Prefazione alla traduzione italiana di Ludwig Làndgrebe. Nota introduttiva di Enzo Paci Esperienza e giudizio. Ricerche sulla genealogia della logica pubblicate e redatte da Ludwig Landgrebe

Se è vero che la fenomenologia ha avuto il compito «storico di superare l'idealismo attraverso lo stesso idealismo»

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Prefazione alla traduzione italiana di Ludwig Làndgrebe. Nota introduttiva di Enzo Paci 
Esperienza e giudizio. Ricerche sulla genealogia della logica pubblicate e redatte da Ludwig Landgrebe

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Se è vero che la fenomenologia ha avuto il compito

[selbst da], « presente in carne ed ossa >> [leibhajt da], .in opposizione alla sua mera ri-presentazione, alla vuota rappresentazione eli esso che ha un mero valore di indizio. Un oggetto della percezione esterna, per esempio, è evidentemente-dato, come « esso stesso )), anzi è dato nella percezione effettiva in opposizione alla mera ri-presenta­ zione rappresentativa di esso, o nel ricordo, nella fa:1tasia etc. *. Perciò noi designiamo come midmte ogni atto di co.rcienza che, rigttardo al Sito oggetto, si caratterizza come l'ano che dà l'op,,�etlo, senza chiedere se questo suo darlo come se stesso sia adeguato o n o . In ciò noi ci allontaniamo dall'uso comune della parob evidenza, che di regola viene usata nei casi che, rettamente descrittti, Sl JilO casi di datità adeguata, e, d'altro lato, di intuizion.:: �podittica. Anche qu ando si tratta di idealità e di verità generali, il loro modo di datitl è da noi designato come un darsi da sé. Ma ogni specie di o.gp,elli ha il suo proprio modo del dare da .ré, cioè di evidenza ; e non per ogni oggetto è possibile l'evidenza apodittica, per es. non lo è per gli oggetti spazio-temporali della percezione esterna. Tuttavia anche (Jttcsti oggetti hanno il loro modo del dare da sé originario c quindi il Iom genere d'evidenza.

* Rinunciamo qui a dare una tra> come passività entro l'attività del cogliere. Ciascuno di questi tre gradi della percezione contemplativa ha bisogno di essere analizzato per se stesso. Teniamoci innanzi tutto 1 10

alla prensione schietta. Nonostante la sua schiettezza essa non è per nulla un dato semplice; essa indica in sé una molteplicità di strut­ ture in cui costituisce se stessa come unità temporale-immanente. Poiché non si deve qui trattare anche dei problemi della costitu­ zione temporale (che è la più elementare nell'edificio della sistema­ tica costitutiva) in tutta la loro estensione (cfr. Introduzione, p. 68) essi debbono essere chiamati in causa solo per tanto che sia neces­ sario a comprendere la distinzione tra prensione schietta e contem­ plazione, distinzione che va presa alla sua radice. Come esempio semplice di prensione schietta serve l'audizione di un suono che duri per risonanza. Si tratti di un suono continua­ mente lo stesso che rimane eguale in intensità ed altezza attraverso un decorso temporale e nella continua successione delle fasi della sua risonanza. Esso risuona nelle singole fasi che sono modi di apparizione del suono come oggetto temporale che dura nel tempo e la cui durata s'estende continuamente ad ogni momento. Il suono appare nella forma di un presente concreto, con il suo istante, e con l'orizzonte del suo passato continuo da una parte, e con quello del futuro dall'altra. Questo fenomeno dell'esistenza presente sta nel flusso costantemente originario dall'un « ora » ad un altro « ora » sempre nuovo, legato al cambiamento corrispondente dell'orizzonte che si estende nel passato, e di quello che va verso il futuro. Ora il suono sarà dato per lo più come anche spa­ zialmente localizzato, appreso come risonante in una vicinanza o in una lontananza spaziale ; queste ultime determinazioni si riferi­ scono ad un punto-zero nello spazi@, ossia al nostro proprio corpo verso il quale s'orienta ogni « qua » ed ogni « là». In questo modo il suono è dato passivamente già prima come unità d'una durata. Se ora si perviene ad una prensione attiva (ricettiva) del suono risuonante, allora la stessa prensione è continuamente durevole, dura cioè « fin che » esso risuona, o è percepibile. Poiché la pren­ sione ha luogo sempre in un punto-ora, essa è diretta al suono che, nel suo vivente durare, risuona ora di volta in volta. Ma lo sguardo 111

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prensivo non è diretto alla fase che di volta in volta ora risuona, come se il suono in questo pur solamente momentaneo « ora » fosse senz'altro solamente il suono che vien colto. Cogliere fuori dal resto un tale «ora», una tale fase della durata, come un momento e farne un oggetto per sé, è piuttosto opera di una prensione appropriata e di nuovo genere. Quando cogliamo il suono che continua a durare, in breve « questo suono », noi non siamo di­ retti al presente momentaneo che tuttavia cambia continuamente (la fase che ora risuona), ma mediante esso ed attraverso il suo cam­ biare noi siamo diretti al suono come unità che nella sua es­ senza si rappresenta in questo cambiamento ed in questo flusso di apparizioni. Vista la cosa più da vicino, l'attività prensiva si dirige al suono vivamente presente, come durevole continuamente nel presente, sicché il raggio prensivo primario dell'io attraversa il momento centrale dell'ora originario (verso il momento del suono che appare in questa forma) ; invero questo raggio va verso l'ora nel suo continuo fluente passare, ossia da un ora ad uno sempre nuovo, e perciò verso quel che di sempre nuovo appare nel flusso dei momenti che compaiono originariamente. Nessun ora resta un ora originario, ognuno diventa un « già-passato » e questo ancora passato di un passato ecc. ; il momento in questione, che nel continuo mutare delle apparizioni rimane sempre lo stesso identificandosi passivamente con sé, resta sotto la continua presa attiva. Perciò l'attività modificata del tenere-ancora-sotto-presa attraversa costantemente il continuo dei passati cosi com'esso è incluso nel vivente « ora » ; e l'attività modificata, insieme alla nuova attività originante, è jltJente unità di attività e come tale si trova ad identi­ ficarsi con sé in questo flusso. Una cosa analoga vale naturalmente per il flusso degli orizzonti del futuro che appaiono protenzional­ mente, solo che questi non procedono semplicemente come te­ nuti ancora sotto presa, ma continuamente nella prensione antici­ pante, però sempre con la cooperazione dell'attività del tenere­ ancora-sotto-presa. 1 12

Vediamo perciò che l'attività della prensione di una nota che dura concretamente possiede una struttura complicata fondata sulla regolarità della costituzione della durata vivente, costituzione che procede in una passività tutta propria. Questa struttura appartiene all'essenza dell'attività, considerata puramente come attività. Essa è un'attività continuamente fluente, un corso continuo di attività che sgorga originaria insieme ad una attività che sgorga come se­ condaria * continuamente, attività modificata nel suo orizzonte che ha il carattere del mantenere-ancora-sotto-presa e, dalla parte del futuro, ha il carattere dell'attività, diversamente modificata, di prensione anticipante [vorgreifende ], la quale non sgorga di nuovo originariamente ma si intreccia seguendo insieme con l'altra. Per tanto che in generale ha luogo la prensione attiva del suono e che può a priori aver luogo, quest'attività si trova in una inscindibile unità e nella costante identificazione con sé che ha luogo nella con­ tinuità ; essa è invero, per ciò, atto dell'io, atto che sgorga dall'io. M a entro quest'attività devesi operare l a distinzione tra il raggio attivo che veramente sgorga in maniera continua e la rigida regolarità passiva, che è pure una regolarità dell'attività stessa. Assieme alla prensione attiva scorre parallelamente, in una doppia direzione e fÒrma di modificazione, un'attività modificata che per essenza appartiene alla prensione attiva stessa. Non c'è quindi soltanto una passività prima dell'attività, la passività del flusso temporale originario costituente, che però è soltanto pre-costituente, ma esiste anche una passività che si sovrappone a ciò, la quale è veramente oggettivante in quanto tematizza o con-tematizza gli oggetti. Questa passività appartiene all'atto non come sua base ma come atto ed è come una specie di passività nell'attività. Con ciò si vuol dire che la distinzione tra attività e passività non è una distinzione rigida, che questi due termini non possono * Abbiamo reso cosi la distinzione del testo tra

(N. d T.).

urque/lenà

e

nachquel/enJ

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essere trattati come stabiliti definitoriamente una volta e per tutte, ma questa distinzione è solo un mezzo per descrivere e mettere in evidenza un contrasto, il cui senso deve essere determinato ori­ ginariamente di nuovo a seconda del caso singolo, avuto riguardo alla concreta situazione dell'analisi. Quest'osservazione vale per tutte le descrizioni dei fenomeni intenzionali. Ciò che qui è stato messo in risalto per un caso semplice, vale naturalmente per ogni schietta prensione d'un oggetto che dura nel tempo (inalterato o cangiante, fermo o in moto). Solo sul fonda­ mento di questo mantenere-sotto-presa attivo-passivo l'oggetto può esser colto in una percezione schietta come oggetto che dura, ossia come oggetto che non è solo ora ma che era lo stesso anche prima e che sarà pure lo stesso nel prossimo « ora ». Tuttavia questa descrizione del mantenere-sotto-presa non basta ancora. La sua peculiarità potrà esser messa in netto rilievo mediante la sua po sizione di contrasto con gli altri fenomeni che facilmente si possono confondere con questo.

b) Diversi modi del « tener-sotto-presa » e loro distinzione di contro alla ritenzione. Il fenomeno del mantener-sotto-presa può anche aver luogo quando l'io si rivolge a più oggetti tutti assieme i quali nulla hanno a che vedere l'uno con l'altro ed ognuno dei quali per sé suscita l'inte­ resse, ma in modo che questi interessi non siano connessi. Se questi oggetti appaiono come afficienti nell'unità di un presente della coscienza, e se ancora l'io ne segue dapprima uno, esso può allora in una prensione protenzionale anticipante esser pure rivolto nello stesso tempo ad un altro ; se poi l'io segue quest'altro, il primo non è più allora oggetto di prensione primaria, ma può anche darsi che per ciò non sia lasciato del tutto abbandonato. Esso è ancora « sotto-presa », ossia, dopo che l'io si è rivolto verso l'altro oggetto, 1 14

esso non si trova semplicemente immerso nello sfondo della co­ scienza, nel modo della ritenzione passiva; ma piuttosto l'io vi è ancora diretto attivamente, in maniera modificata. Questo modo dello « ancora-sotto-presa » dev'esser distinto da quello più sopra considerato, ove l'attività modificata si identificava rig11ardo all'oggetto con quella originariamente prensiva. Una tale identificazione naturalmente non si impone qui, sebbene abbia luogo una certa sovrapposizione fondata sulla prensione sintetica dei due oggetti. Di ciò si dovrà ancora parlare (cfr. § 24 b). In queste due specie del « tenere-ancora-sotto-presa » sono possibili ancora ulteriori complicazioni, che qui si tratteranno brevemente. Quando l'io si volge ad un nuovo oggetto, mentre il primo rimane ancora sotto presa, ciò può accadere o in modo che il primo continui a durare, sia dato come ancora durante, o in modo tale che esso stesso non sia dato più originaliter (avendo cessato di risuonare oppure, se si tratta di un oggetto visivo, essendosi estromesso dal dominio del campo visivo), sebbene però, durante il volgersi dell'io al nuovo oggetto, sia ancora mantenuto sotto presa, nel suo andare morendo ritenzionalmente. Il tenere-sottopresa può quindi essere impressionale, come tener-sotto-presa durante la datità durevole dell'oggetto, oppure non-impressionale in quanto continua dopo la cessazione della datità originale dell'oggetto. Al primo appartiene, oltre il caso considerato in a), che è costi­ tutivo per la prensione attiva di un oggetto che dura, anche il caso considerato del tener-sotto-presa un oggetto dato ancora come durante, quando l'io si volge ad un oggetto nuovo. In ambedue i casi è altrettanto possibile che il tener-sotto­ presa non sia impressionale: da un lato, un oggetto non più dato originaliter può ancora esser tenuto sotto presa quando l'io si volge ad un nuovo oggetto, d'altro lato l'io può, dopo la cessa­ zione del darsi dell'oggetto, rimanere rivolto ancora attenzional­ mente a questo stesso nel suo venir morendo ritenzionale. Infatti, riguardo al senso oggettivo, ha luogo una identificazione sintetica 1 15

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tra la prensione attiva nella ritenzione ed il tener-ancor-sotto-presa la durata passata di esso, già prima data impressionalmente. È lo stesso suono « che io ho già udito », cui ora io sono ancora atten­ zionalmente rivolto, sebbene il suono si sia già perduto, come quasi per indovinare « che cosa può esserne stato di quel suono ». Da questa descrizione risulta che il tenere-ancora-sotto-presa, dev'esser distinto, siccome attività modificata, passività nella atti­ vità, dal mantenere della ritenzione, ossia di ciò che spesso si dice anche un « fresco » ricordo. È questa una modificazione intenzionale nei limiti della pura passività; essa si svolge secondo una regolarità assolutamente rigida senza alcuna partecipazione della attività irraggiantesi dal centro dell'io. Essa appartiene alla regolarità della costituzione originaria del tempo immanente *, in cui ogni coscienza impressionale dell'ora momentaneo originale si cambia costantemente nell'aver l'oggetto come ancor consaputo nel modo del poco-fa (ossia dell'ora che è stato poco fa). Ancora questa ritenzione sottostà pure alla modificazione intenzionale e così via. Si vede quindi che la coscienza di un presente concreto include in sé la coscienza di un tratto ritenzionale del passato, e che, quando il presente concreto ha termine, vi si deve annettere un passato ritenzionale concreto e trascorrente. Altrettanto vale ri­ guardo a ciò che sopravviene: ad ogni momento vissuto che capita entro il flusso dei vissuti appartiene un orizzonte di aspettazione originaria, seppur del tutto vuota, di una aspettazione che è innanzi­ tutto puramente passiva (protenzione). Alla coscienza di un presente concreto, dunque, non appartiene solo un tratto ritenzionale del passato, ma altresì il futuro protenzionale seppur del tutto vuoto. Questa regolarità riguarda tutte le datità fenomenologiche, si le datità puramente passive, come gli atti dell'io che compaiono nel corso della coscienza. Anche ogni atto dell'io, per es. ogni atto * Cfr. per ciò E. HussERL, Vorlesungen zur Phiinomenologie des innerm Zeitbewusstseins, edito da M Heidegger, in }ahrbuch fiir Philosophie und phiinom. Forschung, vol. IX, anno 1928. 1 16

di schietta prensione d'un oggetto, compare nel campo temporale come un dato che si costituisce temporalmente. Ora l'atto che sta nel modo di ciò che compare nel suo sorgere originario, in un mo­ mento-ora o in una serie continua di momenti-ora, è per ogni sua fase soggetto alla regolarità della ritenzione e della protenzione anche allor che l'io fa sfuggire l'oggetto dalla presa della sua attività. In tal caso ne deriva una modificazione della attività origina­ riamente scaturente, nel senso di un mantenimento ritenzionale puramente passivo. Ma nel mantener-sotto-presa, invece, l'attività originariamente sgorgante è anche attività modificata, non però nella forma di una mera ritenzione ; le fasi che ritenzional­ mente vengono morendo rimangono piuttosto effettivamente funzionanti, sebbene come porzioni modificate nel concreto d'un atto reale. Ora la ritenzione non è attività « ancora » reale se non in quanto essa è una tale porzione, o detto in senso pregnante, attività effettiva nel modo dello « ancora ». Per ciò pure, nell'inter­ ruzione dell'atto, nonostante la regolarità passiva della protenzione continui ad operare, l'orizzonte del futuro perde il carattere di anticipazione attiva e la protenzione non è più attività effettiva nel modo del pre-afferrare [ V01;greifen ]. Se d'altra parte consideriamo il tener-ancora-sotto-presa nelle sue diverse forme, vediamo che esso si distingue dal fenomeno della ritenzione per il fatto che, come si è mostrato, esso può riguar­ dare tanto le oggettività consapute impressiona/mente che quelle consapute ritenzionalmente, come anche, in generale, le oggettività in ogni modo pos­ sibile della coscienza, proprio come una forma di attività modificata che si riferisce a queste oggettività. Se l'attività si ritrae dalle ogget­ tività e l'io distoglie interamente da esse la sua « attenzione », quindi senza più tenerle sotto presa, esse rimarranno allora nel campo della coscienza come impressioni o ritenzioni o come altri­ menti mai consaputi, e, nell'essere stati tolti, rimaranno ancora come afficienti. Ma allora esse son date in pura passività, nelle loro variazioni intenzionali sottoposte alle leggi di questa. 1 17

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§ 24.

La

contemplazione esplicativa e la sintesi esplicativa.

a) La sintesi esplicativa come luogo d'origine delle categorie « sostrato » e « determinazione »; il compito dell'analisi di queste categorie. 124

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Passiamo ora al grado successivo della attività oggettivante, alla contemplazione esplicativa. Esso si caratterizzò anticipatamente come il dirigersi dell'interesse percettivo alla penetrazione entro l'oriz­ zonte interno dell'oggetto che in pari tempo viene con-suscitato nella sua datità. Ciò vuol dire che, preso il caso d'una esplicazione ininterrotta dell'interesse percettivo, l'io non può restare a lungo in una schietta contemplazione e prensione ; piuttosto è allora Lt tendenza alla contemplazione che spinge oltre. La contempla­ zione che continuamente prosegue linearmente il suo corso diver­ rebbe un mero guardar fisso, se non si interrompesse per mutarsi in una catena di singole prensioni e di singoli atti, in un discretum di passi interrotti che, internamente legati, formano una unità poli­ tetica che riconnette le singole tesi. Le singole prensioni si dispon­ gono in fila dirette alle singolarità dell'oggetto. L'oggetto, ogni oggetto, ha le sue proprietà, le sue determinazioni interne. Tradotto in termini fenomenologici, ogni possibile oggetto in generale, come oggetto di un'esperienza possibile, ha i suoi modi sogget­ tivi di datità ; esso può emergere dal fondo oscuro della coscienza, da dove affetta l'io e lo determina alla prensione attenzionale [aufmerkenden]. In ciò l'oggetto possiede la distinzione del « vicino » e del « lontano » nel campo dell'apparizione, ha i suoi modi di por­ tarsi dalla lontan.mza alla vicinanza, per cui risalta sempre più nei suoi singoli momenti che determinano le affezioni particolari e i volgimenti particolari dell'io. Cada, per esempio, sotto gli occhi l'intera colorazione della sua superficie, la sua forma, quindi un pezzo determinato e rilevante dell'oggetto, come il tetto di una casa e quindi le particolari proprietà di questo pezzo, i colori, la forma ecc. A seconda del genere dei modi di datità dell'oggetto, 1 18

sono più o meno determinate le aspettazioni che cosl vengono suscitate e che si riferiscono a quelle proprietà che se ne mostrano. L'oggetto sta fin dapprincipio in un certo carattere di familiarità; esso è appreso come oggetto di un tipo più o meno vagamente determinato e già in certo modo noto. Per ciò stesso è pre-signata la direzione delle aspettazioni in riguardo a ciò che in una contem­ plazione più vicina risulta delle sue proprietà. Poiché ogni passo dell'esplicazione originariamente intuitiva segue in questo orizzonte di familiarità e non consiste nello schietto portare a datità qualcosa di interamente nuovo, ma nel determinare più da vicino e correggere le anticipazioni, noi ne facciamo innanzi­ tutto astrazione e cerchiamo di metter in rilievo l'essenza generale per la quale il processo della esplicazione · si distingue dal mero contemplare schietto. Solo allora devono esser tratti in conside­ razione i diversi modi in cui si compie l'esplicazione, i quali sono possibili avuto riguardo all'intera concretezza della coscienza d'oriz­ zonte entro cui sta sempre l'esplicazione ; e in tutti questi modi, però, la struttura dell'esplicazione si conserva la stessa. Prendiamo un oggetto, detto S, e le sue determinazioni interne oc, � . Il processo suscitato dall'interesse per l'oggetto S non dà semplicemente luogo alla successione : prensione di S, prensione di oc, � ecc., come se queste prensioni non avessero nulla a che ' fare tra di loro e come se avvenisse un cambiamento dei temi. Il caso è dunque diverso da quello in cui noi, dopo che l'interesse conoscitivo per un oggetto si è indebolito ed è stato sopraffatto da quello per un secondo e poi a.ncora per un terzo oggetto, ci rivolgessimo a questi oggetti che si guadagnano la nostra attenzione mediante la potente affezione che lor corrisponde. Gli è piuttosto che noi, nell'intero processo dei singoli atti che conducono dalla prensione S alle prensioni oc, � , impariamo a conoscere S. Il processo ' è una contemplazione in sviluppo, unità di una contemplazione arti­ colata. Attraverso l'intero processo, S conserva il carattere di tema, ed in quanto noi gradualmente assumiamo sotto la nostra presa ..

