di determinate proteine; 2. modificando la permeabilità a specifiche sostanze; 3. modulando (stimolando o inibendo) l'attività di determinati enzimi.

Patologico-natural-doped C'è molto marketing dietro all'informazione riguardante gli ormoni. Riviste del settore, aziende di integratori, ricerche finanziate, confondono gli effetti ormonali agli ignari lettori. Se leggete che i BCAA aumentano del 140% la sintesi proteica sarete tentati di comprarli. Peccato però che chi divulga la notizia si dimentica di dirvi che l'effetto è dimostrato in soggetti ustionati e non in persone sane. Altrettanto avviene per l’azione anabolizzante del testosterone sul

tessuto muscolare, che è molto rilevante solo con variazioni non fisiologiche. I cambiamenti dei livelli ematici nei soggetti naturai non inducono a sviluppare più muscolo (l’ipertrofia è governata in primis da altri fattori come vedremo successivamente). Non è che grazie allo squat o allo stacco il maggior testosterone prodotto vi farà crescere di più le braccia. Le fluttuazioni ormonali possono aiutare ma gli effetti riguardano più la salute che l'estetica. Questo breve (ed incompleto) paragrafo ci deve far riflettere su quanto sia vasto questo mondo e su quanto il focalizzarci solo su un ormone sia riduttivo, rispetto ad un quadro molto più ampio ed in gran parte ancora sconosciuto.

Falsi miti a proposito del GH Il GH (o somatotropo) è un ormone peptidico ricercatissimo. Sarà per il suo nome (ormone della crescita) o perché gli atleti che se lo iniettano illegalmente diventano magrissimi e grossissimi (a volte anche diabetici), ma normalmente leggere che qualcosa (macronutriente, ciclo circadiano o allenamento) fa aumentare il GH colpisce subito la nostra attenzione. In realtà molti vantaggi apportati alla composizione corporea non sono dipendenti da lui. Ma andiamo per gradi. Iniziamo dalla crescita muscolare. L'ipertrofia non è dovuta da un aumento di GH (che comunque ha un effetto positivo sulla ritenzione d'azoto) e neanche all'IGF-1 (il fattore di crescita epatico che viene stimolato dalla produzione del somatotropo), ma dall'MGF (fattore di crescita meccanico). Questo ormone ha un'isoforma identica all'IGF-1 ed ha un'azione autocrina e paracrina (per cui sono colpiti solo i muscoli allenati), con un effetto ipertrofico locale sul miocita e sulle sue cellule satelliti. Lavori lattacidi aumentano il GH (ricordiamo che la vita media di questo ormone è di 20') ma stimolano anche l'MGF. L’effetto principale sulla composizione corporea del somatotropo è quello lipolitico, non anabolico. Purtroppo anche sul dimagrimento l'utilità deH'ormone della crescita è limitato. Il suo scopo è quello di preservare l'utilizzo del glicogeno che altrimenti sarebbe velocemente depauperato dall'effetto delle catecolamine (per farlo aumenta la lisi dei trigliceridi). Questo ha si un risultato dimagrante ma nel breve termine. Ogni volta che la cellula shifta il suo metabolismo sui grassi lo fa a discapito degli zuccheri. Pertanto a livello cellulare diminuiscono i GLUT-4. Questo cosa vuol dire? Che livelli cronici troppo alti di GH portano verso l'insulino-resistenza e il diabete. Infatti i bodybuilder che se lo iniettano per evitare l'iperglicemia (visto che il corpo utilizza sempre meno zuccheri e questi si accumulano nel sangue) assumono anche l'insulina. A lungo andare questo gioco (livelli ematici alti di GH e di insulina) portano chi si dopa a diventare diabetico di tipo IL Concludendo, il somatotropo è sicuramente un ormone utile alla composizione corporea ma basta stimolarlo in modo naturale con l'allenamento. Non dobbiamo essere ossessionati dai sui cicli circadiani (picco notturno) e da tutto quello che porta ad innalzarlo attraverso il cibo, come l'azione delle proteine, dell'arginina, omitina e glutammina. Quindi allenatevi in modo intenso e poi godetevi il riposo senza troppe seghe mentali sul GH.

Testosterone e Cortisolo Testosterone e Cortisolo sono due ormoni spesso associati, entrambi originano dal colesterolo ma prendono due vie metaboliche differenti. La loro associazione non avviene per somiglianza ma per antagonismo. L'esame endocrino testosterone-cortisolo viene utilizzato nello sport per individuare stati di sovrallenamento. Se prevale il primo siamo in fase anabolica, se prevale il secondo il catabolismo ha la meglio.

Il testosterone: il nostro miglior amico immaginario Dopo che si sono osservati i risultati ottenuti con anabolizzanti ricavati dal testosterone, atleti e sportivi hanno cercato in tutti i modi di trovare stratagemmi che, in modo naturale e senza effetti collaterali, portassero ad un suo aumento. Sono nati così diversi integratori (tribulus, fieno greco, ecc.) che sfruttano principi attivi naturali per implementarlo (con dubbio successo). Iniziamo subito dicendo che si guarda al dito senza scorgere la luna (come al solito). Nei naturai le modifiche dell'ormone sono quasi irrilevanti e non cambiano l'assetto metabolico, altrimenti al posto del Viagra verrebbe consigliato il tribulus o una seduta di squat. L'ipertrofia muscolare (sempre nei naturai) è data in primis da un vantaggio recettoriale non da livelli sierici più elevati. In chi si dopa la questione cambia perché il testosterone può arrivare a superare 10-20 volte i livelli fisiologici massimi, portando così un notevole incremento di massa contrattile, anche in chi non si allena. Purtroppo nei naturai le variazioni ematiche non sono così importanti come il marketing vuole farci credere. Per comprendere perché non basta innalzare i livelli ematici va detto che oltre ai valori sierici bisogna analizzare il valore del testosterone libero, quello attivo non legato alle proteine di trasporto. Inoltre bisogna conoscere il numero dei recettori cellulari, altrimenti gli effetti saranno comunque modesti. Per concludere, non basta sapere il numero dei recettori ma anche la loro affinità all'ormone. Praticamente nessuno è in grado di stabilire tutti questi fattori, quindi finché la concentrazione è nella norma è inutile perdere la testa per seguire la dieta del testosterone. Tra l'altro un aumento del valore base porta facilmente a una conversione in estradiolo (un estrogeno). Quindi, ammesso che si riesca a trovare un alimento naturale che lo stimoli fortemente, diffìcilmente potremmo impedire (senza l'utilizzo di farmaci) la sua conversione. Forse il solo modo naturale è quello di dimagrire depotenziando l'aromatasi (la conversione degli androgeni) delle cellule adipose. Tuttavia diete ipocaloriche abbassano naturalmente il testosterone, quindi si ritorna al punto di partenza. Il Me Ardle e Katch21, il libro di fisiologia più importante a livello sportivo, scrive che una dieta cronicamente iperproteica (oltre 1,5 - 1,7 g/kg) abbassa il testosterone. Vediamo di capire il perché. Il testosterone ha moltissime funzioni tra cui quella di facilitare l'ingresso degli aminoacidi nelle cellule, infatti viene correlato con una minor resistenza all'insulina visto che aumenta l'uptake cellulare. Se cronicamente abbiamo sempre molti aminoacidi nel sangue (soprattutto a catena ramificata) questa sua funzione può essere bypassata visto che sono già facilitati ad entrare nella cellula (vedi il paragrafo sui BCAA). Ecco spiegato perché diete cronicamente iperproteiche (con aminoacidi di alta qualità) potrebbero nel tempo abbassarlo. Ovviamente il “potrebbe” è d'obbligo visto che al momento sono solo teorie senza una serie di studi a supporto. Se volete dormire tranquilli ciclicamente fate giorni o pasti ipoproteici. Non catabolizzerete ed ottimizzerete tutti i processi biochimici. L'ultima cosa, per concludere, che possiamo ricordare è l’affinità del testosterone con le cellule adipose dell'addome. Da una parte le sensibilizza ai livelli glicemici, motivo per cui il grasso addominale è sensibile all'insulina ed al cortisolo, dall'altra facilita lo svuotamento potenziando i recettori (3-adrenergici (quelli lipolitici) rispetto a quelli a-adrenergici (quelli liposintetici). Pertanto il testosterone è un'arma a doppio taglio, con le giuste concentrazioni permette d'avere un addome piatto e magro, con un quadro ematico non ottimale contribuisce a portare il grasso a localizzarsi principalmente sulla pancia.

21 W.D. McArdle, F.L. Katch, V.L. Katch, "Fisiologia applicata allo sport", Casa Editrice Ambrosiana, 2009.

Il cortisolo ed i carboidrati Per quanto riguarda il cortisolo (il cattivo), è utile precisare che è un ormone essenziale per la vita. La sua funzione anti-infiammatoria ed immunitaria ci ha permesso di sopravvivere fino ad oggi, quindi averlo cronicamente basso non è sicuramente salutare. I globuli bianchi sono sprovvisti di mitocondri, pertanto utilizzano solo il glucosio. Il cortisolo ha la funzione di supportare il nostro sistema immunitario. Tuttavia un suo eccesso, dovuto allo stile di vita, aH’allenamento e ad un'alimentazione cronicamente iperproteica, può rallentare il dimagrimento e peggiorare la composizione corporea, oltre che causare veri e propri problemi di salute come l’ipertensione. Il cortisolo si relaziona con diversi ormoni: col testosterone, come abbiamo appena visto, ma anche con l'insulina, con il GH e con gli ormoni tiroidei (limita la conversione del T4 poco attivo in T3) ed ha un'influenza sul metabolismo del sodio-potassio. Per contrastarlo, oltre che abbassare lo stress della vita quotidiana (che forse è il parametro più importante), è utile introdurre carboidrati complessi a scapito di quelli raffinati che al contrario lo alzano. Su questa questione, tuttavia, ci sono due scuole di pensiero contrastanti. Chi sostiene che duranti i suoi picchi (post allenamento e al risveglio) sia importante introdurre subito zuccheri per stimolare l'insulina (la sua disattivazione avviene per l'inibizione dell'enzima 11HSD1 che rigenera il cortisolo dal cortisone nelle cellule adipose e del fegato), chi invece ritiene meglio aspettare che cali naturalmente e poi introdurre i glucidi. Proviamo a sbrigare la matassa. Il cortisolo è alto al mattino perché ci permette di avere immediatamente zuccheri disponibili. 11 risveglio è considerato uno stress per l'organismo ed il corpo naturalmente risponde con il macronutriente più facilmente utilizzabile, il glucosio. Se introduciamo zuccheri, l'organismo si rende conto che non ha più bisogno di autoprodurseli (gluconeogenesi) e smette di stimolare la produzione dell'ormone. Chi non è d'accordo con questa indicazione vede nel tempo di latenza, tra l'assorbimento ed il calo ematico del cortisolo, un periodo rilevante per sviluppare nell'organismo insulino-resistenza. Post allenamento e al risveglio la 0-ossidazione è alta (il corpo visto le riserve energetiche basse, sposta il metabolismo sui grassi), introducendo zuccheri ci ritroviamo contemporaneamente immersi sia negli zuccheri che nei grassi, un disastro. Pertanto è meglio aspettare che fisiologicamente la produzione endogena di cortisolo cali e solo successivamente introdurre carboidrati. Sinceramente non abbiamo una soluzione a questo dilemma e forse tutte e due le tesi sono solo pippe mentali; come al solito a seconda di come vi trovate meglio proseguite su quella strada. Volete aspettare prima di introdurre zuccheri? Aspettate. Volete invece mangiarli subito? Assumeteli integrali a lento rilascio (al mattino), a medio-rapido assorbimento post allenamento. Molto spesso i problemi teorici biochimici nella pratica non fanno la differenza. E importante capire a livello fisiologico cosa avviene ma allo stesso tempo è importante dare il giusto peso alle cose, altrimenti ci stressiamo troppo ed il cortisolo sale. Comunque raccogliendo due dati, provando una strategia e verificando i nuovi risultati, possiamo sapere di preciso qual è la strada migliore, togliendoci ogni dubbio. Per concludere e avere un quadro completo, diciamo che il cortisolo ha una duplice funzione antagonista. Nel breve termine è un ormone lipolitico, perché per preservare la glicemia mobilizza il grasso; nel lungo termine tuttavia promuove anche la gluconeogenesi (soprattutto utilizzando gli aminoacidi alanina e leucina, da qui il suo ruolo catabolico a livello muscolare) e a livello nucleare abbassa la sintesi proteica nei miociti. Questa doppia azione che determina l’utilizzo sia di grassi che di zuccheri, porta nel lungo periodo a creare insulino-resistenza, disinibendo i recettori cellulari GLUT-4, in modo particolare a livello addominale dove i grassi sono più facili da mobilizzare.

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Pertanto valori basali cronici elevati di questo ormone portano un aumento della glicemia, stimolando l'insulina che blocca il dimagrimento, catabolizza il muscolo e al tempo stesso crea insulino-resistenza. Un vero disastro.

Cortisolo ed affaticamento surrenale - approfondimento22 Questo libro non vuole assolutamente essere esaustivo. Alla fine troverete tutta una serie di testi universitari consigliati sui cui potrete approfondire ogni paragrafo. Abbiamo deciso, per mantenere leggera la lettura, d’inserire qui un solo approfondimento. Questo per dare un’idea al lettore di come si possa ampliare (in modo esponenziale) ogni argomento trattato. Abbiamo scelto per assolvere a questo compito un pezzo da 90. Giuseppe Seripierri studia medicina ed è un futuro endocrinologo. Oltre alla sua conoscenza accademica, Giuseppe ha un approccio pratico sul campo. La sua capacità d’unire lo studio alla realizzazione pratica, hanno fatto si che sia uno degli esponenti italiani più interessanti da leggere e da ascoltare.

Le ghiandole surrenali sono piccoli organi pari situati al di sopra di ciascun polo superiore renale. Ciascuna di esse consta di due porzioni: la porzione corticale, più esterna e la porzione midollare, più interna. Dal punto di vista istologico, fisiologico e di derivazione embrionale le due porzioni sono differenti. La corticale del surrene è costituita da cellule epiteliali specializzate, costituenti tre strati con tre differenti disposizioni e differenti funzioni endocrine. Essa produce differenti classi di steroidi a partire dal colesterolo, sotto stimolo dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH o corticotropina), ad eccezione dell’aldosterone, il quale sottostà ad una diverso sistema di regolazione. La sintesi ed il rilascio di ACTH sono a loro volta sotto controllo dell’ipotalamo, che dai nuclei neurosecementi seceme il fattore di rilascio della corticotropina (CRH), il quale giunge all’ipofisi anteriore, mediante il circolo portale ipofisario, dove stimola la sintesi ed il rilascio di POMC (Proopiomelanocortina), da cui poi derivano l’ACTH, l’ormone stimolante i melanociti (MSH) ed altri ormoni peptidici, tra cui la betaendorfina. Anche l’ormone antidiuretico (ADH), prodotto e secreto dai neuroni sopraottici e paraventricolari dell’ipotalamo, rappresenta uno stimolo al rilascio di ACTH da parte dell’adenoipofisi. NeH’insieme il sistema è definito asse ipotalamico-ipofisario-corticosurrenale (HPA). Nel corticosurrene si distinguono: la zona glomerulare, deputata alla sintesi ed il rilascio di mineralcorticoidi, principalmente l’aldosterone. I mineralcorticoidi sono ormoni steroidei che partecipano al mantenimento del bilancio idro-elettrolitico dell’organismo. Nello specifico, l’aldosterone agisce a livello delle porzioni distali del tubulo renale, dove incrementa il riassorbimento di sodio ed acqua, mentre favorisce l’escrezione di potassio e di ioni idrogeno. La secrezione di questo ormone avviene principalmente sotto controllo renale, mediante il sistema renina-angiotensina ed è stimolata dall’ipovolemia, da bassi livelli plasmatici di sodio, ma soprattutto da elevati livelli sierici di potassio. L’ormone adrenocorticotropo (ACTH) possiede un ruolo “permissivo” sulla secrezione di aldosterone, in quanto stimola il trofismo dell’intera corteccia surrenale. La zona fascicolata, deputata alla sintesi di glucocorticoidi, steroidi che assolvono a diverse funzioni metaboliche vitali, tra i cui più importanti figura il cortisolo. La zona reticolare, deputata alla sintesi di steroidi sessuali. In questa porzione del surrene vengono prodotti androgeni a partire dal colesterolo, in particolare Deidroepiandrosterone (DHEA), in parte convertito in DHEA Solfato (DHEAS), ed androstenedione. Le cellule della zona reticolare del surrene mancano dell’enzima 17-beta-idrossisteroide deidrogenasi, enzima che converte l’androstenedione in testosterone, pertanto, questa conversione avviene a livello di altri tessuti (come le gonadi). Il testosterone, a sua volta, viene convertito in estradiolo, mentre 22 di Giuseppe Seripierri

l’androstenedione in estrone. Entrambe le reazioni sono catalizzate dall’enzima aromatasi. In questo modo, il surrene fornisce una quota aggiuntiva a quella prodotta dalle gonadi, maschili e femminili, di androgeni ed estrogeni, rispettivamente. Questa piccola quota di steroidi sessuali è importante durante la pubertà, ma soprattutto in età avanzata, quando si ha la menopausa nella donna e la riduzione della funzionalità gonadica nell’uomo. I livelli plasmatici di DHEA e DHEAS sono ottimi indicatori della funzionalità surrenalica, in quanto la produzione di questi ormoni è stimolata dall’ACTH. I livelli di DHEA si riducono notevolmente con l’avanzare dell’età, tanto che questo ormone è stato soprannominato “ormone della giovinezza”.

La midollare del surrene La porzione midollare del surrene può essere considerata una dislocazione periferica, una sorta di “succursale” della branca ortosimpatica del sistema nervoso autonomo. Il sistema nervoso autonomo (o vegetativo) è costituito da neuroni e fibre nervose che innervano i visceri, il cuore, i vasi sanguigni e le ghiandole, regolandone funzioni e secrezione, al di fuori del controllo volontario. Esso è suddiviso in due branche: sistema nervoso ortosimpatico (o semplicemente simpatico) e sistema nervoso parasimpatico (o vagale, in quanto gran parte delle funzioni sono esplicate dal nervo vago e dalle sue diramazioni). Esiste inoltre una terza branca, il sistema nervoso enterico, che regola le funzioni dell’apparato digerente, ma meriterebbe una trattazione a sé stante. Entrambe le branche presentano un’organizzazione analoga, ovvero sono costituite da due classi di fibre nervose collegate in serie: le fibre pre-gangliari, che non innervano direttamente visceri e ghiandole, ma entrano in contatto sinaptico con i gangli, ovvero raggruppamenti di nuclei neuronali, da cui origina il secondo ordine di fibre, ovvero le fibre post-gangliari, che si portano ad innervare direttamente organi, vasi e ghiandole. Nel sistema nervoso ortosimpatico, i gangli sono situati in prossimità della regione toraco-lombare del midollo spinale, mentre i gangli parasimpatici sono dislocati in prossimità degli organi innervati. Il neurotrasmettitore rilasciato da tutte le fibre pre-gangliari, sia simpatiche che parasimpatiche, è Vacetilcolina, rilasciata anche a livello della maggior parte delle terminazioni nervose post­ gangliari parasimpatiche. Quasi tutte le fibre post-gangliari simpatiche invece, rilasciano come neurotrasmettitore le noradrenalina. L’unica ghiandola a rappresentare un’eccezione, in quanto innervata direttamente da fibre pre-gangliari ortosimpatiche e non da fibre post-gangliari, è appunto la midollare del surrene. Potremmo quindi definire questa ghiandola come un grosso “ganglio” periferico, e le sue cellule, dette cellule cromaffini, come cellule nervose modificate (esse infatti, durante lo sviluppo embrionale, derivano dalle creste neurali, proprio come altre cellule nervose). Le cellule cromaffini producono e secernono nel circolo ematico, sotto stimolo del sistema nervoso simpatico, adrenalina e noradrenalina (in rapporto di 85:15, rispettivamente) ed in minor parte altri peptidi (quali proencefaline, peptide F, ecc.). L’adrenalina e la noradrenalina rilasciate nel circolo ematico esplicano le loro funzioni legandosi ai recettori adrenergici. I recettori adrenergici appartengono alla superfamiglia dei recettori accoppiati a proteine G eterotrimeriche e sono attivati dal legame con le catecolammine o altri agonisti sintetici. Questi recettori si suddividono in due categorie: a-adrenergici e ^-adrenergici. I recettori [ì-adrenergici si suddividono a loro volta in [3-1, [3-2 e [3-3. Tutti e tre i recettori 0-adrenergici sono accoppiati positivamente all’enzima adenilato ciclasi, ovvero la loro attivazione, tramite il legame con un agonista, aumenta la produzione di cAMP all’interno della cellula. In base ai tessuti in cui essi sono disposti, determinano risposte tessuto-specifiche. In particolare, l’attivazione dei recettori [3-1 adrenergici, che sono situati prevalentemente sul miocardio, determina aumento della forza di contrazione cardiaca, aumento della frequenza

cardiaca ed aumento dell’eccitabilità del miocardio. I recettori [3-2 adrenergici si trovano prevalentemente sulla muscolatura liscia bronchiale e dei vasi sanguigni che irrorano il muscolo scheletrico, a livello epatico e nel tessuto adiposo; la loro attivazione causa rilassamento della muscolatura liscia, broncodilatazione, vasodilatazione muscolare, aumento della glicogenolisi epatica e della lipolisi. I recettori /3-3 adrenergici si trovano a livello del tessuto adiposo e la loro attivazione determina un incremento della lipolisi e, nel tessuto adiposo bruno, aumenta la sintesi di proteine disaccoppianti mitocondriali (UCP), responsabili del fenomeno di termogenesi. I recettori a-adrenergici si suddividono in a-1 (di cui esistono i sottotipi a-lA, a-lB e a-lC)e a-2 (di cui esistono i sottotipi a-2A, a-2B e a-2C). L’attivazione dei recettori alfa-1 provoca vasocostrizione generalizzata, contrazione della muscolatura liscia del pavimento pelvico, midriasi e piloerezione. L’attivazione dei recettori a-2 adrenergici causa l’inibizione dell’enzima adenilato ciclasi e di conseguenza l’inibizione della produzione di cAMP e della trasduzione del segnale ad esso associata. L’attivazione di questi recettori determina: inibizione della lipasi HSL (quindi inibizione della lipolisi), contrazione della muscolatura liscia vasale, inibizione del rilascio di noradrenalina nel sistema nervoso centrale ed inibizione del rilascio di insulina dalle cellule beta del pancreas. Delle catecolammine, l’adrenalina presenta maggiore affinità verso i recettori beta adrenergici, in particolare i beta-2, mentre la noradrenalina possiede affinità maggiore nei riguardi dei recettori alfa adrenergici. Il cortisolo Il cortisolo, o idrocortisone, poiché rappresenta la forma idrossilata del cortisone (le due forme sono interconvertibili a livello periferico, ad opera degli enzimi 11 -beta idrossisteroide deidrogenasi 1 e 2), è il principale ormone glucocorticoide. Noto anche come “l’ormone dello stress” per eccellenza, in quanto la sua secrezione aumenta ogni qualvolta l’organismo si trova a dover affrontare situazioni stressanti, quali stress fisici (attività fisica, lavori manuali, ferite, interventi chirurgici, ecc.), psichici (ansia, paura, spavento, ecc.), metabolici (digiuno, malnutrizione, ipoglicemia, ecc.), biochimici (assunzione di determinate sostanze o farmaci) e reazioni immunitarie/infiammatorie.

Le principali funzioni del cortisolo Funzione glucostatica. Il cortisolo è uno degli ormoni maggiormente coinvolti nel mantenimento dei livelli di glucosio ematici. Esso viene annoverato tra gli ormoni controinsulari, ovvero quegli ormoni che svolgono ruoli opposti a quelli dell’insulina (tra cui figurano anche il glucagone, il GH e le catecolammine). Il cortisolo è un ormone iperglicemizzante e catabolico, ovvero promuove la degradazione di substrati energetici (glicogeno, proteine enzimatiche, strutturali, muscolari e lipidi) per innalzare la glicemia e fornire energia ai tessuti, nel momento in cui viene richiesta (stress psicofìsico, ipoglicemia, digiuno, restrizione calorica/glucidica, ecc). Spesso si sente dire che il cortisolo faccia ingrassare, in realtà questo non avviene, o per lo meno non in maniera diretta. Infatti, il cortisolo è un ormone lipolitico, ovvero promuove la degradazione dei grassi ed il loro utilizzo a scopo energetico, quindi è necessario ai fini del dimagrimento. Il suo effetto “ingrassante” è dovuto allo stato di insuline-resistenza che si instaura nel momento in cui i livelli ematici di questo ormone sono elevati. Il cortisolo infatti, riduce l’uptake di glucosio da parte dei tessuti, innalza la glicemia, contrastando gli effetti dell’insulina ed interferisce direttamente con i recettori di quest’ultima, compromettendone la trasduzione del segnale cellulare e gli effetti fisiologico-metabolici. Una peculiarità del cortisolo è rappresentata dalla capacità di redistribuire i depositi di grasso corporeo. Quando i livelli di questo ormone sono cronicamente elevati (come ad esempio nel morbo di Cushing o in caso di assunzione di corticosteroidi esogeni), si assiste ad una diminuzione di massa grassa negli arti ed all’estremità, mentre si ha un aumento di grasso corporeo nel tronco

(specie a livello viscerale) e sul volto. L’aumento della massa grassa viscerale nel tronco è dovuto allo stato di insulino-resistenza, ed a sua volta, come in un circolo vizioso, genera ulteriore resistenza all’insulina, a causa dello stato infiammatorio cronico generato da citochine prodotte da questo tessuto adiposo, che inducono localmente la produzione di cortisolo. Quando l’organismo è sotto stress, la richiesta di energia e glucosio da parte dei tessuti incrementa notevolmente ed il cortisolo riveste un ruolo fondamentale nel consentire un rapido aumento della disponibilità energetica e glucidica, e quindi alla cellule di rispondere adeguatamente agli stressor. Senza cortisolo l’organismo non può sopravvivere, in quanto non sarebbe in grado di affrontare anche il più piccolo evento stressante. Funzione antinfiammatoria. Il cortisolo è il più potente antinfiammatorio endogeno, esercitando azione anti-edemigena ed anti-allergica. Come tutti gli steroidi e diversi altri ormoni, agisce sia per via non genomica, rapida, sia per via genomica, a lungo termine. In particolar modo, l’azione genomica sul processo infiammatorio è estremamente efficace, in quanto il legame dell’ormone con il proprio recettore determina la riduzione o la soppressione della trascrizione genica dei geni codificanti gli enzimi coinvolti nel processo infiammatorio (come le ciclossigenasi).

Quindi si ha un blocco “a monte” del processo infiammatorio, con inibizione della sintesi di molecole quali le prostaglandine ed i leucotrieni. Ciò si traduce in una riduzione dell’iperemia locale e quindi dello stato edematoso (rossore e gonfiore), nonché il miglioramento della ventilazione bronchiale per inibizione della sintesi di leucotrieni (i corticosteroidi sono infatti utilizzati nel trattamento di alcune forme asmatiche). Il cortisolo inoltre, inibisce la degranulazione dei mastociti e dei basofili, processo che porta alla liberazione di molecole coinvolte nella risposta allergica, quali l’istamina o la serotonina. I corticosteroidi sono infatti utilizzati nel trattamento di allergie e come primo soccorso negli stati di shock anafilattico. I processi allergici, cosi come i processi infiammatori, specie se cronici, attivano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene a rilasciare cortisolo e stimolano la produzione periferica di questo ormone (specie a livello adiposo, muscolare ed epatico) mediante la conversione del poco attivo cortisone a cortisolo. Questo spiega in parte i motivi dello stato di insuline resistenza indotto dall’assunzione di alimenti a cui si è intolleranti e/o allergici (ad esempio il glutine). Il cortisolo esercita una potente azione nel regolare la sintesi e l’azione dei leucociti (globuli bianchi), modulando quindi l’azione del sistema immunitario. L’azione del cortisolo in quest’ambito è un’azione soppressiva ed inibitoria, esercitata in particolar modo sui linfociti (comprese le cellule NK antitumorali), in quanto questo ormone riduce il ritmo di sintesi dei globuli bianchi, ne accelera l’apoptosi (morte cellulare programmata) e ne inibisce la chemiotassi, ovvero il fenomeno di migrazione di queste cellule nei siti in cui avviene un’infezione/infiammazione. L’effetto complessivo è un’immunosoppressione, che, in condizioni normali, ha lo scopo di prevenire una risposta immunitaria eccessiva e/o fenomeni autoimmuni. Infatti, nel trattamento di patologie autoimmuni, quali la sclerosi multipla o il lupus eritematoso sistemico, i corticosteroidi sono ampiamente utilizzati. Ovviamente, la soppressione del sistema immunitario predispone l’organismo a contrarre più facilmente infezioni ed a sviluppare neoplasie.

// cortisolo come mineralcorticoide Il cortisolo possiede un’elevata affinità verso i recettori per i mineralcorticoidi, dalle dieci alle quaranta volte più elevata dell’affinità verso i recettori per i glucocorticoidi. Quindi il cortisolo si lega “avidamente” ai recettori per l’aldosterone, esercitandone gli stessi effetti sodio ed idro­ ritentivi. Tuttavia, l’organismo “si difende” dall’attività mineralcorticoide del cortisolo mediante un enzima, la 11-beta-idrossisteroide deidrogenasi 2 (1 l-beta-HSD2). Questo enzima, NAD+ dipendente e con elevata affinità nei confronti del cortisolo, ne catalizza la conversione in cortisone (o 11-deidrocorticosterone), mediante l’ossidazione del gruppo ossidrilico in posizione

11 a gruppo chetonico (il cortisolo è infatti noto anche con il nome di idrocortisone). Dato che l’ossidrile sul carbonio 11 è fondamentale sia per l’affinità verso i recettori per i glucocorticoidi, sia verso i recettori per i mineralcorticoidi, il cortisone possiede un’azione molto più blanda rispetto al cortisolo. La 11-beta-HSD 2 è espressa in particolar modo nei tessuti soggetti all’azione dei mineralcorticoidi, quali i tubuli distali dei nefroni, le ghiandole sudoripare, le ghiandole salivari e l’epitelio intestinale, dove evita, appunto, che il cortisolo abbia accesso ai recettori per l’aldosterone in maniera anomala. Questo enzima viene inibito dall’acido glicirretico (o enossolone), un composto presente nella liquirizia, per questo nota per le sue proprietà ipertensive e sodio-ritentive, e dal carbenoxolone (composto sintetico). Per questo motivo, in situazioni di stress eccessivo e cronico, in cui vi è un aumento del rilascio di cortisolo, i sistemi enzimatici vengono saturati ed il cortisolo ha libero accesso ai recettori per i mineralcorticoidi, partecipando alla genesi del fenomeno della “ritenzione idrica".

Effetti del cortisolo sull'apparato cardiocircolatorio e sul sistema nervoso centrale Il cortisolo ha effetti complessi e spesso opposti sull’apparato cardiocircolatorio. Generalmente, esso tende ad aumentare il tono muscolare delle arterie di medio calibro, rendendole maggiormente responsive ad agenti vasocostrittori più potenti (quali la noradrenalina) e riducendo la produzione di molecole ad azione vasodilatatrice, quali le prostaglandine, esercitando una modesta azione ipertensiva. La sua azione contribuisce a regolare le concentrazioni di sodio e potassio attorno alla muscolatura cardiaca, quindi, indirettamente, a regolarne la contrattilità. I glucocorticoidi esercitano potenti effetti sul sistema nervoso centrale, modulando l’eccitabilità neuronaie, le connessioni sinaptiche e l’attività elettrica dei neuroni. Livelli di cortisolo troppo elevati o al di sotto della norma sono causa frequente di problemi nervosi, quali cambiamenti d’umore e disturbi del sonno. In particolare, livelli troppo bassi di cortisolo possono provocare insonnia o letargia, difficoltà di concentrazione e rallentamento del pensiero, sbalzi d’umore e depressione.

Effetti del cortisolo su altri assi endocrini Il cortisolo esercita un’azione anti-gonadotropa, ovvero tende a sopprimere la secrezione pulsatile di LH ed FSH, riducendo la produzione di steroidi sessuali (androgeni, estrogeni e progesterone) e le funzioni riproduttive. Un eccesso di cortisolo può portare a dismenorrea ed alterazioni del ciclo mestruale nelle donne. A livello muscolare, l’azione catabolica del cortisolo viene esercitata anche mediante competizione per il legame ai recettori androgeni. Il rapporto testosterone/cortisolo e testosteronelibero/cortisolo è infatti spesso utilizzato come marker delle condizioni di overtraining ed overreaching. Il cortisolo esercita un’azione soppressiva sulla funzionalità tiroidea, in due modi: 1) a livello dei nuclei paraventricolari ipotalamici e nell’adenoipofisi, riducendo la secrezione pulsatile di TRH e TSH; 2) sopprimendo l’attività degli enzimi desiodasi DI, responsabili della conversione periferica (specie a livello epatico e renale) del poco attivo T4 in T3, ed esaltando l’attività della desiodasi D3, il che determina riduzione dei livelli di T3 ed aumento dei livelli dell’inattivo rT3 (T3 inverso, che tra l’altro inibisce ulteriormente l’asse tiroideo). Condizioni di ipercortisolemia sono associate ad una ridotta conversione di T4 in T3, un’aumentata produzione di rT3 ed una ridotta secrezione di TSH. Al contrario, soggetti che presentano deficit di cortisolo sembrano avere livelli di T4 leggermente più bassi ma una più elevata produzione di T3 ed una ridotta produzione di rT3. Il sesso femminile sembra essere maggiormente sensibile a questi effetti del cortisolo.

La regolazione della secrezione di cortisolo

Come la maggior parte degli ormoni, anche il cortisolo sottostà ad una regolazione a feedback negativo, ovvero la sua secrezione è stimolata da fattori di rilascio che esso stesso inibisce. Il fattore che determina la produzione ed il rilascio di cortisolo ed altri steroidi dalla corteccia surrenale è l’ACTH (Ormone Adrenocorticotropo), prodotto e rilasciato daH’adenoipofisi, a sua volta stimolata dal fattore di rilascio CRH (o CRF) da parte dell’ipotalamo. L’ipotalamo è una regione chiave del sistema nervoso centrale. E il centro regolatore della vita vegetativa e delle funzioni autonome deH’organismo. All’ipotalamo giungono tutte le afferenze sensoriali, tattile, dolorifica, termica, chimica, viscerale, visiva, uditiva ed olfattiva, sia in maniera diretta, sia dopo l’elaborazione a livello corticale. Esso è integrato con il sistema limbico, porzione dell’encefalo sede deH’emozioni, degli istinti, dei ricordi, dell’inconscio, e riceve afferenze da strutture quali l’amigdala e l’ippocampo. L’ipotalamo integra questi segnali ed elabora risposte adeguate, stimolando o inibendo diversi assi ormonali e modulando l’azione del sistema nervoso autonomo, a sua volta responsabile del controllo delle funzioni dei visceri. Nella risposta allo stress, gli stressor vengono percepiti dalle specifiche vie della sensibilità, giungono all’ipotalamo e determinano l’attivazione del sistema nervoso ortosimpatico (fasci nervosi che dall’ipotalamo ed altri centri superiori si portano alle sezioni toraco-lombari del midollo spinale) ed il rilascio di CRH, che a sua volta stimola l’adenoipofìsi a rilasciare ACTH, che, a sua volta ancora, determina il rilascio di corticosteroidi, cortisolo in primis, dalla corteccia surrenale. Un ulteriore stimolo al rilascio di ACTH da parte dell’adenoipofisi è dato dall’ormone antidiuretico (ADH, o vasopressina). L’ADH viene rilasciato dall’ipotalamo in condizioni di disidratazione ed ipovolemia, come può accadere durante un’attività fisica o a seguito di un’emorragia, entrambe situazioni “stressanti”, ed agisce a livello delle porzioni distali dei nefroni, incrementando il riassorbimento di acqua e concentrando l’urina. Infine, l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene è stimolata da alcune citochine infiammatorie (in particolare Interleuchine 1 e 6 e TNF-alfa), così come da alcuni neurotrasmettitori, soprattutto noradrenalina e serotonina. Il ritmo circadiano del cortisolo

Come per gran parte degli ormoni, anche la secrezione di cortisolo non è costante nell’arco della giornata, ma presenta un pattern di variazioni ben preciso. Il picco nella secrezione di cortisolo è raggiunto attorno alle 8 del mattino, mentre i valori più bassi si registrano tra mezzanotte e le 4 a.m. Dalle ore 8-9 a.m. in poi, i livelli di cortisolo tendono a calare gradualmente, con un leggero picco negativo tra le 15 e le 17 nel pomeriggio. Va considerato tuttavia, che questo pattern di secrezione “standard” è soggetto a variazioni, dovute all’assunzione di cibo, ad eventuali eventi stressanti, all’assunzione di farmaci, stimolanti o alcol, alla pratica di attività fisica, ecc. Non solo, ma va considerata anche la presenza nel plasma di cortisone, il corrispettivo chetonico del cortisolo, di per sé biologicamente poco attivo, ma in grado di essere convertito in cortisolo in diversi tessuti (epatico, muscolare, nervoso, ecc.), ad opera dell’enzima 11-betaidrossisteroide deidrogenasi di tipo 1 (11-beta-HSD-l). La produzione di cortisone, a differenza del cortisolo, non segue un ritmo circadiano ben preciso e i livelli plasmatici di questo steroide sono maggiori nel pomeriggio. Inoltre, il cortisone, rispetto al cortisolo, non viene avidamente legato dalle proteine piasmatiche ed è quindi maggiormente biodisponibile, rappresentando una sorta di “riserva”. Le infiammazioni tissutali, soprattutto croniche, determinano maggiore produzione locale di cortisolo a partire dal cortisone, stimolando l’espressione e l’attività della 11-beta-HSD-l. La secrezione di aldosterone segue un ritmo circadiano molto simile a quello del cortisolo.

Lo stress

Con il termine stress ci si riferisce ad una serie di reazioni fisiologiche, acute o croniche, messe in atto dall’organismo in risposta agli “stressor”, ovvero stimoli di diversa natura (meccanica, biochimica, fisica, psichica, metabolica, ecc.) che agiscono perturbando l’omeostasi. Queste reazioni determinano il raggiungimento di un nuovo punto di equilibrio (omeostasi), in una fase definita adattamento allo stress. Come avviene la risposta allo stress? Sono proprio le ghiandole surrenali i principali organi deputati a far fronte agli stressor e riportare l’organismo in una nuova situazione di equilibrio. Nel 1936, il medico austriaco Hans Selye propose per primo un modello di risposta allo stress, caratterizzato da tre fasi: Allarme. L’organismo reagisce immediatamente agli stressor, con una rapida produzione di catecolammine e cortisolo da parte del surrene. Aumentano frequenza e contrattilità cardiaca, aumenta la pressione arteriosa, aumenta lo stato di vigilanza e la concentrazione, le pupille si dilatano (midriasi), la muscolatura bronchiale si rilassa, aumenta la contrattilità della muscolatura scheletrica, aumenta il flusso ematico muscolare, aumentano glicogenolisi, gluconeogenesi e lipolisi. Questa fase è di breve durata (alcune ore) e spesso è seguita da un fenomeno di rebound, a causa della sottoregolazione di questi meccanismi endocrini, che può durare fino a 24-48 ore. Dopo un forte stress infatti, quale può essere un’intensa attività fìsica, si può sperimentare il cosiddetto “crash energetico”, dovuto al ritorno ai livelli basali e sottobasali di cortisolo e catecolammine. Resistenza. Se gli stressor permangono, l’organismo cerca di farvi fronte incrementando la produzione di ormoni surrenalici (soprattutto di cortisolo), che restano cronicamente al di sopra dei valori normali. E in questa fase che si possono sperimentare gli effetti negativi di un’ipersecrezione di cortisolo, quali l’indebolimento del sistema immunitario, la perdita di massa muscolare, la ritenzione idrica, disturbi dell’appetito, indebolimento dei tessuti e disturbi del sonno. Questa fase è inoltre caratterizzata da una prevalenza del sistema nervoso ortosimpatico sul tono parasimpatico, situazione che può generare stati di ansia, nervosismo, aritmie cardiache, ipertensione ed insonnia. Dati gli stimoli continui da parte dell’ACTH e del sistema nervoso autonomo, a volte in questa fase si può osservare ipertrofia del surrene. La fase di resistenza può durare a lungo, anche anni, prima di passare allo stadio successivo. Esaurimento. Se lo stress permane ancora a lungo, dopo un periodo di tempo variabile, l’organismo non è più in grado di fronteggiarlo e di reagire agli stressor. La produzione di ormoni surrenalici diminuisce, nonostante gli stimoli centrali (ACTH). Si ha una desensibilizzazione del surrene agli stimoli centrali. La carenza di cortisolo, catecolammine ed aldosterone è responsabile della sintomatologia caratteristica di questa fase. L’organismo presenta una scarsa capacità di tolleranza e resistenza agli eventi stressanti, anche minimi, una ridotta capacità di gluconeogenesi, che compromette il mantenimento stabile della glicemia (si ha frequentemente ipoglicemia, specie nelle prime ore del mattino), un’esagerata risposta infiammatoria ed allergica (possono insorgere anche nuove allergie), capacità cerebrali rallentate, ipotensione arteriosa, specie ortostatica (a causa della ridotta produzione di aldosterone e catecolammine), intolleranza al freddo/caldo e disturbi del sonno. Inoltre, nella fase di esaurimento prevale il tono parasimpatico sull’ortosimpatico, con conseguenze quali rallentamento della frequenza e della contrattilità cardiaca, con conseguente riduzione della gittata e della pressione arteriosa. Questo può condurre ad astenia e difficoltà a svolgere attività fisiche impegnative. Anche la motilità gastro-instestinale e la secrezione acida

dello stomaco vengono influenzate, portando a problemi digestivi e/o cambiamenti dell’alvo intestinale. E in questa fase che possiamo inquadrare “Z 'affaticamento surrenale". Stress ed appetito

Si sente spesso molta gente affermare: “mangio per nervosismo, non per fame, perché sono stressato”. Cosa c’è di vero in tutto ciò? Lo stress, in acuto, tende a sopprimere l’appetito. La noradrenalina rilasciata a livello delle terminazioni sinaptiche centrali sopprime la voglia di cibo e spesso causa inappetenza o addirittura sensazione di nausea. Non a caso, gran parte dei farmaci e delle molecole anoressizzanti, quali la sibutramina, l’efedrina, le amfetamine, la sinefrina, la nicotina, la caffeina ed analoghi delle feniletilamine, si comportano da simpatico mimetici o stimolano direttamente/indirettamente il rilascio di catecolammine, sia a livello centrale che periferico. Inoltre, sia l’adrenalina che il cortisolo, rilasciati nel circolo ematico dal surrene, incrementano la glicemia a discapito del glicogeno epatico e delle proteine strutturali, e la glicemia elevata riduce a livello centrale la sensazione di fame e la ricerca di cibo. Lo stesso peptide CRH, rilasciato dall’ipotalamo in condizioni di stress, è un potente soppressore dell’appetito, oltre a stimolare il rilascio di ACTH e cortisolo. Dato che l’ACTH viene prodotto a partire dalla Pro-opiomelanocortina (POMC), vengono rilasciati anche oppioidi endogeni, quali le beta endorfìne, ed altri ormoni come l’alfaMSH, tutti con potente azione anoressizzante. Difficilmente infatti, subito dopo un’intensa attività fisica, si avverte fame. E allora perché lo stress può portare a mangiare di più? E soprattutto, perché cibi ricchi di zuccheri, grassi e sale? Va anche considerato il ruolo anoressizzante, a livello ipotalamico, dell’insulina, la quale attiva diverse vie metaboliche comuni alla leptina, che determinano soppressione dell’appetito ed incremento del metabolismo basale e della termogenesi (la stessa insulina è un potente attivatore del sistema nervoso ortosimpatico). In condizioni di stress cronico, i livelli elevati di cortisolo instaurano una condizione di insulino-resistenza, che oltre a causare ampie fluttuazioni dei livelli glicemici, riduce l’azione anoressizzante centrale dell’insulina. Il cortisolo inoltre, agisce a feedback negativo sul rilascio di CRH, inibendo quindi la sua azione anoressizzante e può stimolare la produzione ed il rilascio di peptidi oressigeni, quali il neuropeptide Y (NPY). Questo peptide è anche in grado di ridurre l’attività di scarica del sistema nervoso ortosimpatico, agendo su un centro del tronco encefalico, detto “Locus Coeruleus”, facilitando quindi l’azione parasimpatica, la digestione e lo stoccaggio dei nutrienti. La secrezione di NPY viene inibita, a livello ipotalamico, dall’insulina e dalla leptina. Quando poi si passa dalla fase di resistenza allo stress (stress cronico) alla fase di “esaurimento”, la ridotta funzionalità del surrene e del tono ortosimpatico, la down-regulation dei recettori adrenergici e la prevalenza del tono parasimpatico/vagale rendono più arduo per l’organismo resistere a condizioni di digiuno e/o ridotta assunzione glucidica. La persistente condizione di ipoglicemia stimola i centri ipotalamici della fame, spingendo l’organismo alla ricerca di alimenti ricchi di zuccheri, in grado di innalzare rapidamente la glicemia. La diminuita produzione di cortisolo ed aldosterone causa l’attivazione di alcuni centri ipotalamici responsabili della “fame di sale”. L’organismo viene spinto alla ricerca di alimenti ricchi di cloruro di sodio per mantenere costanti ed a livelli sufficienti la natremia, il volume piasmatico e la pressione arteriosa. L’ipertono vagale incrementa la salivazione, la motilità, l’attività secretiva del tratto gastroenterico e la produzione di grelina ed altri ormoni oressigeni da parte di questo apparato, stimolando ulteriormente l’appetito. Infine, va considerata la componente psichica dello stress, spesso associata o causata da eventi, situazioni ed azioni che comportano una ridotta stimolazione o un’inibizione dei centri della

gratificazione a livello centrale. Questi centri, tra cui figurano il “Nucleo Accumbens”, l’area tegmentale ventrale ed altri componenti del cosiddetto Striato Ventrale, sono ricchi di terminazioni sinaptiche dopaminergiche. La dopamina attiva i centri della gratificazione, ed il suo rilascio può essere stimolato, oltre che da diverse droghe (molte delle quali ne inibiscono anche il re-uptake), anche dall’assunzione di particolari categorie di alimenti, specie quelli ricchi di zuccheri, grassi saturi, sale ed esaltatori di sapidità. Anche la serotonina è un neurotrasmettitore fortemente coinvolto nella regolazione del tono dell’umore. L’aminoacido suo precursore, il triptofano, non attraversa facilmente la barriera ematoencefalica. L’insulina ne facilita l’ingresso nel sistema nervoso centrale attraverso questa barriera. In alcune situazioni stressanti quindi, il cibo assume il ruolo di antidepressivo, stimolando i centri della gratificazione e del piacere. Data la complessità delle basi endocrine e fisiologiche, le variazioni dell’appetito causate dalla risposta allo stress possono cambiare da individuo a individuo. Generalmente, il sesso femminile sembra essere maggiormente suscettibile a queste variazioni.

