Esperienza e giudizio. Ricerche sulla genealogia della logica 8828404132, 9788828404132

Il testo è da molti punti di vista il più importante della produzione husserliana, poiché a differenza di molti altri an

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Esperienza e giudizio. Ricerche sulla genealogia della logica
 8828404132, 9788828404132

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f eno meno l ogi e EdmundHusserl

Esperi enzaegi udi zi o

Ri cer chesul l ageneal ogi adel l al ogi ca

acur adiFel i ceMasi

Schol é

I SSN 2 2 8 2 5 4 1X

Esperienza e giudizio non è un'opera marginale. Accanto alle Ricerche logiche - di cui, in un certo senso, rappresenta la riscrittura negli anni della maturità -, è il testo in cui vengono sviluppate analisi concrete mettendone poi davvero alla prova gli esiti fondamentali. È qui che trova esecuzione l'idea - enunciata nella Crisi - di ricondurre alle strutture dell'esperienza la concettualità e tutto ciò che, nell'impianto kantiano, apparteneva all'Analitica trascendentale. Le categorie fondamentali del pensiero husserliano più maturo (sintesi passiva, predatità, antepredicativo, intuizione eidetica, genesi passiva e attiva) sono qui in azione, e non semplicemente enunciate nelle loro linee generali. Mentre le altre opere hanno, quindi, un carattere introduttivo, in queste pagine ci si inoltra davvero nell'analisi fenomenologica: Esperienza e giudizio è allora l'opera, fondamentale, con cui deve fare i conti ogni valutazione teoretica complessiva dell'impresa husserliana. Vincenzo Costa

Edmund Husserl (1859-1938), tra i più importanti filosofi del Novecento, è stato il fondatore della tradizione fenomenologica. In questa stessa collana ricordiamo: Lezioni sulla sintesi passiva (2016), Meditazioni cartesiane e Lezioni parigine (20202), Introduzione alla logica e alla teoria della conoscenza (2018), Fenomenologia dello spazio e della geometria (2021) e Idealismo trascendentale (2022).

FENOMENOLOGIE 12

Collana diretta da Vincenzo Costa ed Elio Franzini

Classici della fenomenologia

Comitato editoriale della collana Direttori: Vincenzo Costa - Elio Franzini Comitato scientifico: Giampiero Arciero, Antonio Bellingreri, Jocelyn Benoist, Rudolf Bernet, Stefano Be­ soli, Daniele Bruzzone, Carla Canullo, V irgilio Cesarone, Alfredo Civita, Giuseppe D'Anna, Marco Dallari, Roberta De Monticelli, Ferruccio De Natale, Nicolas De Warren, Natalie Depraz, Adriano Fabris, Alfredo Ferrarin, T homas Fuchs, Hans-Hel­ muth Gander, Nicoletta Ghigi, Luca Ghirorro, Luca Guiderri, Vanna lori, Roberta Lanfredini, Michele Lenoci, Davide Liccione, Sandro Mancini, Giuliana Mancuso, Massimo Marassi, Felice Masi, Eugenio Mazzarella, Silvano Petrosino, Dominique Pradelle, Alice Pugliese, Pier Cesare Rivoltella, Giorgio Rizzo, Claude Romano, Le­ onardo Samonà, Jose Javier San Martin Sala, Paolo Spinicci, Andrea Staiti, Giovanni Stanghellini, Anthony Steinbock, Massimiliano Tarozzi, Francesco Saverio Trincia, Luca Vanzago, Mario Vergani, Dan Zahavi, Antonio Zirion Q.

Edmund Husserl

Esperienza e giudizio Ricerche sulla genealogia della logica

Redatta e curata da Ludwig Langrebe Edizione italiana a cura di Felice Masi

Scholé

Titolo originale dell'opera:

Etjahnm!.11nd Urttil Un/tnll(hllngtn � Gtntalo§t dn- u§� A111gtarbtiltl11nd hmlllsgtgtbtn 110n l..Jtdlllig Lzndgrrbt

(.\cademia Yerlagsbuchhandlung, Prag 1939; Felix Meiner Verlag, Hambwg 1999) .

Traduzione di Felice Masi

In copertina: elaborazione grafica di Monica Frassinc- casamosama.it

l diritti di tradu:�:ionc, di mcmoriz:�:a:�:ionc elettronica, di riproduzione c di adattamento totale

o par,ja}c, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riscrwti per tutti i Pactli. l A: fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuare nct limiti del t 5% di

ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SI:\ E del compen.�o previsto dall'art. 68, commi 4 c 5, deUa lc�c 22 aprile t94t, n. 633.

Le fotocopie effettuare p, 54, 1 933. 20 Cfr. l\1. Farber, &view of Erfahrung und Urteil, in ·�oumal of Philosophy», 3 6, 9, 1 939, pp. 247-249; F. Kaufmann, &viewofErfahrung und Urteil, in «Social Research», 8, 2, 1 941 , pp. 256-258. 21 lvi, p. 257. 22 H. G. Zillian, Klarhei111nd Melhodt: F. Kat�fmanM Wùsenschaflslheone, Radopi, Amsterdam-Atlanta 1999. Per comprendere, in questo contesto, quanto SJano state preziose le anabsi schutziana della rilevanza e kaufmanniana delle condizioni aterisparib111, basterebbe pensare che la nozione di rilevan­ za esplicativa rappresenta, anche dopo Hempel, il principale cruccio della teoria della spiegazione. Cfr. F. Kaufmann, Melhodolog}' of the Soda / Sdenm, The Humanities Press, New York t944, t958; .-\. Schutz, &fledions on lhe Problem of &leNna (t947-1951), in Id. , Colkcled Papers, V, ed. by L Embree, Springer, Dordrecht 201 1, pp. 93-208. Per un confronto proprio con Hempel, si veda Schutz, Conctpl and theory formalion in the soda / sdences (1 954), in Id., Colkcted Papm, l, ed. by M. N atanson, Spnnger, Dordrecht 1972, pp. 46-66.

9

Felice Masi può avere nei processi di spiegazione2', mentre

il secondo riprende le analisi husserliane

sulla sedimentazione delle conoscenze acquisite per definire la nozione di situazione scientifica24• Ma forse il risultato migliore della lettura di Kaufmann deriva da come egli sfruttò la differenza nel trattamento del rapporto tra evidenza e verità nelle

logkhe e in F-4Jtritnza t giudizio per

Ricm·he

guadagnare un'originale demarcazione tra verità, ve­

rificabilità e probabilità, che fu al centro di un franco e aspro confronto con Carnap::;. Immersi entrambi nel contesto culturale in cui si intrecciavano il pragmatismo

deweyano e le diverse versioni che allora esprimeva il neoempi.rismo logico, Schutz e Kaufmann erano convinti che che dalle

Esperienza e giudizio, compiendo la trilogia formata an­ LIJ.gka formale e trascendtntalt, potesse costituire una nuova

Ricerche logiche e da il dibattito che andava sviluppandosi Oltreatlantico e che quella

piattaforma teorica per

piattaforma fosse caratterizzata dalla complementarietà di teoria della coscienza, episte­ mologia e logica26• Ora sappiamo bene che, per molte ragioni, il loro disegno falli e che non solo la fenomenologia, ma l'intera filosofia contemporanea prese un altro corso. Ma ciò non rende meno utile ricordare che per circa un decennio quella di Schutz e Kaufmann fu l'unica versione di

2. Esperienza t giudizio si

Esperienza t giudizio.

distingue dalle altre opere di Husserl, anche stilisticamente:

in essa, come spesso è stato ripetuto, non si introduce la fenomenologia, la si fa. O almeno si mette in esercizio una sua parte: la fenomenologia della logica. Se

Logica

formale è trascendentale è l'opera che ha l'architettura teorica e pedagogica più coerente, EJperienza e giudizio è quella che è più simile ai suoi corsi, per l'abbondanza di analisi, di esempi, di dettagli e per la mancanza di grandi sinossi. La genealogia della logica che si propone non è una propedeutica logica, o una protologica, né un saggio di epistemo­ logia genetica, né un contributo alla filosofia della logica, benché si possano facilmente trovare delle affinità con gli studi che sono stati condotti nell'ultimo cinquantennio in

21

A . Schutz, Type and Eidos in H11sser/ � late Philosopi?J (1 959), in Id., Col/e,tedpaptrs, lll, ed. by l. Schutz, M. Nijhoff, Den Haag, 1 970, pp. 92- 1 1 5 24 F. Kaufmann, Tf71th and Logù·, in «Philosoph r and Phenomenological Researdt», t, 1 , 1 940, pp. 59- 69 2� F. Kaufmann, Saenlijk Prol'tdllrt and Probabiliry, in >, 1 O, 2-3, 2004, pp. 205-229; J. Woodward, Ch. Hitchcock, E:xplanator:y Genera litations,

16

Prefazione

Ebbene, una delle conseguenze del modo in cui Husserl ha legato la variazione vera e propria e l'idealità del significato è che generalità e universalità non coincidono. Difatti, poiché il significaw è ideale diversamente da come lo è la specie, e quindi non dipende dalla sua estensione, allora la validità generale di una proposizione s11/ colore non coincide con la validità universale che pretende di avere una proposizione s11 /11/li i colon� né la validità di queste due proposizioni coincide con quella su tutti i colori in generale. E questa differenza diventa facile da apprezzare se passiamo da "un pezzo di ferro è magnetizzabile" a "ogni pezzo di ferro è magnetizzabile", oppure, e con più pertinenza, da "l'equazione algebrica ha tante radici quanti gradi" a "ogni equazione algebrica ha tante radici quanti gradi". Tale distinzione si riverbera infine in quella tra legge pura e legge universale, e sul tipo di necessità che compete loro, consentendo a Husserl di riprendere il filo della fenomenologia della matematica che si era spezzato per le difficoltà a trattare simbolismo e calcolo, a cui avrebbe dovuto esser dedicata la seconda parte della Filosofia dell'aritmelic�. Molte altre sono le precisazioni che si trovano nel testo - come quelle su stati di cose e stati di fatto, su relazioni e nuclei sintattici e non sintattici, su certezza e convin­ zione - e che consentono di guardare da vicino il gran numero di operazioni passive e spontanee, implicite ed esplicite, che servono a spiegare le formazioni della logica e il loro funzionamento. Una considerazione a parte dovrebbero però meritare le analisi sulle proposizioni di esistenza e verità, da un lato, e quelle di realtà, dall'altro, ovvero la considerazione delle une come argomento di una logica di second'ordine, di una logica dei predicati esistente e non esistente, o vero e falso, e l'esame delle altre come un tema della logica delle qualità e delle circostanze in cui una proposizione è detta reale o non reale, e quindi anche certamente, possibilmente o necessariamente reale o non reale. L'intersezione di questi due piani - predicati e condizioni -dà poi luogo alle combinazioni di veramente, e falsamente, esistente o non esistente, di esistente in realtà o fuori della realtà, nella finzione, di possibilità di un'esistenza reale o di impossibilità di un'esistenza di finzione, e così via. È, allora, sotto questa luce che andrebbe letta l'affermazione con cui Landgrebe apre la sua introduzione: «le ricerche che seguono rispondono a una domanda sull'o­ rigino>35. Quale origine? L'origine dell'evidenza del giudizio da quella oggettuale, della

Part l:A CoNnlttjtKiua/A,�YJNnl, in « Nous)), 37, t, 2003, pp. t-24. Nonostante le intenzioni, non sono poi così diversi i risultati cui pervtene Don Ihde (Expmmmlal Phtnomenolog)', State Universny of New York Press, .Albany (NY) 20t21, pp. 63-76) con la sua analisi della mulristabilità. 14 D. Lohmar, Phiinomenolo§.t der Malhtmalilt., Kluwer, Dordrecht t989, in p art. pp. 70-76 e 931 02; B. Hopkins, Hwmli PJ]•r:hologism, and CriliqNe of PJ]rr:holog ism, &vùiled, in (J-Iusserl StudieSII , 22, 2, 2006, pp. 91-1 19. n E. Husser� Eifahnmg 11nd Urltil. UnlmN,·hNngtn :;?�r Gmealogie der Logik, hrsg. von L. Landgrebe, Felix Meiner, Hamburg t999', p. 1 ; tr. i t., infra, p. 29.

17

Felice Masi distinzione dalla chiarezza, dei sostantivi dall'esplicitazione, delle modalità dalla creden­ za e quindi dalla temporalità della coscienza epis temica. L'origine di cui però sempre si parla è un'origine del diritto, è la fonte di una spiegazione su

perche)

come (c

non certo sul

si sviluppano il vocabolario e il procedimento logici. Se guardiamo alle propo­

sizioni sulla verità (di un'altra proposizione) il carattere di quelle domande sull'origine diventa ancora più chiaro. Le proposizioni di verità, come quelle di esistenza e, non a caso, come quelle di identità, sono di secondo grado, hanno un riferimento anaforico (si riferiscono a proposizioni già enunciate e su cui occorre esprimersi), imervengono a discorso e ad esperienza già ben più che iniziati. Ciononostante, anzi proprio per que­ sto, vanno giustificate su ciò di mi le proposizioni parlano. Nella seconda sezione di

Logica jor111ale e lrasandentak

-

lo si rammenti ancora una

volta: quella che fa da vera e propria introduzione teorica a

Esperienza e giudizio

-

la

questione sull'origine, in cui culminava l'autoriflessione logica, riguardava il fondamen­ to dei principi della logica formale. Attraverso un'intensa analisi critica di quella che Husserl chiamava anche analitica matematica (ovvero l'insieme di morfologia pura, lo­ gica della conseguenzialità e logica formale della verità, governate rispettivamente dai principi di identità, non contraddizione e terzo escluso), il fondamento che si cercava era sia materiale che formale. Era materiale quando egli esaminava la teoria dei nuclei e degli stati di cose, e al contempo indagava le pratiche di conferma e sull'attività raziona­ le, ed era formale quando, richiamando Bolzano, risaliva la catena deduttiva attraverso la dimostrazione:ll'. Adesso, in

Esperienza e giudizio, la

domanda sul fondamento, che ha

come primo obiettivo quelle che sembrano le più semplici tra le proposizioni (quelle a base percettiva) , trova un significativo punto di caduta nelle proposizioni di secondo grado su esistenza e verità - o per altri versi nell'analisi delle forme sintattiche, delle congiunzioni e delle disgiunzioni. Il loro fondamento viene cercato, come si direbbe nel lessico contemporaneo, sia sul versante degli stati di cose (e delle loro variazioni: i mondi possibili) sia su quello della costruibilità, dei fattori di verità e delle condizioni di verificazione17•

È,

questo, un fondamento modale, temporale, dossico e oggettivo.

In un gioco di specchi, che sarebbe impossibile restituire per intero, un versante limita l'altro: si può giustificare in ultima istanza l'asserzione circa la verità di detto solo su

come stanno

le cose, solo su

dò di cui si è

ciò cbe è

stato

parlato. E questo, però, è a sua

volta possibile solo se siamo capaci di intendere il significato di dò

che è stato detto e di

costruirlo, comprendendo la credenza che è stata espressa.

ll• Sulle nozioni di fondamento formale e materiale nella letteratura logico-ftlosofica recente, ri­ mando a F. Poggiolesi, On �fin ing the notion '!{ complete and immediateforma / grounding, in «Synthese>•, 1 93, 1 0, 201 6, pp. 3147-31 67 e, più generalmente, a M. J. Raven, The Routkdge Handboole f!f Metaplrytical Grounding, Routledge, London/New York 2020. 17 C fr. K. Fine, Tf71th-Maleer Semantict.for lntuitioni!tic Logic, in , 43, 2/3, 2014, pp. 549-577.

18

Prefazione

Per tutto questo, e nonostante ne resti sempre ,;vo il pericolo, la domanda a ritroso sulla logica non ha come traguardo il regno delle madri, non collassa in un Paese del Bengodi in cui, come diceva lo stesso Husserl nelle lezioni del 1906-073", tutto si fa chia­ ro, tutto è immediatamente evidente e serve solo la buona volontà di aprire gli occhi e guardare. Né la genealogia della logica funziona come una tagliola che fa dd simboli­ smo logico un mero strwnento di abbreviazione di calcolo e che così lo sottomette alla semplice regola del successo. Era stato in fondo Husserl a sostenere che il simbolismo logico fosse il campo più promettente e meno coltivato della teoria della scienza e in particolare della teoria delle scienze deduttivew o ancora che solo grazie all'algebrizza­ zione della logica fossero emerse le sue forme fondamentali-i('. Ed è ancora da Husserl che nascono, nel Novecento, alcuni degli studi pionieristici sulla storia della matemati­ ca, del calcolo e dell'algebra: basti pensare solo a Becker e a Klein�1• Quello a cui Husserl fa qui appello, quando si domanda dell'origine della logica for­ male e delle sue forme proposizionali, è infatti tutt'altro. Una volta fatti i conti con lo psicologismo, una volta che lo si è riconosciuto come fantasma o spauracchio, ritorna possibile usare le operazioni per esplicitare i simboli. D'altronde l'evidenza - a cui aspi­ ra ogni argomentazione logica, per testimoniare il proprio orientamento alla verità è l'operazione intenzionale che t-onsisle nelpresentare l'oggello così rom 't2• E il nesso tra operazione e relazione è uno di quelli che furono chiari a Husserl sin dalla fine del diciannovesimo secolo e di cui offri versioni differenti. Ora con le operazioni si provano a spiegare i simboli�3. Quando si esamina la posizione che Husserl avrebbe avuto rispetto alla fondazione della logica (e della matematica) nel suo contesto storico, riscuote grande favore in let­ teratura, benché in competizione con altre opzioni, la convinzione che egli non prese mai le parti di una delle due fazioni che, all'inizio del Novecento, disputavano nella -

l8

E. Husserl, lntrodNzione alla logica e alla teoria della conoJcenza, ci t., pp. 39-40. Id., Logùcht Unltrrll.·a passiva, produce

oggetti di conoscenza e di giudizio. L'oggettualizzazione è dunque sempre un'operazione attiva dell'io, un aver coscien­ za attivo e classico di qualcosa che è cosciente; e questo [qualcosa] è unitario e conti­ nuamente lo stesso, nella continua estensione della coscienza che dura. [Questo qual­ cosa] è cosciente come identificato, come lo stesso in virtù di una sintesi ed è sempre riconosciuto come lo stesso, nei particolari atti, che giungono a sintesi, anche in quelli del ricordo, che lo ripetono liberamente, o in quelli delle percezioni che lo producono

65

Inrroduz10ne - Senso e delimitazione della ricerca liberamente (quando ci avviciniamo e lo osserviamo un'altra ,·alta) . Proprio quest'i­ dentità come correlato di un'identificazione compiuta in una ripetizione libera e aperta all'infinito costituisce

il tont-rllo pngnanle di oggello.

Come ogni altra prassi, essa ha un

fine pratico, ovvero ciò in vista del quale l'azione

è compiuta: così l'oggetto esistente è il fine dell'azione classica, dell'attività conoscitiva, dell'atto dell'espli­ citazione di ciò che esiste nei suoi modi d'essere, ovvero in quelle che qui chiamiamo le sue determinazioni. Questa amslatazione di ciò che esiste, per come è e per ciò che è,

come esistente

che costituisce la funzione dell'oggettualizzazione giudicativa, diventa la constatazione - a cui si può sempre tornare e che

è come tale un durevole guadagno di conoscen­

za - solo a un livello più alto, nel giudicare predicativo, che trova il suo deposito nella proposizione assertoria. Questa [proposizione assertoria] guadagno conoscitivo, liberamente

(65]

è, in quanto deposito di un

accessibile, conservabile e comunicabile. Solo

il giudicare predicativo produce un guadagno conoscitivo e gli oggetti conoscitivi in senso pregnante; non può farlo invece ancora l'osservazione giudicativa solo ricettiva, benché anche questa produca una conoscenza, che viene conservata come abituale.

Ognigi11dizio pnditalivo è 11n passo in t"lli viene prodollo 11n durevoleg11adagno di tonomnza. Esso è in sé - e come lo sia, lo mostreranno le analisi che seguono - un passo compiuto verso la determinazione e rappresenta la cellula originaria della determinazione tematica22• Certo, non tutte le oggettualizzazioni del giudizio e della conoscenza, neanche quan­ do esse sono predicative e trovano il loro deposito

in

asserzioni, sono guidate da questa

tendenza alla constatazione "una volta per tutte", alla constatazione "oggettiva". Si può talvolta anche trattare di una constatazione che serve solo a fugaci scopi pratici, solo per una determinata situazione o per

una

pluralità di situazioni dello stesso tipo; per esempio,

la constatazione per mezzo di un giudizio dell'utilità di uno strumento per questo o quello scopo ha senso solo in riferimento alle situazioni in cui sarà usato. E così tutte le constata­ zioni sulle caratteristiche valoriali o pratiche di

una

cosa hanno la medesima relatività alla

situazione, in cui essa ha valore o può essere utilizzata praticamente. Questo riguarda i giudizi che sono

tutti

in connessione con la prassi e solo li hanno un'utilità. Per [tali giudizi) il

"sempre di nuovo", che costituisce il senso della constatazione compiuta con un giudizio, va inteso solo con il limite che [tali giudizi] sono relativi a una situazione di questo o di quel tipo. Ma anche in questa relatività resta fermo che il marchio di ogni intenzione co­ noscitiva, di ogni oggettualizzazione giudicativa

è: che (66] noi aspiriamo a produrre un

guadagno conoscitivo che vada al di là della situazione momentanea e che è comunicabile e utilizzabile in futuro.