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un momento dopo l'altro e una parte dopo l'altra, in tanto questo è appunto un momento, una parte o detto in generale una proprietà o determinazione ; il momento o la parte non è perciò nulla di per sé, ma è qualcosa dell'oggetto S, qualcosa che da esso proviene ed in esso esiste. Cogliendone le proprietà noi impariamo a conoscerlo e conosciamo le proprietà stesse solo come le sue. In questo sviluppo il tema indeterminato S diviene sostrato delle proprietà messe in risalto che pur si costituiscono in esso come sue determinazioni. Ma da che dipende il fatto che l'io nel cogliere oc:, � si rende ' conscio di conoscere in queste proprietà l'S? In che l' oc: è consaputo come in modo diverso dell'S o di un qualsiasi altro S' cui noi ci rivolgiamo dopo di S? In altre parole, che cos'è che rende S un tema continuo, in senso eminente, di modo che gli oc:, , � quando sono colti in fila e così in certo modo diventati anche tematici, sono privi di ogni parità di giustificazione di fronte all'S? Cosi, anzi, essi sono dei puri temi in cui s'esplica conseguentemente l'interesse dominante per S sicché il passaggio ad essi non significa impegnarsi in qualche altra cosa e perciò nemmeno un intiepidimento o inde­ bolimento dell'interesse per S, ma anzi un suo crescente soddisfacimento ed aumento. S i debbono quindi descrivere le funzioni intenzionali che fanno sì che l' «oggetto » dell'esplicazione ci venga in contro nella forma di senso di un « sostrato » e, in forma del tutto diversa, ci vengano pure in contro i momenti esplicati, ossia come proprietà, determinazioni dell'oggetto, sicché noi possiamo parlare della esplicazione, di un dispiegamento dell'S nelle sue determina­ zioni per cui l'S si determini come oc:, come � ecc. ' Il processo dell'esplicazione nella sua originarietà è quello in cui un oggetto dato originaliter vien portato all'intuizione espli­ cante. L'analisi della sua struttura deve renderei chiaro come si compia in esso una doppia formazione di senso : « oggetto come so­ ». L'analisi deve qui mostrare strato » e « determinazione oc: come si compie questa formazione di senso in forma di un processo che si svolge per tratti separati ed attraverso il quale pur si estende •••

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continuamente una unità di coincidenza, che è coincidenza di uno speciale genere appartenente esclusivamente a queste forme di senso. Possiamo anche dire che devesi mostrare il processo di quella « evidenza », nel quale viene originariamente intuito [erschaut] qualcosa come un « oggetto-sostrato » come tale, sostrato di qualcosa come delle « determinazioni ». Ci troviamo qui al punto d'origine della prima delle così dette « categorie logiche ». In senso proprio non si può parlare di categorie logiche se non nella sfera del giu­ dizio predicativo e cioè come di parti di determinazioni apparte­ nenti necessariamente alla forma dei giudizi predicativi possibili. Ma tutte le categorie e le forme categoriali che ivi compaiono si fondano sulle sintesi antepredicative ed hanno in queste la loro origine.

b) Coincidenza esplicativa come modo particolare della sin/esi del so­ spingersi [Ueberschiebung]. Ciò che accade innanzitutto nel processo dell'esplicazione nel passare dalla prensione dell' S a quella dell' oc è una sorta di sospingi­ mento spirituale di ambedue le entità colte. Ma questo non basta affatto a caratterizzare l'esplicazione. Infatti un tale sospingersi delle entità colte è comune all'esplicazione ed a tutti i casi possibili in cui l'io procede in un'azione sintetica da una prensione al­ l'altra entro l'unità connettiva di un interesse. Il sospingere si compie tanto quando una cosa viene ad esser colta prima nella sua indistinta unità e poi in maniera pa'rticolareggiata nella sua forma, nel suo suono, odore e secondo qualunque sua parte emergente, come anche quando una cosa viene ad essere in un primo tempo colta e poi, separata da essa e senza appartenerle come determina­ zione, una forma, un suono, un odore. In ogni tale sintesi, anche quando vengono contemplati unitariamente oggetti del tutto diversi, si compie un sospingimento. L'io funziona come continuame!fte agente attraverso la serie dei singoli passi, ed al secondo passo esso 121

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è ancora diretto all'oggetto del primo passo; si dirige quindi, nonostante la posizione di privilegio del nuovo oggetto colto come primario, in un sol tratto ad ambedue, insieme al nuovo oggetto ed attraverso di esso si dirige all'antico. Ambedue gli oggettl sono insieme accolti attivamente nell'io, l'io indivisibile è in ambedue. Il susseguirsi dei raggi dell'attenzione e della pren­ sione è divenuto un raggio doppio. V'è però una distinzione essenziale tra il caso in cui in questa attività sintetica abbia luogo una sintesi della coincidenza secondo il senso oggettivo, quasi specialmente una sintesi dell'identità, ed il caso in cui ciò non accade. Quando passiamo da un colore ad un suono non ci troviamo in questo caso. Se procediamo da un colore ad un altro, sempre sinteticamente, allora accade sl una sintesi della coincidenza e gli elementi sospinti si identificano nel modo della « eguaglianza » o della « somiglianza ». Prendiamo ora il caso della sintesi tra cosa e proprietà della cosa e, in generale, di oggetto e proprietà d'oggetto; ci si fa allora in contro una sin­ tesi, di carattere interamente proprio, della coincidenza identi­ ficativa. La sintesi rispetto agli oggetti intenzionali che qui capi­ tano singolarmente (dei contenuti di senso posseduti dagli atti singolarmente prensivi) è sintesi di una certa coincidenza identifi­ cativa che procede continuamente attraversando gli atti netta­ mente risaltanti. Questa coincidenza esplicativa, come vogliamo chiamarla, non dev'essere scambiata con la totale coincidenza identificativa riguardo al senso oggettivo, la quale ha luogo quando noi passiamo sinte­ ticamente da una rappresentazione dell'oggetto (modo di datità dell'oggetto) ad un'altra sempre dello stesso oggetto ed in ciò la identifichiamo con se stessa. Una tale coincidenza appartiene, per esempio, ad ogni percezione di cosa che procede continua­ tamente, come sintesi continua delle molteplici apparizioni can­ gianti effettuata nella coscienza della stessa cosa (di ciò che è con­ tinuamente uno). Simile coincidenza si ha anche in ogni sintesi 122

identificativa discreta di intuizioni sensibili, come è il caso della percezione e del ricordo di una stessa cosa. Nel caso della coin­ cidenza esplicativa v'è però un'identificazione del tutto diversa ed assolutamente di proprio genere, in cui si connettono in modo singolare continuità e discrezione. Il sostrato e la determinazione sono originariamente costitultl nel processo dell'esplicazione come membri correlati di un tipo di coincidenza. In quanto l'ex è consaputo come determinazione, esso non è consaputo come la stessa cosa di S, ma nemmeno come qualcosa di assolutamente altro. In ogni determinazione che esplica S c'è l'S in una delle sue particolarità, e nelle diverse determinazioni che hanno luogo come esplicati esso è lo stesso, anzi lo stesso nelle diverse particolarità come proprietà sue.

c) Il consemar-sotto-presa che ha luogo nella esplicazione di co11tro a quello della prensione schietta. n carattere proprio della coincidenza esplicativa verrà chiaramente alla luce se lo poniamo in contrasto con la prensione schietta. Quando usiamo una prensione schietta, senza ancora la contem­ plazione esplicativa, per esempio quando siamo rivolti per un momento prensivamente ad un oggetto che dura nel tempo, senza distinguere in esso qualcosa di particolare, questa prensione è un fare-dell'-io, una spontaneità che scaturisce originariamente del polo-io. Qui noi distinguiamo l'afferrare attivo che si insedia in maniera discreta e il mantenere fermo in cui il primo trapassa. L'afferare è lo sgorgare originario dell'attività prensiva dell'io, sgorgare che si prosegue costantemente. Passiamo ora alla prensione parziale. Consideriamo per esempio una catinella di rame; il nostro sguardo la « percorre » e rimane per un momento attaccato alla sua rotondità, ma alla rotondità che risalta in una posizione, aberrazione della rotondità regolare.

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Dopo, lo sguardo salta ad un'estesa posizione di lucentezza e pro­ cede così di un certo tratto, seguendo il cambiamento della lucen­ tezza, e sottentrano le bugne sì che il gruppo delle bugne è rile­ vato unitariamente, noi le percorriamo singolarmente con lo sguardo ecc. In tutto ciò noi siamo di continuo diretti all'oggetto intero, noi lo abbiamo colto e lo manteniamo come sostrato tematico. Mentre noi cogliamo una ad una le sue singolarità, compiamo sempre nuovi volgimenti attivi particolari e prensioni, che fanno distintamente emergere l'oggetto colto. Queste prensioni parti­ colari sono naturalmente, al pari della prima prensione, schietta delle « attività », in senso propriamente attivo. Quando ora noi usiamo una prensione parziale, che cosa ne è, durante questa prensione, della prensione totale, della prensione della bacinella? Essa rimane pur sempre quella che noi « contem­ pliamo ». Noi vi siamo sempre rivolti prensivamente, ma le pren­ sioni particolari si identificano con quella totale in modo che in ognuna di quelle parziali cogliamo il tutto poiché questo comprende la proprietà entro la coincidenza ed è consaputo in questo suo comprendere. Ma qui si riaffaccia la distinzione che noi abbiamo fatto valere nel caso della prensione schietta, tra la prensione origi­ naria da una parte e il mantenere-ancor-sotto-presa dall'altra. Nel primo coglimento dell'intero, senza considerazione delle sin­ golarità, una corrente originaria di attività, scaturente dall'io, procede verso l'oggetto unitario indistinto. Quando si pone in azione la contemplazione esplicativa, una nuova corrente di atti­ vità originaria procede verso le relative proprietà, Invece l'atti­ vità scaturente all'inizio non resta conservata né, in questa forma origimria, è più diretta all'intero. Appena comincia la contempla­ zione esplicativa, quell'attività ha manifestamente cambiato il suo modo intenzionale ; tuttavia noi siamo e rimaniamo ancora prensi­ vamente diretti all'intero oggetto, che è proprio oggetto di contem­ plazione, ma non c'è qui la permanenza della prensione attiva dell'intero, nella sua forma originaria ed originariamente vivente, 124

sibbene il mantenersi dell'attività in una modificazione intenzionale, quella appunto del tener-ancora-sotto-presa. Lo stesso vale nel caso in cui si passa da un esplicato a quello ad esso prossimo. Quel momento che non è più colto parzialmente all'istante ma che è stato già colto, è mantenuto ancora sotto presa nel passaggio ad un nuovo passo attivo. Questa presa che mantiene, la presa nel modo dello « ancora », è una condizione perdurante di attività e non un cogliere o una prensione che procede continua­ mente attiva. Come anche nel caso della schietta contemplazione, questa presa nel modo del mantenere può essere più o meno sicura, e cosi anche allentarsi, oppure essere lenta e divenir di nuovo sicura. Ma può anche cessare del tutto ; allora l'oggetto vien lasciato sfuggire, sfugge alla presa. Non v'è più bisogno di riflettere particolarmente ancora sul fatto che, nel caso considerato del­ l'esplicazione, si tratta di un tener-sotto-presa impressionale. Proprio come avviene nella schietta prensione continua, ha luogo dunque ad ogni passo dell'esplicazione un tener-sotto-presa il so­ strato. Ma questo tener-sotto-presa si distingue totalmente da quello che è anche presente nella prensione schietta. Cioè l'apprensione dell'oggetto, che si mantiene nel fermo tener-sotto-presa il sostrato assume entro di sé gradualmente tutte le particolarità emerse: il tener-sotto-presa l'oggetto che sta nell'esplicazione non è un aver­ nella-presa contenutisticamente inalterato, quindi un aver-ancora­ sotto-presa qualcosa di identico «.nel modo in cui » era consaputo prima di questo atto, ma è piuttosto sempre nuovamente diverso in virtù delle coincidenze parziali sempre nuove. I singoli affer­ ramenti non si cambiano in mere prese particolari mantenenti, come è nel caso del mantenere-ancora nella contemplazione schietta o nel passaggio ad un nuovo oggetto, ma questi singoli afferramenti si mutano nelle modiftcazioni della presa totale, e rispettivamente nell'arricchimento del suo contenuto. 125

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Nelle chiarificazioni fin qui considerate è incluso il fatto che genere del mantenere-ancora l'S è essenzialmente diverso da quello del mantener-ancora gli ot, �· Da un lato noi abbiamo la costante attività scaturente dell'afferramento ponente e dell'attuale mantener-nella-presa, che è un prendere ed aver-nella-presa con­ tinuatamente procedente, finché cominci l'esplicazione ; dopo, abbiamo l'attività modificata del mantener-ancora-sotto-presa se­ condario. In ambedue le forme, confluenti in stabile unità, l'io attivo è e rimane continuamente diretto all'S. Dalla parte degli esplicati i fenomeni sono invece altri. Anche qui si muta l'attività ponente che procede sgorgando ed in cui un esplicato viene a pren­ sione originaria e permane per il suo tempo quando viene colto un nuovo esplicato. Anzi quello non vien lasciato cadere, ma ri­ mane in valore durante l'intero processo. Perciò noi diciamo anche qui che esso rimane ancora nella presa. Ma questo rimaner-mante­ nuto ha la sua origine esclusiva nella già descritta intenzionalità della coincidenza attiva, conforme a cui un esplicato ed ogni espli­ cato ulteriore vengono assunti in S come parti determinanti, per­ sistendo come sedimentazione che da ora innanzi determinerà il senso dell'S. Dopo l'esplicazione dell'ot, l' S è l' Sot, dopo la comparsa del � è l'(Sot) � ecc. Perciò gli ot, �. ecc. non sono più colti né pri­ mariamente né secondariamente e l'io non vi è diretto più in maniera specifica ; ma esso è diretto all'S che porta in sé gli ot, � ecc. come sua sedimentazione. Vediamo per ciò che un'intenzionalità di esplicazione è costantemente in moto, mutandosi internamente in maniera continua, e tuttavia consistendo in un discretum di passi, attraverso l'intenzionalità dei quali sussiste pure una certa continuità. Questa è sintesi costante della coincidenza che riguarda tanto i contenuti delle apprensioni quanto le attività stesse; l'attivo cogliere ed esser diretti allo « intero », o, detto più esattamente, al sostrato S, è diretto « insieme » implicitamente agli ot, ... ; all'« ap­ parire }} dell'ot, l'S viene colto ed esplicato « in riguardo }} ad ot.

il

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d) Esplicazione e prensione di pluralità. Dopo che ci siamo assicurati di questa proprietà che il processo dell'esplicazione possiede, ci è ora facile metterlo in risalto di fronte ad una specie affine di sintesi, che deve esserne però rigorosamente distinta ; questa specie di sintesi è quella che ha luogo nella pren­ sione di una pluralità. Certo anche di una pluralità, per esempio di un gruppo di stelle, di un gruppo di macchie colorate, può farsi un tema unitario sulla base di una rilevanza unitaria e di una affe­ zione unitaria ed in modo tale che riceva una esplicazione nei sin­ goli elementi oggettivi come parti determinanti. Non abbiamo allora di fronte che un caso speciale dell'esplicazione. Il caso li­ mite ideale è quello in cui la pluralità viene colta come un tutto unitario mentre manca ogni appercezione della pluralità come pluralità. Il caso normale è però quello in cui già in precedenza l'unità configurativa viene appercepita come esistente in pluralità, come pluralità di oggetti ed in cui questa appercezione viene « attuata ». Ciò vuol dire che l'emergere di ciò che esiste in pluralità non con­ duce l'io a volgersi in maniera oggettiva ed unitaria; sono piut­ tosto i singoli membri della pluralità che suscitano fin dapprincipio l'interesse e divengono tosto singolarmente tematici, singolar­ mente però, non tuttavia separatamente, ma in quanto si connet­ tono tematicamente, in quanto, cioè, l'interesse segue l'eguaglianza o somiglianza, che è già associante nello sfondo, insieme agli altri momenti della associazione configurativa, ed ogni interesse singolo, mediante un tipo di coincidenza d'interessi, non torna solo a pro­ fitto di ogni nuova singolarità, estendendosi su di questa, ma anche di ogni cosa precedentemente colta, rimanendovi annesso. In quanto l'interesse si soddisfa singolarmente e spinge oltre verso nuove singolarità, sorge ora un processo unitariamente attivo in cui ogni che già colto rimane ancora nella presa, sicché di fatto non sorge soltanto una successione di attività ma una unità 127

1 35

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di attività persistente attraverso questa successione. L'attività in decorso si muove qui costantemente verso il sottofondo persistente della pluralità che continuamente appare in configurazione unitaria; quindi noi abbiamo in certo modo anche qui a che fare con pren­ sioni parziali al di dentro di un intero coscienziale. Ma per quanto oltre si estenda l'analogia con il caso della esplicazione di un oggetto singolo e per quanto ciò che noi abbiamo mostrato fino in fondo, nel processo in cui una pluralità trascorre, valga nell'essenziale anche per l'esplicazione della nostra sfera, v'è tuttavia una differenza essenziale che salta agli occhi. All'espli­ cazione appartiene l'oggetto tematico che viene esplicato e che in essa assume il carattere di sostrato per i suoi esplicati. Nel caso attuale però la pluralità, per tanto che appare in modo originaria­ mente intuitivo come configurazione unitaria, non è affatto lo scopo dell'attività (in senso attivo), non è scopo di una presa di conoscenza nell'esperienza. Essa non è afferrata fin dapprincipio e non è ancora nella presa nelle prensioni singole ; nel processo di queste ultime non sottentra quella identificazione di genere tutto proprio che chiamammo coincidenza esplicativa, alla quale partecipano le atti­ vità dei due lati. È anche chiaro che le singole attività che stanno nel corso della pluralità, proprio per questa ragione, non traggono la loro unità da uno stesso principio, come le attività della espli­ cazione. In generale, nel processo della pluralità l'unità della attività non risulta dalla attività, ma da un collegamento derivante dalle fonti della passività. Quando insieme a questo percorso ha luogo una com­ prensione attiva, la cosa sta certamente in maniera diversa. Ma allora l'attività collegante è interamente diversa da quella che dà unità all'esplicazione. È un'attività di grado superiore della quale bisognerà ancora parlare più tardi, una spontaneità cioè, in cui la pluralità si costituisce come oggetto proprio, come « insieme » *. Ma nella esplicazione come tale noi non facciamo alcuna vera com-prensione * 128

V. più oltre al § 59.

degli esplicati ; c'è qui bisogno di un interesse particolare di nuovo genere per portare a compimento l'esplicazione anche nella forma di una esplicazione che concatena collettivamente gli esplicati. Tuttavia per l'esplicazione presa nel suo corso normale una tale com-prensione collettiva non è necessaria. Essa ha già la sua unità mediante il fatto che l'oggetto è continuamente il suo tema e rimane co­ me tale nella sua presa, in un'attività modificata del genere descritto.

§ 25.

Il sedimento abituale della esplicazione. !.o mersi ».