"Fight or Flight" - Combatti o fuggi

Qualsiasi animale, uomo compreso, che si trovi in una situazione di pericolo imminente, ha di fronte due scelte: affrontare la situazione (“combattere”) o allontanarsi dalla fonte di pericolo (“fuggire”). Entrambe le scelte richiedono: rapida disponibilità di energia, concentrazione mentale e prontezza dei riflessi, “spegnimento” delle funzioni non strettamente vitali. Può sembrare obsoleto, nei tempi odierni, parlare ancora di “lotta e fuga”, ma così non è. È fondamentale infatti comprendere che la risposta del surrene agli stressor, di qualunque natura essi siano, è sempre la medesima. Quindi, che sia l’ansia per un esame, un forte spavento, una relazione complicata, una ferita, uno sprint sub-massimale in salita o la tensione nel guardare un film horror o una partita, la risposta del surrene sarà sempre l’atavica ed “animalesca” “fight or flight”. Ciò che cambia è l’intensità di questa risposta, che dipende dall’entità e dalla durata dello stress. Affaticamento surrenale

Ridotta funzionalità del surrene: l’ipoadrenia In medicina, si parla di ridotta funzionalità surrenalica, o ipoadrenia, facendo riferimento agli aspetti clinici di determinate patologie che riducono la funzionalità del surrene, o meglio, della corteccia surrenale, in particolare nella secrezione di glucocorticoidi e mineralcorticoidi. L’insufficienza surrenale viene definita, come per altre patologie endocrine, in base alla sede dell’asse endocrino che presenta una ridotta o assente funzionalità. Avremo quindi un’insufficienza surrenale di tipo primario, quando ad essere colpita direttamente è la corteccia surrenale. Ci sono diverse cause di insufficienza surrenale primaria, tra queste la più comune è rappresentata da un disordine autoimmune, in cui vengono prodotti anticorpi contro l’enzima 21idrossilasi. La 21-idrossilasi catalizza la conversione del progesterone in deossicorticosterone e del 17-alfa-idrossi-progesterone in 11 -deossicortisolo, entrambe reazioni fondamentali per la sintesi di cortisolo ed aldosterone. Venendo a mancare la produzione di questi ormoni, la secrezione di ACTH aumenta in maniera compensatoria, portando spesso ad iperplasia del surrene, ad una produzione eccessiva di altri steroidi e ad una colorazione scura della cute (l’ACTH deriva dalla POMC, da cui deriva anche l’ormone stimolante i melanociti). Questa patologia è denominata Morbo di Addison, e rappresenta la forma più comune di insufficienza surrenale primaria. Il Morbo di Addison può essere associato ad altre endocrinopatie autoimmuni (sindromi poliendocrine), oppure, in una minoranza di casi, può verificarsi a seguito di tumori primari e secondari del surrene, infezioni e lesioni a carattere infiammatorio, infarti o emorragie surrenali, ridotta responsività delle ghiandole all’ACTH o ipoplasia congenita del surrene.

Altre cause di insufficienza surrenale primaria includono: infezioni (batteriche, virali o micotiche), la Sindrome di Waterhouse-Friderichsen, la Sindrome Adrenogenitale, l’Adrenoleucodistrofia, trombosi o infarti surrenalici, insufficienza surrenale indotta da farmaci (quali Aminoglutetimide, Etomidate, Trilostano e Ketoconazolo). Se ad essere colpiti sono l’adenoipofisi o l’ipotalamo, si parlerà, rispettivamente, di insufficienza surrenale secondaria e terziaria. In questi casi avremo una ridotta o assente secrezione di ACTH o di CRH. Le cause sono molteplici, tra cui: tumori, lesioni occupanti spazio, infiltrazioni a carattere infiammatorio, patologie genetiche (come la Sindrome di Prader-Willi), assunzione di farmaci (quali corticosteroidi, clorpromazina, imipramina, mifepristone). Non è descritta una vera e propria insufficienza della midollare del surrene, in quanto la funzione di questa ghiandola può essere ben compensata dall’attività del sistema nervoso ortosimpatico. Esistono deficit congeniti dell’enzima dopamina beta-idrossilasi, enzima che catalizza la conversione della dopamina in noradrenalina. Tuttavia questo difetto si manifesta sia a livello surrenale che a livello del sistema nervoso ortosimpatico. Le patologie che compromettono la funzionalità del corticosurrene presentano un quadro clinico più o meno grave, spesso incompatibile con la vita, tanto da rendere necessario il ricorso alla terapia ormonale sostitutiva (cortisone ed analoghi dell’aldosterone). Il quadro clinico dell’insufficienza corticosurrenale è caratterizzato dai seguenti segni e sintomi: astenia, letargia e ridotta tolleranza allo stress, ipoglicemia, squilibri elettrolitici, in particolare iponatremia ed iperkaliemia, con conseguenti acidosi metabolica ed aritmie cardiache, ipotensione, vertigini, ipotensione ortostatica, difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, ansia, irritabilità, disfunzioni della sfera sessuale, difficoltà digestive, dolori addominali, nausea, vomito e diarrea.

L"'affaticamento surrenale" esiste? La medicina ufficiale non riconosce altre forme di ipoadrenia oltre alle succitate patologie. Tuttavia, ciò non nega l’esistenza di forme più sfumate e subdole di insufficienza surrenale, e non per questo meno invalidanti la vita di ogni giorno. Ci sono alcuni medici, come il Dr. James L. Wilson, che hanno studiato in modo approfondito questa “sindrome”. Cos’è allora l’affaticamento surrenale? L’affaticamento surrenale è una sindrome, con diversi gradi di gravità, che insorge nella terza fase di risposta allo stress, ovvero la fase di esaurimento. Le ghiandole surrenali vengono messe “sotto torchio” per lunghi periodi da eventi e situazioni stressanti, oppure per brevi periodi da stress molto intensi (ad esempio: un incidente, una grave patologia, un intervento chirurgico, un forte spavento o la perdita di una persona cara). Esse non sono più in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze dell’organismo, ma, a differenza delle condizioni patologiche precedentemente descritte, in questa condizione non si giunge alla potenziale incompatibilità con la sopravvivenza stessa. Non si conoscono le basi fisiopatologiche esatte di questa condizione, anche perché, non essendo riconosciuta ufficialmente dalla medicina, non vi sono studi sufficienti a riguardo. Si può ipotizzare una desensibilizzazione della corteccia surrenale all’ormone ACTH, unita ad una riduzione del tono ortosimpatico e della secrezione di catecolammine.

Le cause ed / fattori predisponenti

La causa principale dell’affaticamento surrenale è lo stress cronico, ma anche stress molto forti in acuto. Come precedentemente descritto, lo stress può essere di diversa natura: fisico, emotivo, psicologico, metabolico, patologico, traumatico, ecc. È importante ribadire che la risposta del surrene allo stress è sempre la medesima, indipendentemente dalla natura dello stesso. Gli stressor quindi, si sommano; un lavoro stressante, l’ansia per un esame, un’infezione batterica, un’errata alimentazione, la perdita di una persona cara, eccessiva attività fisica e/o sovrallenamento,

mancanza di sonno, assunzione eccessiva di stimolanti, farmaci o alcolici, sono tutti eventi e situazioni che possono verificarsi contemporaneamente, mettendo a dura prova il surrene. Nell’ambito patologico, sembrano essere particolarmente incisive le infezioni e gli stati infiammatori o allergici dell’apparato respiratorio (bronchite, sinusite, asma, ecc.). Viceversa, soggetti che soffrono di affaticamento surrenale, sono maggiormente predisposti a contrarre infezioni del tratto respiratorio. Lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale. La carenza di sonno, l’abuso di caffeina ed altri stimolanti quando si è stanchi, il cercare di spingersi sempre oltre i propri limiti, l’essere perfezionisti, il fumo di sigaretta, una dieta ricca di alimenti processati e raffinati ma povera di micronutrienti essenziali e la mancanza di svago ed attività piacevoli, sono tutti fattori che predispongono all’affaticamento surrenale. Generalmente questa sindrome insorge gradualmente, a causa degli effetti cumulativi dello stress, ma può insorgere anche rapidamente. Segni e sintomi dell'affaticamento surrenale

Molti dei sintomi e dei segni qui riportati non sono esclusivi deH’affaticamento surrenale. Trattandosi spesso di sintomi vaghi e subdoli, che potrebbero essere la spia di altre patologie, si consiglia sempre di rivolgersi al proprio medico. Difficoltà a svegliarsi al mattino. Non si tratta di semplice mancanza di voglia ad abbandonare il letto, ma di una grossa fatica a svegliarsi, non assolutamente proporzionata alle energie richieste per compiere tale azione. Alla luce di quanto spiegato nei precedenti paragrafi, il motivo è chiaro. Il picco circadiano mattutino del cortisolo ha proprio la funzione di aiutare la fase di risveglio, che, nel suo piccolo, rappresenta uno stress per l’organismo. Anche il sistema nervoso ortosimpatico e la midollare del surrene partecipano a questo processo. Se i livelli di cortisolo sono inferiori alla norma, alzarsi dal letto al mattino sarà un’azione più ardua del normale.

Letargia e senso di fatica continui. Non importa quante ore si dorma, il sonno non è ristoratore e fatica e letargia sono una costante. Non ci si sente mai riposati e “freschi”. Aumento dello sforzo percepito nel compiere le azioni quotidiane. Ogni azione, anche la più banale, sembra un’impresa. Sbalzi energetici durante la giornata. Chi è affetto da affaticamento surrenale presenta un ritmo circadiano della secrezione di cortisolo alterato. Generalmente, al mattino si avverte mancanza di energia fino alle ore 10, dopodiché la situazione migliora temporaneamente, per essere seguita da un “crash” energetico tra le 15 e le 17. Un nuovo temporaneo miglioramento si ha verso le ore 18, specie a seguito di un pasto. I livelli energetici tornano a crollare nuovamente tra le 21 e le 22, ma, nonostante la stanchezza, è presente difficoltà ad addormentarsi e tendenza a rimanere svegli oltre le 23.

Insonnia e/o frequenti risvegli notturni. Sia livelli superiori che inferiori alla norma di cortisolo possono causare insonnia. Quantità troppo elevate di questo ormone pongono l’organismo in un costante stato di “allarme”, aumentando lo stato di vigilanza, la pressione arteriosa, il metabolismo e l’utilizzo di risorse energetiche. Tuttavia, quando i livelli basali di cortisolo sono inferiori al normale, durante il digiuno notturno la glicemia può abbassarsi troppo, scatenando una risposta di allarme che stimola sia l’asse surrenale che il sistema nervoso ortosimpatico, per riportare la glicemia alla normalità. Questo può causare risvegli notturni, spesso accompagnati da attacchi d’ansia e palpitazioni. Dipendenza esogena eccessiva. Necessità di assumere caffeina o altri stimolanti e di fare pasti frequenti per avere sufficienti energie nel corso della giornata. Desiderio di cibi ricchi di sale e zuccheri semplici. Questo è spiegato dalla ridotta produzione di cortisolo ed aldosterone. La ritenzione renale di sodio diminuisce e di conseguenza le concentrazioni piasmatiche di questo ione si riducono, portando all’attivazione di alcuni centri ipotalamici che spingono l’organismo alla ricerca di

cloruro di sodio. In più, la ridotta secrezione di cortisolo provoca ipoglicemia, spingendo l’organismo alla ricerca di fonti rapidamente disponibili di glucosio. Ridotta tolleranza allo stress. Anche la minima attività stressante, come guidare nel traffico, genera ansia e nervosismo. Ipotensione ortostatica. Alzandosi rapidamente da posizione seduta o sdraiata, si avvertono forti capogiri e senso di sbandamento. La riduzione del tono ortosimpatico e della volemia non permette ai meccanismi compensatori (tra cui i barocettori aortici e carotidei) di intervenire rapidamente, come normalmente avviene, nel prevenire il brusco calo pressorio che si ha passando da una posizione di clinostatismo ad una di ortostatismo. Leggera depressione, apatia e mancanza di interesse per attività di svago. Il soggetto non sembra presentare interessi per attività di svago o ludiche. Malumore, depressione ed apatia occupano buona parte della giornata.

Aumento dei tempi di guarigione da malattie o traumi. Il soggetto tende a guarire più lentamente, sia da infezioni batteriche che da tagli o traumi cutanei. Si ammala anche più frequentemente.

Insorgenza di nuove allergie o incremento delle reazioni allergiche preesistenti. Come abbiamo già visto, il cortisolo è un potente soppressore dei fenomeni allergici, tanto che i suoi analoghi sintetici sono utilizzati come prima terapia nei casi di shock anafilattico. Una riduzione dei livelli di questo ormone può portare alla genesi di nuove allergie e favorire processi patologici autoimmuni.

Dispepsia, cattiva digestione e problemi intestinali. Lo stress surrenico facilmente si ripercuote sull’apparato digerente. Problemi digestivi ed intestinali (tra cui il colon irritabile) potrebbero avere una genesi legata a questa alterazione surrenica. Aumento dei processi infiammatori e ridotta tolleranza al dolore. L’azione antinfiammatoria ed antiedemigena del cortisolo si riduce. Riducendosi anche il tono ortosimpatico, viene meno l’azione inibitoria sulla percezione dolorifica indotta dalla noradrenalina, in particolare da quei fasci nervosi che da locus coeruleus si portano al midollo spinale. Calo del desiderio sessuale. Il soggetto risponde meno al desiderio sessuale. Le gonadi influenzano meno la libido.

Intensificazione dei sintomi della sindrome pre-mestruale. Questi ultimi due sintomi sono dovuti ad un fenomeno denominato “Furto del pregnenolone”. Come abbiamo visto precedentemente, la corticale del surrene, nella sua porzione reticolare, produce steroidi sessuali: androgeni (in particolare DHEA ed androstenedione), corrispettivi estrogeni (estrone dall’aromatizzazione dell’androstenedione ed estradiolo dall’aromatizzazione del testosteome) e progesterone. Il “capostipite” di tutti gli ormoni steroidei, compreso il cortisolo, è il pregnenolone, steroide derivato direttamente dal colesterolo. Quando l’organismo è sotto forte stress, in particolare nella fase di “resistenza”, gran parte del pregnenolone viene “dirottato” verso le vie enzimatiche deputate alla produzione di cortisolo e sottratto alle vie enzimatiche che portano alla produzione di androgeni, estrogeni e progesterone. Nonostante gli steroidi sessuali surrenalici rappresentino una piccola quota di questi ormoni nell’organismo (mentre la loro funzione diviene via via più importante con l’avanzare dell’età, a causa della menopausa nella donna e della riduzione della funzionalità gonadica nell’uomo), lo squilibrio endocrino generato dallo stress può causare sintomi quali calo di libido e di energie.

Nella donna, il “furto del pregnenolone” può determinare una situazione definita dominanza estrogenica, a causa dello squilibrio del rapporto progesterone/estrogeni. Questo porta ad accentuare i sintomi della sindrome pre-mestruale e può causare anche fenomeni di dismenorrea.

A tutto ciò va aggiunta l’azione anti-gonadotropa del cortisolo, che tende a sopprimere il rilascio di gonadotropine e di conseguenza la funzionalità gonadica (testicoli ed ovaie).

Alcuni test per riconoscere l'affaticamento surrenale Oltre i succitati sintomi, ci sono alcuni test, descritti dal Dr. James L. Wilson, specialista in questa sindrome, che si possono effettuare a casa, per individuare o quanto meno sospettare una situazione di affaticamento surrenale. Ovviamente, si invita sempre a non fare affidamento solo su questi test, ma a consultare sempre il proprio medico. Test della contrazione pupillare. Questo test fu descritto per la prima volta dal Dr. Arroyo nel 1924. Tutto ciò che occorre è: una sedia, una camera scarsamente illuminata, uno specchio, una piccola lampadina ed un cronometro o un orologio. Seduti su una sedia, in una camera scarsamente illuminata, rivolti verso lo specchio, osservate le pupille di entrambi gli occhi. In queste condizioni di scarsa luminosità, le pupille sono dilatate, a causa dell’azione del sistema nervoso ortosimpatico, che favorisce il rilassamento del muscolo sfintere dell’iride. Puntando la luce verso uno dei due occhi (non direttamente contro), osservate la pupilla con l’occhio controlaterale. Essa, in condizioni normali, tende subito a restringersi, a causa del riflesso pupillare alla luce, che, tramite fibre nervose parasimpatiche, determina la contrazione dello sfintere deH’iride. Normalmente la pupilla rimane contratta fino al permanere della luce. In condizioni caratterizzate da scarsa funzionalità surrenale, dopo un lasso di tempo, in genere non superiore ai due minuti, la pupilla toma gradualmente a dilatarsi, nonostante la permanenza della luce. Questa dilatazione anomala permane per circa 30-45 secondi, dopodiché la pupilla toma nuovamente a contrarsi. Il test è quasi sempre positivo in forme moderate e gravi di affaticamento surrenale, non sempre nelle forme più lievi. Test dell’ipotensione ortostatica. Una condizione di ipotensione di per sé, potrebbe già essere una spia di affaticamento surrenale. Con questo test si verifica la presenza di un calo pressorio nel passaggio da una posizione di clinostatismo ad una di ortostatismo (ipotensione ortostatica), uno dei segni deH’affaticamento surrenale. L’occorrente per questo test è: un letto ed un misuratore automatico di pressione (o, se sapete utilizzarlo, meglio uno sfigmomanometro). Prima di iniziare il test assicuratevi di essere ben idratati. La disidratazione infatti, può falsarci risultati del test, a causa deH’ipovolemia. Sdraiatevi per 5-10 minuti, dopodiché misurate la pressione arteriosa in questa condizione. Alzatevi e misurate subito nuovamente la pressione. In condizioni normali, la pressione in questo passaggio aumenta di 10-20 mmHg. Se passando dalla posizione sdraiata alla posizione eretta la pressione non aumenta, o, addirittura, cala, si può sospettare una ridotta funzionalità del surrene, soprattutto se il passaggio è accompagnato da vertigini, annebbiamento della vista e capogiri. Maggiore è il calo pressorio durante il passaggio dal clinostatismo aH’ortostatismo, maggiore sarà il grado di severità deH’affaticamento surrenale. Sergent ’s white line test. Descritto per la prima volta dal medico francese Emile Sergent, da cui prende il nome, questo test consiste nello strofinare, con l’estremità di una penna o un oggetto simile, la pelle dell’addome, per circa 6 secondi. In poco tempo, sulla cute comparirà un segno, una linea. Normalmente, questa linea dapprima è bianca, ma tende subito a divenire rossa. In condizioni di affaticamento surrenale, la linea resta bianca fino a due minuti dopo lo strofinamento della cute. Questo test non è molto indicativo, in quanto è presente in circa il 40% dei soggetti che soffrono di affaticamento surrenale. Test di laboratorio. Non esistono veri e propri test di laboratorio per diagnosticare una condizione di affaticamento surrenale, questo perché i range di riferimento per diagnosticare un’insufficienza del surrene sono determinati sulla base di condizioni patologiche che affliggono Tasse HPA, come il Morbo di Addison. Difficilmente pertanto, effettuando i dosaggi ormonali di cortisolo, ACTH, aldosterone, DHEA e DHEAS, o l’escrezione urinaria di questi ormoni a seguito

della somministrazione di ACTH, verranno riscontrati valori tali da poter diagnosticare insufficienza surrenale, soprattutto nelle forme lievi. Tra l’altro, i range di riferimento dei test ematici ed urinari, sono stilati in base a statistiche, e non tengono conto dei valori ottimali individuali. Ad esempio, il vostro valore ottimale di cortisolo potrebbe dimezzarsi in caso di affaticamento surrenale, provocando i sintomi sopra citati, ma se esso ricade, seppur di poco, aH’intemo dei range di riferimento di laboratorio, nessun medico porrà diagnosi di insufficienza surrenale, ma molto probabilmente i sintomi saranno imputati “banalmente” allo “stress”. Il tutto è ulteriormente complicato da: presenza di due forme piasmatiche degli ormoni steroidei, quella libera, biologicamente attiva e quella legata a proteine piasmatiche (albumina e proteine specifiche di trasporto), che funge da “riserva”; ritmi circadiani; condizioni in cui si effettuano le analisi (condizioni ambientali, stress, idratazione, ecc.). Attenzione, i test di laboratorio non sono inutili ai fini diagnostici deH’affaticamento surrenale, ma devono essere ben interpretati dal medico. A tal proposito, il problema maggiore è costituito dal mancato riconoscimento, da parte della medicina ufficiale, della condizione di affaticamento surrenale. Stimolanti ed affaticamento surrenale

Caffeina e Nicotina. Perché proprio queste due sostanze? Perché questi due alcaloidi rientrano tra le droghe d’abuso più consumate al mondo, molto spesso contemporaneamente (classico “caffè e sigaretta”). Entrambe le molecole, con meccanismi differenti, sono in grado di aumentare il rilascio di adrenalina, noradrenalina e cortisolo. Hanno anche potenti effetti sul rilascio di dopamina nei circuiti mesolimbici della gratificazione, motivo per cui provocano dipendenza (soprattutto la nicotina, che agisce anche sul rilascio centrale di serotonina). La caffeina esplica la propria azione stimolante in due modi: primo, tramite l’antagonismo con i recettori per l’adenosina e secondo, tramite l’inibizione dell’enzima cAMP fosfodiesterasi (c’è anche un terzo meccanismo, che vede coinvolti i recettori rianodinici ed il rilascio intramuscolare di ioni calcio, ma non è importante in questo contesto). L’antagonismo dei recettori adenosinici provoca diversi effetti, sia centrali che periferici. A livello centrale aumenta il rilascio di acetilcolina, noradrenalina, glutammato e dopamina dalle terminazioni sinaptiche dei rispettivi neuroni. Ciò provoca un incremento dello stato di veglia, dello stato di eccitazione cerebrale, della prontezza dei riflessi ed una riduzione dell’appetito. A livello periferico si ha vasocostrizione generalizzata (ma vasodilatazione delle arterie muscolari), aumento della frequenza e della contrattilità cardiache, broncodilatazione, aumento della pressione arteriosa e aumento della diuresi (a causa della vasodilatazione delle arteriole afferenti renali). Gli effetti periferici sono dovuti sia all’antagonismo dei recettori adenosinici, sia all’aumentato rilascio di noradrenalina dalle terminazioni ortosimpatiche e di adrenalina dalla midollare del surrene. In più, la caffeina è in grado di prolungare l’azione fisiologica di adrenalina e noradrenalina, tramite l’inibizione dell’enzima cAMP fosfodiesterasi. L’AMP ciclico (cAMP) è un mediatore di diverse vie metaboliche, tra cui quelle attivate dalle catecolammine dal legame con i recettori adrenergici. I recettori adrenergici (tranne gli alfa-2, che hanno azione opposta) infatti, quando attivati, aumentano la produzione intracellulare di cAMP. Il cAMP viene poi rapidamente degradato dall’enzima fosfodiesterasi. Inibendo questo enzima, la caffeina prolunga l’effetto delle catecolammine a livello cellulare. Quindi la caffeina, non solo aumenta il rilascio di catecolammine (e di altri neurotrasmettitori), ma ne prolunga l’azione. Questo spiega i suoi effetti energizzanti, cardio tonici, lipolitici ed anoressizzanti. Il consumo di caffeina tende ad aumentare la secrezione di cortisolo. La nicotina è un alcaloide che possiede elevata affinità per alcuni recettori ionotropici (canali per lo ione sodio a controllo di rigando) dell'acetilcolina, detti appunto nicotinici, presenti nelle

giunzioni neuromuscolari, nel SNC e nel sistema nervoso periferico, in tutte le terminazioni sinaptiche pre-gangliari. La nicotina, legando questi recettori, determina i seguenti effetti: a livello del SNC, la stimolazione dei recettori per l'acetilcolina provoca un incremento del rilascio dei seguenti ne uro trasmettitori: noradrenalina, dopamina e serotonina. La noradrenalina attiva diverse sinapsi eccitatorie, inducendo, tra i vari effetti, un aumento dello stato di vigilanza, dei riflessi, della soglia di attenzione ed una diminuzione dell'appetito. La dopamina esercita potenti effetti, a livello centrale, su aree cerebrali quali i nuclei della base (striato dorsale) ed il sistema limbico (nucleo accumbens septi, giro del cingolo, ippocampo, ecc. - striato ventrale). La dopamina è prodotta e rilasciata da alcune aree mesencefaliche, quali la substantia nigra e l'area tegmentale ventrale. Di particolare interesse, in questo ambito, sono le connessioni mesolimbiche, coinvolte nei sistemi della gratificazione e del piacere. La nicotina agisce sia stimolando la produzione ed il rilascio di dopamina (mediante i recettori colinergici), sia inibendone il re-uptake. Inoltre, la nicotina aumenta l'attività dell'enzima tirosina idrossilasi, enzima chiave nella produzione delle catecolammine (dopamina e noradrenalina) a partire dalfaminoacido tirosina. Infine, abbiamo l'incremento del tono serotoninergico, dovuto ad uno stimolo degli enzimi triptofano idrossilasi e dei trasportatori per il 5-HTP (precursore della serotonina) nel SNC. Tutte queste azioni rendono ragione dell'effetto "euforizzante" ed anoressizzante della nicotina. La dipendenza è prevalentemente dovuta alla spiccata azione dopaminergica a livello mesolimbico. A livello periferico invece, la nicotina stimola sia l'attività parasimpatica (aumento del tono vagale a livello gastrico ad esempio, con incremento della motilità gastro-intestinale e della secrezione di HC1) che ortosimpatica, mediante lo stimolo diretto della midollare del surrene a secernere adrenalina e noradrenalina nel circolo ematico. Il fumo di tabacco inoltre, contiene alcune sostanze, appartenenti alle beta-carboline, in grado di inibire gli enzimi Monoammino Ossidasi (MAO). Le MAO sono enzimi deputati alla degradazione delle catecolammine. Una loro inibizione prolunga ulteriormente l'azione biologica di questi ormoni/neurotrasmettitori. Infine, la nicotina sembrerebbe incrementare i livelli di leptina, ma soprattutto, avere un'azione diretta sull'ipotalamo laterale/ventromediale, modificando i segnali di sazietà/fame e la regolazione dei bilanci energetici mediante la modulazione del rilascio di ormoni anoressizzanti/oressigeni, quali l'alfa-MSH, il CART, il NPY, L'orexin-A e B ed altri oppiodi endogeni, tramite lo stimolo di recettori colinergici in queste aree ipotalamiche. Ultimo effetto farmacologico degno di rilievo della nicotina: la nicotina stimola il rilascio di ADH dai nuclei sopraottici e paraventricolari dell'ipotalamo. L'ADH è un potentissimo vasocostrittore, che stimola inoltre la ritenzione idrica a livello renale ed il rilascio di ACTH daH'adenoipofisi (e quindi di cortisolo dal surrene). Questo, unito al forte stimolo sul tono ortosimpatico, rende ragione dei potenti effetti ipertensivizzanti della nicotina. Soggetti stressati spesso abusano di queste due sostanze, ricercando dalla loro assunzione maggior energia, maggior concentrazione, gratificazione e sollievo dallo stress. La caffeina è spesso abusata ai fini dell’incremento delle prestazioni sportive, specie in situazioni stressanti quali la carenza di sonno o una dieta ipocalorica, oppure ai fini lipolitici/dimagranti. Entrambe le sostanze migliorano la tolleranza allo stress, ma al costo di “spremere” ulteriormente il surrene ed il sistema nervoso autonomo. Un fenomeno a cui si assiste durante l’abuso cronico di questi alcaloidi, e che in parte ne spiega l’assuefazione/tolleranza, è la sottoregolazione (o downregulation) dei recettori adrenergici. Questo fenomeno compensatorio causa la riduzione del numero (e quindi della densità tissutale) di questi recettori, riducendo la sensibilità agli effetti della stimolazione ortosimpatica, mediata da adrenalina e noradrenalina. La caffeina induce anche up-regulation (sovraregolazione, fenomeno opposto) dei recettori adenosinici.

In conclusione: l’abuso di caffeina o nicotina, o di entrambe, specie in condizioni di stress, favorisce l’insorgenza di affaticamento surrenale.

Endocrinologia dell'overtraining ed affaticamento surrenale

Qual è la correlazione che lega queste due condizioni? Innanzitutto, va considerato che l’attività fisica, intesa come pratica sportiva, rappresenta uno stress per l’organismo, alla pari di altri stress fisici. Il nostro io cosciente, la nostra corteccia cerebrale riconoscono la differenza tra una “paleolitica” corsa per la sopravvivenza nella savana ed uno sprint sui 100 metri, il nostro sistema nervoso vegetativo no. Pertanto, le risposte endocrine e fisiologiche all’attività fisica sono le stesse che si hanno in altri tipi di stress fisici. In secondo luogo, in una condizione di overtraining si hanno profondi cambiamenti endocrini, che vedono coinvolti soprattutto l’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene ed il sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico). Nello stadio iniziale di una seduta di allenamento, l’atleta entra nella prima fase di risposta allo stress, ovvero la fase di “allarme”. Durante l’allenamento subentra la fase di resistenza, in cui l’organismo mette in atto le risposte compensatorie per far fronte allo stress. Infine, si hanno due possibilità. Dalla fase di resistenza, l’atleta passa alla fase di adattamento, in cui si adatta a quel determinato carico allenante, l’omeostasi si sposta a livelli superiori, le prestazioni atletiche aumentano. La seconda possibilità è rappresentata dal passaggio alla fase di esaurimento. Si ha il “crollo del sistema”, il progressivo decremento delle performance, l’incapacità di rispondere normalmente allo stress allenante. Ecco l’overtraining. L’overtraining è spesso preceduto da una condizione borderline, al limite tra fase di resistenza e fase di esaurimento: l’overreaching. In questa fase, il carico allenante (inteso come volume, intensità o entrambi) viene portato al massimo delle capacità dell’atleta, portando spesso, nel breve termine, ad un calo delle performance o ad uno stallo dei progressi. Tuttavia, se la fase di overreaching è seguita da un’ampia fase di recupero attivo (ad esempio: riducendo l’intensità e/o il volume degli allenamenti, aumentando i tempi di recupero, ecc.), la supercompensazione e quindi l’adattamento che seguono saranno ancora maggiori. Alcuni preparatori atletici utilizzano strategie quali l’overreaching programmato in alcune fasi della preparazione degli atleti. Si tratta di una strategia efficace quanto rischiosa, che richiede grandi capacità di interpretare le reazioni dell’atleta, oltre a buone nozioni di fisiologia, in quanto la linea che separa l’overreaching dall’overtraining è sottile. Sono in molti a credere, erroneamente, che la condizione di overtraining sia caratterizzata, dal punto di vista endocrino, da livelli di cortisolo oltre la norma. Questo è vero nella condizione di overreaching e negli stadi iniziali deH’overtraining, mentre nell’overtraining conclamato, avviene l’esatto contrario, ovvero il surrene non è più in grado di far fronte agli stressor, compreso quello allenante. Si ha una condizione di “affaticamento surrenale”. L’HPA, durante lo stress indotto dall’allenamento, viene regolata in due fasi: in una prima fase acuta, il rilascio di CRH dall’ipotalamo e di ACTH daH’adenoipofisi aumentano (a questo contribuisce anche il rilascio di vasopressina indotto dall’esercizio fisico), portando ad una moderata desensibilizzazione della corteccia surrenale; in un secondo momento, durante Io stress cronico e l’overtraining, si assiste ad una desensibilizzazione centrale dell’asse HPA, ovvero si riducono sia la secrezione di CRH che di ACTH e di conseguenza di cortisolo e mineralcorticoidi. La situazione viene aggravata in presenza di un’alimentazione ipocalorica. Altre modificazioni endocrine coinvolgono la sintesi di steroidi sessuali, in particolare di testosterone, Tasse GH-IGF-1, la funzionalità tiroidea, la secrezione di insulina e la sintesi di leptina. Nell’overreaching e neH’overtraining, i valori di testosterone totale e libero, il rapporto testosterone/cortisolo (T/C) e testosterone libero/cortisolo (fT/C) calano. Queste modifiche sembrano essere esacerbate da un’alimentazione a ridotto contenuto glucidico. A livello dell’asse tiroideo si riduce la secrezione di TSH, ma soprattutto la produzione periferica di triiodotironina

(T3). La produzione di GH resta generalmente invariata, mentre si riduce la sintesi dei sui mediatori anabolici, l’IGF-1 e le sue isoforme, così come tendono a ridursi i livelli basali di insulina. Anche il rilascio di leptina sembra subire un calo proporzionale al carico allenante. Queste modificazioni endocrine si ripercuotono anche a livello muscolare, dove si assiste ad un cambiamento nell’espressione delle catene pesanti della miosina, che dalle isoforme rapide, caratterizzanti le fibre muscolari bianche, cambiano alle isoforme lente, che caratterizzano le fibre muscolari rosse. Inoltre, si assiste ad una riduzione dell’espressione dei trasportatori di glucosio a livello muscolare e ad un aumento dell’espressione delle Heat Shock Protein (HSP70). Ugualmente importanti sono i cambiamenti a livello del sistema nervoso autonomo, in particolare della branca ortosimpatica. Vengono distinti un sovrallenamento di tipo “simpatico” ed un sovrallenamento di tipo “parasimpatico”. Entrambi sono il risultato di un “esaurimento”, che induce una ridotta capacità di rispondere allo stress da parte del sistema nervoso vegetativo. Nell’overreaching e nei primi stadi dell’overtraining, si ha un aumento del tono simpatico, accompagnato da una sottoregolazione dei recettori adrenergici, in particolare dei recettori beta-2 a livello del muscolo scheletrico. Questo comporta una ridotta sensibilità dell’apparato muscolare alle catecolammine. Questa desensibilizzazione è di tipo periferico, e la sindrome che ne deriva prende il nome di overtraining di tipo simpatico. Negli stadi avanzati di overtraining, la desensibilizzazione periferica del sistema nervoso autonomo viene accompagnata da una desensibilizzazione centrale, ovvero si riducono la frequenza di scarica e l’output ortosimpatici, il che induce la prevalenza del sistema nervoso parasimpatico/vagale. La sindrome che ne deriva è appunto definita come overtraining di tipo parasimpatico. Entrambi i tipi di desensibilizzazione ortosimpatica comportano affaticamento cronico ed incapacità di far fronte allo stress, oltre a tutta una serie di sintomatologie più o meno gravi. A tutto ciò si aggiunge un’ulteriore desensibilizzazione nervosa, questa volta a livello della giunzione neuromuscolare, ovvero delle connessioni colinergiche tra nervi motori e muscolo scheletrico (unità motorie). I cambiamenti endocrini e neurologici sopra descritti avvengono soprattutto nelle condizioni di overtraining indotte da un aumento del volume di allenamento, sia negli sport di endurance che negli sport di potenza. In caso di overtraining indotto da un incremento dell’intensità di allenamento, ma non di volume, il cambiamento più importante si ha a livello del sistema nervoso ortosimpatico, con un aumento in acuto della secrezione di catecolammine in risposta all’allenamento, accompagnato da una notevole sottoregolazione dei recettori beta-2 adrenergici a livello muscolare, che comporta un decremento progressivo delle performance (ed altri sintomi).Tuttavia, non ci sono modifiche sostanziali dell’asse surrenale, gonadico, tiroideo e dell’asse GH-IGF-1. Il ruolo del sistema nervoso centrale nell'overtraining

Come abbiamo visto precedentemente, gli stressor, a prescindere dalla loro natura, si sommano ed hanno un effetto cumulativo sulla risposta allo stress. Lo stress psicologico predispone all’overtraining, in quanto è in grado di alterare l’equilibrio di alcuni neurotrasmettitori a livello centrale. Un ruolo fondamentale gioca il neurotrasmettitore serotonina, fortemente coinvolto nella regolazione dell’umore e nelle sindromi depressive. Le regioni cerebrali interessate comprendono! nuclei della base, il sistema limbico, l’ippocampo e l’ipotalamo. Il sistema serotoninergico è in grado di influenzare la risposta dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema nervoso ortosimpatico, ed a sua volta è influenzato dai glucocorticoidi e dalle catecolammine. Durante la risposta allo stress, l’attivazione del sistema serotoninergico centrale, cosi come del sistema noradrenergico, determina un aumento della secrezione di CRH ed ACTH, quindi l’attivazione ì dell’HPA. L’attività fisica eccessiva e l’overtraining possono portare ad una desensibilizzazione ]

dei sistemi monoamminergici (serotonina e noradrenalina). In alcune sindromi depressive, cosi come nell’overtraining, sia il sistema serotoninergico centrale che l’asse HPA non sono in grado di rispondere correttamente allo stress. Ad esempio, in condizioni di stress cronico, si ha una ridotta produzione di serotonina a livello dell’ippocampo, che, tramite efferenze dirette all’ipotalamo, riduce a sua volta l’attivazione dell’HPA in risposta allo stress. Contrastare l'affaticamento surrenale Lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale, sia nella genesi dell’affaticamento surrenale, sia per uscire fuori da questa condizione. Alcune abitudini possono essere cambiate, altre purtroppo no. Nei limiti del possibile, ci sono alcune semplici (quanto, a volte, difficili da mettere in pratica) regole da rispettare. J Evitare il più possibile fonti di stress. Facile a dirsi, più difficile a farsi. Se la principale fonte di stress è rappresentata dal proprio lavoro, difficilmente si può fare molto. Ciò che si può fare è evitare tutte le situazioni stressanti possibili, così come evitare di stare a contatto con gente “stressante Può sembrare stupido, ma anche guardare un film horror o thriller, piuttosto che un film comico e poco impegnativo, rappresenta una fonte di stress.

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Evitare di preoccuparsi per motivi banali (accorgersi quando una preoccupazione è immaginaria o reale).

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Evitare di cercare il raggiungimento della perfezione in tutto.

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Tenere a bada l’ansia, magari con l’aiuto di tecniche di rilassamento, quali la meditazione, gli esercizi di respirazione o lo yoga.

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Evitare tassativamente l’assunzione di ogni forma di stimolante del sistema nervoso, caffeina e nicotina comprese, e di bevande alcoliche.

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Dedicarsi, quando possibile, ad attività di svago e divertimento. Qui non c’è una regola precisa. C’è chi si svaga e si rilassa passeggiando, chi leggendo, chi ascoltando la musica, chi vedendo un film, chi uscendo con gli amici, chi prendendo a pugni un sacco da boxe. Ognuno deve trovare il tempo da dedicare ad un’attività che lo faccia sentire meglio.

J

Evitare l’attività fisica eccessiva ed il sovrallenamento (ridurre quindi volume, intensità e frequenza degli allenamenti).

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Cercare di dormire sempre ad orari regolari, coricandosi possibilmente entro le 23 e, lavoro o impegni permettendo, dormire fino alle 8.30-9 del mattino. In presenza di insonnia o disturbi del sonno, evitare il contatto visivo con schermi di tv, pc o smartphone in tarda serata. Il riposo pomeridiano va bene, purché non superiore a 20-30 minuti, altrimenti potrebbe interferire negativamente con la qualità del sonno notturno. L’assunzione di melatonina, valeriana e 5-idrossi-triptofano (5-HTP) aiuta a favorire il sonno ed a migliorarne la qualità.

Anche l’alimentazione ha un ruolo chiave nell’affaticamento surrenale. Non esiste una “dieta per l’affaticamento surrenale”, ma ci sono alcuni accorgimenti dietetici che possono alleviarne i sintomi e velocizzarne la guarigione. Innanzitutto, se volete dimagrire, cominciamo subito con il dire che questa non è assolutamente la condizione endocrina ideale per farlo, o, almeno, non seguendo una dieta fortemente ipocalorica. Il motivo è semplice: un’alimentazione ipocalorica rappresenta un ulteriore stress per l’organismo. Diete low carbs e chetogeniche rappresentano delle valide strategie per il dimagrimento e non solo, ma non sono assolutamente indicate in condizioni di ridotta funzionalità surrenale, poiché la ridotta assunzione glucidica determina una forte attivazione degli assi endocrini che portano alla secrezione di ormoni controinsulari, tra cui figurano cortisolo e adrenalina. Questi ormoni hanno proprio la funzione di innalzare la glicemia a discapito di altri substrati energetici, quali il

glicogeno epatico e le proteine muscolari, oltre a mobilizzare gli acidi grassi dal tessuto adiposo, affinché vengano ossidati e partecipino al processo di chetogenesi. Pertanto, se il surrene è affaticato, non solo una dieta ipocalorica (ancor peggio se ipoglucidica) causerà ulteriore stress, accelerando la progressione della sindrome, ma tenderà ad esacerbarne i sintomi, quali la stanchezza cronica, l’apatia, la mancanza di energie e la ridotta tolleranza allo stress. Il glucosio è inoltre essenziale per la sintesi del coenzima NADPH, coenzima fondamentale in diverse reazioni di steroidogenesi, la cui quota nell’organismo proviene per il 60% circa dal ciclo dei pentosi fosfati. D’altro canto, l’assunzione di zuccheri, carboidrati raffinati ed alimenti processati in genere è altrettanto deleteria, in quanto i continui sbalzi glicemici portano ad un’attivazione dell’HPA e del sistema nervoso ortosimpatico (si pensi all’ipoglicemia reattiva a seguito dell’assunzione di grandi quantità di zuccheri semplici o amidi raffinati). Inoltre, gran parte degli alimenti raffinati ed elaborati sono privi di micronutrienti essenziali, alcuni di essi molto utili nel prevenire e contrastare l’affaticamento surrenale. L’assunzione di carboidrati non deve, tuttavia, essere eccessiva, soprattutto nelle forme moderate e gravi di affaticamento surrenale. La quota glucidica ideale si attesta attorno al 40% dell’introito calorico totale. Un’altra importante considerazione va fatta sulla suddivisione dei pasti. Nella condizione di affaticamento surrenale è importante suddividere l’introito di macronutrienti giornaliero in più pasti ed evitare periodi di digiuno prolungato. Attenzione, non si parla del falso mito che vede un maggior numero di pasti favorevole al dimagrimento, in quanto in grado di “accelerare il metabolismo Questo è, appunto, un falso mito, e tale resta. La ripartizione in più pasti equamente distanziati permette, se i pasti sono equilibrati, un mantenimento stabile della glicemia, in modo tale da ridurre i fenomeni di ipoglicemia con annessa attivazione dell’HPA e ridurre i sintomi deH’affaticamento surrenale. Anche la colazione riveste un ruolo importante, in quanto al mattino si ha il picco circadiano di cortisolo. Ogni pasto deve contenere una buona fonte di carboidrati amidacei non raffinati, una buona fonte di grassi, proteine di qualità ed avere un basso carico glicemico. Verdure, ortaggi e frutta, a causa della ricchezza in micronutrienti essenziali, vanno consumati in quantità, ma con un occhio di riguardo a quelli maggiormente ricchi di potassio, in quanto, l’eccessiva assunzione di questo elemento stimola la secrezione di aldosterone e può peggiorarci sintomi dell’affaticamento surrenale, condizione in cui i livelli plasmatici di potassio tendono ad aumentare. Vanno evitati assolutamente alimenti elaborati, processati e confezionati, cioccolato, zucchero, dolci, frittura, grassi idrogenati, bevande zuccherate (compresi i succhi di frutta), pane bianco ed altre fonti di carboidrati raffinate. Le bevande alcoliche vanno bandite, in quanto l’alcol etilico, modificando il potenziale redox delle cellule epatiche, induce ipoglicemia, situazione che a sua volta causa l’attivazione della risposta allo stress. Assicurarsi di assumere una buona quota di acidi grassi essenziali, soprattutto omega-3, che, oltre a tanti altri indiscussi benefici, attenuano la risposta infiammatoria e la risposta allo stress. Attenzione agli alimenti a cui si è intolleranti, agli alimenti ricchi di istamina ed a quelli che ne stimolano il rilascio. L’assunzione di questi alimenti infatti, causa fenomeni allergici ed infiammatori a livello intestinale, comportandosi a tutti gli effetti da “stressor”. Un’ultima raccomandazione: i pasti vanno consumati in tranquillità, in ambiente confortevole e masticando e deglutendo lentamente. Bere acqua sì, ma “cum grano salis”. Il latinismo ha una doppia accezione. In senso figurato, significa bere “con buon senso”, in senso letterale, significa bere “con un granello di sale”. Entrambi i significati sono da tenere in considerazione in una condizione di affaticamento surrenale. Bere molto è importante, in quanto facilita l’eliminazione di scorie e sottoprodotti

metabolici e, mantenendo idratato l’organismo, riduce la risposta allo stress (ricordiamo che la disidratazione è percepita dall’organismo come forte stress, tanto che il rilascio di ormone antidiuretico stimola la secrezione di ACTH dall’adenoipofisi). Tuttavia, bere troppa acqua può causare eccessiva diluizione degli elettroliti plasmatici, soprattutto di sodio, portando ad una situazione di iponatremia (in alcuni casi fatale, come in caso di intossicazione acuta da acqua). Questa condizione viene esacerbata in presenza di ridotta funzionalità surrenale, in quanto i livelli di ormoni sodio-ritentivi, come l’aldosterone e l’angiotensina II, sono più bassi della norma. Pertanto, l’assunzione di acqua deve essere accompagnata da un adeguato introito di cloruro di sodio, motivo per cui il sale non va assolutamente eliminato dalla dieta (al contrario, in casi di insufficienza surrenale la sua assunzione andrebbe aumentata). A tal proposito, durante attività fisica con sudorazione profusa, l’ideale sarebbe reidratarsi con soluzioni isotoniche, oppure aggiungere 1 -2 cucchiaini da tè di sale da cucina ad una bottiglia di acqua da due litri. L’iponatremia non farà altro che stimolare ulteriormente la risposta allo stress e l’attivazione dell’HPA, oltre a peggiorare sintomi deH’affaticamento surrenale quali astenia, capogiri, debolezza ed ipotensione ortostatica.