E questo non è men vero per le nostre delimitazioni astrattive degli

ambiti che sono di volta in volta nostri propri. Si tratta certo di constatazioni solo per me, ma pur sempre di constatazioni che contribuiscono alla conoscenza - con un guadagno che

è solo per me - e sono dirette a un'acquisizione.

21

In merito, cfr. infra § 50 c).

66

§ 14. La necessità di partire dalle analisi dell'esperienza esterna c dal giudizio pcrcertivo

§ 14. La nur:ssità dipartire dalle analisi dell'esperienza esterna e dalgiudizio pen"CIIÙJO. Delimitazione della ritm"fJ Se siamo così riusciti a guadagnare uno sguardo sulla connessione dell'opera­ zione logica con il flusso dell'esperienza del mondo e sulla sua funzione in ques to flusso, dovrà anche emergere da dove occorre iniziare per individuare, con indagini analitiche di det taglio, l'origine delle forme di giudizio predicativo. Giacché siamo in cerca di ciò che è più elementare e di ciò che fonda tutto il resto, [il punto di partenza] non potrà che essere il giudicare, che si basa sull'esperienza più semplice e immediata. L'esperienza più semplice è quella dei sostrati sensibili, lo strato natu­ rale dell'intero mondo concreto. Dovremo quindi orientarci sul giudizio s ulla base della percezione esterna, della percezione dei corpi, per studiare, mediante esempi, Le strutture del giudicare predica tivo in generale e La sua costruzione sull'esperienza ante-predica tiva. IL giudicare, che si fonda sulla percezione sensibile, e L'esplicitazione, in cui la per­ cezione per lo più trapassa subito, presuppongono già La soddisfazione dell'interesse puramente osservativo circa i sostrati ultimi, che ci sono già dati e che ci colpiscono,

[67)

ovvero circa i corpi. Ciò che anzitutto si persegue nella sfera ante-predicativa

è quindi La realizzazione conseguente dell'interesse percettivo. Così però non si vuoi dire che nel contesto della concreta esperienza del mondo si debba sempre subito rag­ giungere [quella realizzazione dell'interesse percettivo] . Piuttosto la regola è che dalla aiaerlmc;, dal semplice avvertimento sensibile si passi all'azione, alla valutazione, ecc., si passi a cogliere le cose come piacevoli, utili, ecc. , prima che si possa per la prima volta giungere, per ragioni particolari, a un tale interesse puramente osservativo. L'io, che vive concretamente nel mondo-ambiente, dedito alle sue finalità pratiche, non è affatto innanzitutto un io che osserva soltanto. Per l'io, nel suo concreto mondo della vita, l'osservazione di un ente è un'azione che egli può intraprendere di tanto

in

tanto

e fugacemente, senza avere una particolare preminenza. Ma la successiva riflessione filosofica sulla struttura del mondo dell'esperienza immediata, del nostro mondo della vita, mostra che la percezione attenta [btlrachtenden] acquista rilievo quando essa scopre le strutture del mondo e Le mette a tema. [Queste strutture] sono ovunque alla base di qualsiasi atteggiamento pratico, malgrado non siano usualmente tematizzate. L'interes­ se che si soddisfa nell'osservazione e nella percezione è l'attivazione di una fondamentale, della

cbJxa passiva e originaria, di quello

aia&r)cn�

strato fondamentale, in cui radica

ogni esperienza in senso concreto. Così la percezione esterna e l'interesse percettivo e osservativo hanno il privilegio di apprendere le cose in modo tale che si possa soddi­ sfare nel modo migliore la tendenza del giudicare alla constatazione. Sono del resto gli oggetti della percezione pura, i sostrati che possono essere appresi in maniera sempli­ cemente sensibile, le cose della natura, cioè le cose nel loro strato fondamentale quali corpi naturali,

[68)

quelli che, non essendo in quanto tali relativi, mantengono, in tutte

67

Introduzione - Senso e delimitazione della ricerca le relatività del commercio mondo-ambientale con ciò che è già dato, la loro identità oggettuale e, perciò, possono essere affermati e costituire oggetti di giudizio. Il percepire e il giudicare sulla base della percezione non sono solo un invariante in tutti i cambiamenti e le relatività degli ambienti, ma al contempo - e come soddisfa­ cimento dell'interesse osservativo in una modificazione che include le idealizzazioni a cui accennavamo prima - sono quella condotta che è alla base della scienza teoretica e che rende possibile la constatazione, affinché si stabilisca un'oggettività che sia valida "una volta per tutte" e "per ciascuno". Pertanto, [il percepire e il giudicare sulla base

sono i modi dell'evidenza an/e-predicativa s11 CIIi si basa ilgi11dicarr predicativo, t"osì rome esso è consideralo dalla logica lradi�onale. Ciononos tante, nel suo orientamento

della percezione]

alla constatazione scientifica e nella sua tendenza alla scienza e alla teoria della scienza, na logica tradizionale) non ha mai indagato sui legami tra atteggiamento teoretico e atteggiamento pratico o valutativo e non ha mai analizzato come è fatto un giudizio che in questo modo non serva all'interesse conosciti,,o, ma a quello pratico nel senso

q11esto È indubbio che qui si

più generale, né ha mai esaminato come l'evidenza predicativa si costruisca su dominio ante-predicativo, ovvero sull'evidenza pratica e emotiva.

tratti delle fonti proprie del modo in cui gli enti si danno come in sé stessi, dell'accesso alle determinazioni, che hanno essenzialmente luogo solo nel medesimo agire pratico e non nella mera osservazione. Ma è proprio su questi modi, in cui [gli enti] si danno in sé stessi, che non si fanno domande e non se ne fanno nemmeno su come un'oggettua­ lizzazione giudicativa si possa costruire su

di essi.

Fingiamo piuttosto che l'io si rivolga

immediatamente a ciò che esiste - così come esso è già dato in maniera passiva e af­ fettiva -

[69)

compiendo un'attività puramente osservativa, senza alcun altro intento o

interesse che quello osservativo. In altri termini, fingiamo che quel soggetto si comporti in maniera puramente osservativa e che non sia indotto dagli enti, da cui viene colpito nell'ambiente, ad alcuna azione pratica. Nondimeno, l'analisi della percezione osservativa e del giudizio predicativo, che su di essa radica, sarà di fondamentale importanza per le indagini che seguiranno sulla re­ lazione di quest'attività teoretica con l'atteggiamento pratico e valutativo. Quindi il tipo e il modo, in cui l'attività autenticamente predicativa si costruisce su quella della perce­ zione osservativa, sono gli stessi, non importa se questo atteggiamento osservativo e puramente conoscitivo sia al servizio dell'azione o sia uno scopo in sé, né se preceda o segua un'azione. La sovrapposizione della sintesi predicativa su quella ante-predicativa

è, in entrambi i casi, la stessa per struttura, con l'unica eccezione che, laddove si tratti di un atteggiamento attivo-pratico o di un giudizio riferito a quest'ultimo e a esso utile, le strutture presupposte alla predicazione sono più complicate nello strato ante-predicati­ vo e non si risolvono quindi nella semplice percezione. Il primato della percezione ha un'altra ragione nella sua

maggiore semplicità. È infatti

un precetto metodologico quello di iniziare queste analisi con ciò che è più semplice e solo dopo risalire a ciò che più complicato. Nel dominio del percepire solo osservati-

68

§ 14. La necessità di partire dalle analisi dell'esperienza esterna e dal giudizio percenivo vo, si riesce a dimostrare nel modo più facile la costruzione del giudicare predicativo sull'esperienza percettiva ante-predicativa; qui ci sono evidenze oggettuali di cui possia­ mo agevolmente mos trare il carattere ante-predicativo: come l'evidenza del percepire osservativo e dell'esplicitazione che

(70]

non è fondata su nient'altro. Le sintesi, che

in questi casi possiamo dimostrare, acquisiscono perciò il signi ficato di [sintesi]

plari.

esem­

Sarebbe oggetto di una ricerca a parte esaminare il ben più complicato passaggio

dall'atteggiamento pratico alla predicazione e, in tale contesto, il tipo di sintesi su cui allora bisognerebbe indagare. Per la stessa ragione di maggiore semplicità e trasparenza, le analisi finalizzate a otte­ nere esempi di sintesi, compiuta in una conoscenza o in un giudizio ante-predicativo, ed esempi di sintesi predicativa fondata su quella precedente, devono orientarsi anzitutto alla percezione di oggetti difficili

da

in q11iete

o immobili, senza addentrarsi nelle percezioni, più

analizzare, del movimento e nel giudicare circa gli enti in movimento. Deve

rimanere in sospeso quali sono le modificazioni che occorrono quando ci addentriamo [nella percezione del movimento] e in quali casi si possa dimostrare la permanenza di una struttura fondamentale della sintesi e dell'esplicitazione, così come della sintesi predicativa costruita su di esse. Il carattere esemplare delle ricerche che seguono è anche la ragione per cui ci si attiene solo al gindi:;_io

categoriale.

Sarebbe compito di ulteriori ricerche individuare una

simile derivazione genetica anche per altre forme di giudizio. Il tema è quindi quello

gi/l(lizio categoriale sulla base della pemzione.

dtl

Da ciò deriva un'altra limitazione: nella perce­

zione ci sono oggetti che si danno come reali a di fferenza che nella fantasia. Anche la fantasia possiede un modo proprio in cui gli oggetti si danno: ma non sono oggetti re­

ali, ma quasi-reali, oggetti nel come-se. Se distinguiamo la realtà e la quasi-realtà come, rispettivamente, il dominio della posizionalità

[71)

e quello della neutralità, allora, con

l'esclusione delle esperienze vissute di fantasia, limitiamo al contempo la nostra trat­ tazione al dominio della posizionalità, cioè della coscienza che presenta un essere pre­ surnibilrnente reale - almeno all 'inizio. Più avanti non potremo non chiamare in causa anche la fantasia e i giudizi basati sulla fantasia. Non occorre forse sottolineare ancora una volta che analisi così delimitate dall'e­ sclusione della compresenza degli altri si muoveranno nei confini di ciò che è solo per me, restando all'interno del quale non si parla affatto di tutte le idealizzazioni calate, come un vestito di idee, sul mondo dell'esperienza pura. Dobbiamo trovare le evidenze più originarie, che garantiscano una fondazione di ultima istanza e da cui deriva il giu­ dicare predicativo. Con questa originarietà non si dice però affatto che queste ricerche, che si addentrano nella struttura complessiva della sistematica fenomenologico-costitu­ tiva, riguardino solo lo strato più elementare. Anche se esse cominciano con un'analisi

della percezione degli oggetti individuali cosali-spaziali, non per questo il loro tema sarà la costituzione delle cose percettive e poi di un mondo esterno cosale-spaziale; le strutture della percezione invece sono prese in considerazione solo per quanto è

69

Introduzione - Senso e delimitazione della ricerca necessario alla comprensione di come le operazioni logiche si costruiscano, insieme ai loro risultati, cioè le formazioni logiche, sulla base dell'esperienza percettivo-sensibile, e di come, sulla base della percezione, la spontaneità produca gli oggetti categoriali, gli oggetti degli stati di cose e delle generalità.

Al punto d'inizio delle

nostre analisi sono quindi già presupposti molti strati costi­

tutivi e molte operazioni; è presupposto che sia già costituito un danno già nello spazio

[72]

campo �

cose che si

ed è presupposto con ciò tutto lo strato delle ricerche co­

stitutive che riguardano la costituzione della percezione di cose in tutti i suoi livelli. Tali [ricerche] riguardano la formazione costitutiva dei singoli campi sensibili, il concorso dei singoli campi sensibili, dei singoli domini della sensibilità, nella percezione di una cosa pienamente concreta, la cinestesi, la relazione al corpo vivo di colui che percepisce, considerato nella sua funzione normale, e così, per gradi, prima la costituzione della cosa sensibile in quiete e solo alla fine in connessione causale con altre cose.

È presup­

posto cioè anche che sia già avvenuta la costituzione della cosa in quanto temporale, in quanto estesa nel tempo e, sotto un altro aspetto, la costituzione, nella coscienza interna del tempo, dei singoli atri, in cui si cos tituisce la cosa spaziale. Tutte queste sono dimensioni di ricerche costitutive che sono di un livello molto più basso di quelle che saranno qui condotte e a cui si può ora alludere solo per fare chiarezza sulla posizione che occupano le nostre ricerche nella complessiva sistematica cos titutiva.

70

[73]

Prima sezione

L'esperienz a ante-predic ativa (ricettiva)

Capitolo primo

Le s trutture generali della ricettività

§ 15. Passaggio all'analisi della pm"Czione esterna È negli atti della percezione esterna, in quanto coscienza della presenza in carne e ossa degli oggetti individuali cosali-spaziali, che noi studieremo di seguito, mediante esempi, qual è l'essenza dell'operazione empirica ante-predicativa e come su di essa si costruiscano le sintesi predicative. Se è vero che distingueremo diverse strutture, come quelle del modo in cui gli oggetti sono già dati passivamente e del modo in cui l'io vi si rivolge attivamente, dell'interesse, della ricettività e della spontaneità, in questo ambito della percezione, che rappresenta solo una parte dell'ambito complessivo dell'espe­ rienza vissuta dossica, oggettivante, merita sottolineare però che queste differenze non sono limitate al dominio della percezione o in generale a quello delle esperienze vissute dossiche, ma che si tratta di strutture che possiamo trovare, allo stesso modo, in ogni altro ambito della coscienza. Non c'è dunque solo una passività originaria delle datità sensibili, dei "dati di senso", ma anche del sentimento e, in opposizione a ciò, non c'è solo un rivolgimento [74) attivo e oggettivante, come per esempio nella percezione, ma anche [un rivolgimento] nel valutare, nel piacere; e ci sono anche degli analoghi dell'e­ videnza, ovvero della percezione, nell'originario darsi in sé stessi dei valori, dei fini, ecc. La percezione, il rivolgimento percettivo su singoli oggetti, la loro osservazione e la loro esplicitazione, sono già operazioni allive dell'io. Perciò stesso, esse presuppongono. che ci sia già dalo qualcosa a cui potremo rivolgerei nella percezione. E non sono già dati solo gli oggetti singoli, di per sé isolati, ma no è] sempre anche un campo di ciò che è già dato, da cui le singolarità emergono e così, per così dire, "stimolano" la percezione, l'osservazione percettiva. Diciamo che ciò che stimola la nostra percezione è già dato nel nostro ambiente e che a partire da li ci colpisce. Ma, ciononostante e in coerenza con le nostre indicazioni introduttive, vogliamo qui prescindere dal fatto che la perce­ zione è sempre percezione di oggetti del mondo e, innanzitutto, del nostro ambiente. E questo significa che [ciò che percepiamo] è sempre un ente oggettivo, tale che non può essere percepito solo da me, ma anche dagli altri, dagli altri uomini che vivono con me. Restando all'interno dei limiti prima accennati, presupponiamo solo che ci sia un

Sezione prima - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della riccttività

campo di rilcvanze ptr me, a cui mi rivolgo percettivamente. La costituzione di questo medesimo campo dovrebbe essere tema di ulteriori e più ampie analisi. Questi brevi cenni dovrebbero poter bastare nella cornice di queste ricerche.

§ 16. Il fampo di dò fhe è già dato paJSivamenle e la sua struttura assodaliva Prendiamo il campo di ciò che si dà già passivamente nella sua originarietà, che cer­ to possiamo ricostruire solo per astrazione; prescindiamo cioè da tutte le [75] qualità dell'esser noto, dell'esser familiare con cui è caratterizzata, già in anticipo, ciascuna cosa ci colpisca, [c lo è] sulla base dell'esperienza passata. Se prendiamo [questo campo] così com'è, prima che un'attività dell'io vi eserciti una qualche operazione e in tale guisa gli dia senso, allora, a rigori, non troviamo nessun campo di oggettualità. Infatti, l'oggetto è, come abbiamo detto prima, il prodotto di un'operazione dell'io che consiste nell'ogget­ tualizzazionc e che, in senso proprio, coincide con l'operazione del giudizio predicativo. Tuttavia, questo campo non è un mero caos, un semplice "sciame" di "dati", ma un campo con una struttura determinata, fatto di rilevanze e di singolarità articolate. Un campo sensibile, un campo di datità sensibili, per esempio il campo ottico, è il modello più semplice in cui possiamo studiare questa struttura. Anche se un campo sensibile, un'unità articolata di datità sensibili, per esempio di colori, non è immediatamente dato all'esperienza come un oggetto, in cui i colori siano già sempre "appresi" come colori di cose concrete, come colori di superfici, come "macchie" su un oggetto, ecc., è sempre però possibile rivolgervi astrattivamente lo sguardo e così far diventare questo mede­ simo sottostrato appercettivo un oggetto. Ne deriva: le datità sensibili, che sono state fatte emergere astrattivamente, sono esse stesse già delle unità di identità, che appaiono in molti modi e che, in quanto unità, possono diventare oggetti tematici; l'attuale visio­ ne del colore bianco in questa osservazione, ecc., non è il "bianco" stesso. Così anche le datità sensibili, a cui noi possiamo rivolgere sempre lo sguardo in quanto strato astratto delle cose concrete, sono già prodotti di una sintesi costitutiva, che presuppone, al li­ vello più basso, le operazioni della sintesi della coscienza interna del tempo. Esse sono �e sintesi] più basse, a cui tutte le altre sono necessariamente legate. La coscienza dd tempo è la sede originaria della costituzione [76] dell'unità d'identità in generale. Ma è solo la forma generale della coscienza costitutiva (berstellende) . Ciò che la coscienza dd tempo fa è solo di dare una forma universale di ordine alla successione e una forma di coesistenza a tutte le datità immanenti1• Ma non c'è forma senza contenuto. Il dato immanente, che dura, dura solo come dato di un contenuto. Così le sintesi, che costi­ tuiscono l'unità di un campo sensibile, sono già, per così dire, il piano superiore delle operazioni costitutive.

1

In merito, cfr. infra § 38.

74

§ 16. Il campo di ciò che è già dato passivamente c la sua struttura associativa Consideriamo quindi ora il campo sensibile unitario, come esso si dà in un presente immanente, e domandiamoci come in esso sia possibile una coscienza in generale delle singolarità rilevanti, e inoltre, quali condizioni essenziali occorra soddisfare perché si realizzi la coscienza di una pluralità di cose rilevanti uguali o simili. Ogni campo siffatto

è di per sé unitario, è 11n '11nità di omogtneità.

Esso è in un rapporto

di eterogeneità con ogni altro campo. Le singolarità emergono in esso, perché

no con qualcos'altro, per esempio macchie rosse

contrasta­

sullo sfondo bianco. Le macchie rosse

contras tano con la superficie bianca, ma si fondono l'una con l'altra senza contrasto e di certo non perché fluiscono l'una nell'altra, ma perché si fondono a distanza. Esse coincidono in quanto uguali. A dire il vero anche in ogni contrasto resta una qualche affinità e fusione; le macchie rosse e la superficie bianca sono originariamente affini, in quanto datità visive. E questa omogeneità si distingue dall'eterogeneità di [dati) d'altro tipo, per esempio delle datità acustiche. Le sintesi contenutistiche più generali

[77]

tra

datità sensibili rilevanti sono quelle per a ffinità (omogeneità) e estraneità (eterogeneità), e perciò queste sintesi producono sempre unità nel presente vivente di una coscienza. Si può giustamente obiettare che la somiglianza tra singole datità non produca un le­ game reale. Non possiamo, però, parlare ora delle caratteristiche reali, ma dobbiamo attenerci ai tipi e ai modi dei legami immanenti tra datità sensibili. L'affinità e la somiglianza possono avere differenti gradi con il limite dell'affinità più completa, ovvero dell'uguaglianza assoluta. Ovunque non sussista un'uguaglianza com­ pleta, insieme alla somiglianza (affinità) si fa spazio anche il

rontra.rto:

il dissimile rileva

su un fondo di caratteri comuni. Se passiamo da uguaglianza ad uguaglianza, il nuovo elemento che risulta uguale appare come una

ripetizione.

Questa

è

quella che noi chia­

miamo j11sione. Anche se passiamo dal simile al simile, subentra un tipo di coincidenza, che però è solo parziale, sussistendo al contempo un contrasto tra ciò che non

è uguale.

Nel passaggio da simile a simile si presenta anche una qualche fusione, solo però per i momenti uguali e non una pura c completa fusione come nel caso dell'uguaglianza completa. Ciò che in una descrizione puramente statica si presenta come uguaglianza o somiglianza

è

da intendersi già come il prodotto dell'uno o dell'altro tipo di sintesi

di coincidenza, di una sintesi di coincidenza che, con un'espressione tradizionale a cui però andrebbe cambiato il significato, potremmo chiamare

a.rsodaziont.

Il fenomeno

della genesi associativa domina in questa sfera di ciò che si dà già in maniera passiva e che radica sulle sintesi della coscienza interna del tempo.