«

impri­

Così si è descritto il processo deU'esplicazione quale si compie in originaria intuitività. Questa originarietà non significa certo mai il semplice cogliere ed esplicare un oggetto interamente scono­ sciuto, che ha luogo la prima volta; il processo che si compie i n originaria intuitività è sempre attraversato dalla ant'icipazione poiché sempre vien cointenzionato appercettivamcnte di più eli quanto venga effettivamente a datità nell'intuizione, proprio perché ogni oggetto non è nulla di isolato per sé, ma è sempn: o.f!..f!.etlo nel suo orizzonte di familiarità e pre-conosciutezza tipiche. Ma questo orizzonte è continuamente in moto ; ad ogni nuovo passo di prensione intuitiva seguono nell'orizzonte, nuovi tracciati determi nazioni prossime e correzioni dell'anticipato. Nessuna prensione è qualcosa di puramente momentane'o e di passeggero. Certo, in quanto essa è un certo momento vissuto della prensione del sostrato e di quella dell'esplicato, ha, come ogni momento v i ssuto, il suo modo di presentarsi originariamente nell'ora in cui è incluso il suo graduale sprofondare nei modi non-originari corrispondenti, quali l'infievolimento ritenzionale ed in fine l'immersione nel passato completamente vuoto, morto. Questo momento vissuto stesso con l'oggettivo che è in esso costituito può essere « dimenticato » ; 129

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ma perciò non è affatto scomparso senza lasciar alcuna traccia, ma è divenuto semplicemente latente. Esso è, per ciò che vi si è costituito, un posseuo abituale sempre pronto ad essere ri-suscitato attualmente per associazione. Ad ogni passo della esplicazione si forma un sedimento di conoscenza abituale nell'oggetto della prensione che prima era indeterminato, ossia preconosciuto in modo vago di orizzonte, determinato anticipatoriamente. Dopo che il processo dell'esplicazione che sta nel modo della origina­ rietà è trascorso, l'oggetto, anche quando si è immerso nella passi­ vità, resta costituito come determinato dalle relative determinazioni. Esso ha accolto in sé come sapere abituale le formazioni di senso costituite originariamente negli atti della esplicazione. Cosi ogni penetrazione contemplativa d'un oggetto ha in questo un risul­ tato permanente. L'operazione soggettiva compiuta permane abi­ tuale all'oggetto come oggetto intenzionale. Da ora in poi il sog­ getto relativo vede l'oggetto, anche quando questo ritorna a lui dopo interruzione nelle dati à d'esperienza e nelle datità in gene­ rale, come oggetto conosciuto di quelle determinazioni che le prese di conoscenza esplicative vi hanno attribuite. Ciò vuol dire che la nuova presa di conoscenza, anche quando non si compie solo nel ricordo ma ha dato l'oggetto originariamente e quindi secondo la percezione, ha un contenuto di senso essenzialmente diverso di quello delle percezioni precedenti. L'oggetto è dato­ prima con un nuovo importo di senso, esso è consaputo col suo orizzonte, certamente vuoto, di conoscenze acquistite ; il sedimento della produzione attiva di senso, della precedente attribuzione di una determinazione, è ora parte componente del senso di appren­ sione che la percezione possiede, pur quando non viene effetti­ vamente esplicato di nuovo. Ma quando si procede ad una espli­ cazione rinnovata questa ha allora il carattere di ripetizione e riat­ tivazione del « sapere » già acquisito. Questo divenir abituale del risultato di una prensione origi­ nariamente intuitiva si compie secondo una regolarità generale 130

del vivere coscienziale, per cosi dire senza nostra aggiunta, e quindi anche laddove l'interesse si applica una sola volta ad esplicar l'oggetto ed è passeggero, e l'oggetto vien forse completamente « dimenticato ». Ma si può tendere anche volontariamente ad una tale fondazione d'una abitualità. Noi diciamo allora che l'interesse è diretto a ritenere l'oggetto della percezione, ad appropriarselo, ad imprimerlo. Di frequente questo interesse darà occasione a ripe­ tere il corso della sintesi esplicativa ed innanzitutto come a con­ templare più volte l'oggetto nella sua presenza originaria, ma poi anche eventualmente a ripetere il cammino dell'esplicazione nel ricordo fresco. Noi dovremo ritornare su questo caso (cfr. § 27). Le proprietà che emergono nell'esplicazione diventano tlelle note e l'oggetto come un intero è colto e mantenuto come unità di note. L'interesse non si distribuisce qui in misura eguale a tutte le proprietà che emergono ; lo sguardo inclina invece a particolari determinazioni che fanno impressione, mediante le quali un oggetto di una certa tipica determinata, ossia un certo oggetto indi­ viduale, si distingue da altri oggetti di tipo eguale o affine. Di un uomo, per esempio, ci colpisce la gobba, gli occhi strabici, che noi ci imprimiamo come una caratteristica particolare per potere poi rivolgerei di nuovo ad esso entro un gruppo di altri uomini. Se quindi l'interesse non si soddisfa con una semplice e fuggevole presa di conoscenza, ma si dirige all'imprimersi di una im­ magine percettiva, allora esso, dopo un primo corso esplicativo delle proprietà, rileverà nella ripetizione, da tutto l'insieme delle proprietà, quelle date caratteristiche c! su di esse volgeràprincipalmente lo sguardo. Per lo più ciò sarà accompagnato passo passo da una predicazione, da un processo cioè che sarà da noi ulteriormente esaminato. Ma anche senza alcuna predicazione, nella mera con­ templazione esplicativa, è possibile quello imprimersi, che è la tendenza dell'interesse verso l'atto del notarsi qualcosa. La con­ templazione diviene allora una contemplazione insrstente in cui l 'interesse percettivo si dirige, entro la molteplicità delle quiddità 131

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che emergono nella esplicazione, a quelle quiddità che scono in maniera particolare e che sono caratteristiche.

§ 26.

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ci

colpi­

L'esplicazione come il render-distinto * l'appercepito nella maniera dell'orizzo11te ,· sua distinzione di contro al render-distinto analiticamente.

Questa formazione di abitualità ad ogni passo dell'esplicazione, ossia l'imparare a conoscere l'oggetto nelle sue proprietà, non è solo qualcosa che riguarda queste proprietà stesse ma gli è piuttosto che con ciò è pre-signata in pari tempo una tipic-., s ul fonda­ mento della qmle, e mediante il trasferimento appercettivo, anche altri oggetti Ili specie simile appaiono fin dapprincipio come oggetti di questo tipo in una precedente familiarità e sono anti­ cipati nella maniera dell'orizzonte. Ma tutto ciò è stato già consi­ derato introduttivamente (v. sopra, pp. 30 sgg). Ad ogni passo della prem.ione originaria e dell'esplicazione di un ente si muta l'orizzonte di ciò che è esperibile nella sua totalità; si formano nuove determinatezze e nuove familiarità che dànno la lor dire­ zione e presignazione alle aspettazioni appercettive annesse alla datità di nuovi oggetti. In riguardo a ciò, si può anche caratteriz­ zare ogni esplicazione, in quanto si compie in originaria intuiti­ vità come esplicazione di un nuovo oggetto esperito, siccome distinzione e chiarezza, determinazione più particolare di ciò che è indeterminato nella forma di orizzonte e quivi implicito. Ogni esplicazione vera e propria ha il carattere internazionale di una esplica­ zione che soddisfa l'intenzione de/l'orizzonte (come anticipazione VI(Ota), e la sviluppa in una serie di momenti determinati per i quali, par* Il testo ha :

Verdeut/ichung. Il tedesco rende tradizionalmente con e parole dello stesso tema la « distinctio » cartesiana del • Clare ac distincte percipere ». In italiano conviene quindi rifarsi al termite classico di « distii17.ione ». (n.d.t.) Deutlicbkeit

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tendo da certe proprietà sconosciute, si vengono a determinare quelle corrispondenti che da ora in poi sono conosciute ; questa conoscenza ha luogo nel modo della distinzione di ciò che è inde­ terminatamente implicito nell'orizzonte. E appunto in virtù del­ l'apprensione dell'oggetto (e anche di altre apprensioni di esso secondo la regione, il genere, il tipo ecc.) questa implicazione ha conservato un senso particolare, il senso di una cosa che già prima, ma « indeterminatamente », « vagamente », « confusamente » era inclusa in quell'apprensione ; l'esplicato messo in evidenza è l'ele­ mento chiarificativo di una confusione correlativa. Coincidendo con l'oggetto appreso (appreso anche nel suo tipo) esso è circondato da un orizzonte di residui di confusione che si deve ulteriormente chiarire. La chiarezza, sebbene sia sempre un soddisfacimento, e il mostrar-se-stesso di ciò che prima era presignato e prcinteso in maniera vuota, non è mai un puro e semplice darsi Ja sé, come se la presignazione fosse tanto ampia che il senso presignato fosse già preinteso in determinatezza assoluta e dovesse solo passare alla chiarezza del « se stesso ». Anche quando l'oggetto è « completa­ mente » conosciuto, questa completezza non corrisponde alla sua forma ideale. Il preinteso in maniera vuota ha una sua « genericità vaga », una sua indeterminazione aperta che si riempie solo nella forma della appropriazione [ Nahcrbestimmung ]. Al posto di un senso pienam::nte determinato c'è dunque un vuoto confine di senso che però non è quasi pur esso colto come un senso preciso. La sua ampiezza, caso per caso molto diversa (che è quella di oggetto in generale, cosa dello spa�io in generale, uomo in genere ecc., a seconda del modo in cui l'oggetto è anticipatamente colto) non si rivela che nei soddisfacimenti (o riempimenti) Ji senso e solo dopo di ciò può essere delimitata in certe proprie azioni in­ tenzionali (di cui qui non si parla) e colta in concetti. Il soddisfa­ cimento schietto opera quindi, mediante la chiarificazione, anche un arricchimento di senso. Quando ora un oggetto appreso col suo orizzonte viene ad esplicazione, quest'orizzonte si vien chia133

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rendo ad ogni passo attraverso una identificazione che soddisfa le intenzioni, ma si tratta di una chiarificazione che è solo « parziale ». Detto in maniera più chiara: l'unità indistinta dell'orizzonte, unità originariamente del tutto vaga, mediante il soddisfacimento si rimette all'esplicato che volta a volta viene alla luce e che chia­ rifica l'orizzonte, in una chiarificazione che è certo solo parziale poiché rimane un orizzonte residuo non chariftcato. L'S che è stato ora determinato come p ha pure un suo orizzonte, sebbene cam­ biato, il quale, in virtù del continuo coincidere dell'S con sé, è quell'orizzonte di prima del tutto indeterminato che non è chia­ rificato dal p. Perciò l'esplicazione progressiva è chiarificazione progressivamente soddisfacente di ciò che è inteso vagamente nel modo d'orizzonte. Essa si rappresenta sempre come il dispiegamento pro­ gressivo dei momenti particolari dell'S ora prodotti come deter­ minazioni in cui S esiste distintamente ; d'altra parte però questa esplicazione è pure la chiarificazione che dà soddisfacimento agli orizzonti vuoti sempre nuovi che sono come delle sempre nuove formazioni residue dell'orizzonte originario. L'S è pur sempre l'S di una ed una stessa « apprensione », consaputo come sempre lo stesso nell'unità di un senso oggettivo, ma nel continuo cambiarsi dell'apprendere, in una sempre nuova relazione di pieno e vuoto della apprensione che nel processo prosegue come dispiegamento dell'S, dell'S come è in se stesso, esplicando questo stesso S. In ciò la chiarificazione progredisce sempre anche come determinazione più precisa o meglio come distinzione, poiché qui la parola « deter­ minare » ha un senso nuovo. È solo la chiarificazione effettiva che in una distinzione delimitata mostra ciò che era preinteso. Se in tal modo ogni esplicazione può essere riguardata come distinzione, bisogna però ricordarsi che l'espressione comune di distinzione ha un senso terminologicamente diverso. Infatti questo concetto di « distinzione » non deve essere scambiato con quello che viene preso in senso proprio, ossia con la distinzione analitica, che per altro rappresenta sempre un genere di esplicazione, ma 134

come esplicazione nella coscienza vuota, mentre noi nella nostra consi­ derazione ci muoviamo sempre nel dominio della intuizione. Di distinzione analitica noi parliamo a proposito di ogni giudizio, di ogni intenzione di giudizio come intenzione predicativa. Una intenzione giudicativa può essere confusa e pur venire « distinta » secondo ciò che in essa è inteso ; allora diviene un giudizio esplicito « autentico ». Questa distinzione è interamente possibile al di dentro della coscienza vuota. Ciò vuol dire che ciò che è inteso nel giudizio non deve di necessità essere dato intuitivamente, bastando che l'intenzione del giudizio sia compiuta chiaramente come tale *. Oò dipende dal fatto che il giudicare predicativo possiede una in­ tenzionalità fondata. Più oltre questa intenzionalità dovrà essere indagata in modo più preciso. Qui dobbiamo contentarci di queste indicazioni, poiché provvisoriamente la sfera ante-predicativa ci resta ancora presignata come contorno delimitante. Pertanto devesi ancora notare che la distinzione analitica, presa come tale nella coscienza vuota, non è altro che un caso particolare di una modificazione che ogni coscienza vuota in generale può subire.

§ 27. Modi ortgmari e non ortgmart m cui compiesi la espli­

cazione. Esplicazione nella anticipazione ed esplica­ zione nel ricordo. .

Si riponga l'attenzione sul costante intrecciarsi del processo esplicativo nella sua originarietà con le anticipazioni e, d'altro canto, sulla fondazione di abitualità, seguente ad ogni passo della esplicazione ; si potranno allora distinguere i seguenti modi in cui si compie l'esplicazione : * V.

per ciò anche « Logica », § 16 a, pp. 49 sgg.

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1°) Il punto di partenza non è qui costituito naturalmente dalla esplicazione originaria in cui un oggetto vien determinato in­ teramente di nuovo. Esso è invece sempre appreso in precedenza, come abbiamo visto, appercettivamente in maniera determinata, come oggetto di un certo tipo particolare. Il senso dell'appren­ sione implica in anticipo delle determinazioni che non sono an­ cora state esperite in questo oggetto ma che però hanno un tipo noto in quanto rimandano ad analoghe esperienze precedenti di altri oggetti. Si dànno per ciò modi diversi di coincidenza sintetica tra ciò che è anticipato e l'esplicato che si dà ora da sé nella intuizione, a seconda . che si tratti semplicemente di confermare ciò che è stato aspettato in modo interamente determinato, o anche di deludere una pre­ signazione anticipatoria determinata nel modo del « non così, ma altrimenti », oppure che invece (ed è questo il caso degli oggetti an­ cora interamente sconosciuti) l'anticipazione sia cosl indeter­ minata che le aspettazioni sono dirette solo a qualcosa di nuovo a venire, ad « una qualche proprietà » ecc. Infatti non c'è qui posto, a parlar rigorosamente, né per una conferma né per una delusione. Quel soddisfacimento che avviene con l'autodatità dell'oggetto è si una conferma, ma solo in quanto è proprio dato qualcosa e non un niente. 2°) Ma può anche darsi che un oggetto, prima ancora di esser dato, sia esplicato anticipativamente sul fondamento di una sua raf­ figurazione intuitiva nella fantasia, ove sono sempre in giuoco dei ricordi dell'oggetto dato in passato di tipo eguale o simile. Questo accade di frequente specialmente quando si trapassa dalla mera distinzione analitica di un giudizio predicativo alla sua « chiarifi­ cazione » intuitivizzante. Come chiarificazioni che producono in intuizione possono qui servire tutti gli altri modi di esplicazione enumerati * * 136

V. per ciò,

op. cit., §

16

c.

3°) Un'altra cosa ancora è il ritornare ad un oggetto già esplicato e, sotto questa condizione, l'eventuale dispiegamento dell'oggetto, già prima determinato, nelle sue determinazioni. Ciò che è implici­ tamente noto diviene ancora una volta esplicito e quindi portato ad una conoscenza di nuovo attualizzata. In un tale ritorno ripe­ titivo [Wieder-zuruckkommen] si debbono distinguere parecchie mo­ dificazioni possibili : a) L'oggetto già esplicato viene esplicato rinnovatamente, quale esso ci sta di fronte nel modo del ricordo e per ciò in pari tempo percepito di nuovo, nel modo in cui ciò è possibile per gli oggetti dell'esperienza esterna. L'esplicazione che si effettua nel ricordo viene sinteticamente a coincidere con i passi della percezione rin­ novata che portano all'individuo, e si conferma in questa perce­ zione. Noi ci persuadiamo di nuovo come l'oggetto è e rimane immutato, quando cioè abbiamo delle prese di conoscenza nuove ed originarie ed in pari tempo delle ripresentazioni al ricordo delle antiche. b) Ma può anche essere che si torni indietro nel ricordo ad un oggetto prima esplicato, senza che questo sia di ·1zuovo dato nello stesso tempo in una percezione. Ciò può accadere in due modi : o si torna col ricordo indietro ad un oggetto già esplicato con una sola presa, in un ricordo relativamente non chiaro, di mo­ do che l'oggetto vi stia diversamente che come un oggetto ricordato che prima non fosse stato mai esplicato ; infatti esso possiede già il suo orizzonte ricordativo per cui gli è possibile entrare di nuovo nelle determinazioni già conosciute ; oppure i passi dell'esplicazione precedente vengono ricom­ piuti nel ricordo nuovamente ed articolatamente, e tutto ciò che prima era dato ricordativamente vien portato a ri nnovata datità intuitiva, ricordativamente immaginificata [verbildlichten ]. L'esplicazione che così si compie nel ricordo ha naturalmente proprio la stessa strut­ tura, riguardo al passaggio dal sostrato alle determinazioni, o ri­ guardo al diverso tener-sotto-presa ecc., che ha una esplicazione 137

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effettuantesi nella percezione ; solo che in tal caso si tratta di un tener-sotto-presa non impressionale. 40) Quando noi parliamo della esplicazione che ha luogo nel ricordo si può in tal modo intendere pure qualcosa di diverso. Un oggetto può essere stato dato in una presa originalmente percet­ tiva e può ora esser fatto passare all'esplicazione mentre non è più esso stesso dato. Noi gettiamo per esempio uno sguardo fug­ gevole ad un cancello mentre camminiamo e solo quando siamo passati ci rendiamo chiaro « tutto ciò che vi abbiamo propriamente veduto ». Questa è una esplicazione nel ricordo sul fondamento di ciò che venne dato prima originalmente in schietta prensione. Ora ciò viene esplicato adesso originalmente, sebbene non in una autodatità. Una modificazione ulteriore di questo caso si ha quando lo oggetto rimane dato in modo originalmente percettivo durante un tratto della esplicazione in corso, dopo il quale tratto però cessi la sua datità percettiva, sebbene l'esplicazione proceda ancora oltre nel ricordo. Si tratta, per cosi dire, di una combinazione dell'ul­ timo caso con quello considerato al numero 1 . In tutti questi casi, i n cui s i tratta dell'esplicazione nel ricordo, ci si deve ancora mettere a considerare che le intenzioni di orizzonte suscitate sempre in precedenza già al primo venir dato dell'oggetto, sul fondamento della sua conosciutezza tipica, le quali appartengo­ no all'essenza di ogni esplicazione, dànno qui occasioni a partico­ lari possibilità di illusioni, in quanto che, come ricordo di ciò che è stato dato in modo veramente originario, vien tenuto ciò che in verità non è altro se non una figurazione anticipatrice sul fonda­ mento della familiarità tipica.

138

§ 28.

L'esplicazione a strati molteplici e la relativizzazione della distinzione tra sostrato e determinazione.