Supplementi ed estratti erbacei

La vitamina C è senz’altro uno dei microelementi più importanti nel supportare la funzionalità surrenale.Infatti, più cortisolo viene sintetizzato, più vengono utilizzate le riserve di questa vitamina, in parte perché le reazioni coinvolte nella steroidogenesi generano radicali liberi dell’ossigeno. Inoltre, la vitamina C è un cofattore fondamentale dell’attività enzimatica della dopamina idrossilasi, enzima che converte la dopamina in noradrenalina, dalla quale poi deriva, per successiva mediazione, l’adrenalina. Oltre a migliorare la funzionalità surrenale, la vitamina C rafforza il sistema immunitario e migliora la tolleranza allo stress. Il dosaggio ottimale in caso di affaticamento surrenale è di 2-3 gr/die, suddivisi nell’arco della giornata. La vitamina E coadiuva le funzioni antiossidanti della vitamina C ed aiuta a ridurre il danno indotto dallo stress ossidativo a livello surrenale. E importante assumere supplementi di vitamina E in un mix di entrambe le forme, alfa e beta-tocoferolo.Trattandosi di una vitamina liposolubile, la sua biodisponibilità aumenta se assunta con un pasto contenente lipidi. Un buon dosaggio è rappresentato dall’assunzione di 800 lU/die. Le vitamine del complesso B sono cofattori essenziali in diversi processi metabolici atti a ricavare energia dai nutrienti ingeriti. La vitamina B6 in particolare, sotto forma di piridossalfosfato (P5P), interviene in diverse reazioni del metabolismo degli aminoacidi, quali la transaminazione e la decarbossilazione. A livello centrale e surrenale, la decarbossilazione della levo-DOPA (Di-idrossi-fenilalanina) è una delle reazioni limitanti nella sintesi di catecolammine, in quanto porta alla produzione di dopamina, da cui poi derivano noradrenalina e adrenalina. I dosaggi del complesso B variano da 50-100 mg per la B6, 1500 mg per l’acido pantotenico (vitamina B5), 25-50 mg per la niacina, 200-400 mcg per la B12 e 400 mcg per l’acido folico (B9). Molti processi metabolici che forniscono energia alle cellule, comprese le cellule che costituiscono le ghiandole surrenali, richiedono magnesio come cofattore. Il magnesio coadiuva il ruolo della vitamina C nel potenziare la funzionalità surrenale. Il magnesio è inoltre un ottimo miorilassante e favorisce il sonno. Il dosaggio ottimale è di 400 mg di magnesio citrato/die, meglio se assunto al termine dell’attività fisica e prima di coricarsi.

La radice di liquirizia è un adattogeno noto per le sue proprietà anti-stress, antinfiammatorie, toniche ed energizzanti. Queste proprietà sono in gran parte dovute alla presenza di un composto, noto come acido glicirretico o enossolone, composto che presenta una struttura simile ad alcuni corticosteroidi (in particolare l’aldosterone) ed in grado di aumentarne la produzione surrenale, inibendo alcune vie enzimatiche, tra cui l’enzima 11-beta-HSD di tipo 2, enzima che disattiva il

cortisolo nei tessuti, convertendolo nel poco attivo cortisone. Per questi motivi, la radice di liquirizia può aiutare a contrastare i sintomi di un’insufficienza surrenale.

L'estratto di foglie e radici di Ashwagandha (Withania somnifera) è utilizzato nella medicina ayurvedica come tonico negli stati di stanchezza ed affaticamento cronico, come “ringiovanente”, come antinfiammatorio nei dolori reumatici ed articolari e come afrodisiaco. Questo estratto è molto indicato in caso di affaticamento surrenale, in quanto agisce da adattogeno, ovvero aiuta l’organismo a mantenere l’omeostasi a seconda della situazione. Ad esempio, se i livelli di cortisolo sono troppo elevati, l’estratto di Ashwagandha aiuta ad abbassare i livelli di questo ormone e viceversa, come nel caso deH’affaticamento surrenale, sei livelli di cortisolo sono inferiori alla norma. L’ Ashwagandha favorisce il sonno e ne migliora la qualità. Attenzione, ad alte dosi (attorno ai 35 gr/die), questo estratto tende ad inibire la steroidogenesi adrenocorticale. L’estratto di Rhodiola Rosea è stato utilizzato per aumentare la resistenza fisica, la produttività a lavoro, la memoria, per trattare gli stati di affaticamento cronico, la depressione, l’anemia, le infezioni e vari disordini nervosi. La Rhodiola Rosea contiene sei classi di composti chimici, i più importanti dei quali rappresentati dalle rosavine. Questi composti aiutano l’organismo a fronteggiare lo stress, modificando l’attività di alcuni neurotrasmettitori, quali serotonina, dopamina e noradrenalina, riducendone la degradazione e favorendone il trasporto a livello del sistema nervoso centrale. In diversi studi condotti su esseri umani, si è evidenziato come la supplementazione con Rhodiola Rosea migliori i sintomi correlati allo stress, quali nervosismo, irritabilità, mancanza di concentrazione ed affaticamento ed altre condizioni quali depressione, ansia e disfunzioni cognitive.

L'insulina Ormai tutti conosciamo l'insulina. Prodotta dalle cellule p del pancreas è l'ormone ipoglicemizzante, cioè quello deputato a togliere gli zuccheri dal sangue. In realtà questa definizione non è del tutto esatta. E vero che l'insulina aumenta l'up-take cellulare, cioè la permeabilità al glucosio (e agli aminoacidi) della cellula muscolare e adipocitaria, ma non fa solo questo: inibisce anche la lipolisi e la glicolisi, stimolando la liposintesi e la glicogenosintesi. Pertanto i livelli ematici di glucosio scendono sia perché le cellule lo captano più facilmente ma anche perché il fegato smette di immettere zucchero nel sangue. Abbiamo appena scritto che inibisce la lipolisi e stimola la liposintesi, per questa ragione negli anni è stato erroneamente incolpata di essere la principale causa del sovrappeso. L'equazione è facile: mangiamo sempre più zuccheri, produciamo sempre più insulina, siamo sempre più grassi. Dove sta l'errore? L'errore di fondo è che ingrassiamo con gli zuccheri se il corpo non è più in grado di gestirli correttamente (metabolismo glucidico deficitario). Abbiamo visto nel capitolo sui carboidrati che un eccesso glucidico, se non ostacolato da altri macronutrienti (ingorghi metabolici), e se trova i GLUT-4 non resistenti, viene ossidato piuttosto che convertito in trigliceridi. L'insulina, inoltre, si eleva anche con alimenti con un alto contenuto di aminoacidi ramificati o che stimolano le incretine GLP-1, GIP (gli ormoni dell'intestino) ed in questo caso può avere addirittura un effetto dimagrante, migliorando la sensibilità dei GLUT-4. Insomma, sicuramente questo ormone è “pericoloso quando si alza smettiamo di dimagrire, facendo cessare l'azione idrolitica dell'HSL (lipasi sensibile agli ormoni) negli adipociti e stimolando LPL (lipoproteina lipasi) a liberare gli acidi grassi proprio sul tessuto adiposo e non più su quello muscolare. Se a questo aggiungiamo che l'azione lipolitica delle catecolamine si arresta, possiamo intuire come alti livelli insulinici in presenza di trigliceridi ematici elevati ci portino immediatamente ad ingrassare.

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Il glucosio forma acidi grassi quando la sua accelerata trasformazione in piruvato e quindi in acetil-CoA e ossalacetato porta ad un'elevata produzione di citrato. Quindi, quando l'insulina è alta ed i livelli di ATP del mitocondrio sono già saturi, la lipogenesi con gli zuccheri in eccesso diventa un fenomeno inevitabile. Ma negli altri casi (glicemia alta senza trigliceridi o eccesso di ATP, insulinemia elevata come risposta agli aminoacidi ramificati), gli effetti ingrassanti non sono così rilevanti. Altra questione che riguarda questo ormone è relativa al suo livello basale. Quello che ci deve preoccupare non sono tanto i picchi, che sono fisiologici e che anzi aiutano a far calare l'eccesso di zuccheri nel sangue, ma piuttosto la sua produzione costante fuori dai pasti. Chi anche a digiuno continua ad immettere zuccheri nel sangue (la maggior parte per via dello stress) obbliga il corpo a continuare a produrre cronicamente insulina. Questo porta l'organismo a generare contemporaneamente catecolamine, cortisolo, glucagone, GH ed insulina. Ormoni antagonisti e contrastanti che fisiologicamente non dovrebbero coesistere (se non a bassissimi livelli). In questa situazione dimagrire diventa molto difficile per via degli effetti antilipolitici dell'insulina, effetti che si attivano a concentrazioni molto più basse rispetto a quelle responsabili dell'azione ipoglicemizzante. Muoversi spesso aiuta a tenere bassi i livelli glicemici giornalieri, migliorando il profilo ematico ed ormonale. Anche se passeggiare, per esempio, consuma poche calorie, aiuta a migliorare il profilo ematico-metabolico. A livello recettoriale i muscoli e gli adipociti si contendono questo ormone. La lotta tra chi dovrà captare più insulina e quindi glucosio, tra tessuto muscolare e grasso dipende principalmente da tre fattori. 1. Quantità di glicogeno contenuta nel muscolo, più le riserve sono basse, rispetto alla capacità del miocita, più il muscolo prevarrà rispetto all'adipocita. Gli sportivi aumentano le loro riserve di glicogeno muscolare, questo gli da un enorme vantaggio rispetto ai sedentari che si ritrovano miociti piccoli e con bassa capacità di captazione. Tuttavia il muscolo aumenta la sua affinità con l'insulina principalmente quando le riserve, dopo l'attività fisica, si ritrovano depauperate. 2. Stato di membrana del miocita. Allenamenti intensi che danneggiano la membrana cellulare, diminuiscono i recettori sul muscolo. 3. Ipertrofia cellulare. Normalmente soltanto il 10% dei recettori si sposta dal citoplasma alla membrana. Più una cellula è grande e più recettori porterà in superficie. Atleti di forza e potenza con basse percentuale di grasso si ritrovano miociti ipertrofici e piccoli adipociti, al contrario sedentari obesi hanno poco volume cellulare per quanto riguarda il tessuto muscolare mentre quello adiposo in rapporto occupa molto più spazio. Altro effetto negativo che comportano livelli cronici elevati di insulina riguarda l'azione delle prostaglandine PG2 pro-infiammatore, che aumentano la pressione sanguigna. L'insulina alta, peggiorando la circolazione attraverso il suo effetto vasocostrittore, frena il dimagrimento di tutte quelle zone con una bassa irrorazione (grasso ostinato). Al contrario livelli ottimali di questo ormone portano a vasodilatare. Dobbiamo quindi iniziare a vederla come un soggetto neutro che può essere sia una nemico sia un alleato e che, se stimolato al momento opportuno e con le giuste dosi (alta affinità cellulare), ci aiuta a migliorare la nostra composizione corporea. L'ultima cosa da precisare riguarda l'ipoglicemia reattiva. Questa è causata dal pancreas, che dopo un pasto, non capisce che deve interrompere la produzione di insulina. Questa si arresta in ritardo rispetto al calo glicemico già avvenuto. La sua vita media è di 7-15 minuti, quindi c'è un lasso di tempo che intercorre tra il calo repentino della concentrazione di glucosio nel sangue (data dall'impennata insulinica) e la degradazione di questo ormone. I cali glicemici sono tra i principali

fattori che portano a stati di apatia e stanchezza e ad attacchi di fame. Mangiare lentamente aiuta ad evitarli.

La resistenza all'insulina La resistenza all'insulina è un problema che affligge sempre più persone. Ma come funziona esattamente? Perché ci fa ingrassare e perché porta a seri problemi per la salute? In questo paragrafo indagheremo a fondo quali sono gli aspetti biochimici e fisiologici della questione e perché a volte pur mangiando bene e/o poco non riusciamo a far calare la pancia ed i fianchi.

Cos'è la resistenza all'insulina (up-down regulation) Il nostro corpo cerca in ogni modo di preservare l'omeostasi (lo stato interno). Per fare ciò ha escogitato tutta una serie di strategie come i feedback negativi: avete sete, bevete, il nuovo stato idrico interrompe lo stimolo della sete. Oltre ai feedback a livello cellulare, ha creato una serie di risposte recettoriali (up-down regulation). Tanto più una sostanza è rara e quanti più recettori vengono portati in superficie per captarla, tanto più la sua quantità è elevata e al contrario nel tempo meno ne troviamo sulla membrana. L'immagine che possiamo utilizzare è quella di una bella fica che scende in uno scantinato pieno di ragazzi cicci e brufolosi che giocano ai giochi di ruolo. La sua presenza catturerebbe appieno l'attenzione dei presenti, tranne quello in fondo sul divano che è svenuto per l'eccitazione. Se invece la stessa fica si presenta ad una festa di Play Boy in piscina, la sua presenza non verrebbe quasi neanche notata per l'eccesso di figaggine presente. Quando nel sangue viene immesso dello zucchero, il pancreas attiva l'insulina e questo ormone stimola i recettori (GLUT-4) a catturare il surplus glucidico nelle cellule muscolari ed adipose.il gioco funziona finché non esageriamo. Un po' come la storia di Pierino con il lupo. Se quotidianamente abbondiamo con troppi zuccheri, i recettori GLUT-4 smettono di trasferirsi sulla superficie di membrana. Il pancreas è così costretto a secernere più insulina per sortire lo stesso effetto. Alla fine il sistema si rompe, il pancreas perde la sua capacità di regolare la glicemia e da insulino-resistente diventiamo diabetici di tipo 2. Insomma, forse non si può mangiare fino a scoppiare letteralmente, ma sicuramente si può mangiare fino a diventare diabetici.

Resistenza all'insulina e grassi Purtroppo la resistenza all'insulina non riguarda solo l'eccesso di zuccheri ma anche di grassi (ed in minor parte di proteine). Cosa centrano i grassi con l'insulina? Poco, almeno a livello ematico, ma a livello dei recettori di membrana molto. Alti livelli di trigliceridi nel sangue si correlano con un aumento dei trigliceridi intracellulari e questo ostacola l'ingresso del glucide nella cellula. Per questo c'è una correlazione tra chi mangia molta carne grassa e il diabete. Resistenza all'insulina una facile soluzione

Se vogliamo risolvere il problema dell'insulina è inutile incolpare l'eccesso di zuccheri (visione della dieta a Zona e Paleo) o dei grassi (visione della dieta Mediterranea e Vegana). Bisogna in primis accusare l'eccesso calorico. E quando abbiamo un surplus energetico che la cellula soffre, quindi i problemi non sono dati dai carboidrati o dalla carne ma dal fatto che semplicemente mangiamo troppo in rapporto a quanto ci muoviamo. Seguite la dieta che volete (purché abbia una base scientifica) e vedrete che in ipocalorica tutti i parametri ematici miglioreranno. Quello che non si sa sulla resistenza all'insulina

Luca è un collega coetaneo di Marco. Tutti e due sono sedentari e tutti e due sono alti 1,80 me pesano 75 kg. Mangiano sempre alla mensa insieme e a fine giornata assumono le stesse calorie. Tuttavia nel giro di 5 anni Luca ingrassa di 10 kg mentre Marco rimane uguale. Alcuni potrebbero

sostenere che questa è la prova che Dio non esiste. Vediamo invece di capire perché questo avviene.

La flessibilità metabolica

Il nostro corpo consuma prevalentemente due carburanti: i grassi e i carboidrati. A riposo il muscolo attiva quasi esclusivamente il metabolismo lipidico (azione bruciagrassi), mentre dopo un pasto classico (60-15-25%) la situazione si inverte e consuma quasi esclusivamente zuccheri. Questa alternanza viene chiamata flessibilità metabolica e sta ad indicare un meccanismo ON/OFF tra i due metabolismi. In chi è insulino-resistente la situazione purtroppo varia. A riposo il muscolo continua ad attivare anche il metabolismo glucidico, mentre dopo il pasto continua a mantenere attivo anche quello lipidico. Questo si riflette sul Quoziente Respiratorio, più la persona è in sovrappeso e meno grassi brucia a riposo rispetto agli zuccheri. / mitocondri Non possiamo parlare di salute e dimagrimento se non parliamo di mitocondri. Come si riflette la resistenza all'insulina su di essi? Quando parliamo di metabolismo accelerato o metabolismo lento cosa intendiamo? Che gli scambi biochimici nel nostro corpo avvengono più o meno rapidamente? Sbagliato. Lavoisier diceva che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma (in calore). Quando mangiamo pensiamo che quello che ingurgitiamo vada a rimpiazzare le scorte energetiche consumate, che ripari i tessuti o che venga convertito in grasso. Quello che non consideriamo mai è che le calorie introdotte possono dissiparsi in calore. E questo il segreto dei magri che mangiano tanto e non ingrassano. Mitocondri sani, numerosi, con un'alta densità portano a dissipare in calore l'eccesso energetico piuttosto che a convertirlo in nuovi acidi grassi. La resistenza all'insulina ha un'azione diretta sia sulla membrana cellulare sia sui mitocondri, depotenziando il loro ruolo termogenico. Luca e Marco erano identici fuori ma internamente avevano differenze mitocondriali. Luca ne possedeva meno e più piccoli, questo nel tempo lo ha portato ad ingrassare, Marco al contrario aveva più fornaci dove dissipare in calore l'eccesso.

Resistenza all'insulina: una NON facile soluzione L'insulino-resistenza crea un circolo vizioso, porta ad ingrassare e più si ingrassa più si diventa insulino resistenti. Mangiare meno non sempre funziona per spezzare questo meccanismo. Spesso ci ritroviamo ancora grassi pur mangiando poco. Un disastro! Diete low carb, con pochi carboidrati, a volte migliorano la sensibilità insulinica, perché la scarsità di glucosio porta nuovi recettori GLUT-4 in superficie, a volte però la peggiorano perché le cellule ormai abituate a sfruttare sempre il metabolismo lipidico preservano il poco glucosio presente a livello ematico, consumando lentamente i grassi e perdendo l'affinità coi glucidi. C'è tanta confusione a livello alimentare e si sente tutto ed il contrario di tutto, proprio perché una soluzione definitiva tuttora non esiste. Una reale soluzione all'insulino-resistenza

Ma allora cosa dobbiamo fare? Muoversi e ricominciare a mangiare con gradualità. L'esercizio fisico è l'unico fattore che migliora la sensibilità insulinica, indipendentemente dall'alimentazione. La produzione energetica aumenta enormemente nelle cellule muscolari che lavorano e ciò porta a consumare le scorte energetiche e a riportare in superficie i GLUT-4 per captare più glucosio possibile. Questo meccanismo non è mediato dalla glicemia, per questo migliora la sensibilità insulinica (repetita iuvant).

Affinché tutto questo avvenga l'attività fisica deve essere intensa (proporzionale alla capacità della persona). Se vi limitate a camminare mezzora per dimagrire, il vostro corpo utilizzerà sempre i grassi come combustibile, idem se correte in “fascia lipolitica”. Per carità, muoversi è sempre meglio che stare fermi, ma visto che immaginiamo che non abbiate tempo da buttare via, sfruttatelo allenandovi nel migliore dei modi. Purtroppo le persone guardano al dito perdendo di vista la luna. Appena leggono che un'attività fa consumare più grassi la prediligono senza indagare che ripercussioni ha sullo stato metabolico. Dal punto di vista alimentare dovete riprendere l'affinità coi carboidrati. Se li mangiate ed ingrassate c'è qualcosa che non va. Questo avviene perché i mitocondri hanno perso la capacità di ossidare in calore l'eccesso glucidico. Ci sono diverse strategie per migliorare l'affinità col glucosio. Ora le esporremo brevemente (nell’ultimo capitolo parleremo solo di questo) ma tenete sempre a mente questi due punti: nessuna dieta funziona bene se non è abbinata alla giusta attività fisica; alimentazione + training servono per far capire al vostro organismo che deve indirizzare i macronutrienti ai muscoli e non alle cellule adipose. 1. Dieta low-fat. La presenza di pochi grassi ( se

Immaginate un centralino: quando vi son troppi messaggi da recapitare il tutto si intasa e rallenta, per ovviare a ciò si chiudono un paio di linee ed i messaggi tornano ad esser recapitati in modo ordinato ed efficiente. Questo accade con le GLUT-4 (tutto dipende dall’AMPK, ma lo vedrete tra poco); troppa insulina in circolo porta queste proteine di trasporto a “nascondersi” nuovamente all’interno della cellula e accade il disastro. // Glucosio e le sue Escori

Abbiamo varie proteine di trasporto deputate ad “escori” del glucosio. J GLUT-1. Sono maggiormente espresse negli eritrociti e nella barriera emato-encefalica e il loro livello aumenta al diminuire del glucosio ematico. Hanno alta capacità di trasporto e bassa affinità e ciò permette loro di captare molto glucosio anche quando la disponibilità è molto bassa. Sono insulino-indipendenti.

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GLUT-2. Sono trasportatori bi-direzionali espressi nelle membrane delle cellule epatiche (fegato), P-pancreatiche, renali ed intestinali. Possiedono alta capacità e bassa affinità e ciò permette loro di lavorare anche in carenza di glucosio e dare la priorità a quei tessuti che ne hanno maggiormente bisogno (vedi GLUT-1). Il trasporto bidirezionale è importante soprattutto nel fegato dove serve che il glucosio venga preso per la glicolisi e “buttato fuori” quando si attiva la gluconeogenesi (al fine di mantenere stabile la glicemia).

Nelle cellule ^-pancreatiche, come potete ben immaginare, un trasporto libero del glucosio è indispensabile al fine di poter “percepire” il livello di glucosio nel sangue ed espellere abbastanza insulina o glucagone da mantenere la glicemia nei parametri vitali. Nell’intestino, le GLUT-2 hanno stessa affinità per il glucosio, il fruttosio ed il galattosio. GLUT-3. Sono espresse nei neuroni e l’alta affinità permette loro di trasportare il glucosio anche quando la sua concentrazione è molto bassa. Il sistema nervoso ha alta priorità o entrereste in coma con una dieta very-low-carb. GLUT-4. Eccoci arrivati a noi. Queste sono le proteine trasportatrici espresse nel tessuto adiposo, muscolare scheletrico e muscolare cardiaco. Sono le uniche che lavorano solo in risposta all’insulina. Senza insulina nessuna di queste “escori” fa il suo lavoro.

Immagino ora la domanda: “cosa e come si decide dove deve andare il glucosio?” La risposta è semplice:

La Priorità sta alla Vita come /'Evasione Fiscale all'Italia. La glicemia deve sempre essere tenuta a livelli vitali (60 - 70 mg/lOOml). Leggere oscillazioni son ben sopportate, ma bruschi cali e bruschi picchi possono portare al coma e alla morte e si riscontrano, fortunatamente, solo in patologie diabetiche e con alterata tolleranza al glucosio. La priorità è facile intuirla: andate a rivedere le varie proteine “escori”, quelle che non dipendono dall’insulina sono espresse nei tessuti che hanno la più alta urgenza di rifornimenti. Immagino, adesso, vi starete chiedendo perché il muscolo cardiaco, tessuto vitale, abbia espresse le GLUT-4, proteine totalmente dipendenti dall’insulina. La risposta avrebbe bisogno di un capitolo a parte, ma ve la do comunque: il cuore non è totalmente dipendente dal glucosio per vivere (battere), le sue cellule muscolari possono anche utilizzare l’energia dei “corpi chetonici” (chetoacidi prodotti dall’ossidazione di grassi in assenza di glucosio) e degli acidi grassi a catena corta. Tolto questo dubbio ne sorge un secondo: tra i tessuti che esprimono le GLUT-4, quale ha la priorità? E perché diavolo quello che mangio deve andare nel grasso? La risposta è una e una soltanto: dipende tutto dall’AMPK.

AMPK, The Good and thè Bad-Ass of

“AMP-activatedprotein kinase”, per gli amici AMPK. E un composto enzimatico deputato al controllo dello stato energetico dell’organismo. Lo si trova espresso nel fegato, nel cervello, nel muscolo scheletrico e nell’adipe. Questo tizio viene attivato quando il rapporto AMP/ADP:ATP va aumentando (indice di carenza energetica). L’attivazione dell’AMPK comporta: 1. per ciò che riguarda i carboidrati, l’entrata del glucosio nelle cellule, l’ossidazione del glucosio e l’inibizione nella sintesi di glicogeno; 2. per ciò che concerne i grassi, diminuisce la sintesi di acidi grassi e colesterolo. A livello del muscolo scheletrico aumenta l’ossidazione degli acidi grassi stimolando la biogenesi mitocondriale (questo è un adattamento riscontrato negli atleti di resistenza). Nel tessuto adiposo, l’attivazione dell’AMPK inibisce sia la sintesi che l’idrolisi degli acidi grassi (bloccando l’HSL, Hormone Sensitive Lipase) e ciò non è un bene per chi vuole mobilizzare il grasso. Sembra proprio un quadro idilliaco: creiamo uno stato di leggero deficit energetico (mangiamo un po’ meno carboidrati e grassi ed aumentiamo l’attività fisica a basso impatto) ed il gioco è fatto, il grasso è sciolto!Però... io odio i “però”, ti fottono sempre! Andiamo a vedere l’effetto dell’AMPK sulla sintesi proteica, sì, quella “cosa-anabolica” che interessa molto agli atleti di forza. L’aumento dell’AMPK inibisce l’mTOR (“mammalian Target of Rapamycin”), sito bersaglio che, quando attivato da ormoni e nutrienti, aumenta la sintesi di nuove proteine. L’aumento dell’AMPK, indice di un deficit energetico, comporta che tutto il sistema vada in allarme e, logicamente, le reazioni biochimiche troppo dispendiose (come la sintesi di nuove proteine) vengono rallentate e fermate. La priorità sta nel ristabilire l’equilibrio energetico! Altro strano effetto dell’aumento dell’AMPK lo notiamo a livello dell’ipotalamo (zone ancestrale del cervello, deputata al controllo del metabolismo). Quando il livello ipotalamico di questo composto enzimatico aumenta, si nota un aumento del senso di fame; ciò è regolato da 2 ormoni: leptina e grelina. La leptina l’ho trattata a lungo in un mio vecchio articolo che trovate sul mio blog24. È deputata al controllo dell’appetito e dello stato nutrizionale dell’organismo, controlla costantemente le riserve di grasso e la quantità di glucosio disponibile. La grelina è un ormone gastrico (prodotto dallo stomaco) che viene rilasciato in momenti di carenza di cibo e ciò contribuisce al senso di fame che proviamo dopo lunghe ore di digiuno. Questi 2 ormoni hanno azione contrapposta per ciò che concerne il livello ipotalamico di AMPK: •A la leptina aumenta l’AMPK a livello periferico (fegato, muscolo, adipe) stimolando l’ossidazione di nutrienti al fine di colmare il deficit energetico e ne diminuisce il livello ipotalamico portando a scemare il senso di fame; J la grelina, di contro, aumenta il livello ipotalamico di AMPK comportando un forte aumento dell’appetito. Molto semplicemente, mangiate poco ed avrete fame, mangiate a sazietà e indovinate? Sarete sazi. Ho voluto sottolineare questo contrapposto “modus operandi” della leptina sull’AMPK per farvi capire che importanza abbia controllare questo “badass enzimatico ” quando si ricerca il successo di una dieta dimagrante e/o il mantenimento dello stato di fitness raggiunto.

24 www.antonbolica.it

Sindrome X Non è il nome di un nuovo, psicopatico, super eroe della Marvel Comics; la Sindrome X o, meglio definita, “sindrome metabolica” è una patologia che ha come base la resistenza insulinica. La sindrome X è comune in quasi il 30% della popolazione occidentale e, per spiegarvi cosa accade e come si instaura, devo fare un paio di passi indietro. Quando il glucosio diventa veleno

Prendiamo un comunissimo uomo di 35 anni, 70 kg per 172 cm di altezza, lavoratore sedentario, attività fisica limitata a guardare qualche partitella alla TV. Stranamente, Giulio (chiamerò così questo omino), ha mantenuto un buon peso forma. La tartaruga è ben coperta, ma non troppo ed anche i suoi valori di colesterolo, trigliceridi e glicemia son nella norma. Giulio sta bene, ha sempre mangiato quello che voleva senza mai esagerare e conduce una vita non troppo carica di stress. Un giorno parte per Houston, Texas, una nuova opportunità di lavoro. Giulio è un cazzo di genio informatico ed i suoi sacrifìci hanno dato grandi frutti. La prima settimana il corpo di Giulio si trova a vedersela con alimenti nuovi, nuove sensazioni, nuovi sapori. Al corpo di Giulio piace e gli piace a tal punto quel misto di grasso saturo e zucchero che inizia a strafogarsi di cibo. Cosa accade? Giulio non è mai stato uno sportivo, i suoi muscoli non sono ipertrofici, non hanno una capacità di stoccaggio di glicogeno ed 1MTG (Trigliceridi Intra Muscolari) molto elevata e, dopo la prima settimana, il suo corpo è già saturo di glucosio. Ricordate il rapporto AMP/ADP:ATP ? Bene, quello di Giulio è basso, molto, troppo basso. Il corpo di Giulio sta affogando nell’ATP, se si potesse passare l’energia biochimica, Giulio sarebbe un donatore universale. A causa del diminuito rapporto AMP/ADP:ATP, viene disattivato l’AMPK e ciò comporta una scomparsa delle proteine escort GLUT-4 dalla membrana cellulare. Il glucosio non riesce ad entrare e inizia il putiferio: il pancreas produce ancora più insulina per forzare il suo ingresso nelle cellule. Lo spropositato aumento dell’insulina inibisce la lipolisi e costringe il tessuto adiposo e il fegato ad accettare la maggior parte del glucosio che vi è in circolo. Il fegato stocca il glucosio in glicogeno, ma, se anch’esso è saturo, il glucosio accolto verrà convertito in acidi grassi che inizieranno ad accumularsi all’interno del fegato stesso che diverrà un bel foie gras (danno immane!). Le cellule adipose, al contempo, immagazzinano glucosio trasformandolo in trigliceridi ed iniziano ad “ingrassarsi”. Poiché la lipolisi (consumo di grasso) viene inibita dall’insulina, il livello di trigliceridi nel flusso sanguigno aumenta e ciò causa un ulteriore aumento della resistenza insulinica. Immaginate un butta fuori (il trigliceride) che si mette innanzi la cellula e blocca il glucosio. La resistenza insulinica si è aggravata tanto che il fegato stesso, non riuscendo più a percepire il quantitativo di glucosio ematico, continua a produrne di nuovo, come se vi fosse carenza (gluconeogenesi). Il disastro! Anche il tessuto adiposo è diventato insensibile ed inizia a buttare fuori i trigliceridi che conservava. Vi è solo un sito dove questo eccesso di grassi e glucosio può andare: l’omento o, per gli amici, VAT(Visceral Adipose Tissute). La peculiarità del VAT è l’essere un ribelle; non gli importa se vi sia insulina in circolo, o adrenalina o glucagone e cortisolo, no, lui continua imperterrito a buttar fuori acidi grassi. Il VAT prende glucosio e trigliceridi dal circolo sanguigno, si diverte un po’ con loro (li esterifica, li converte) e li butta nuovamente fuori.

Adesso, il caro Giulio, si trova con il diabete mellito insulino-indipendente (tipo 2), ma lui non ne è al corrente; Giulio non ha una donna accanto che gli dice: “caro, mi sembra che tu abbia messo su un po ’ di peso ” (quando Giulio è palesemente diventato un bove da macello). Giulio ignora, prova stanchezza, apatia, dorme male e si sveglia ogni giorno più stanco, ma crede che dipenda solo dal nuovo lavoro. Il suo corpo, invece, sta lentamente autodistruggendosi. Voglio fare un “volo pindarico” (non so che razzo voglia dire, ma mi ha sempre affascinato poterlo usare). Il nostro corpo non si è evoluto per far fronte all’abbondanza di cibo dei tempi odierni. Noi, specie animale, abbiamo sempre sofferto la fame; periodi di digiuno ed estenuante attività fisica alternati a brevi momenti di ipernutrizione. Se ingrassiamo è solo perché dovevamo salvarci il culo da una possibile (quasi sicura, direi) carestia. Il nostro corpo doveva sopravvivere. Adesso le cose sono cambiate: troppo cibo, troppi zuccheri ed alimenti a cui non siamo abituati. 11 nostro corpo non sa come gestire tutto questo ed utilizza ciò che l’esperienza gli ha insegnato, ma “la sua conoscenza è ignoranza” e va in tilt. Giulio, adesso, soffre di diabete di tipo 2 ed è grasso. Il problema più grande è che non se ne rende conto e stranamente è sempre affamato. Sorge spontanea una domanda: come mai, anche in tanta abbondanza di cibo, con tanto grasso che ci si porta dietro, si ha comunque fame? Aggiungerei che non è una fame normale, ma la fame che prova Giulio è “famelica Il corpo di Giulio non percepisce più se stesso, è il modo più semplice che ho per spiegarlo. La causa del continuo senso di fame di Giulio è causata dalla resistenza all’insulina. Come avevo accennato, l’insulina diminuisce l’AMPK nell’ipotalamo portando a scemare il bisogno di cibo, ma, se la leptina non potesse raggiungere l’ipotalamo? Cosa accadrebbe? Quello che sta accadendo a Giulio. La leptina (e ogni molecola, ormone, ecc.) per poter raggiungere il cervello deve superare una barriera, un muro di confine che protegge il nostro più importante e magnifico organo, dall’attacco di agenti esterni indesiderati. La leptina possiede dei “carriers ” (proteine di trasporto) che, con grande gentilezza e cortesia, la accompagnano attraverso questa barriera, definita “Blood Brain Barrier” (Barriera EmatoEncefalica). Feedback negativo, eccesso di leptina (causato da eccessivo consumo di glucosio ed espansione del tessuto adiposo), diminuzione dei suoi “carriers" e nessun messaggio recapitato all’ipotalamo che mantiene alto il livello di AMPK, fanno di Giulio un affamato cronico. Il VAT è insensibile agli ormoni e alla quantità e qualità di nutrienti nel sangue; butta fuori acidi grassi in continuazione e ciò non fa altro che incentivare, maggiormente, la già alta resistenza insulinica del sistema. Ecco a voi la “Sindrome X", il male del ventunesimo secolo. Musculation AMPK Per il 40%, in media (anche se, oramai, la vita sedentaria a cui siamo costretti fa scendere di molto questa percentuale), la massa magra del nostro corpo è massa muscolare. Per 1’80% è il muscolo ad essere responsabile dell’accumulo e dell’utilizzo del glucosio che ingurgitiamo attraverso gli alimenti. Non sembra strano, quindi, che sia proprio l’esercizio fìsico a stimolare maggiormente la sensibilità insulinica. Ma che tipo di esercizio fisico? Uno studio in cui sono incappato dal titolo “AMPK and Exercise: Glucose Uptake and Insulin Sensitivity” riporta come l’esercizio ad alta intensità sia uno dei migliori attivatori di questo I composto enzimatico. Tengo a sottolineare: “adalta intensità”. L’AMPK è maggiormente espresso nelle fibre bianche di tipo II e, dovrebbe esser logico, il consumo di glucosio dato dal lavoro oltre soglia lattacida (sollevamento pesi, scatti, lavori | muscolari che “bruciano ”) comporta un aumento nel rapporto AMP/ADP: ATP.

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Lo stesso studio mostra, di contro, come il lavoro a basso impatto (corsettina) tende a disattivare l’AMPK e creare un ambiente di resistenza insulinica temporanea. Il motivo è poco compreso. Si ipotizza sia un adattamento del corpo al fine di preservare il più possibile il glucosio (ciò avviene anche nelle diete “very-low-carb ”, vista la grande disponibilità di ossigeno e, quindi, lo shiftare il contributo energetico verso i grassi). Qui ci colleghiamo ad un nuovo discorso: l’adattamento a lavori di lunga durata e basso impatto comporta un aumento degli IMTG. Ok, vi spiego: gli IMTG, per gli amici “IntraMyocellular Triglycerids” (Trigliceridi Intramuscolari), sono grassi che vengono conservati all’intemo della fibra muscolare (dove viene conservato anche il glucosio). Una dieta alta in grassi e carente di carboidrati e/o attività fisica prettamente aerobica (sotto soglia lattacida, per gli “addetti al settore”) spingono l’organismo ad accumulare IMTG comportando ciò che si riscontra negli atleti di resistenza: diminuita attivazione dell’AMPK a livello muscolare. Non vorrei che adesso fraintendeste le mie parole. L’esercizio fisico, che sia a basso impatto (sotto il 60% del VO2Max) o ad alta intensità, è sempre una delle più efficaci strategie di prevenzione e, spesso, di risoluzione di una alterata tolleranza al glucosio (che potrebbe sfociare in vero e proprio diabete mellito), ma, mi dispiace per i podisti, il grado di attivazione dell’AMPK a livello muscolare è direttamente proporzionale all’intensità dello sforzo fìsico. Inoltre, l’esercizio fisico ad alta intensità migliora l’up-take di glucosio e la sintesi di glicogeno (la capacità del muscolo di assorbire il glucosio circolante e “impacchettarlo’’} con meccanismi che non chiamano in gioco né l’AMPK, né l’insulina.

Window of opportunity GLUT-4, ricordate le proteine “escort” del glucosio di cui si è discusso prima? Le contrazioni muscolari (e, mi ripeto, più sono intense meglio è) spingono le GLUT-4 a far bella mostra sulla membrana cellulare in attesa del glucosio. Potete disattivare l’AMPK con farmaci, ma bastano un paio di intense contrazioni del muscolo per aumentare di molto la sensibilità insulinica. Questo adattamento è ciò che molti atleti amano chiamare “Anabolic Window” (finestra anabolica), ma io preferisco il termine “window of opportunity” (finestra dell’opportunità). In questo breve lasso di tempo che dura circa due orette dalla fine delTallenamento, il muscolo scheletrico è predisposto a “rubare” gran parte di ciò che mangiate. Aggiungiamo un nuovo termine: “partizionamento calorico ”. “Partizionamento calorico ” non significa suddividere una cassata siciliana in parti eque ma definisce il “dove” ciò che mangiate andrà a finire. Una elevata sensibilità all’insulina porterà gran parte del glucosio verso il tessuto muscolare (e meno, molto meno, verso “cosce-glutei-addome”}. Le calorie vengono partizionate verso il muscolo. La window of opportunity comporta questo: glucosio ed aminoacidi, in quel breve lasso di tempo, avranno via diretta verso il muscolo affaticato. Perché non ho citato i grassi? Indovinate. I grassi alimentari aumentano il livello di acidi grassi liberi nel sangue e, in questo caso, ciò non è un bene per la sensibilità insulinica; i lipidi fanno da scudo alla bella visione delle proteine escort. Vi chiederete, credo, perché la chiamo “Finestra dell’opportunità” e non, come di moda, “Finestra Anabolica”. Perché non ha nulla a che vedere con l’anabolismo muscolare: non vuole dire che se, durante le due orette che seguono uno strenuo allenamento, non mangiate sufficienti carboidrati allora non crescerete!

Le calorie contano e contano i nutrienti che compongono la dieta, ma non nell’arco di una o due ore, ma nell’arco dell’intera giornata, se non della settimana (Roma non fu costruita in un giorno). Questa finestra vi dà l’opportunità di scegliere. Questa finestra è il miglior momento per consumare la vostra “quota di maggioranza” di carboidrati giornalieri. Finite l’allenamento, ingurgitate un bello shaker di siero proteine e BCAA (che aumentano la tolleranza al glucosio), fatevi una doccia e godetevi un bel pasto con i vostri carboidrati preferiti, ma che contengano poche fibre e quasi niente grassi.

Passiamo alla parte pratica Premetto che sarò molto breve e poco tecnico, anzi, quest’ultima parte potrebbe condensarsi in un unico avvertimento/consiglio: “muovi quel culo grasso!”. Sì, alla fine possiamo discuterne, cercare cause e scusanti, motivazioni, ma, per ciò che riguarda la sensibilità insulinica, l’esercizio fa da padrone. Se avete la pazienza di andare a rileggere la parte precedente di questo paragrafo, capirete che la tipologia di esercizio fìsico più favorevole a migliorare la sensibilità insulinica è l’allenamento con sovraccarichi ad intensità medio/alta. La motivazione è facile e, se non sbaglio, credo di averla già spiegata in precedenza, ma rivediamola. Attraverso l’esercizio fisico otterrete questo: le calorie che ingurgitate verranno partizionate verso il tessuto muscolare e l’esercizio con sovraccarichi è la strada da seguire. Consumo di glicogeno muscolare aumento AMPK aumento sensibilità insulinica -> accrescimento del tessuto muscolare.

Sembra semplice e, fidatevi, lo è! Tralasciando differenze genetico-individuali, la dieta viene spodestata dall’esercizio fisico per ciò che concerne la sensibilità insulinica. Non abbiamo una vera e propria dieta “pro-sensibilità insulinica”, ma vi sono alcuni punti che devono venir trattati. 1. Eccesso di insulina causa resistenza all’insulina stessa: optate per fonti di carboidrati integrali, naturali, a basso indice e carico glicemico. Fate tanti piccoli pasti completi, con proteine, carboidrati, grassi e fibre. 2. Eccesso di grassi causa resistenza insulinica: qui gli stereotipati zombi amanti delle diete lowcarb e high-fat mi odieranno. Una dieta ricca in grassi (che siano salubri o meno, qui, ha poca differenza) tende a peggiorare la sensibilità insulinica nel lungo termine. Come accennato in precedenza, un aumento degli FFA (acidi grassi liberi) comporta una inibizione dell’attivazione de\V IRS-l-associated PI 3-kinase (una chinasi attivata dall’insulina), responsabile della traslazione delle GLUT-4 sulla superficie della membrana cellulare. Mi ripeto, nel lungo termine, le diete a bassissimo tenore glucidico ed alto consumo lipidico possono essere utili per ristabilire un buon metabolismo lipidico (scusate la ripetizione), ma, se protratte oltre le 6 o 8 settimane, hanno effetto deleterio sulla sensibilità insulinica. 3. Le proteine aumentano la tolleranza al glucosio: cosa diavolo significa? Le proteine stimolano il rilascio di insulina, senza aumentare la glicemia e ciò comporta una migliore gestione del glucosio che viene riversato nel sangue. Ma vi è un altro punto da tenere molto in considerazione: l’infiammazione.

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Inflammation and Insulin Resistance

Entriamo nuovamente in qualche piccolo tecnicismo. Le citochine sono molecole proteiche aventi il compito di creare ponti per la comunicazione interna alle cellule del sistema immunitario e fra queste e gli organi e i tessuti del corpo. Ve ne sono molte, ma credo sia inutile dilungarsi quando il mio scopo è descriverne soltanto una: la TNF-a o, per gli amici “fattore dì necrosi tumorale a”. Questa citochina è prodotta dal tessuto adiposo bianco (il grasso sottocutaneo, di un bel colore giallo paglierino). Maggiore è il lardo che ci portiamo appresso, maggiore è la produzione di TNF-a. Il TNF-a agisce su vari tessuti: 1. l’ipotalamo dove aumenta il rilascio di CRH (ormone di rilascio della corticotropina) che, a sua volta, stimola il rilascio da parte dei surreni del cortisolo. Induce la febbre stimolando il rilascio di prostaglandine; 2. il fegato, dove determina un aumento della proteine-C reattiva e induce insulino-resistenza; 3. il sistema immunitario, dove attiva i macrofagi e stimola la produzione di prostaglandine pro­ infiammatorie; 4. il sistema cardiocircolatorio, dove diminuisce la pressione aumentando la vasodilatazione, diminuisce la contrattilità del miocardio e induce la formazione di trombi; 5. i tessuti periferici, nei quali aumenta la resistenza insulinica, aumenta il catabolismo proteico nel muscolo scheletrico e l’ossidazione di grassi nel tessuto adiposo. Induce l’apoptosi (morte) di varie cellule. Come notate ha poco di bello, ma ha la funzione di contrastare attacchi batterici e portare a necrosi alcuni tumori. Il problema sorge quando il suo livello viene mantenuto costantemente elevato e ciò accade quando il tessuto adiposo bianco è eccessivo. L’aumento dell’adiposità stimola l’accelerazione di vie metaboliche (JNK e IKKBeta/NFK-P) che inducono il rilascio di TNF-a. Completiamo il quadro. Il TNF-a non è il solo responsabile dell’instaurarsi del diabete di tipo 2 in soggetti affetti da obesità morbigena; l’aumento eccessivo di grasso sottocutaneo produce anche il calo di un’importante ormone/messaggero: l’adiponectina. Adiponectina

L’adiponectina è un ormone proteico prodotto dal tessuto adiposo, sorella della leptina, ma, a differenza di quest’ultima, il suo livello sanguigno è inversamente correlato alla quantità di grasso che ci portiamo appresso. L’adiponectina regola varie funzione metaboliche, compresa la regolazione del glucosio ematico e l’ossidazione dei grassi. Elevati livelli di adiponectina sono correlati e forti aumenti del metabolismo basale e del dispendio calorico grazie all’attivazione delle “proteine-disaccoppianti” (proteine interne alla membrana mitocondriale responsabili della dissipazione del gradiente protonico prima che esso giunga alla fosforilazione ossidativa per creare energia). L’adiponectina è fondamentale per prevenire le catastrofi metaboliche che portano alla sindrome metabolica (insulino-resistenza), all’obesità e all’aterosclerosi. Studi (sui ratti, si lo so, lo so) hanno provato che la combinazione di adiponectina e leptina elimina del tutto la resistenza insulinica. L’adiponectina, al pari della leptina, esplica la maggior parte delle sue funzioni a livello dell’encefalo, anzi, possiamo dire che adiponectina e leptina sono portatrici di eguali messaggi. Punto di fondamentale importanza è che il livello ottimale di questi due ormoni (ed il loro effetto sinergico) è ottenuto con percentuali di grasso né troppo alte, né troppo basse, comprese, cioè, tra il 10 ed il 18% per l’uomo ed il 18 ed il 26% per quanto riguarda la donna.