[78] Il titolo associazione designa, in questo contesto, una forma di legalità tklla gmui immanente, che appartiene essenzialmente alla coscienza in generale. Che essa possa essere un tema generale della descrizione fenomenologica e non solo della psicologia oggettiva, dipende dal fatto che il fenomeno

dell'indicaziont può essere dimostrato fe­ Rkerche logiche, esponendo

nomenologicamcnte (Quest'idea era già stata elaborata nelle

così già li il nucleo della fenomenologia genetica). Dev'essere qui esclusa ogni con­ cezione dell'associazione e della sua legalità come un tipo di legge naturale psicofisi-

75

Prima sezione - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della ricettività

ca ottenibile attraverso un'induzione oggettiva. L'associazione entra qui in questione esclusivamente come la connessione p11ramenle immanente del ''q11alrosa mi ricorda q11alcos 'altro ·:

del ''q11esto rimanda a quest'altro ". Questo

fenomeno può essere concretamente osservato

solo quando abbiamo singole rilevanze, singole datità che emergono da un campo: l'una ricorda l'altra.

E questa

relazione

è

essa stessa dimostrabile. [Questa relazione] si

presenta in sé stessa come genesi; un elemento

è caratterizzato, per la

quello che evoca, l'altro come quello evocato.

coscienza, come

Certo, non sempre l'associazione si

presenta in questo modo originario. Ci sono casi di associazione mediata attraverso il salto di elementi intermedi, associazioni dunque, in cui non abbiamo coscienza esplicita degli elementi intermedi e delle somiglianze immediate che sussistono tra di loro. Ma

tutte le associazioni immediate sono associatfoni per somiglianza.

Queste associazioni sono es­

senzialmente possibili solo come associazioni per somiglianza, anche se hanno sempre gradi diversi fino al limite dell'uguaglianza completa2• Pertanto, anche tutti

[79]

i con­

trasti originari si basano sull'associazione: il dissimile rileva sul terreno di caratteristiche comuni. Omogeneità ed eterogeneità sono dunque risultati di due diverse modalità

è quella è quindi

originarie dell'unificazione associativa. Un'altra modalità distinta da queste due dell'unificazione tra presente e non presente. L'unità di un campo sensibile

unità solo grazie alla fusione associativa (associazione omogenea), così come il suo ordine o la sua articolazione e la formazione di gruppi e uguaglianze sono opera dell'as­ sociazione: il simile viene evocato dal simile ed entra in contrasto col dissimile. Questo si può innanzi tutto dimostrare rispetto alla struttura del campo sensibile omogeneo, ma vale allo stesso modo per tutte le datità, anche per quelle più complesse.

E

quello che

indichiamo come campo percettivo, come campo di ciò che si dà in maniera passiva e a cui si rivolge l'apprensione percettiva, facendone emergere le singolarità come oggetti percettivi,

è già un "campo" di struttura

più complicata, costituito attraverso l'unifica­

zione sintetica e il concorso di più campi sensibili.

1 7. Affezione e rivolgimento dell'io. dell'io

§

La

nàttività t-ome il livello più basso dell'attività

Tutte le rilevanze nel campo, la loro articolazione in uguaglianze e differenze e la formazione di gruppi che ne deriva, l'emersione di un singolo elemento dallo sfondo omogeneo, sono tutti prodotti di sintesi percettive di vario tipo. Esse non sono però semplicemente processi passivi nella coscienza, bensì queste sintesi di coincidenza han­ no il loro potere a ffettivo. Diciamo, per esempio, che ciò che emerge, per la sua disso­ miglianza, dallo sfondo omogeneo che estende una

lenden'-a a.ffottiva

[80] ,

ciò che rileva "ci colpisce"; e questo significa

sull'io. Le sintesi di coincidenza, siano esse sintesi di

In merito, cfr. in.fra §§ 44 e sgg.

76

§

t 7.

:\ffczione e rivolgimento dell'io. La ricettività come il livello più basso dell'attività dell'io

coincidenza con fusione indifferenziata oppure sintesi di coincidenza con un contrasto tra ciò che non è uguale, hanno il loro potere affettivo, esercitano cioè uno stimolo a rivolgersi a loro, non importa se questo stimolo venga seguito oppure no. Se da ciò si arriva ad apprendere un dato sensibile nel campo, ciò accade sempre sulla base di tale rilevanza. Spicca qualcosa per la sua intensità rispetto a una pluralità di cose che ci col­ piscono. Per esempio, nel campo sensibile c'è un suono, c'è un rumore, c'è un colore che s'impone con più o meno forza. Essi stanno nel campo percettivo e ne emergono, esercitando, anche quando non sono appresi, uno stimolo maggiore o minore sull'io. Allo stesso modo, un pensiero fuggevole può essere invadente, o una volontà, un desi­ derio possono emergere dallo s fondo perché s'impongono. La loro imposizione è con­ dizionata dal modo più o meno acuto con cui emergono, nella s fera sensibile attraverso il contrasto, per discontinuità qualitative di grado considerevole, e così via. Nell'ambito delle datità non sensibili non si può certo parlare di queste discontinuità qualitative; c'è tuttavia qualcosa di analogo: tra le diverse e oscure spinte al pensiero, che ci percorrono, emerge, per esempio, un'idea su tutte le altre, ha un effetto sensibile sull'io, per così dire, gli si impone. Occorre ora dis tinguere le discontinuità (nella sfera sensibile, innanzitutto, le di­ scontinuità qualitative o intensive) , che "hanno come effetto" un'imposizione, o che

condizioni dell'imposizione, dall 'imposizione stessa. Ci sono gradi di imposizione e ciò che s'impone arriva più vicino o più lontano dall'io: mi si impone. Distinguiamo [81] dunque dò cbe si impone e l'io, a cui qualcosa si impone. In proporzione invece, in modo simile, sono

alla sua intensità, ciò che s'impone raggiunge una maggiore vicinanza o una maggio­ re distanza dall'io. Queste differenze di potere impositivo e quelle dei corrispondenti stimoli sull'io possiamo facilmente constatarle nel campo di coscienza, guardando re­ trospettivamente - e questi sono dati dimostrabili fenomenologicamente - la connes­ sione di questa gradualità con gli altri momenti, ovvero la rilevanza continua, l'intensità, oppure con altri momenti più mediati, che appartengono all'ambito dell'associazione, presa nel senso più ampio. Un elemento nuovo si presenta, quando

l'io segue lo stimolo. Lo

stimolo dell'oggetto

intenzionale3, dirigendosi all 'io, lo attrae in maniera più o meno forte e l'io cede. Una tendenza graduale lega i fenomeni, una tendenza al passaggio degli oggetti intenzionali dallo stato di iftmdo dell'io a quello di

comlativo

[oggettivo] dell'io; una trasformazione

che corrisponde a quella dell'intera esperienza vissuta intenzionale di sfondo in un'e­ sperienza vissuta in primo piano: l'io si rivolge all'oggetto. Il rivolgimento stesso è anzitutto un processo intermedio: il rivolgimento si conclude con l'essere dell'io presso l'oggetto e con la sua apprensione per contatto. Cedendo l'io [allo stimolo] , si produce

3 Merita ricordare ancora una volta che qui è improprio parlare di oggetto o di un oggetto. Come è stato infatti più volte sottolineato, nell'ambito della passività originaria non si può parlare affatto in senso proprio di oggetti; su questo cfr. anche s11pro pp. 64 e sg.

77

Prima sezione - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della ricenività

una nuova tendenza, una tendenza che muove dall'io e che si dirige all'oggetto. Occorre quindi ancora distinguere: l) La tendenza prima del tvgilo, la lendtn� come stimolo dell'esperienza vissuta inten­ zionale di sfondo con [82] i suoi diversi gradi d'intensità. Quanto più è forte questa "affezione", tanto più è forte la tendenza alla dedizione, all'apprensione. Come già accennato, questa tendenza ha due livelli: a) L'imposizione all'io, l'attrazione che il dato esercita sull'io; b) La tendenza, che muove dall'io, alla dedizione, l'essere attratto, l'esser colpito dell'io stesso. Da queste tendenze prima dell'io distinguiamo ancora: 2) Il rivolgimento come assecondamento della tendenza, o in altri termini, come tra­ sformazione del carattere tendenziale delle esperienze vissute di sfondo, mediante cui il cogito diventa attuale. L'io si rivolge ora all'oggetto, da sé stesso nasce una tendenza ri­ volta all'oggetto. Così, in termini generali, ogni cogito, ogni specifico allo dell'io è un 'aspirazio­ ne, che nasct dall'io e dall'io è compiuta in diversi gradi. Può realizzarsi con o senza ostacoli, in maniera più o meno completa. Di questo parleremo a breve con maggiore dettaglio. Anche questa tendenza ha diversi gradi di intensità della tensione. L'io può essere attratto da ciò che lo colpisce in maniera più o meno vivace e con diversi ritmi di incre­ mento d'intensità; eventualmente può anche esservi un repentino afflusso d'intensità. Correlativamente, il tipo e il ritmo dell'assecondamento [da parte dell'io] può avere differenze simili, pur non essendone determinato in via esclusiva. Non è detto che l'io ceda a uno stimolo forte e lo può assecondare con diversa intensità. L'aumento di po­ tere affettivo è però necessariamente condizionato da certe variazioni del modo in cui gli oggetti si danno percettivamente, come, per esempio, accade quando siamo colpiti dal rumore del fischio di una locomotiva che si avvicina a noi. Ma ciò non ha neces­ sariamente come effetto un rivolgimento [dell'io]. Non si fa attenzione a uno stimolo violento [83], quando si conversa con una persona "importante" e, quand'anche ne siamo sopraffatti al momento, possiamo rivolgerei ad esso in maniera solo secondaria, di sfuggita, oppure possiamo esserne rapiti o distratti solo per un poco, senza prestargli un'attenzione "accurata". Quando il rivolgimento si compie si raggiunge quello che chiamiamo lo slalo di veglia dell'io. Per esser più precisi, occorre distinguere lo stato di veglia come realizzazione di fatto degli atti dell'io e lo stato di veglia come potenzialità, come stato del poter compie­ re gli atti, che rappresenta il presupposto del suo compimento di fatto. Svegliarsi signifi­ ca rivolgere lo sguardo a qualcosa. Svegliarsi vuol dire subire un'affezione efficace; uno s fondo diventa "vivace", un oggetto intenzionale arriva più o meno vicino all'io, questo o quell'oggetto attraggono a sé l'io con efficacia. Se gli si rivolge, l'io è presso l'oggetto. Nella misura in cui l'io, rivolgendosi a qualcosa, accoglie ciò che gli è già dato attra­ verso lo stimolo che lo colpisce, possiamo qui parlare di ricellivilà dell'io. Questo concetto fenomenologicamente necessario di ricettività non è affatto in op­ posizione con l'attività dell'io, sotto il cui titolo sono compresi tutti gli atti che deriva-

78

§ 1 8. L'attenzione come tendenza dell'io

no dal polo dell'io; bisogna piuttosto intendere la riccttività come il livello più basso dell'allività [dell'io]. L'io può lasciarsi andare a ciò che gli viene incontro e accettarlo. Pertanto, distinguiamo, per esempio, all'interno della percezione, da un lato, il sempli­ ce avere coscienza delle apparenze originarie (quelle che presentano gli oggetti nella loro originale presenza in carne e ossa). In questo modo, abbiamo davanti agli occhi un intero campo percettivo - già nella pura passività. Dall'altro lato, con percezione intendiamo la percezione attiva come appremione attiva degli oggetti, i quali spiccano [84) in un campo percettivo, che va ben al di là di essi. Allo stesso modo, possiamo avere un campo di rimemorazioni e possiamo avere anche questo in pura passività. Ma ancora una volta l'apparire nel ricordo non è il ricordare che apprende attivamente e si impegna con ciò che appare (con "ciò che ci colpisce"). Chiaramente, il normale fOnfello di esperienza (percezione, rimemorazione, ecc.) si riferisce all'esperienza a/livo, che quindi si compie nell'esplicitazione (cfr. il prossimo capitolo) .

§ 18. L'attenzione come tendenza dell'io Per quel che in particolare riguarda l'ambito delle esperienze vissute oggettivanti, delle [esperienze vissute] classiche, in cui siamo coscienti di un "ente", anche se solo sullo sfondo, gli psicologi parlano di solito di allen'-ione pensando generalmente al cor­ relativo rivolgimento dossko. Tuttavia, noi chiamiamo "attenti", nella vita di tutti i giorni, sia colui il quale, completamente abbandonato alla bellezza di un'irrunagine, vive nel piacere che ne trae e non nella credenza che qualcosa sia, ovvero nell'intenzione rivolta all'ente, sia colui che, nella realizzazione di un'attività pratica, vive interamente nel suo deliberato compimento: nel primo caso questi sarebbe attento alla bellezza, nel secon­ do all'attività del suo lavoro, in diversi gradi, fino al completamento finale. Di certo ci sono, però, molti modi in cui passano l'una nell'altra l'apprensione che qualcosa sia nella credenza che qualcosa sia (ossia nell'esplicitazione dell'essere, nell'esplicitazione di ciò che è per come esso è) e nell'attività valutativa o pratica, che si lega loro. Così, per esempio, l'attività classica ne fonda una lavorativa (bandJPtrkbcbts] e la conseguente affermazione classica dell'esser pronto, ovvero del prodotto finito, si lega all'attività pratica del mettere da parte in vista di usi futuri. l� del resto chiaro che ogni rivolgimen­ to non classico e la continua occupazione [85) con qualcosa ci lascia liberi di modificare l'atteggiamento in uno classico che apprende come esistenti le formazioni prodotte dal precedente atteggiamento e le esplicita attivamente come tali. In generale l'attenzione è un tendere dell'io verso l'oggetto intenzionale, verso l'u­ nità che "appare" nel continuo cambio dei suoi modi di datità; esso appartiene alla struttura essenziale di uno specifico atto dell'io (di un atto dell'io nel senso pregnante del termine) ed è un tendere alla realizzazione. Il compimento che inizia con il rivol­ gimento, il punto di partenza del compimento di un atto, è l'inizio di un esser diretto

79

Prima sezione - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della ricettività

dell'io all'oggetto, che si compie continuamente. L'inizio abbozza una direzione dell'ul­ teriore processo di compimento, unitariamente sintetico (benché esso possa proseguire in molti modi), durante il quale, di fase in fase, si riempie la tendenza suscitata all'inizio e alimentata da ciò che è stato finora compiuto, ma al contempo si estende tendenzial­ mente ed esibisce nuovi stadi di riempimento. Così procede fino alla "fine" o fino all'in­ terruzione, eventualmente nella forma dell't t"osì

via. L'inizio ha quindi un suo orizzonte

intenzionale, rimanda oltre di sé in un modo vuoto, che solo le successive realizzazioni possono rendere inruitivo. Esso rimanda implicitamente a un continuo processo sin­ tetico (oppure, in maniera indeterminata, a una qualsiasi delle direzioni conseguenti all'interno di una pluridimensionalità di processi possibili), attraverso il quale si estende una tendenza unitaria e continua. [Questa tendenza] ha nel suo corso modi di riempi­ mento che cambiano continuamente, ognuno dei quali ha il carattere del riempimento intenzionale, che rimanda a sua volta a un orizzonte di nuovi riempimenti. A tutte le esperienze vissute intenzionali appartiene questa differenza essenziale ri­

spetto ai modi della tendenza: o l'io vive attivamente "nella" esperienza vissuta e in essa (86) si rivolge all'oggettualità intenzionale e se ne occupa, oppure no. E allora nel migliore dei casi, dall'esperienza vissuta - che ha la modalità di esperienza vissuta di sfondo - ovvero dall'oggetto intenzionale, a cui essa mira, deriva un'attrazione che sollecita l'io, uno stimolo che spinge l'io con un potere affettivo variabile (se l'io è già desto e impegnato in altre attività).

§ 19. La tendenza che l'io ha nell'esperienza come "interesse " verso l'esperito e la sua realizzazione nell"'azione " dell'io Gli atti dossici, gli atti rivolti a un ente (anche se modalizzato come ente possibile, supposto o non ente) sono un caso particolare di esperienza vissuta intenzionale at­ tenta, di atti dell'io che sono in esecuzione; ne fanno parte [gli atti] intuirivi, nei diversi modi dell'immediatezza o della mediazione intenzionale, e infine le esperienze evidenti che danno l'ente stesso (per essere più precisi: le esperienze dossiche, poiché anche esperienza e intuizione possono esser prese così in generale da includere tutti i tipi di atto e di oggetto). Se, nel prosieguo, parleremo di attenzione, e in particolare di perce­ zione e di ricordo, saranno sempre intesi atti dossici. Come abbiamo detto già in generale, è anche qui vero che l'inizio del rivolgimento, dell'attenzione a un ente, mette in gioco un atteggiamento che ha una tendenza, [un atteggiamento] che aspira a qualcosa. [Un tale atteggiamento] possiede l'aspirazione a realizzarsi, ad agire con le sue forme di interruzione e di conclusione. Quando un ano percettivo inizia con un rivolgimento, c'è già invero la coscienza che qualcosa sia riferita all'oggetto stesso - percepire (87) è anzi coscienza dell'apprensione dell'oggetto nella sua presenza, per così dire, in carne e ossa. Ma la tendenza dell'io non si conclude con

80

§ 1 9. La tendenza che l'io ha nell'esperienza come "mteresse" verso l'esperito l'inizio del rivolgimento. Essa è di certo rivolta all'oggetto, ma, all'inizio, lo prende solo di mira. Possiamo dire che con [il rivolgimento] viene suscitato un percettivo in quanto esistente. Siamo continuamente

rivolti a

in/erme per l'oggetto

quello stesso [oggetto],

realizziamo la coscienza continua di esperirlo. La coscienza della sua esistenza è qui una credenza attuale. In virtù della coerenza, in cui le apparizioni percettive fluiscono nella loro presentazione originaria, fatta di ritenzione e protenzione, in quanto coerenza che si conferma continuamente, la credenza è una continua certezza classica: in essa si è certi dell'originarietà dell'oggetto che è presente in carne e ossa. Ma in questa direzio­ ne fissa all'oggetto, nella continuità dell'esperienza che ne facciamo, c'è un'intenzione che tende a un progressivo plus ultra, che va al di là di ciò che è dato e dei modi in cui in ogni momento è dato. Non c'è però solo una coscienza che progredisce, ma anche l'aspirazione a una nuova coscienza, intesa come interesse per l'arricchimento della "medesimezza" dell'oggetto, il quale si regola

eo ipso

sul progredire dell'apprensione.

Così la tendenza dd rivolgimento continua come tendenza al riempimento completo. Ciò che ci colpisce attira anzitutto su di sé lo sguardo dell'io, come un'unità indivisa. Ma quest'unità si scompone subito nei suoi momenti costitutivi; essi iniziano ad emer­ gere; mentre uno viene messo a fuoco, gli altri, in quanto appartenenti all'oggetto, ven­ gono coinvolti temaricamente nell'unità intenzionale dello stesso e così esercitano il loro stimolo. Allo stesso modo, si suscitano

orizzonli,

insieme a tutto ciò che è effettivamente

dato; per esempio, se io vedo di fronte un oggetto casale

[88]

in quiete, sono cosciente

nell'orizzonte anche del suo retro che non vedo; la tendenza che spinge verso l'oggetto è rivolta a renderlo accessibile anche da altri lati. Solo con l'arricchimento della datità, con

la penetrazione nei particolari e con il venir dato "da tutti i lati", la tendenza passa dall'ini­ ziale modo della mira a quello del raggiungimento, che tuttavia ha a sua volta diversi livelli: raggiungirnento incompiuto, parziale, con componenti in cui la mira è delusa. Così la tendenza si realizza in molte "atti,·ità" dell'io. Essa consiste nel far passare l'apparenza (presentazione), che ha l'io di oggetti esterni, in un'altra [apparenza] e di nuovo in "altre apparenze del medesimo oggetto". Essa si muove in una varietà definita

di "apparenze possibili". Essa aspira costantemente a nuove modificazioni dell'appa­ renza, al fine di portare l'oggetto a darsi da tutti i lati. Essa è perciò diretta su un og­ getto identico che si "presenta" in tutte le apparenze, sullo stesso oggetto da un lato e dall'altro, da vicino e da lontano; ma

la

tendenza consiste nel trasformare il qualcosa

che è come lo presenta un certo modo d'apparire nello stesso qualcosa che però si pre­ senta in un altro modo d'apparire. Essa mira alla "produzione" di sempre nuovi modi d'apparire, che potremmo anche chiamare "immagini" - un concetto di immagine, che naturalmente non ha niente a che fare con la raffigurazione, come è invece usuale nel linguaggio ordinario; così, per esempio se qualcuno parla dell'immagine che si è fatto di una

cosa, con ciò egli intenderà proprio il modo in cui la vede, in cui essa si presenta.