L'analisi precedente ha operato semplificando schematicamente il processo della esplicazione, poiché si sono portati alla considera­ zione solo le esplicazioni che procedono linearmente senza rami­ ficazioni. È ora tempo di togliere questa semplificazione per ele­ varsi alle forme più complicate, ossia alle esplicazioni ramificanti ove i concetti di sostrato e di determinazione, ed il senso stesso di que­ sta distinzione, vengono sottoposti ad una chiarificazione ulteriore. La ramificazione dell'esplicazione sorge per il fatto che, pro­ cedendo dal sostrato, non vengono fuori soltanto in via diretta le sue determinazioni, ma queste stesse fungono da sostrati di espli­ cazioni ulteriori. Ciò può accadere in due modi : 1 O) L'io lascia andare il suo sostrato originario invece di conti­ nuare a tenerlo sotto presa, mentre mantiene in prensione attiva ciò che si è poco fa caratterizzato come esplicato. Quando per esem­ pio un'aiuola di fiori attrae la nostra attenzione e diviene oggetto di contemplazione, può darsi che uno dei fiori colti nella esplica zione attragga a tal punto il nostro interesse che ne facciamo tema esclusivo mentre lasciamo andar interamente via l 'aiuola dalla no­ stra attenzione. L'esplicato, qui il fiore, perde con ciò il suo ca­ rattere autentico di esplicato e diviene sostanzializzato [verselbstan­ digt] in un oggetto per sé, in un sostrato proprio mediante una presa progressiva di conoscenza ossia mediante il rilevamento delle sue proprietà. L' S di prima si 1mmerge indietro nello sfondo passivo, e, per tanto che rimane qui riposto, continua ad affettare. L'oggetto si comporta qui in maniera simile al caso del « contrasto » in cui continua a scorrere una moltitudine non tematica di oggetti e che noi già prima avremmo potuto pensare come oggettivata­ mente colta. L'esplicato che si è mutato in un nuovo sostrato resta ancora in coincidenza con il sostrato di prima, che ha però adesso l'aspetto passivo di una apparizione dello sfondo. La precedente 139

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sintesi attiva della coincidenza viene con ciò a cambiarsi, perdendo il suo carattere fondamentale di sintesi originante dalla attività. 2. Ma il caso per noi più interessante è quello in cui il sostrato originario, in questa sostanzializzazione della sua determinazione, continua pure a rimanere oggetto dell'interesse primario ed ogni espli­ cazione vera e propria, che si sviluppa sulla determinazione rile­ vata, serve indirettamente solo all'arricchimento del sostrato stesso. Così è per esempio quando, nel passaggio ai singoli fiori e nella loro esplicazione l'aiuola rimane frattanto al centro dell'inte­ resse. Questa ramificazione può ripetersi quando vengon a rile­ varsi forme particolari del calice, dci pistilli ecc, e si esplicano sin­ golarmente ; lo stesso per ogni nuova parte dell'aiuola. L'attività tematizzante che, procedendo continuamente nei cam­ biamenti prima descritti, fa l'S, l'oggetto in senso particolare, il tema di una progressiva presa di conoscenza, si esplica nella at­ tività delle prensioni singole. Queste sono coordinate e subordi­ nate nella coincidenza delle prensioni di S. La prensione dell'S intesa come specificamente tematica ha il suo scopo nell'oggetto che è l'oggetto senz'altro, nel modo di valore : « in sé e per sé ». Ma non così va la cosa per gli esplicati. Essi non hanno alcuna vali­ dità propria ma solo una validità relativa, come quel qual­ cosa in cui si determina l' S, o meglio : in cui esso è particolarmente, e detto in maniera soggettiva, si mostra nella sua corporietà, sì che l'S viene esperito nella perce­ zione di questi esplicati. Questa mancanza di valore di sostanzia­ lità appartiene all'essenza degli esplicati. Ora quando l'esplicato stesso viene esplicato di nuovo, mentre pur lo stesso S resta come tema generale, pur esso diviene in certo modo tema e mantiene la forma di sotrato in rapporto ai sttoi esplicati. Ma il suo valere proprio come S, è solo relativo. Non perde la forma di un espli­ cato di S, ed i suoi propri esplicati mantengono la forma di espli­ cati indiretti e di secondo grado. Ora ciò non è possibile nel pro­ cesso della esplicazione se non per la sovrappozizione di ciò che è te140

nuto nella presa. Poiché nella esplicazione che possiamo dire intuitivo­ intellettiva l'S, nel passare agli at, � , resta nella presa arricchen­ dosi costantemente, sempre però soltanto come arricchimento dell'S, nel passaggio dallo at al 7t non si mantiene solo l'S come arricchi­ tosi di at, ma si mantiene anche l'at come sovrapposto ad S. Non viene però mantenuto come un sostrato per sé, ma, in coincidenza sintetica con S, come qualcosa di S. Questo mantenimento ha luogo quindi in modo diverso che nel processo della esplicazione diretta di S, nel passaggio cioè da Ot a �. ove at in generale n< ,n vien mantenuto per sé, ma si mantiene solo l'S arricchito di ac . Quando s'è compiu­ to quel primo passo di esplicazione a doppio strato, c si è costi­ tuito lo Sat7t, allora l'esplicazione può procedere in d i v e rs a direzione. a) Essa può passare ad un ulteriore esplicato d i retto dell'S, a �· Allora non c'è più che l'S mantenuto nella presa come arric­ chitosi in un doppio strato di Ot7t ed indirettamente di 7t. Ma l'at non è più direttamente mantenuto per sé. b) L'esplicazione può anche condurre ad un u ll criore espli­ cato dell'at, che noi vogliamo chiamare p. Allora la p rc n s i one dd p si svolge da un canto sul fondamento del mantenimento di Sat7t e d'altro canto sul fondamento di Ot7t (ossia dell'at arricchito di 7t), che sta in coincidenza sintetica con Socm ma che t u t tav ia, co me sostrato di nuovi esplicazioni resta mantenuto propriamente per sé accanto al so strato principale S Ot7t• Tutti gli arricchimenti ddl'J non vengono naturalmente apposti direttamente all'S come suoi arricchimenti ma all'S solo in quanto questo ha in sé Ot. In tal modo S può continuare·ad esplicarsi indirettamente i n gradi molteplici in un processo ripetibile a piacere. Il 1t pw·, a sua volta divenire sostrato ecc. Ad ogni grado sottcntra la Jor!Jia del sostrato relativo e dell'esplicato correlativo. Ma nella serie dci gradi il sostrato dominante rimane preminente ; di contro ad esso tutti gli altri sostrati sono subordinati, a servizio dd p ri111o. La sintesi at­ tiva dell'identità prosegue in gradi che, dato che possono anche accadere molte ramificazioni, sono tutti centrati nell'attività con•...

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tinuata diretta all'S, e la modificano lungo il processo, in maniera corrispondente. Si mira qui continuamente all'S, che è il tema cen­ trale, e la mira dominante si soddisfa nella concatenazione e nelle stratificazioni degli esplicati in cui, in virtù di una coincidenza graduale, non vi « è » sempre, e non si mostra sempre di nuovo, che l'S soltanto, nelle sue particolarità. Negli accadimenti dell'esplica­ zione possibile il sostrato principale è oggettivo in senso eminente, in virtù del suo proprio valore che è assoluto e gli appartiene in mo­ do esclusivo. Ciò che è altrimenti tematico, lo è in senso relativo ; non è tematico in modo assoluto e può diventare tematico solo quando il soggetto originario vien lasciato andar via. Tale sostan­ zializzazione è naturalmente possibile ad ogni grado dell'esplica­ zione ed ogni esplicato per quanto di grado elevato può essere tematicamente sostanzializzato.

§ 29.

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Sostrati assoluti e determinazioni assolute,· senso triplice di questa distinzione.

La distinzione tra sostrato e determinazione si mostra cosi fin dapprincipio soltanto come relativa. Tutto ciò che mai affetta

e diviene oggettivo può fare tanto da sostrato-oggetto quando da oggetto di determinazione, esplicato. E tuttavia, poichè noi pos­ siamo continuare a « sostratizzare », e nei gradi sempre superiori sostanzializzare gli esplicati in sostrati, possiamo pure altrettanto collegare ogni oggetto, ogni sostrato per sé stante, con un altro, e quindi fare tema la collezione come un tutto, penetrare con l'esplicazione nei suoi membri, in modo che così esponiamo de­ terminatamente il tutto mentre ora ognuno degli oggetti-sostrato, che prima erano per sé stanti, assume il carattere di esplicato. Op­ pure fin dapprincipio una collezione, consistente di chiari sostrati per sè stanti, può affettare come un tutto, proprio come un oggetto 142

singolo. Il concetto di sostrato lascia quindi indeterminato se caso per caso si tratti di sostrati che sono sorti dalla sostanzializzazione tematica di una determinazione, o no, oppure se invece non si tratti di oggetti originariamente unitari o plurimi * (plumlità di oggetti per sé stanti). In ogni circostanza, l'esplicare esperiente porta in sè la distinzione di sostrato e di determinazione ; esso pro­ cede a sempre nuove prensioni di sostrato ed al passaggio alla esplicazione di ciò che è colto in queste prensioni. Qualunque cosa possa entrare nello sguardo attenzionale, noi possiamo farne un sostrato e in senso speciale un sostrato principale, e per c10 concepire l'idea di un sostrato in generale e la distinzione di so­ strato e determinazione. Ma tosto che mettiamo in questione in senso genetico l'operare della esperienza da cui s'origina in evidenza originaria la distinzione di sostrato e determinazione, questa libera possibilità non vale più. V'è un limite alla relativizzazione di quella differenza che nel corso dell'esperienza procede all'infinito, e si dovrà di­ stinguere tra sostrato e determinazione in senso assoluto e in senso relativo. Certo, quel che nell'attività dell'esperienza capita come deter­ minazione può sempre assumere in un nuovo esperire la forma e la dignità nuova del sostrato ; esso viene esplicato nelle sue pro­ prietà. Nel mutarsi di una determinazione in sostrato di nuove, ed oramai sue, determinazioni, il sostrato è consaputo come lo stesso ed è anzi dato da sé come lo stesso, sebbene in una funzione mutata. Se quindi per lo più un sostrato è sorto per cosi dire dalla sostra­ tizzazione di una determinazione, •tuttavia si dimostra tosto che non ogni sostrato può essere sorto cosi. Il sostratizzato ha custodito la sua origine proprio nel suo senso d'essere e, se ora esso è tema di esperienza, è pur tuttavia evidente che ha potuto originariamente diventarlo solo perché fu prima esplicato un altro sostrato dal * Rendiamo alla meglio con « plurimo » il ted. « mchrheitlich >> che, preso alla lettera, è l'aggettivo di « Mehrheit » = pluralità. (n.d.t.)

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quale esso sorse come sua determinazione. Noi veniamo perciò in conclusione e necessariamente a sostrati che non sono sorti da una sostratizzazione. Ad essi spetta sotto questo riguardo il nome di sostrati assoluti. Ma con ciò non è detto che le determi­ nazioni di questi sostrati si debbano chiamare senz'altro determi­ nazioni assolute (assoluti oggetti di determinazione). Noi siamo piuttosto condotti qui ad una nuova relatività. È invero a sostrati relativi della sfera dell'esperienza che è diretto ogni atto dell'esperienza relativa corrispondente, ma questo dirigersi, ossia l'introduzione dell'attività esperiente, è mediata dalle attività esperienti in cui è stato esplicato il sostrato assoluto correlativo ed ove in conclusione sono state sostratizzate le determina­ zioni correlative (dirette o indirette). Il sostrato assoluto si distingue quindi per il fatto che esso è esperibile in modo assolutamente diretto, ossia è coglibile immediatamente, e che la sua esplicazione deve essere immedia­ tamente posta in atto. Assolutamente coglibili c perciò sostrati in senso eminente sono più di tutti gli oggetti individuali della per­ cezione sensibile esterna, quindi i corpi. Qui sta uno dei primati decisivi della percezione esterna la quale dà in . anticipo i sostrati più originari delle attività esperienti e poi prcdicativamente esplicanti *· Una cosa assolutamente esperibile in tal senso particolarre è però anche una pluralità di corpi, come configurazione spazio-tem­ porale, o come un insieme causale di corpi che sono esperibili unitariamente in quanto si condizionano reciprocamente in con­ nessione unitaria, come è per esempio il caso di una macchina. L'assoluto coglier direttamente, che è cosa qui possibile, durante l'esecuzione dell'intenzione esperiente passa nelle determinazioni della moltitudine, nella sua quiddità (in ciò che essa è singolarmente). Sotto l'espressione « determinazione » noi incontriamo qui le parti, le moltitudini di parti ed in ultimo, in ogni caso, i singoli corpi ; naturalmente noi non ir;contriamo solo questo, ma, procedendo * V. per ciò l'Introduzione, § 14, pp. 62

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sgg.

oltre anche delle determinazioni che non sono più corpi. Ma cosi noi ci imbattiamo in un nuovo genere di cambiamento di jtmzione : i sostrati assoluti, qui i corpi, possono fare, da determinazioni ossia possono assumere la funzione di parti, di membri di un tutto, o di unità-sostrati di grado superiore. Ciò però non cambia nulla al fatto che essi sono dei sostrati assoluti, in quanto sono esperibili in modo assolutamente diretto, ossia in quanto sono esplicabili. Ma poiché anche un tale insieme plurimo è un sostrato assoluto, ne risulta che non tutto ciò che sottentra come determi­ nazione in un sostrato assoluto debba essere per ciò stesso già una determinazione assoluta. I sostrati assoluti si dividono q11indi in quelli che sono « unità >> di e in pluralità e in quegli altri che sono p,ià delle pluralità. lnnanzitutto questa distinzione è relativa. Ma essa conduce, nell'esperienza, a unità e pluralità assolute ove le stesse pluralità possono essere di nuovo pluralità di pluralità. Procedendo all'indietro, tuttavia, ogni pluralità conduce in fine ad unità assolute, e la pluralità corporea ai corpi che non sono più ddle confi­ gurazioni. Non si parla qui della possibilità causale di dividere un cor­ po, ove le parti sorgono dapprima mediante l'attività causale della divisione e solo dopo vengono attribuite al tutto come parti in esso potenzialmente contenute. Non si parla qui veramente nem­ meno della possibilità ideale di una divisione all'infinito. Nell'espe­ rienza reale non si dà possibilità di divisione all'infinito ed innanzi­ tutto non esiste alcuna pluralità esperibile che possa risolversi . all'infinito in sempre nuove pluralità entro il processo dell'espe­ rienza (come vale entro il processo d'adeguazione conoscitiva). Se in conformità a ciò noi consideriamo le determinazioni dei sostrati assoluti, ci imbattiamo in determinazioni che potreb­ bero essere pure sostrati assoluti, quindi in sostrati plurimi (ossia interi effettivamente esperibili con le loro parti, unità delle pluralità) ; ma è anche chiaro che ogni sostrato assoluto ha delle determinazioni che non sono sostrati assoluti. Le ultime unità, che

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nel mondo dei corpi sono le ultime unità corporee, hanno tutte delle determinazioni che sono originariamente esperibili solo come determinazioni, le quali perciò possono divenire dei sostrati sol­ tanto relativi. Questo è per esempio il caso di una figura, o di un colore. Questi possono comparire originariamente solo come de­ terminazioni di un corpo, ossia di un oggetto spazio-temporale figurato, colorato come sostrato di esse. Prima deve emergere lo oggetto in modo affettivo, almeno nello sfondo ; ma l'io può anche non volgersi ad esso ed il suo interesse può bene passare oltre ad esso e di poi coglierne esclusivamente il colore, sicchè è questo che attrarrà l'interesse tematico principale. Ma anche i sostrati plurimi hanno determinazioni che originariamente possono com­ parire solo come tali ed anzi senza riferimenti alle determinazioni dei loro corpi singoli, le quali indirettamente sono anche deter­ minazioni di questi sostrati. Si tratta manifestamente di quelle de­ terminazioni che dànno unità alla pluralità come pluralità, ossia delle determinazioni conftgurative o di complesso nel senso più am­ pio, e, a partir da queste, si tratta di tutte quelle determinazioni relative di cui in una pluralità unitariamente esperibile si accresce ogni elemento singolo (allo stesso modo che ogni pluralità di parti) come del suo « esser-in-rapporto » *. Nella sfera dell'esperienza dunque, ossia nell'autodatità dello essente considerato come oggetto dell'esperienza possibile, vale la distinzione fondamentale tra sostrati assoluti, oggetti individuali as­ solutamente esperibili e determinabili, e determinazioni assolute, che sono esperibili come esistenti, cioè a mo' di sostrati, solo mediante la sostratizzazione. Ogni esperibile è caratterizzato o come qual­ cosa per sé ed in sé, o come qualcosa che è solo in un'altra, in un es­ sente per sé. Detto altrimenti, i sostrati assoluti sono quelli il cui essere non è quello delle mere determinazioni, quelli per cui la forma della determinazione è inessenziale, il cui senso d'essere, * Più specificamente su ciò al § 32 b, pp. 158 sgg. 146

e

§ 43 b, pp. 201 sgg.

perciò, non sta esclusivamente nel fatto che nel loro essere vi è un altro essere come un « esser-cosi » (determinazione). Le determinazioni assolute sono oggetti cui è essenziale la forma della determinazione, il cui essere deve caratterizzarsi per principio ori­ ginariamente solo come un « esser-cosi » di un altro essere; esse possono comparire in autodatità originaria sotto forma · di sostrato solo in quanto siano già prima apparse come determinazioni ed in quanto siano già prima dati altri oggetti in cui esse compaiono come determinazioni. Assumono forma di sostrato a priori solo p:!r la sostanzializzazione presa come un'attività di proprio genere. In tal senso i sostrati assoluti sono per-sé-stanti (sostanziali), le deter­ minazioni assolute non-per-sé-stanti (insostanziali) *. Inoltre, i sostrati assoluti si distinguono in unità e pluralità; quando noi intendiamo l'unità in senso assoluto si produce allora la distinzione di sostrati assoluti, che si possono determinare « sol­ tanto » mediante determinazioni assolute, e di sostrati che sono pure da determinare mediante sostrati assoluti. Il significato dell'espressione della sostanzialità di sostrati asso­ luti dev'essere certamente preso con qualche limitazione. Nessun corpo singolo, che noi ci portiamo a datità nell'esperienza, esiste per sé isolatamente. Ognuno è un corpo in una connessione uni­ taria la quale, alla fine e in senso universale, è quella del mondo. Perciò esperienza sensibile, l'universale pensata come procedente in concordanza universale, possiede la sua unità d'essere, un'unità di ordine superiore ; l'ente di questa esperienza universale è la na­ tura come tutto, l'universo di tutti" i corpi. Noi possiamo dirigerci

* Traduciamo Selbstiindig ora con « sostanziale » ora con « per sé stante », ma avvertiamo esplicitamente che le due traduzioni hanno l'identico signifi­ cato. Ciò è giustificato dal nostro testo in quanto pone di rettamente in rap­ porto lo Selbstiindigkeit con il concetto di Substral ed inoltre dall'uso moderno del concetto di sostanza come ciò che sta per sé. Si ricordi la definizione spi­ noziana : « Per substantiam intelligo id, quod in se est et per se concipitur » (B. de Spinoza, Ethica, Bari, 1933, p. 3), (n. d. t.). 147

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anche a questa totalità del mondo come a tema di esperienza. La finitezza che l'esperienza dei singoli corpi possiede sta in opposizione alla infinità della esplicazione del mondo, in cui si esplica l'essere del mondo nel possibile infinito procedere dell'esperienza da certi sostrati finiti a sempre nuovi sostrati. Certo il mondo nel senso di natura totale non è esperito a titolo di sostrato in un'esperienza assoluta, e quindi non si esplica assolutamente nei membri del sostrato, ossia nelle « proprietà », ma l'esperienza della natura è invece fon­ data sulle singole precedenti esperienze dei corpi. Ma anche la natura totale è « esperita », anche ad essa noi possiamo dirigerci (proprio in quanto esperiamo i singoli corpi), e possiamo anche esplicarla nelle sue particolarità in cui si mostra il suo essere. Per­ ciò tutti i sostrati sono legati; quando noi ci muoviamo entro il mon­ do come universo, nulla è senza un rapporto « reale » con qual­ cos'altro e con ogni altra cosa, direttamente o indirettamente. Questo ci porta ad una nuova comprensione del concetto di sostrato assoluto. Un sostrato « finito » può essere esperito assolutamente per sé ed ha cosi il suo « esser-per-sé ». Ma in pari tempo esso è necessariamente una determinazione, ossia è esperibile come de­ terminazione in quanto noi consideriamo un sostrato più ampio entro cui esso sta. Ogni sostrato finito ha la sua determinabilità come « essere-in-qualcosa » *, e di ciò vale di nuovo per questo qualcosa all'infinito. Sotto questo riguardo però il mondo è so­ strato assoluto, ossia ogni cosa è in esso ma esso non è un essere­ in-qualcosa, non è più una unità relativa entro una pluralità più ampia. Esso è il tutto-essente, non un essente « in qualcosa » ma un tutto-qualcosa. Connessa a questa sta anche un'altra assolu­ tezza : un essente reale, una pluralità reale finita, pluralità che è unitariamente come realtà, è un permanente entro il nesso di cau­ salità dei suoi mutamenti ; tutti gli enti causalmente connessi, che come tali sono unità plurime relativamente permanenti, sono pure * Cfr. Introduzione, pp. 29

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e

sg.

di nuovo causalmente intrecciati. Ne deriva che ogni ente mondano, unità reale o pluralità reale, è alla fine insostanziale ; sostanziale, sostrato assoluto in senso rigoroso è solo il mondo ; esso non permane un ente finito per cui in rapporto alle circostanze al modo in cui esterne. Ma il mondo della nostra esperienza, preso concretamente, non è solo la natura totale, in esso sono anche gli altri, gli uomini in­ sieme ; le cose non portano solo determina7.ioni naturali ma sono determinate come oggetti di civiltà, come cose formate dagli uo­ mini con i predicati mondani che ad esse appartengono, predicati della servibilità ecc. Ciò che noi percepiamo del mondo in modo veramente ed assolutamente diretto è il nostro mondo esterno. Ogni ente del mondo esterno noi lo percepiamo come ente corpo­ reo entro la natura spazio-temporale. Quando ci imbattiamo in uomini, in animali ed in oggetti di civiltà, non abbiamo sempli­ cemente la natura ma una espressione del senso d'essere spirituale ed allora siamo portati oltre a ciò che è sensibilmente esperibile (*). Ora queste determinazioni, sulla base delle quali un essente non è un corpo veramente naturale ma è determinato ed è esperibile come uomo, animale, oggetto di civiltà ecc., sono determinazioni di un genere del tutto diverso dalle determinazioni del corpo come corpo. Esse non capitano nella cosa spazio-temrorale, che fa da fondamento, come determinazioni allo stesso modo per esempio dei colori di essa. Gli è piuttosto che un essente che non è mera­ mente naturale ma che è esperito come uomo, animale, oggetto di civiltà, ha le sue determinazioni personali; di fronte a queste esso è già un sostrato ed anzi sostl'afo originario nel senso che non diviene sostrato per la sostratizzazione di determinazioni che do­ vettero prima essere esperite come determinazioni della cosa ma­ teriale che fa da fondamento. Per ciò si produce una distinzione tra sostrato e determinazione in senso più ampio. Senza considerare che tali oggettività si fondano *

Cfr. Introduzione, pp. 52 e sg.