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Dieta, allenamento e adipochine

Studi riguardanti l’adiponectina non hanno mostrato grandi aumenti di questo ormone successivi ad un piano di allenamento (sia di resistenza, che con sovraccarichi), con valori che andavano a ristabilirsi completamente nei soggetti obesi appena perdevano il 10% del proprio peso corporeo. Questo fa capire la grande importanza di questa adipochina (in sinergico lavoro con la leptina) per il mantenimento di un ottimo metabolismo ed un quadro endocrino che favorisca il benessere fisico. Attenzione pero, potete uccidervi, letteralmente, di estenuanti sedute di allenamento, ma se la vostra dieta non è “in-check”, i risultati saranno quasi nulli. L’adiponectina regola varie e importanti funzioni: 1. aumenta l’AMPK che, a sua volta, stimola i PPAR-a aumentando la beta-ossidazione (combustione di lardo); 2. diminuisce la gluconeogenesi epatica, mantenendo nella norma la glicemia (e ristabilendo, quindi, una buona sensibilità insulinica); 3. favorisce il catabolismo lipidico e la beta-ossidazione a livello muscolare con conseguente “clearance” dei trigliceridi. In sintesi: ristabilisce una buona sensibilità insulinica evitando che l’aumento dei trigliceridi vada a bloccare i recettori insulinici di membrana; 4. protegge contro le disfunzioni endoteliali e previene l’arteriosclerosi; 5. diminuisce il livello di TNF-a abbassando l’infìammazione; controlla il bilancio energetico e promuove la perdita di massa grassa. E tutto questo ben di Dio come possiamo ottenerlo? 70% Diet, 30% Training

Mi dispiace immensamente per chi si motiva con l’aforisma “mi alleno per mangiare”, ma non funziona così. Se la palestra diventa la vostra seconda casa solo per aver la tartarughina in vista ed il fisico da gallo cedrone, avete sbagliato a leggere questo paragrafo (e vi sarete sicuramente rotti le santissime). Se, di contro, la vostra idea di fitness è benessere psico-fisico, allora avete fatto la scelta giusta e siete degni e abbastanza grandi da seguire questi piccoli consigli. Leggevo uno studio in cui si esaltava la dieta Mediterranea come importante prevenzione contro obesità, sindrome metabolica e varie patologie ad essa collegate. Naturalmente nello studio erano analizzati i livelli di adiponectina e TNF-a. Bene, la dieta Mediterranea utilizzata nello studio era un piano alimentare basato su verdura e frutta, olio di oliva, cereali integrali, pesce, poca carne e moderato consumo di alcol. La dieta era a basso tenore glucidico con scelta di alimenti a basso carico ed indice glicemico. Quindi, schematizziamo: al fine di ottenere un aumento dell’adiponectina, di ristabilire una corretta sensibilità alla leptina e di abbassare l’infiammazione, c’è bisogno di: 1. dieta ipocalorica che permetta, nel medio termine, una perdita di peso di circa il 10%; 2. basso tenore di carboidrati, diciamo non oltre i 3,5 g per chilo di massa magra per chi segue un allenamento con sovraccarichi 3-4 volte a settimana; sui 2-2,5 g di carboidrati per chilo di massa magra per chi tende alla sedentarietà; 3. fonti di carboidrati a basso carico-indice glicemico. Verdura, legumi, tuberi, frutta e cereali integrali (in quest’ordine); 4. basso consumo di grassi saturi. L’acido grasso paimitico, oramai reperibile in tutta la carne proveniente da allevamento (a mangimi) e in tutti i prodotti che riportano, tra gli ingredienti,

la dicitura “grassi vegetali” (Nutella compresa), è tra i saturi con la più alta responsabilità di aumentare il livello d’infiammazione. Evitatelo come la peste; 5. alto consumo di grassi monoinsaturi che dovrebbero coprire tra il 60 e 1’80% del vostro consumo giornaliero di grassi; 6. integrazione con omega-3-olio di pesce. Mi raccomando, Epa e Dha; non buttatevi sugli omega3 vegetali che non servono a nulla e son solo una buona trovata commerciale. Questi grassi a catena lunga son forti leganti dei PPAR-gamma che, una volta attivati, promuovono la combustione di grassi, l’aumento dell’AMPK ed l’inibizione del TNF-a. Gli omega-3 sono tra i migliori anti-infiammatori che la natura ci abbia donato. La quantità di omega-3 consumati dovrebbe essere pari alla vostra percentuale di grasso: 15 g al giorno se siete al 15% di massa grassa, 10 g se siete al 10% e così via. Mi riferisco ad integratori di omega-3 titolati al 30% in EPA e DHA; 7. ultimo, ma non di minor importanza, un alto consumo di fibre, specialmente solubili (frutta e verdura). Immagino che adesso ve lo chiederete e vorrete sapere se l’integrazione può aiutare a potenziare la sensibilità insulinica. Si e No. Sul mercato esistono moltissimi integratori atti a migliorare la sensibilità insulinica (almeno così viene scritto sulla confezione). Non fermatevi a questa breve lettura ma cercate su altri testi per approfondire il discorso. L-Arginina. Aminoacido lungamente utilizzato come vasodilatatore, precursore dell’ossido di azoto, adesso scoperto come forte stimolante dell’insulina. L’integrazione con L-Arginina ha aumentato del 30% la sensibilità insulinica in pazienti diabetici. Due grammi di L-Arginina possono aumentare del 40% la velocità di sintesi di glicogeno post allenamento. Almeno questo è quello che dichiarano alcuni studi, ma di certo non vi è assolutamente nulla. L-Carnitina. Acido carbossilico a catena corta, ha funzione trasportatrice degli acil-CoA attraverso la membrana mitocondriale. Questa sua funzione pro-energetica aiuta a liberare il flusso sanguigno sia dai trigliceridi che promuovono la resistenza all’insulina, sia dalle LDL (lipoproteine a bassa densità) il cui alto livello incrementa lo stress ossidativo con formazione di radicali liberi e invecchiamento precoce delle membrane cellulari. Anche se questa è la sua funzione a livello biochimico, non è dimostrato che una sua integrazione potenzi il dimagrimento. Zinco. Minerale di largo uso per la sua azione di promozione del testosterone. Lo zinco aiuta anche a regolare la glicemia stimolando un aumento dell’insulina postprandiale (dopo il pasto). 1530 mg è la razione giornaliera raccomandata.

Vitamina D. Della vitamina D se n’è parlato molto anche in questo libro. Nel mondo del fitness è la nuova moda del momento. La vitamina D esplica varie funzioni e sarebbe molto più rapido dire quelli che non sono i suoi organi bersaglio. Abbiamo visto che le cellule 0-pancreatiche sono le responsabili della tolleranza al glucosio visto che da loro arriva l’insulina. Alterazione nella funzionalità di queste cellule comporta alterata tolleranza al glucosio (vedi diabete mellito insulino-resistente). La vitamina D, in tal senso, migliora la funzionalità delle cellule 0pancreatiche e il livello di 25OH (metabolita della vitamina D) è direttamente correlato ad un aumento della tolleranza al glucosio. La RDA consiglia una integrazione di 200-400 UI, ma vari studi hanno riscontrato come tale quantità sia del tutto insufficiente a coprirne il fabbisogno. Impossibile prendere la vitamina D attraverso la dieta, in quanto solo l’esposizione al sole permette di mantenerne un buon livello. Il consiglio è di integrare con 1000 - 2.500 UI al giorno (molti autori ne consigliano almeno 5.000 UI), specialmente nei mesi invernali. 4-idrossiisoleucina (Semi di Fieno Greco). Nei semi di fieno greco notiamo un aminoacido molto interessante, la 4-idrossiisoleucina. Questo aminoacido è un potente insulinotropico (stimola

la produzione di insulina). La sua funzione non è dovuta ad un cambiamento delle cellule 0pancreatiche, ma è dipendente dal livello post-prandiale della glicemia: maggiore sarà la quantità di glucosio nel sangue, maggiore sarà il rilascio di insulina avuto attraverso la stimolazione della 4-idrossiisoleucina. Gli ultimi studi hanno appurato la validità di questo aminoacido anche nel diminuire i livelli di trigliceridi ed LDL. ALA (Acido Alfa Lipoico). Potente antiossidante, viene prescritto per il controllo glicemico. Nel ciclo di Krebs, PALA funziona come coenzima nella produzione energetica (sintesi di ATP) ed è un insulino-mimetico, ciò significa che promuove la rimozione del glucosio dal flusso sanguigno. Come antiossidante aiuta a contrastare i danni dei radicali liberi nelle membrane cellulari. La forma “R- “ (destrogira) è la più indicata in quanto, essendo presente in natura, ha il grado di biodisponibilità più elevato. Conclusioni

Come diceva Pamela Anderson quando andava di fretta: “arriviamo al succo”. Al fine di migliorare e prevenire una condizione di alterata tolleranza al glucosio, oltre a seguire un protocollo di allenamento che preveda un abbinamento di lavoro con sovraccarichi e lavoro aerobico (con dominanza del primo), bisogna seguire un’alimentazione che non sia né carente, ne eccessiva per ciò che concerne i carboidrati. Non aspettatevi indicazioni riguardo le quantità di macronutrienti per grammo di peso corporeo, non è ciò in cui credo. La dieta, come ogni buona scheda di allenamento, va individualizzata. Il mio consiglio è di seguire un’alimentazione in cui siano quasi del tutto assenti cibi confezionati. Puntate su fonti di carboidrati integrali come benzina per i vostri allenamenti e basate la dieta su frutta e verdura, carni magre e grassi da fonti vegetali (semi, noci, olio di oliva), integrando con omega-3 (da olio di pesce), magnesio e vitamina D3. Ed ora, last but not least: 'Alzate quel culo grasso e muovetevi!

Glucagone e catecolamine Mentre l'insulina abbassa i livelli degli zuccheri nel sangue, altri ormoni lavorano per aumentarlo: glucagone, cortisolo, catecolamine e GH (alcuni direttamente altri indirettamente). In questo paragrafo ci concentreremo sul glucagone, l’adrelinalina e la noradrenalina (queste ultime due dette anche catecolamine, insieme alla dopamina che non tratteremo). Il primo viene secreto dalle cellule a del pancreas ed ha la funzione di regolare la glicemia. A digiuno è soltanto il fegato, tramite l'azione del glucagone, a liberare gli zuccheri nel sangue. Al contrario, le catecolamine intervengono invece nella lisi del glicogeno muscolare. Ricapitolando, durante l'attività fisica adrenalina e noradrenalina si attivano per fornire zuccheri ai muscoli (stimolando le riserve intramuscolari), mentre il glucagone non è particolarmente coinvolto. A fine attività ci ritroveremo così con le scorte muscolari quasi esaurite mentre quelle epatiche in parte ancora intatte. Se così non fosse, attività prolungate ed intense porterebbero facilmente in ipoglicemia. Questo non succede perché l'organismo sacrifica la performance per mantenere il più possibile stabile l'omeostasi ematica (preservando le riserve epatiche). Tutti e tre gli ormoni hanno un'azione lipolitica ma sono principalmente le catecolamine ad interessare il dimagrimento per quanto riguarda il grasso ostinato. La loro azione inibisce parte dei recettori di membrana degli adipociti (alcuni purtroppo invece vengono attivati), stimolando l'HSL (lipasi ormone sensibile) e permettendo così di andare ad intaccare anche le riserve più ostinate.

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Come già scritto, l'azione dell'insulina uccide gli effetti delle catecolamine anche se i valori insulinici sono bassi. Per fortuna questi ormoni antagonisti raramente si attivano assieme. Il glucagone invece esplica la sua azione principalmente a digiuno (assieme alle catecolamine), portando le LPL (lipoproteine lipasi) a idrolizzare i trigliceridi nel tessuto muscolare. L’insulina anche qui svolge un ruolo chiave nel variare la destinazione degli acidi grassi liberati verso il tessuto adiposo. Glucagone ed insulina possono essere stimolati assieme se mangiamo un pasto prevalentemente proteico. Generalmente questo sortisce un effetto benefico sulla sensibilitàinsulinica.

Aminoacidi ed insulina/glucagone/GH/IGF-1 Ormai sappiamo che gli aminoacidi hanno un’azione diretta sull’insulina. Ma cosa succede se assumiamo prevalentemente solo proteine in un pasto? L’insulina attivata ruba parte del glucosio nel sangue e, non avendo introdotto carboidrati, rischiamo di andare in ipoglicemia. Questo non avviene perché contemporaneamente si attivano anche il glucagone e il GH, ormoni teoricamente antagonisti all’insulina. Questi supportano la glicemia sanguigna e svolgono contemporaneamente funzioni anaboliche. O meglio, il GH è anabolico in quanto stimola l’IGF-1 ma, allo stesso tempo, è anche lipolitico quando una sua attivazione avviene in seguito all’allenamento o al digiuno. Una sua stimolazione in presenza dell’insulina e del glucagone gli permette di svolgere un ruolo attivo sulla sintesi proteica. In definitiva, le proteine aiutano a preservare e a supportare la massa magra, non tanto perché il muscolo è fatto in parte da proteine, ma perché hanno un’azione diretta sugli ormoni. Bisogna tuttavia ricordare che, quando uno studio riporta come risultato un aumento della sintesi proteica, ciò non significa necessariamente un automatico aumento anche del tessuto muscolare. Gli effetti del micro, nel macro spesso di disperdono. Ricordiamoci sempre che la composizione corporea è governata da oltre 200 fattori, concentrarsi solo su pochi tasselli vuol dire perdere la visione reale della questione.

Tiroide e leptina Ormai è risaputo che valori bassi degli ormoni tiroidei (T3-T4) impediscono un efficace dimagrimento. In effetti tiroxina e triiodotironina sono i regolatori più efficienti del nostro metabolismo. Buona parte dell'energia che creiamo (chimica-meccanica) finisce in calore. Questo ci permette di non essere animali a sangue freddo ma ci fa disperdere “inutilmente ” molte energie. Quando perdiamo massa magra il metabolismo si “abbassa ” semplicemente perché gli ormoni tiroidei calano e con essi anche la produzione di calore del nostro corpo. L'organismo così risparmia sui cicli futili ed ottimizza le energie che gli forniamo. Meno mangiamo, meno calore produciamo e purtroppo più il grasso rimane sempre li. Insomma, se vogliamo essere magri ma anche mettere su muscolo, visto che T3-T4 aiutano l'anabolismo muscolare (se rimangono in range fisiologici), dobbiamo evitare dei cali di questi ormoni. Il T3 è molto più attivo rispetto al T4. La conversione di quest'ultimo avviene tramite l'enzima deiodinasi, principalmente a livello del fegato, ma anche del rene, del muscolo e del cervello. A determinare l'attivazione della deiodinasi è la quantità di glicogeno: meno ne abbiamo stipato nel fegato e nei muscoli e più il metabolismo nel tempo (giorni e non poche ore) si abbassa. Atleti che assumono molti carboidrati hanno maggiori scorte glucidiche e hanno, di conseguenza, mediamente anche il metabolismo più elevato.

Come si alza il metabolismo? Chi lo regola? Ovviamente non esiste un solo direttore (interverranno almeno 200 cofattori), ma sicuramente un posto in prima fda ce l’ha la leptina, una citochina prodotta dalle cellule grasse e che ha la funzione di regolare il metabolismo corporeo. Quando la leptina cala abbiamo un abbassamento degli ormoni tiroidei e gonadici (testosterone), al contrario quando aumenta il metabolismo si alza. Il motivo per cui è tanto difficile dimagrire (sotto al 10-12% di FM) è molto semplice: quando l'adipocita si svuota la leptina cala e con essa cala anche il metabolismo, viceversa quando l’adipocita si riempie la leptina aumenta. È difficile andare contro natura. Se ci addentriamo ancora di più nei particolari vediamo che l'attivazione di questa citochina è dovuta al metabolismo degli zuccheri e più precisamente allo stoccaggio e alla conversione del glucosio nella cellula grassa. Per questo chi segue diete low carb vede rallentare e scomparire i miglioramenti dopo i primi mesi: senza glucosio il metabolismo crolla (fruttaSio e galattosio non intervengono invece nel metabolismo glucidico adipocitario). La risposta insulinica data da un aumento della glicemia (e non dagli aminoacidi) ha così un feedback positivo sulla leptina. Pertanto, in questo caso, tenere sempre bassa l'insulina non è sempre raccomandato se vogliamo supportare il metabolismo. Insulina e leptina svolgono un ruolo complementare e cooperano fortemente nella composizione corporea. Persone magre e muscolose hanno una buona sensibilità insulinica e leptinica, al contrario le persone che hanno difficoltà a perdere peso soffrono spesso di resistenza insulinica e hanno bassi livelli di leptina (o una sua resistenza) . Morale della favola: cosa possiamo fare?

Bastano 3-4 giorni di dieta low carb per abbassare i livelli della leptina, mentre in poche ore (618) questa si può ripristinare facilmente se non abbiamo fatto trascorrere troppi giorni (occorrono due settimane per riportare valori cronicamente bassi di leptina alla normalità). Diete cicliche in cui si fanno ricariche glucidiche (da fonti amidacee) permettono di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Se come approccio dietetico utilizzate una low carb non aspettate il weekend per ricaricare (come nella dieta metabolica) ma fatelo anche in un giorno infrasettimanale (mercoledì o giovedì). Fate un pasto prevalentemente glucidico. Cerali e legumi vanno benissimo perché sono ricchi di amido (polimeri di glucosio) e vi forniscono una buona quota proteica. Mangiare dolci vi potenzia ulteriormente l'effetto di rebound, ma state attenti a non esagerare. Lo zucchero contenuto al loro all'intemo (il saccarosio) è formato al 50% da fruttaSio, un glucide inutile ai nostri fini. Inoltre, mescolare zuccheri e grassi (come nella maggior parte delle torte) aumenta ulteriormente l'insulina, potenziando si l'effetto della ricarica ma aumentando anche la probabilità di ingrassare. Se volete rimanere tranquilli, prima di effettuare lo sgarro, sottoponetevi ad un allenamento in cui le scorte di glicogeno vengano fortemente intaccate. In questo modo gli zuccheri assunti verranno captati principalmente dai muscoli e difficilmente saranno convertiti in grasso. Questo però depotenzierà anche l'effetto sulla ricarica della leptina: purtroppo vale il solito discorso di quando si ha una coperta corta, sta a voi decidere in che direzione tirarla!

Adiponectina, grelina ed altro ancora Gli ultimi due ormoni che prenderemo in considerazione sono l'adiponectina e la grelina. In realtà ne mancano ancora molti altri ma l'obiettivo di questo manuale è fornirvi indicazioni semplici e spendibili.

Pertanto non ci siamo addentrati troppo nell'argomento e vi rimanderemo a letture più autorevoli per l'approfondimento. Le nozioni riportate sono già molte e sufficienti per avere una visione generale sul mondo dell'alimentazione. L’adiponectina è una citochina poco conosciuta. Secreta dall'adipocita, svolge in realtà un ruolo molto importante. Oltre ad avere un'azione antinfiammatoria, sensibilizza i tessuti all'azione dell'insulina. I meno preparati non si accorgeranno di questa apparente contraddizione. Ora proviamo a svelarvela. L’adiponectina viene prodotta in maggior quantità quando siamo più magri. È inversamente proporzionale ai livelli di grasso: essere magri vuol dire avere meno scorte energetiche e mettere l'organismo in uno stato di attenzione. Pertanto l’adiponectina è correlata con l’AMPK diminuendo così la sintesi di acidi grassi ma aumentandone l'ossidazione. L'insulina invece lavora esattamente al contrario, promuove la liposintesi e blocca la lipolisi. Come si possono così correlare i due ormoni? Il passaggio chiave sta nella qualità delle reazioni biochimiche. Una liberazione di acidi grassi non sempre è sinonimo di dimagrimento: un'attivazione massiccia dell'HSL (lipasi ormone sensibile) è molto presente anche nei diabetici e negli obesi nei quali infatti ritroviamo una grande liberazione di trigliceridi nel flusso ematico. Il problema è che se il corpo non riesce ad ossidarli, piuttosto che entrare nel ciclo di Krebs per essere poi ossidati, finiscono ad accumulare l'acetil-CoA. Tradotto, il corpo libera ma poi successivamente riesterifica acidi grassi e produce chetoni con scarso guadagno di ATP. E come se la banca vi presta 100 euro e ve li richiede immediatamente indietro. L'insulina dunque coopera con l'adiponectina per tenere gli acidi grassi all'intemo delle cellule per favorirne la loro ossidazione. A livello qualitativo avremo così un quadro completo per un efficace dimagrimento ed un'ottima tolleranza al glucosio. Quando vedete persone magre che mangiano tantissimi carboidrati avete di fronte un ottimo funzionamento dell’asse adiponectina-insulina. La grelina è invece un ormone prodotto dallo stomaco. Non tratteremo i suoi effetti sulla massa grassa ma la sua regolazione sul senso di sazietà. Mentre alti livelli di leptina (alta disponibilità energetica) diminuiscono il senso della fame, alti livelli di grelina (bassa disponibilità energetica) la innescano. Questo ormone infatti è prodotto soprattutto durante il digiuno ed ha un innalzamento subito prima del pasto. Il detto l'appetito vien mangiando'1'’, nasce dall'impennata di grelina che si attenua soltanto 30'-Ih dopo che abbiamo iniziato a mangiare. E interessante notare come negli obesi gli ormoni “girino” al contrario. Infatti in questi soggetti troviamo alti livelli di insulina e leptina (due ormoni stoppa-fame) ma la resistenza ad essi ne annulla gli effetti. Abbiamo invece bassi livelli di grelina che tuttavia non incidono sul senso di sazietà. La produzione di grelina è associata a quella del GH tramite l’attivazione del recettore GHsecretagoghi. Così bassi livelli di grelina si correlano spesso con bassi livelli di GH. Questo esempio ci spiega come in biochimica possa coesistere tutto ed il contrario di tutto, purché sia guidato da un logica funzionale.

Il controllo della fame Concludiamo questo capitolo con la parte più importante, quella che riguarda il senso della fame. Abbiamo già visto che mangiamo principalmente per appagarci, ma non riusciamo a stare a dieta perché combattere contro la fame è una battaglia persa in partenza.

Fisiologicamente potrebbe essere inesatto considerare il sistema neurale e quello endocrino come due sistemi separati. Per esempio l'ipofisi è suddivisa in neuroipofisi ed adenoipofisi. I due sistemi si fondono anatomicamente e cooperano dirigendo tutto l'organismo. La regolazione del senso di sazietà è un chiaro esempio di come il nostro sentire (neurale) sia fortemente influenzato dagli ormoni prodotti. L'ipotalamo riveste il ruolo di centro della fame del nostro corpo, quando aprite il frigo ed ingurgitate quello che capita è partito qualche segnale a livello ipotalamico. Ad influenzarlo sono principalmente due fattori: i livelli di zuccheri (se la glicemia scende e le riserve di glicogeno si abbassano aumenta la fame) e i livelli di grasso (più dimagriamo e più l'appetito viene stimolato). I due ormoni che leggono ed influenzano questi segnali sono l'insulina (stoppa il senso di fame) e la leptina. Oltre a questi due messaggeri ne intervengono altri 5 per aumentare l'appetito (i due più famosi sono la grelina e l'ormone neuropeptide Y) e altri 7 per bloccarlo (il meccanismo ipotalamico è alquanto complesso e non vogliamo appesantire l’argomento). Sintetizzando, possiamo dire che tutto quello che a livello molecolare aumenta la produzione di malonil-CoA (il precursore degli acidi grassi) ha un’azione diretta nello stoppare la fame, tutto quello lo limita invece stimola l’appetito. Nel pratico i consigli che possiamo dare per controllare l'appetito sono: 1. ridurre gli stress esterni (lavorativi, famigliari, ecc.) i quali portano a mangiare per gratificarsi e consolarsi; 2. mantenere stabile la glicemia (strategie come la dieta a Zona o il digiuno intermittente lavorano su quello); 3. riuscire ad arrivare ad uno stato metabolico in cui riusciamo a mangiare molti carboidrati senza ingrassare (anche facendo ricariche ogni 3-4 giorni). Un pasto fortemente glucidico aiuta a mantenere alti i livelli di leptina e toglie la voglia di mangiare schifezze; 4. tenere medio-alte le proteine (nei range che vi abbiamo indicato). Questo permette di aumentare il potere saziante del pasto; 5. riempire lo stomaco con alimenti a bassa densità energetica. Questo permette di sentirsi sazi pur avendo introdotto poche calorie. Il potere saziante di un alimento è dato dal contenuto di proteine, acqua e fibre fratto il suo contenuto calorico; 6. mangiare lentamente. Il senso dell'appetito viene interrotto quando il cibo inizia a defluire dallo stomaco all'intestino. Mediamente impieghiamo 4-6 ore per digerire un pasto misto. Tuttavia la secrezione delle incretine (GIP, GLP-1), gli ormoni dell'intestino, è molto più rapida. Per questo pasti troppo grassi danno un senso di sazietà ritardato (quando abbia già introdotto molte calorie) anche se poi rimane duraturo nel tempo. Mangiare lentamente permette al tratto digerente di iniziare anche la fase di assimilazione oltre a quella digestiva. Viene consigliato di posare la forchetta ogni volta che si mangia un boccone. Ma beato chi ci riesce!

Capitolo VI

Strategie nutrizionali Questo capitolo è dedicato a tutti quelli che vogliono rimanere magri e in salute senza arrivare a fare troppi sacrifici per migliorare la propria composizione corporea. Seguendo queste linee guida e allenandovi correttamente, se siete in sovrappeso, arriverete probabilmente intorno al 12 15% di grasso corporeo (Body Fat o BF) se siete uomini e al 21 - 24% se siete donne.Ovviamente, chi è geneticamente più magro potrà scendere oltre, ma queste sono le percentuali medie a cui, chi segue un modello di vita sano e senza particolari rinunce, deve e può ambire. Se volete scendere oltre dovrete apportare ulteriori modifiche che descriveremo nell’ultimo capitolo e dovrete mettervi a calcolare calorie e macronutrienti negli alimenti. Spesso si legge di diete che promettono ottimi risultati senza sacrifici: “mangi quanto vuoi, non sentirai mai la fame, non dovrai fare nessun calcolo Sono cazzate! Chi inventa una dieta che porta le persone a squarciarsi senza rinunce diventa l'uomo più ricco del mondo. Quindi quando leggete che qualcuno promette ottimi risultati in breve tempo e senza impegno, chiedetevi sempre se va in giro con la Ferrari e quanto è bravo nel marketing. Il buon senso ci porta a stare in forma. Per ottenere ancora di più ci vuole impegno e purtroppo anche piccole/medie rinunce (se siamo geneticamente “sfortunati").

Al gusto ci si abitua Conoscete il detto ‘‘de gustibus non disputandum est Beh, non è sempre vero. Molto spesso crediamo di scegliere quando in realtà la nostra decisione è guidata. Questo avviene in tantissime cose (gusti musicali, programmi televisivi, ecc.), tra le quali anche il gusto. L’alimentazione tende a soddisfare non solo un bisogno fisiologico (omeostatico), ma anche un bisogno di gratificazione. La produzione di dopamina, di oppioidi endogeni (endorfine), ci guida verso la scelta di cibi con un’alta palatabilità. Naturalmente tendiamo a preferire alimenti dolci o salati, ricchi di grassi, con un’alta densità energetica. Il mix di grassi saturi e zuccheri raffinati è il massimo. In natura reperire questi cibi è un evento raro, al supermercato è quasi impossibile uscirne senza.

Vi raccontiamo una storia. Lucia veniva da una famiglia di persone in sovrappeso e mangiare era sempre stato un gran piacere. Il tempo che i genitori potevano dedicare a preparare i piatti era, tuttavia, sempre risicato: il papà lavorava in un 'edicola e la mamma in una lavanderia. Rientravano entrambi stanchi, così quando cucinavano sceglievano la velocità e la quantità, piuttosto che la qualità degli alimenti. Pasta con sughi iperconditi, surgelati, pizza, patatine fritte, hamburger, dolci già pronti, ecc. Lucia era cresciuta in mezzo a carboidrati raffinati, oli idrogenati e bevande zuccherate. Non era mai stata magra. Fin da piccola era in sovrappeso ed ora, a 35 anni, era obesa. Per lei mangiare qualcosa che non fosse grassa o zuccherata equivaleva a non mangiare niente, qualcosa senza alcun gusto, senza alcun sapore. In un quadro simile, forse meno estremo (speriamo), crescono e vivono milioni di italiani. Voi credete di scegliere ma il vostro gusto è influenzato dai prodotti del supermercato e, in fin dei conti, dalla pubblicità. Al gusto ci si abitua. Il palato perde di sensibilità e così una merendina, se assunta con costanza, sarà sempre meno dolce. Per ritrovare lo stesso piacere bisognerà semplicemente mangiarne di più. Nello stesso tempo cibi poco zuccherati perderanno di appetibilità. Tornare a riapprezzare i sapori naturali è possibile, ma per farlo sono necessarie: V

8 settimane per ricalibrare il gusto del salato;

V

12 settimane per ricalibrare il gusto del dolce.

Tale è il tempo, in media, che l’organismo e le cellule impiegano per riappropriarsi di questo senso. Quindi, per riscoprire il sapore originale di un alimento, dovrete limitare, per le settimane indicate, i cibi che abbiano al loro interno zucchero e sale aggiunto. Passata questa fase gusterete comunque i dolci, ma tenderete a prediligere quelli meno zuccherati. La frutta sembrerà zuccherina, la carne già di suo quasi salata. Gli alimenti in natura hanno un loro sapore ma ai giorni nostri questo scompare, sostituito da additivi chimici, dolcificanti e correttori ed esaltatori della sapidità. Quello che noi gustiamo in realtà è qualcosa di estraneo che ci spinge continuamente a mangiare di più, che ritarda il senso di sazietà. Per essere tutta la vita magri ed in forma è importante mangiare con gusto, ma sempre preservando il sapore naturale degli alimenti. C’è un grosso dibattito sui dolcificanti artificiali. Ormai sembrerebbe dimostrato, a livello scientifico, che era tutta una balla che l’aspartame faceva venire il cancro. Ma se avete avuto occasione di guardare la puntata televisiva di Report avrete visto che molti studi sembrerebbero essere stati “manipolati” per far ottenere determinati risultati. Sinceramente non ce la sentiamo di prendere una posizione sull’argomento. Oggi si discute sull’influenza dei dolcificanti artificiali a livello della flora batterica (influenza negativa) ma soprattutto sull’abitudine al gusto. Sembrerebbe che usare i dolcificanti mantiene la dipendenza al gusto del dolce e quindi influenza le nostre abitudini alimentari. Piano piano, se riuscite toglieteli, anche se non apportano calorie. Per concludere, anche se teoricamente il grasso non è un vero e proprio gusto, ci settiamo anche su di esso. Se il petto di pollo vi sembra un alimento poco saporito e gustoso (e dovete aggiungere molto sale o del ketchup per renderlo appetibile), probabilmente avete un gusto del grasso alterato. Abituatevi a scegliere solo tagli di carne rigorosamente magri. Limitate il condimento nell’insalata e non esagerate coi formaggi (che sono anche troppo salati). Vi accorgerete col tempo che apprezzerete tutti gli alimenti “magri”, quelli grassi avranno un gusto troppo pesante e nauseabondo.

Tornando ad apprezzare i gusti originali e semplici avremo fatto il primo passo (indispensabile) verso una corretta alimentazione!

L'ordine del pasto Ormai è consuetudine sedersi a tavola iniziando con un bel primo, per poi passare al secondo accompagnato da un'insalatina e finire col dolce. Milioni di italiani seguono questo schema, anche se non tutti ci aggiungono l'insalatina e spesso accompagnano il secondo con un bel formaggio o con delle patate. Per persone sedentarie, geneticamente in sovrappeso, uno schema del genere porterà inevitabilmente negli anni a diventare dei bei ciccioni. Tante calorie, tanti macronutrienti mischiati, bagni di insulina, glicazione delle proteine, elevati trigliceridi ematici...cosa chiedere di più? Insomma se vogliamo ingrassare questa è la strada corretta. Negli ultimi anni si è fatta strada l'idea del piatto unico. Non più tante portate, ma una sola e abbondante dove dentro ritroviamo un po' di pasta o riso, un po' di carne e il contorno. In questo modo la quantità viene limitata e la persona ha subito la percezione di quello che deve mangiare. Assumere più portate non ci fa percepire tutto quello che introduciamo. Il piatto unico è una bella ed efficace invenzione se vogliamo dimagrire. Ma esiste anche un'altra strada, quella di introdurre a tavola i piatti in ordine di appetibilità dal minore al maggiore. Partiremo così dall'insalata. L'obiettivo è iniziare a riempirsi lo stomaco con della verdura, un buon modo per introdurre fibre ed acqua, due elementi importanti che concorrono a dare senso di pienezza e sazietà. Successivamente passeremo al secondo, questo perché le proteine e i grassi (ricordiamoci sempre di scegliere tagli di carne magra) riempiono di più degli zuccheri. Per concludere introdurremo il primo coi carboidrati (ricordatevi dei legumi). Il fatto di mangiarli per ultimi farà sì che la quantità di glucidi introdotta sia corretta e che l'organismo, già in parte sazio, non si avventi sul piatto più appetibile. Il senso di sazietà sarà ancora maggiore se mastichiamo piano e bene gli alimenti e ci abituiamo a posare forchetta e coltello ad ogni boccone. E una strategia utile quella di usare le forchette dei bambini o i cucchiaini. Anche mangiare con le bacchette cinesi aiuta. Questo dilazionerà il tempo del pasto, permetterà alla grelina di scendere e agli ormoni intestinali (che bloccano il senso della fame) di salire. Se seguiamo tutti questi consigli, iniziando dalla verdura (o dal pinzimonio), passando al secondo e solo successivamente al primo, ci accorgeremo che non ci sarà più spazio per il dessert. Tuttavia, scoprirete che, anche se sazi, la voglia di dolce rimane purtroppo quasi inalterata: “per il dolce c ’è sempre spazio". Biologicamente siamo settati per prediligere alimenti grassi e zuccherati dall'alto valore energetico. Per questo la voglia del dessert facilmente rimane, perché più che soddisfare il nostro corpo, soddisfa la nostra psiche. Tenetelo bene a mente, arrivati alla fine del pasto chiedetevi se mangereste ancora un frutto. Se la risposta è no, la vostra è solo una tentazione psicologica (data dai neurotrasmettitori). Ricordatevene sempre, vi aiuterà a lottare contro voi stessi e le vostre voglie.

La densità energetica Verso la fine degli anni ‘90 iniziò a diffondersi il concetto di densità energetica. Gli alimenti venivano classificati in base a quante calorie contenevano su 100 g di prodotto crudo. Le patate hanno così 77 kcal, la pasta 357 kcal, il miele 304 kcal, lo zucchero da cucina 387 kcal.

Visto che uno degli elementi che contribuiscono al senso di sazietà (oltre che alla stimolazione dell'insulina, della leptina e degli ormoni intestinali) è la distensione delle pareti dello stomaco, il fatto di rapportare il quantitativo di quello che mangiamo alle calorie diventava un elemento essenziale per essere pieni pur avendone introdotte poche. A questo elemento si aggiunge che spesso i cibi meno calorici sono anche quelli più ricchi di micronutrienti. Verdura e frutta sono composti principalmente d'acqua ma al loro interno sono ricchi di vitamine e minerali. Mediamente più un alimento è idratato, più possiede elementi importanti per la nostra salute. Una delle strategie migliori per mantenere o raggiungere una composizione corporea ottimale è quella di sostituire gli alimenti con un'alta densità energetica con quelli a media-bassa densità. La Paleo dieta ha principalmente questo aspetto da valorizzare, tutto quello che si trova in natura e può essere mangiato senza lavorazioni ha normalmente (ad eccezione della frutta secca e di pochi altri cibi come il miele) una densità bassa. Anche alcuni cereali possono essere mangiati crudi ma solo se germogliati (pratica molto rara). Il fatto che la natura abbia scelto di riempire gli alimenti con carichi d'acqua importanti, ha fatto sì che per milioni di anni mangiando ci si idratava. La necessità di bere ai pasti è spesso correlata al fatto che condiamo eccessivamente o che mangiamo piatti disidratati e salati. I cereali e i legumi con la cottura si (re)idratano (ricordiamo che i carboidrati hanno un elevato potere osmotico). Tutti gli altri alimenti al contrario perdono acqua. Un esempio è la carne, che parte con oltre il 75% d’acqua (tagli magri) e scende anche sotto al 50% (a seconda dei tempi e delle temperature). 250 g di filetto crudo una volta cotti arrivano facilmente a 150 g. La densità degli alimenti diventa così uno dei punti essenziali quando dobbiamo scegliere tra cibi della stessa categoria (patate o pasta). Ovviamente non è l'unico (la pasta per esempio apporta molte più proteine rispetto alla patata) ma visto che, come abbiamo già scritto, gli alimenti meno densi sono di solito anche quelli più ricchi di micronutrienti, diventa un facile indicatore della salubrità di un piatto. Ricordiamoci che anche la cottura gioca un ruolo essenziale. È vero che il riso ha più calorie del miele, ma una volta cucinato duplica-triplica il suo peso. Nello stesso modo un filetto di salmone se troppo cotto, non solo deteriora i suoi acidi grassi poiinsaturi, ma perde parte del suo contenuto saziante dato dalla riduzione di volume. In definitiva un alimento andrebbe scelto in base: V alla sua densità energetica (che determina il suo potere idratante)

V

al contenuto di micronutrienti

V

al contenuto di aminoacidi e grassi essenziali

V

al contenuto d'amido e di fibre

Più vengono rispettati questi punti e più l’alimento sarà salutare ed aiuterà ad arrivare ad una composizione corporea ottimale. Va ricordato che gli studi mostrano che chi mangia regolarmente cibi a bassa densità energetica nel tempo inizia ad introdurne sempre più cibo. L'effetto saziante di questi alimenti col tempo cala sempre di più. Purtroppo sembrerebbe che l'organismo fa di tutto per non tenerci magri. L'unica soluzione è quella di inserire regolarmente cibi ad alto valore energetico nelle ore successive agli allenamenti, una volta che abbiamo esaurito le scorte glucidiche. In questo modo riusciamo a controllare la voglia di zuccheri a rapido assorbimento, senza ingrassare.

Quando dimagriamo Una delle preoccupazioni maggiori di quando mangiamo alla sera è che andando a letto ci rimanga tutto sullo stomaco e questo ci faccia ingrassare. In realtà la notte è il momento della giornata in cui dimagriamo maggiormente. Questo fatto non è dovuto a un dispendio calorico elevato (che anzi durante il sonno rimane basso) ma semplicemente alla mancata assunzione di cibo per molte ore. Alla domanda, quando dimagriamo, la risposta è banalmente, quando non mangiamo. Come abbiamo già visto mediamente ci vogliono due ore per riportare ai livelli basali glicemia e trigliceridemia dopo un pasto. Più è corposo e grasso e più tempo ci vorrà. Dopo che abbiamo mangiato si instaurano tre fasi nel nostro organismo. La prima è quella acuta (0-2 ore): l'aumento della glicemia e dei lipidi plasmatici obbligherà il corpo a stoccare queste molecole nei depositi epatici, muscolari ed adiposi. Finito di mangiare, a seconda di quanto ci siamo mossi e se ci siamo allenati, il nostro organismo decide se indirizzare l'eccesso dentro al miocita, dentro al fegato o dentro l'adipocita. Per questo l'attività fisica è importante, non tanto perché aumenta il dispendio energetico (comunque utile a dimagrire) ma perché indica al corpo dove indirizzare i macronutrienti (partizionamento calorico). Finita la fase iniziale, inizia la seconda (2-4 ore): i valori ematici tornano quasi alla normalità, si crea ora un equilibrio tra i macronutrienti rimasti nell'intestino (i quali a poco a poco verranno indirizzati nel circolo portale) e il dispendio energetico. Così, anche se nelle quattro ore successive al pasto smettiamo “di ingrassare” (dopo la fase acuta), continuiamo comunque a non “dimagrire La terza fase inizia, a seconda di quanto era abbondante il pasto, dopo 4-10 ore (valori medi): le sostanze che arrivano dall'apparato digerente sono sempre più rare e iniziano ad essere intaccate le scorte dell'organismo (principalmente epatiche ma anche muscolari ed adipose). Con la terza fase inizia il vero dimagrimento.La notte è così il momento in cui l'organismo dimagrisce maggiormente proprio perché è la fase dove rimaniamo più a “digiuno ”. E la stessa cosa avviene tra i pasti ma in modo minore perché il tempo che intercorre tra la colazione e il pranzo e tra quest'ultimo e la cena è inferiore. Arrivati a questo punto viene naturale chiederci: ma allora, chi fa gli spuntini a metà mattina e pomeriggio? E chi fa la dieta a Zona e mangia sei volte al giorno? Come fanno a dimagrire? Si perde peso se l'introito calorico è inferiore alle spese, mangiare poco ma spesso non bloccherà il dimagrimento perché quello che introduciamo non riuscirà a soddisfare le richieste energetiche dell'organismo. Così da una parte il nostro corpo assorbirà le calorie dagli alimenti e dall'altra continuerà ad attingere dalle proprie scorte. Tuttavia questo procedimento non avverrà quasi mai contemporaneamente. Se il pasto ci aumenta l'insulina, la lipolisi nelle cellule adipose viene temporaneamente sospesa. Se il corpo deve fare entrare i macronutrienti nelle cellule, smette di farli uscire. Comunque i tempi dell'anabolismo saranno più brevi rispetto a quelli del catabolismo ed il bilancio finale verterà sempre verso il dimagrimento. Alla luce di quanto detto le scelte nutrizionali che abbiamo a disposizione rimangono sempre principalmente tre. 1. I classici tre pasti al giorno: il nostro corpo ha mediamente 15-18 ore di fase catabolica, 6-9 ore di fase anabolica. 2. I 5-6 pasti della zona: il nostro corpo avrà 8-12 ore cataboliche e 12-16 ore di fase anabolica ma che sarà molto leggera e verterà a soddisfare le esigenze cellulari più che ad accumulare nuove riserve. 3. I due pasti, tipici del digiuno intermittente: il corpo avrà 5-6 ore di forte fase anabolica dove inevitabilmente avremo anche un accumulo di nuovi trigliceridi e 19 - 18 ore cataboliche dove l'eccesso acquistato verrà speso con gli interessi.

Morale della favola, tutti e tre questi approcci se introducono un quantitativo energetico inferiore alle nostre attività e ai nostri bisogni portano a dimagrire. La scelta verte esclusivamente sulle nostre preferenze alimentari. Ci piace sederci a tavola senza avere limitazioni? Meglio seguire un regime di digiuno intermittente con solo due pasti importanti. Abbiamo moglie e figli e mangiamo tutti assieme? Meglio i canonici tre pasti. Ci piace continuamente spiluccare? Meglio un approccio stile Zona. Ricordiamoci sempre che i risultati arrivano non dal regime più efficace in assoluto ma da quello più perseguibile nel tempo.

La colazione, facciamo chiarezza Fare colazione è una cosa di buon senso: non si arriva alle 11.00 affamati e non ci si precipita al bar a mangiare qualsiasi cosa si trovi, non si sviene, non si abbassa il metabolismo, non si soffre la fame. Insomma, giustamente il vostro medico non vi dirà mai di saltarla perché per l’uomo medio è corretto farla, ma... (mio zio diceva che tutto quello che viene prima di un “ma” non conta). Ma conviene precisare una cosa, saltare la colazione non equivale a digiunare, almeno col significato che diamo noi a questo termine. Il digiuno è composto da diverse fasi: la prima (quella del salto della colazione) non comprende tutte le accezioni negative che gli affidiamo. 1. Non vi manda in ipoglicemia. Solo persone con gravi problemi di salute rischiano un abbassamento eccessivo degli zuccheri (questo è uno dei motivi per cui generalmente, non sapendo chi abbiamo di fronte, non possiamo consigliarli di saltarla). In soggetti sani invece migliora i parametri glicemici e migliora la sensibilità aU’insulina. Gli zuccheri nel sangue calano leggermente portando le cellule muscolari e adipocitarie ad aumentare i recettori cellulari per l’insulina. 2. Non vi abbassa il metabolismo. Quando gli zuccheri scendono leggermente, la glicemia viene sostenuta dalle catecolamine, dal glucagone e dal cortisolo (ormoni che aumentano il metabolismo e la lipolisi). Il GH (in seguito al picco notturno) rimane più elevato anche durante il mattino. Questo avviene perché il corpo sta lentamente shiftando il proprio metabolismo dagli zuccheri ai grassi. Meno zuccheri sono disponibili più grassi utilizza per preservarli e più ha bisogno dell'ormone della crescita. 3. Chi non mangia per 18 - 24h ha già un “calo” del metabolismo del 5%. Ma allora, si abbassa o non si abbassa? Si abbassa, ma se pensiamo che 10% del nostro metabolismo è dato dall’azione dinamica specifica (ASD), ovvero dalle calorie consumate per digerire ed assimilare gli alimenti, ci rendiamo conto che dopo 24h il metabolismo dovrebbe calare non del 5% ma del 10%. Questo non avviene perché l’azione adrenergica lo alza del 5% facendolo così scendere solo di un meno 5% (-10%+5%=-5%). 4. Non vi manda in chetosi. La chetosi è uno stato metabolico (spesso confusa con la chetoacidosi diabetica) che si instaura dopo giorni di digiuno, non ore. Se saltate la colazione, la produzione di chetoni rimane basale perché è ancora sostenuta dal glicogeno epatico. 5. Non soffrite la fame. Dopo la prima fase di assestamento, con un ritrovato equilibrio metabolico/energetico, il quadro ormonale produce una diminuzione del senso di fame. Chiarire questi quattro punti era essenziale per poter proseguire il paragrafo. Attenzione, questi non sono pareri personali ma concetti biochimici e fisiologici assodati. Non troverete in libri di biochimica o fisiologia altri concetti. Qui non stiamo parlando di uno studio che mostra una cosa e uno studio successivo che mostra l’esatto opposto. Stiamo esponendo la biochimica di base, universale per tutti gli esseri umani.