In questo senso ogni oggetto della percezione esterna si stituisce nel passaggio sintetico da un'immagine all'altra, nel

81

dà in un"'immagine" e si co­

[89)

quale le immagini coinci-

Prima sezione - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della ricettività

dono sinteticamente come immagini (apparenze) della stessa cosa. Ogni percezione che mi presenta l'oggetto in quest'orientamento lascia in sospeso i passaggi pratici ad altre appa­ renze del medesimo oggetto, e precisamente a certi gruppi di apparenze; le possibilità del passaggio sono possibilità pratiche, almeno quando si tratta di Wl oggetto che si presenta come inalterato nella sua durata. C'è dWlque una libertà nel decorso, così che io muovo gli occhi, muovo la testa, modifico la postura del mio corpo, mi giro attorno, rivolgo lo sguardo all'oggetto, e così via. Chiamiamo questi movimenti, che appartengono all'essenza della per­ cezione e che servono a portare l'oggetto a una datità per quanto possibile onnilaterale, dne­ stesi. Esse realizzano le tendenze della percezione e in Wl certo senso sono "attività", anche se non azioni volontarie. lo non compio così (in generale) nessWl atto volontario. Muovo involontariamente gli occhi, e così via, senza per questo "pensare agli occhi". Tali cinestesi hanno il carattere di pro,-usi soggettivi attivi; di pari passo con [questi processi], e motivato da questi, si svolge Wl decorso di mute\·oli "immagini", visive o tattili, "che appartengono [all 'oggetto)", mentre questo mi è "dato" nella sua durata con o senza modificazioni. Io sono, nei suoi confronti, da Wl lato, ricettivo e, dall'altro, ancora una volta produttivo. Che le immagini appaiano è in "mio potere"; posso anche interrompeme la serie, posso, per esem­ pio, chiudere gli occhi. !\fa non è in mio potere che, se lascio procedere le cinestes� appaia Wl'altra immagine; sono, in questo caso, soltanto ricettivo: se, rispetto all'oggetto, do corso a certe cinestes� appaiono queste e queste immagini [90] . Questo vale per la quiete come per il movimento, per il cambiamento come per il non cambiamento. Così, iniziando dal primo rivolgimento dell'io, la percezione è animata da tendenze a percepire, da tendenze al passaggio continuo delle appercezioni in nuove appercezioni, da tendenze a percorrere la molteplicità delle cinestesi e così a mettere in moto [Abla'!lf le "immagini". lo mi regolo sempre su ciò che appare nelle immagini, su ciò che si presenta, e in particolare su questo o su quel loro momento, sulle forme, ecc. Questo gioco delle tendenze, questo corso di cinestesi motivanti, che è guidato da una tenden­ za, appartiene a ciò che costituisce l'essenza della percezione esterna. Questi sono tutti processi attivi, processi di tendenze, nel corso dei quali �e tendenze] si allentano. Nella descrizione fin qui fatta, abbiamo presupposto che le tendenze della percezio­ ne si realizzassero dopo il primo rivolgimento e che questa realizzazione continuasse anche dopo alla luce di questo rivolgimento. Ora però gli oggetti del mio campo visi­ vo, per esempio, possono anche esercitare stimoli e sviluppare tendenze che io seguo muovendo gli occhi, senza che mi rivolga ad essi con attenzione. Questi processi ap­ percettivi, pur essendo attivi, sono possibili senza il rivolgimento dell'io. D'altro canto, solo il rivolgimento, ovvero il compimento delle appercezioni nel rivolgimento dell'io, nella forma del "io percepisco", fa sì che l'oggetto sia il mio oggetto, l'oggetto della mia osservazione, e che l'osservazione stessa, il decorrere delle cinestesi, il motivato lasciar defluire le apparenze sia un mio decorso, la mia osservazione degli oggetti attraverso le immagini. L'io vive nel cogito e perciò ogni contenuto del cogito ha una sua particolare relazione all'io. Il rivolgimento è esso stesso caratterizzato come un "io faccio", [91) e

82

§ 20. Il concetto più stretto e quello più ampio di interesse

allo stesso modo il vagare dei raggi dello sguardo attento, dello sguardo nel modo del rivolgimento, sono un "io faccio". Si distingue dunque: 1 . U n agire che non è un "io faccio", 11n agin prima del rivolgimento; 2. L'io ja,'Cio, che però, come abbiamo detto, non deve contenere ancora nulla di un'azione volontaria: io muovo involontariamente gli occhi, mentre mi rivolgo con attenzione a un oggetto. § 20. Il t'Oflt"elto più stretto e quello più ampio di interesse Parliamo anche di un inlmsse che può svegliarsi con il rivolgimento all'oggetto. Ora si vede che questo interesse non ha niente a che fare con uno specifico atto di volontà. Non si tratta di un interesse che produca qualcosa come intenti o azioni volontarie. È solo un momento dell'aspirazione, che appartiene all'essenza della percezione normale. È giustificato parlare qui di interesse, perché con questa aspirazione entra di pari passo un senlimtnlo, e precisamente un sentimento positivo, che non va però confuso con il piacere per l'oggetto. Può però anche essere che l'oggetto stesso tocchi il nostro sentimento, che esso abbia valore per noi e che perciò ci rivolgiamo ad esso, indugiandovi. Allo stesso modo può essere che esso sia per noi un disvalore e che susciti il nostro interesse proprio perché ci ripugna. Così il sentimento, che appartiene all'interesse, ha una direzione tutta propria. In ogni caso - sia che l'oggetto morivi il nostro rivolgimento per il suo valore o per il disvalore che noi sentiamo in esso - appena lo apprendiamo, il suo contenuto di senso si arricchisce necessariamente, in parte perché continua a durare in maniera sem­ plicemente intuitiva [92) nella percezione, in parte perché ne deriva un risveglio dei suoi orizzonti oscuri, che sono riferiti a possibilità e attese di sempre nuovi arricchimenti. A ciò si lega un peculiare sentimento di soddisfazione per quest'arricchimento e, in riferi­ mento a quest'orizzonte, [un sentimento] di un arricchimento che si espande e s'incre­ menta, un'aspirazione ad "andare sempre più vicino" all'oggetto, ad appropriarsi della sua medesirnezza in maniera sempre più completa. Al livello più alto, quest'aspirazione può anche assumere la forma di un autentico volere, della volontà di tonosctn�, con deliberate posizioni di fini, ecc. Trovandoci però nella sfera della semplice percezione e dell'osserva­ zione accurata che le è legata, non possiamo indagare su questa [volontà di conoscenza]. Dobbiamo distinguere ancora un altro concetto di interesse, diverso da quello fin qui sviluppato. Quest'aspirazione ad accedere all'oggetto e la soddisfazione nell'arric­ chimento della sua medesirnezza non hanno luogo, se mi rivolgo semplicemente in generale all'oggetto, ma solo se io mi rivolgo ad esso nel senso specifico del tema. Tema, in qt�tslo senso pregnanlt, t oggetto del rivolgimento dell'io non mnprt coinddono. Io mi posso occupare tematicamente di qualcosa, per esempio di un lavoro scientifico, eppur ve­ nir disturbato da uno schiamazzo per strada. Mi disturba e mi rivolgo ad esso per un attimo. Nondimeno quello che era stato il mio tema fino ad allora non viene perciò 83

Prima sezione - Capitolo primo

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Le

strutture generali deUa ricettività

abbandonato, ma per un attimo passa sullo s fondo. Resta però il mio tema, a cui torno

11n foncello più ampio di in/eresse o dell'atto dell'interesse. Tra questi atti non si intendono solo quelli in cui io mi [93] rivolgo tematicamente a un oggetto, per esempio percependolo immediatamente, appena finisce il disturbo. In riferimento a ciò, si può parlare di

o osservandolo poi in maniera accurata, ma in generale ogni atto di rivolgimento dell'io, sia esso transitorio o continuato, di partecipazione

(inter-esse)

dell'io.

§ 21. L'ostat-olo alla tendenza e l'origine della modalizzazione della fertezza Torniamo ora all'interesse nel primo e autentico senso. Nella realizzazione dell'a­ spirazione tendenziale a sempre nuovi modi di datità dello stesso oggetto si compie la percezione concreta. Queste tendenze possono svilupparsi fOn

O senza os/aco/i.

Questo vuoi dire che le tendenze non sono solo cieche aspirazioni a sempre nuovi modi di datità dell'oggetto, ma che esse vanno di pari passo con le

intenzioni dell'attesa, con

le attese protenzionali, che si riferiscono a ciò che dell'oggetto, nell'intero corso dell'os­ servazione percettiva, potrà giungere a datità, attese, per esempio, circa il lato posteriore che non è ancora stato visto. Così ogni fase percettiva è un sistema di raggi di intenzioni d'attesa attuali e potenziali. Nel caso normale della percezione, nel decorso continuo e non ostacolato delle fasi, in quella che è solitamente chiamata la percezione pura e sempli­ ce, si trova un processo di eccitazioni attualizzanti che si aggiornano di continuo e quindi un costante riempimento delle attese, [un riempimento] che è al contempo anche una

sempre più precisa determinazione dell'oggetto. La soddisfatÌone dt/1/nlmsse, il riempimen­ to delle tendenze, nell'aspirazione continua da una fase percettiva all'altra, da un modo di datità dell'oggetto all'altro, è insieme anche

riempimento [94] delle inlen:joni d'attesa. Questo

è il caso normale del decorso senz'ostacoli delle intenzioni; l'oggetto si trova allora davan­ ti a noi in una semplice certezza dossica in quanto è ed è in un certo modo. Il caso contrario invece è quello in cui le tendenze vengono ostacolate. Restiamo, per esempio, a 11n imrnagine dell'oggetto. (L'oggetto] non raggiunge una datità onnilaterale, ma solo "da questo lato". Così la percezione s'interrompe o perché l'oggetto è svanito dal campo percettivo, o perché è stato coperto da un altro, che gli si è spostato davanti, o ancora perché, pur restando ancora percepibile davanti ai nostri occhi, ha prevalso un altro, più forte interesse, spingendo ad un'altra occupazione tematica e spostando così l'interesse dall'oggetto, senza che si sia giunti alla completa realizzazione o al completo riempimento della sua tendenza. L'interesse resta più o meno insoddisfatto.

a) L'origine della negazione C'è però anche un altro modo in cui gli ostacoli possono intervenire nel processo di riempimento delle tendenze: l'interesse percettivo per l'oggetto può continuare; noi continuiamo ad osservare Woggetto] e Woggetto] continua a darsi in modo tale da poter

84

§ 21 . L'ostacolo alla tendenza e l'origtne della modalizzazione della certezza essere osservato. Tuttavia, invece del riempimento delle intenzioni d'attesa subentra una

dtl!tsione.

Per esempio, supponiamo di vedere una sfera uniformemente rossa; per

un certo tratto, il corso della percezione continua in modo tale che l'apprensione sia coerentemente riempita. Ma, nel prosieguo della percezione, s'inizia a vedere una parte del lato posteriore che fino ad allora non si vedeva e, contro l'iniziale abbozzo che dice­ va "uniformemente rossa, uniformemente sferica", si fa strada la coscienza che le cose stanno diversamente, deludendo così l'attesa: "non rosso, ma ca, ma

ammaccata".

[95)

verde", "non sferi­

Qui però, e in ogni circostanza, l'unità del processo intenzionale

viene ancora conservata e si presuppone una certa misura del riempimento continuo. Correlativamente: una certa unità del senso oggettuale deve pur mantenersi nel decorso delle apparenze che si avvicendano. Solo così nel corso delle esperienze vissute, con le loro apparenze, possiamo avere la coerenza di

una coscienza,

un'intenzionalità unitaria

che comprende tutte le fasi: ovvero, in questo caso, l'unità della coscienza percettiva

di questo oggetto e l'unità

della tendenza, l'orientamento all'osservazione dell'oggetto.

Si mantiene una cornice unitaria di senso nel riempimento progressivo; viene intacca­ ta solo

una parte

dell'intenzione d'attesa che aveva prodotto un abbozzo - nel nostro

esempio quella che riguardava alcuni luoghi della superficie [della sfera] - e la parte corrispondente del senso oggettuale (del presunto oggetto in quanto tale) acquisisce il carattere del "non così, ma altrimenti". Qui subentra un

contrasto tra le intenzioni ancora

vive e i contenuti di senso che si presentano in un'originalità nuovamente fondata. Ma non c'è solo contrasto: il senso oggettuale nuovamente costituito nel suo presentarsi in carne e ossa fa cadere, per così dire, dalla sella il suo avversario. l\lentre esso ricopre, con la sua pienezza in carne e ossa, ciò che era stato prima atteso solo in maniera vuota, lo sopraffà. Il nuovo senso oggettuale "verde" nel suo potere di riempimento impres­ sionale soggioga, per l'originarietà della sua forza, la certezza che aveva la precedente attesa [di quello stesso oggetto] come rosso. [La certezza] che è stata sopraffatta però è ancora cosciente, ma col carattere della "nullità". D'altro canto, il "verde" si uniforma al resto della cornice di senso. [L'oggetto] "che è verde e ammaccato" e che così appare nella nuova fase percettiva, insieme all'intero aspetto della cosa dal lato in questione, prolungano la serie delle passate apparenze

[96) , che sono ancora coscienti nella riten­

zione, per un tratto, restando coerenti col loro senso. Certamente da qui deriva

perce:;_ione;

una certa dJtplka�_ione nel compkssivo contenuto di senso della

così come il nuovo e !"'altro", che erano attesi, ricoprono il senso "rosso e

sferico", abbozzato protenzionalrnente nel tratto di percezione fino ad allora trascorso, rendendolo nullo, così accade qualcosa di corrispondente che retroagisce anche su tutta la serie precedente. Cioè, il senso percenivo non si modifica solo nel tratto che al mo­ mento è nuovo; la trasformazione noematica si riflette nella s fera ritenzionale e modifi­ ca

l'operazione semantica compiuta nelle precedenti fasi della percezione. Il significato

dell'appercezione pregressa, che era accordato sul conseguente sviluppo del "rosso e uniformemente s ferico", viene implicitamente "trasformato" in "in alcuni punti verde

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Prima sezione - Capitolo primo

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Le

strutture generali della ricettività

e ammaccata". Ne discende essenzialmente che se noi rendiamo intuitivi, in un ricordo esplicito, i complessi [Besliinde) ritenzionali, e dunque le serie di apparenze, che sono an­ cora coscienti come fresche, ma che sono diventate completamente oscure, ritroviamo quindi con il ricordo, per tutti i loro orizzonti, non solo i vecchi abbozzi nelle vecchie strutture di attesa e riempimento, così come essi erano allora inizialmente motivati, ma, costruiti su di essi, anche il corrispondente abbozzo modificato che ora si riferisce inte­ gralmente al "verde e ammaccata". E [ciò accade) in una maniera che caratterizza come nullo il momento del precedente abbozzo, che ora è in contrasto [con quello nuovo] . Poiché però i momenti di senso sono solo momenti di un senso organizzato unitaria­ mente e in un'unità fissa, è l'intero senso della serie di apparenze ad essersi trasformato modalmente e a trovarsi, al contempo, duplicato. Pertanto, siamo ancora coscienti del vecchio senso, ma questo è coperto dal nuovo e cancellato nei momenti corrispondenti. [97] È così descritto il ftnomtno originario della nega:lfone, dell'annullamento o della "cancellazione", dell"'essere altrimenti". Ciò che è stato analizzato nell'esempio della percezione esterna, vale in maniera analoga per ogni altra coscienza che presume di porre oggetti (posizionale) e per le sue oggettualità. Si mostra quindi che la negazione non è solo 11na questione t-he attiene algiudicare predicativo, ma che essa, nel srto prototipo, ha l11ogo già nella sfera ante-predicativa dell'esperienza rietlliva. Qualsiasi siano i ripi di oggettualità in sé stesse, per la negazione è essenziale la sovrapposizione di un nuovo senso su quello già costituito e insieme la sua sostituzione. Correlativamente, in direzione noerica, [è essenziale] la formazione di una seconda apprensione, che non sta accanto alla prima, oramai sostituita, ma sopra pa prima] e in contrasto con essa. La credenza contrasta con la credenza, la credenza in un contenuto di senso e il suo modo intuitivo contrastano con quella in un altro contenuto di senso nel suo modo intuit:ivo. Nel nostro esempio, il contrasto consiste nella vera e propria "cancellazione" di un'intenzione anricipativa, di un'attesa, per opera di una nuova impressione: un'altra espressione [per rendere lo stesso fenomeno] è delusione. Per esser più precisi, la can­ cellazione riguarda una parte delimitata, mentre per il resto il riempimento continua ad essere coerente. Ciò che è toccato inunediatamente dalla cancellazione, ciò che prima­ riamente ha il carattere del "non", è il momento oggettuale rosso e il fatto che era stato anticipato come "esistente". Solo in conseguenza di ciò, nella credenza, la cosa stessa in quanto sostrato del rosso presunto è depennata: la cosa, che "intendevamo" fosse tutta rossa, non è; piuttosto, questa stessa cosa è, in alcuni punti, verde. Dopo il cambiamen­ to, che ha subito quella che era inizialmente una semplice e normale percezione a causa del depennamento, [98] noi abbiamo di nuovo una percezione che è uguale alla perce­ zione normale, poiché il cambiamento di senso, che ha accompagnato la cancellazione, ha prodotto una percezione che ha un senso unitario e completamente coerente, [una percezione] di cui troviamo continuo riempimento delle intenzioni: con la sostituzione di "verde e ammaccata" tutto torna coerente. Ma una differenza rispetto a prima c'è: per la coscienza resta ritenzionalmente anche il sistema delle vecchie apprensioni per-

86

§ 2 1 . L'ostacolo alla tendenza e l'origine della modalizzazione della certezza cettive, che sono state in parte pervase dalle nuove. Queste vecchie [apprensioni] sono ancora coscienti, ma con il carattere di ciò che è stato cancellato. Si può anche dire che

il vecchio senso viene dichiarato invalido e ad esso se ne sovrappone un altro che è [ora considerato) valido. Questo è solo un altro modo per esprimere la negazione e la sostituzione del senso inteso con uno riempito. Ne risulta dunque che:

1.

La negazione presuppone inizialmente l'originaria costituzione normale dell'og­ getto, che noi designiamo come percezione normale, realizzazione normale e non ostacolata dell'interesse percettivo. [Quella percezione normale] ci deve essere, perché possa essere originariamente modificata. LI

nega�font è una modift­ ''(l:;_iont della foscienza dJt, in conformità alla sua essenza, si prmnla in quanto tale. Essa è sempre una cancellazione parziale sul terreno di una certezza dossica che conti­ nua, e infine sul terreno della universale certezza del mondo.

2.

L'originaria costituzione dell'oggetto percettivo si compie in intenzioni (quanto alla percezione esterna, in apprensioni appercettive) che, per loro essenza, pos­ sono essere modificate dalla delusione della credenza protenzionale dell'attesa; questa [modificazione] ha luogo insieme alla sovrapposizione, che è essenziale in questo caso, di intenzioni che hanno direzioni opposte.

[99) b) La t"osdenza del dubbio e della possibilità Nella s fera ante-predicativa non troviamo però già solo il fenomeno originario della negazione; anche le cosiddette

modalità del giudizio, che costituiscono il nucleo centrale

della tradizionale logica formale, hanno la loro origine e il loro fondamento nei processi dell'esperienza ante-predicativa. Non è sempre necessario che vi sia un'interruzione ra­ dicale della percezione che decorre normalmente, una delusione completa delle inten­ zioni d'attesa che le appartenevano. In vece della semplice cancellazione può darsi an­ che che si diventi dubbiosi e in questo caso non viene del tutto cancellata l'apprensione percettiva che fino ad allora valeva come semplicemente vera. Il dubbio rappresenta un modo di passaggio verso la cancellazione della negazione, che però può anche risultare come una condizione durevole. Vediamo per esempio delle figure che stanno in una vetrina e che prendiamo all'inizio come veri e propri uomini, forse proprio come degli impiegati che lavorano lì. Poi però esitiamo sul fatto che potrebbe trattarsi di semplici manichini. Il dubbio si può risolvere con un'osservazione più accurata, in un senso o nell'altro; ma si può anche res tare, per un qualche tempo, in uno stato di oscillazione, durante il quale nutriamo il dubbio se [quelle figure] sono uomini o manichini. Si incro­ ciano in questo caso due apprensioni percettive; una è quella della percezione normale da cui abbiamo iniziato. Per un certo tempo vediamo lì un uomo, e po vediamo] in maniera coerente e senza ostacoli come vediamo le altre cose attorno a noi. Queste erano intenzioni normali, in parte riempite in parte no, che si riempivano normalmente

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Prima sezione - Capitolo primo

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Le

strutture generali della riceni\;tà

nella serie continua dei processi percettivi, senza alcun contrasto né frattura. Poi però non c'è stata un'interruzione radicale nella forma di una delusione decisiva, e quindi non c'è stato un contrasto [100) tra un'intenzione dell'attesa e un'apparenza percettiva che è emersa come nuova, procurando così la cancellazione della prima. Piuttosto, ora il pieno e concreto contenuto dell'attuale apparenza riceve, tutt'a un tratto, un nuovo contenuto, che vi si sovrappone: l'apparenza visiva, la figura spaziale riempita di colori, era prima accompagnata da un alone di intenzioni apprensionali che aveva.no il senso di "corpo vivo umano" e in generale "uomo"; ora su questo senso scivola quello di "ma­ nichino vestito". In ciò che effettivamente vediamo non cambia nulla, anzi c'è ancora qualcos'altro in comune: entrambi i casi hanno in comune l'appercezione degli abiti, dei capelli e simili; ma una volta [appercepiamo] carne e sangue, l'altra forse legno smaltato. Uno stesso complesso di dati sensibili fa da base comune per le due apprensioni che si sovrappongono l'una all'altra. Finché il dubbio dura, nessuna delle due viene però cancellata. Esse stanno in contrasto reciproco, ciascuna ha una certa forza, è motivata e, per così dire, richiesta dalla precedente situazione percettiva e dal suo contenuto in­ tenzionale. Ma una richiesta sta contro l'altra, l'una sfida l'altra e viceversa. Nel dubbio il contrasto resta indeciso. Poiché gli orizzonti vuoti costituiscono oggettualità solo insieme a un comune nucleo intuitivo, abbiamo così 11na biforcaziont tkUaptrctziont origina­ riamtnlt norma/t, che costituiva con coerenza solo un senso, in una ptrn!(jont, in un certo modo, duplkt. Ci sono due percezioni che si compenetrano, con un comune contenuto nucleare. E però non sono davvero due, il loro contrasto implica anche che l'una sop­ pianti l'altra. Se una delle due apprensioni prende possesso del comune nucleo intuitivo, se si attualizza, allora vediamo, per esempio, un uomo. Ma la seconda apprensione, che si orientava sul manichino, non si annulla; [101) essa è indebolita, è messa fuori servizio. Poi prevale, per esempio, l'apprensione manichino; vediamo il manichino e l'apprensio­ ne dell'uomo è messa fuori funzione, è indebolita. La duplicazione non è dunque una vera e propria duplicazione delle percezioni, ben­ ché il carattere fondamentale della percezione, la coscienza di qualcosa che è presente in carne e ossa, sussista per entrambe. Se l'appercezione di uomo si ribalta in quella di manichino, allora prima è l'uomo a essere qui in carne e ossa e poi il manichino. Ma in verità nessuno dei due è presente nello stesso modo in cui lo era l'uomo prima che s'insinuasse il dubbio. Evidentemente è cambiato il modo della coscienza, nonostante il senso oggenuale e i suoi modi d'apparire abbiano dopo come prima il modo dell'es­ ser presente in carne e ossa. Nondimeno, il modo della certezza, e correlativamente dell'essere, è cambiato essenzialmente; il modo in cui siamo coscienti di ciò che appare in carne e ossa, è cambiato. Invece di esserne coscienti in quanto qualcosa che è sem­ plicemente qui, come accadeva nella percezione normale, coerente e senza ambiguità, ora ne siamo coscienti in quanto qualcosa di problematico, dubitabile, controverso: è contrastato da qualcos'altro, da qualcosa che si presenta in carne e ossa in un'altra fase della percezione, qualcosa che, nel conflitto, con esso si compenetra.