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sull'essente assolutamente percepibile ed esperibile, ossia sull'essere corporeo, esse sono sostrati originari, sebbene parlare di assolu­ tezza non sia qui adeguato se si ha riguardo alla loro fondazione, e sia ammissibile solo in un senso più debole. Come sostrati, esse hanno la loro sostanzialità, che certo non significa indipendenza dalle oggettività che stanno a fondamento ed è quindi una sostan­ zialità relativa; ma è relativa in senso del tutto diverso da quello delle determinazioni originarie che vengono posteriormente sostan­ zializzate. I sostrati di cui si parla non compaiono mai originaria­ mente nella forma dello « essere-in-qualcosa », ma sempre come sostrati originari che possono essere esperienzialmente esplicati nelle proprie determinazioni personali. In conclusione possiamo dire che la relatività della relazione tra sostrato e determinazione ha il suo limite in una distinzione assoluta in tre modi diversi: 1. Sostrato assoluto in senso eminente è la natura totale, l'universo dei corpi in cui essa si esplica e che per tanto, di fronte ad essa, sono insostanziali e possono venir riguardati come determinazioni di essa. L'assolutezza della natura totale sta nella sua sostanzia­ . lità, ma essa non è un sostrato originario nel senso che possa diven­ tare, come un tutto, tema semplice di una prensione assoluta. 2. Sostrati assoluti nel senso di enti esperibili in modo originario ed assoluto sono gli oggetti individuali della percezione sensibile esterna, ossia dell'esperienza dei corpi. Questi sono sostanziali in quanto che possono diventare, singolarmente o riuniti in una pluralità, tema di esperienza assolutamente diretto. Di contro ed essi, le loro determinazioni sono determinazioni assolute, insostanziali in modo tale che possono originariamente essere esperite solo in essi, sotto forma di determinazioni. 3. In senso affievolito, possono esser designati come sostrati assoluti anche le oggettività fondate negli oggetti che si possono dare in modo assoluto ; sono sostrati assoluti nel senso che possono essere originariamente esperite solo sotto forma del sostrato (anche 150

se questo non è coglibile in modo assolutamente diretto), di contro alle determinazioni in cui si esplicano. Un ulteriore concetto di sostrato assoluto sarebbe quello del qualcosa logicamente del tutto indeterminato, dello individuale « questo qui », dell'ultimo sostrato materiale [sachhaltigen] di ogni attività logica ; questo è un concetto di sostrato che qui può essere sola­ mente notato, mentre la considerazione di esso appartiene già alla prossima sezione *. Questo concetto di sostrato assoluto lascia indeterminato, nella sua generalità formale, di qual genere sia l'esperienza di un oggetto, se assoluta o se fondata, e non in­ clude in sè altro che la mancanza di qualsiasi formazione logica, la mancanza di tutto ciò che è risultato nel sostrato come determi­ nazione mediante un'attività logica di grado superiore.

§ 30.

Determinazioni per-sé-stanti e determinazioni non-per­ sé-stanti. Concetto dell'intero.

Per ciò che concerne gli oggetti-sostrato assolutamente esperibili, ossia le cose individuali spazio-temporali (i sostrati assoluti nel senso considerato al numero 2), i quali ci interessano naturalmente più di tutto nella connessione di un'analisi della ricettività della percezione esterna, l'essenza delle loro determinazioni ha bisogno ancora di ulteriori chiarificazioni e distinzioni. Si è già �ostrato che i sostrati a6soluti in questo senso possono essere tanto oggetti unitari che oggetti plurimi. Ne deriva che non tutto ciò che in essi compare come determinazione debba essere già una determinazione assoluta. lovero i singoli elementi di una configurazione, di una pluralità compaiono nella sua esplicazione * Per questo concetto di sost rati ultimi cfr. E. HussERL, 1913, specialmente p. 28, e « Logica » pp. 181 e sg.

ldeen

...

, Halle

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come determinazi oni ; essi possono però, a seconda del modo della affezione e della direzione dell'interesse, capi:are originariamente altrettanto come sostrati sostanziali (cfr. sopra, pp. 144 e sgg). Fin dapprincipio può esser colto tanto la moltitudine o l'intero e diventar sostrato, quanto qualsiasi individuo. Per gli elementi di una configurazione o di una pluralità, la forma della determi­ nazione è inessenziale. Perciò le determinazioni dei sostrati assoluti, assolutamente esperibili, si dividono in sostanziali e insostanziali, ossia originarie ; sostanziali come gli alberi di un viale, insostan­ ziali come i colori di un oggetto. Questa distinzione implica che i modi di datità siano diversi e questa diversità dev'essere adesso presa in considerazione. Si consideri dapprima quel che ne risulta per il concetto dell'intero. Ogni sostrato di possibile determinazione interna può esser riguardato come un intero che ha delle parti in cui viene esplicato. Tanto il concetto dell'intero quanto quello delle parti è quindi preso i n senso ampiissimo * : per intero intendesi ogni oggetto unitario che ammette prensioni parziali, e quindi una considerazione penetrativa ed esplicativa, e per parte intendesi ogni esplicato che ne risulta. In tal senso anche il rapporto della carta al suo colore bianco può esser riguardato come realzione intero-parti ; quando io passo dal bianco che percepisco, che ho già prima reso oggettivo, alla carta, questa è allora, in rapporto al bianco, un « intero ». Io accolgo cosi nel mio sguardo un di più, proprio come quando io passo dal sostegno del portacenere come parte di esso all'intero porta­ cenere. In ambedue i casi v'è un passaggio dall'esplicato al sostrato. Questo concetto amplissimo di intero include quindi ogni oggetto che può mai diventare in generale sostrato-oggetto di esplicazioni, non importa se esso sia un sostrato-oggetto di esplicazioni, non importa se esso sia un sostrato-oggetto originario oppur no, uni­ tario o plurimo. * Cfr. per questo concetto amplissimo di parte anche la 3a delle

.rchen Unlermchungen, p. 228 (2a edizione).

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A questo concetto bisogna contrapporre un concetto più ristretto di intero, comprendente solo i sostrati-oggetti originari. Ogni intero in tal senso ha quindi delle determinazioni (« parti » nel nostro senso amplissimo) che sono o sostanziali o insostanziali. Sotto un concetto ancor più ristretto e propriamente pregnante di intero sono compresi quegli interi che sono composti di parti per-séstanti e sono divisibili in esse. Queste parti, come parti sostanziali, noi le designeremo come « pezzi » contrapponendovi le parti inso­ stanziali come momenti non-per-sé-stanti (nella 3a delle Log. Unters. son dette anche parti astratte). Al concetto dell'intero inteso in questo senso pregnante appartiene la proprietà di essere di11isibi/e in pezzi [zerstiickbar] ; ciò vuoi dire che la sua esplicazione porta a determinazioni sostanziali. Ma non per àò esso è una mera somma di pezzi, come vedremo, ed è invece un insieme la cui esplicazione porta ancora a determinazioni sostanziali. Per i pezzi e per gli elementi di un insieme, la forma della determinazione è inessenziale, mentre per i momenti è inessenziale la forma del sostrato. Questi ultimi non hanno assunto la forma di sostrato che per l'attività specifica della sostanzializzazione.

§ 31.

La prensione delle parti e dei momenti non-per-sé-stanti.

Come si caratterizza la sostanzialità dei pezzi di contro alla inso­ stanzialità dei momenti? Questo è un problema dell'originarsi co­ stitutivo dalle operazioni dell'esplicazione. Un oggetto sostanziale perviene originariamente alla sua datità in modo diverso da un oggetto insostanziale, ed al di dentro di un intero le parti sostan­ ziali (pezzi) si rilevano nella esplicazione in maniera diversa che quelle insostanziali di grado diverso. All'essenza di ognuno di tali interi appartiene la possibilità dell'essere contemplato ed espli­ cato. Esso si dà come un oggetto unitario risultante da altri oggetti 153

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come parti. Si ha qui l'unità di un'affezione con le affezioni parti­ colari ivi incluse. Se ora si tratta di un intero composto di pezzi, noi abbiamo già visto come la sua sostanzialità si esplichi nel fatto che ognuno di questi pezzi può esser colto e contemplato per sé, senza che sia colto l'intero, come accade nel caso in cui si contem­ pla un albero di un viale. Ma d'altra parte anche l'intero può esser colto, senza che una parte o tutte le parti siano colte di per sé. Ma tuttavia, come tutto, esso è colto e dato in piena chiarezza solo se prima è colto in una presa unitaria e tematica e così contemplato, per esser colto poi gradualmente nelle sue parti e cosi contem­ plato, mentre nel passaggio da una parte all'altra esso vien tenuto sotto presa nel modo già noto come un uno che costantemente si arricchisce e viene sempre coincidendo nelle sue parti con se stesso. Ma come vengono colti i suoi pezzi come tali, ossia come appartenenti all'intero? Per semplificare prendiamo la metà di un tutto che consti solamente di due parti. Questo tutto dicesi intero in quanto ha solamente queste due parti immediate e si « risolve » solo in esse. Fin dapprincipio esso è fornito delle affezioni parti­ colari che convengono nell'unità di una sola affezione. Immagi­ niamo ora che l'esplicazione sia diretta ad uno solo dei due pezzi; è nell'essenza di essa che nella partizione esplicativa di un pezzo nell'intero risulti un sovrappiù che abbia per sè una forza affettiva e sia coglibile come un secondo pezzo connesso col primo. Abbiamo detto coglibile : il risaltare infatti non vuoi dire che ciò che risulta sia effettivamente colto anche per se stesso. Innanzitutto non è colto che il primo pezzo, sul fondamento dell'intero considerato. Esso coincide con l'intero, ma in un modo del tutto proprio, distinto dalla coincidenza del sostrato con un momento insostanziale. In ambedue i casi e perciò in ogni coincidenza esplicativa, separazione di una parte sul fondamento dell'intero (ambedue presi in senso ampio), qualcosa è separato c qualcosa è lasciato come resto e non è separato. Ciò vuoi dire che la congruenza è solo parziale. Ma il 154

modo in cui il « resto » non esplicato vien consaputo nell'espli­ cazione dei pezzi è del tutto diverso che nella esplicazione dei momenti insostanziali. Una volta si coglie il colore di un oggetto, per esempio il rosso del portacenere di bronzo, e l'altra volta si coglie una parte, per esempio il piede. Quando si è separato un pezzo, il « resto » non esplicato è «fuori di esso » e separato da esso, sebbene con esso congiunto. Per il momento insostanziale, nel nostro caso per il colore rosso che ricopre uniformemente il calice intero, non vi è alcunchè di separato « al di fuori di esso ». Gli altri suoi momenti insostanziali non affettano separatamente dal colore e nie connessione solo a questo, ma il sostrato esplicato come rosso tenuto sotto presa come tale affetta nello stesso tempo come ruvido o liscio ecc., sicchè può essere ora colto conformemente a ciò in una esplicazione ulteriore. Mediante questa descrizione si intende, a partire dal lato soggettivo, quel che già nella 3.a delle l11gische Untersuchungen (§ 21, p. 258) era stato stabilito in modo puramente noematico, ossia che le parti insostanziali « si compenetrano », in opposizione alle sostanziali che sono « l'una fuori dell'altra ». Nel concetto di pezzo (parte, nel senso pregnante di parte per sè stante) sta quindi il fatto che esso è collegato nello intero con le altre parti (e ciò è conseguenza della sua sostanzialità) ; nel con­ cetto di momento insostanziale, anzi immediato, attributivo sta invece il fatto che esso non ha momenti integranti coi quali sia col­ legato. D'altronde questo collegamento è ciò che distingue i pezzi di un tutto, nonostante la loro SOJ>tanzialità, dagli elementi di un insieme. Gli elementi di un insieme non sono collegati l'uno allo altro. In ciò è incluso il fatto che l'intero è più della sonm;a delle sue parti. Ne risultano le seguenti importanti proposizioni : Mediante i pezzi l'intero è suddiviso in una conne.rsione di parti col­ legate; ogni elemento di questa connessione, la quale costituisce in maniera di collegamento l'intero, è un pezzo. 155

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Il pre!et·amento di un pezzo solo divide già l'intero, ossia almeno lo divide in questo pezzo che sta in collegamento con la sua to­ tale integrazione che ha pure il carattere di un pezzo. In altri ter­ mini, se A è un pezzo, è pure pezzo il collegamento di A con B ecc. Un intero non può quindi mai avere un unico pezzo, m9. deve averne almeno due. Naturalmente ogni collegamento di oggetti sostanziali è pure un oggetto sostanziale. Noi abbiamo finora posto sempre in contrasto i pezzi con i momenti insostanziali ed abbiamo pensato qu::sti come immediati. Per completare questo pensiero bisogna notare che, in modo imme­ diato, un momento insostanziale è momento di un oggetto quando non è momento di un certo pezzo o (cosa di cui verremo a dire nel prossimo §) un momento del collegamento di più pezzi. Perciò all'essenza di un momento immediato appartiene come sua conseguenza, che esso non può essere « collegato » nell'intero con altri pezzi costitutivi dell'oggetto (parti nel senso più ampio). Esso può per ciò stesso essere spezzabile, ripartibil� in momenti collegati. Dunque in rapporto ai momenti stessi esso vien riguar­ dato come un sostrato relativo, che è spezzabile nuovamente in og­ getti relativamente sostanziali. Solo oggetti relativamente per sé stanti l'uno di fronte allo altro possono avere un collegamento e mediante la loro essenza fondare un « momento di collegamento ». Sta quindi nel concetto pre­ gnante dell'intero che esso rappresenti un collegamento dipezziper sé stanti. Rimane qui indecisa la questione se ed in qual modo gli og­ getti per sé stanti debbano fondare un collegamento, se di tutti gli oggetti per sé stanti qualsiansi si possa dire che essi in virtù della loro specie possano fondare un collegamento, ossia che tra due oggetti della stessa specie sia possibile un collegamento. Parimenti rimane indeciso se ogni oggetto-sostrato debba essere un intero in senso pregnante e quindi un intero spezzabile. Ma sicuramente ognuno ha delle « proprietà » ed altrettanto dei « momenti inso156

stanziati ». Anche ogni pezzo ha a sua volta momenti insostanziali, cioè « parti » che non sono pezzi. Si noti ancora una volta che tutte queste distinzioni come anche tutte quelle che vengono discusse nel § seguente si riferiscono dapprima solamente alle oggettività-sostrati assoluti, agli oggetti spazio-temporali della percezione e non si possono trasferire direttamente, mediante una formalizzazione, alle oggettività di genere superiore fondate sulle prime, per esempio agli oggetti di civiltà; sebbene in queste ultime debbano potersi mostrare, in un modo ad esse specificamente proprio, relazioni come quella di intero e parte e rapporti di proprietà a sostanza ecc.

§ 32.

I momenti insostanziali come collegamenti e come pro­ _prietà.

a) Proprietà mediate o immediate. Finora si erano scelti come esempi di determinazione ongmaria­ mente insostanziale, quindi della determinazione mediante momenti insostanziali, sempre le determinazioni attribuitve. Ora il con­ cetto di proprietà è definito sufficientemente mediante questa in­ sostanzialità originaria? Hanno lo stesso significato proprietà e momento originariamente insostanziale ? O esistono anche mo­ menti insostanziali d'altro genere? Pensiamo per esempio uno spigolo di una cosa materiale, o l'intera sua superficie dalla quale quella è limitata come forma spaziale; questi sono certamente momenti insostanziali e non pez­ zi, poiché non si può togliere dalla cosa uno spigolo o la sua su­ perficie in modo che essa si divida per ciò in due pezzi. D'altra parte la superficie limitante non è certamente una proprietà della cosa. Ne viene che non ogni momento insostallziale della cosa appartiene ad essa come proprietà. 157

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Proprietà della cosa sono i suoi colori, la sua ruvidezza, la levi­ gatezza, la forma e simili. Ma se noi spezziamo la cosa allora il colore ecc. del singolo pezzo sono proprietà di questo e indiretta­ mente proprietà dell'intero : la cosa è rossa, in questa parte, in questo pezzo, ma è azzurra in quest'altra ecc. La cosa qui riluce ed è qui liscia, là, in quella parte, è ruvida ecc. Se noi diciamo per brevità « la cosa è ruvida » allora bisogna aggiungere : in questo ed in quest'altro pezzo determinato. Lo stesso accade quando noi diciamo : « la cosa è delimitata dalla sua superficie >>. Propriamente essa è innanzitutto estesa (estensione qui come sua proprietà im­ mediata) ; l'estensione (ora come suo momento astratto) ha, in quan­ to sua proprietà immediata, un limite (la superficie) di una certa forma detrminata, proprietà che è quindi solo una proprietà indi­ retta della cosa intera. I momenti insostanziali della cosa, che non le appartengono come proprietà immediate, sono quindi proprietà mediate, cioè proprietà dei pezzi sostanziali o dei momenti inso­ stanziali delle cose. Quando parliamo di proprietà semplicemente, intendiamo di regola le proprietà immediate.