Torniamo ora a cosa succede all’uomo comune quando salta la colazione. Generalmente si sente stanco, svuotato, affamato e gli gira la testa. Questo avviene perché in un’alimentazione normale e sana con il 55 - 60% delle calorie derivanti da carboidrati, noi diventiamo dipendenti da essi. Lo stato energetico del corpo è regolato dalla disponibilità esogena degli zuccheri, se non li mangiamo avvertiamo un malessere. Questa dipendenza dal cibo non è una cosa cattiva. Infatti, in atleti magri con un’elevata massa contrattile che praticano sforzi glicolitici, una dieta fortemente glucidica permette di aumentare la performance senza affaticare i sistemi metabolici. Nei sedentari (spesso in sovrappeso) questa dipendenza non è sempre ottimale. Com’è possibile che persone grasse, con scorte energetiche elevatissime (potrebbero stare mesi senza mangiare e non morirebbero di fame), se saltano la colazione si sentono male? Bastano poche ore di digiuno per mandare in crisi un sistema progettato per resistere settimane o mesi senza cibarsi? C’è sicuramente qualcosa che non va. Qui la dipendenza esogena dai carboidrati prende il sopravvento sui sistemi metabolici naturali. Abbi amo le riserve piene ma continuiamo a dipendere da fonti esterne, un po’ come se in Sicilia smettessero di mangiare le loro arance e comprassero solo quelle spagnole. Ha senso? In questo caso cambiare le proprie abitudini alimentari può sicuramente aiutare. Saltare la colazione, arrivare a fare 16-18 ore di digiuno, insegna al corpo a sfruttare le proprie riserve energetiche. Con la costanza imparerete a non avvertire nessuna stanchezza, a non sentirete nessuna fame o esigenza di mangiare, l’organismo imparerà ad autoregolarsi sfruttando al meglio i depositi di grassi e preservando il glicogeno epatico. E consigliato non partire da zero a saltarla, ci vuole gradualità. Iniziate a modificarla prediligendo frutta al posto dei cereali, yogurt magri rispetto a quelli con la frutta (quest’ultimi hanno moltissimi zuccheri aggiunti), introducendo magari qualche noce o mandorla o delle fonti proteiche come le uova (biologiche e cotte alla coque). Già con questi accorgimenti i benefìci saranno enormi. Successivamente, se avrete voglia, iniziate 2-3 giorni a settimana a saltarla per poi arrivare a stare 16-18 ore a digiuno sempre.Con un po’ di costanza (almeno 3 settimane) vi accorgerete che starete in piedi lo stesso, che quello che reputavate il pasto più importante della giornata forse non lo era. Per concludere, la colazione è solo una scelta alimentare, non è indispensabile farla ma allo stesso tempo può essere utile. Dipende dalla persona e dalle sue abitudini. Prendete soggetti in sovrappeso abituati a saltare la colazione, fategliela fare e vedrete che dimagriranno. Prendete soggetti in sovrappeso abituati a fare colazione, fategliela saltare e vedrete che dimagriranno. In tutti i due casi sono avvenuti adattamenti metabolici che hanno spezzato l’omeostasi che si era creata con le consuetudini alimentari. Partite sempre dalla persona, ma nello stesso tempo partite anche dai principi biochimici e fisiologici. È inutile stare a citare uno studio se non si capisce il principio su cui si basa, altrimenti non si riesce a capire perché un altro studio dà dei risultati diametralmente opposti. La prossima volta che affronterete l’argomento colazione, iniziate dalla persona ed in base a quello ragionate su cos’è meglio e più adatto fare.

Il segreto dei magri Volete sapere qual è il segreto dei magri? Nascerci. Ovviamente scherziamo. Cerchiamo di capire cosa può aiutarci a diventare e rimanere magri. Partiamo della definizione di metabolismo lento. In letteratura non esiste una definizione biochimica. Mentre nel gergo si pensa a processi metabolici rallentanti, a livello accademico di

tutto ciò non c’è nessun accenno. Prendete un libro universitario e guardate quante pagine dedica al metabolismo lento. Troverete poco o niente (se non quello che abbiamo già riportato nel libro). Ma allora perché a parità di calorie c'è chi dimagrisce e chi ingrassa? Recettori cellulari, ormoni, mitocondri, ecc. danno sicuramente il loro contributo, ma in questo paragrafo tuttavia ci occuperemo del dispendio energetico indotto dall'attività non sportiva, un elemento sempre trascurato ma fondamentale. Si è visto da numerosi studi che le persone “geneticamente” magre si muovono di più. Non solo magari usano le scale e si spostano in bicicletta al posto di prendere l’ascensore o la macchina, ma semplicemente alzano più volte le braccia, al posto che ruotare la testa si girano completamente, insomma ripetono dei microgesti con maggior frequenza. E un po' il principio della goccia che buca la roccia. Quando facciamo sport il dispendio calorico si alza improvvisamente, con l'EPOC rimane anche leggermente aumentato a riposo, ma la ciliegina sulla torta è semplicemente l'essere più attivi tutto il giorno. Ottimo! Da domani mi metto a dieta e mi muovo di più! Purtroppo non funziona così. E ormai dimostrato che quando dimagriamo ci muoviamo inconsapevolmente di meno. Tutti quei microgesti che continuamente ripetiamo si fanno più sporadici, l'organismo si mette in uno stato di riserva e di risparmio. Più peso perdiamo, più ci allontaniamo dal nostro set point e più il dispendio energetico indotto da attività non sportive scende. E fisiologico ed è inconsapevole, ora che l'avete letto non ci potete fare niente lo stesso. Quelli magri di natura si muovono di più, voi se diventate magri vi spostate di meno. L'unica soluzione è quella di muoversi volontariamente, facendo almeno 5 km al giorno a piedi, usando le scale, insomma praticando tutti quei consigli che vengono dati agli anziani. Camminare non fa dimagrire (a meno che non maciniate veramente tanti chilometri) ma vi aiuta a mantenere sempre sotto controllo i livelli glicemici, dei trigliceridi e dell'insulina (parliamo dei livelli basali). Come abbiamo visto anche livelli leggermente elevati bloccano il dimagrimento. Essere attivi ci permette di regolare il livello basale in modo che possiamo sfruttare al massimo la dieta e l'attività sportiva. Il segreto dei magri sta nei piccoli gesti, ricordatevelo. Il vostro dispendio energetico coi mesi e gli anni si rialzerà fisiologicamente dopo che avrete mantenuto il peso perso per un periodo di tempo più o meno lungo. Purtroppo ci vuole costanza, potrebbero volerci anche più di 12-24 mesi prima che l'organismo resetti completamente il suo set point e consideri la situazione attuale come la normalità e non come uno stato di carestia. Questi sono i tempi, per questo è tanto difficile rimanere magri. Perdere peso in 2-6 mesi è relativamente semplice. Si compiono atti eroici e si conquista la meta. Ma la ricomposizione corporea è fatta di piccole silenti vittorie quotidiane ripetute nei mesi e negli anni. Ricordatevi di diventare attivi, perché il vostro corpo farà di tutto per non esserlo.

La fame specifica Il buon senso e la cultura alimentare consigliano di mangiare poco di tutto. Questo pensiero può essere in gran parte condivisibile. Quasi tutti gli alimenti presentano sostanze estranee (dovute all'inquinamento o dai processi industriali di produzione) che sono dannose per la salute: metalli pesanti, antibiotici, pesticidi, più tutta una serie di prodotti nocivi naturali presenti in piccole dosi negli alimenti come antinutrienti, saponine, lectine, solanina, ecc. Il fatto di variare spesso i cibi ci permette in primis “di avvelenarci” con un po' di tutto senza mai raggiungere un livello dannoso per l'organismo.

Un altro aspetto del variare riguarda la percezione della fame. Il senso di sazietà è dato da diversi fattori ed ormoni ma anche dai recettori gustativi. Storicamente la nostra cucina ha suddiviso i piatti in antipasto, primo, secondo, dolce, proprio per permetterci di gustare diversi alimenti prima di essere sazi. A parità di quantità e calorie, se mangiassimo tre volte lo stesso piatto saremmo molto più sazi ma meno soddisfatti. La noradrenalina indirizza il nostro cervello a preferire cibi glucidici ma ci dà sazietà per quelli proteici. Questo perché alimenti ricchi di proteine aumentano nel circolo ematico gli aminoacidi fenilalanina e tirosina, i precursori della dopamina e della noradrenalina. Al contrario, la serotonina ci spinge a mangiare alimenti proteici e ci dà sazietà verso quelli glucidici. L'assunzione di carboidrati garantisce un maggior passaggio del triptofano (aminoacidico precursore della serotonina) nella barriera ematoencefalica. Una volta che tutti i recettori sono stati accoppiati con la molecola segnale, il nostro corpo avverte “nausea ” nel continuare a mangiare quell'alimento. Per questo diete come quella Vegan, Paleo, gruppi sanguigni, del gelato, ecc. fanno perdere peso: limitando fortemente la scelta degli alimenti a disposizione o comunque limitando le categorie dei piatti, si giunge più rapidamente ad un senso di sazietà. Lemme, un farmacista molto contestato per la sua dieta, sceglie di far mangiare a volontà una sola portata. Come già accennato negli altri capitoli, a far ingrassare è la varietà dei macronutrienti in un contesto ipercalorico. Un eccesso di zuccheri non porta ad un aumento della liposintesi (nuovo tessuto grasso) ma ad una loro ossidazione in un ciclo futile (che produce esclusivamente calore, nei soggetti sani ed attivi). Solo se accoppiati a grassi e proteine l'eccesso glucidico fa ingrassare anche soggetti sani ed attivi (ricordiamo che i lipidi possono essere anche quelli ematici se sono di base alti). Anche per le proteine funziona nello stesso modo, non si convertono in trigliceridi. I grassi sono l'unico macronutriente che, anche se assunto da solo ma in eccesso, non viene ossidato e porta ad ingrassare. Ovviamente questi discorsi sono prevalentemente teorici perché nessuno assumerà mai in un pasto solo carboidrati, proteine o grassi a meno che non mangi solo delle zollette di zucchero e beva solo l'olio d'oliva. Ci preme in questo paragrafo sottolineare che a livello recettoriale esistono antagonismi sia sulla membrana, sia nei mitocondri che portano i macronutrienti, in un contesto ipercalorico, a creare “ingorghi metabolici ” che aiutano a mettere su peso. La scelta di mantenere nel pasto pochi alimenti e di variarli nel corso della giornata e della settimana risulta così una possibile strategia vincente, sia perché limita il senso dell'appetito, sia perché a livello metabolico limita la formazione di nuovi trigliceridi riducendo gli ingorghi. Il piatto unico proposto dal dott. Ongaro e la suddivisione dei macronutrienti stile Zona, funzionano benissimo se le dosi sono limitate. Se invece volete eccedere perché siete naturalmente portati a mangiare tanto, conviene circoscrivere la varietà degli alimenti all'intemo del pasto (non della giornata). Durante gli attacchi di fame incontrollata è inutile mettersi davanti ad una bistecca con l’insalata, i neurotrasmettitori del nostro cervello vogliono zuccheri. Per limitare l'incendio preparatevi dell'avena, del grano saraceno, della quinoa e del cous cous integrale, ancora meglio dei legumi anche in abbondanza. Questo tipo di zucchero (amidaceo) farà sicuramente meno danni dei dolci e delle varie schifezze che ci attirano tanto in questi momenti di fame. Purtroppo, tuttavia, questa strategia funziona per poche volte, poi l'organismo non si sazia più coi carboidrati sani. Per questo conviene anticipare gli attacchi di fame incontrollata, introducendo regolarmente (almeno una volta a settimana) uno sgarro. Ciò ci eviterà (almeno in parte) di cadere

preda della fame “nervosa ”. Se sappiamo che il sabato sera e/o la domenica a pranzo, ci lasciamo andare, alleniamoci e limitiamo gli altri pasti del weekend. E sempre la somma a fare la differenza non il singolo pasto. “Se lo sgarro è programmato non è più uno sgarro".

La lista della spesa Concludiamo questo capitolo con alcune indicazioni pratiche su cosa comprare quando andate a fare la spesa. E inutile prefiggersi uno stile alimentare, una dieta, se poi quando andiamo al supermercato compriamo alimenti che poco hanno a che fare con questa. Meglio essere coerenti e ritrovarsi nella dispensa solo quei cibi idonei alle nostre intenzioni. Se guardate nel carrello delle persone noterete una certa correlazione statistica tra le merdate che si comprano ed il loro culo flaccido. Normalmente scegliamo i cibi per il loro gusto non per i benefici che apportano. Il motivo ormai dovremmo già conoscerlo (vedi il capitolo: vuoi dimagrire vai dallo psicologo). Scegliere cosa mettere nel carrello, per chi segue una dieta specifica, è abbastanza semplice. S I vegani prenderanno solo alimenti di origine vegetale. J

I paleo escluderanno legumi, cereali e latticini.

■S

Chi fa la Zona alimenti con un medio-basso carico glicemico.

In questo libro non escluderemo nessuna categoria alimentare, daremo indicazioni generali senza limitare a priori nessun alimento. Ricordiamo che ad oggi non è stato provato che le caseine provocano il cancro (che ne dica il China Study), che il glutine è sempre nocivo, che la carne ha la cadaverina, ecc. Se così fosse non avremmo problemi a scriverlo, anzi semplificherebbe di molto la strategia alimentare. Quando pensiamo che una cosa faccia male ricerchiamo su pubmed valutando prò e contro. Scopriremo che purtroppo esistono poche certezze e tanti dubbi.

Le scelte consapevoli25 Su internet ci sono tantissimi ottimi siti, uno dei migliori è il blog della nutrizionista Arianna Rossoni Devo svelarvi che mia moglie segue molto di più il suo sito rispetto al nostro. Nei suoi articoli (e nella sua pratica) tratta più frequentemente il mondo femminile e gli equilibri tra corpo, cibo e mente, basandosi sempre e comunque su dati scientifici. Siamo felici d'ospitarla in questo progetto, non solo per il suo contributo, ma anche per farvi conoscere un’altra ottima realtà nostrana. Partiamo dalle basi: la qualità del cibo

E facile dire “bisogna mangiare più verdura’’, o “si dovrebbero consumare più cereali integrali”, ma questi consigli si fermano ad un’analisi superficiale dei prodotti: derivano, ad esempio, dalla constatazione che la fibra dei cereali integrali e i minerali delle verdure siano un valido contributo ai fini della riduzione del rischio di patologie. Tuttavia non prendono in considerazione altri aspetti legati alla salubrità del cibo, vale a dire: quella verdura è stata coltivata naturalmente o a suon di fertilizzanti? E quei cereali integrali sono stati trattati con pesticidi, che si legano proprio alla loro fibra? Lo so, molti di voi non si sono mai posti queste domande, e vedo già cosa passa per la vostra mente: “eh già tanto se metto nel carrello dell’Esselunga la busta di insalata e le mele, non dirmi che non è sufficiente a farmi stare bene! ”.

25 Della dottoressa Arianna Rossoni, http://www.alimentazioneinequilibrio.it

Eppure è proprio così: se non prestiamo attenzione alla qualità di quello che mangiamo continueremo giorno dopo giorno a fare del male al nostro corpo. Fermatevi a pensare: immagino che conoscerete tutti il detto “l’uomo è ciò che mangia”, giusto? Se mangiate cibo trattato con fertilizzanti e pesticidi chimici, se le vostre verdure sono state coltivate su terreni inquinati o su un suolo povero di minerali, se per ‘camE intendete quei pallidi affettati di pollo e tacchino venduti in confezioni di plastica... di cosa si nutriranno le cellule del vostro corpo? Non è sufficiente pensare che il cibo debba fornirci la giusta quantità di calorie, proteine, carboidrati e grassi. In primo luogo, non si deve trascurare il fatto che il cibo contiene anche altri nutrienti, come ad esempio minerali, vitamine e antiossidanti. Se la verdura cresce su un terreno rigoglioso e non sfruttato assorbirà più micronutrienti da quel suolo; se la frutta è mangiata alla giusta maturazione, e non - come sovente accade - con una maturazione indotta da sostanze chimiche, ci regalerà più antiossidanti e vitamine. In secondo luogo non possiamo dimenticare che il cibo che acquistiamo assume anche il significato di scelta sociale ed etica. Vent’anni fa c’era chi boicottava le multinazionali dei vestiti perché accusate di sfruttamento minorile, ma ci siamo mai soffermati a pensare alle condizioni di vita e alla giusta retribuzione di chi lavora proprio al primo anello della produzione alimentare? Da ultimo, non possiamo ignorare che i metodi intensivi di agricoltura, allevamento e produzione del cibo portano inesorabilmente ad un impoverimento della nostra Terra: sfruttamento dei suoli e delle risorse, dispersione di acqua, abuso di sostanze chimiche, perdita della biodiversità. Senza volerci erigere a paladini della Natura e senza arrivare ad estremismi contorni e pericolosi, proviamo a inoltrarci nel concetto di “consapevolezza alimentare”. Per consapevolezza alimentare si indica quel bagaglio di conoscenze che ci permettono di acquistare cibo sano, buono e giusto. “Sano ” nella sua doppia accezione: che abbia un effetto positivo sulla nostra salute, e che sia stato prodotto (o coltivato o allevato) senza l’uso di sostanze delle quali si ignora l’effetto cumulativo sul lungo termine. Fertilizzanti, pesticidi e additivi sono sostanze chimiche certamente sottoposte a controlli legislativi affinché il loro dosaggio non superi un livello-soglia potenzialmente pericoloso per la salute. E la cosiddetta TDI (dall’inglese tolerable daily intake, dose giornaliera tollerabile): si tratta della massima quantità giornaliera di una sostanza chimica che sia stata provata essere sicura per l’uomo anche quando assunta per lungo tempo. L’agricoltura e l’allevamento prima, e l’industria alimentare poi, devono rispettare questi limiti: non è possibile aggiungere più di un certo quantitativo di pesticida o additivo chimico al cibo; tali limiti sono generalmente controllati con rigidità, sebbene non siano mancati in passato scandali clamorosi (e non mancheranno in seguito). Il problema è che la TDI non tiene in considerazione l’effetto cumulativo di sostanze potenzialmente pericolose. Quando, pasto dopo pasto, continuiamo a mangiare decine di alimenti trattati e industrializzati, chi ci garantisce che non causino un effetto accumulo tale da diventare un fattore di rischio significativo per la salute? Chi ci può assicurare che non siano proprio quelle sostanze a scatenare fenomeni di allergie, intolleranze o problemi gastrointestinali - se non patologie ben più gravi? Inoltre, non possiamo ignorare che ogni anno vengano pubblicate ricerche scientifiche che suscitano perplessità ed interrogativi verso sostanze chimiche sino ad allora considerate “sicure entro certi limiti Ad esempio nel maggio 2015 la IARC (Agenzia per la Ricerca sul Cancro) ha pubblicato sul prestigioso “The Lancet” un verdetto molto pesante contro sette pesticidi tra i più usati in agricoltura, accusandoli di essere possibili cancerogeni per l’uomo. In realtà dobbiamo ammettere che l’uomo non si è ancora reso ben conto delle conseguenze che possa avere il modello alimentare che si è autoimposto, se non per sommi capi: sappiamo che

il cibo industriale è coinvolto nell’obesità - anche infantile - e nel diabete, ma le nostre conoscenze si fermano poco oltre. Ecco perché il mio consiglio è quello di acquistare prodotti più naturali e meno industrializzati possibile: comprate le materie prime, non i prodotti preconfezionati; acquistate frutta e verdura non trattate al posto di quelle preconfezionate e sterili dei supermercati; scegliete prodotti locali e di stagione, non cercate a tutti i costi l’esotico (quanta strada ha percorso!) e il comodo (avete mai pensato che quelle zucchine, per crescere in pieno dicembre, sono state imbottite di fertilizzanti?). “Buono” perché... che piacere c’è in un cibo che non soddisfa il palato? Il nutrimento ha sempre avuto e sempre avrà una valenza edonica, di piacere: per festeggiare, per consolare, da condividere e per soddisfare. Quando mangiamo in modo monotono, senza sapore e senza colore, stiamo soddisfacendo solo una delle richieste del nostro corpo: la mera sopravvivenza; non stiamo traendo alcun beneficio mentale da ciò che mastichiamo, digeriamo e assorbiamo. Non ci piace, non ci dà gioia, e anzi ci lascia con senso di insoddisfazione. Ne vale la pena? “Giusto ” perché fin troppo spesso ci si dimentica che dietro al cibo esiste tutto un apparato di uomini che ha lavorato per la sua produzione, coltivatori e allevatori in primis. Quando acquistiamo un alimento cosa stiamo concretamente pagando? Beh, se compriamo cibo industriale, dalle confezioni sgargianti e plastificate, sappiate che il 50% (se non di più!) di quel prezzo viene assorbito dal packaging (ossia, appunto, dalla confezione) e dal marketing (la pubblicità). La rimanente quota deve essere spartita tra il costo delle energie impiegate a produrlo (l’elettricità usata dai macchinari produttivi, ad esempio), costo della strumentazione impiegata, costo delle materie prime e - da ultimo - costo della forza-lavoro, ossia gli uomini e le donne che di fatto contribuiscono alla produzione dell’alimento. Se facciamo due conti, capiamo che i costi della forza-lavoro sono ben miseri: quando acquistiamo prodotti industriali, che sono passati attraverso molte fasi di produzione, non stiamo dando alcun valore a chi quei prodotti li realizza. Paghiamo solo ed esclusivamente la multinazionale che c’è dietro. E per questo motivo che vi consiglio di acquistare il più possibile direttamente dal produttore, o di scegliere la filiera corta delle cooperative, dei GAS (gruppi di acquisto solidale) e dei negozi di paese: non avremo risparmiato granché sul prodotto, ma avremo una maggior garanzia di qualità (chi ce lo vende ci mette direttamente la faccia qualora non fosse un buon alimento!) e avremo pagato il giusto sotto più punti di vista. Per lo stesso motivo vi suggerisco, quando possibile, di fare un salto nei negozi equo e solidali o di acquistare prodotti con il logo “'fair tradé”. In questo modo abbiamo la possibilità di contribuire allo sviluppo sostenibile della filiera alimentare, che abbia a cuore non solo la nostra salute, ma anche i diritti dei lavoratori, specialmente del Sud del mondo. Se dobbiamo tenere in casa alimenti e ingredienti che in Italia non sono coltivati o prodotti - come caffè, cacao, zucchero, banane - non vale forse la pena di acquistarli presso punti vendita che garantiscano condizioni di vita umane e un giusto salario a persone che probabilmente, in assenza di questo canale, verrebbero sfruttate per il loro lavoro?

Il biologico: c'è da fidarsi? Moltissime persone associano il biologico alle scelte consapevoli: se è consapevole allora deve essere bio, se è bio allora è per forza consapevole. Purtroppo non è esattamente così. Il mondo del biologico è solo una piccola fetta delle scelte consapevoli e in gran parte sconfina nell’industriale. Il mercato biologico nasceva negli anni Sessanta-Settanta in America, nelle comunità new-age che volevano preservare frutta e verdura dall’industrializzazione agricola, che proprio in quegli anni stava imperversando a suon di pesticidi usati in dosi massicce. Ben presto cominciò ad avere successo anche in Canada, Europa e Australia, non solo presso comunità hippy, ma anche su richiesta di famiglie scettiche nei confronti dei nuovi metodi agricoli. Il boom del biologico è arrivato negli ultimi dieci-vent’anni, in risposta a consumatori sempre più salutisti. v?*

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Il dibattito sul biologico è attivo e in fermento: i prodotti bio sono davvero esenti da pesticidi? E sono più nutrienti rispetto a quelli dell’agricoltura tradizionale? In realtà dobbiamo rispondere no ad entrambe le domande: diverse ricerche hanno dimostrato che gli alimenti bio presentano meno residui di pesticidi e sostanze potenzialmente tossiche, ma che non ne sono esenti. Nella più innocente delle ipotesi potrebbe trattarsi di semplice contaminazione (i campi vocati all’agricoltura bio sono spesso a stretto contatto con quelli nonbio, e non è possibile prevedere la sedimentazione di fertilizzanti e pesticidi trasportati dall’aria). Tuttavia, non dobbiamo trascurare che l’agricoltura biologica permette l’uso di pesticidi e fertilizzanti “naturali” (ossia non di sintesi), che ad un esame scientifico hanno dimostrato possedere tossicità umana ed ambientale anche superiore rispetto alle molecole di sintesi, come ad esempio il rotenone, il solfato di vinaccia e il verderame. Inoltre sono state suscitate perplessità rispetto alla trasparenza di alcuni enti certificatori, che parrebbero conferire il marchio bio/organic anche quando non siano rispettati completamente tutti i criteri necessari. Al di là dell’uso di sostanze potenzialmente dannose e della furbizia di certe aziende, consideriamo poi che un prodotto biologico non sia per forza salutare: una merendina confezionata è un prodotto industriale a prescindere che si usino prodotti biologici o meno; l’uso di grassi vegetali raffinati è pericoloso per la salute sia che derivino da agricoltura tradizionale sia che provengano da coltivazioni bio; un pollo può essere cresciuto a suon di cereali e soia tanto in allevamenti bio quanto in allevamenti non bio. Insomma, quello che si poteva temere è successo. Il biologico è diventato marketing, non è più, come si proponeva di essere inizialmente, una valida alternativa all’imperante omologazione alimentare. I supermercati delle multinazionali vendono prodotti bio e non bio in scaffali adiacenti, e sfido chiunque a distinguere un prodotto dall’altro al solo assaggio. Nel mondo del biologico esistono prodotti validissimi, che io stessa consiglio, e prodotti meno validi, che rispondono semplicemente ad esigenze di guadagno. Allo stesso modo, esistono diversi produttori e allevatori che - pur non certificati biologici - usano solo ed esclusivamente metodi naturali, ecologicamente e salutisticamente sostenibili: purtroppo far registrare i propri prodotti come biologici implica dei costi (ebbene sì, bisogna pagare per avere riconoscimento di marchio bio) e le aziende più piccole - già stremate dall’andamento del mercato e dalle condizioni atmosferiche avverse degli ultimi anni- non possono permettersi di pagare la certificazione.

Alcuni cenni generali sulle etichette alimentari Ecco alcune brevi nozioni che dobbiamo conoscere quando leggiamo le etichette nutrizionali degli alimenti.

/ prodotti biologici L’uomo da quando è diventano stanziale ed agricoltore ha elaborato tutta una serie di strategie per sfruttare al meglio le piante. Fino ad un secolo fa tutti i processi agricoli usavano un’energia convenzionale (naturale ed organica) per coltivare. Oggi si utilizza invece un’energia ausiliaria (industriale, chimica). Il classico esempio che possiamo fare è quello del mais americano. Finita la seconda guerra mondale, le industrie belliche si ritrovarono senza più ingenti richieste, la produzione dell’azoto industriale venne così convertita non più per costruire le bombe ma per coltivare il mais (fertilizzanti).

In questo modo la pianta non aveva più bisogno del sole e le piantagioni potevano crescere molto più addensate, senza la paura che i vegetali si coprissero a vicenda. Questo ha permesso sia di ricavare molto più frumento per ettaro di terra, sia di non dover più ruotare le piantagioni (normalmente si coltivava un anno mais e l’anno successo, per far riprendere il terreno, si

seminava avena o soia). Le piantagioni intensive non rispettano i cicli naturali e sfruttano in modo innaturale il terreno.

I principali obiettivi dell'agricoltura biologica, così come sono stati definiti daH'International Federation of Organic Agricolture (I.F.O.a.m.), sono: J

trasformare il più possibile le aziende in sistemi agricoli autosufficienti che attingono alle risorse locali;

J

salvaguardare la fertilità naturale del terreno;

■S

evitare ogni forma di inquinamento determinato dalle tecniche agricole;

J

produrre alimenti di elevata qualità nutritiva in quantità sufficiente.

Un’etichetta per poter mettere il marchio biologico deve contenere almeno il 95% del prodotto da produzione biologica. I latticini con dicitura “bio” possono indicare allevamenti in cui gli animali si nutrono di mangimi biologici ma non erba. Una recente inchiesta della rivista “Altroconsumo” ha esaminato in laboratorio il contenuto dei nutrienti della verdura biologica rispetto a quella industriale. Dagli esami è uscito che non ci sono particolare differenze di nutrienti tra i due prodotti. Comprare biologico e pensare d’avere una supersalute ad oggi, purtroppo, è pure utopia. Alcuni risponderanno che almeno nei prodotti Bio non ci sono i pesticidi. Ni, gli agricoltori per legge possono utilizzarli se le coltivazioni sono a rischio. Cosa vuol dire? Che molto lavoro c’è ancora da fare... L’uso illegale di pesticidi in Italia si aggira intorno allo 0,7% dei campioni esaminati. Va tuttavia ricordato che i diversi nucleotidi utilizzati hanno negli anni decimato le api e la popolazione degli uccelli è scesa in modo sensibile. Nell’uomo alcuni pesticidi illegali, oltre a correlarsi con una maggior probabilità d’ammalarsi di cancro, sono associati anche alle malattie della tiroide.

/ prodotti tight

Per poter scrivere “tight” nell’etichetta di un prodotto, il contenuto energetico del prodotto deve essere diminuito di almeno un 30% rispetto allo stesso prodotto convenzionale. La riduzione avviene a discapito di grassi, colesterolo, zuccheri semplici ed alcol. Normalmente con la riduzione dei grassi avviene anche una riduzione degli acidi grassi essenziali e delle vitamine liposolubili. Comprare un burro light ha poco senso perché la parte lipidica mancante viene sostituita dall’acqua aggiunta. Praticamente state pagando lo stesso prodotto di più e ne avrete bisogno un quantitativo maggiore per sortire lo stesso effetto (visto che con la cottura l’acqua evaporerà). La dicitura: S “A basso contenuto di grassi ”, indica un alimento solido che contiene al massimo 3 g di grassi per 100 g di prodotto o un alimento liquido con al massimo 1,5 g per 100 mi; S “Senza grassi”, indica che l’alimento non contiene più di 0,5 g di grassi per 100 g o 100 mi; J “A basso contenuto di zuccheri ”, indica che il prodotto contiene non più di 5 g di zuccheri per 100 g se è solido, o 2,5 g per 100 mi se è liquido; S “Senza zuccheri”, indica che il prodotto non contiene più di 0,5 g di zuccheri per 100 g o 100 mi. / prodotti nutraceutici

11 termine nutraceutico rappresenta una sintesi tra le parole “nutriente” e “farmaceutico”. Sta ad indicare una sostanza naturalmente presente in natura che abbia proprietà farmacologiche note e riconosciute. La legislazione italiana inquadra i prodotti nutraceutici nella categoria degli integratori alimentari.

La loro efficacia deve essere superiore rispetto alla varianza spontanea del parametro preso in questione, ma non deve avere la potenza di un farmaco. I prodotti nutraceutici più noti sono: gli omega-3, le fibre solubili, i fìtosteroli, il riso rosso. Elenco degli ingredienti Nell’etichetta del prodotto gli ingredienti vengono scritti in ordine decrescente di peso (il più abbondante per primo). In fondo vengono inseriti gli additivi e gli aromi. Se il prodotto contiene allergeni devono comparire tra gli ingredienti o separatamente. Se il prodotto contiene più di 150 mg di caffeina per litro deve riportare la dicitura “tenore elevato di caffeina” (sono esclusi il tè e il caffè).

Reparto frutta e verdura Gli ortaggi Partite a fare la spesa da questo reparto. Almeno il 50% del vostro carrello deve essere riempito con questi alimenti. Può essere superfluo, ma è bene ricordare che è meglio scegliere sempre frutta e verdura di stagione. Alcuni vegetali richiedono qualche nota particolare. J Carote e pomodori sono verdure zuccherine (i pomodori in realtà possono essere considerati frutti ma anche zucchine, cetrioli, melanzane e peperoni tecnicamente sono frutti. Biologicamente qualsiasi derivato tissutale di un’infiorescenza fecondata è un frutto. È in cucina che si è diviso la natura in base al gusto: con frutti si tende ad indicare quelli dal gusto dolce e con verdure l’insieme di prodotti vegetali non-dolci). Sono un ottimo spezza-fame perché apportano comunque glucidi senza avere troppe calorie. Se volete spiluccare prima di mangiare provateli.

Le carote sono ricche di beta-carotene. La loro assimilazione è migliore da cotte condite con un po' d'olio. I pomodori, invece hanno vitamine del gruppo B, C, ed E, e possiedono minerali come lo Zinco, il Ferro ed il Selenio e altri micronutrienti. Insomma sono un buon multivitaminico naturale. Contengono anche la solanina, una sostanza tossica. Tuttavia non c’è da preoccuparsi, ad eccezione dei pomodori verdi è presente in basse quantità.

Z

I tuberi sono un ottimo alimento glucidico, con una bassa densità energetica. Se volete mangiare molti carboidrati le patate, le batate (patata americana) o la manioca, non possono mancare. Il fatto che siano glucidi già idratati permette di sfruttarne il senso di sazietà (almeno nel breve termine).

Z

Zucchine e finocchi dovrebbero essere assunti almeno 2-3 volte a settimana, invece melanzane e peperoni potrebbero dare problemi di digestione per via del loro quantitativo di solanina, ma se non vi danno problemi approfittate anche di questi ortaggi. Le zucchine apportano un ottimo quantitativo di manganese e potassio. I loro fiori hanno pochissime calorie ma forniscono gusto e sazietà con un ottimo contenuto di carotenoidi e ferro. Quindi se li trovate comprateli. I finocchi, essendo ricchi di flavonoidi, regolano gli ormoni nelle donne, migliorano la funzione epatica eh anno un effetto diuretico naturale.

C

L'avocado è un'ottima fonte di grassi, simile alV oliva può accompagnare i piatti dandogli gusto. Ovviamente è un alimento già più calorico, ma i suoi grassi buoni (presenza dell'acido oleico) aiutano le dislipidemie. Oltre a questo la presenza importante di potassio e magnesio aiuta nella regolazione della pressione sanguigna. Le donne incinte possono sfruttare la presenza di acido folico per aiutare lo sviluppo del feto.

J

Rape, ravanelli, e daikon non sono così ricchi di effetti benefici come erroneamente si crede. Tuttavia contribuiscono, ammesso che vi piaccia il gusto, ad aumentare il senso di sazietà e a idratarvi correttamente.

J

I broccoli sono tra i principali alimenti utili per la lotta e la prevenzione contro il cancro. Questo è dato dal loro alto contenuto di isotiocianati: diserbanti contenuti naturalmente nella pianta che tengono lontani gli insetti e danno quell’odore solforilato alle crucifere. Nel nostro organismo svolgono un ruolo protettivo promuovendo l’apoptosi delle cellule tumorali. Questi composti si formano grazie ad alcuni enzimi che iniziano ad operare non appena tagliamo o mastichiamo il broccolo. Se viene cotto purtroppo si disattivano e non possiamo beneficiarne. Quindi mangiateli crudi.

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Col termine insalata si intendono comunemente gli ortaggi a foglia. La loro assunzione dovrebbe essere quotidiana soprattutto quando a tavola ci sono alimenti proteici. Il loro rapporto fibra/acqua permette alle proteine di rimanere meno tempo nell'intestino limitando così fenomeni tossici di putrefazione.

Le verdure dovrebbero essere sempre presenti e la nostra abitudine alimentare dovrebbe portarci nel tempo ad apprezzarne il gusto. La maggior parte delle persone non riesce a mangiarle crude se non le accompagna con olio, aceto e sale. In realtà l'abitudine dovrebbe aiutare a farci riassaporare una carota o un pomodoro anche senza condimento. Il passaggio tuttavia dovrebbe essere graduale perché se non vi piace, condirle è già una buona strategia per assumerle. Ricordatevi sempre che l'alimentazione non deve essere un sacrificio, altrimenti nel tempo non la seguirete.

La frutta

La frutta da comprare dovrebbe essere quella nostrana e di stagione. La fibra presente aiuta l'organismo a nutrire la flora intestinale, ad assorbire meno calorie e a proteggerci delle sostanze che si accumulano nell'intestino. Quando mangiate mele e pere cercate di non assumere i semi perché sono ricchi di amigdalina (elemento molto tossico). I valori calorici della frutta che si trovano in commercio spesso sono sbagliati. Le aziende agricole, a causa della selezione artificiale, sono riuscite a creare frutti molto più zuccherini di quelli originali. Gli alimenti che troviamo oggi in commercio possono contenere anche più del 50% di zuccheri rispetto agli alimenti dei nostri nonni (o delle vecchie tabelle nutrizionali). Mele e pere apportano sì zuccheri (glucosio e fruttaSio), ma con un contenuto energetico che rimane comunque modesto (bassa densità energetica). Medimanete un frutto possiede 52-60kcal. Le banane sono di solito un alimento sconsigliato per chi sta a dieta, ma questa indicazione è infondata. Hanno un contenuto calorico e di amido maggiore rispetto agli altri frutti e possono andare a sostituire in parte le altre fonti glucidiche. Hanno un sacco di benefici. Sono conosciute per il potassio ma sono ricche anche della pro-vitamina A, Bb B2, C, possiedono calcio, fosforo, rame e ferro. Per questo vengono consigliate a chi soffre di anemia e a chi ha problemi di acidità gastrica. Spesso si legge che sono ricche di triptofano, peccato solo che sia contenuto maggiormente nella buccia. Mangiatele pure, ma senza esagerare. I kiwi, assieme alle arance e i pompeimi, sono ricchi di vitamina C. I kiwi hanno anche una forte componente allergenica che non li rende adatti a tutti. Il loro olio è ricco di un acido grasso prezioso, l’a-linolenico. Per quel che riguarda le arance e i pompeimi, non buttate il rivestimento biancastro che li circonda dopo averli sbucciati ma anzi abituatevi a mangiarlo. Sono fibre utilissime per combattere il colesterolo e i grassi nel sangue. Una accuratezza riguardo al pompeimo: se assumete farmaci controllate che non interferiscano o che non perdano di efficacia. Ananas, meloni, angurie sono altri frutti da tenere in considerazione, quando sono di stagione. All'ananas vengono attribuite proprietà dimagranti, ma in realtà è principalmente il gambo ad

averle e semplicemente perché è ricco di fibre. Chi vende integratori dimagranti a base di ananas vi sta prendendo per i fondelli perché vi vende delle comuni fibre. La prugna nera si è rivelata, tra la frutta comune, quella col più alto potere d’assorbimento dei radicali liberi (ORAC 5770). Per capire quanto comunque l’azione benefica dell’alimentazione sia limitata va ricordato che una sigaretta produce all’incirca 10 miliardi di radicali liberi. La frutta secca26.

La frutta secca è una categoria di alimenti che può essere suddivisa in due sottocategorie. 1. Glucidica. 2. Lipidica. Della prima fanno parte la frutta essiccata (albicocche, prugne secche, uva sultanina, datteri ecc.) mentre della seconda la frutta oleosa (noci, mandorle, macadamia, nocciole ecc.). In entrambi i casi abbiamo alimenti molto “calorici” poiché possiedono pochissima acqua all’interno e quindi una maggiore densità di nutrienti in rapporto al peso. Possiamo utilizzare la frutta essiccata invece di quella fresca? Sì, certo. Ma non sempre. L’essiccatura è un processo naturale, che disidrata la frutta. Quindi se già avete un carente apporto di liquidi (specie nei soggetti anziani) meglio la frutta fresca. I nutrienti, comunque, vengono mantenuti praticamente inalterati. Le albicocche secche ad esempio contengono tutti i minerali e i caroteni del frutto fresco intero. In alcuni casi, per brevi periodi, si è visto come sostituire a derivati dei cereali quantità isocaloriche di frutta essiccata ha giovato al dimagrimento e alla sensazione di gonfiore intestinale, creando meno ritenzione idrica e innalzando la glicemia in misura inferiore (il fruttosio influenza molto meno la glicemia rispetto al glucosio). E interessante osservare come più un cibo è disidratato e più si conserva nel tempo. Una corretta idratazione aumenta gli scambi metabolici negli alimenti e nell’essere umano, pertanto se parliamo di dimagrimento diventa essenziale mantenere un buono stato idrico per preservare il metabolismo e non rallentarlo. Passiamo alla frutta oleosa. I nutrienti più importanti che contiene sono i grassi. In molti casi alcuni di questi alimenti contengono ottime fonti di grassi monoinsaturi e poiinsaturi, addirittura le noci contengono acido a linoleico, un acido grasso omega-3 essenziale per l’organismo (il corpo non ne produce).Le mandorle apportano magnesio e una buona percentuale di proteine (certo dal basso valore biologico, ma sempre proteine sono). Le nocciole contengono una discreta quantità di fìtosteroli (in grado di aiutare a ridurre il colesterolo LDL). Le arachidi vengono inserite tra la frutta secca (visti i loro valori nutrizionali) ma in realtà sono legumi. La frutta secca lipidica contiene anche acidi grassi omega-6, pertanto, a seconda dei soggetti (nutrigenomica) può avere sia effetti antinfiammatori che infiammatori. Possiede anche un alto contenuto di fibre, con una buona percentuale di fìtati. Questi antinutrieti chelano alcuni minerali (calcio, ferro, zinco, ecc.) rendendoli non più biodisponibili. La tostatura elimina in gran parte gli effetti dei fitati ma degrada anche gli acidi grassi polisaturi (termosensibili). Il momento ideale per assumerla è lontano dai pasti, anche se questo accorgimento non è indispensabile. Per le quantità da introdurre dipende da come è bilanciata la vostra alimentazione. Se avete bisogno di un aumento ponderale, integrare negli spuntini o nel pasto prima di andare a dormire, una moderata quantità di frutta secca oleosa, è un’idea ottima. Nel caso in cui dobbiate perdere peso, ridurre la quantità di carboidrati provenienti da cereali, sostituendoli con frutta essiccata e

26 Del nutrizionista Dottor Maurizio Pezzutti, [email protected]

noci è una pratica intelligente. Occhio però, non hanno un gran potere saziante e il detto “l’una tira l’altra” è profondamente vero in questo caso! P.S.: la frutta secca e quella essiccata rientrano nel regime Paleo, ma anche nella dieta Mediterranea e Vegana. Insomma non fatene a meno, ma assumetene in quantità ragionevoli! E non utilizzate la scusa che la frutta secca faccia bene quando siete in un pub, accompagnando pistacchi, anacardi e arachidi a copiosi boccali di birra! Frutti di bosco Concludiamo il nostro viaggio tra frutta e verdura con i frutti di bosco. Fragole, mirtilli, ribes, ecc. oltre ad apportare acqua e fibre contengono anche vitamina C, acido folico, polifenoli e generalmente sono tutti degli ottimi antiossidanti. Sono particolarmente indicati a chi ha superato i 50 anni. Purtroppo costano parecchio. Ovviamente mancano ancora molti altri ortaggi e tipi di frutta. Scegliete quelli che vi piacciono e variate durante l'anno. E buona abitudine assumere della verdura in tutti i pasti principali e mangiare due frutti al giorno. Non dobbiamo però neanche attribuire troppe proprietà miracolose a questi alimenti, è vero che apportano molti micronutrienti, acqua e fibre, ma non vi guariranno da problemi gravi di salute e non vi renderanno superman. Come dice Albanesi, l'alimentazione conta principalmente in negativo, se mangi male avrai delle carenze ma se mangi bene non ti si apriranno le porte del paradiso. Non siamo solo quello che mangiamo, ma anche quello che facciamo, dove viviamo e soprattutto siamo la nostra genetica!

Reparto cereali, legumi, pane Dopo il reparto frutta e verdura possiamo continuare con quello dei cereali e legumi. Anche qui la scelta scontata ricade sui prodotti integrali, non lavorati, che mantengono ancora la loro parte fibrosa. Alimenti interessanti sono la quinoa, {'amaranto (definiti come falsi cerali) ed il grano saraceno. Come l'avena, hanno una composizione dei macronutrienti più bilanciata, con meno carboidrati e più proteine e grassi. Hanno anche un'altra particolarità: la loro forma biologica non ne consente la lavorazione industriale e quindi sono sempre integrali. Il loro profilo proteico è migliore degli altri cereali e non serve abbinarli ai legumi per avere un profilo aminoacidico completo (la quinoa basta abbinarla con il mais e l'amaranto con il riso). La quinoa, come i legumi, è ricca di saponine (pestidici naturali che chelano i minerali e danneggiano le membrane cellulari) quindi andrebbe tenuta a mollo per farla spurgare. L'amaranto possiede, come i cerali, lectine (inibitori della proteasi) e quindi va ben cotta. Come abbiamo già scritto, i cerali integrali andrebbero assunti biologici, visto che i pesticidi si fermano sulla parte esterna (crusca) del chicco e non nell'endosperma. Ricordatevi sempre che apportano le stesse energie dei cerali raffinati, quindi non potete assumerne di più. I chicchi sono sempre da preferire rispetto alle farine, se proprio dovete fare una scelta. Anche i legumi sono un ottimo alimento da abbinare ai cereali. Hanno un’alta percentuale di proteine, ma di scarso valore biologico il che li rende incompleti come fonte di aminoacidi. Lectine e saponine possono creare inizialmente problemi di digestione, tuttavia con l'abitudine l'organismo impara a difendersi e l'influenza di questi antinutrienti rimane modesta. Il mal di pancia e la flatulenza spariscono con l’abitudine. Il loro rapporto tra amilosio/amilopectina li rende tra le migliori fonti d’amido (almeno dal punto di vista glicemico). Fagioli, lenticchie, ceci, ecc. dovrebbero sempre far parte, assieme ai cereali, della nostra alimentazione, anche tutti i giorni della settimana. In molti si chiedono se possono sostituire i carboidrati di questi alimenti con la frutta. La risposta è sì nel breve termine e no nel medio-lungo tempo. La forte presenza d'amido nei legumi

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permette all'organismo di ricaricare meglio le sue riserve di glicogeno, portando così il metabolismo a restare sempre attivo (grazie agli ormoni tiroidei e alla leptina). Non fate l'errore di non mangiare cereali e legumi. Se il glutine vi corrode peggio dell'acido mangiate piuttosto il riso e quelli che ne sono privi (mais, grano saraceno, amaranto, miglio, quinoa, sorgo, teff). Per quanto riguarda il pane, conviene comprare quello di segale o ai cereali, dentro le confezioni sigillate. Rispetto a quello fresco del panettiere, che di solito ha un mix di farine, ha una composizione di ingredienti migliore (a meno che non abbiate un panettiere di fiducia serio). Controllate quanti grammi di fibre ha per 100 g di prodotto, è indicativo della qualità. Al supermercato dovreste trovare anche panetti biologici (provenienti spesso dalla Germania). In generale, meno pane bianco mangiate e meglio è ma fate attenzione a non farvi fregare con falsi integrali. La legislazione italiana da ampio margine ai panettieri, i quali possono usare enzimi e additivi per mascherare la farina bianca aggiungendo solo una piccola percentuale integrale. Fidatevi di chi conoscete e di chi fa il suo mestiere con passione.