88

§ 21 . L'ostacolo alla tendenza e l'origine della modalizzazione della certezza Possiamo anche esprimerci così: la coscienza, per cui siamo originariamente co­ scienti di qualcosa in carne e ossa, non ha solo il

modo della presenza in ''(Jrne e ossa, che la

distingue dalla coscienza che presentifica e da quella vuota, entrambe le quali presenta­ no lo stesso senso oggettuale, anche se non in carne e ossa, ma ha anche un bile di

essere o di validità. La percezione originaria, quella

modo varia­

normale, ha il modo originario

di ciò che è e che vale semplicemente; questa è la certezza ingenua pura e semplice; l'oggetto che appare è qui in una certezza incontrastata e ininterrotta.

[102]

Ciò che

è incontrastato rimanda a possibili contestazioni e fratture, precisamente a quelle che abbiamo ora descritte e che producono, nel divenir discordante dell'esperienza, una trasformazione del modo di validità. Nel dubbio, entrambi gli oggetti che sono presenti in carne e ossa, e che perciò si contrastano reciprocamente, hanno lo stesso modo di validità: quello di ciò che è "problematico".

E

tutto ciò che è problematico è appunto

messo in discussione, contestato da qualcos'altro. Tutto questo non vale però solo per la momentanea situazione percettiva nella fase ora, ma, allo stesso modo che nella negazione, il contrasto retroagisce anche qui essen­ zialmente sulle fasi già concluse. Anche in queste fasi la coscienza univoca va a pezzi in una coscienza equivoca: cioè, l'esser divenuta discordante dell'esperienza, con la con­ seguente sovrapposizione di appercezioni, prosegue nella coscienza ritenzionale. Se allora compiamo un'esplicita presentificazione del tratto di percezione che precedeva il dubbio, esso non è più qui come un normale ricordo nella sua univocità, ma ha assunto la stessa duplicazione; ovunque, sull'appercezione di uomo, si è sovrapposta quella di manichino. Lo stesso vale per la rimemorazione. A causa del riflesso sulla ritenzione e quindi sulla rimemorazione esplicitante, si compie anche qui una modalizzazione. Na­ turalmente noi abbiamo qui davanti agli occhi solo tratti del passato dello stesso ogget­ to, che ora continua ancora a essere presente in carne e ossa. Mentre il ricordo normale, essendo questo la riproduzione di una percezione normale, ci rende coscienti di ciò che è riprodotto come qualcosa che è certamente, e quindi nel normale modo di validità della certezza, il ricordo intaccato dalla discordanza, per il riflesso (che su di esso ha la discordanza tra esperienze], ha il modo di validità modificato del "problematico": ciò che è problematico è se W oggetto] sia in un modo o nell'altro, se sia uomo o manichino. Anche in questo caso del divenir dubbiosi, così come in quello della negazione, c'è un

ostacolo nel [103]

decorso del riempimento dell'interesse tendenziale della percezio­

ne. Più precisamente, non si tratta di un ostacolo alle tendenze percettive nella forma della delusione completa, come nella negazione, piuttosto non c'è una soddisfazione coerente né un riempimento delle intenzioni di attesa che appartengono alle percezioni. Il loro decorso, e con ciò la soddisfazione dell'interesse, è ostacolato in modo tale che l'io, cedendo all'attrazione delle affezioni, non arriva all'assoluta certezza, e neanche alla cancellazione della certezza, ma oscilla, per così dire, tra

inclinazioni alla certezza,

senza

poter decidere, nel caso del dubbio, in favore di una delle due. Si oscilla tra l'apprensio­ ne di un uomo e quella di un manichino. Le intenzioni di attesa, che appartengono alla

89

Prima sezione - Capirolo primo

Le

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srrurrure generali deUa ricerrivirà

percezione e che consistono di anticipazioni, non restituiscono un abbozzo univoco, ma equivoco. Ciò comporta un contras to, nella coscienza, tra le inclinazioni alla creden­ za che sorgono per ciascuna alternativa. Cioè, quando l'io attualizza innanzitutto per sé le motivazioni che spingono da un lato, dal lato dell'apprensione di "uomo", segue la richiesta che con coerenza porta in quella direzione. Quando Wio) si concede solo a questa [alternativa] e mette fuori gioco ciò che parla a favore dell'altra alternativa l'apprensione "manichino" - subisce allora una forza di attrazione, un'inclinazione a trasformarla in certezza. Ma accade lo stesso anche nell'attualizzazione delle intenzioni contrarie. Così il normale atto egoico della percezione, insieme alla sua semplice certezza dos­ sica, si modalizza in atti che chiamiamo

supposizioni di mdenza. Quanto al versante noe­ matico, quello degli oggetti di cui siamo coscienti, parliamo invece di snppo.rizioni d'essere. Vale a dire: dall'oggetto muove un'a ffezione che fa s1tpporre all'io che [quell'oggetto], così come il suo antagonista, esistano ed esitano in un cero modo. Queste supposizioni le chiamiamo anche (se non [104) sono trattate in riferimento all'io) possibilità; in questo contrasto di inclinazioni alla credenza e correlativamente di supposizioni d'essere, il

t'Ont'ello di possibilità ha la sua origine . Quello dell'essere possibile, della possibilità è un fenomeno t'be, come quello della net,azione, si trovagià nella .ifera an/e-predicativa e li ha la sua più originaria .

dimora. In questi casi, si tratta di possibilità problematiche, che sono l'una con l'altra in contrasto. Possiamo anche chiamarle possibilità

d11bbie lfraglit'h].

L'intenzione che nasce

nel dubbio e riguarda la decisione per uno degli elementi supposti del dubbio, si chiama

intenzione inlerroga/it)(J.

Solo quando sono in gioco supposizioni e controsupposizioni, a

favore delle quali e contro le quali qualcosa parla, si può parlare di perplessità. Ma la mi­ gliore espressione per questo tipo di possibilità è quella di possibilità snppositit}(J. Solo quando vi sono possibilità, a favore delle quali qualcosa parla, si può anche parlare di

probabilità. È

possibile che, tenendo conto dell'intera situazione percettiva,

l'inclinazione alla credenza, e quindi la supposizione d'essere, a favore di una delle due alternative sia maggiore e quella a favore dell'altra sia minore: "è probabile che sia un uomo". Ci sono più cose a favore della possibilità che sia un uomo. La probabilità designa

così ilpeso, dJe t'Omptle alle supposi�_ioni d'essere.

Ciò che si suppone è più o meno supposto,

e in verità questo vale anche nel confronto con tutte le possibilità problematiche, non importa quante siano, che appartengono a uno stesso contrasto e gli sono sinteticamen­ te legate: quindi anche il contrasto, la divisione di una coscienza a causa di un ostacolo reciproco tra due alternative, produce un'unità; in termini noematici, è l'unità delle opposte alternative, delle possibilità così reciprocamente condizionate.

[105] 'J PoJJ"ibilità problematica e possibilità aperta La

peculiarità della possibilità problematica, che sorge da una situazione di dubbio,

viene intesa più chiaramente, se la contrapponiamo ad un altro tipo di possibilità, che

90

§ 21 . L'ostacolo aUa tendenza e l'origine dcUa modalizzazione deUa certezza noi designiamo come possibilità aperta,

c

il cui ingresso è anch'esso fondato nella strut­

tura del decorso percettivo e, precisamente, del decorso delle percezioni che non sono ostacolate o interrotte. Certo, ciò che nell'o rizzonte appercettivo di una percezione è abbozzato intenzionalmente, non è possibile, ma certo. E tuttavia in questi abbozzi sono sempre incluse delle possibilità, ad essi, cioè, corris ponde sempre un'estensione di possibilità molteplici. L'abbozzo dei lati non vis ti di una cosa, che si compie nella percezione del lato ante riore [di quella cosa), è indeterminatamente generale. Questa generalità ha il carattere noetico della coscienza che presenta a vuoto e, correla tivamen­ te, ciò che è abbozzato ha il carattere di un senso oggettuale. Per esempio, se la cosa ci è ancora ignota e noi non l'abbiamo potuta già vedere bene dall'altro lato, il colore del lato posteriore di una cosa non è abbozzato come un colore del tutto determinato; è ab­ bozzato quindi "un colore" e forse anche di più. Se assumiamo la parte anteriore come campione, all ora ci aspetteremo che anche la parte posteriore segua lo stesso campione; se c'è un colore omogeneo su tutte le parti [1-'ìecken), ci aspetteremo allora che sia così anche per la parte posteriore, ecc. Ma resta ancora una certa indetermina zione. Questo abbozzo ha ora, come t utte le altre intenzioni nella percezione normale, il modo della certezza ingenua; ma esso ha questo modo proprio per ciò che presenta alla coscienza e per come lo presenta, cioè per il senso in cui lo presenta . Certo, è "un qualche colore in generale", oppure

[106]

"un colore in generale con delle macchie [di colore diverso)",

e così via, quindi [un colore] con una generalità indeterminata. Na turalmente, usiamo qui questo modo di parlare della generalità solo come un espediente per una descrizione indiretta che rimanda ai fenomeni stessi. Non pensiamo pertanto affatto a concetti logici, a generalità classificatorie o generalizzan ti, ma più semplicemente a questa intenzione presun tiva della percezione, così come si presenta [nella percezione) col suo modo di coscienza : quello dell'indeterminazione. All'essenza generale di ogni intenzione vuota, e quindi anche a quella di una tale in­ determinata indicazione preliminare, appar tiene la possibilità di essere esplicitata nella forma di una presentificazione. Possiamo liberamente formarci una presen tificazione che renda intuitivo ciò che non è visto, per esempio, immaginando di girare attorno all'oggetto. Se lo facciamo, avremo intuizioni di colori del tutto deter minati. Ma pos­ siamo chiaramente anche va riare liberamente questi colori all 'interno di una cornice

di indeter minatezza . Ciò significa che se intendiamo solo rendere intuitivo [ciò che immaginiamo), e quindi se ci impegniamo ad un quasi-riempimento della percezione mediante una serie di percezioni presen tificate, si succederanno intuizioni concrete di colori deter minati; tuttavia, questi colori determinati non sono sta ti abbozzati c nem­ meno richies ti: ciò che viene prcsen tificato vale come certo, e precisamente come il lato posteriore di questa cosa, ma in una coscienza di indeterminazione. Se anche interve­ nissero altre intuizioni presen tificanti con altri colori, la certezza non si estenderebbe comunque neanche a queste : per nessuna di esse niente è stato stabilito in an ticipo e niente è stato richiesto.

91

Prima sezione - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della ricettività

Questo vale per l'intuizione presentificante di ciò che ancora non ho visto. Se con­ frontiamo questa con la mancanza di un riempimento effettivo nello sviluppo attuale della percezione, troviamo che la

[107]

apparenza cromatica, che riempie l'abbozzo

indeterminato, è caratterizzata in sé stessa come certa. Ne consegue, e con certezza, una particolarizzazione determinante e, con ciò, un incremento di conoscenza. Il nuovo tratto di percezione, grazie al suo statuto di certezza, porta

il

generale indeterminato,

che era stato abbozzato, ad una concretezza più determinata, che, estendendosi all'u­ nità della certezza percettiva, riempie unitariarnente l'abbozzo e l'attesa anticipatrice. Il riempimento

è al

contempo un aumento di conoscenza. Questo però non

caso

è il

della presentificazione ill ustrativa; ogni altro colore può servire allo stesso modo di quelli che appaiono.

La presentificazione è accompagnata da un

modo di certezza solo

nella misura in cui, nonostante la colorazione determinata che fa apparire, conserva un modo di indeterminazione circa la colorazione. Solo per questo essa si dis tingue un determinato ricordo, dal ricordo che avremmo se noi ci ripresentificassimo

il

da

lato

posteriore di una cosa, dopo averlo effettivamente percepito. Da ciò s'intende che ogni presentificazione, che precede l'effettiva conoscenza e serve solo a rendere intuitivo qualcosa [di non ancora visto] , deve avere un carattere di credenza modalizzato in virtù del suo contenuto quasi-determinante. Ma questa incer­ tezza ha

il suo carattere proprio nel fatto che in essa il colore che si presenta in maniera è sì qualcosa di contingente, che però non può essere sostituito da qualsiasi cosa, ma solo da un qualsiasi altro colore. In altre parole, l'indeterminazione generale ha un'estensione di libera variabilità; in essa rientra ciò che in qualche modo vi è incluso in maniera implicita, ma non è motivato, né abbozzato da alcunché. [Ciò che può rien­ trarvi] è un elemento di un'estensione aperta di determinazioni più accurate, che sono compatibili con la cornice, ma che, oltre a questo, sono del tutto incerte. Questa è la definizione del concetto di possibilità aperta. Esso designa un tipo totalmente diverso di modaliz­ zazione (108) rispetto a q11el/o tk//a possibilità prob/ema/ica, perché la Coscienza modalizzante contingente

ha nei due casi un'origine fondamentalmente diversa. Nella possibilità problematica ci sono inclinazioni alla credenza, motivate dalla situazione percettiva e in contrasto reciproco. Si tratta di una possibilità a favore della quale qualcosa parla e che perciò ha sempre un peso. Non possiamo invece parlare di peso per la possibilità aperta. Qui non ci sono alternative, ma, all'interno di una determinata cornice di generalità, tutte le particolarizzazioni possibili restano allo stesso modo aperte.

La modalizzazione qui il modo

consiste nel fatto che un'intenzione generale determinata, che ha essa stessa

della certezza, porta implicitamente con sé, in una certa maniera, una stratificazione

della sua certezza, rispetto a tutte le particolarizzazioni immaginabili. Per esempio, se si richiede con certezza un colore a macchie in una generalità indeterminata, pimento

è

il

riem­

vincolato nella misura in cui vi deve pure essere "un qualche" colore con

macchie di "un qualche tipo; e ogni particolarità di questo tipo soddisfa questa richiesta allo stesso modo.

92

§ 21 . L'ostacolo alla tendenza e l'origmc della modalizzazione della certezza Da un modo originario della certezza ingenua pura e semplice si può determinare un gruppo chiuso ed esattamente delimitato di modalità, così che esse siano modalizzazioni a causa di un contrasto, ossia di quello tra una richiesta in origine semplicemente certa e una controrichiesta. A questa cerchia appartiene la coscienza problematica con le sue possibi­ lità problematiche.

È quindi assolutamente essenziale distinguere le modalità ,1Je nasfono dal

contrasto e quelle che Jxrmellono una parlicolarizzazione aperta.

Insieme, esse costituiscono un

concetto determinato di modalità di credenza e, correlativamente, di essere. La modalizta­

!\Jone t q1ti in opposiziolle alla certezza della mde11za e, corrtlalivamenlt, del/essere.

[109) d) Il duplite significato di modalizzazione Ma di modalizzazione si può parlare anche in un altro senso. Una nuova trattazione dd fenomeno del dubbio potrebbe renderlo chiaro. All'essenza del dubbio appartiene la possibilità della soluziolle e anche della decisione attiva. Il dubbio stesso, in opposizio­ ne [alla decisione], significa indecisione

c

la coscienza [del dubbio] significa coscienza

indecisa. Nell'ambito della percezione si compie necessariamente la decisione in una forma (che

è

la forma più originaria di decisione) tale che, nel passaggio a nuove ap­

parenze (per esempio, nella libera messa in scena dei rispettivi decorsi cinestetici) , una pienezza adatta e conforme alle attese ben s'incastra in uno degli orizzonti vuoti che erano in contrasto. Dati sensibili trasformati o completamente nuovi, che subentrano, richiedono, nelle condizioni intenzionali date, apprensioni che integrano

il

complesso

delle intenzioni rimaste incontrastate, in modo tale da bloccare la fonte del contrasto e cancellare ciò che motivava in particolare

il

dubbio con il potere di una nuova

im­

pressione. Ci avviciniamo di più, eventualmente lo tocchiamo, e l'intenzione ancora dubbiosa che era diretta al legno (invece che quella diretta al corpo vivo umano) ot­ tiene un privilegio di certezza. Essa lo ottiene, passando, in maniera coerente, a nuove apparenze, che, nei loro orizzonti non riempiti, non si accordano con l'apprensione di uomo e la negano con la forza della loro pienezza e della loro presenza in carne e ossa. In questa decisione, la

ne.gazione riguarda

un lato, e precisamente

il lato

dell'apprensio­

ne di uomo, che guidava la percezione iniziale e che era stata poi modalizzata come dubbia. Nel caso contrario le sarebbe toccata l'affermazione oppure, che

è lo

stesso, la

conferma della percezione iniziale, che poi però era divenuta dubbia. Ciò che appare in carne e ossa

[110)

si guadagna

il carattere di ''alidità modale

"sì", "realmente". In certo

senso, nonostante dia la certezza della credenza e dell'essere, anche il sì della conferma, come il no [della negazione],

della validità ftrla,

è una modificazione del modo originario, e del tullo non modifica/o,

in cui la semplice costituzione dell'oggetto percettivo si compie in

maniera univoca e senza alcun contrasto. Pertanto, sipuò parlare di ''modalizzazione " in due significati. Una volta, si può intendere una qualsiasi trasformazione del modo di validità rispello all'originaria, e per così dire ingenua, fertezta, che non è disturbata da nessuna discordanza e da nessun dubbio. Un'altra, si può intendere una trasformazione del modo di validità della ar-

93

Prima sezione - Capitolo primo

-

Le

strutture generali della ricetrività

ttt!(_i1, a/traverso tni essa finisce d'essere certezza Oa modalizzazione

in possibilità, probabilità, ecc., nel senso prima trattato) . Il modo originario è quello della certezza, ma nella forma della certezza più semplice. Appena si esce dal dubbio con una decisione positiva o ne­ gativa, abbiamo la ricostruzione della certezza. Ciò che viene provato "nei fatti" reale o non reale, torna ad essere certo. Ed anche la coscienza cambia. Il passaggio dal dubbio alla decisione dà alla certezza il carattere della decisione e dà al suo senso noematico il carattere corrispondente, che si esprime allora nel "sì", nell"'infatti" � nel "realmente così" e in locuzioni simili. Tuttavia, quando parliamo della dedsione in senso proprio, siamo trasportati già al di là della sfera della ricettività, ovvero nel dominio delle prm di posi�foni spontantt dell'io. Nella percezione ricettiva si tratta invece solo di sintesi che procedono passivamente, che si [111] conservano coerenti o si interrompono in un contrasto, o ancora, dopo esser passate per l'oscillazione tra apprensioni, conducono di nuovo alla coerenza e alla risoluzione del "dubbio". Tutti questi fenomeni, a un livello più alto, danno l'occasione per la formazione delle modalità di giudizio, in senso ordinario, dei giudizi predicativi modalizzati. E questo lo vedremo più avanti. La teoria delle modalità del giudizio resta sospesa in aria, se la sviluppiamo solo guardando al giudizio predicativo, come fa la tra­ dizione, se cioè non ricerchiamo l'origine di tutti questi fenomeni della modalizzazione nella sfera ante-predicativa. E qui noi comprendiamo che le modalizzazioni sono ostacoli dell'originario interesse pemttivo. Chiarendo l'origine [delle modalità del giudizio] si mostra che la piiÌ semplice ctrtezza dossù-a è lajòrma originaria e che tutti gli altri fenomeni, come la negazione, la coscienza di possibilità, la ricostruzione della certezza mediante afferma­ zione o negazione, si possono ottenere solo mediante la modalizzazione della forma originaria e che non stanno al contempo l'una accanto all'altra. Occorre distinguere da questo tipo di ostacolo alla realizzazione dell'interesse per­ cettivo, quindi dall'ostacolo come modalizzazione, l'ostacolo, di cui si è parlato per primo, l'ostacolo delle tendenze come interruzione del decorso percettivo; e non importa se l'in­ terruzione ha una sua ragione nel modo in cui sono dati gli oggetti Qa loro scomparsa dal campo percettivo, il loro essere coperti, ecc.) oppure nella modificazione dell'in­ teresse per qualcosa che continua a presentarsi percettivamentc a favore di un altro interesse più forte. Entrambi i tipi di ostacolo possono concorrere e condizionarsi vicendevolmente. L'interruzione del decorso percettivo può avere come conseguenza un successivo e insolubile dubbio, una modalizzazione retroattiva [112] di ciò che già era stato visto dell'oggetto, oppure la modalizzazione può motivare un'interruzione, una diminuzione d'interesse per ciò che era diventato dubbio quanto ai suoi caratteri o che si era dimostrato non così come ce lo aspettavamo, ma altrimenti (per esempio: manichino c non uomo).