b) Concetto pregnante di proprietà e sua distinzione di contro al col­ legamento. Sono ora tutti i momenti insostanziali immediati di un oggetto (tutti quelli che gli appartengono come ad un intero) da prendersi senz'altro come proprietà? Di contro a quest'ipotesi vale quanto segue : le forme di colle­ gamento dei pezzi sostanziali, come il collegamento di un pezzo prelevato dalla cosa con il « resto », ossia con il pezzo totalmente integrativo [ Gesamterganzungstiick] sono pure certamente momenti insostanziali dell'intero e non momenti insostanziali di un pezzo ; sarebbe ben difficile tuttavia dirle proprietà dell'intero. Dobbiamo dire quindi che le proprietà sono momenti inso158

stanziali dell'oggetto i quali non appartengono ai pezzi di esso come momenti di questi, nè appartengono ad un certo insieme di pezzi come se fossero il collegamento dei pezzi stessi. Dovremo allora distinguere tre cose entro le possibili determinazioni interne di un sostrato : pezzi, collegamenti, e proprietà. Si potrebbero anche prendere assieme proprietà e collegamenti e distinguere : 1°) Momenti insostanziali di un insieme, di un collettivo, che non sono momenti insostanziali degli elementi di esso (pro­ prietà nel senso più ampio di insiemi : proprietà di connessione e pro­ prietà di forma) ; e, 2°) momenti insostanziali di un sostrato non-plurimo, ossia di un oggetto singolare, le quali appartengono ad esso come in­ tero, e quindi non appartengono ai suoi pezzi o a collezioni di questi pezzi (proprietà in senso più ristretto : proprietà immediate). 3°) Si deve qui ancora notare un possibile concetto aplissimo di proprietà che comprende tutto ciò che è proprio all'oggetto : tutto ciò che può dirsene in generale, l'aver parti, le proprietà delle parti, proprietà dei concetti delle parti ecc. Se invece ci poniamo a considerare i modi in cui si costituisce una proprietà nel senso più stretto e proprio ed in cui si costituisce un collegamento, otterremo allora un'altra suddivisione ed un'altra distinzione. Esistono cioè delle distinzioni essenziali nei modi di darsi dei momenti insostanziali, a seconda che siano proprietà immediate dell'intero o invece altri momenti insostanziali, proprietà dei pezzi o forme di collegamento. Unà proprietà immediata dello intero emerge già nell'esplicazione assoluta dell'intero. Un mo­ mento insostanziale attributivo di un pezzo può esser colto sol quando il pezzo è stato prelevato e colto per sé ; questo momento è quindi, secondo il modo della sua costituzione, un esplicato immediato dell'intero. Lo stesso vale naturalmente per i momenti inso­ stanziali degli stessi momenti insostanziali. Per ciò che concerne ora le forme di collegamento, esse sono 159

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coglibili solo come momenti del collegamento degli elementi col­ legati ; cioè vuol dire che devono prima essere colti questi ultimi c che può solo di poi cogliersi il collegamento. Il collegamento è quindi momento insostanziale che viene a datità solo dopo l'esplicazione dell'intero riguardo alle sue parti, quindi solo nell'intero già ripartito. Questo accade nel modo seguente : ogni pezzo vien colto per sé sul fondamento dell'intero mantenuto nella presa e viene quindi attribuito all'intero come suo arricchimento in modo che esso sia solo un intero ripartito. Ora il collegam�nto non sovraggiunge come una terza parte che l'intero avrebbe nello stesso senso in cui esso ha due parti, ma come una determinazione mediata dell'in­ tero, o anzitutto come un momento mediato che non è momento immediato dell'una o dell'altra parte, ma del loro insieme. Esso può aver luogo solo quando l'insieme è dato come insieme, cioè quando l'intero è esplicato nelle sue parti e per ciò in esse suddi­ viso. Perciò anche i momenti del collegamento al di dentro di un intero sono proprietà indirette ed anzi esplicati mediati. Limitiamoci agli esplicati immediati. Rimangono allora due pos­ sibilità: o l'esplicazione immediata porta ad un pezzo, oppure essa porta ad un momento insostanziale immediato dell'esplicando. Un pezzo immediato dell'intero (ogni pezzo è coglibile imme­ diatamente, nssia quando non sia pezzo di un momento) si distingue nel modo dell'esplicazione dal momento insostanziale imme­ diato e quest'ultimo è sempre e necessariamente una « proprietà ». Possiamo anche definire la proprietà come moJJJento insostanziale ùnme­ diato di un intero, o come parte immediata dell'intero che non ha in questo accanto a sé alcun'altra parte immediata con cui sia « col­ legata ».

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Capitolo terzo

e

§ 33.

La prensione del rapporto suo1 fondamenti nella passività.

Coscienza di orizzonte e contemplazione re/azionale [beziehendes Betrachten] .

Mediante le operazioni esplicative l'oggetto dell'esperienza (nella limitazione che abbiamo imposto alla direzione della nostra ricer­ ca, si tratta sempre di oggetti di esperienza schietta, di oggetti della percezione esterna) è rivelato secondo uno dei generi delle sue pos­ sibili determinazioni. Ma nella prensione di un oggetto non ci si ferma quasi mai a questa contemplazione penetrante. Per lo più esso vien posto fin dapprincipio in rapporto ad altre oggettività che sono date insieme ad esso nel campo dell'esperienza e che affettano insieme ad esso. In una prima visione generale (§ 22) noi contrapponemmo alla contemplazione esplicativa e penetrativa la contemplazione · « estra-duttiva >> e · relazionale *, alla cui analisi da ora in poi ci applicheremo. Preliminarmente la si potrebbe

* V'è per Husserl una visione che penetra l'oggetto nelle sue qualità interne e che egli chiama « hineingehend », e una visione che partendo dal­ l'oggetto va fuori di esso e ne esplora l'ambito esterno di rclazionalità, detta « herausgehend », o « hinausgehend ». Rendiamo il primo termine con >. Allo stesso modo, se tiriamo in causa la matita che sta accanto al portapenne, questo perviene alla prensione dello « stare accanto », ma ancora senza alcuna formazione predicativa. Anche qui ha luogo un sospin165

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gimento sintetico di ambedue le cose colte, di quel che come te­ ma principale è mantenuto nella presa (il portapenne) e del tema che vi si riferisce (tavolo o penna), sicché non c'è un mero succe­ dersi di due prensioni e di due raggi attenzionali, ma un raggio doppio (cfr. sopra, § 24 b.) (Quanto al modo più preciso in cui si costituiscono le relazioni spaziali degli oggetti, la questione ap­ partiene all'insieme generale dei problemi della costituzione spa­ ziale e non può esser qui considerata più da vicino, poiché voglia­ mo solo mostrare con un esempio le strutture generalissime della prensione relazionante e della prensione delle determinazioni re­ lazionali). Sulla base della coscienza unitaria in cui ambedue gli oggetti sono colti come stanti accanto, si possono dopo costituire in intuitività originaria delle nuove determinazioni per il porta­ penne; per es. esso è più grosso della matita. Noi troviamo qui di nuovo la stessa struttura : il portapenna è mantenuto sotto presa come tema principale, e nel vagare dello sguardo verso la matita risalta da quello, sulla base della coincidenza nel sospingimento in rapporto alla estensione, un dippiù : come ancor tenuto nella presa esso rivece la determinazione di « più grosso » *. Viceversa la matita può naturalmente, quando fin dapprima facciamo di essa il tema della nostra contemplazione, esser colta come più sottile nella stessa maniera. Ambedue le cose hanno luogo sulla base dell'unità dell'essere assieme in una coscienza, così come prima lo « stare accanto » o lo « stare su » erano colti come determinazioni del sostrato. b) La reversibilità della contemplazione re/azionante e il «junda­ mentum refationis ». Quel che più importa è qui che, sulla base di quella unità co­ munque fondata, ossia dell'unità dell'essere più oggetti assieme in una coscienza, si depositano sull'oggetto, colto nello sguardo *

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V. anche la più precisa analisi nel § 42.

come tema principale, nuove determinazioni nel passar da questo all'altro oggetto in relazione. Sul fondamento di questa unità si possono dare per ciò determinazioni del tutto diverse, ora per l'uno ed · ora per l'altro oggetto. Una volta l'uno può rivelarsi come più grosso, ed un'altra come più sottile, una volta il primo come ciò che sta sopra ed un'altra il secondo come ciò che sta sotto. Nessun ordine rigido è qui pre-delineato, come quello che esi­ steva nella esplicazione interna ove gli oggetti come sostrati ori­ ginari precedono essenzialmente altri che possono sottentrare solo, originariamente, come determinazioni. Nella contemplazione relazionante noi fin dapprincipio abbiamo a che fare con oggetti per sé stanti ed ognuno dei due termini della relazione può essere tanto tema principale originario e sostrato della relazione, quanto tema relativo (preso in considerazione solo insieme all'altro) a seconda di ciò che l'interesse richieda. Questa relazione sta a fon­ damento di ciò che in seguito noi impareremo a conoscere, nella superiore sfera predicativa, come reversibilità di ciascun conte.rto re/azionale [Relationssachverhalt]. In ciò che abbiamo detto per il grado considerato non si è fatto cenno delle relazioni come una specie di contesti ma solo dei momenti del contemplare. Tuttavia, riferendoci al fatto che questi determinano il presupposto per la costituzione delle relazioni, noi possiamo designare come fundamentum relationis quell'unità che sta a fondamento di questo contemplare relazionante, comunque essa venga a deter­ minarsi.

c) Relazione ed esplicazione. È chiaro che quest'unità stessa non può diventare tematica prima

che cominci il contemplare relazionante ; essa opera piuttosto in modo puramente passivo come l'affettare-in-comune degli oggetti 167

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già-dati in una coscienza unica e rende cosi possibile il passaggio sintetico dall'uno oggetto all'altro. Perciò non si deve nemmeno intendere la contemplazione relazionante come se prima uno sguardo dovesse colpire l'unità, la quale dovrebbe per ciò esser colta attivamente come unità, e solo dopo e sul fondamento di questa unità potesse entrare il relazionare come un genere di espli­ cazione della stessa unità già prima fissata. La differenza prin­ cipale dell'esplicazione dalla relazione sta in ciò, che nella prima ha sempre luogo una coincidenza parziale, per cui l'esplicato vien colto come esistente presso o dentro l'esplicando e come apparte­ nentegli. Invece le determinazioni relazionali appaiono nel sostrato ; il sostrato si dà come maggiore o minore ccc. ; ma queste deter­ minazioni n011 compaiono presso o dentro l'unità dei due membri della relazione, come dovrebbe aver luogo se il contemplare rclazionante dovesse essere una esplicazione dell'unità. Le determinazioni rela­ zionali, invece, si dànno sul fondamento della unità già-data; non è questa che diviene tematica, ma l'oggetto considerato nel modo della relazione. Come dicevamo, noi cogliamo le determinatezze relazionali presso l'oggetto, come anche cogliamo in esso gli esplicati interni. Ma le determinazioni interne noi le cogliamo pure come contenute entro di esso in una coincidenza parziale con esso; quelle relazionali, invece, non sono mai entro l'oggetto ma sor­ gono solo nel passare all'oggetto correlativo, allungando, per cosi dire, verso di esso i loro « tentacoli ». Sintesi della coincidenza c'è di certo anche nella contempla· zione relazionante, come il sospingimcnto descritto sotto a) in cui emergono e vengono colte le determinazioni relazionali. Ma questa coscienza della coincidenza deve essere rigorosamente distinta come coscienza discreta dalla coscienza continua della coincidenza in cui è consaputa continuamente l'unità di un oggetto, sia in prensione schietta e sia nella sua esplicazione.

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§ 35.

Problema dell'essenza dell'unità che sta a fondamento della relazione.

Finora noi abbiamo parlato in maniera del tutto generale della unità tra i termini della relazione, unità che è il presupposto di ogni contemplare relazionante. Ma abbiamo già posto attenzione al fatto che esistono diversi generi di unità intuitiva sul cui fonda­ mento lo sguardo della contemplazione relazionante può scorrere di qua e di là tra l'oggetto-sostrato (tema principale) e l'oggetto della relazione (tema in rapporto a ...) Può trattarsi direttamente di un'unità di ciò che si dà da sé nella percezione, ma può altrettanto bene trattarsi di un'unità in cui ciò che si dà da sé è unificato con ciò che non si dà da sé (come presentificato, fantasticato). Dobbiamo ora porre il problema di questi generi di formazione in unità, per ottenere una visione intellettiva delle possibili forme speciali del relazionare, considerato almeno nei suoi tipi fondamentali. In conformità al nostro punto di partenza dal darsi da sé degli oggetti spazio-temporali individuali nella percezione esterna, l'unità considerata negli esempi fin qui addotti di contemplazione relazionante era pensata come unità di oggettività già-date e afficienti nel campo della percezione, come in pari tempo intuitive, ossia come unità nella contemporaneità dell'afficiente : quel che sta in un campo percettivo come dato originario, o come qualcosa che può diventare un dato mediante il volgimento dello sguardo, affetta unitariamente. Da tutto ciò provengono all'io degli stimoli. L'unità del campo, sulla base della CJ11ale soltanto diviene possibile ogni volgimento prensivo verso le singole oggettività che affettano da questo campo, e diviene anche possibile l'esplicazione e la messa in relazione di queste oggettività, era finora semplicemente presupposta e si era solo ammesso che sono le operazioni della sintesi passiva della coscienza temporale ciò mediante cui quell'unità viene in fondo resa possibile (§ 1 6). Queste operazioni debbono essere ora ulteriormente studiate affinché si comprenda .

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la struttura della pluriunità della affezione. Anche gli atti dell'io che si determinano sul fondamento di questo campo, come volgi­ menti, prensioni, hanno pure, come atti, la loro struttura tempo­ rale la quale è stata già presa in considerazione (§ 23). Non si fa dunque adesso questione di questi atti dell'io, ma della struttura temporale del campo passivo stesso che precede tutti gli atti ; il pro­ blema verte quindi su ciò che costituisce l'unità passiva della pre­ datità di più cose percettive. Noi dobbiamo partire da questa unità elementare, unità di una pluralità di oggetti percettivi intuitivamente unificata in una presenza; ci domanderemo poi quali altre specie di unità siano possibili come fondamenti di relazioni, oltre l'unità dell'intuizione originaria, le quali contribuiscono alla determinazione relazionale degli oggetti percettivi.

§ 36. L'unità passiva (temporale) della percezione. 181

Affinché sia possibile l'unità della percezione di una pluralità di indi­ vidui, questi debbono essere dati in un'unico ora coscienziale come simultaneamente affìcienti. Ciò vuol dire che l'unità di una perce­ zione sensibile, di una coscienza intuitiva dell'oggetto, è unità di una coscienza sensibile in cui ogni oggettività, si tratti di un indi­ viduo in sé concluso o di una pluralità di tali individui, viene a datità originaria nella e con la forma della durata temporale che rende possibile nella sua estensione l'unità oggettiva. Assumiamo dapprima un individuo che cada nell'intuizione; l'unità dell'intuizione di esso si estende proprio quanto l'unità del durare originario, ossia della durata individuale che si costi­ tuisce nella coscienza originaria del tempo. L'individuo riemerge dall'intuizione, anche se esso duri pure oltre e possa cosi essere intenzionato nella coscienza in qualche modo come durevole, ma non intuitivamentc, quando la costituzione temporale originaria che 1 70

continua a procedere non costituisce queste durata come durata dell'individuo, riempita da una pienezza individuale di momenti contenutistici. Lo stesso vale per una pluralità di individui. Ma questi sono consaputi assieme nell'unità dell'intuizione solo allorché sulla pluralità si estende unitariamente l'unità della durata originaria della coscienza che in generale costituisce la temporalità nei modi della contemporaneità e della successione. Allora non si intuisce solo in generale ognuno di questi individui, né ciascuno è sempli­ cemente consaputo in una durata temporale con gli oggetti che l'accompagnano, ma sono tutti quanti insieme consaputi originariamente in una durata ; essi formano tutti insieme un'unità sensibile in quanto la durata che li connette è costituita intuitivamente nella forma originariamente sensibile. Ora, quanto si estende il tempo originariamente costituito, tanto si estende l'unità, origi­ nariamente e sensibilmente (cioè passivamente, prima di ogni attività) costituita di una oggettività possibile, la quale è o un indi­ viduo unico oppure una pluralità di individui per sé stanti coesi­ stenti. Questa pluralità data originariamente non è una collezione meramente accumulata assieme da un collegare attivo, ma unità dell'oggettività che di certo, come unità solo temporalmente stabilita, non è un individuo « nuovo », quasi un individuo fondato. Dopo queste considerazioni diviene evidente che la pluralità, mera coesistenza di oggetti individuali già-dati, è una unità unita­ riamente collegata ; non è unità categoriale prodotta dalla spontaneità creat1va ma unità di specie simile a quella di un individuo. Essa non è certamente un individuo, ma ha la proprietà fenomenolo­ gica fondamentale di ogni oggettività schiettamente data ; questa proprietà consiste nel fatto che essa dev'esser data originariamente come unità sensibile, e che ogni prensione attiva su di essa richiede la predatità unitaria della sensibilità. Certamente, mediante la pren­ sione attiva, quel che prima era pre-costituito in originaria passi­ vità diviene tema principale. La forma del tempo non è solo perciò 171

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una forma di individui in quanto questi sono individui che durano, ma ha anche oltre la funzione di unificare gli individui in una unità collegante. L'unità della percezione di una pluralità di individui è quindi unità sulla base della forma temporale collegante. È questa l'unità che sta a fondamento alle relazioni già considerate dello « stare uno accanto all'altro », quindi in generale alle relazioni della posizione nello spazio. Gli oggetti individuali della percezione hanno la loro reciproca posizione nello spazio sul fondamento del loro essere insieme in un tempo. Per parlare più propriamente, il tempo mediante cui essi sono unificati non è il tempo soggettivo degli Erlebnisse percettivi, ma il tempo oggettivo che appartiene al loro senso oggettivo. Non si tratta quindi solo del fatto che gli Erlebnisse del percepire siano contemporanei immanentemente, o anche inclusi assieme in gene­ rale in una percezione unica della pluralità ; oltre a ciò infatti anche le oggettività veramente esistenti sono intese come duranti ogget­ tivamente nello stesso tempo. L'unità dell'intuizione che qui vale non è quindi solo unità sul fondamento della pluralità in quanto intenzionata intuitivamente in un presente vissuto, ma una unità dello stesso assieme oggettivo. Ciò sarà più chiaro se posto in contra­ sto ad altri casi in cui si ha pure unità intuitiva, ma ove gli ele­ menti intuitivamente unificati sono oggettivamente intenzionati come esistenti in tempi diversi, o come in generale non esistenti in alcun tempo oggettivo se trattasi di oggettività della fantasia. Qui noi saremo costretti ad andare per un tratto oltre al do­ minio di ciò cui di volta in volta la nostra ricerca rimarrà limitata. Poiché finora si è parlato di percezione e quindi della coscienza posizionale che intenzjona gli oggetti come esistenti, questi erano pur solo pensati come oggetti per me, come oggetti di un mondo solo per me. Ma il riferimento, qui ed in seguito inevitabile, al tempo oggettivo, per comprendere a fondo l'opposizione fra per­ cezione e ricordo, da una parte, ed Erlebnisse di fantasia dall'altra e per comprendere il rapporto delle distinzioni qui considizionate 1 72

all'unità fondante, conduce già oltre a questo dominio dello essereper-me. Il tempo oggettivo, l'essere oggettivo e tutte le detenni­ nazioni dell'ente come esistente oggettivo significano già un essere non solo per me, ma anche per gli altri.

§ 37.

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L'unità del ricordo e la sua separazione dalla rappre­ sentazione.