Reparto carne, pesce, uova Passato anche il reparto cerali-legumi, arriviamo alla carne, alle uova e al pesce. Sarebbe preferibile comprare questi alimenti fuori dalla grande distrubuizione e direttamente dal produttore (che rispetti la natura e la vita degli animali allevati). Riguardo alla carne sono raccomandati tutti i tagli magri. Sappiamo che sono stopposi ma il petto di pollo e di tacchino dovrebbero essere tra le prime scelte (“a/ gusto ci si abitua'"}. Senza voler sembrare talebani, il petto è la parte migliore visto che le cosce e le ali risultano più appetitose ma troppo grasse. Anche la carne rossa va bene ma solo se magra e ripulita dai lipidi. Mentre le mucche che pascolano sono ricche di omega-3 estratti dall'erba, quelle di allevamento hanno omega-6 infiammatori più altre sostanze tossiche. Qui il discorso sui grassi saturi non c’entra. Se l'animale è quello che mangia, se si nutre di schifezze offrirà della carne di qualità scadente. Tra l’altro i bovini tendono ad avere naturalmente una piccola percentuale di grassi trans, percentuale che si amplia se si nutrono di cereali. La selvaggina cacciata, al contrario di quella da allevamento, ha percentuali di grasso corporeo molto inferiori, attorno al 6-10% ed è ricca di vitamine liposolubili. Lo stesso discorso vale per le uova. Costano di più ma sono meglio quelle biologiche. Ovviamente se avete la possibilità di prenderle dal contadino noterete una sostanziale differenza con quelle "biologiche” del supermercato. Tuttavia, se non avete altra scelta, optate per quest'ultime (anche se sono più costose). Nelle uova inoltre abbiamo la presenza dell'avidina, una glicoproteina che chela la biotina (vitamina B8 o H). Per disattivare questa sostanza basta cuocere l'albume, mentre per il tuorlo conviene fare l'opposto. Da sempre il tuorlo d’uovo viene demonizzato, vista la cospicua quantità di colesterolo al suo interno. Tuttavia, è importante sottolineare come la contemporanea presenza della lecitina renda poco biodisponibile questo colesterolo. Purtroppo la cottura disattiva la lecitina e pertanto le preparazioni alla coque o all'occhio di bue rimangono la miglior scelta per sfruttare appieno tutte le sue proprietà. Normalmente viene consigliato di non assumerne più di un paio a settimana. Non è nostra intenzione andare contro le indicazioni nutrizionali della maggior parte dei medici (possiamo dire poco aggiornati?), ma una rapida occhiata a Pubmed ci farà comprendere come questo consiglio è in realtà alquanto obsoleto e superato. E importante sottolineare che i grassi del tuorlo sono in prevalenza monoinsaturi (come quelli dell’olio d’oliva) e non saturi come nella carne. Nel reparto frigo troverete (non in tutti i supermercati) l'albume pastorizzato. Non è di grandissima qualità ma potrebbe servire per fare gustose ricette e per avere una fonte proteica velocemente disponibile.

Anche sul pesce ritroviamo tutti i problemi della carne riguardanti gli allevamenti industriali. I pesci grossi (tonno, salmone, pesce spada) sono più a rischio per l’accumulo di metalli pesanti (principalmente il mercurio). Un buon modo per proteggersi è assumere vitamina E assieme alla C. Queste due vitamine, in sinergia, hanno un'azione protettiva contro i metalli pesanti. Sardine, sgombri, alici, sarebbero la scelta migliore da fare perché sono economici, sono pescati, sono ricchi di omega-3 e vivendo poco accumulano meno inquinamento e metalli. Peccato che facciano schifo. Io le lascio a mollo nel limone, per smorzare il gusto e per facilitare la digestione. Attenzione a non cuocerli troppo: gli omega-3, essendo poiinsaturi, si ossidano facilmente, per cui una cottura ad alte temperature e di lunga durata vanifica ogni beneficio. La cottura al vapore rimane sempre quella più delicata e protettiva. Il pesce dovrebbe essere una delle fonti proteiche principali della vostra alimentazione, costi permettendo. Le notizie sul pangasio, come pesce di scarsa qualità ed inquinato sono false, quindi può essere una valida scelta economica. Se prendete il salmone per i suoi omega-3 scegliete pesci certificati che non superino il 15% di grasso corporeo (salmone scozzese).

Reparto latte e latticini Un altro reparto è quello dei latticini. Oggi il latte va poco di moda. Da una parte giustamente, vista la scarsa qualità di quello in commercio e visto il pus, i batteri e gli ormoni che può contenere. Dall'altra ingiustamente: le caseine e il lattosio sono problemi veramente secondari che sembrano tuttavia, su internet, essere il male del mondo. Avete tolto i latticini e state meglio? Continuate così. Appena li riassumete andate in bagno? E abbastanza normale. In molti sono intolleranti al lattosio, tuttavia possono comunque bere il latte perché i batteri intestinali imparano a scomporlo per noi. Se smettiamo di assumerlo perdono questa capacità e quando lo reintroduciamo provoca problemi (flatulenze, gonfiori, mal di pancia, diarrea). Chi lo assume con regolarità non avverte disturbi proprio perché il corpo, con la sua flora batterica, impara a digerirlo. Se fate parte di quelli che dicono che: “L'uomo è l'unico animale che beve il latte dopo lo svezzamento”, “Il latte non cura l'osteoporosi ma la causa perché è acido”, “Le caseine innescano fattori di crescita tumorali”, ecc., beh, sappiate che questi punti sono passati di moda. Se avete letto/sentito queste cose sui social network, alla televisione (magari da Mozzi), su un libro comprato alla Mondadori, ci spiace ma avete letto un parere di parte. Non è che i ricercatori e le linee guida non vogliono escludere il latte per interessi commerciali, semplicemente non ci sono ad oggi evidenze per farlo. Alcuni studi dicono che fa male, altri che addirittura fa bene. Nel paragrafo sulle linee guida abbiamo visto che è correlato sia con lo sviluppo di alcuni tumori sia con la prevenzione di altri. L’indicazione generale rimane quella di non abusarne. Qual è la funzione del latte vaccino? Far crescere un vitello in pochi mesi, pertanto è pieno di fattori di crescita. Siete a rischio per questo? Arrivati a questo punto del libro dovreste avere le conoscenze (e la curiosità intellettuale) per indagare se l'IGF-1 possa essere assunto per via orale o se venga scomposto (ormone di natura proteica). Dovreste sapere che la permeabilità intestinale varia dal neonato all'adulto. Per quanti ormoni proteici o fattori di crescita ci siano, questi diventano tutti di-tripetidi. Insomma, ci fosse un alimento colpevole non avremmo esitato a scriverlo, purtroppo ad oggi non c'è. Dei latticini sappiamo invece con certezza che causano dipendenza (come col glutine), per via della caseomorfina che interagisce coi recettori oppioidi del cervello. C'è una correlazione tra latte vaccino nel neonato e diabete soprattutto nei paesi del Nord ma la percentuale rimane veramente bassa, per cui si attendono ulteriori analisi. La composizione degli

aminoacidi nei latticini sembra attivare particolari geni nel nostro corpo innescando fattori di crescita (è questa la reale ragione per cui ne è correlato). In molti latti sono presenti batteri che peggiorano la salute dell'uomo, diversi studi lo documentano. Insomma nessuno vuole denigrarlo ma neanche santificarlo. Il consiglio che ci sentiamo di dare è sempre quello di prediligere la qualità e la varietà degli alimenti. Latte e yogurt andrebbero assunti parzialmente scremati a meno che non siano biologici. Attenzione però, quando trovate scritto “biologico ” non è che sono delle mucche da pascolo, ma semplicemente (almeno nella maggior parte dei casi) sono allevamenti classici con mangimi biologici (ma sempre mangimi). La porzione di grassi rende questi alimenti sicuramente più calorici ma anche molto più sazianti. Tuttavia è inutile assumere grassi se l'animale non si è nutrito bene. Lo yogurt va scelto prevalentemente magro senza aggiunta di zucchero e dovrebbe avere una quota di carboidrati non superiore a 6 g/100 g (se leggete 10 o più grammi hanno aggiunto dello zucchero). Gli yogurt alla frutta sono delle schifezze, perché hanno quasi più saccarosio che latte. Evitateli. Piuttosto aggiungete voi della frutta fresca di stagione. Lo yogurt greco è ottimo ed è un alimento (alte proteine di buona qualità) veramente saziante (anche se può risultare pesante). I formaggi non sono da evitare ma da limitare, soprattutto nelle quantità. I francesi sono famosi per mangiarne tanti ed essere magri. Le ragioni sono ancora ignote, c'è chi sostiene (e probabilmente ha ragione) che è per il loro potere saziante, chi dice per via del calcio, chi per l'alto indice insulinico (che ripulisce il sangue dall'eccesso di zuccheri). In ogni caso se ne abusate ingrassate. Alla faccia dei francesi! Ricotta e fiocchi di latte sono da considerare falsi formaggi perché per farli viene usato il siero del latte (per questo sono un'ottima fonte proteica) e non le caseine. Purtroppo per dargli un maggior gusto spesso vengono aggiunti altri ingredienti. Controllate prima di acquistarli.

Reparto condimenti e spezie In una buona cucina non può mancare dell’olio d’oliva extravergine, sicuramente un valido alimento per la nostra salute ma spesso anche sopravvalutato. Fate attenzione a non abusarne. Sempre meglio usarlo crudo ma, per le cotture ad alte temperature, sostituirlo con del burro può essere una valida alternativa. La margarina è da evitare come la peste, non contiene colesterolo ma per essere solidificata viene idrogenata, creando così dei grassi che non si trovano in natura e che danneggiano il nostro corpo. Evitate tutti gli oli vegetali (arachidi, girasole, mais, ecc.) pro-infiammatori per eccellenza. Via libere alle spezie, due in particolare si sono rilevate molto interessanti. V La curcuma, che grazie alla curcumina esplica diverse funzioni benefiche contro i tumori, per la circolazione sanguigna, le dislipidemie, l’Alzheimer, ecc.

V

La cannella, che invece aiuta il partizionamento glucidico e può essere considerata uno dei pochi integratori veramente utili per la composizione corporea.

In ogni caso non esagerate, le spezie fanno bene ma come sempre possono causare anche effetti collaterali, quindi prima di impiegarle massicciamente informatevi ulteriormente.

Il caffè Non è obiettivo di questo libro parlare dei singoli alimenti, tuttavia apriamo una piccola parentesi su uno dei termogenici più efficaci: il caffè. Potete spendere soldi per comprarvi pillole con dentro caffeina e derivati, oppure potete semplicemente optare per questa bevanda. ^231^

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È noto a tutti l'effetto adrenergico della caffeina. In realtà questo avviene grazie ad un effetto inibitorio sull'enzima fosfodiesterasi, che a sua volta inibisce l'adrenalina. Praticamente il caffè toglie il piede dal freno. Esistono molti tipi di fosfodiesterasi, quello PDE5 per esempio, non è influenzato dalla caffeina e permette il rilassamento della muscolatura liscia deputata all'irroramento dei corpo cavernosi. Tradotto, fa tirare il pisello. La funzione della caffeina è generalmente quella di stimolare l'attività simpatica dell'organismo, anche se presenta delle importanti contraddizioni. Se da una parte, per esempio, stimola l'attività cardiaca ed aumenta la pressione sanguigna, dall'altra attiva anche l'escrezione dei succhi gastrici, della bile e la motilità intestinale. Normalmente, invece, quando l'attività adrenergica del corpo prevale, quella digestiva è silente o viceversa. Assumere così il caffè dopo pranzo, da una parte ci fa digerire ma dall'altra aumenta la liberazione degli zuccheri e dei grassi nel sangue nel momento meno opportuno. Adrenalina, glucagone, cortisolo si attivano quando c'è una richiesta energetica da parte dell'organismo, data dal digiuno o dall'attività fisica. Aumentare così questi ormoni dopo pranzo non è proprio il massimo. Ovviamente stiamo guardando al pelo nell'uovo, ma è importante capire il concetto. Il caffè ci fa dimagrire perché aumentando l'azione adrenergica liberiamo nel flusso ematico zuccheri ed acidi grassi che possono così essere metabolizzati dal tessuto magro. Questa liberazione tuttavia non dovrebbe avvenire quando c'è già una sovrabbondanza ematica di questi macronutrienti (come avviene dopo i pasti). Al caffè viene anche associata la capacità di aumentare la velocità di risintesi del glicogeno e di migliorare il rapporto cortisolo/testosterone (anche se ulteriori studi devono chiarire e confermare questi punti). Altra riflessione importante riguarda l'up-down regulation. Quando l'organismo si abitua ad un certo segnale, risponde in maniera sempre più flebile. Per questo, se alte dosi di caffè possono aumentare il metabolismo fino ad un 10 - 20% (con 500 mg di caffeina), l'assuefazione ne rallenta velocemente gli effetti. Se lo utilizzate fate carichi crescenti di caffeina per massimo 2-3 settimane, poi calate la dose per non diventarne dipendenti e perderne l'effetto. Se siete degli atleti ricordatevi che la caffeina viene inserita tra le sostanze dopanti. La sua emivita tuttavia è di 2 - 5 ore (a seconda del soggetto), per cui basta non assumerne eccessivamente nelle ore precedenti ai controlli. Chi soffre di ulcere, gastriti, problemi cardiaci, ipertensione, problemi all'orecchio interno, colesterolo, insonnia, depressione, deve evitare di bere bevande contenenti caffeina. Negli altri casi potreste, dopo aver sentito un medico, optare per carichi di caffè o tè verde nella fase di definizione. ■S Una tazzina di caffè contiene mediamente 85 mg di caffeina.

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La coca cola 35-40 mg per lattina

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II thè 30-150 mg a seconda di quanto rimane l'infusione.

Il caffè è tra gli alimenti con più antiossidanti in assoluto e, anche se la tostatura crea sostanze potenzialmente pro-tumorali, i suoi effetti sembrerebbero rimanere prevalentemente benefici. In conclusione, la caffeina può essere un valido alleato, se come per tutte le cose, viene modulata soggettivamente e calibrata nei diversi periodi dell'anno. Ah, dimenticavamo; aggiungere lo zucchero al caffè è come pisciare nella limonata. Riteniamo infine importante segnalarvi di dosare la caffeina nella vostra dieta con una certa cautela, è noto che sebbene diventi pericolosa a dosaggi veramente molto elevati (circa 12000 mg

per un uomo di 80 kg) già raggiungendo dosi di 1000 - 1500 mg al giorno è possibile sviluppare sintomi di dipendenza, nervosismo ed irritabilità.

Reparto alcolici Vino, birra e superalcolici andrebbero assunti con moderazione. Preferiteli nell'ordine che abbiamo indicato. Anche se il vino è più calorico è da prediligere generalmente alla birra ed è meglio il rosso rispetto al bianco. Quest'ultimo viene arricchito da più solfiti, sostanze sempre presenti nel vino perché derivanti dalla fermentazione alcolica. Tuttavia il bianco non avendo la buccia dell’uva perde parte della sue qualità antiossidanti e pertanto per conservarlo vengono aggiunti ulteriori solfiti. Quando bevete ricordatevi che state introducendo alcol (che è tossico per l'organismo ed ha 7 kcal/g) e zuccheri. Quindi non esagerate e non assumeteli tutte le sere (vedi paragrafo sull’alcol). Se pensate di migliorare la salute del vostro cuore perché il vino rosso possiede il resveratrolo, sappiate che un materasso non vi salverà da una caduta dal centesimo piano. Anche se periodicamente su qualche giornale o su qualche articolo se ne decantano le proprietà, la quantità è sempre modesta. Forse bevendo un litro di vino a sera si avrebbero realmente degli effetti benefici, peccato che quelli negativi sarebbero comunque maggiori. Il vino è un buon antiossidante ma l'uva è ancora migliore.

Alcune considerazioni Arrivati a questo punto probabilmente vi siete resi conto che nel vostro carrello c'è tutto quello che manca in quello degli altri. E i biscotti, le merendine, i dolci, gli snack dove sono finiti? Il nostro consiglio è quello di evitare di comprarli altrimenti, quando avrete attacchi di fame o sarete depressi, vi butterete a capofitto. Meglio fare una spesa sana e piuttosto sgarrare il sabato sera o la domenica a pranzo fuori di casa. Alcuni autori tuttavia non concordano con questa posizione “estrema” e all'interno del conteggio calorico e dei macronutrienti lasciano un 20% delle calorie introdotte da cibi free (anche schifezze). Questo approccio aiuta sicuramente la persona poiché le lascia libertà rendendo la dieta più sopportabile. Insomma, secondo questi autori, meglio mangiare un 20% di schifezze piuttosto che mangiare alimenti sani ma solo per sei mesi, perché dopo si ricomincia a mangiare come prima. Scegliete voi che posizione tenere, noi vi abbiamo detto la nostra.

Reparto dolci Tra i dolciumi sono consigliati le marmellate senza zucchero (comunque ricche naturalmente di saccarosio, quindi non esagerate) e il miele, ma se vi abbuffate evitate di prenderli. Anche il cioccolato fondente è concesso ma solo se è almeno al 75%. Via libera anche al cacao amaro. Il primo mese sarà dura limitare dolci e schifezze ma poi ci ringrazierete.

Cibo: conosciamo gli alimenti27 Gianpaolo Usai è un Nutritional Cooking Consultant, collabora con medici e nutrizionisti nell'ambito dell'opera di educazione alimentare e alla salute. È autore dell'e-book "Inganno Alimentare.I cibi in commercio funzionali per la nostra salute e quelli meno favorevoli: guida di orientamento per il consumatore consapevole", che è possibile acquistare dal seguente link: https:/Avww. facebook.com/gianpaolo. usai/posts/908067452574405. In questo paragrafo ci darà delle brevi indicazioni su alcuni alimenti che compriamo comunemente al supermercato. 27 Di Gianpaolo Usai, e-mail [email protected]

Qual è la differenza tra un tè e un tè verde? Sia il tè classico che quello verde provengono dalla stessa pianta chiamata “Camellia Sinensis”. Allora perchè sono due tè diversi ?

Che differenza c'è tra un olio extravergine d'oliva e un extravergine estratto a freddo? Queste ed altre domande sono il campo di ricerca e analisi del mio lavoro. Mi occupo di studio e ricerca in Nutrizione, ma sopratutto cerco di tradurre le conoscenze tecniche in un linguaggio accessibile alle persone comuni. L'educazione alimentare è il fine del mio lavoro. Ritengo che nella complessità odierna, anche in campo alimentare, non sia mai abbastanza conoscere e sapere. La pubblicità sui media e gli spot delle aziende alimentari ci mostrano solo il lato più superficiale del cibo, spesso nemmeno quello più veritiero. Spetta dunque al consumatore in prima persona attivarsi per un approccio attento ed esperto sulle sue scelta di spesa.

Ecco quindi che non basta sapere che l'olio di oliva fa bene alla salute, ma occorre sapere quale olio di oliva è funzionale al nostro benessere e quale invece è irrilevante o addirittura nocivo per la salute. Sul mercato ci sono tanti tipi, prendere in mano una bottiglia qualsiasi e metterla nel carrello della spesa non è un comportamento alimentare corretto, occorre prendere la bottiglia giusta! E un lavoro che richiede precisione, data la grande complessità del mondo in cui viviamo, come ho accennato pocanzi.

Fatta questa premessa, passiamo in rassegna alcuni degli alimenti più utilizzati nell'alimentazione, anche dello sportivo. Riprendo dagli esempi iniziali del tè verde e dell'olio d'oliva, per cominciare.

Tè verde Una bevanda entrata ormai negli usi anche di noi italiani, sebbene la sua origine sia tuta orientale. Il tè verde è usato dagli sportivi e dalle persone che cercano un dimagrimento o che vogliono indirizzare la propria alimentazione verso un modello di dieta sana. Fra il tè verde e quello nero (classico) vi sono differenze per quanto riguarda la lavorazione delle foglie, dalla quale dipende la composizione chimica del tè. Nel tè classico le foglie vengono raccolte e sottoposte a fermentazione. Durante questo procedimento le “caZecAme”, principali componente delle foglie, si ossidano e perdono il loro potere antiossidante. I prodotti di questa ossidazione conferiscono al tè classico il suo sapore caratteristico.

Le foglie di tè verde, invece, non sono sottoposte a fermentazione, pertanto la composizione chimica del tè verde si differenzia per l’elevata concentrazione di catechine ad alto potere antiossidante rispetto al tè nero. Il tè verde è l’unica varietà di tè non fermentato e contiene circa il doppio di catechine di quello nero ed ha un potere antiossidante parecchie volte più alto della vitamina C contenuta in un agrume. Le foglie di tè verde, quindi, sono lavorate in modo differente, rimangono verdi e l’infuso ha un colore chiaro ed un sapore piacevolmente amarognolo, per di più è l’unica varietà di tè non fermentato. Affinchè un tè riesca a mantenere un'alta quantità di sostanze antiossidanti (polifenoli), ricordiamo anche che il modo in cui viene preparato e servito è piuttosto fondamentale. Infatti la temperatura di contatto tra le foglie o bustine del tè e l'acqua deve essere inferiore ai 100°C, l'ideale è sui 70-80°C. Per cui, non bisogna immergere la bustina quando l'acqua bolle, ma spegnere il fuoco e lasciare sfreddare l'acqua per circa 30 secondi, poi mettere il tè a contatto con il liquido e lasciare in infusione non troppo a lungo, circa 3 minuti. Con un tempo di infusione più prolungato, avremo alla fine meno sostanze antiossidanti (disattivate dal calore) e più caffeina (teina) nella bevanda. Tempi di infusione superiori ai 3 minuti danno inoltre come risultato una bevanda più amara.

Olio extravergine di oliva

E molto importante acquistare un olio d'oliva (extravergine) che sia estratto a freddo, non un qualsiasi olio extravergine. Perchè? La motivazione è molto simile a quella addotta pocanzi a riguardo del tè verde, ovvero per preservare il maggior numero di sostanze antiossidanti (polifenoli), fonte di protezione contro certi tipi di malattie e per conservare inalterata la natura degli acidi grassi mono-insaturi dell'olio d'oliva, suscettibili alla degradazione chimica se messi a contatto con temperature elevate. L'estrazione a freddo avviene ad una temperatura controllata massima di 27 °. Gli oli extravergini che invece vengono estratti attraverso la via chimica del riscaldamento sono soggetti a temperature di 150 °, sono poi pressati con forze pari a 2300 bar di pressione e presentano una drastica riduzione delle sostanze antiossidanti, dei contenuti di vitamina E e di lecitine. Dopo tale trattamento termico, le sostanze rimaste hanno comunque una scarsa attività biologica, infine si elevano i contenuti di acidi grassi trans (per la degradazione degli acidi grassi mono-insaturi ), alquanto nocivi per la salute. L’olio extravergine si può fare “anche” con le olive, ma non solo. In commercio, in alcuni casi, si trovano olii con la denominazione di "extravergine" che in realtà hanno una concentrazione molto bassa di olio extravergine d'oliva, all'intemo ci sono miscele che talvolta presentano anche olio di semi, oltre che olio non extravergine. Purtroppo l’olio di oliva risulta ai primi posti della classifica dei prodotti più contraffatti. Molti produttori italiani, da diversi anni, importano olive dai paesi dell’est. Nell’eticatta viene indicato: prodotto con olive della comunità europea. Il mio consiglio è di comprare da frantoi e oleifici locali e se possibile comprare olio biologico italiano estratto rigorosamente a freddo. Prosciutto crudo

Anche in questo caso la scelta andrebbe fatta con oculatezza e conoscenza, infatti c'è prosciutto e prosciutto nell'offerta del mercato alimentare. Il prosciutto crudo DOP (Denominazione di Origine Protetta ), è da preferire a tutti gli altri salumi di tipo industriale, in quanto è privo di nitriti e nitrati, sostanze conservanti nocive e cancerogene per la salute, dichiarate tali anche dalla AIRC (Associazione Italiana sulla Ricerca sul Cancro). I salumi DOP ne sono privi per legge. Le proteine del prosciutto crudo, a causa della stagionatura, sono molto più digeribili rispetto alla carne fresca come fettine, bistecche ecc. Attenzione a non fare un consumo troppo regolare di questo alimento, in quanto è ricchissimo di sale e quest’ultimo sarebbe da limitare dal momento che troppi prodotti industriali lo contengono aggiunto.

Salmone affumicato

Pur nell’abbondanza di pesci autoctoni che il nostro paese è in grado di offrire, il salmone si è saputo ritagliare negli anni uno spazio sempre più importante nei gusti degli italiani a tavola. Non più solo pesce da consumare nelle festività natalizie o sulla tartina, oggi il salmone è un ingrediente comune anche per gustosi piatti di pasta e risotti, insalate leggere e ricette creative. Si tratta di un alimento di sicuro pregio e interesse nella dieta moderna, per la sua ricchezza di acidi grassi Omega-3 benefici per la salute sotto molteplici aspetti, e perchè fornisce proteine di eccellente qualità e valore biologico, specie nella dieta dello sportivo e dei bambini in fase di accrescimento (ma anche per l'anziano, in quanto alimento utile a contrastare il fisiologico decadimento muscolare che porta alla sarcopenia, essendo il salmone affumicato un alimento facile da masticare). Anche in questo caso però occorrono delle accortezze particolari, in primis perchè sul mercato sono presenti sia salmoni da allevamento in vasca che allevati in mare (i secondi sono ovviamente da preferire per la qualità nutrizionale superiore, quelli selvaggi sono ancora migliori anche se molto cari), sia perchè diverse marche di affumicato presenti nella grande distribuzione

contengono zucchero aggiunto, oltre al sale. Diventa necessario quindi buttare un occhio all'etichetta del prodotto e leggere con attenzione gli ingredienti, in quanto non appare sensato o giustificato comperare il salmone con lo zucchero aggiunto, per un discorso puramente salutistico. Infine, occorre rivolgere un minimo di attenzione anche alla zona di pesca di provenienza del pesce, in quanto alcune zone marittime hanno delle contaminazioni radioattive (la zona FAO 61, per esempio, a causa del disastro ambientale delle centrali nucleari di Fukushima nel 2011) con livelli molto superiori ad altre. Surimi (polpa di granchio)

Con il termine surimi (in giapponese: ffl U # "pesce tritato") si indica un prodotto composto essenzialmente da polpa di merluzzo (generalmente pollack dell'Alaska) e carboidrati. Il surimi è confezionato solitamente in cilindretti colorati arancioni e bianchi, formati da vari strati di sfoglia di polpa di pesce, arrotolata e tenuta insieme da addensanti e altri componenti. E un tipo di preparazione diffuso da alcuni secoli in Giappone e che grazie alle nuove tecniche di produzione e conservazione industriale si è diffuso in tutto il mondo. Sebbene nella dizione comune siano noti come "bastoncini di granchio" oppure "polpa di granchio", le norme di legge impediscono ai produttori di usare questa definizione, perché il prodotto non contiene affatto carne di granchio.

Nei surimi industriali sono utilizzati i seguenti ingredienti: polpa di pesce tritata (30-40%), acqua, amido, amido di frumento, albume d'uovo reidratato, olio di colza, aromi (tra cui granchio e altri crostacei), zucchero, sale, stabilizzanti (sorbitolo, polifosfati), esaltatore di sapidità, glutammato monosodico, colorante (estratto di paprica) Molto importante che il consumatore sappia che il composto del surimi è spesso ottenuto da avanzi di lavorazione o ritagli industriali che durante il processo produttivo vengono tritati, pressati e addizionati con sostanze varie, un po’ come avviene con la carne separata meccanicamente (Wurstel). Quando si apre la confezione, il surimi si presenta come un surrogato di granchio e per renderlo verosimile il sapore viene addomesticato con aromi. Il prodotto appare quindi come altamente industriale e ricchissimo di additivi. Da notare come la quota di pesce nel prodotto non raggiunga quasi mai neppure il 40%, mentre gran parte del composto è dovuto ad amidi, acqua, olio di colza (o di soia ) e additivi. Ultima annotazione: il surimi non è pesce fresco nè tantomeno pesce crudo, come alcuni possono pensare. Si tratta di pesce cotto e surgelato. Un pesce dunque che se non addizionato di aromi e sostanze varie, non avrebbe alcun sapore. Mediamente il suo costo è contenuto ma se lo trovate a 13-15 euro/kg sappiate che è un vero furto. Macinato di carne

Anche in questo caso, i macinati che possiamo trovare al supermercato non sono tutti uguali, bensì possiamo avere una varietà che va dal semplice trito di carne ad un preparato di macinatura che include svariati additivi al suo interno. Spesso questi preparati (ma anche hamburgher già pronti o polpette) contengono quindi zucchero, destrosio, sale, aromi e conservanti.

In alcuni supermercati si possono trovare dei macinati davvero incredibili, con l’aggiunta di: acqua, lattosio, destrosio, saccarosio, sale, correttore di acidità, antiossidanti, coloranti, aromi, olio di girasole.

A questo punto non si tratta più del buon vecchio macinato di carne "istantaneo" che le nostre mamme o nonne andavano a farsi fare dal macellaio. Si tratta piuttosto di preparazioni in vaschetta che vengono messe nel reparto carni fresche ma che in realtà hanno al loro interno una gamma importante di conservanti, per far durare il prodotto diversi giorni, e spesso anche per renderlo più rosso e desiderabile come aspetto al consumatore (i coloranti servono proprio a tale scopo).

La buona notizia tuttavia è che non tutti i supermercati preparano i macinati in questo modo, e quelli tradizionali di sola carne esistono ancora. Alcuni reparti della grande distribuzione infatti preparano semplicemente un macinato senza alcuna aggiunta (nemmeno di sale) e mettono il prodotto in vaschetta nel banco frigo con una scadenza brevissima, di solito giornaliera o bigiomaliera. Per cui, se volete essere davvero sicuri di portare in casa un vero trito di carne, chiedete molto semplicemente all'addetto del reparto di prepararvi tot grammi al momento. Al limite, fatevi dire se hanno già a disposizione dei preparati in vaschetta senza aggiunta di sale e di altri additivi.

Va comunque ricordato che le carni del supermercato provengono da allevamenti intensivi, che poco hanno a che vedere con la salute dell’animale o dell’uomo.

Succhi di frutta BIO Non sono sempre sinonimo di qualità solo per il fatto di essere biologici. Spesso sono preparati con acqua e zucchero e poca frutta. Alcune marche presentano addirittura anche gli aromi, a testimonianza che la materia prima di partenza scarseggia in quantità e qualità! Leggete sempre gli ingredienti e valutate se sia il caso di acquistare o meno. Fare un succo di frutta in casa o un frullato di frutta costa meno e ha una resa nutrizionale maggiore. Si possono trovare in vendita anche succhi Bio senza acqua e zucchero, preferite questi ultimi se proprio volete comprare i succhi.

Radice di zenzero Reperibile in qualsiasi mercato o supermercato, uno straordinario alimento della stessa famiglia della curcuma, con proprietà curative ed effetto “dimagrante”. Lo zenzero è una spezia impiegata da millenni nelle pratiche ayurvediche orientali, che le attribuiscono qualità quasi miracolose. Oggigiorno sta conoscendo un’ampia diffusione anche da noi in Occidente, dove viene usata in cucina per insaporire pietanze e dolci, ma sopratutto nell’ambito fitoterapico e medico, dove viene impiegata per alleviare e curare alcune malattie e disturbi legati al sistema gastrointestinale e nevralgico.

Lo zenzero è composto da più di 300 elementi chimici tra oli essenziali, pectine, fenoli, mucillagini, antiossidanti...ed ognuno di questi ha un effetto benefico sul nostro corpo. Lo zenzero aiuta a velocizzare i processi di digestione grazie alla presenza di gingerolo che riequilibra l’acidità gastrointestinale e nelle giuste dosi aiuta a contrastare i bruciori di stomaco. Grazie alle proprietà antibatteriche contrasta l’eccessiva presenza dell’helicobacter pilori, un batterio responsabile di cattiva digestione e reflussi gastrici. Chi soffre di ulcere, gastriti o calcoli biliari deve però fare attenzione perchè un eccesso di gingerolo, presente in alte dosi nella radice, aumenta la secrezione biliare. Lo zenzero inoltre contrasta in modo naturale il senso di nausea ed è quindi utile per chi soffre di mal d’auto, aereo o nave, e per la nausea delle donne in gravidanza. Infine gingerolo e zingiberene aiutano a riequilibrare la flora batterica e sono così di grande aiuto contro diarrea, stitichezza e meteorismo. Gli impacchi caldi di zenzero sono utili contro dolori reumatici e muscolari dovuti a strappi, distorsioni e cadute. La radice infatti ha proprietà decongestionanti, astringenti e coagulanti che favoriscono l’assorbimento del trauma e contrastano l’insorgere del gonfiore. Lo zenzero si oppone efficacemente al mal di denti e al mal di testa, contrasta infatti l’azione dei mediatori dell’infiammazione nell’organismo.

Conclusioni Di tutto un po' si diceva una volta. Non abbiamo inventato nulla. Quando state per comprare un alimento, chiedetevi sempre se i vostri nonni o bisnonni lo riconoscerebbero come cibo o se si può

mangiare crudo. Se è un prodotto industriale figlio degli ultimi anni è meglio lasciarlo sullo scaffale. Idem se è formato da più di 5 ingredienti o se nelle etichette ci sono troppi conservanti (evitate come la peste gli insaccati). Quando, inspiegabilmente, trovate in un prodotto dello zucchero è perché gli ingredienti fanno schifo e questo viene aggiunto per dare sapore. Ricordatevi sempre che la composizione corporea inizia da come fate la spesa. Una piccola parentesi politica. Tranquilli, non vi diremo per che partito votare! Erroneamente si crede che il cittadino abbia la possibilità di dire la sua (è un eufemismo) solo nella cabina elettorale. In realtà non c'è nulla di più sbagliato. Noi prendiamo sempre delle scelte politiche, ogni volta che acquistiamo un prodotto e scegliamo una marca rispetto ad un'altra, una catena commerciale rispetto alla concorrente. Il consumatore informato non è solo quello che legge le etichette nutrizionali sui prodotti ma anche quello che si informa sulle aziende che producono i beni. Oggi possiamo scegliere, decidendo cosa acquistare, chi premiare e chi ignorare, questa è la politica reale. Ci vorrebbe un libro a parte su questo tema (in realtà già esistono). Il nostro è solo un invito ad essere dei consumatori consapevoli, verso voi stessi, gli altrihb, gli animali, ma soprattutto verso il nostro pianeta. Per questo scegliete prodotti stagionali, locali e che siano ecosostenibili.

Capitolo VII

L'attività fisica e la composizione corporea Questo manuale parla di alimentazione, ma senza l’attività fisica non possiamo ottenere il massimo del risultato, anzi 50% del successo dipenderà proprio dall’allenamento. Dedicheremo un altro libro esclusivamente a questo argomento, ma qui vedremo i punti essenziali per accompagnare al regime alimentare un corretto training. Ricordatevi che potete dimagrire benissimo anche senza muovervi, ma l'attività fisica vi permette di perdere peso dove serve. Un conto è calare di 10 kg di cui 6 kg sono di FM (massa grassa) e 4 kg di FFM (massa magra), un altro è perdere 9 kg di FM e solo uno di FFM. Per questo l'attività sportiva che sceglierete farà la differenza, ricordatevi ciò che abbiamo scritto sul partizionamento calorico.

Attività fisica e composizione corporea La maggior parte degli ultracentenari non ha mai fatto sport seriamente, sono state persone attive, magre, ma raramente dei grandi sportivi; oggi non esistono ultracentenari che abbiano vinto una medaglia olimpica. Questo per sottolineare cosa? Che se la genetica e lo stile di vita sono dalla vostra parte, per essere magri ed in forma non serve fare sport. Ma, se siete nella media, se fate un lavoro sedentario, ottenere buoni risultati solo con l'alimentazione diventa un traguardo difficile e poco duraturo nel tempo. Volete continuare a soffrire la fame piuttosto che muovervi? Sono scelte: c'è anche chi ama farsi calpestare i genitali con i tacchi. Perché l'attività fisica è tanto importante? Principalmente per due ragioni. Erroneamente potremmo pensare che il motivo sia il fatto che aumenta il dispendio energetico (fattore che aiuta ma non essenziale): basta mangiare meno, o prediligere alimenti a bassa densità energetica per pareggiare i conti. L'attività fisica conta soprattutto perché serve a indirizzare i macronutrienti ai muscoli e non agli adipociti (partizionamento calorico). Se non vi muovete adeguatamente la vostra massa magra negli anni andrà incontro ad un depauperamento (dato anche dal calo ormonale) e così ci sarà sempre meno tessuto antagonista delle cellule grasse.

Si dice che con l’avanzare dell’età il metabolismo cala, ma cosa succederebbe se invece salisse? Possibile? Si, possiamo di anno in anno aumentare il nostro set point metabolico (almeno fino a 45-50 anni) ma questo solo grazie all’allenamento e all’aumento della massa magra e del pool enzimatico. La battaglia per una migliore composizione corporea si gioca sia a livello della membrana cellulare sia a livello mitocondriale. Questi organuli (ribadiamo per l'ennesima volta) sono gli unici ossidatori del grasso. Nei sedentari il sistema aerobico non viene mai affaticato, se non quando fanno tre piani di scale a piedi, pertanto i mitocondri rimangono pochi e piccoli. L'attività fisica (aerobica/glicolitica in questo caso) mette in crisi la produzione energetica mitocondriale stimolando la crescita e la proliferazione di questi organuli. Ritornando agli ultracentenari, la loro particolarità genetica gli consente di avere un profilo ormonale migliore dei propri coetanei, con un'asse insulino/leptina/adiponectina/tiroide favorevole al mantenimento della massa magra. La buona sensibilità insulinica li aiuta, per tutta la vita, a gestire bene gli zuccheri, salvaguardando la massa magra dalla proteolisi. In definitiva, questi soggetti sono degli sportivi pur non praticando sport. Tra l'altro, mentre è evidente che fare un po' di movimento faccia bene, l'eccesso diventa addirittura controproducente. L'attività fisica esagerata porta alla formazione di radicali liberi che a loro volta conducono alla perossidazione lipidica nelle arterie. Tradotto: le maratone, se ripetute molte volete nell’anno, non aiutano il sistema cardiocircolatorio, anzi potrebbero creare più danni che benefici. Questo non vuol dire che l'attività deve essere blanda, anzi, i migliori risultati si ottengono facendosi il culo con allenamenti intensi. Tuttavia lo stimolo dev'essere ben compensato dall'organismo. È inutile fare sedute di ore, oppure allenarsi tutti i giorni. Il lavoro svolto dev'essere consono alla capacità di recupero dell'organismo. Altrimenti l'attività fisica vi bloccherà il dimagrimento e sarà un ostacolo più che un beneficio. Per concludere, se avete parenti centenari potete forse anche evitare questo capitolo, ma se non li avete non vi resta che abbinare ad una corretta alimentazione un'adeguata attività, bilanciandola tra l'allenamento contro resistenze (pesi) e l'attività aerobica.

La dieta del campione Prima d’addentrarci nel mondo dell’allenamento è importante fare una riflessione sulla relazione che intercorre tra alimentazione e sport. Quotidianamente si legge di qualche atleta famoso che seguendo la dieta X è riuscito ad ottenere Y. Diete senza glutine, vegane, Paleo, Zona, ecc. hanno una lista lunga di campioni che le seguono. Eppure queste diete sono molto diverse tra loro. Com’è possibile che approcci così differenti portino lo stesso ad eccellere nel proprio ambiente?

Perché l'alimentazione funziona solo al negativo.

Tutti si focalizzano sui benefici ma in realtà questi sono irrisori rispetto all’allenamento ed alla genetica. Se assumete le corrette calorie, il giusto quantitativo di macronutrienti, non sono i diversi alimenti che fanno la differenza. La prova più eclatante è che si diventa campioni olimpici facendo la dieta X. Quello che lo sportivo, indipendentemente dalla propria disciplina (Powerlifting, Crossfit, Triathlon, Calisthenics, ecc.) deve seguire è il rapporto ottimale tra lavoro ed introito caloricomacronutrienti. Per chi è interessato solo alla composizione corporea ed al bodybuilding queste regole sono leggermente alterate, ma lo vedremo nei prossimi capitoli.

La prima cosa che deve chiedersi un atleta o un preparatore è quali metabolismi entrano in gioco nel suo sport. Chi fa attività di potenza o sport anaerobici glicolitici, dovrà indirizzare la sua alimentazione principalmente verso alimenti glucidici. Chi al contrario fa sport misti in cui la parte aerobica è comunque rilevante dovrà mantenere una buona quota lipidica, per sfruttare appieno anche questo metabolismo. La dieta a Zona è un buon punto di partenza ma i macronutrienti a seconda della persona e dall’attività potranno variare in questi range calorici. Z Carboidrati: 40-60% Z Proteine:

20-35%

Z Grassi:

20-30%

Le calorie dovranno supportare l’attività. Durante i periodi in cui aumenterà il carico di lavoro (tonnellaggio) aumenteranno, mentre durante i periodi di trasformazione ed agonistici saranno invece più controllate per evitare un aumento del peso corporeo. La dieta supporta sempre l’allenamento e la competizione e si setta in base al lavoro che compie l’atleta. Un aumento o una diminuzione, non bilanciati, di uno dei due parametri porterà inevitabilmente ad un peggioramento della prestazione e della composizione corporea. Sovente molti atleti vanno incontro a sovrallenamento perché non hanno rispettato i giusti rapporti. Nell’ultimo capitolo vedremo come impostare un piano alimentare per arrivare ad avere la miglior composizione corporea possibile, preservando le scorte di glicogeno e migliorando la salute. Questa è la direzione che ogni atleta dovrebbe seguire, indipendentemente dal suo sport.

Introduzione ai sistemi energetici28 Prima di vedere nello specifico come modificare l’allenamento in base all’alimentazione (o viceversa), abbiamo chiesto al Dott. Riccaldi di farci un breve sunto sui sistemi energetici. Alain oltre ad aver preparato diversi atleti (anche internazionali) di MMA e Crossfìt, tieni corsi e workshop per preparatori atletici e laureati. I sistemi energetici che vedremo sono la base su cui si costruisce la performance sportiva. Conoscerli ci permette di capire meglio come funziona il corpo umano. I sistemi energetici (SE) sono i sistemi che il corpo umano possiede e utilizza per produrre l’energia necessaria per ogni attività fisica, dalla più blanda alla più intensa. Nello sport i SE sono di estrema importanza perché sulla base della loro efficacia-efficienza dipendono direttamente due importanti fattori. Z Efficienza dei livelli delle varie capacità condizionali/abilità/qualità organico-muscolari C

Efficienza nella gestione e controllo della fatica fisica

Conseguentemente, da questi fattori dipendono poi quelle che sono le prestazioni atletiche generali e specifiche di uno sportivo. Incrementare dunque l’efficienza dei SE e del loro potenziale di produzione energetica deve essere uno degli obiettivi primari di ogni programma di allenamento per lo sport. Ogni sistema energetico possiede due componenti. C Tasso di produzione energetica (Potenza)', quantità di energia prodotta nell’unità di tempo.

Z

Durata di produzione energetica (Capacità): tempo per il quale l’energia viene prodotta.

28 Del Dottor Alain Riccaldi

Substrati energetici

La produzione d’energia si basa sull'utilizzo bilanciato di vari substrati energetici, presenti sotto forma di riserve nei muscoli e/o introdotti attraverso il cibo. I sistemi energetici trasformano il cibo che noi introduciamo con l’alimentazione in energia chimica (ATP) richiesta come carburante da impiegare per il lavoro muscolare. Questi substrati sono: carboidrati, lipidi e proteine. La disponibilità di substrati energetici e l’attività enzimatica (cioè il numero di enzimi e la loro efficienza) determinano il tasso di energia producibile dai vari sistemi energetici. L'ATP è una molecola presente in quantità molto limitata nei muscoli, è quindi necessario riformarla in continuazione e ciò avviene attraverso la sua risintesi, ovvero sfruttando le fonti energetiche di scorta, cioè i substrati precedentemente menzionati (i macronutrienti). Il corpo umano ha tre sistemi energetici che differiscono sulla base di quanto velocemente si può rigenerare ATP e per quanto tempo può ricaricarsi. La capacità e la velocità di rigenerazione dell’ATP determinano la capacità di un atleta di eseguire i movimenti specifici (tecniche) nel modo più veloce possibile. Più è alto il livello di competizione più alta è la richiesta di velocità nell’esecuzione delle tecniche specifiche. Questo è universale in ogni tipologia di sport. Questo è il punto focale da cui partire quando si decide di affrontare un qualsiasi discorso inerente metodi e programmi di preparazione atletica: rendere il gesto (un pugno, una chiave articolare, correre, un’alzata con bilanciere, colpire con un calcio la palla ecc.) il più veloce possibile mantenendo inalterata la tecnica e l’efficienza nel tempo. Questa è la determinante che unisce sistemi energetici e prestazione sportiva. Classificazione dei sistemi energetici

I sistemi energetici sono tre. S Il Sistema Energetico Anaerobico Alattacido.

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Il Sistema Energetico Anaerobico Lattacido.

J

II Sistema Energetico Aerobico.

Per ognuno di questi poi occorre considerare quattro componenti J Potenza: massima quantità (tasso) di energia prodotta nel tempo

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Capacità: quantità totale (durata) di energia prodotta dal sistema

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Latenza: tempo necessario per ottenere la massima potenza

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Ristoro: tempo necessario per la ricostituzione del sistema

Per ognuno di essi ancora occorre considerare due fattori limitanti: ■C Fattori centrali: gli adattamenti fisiologici legati al Sistema Nervoso Centrale o al Sistema Cardio-vascolare e Cardio-respiratorio S

Fattori periferici:_gli adattamenti fisiologici legati al Sistema Muscolare

I tre sistemi energetici hanno potenze e capacità opposte. Immaginate di fare un bel barbecue di carne o di verdura se siete vegani. La diavolina è il sistema anaerobico alattacido, si accende subito, ci dà immediatamente una fiamma alta ma si esaurisce in un brevissimo tempo (5-15”). I legnetti sono invece il sistema anaerobico lattacido, si accendono più lentamente ma quando prendono fanno delle belle fiammate. Peccato che durino poco, il picco lo abbiamo in 30-45” poi decresce. La carbonella è invece il sistema aerobico, non fa grosse fiamme ma può bruciare per ore, nel nostro corpo inizia a prevalere dopo i 2’. I SE non sono a compartimenti stagni, non è che quando si attiva uno si spegne l’altro. Anche quando facciamo uno slancio olimpico il sistema aerobico rimane sempre attivo (anche se la sua

produzione d’energia è ininfluente), nello stesso modo un ciclista nella volata finale può richiamare anche il sistema anaerobico alattacido e lattacido. L’alimentazione corretta può fornire un supporto all’atleta nel potenziare determinati enzimi piuttosto che altri (glicolitici o ossidativi). A seconda di cosa e quanto mangiamo potremo far si che il muscolo si indirizzi principalmente verso il consumo di glucosio o di acidi grassi. Un mix tra i due rimane comunque il compromesso migliore ed i rapporti tra i macronutrienti cambiano a seconda dello sport di riferimento.