94

[112]

Capitolo secondo

Apprensione semplice ed esplicitazione

§ 22. I livelli della pm-ezione osservativa come tema delle analisi seguenti In questo capitolo, ci limiteremo ai

modi del decorso pen:ellivo non oslatolato, e quindi alle

percezioni, in cui non c'è modalizzazione né ostacolo per interruzione dd decorso. Anche qui ci sono

operaifoni di divmo livtUo, alcune delle quali sono già state osservate nell'analisi

delle modalizzazioni, benché fino a ora non siano state esplicitamente trattate in quanto

tali. Occorre anzitutto aggiungere che se la modalizzazione interviene nelle maniere che abbiamo descritto, come il divenir incerto dell'oggetto quanto al suo essere così o cos� è perché presupponiamo che almeno una parte del decorso dell'osservazione dell'oggetto non sia ostacolata. I suoi singoli momenti

c

le sue caratteristiche devono essere emersi;

le attese circa le caratteristiche delle parti restanti, per esempio del lato posteriore non ancora visto, devono esser state così suscitate e poi deluse, giungendo alla modalizzazione dd "non così, ma altrimenti". In poche parole, queste occorrenze della modalizzazione presuppongono già un pezzo di

esplidtaifone dell'oggetto

percettivo.

E

tazione] è già richiesta almeno dalla tendenza dell'interesse percettivo.

una tale [esplici­

[113)

Di regola,

l'apprensione attiva si volge subito in osservazione; l'io, orientato alla conoscenza, tende a penetrare nell'oggetto, e non solo nella sua complessità, ma anche nelle sue singolarità: egli tende cioè ad osservarlo per

esplidtarlo.

Ovviamente, non è necessario che questo

accada immediatamente. La strada per tale esplicitazione può essere sbarrata e la realiz­ zazione di quell'aspirazione può essere ostacolata. Se per esempio ci interessiamo a un oggetto visivo nd campo visivo indiretto, questo ci può apparire in maniera così confusa che non riusciamo a distinguervi nessun particolare: non c'è niente dell'oggetto che abbia rilevanza. Cambiando posizione dello sguardo, possono cambiare anche i modi in cui appare l'oggetto, ma può comunque capitare che, nell'identificazione sintetica continua, "!'"oggetto continui ad apparire senza che siano messe in rilievo le sue differenze interne, rendendo così impossibile la conoscenza dei suoi particolari. In generale, in condizioni di esperienza normalmente favorevoli, le cose stanno diversamente; si avvia subito un pro­ cesso di esplicitazione che soddisfa l'interesse. Ma anche se mancano ostacoli, può essere

che non abbia luogo immediatamente una penetrazionc che espliciti l'oggetto, perché, per

Prima sezione - Capitolo secondo - .\pprensione semplice ed esplicitazione esempio, abbiamo di mira l'apprensione complessiva e, in un certo senso, già l'osservazio­ ne complessiva dell'oggetto che si presenta come unità nei mutevoli modi in cui appare. Poniamo che V'oggetto] si presenti inizialmente in modi d'apparenza che, a causa della distanza, sono sfavorevoli; in questo caso, lo portiamo più vicino, trasformando [questi stessi modi] nella forma di un adatto decorso delle nostre cinestesi, il cui processo sogget­ tivo condiziona i cambiamenti nel modo in cui qualcosa appare. In circostanze normali, al contempo, emergono molte rilevanze che, avvicinando l'oggetto, diventano sempre più ricche: queste rilevanze ci vengono incontro e vengono apprese, anche se in maniera fuggevole. Non occorre che l'io segua le tendenze all'apprensione; egli può restare nella

[114)

pastura della semplice visione unitaria dell'oggetto, orientato solo all 'unità d'identità

di questa sintesi continua, nella continua variazione sintetica delle apparenze. Possiamo quindi distinguere i seguenti

livelli della pen-eifone osservativa di

un oggetto, ottenendo così

anche una guida per le analisi successive:

l.

L'intuizione osservativa prima di ogni esplicitazione, l'intuizione che si rivol­ ge all'oggetto "nella sua interezza". Questa sono

il

livello piil

basso

apprensione semplice e q11est'osservazione

della attività oggettivante inferiore, il livello più basso

della realizzazione senza ostacoli dell'interesse percettivo.

2.

Il livello più alto su cui può realizzarsi questo interesse è quello della vera e propria

osservaifone t-he esplidta l'oggetto.

Anche la prima apprensione, e innanzi­

tutto l'osservazione semplice, ha già un suo orizzonte, che viene al contempo suscitato, in primo luogo un orizzonte interno (cfr. § 8). L'oggetto si trova ad avere sin dall'inizio un carattere di notorietà; esso è appreso come un oggetto di un tipo determinato, in qualche modo già noto anche se in una generalità vaga. La sua vista risveglia delle attese protenzionali circa

il

modo in cui è

[Sosein], il

lato posteriore ancora non visto, ecc., e in generale circa ciò che si presentereb­ be [dell'oggetto], se potessimo osservare con più cura i suoi dettagli. Quando l'osservazione diventa esplicitazione, l'interesse segue la direzione delle attese suscitate. Restiamo concentrati su questo oggetto singolo, che rileva di per sé, e abbiamo l'aspirazione ad analizzare ciò che esso "è", che cosa presenta da sé quanto alle sue caratteristiche interne, a penetrare nel suo contenuto, ad appren­ dere le sue parti e i suoi momenti, a penetrare ancora una volta in questi stessi e ad esplicitarli - e tutto

[115]

questo sta nella cornice di un'unità sintetica che

perdura "sulla base" dell'unità dell'apparenza complessiva e della complessiva apprensione dell'oggetto. L'esplicitazione è la prosemzione della direzione dell'intmsse pernllivo fin nell'orizzonte interno de//'oggel/o. Nel caso in cui l'interesse si realizzi senza ostacoli, le attese protenzionali si riempiono, l'oggetto si mostra nelle sue peculiarità così come era stato anticipato, solo che ora ciò che era stato anticipato si presenta in originale; segue poi una determinazione più precisa, eventualmente una correzione parziale, oppure - nel caso ci sia un ostacolo - la delusione delle attese e una parziale modalizzazione.

96

§ 23. L'apprensione semplice e l'osservazione

3.

Un ulteriore livello delle operazioni percettive si raggiunge quando all'interesse non basta proseguire l'esplicitazione fin nell'orizzonte interno dell'oggetto, ma rende tematici quegli oggetti che sono presenti insieme nell'orizzonte esterno, che si trovano con esso nel campo e ci colpiscono, mettendo l'oggetto della percezione in relazione con essi. Invece di suscitare così le caratteristiche o gli esplicati interni all'oggetto, n'interesse] mette in rilievo le determinazioni relative che esplicitano ciò che l'oggetto è rispetto agli altri oggetti: la matita è vidno al calamaio ed è più lontana del portapenne, ecc. Quando queste determinazioni re­ lative vengono apprese, l'interesse percettivo non si suddivide allo stesso modo nella pluralità degli oggetti che si trovano nel campo, ma resta concentrato su uno di essi. Gli altri oggetti vengono richiamati solo per come contribuiscono, data la loro relazione con l'oggetto, a una sua migliore determinazione. Questo sviluppo delle determinazioni esterne e relative dipende dal fatto che gli altri oggetti sono presenti insieme [a quello su cui si concentra l'interesse percettivo], all'interno dell'orizzonte esterno della percezione, nel campo presente, e (116] dal fatto che la loro aggiunta o scomparsa non modifica le determinazioni inter­ ne, le quali risultano indifferenti a questo cambiamento del contesto, composto dalla maggioranza degli oggetti che al contempo ci colpiscono.

§ 23. L'apprensione semplice e l'osservazione a) l.A percezione tvme 11mià nel tempo immanente. L 'avere antvra in p11gno tvme passiVIià nell'attività dell'apprensione Ognuno di questi tre livelli della percezione osservativa merita un'analisi a sé. Pren­ diamo anzitutto l'apprensione semplite. Nonostante la sua semplicità, essa non è affatto solo un dato, ma esibisce in sé una pluralità di strutture, in cui essa stessa si costituisce come un'unità nel tempo inunanente. Benché non possiamo qui affrontare per esteso anche i problemi della costituzione temporale (cfr. introduzione, p. (72]) - che sono i più elementari nella costruzione della sistematica costitutiva - dobbiamo tuttavia esa­ minarli, per guanto è necessario a comprendere alla radice la differenza tra apprensione semplice ed esplicitazione. Come esempio semplice di apprensione semplice può servire l'ascolto di un suono che continui a risuonare. Ammettiamo che esso sia sempre lo stesso e che resti uguale (in intensità e altezza) nel flusso temporale e nei continui cambiamenti delle fasi del suo risuonare. Esso risuona nelle singole fasi e �e fasi] sono i modi in cui appare l'oggetto temporale suono, il quale dura nel tempo e espande la sua durata continuamente di momento in momento. [Il suono] appare nella forma di un presente concreto che ha un punto ora, un orizzonte del passato continuo, da un lato, e uno del futuro, dall'altro. 97

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione

Questo fenomeno presente [117] è in un costante flusso originario che dall'ora scorre nel sempre nuovo ora, con il correlativo cambiamento dell'orizzonte di passato e di futuro. Inoltre, il suono si presenta per lo più anche localizzato nello spazio, appreso in quanto risuona più vicino o più lontano nello spazio - determinazioni, queste, che fanno riferimento al punto zero spaziale, al nostro proprio corpo, su cui ogni qui e lì sono orientati. In questo modo il suono è già dato pa.rsivamente come unità della durata. Se si arriva ad apprendere attivamente (ricettivamente) la nota che risuona, allora l'apprensione stessa ha una durata continua - giacché permane "finché" la nota risuona, cioè finché è udibile. Poiché l'apprensione si trova ogni volta in un pW1to ora, essa si rivolge alla nota che ora risuona anch'essa nella durata vivente. Ma n'apprensione] dirige il suo sguardo apprensionale alla fase che di volta in volta ora risuona, come se il suono fosse semplicemente il suono di questo ora momentaneo, che essa apprende. Appren­ dere separatamente W1 tale ora, una tale fase della durata come momento e renderlo un oggetto a sé, è però un'operazione che si compie in una peculiare apprensione di nuovo tipo. Apprendendo il suono che dura, detto in breve "questo suono", non siamo diretti al presente momentaneo, che pure cambia di continuo (la fase che attualmente risuona), ma, atlrawrso [il presente momentaneo] e i suoi cambiamenti, siamo diretti al suono come unità, che per essenza si presenta in questo cambiamento, in questo flusso di ap­ parenze. Se esaminiamo meglio la cosa, l'attività apprensionale si rivolge al suono che è nel presente vivente e che in questo presente ha una durata continua, così che il raggio apprensionale primario dell'io passi per il momento centrale dell'ora originario (verso il momento del suono che appare in questa forma); e precisamente n'attività apprensionale si rivolge] all'ora nel fluire continuo del suo passaggio, cioè [118] dall'ora al nuovo ora c così al nuovo che sempre appare nel flusso dei momenti che emergono per la prima volta. Nessun ora resta un ora originario, ciascuno diventa un appena passato e questo ancora un passato del passato, e così via; mentre le apparenze mutano continuamente, il momento in questione, coincidendo passivamente con sé stesso in quanto una mede­ sima cosa, continua a restare attivamente in pugno. Così l'attività modifica/a dell'ancora in pugno attraversa costantemente il continuo dei passati, per come esso è legato al presente vivente; e l'attività modificata, insieme a quelle che ora emergono per la prima volta, è un 'unità fluente di attivilà e, in quanto tale, in questo flusso, coincide con sé stessa. Qualcosa di analogo vale naturalmente anche per il flusso dell'orizzonte futuro che appare nelle pro­ tcnzioni, solo che questo non soltanto resta ancora in pugno, ma scorre continuamente in un'anticipazione precorritrice, pur contribuendo al restare ancora in pugno. Da ciò vediamo che l'attività dell'apprensione del suono (che in concreto dura) ba una struttura complicata, sulla base della legalità della costituzione della durata viven­ te, che scorre in una peculiare passività, prima di ogni attività. La sua composizione risponde alla struttura essenziale dell'attività, considerata solo come attività. Essa è un'attività che fluisce continuamente, un flusso continuo di attività che emergono per la prima volta, insieme a un'attività che continuamente ne consegue e che ha un orizzonte

98

§ 23. L'apprensione semplice e l'osservazione modificato; [questa attività] ha il carattere del restare ancora in pugno e, sul versante del futuro, ha il carattere, a sua volta modificato, dell'allivilà

t-he anticipa: quindi non

di

un'attività che sorge da sé, ma di un'attività che è inserita in una serie. In generale, fin­ ché ha luogo un'apprensione attiva di un suono, e questo deve essere possibile a priori, questa attività - che forma un'unità inseparabile e che coincide continuamente con sé stessa

[119)

- è, in concreto, un atto dell'io, un atto che sorge dall 'io. Ma riguardo a

distinguere tra !'aulenlico raggio a/livo, cbe sorge t'Onlin11amente, e la sua rigida legalità passiva, cbe è ptrò una legalità dt//'allivilà stessa. Con l'apprensione attiva va di questa attività, occorre

pari passo un'attività modificata che le appartiene essenzialmente: questa attività ha due direzioni e due forme di modificazione. Non c'è quindi solo una passività prima dell'attività, in quanto passività del flusso temporale originariamente costitutivo, ben­ ché, a dire il vero, solo precostituivo, ma anche una passività, che radica sulla prima, una passività autenticamente oggettualizzante, ovvero capace di tematizzare gli oggetti e di tematizzarli insieme ad altri; una tale [passività] , appartenendo all'atto non solo come base, ma anche come ano, è un

tipo di passività ne//'allività.

In questo modo si riesce a mostrare come la distinzione tra attività e passività non è rigida, che non si tratta di termini che possano essere stabiliti per definizione

lUla

volta per

tutte, ma solo di un mezzo di descrizione e di contrasto, il cui senso deve essere ricreato per ogni singolo caso come la prima volta in riferimento alla concreta situazione dell'analisi -

una annotazione, questa, che vale ogni volta che descriviamo un fenomeno intenzionale.

Ciò che qui è stato messo in risalto nel caso più semplice, vale naturalmente per ogni apprensione semplice di un oggetto che dura nel tempo (inalterato o con delle variazio­

ni, in quiete

o in movimento) . Solo sulla base di questo tenere in pugno passivamente

attivo, in una semplice percezione, possiamo apprendere l'oggetto in quanto oggetto che dura, che non è solo ora, ma che era lo stesso appena prima e sarà lo stesso nel prossimo ora. Questa prima descrizione del tenere in pugno, però, ancora non basta. Solo se

[120)

lo mettiamo a confronto con altri fenomeni, con cui possiamo facilmente

confonderlo, riusciremo a far emergere con nettezza il suo carattere specifico. b) I diversi modi de/ tenere

in pugno e la sua differenza con la rilenzione

Un tenere ancora in pugno può compiersi anche quando l'io si rivolge successiva­ mente a più oggetti, che non hanno tra di loro nulla a che fare, e ognuno di essi suscita

di per sé un interesse, ma in modo tale che gli interessi non abbiano alcuna connessione reciproca. Se [questi oggetti] entrano nell'unità di un presente di coscienza, colpendolo, e l'io ne segue all 'inizio anche solo uno, egli può comunque già rivolgersi, anche se mar­ ginalmente, a un altro in un'anticipazione protenzionale; se poi fa seguito a quest'ul­ timo, il primo oggetto non è, invero, più l'oggetto dell'apprensione primaria, pur non dovendo perciò essere completamente abbandonato. [Il primo oggetto] è

ancora it1 pu­

gno, cioè, dopo che ci siamo rivolti a un altro [oggetto], esso non decade semplicemente

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Prima sez1one - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione

nello sfondo della coscienza, nel modo puramente passivo della ritenzione, ma l'io continua ad esservi diretto, seppure in maniera modificata. Questo "ancora in pugno" dev'essere distinto da quello a cui abbiamo accennato prima, perché, nel caso preceden­ te, l'attività modificata coincideva, rispetto all'oggello, con quella originaria dell'apprensione. Qui, naturalmente, una tale coincidenza non c'è, benché, anche in questo caso, abbia luogo una certa sovrapposizione, sulla base dell'apprensione sintetica dei due oggetti. Di questo parleremo ancora in seguito (cfr. § 24, b). In entrambe le specie di ancora in pugno sono possibili ulteriori complicazioni, a cui qui possiamo accennare solo brevemente. Se l'io si rivolge a un nuovo oggetto, il primo può restare ancora in pugno, o di modo [121) che il primo ancora dura e si presenta, in quanto continua a durare, oppure di modo che esso non si presenta più in originale (come quando la nota ha smesso di risuonare, oppure come quando - se si tratta di un oggetto visivo - [qualcosa] è stato rimosso dal campo visivo), nonostante però sia tenuto ancora in pugno nel suo spegnimento ritenzionale, mentre ci rivolgiamo a un nuovo oggetto. Il tenere in pugno può essere impnssionak, può essere un tenere in pu­ gno mentre l'oggetto continua a presentarsi, oppure non impressionale, rimanendo ancora dopo che l'oggetto ha smesso di presentarsi in originale. Al di là di quello che abbiamo considerato sub a), che è costitutivo per l'apprensione attiva di un oggetto che dura, alla prima [specie] appartiene anche il caso, già menziona­ to, del tenere in pugno un oggetto che continua a presentarsi, anche se l'io si è rivolto a un altro [oggetto) . Pertanto, il tenere in pugno non impressionale è possibile in due casi: da un lato, può esser tenuto ancora in pugno un oggetto che non si presenta più in originale, perché ci siamo rivolti a un nuovo [oggetto]; dall'altro, dopo che l'oggetto ha smesso di presen­ tarsi, l'io può ancora prestare attenzione a quello stesso oggetto nel suo spegnimento ritenzionale. Quanto al senso oggettuale, allora, ha luogo una coincidenza sintetica tra l'apprensione attiva nella ritenzione e l'avere ancora in pugno la sua durata che è stata presente in maniera impressionale. È lo stesso suono, "che ho appena ascoltato" e a cui sono sempre ancora attento, benché si sia già spento, per esempio quando cerco di capire "come quel suono avrebbe potuto essere". Da questa descrizione è evidente che il tenere in pugno, in quanto attività modifica­ ta, in quanto passività nell'attività, deve essere distinto dal [122) conservare [qualcosa) nella rilenzione, che di solito è chiamata anche ricordo "fresco". Questa è una modiftca­ zione intenzionale nella cornice della pura pa.rsivilà; essa si svolge secondo una legge asso­ lutamente rigida, senza che vi abbia alcuna parte l'attività derivante dal centro-io. Essa appartiene alla legalità della costituzione originaria del tempo immanente', in cui ogni 1 In merito, cfr. E. Husserl, Vorlm11rgtn !Jir Phiinomtnologit tks inntrtn ZtitbnvNss/stins, hrsg. von �L Heidegger, in •1ahrbuch fur Philosophie und phanomenologische Forschungero>, IX, 1 928; poi in Hua X; tr. lt. di .\. �larini, Ftnomtnologia della rost.itnza inltrtra dtl lmtpo, Franco.\ngeli, ;\lilano 1 992.