Nel far questione dei generi ulteriori di unità intuitiva, i quali possono ancora darsi oltre l'unità immediata della percezione, noi ci manterremo dapprima solo al di dentro della coscienza posi­ zionale. Sarà quindi nostro prossimo problema occuparci innanzi tutto della connessione che la percezione ha con il ricordo inteso come presentificazione posizionale, e del genere di unità int11itiva che essa possiede, unità che può anche esser presente allor quando gli oggetti unificati riferiti l'uno all'altro non sono dati simultaneamente in una percezione ma in parte nella percezione ed in parte nella pre­ sentificazione. Come esempio può servire il seguente : io vedo percettivamente un tavolo di fronte a me e nello stesso tempo mi ricordo intuiti­ vamente di un altro tavolo che stava prima in questo posto. Se io posso anche « trasportare » il tavolo del ricordo accanto a quello della percezione, tuttavia il primo non sta accanto all'altro nell'uni­ tà di una durata effettiva, ma, in certo modo, ne è separato. I mondi della percezione e del ricordo sono separati. D'altro canto esiste pure un'unità (qualunque sia il senso molteplice in cui essa possa manifestarsi) in quanto io ho ambedue i tavoli che stanno intuiti­ vamente in una presenza dinanzi agli occhi. ln che senso si deve qui parlare di separazione ed in che senso di unità? È certo a buon diritto che si parla di una separazione tra il per­ cepito ed il ricordato. Se io vivo in un ricordo, ho un'unità della 1 73

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intUIZIOne del ricordo ; quivi il ricordato, prima di ogni compara­ zione, distinzione e relazione, è qualcosa di unitario ed in sé con­ cluso che è « sensibile » e « intuibile » nelle parti fluenti, finché io vivo proprio in una intuizione di ricordo unica che rimane inin­ terrotta, finchè quindi io « salto » da un ricordo all'altro in una confusione di idee improvvise. Ogni ricordo unitario è in sé con­ tinuamente unitario e costituisce in sé un'unità consaputa di ogget­ tività, unità che è quella intuitivo-sensibile ; come dicemmo, è intuitiva nelle parti fluenti. Ciò vuol dire che lo scorrere di un pro­ cesso che dura a lungo nel ricordo ha proprio la stessa struttura della prensione di esso nella percezione originaria. E come qui è intuitivamente consaputa sempre soltanto una fase nella sua originalità, fase che vien dissolta dalla seguente e, mantenuta nella presa, si identifica sinteticamente con questa, così nel ricordo di un evento passato è unitariamente intuitivo l'intero evento, ossia l'evento intenzionato in tutte le sue fasi, sebbene non ne sia « auten­ ticamente intuitiva » che una sola parte temporale fluente. Il principio della chiusura [ Geschlossenheit] del ricordo è naturalmente proprio lo stesso di quello che abbiamo prima stabilito per la per­ cezione, ossia esso riposa sull'unità di una durata temporale. È, que­ sta, un'unità non solo in rapporto al rilevamento ed alla contem­ plazione tematica di una cosa singola o di un evento percepito, ma già in rapporto al fenomeno unitario della impressione che fonda questa attività, impressione nella quale ci è sensibilmente già-data l'unità di una oggettività (comunque questa possa essere composta di molti elementi), come unità per noi passivamente esistente. Si tratta di una formazione originariamente costituita, di una immagine che scorre fino a noi. Quest'imagine, sia come imagine della percezione (della datità sensibile originaria), che come imma­ gine del ricordo, è già per sé, e solo le intenzioni di orizzonte le dànno una connessione con l'oggettività che si estende fino ad essa, ossia con il mondo oggettivo di cui essa è una parte. Sul fondamento di questo orizzonte può entrare in tale ricordo 174

ciò che noi chiamiamo il continuo rifluire [Durchlaufen] nel ricordo come è il caso di un passato prossimo che rifluisce fino al presente originario. Il ricordo che prima era comparso isolatamente può essere « liberamente » proseguito, in quanto che noi ci inoltriamo nell'orizzonte del ricordo di contro al presente e procediamo con­ tinuamente da un ricordo all'altro ; tutti i ricordi che qui compaiono sono adesso tratti fluenti, e passanti l'uno nell'altro, di un ricordo connesso ed unitario. Il processo subisce qui di regola un ingros­ samento o un raccorciamento (contrazione) per l'eliminazione delle parti inessenziali del ricordo. Si deve quindi distin­ guere : 1°) L'unità che volta a volta il campo del ricordo (fluente sempre oltre) possiede e che è unità intuitiva in senso stretto : il ri­ fluire nel ricordo di un evento di ampia durata è un ricordo unico in quanto che, in ogni fase di questo vissuto nel ricordo, l'intuìto della fase precedente, ciò che quindi è avvenuto prima, è « ancora » intuibile, ancora tenuto sotto presa, mentre appunto viene a intui­ tività « primaria » quel che compare come nuovo nel ricordo. 2°) L'intero campo del ricordo intuitivo in senso più ampio. Qui si trova anzitutto il continuo che « trascorre » nell'unità di una coscienza, che è continuo dei campi di ricordo propriamente intuitivi, dei quali i campi non più autenticamente intuibili conser­ vano ancora una vivacità ritenzionale e che non sono « sommersi ». Si trova inoltre qui anche tutto ciò che non è incluso negli orizzonti del passato non di nuovo ripor�ti al ricordo ; s'intende che è incluso come mera potenzialità di portare le intenzioni, che stanno sotto la forma di ripresentazioni al ricordo, al loro soddisfacimento, prima in forma di ripresentazioni al ricordo intuitive. Ma queste poi si sommergono e divengono ritenzioni non intuitive ma pur sempre viventi, divengono cioè ripresentazioni andate a fondo ma non interamente sommerse [Herabgesunkenheiten, die doch nicht Versunkenheiten sind]. 175

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Queste intere unità della ripresentazione al ricordo sono sepa­ rate l'una dall'altra ; a meno che in certi processi particolari o parti­ colarmente strutturati non siano ricondotti alla percezione origi­ ginaria o anche vengano legati l'una all'altra, mediante un colle­ gamento continuo, nell'unità connessa di una ripresentazione al ricordo. Ciò che compare in queste unità come unità sensibile, oggetto o collegamento, è separato in sé ed è anche separato da quel che può comparire una volta o l'altra nel mondo della per­ cezione. Non possiamo quindi naturalmente parlare del dato come se entrasse da una parte o dall'altra in un collegamento « sensibile », propriamente o impropriamente « intuitivo ». Un oggetto della percezione, come questo portapenne che io percepisco ora gia­ cente sul tavolo, non sta in alcuna connessione intuitiva con il libro che un anno fa stava nello stesso posto sul tavolo, e di cui io ora mi ricordo. Quest'altro oggetto non sta « accanto » al porta­ penne c non ha in generale alcuna relazione spaziale di unità con esso, cosa per la quale si richiederebbe l'unità dell'intuito in una unica durata temporale. Tali relazioni ed il contemplare relazio­ nante che ad esse si dirige, ossia le relazioni delle posizioni spaziali tra di loro, non sono quindi possibili nel caso di oggetti di intui­ zioni separate.

§ 38.

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Conmssione necessaria tra gli oggetti intenzionali di tutte le percezioni e le presentijìcazioni posiziona/i di un io o di una comunità d'io, sul fondamento del tempo come forma della sensibilità.

Nonostante ogni separazione, esiste qui tuttavia un'unità e delle relazioni di unità che su di questa si fondano. Il genere di questa unità ci sarà chiarito quando ci ricorderemo delle intenzioni di oriz­ zonte già considerate. Ogni percezione, come oggettività effettiva 1 76

di una coscienza intenzionante, ha il suo orizzonte del prima e del poi. Essa rimanda indietro a ciò che è stato percepito prima e che può esser presentificato in ricordi, ed anzi anche quando questi non si connettono immediatamente con le percezioni, ma ne restano separate per certi tratti oscuri e non ricordati. Fatta astrazione della connessione, di cui si dovrà parlare solo dopo, per cui ogni percepito « ricorda » un percepito passato eguale o simile, anche quando questo è temporalmente separato dal primo (relazione di eguaglianza o simiglianza), esiste pur qui un'altra specie profonda di unità : quando io, procedendo da una perce� zione, sono ricondotto dai ricordi al mio passato, allora questo passato è appunto il mio, del mio stesso soggetto presente e vivente. Ed il mondo-ambiente passato, ora ricordato, appartiene allo stesso mondo cui appartiene il mondo in cui io ora vivo ; ma solo che esso è presentificato per un solo tratto del suo passato. Lo stesso accade, per tirare in ballo anche l'intersoggettività, quando un altro mi racconta le sue esperienze passate e mi fa parte� cipe dei suoi ricordi ; il ricordato in questi ricordi appartiene allo stesso mondo oggettivo cui appartiene ciò che è dato nel mio e nel nostro comune presente vissuto. Il mondo-ambiente ricordato di un altro mondo di cui questi racconta, può anche essere diverso da quello in cui noi ora ci troviamo, e lo stesso mondo da lui ri­ cordato può essere anche stato un altro ; io posso aver cambiato la mia residenza, essere venuto in un'altra terra presso altri uomini, con altri costumi ecc., oppure la stessa regione dello spazio e gli uomini che la abitano possono essersi mutati, durante il corso della vita di un uomo, talmente che essi siano divenuti interamente diversi. Tuttavia però tutti questi mondi-ambienti ricordati sono pezzi di un unico ed uno stesso mondo oggettivo. Questo mondo, nel senso più comprensivo mondo vitale [Lebenswelt] di una umanità acco­ munata in possibili intese, è la nostra terra che include in sé tutti i diversi mondi-ambienti con le loro variazioni ed i loro passati, giacché noi non abbiamo alcuna notizia degli altri astri come mon-

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di ambienti per uomini che eventualmente li abitino *· In questo mondo unico ha il suo posto tutto ciò che io ora percepisco sensi­ bilmente in maniera originaria, ciò che ho percepito e di cui mi posso ricordare, anzi di cui gli altri mi possono informare come ciò che essi percepiscono o ricordano. Ciò ha la sua unità per il fatto che ha la sua precisa posizione temporale in questo mondo oggettivo, il suo posto nel tempo oggettivo. Questo vale per ogni oggetto della percezione come tale, ossia come oggetto inteso, intenzionato come veramente esistente. Ciò vuol dire che nella percezione che sta nella sfera del presente vivente esistono dei contrasti, come il salto da una percezione ad un'altra che si impone in contrasto con la prima (vedi sopra, § 21) ; lo stesso accade per ogni percezione passata, adesso ri-suscitata. Il contrasto ha pur luogo nella stessa sensibilità (quindi prima di ogni attività). Qui però si deve osservare che il tempo intenzionale, il tempo che appartiene alle oggettività intenzionate come tali, non viene toccato dal contrasto, in quanto che gli oggetti in reci­ proco contrasto non contrastano in rapporto allo stesso momento temporale. Due posizioni temporali dotate del medesimo colore non possono venire a contrasto, come invece vengono a con­ trasto le colorazioni di un oggetto come due colorazioni diverse in contrasto reciproco nella stessa posizione temporale. Il con­ trasto sensibile che si verifica in modo originariamente passivo va necessariamente assieme a due oggetti che hanno la stessa deter­ minazione temporale ed ha per presupposto questa identità di determinazione temporale.

* Perciò il mondo oggettivo è qui certamente eguagliato alla Lebenswelt della umanità, presa come la comunità comprensiva di ogni intesa possibile. Nel nesso del nostro discorso può essere trascurato il problema del modo in cui il mondo, preso concretamente come Lebenswelt della umanità, si rapporta al mondo oggettivo in senso stretto, ossia al mondo nel senso in cui è determi­ nato dalle scienze naturali. 178

Perciò la serie temporale costituita sensibilmente è unica sotto tutti i riguardi; in essa, a parte gli ulteriori caratteri di unità e di indipendenza, costituiti o da costituire, si inserisce ogni intenzio­ nale come tale che è costituito proprio sensibilmente (che appare originariamente). Ogni cosa che appare originariamente, anche se appare in un contrasto, ha per ciò la sua posizione temporale determinata; cioè, essa non ha solo in sé un tempo fenomenale, ossia dato nella ogget­ tività intenzionale come tale, ma anche il suo posto fisso nell'unico tempo oggettivo. Detto propriamente, pur se cio che appare si trova solo in una successione, in modo che le due cose si eliminino reci­ procamente, sicché quando l'una appare l'altra è consaputa nel modo dello esser occultata, tuttavia ogni tale oggettività, data come palese o occulta, deve pur avere la sua posizione temporale intenzionale ed il suo posto nel tempo unico. Intendiamo ora la verità interna della proposizione kantiana : il tempo è la forma della sensibilità, ed è perciò la forma di ogni mondo possibile della esperienza oggettiva. Prima di far questione della realtà oggettiva, prima del problema intorno a ciò che dà la pre­ minenza a certe « apparizioni », ossia agli oggetti intenzionali che si dànno nelle esperienze intuitive, affinché noi in virtù di ciò possiamo attribuir loro il predicato di « oggetto vero » o « effettivo» prima di tutto ciò, sta il fatto che tutte le « apparizioni », le quali si dimostrano vere o nulle, hanno la proprietà essenziale di dare il tempo, ed anzi in modo che tutti i tempi dati si inseriscono in un tempo unico. Perciò tutti gli individui percepiti e mai perce­ pibili hanno in comune la forma del tempo. Questa è la forma fondamentale, la forma di tutte le forme, il presupposto di tutte le connessioni che costituiscono un'unità. Forma significa qui però fin dapprincipio il carattere che necessariamente precede ogni altro nella possibilità di un'unità intuitiva. La temporalità, come durata, coesistenza e successione, è la forma necessaria di tutti gli oggetti unitariamente intuibili e perciò la forma d'intui­ zione di essi (forma degli intuiti concretamente individuali). 179

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Nello stesso tempo la frase « forma di intuizione » ha ancora un secondo senso : ogni individuo, intuito nella unità di una in­ tuizione, è dato in una orientazione temporale che è la forma del darsi di ogni presente in una presenza. Vale però inoltre che tutti gli individui concreti (ed i momenti individuali astratti sono qui implicati per una conseguenza naturale), consaputi in intuizioni che dapprima non hanno una connessione, appartengono alla unità di un tempo, che invero non è intuitiva ma si può ren­ dere intuitiva nel libero sviluppo, ossia nel soddisfacimento, delle intenzioni che stanno nelle intuizioni e che debbono portarsi alla datità. Il tempo è la forma, l'unica forma di tutte le oggettività intui­ tive che un io ha dato o può aver dato in intuizioni dapprima senza connessione per esempio in percezioni, ed in ricordi separati da queste. Oppure : ogni intuizione ha il suo orizzonte dispiegabile in una infinità di intuizioni cui corrispondono le oggettività che, mediante questo dispiegamento, sono consapute come date in un tempo. V'è un tempo che dopo questo dispiegamento, e quindi nella datità, si stabilisce come lo stesso, cui appartengono pure i vissuti intuenti ed i vissuti dell'io in generale. Tutto ciò prosegue poi nella Einfiihlung *. In essa si costituisce un tempo oggettivo intersoggettivamente comune in cui ogni individuo degli Erlebnisse e delle oggettività intenzionali deve essere ordinato. Ciò deve riportarsi al fatto che la Einfiihlung per ogni io non è altro che un gruppo particolare di presentificazioni posizionali di contro ai ricordi ed alle aspettazioni, ed al fatto che la Einfiihlung stessa può unificare nel modo anzidetto queste intui­ zioni come tutte le intuizioni posizionali.

* Questo termine, diventato peraltro di uso corrente in filosofia, non può essere letteralmente tradotto; il suo significato vale « penetraz.ione del­ l'essere altrui », « sentimento dell'altro ». Esso è composto da ein che significa moto verso un luogo (« penetrazione ») c > temporalmente ; essi appartengono all'unico ordina­ mento del divenire e possono essere rappresentati solo nella ripro­ duzione del loro ordinamento, mediante la rappresentazione tem­ poro-costitutiva del divenire. L'elemento individuale del divenire fonda l'unità collegante e l'ordine (relazione). Qualcosa di simile accade per l'ordinamento della posizione spa­ ziale fondata sull'ordine temporale degli oggetti individuali. Lo 203

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spazio è l'ordine della simultaneità di oggetti dati sensibilmente (materiali). I momenti individualizzanti (il « qua » ed il « là » sono i momenti individuanti nella forma temporale dello « assieme ») possono fondare una connessione, e la posizione spaziale, o l'esten­ sione spaziale, fonda la connessione spaziale. L'estensione nello spazio è pure una continua connessione di collegamento. E come un tempo è quello che è solo nella sua connessione universale del divenire, cosi uno spazio (una posizione nello spazio, una figura determinata nello spazio, un ordine spaziale ecc. ed anche una di­ stanza) è quello che è nella connessione universale ma individuale, che è quindi unica. Nella rappresentazione individuata di un oggetto temporale, o anche di una forma qualificata spazialmente, non v'è nulla del suo contenuto che la distingua intuitivamente da un qual­ siasi altro oggetto ad essa simile, rappresentato pure come indivi­ duato ; ma l'individualità della posizione non è nemmeno data nella mera rappresentazione individuata. Solo quando mi rappre­ sento intuitivamente la connessione temporale comprensiva con ambedue gli oggetti, nella quale ciascuno di essi ha la sua posizione del divenire, ho un'intuizione della distanza, dell'ordinamento temporale relativo, e della posizione temporale ; così anche quando invece degli oggetti individuati mi rappresento intuitivamente lo spazio che li comprende, come forma di ordinamento, io mi sono rappresentato qual­ cosa di più, qualcosa che li distingue nello spazio. Certo, tutto questo vale in modo relativo, io non ottengo un'individualizzazione com­ pleta se non quando mi rifaccio al mio hic et nunc. Altrirmenti io ho qualcosa di non intuitivo, cioè una rappresentazione intuitiva ma che è proprio del tutto indeterminata riguardo alla indidivualiz­ zazione del posto. In tal caso io ho determinato la individualizza­ zione relativa di un corpo di fronte ad un altro entro l'ordinamento spaziale relativo, ma non ancora pienamente questo ordine stesso nella sua posizione. Solo quando io faccio appello al qui ed ora posso ottenere la determinatezza richiesta dalla intuizione individuale come tale (nonostante la mancanza .di determinazioni logiche). 204

Due corpi dati intuitivamente non permettono quindi una rappresentazione originaria della loro distanza come relazione spa­ ziale, sicché essi producono una rappresentazione originaria o una intuizione della loro somiglianza solo quando sono rappresentabili insieme. Per ciò bisogna che siano unificati in un solo spazio gli am­ biti intuitivi spaziali in cui stanno rispettivamente i due corpi, e per questo è poi necessario che questi corpi si adombrino in un unico campo visivo o tattile. Altrimenti non abbiamo ancora una rappresentazione adeguata della distanza né del fatto che la distanza dei due corpi sia maggiore o minore di un'altra. Noi non possiamo sapere direttamente ancora se una distanza sia minore relati­ vamente all'altra, poiché per questo dovremo percorrere da una parte e dall'altra le connessioni costitutive delle due distanze ; pa­ rimenti, quando vogliamo rappresentarci l'eguale grandezza delle distanze, abbiamo bisogno di percorrere queste distanze e di d­ ferirle ad orientazioni eguali. Tra le relazioni che si fondano sul collegamento effettivo (re­ lazioni di collegamento) stanno pure, inoltre, quelle di causa ed effetto, intero e parte, parte e parte, per nominare solo le princi­ pali. Tutte le relazioni della realtà effettiva non possono per prin­ cipio sussistere tra il reale effettivo ed il reale effettivo-come-se, cioè non si possono costituire in autodatità ove un membro sia consaputo come effettivo e l'altro come finto. Se l'intero è reale, reale è pure la parte ; un finto non si può connettere con un reale in un tutto. Lo stesso vale, per es., per le distanze spaziali. Due cose hanno una distanza ; la distanza appartiene ad esse e se la di­ stanza non ha l'esistenza di una cosa essa ha tuttavia un'esistenza fondata dalla esistenza delle cose, ha cioè una esistenza vera e pro­ pria. La distanza spaziale e in generale la posizione spaziale è una relazione che presuppone un collegamento effettivo. È ovvio che tutte queste relazioni di effettività possono tradursi nel modo del « come-se » e comparire in questo modo, a seconda dell'estensione che possiede l'unità di una intuizione e di un mondo fantastici. 205

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c) Concetto stretto e concetto ampio di unità della intuizione.