Il lavoro contro resistenze Erroneamente si pensa che sia importante aumentare la massa magra (il muscolo) perché quest'ultimo, a riposo, brucia molte più calorie. Sbagliato: un aumento oltre al set point del tessuto contrattile porta a far salire il dispendio energetico di 13-17 kcal per chilo (alcuni studi riportano altri dati ma varia di poco). Un valore risibile calcolando quanto sia difficile mettere su muscolo. Probabilmente se vi sforzate di scoreggiare tutto il giorno consumerete molte più calorie! Come abbiamo già scritto, la massa muscolare aiuta poiché causa un antagonismo recettoriale con il tessuto grasso e perché migliora i parametri ematici. Più muscolo equivale ad avere una miglior risposta insulinica, da qui avremo una cascata di eventi che determinerà nel tempo una maggior produzione di adiponectina ed un profilo ormonale globalmente migliore. Tra l'altro anche gli ultimi studi dimostrano che l'anziano non solo vive di più e meglio se ha una buona salute cardiovascolare, ma anche se possiede un grado di forza elevato per la sua età. Così la massa contrattile, oltre all'estetica e la composizione corporea, è importante per il mantenimento della salute. Senza spendere altre parole cerchiamo di capire come fare per aumentarla.

Il range ipertrofico Negli anni si è consolidata la convinzione che ci sia un range ipertrofico ottimale, o meglio, un carico adatto a far crescere il muscolo. Da osservazioni empiriche, sia i maratoneti sia i sollevatori di peso, non possiedono le stesse masse dei bodybuilder. Questi ultimi lavorano prevalentemente con un range di ripetizioni tra 6-15, con dei carichi tra il 65-85% rispetto al proprio massimale. Numerosi fisiologi dello sport si sono chiesti come mai proprio questo range e come mai carichi maggiori o inferiori non inducessero guadagni muscolari ottimali. La spiegazione che è stata data riguarda due fattori determinanti per la crescita muscolare: l'intensità (carico) ed il lavoro (tonnellaggio, cioè ripetizioni x serie x carico). Per comprendere meglio la questione facciamo un esempio con un massimale di 100 kg. Se lavoriamo su bassi carichi, per esempio 50 kg (il 50% del massimale), riusciremo ad eseguire molte ripetizioni (30 rep). Il lavoro effettuato sarà rilevante 30 x 50 kg = 1500 kg sollevati, ma lo stimolo alla crescita (intensità) sarà basso (50%). Al contrario, carichi massimali o sub-massimali danno stimoli rilevanti ma un basso lavoro. Con 90 kg (il 90% 1RM) posso effettuare 3 ripetizioni per un totale di 270 kg sollevati. Troppi pochi chili spostati globalmente per indurre una crescita ottimale. Il range ipertrofico ideale invece ha medi carichi per medi lavori, la cui somma tuttavia è molto allenante. Con 75 kg posso effettuare 10 ripetizioni per un lavoro complessivo di 750 kg (col 75% dell’intensità), uno stimolo globalmente molto importante. Vista in questo modo teoricamente i classici schemi da palestra 3x10 - 4x8 sono l'ideale per l’ipertrofia perché producono un volume ottimale (intorno alle 30 ripetizioni) con dei carichi “ipertrofici

In palestra tuttavia, basta osservare gli utenti per capire che questi programmi non danno gros risultati e ciò avviene principalmente per un fattore: quasi sempre il massimale teorico con cui allenano le persone è sottostimato rispetto al loro potenziale, pertanto le percentuali sono sfalsat Difficilmente troverete chi fa più di 100 kg di panca piana (correttamente, ovvero full rang controllata, senza rimbalzo ed aiuti), quando in realtà questo risultato è alla portata di tutti. Così chi effettua una serie con il 70% del proprio massimale probabilmente si sta allenand con il 40-50%, avendo così risultati modestissimi. Questo avviene perché solo pochi individi hanno la capacità di attivarsi e di avvicinarsi al proprio vero massimale senza seguire programn sensati. Anche se l'utente arriva al cedimento, anche se non riesce a sollevare più il peso, il corpo non in grado di reclutare, coordinare, sincronizzare tutte le fibre muscolari di cui dispone. Un po' con se provaste a lanciare il giavellotto: senza la corretta tecnica e la pratica, il lancio non rispecchiei mai il vostro potenziale. La maggior parte delle persone che si allenano coi pesi ottengono risultati solo nei primi 1 mesi (massimo 2-3 anni), perché rispetto a non far niente, anche sollevare poco carico è allenanti Successivamente si richiede un'attivazione, una grinta, una dedizione che ai più manca. Anche cl è appassionato e pensa di dare il massimo, in realtà viaggia col freno a mano tirato. Il doping bypassa tutto questo. Il testosterone non è solo un forte stimolatore della sinte: proteica. E soprattutto un potenziatore neurale. Chi ne fa uso diventa in primis più forte e di lì breve anche più grosso. I ragazzi naturai che si allenano in palestra usano degli schemi (4x8, 3x10) che nel temp smettono di dare risultati. Per questo è importante avvicinarsi a programmi ibridi ( forza/ipertrofia in cui il carico (parametro oggettivo) diventa determinante. Sentirsi più grossi, sentire di aver lavorato bene è soggettivo; un muscolo lo senti far mal anche se ti picchiano con un bastone. Sapere che i chili alla panca o allo squat sono aumentati ( parità di tecnica) non lascia spazio a dubbi. Schede come il 5x5 (serie x ripetizioni) o co progressioni crescenti (5x5 —* 6x4 —>8x3 —> 10x2) sono ottimali per chi, dopo i primi mesi, vuol indirizzarsi verso un allenamento della massa contrattile che sia fruttuoso. La connessione mente-muscolo è sempre fondamentale. Il carico è solo uno dei parametri eh genera ipertrofia ma solo se fate 120-140 kg di panca piana (full ROM, presa non troppo ampie senza aiuti o rimbalzo) allora potete dire che “il carico è un mezzo e non un fine”, se invec sollevate al massimo 70-90 kg per voi il carico è ancora tutto. Detto questo, negli ultimi anni gli studi hanno mostrato che non esiste un vero rang ipertrofico. Un carico dal 30% al 100% induce sempre ipertrofia se genera la massima tensione ne tempo (cedimento). Quindi, piuttosto che focalizzarsi solo su un range, conviene periodicizzare pe sfruttare ogni stimolo (vedremo a breve come fare). A livello fisiologico è importante ricordare che: 1. allenamenti con alti carichi e basse ripetizioni stimolano il nucleo ad aumentare la produzion di mRNA, essenziale per la sintesi proteica. Teoricamente è il testosterone l'ormone cardini stimolato con questo range; 2. allenamenti lattacidi, su medie-alte ripetizioni con medio-bassi carichi, attivano maggiormenti l'attività ribosomiale, essenziale per la trascrizione dell'mRNA. In questo frangente sono fattori di crescita meccanico-dipendenti ed il GH (in minor parte) a stimolare Tipertrofn muscolare; 3. la regolazione ormonale è data da un aumento dei recettori cellulari dei miociti allenai piuttosto che da un reale aumento (rilevante) dei livelli ormonali; 4. in generale i fattori principali che generano l'ipertrofia sono: il lavoro meccanico dentro 1; serie, il T.U.T, le contrazioni eccentriche, l’abbassamento delle riverse di fosfati e di ATP, i

danno muscolare (micro-lesioni tissutali), lo stress metabolico con il conseguente innalzamento 37 kcal/kg per gli uomini, >35 kcal/kg per le donne. Se partite da questo livello riuscirete a definirvi molto, arrivando sicuramente vicino al vostro limite genetico.

Abbiamo usato la formula sul peso corporeo e non sulla massa magra perché ci riferiamo a persone non in sovrappeso. Quindi restando nei range i dati vengono ritenuti attendibili. Se siete più grassi del 15% (uomini) e 24% (donne), converrebbe usare la formula sull'altezza e non sui chili:

(altezza in metri)2 x 800-900 (uomini) (altezza in metri)2 x 650-750 (donne) Come aumentare le calorie Ogni 7-14 giorni aumenterete leggermente il vostro bilancio calorico, alzando gradualmente il vostro set point metabolico. Aggiungete circa 40-60 kcal ogni 7-14 giorni.

Non focalizzatevi sul numero esatto delle calorie, il dato proposto è sempre indicativo e serve per dare una direzione. Non cercate d’essere precisi alla chilocaloria: non serve ed è anche impossibile fare un calcolo con esattezza. Possono sembrare poche ma in 10 settimane sono 200-600 kcal, in 6 mesi sono come minimo 500 kcal e come massimo 1500 kcal. Il corpo deve a poco a poco imparare a gestire l'eccesso calorico, stipandolo nel muscolo se serve o dissipandolo in calore quando è troppo. Questo è il segreto dei magri che mangiano tanto. Le differenze nell’aumento calorico dipendono da quanto tessuto magro avete, dai mitocondri e dalla sensibilità insulinica vs resistenza insulinica. Per fare questo percorso dovete imparare a conoscervi e dovete sapere esattamente cosa mangiate. Una dieta fatta a naso non vi darà mai gli stessi risultati rispetto ad una dieta precisa e monitorata. Ma state tranquilli, come vedremo nel prossimo paragrafo avete molta flessibilità.

Quali alimenti devo mangiare? Quelli che vuoi, o quasi. Ci leghiamo anche noi al concetto dell’IIFYM (If It Fits Your Macros). Esistono degli alimenti sicuramente da evitare (come quelli contenenti grassi trans), dopodiché tolti tutti i cibi iperindustriali la scelta degli alimenti è secondaria al conteggio calorico e dei macronutrienti. Se nel vostro piano alimentare dovete assumere 350 g di carboidrati, prediligete sicuramente fonti amidacee, ma fatta questa selezione è indifferente se le introducete

dalle patate, manioca (un tubero), riso, pasta o ancora altro. Se siete paleo, vegan, ecc. limiterete la vostra scelta degli alimenti, amen, l’importante è che rientrate nei macronutrienti che dovete assumere. Vincenzo Tortora ha mostrato che si può seguire, per assurdo, una chetogenica da vegani, assumendo grossi quantitativi di grassi dai vegetali (avocado, olio d’oliva, cocco, ecc.). Sarebbe comunque cosa sana e giusta, per la salute del nostro microbioma intestinale, variare le fonti alimentari e prediligere alimenti naturali e non lavorati. Tuttavia ormai sappiamo che è meglio seguire una dieta imperfetta per tanto tempo (per sempre), piuttosto che mangiare solamente cibi sani per tre mesi e poi smettere perché non riusciamo più a starci dietro.

Quanti pasti fare e come distribuire le calorie Ormai già dovreste sapere che la distribuzione delle calorie nei singoli pasti è una scelta puramente di comodità e a livello della composizione corporea, nel cronico, non cambia molto se non addirittura niente. Quindi decidete voi se fare i canonici 3 pasti, oppure 5-6 o solo 1-2 come nel digiuno intermittente. Non sperate di diventare più grossi o magri scegliendo uno di questi metodi. Se si verificano dei cambiamenti sono nell’acuto ma poi nel tempo i risultati si eguagliano (chi ottiene prima i risultati poi stalla in anticipo). Può esserci una riposta individuale migliore ad una di queste strategie ma sta a voi scoprirla. Non ci sentiamo di dirvi “è migliore questa”, perché casi alla mano è sempre l’individualità che prevale. Le calorie non andranno contate sul singolo giorno ma sulla settimana. Facciamo un esempio. J State assumendo 33 kcal/kg/die e pesate 85 kg.

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Sono: 85 x 33 = 2800 kcal.

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Moltiplichiamo questo valore per 7 e otteniamo: 2800 x 7 = 19.600 kcal. Ora possiamo ridistribuirle come preferiamo durante la settimana.

Normalmente si consiglia di aumentare il quantitativo nei giorni in cui ci si allena (400-600 kcal in più). Se sapete che sgarrate il sabato e la domenica potete restringere le calorie durante la settimana lavorativa. Potreste così ritrovarvi giorni d’ipocalorica anche durante il reset metabolico, soprattutto all’inizio di questa fase. Addirittura potreste decidere di fare un intero giorno di digiuno e di ridistribuire le calorie su 6 giorni anziché 7, ma questa strategia è meglio riservarla durante i periodi di definizione (anche se non ne siamo dei grandi sostenitori). La composizione corporea non varia in 24 h ma almeno in 48-72 h. Quindi non fate cambiamenti drastici che durino più di 48 h ma rilassatevi pure se per due giorni esagerate con gli sgarri, basta che poi recuperate. Oltre a quanto appena indicato, potete approcciarvi in due modi alla dieta: 1. calcolando tutte le calorie e i macronutrienti che assumete (scelta consigliata); 2. calcolando solo il 70-80% e prendendo a spanne il restante 20-30%. Questo vi permetterà, se siete invitati aH’improvviso a cena, d’avere una buona flessibilità e di non preoccuparvi eccessivamente di quello che mungerete. Tornati a casa calcolerete a sprazzi cosa avete assunto se avete voglia. Questo approccio, anche se per molti inizialmente può risultare lo stesso impegnativo, è in realtà molto comodo e vi permette una totale libertà di gestione. La dieta va vissuta non come un impegno o un sacrificio, altrimenti la si seguirà poco nel tempo. Come regola generale, se non sapete il quantitativo di quello che mangiate, prediligete la qualità dei cibi basandovi sulla densità energetica.

Se amate essere puntigliosi e maniacali fatelo perché ne avete soddisfazione. Se invece preferite avere un approccio più grossolano, non preoccupatevi, vedrete che nel tempo otterrete comunque ottimi risultati. Imparate comunque a conoscere quante calorie e quanti macronutrienti contengono gli alimenti che abitualmente consumate. E utile per non fare clamorosi errori.

Quanti carboidrati bisogna assumere Il reset metabolico non prevede solo d’abituarsi ad un aumento calorico, ma anche d’imparare a gestire i diversi macronutrienti. Perché aumenti l’inefficienza metabolica ed il corpo ossidi l’eccesso piuttosto che convertirlo in grasso, dobbiamo abituarci a mangiare molti carboidrati. Sono proprio quest’ultimi ad alzare di più i livelli di leptina e degli ormoni tiroidei. Al contrario i grassi sono quelli che più rallentano nel medio-lungo periodo i processi di dispersione dell’energia. A seconda del nostro rapporto tra sensibilità e resistenza insulinica, anche qui avremo tre livelli a cui ambire. Livello base: 4 g/kg. Questa è la quota minima di glucidi da raggiungere durante il reset metabolico. Difficilmente potremmo aumentare il metabolismo se non mangiamo almeno 4 g/kg.

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Livello intermedio: 5-6 g/kg. Questo apporto ci permette di alzare già le calorie e di iniziare a sfruttare appieno i benefici dati dai carboidrati.

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Livello avanzato: 7 o più g/kg. Se riusciamo a raggiungere questo apporto senza ingrassare siamo sicuri d’avere un metabolismo accelerato.

A seconda di quanti carboidrati state mangiando prima del reset e di come rispondete, vi farete un’idea del livello al quale potete ambire. Inizialmente anche quello base può andare bene. Vedrete che nel corso degli anni e dei vari reset che seguiranno riuscirete a sopportare sempre di più quote elevate senza ingrassare. Non mirate al “tutto subito” ma ricercate un approccio graduale.

Aumentate i carboidrati di circa 10-15 g ogni 7-14 giorni.

Non focalizzatevi sul numero esatto di glucidi, il dato proposto è sempre indicativo e serve per dare una direzione. Non cercate d’essere precisi al grammo: non serve ed è anche impossibile fare un calcolo con esattezza.

Aggiungete la quota ogni volta che vedete che non vi appannate e che il grasso corporeo non aumenta in modo significativo. Maggiori saranno le quote di carboidrati che assumete, più i muscoli si riempiranno di glicogeno e miglioreranno il vostro aspetto rendendovi più rocciosi. Abbiamo visto nei precedenti capitoli che ci sono zuccheri e zuccheri, il saccarosio è una “merda ”, mentre gli amidi (polimeri di glucosio) con acqua e fibre sono una “salvezza ”. Senza dilungarsi ulteriormente dobbiamo evitare “d’affaticare” il fegato. Il fruttosio ed il galattosio assumeteli principalmente dopo il digiuno (anche notturno) e/o dopo l’allenamento. Altrimenti fomite solo glucosio sperando (ma se vi siete allenati correttamente sarà così), che si indirizzi verso i muscoli e non negli adipociti. Più il carico glicemico del pasto sarà basso e più facilmente il corpo gestirà gli zuccheri. Atleti metabolicamente molto attivi possono permettersi di mangiare quasi qualsiasi carboidrato. Per i comuni mortali invece è bene prediligere quelli che hanno un buon rapporto amilosio/amilopectina. Se non siete abituati a mangiare tanti cerali fate questo percorso. Iniziate ad assumere la quota glucidica dalle banane e dalle patate. Successivamente introducete anche i legumi (all’inizio possono dare mal di pancia, quindi fatelo in modo graduale) e poi passate ad assumere sempre di più cereali. I legumi ed alcuni cereali come l’avena hanno anche il vantaggio

d'avere un contenuto proteico elevato e un alto contenuto di fibre. Un giusto mix di cereali e legumi aiuta molto in questa fase. Sappiamo che i sostenitori della Paleo storceranno il naso, ma qui stiamo parlando di come si comportano biochimicamente gli alimenti nel nostro corpo, non moriremo per via delle lectine e delle saponine. Se avete qualche dubbio fatevi il test medico che abbiamo indicato nei precedenti capitoli sulla permeabilità intestinale. Oltre al tipo di carboidrati è importante capire anche il loro timing di assunzione, nonostante non sia essenziale come si credeva una volta. I carboidrati saranno presenti in tutti i pasti ma quando ci avviciniamo al workout e soprattutto nei pasti successivi, la loro quota sarà maggiore. Nei giorni in cui vi allenate shiftate le calorie principalmente su di essi, mentre negli altri giorni abbassateli aumentando leggermente i grassi (mediamente si tiene una quota di 100-150 g di glucidi maggiore nei giorni del training). Bagni nell'insulina non faranno male?

Molti si chiederanno se con tutti questi carboidrati non avremo problemi d’insulina e di glicazione delle proteine. La risposta è molto semplice: monitoratevi! Gli zuccheri e l’insulina fanno male solo quando il corpo non li gestisce. Se migliora la sensibilità all’insulina, se la glicemia è sotto controllo e l’emoglobina glicata nella norma, non dobbiamo assolutamente preoccuparci se assumiamo molti carboidrati. L’unica parte del corpo che potrebbe veramente risentirne sono i denti per via delle carie. Lavateli.

Come comportarsi con l'acqua

Per gestire bene i carboidrati è importante assicurarsi d’assumere anche abbastanza acqua. Più la quota glucidica aumenterà e più vi conviene bere. Rivedete il nostro paragrafo nel capitolo sui nutrienti e assicuratevi d’avere il giusto rapporto tra acqua e ioni. Per non gonfiarsi come palloni e per essere sicuri che i muscoli siano sempre correttamente idratati, bevete principalmente lontano dai pasti, concentrando una buona quota idrica al mattino e prima, durante e dopo l’allenamento. Se i carboidrati proprio non gli gestiamo

Chi fa fatica ad arrivare a 4 g/kg di carboidrati può, una volta raggiunta questa quota (traguardo minimo), provare ad alzare le calorie attraverso l’aumento dei grassi e delle proteine, piuttosto che continuare a scontrarsi coi glucidi. Come abbiamo scritto nel precedente paragrafo, è fondamentale che la quota dei lipidi non superi il 30-35% delle calorie, mentre quella dei grassi saturi il 7-10%. Così se aumentiamo i grassi questi dovranno essere prevalentemente monoinsaturi. 1 poiinsaturi (omega-3) e monoinsaturi migliorano entrambi la sensibilità insulinica, ma va ricordato che i primi non aumentano gli ormoni anabolici e sono facilmente ossidabili, per cui la scelta migliore rimane quella di virare le calorie verso i monoinsaturi. Se non riuscite a sopportare l’aumento glucidico aggiungete ogni 7-14 giorni qualche grammo di lipidi in più, aumentando la quota fino ad un massimo di 1,2-1,5 g/kg. Anche le proteine possono aumentare per far salire la quota calorica. Ribadiamo che questa strategia può essere un ripiego efficace solo se proprio non riuscite a gestire i carboidrati ed il vostro metabolismo lipidico prevale a discapito di quello glucidico. Purtroppo in queste condizioni diventa più facile ingrassare, quindi utilizzate questo ripiego solo quando vedete che non ottenete più risultati coi glucidi.

Quanti grassi dobbiamo assumere Ormai sappiamo che il metabolismo dei grassi e quello dei carboidrati si ostacolano a vicenda. Quando prevale l’uno cala l’altro. Il nostro consiglio è quello di preferire il metabolismo glucidico a quello lipidico (a meno che non abbiate l’insulino-resistenza). Come ha scritto Lorenzo Pansini nel paragrafo della chetogenica, un miglior metabolismo lipidico non equivale ad un maggior dimagrimento. Anzi molto spesso gli obesi hanno esclusivamente il metabolismo lipidico attivo non riuscendo ad utilizzare correttamente quello glucidico. E sempre la quantità d’energia che bruciate a decretare quanto dimagrite (i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati, ma anche dei chetoni).

La quota lipidica consigliata è di 0,7-0,8 g/kg. Iniziate a settarvi su questo quantitativo. Da qui provate a vedere se vi trovate meglio abbassandolo o alzandolo. Provate prima a scendere che a salire. L’individualità biochimica prevale ma non scendete mai sotto a 0,3-0,4 g/kg e sopra a 1,5 g/kg (a meno che non seguite low carb o chetogeniche). Quante proteine dobbiamo assumere

Abbiamo visto nel capitolo sui macronutrienti che l’introito proteico varia in base al quantitativo energetico. Più la restrizione calorica è alta e più proteine servono per preservare la massa magra. In questa fase i protidi possono rimanere relativamente bassi. Assumete tra 0,9-1,5 g/kg di proteine.

Più aumenterete la quota glucidica e più inevitabilmente anche le proteine contenute nei vegetali (cereali e legumi) contribuiranno ad aumentare l’introito proteico. Queste devono essere contate anche se sono “incomplete” sotto il profilo aminoacidico. Se superate la quota proteica perché non volete rinunciare troppo alle fonti animali non preoccupatevi. Per limitare i protidi provenienti dai vegetali potete optare per riso e patate ma non fasciatevi troppo la testa. Assumete quello che vi piace e se sforate amen. Non sono i grammi che vi cambieranno la composizione corporea. Ricordatevi sempre che l’anabolismo è decretato in primis dai carboidrati, non serve in questa fase esagerare con le proteine. Per esempio, se in un pasto assumete 2-3 g di leucina avete già dato la massima spinta anabolica che potete ricavare da questo aminoacido. Dosi superiori non apportano ulteriori benefici. Ricapitolando cosa portarsi a casa

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Questo approccio è ottimale se non siete più grassi del 16% di BF per gli uomini e del 26% per le donne.

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Prima di mettervi a dieta dovete aumentare il metabolismo.

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Avete tre livelli a cui ambire con le calorie e coi carboidrati.

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Grassi e proteine rimangono dentro dei range a seconda della vostra individualità biochimica.

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Aumentate gradualmente calorie e carboidrati ogni 7-14 giorni e monitoratevi. Se tutto precede per il meglio continuate, altrimenti stabilizzate la situazione e poi ripartite

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Prendete tutti i numeri con le pinze, non siate fiscali e rimanete sempre dentro dei range piuttosto che a dei numeri fissi

L'allenamento è il fattore che fa la differenza Tutto quello che abbiamo scritto finora ha senso solo se gli associate Tallonamento. Se vi allenate coi pesi date modo all'eccesso calorico e agli zuccheri di trovare un tessuto target. Altrimenti, non trovando il miocita con le scorte di glicogeno depauperate, l'eccesso ricadrà sul fegato e sugli adipociti. Un disastro. I soggetti con insufficiente massa contrattile si dovranno allenare almeno 3-4 volte a settimana coi sovraccarichi (corpo libero e/o pesi). Se non riuscite per via del tempo, alla fine del paragrafo c’è un’alternativa. La scheda dovrà coinvolgere in ogni seduta tutto il corpo o almeno il 50% dei distretti muscolari attraverso i grandi esercizi multiarticolari. Cercate di macinare un volume di almeno 25 ripetizioni totali (serie x rep) per ogni esercizio fondamentale e almeno 50-75 per catena muscolare. Concentratevi sulla tecnica e sulla qualità del gesto. In questa fase deH’allenamento è importante puntare sul volume per i seguenti vantaggi. 1. Vi dimenticate cos’è il cedimento, evitando così di stressare troppo il sistema nervoso centrale e l'organismo. La regola è: eseguire più lavoro possibile cercando di stare più freschi possibili. 2. Un tonnellaggio settimanale elevato porta i muscoli a bruciare di più, sia durante l'esercizio che nel post. L’EPOC sarà così più elevato. La vostra macchina rimarrà sempre accesa. 3. Nei naturai, il volume porta aH'ipertrofia. La struttura è al servizio della funzione. Se mandate al vostro organismo il segnale che deve lavorare, lui adotterà le migliori strategie per assolvere il compito. Tra queste c'è anche quella d'aumentare la sezione trasversa del muscolo e il glicogeno contenuto in esso. Guardate i ginnasti. Ore ed ore di lavoro contro resistenze portano ad avere due braccia come tronchi anche se non ci si allena per la massa. Un esempio di programma potrebbe essere: V 3 esercizi principali ad allenamento composti da 20-25 serie l’uno (1 Spinta 1 Trazione 1 Arti inferiori); J

1-3 esercizi complementari composti da 1-5 serie l’uno.

Concludendo, il nostro obiettivo è quello di avere muscoli attivi, capaci di sopportare grossi volumi di lavoro. Alle 3-4 sedute di pesi potete aggiungerne ancora 1-2 se siete in grado di sopportarle. Più l’atleta è avanzato e più può sopportare la frequenza degli allenamenti. Altrimenti è meglio che il lavoro lo condensi in poche sedute. Al posto del lavoro contro resistenza potete anche aggiungere 1-2 sedute di cardio. Ma non cercate di consumare più calorie possibili in questa fase (col lento lungo). Il cardio serve per migliorare gli enzimi glicolitici-ossidativi, stop. Un obiettivo potrebbe essere quello di percorre più chilometri possibili in 20’-60’. Ricordatevi che 10 km in un'ora (il “test del moribondo” di Albanesi) sono il primo traguardo che vi dovete dare se non avete mai corso prima. Chi non ce la fa può alternare alla corsa la camminata, fino a riuscire a completare l'allenamento senza fermarsi. E importante che la seduta aerobica non sfrutti appieno il metabolismo lipidico ma si concentri su quello glucidico. I vostri muscoli devono imparare a bruciare gli zuccheri, questo permetterà di migliorare l'affinità col glucosio. Se sapete ossidare bene i carboidrati, bruciare i grassi diventa molto più facile. Pesi e corsa in questo frangente hanno questo obiettivo. Dimenticatevi del grasso, diventate buoni ossidatori di glucidi e la strada sarà tutta in discesa.

Per chi ha poco tempo per allenarsi

Per chi non riesce a dedicare tutto questo tempo al l’allenamento c’è un’alternativa.

Scegliete 3 esercizi multiarticolari che coinvolgano tutto il corpo: trazioni-dip-squat, body rowpiegamenti-affondi, ecc. e fate le seguenti due routine alternandole ad ogni allenamento. 1 Routine ■S 5’ ad esercizio in EDT (massimo numeri di ripetizioni in quel lasso di tempo), pausa tra ogni alzata di 2’. 2 Routine J 15’ senza pausa, alternando ad ogni serie gli esercizi. (5 trazioni - 10 piegamenti - 20 squat, 5 trazioni - 10 piegamenti - 20 squat, fino allo scadere del tempo). Ogni volta che l’allenamento diventa fattibile aumentate di 1’ fino a raddoppiare il tempo. Non aumentate il ritmo, quello avverrà nella seconda fase. Con questi allenamenti non avete bisogno neanche di fare aerobica, quindi sono ottimali per chi riesce ad allenarsi solo 2-3 volte a settimana per massimo 30’. Non avete scuse!

La fase di definizione Prima d'accedere a questa fase assicuratevi di: 1. avere una buona massa cellulare; 2. mangiare molto, almeno 31-34 kcal/kg/die (uomini), 28/31 kcal/kg/die (donne); 3. assumere almeno 4 g/kg di carboidrati; 4. non assumere più del 30-35% delle calorie derivanti dai grassi; 5. concludere tutti gli allenamenti senza stressarsi eccessivamente e sopportare un buon volume (tonnellaggio) settimanale; 6. non essere particolarmente preoccupati e/o in crisi; 7. riuscire a dormire bene. Se avete raggiunto questo stato metabolico, anche a costo d'aver messo un su po' di ciccia, siete in una condizione perfetta per iniziare a sgrassare. Dallo stato metabolico in cui ci troviamo inizieremo a togliere. Ci dispiace ma senza un attimo di sacrificio tirare fuori gli addominali diventa impossibile. Non potete sperare di dimagrire senza togliere qualcosa, l’importate è aver aggiunto prima. La perdita di peso in questa fase dovrà essere del 0,5-1% a settimana. Questo vuol dire che se pesate 80 kg aspettatevi di perdere dai 400-800 g a week. Se siete sotto al 15% di BF e calate più rapidamente rischiate d’erodere anche la massa magra. Ricordatevi sempre che le variazioni giornaliere sono poco rilevanti quello che conta è il trend settimanale. Non si sale più a gradini ma si scende a blocchi

Se durante il reset metabolico aggiungevamo ogni 7-14 giorni delle calorie, durante la fase di definizione i tagli calorici sono più netti e vanno dal 10% al 20% (con una media del 15%). Questo avviene perché altrimenti il corpo si adatterebbe gradualmente al deficit calorico, preservando maggiormente la sua omeostasi. Un deficit moderato ma sensibile invece obbliga l’organismo ad attingere alle sue scorte endogene. Quanto sarà il deficit dipende da quanto siete riusciti ad alzare le calorie. Più è alto il vostro livello e più inizialmente potete permettervi di fare un taglio del 20%, più siete partiti bassi e più vi dovete settare su un 10-15%.

Frenare la discesa prima di toccare terra

Una restrizione calorica costante inevitabilmente porta ad una soppressione degli ormoni gonadici e del metabolismo. E inevitabile ma se state tutto l’anno sempre a dieta alla fine sarà come non essere mai a dieta, con la sola differenza che vi trascinate gli ormoni sotto ai piedi. Un individuo riesce a reggere un deficit calorico anche se moderato per 4-8 settimane. Dopo deve riprendere a mangiare “normalmente”. Questo cosa vuol dire? Che dopo le settimane indicate fate una pausa di 7-14 giorni dove tornate al vostro conteggio calorico iniziale. Questo periodo, più o meno lungo a seconda di quanto è durata la restrizione, vi permetterà di riattivare la leptina facendo ripartire il metabolismo. Farete 2-4 volte questo percorso per una durata complessiva di 20-30 settimane. 1. Partenza dal reset metabolico. 2. Taglio del 15-20% delle calorie per 6-8 settimane. 3. Ricarica in normocalorica per 1-2 settimane. 4. Taglio ulteriore delle calorie di un 10-15% per 4-8 settimane. 5. Ricarica meno 10-15% dalla normocalorica precedente, per 1-2 settimane. Se non siete partiti mangiando molte calorie potreste fermarvi anche qui. In caso contrario continuate come segue. 6. Taglio ulteriore delle calorie di un 10-15% per 2-4 settimane. 7. Ricarica meno 10% dalla normocalorica precedente (meno 20-25% rispetto a quella iniziale), per 1-2 settimane. 8. Ultimo taglio delle calorie di un 10% per 2 settimane. 9. Ritorno graduale alla normocalorica in 2-3 settimane. Dal secondo giro, ogni volta che interrompete la dieta ipocalorica, il vostro metabolismo, purtroppo, si sarà abbassato. Quindi, per mantenere il peso, dovrete scendere delle percentuali che vi abbiamo indicato.

Ricariche settimanali Come già sappiamo il conteggio calorico non è giornaliero ma settimanale. Durante il deficit calorico è importante preservare almeno 1-2 giorni (almeno nelle prime fasi) di dieta normocalorica. Gli approcci del digiuno intermittente in questa fase sono molto interessanti perché l’organismo va in deficit per tot ore ma poi ha un lasso di tempo (8 ore) per ri stabi lizzarsi. Alcuni autori sostengono sia meglio fare un giorno di completo digiuno e tenere gli altri con più calorie, piuttosto che stare con un deficit calorico cronico. Anche qui provate. Alcune persone in 24h catabolizzano molto muscolo, altre supercompensano alla grande. Se ci fosse un approccio unico vincente lo scriveremmo, ma non esiste. Il consiglio che vi diamo è quello di non fare 4-8 settimane di deficit calorico senza introdurre aH’intemo dei giorni di ricarica. Lo sgarro se programmato non è più uno sgarro, l’importante è che la somma calorica settimanale sia in un deficit del 10-20%.

Quali macronutrienti abbassare A seconda di quanti g/kg assumevamo tra glucidi e lipidi protenderemo per far scendere gli uni rispetto agli altri. Inizialmente calate i grassi se nell’ultima parte del reset metabolico erano saliti oltre lo 0,7-0,8g/kg. Potete ulteriormente abbassarli fino a 0,3-0,4g/kg se volete preservare i glucidi. Sono scelte individuali che dipendono dal vostro metabolismo. Sicuramente andando avanti con la dieta dovranno calare anche i carboidrati. Essendo tuttavia partiti alti vi ritroverete comunque con dei

livelli buoni, utili per preservare il glicogeno muscolare e per proteggere i muscoli dalla lisi. La dieta diventerà così una low fat classica.

Ricordatevi delle proteine Mentre gli altri macronutrienti scendono, le proteine in proporzione devono salire. Se siamo partiti con 1,2-1,6 g/kg, in questa fase saliremo gradualmente fino a 2,5 g/kg. Se avete perso molto peso o se vedete che la massa magra inizia ad essere intaccata potete salire anche a 3 g/kg. Senza questo accorgimento rischiate di ritrovarvi alla fine delle dieta magri ma deperiti. Oltre a questo, come ormai sappiamo, le proteine aiutano a mantenere alto il senso di sazietà. Senza, la restrizione calorica diventa difficile da perseguire nel tempo. Non si cala in modo lineare Come quando aumentavamo le calorie gli effetti non erano lineari ma ad onde, anche per la fase della definizione funziona nello stesso modo. Non aspettatevi di perdere peso (0,5-1%) in modo omogeneo ogni settimana. Magari per due settimane rimarrete sempre stabili e poi di colpo in pochi giorni calerete di un 2%. Non preoccupatevi nel breve termine del vostro peso, se il deficit calorico è presente prima o poi l’organismo molla. L’unico fattore realmente importante è controllare che non ci sia una perdita rilevante di massa magra.

Quando interrompere la dieta Interrompete la fase di definizione quando vedete che la perdita di massa magra è cronicamente più alta di un 20-25% (1/4) rispetto a quella grassa. Alcuni autori sostengono che la percentuale si debba assestare non oltre il 15-20%. Più siete in restrizione calorica e più è fisiologico perdere un po’ di massa contrattile assieme a quella grassa. Trovate voi il giusto compromesso, ricordatevi sempre che l’anno prossimo avrete una base migliore di oggi per ripartire ed i risultati di anno in anno saranno sempre migliori.

Come tornare in normocalorica Quando il vostro fisico e/o la vostra testa vi dicono che la fase di definizione si è conclusa, sappiate che il bello deve ancora venire. Probabilmente le vostre scorte di glicogeno non sono più piene come un tempo, questo per via della restrizione glucidica data dalla fase di definzione. In termini metabolici vuol dire che avete un piccolo margine per aumentare la vostra FFM senza variare la FM. Ogni settimana aumentate di 15-25 g dividendo la quota tra proteine e glucidi (trovate voi il corretto compromesso, partite da un 40-60% a favore dei carboidrati). Vedrete che pur aumentando l’introito energetico la percentuale di BF non varierà, anzi in proporzione diminuirà perché il tessuto contrattile si ricaricherà lentamente di glicogeno. Questo gioco durerà dalle 3 alle 5 settimane. Quando vi accorgete che iniziate leggermente ad appannarvi, interrompete pure questa lenta salita. Avete concluso il vostro ciclo e conviene riportate l’organismo in una zona di confort consolidata e riprendere ad assumere le calorie inziali della normocalorica. Ogni 3 giorni aumentate di 80-100 kcal. Questo per 2-3 settimane. Sicuramente riprenderete un po’ d’acqua ed aumenterà il peso. Se avete qualche strumento di analisi qualitativa della composizione corporea potete monitorare l’aumento e capire a quale compartimento è imputabile (massa magra/massa grassa), altrimenti non preoccupatevi eccessivamente. Sappiate che in questo frangente anche gli organi interni contribuiscono a far aumentare i chili sulla bilancia. Ora siete tornati al vostro punto di partenza, solo che questa volta è decisamente migliore di quando avete iniziato.

Allenarsi in definizione Anche in questa fase l'allenamento gioca un ruolo essenziale. La dieta da sola non darà i suoi effetti perché lo stato metabolico complessivo è dato dal bilancio delle entrate e delle uscite energetiche, ma soprattutto da che tessuto capta principalmente i macronutrienti e questo lo possiamo influenzare solo grazie all’allenamento.

L'allenamento coi sovraccarichi Se nella prima fase prediligevamo gli allenamenti voluminosi, qui il volume viene via via sacrificato per l'intensità. Tre-quattro allenamenti settimanali coi sovraccarichi possono andare bene (gli avanzati potranno arrivare anche a cinque). Gli esercizi saranno sempre multiarticolari. Le full body possono continuare ad andare bene ma anche split routine in questa fase possono dire la loro. Il cedimento muscolare è da evitare solo se nella giornata abbiamo assunto pochi carboidrati. Se il volume si riduce, i carichi non devono calare, anzi. Pesi elevati ci permettono di preservare la massa muscolare, non fate l’errore di ridurre i chili a favore delle serie di stripping. Potete alternare negli allenamenti tutte e due i metodi. Nella seduta un buon obiettivo è arrivare a fare: S 2-3 esercizi principali ad allenamento;

J

1-3 esercizi complementari.

Scendiamo col volume nei fondamentali ma lo preserviamo grazie alle serie dei complementari. In questa fase è importante variare esercizi, il gesto non dev'essere sempre lo stesso, scegliete sempre i grandi multiarticolari ma sbizzarritevi con: Trazioni e varianti, Panca piana (anche presa stretta), Dip, Squat (back, front, overhead), BackFront Lever, Rematore (manubrio bilanciere), Stacco (classico, sumo, pin pulì), Affondi, Power clean, Push press, Piegamenti sulle braccia in diverse posizioni, Panca inclinata-declinata, Lento in piedi, varianti degli esercizi col bilanciere, coi manubri, ecc.

Se ripetete sempre la stessa routine la risposta metabolica ed ormonale sarà nel tempo sempre meno alta. Cambiando, invece, gli stimoli produrranno sempre degli effetti importanti. È fondamentale variare ora perché in questa fase dovete attingere il più possibile alla risposta metabolica-ormonale che l'allenamento può dare. Con la prima fase avete preso forza e massa, ora stimolate il corpo al massimo uccidendo l'economia del gesto scaturita dalla ripetitività degli esercizi. Ormai dovreste aver preso quel feeling col carico essenziale per affrontare l'allenamento in modo aggressivo e determinato. I risultati si vedranno anche da quanto riuscite ad essere impavidi con il training. Anche se non dovete raggiungere sempre il cedimento (soprattutto quando siete in low carb), non dovete esimervi dal farvi il culo. Il motivo per cui il cedimento muscolare non è sempre appropriato ai giorni low carb riguarda il consumo maggiore di glicogeno su medie-alte ripetizioni. Mentre range bassi stressano principalmente il sistema nervoso, medi-alti range stressano il sistema metabolico (glicolitico). Il consumo di glicogeno medio di un allenamento è all’incirca tra 1,8-2,2 g/kg di massa magra. L'organismo indirizza l'energia rintrodotta coi pasti in primis per ripristinare il glicogeno muscolare ed i neuroni, e non per riattivare o potenziare la sintesi proteica. Per questo il cedimento muscolare si sposa poco con diete low-carb (a meno che la completa deplezione di glicogeno non sia il nostro obiettivo).

L'allenamento aerobico In questa fase potremmo decidere di sostituire la corsa “cardio” con allenamenti metabolici coi pesi stile Crossfit, ma possiamo farlo solo se siamo metabolicamente preparati. La corsa “lenta” di un'ora se prima era tollerata ora dovrà categoricamente essere sostituita con dei ritmi più alti. L'interval training e l'HIIT prenderanno il suo posto. Durante la corsa (se decidete di continuare a farla) inserite ogni 2-5’ degli scatti, oppure dei burpees. L'obiettivo è quello di stressare il metabolismo lattacido. Lavorare su alti livelli di lattato diminuirà la risposta mitocondriale ma permetterà alle cellule di potenziare il metabolismo glucidico. Questa parte d'allenamento vi deve permettere di mantenere quell'affinità con glucosio che avevamo acquistato. Anche qui più variate (tra corsa, bici, vogatore, circuiti), più smorzerete l'economia del gesto e la risposta ormonale all'allenamento sarà positiva. La seduta “cardio ” non dovrà durare più di 20’30', pertanto regolatevi di conseguenza con l'intensità. Un esempio di un circuito metabolico potrebbe essere quello di fare in 20’ più giri possibili di: S Stacco 5 ripetizioni; J Front squat 5 ripetizioni; J Press 5 ripetizioni. O semplicemente un EDT (ogni volta cercate di fare più ripetizioni possibili) di Trazioni, Burpees, Thruster, in 7’. L'ultimo fattore da prendere i considerazione in questa fase è quello del muoversi durante il giorno. Quando dimagriamo, naturalmente tendiamo a spostarci meno senza accorgercene (ne abbiamo già parlato all'inizio del libro), piuttosto che ruotare il tronco, inconsciamente, ruotiamo solo la testa, ecc. Il dispendio calorico dato dall'attività non sportiva scende in modo rilevante quando si perde peso. Per ovviare a questo obbligatevi a muovervi. Andate a piedi o in bicicletta a lavoro, fate le scale, uscite a fare due passi dopo cena, parlate con gli amici passeggiando anziché da seduti. Il muoversi in questi momenti sarà la ciliegina sulla torta. Bassa attività protratta per molte ore a settimana permetterà di consumare zuccheri e grassi ematici in modo rilevante. E interessante osservare dagli studi scientifici che un’attività a basso impatto protratta per molte ore al giorno abbassa molto di più i trigliceridi ematici di 20’ d’allenamento intenso. Fate l’HIIT ma poi continuate a muovervi. E soprattutto in questa fase che le abitudini vi rendono magri.

Soffrire la fame Nessuno vuole sentire lo stimolo della fame, non vanno di moda le diete in cui si soffre. Quante persone conoscete che sono a “dieta ” tutto l'anno? Provate a chiedergli se sentono la fame. Vi renderete conto che molto spesso non si dimagrisce semplicemente perché non si soffre e non si resiste. 11 fatto d'avvertire lo stimolo di mangiare dipende molto da quanto siete partiti alti con le calorie, più iniziate il cut con un buon margine e meno soffrirete. Vedrete con gli anni, mano a mano che creerete nuova massa magra e che alzerete il metabolismo, che la fame si farà sempre meno sentire. C'è gente che si squarcia introducendo 300-400 g di carboidrati al giorno. Purtroppo però questo stato metabolico va conquistato. Le prime volte, con la dieta ipocalorica, mano a mano che si dimagrisce si avverte sempre di più la fame. Bisogna resistere, bisogna distrarsi e aspettare le settimane ed i giorni di ricarica. Tutto quello che abbiamo visto finora ha poco valore se non avete la volontà di limitarvi. Non lo farete per sempre è solo un periodo, con gli anni il vostro metabolismo si alzerà e avvertire meno lo stimolo della fame. Ma se siete molto in sovrappeso, se siete partiti con un quantitativo calorico basso, dovete mostrare la vostra forza di volontà. Solo se vi accorgete che state cannibalizzando la massa magra

potete sgarrare (in modo pulito). Se gli adipociti si svuotano, se la leptina temporaneamente cala, vi manda messaggi al cervello e la fame aumenta, ma questo è il momento migliore per dimagrire veramente. Non sprecatelo! Guardatevi allo specchio quando avete attacchi di fame, il miglior aspetto fisico vi gratificherà più del cibo. Ricordiamoci sempre che proteine ed antinutrienti (legumi) sono degli ottimi spezza fame e non peggiorano la composizione corporea. Se avete voglia di cibo ma ricercate qualcosa di sfizioso e di invitante mentre un piatto di ceci non vi soddisfa, allora la vostra è una fame “neurale ” e non “metabolica

La dieta dimagrante per tutti Questo paragrafo si rivolge a quel pubblico, non sportivo, o che si è avvicinato da poco all’attività fisica. Insomma, a persone più appassionate alla buona cucina che allo sport (da praticare, non alla televisione). Questi soggetti per tutti i motivi che ormai sappiamo si ritrovano facilmente in sovrappeso, con esami ematici (quando va bene) ai limiti della norma. Per loro non c’è bisogno d’impostare chissà che regime complesso o fare chissà che calcoli. Basterebbe semplicemente tagliare le calorie di un 15%. L’italiano medio fùori forma semplicemente mangia di più di quello che dovrebbe e si muove troppo poco. Meno 15% è già un successo. Se poi riusciamo a trasformare cibi scadenti ad alta densità energetica, in cibi qualitativi a media-bassa densità, il gioco è fatto e la qualità di vita si alza immediatamente. I detti mangia poco di tutto, oppure bisognerebbe alzarsi da tavola con un po’ d’appetito, se applicati all’italiano medio, decimerebbero tutti i casi di sovrappeso. Possiamo tuttavia aggiungere ulteriori consigli pratici. In una persona sedentaria il fabbisogno di carboidrati negli anni si abbassa, il valore minimo dovrebbe comunque assestarsi tra:

2,3-2,6 g/kg Per quanto riguarda invece le proteine la quota raccomandata rimane tra: 0,8-1 g/kg

I grassi non hanno un range vero e proprio ma le raccomandazioni consigliano di non scendere sotto ai 25-30 g per veicolare le vitamine liposolubili e per introdurre gli acidi grassi essenziali. La percentuale dei macronutrienti dovrebbe avere dei range, che si assestino nel seguente modo: Carboidrati: 45-60% Proteine: 15-30% Grassi: 20-30% Starà alla persona scegliere come si trova meglio. Meno attività fisica fa e meno carboidrati e proteine ha bisogno. Consigliamo di non superare comunque un 30% delle calorie derivanti dai grassi per non perdere eccessivamente l’affinità col metabolismo glucidico. Un modo veloce per calcolare quante calorie assumere per perdere peso Se volete sapere mediamente quante calorie dovrebbe assumere una persona per dimagrire (iniziando a svolgere una moderata attività fisica), basta applicare le seguenti formule.