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coscienza impressionale di un ora momentaneamente originale si trasforma costante­ mente in un essere ancora coscienti di quello stesso [ora], ma nel modo dell'appena passato (dell'ora appena stato) . Questa ritenzione è soggetta essa stessa a modificazione ritenzionale, ecc. Si mostra così che la coscienza di un presente concreto comprende in sé una coscienza di un tratto ritenzionale di passato e che, se il presente concreto finisce, deve essergli legato un passato concreto che fluisce

in maniera ritenzionale. Lo

stesso vale anche per l'avvenire: a ogni esperienza vissuta nel flusso delle esperienze vissute appartiene un orizzonte di attesa originaria, anche se del tutto vuota, di un'at­ tesa anzitutto solo passiva (protenzione) . Alla coscienza di un presente concreto non appartiene dunque solo il tratto ritenzionale del passato, ma allo stesso modo anche il futuro protenzionale, benché completamente vuoto. Questa legge riguarda /ulte le datità fenomenologiche, sia quelle puramente passive, sia gli atti dell'io che rientrano nel flusso della coscienza. Anche ogni atto dell'io, per esempio

ogni atto di apprensione semplice di un oggetto, ricade nelt-amjJo temporale in quanto dalo cbe si coslil11isce ne/tempo. In questo modo di apparire - che è l'apparire originario in un momen­ in una serie continua di momenti-ora (123] - un atto dell'io è soggetto, per ogni

to-ora o

sua fase, alla legge della ritenzione e della protenzione, anche quando l'io lascia la presa della sua attività sull'oggetto. In questo caso, ne consegue una modificazione dell'attività iniziale nel senso di un mantenere solo passivo, ovvero ritenzionale. Nel tenere in pugno, invece, l'attività iniziale può essere in verità anche un'[attività] modificata, ma non nel modo di una semplice ritenzione. Le fasi che si sono spente ritenzionalmente piuttosto conservano ancora la funzione effettiva di pezzi di un atto e ffettivamente concreto, anche se sono modificati. Solo perché è un pezzo siffatto, la ritenzione è "ancora" un'attività effettiva o, detto

in maniera più pregnante, è

un'attività effettiva nel modo dell"'ancora".

Così anche quando un atto si interrompe, nonostante perduri la regolarità passiva della protenzione, l'orizzonte del futuro perde

il carattere di ciò

che è anticipato attivamente e

la protenzione non è più un'effettiva attività nel modo dell'anticipare. Se d'altro canto consideriamo il tenere ancora in pugno nelle sue diverse forme, capiamo già che esso si distingue dal fenomeno della ritenzione perché, come abbiamo mostrato, può riguardare sia oggelli di CIIi siamo cosdenli per impressione o per rilenzione, .ria in gtnerak oggelli di un qualsiasi altro modo di cosdenza - essendo [il lenm ancora in pugno} pnd­ samenle una forma di allivilà modijit"tJia in riftrimenlo a quegli oggetti. Se l'attività si sottrae [a questi oggetti], se l'io storna completamente da loro la sua "attenzione" e quindi non li tiene più in pugno, essi restano in quanto impressioni o ritenzioni, o comunque riman­ gono coscienti nel campo della coscienza, continuando a colpirci con le loro rilevanze. In questo caso, essi si presentano in pura passività, soggetti nelle loro trasformazioni intenzionali solo alle leggi della passività.

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Prima sezione - Capitolo secondo - .\pprensione semplice ed esplicitazione

§ 24. L'ouervazione esplk-itante e la sintesi esplùrJtiva a) L1 sintesi esplkativa come luogo d'origine delle t'ategorie ''sostrato " e "determinazione " e le ragioni della loro analisi Passiamo ora al livello superiore dell'attività oggettivante, ovvero all'osseroazione esplicitante. Essa è stata già caratterizzata provvisoriamente come una prosecuzione dell'interesse percettivo fino all'orizzonte interno dell'oggetto, che è subito suscitato non appena si dà l'oggetto. Cioè: se prendiamo il caso in cui l'interesse percettivo si realizza senza ostacoli, l'io non può a lungo rimanere ad una semplice osservazione e apprensione; piuttosto, la tendenza all'osservazione lo spinge subito oltre. Conti­ nuando a procedere in una continuità lineare, l'osservazione diventerebbe una sem­ plice fissazione dello sguardo, se egli non se ne liberasse e non passasse a una catena di singole apprensioni, di singoli atti, in una successione discreta di passi separati che, legati internamente, formano un'unità politetica che connette le singole tesi. Le singole apprensioni si susseguono, orientate sulle peculiarità del/oggetto. L'oggetto, e ogni oggetto, ha le sue peculiarità, le sue determinazioni interne. Se volessimo tradurre questo in termini fenomenologici, diremmo: ogni pensabile oggetto in generale in quanto oggetto di un'esperienza possibile ha i suoi modi soggettivi di datità. Esso può emergere dallo sfondo oscuro della coscienza, da li colpire l'io e determinarlo a una apprensione attenta. Esso inoltre appare nei diversi modi del "vicino" e del "lon­ tano", ha i suoi modi di passare dal lontano al vicino, facendo spiccare sempre più i momenti individuali e determinando le affezioni [125) e i rivolgimenti particolari. Per esempio, ciò che per primo colpisce l'occhio è il colore della sua superficie, la sua forma, poi una parte determinata, una parte in rilievo dell'oggetto, come in una casa il tetto, poi ancora le particolari caratteristiche di questa parte, il colore, la forma, ecc. E anzi, in relazione alla specie e al modo in cui l'oggetto appare vengono subito insieme destate delle attese che riguardano le proprietà che l'oggetto esibisce, in maniera più o meno determinata. L'oggetto ha sin dall'inizio un carattere di familiarità; esso è ap­ preso come un oggetto di un tipo già in qualche modo noto, più o meno vagamente determinato. Così viene abbozzata la direzione delle attese rispetto alle peculiarità che l'oggetto potrebbe mostrare se fosse osservato con più cura. Prescindiamo innanzitutto dal fatto che ogni passo dell'originaria esplicitazione in­ tuitiva si compie in questo orizzonte di familiarità, che non si tratta semplicemente di portare a datità qualcosa di completamente nuovo, ma solo di una determinazione più accurata e di una correzione delle anticipazioni, e proviamo a mettere in luce l'essen-ta generale in virtù della quale il processo dell'esplicitazione si distingue dalla semplice os­ servazione. Solo dopo dovremmo considerare i diversi modi in cui l'esplicitazione si può compiere, i quali sono possibili in relazione alla concretezza piena della coscienza

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§ 24. L'osservazione esplicitante e la sintesi esplicativa

di orizzonte, in cui rientra sempre l'esplicitazione - [diversi] modi [questi] in cui l'espli­ citazione si può compiere e che però hanno rutti la stessa strutrura fondamentale. Se prendiamo un oggetto, che chiamiamo S, e le determinazioni interne IX, � , il processo che guida l'interesse per S non è solo la successione: apprensione di S, ap­ prensione di IX, apprensione di �. ecc., come se l'una e l'altra apprensione non avessero nulla a che fare, come se ci fosse un cambiamento di tema. [126) Non accade cioè come quando, dopo che è venuto meno l'interesse per un oggetto e dopo che questo viene soggiogato dall'interesse per un secondo oggetto e poi ancora per un terzo, noi ci rivolgiamo a questi oggetti che hanno richiamato la nostra attenzione con un'affe­ zione correlativamente forte. Piuttosto nell'intero processo di singoli atti, che portano dall'apprensione di S a quelle di IX, � , noi riconosdamo S. Il processo è quello di un'os­ servazione che si estende, dell'unità di un'osservazione articolata. Nell'intero processo, S asswne il carattere del tema e mentre, passo dopo passo, noi prendiamo in pugno i momenti e le parti, l'uno dopo l'altro - e ogni momento e ogni parte è, in generale, una proprietà, una determinazione - nessuno di essi sta di per sé, ma è sempre qualcosa di/l'oggetto S, qualcosa che deriva da esso o che sta in esso. Nell'apprensione delle pe­ culiarità noi lo riconosciamo e quelle sono solo le sue proprietà. Il tema indeterminato S, nello sviluppo [dell'osservazione] diventa il sos/ralo delle proprietà che sono emerse ed esse stesse si costituiscono nell'oggetto come sue determinazioni. Ma come succede che l'io, apprendendo ex, � .. . . , sia cosciente di riconoscere in ciò S? Com'è che la IX è cosciente in un altro modo da S o da un qualsiasi altro S', a cui possiamo rivolgerei dopo S? In altri termini, che cosa fa di S il tema comune in senso privilegiato, talché le ex, � , anche quando sono apprese in serie e vengono così in un certo modo tematizzate, non hanno la stessa giustificazione di S? Anzi, perché sono solo temi, in cui si realizza conseguentemente l'interesse dominante per S, e, quando passiamo a loro, non abbiamo a che fare con un altro [oggetto), né l'interesse per S devia o s'indebolisce, ma continuano a soddisfare e incrementare lo stesso [interesse]? Occorre [127) quindi descrivere le funzioni intenzionali che fanno sì che !"'oggetto" dell'esplicitazione ci si presenti nella forma semantica del "sostrato", mentre i momenti esplicitati hanno rutt'altra forma semantica, ovvero quella delle "proprietà", delle "de­ terminazioni" dell'oggetto, così da farci parlare di un'esplùitazione, di un'estensione di S nelle s11e determinazioni, ovvero del fatto che lo S si determini come IX, come �. ecc. n processo dell'esplicitazione nella sua originarictà è quello in cui abbiamo intuizio­ ne esplicita dell'oggetto che si presenta in originale. L'analisi della sua strutrura porta alla luce come in [quel processo] si compia una duplkejòrmazione di senso: "oggetto come sostrato" e "determinazione ex . . . ". Una tale analisi deve mostrare come questa for­ mazione di senso si compia nella forma di un processo che consiste di passi separati, attraverso cui però un'unità per coincidenza si espande continuamente - un'unità per coincidenza di tipo particolare che appartiene esclusivamente a queste forme seman­ tiche. Possiamo anche dire che occorre mostrare il processo di quell"'evidenza" in cui •

•• • •

•. . .

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• • •

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione originariamente si intuisce qualcosa come "oggetto sos trato" in quanto tale e che, in quanto tale, ha qualcos'altro come "determinazione".

banno origine le prime Ira k fosiddelle "categorie logicbe ".

Ci troviamo pmiò nella sede da mi

Certo, possiamo parlare di categorie

logiche in senso proprio solo nella s fera del giudizio predicativo, considerandole come parti della determinazione, che appartengono necessariamente alla forma dei giudizi predicativi possibili. Ma tutte le categorie e tutte le forme categoriali che compaiono li

si costruiscono sulle sintesi ante-predicative e in esse hanno la loro origi �e.

(128] b) LA coinddenza esplicativa rome un tipo particolare di sintesi ptr sovrapposizione Ciò che innanzitutto ci colpisce nel processo dell'esplicitazione, nd passaggio cioè dall'apprensione di S a quella di

ex,

è una certa sovrapposizione spirituale di ciò che in

entrambe viene appreso. Ma questo non basta a caratterizzare l'esplicitazione. Una tale sovrapposizione di tutto ciò che viene appreso è comune all'esplicitazione e a tutti i casi in cui l'io procede di apprensione in apprensione in un'attività sintetica, unitariarnente vinco­ lata a un interesse. Essa si compie nondimeno quando una cosa viene all'inizio appresa in un'unità indivisa, e poi per la sua forma particolare, per il suo suono, per il suo odore o per un qualche pezzo in rilievo, come quando apprendiamo sinteticamente prima una cosa e poi, separata da ciò e senza rientrare tra le sue caratteristiche, una figura, un suono, un odore.

In ogmma di queste sintesi, anche quando

vengono considerati unitariamente oggetti

del tutto diversi, si compie una sovrapposi�fone. L'io ha una funzione continuamente attiva du­ rante la successione dei passaggi: nd secondo [passaggio] è ancora diretto sull'oggetto del primo. Nonostante la posizione privilegiata dd nuovo oggetto di apprensione primaria, l'io è diretto insieme su entrambi, col nuovo, e attraverso il nuovo, si rivolge al vecchio. Entrambi sono presi insieme attivamente in carico dall'io, e l'io indivisibile è in entrambi.

La successione dei raggi di attenzione e apprensione è diventata un sin!fJW raggio duplice. Ma sorge una differenza essenziale se in questa attività sintetica si realizza una sintesi per coincidenza che riguarda il senso oggettuale, per esempio, in particolare, una sin­ tesi per identità, o se non accade niente di simile. Se passiamo

(129)

da un colore a un

suono, non abbiamo [una sintesi per identità] . Se passiamo, sempre sinteticamente, da un colore a un altro colore, invece ha luogo già una sintesi per coincidenza: i momenti che si sovrappongono l'un l'altro coincidono per "uguaglianza" o per "somiglianza". Se prendiamo ora il caso della sintesi tra cosa e proprietà della cosa, e in generale tra oggetto e proprietà oggettuale, ci imbattiamo qui in tutt'altra sintesi, quella della coin­ cidenza per identità. La sintesi che riguarda gli oggetti intenzionali che qui appaiono singolarmente (il contenuto di senso del singolo atto di apprensione) è una sintesi di una certa coincidenza per identità che procede continuamente e procede attraverso passaggi nettamente separati. Questa coincidenza esplicativa, come vogliamo chiamarla, non deve confondersi con la coincidenza totale per identità, in riferimento al senso oggettuale, come quella che occorre

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§ 24. L'osservazione esplicitante e la sintesi esplicativa quando noi passiamo sinteticamente da una rappresentazione (un modo in cui gli og­ getti si presentano) ad altre rappresentazioni dello stesso oggetto e così identifichiamo l'oggetto con sé stesso. Una tale coincidenza appartiene, per esempio, ad ogni perce­ zione di cosa che proceda con continuità, in quanto sintesi continua delle apparenze che variano in molti modi nella coscienza della stessa cosa (dell'unità continua); essa appartiene però anche ad ogni sintesi discreta di identità tra le intuizioni sensibili, per esempio tra una percezione e un ricordo della stessa cosa. Nel caso della coincidenza esplicativa si tratta di un'identificazione completamente diversa e del tutto peculiare, poiché in essa continuità e discontinuità sono connesse in modo considerevole. Sostra­ to e determinazione sono costituiti originariamente, nel processo dell'esplicitazione, come elementi correlati di una certa specie di coincidenza. Mentre siamo coscienti di ex

come determinazione, siamo coscienti che esso non è semplicemente uguale a S, e

nemmeno

[130)

che è semplicemente diverso. In ogni determinazione che espliciti S, S

è presente in una delle sue determinazioni e, nelle diverse determinazioni che appaiono come esplicati, S è lo stesso, ma in conformità con le diverse particolarità che appaiono come sue proprietà. 'l l/ tenere in pugno nell'esplidtazione a differenza del tenere in pugno nella semplice appren­ sione Se la mettiamo a confronto con la semplice apprensione, la coincidenza esplicativa mostra con chiarezza la sua peculiarità. Se esercitiamo la semplice apprensione, ancora senza osservazione esplicativa, per esempio se, per un certo periodo, ci rivolgiamo a un oggetto che dura nel tempo per apprenderlo, senza distinguere nulla in esso, allora questa apprensione è un'azione dell'io, una spontaneità che sorge originariamente dal polo dell'io. Distinguiamo poi l'am·sso attivo, che inizia con una discontinuità, dal ltner continuamente formo, in cui si trasforma. L'accesso

è

una fonte originaria dell'attività

dell'io, che continua costantemente. Passiamo ora all'apprensione parziale. Consideriamo per esempio una coppa di rame che sta davanti a noi; il nostro sguardo la "percorre", resta fisso per un momento sulla sua rotondità e poi ritorna su un punto che è in rilievo, su una variazione della sua

rotondità uniforme. In seguito, il nostro sguardo salta verso un'ampia parte lucida

e va avanti per un tratto, seguendo le variazioni della lucentezza, poi cade su una balza, mette in rilievo unitariamente il gruppo delle balze e le esamina una a una, ecc. In tutte queste [apprensioni parziali] siamo continuamente diretti all'intero oggetto, lo abbiamo appreso e fissato come sostrato tematico. Mentre apprendiamo le peculiarità una a una, compiamo attivamente sempre nuovi orientamenti e nuove apprensioni parziali,

[131)

che fanno emergere ciò che è stato appreso in modo privilegiato. Queste apprensioni parziali sono naturalmente delle "operazioni" attive, allo stesso modo della prima sem­ plice apprensione.

1 05

Prima sezione - Capitolo secondo - :\pprensione semplice ed esplicitazione Se ora esercitiamo l'apprensione parziale, che cosa accade, finché essa dura, all'ap­ prensione complessiva, all'apprensione della coppa? Essa resta pur sempre quella che noi "osserviamo". Siamo costantemente rivolti ad essa per apprenderla, ma le appren­ sioni parziali coincidono con l'apprensione complessiva in modo tale che apprendiamo l'intero in ogni apprensione parziale, nella misura in cui l'intero le include e ne siamo coscienti in questa inclusione. Qui c'è però una differenza che abbiamo già fatto valere nel caso della semplice apprensione tra la presa originaria e il tenere ancora in pugno. Nella prima apprensione dell'intero, senza l'osservazione delle singole parti, un flusso di attività, derivante originariamente dall'io, è diretto verso l'oggetto unitario e indiviso. Quando entra in scena l'osservazione esplicitante, un nuovo flusso di attività origina­ ria si dirige sulle peculiarità in questione. Ora però l'iniziale attività originaria non si conserva e non si dirige in questa forma originaria sull'intero. Appena l'osservazione esplicativa inizia, essa cambia chiaramente il suo modo intenzionale; precisamente, noi siamo e restiamo diretti all'oggetto intero, apprendendolo anche - esso è giusto l'ogget­ to dell'osservazione - però l'attiva apprensione dell'intero non resta nella forma origi­ naria che inizialmente le aveva dato vita, ma l'attività si conserva in una modificazione intenzionale, appunto come tenere ancora in pugno.

Lo stesso vale per il passaggio da un esplicato a quello successivo. Il momento, che non è più attualmente appreso nella sua parzialità, ma che lo è appena stato, viene tenu­ to ancora in pugno nel passaggio a un nuovo livello di attività. Questo tenere in pugno, questo tenere in pugno

(132]

nel modo dell"'ancora" è uno

stato di attività dJe dnra e non

una presa o un'apprensione che siano continuamente ripetute. Come anche nel caso dell'osservazione semplice, questo modo del tenere ancora in pugno può essere più o meno fermo, si può indebolire, oppure può essere debole e poi diventare più fermo; ma può anche finire del tutto: l'oggetto può esser lasciato andare, s fugge alla presa. Non serve qui ripetere oltre che, nel caso particolare dell'esplicazione, si tratta di un tenere in pugno impressionale. Proprio come nella semplice apprensione continua, dunque,

citazione, si tiene ancora in pngno il soslrato.

ad ogni passo dell'espli­

Ma qui il tenere ancora in pugno si distingue

completamente da quello che occorreva nella semplice apprensione. Cioè l'apprensione dell'oggetto, che è inclusa nel tenere costantemente in pugno il sostrato, riporta a sé progressivamente tutte le singolarità messe in rilievo: l'avere in pugno l'oggetto che viene esplicitalO non è un avere in pugno contenutisticamente invariabile, quindi un avere ancora in pugno quello

stesso [oggetto)

"così come" ne eravamo coscienti prima di

questo passaggio, piuttosto, a causa delle coincidenze continuamente nuove, [il conte­ nuto che ho in pugno] è sempre diverso. In ogni passaggio, ciò che viene singolarmente appreso viene annesso per coincidenza nel contenuto di senso del sostrato. Le singo­ le apprensioni si trasformano non semplicemente in singole apprensioni conservate, come accadeva nel tenere ancora in pugno che occorreva nella semplice osservazione

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§ 24. L'osservazione esplicitante c la sintesi esplicativa

o nel passaggio a un nuovo oggetto, ma si tras formano in modijicazioni dell'apprensione complessiva e, correlativamente, in arricchimenti del suo contenuto. Nelle chiarificazioni che abbiamo condotto prima, è già implicato che il modo del tenere ancora in pugno S è essenzialmente diverso da quello del tenere ancora Da un [133) lato, abbiamo l'attività dell'apprensione iniziale, che in pugno a, � sorge continuamente e in modo originario, e l'attuale tenere in pugno - che è un ap­ prendere e un avere in pugno che procede continuamente - fino a che l'esplicitazione comincia e, dopo di essa, anche l'attività modificata del continuare ancora a tenere in pugno, in senso secondario. In entrambe le forme, che confluiscono in un'unità costante, l'io attivo è e resta diretto continuamente su S. Sul versante degli esplicati ci sono invece fenomeni diversi. L'attività iniziale, che sorge continuamente in maniera originaria, in cui l'esplicato viene appreso in modo originario c che dura finché finisce il suo tempo, si trasforma ancora quando un nuovo esplicato viene appreso. Il primo non viene però lasciato andare e resta valido per tutta la durata del processo. Perciò anche qui diciamo che resta ancora in pugno. Ma in questo caso questo tenere ancora in pugno ha la sua fonte esclusiva nell'intenzionalità, già descritta, della coincidenza attiva, in conformità della quale l'esplicato, e ogni altra cosa costituisca una parte della determinazione di S, sono assunti come un deposito in cui vengono conservate e si accumulano le dttermina!i_ioni di senso di S. S, dopo l'esplicitazione di a, è Sa, e dopo l'entrata di �. è (Sa) �. ecc. a, �. ecc., non sono più appresi in maniera primaria, né secondaria, giacché l'io non si rivolge specificamente ad essi; egli è invece diretto su S, che li contiene come sono stati depositati. Pertanto, vediamo che l'intenzionalità di un'esplicitazione è sempre in movimento, [è coinvolta] da una continua trasformazio­ ne interna e, al contempo, [consiste] di una discontinuità di passi, la cui intenzionalità è però a sua volta attraversata da continuità. Questa continuità è una sintesi costante per coincidenza, che riguarda tanto i contenuti apprensionali quanto le attività stesse; l'apprensione attiva, e l'essere rivolti all'"intero" ovvero, in termini più corretti, al sostrato S, è implicitamente anche "co"-diretta su ex, . . . , e, nell"'emergenza" di ex, S è appreso e sviluppato "in relazione a" a. •

. . .

dj Esplicitazione e apprensione dipluralità Ora che ci siamo assicurati del modo specifico in cui si compie il processo di esplici­ tazione, è per noi facile mettere in rilievo un altro modo della sintesi, con esso correlato, eppur rigorosamente distinto, cioè il modo della sintesi che ha luogo in un apprensione di pluralità. Certo, anche una pluralità, per esempio un gruppo di stelle, un gruppo di macchie colorate, può divenire un tema unitario, sulla base di una rilevanza unitaria e di un'affezione, altrettanto unitaria, e anch'essa, come tale, può essere esplicitata nelle sue singolarità oggettuali, assunte quali parti determinanti. Abbiamo quindi qui, davanti a '

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Prima sezione - Capirolo secondo - .-\pprensione semplice ed esplicirazione noi, un caso speciale di esplicitazione.