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All'opposto, le relazioni della eguaglianza e della somiglianza, di contro alla mancanza di connessione posseduta da ciò che non è effettivamente collegato, sono interamente impercepibili. Lo sono in quanto hanno la loro fonte originaria solo nella connessione che è precostituita dall'unità dell'associazione. Quale che sia l'effetto dell'azione associativa, e quanto che essa duri a causa della costi­ tuzione di oggetti e mondi di oggetti unitariamente connessi, essa è anche efficace quando gli oggetti appaiono, entro la coscienza, per cosi dire senza connessione. Essa crea un vincolo ed anzi in maniera speciale un'associazione di somiglianza. Questo collega­ mento, entrando nello sguardo tematico, è il fondamento della costituzione attiva dei rapporti di eguaglianza e di somiglianza. Dobbiamo anche qui perciò distinguere l'unità passivamente co­ stituita tra due, oggetti ciò che vien colto nella ricettività che su di essa si fonda come eguaglianza e somiglianza, ed ancora, in un grado più alto, ciò che si costituisce nel produrre spontaneo come relazione di somiglianza. Al contrario delle relazioni di eguaglianza e somiglianza, quel­ le della realtà effettiva presuppongono intuizioni basate su di un col­ legamento effettivo, intuizioni che in senso proprio e ristretto sono dette intuizioni connesse [zusammenhangende ]. Esse formano l'unità della intuizione di ciò che non è solamente riunito ma omogeneo, omo­ geneo cioè nella connessione di un mondo (o anche di un mondo­ come-se) la quale deve potersi rendere intuitiva. In senso strettissimo noi parliamo di unità dell'intuizione quando gli oggetti unificati intuitivamente in una presenza si dànno da sè come qui esistenti veramente ed oggettivamente in simultaneità, e quando solo così possono esser dati. Se per esempio dev'esser dato un viale nell'unità di un'intuizione, esso deve cadere con tutte le parti nell'unità dell'intuizione. Se una parte è nascosta allora noi abbiamo l'unità dell'intuizione in senso strettissimo per le par206

ti viste, ma non per il tutto del viale. Quest'unità è quindi unità di una perçezione autentica; ciò che di inautenticamente dato è incluso in una percezione non appartiene più all'unità della intuizione e di cui parliamo. Quest'unità ha il suo analogo, com'è naturale, nella pre­ sentificazione (ricordo o fantasia) (cfr. §§ 37,40). La distinzione tra i collegamenti della realtà effettiva e le unità in cui è intuìto ciò che è semplicemente riunito comparativamente, dà luogo, nei gradi superiori o categoriali, alla contrapposizione tra relazioni di collegamento e relazioni di comparazione. Tutto ciò che è costituito nei vissuti che compaiono nella coscienza interna può essere paragonato in quanto viene portato assieme nell'unità in­ tuitiva di una presenza ; in altri termini, tutto ciò che può entrare nell'unità di un mondo possibile. Ma unità collegata ha solo ciò che è u­ nitariamente costituito come veramente ed originariamente oggettivo. Certo, un collegamento vale in qualche modo tra enti non col­ legati, non effettivamente omogenei ma solamente riuniti nella uni­ tà di una intuizione ; ma allora non si tratta di un effettivo collega­ mento di oggetti, ma solo del collegamento dei vi.rsuti costituenti, ossia del loro collegamento nel flusso della coscienza. I vissuti hanno, l'uno verso l'altro, la loro assoluta posizione temporale, sia i vis­ suti posizionali che quelli neutrali che costituiscono le oggettività della fantasia, ma non però le oggettività costituite nei vissuti.

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d) La determinazione formale dell'unità come fondamento delle rela­ zioni formali. Si consideri ora uno speciale modo di formazione d'unità, che procura il fondamento per certe particolari relazioni, ossia per le refazioni formali. Si tratta qui dell'unità ontologico-formale che non si basa sul collegamento effettivo degli oggetti unificati nè si fonda in loro momenti di essenza o sulle intere essenze. È questa una unità che si estende a tutti gli oggetti possibili, individuali o non 207

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individuali ; è quindi la forma collettiva di unità, quella dello « as­ sieme » *. Essa trovasi originariamente data ogni qual volta degli oggetti da essa unificati si dànno intuitivamente in una coscienza (in un presente di coscienza). Il « tutto » unitario della collezione diventa in senso particolare oggettivo (tema) quando sorge qui una prensione singola ed una prensione della connessione che si estende per questo « tutto ». Perciò la proposizione ed ogni altro ente possibile (ogni che di possibile, compreso ogni reale effettivo) sono intuibili in una coscienza (nel caso della intuizione originaria, come possibile o reale), ed ogni qualsiasi cosa è qui per principio colle­ gabile, e con lo stesso valore. Tutto ciò che è del contenuto non ha essenzialmente valore di fondamento per l'unità collettiva, e l'es­ senza non viene qui presa in considerazione, nemmeno in quanto dà luogo a delle distinzioni. Fare del tutto della collezione un og­ getto, è già certamente operazione di grado superiore, non della ricettività, ma della spontaneità produttiva, giacché in generale le relazioni formali non compaiono che a questo grado e presuppon­ gono interamente le operazioni del pensiero predicativo. Per ciò noi dobbiamo qui contentarci di queste indicazioni ed affidare ad ulteriori analisi il proseguimento della trattazione (cfr. §§ 59-62).

§

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44.

Analisi della contemplazione comparativa. Eguaglianza e somiglianza.

Veniamo ora alle relazioni di eguaglianza e somiglianza che hanno particolare importanza a causa della loro universalità. Poiché anche qui ci manteniamo nella sfera della ricettività bisogna innanzitutto osservare che queste relazioni hanno un significato molto impor* Traduciamo qui con « assieme >> il ted. das Zusammen, mentre, come è ormai d'uso nelle matematiche, traduciamo con « insieme » il ted. ll1enge (n. d. t.).

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tante anche nei gradi superiori della aggettivazione per la costi­ tuzione della coscienza dell'universalità e specialmente della co­ scienza dell'essenza, sicché bisognerà ritornarci su di nuovo nella Terza Sezione. Il comparare come attività, come contemplazione attivamente relazionante, come il trascorrere da una parte e all'altra dello sguardo prensivo tra i termini in relazione, presuppone originariamente una eguaglianza o somiglianza « sensibile », qualcosa di efficace nella sensibilità, prima di ogni prensione singola e di ogni relazione. Più oggetti che emergono sensibilmente fondano sensibilmente la forma di unità della eguaglianza o somiglianza tra gruppi sensibili *. Il dato sensibile esercita uno stimolo ; esso suscita l'interesse di grado più basso a usare una prensione singola e ad un con­ tenimento generale. In tal caso noi pensiamo sempre ad un gruppo di oggetti simili che vengono riuniti nell'unità di un'intuizione in senso amplissimo e in una coesistenza-come-se, ossia che sono unificati in una « immagine » [Bi/d]. Il trascorrere contemplativo passa in una successione di prensioni singole e, nel passare dalla una all'altra, emerge qua e là il fondamento, già in certo modo notato nella passività, della somiglianza o eguaglianza e il dissimile che contrasta con ciò per l'attenzione. Ciò che è comune « coin­ cide », ciò che è differente si separa. Non c'è qui soltanto il sospin­ gimento che ha luogo nel passare dall'uno oggetto all'altro sotto forma di tener-sotto-presa, ma una coincidenza in senso oggettivo. Quando la prensione passa da un A ad un B eguale o simile, il B viene portato nella coscienza a coincidénza sospingente con l'A mantenuto ancora sotto presa, ed in ambedue i casi l'eguale coincide con l'eguale, mentre l'ineguale viene a contrasto. Però la coincidenza dell'eguaglianza devesi distinguere dalla coin­ cidenza della somiglianza. Teniamoci innanzitutto alla prima: io col­ go A e vado ora a B, allora quel che in B diciamo eguale ad A *

V.

per ciò il § 16.

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si unifica appunto con A in modo che si estrae o si toglie il momento corrispondente in B. Ciò accade perchè questo momento ricopre il momento corrispondente in A e lo ricopre senza alcun « resto », ossia è del tutto una sola cosa con esso, ove il ricoperto è visto interamente attraverso il ricoprente. La distinta dualità di A e B ed anche il loro insieme sono passati in una unità che nella coscienza mantiene una duplicazione ma che, per il contenuto, non è una duplicità o dualità nel modo dello essere « uno fuori dell'altro ». Le due cose sono insieme e perciò sono due. Esse formano un insieme unico, che esiste, per cosi dire, in due « emissioni » [ Ausgabe ] . S e invece l a relazione è quella d i una mera somiglianza, esiste anche allora una coincidenza, cioè il momento di B in questione ed originariamente percepito coincide con il corrispondente mo­ mento di A dato nella coscienza dello « ancora » [Nochbewusstsein]. Ma l'elemento simile di A che viene visto attraverso quello simile di B e gli si identifica ricoprendolo [deckt, semplicemente], ha qui un « resto ». Il primo elemento è « fuso » con l'altro in una comunanza, ma tuttavia rimane una dualità anche nella separazione contenutistica, che è separazione e ricoprimento di qualcosa di « affine ». Le due cose non si compongono in un ente simile ma in una coppia, ove l'una è certo « simile » all'altra, ma pur se ne « dif­ ferenzia » [absteht]. Questa dualità, con la sua unità di comu­ nanza, può avvicinarsi sempre più all'unità della comunanza completa, anzi all'eguaglianza ed alla coincidenza essenziale senza re­ sto, ed anzi vi si può avvicinare fino a tal punto che noi parliamo di eguaglianza approssimata, di una simiglianza che è quasi un'egua­ glianza completa, solo con piccole differenze. Ma la distinzione permane nonostante i passaggi continui. Naturalmente questa coincidenza di eguaglianza e di somi­ glianza si deve distinguere dalla coincidenza esplicativa in cui le parti di un oggetto vengono colte come parti in esso. Non si tratta qui dell'insieme oggettivo delle parti in un intero, preso nel senso più ampio. Inoltre la coincidenza, come abbiamo osservato, è qui 210

ancora distinta dal concetto di sospingimento che ha luogo in ogni collegare e nel mero connettere una pluralità di oggetti. Questo mero connettere non porta ancora alla coincidenza della egua­ glianza, al sospingimento attivo dei connessi in vista della loro eguaglianza o somiglianza ; questa attività è motivata dalle egua­ glianze o dalle somiglianze sensibili. Certo noi possiamo tenere assieme, cogliere assieme congiuntivamente ogni cosa, ma non si dà luogo ad una comparazione se non quando si ha l'intenzione rivolta ad un'eguaglianza o ad una somiglianza, o l'intenzione di « cer­ care » un che di comune. Ciò vuol dire che, anche quando origi­ nariamente un'eguaglianza sensibile già afficiente, come specie di unificazione, motiva il passaggio a un singolo percorrimento com­ parativo ed alla tendenza a rilevare ciò che v'è di comune, noi possiamo allora, per ciò che ci si offre come eterogeneo, fare una istanza di somiglianza e vedere se questa sia effettivamente presente. L'opposto della somiglianza sensibile, che può aver luogo in simili casi, noi lo designiamo come dissomiglianza in senso pregnante, per cui non si intende una misura soltanto inferiore di somiglianza, una somiglianza molto minore, ma la piena negazione della somi­ glianza che noi vogliamo designare come etorogeneità. Essa ha luogo quando ci sia stata precedentemente un'intenzione diretta alla omo­ geneità e quest'intenzione subisca poi una delusione, quando cioè nel tentativo di una coincidenza sospingente sorga un contrasto completo. Rimane qui aperto il problema se una tale perfetta omogeneità sia in generale possibile, se tutto ciò che è costituito in una coscienza non abbia qualcosa di totalmente in•comune, un genere di eguaglianza.

§ 45.

Somiglianza totale o parziale (somiglianza-quanto-a).

La somiglianza e l'eguaglianza di cui abbiamo finora parlato erano intese come somiglianza ed eguaglianza concrete, ossia come somi211

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glianza (ed eguagliarza) di oggrtt: concreti, come per esempio un tetto d'un rosso viyace è simile ad un tetto d'un rosso cupo. Da questa somiglianza concreta noi distinguiamo la somiglianza in senso tr.ulato, la somiglianza in rapporto a parti simili, non somiglianza dell oggetto intero, somiglianza assolutamente. È questa una re­ lazione tutta propria per la quale i concreti e l'intero partecipano di una somiglianza in virtù della somiglianza di momenti subordi­ nati, che appartiene primariamente a questi. Se la somiglianza è concreta, tale cioè che i concreti sono si­ mili per se stessi, per il loro intero quid [Was] e come concreti si identificano, allora una somiglianza appartiene anche ad ogni momento che noi possiamo qua e là distinguere. Detto più propriamente, noi possiamo dividere ambedue i concreti in momenti « cor­ rispondenti » ed allora, in ordine univoco, una somiglianza appar­ tiene ad ogni coppia corrispondente. La somiglianza concreta si risolve allora in somiglianza parziale. Ma gli interi non sono qui simili « in virtù » della somiglianza delle parti. Nel primo caso, invece, non si ha che la « traslazione » della somiglianza delle parti all'intero. Ha qui luogo una sorta di coincidenza. Gli interi entra­ no necessariamente in una relazione tutta particolare dello essere uno sopra l'altro, per il fatto che le parti coincidono; gli interi ot­ tengono pure già un'unità sensibile in quanto ;:he le parti hanno l'unità sensibile della coincidenza. Ed è qui che avviene la « trasla­ zione » dell'espressione della somiglianza : talvolta delle serie di somiglianza si legano a questa « somiglianza » secondaria. Un si­ mile ricorda il suo simile. Al tipo particolare di questa coincidenza corrisponde il tipo di associazione di somiglianza per cui « una cosa ne ricorda un'altra ». Nell'associazione del ricordo richia­ mato (come del B ricordato attraverso A) questo « attraverso » è dato, ed è anche dato che A ricordi B « in virtù dell'IX ». La ten­ denza del ricordo va da IX ad IX' che fa da fondamento; ma poiché l'IX è dato solo in -1 che come concreto è il dato primario, e l'IX' è dato solo in B che da parte sua è dato primariamente, allora A ottiene 212

di nuovo mediante una « traslazione » il rapporto di ricordo a B, che è però un rapporto effettivo, fondato solo nella relazione fondante dello oc-oc'. Certo si può anche comprendere questa relazione in modo che la somiglianza dei concreti si veda come somiglianza effettiva, solo però come somiglianza di carattere modificato, somiglianza cioè che « si fonda » sulla somiglianza dello oc. Quindi la somiglianza totale o concreta e quella parziale sono modi diversi di somiglianza; il primo di questi modi rende possibile un ordinamento univoco di tutti i momenti siccome eguaglianze parziali, mentre l'altro mo­ mento non fa emergere che momenti singoli come momenti della somiglianza. Dobbiamo quindi distinguere : 1 . somiglianza totale o somiglianza pura degli interi concreti ; 2. somiglianza parziale, che è somiglianza pura delle parti, ma non somiglianza pura degli interi concreti. Due contenuti stanno nella relazione della somiglianza quando nessuna parte immediata dell'uno è dissimile da quella dell'altro. La somiglianza impura è una somiglianza inquinata da compo­ nenti di dissomiglianza. La somiglianza pura ha i suoi gradi. Ma questa gradualità è diversa dalla gradualità impropria e discontinua delle somiglianze impure o parziali, che è tanto più completa quanto più le parti stanno in somiglianza pura ; qui però le parti possono avere una forza con la quale determinano la « grandezza » della somiglianza dell'intero.

§ 46. Determinazioni di relazione e determinazioni di con­ trasto (« impressioni assolute »). Non sempre i due membri della relazione debbono, come nei casi di determinazione comparativa finora considerati, essere effettiva213

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mente presenti nell'unità di un'intuizione. Un sostrato di determina­ zione già-dato può connettersi associativamente con un altro si­ mile senza che essi debbano venire ad un'autentica suscitazione ed alla intuitivizzazione che ne segue. Essi possono restare nello sfondo e pur cooperare alla determinazione. Per esempio un uomo alto e grosso è tale senza che nella nostra cerchia viviva esista della gente piccola. Esso « contrasta » con l'uomo « normale », di cui si possono « suscitare >> degli esempi in maniera oscura senza che si arrivi ad una esplicita comparazione. La stessa cosa accade per determinazioni come « caldo », « lungo » e « breve » nella durata, « veloce » e « lento ». Tutte queste determinazioni si riferiscono ad una normalità dell'esperienza la quale può cambiare da un mondo­ ambiente ad un altro. Tempo « freddo » significa ai tropici qualcosa di diverso che nelle zone temperate, un carro « veloce » al tempo delle diligenze significa qualcosa di diverso che al tempo delle vetture da corsa ecc. Dalla struttura del mondo-ambiente si deter­ mina immediatamente ed in maniera del tutto ovvia il criterio di misura per tali determinazioni, senza che debbano essere rievocati espressamente i membri della relazione che stanno in contrasto con quelli usati. Un sostrato soltanto sta nel punto di mira di una pren­ sione ; manca perciò quel che noi nella nostra caratterizzazione ge­ nerale abbiamo ammesso come l'essenziale della contemplazione re­ lazionante : il trascorrere da un punto all'altro del nostro sguardo contemplativo tra due sostrati. Per cosi dire si tratta di un rela­ zionare costituito come incompiuto. Psicologicamente, tali deter­ minazioni, che si producono sul fondamento di membri di rela­ zioni che stanno nello sfondo, si dicono « impressioni assolute ». Noi abbiamo l'impressione assoluta della grandezza, del peso ecc. Dob­ biamo dunque distinguere le determinazioni re/azionali in senso pro­ prio dalle determinazioni di contrasto.

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Sezione seconda

Il pensiero predicativo e le oggettivita dell'intelletto

Capitolo primo

Le

strutture generali della predicazione e la genesi delle più importanti forme categoriali.

§ 47.

L'interesse conoscitivo e la sua opera nelle formazioni predicative.

Il senso di ogni attività conoscitiva sta nello stabilire un essere, nel modo in cui esso è e per ciò che esso è *. > non sarebbe in grado di isolare ciò che di comune vale in quelle espressioni.

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ecc., ed esse sono collegate in una unità sintattica, in quella della « proposizione » giudicativa. Si tratta quindi di forme che possono quindi essere colte per sé come tali in un certo genere di rifles­ sione e di presentificazione ancora da spiegare. A guardar più da vicino, in ogni semplicissimo giudizio pre­ dicativo è già compiuta una formazione doppia. I termini della proposizione giudicativa non hanno solo la formazione sintattica del soggetto, del predicato ecc., come forme di funzioni, che conven­ gono ai termtm della proposizione come tali, ma essi possiedono ancora un altro genere di formazione sottostante, le forme del nucleo [Kernformen] * : il soggetto ha la forma nucleare della sostanti­ vità, e nel predicato la determinazione p sta nella forma nucleare della aggettività. La forma della sostantività non deve per ciò es­ ser confusa con la forma del soggetto. Essa designa lo « esser-per­ sé », la sostanzialità dell'oggetto (sostanzialità che naturalmente può derivare anche da una sostanzializzazione, come vedremo poi) di contro alla aggettività, come forma dello essere « in qualcosa », insostanzialità dell'oggetto di determinazione. Questa formazione non ha immediatamente nulla a che vedere con la funzione del formato (della « configurazione nucleare ») nel tutto di un giudizio predicativo ; essa è però il presupposto della formazione sintattica, del rivestimento del nucleo come materia sintattica, con le forme di funzioni, come forma-soggetto ecc. Una formazione come quella del soggetto presuppone una materia dotata della forma della so­ stantività. Il soggetto però non deve necessariamente assumere la forma di soggetto, poiché può anche, come vedremo, aver la forma sintattica di complemento oggetto correlativo. Parimenti quel che è colto nella forma della aggettività può fare tanto da predicato che da attributo. Anche di ciò verremo poi a parlare.

* Per questa distinzione cfr. anche le più dettagliate analisi della prima appendice (Beilage I) di « Logica », pp. 259 e sgg. 232

Le espressioni « aggettività », « sostantività » ecc., non devono essere intese come se qui si trattasse di distinzioni di forme lingui­ stiche. Anche se le forme nucleari vengono designate derivandole dai modi di designare le forme linguistiche, tuttavia non si intende altro in esse che una distinzione nel modo di cogliere. Una volta può diventare tema come « per sé » stante un oggetto o un momento oggettivo, un'altra volta nella forma dello essere « in qualcosa », senza che debba affatto corrispondere a queste distinzioni di modi del cogliere una distinzione della forma verbale della espressione ; molte lingue anzi, per indicare queste distin:r.ioni di modi del cogliere non hanno a disposizione generi distinti di parole che ab­ biano forme verbali distinte, come accade invece nella lingua te­ desca, ma debbono per ciò servirsi di altri mezzi. Tutte queste configurazioni formali debbono intendersi in una graduata relatività. Le materie nucleari che assumono la forma nu­ cleare del sostantivo ed inoltre eventualmente la forma sintattica del soggetto possono bene avere forme arbitrarie provenienti da altri processi predicativi ; possono anche, come mostreremo, essere addirittura proposizioni predicative. Lo stesso vale per tutte le formazioni. Noi dapprima facciamo astrazione da tutte queste re­ latività e nelle nostre analisi che tosto seguiranno assumeremo, cosa che è già ovvia dato che siamo partiti dalla percezione, che si tratta di già di sostrati privi di forma e del tutto indeterminati; questi conservano, nello loro massima originarietà possibile, delle forma­ zioni predicative come un nuov