MG uomini: Altezza2 (m2) x 570-620 - MG donne: Altezza2 (m2) x 520-570

Se sapete che uno/due giorni a settimana sgarrate, togliete dal totale 5-15% delle calorie. In questo modo avete un cuscinetto per rientrare pur concedendovi qualche vizio. Potete inizialmente partire dal valore più alto. Dopo 8-12 settimane o quando i risultati si saranno bloccati, fate un paio di settimane aggiungendo 50 al valore calcolato, successivamente ripartite col valore più basso. In questo modo in un periodo di 18-26 settimane la persona dovrebbe raggiungere il normopeso (a meno che non sia partita con un BMI molto superiore a 30).

La ricomposizione corporea Per chi è sopra il 15-25% di BF, il reset metabolico precedentemente esposto potrebbe essere abbastanza complesso e difficoltoso, soprattutto se non si stanno assumendo molto calorie. L’approccio light appena visto (“La dieta per mia mamma”) va benissimo per tutti quelli che con calma vogliono ottenere un miglioramento, ma... Tantissime persone negli anni si sono rovinate il metabolismo e si ritrovano grasse pur mangiando poco. Questi soggetti spesso hanno fatto diete low carb protratte negli anni senza ricariche e sono diventati intolleranti ai carboidrati. Appena li riassumono ingrassano. Diventa così difficile e complesso gestire una persona in sovrappeso, che mangia poco e assume pochi glucidi. Appena modifichiamo qualcosa rischiamo di fare disastri. Ci sono due tipi di persone in sovrappeso, quelle che sotto hanno una buona massa muscolare e quelle invece prive di muscolo. Un lottatore di sumo è grasso ma è anche muscoloso. Un obeso che passa la vita davanti al televisore invece ha sicuramente meno massa magra. Mediamente le persone fortemente in sovrappeso hanno comunque più tessuto contrattile rispetto alle persone normopeso (allenano gli arti inferiori con la propria mole), ma possiamo trovare, purtroppo, anche obesi sarcopenici (senza muscoli). Per chi è in sovrappeso ma è muscoloso

Nel caso vi alleniate molto ma continuate a trovarvi in sovrappeso, probabilmente avete un’alta resistina. Il tessuto contrattile funziona male e non ostacola l’azione degli adipociti. La prima cosa da fare è valutare quanto vi allenate-dormite-riposate. Lo stress è dato sia dal lavoro-scuola-famiglia, ma anche dall’allenamento. La strada da seguire in primis è ridurre lo stress, tramite l’alimentazione (evitando farine raffinate e grassi saturi) e lo stile di vita (prendendo del tempo per sé e dormendo di più e meglio). Soprattutto è importante limitare gli allenamenti a non più di 3-4 a settimana. E meglio meno ma più qualitativo che tanto fatto male. La dieta che vedremo ora è di Antonio Rubbino (dieta Antobolica) ed è adatta a chi ha più del 15-16% di BF negli uomini, 25-26% nelle donne. Ha un approccio molto shock e non è detto che vada bene per tutti i soggetti. Richiede anche una conoscenza del proprio corpo abbastanza elevata, se non avete mai fatto una dieta seriamente, probabilmente non è la migliore con cui iniziare.

Non più g/kg ma g/LBM (chili di massa magra)

Precedentemente abbiamo sempre dato indicazioni sui macronutrienti riferendoci al peso corporeo generale, compresa la massa grassa. Questo perché, in persone normopeso e che devono perdere gli ultimi chili, c’è poca differenza e per non abbassare il metabolismo le indicazioni sono sempre date in eccesso. In soggetti in sovrappeso invece, dove la FM occupa una parte rilevante del peso corporeo, conviene rapportarsi esclusivamente alla FFM o LBM (la massa magra). Le indicazioni quindi cambiano, in quanto da ora dobbiamo essere più precisi e nutrire esclusivamente la parte metabolicamente più attiva.

/ vantaggi delle low carb cicliche Fino ad ora abbiamo visto che i carboidrati apportano un grande beneficio all’organismo sia in termini di composizione corporea, sia di performance, sia di salute. Tuttavia questo è vero quando il corpo gestisce bene gli zuccheri. La massa magra beneficia dei glucidi mentre quella adiposa rimane a secco. Purtroppo questa condizione fisiologica non funziona per tutti, altrimenti con la dieta Mediterranea saremmo tutti magri e muscolosi. Più si è grassi e più le cellule adipose tendono a prevalere. Il corpo ha difficoltà nel capire a chi deve indirizzare i carboidrati. Per questo molte diete come l’Atkins fanno ridurre fortemente i glucidi. Questo approccio ha tuttavia degli inconvenienti. Senza zuccheri il corpo perde la capacità d’utilizzarli. La leptina si abbassa e con essa il metabolismo. Per di più socialmente diventa difficile non mangiare mai la pasta o alimenti simili. La performance glicolitica tende a risentirne. Tende perché diversi campioni del mondo hanno dichiarato di seguire diete low carb. Alcuni preparatori fanno seguire diete low carb e vicino alla competizione rintroducono gli zuccheri. A detta loro questo permette all’atleta di saper sfruttare a pieno sia il metabolismo lipidico che quello glucidico. Tale teoria, tuttavia, non è ancora supportata da evidenze scientifiche. Da quando il Dott. Di Pasquale ha inventato la dieta Metabolica è nato il filone delle diete ipoglucidiche cicliche. Si cerca di prendere due piccioni con una fava. Quando i livelli di glicogeno epatico sono bassi il corpo aumenta il metabolismo lipidico. Questo porta a consumare meglio i grassi. Ricordiamo che consumare più grassi non equivale a dimagrire di più. Questo è un grosso errore portato avanti dai sostenitori delle low carb. Il corpo dimagrisce a seconda di quanto ATP consuma, che venga dai lipidi, chetoni o glucidi. Un miglior metabolismo lipidico, purtroppo, non equivale a una maggior probabilità di dimagrire. Il più grande vantaggio di chi possiede una buona massa magra, è che ha una maggior probabilità che gli acidi grassi finiscano nei muscoli (dove verranno ossidati) piuttosto che negli adipociti (dove invece vengono accumulati). A riposo, in soggetti non insuline-resistenti, è il miocita a utilizzare principalmente gli acidi grassi. Il tessuto adiposo così tenderà a svuotarsi piuttosto che a riempirsi. Infatti uno dei fattori che blocca l’azione dei recettori a negli adipociti è proprio l’alta presenza di grassi in assenza di zuccheri. Un elevato quantitativo proteico diventa fondamentale con questo approccio dietetico, perché mantiene buona la sensibilità insulinica e stimola i miociti a portare i Glut-4 in superficie. Per non far crollare il metabolismo e gli ormoni, i carboidrati vengono introdotti ogni 2-3 giorni dopo gli allenamenti. Questo permetterà d’indirizzarli esclusivamente al tessuto contrattile. Si alternano così due fasi, cercando di trarre il meglio da ognuna. Il cardine su cui si gioca tutto sono i protidi che devono rimanere alti per tutta la dieta, sia per proteggere dal catabolismo muscolare, sia per stimolare i miociti a captare altri macronutrienti che non siano solo i grassi. Per quanto tempo seguire la dieta

Questo approccio è consigliato per un tempo limitato. Prolungandolo eccessivamente si rischia, nel lungo periodo, di perdere l’affinità col glucosio. L’obiettivo è così quello d’avvicinarsi il più possibile alla BF desiderata, successivamente si potrà sfruttare pienamente il reset metabolico. The Bodyrecomposition Project45 L'Antobolica, (ma preferisco il termine “Bodyrecomposition Diet,r) non è consigliata alla signora Maria che 3 volte a settimana indossa top e leggings per un'oretta di Zumba e non è consigliata al Aghetto di turno il cui unico scopo nella vita è mostrare, tra giugno e settembre la 45di Antonio Rabbino

"tartaruga". L'Antobolica è un approccio alimentare indicato a persone motivate che sanno cosa vogliono e sanno come ottenerlo. Persone con già abbastanza esperienza e buona conoscenza della propria fisiologia. Se non avete mai seguito nessuna dieta (contando i macronutrienti), non partite da questa. Il fine ultimo di questo approccio alimentare è la “manipolazione” della leptina (ne abbiamo parlato sino allo sfinimento nei capitoli precedenti, ma, se volete un approfondimento ulteriore, ricordatevi di visitare anche la mia pagina: www.antobolica.it ). La leptina è il “mastroregolatore” di tutti i nostri ormoni. Immaginate il vostro conto in banca. La leptina è il vostro commercialista, vi informa quando il conto è bello pieno e potete permettervi qualche “spesuccia” (anabolismo) o si avvia verso il “rosso” e dobbiamo evitare spese inutili (catabolismo). Il glucosio è l'euro, la leptina (come i commercialisti) risponde solo a questo. Maggiore è il livello di glucosio (ematico e muscolare), maggiore sarà il livello di leptina, ma, come funziona anche con le proprie finanze, quando son troppe, o le spostate su di un conto estero, o andrete incontro ad un bell'incremento della tassazione. Troppo glucosio porta alla leptino-resistenza e, una volta raggiunto tale stato, tutti i suoi benefici sfumano come fuoco di paglia. L'Antobolica, grazie al controllo ed alla "temporizzazione" dei carboidrati, vi permette il controllo di questo nostro "mastroregolatore", potendo così godere dei suoi magnifici effetti sulla composizione corporea. Troppe proteine fanno male... Abbiamo già parlato della relazione tra proteine e salute. Diverse evidenze rassicurano in tal senso. Sappiate che il quantitativo di protidi di questo approccio è molto elevato, quindi valutate voi. Il problema fondamentale, nonché l’argomento che i “guru-alimentari” utilizzano per “smembrare” l’importanza (specialmente in dieta ipocalorica) di una dieta alta in proteine, è l’elevato costo energetico che il metabolismo proteico richiede. Proprio questa è la chiave. Una dieta ipocalorica, causa un calo degli ormoni tiroidei (anche se vi abbuffate di puro glucosio, in ipocalorica, il T3 cala), il vostro metabolismo di base tira il freno a mano. Aumentando il consumo proteico lo aiuterete a star elevato, proprio grazie a questo “costo energetico”. Oltre ciò l’aumento delle proteine esogene (che ingurgitate) aiuta il mantenimento di quelle endogene (che avete nei muscoli). Maggiore è il consumo proteico, minore è la perdita delle proteine tissutali poiché il “ricambio proteico ” si velocizza. Ultimo punto è la capacità insulinogenica degli aminoacidi. Ciò è fondamentale in una dieta ipocalorica dove si cerca una glicemia stabile. Le proteine non comportano elevati livelli di insulina come dopo un pasto ricco di glucidi, ma portano comunque ad un aumento della curva insulinemica postprandiale. Aumento che basta a mantenere una buona sensibilità insulinica periferica, ciò migliora, quindi, la tolleranza al glucosio (cosa essenziale in una dieta ipocaloricaipoglucidica). Le proteine hanno un effetto “protein-sparing” e aumentano l’up-take muscolare dei nutrienti (grazie alla stimolazione insulinica). Tutto ciò senza alcuna inibizione alla lipolisi che si avrebbe con livelli fisiologici elevati dell’ormone in seguito ad un pasto molto ricco di carboidrati. Va comunque ricordato che il bilancio calorico resta un fattore fondamentale. Le leggi biologiche non possono essere imbrogliate eccessivamente.

Quando, come e perché

Questa strategia alimentare ha tre fasi. Una Bodyrecomposition, che vi porterà sotto al 15%26% di BF (uomini-donne). Una volta ottenuto questo primo traguardo, potreste passare alla Cut Diet, indicata per chi ha un'alta esperienza, è giovane e sportivo. Questo approccio è molto “duro ” e sacrificante, ma permette di scendere rapidamente alla singola cifra percentuale di bodyfat. Lo consigliamo agli atleti o a persone fortemente motivate, altrimenti prendetevi il vostro tempo per ripartire dal reset metabolico.

Utilizzate la Cut Diet per arrivare al 6-14% di massa grassa, non spingetevi oltre. Soggetti “naturai”, oltre tale soglia, possono patire brutte conseguenze a breve e medio termine per ciò che riguarda la sfera sessuale ed emotiva (calo marcato degli ormoni sessuali). Non siate ingordi, l'ingordigia porta al disgusto. La Clean Bulk è l’ultima fase e la consiglio a chi, una volta raggiunta una bassa percentuale di grasso corporeo, vuole risalire “pulito”. Questo approccio permette un rapido guadagno ("rapido" per quanto un corpo umano possa permettere) di massa magra con, e sono sincero, piccoli ma costanti incrementi di adipe (una moglie ubriaca vi svuoterà la botte, su ciò non si discute). Fermatevi quando la vostra percentuale di grasso tocca soglia 10-12% (uomini) e 18/22% (donne). Questo approccio alimentare è ormai stato testato da diversi anni da fitness model e da atleti professionisti, ma non azzardatevi ad intraprendere uno qualsiasi di questi stili alimentari senza il benestare del vostro medico curante. Potreste avere delle patologie pre-esistenti silenti, quindi facciamo le cose per bene, nel pieno della salute, dell’estetica e della performance.

The Body Recomposition Diet (Antobolica) Indicazioni:

'C

Proteine : 2,2-3,2 g/lbm (chili di massa magra)

J

Carboidrati', da assumere solo pre o post-workout (o entrambi)

S

o

0,5/0,8 g/lbm per soggetti sovrappeso (>15% BF maschi e >25% BF donne)

o

1/1,5 g/lbm per soggetti magri (tra il 12-15% per gli uomini e tra il 18-20% per le donne).

Grassi'. 1 g/kg L'80-90% dell'introito di grassi deve essere assunto da saturi e monoinsaturi in rapporto 1:1, il restante 20-10% verrà dai poiinsaturi di cui circa 6 o 12 g da olio di pesce titolato al 30% minimo in EPA e DHA.

S

Free Meals (pasti liberi): due o tre a settimana, meglio se a base di carboidrati. Pasti liberi non devono diventare abbuffate incontrollate. Se avete voglia di bere evitate la birra, optate per un superalcolico e/o del vino rosso.

Con questo approccio i carboidrati devono bastare solo a "dar benzina" aH'allenamento.... solo questo è importante. I muscoli, a riposo, usano come fonte energetica i grassi e non vedo il motivo, con questa strategia alimentare, di tamponare questo processo fissandosi sul "consumo maniacale" di glucosio. Il muscolo ha bisogno di 3 cose: 1) proteine per la riparazione; 2) glucosio per la contrazione; 3) grassi per il sostentamento. Al cervello bastano 80/120 g di glucosio al giorno, anche meno visto che può utilizzare tranquillamente i corpi chetonici. Un normale workout con i pesi di circa 60 minuti al 75% di 1RM consuma solo circa 1,5 g di glucosio per chilo di massa magra, spesso anche meno, dipende dall'adattamento soggettivo. Per queste ragioni con questo approccio alimentare non c’è bisogno di fornire ulteriori glucidi.

Cut Diet Fase PSMF: Protein Sparing Modifìed Fast ovvero digiuno codificato a risparmio proteico. Questa strategia alimentare è stata pensata per chi non riesce a dimagrire sotto al 8-10%, questo avviene perché i recettori a-adrenergici, stimolati dalle catecolamine, bloccano la lipolisi. Gli acidi

grassi liberati dagli adipociti ed immessi nel circolo ematico vengono subito ricatturati dagli stessi adipociti.

E suddivisa in due fasi: C la prima di simil digiuno (PSMF) dalla durata di 2 V2 giorni (60 ore), in questo lasso di tempo le proteine sono il carburante principale; C

la seconda consiste nella ricarica di carboidrati (Reefeed) dalla durata di 5-8 ore.

Facciamo un esempio: lunedì, martedì e mercoledì sino a pranzo starete in fase PSMF. Dopo l'allenamento di mercoledì pomeriggio inizierete la fase refeed. Giovedì, venerdì e sabato sino a pranzo fase PSMF. Sabato pomeriggio, sempre dopo l'allenamento, fase refeed. Nel caso in cui sabato non vi alleniate limitate la fase refeed ad un unico pasto libero nella sera. La domenica concedetevelo giorno libero, ma sempre controllato, cibo pulito e nessuna abbuffata.

Fase PSFM J

Proteine. 2,2-3,2 g/lbm

J

Carboidrati', non più di 20-30 g al giorno e solo da verdure fibrose.

C

Grassi: non più di 20-30 g di cui, la metà da un mix di poiinsaturi da olio di pesce e/o olio di lino e monoinsaturi da olio di oliva, mandorle e noci (arachidi e burro di arachidi evitateli in questa fase).

Fase Refeed

Durata dalle 5 alle 8 ore, da suddividere in 2 o 3 pasti. Devono essere gli ultimi pasti della giornata, poiché, nelle ore serali il livello di cortisolo (già elevato a causa della fase PSMF) tende ad abbassarsi. Ciò permette un lieve, ma essenziale, aumento della sensibilità insulinica e, quindi, un miglior up-take di glucosio da parte del tessuto magro. Oltre ciò la ricarica di carboidrati potrebbe aiutarvi a riposare meglio (dico "potrebbe" poiché, su certi individui abbastanza sensibili, alti livelli glicemici potrebbero causare fasi passeggere di iperattività) e, di certo, vi aiuta ad evitare crisi di abbuffate compulsive (tranne che non siate tanto stupidi da rimanere svegli tutta la notte a mangiare, in tal caso un bravo psichiatra è meglio di qualsiasi approccio alimentare). S

S

Refeed di carboidrati: o

per individui endomorfi: 6-8 g/lbm

o

per individui mesomorfi ed ectomorfi: 8-10 g/ Ibm

Refeed di grassi: non più di 0,8-1,2 g/lbm preferibilmente da monoinsaturi (oliva, mandorle, arachidi, noci, ecc.), ma se vi prende la voglia di una pizza ai quattro formaggi, nessuna paranoia, ci può anche stare, ma evitate di aggiungere altri grassi. Refeed di Proteine: 1,5-2,2 g/lbm calcolando solo quelle da fonti nobili, aggiungete 0,3-0,5 g/lbm se sono di più bassa qualità.

Clean Bulk La fase PSFM non può essere tenuta per troppo tempo, sia a livello piscologico, sia socialmente, sia a livello fisiologico. Ormai dovremmo sapere che il corpo risponde male quando le proteine superano il 40% dell’introito calorico. La fase refeed ovviamente smorza il tutto ma è sempre meglio non esagerare. Datevi obiettivi realistici ed imparate a ragionare a cicli. Ogni anno raggiungerete un livello migliore. Cercare d’ottenere tutto subito può essere molto controproducente. Per questo una volta raggiunto l’obiettivo è bene, dopo un po’, assestarsi su percentuali di BF fisiologiche e sostenibili

nel tempo. La Clean Bulk vi permetterà di risalire in modo pulito, privilegiando la massa magra rispetto a quella grassa.

J

Proteine'. 3,2 g/lbm

*

Carboidrati', solo pre o post-wo (o entrambi): 2,2-3,2 g/lbm (consiglio di seguire quest'approccio solo se si è sotto il 8-9% di BF e fermarsi quando si raggiunge il 10-12%).

J

Grassi: 1,5 g/kg di cui o

10-20% saturi (uova, carne rossa magra e cocco/MCT)

o

30-40% da monoinsaturi (olio di oliva, mandorle, noci)

o

40-50% poiinsaturi omega 3 (noci, mandorle, pesce grasso)

o

Olio di pesce 6/10 g al giorno

o

Utilizzare solo le fonti di grassi sopra citate ed integrate con Vitamina C ed E

Refeed (ricarica di carboidrati)

J

Tipol (individui ectomorfi): due a settimana ogni 3 o 4 giorni di dieta. Durata di 5 ore dal post workout in poi a 6 g/lbm di carboidrati.

■C

Tipo2 (mesomorfi): una ogni 5 o 6 giorni di dieta. Durata di 12 ore dal post workout in poi a 8 g/lbm di carboidrati.

S

Tipo3 (endomorfi): una ogni 5 o 6 giorni di dieta. Durata 5 ore dal post workout in poi a 6 g / Ibm di carboidrati.

(Ricordare di aumentare solo il consumo di carboidrati nel giorno o nei giorni dedicati al refeed, il quantitativo di grassi e proteine non varia). V

Free Meals (pasti liberi): due a settimana, preferibilmente composti da alimenti amidacei e proteici. Un solo pasto libero per chi possiede una maggior componente mesomorfa. Limitare al massimo pasti troppo ricchi in grassi.

Per chi è in sovrappeso ma è poco muscoloso

Chi invece è in sovrappeso ma ha poco tessuto contrattile (sedentari) ha un altro percorso da fare, simile ma differente. Prima di preoccuparsi di far scendere pancia e fianchi deve riappropriarsi del suo corpo. Solo lavorando contemporaneamente su massa grassa/massa magra riuscirà a creare una ricomposizione corporea (perdita di grasso e contemporaneamente guadagno di massa muscolare) utile alla salute e non solo all’estetica. Questi soggetti devono far attenzione a dimagrire senza intaccare minimamente il tessuto contrattile. Altrimenti rischiano di cadere in stati metabolici disastrosi, che negli anni pagheranno a duro prezzo. Se state assumendo poche calorie (sotto a 20 kcal/kg/die) preoccupatevi in primis di aumentare l’introito calorico e l’allenamento (in modo graduale) e solo successivamente seguite le seguenti indicazioni. L’idea di base è quella d’alternare giorni ipocalorici a giorni normo-ipercalorici, giorni low carb a giorni low fat. In questo modo l’organismo riesce a sfruttare le sue abbondanti scorte energetiche stipate negli adipociti, indirizzando l’energia verso la crescita muscolare. Le cellule grasse si svuoteranno mentre i miociti si riempiranno. Chi ha poca massa metabolicamente attiva fa fatica a sopportare sedute frequenti d’allenamento. Tutto quello che abbiamo visto finora per il training si rivolge ad un pubblico attivo e mediamente allenato. Soggetti con poco tessuto contrattile incontrano molto facilmente il sovrallenamento, rispondendo metabolicamente male agli allenamenti.

In questo caso la prima regola è non esagerare. Molte persone sedentarie superati i 40 anni reagiscono male anche a due allenamenti a settimana. Per questo l’approccio, in questi casi, deve essere molto graduale. Tre allenamenti ogni due settimane possono essere un buon inizio: lunedìvenerdì-mercoledì, lunedì, mercoledì, ecc. Presa confidenza con Tallenamento si aumenterà la frequenza a due volte a settimana e solo successivamente a tre. Questo percorso può richiedere 2-4 mesi. Già l’aumento della frequenza porterà a cambiamenti fisiologici importanti se supportati dall’alimentazione. I giorni d’allenamento la fonte energetica principale saranno i glucidi che raggiungeranno un 45-55% delle calorie. I giorni iperglucidici dovranno essere almeno 2-3 a settimana anche se vi allenate meno. Negli altri giorni conviene alternare una Zona normocalorica 40-30-30 ed una low carb ipocalorica. Una settimana ideale potrebbe essere: dieta ipocalorica low carb V Lunedì: Z Martedì: allenamento dieta leggermente ipercalorica low fat V Mercoledì: dieta ipocalorica low carb dieta ipocalorica low carb J Giovedì: V Venerdì: allenamento dieta leggermente ipercalorica low fat V Sabato: dieta normocalorica stile Zona V Domenica: dieta normocalorica stile Zona Quando aggiungete il terzo allenamento, modificate la dieta come il martedì e il venerdì. Con questo approccio abbiamo due giorni di leggera ipercalorica (+5/10% del fabbisogno), tre giorni d’ipocalorica (-15/20% del fabbisogno) ed un paio di giorni di normocalorica. Idealmente nei giorni low carb non dovreste scendere sotto ai 2,5 g/FFM di glucidi. Le proteine tenetele alte tutti i giorni a 3 g/FFM. I grassi variano a seconda dei glucidi, più sale uno più scende l’altro. Non vogliamo essere troppo specifici perché la persona deve fare delle prove su di se. Monitorandosi capisce se è sulla strada corretta o come variare i macronutrienti. Il bilancio calorico della settimana sarà complessivamente in un leggero deficit calorico (10%), tuttavia l’alternanza delle fasi permetterà nei soggetti grassi ma con pochi muscoli di lavorare positivamente su tutti i tessuti. Va sottolineato che possiamo permetterci un bilancio energetico settimanale negativo solo se non partiamo troppo bassi con le calorie. Tantissime persone in sovrappeso mangiano poco, per questi soggetti è deleterio pensare di tagliarle ancora.

La fase di mantenimento Come le stagioni, come l’allenamento, anche l’alimentazione vive fasi cicliche. Si aumenta di peso, si diminuisce. Non dobbiamo variare per forza di molto, i cilici circannuali portano inevitabilmente a delle fisiologiche fluttuazioni. Arriva per tutti un momento in cui vogliamo consolidare i nostri risultati, sia perché non abbiamo mire agonistiche, sia perché il nostro sport ci richiede di stare dentro ad un certo peso. Per le persone attive con una genetica nella media questo punto può essere 1’8-12% di BF negli uomini, il 16-20% nelle donne (almeno fino ai 45 anni d’età).

Per stabilizzare la situazione dobbiamo semplicemente far sì che il nostro metabolismo glucidico funzioni bene. Se riusciamo a sopportare buoni quantitativi calorici (>31-34 kcal/kg/die) e buoni carichi glucidici (>4-5 g/kg/die) senza aumentare di peso, possiamo definire la nostra situazione stabile e ottimale. Nel giro di tre anni dovreste riuscire tutti a raggiungere questa “zona”. Gli sportivi si ritroveranno così una composizione corporea ottimale supportata da un’alimentazione prevalentemente glucidica. Le scorte di glicogeno piene aiuteranno praticamente in quasi tutti gli sport. Non avrete bisogno di calcolare le calorie o i grammi dei macronutrienti, l’esperienza vi porterà a regolarvi autonomamente. Senza stress, senza fame, appagati del proprio stato fisico potrete godere meritatamente del lavoro svolto negli anni. Concludiamo con una nota negativa ma onesta. Non possiamo dimenticarci degli innumerevoli studi che mostrano come mangiando poco si allunghi la vita. Le ragioni sono differenti ma possiamo riassumerle in una frase: il corpo è uno spazzino di se stesso, meno gli diamo e più resta pulito. In questo libro vi abbiamo portato a mangiare sempre di più (restando magri), ma come si sposano queste due realtà? Non lo sappiamo. Siamo convinti che senza grasso viscerale e con gli esami ematici perfetti il vostro stato di salute ne gioverà. Tuttavia non possiamo dirvi se, con un approccio opposto (che magari non tenga conto della performance e dell’estetica), stareste ancora meglio e vivreste ancora più a lungo. Ma in fondo, forse, questo è soltanto un altro viaggio da scoprire.

Questa fine dev'essere il tuo inizio Mio zio ha superato gli 80 anni, eppure saltuariamente insegna ancora all’università. Una volta parlando con lui mi disse: “Sai, dopo una vita passata a studiare, ogni giorno imparo ancora qualcosa, e non in generale, ma qualcosa di specifico che riguarda il mio ambito di ricerca E in effetti è così, studiare non serve per togliersi i dubbi ma per crearne di nuovi. Il detto “più sai e più capisci di non sapere” è vero. Una volta si diceva che ogni 10 anni le conoscenze raddoppiano, in realtà questo passaggio sta avvenendo sempre più rapidamente. In alcuni ambiti raddoppiano ogni 2 anni. Praticamente chi si iscrive ad una laurea breve al terzo anno possiede delle conoscenze che sono già superate. Come possiamo sopravvivere a tutto questo? C’è qualche soluzione? Si, quella di convivere col dubbio, abbandonare le proprie certezze e convinzioni. Ma c’è un modo per superare questa fase. Agire!

Molti dei problemi che abbiamo riguardo la composizione corporea, la performance e la salute (ma anche nella vita in generale), possono essere facilmente superati agendo, prendendo dei dati e verificandoli nel tempo. Solo provando possiamo realmente conoscere. Questo libro teorico è un invito alla pratica

Quando l’abbiamo scritto, più volte siamo venuti a conoscenza di nuovi studi, alcune affermazioni che abbiamo fatto hanno traballato, altre non resisteranno al tempo. Non abbiamo timore nel scrivervi che avete letto un libro in parte sbagliato, tranquilli anche quelli universitari a volte lo sono. Tutto è in divenire. Se vi fermate a questo testo vi perderete il piacere della scoperta. Per ogni paragrafo trattato ci sono centinaia di pagine (se non migliaia) d’approfondimento. Non basterebbe una vita per 338)

conoscere tutto. Ma questo non ci deve spaventare. Avvicinatevi, lo scriviamo piccolo in modo che gli altri non possano leggere: il segreto è che non esistono segreti. Abbiamo scritto questo testo per piacere, piacere nel mettere nero su bianco quello che conosciamo, piacere nel divulgare, ma soprattutto piacere nel condividere. Ma c’è una soddisfazione più grande che potete regalarci, quella di continuare a studiare. Ricordatevi sempre che la vita è un viaggio e che “il viaggio è la ricompensa

Testi consigliati Ecco alcuni libri che consigliamo per approfondire quanto letto in questo testo. Biochimica medica (N.Siliprandi, G. Tettamanti) J

Le basi molecolari della nutrizione (Arienti)

J

Malattie delle ghiandole endocrine, del metabolismo e della nutrizione (Brunetti' Santeusanio)

■/

Alimentazione e Nutrizione umana (M. Costantini, C. Cannella, G. Tornassi)

J

I principi di biochimica di Lehninger (L. Nelson, M.Cox)

•/ Z

The Body Chance. Un approccio scientifico alla ricomposizione corporea (V. Tortora) Le nuove frontiere della dieta chetogenica (V.Tortora)

Z

Alimentazione in equilibrio (A. Rossoni)

Z

II dilemma dell’onnivoro (M.Pollan)

Z

The stubbom fat solution (L. McDonald)

Z

The ultimate diet 2.0. (L. McDonald)

Z

The protein book. A complete guide for coach and athlete (L. McDonald)

Z

The lean muscle diet (A. Aragon)

Conclusioni e ringraziamenti Finito un sentiero si apre una strada. Con questo libro non abbiamo avuto la pretesa di dare una risposta definitiva all'argomento alimentazione. Abbiamo aperto una strada. Il mondo è pieno di libri più complessi e migliori di questo, ma con le basi che ti abbiamo fornito sarai ora in grado di leggerli e comprenderli. Quello che ti vogliamo lasciare è la curiosità intellettuale di conoscere, senza ancorarti a comode verità. Hai delle certezze? Cerca sempre di metterle in discussione, si il più grande critico di te stesso. E ricordati di provare sempre, se non hai problemi di salute, prova, facendoti guidare dal buon senso. Raccogli dati, verificali e correggi la via. I migliori lavorano in questo modo. Quando un testo viene stampato è già vecchio, domani alcune cose che abbiamo scritto saranno superate, quello che non verrà mai superato è la forma mentis con cui l'abbiamo scritto. In ogni caso continuando a leggere il project inVictus rimarrai sempre aggiornato sulle nuove scoperte scientifiche: “l’evoluzione è la chiave della sopravvivenza” . Per concludere, grazie dell'acquisto: ci siamo autoprodotti questo libro, abbiamo fornito gratuitamente dei contenuti sul web ed il tuo acquisto ci ha permesso di ripagarci del tempo speso. Starà a te decretare quanto il nostro lavoro avrà successo. Se lo condividerai con gli amici, su internet, se ne parlerai, il passaparola ci permetterà di continuare a crescere. Sappi che ti siamo grati e che la nostra filosofìa è racchiusa in questa frase: “La vera forza di uno spartano è il guerriero che sta al suo fianco”. Grazie. “Non so cosa dirvi davvero. 3 minuti alla nostra più diffìcile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, fino alla disfatta. Siamo all'inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso "certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare". Si perché io ho sperperato tutti i

miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio.

Sapete con il tempo, con l'età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo. Capitelo. Mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare.

Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare? ” Ogni maledetta domenica

Andrea Biasci ed il project inVictus. “Perché solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere"

Sommario Prefazione..................................................................................................................................5 Chi è Andrea Biasci......................................................................................................................... 7 Chi siamo......................................................................................................................................... 8

A chi si rivolge il libro.....................................................................................................................8 Una scrittura alternativa................................................................................................................ 9 Capire dove siamo..................................................................................................................... 11

I numeri che contano..................................................................................................................... 11 La scala delle priorità................................................................................................................... 12

Bilancia e circonferenze................................................................................................................13

Misurazioni antropometriche....................................................................................................... 13 Stime più accurate per la composizione corporea........................................................................ 14 Calorie e bilanci energetici...........................................................................................................17 Il fabbisogno settimanale.............................................................................................................. 26

Vuoi dimagrire? Vai dallo psicologo.........................................................................................29 L'ortoressia.................................................................................................................................... 29

Ifrutti del sapere...........................................................................................................................31 Contestualizzare i dati con cognizione di causa.......................................................................... 32

L'errore più comune..................................................................................................................... 32

10 Motivi per cui mangiamo oltre a nutrirci............................................................................... 33 La psicologia in cucina, alcuni consigli pratici.......................................................................... 35

Come reagire e combattere lo stress............................................................................................36

Decalogo della cultura fisica — Cosa dire al giovane Fran........................................................38

Estremismi ed estreme considerazioni.

40

Conclusioni.

43

Post scriptum: quello che rimane................................................................................................. 43

I nutrienti.................................................................................................................................. 45

I carboidrati................................................................................................................................ 45 Le prime nozioni da sapere...................................................................................................... 45 Il fabbisogno glucidico............................................................................................................ 47 Il metabolismo glucidico......................................................................................................... 49 Test del glucosio ed AGE........................................................................................................ 51 L’indice glicemico è una cagata pazzesca............................................................................... 52 Il mito dell'integrale................................................................................................................. 53 I carboidrati fanno ingrassare?................................................................................................. 54 I grassi ed i carboidrati vanno mangiati assieme?................................................................... 56 Morale della favola.................................................................................................................. 57 Le fibre alimentari................................................................................................................... 57 Il fruttaSio................................................................................................................................. 58 Carboidrati di sera, dormir bene si spera.................................................................................59 Meglio la pasta, il riso o le patate?.......................................................................................... 60 Conosciamo i diversi tipi di amido.......................................................................................... 61

Le proteine..................................................................................................................................... 62 Le prime nozioni da sapere...................................................................................................... 62 Le proteine sono tutte uguali?.................................................................................................. 64 Gli amminoacidi non sono tutti uguali.....................................................................................65 BCAA alcuni aspetti da comprendere......................................................................................65 Quante proteine servono per mettere su muscolo................................................................... 66 Massimo 30 g di proteine per pasto?...................................................................................... 69 Le proteine fanno male?.......................................................................................................... 70 Proteine e danno renale............................................................................................................ 71 Proteine e cancro...................................................................................................................... 71 Quante proteine diventano davvero troppe............................................................................. 72 Proteine ed osteoporosi............................................................................................................ 72 Le proteine fanno ingrassare?.................................................................................................. 75 Dieta Mediterranea ed obesità................................................................................................ 76 Il glutine fa male?.................................................................................................................... 76 Igrassi........................................................................................................................................ 79 Le prime nozioni da sapere...................................................................................................... 79 Non tutti i grassi sono stati creati uguali................................................................................. 80 L'assorbimento dei lipidi.......................................................................................................... 89 Il viaggio dei lipidi................................................................................................................... 90 I Grassi fanno ingrassare?........................................................................................................ 95 I Grassi bruciano al fuoco dei carboidrati?............................................................................. 96 I Grassi saturi fanno male?......................................................................................................97 La perossidazione lipidica....................................................................................................... 98 Il colesterolo, chi ha ragione?..................................................................................................99 Ridurre il colesterolo ed i trigliceridi in eccesso................................................................... 101 L'acqua........................................................................................................................................ 102

Le prime nozioni da sapere.................................................................................................... 102 Idratazione e metabolismo..................................................................................................... 103 Hai sete? Mangia. Hai fame? Bevi............................................................................... ...104 Allenamento al caldo ed idratazione...................................................................................... 105 La ritenzione idrica................................................................................................................ 108 La gestione dell’acqua........................................................................................................... 110 Acqua ed elettroliti................................................................................................................. 110 L ’alcol......................................................................................................................................... Ili Le prime nozioni da sapere.................................................................................................... Ili

I micronutrienti........................................................................................................................... 112 Le prime nozioni da sapere.................................................................................................... 112 Il principio della sinergia....................................................................................................... 113 Le vitamine.............................................................................................................................113 Il ferro..................................................................................................................................... 118 Fisiologia e nutrizione............................................................................................................. 121

L'organo adiposo......................................................................................................................... 121

Dove si accumula il grasso..........................................................................................................123 Rivalità adipocita-muscolo..........................................................................................................125 Perché molti atleti muscolosi sono grassi?................................................................................ 127

L'allenamento abbassa il metabolismo...................................................................................... 128

I termometri energetici................................................................................................................129

L’AMPK....................................................................................................................................... 130 Bioenergetica della nutrizione e dell’esercizio fìsico.................................................................131 Evoluzione ed alimentazione...................................................................................................... 135 Il crudismo................................................................................................................................... 137

Il mio gatto si chiama Zeus......................................................................................................... 139 Non è facile ingrassare................................................................................................................140

Perché non dimagrisco................................................................................................................ 141

Gli esami del sangue.................................................................................................................... 143

Il punto di rottura........................................................................................................................ 147 Quando ingrassiamo?..................................................................................................................149

Ingrassiamo ex novo................................................................................................................... 152 La flora batterica...................................................................................................................... 153

Probiotici e Prebiotici................................................................................................................ 155

La permeabilità intestinale......................................................................................................... 155 Colon irritabile e problemi intestinali........................................................................................ 156 Cosa provoca i tumori (le linee guida).......................................................................................157

L'equilibrio acido-base e la dieta alcalina............................................................................... 160 Sonno e cicli circadiani.............................................................................................................162 Gli ormoni e la nutrizione..................................................................................................... 165

Introduzione agli ormoni...........................................................................................................165 Falsi miti a proposito del GH............................................................................................... 167 Testosterone e Cortisolo...................................................................................................... 167 Il cortisolo ed i carboidrati................................................................................................... 169 Cortisolo ed affaticamento surrenale -approfondimento......................................................170 L'insulina................................................................................................................................... 190 La resistenza all'insulina.......................................................................................................192

La sensibilità insulinica............................................................................................................. 195

Glucagone e catecolamine......................................................................................................... 206 Aminoacidi ed insulina/glucagone/GH/IGF-1..................................................................... 207

Tiroide e leptina........................................................................................................................ 207 Adiponectina, grelina ed altro ancora...................................................................................... 208

Il controllo della fame.............................................................................................................. 209

Strategie nutrizionali............................................................................................................. 211 Al gusto ci si abitua.................................................................................................................. 211 L'ordine del pasto..................................................................................................................... 213

La densità energetica................................................................................................................ 213 Quando dimagriamo............................................................................................................ 215 La colazione, facciamo chiarezza............................................................................................. 216

Il segreto dei magri.................................................................................................................. 217

La fame specifica.......................................................................................................................218 La lista della spesa................................................................................................................... 220 Le scelte consapevoli................................................................................................................ 220

Alcuni cenni generali sulle etichette alimentari....................................................................... 223 Reparto frutta e verdura........................................................................................................... 225

Reparto cereali, legumi, pane................................................................................................... 228

Reparto carne, pesce, uova....................................................................................................... 229 Reparto latte e latticini..............................................................................................................230 Reparto condimenti e spezie..................................................................................................... 231

Il caffè........................................................................................................................................ 231

Reparto alcolici......................................................................................................................... 233 Reparto dolci............................................................................................................................. 233

Cibo: conosciamo gli alimenti.................................................................................................... 233

Conclusioni.................................................................................................................................. 237

L’attività fisica e la composizione corporea........................................................................... 239 Attività fisica e composizione corporea...................................................................................... 239

La dieta del campione...............................................................................................................240

Introduzione ai sistemi energetici............................................................................................... 241

Il lavoro contro resistenze.......................................................................................................... 243 Il range ipertrofico................................................................................................................. 243 Il metodo Hatfield.................................................................................................................. 245 P.H.A.T Power Hypertrophy Adaptive Training.................................................................. 247 Monofrequenza o multifrequenza?....................................................................................... 250 Tecniche a.d intensificazione e cedimento muscolare........................................................... 251 Come allenarsi in multifrequenza......................................................................................... 252 L'allenamento a corpo libero................................................................................................256 L'universo femminile.................................................................................................................. 259 Perché molte donne diventano grosse a fare pesi.................................................................. 259 Allenamento al femminile..................................................................................................... 260 Il lavoro aerobico........................................................................................................................262 È meglio il lavoro aerobico o l'HIIT?....................................................................................262 Quando dimagriamo?............................................................................................................. 262 Cos'è lo stato metabolico ..................................................................................................... 262 Come ottimizzare l’attività aerobica per il dimagrimento..................................................... 263 HIIT, dove di solito si sbaglia .............................................................................................. 264 Linee guida per il Crossfit.......................................................................................................... 266

Gli addominali fanno dimagrire?............................................................................................... 269

Dolori articolari cosa posso assumere?..................................................................................... 270 Cosa assumere nel post workout................................................................................................ 271 Il corpo non va in riserva....................................................................................................... 271 Cosa dobbiamo fare?............................................................................................................. 272 I tempi della digestione e dell’assimilazione........................................................................ 272

Il mondo dell’integrazione.......................................................................................................... 274 L'allenamento fa parte della dieta (e viceversa)....................................................................... 277 Le diete degli altri e l’alimentazione vincente........................................................................ 279

15 casi studio............................................................................................................................279 Scenario 1.............................................................................................................................. 279 Scenario 2.............................................................................................................................. 279 Scenario 3.............................................................................................................................. 280 Scenario 4.............................................................................................................................. 280 Scenario 5.............................................................................................................................. 280 Morale della favola................................................................................................................ 280

Periodi di massa e definizione................................................................................................... 281 La dieta per la massa................................................................................................................282

Diete iniziamo a capirci qualcosa............................................................................................ 285 La dieta Mediterranea (rivista dall’istituto diabetici).......................................................... 285 La dieta a Zona.................................................................................................................... 286 Il digiuno intermittente........................................................................................................ 287 Le diete cicliche................................................................................................................... 288 Le diete iperproteiche.......................................................................................................... 289 La chetosi è fisiologica........................................................................................................ 290 La dieta Detox (il digiuno disintossicante)..........................................................................296 La Paleo Dieta.......................................................................................................................297 La dieta Vegetariana e quella Vegana.................................................................................. 299 La dieta vegana per chi pratica sport................................................................................... 300 La dieta dissociata................................................................................................................ 302 La dieta alcalina, del gruppo sanguigno, detox e tutte le altre pseudoscienze.................... 302 Il taglio del peso negli sport da combattimento....................................................................... 303

Naturai Peaking, raggiungere il top della condizione............................................................. 304 La supercompensazione del glicogeno.................................................................................... 311 Alimentazione per il Crossfìl.................................................................................................... 312

Conclusioni............................................................................................................................... 314 Project Nutrition.................................................................................................................. 315

La torta al cioccolato più buona del mondo............................................................................ 316 Il reset metabolico.................................................................................................................... 317 L'allenamento è il fattore che fa la differenza..................................................................... 324

La fase di definizione................................................................................................................ 325 Allenarsi in definizione........................................................................................................ 328 Soffrire la fame.................................................................................................................... 329

La ricomposizione corporea..................................................................................................... 331 La fase di mantenimento........................................................................................................... 337

Questa fine dev 'essere il tuo inizio........................................................................................... 338

Testi consigliati..................................................................................................................... 341 Conclusioni e ringraziamenti................................................................................................ 343 Sommario.............................................................................................................................. 345

Note

Project inVictus Project inVictus è il portale italiano dedicato all'allenamento e all'alimentazione. All'interno collaborano oltre 80 professionisti quali laureati in scienze motorie, medici, nutrizionisti, fisioterapisti, biologi, allenatori ed atleti.

Il portale ha l'obiettivo di fornire al mondo del fitness una visione oggettiva della realtà, senza vendere metodi, diete e marketing. Project inVicuts è l'agorà delle persone che si allenano con la testa, il cuore ed il fegato: uno spazio comune dove ci si incontra, ci si confronta e si cresce tutti assieme. Perché solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere.

Il Libro Project Nutrition raccoglie le esperienze di 25 autori e fornisce gli strumenti per comprendere e capire l'alimentazione umana. Un libro dedicato a chi non vuole cedere ad atti di fede, ma si vuole basare sulla fisiologia, la biochimica e l'endocrinologia.

Un manuale complesso ma nello stesso tempo semplice. Oltre 200 argomenti, 5' di lettura per ognuno. In questo modo il lettore può portarsi a casa un argomento alla volta.

Project Nutrition è lo strumento che vi permetterà di diventare padroni dei concetti e non schiavi delle diete.

Un libro sull’alimentazione che non vi vuole vendere nessuna dieta. La composizione corporea è influenzata da oltre 200 fattori importanti. Non esistono segreti

o trucchi magici. L'omeostasi (lo stato interno) dell’organismo è finemente regolato, quando

adottiamo delle strategie alimentari, alcuni fattori positivi si attivano, ma contemporaneamente anche altri negativi moderano i risultati. Per questo si sente tutto ed

il contrario di tutto. Determinate strategie funzionano bene su alcuni individui, altre, magari opposte, sono migliori per altre persone.

I libri sull’alimentazione si dividono in due grandi categorie, quelli universitari e quelli sulle diete. Questo testo è l’anello mancante, che vi spiega concetti accademici in modo semplice, conciso e chiaro.

Grazie a questo libro avrai una visione su:

• Come migliorare la tua composizione corporea • Come migliorare gli esami ematici e lo stato di salute e Come migliorare la performance • Come allenarsi correttamente in relazione all’alimentazione che si segue • Le conoscenze biochimiche, endocrinologiche e fisiologiche importanti da sapere

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Un libro adatto a tutti quelli che non vogliono più essere preda del marketing delle diete, ma vogliono diventare padroni dei concetti. Perché solo chi conosce sceglie, altrimenti crede di scegliere.

www.projectinvictus.it

ISBN 979-12-200-0559-3

€ 36.90