È

così un caso limite ideale se la pluralità viene

appresa come un intero unitario e se manca qualsiasi appercezione di pluralità. Ma

il caso normale

è quello in cui, sin dapprincipio, l'unità della configurazione è

appercepita come se fosse plurale, come una pluralità di oggetti e questa appercezio­ ne viene "realizzata ... Questo significa che la rilevanza dei molteplici enti non porta a un orientamento unitario all'oggetto, ma che al contrario ci sono

singoli elementi della

pluralità che sin dall'inizio suscitano l'interesse e che vengono subito t"ematizzati nella loro singolarità; [vengono tematizzati] nella loro singolarità, però non uno alla volta, ma come tematicamente concatenati. E ciò accade nella misura in cui l'interesse se­ gue l'uguaglianza o la somiglianza, che si unificano associativamente già nello sfondo, insieme agli altri momenti della con figurazione, e ogni singolo interesse lavora non solo per

il bene di ogni nuova singolarità, ma, grazie a una sorta di coincidenza tra interessi che travolge [ogni singolarità], lavora anche per il bene di ciò che è stato già prima appreso e a cui rimane legato. Mentre (135) ora l'interesse si riempie nelle singolarità e spinge verso nuove singolarità, si sviluppa un unitario processo attivo, in cui tutto ciò che è già stato appreso resta ancora in pugno, così che infatti non si produce solo una

successione di attività, ma anche un 'unità di attività che persiste nella

sllcfessione. Pertanto, l'a ttività che percorre [questa pluralità] si muove costantemente sullo sfondo della pluralità che appare continuamente in una configurazione unitaria; dunque, in un certo senso, abbiamo qui a che fare con apprensioni parziali all'interno di ciò che appare alla coscienza come un intero. Tuttavia, per quanto possa es tendersi l'analogia con

il caso dell'esplicitazione di un singolo oggetto e per quanto quello che abbiamo dimostrato fino all'ultimo punto per il processo con cui si passa in rassegna una pluralità valga anche per l'esplicitazione nella nostra sfera, una differenza essenziale ci salta agli occhi. All'esplicitazione appartiene l'oggetto tematico, che viene esplicitato e che [nell'esplicitazione] assume il carattere del sostrato per i suoi esplicati. Nel caso che stiamo esaminando ora, invece, la pluralità

l'o­ biettivo di 111t 'opera'-ione attiva né di una conoscenza empirica. Essa non è appresa sin dall'i­

- benché appaia all'intuizione originaria come una configurazione unitaria - non è

nizio e non resta attivamente in pugno nelle singole apprensioni; nel susseguirsi delle singole apprensioni non si produce quella peculiare identificazione parziale che noi abbiamo chiamato coincidenza esplicativa - una coincidenza a cui partecipano attività da entrambi i lati.

È anche chiaro che

le singole attività che si succedono in una plurali­

tà, proprio per questa ragione, non sono unificate dallo stesso principio che valeva nd caso dell'esplicitazione. In generale,

q11ando si per'-o"e una pluralità, 1'11nità delle attività no11

è prodotta dall'attività, ma da una connessione [136) che scaturisfe dalla passività. Le cose stanno di certo diversamente, se insieme a questo percorso [attraverso una pluralità] ha luogo al contempo un collegamento attivo. In questo caso, infatti l'attività di collegamento è chiaramente del tutto diversa da quella che dà unità all'esplicitazione.

È

un'attività

di

livello superiore, che andrà poi descritta in seguito, una spontaneità in cui la pluralità si

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§ 25. Come l'esplicitazione si depositi neU'abitudine. Il restare impresso

costituisce come oggetto peculiare, come "insieme"2• N ell'esplicitazione in quanto tale non si compiono veri e propri collegamenti tra gli esplicati; occorre un interesse parti­ colare e di nuovo tipo, perché l'esplicitazione si compia anche nella forma di un'esplici­ tazione che concateni collettivamente gli esplicati. Tuttavia, per l'esplicitazione, nel suo corso normale, non è necessario un tale collegamento collettivo degli esplicati. Essa ha sin dall'inizio la sua unità, perché l'oggetto è continuamente il tema e, in quanto tale, resta costantemente in pugno in un'attività modificata del tipo descritto.

§ 25. Come l'esplùita'-ione si depositi nell'abitudine. Il restare impresso Abbiamo così descritto il processo dell'esplicitazione per come esso si compie nell'intuizione originaria. Questa originarietà non significa certo semplicemente l'ap­ prensione iniziale e l'esplicitazione di un oggetto del tutto ignoto; il processo che si compie nell'intuizione originaria e già sempre impregnato di anticipazioni. In esso è già co-inteso appercettivamente più di quanto sia effettivamente dato all'intuizione - e questo accade proprio perché nessun oggetto è qualcosa di per sé isolato, ma è sempre già un oggetto nel suo orizzonte di familiarità tipica, [137) un oggetto già noto quan­ to al suo tipo. Ma questo orizzonte è in costante movimento; con ogni nuovo passo nell'apprensione intuitiva, risultano in esso nuovi tratti, determinazioni più accurate e correzioni di ciò che è stato anticipato. Nessuna apprensione è qualcosa di momenta­ neo e passeggero. Certo, questa esperienza vissuta dell'apprensione del sostrato e degli esplicati, come ogni altra esperienza vissuta, ha il suo modo di entrare originariamente nell'ora, a cui si lega il suo graduale decadimento nei corrispondenti modi non originari, il suo spegnimento ritenzionale, fino a sprofondare nel passato completamente vuoto, privo ormai di vita. Questa stessa esperienza vissuta può essere "dimenticata" con gli oggetti in essa costituiti; così però non scompaiono senza lasciar tracce, ma diventano solo latenti. Ciò che in esso è stato costituito diventa un possesso nellaforma dell'abitudine, sempre pronto ad essere nuovamente ridestato con un'associazione attuale. A ogni pas­ so dell'esplicitazione, sull'oggetto dell'apprensione - che prima era indeterminato, cioè già vagamente noto in quanto parte dell'orizzonte, determinato solo per anticipazione - si forma un deposito di conoscenze abituali. Dopo che il processo dell'esplicitazione ha fatto il suo corso nel modo dell'originarietà, l'oggetto, anche se è sprofondato nella passività, resta costituito in quanto determinato dalle rispettive determinazioni. Esso ha assunto, come sapere abituale, le configurazioni di senso che sono state originariamente costituite negli atti di esplicitazione. Così ogni osservazione che procede fin dentro un oggetto trova in questo un risultato durevole. L'operazione compiuta soggettivamen­ te resta legata come un'abitudine all'oggetto in quanto oggetto intenzionale. D'ora in



Cfr. infra § 59.

1 09

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione

avanti il soggetto [che ha compiuto quell'operazione] vede l'oggetto, anche quando vi ritorna dopo delle interruzioni nella datità dell'esperienza o della datità in generale, come un oggetto noto che ha le determinazioni [138) assegnategli attraverso la co­ noscenza ottenuta con l'esplicitazione. Cioè, la nuova conoscenza, seppure non fosse compiuta solo nel ricordo, ma desse di nuovo in maniera originaria, e dunque percettiva, l'oggetto, ha un contenuto semantico essenzialmente diverso da quello delle percezioni precedenti. L'oggetto è già dato con un nuovo contenuto semantico, ne siamo coscienti con l'orizzonte, certo vuoto, delle conoscenze acquisilr; il deposito del senso che è stato attri­ buito attivamente [all'oggetto], della precedente assegnazione di una determinazione, è ora parte integrante del senso apprensionale della percezione, quand'anche non venga di nuovo effettivamente esplicitato. Se però si arriva a una nuova esplicitazione, essa avrà il carattere di una ripetizione e di una riattivazione del "sapere" già acquisito. Questa trasformazione dei risultati di un'apprensione originariamente intuitiva in abitudine si compie secondo la legge generale della vita della coscienza, per così dire senza una nostra partecipazione, quindi anche laddove l'interesse per l'oggetto espli­ citato è stato unico e transitorio, laddove è stato soddisfatto dopo una singola os­ servazione esplicativa dell'oggetto e poi è stato forse del tutto "dimenticato". Ma si può anche aspirare volontariamente a stabilire una tale abitualità. Parliamo allora di un interesse che è rivolto al tenere a mente, ad acquisire, a far rimanm impressa l'irrunagine percettiva. Un tale interesse dà spesso occasione di riptltrt ilpercorso della sintesi esplica­ tiva, innanzitutto per esempio quando osserviamo più volte l'oggetto nel suo presente originale; in questo caso però !un tale interesse dà occasione], in alcuni casi, anche di ripetere il corso dell'esplicitazione nel ricordo fresco - una fattispecie su cui occorre ancora tornare (cfr. § 27). Le proprietà che sono state messe in rilievo nell'esplicitazione diventano t'ara/Itri distintivi, e l'oggetto viene appreso come intero [139) e conservato come unità dei caratteri distintivi. L'interesse non è qui distribuito ugualmente su tutte le proprietà che sono state messe in rilievo, ma lo sguardo è diretto su alcune caratte­ ristiche particolarmente pregnanti, mediante le quali l'oggetto che è precisamente di questo determinato tipo o questo oggetto individuale si distingue da altri oggetti di tipo uguale o simile. Per esempio, ciò che può colpirci di un uomo può essere la gobba o gli occhi strabici, ecc., ci possono cioè impressionare caratteri distintivi così particolari che ci permettono di riconoscerlo in un gruppo di altri uomini. Se l'interesse non è quindi soddisfatto in una conoscenza solo fugace, ma si propone che l'immagine percettiva resti impressa, allora dopo aver percorso una prima volta le particolarità, per esplici­ tarle, farà emergere, in una ripetizione, le peculiarità caratteristiche, tra tutte quelle che un oggetto ha, e rivolgerà lo sguardo, prima di tutto, su di esse. Questo va per lo più di pari passo con una predicazione - un procedimento che potremmo analizzare solo io seguito. Ma anche senza alcuna predicazione, nella semplice osservazione esplicativa è possibile un tale restare impresso, una tendenza dell'interesse al tenere a mente. L'os­ servazione diventa osservazione insisltnlt, e in essa l'interesse percettivo si dirige, tra

1 10

§ 26. L'esplicitazione come spiegazione di ciò che è stato anncipato in conformità dell'orizzonte tutte le proprietà, emerse nell'esplicitazione, a quelle che sono particolarmente ";stose e caratteristiche.

§ 26. L 'esplidtazione fome Jpiegazione di dò d;e è stato antù·ipato in totifOrmità dell'on·z­ zonte e /a Sila dij_ferenza dal/a spiegazione ana/itÙ'rJ È stato già

menzionato nell'introduzione (cfr.

s1pra pp. 30

e sgg.) che stabilire abi­

tualità a ogni passo dell'esplicitazione, del riconoscimento di un oggetto nelle sue pe­ culiarità, non sia solo qualcosa che (140] riguarda questo stesso oggetto, ma che così al contempo venga anche abbozzata una tipica, in base alla quale, e per una trasposizione dell'appercezione, appaiono anche altri oggetti simili, che sin dall'inizio risultano come oggetti di questo tipo, caratterizzati da una precedente familiarità e anticipati in con­ formità dell'orizzonte. A ogni passo dell'apprensione originaria e dell'esplicitazione di un ente, si trasforma l'intero orizzonte di ciò che può essere esperito; nuove determi­ nazioni tipiche e nuove familiarità vengono stabilite e queste danno alle attese apper­ cettive, che si legano alla datità dei nuovi oggetti, la loro direzione e

il loro

abbozzo. In

riferimento a ciò, ogni esplicitazione, per come essa si compie nell'intuizione originaria in quanto esplicitazione di un nuovo oggetto esperito, può anche essere caratterizzata come

spiegaziom e

chiarimento, come determinazione più accurata di ciò che è indeter­

minato nella forma dell'orizzonte e che in esso è implicito. Ogni �[foltiva esplidtazione ha il

caraltm intenzionale di 11n 'esplidtazione che riempie l'intenzione d'orizzonte (in q11anlo anticipazio­ ne VIIOia}, realizzandosi in determinati passaggi, mediante i quali da certe determinazioni ignote sorgono le corrispondenti determinazioni determinate e da ora innanzi note - e note nel modo della spiegazione di ciò che era implicito in maniera indeterminata nell'orizzonte. Questa implicazione, proprio in virtù dell'apprensione dell'oggetto (e anche di apprensioni diverse per regione, specie, tipo, ecc.), ha acquisito un senso par­ ticolare, quello di un qualcosa già incluso in esso, ma "senza delimitazione", "vago", "confuso": l'esplicato che così si ottiene è ciò che chiarisce una corrispondente con­ fusione. Nella sua coincidenza con l'oggetto appreso (e appreso al contempo nel suo tipo), l'esplicato è avvolto da un orizzonte residuo di confusione, che include ciò che bisogna ancora chiarire.

La chiarezza, benché abbia sempre (141]

una funzione di riem­

pimento e mostri in sé stesso ciò che era stato già abbozzato e inteso in maniera vuota, non è mai un puro

c

semplice presentare l'oggetto in sé stesso, come se l'abbozzo arri­

vasse fino al punto di intendere in anticipo il senso abbozzato con una determinatezza assoluta e arrivasse alla chiarezza intuitiva dell"'esso stesso". Anche quando l'oggetto

è "completamente noto", questa completezza non corrisponde alla sua idea. Ciò che è inteso in anticipo e in maniera vuota ha la sua "generalità vaga", la sua indetermina­ tezza aperta che si riempie sono nella forma di una un

senso pienamente determinato, c'è sempre una

111

delef111inazione piÌI at"CIIrata. Invece di t'ornke vuota di senso, che non è essa

Prima sezione - Capitolo secondo - .\pprensione semplice ed esplicitazione

stessa appresa come un senso fisso. La sua estensione, molto diversa a seconda delle circostanze (oggetto in generale, cosa spaziale in generale, uomo in generale, ecc., a seconda di come l'oggetto è appreso nell'anticipazione), si svela solo nei riempimenti c può essere poi delimitata in azioni intenzionali specifiche, di cui non possiamo parlare qui, c può quindi essere concettualmente appresa. Il semplice riempimento, insieme alla chiarificazione, compie anche un arricchimento del senso. Se ora viene esplicitato l'oggetto appreso con un orizzonte, questo orizzonte si chiarisce a ogni passo mediante l'identificazione riempiente, ma solo "in maniera parziale". Per essere più chiari: l'unità indistinta dell'orizzonte, che all'inizio era completamen­ te vaga, acquisisce, attraverso questo riempimento, l'esplicato che, venendo di volta in volta alla luce, lo chiarisce; questo esplicato fornisce certo solo una chiarificazione par­ ziale, giacché resta un orizzonte residua/e non chiarito. S, d'ora in avanti determinato come p, ha a sua volta un orizzonte che, nonostante sia stato modificato, è lo stesso di prima, grazie alla continua coincidenza con sé stesso di S, ed è un orizzonte del tutto indeter­ minato, che non viene ancora chiarito da p. Così il procedere [142) dell'esplicitazione è un progresso della chiarificazione che riempie ciò che era inteso in modo vago e in conformità dell'orizzonte. Esso si presenta invero ancor sempre come un progressivo sviluppo dei particolari momenti, oramai separati, di S, in quanto determinazioni in cui S è nella sua peculiarità; d'altro canto, e al contempo, [ù procedere dell'esplicitazione] si presenta come una chiarificazione che riempie orizzonti vuoti sempre nuovi, i quali sono sempre nuove forme residuali dell'originario orizzonte. S è sempre l'S di una stes­ sa "apprensione"; ne siamo coscienti sempre come quello stesso nell'unità di un senso oggettuale, ma in un costante cambiamento dell'atto di apprensione, in un sempre nuo­ vo rapporto tra il vuoto e il pieno dell'apprensione, che, nel processo, prosegue come spiegazione di come è lo stesso S, esplicitandolo. Perciò la chiarificazione va sempre avanti al contempo come "tkterminaiÌone più acCIIratd' o meglio come spiegazione, perché qui il termine determinare ha un nuovo significato. Solo l'effettiva chiarificazione mo­ stra, con una distinzione delimitata, ciò che prima era già inteso. Se, in questo modo, tutte le esplicitazioni possono essere viste come spiegazioni, merita ricordare che il modo ordinario in cui parliamo di spiegazione ha terminolo­ gicamente un altro significato. Questa "spiegazione" non va cioè confusa con quella che chiamiamo così in senso proprio, ovvero con la spiegazione analitica, che rappresenta nondimeno anche un tipo di esplicitazione, ma di un'esplicitazione nella coscienza VNola, mentre nella nostra trattazione ci muoviamo sempre nell'ambito dell'intuitività. Parlia­ mo di spiegazione analitica in ogni giudizio, in ogni intenzione del giudizio che sia per­ ciò stesso intenzione predicativa. L'intenzione di un giudizio può essere confusa e può essere "spiegata" quanto a ciò che in essa s'intende; e così il giudicare diventa esplicito, diventa un giudicare "propriamente detto". Questa spiegazione è possibile all'interno di una coscienza vuota. Ciò significa che [143) qud che è inteso nel giudizio non dev'esser

1 12

§ 27. I modi originari e non originan in cui si può compiere l'esplicitazione

dato intuitivamente e basta solo rendere distinta l'intenzione giudicativa in quanto tale3• Questo implica che il giudicare predicativo abbia un'intenzionalità fondata. Più avanti esamineremo questo tema con maggiore dettaglio. Qui dobbiamo accontentarci di que­ sti accenni, perché per ora restiamo nel quadro delimitato della sfera ante-predicativa. Occorre tuttavia ancora notare che questa spiegazione analitica, in quanto rientra nella coscienza vuota, è solo un caso speciale di una modificazione che può subire qual­ siasi coscienza vuota in generale.

§ 27. I modi originari e non on"ginari in fui sipuò t'ompiere l'esplidtazione. L'esplùita­ !{jone nell'antùipazione e nel rifordo Se consideriamo che, da un lato, il processo di esplicitazione, nella sua originarietà, s'intreccia costantemente con le anticipazioni e che, dall'altro, a ogni passo dell'esplici­ tazione, segue la fissazione di abitualità, si poss�no distinguere i possibili modi in mi si compie l'esplicitazione, come segue: 1) Il punto di partenza è naturalmente quello dell'esplicitazione originaria: un oggetto viene determinato come del tutto nuovo. Esso però, come abbiamo detto, è colto ap­ percettivamente in anticipo così e così, in quanto oggetto di questo o quel tipo. Il senso apprensionale implica dall'inizio determinazioni che in questo oggetto non sono state ancora esperite e che, ciononostante, sono di un tipo noto, nella misura in cui riman­ dano ad analoghe esperienze precedenti di altri oggetti. Da qui derivano diversi modi di coincidenza sintetica Ira ciò che è (144] stato anticipato e l'esplicalo che si presenta in quanto tale neU'intuizione, modi che dipendono dal fatto che si tratti semplicemente di una confer­ ma di ciò che era atteso in modo completamente determinato oppure di una delusione di un determinato abbozzo anticipatorio nel "non così, ma diversamente" o ancora - come nel caso di un oggetto ancora del tutto sconosciuto - di un'anticipazione così indeterminata che le attese si rivolgono solo a qualcosa di nuovo che sta per accadere, a una "qualche caratteristica", ecc. in quest'ultimo caso, però, non c'è, in senso proprio, spazio per una conferma né per una delusione. Il riempimento, che occorre quando l'oggetto si presenta in quanto tale, è una conferma solo perché si presenta proprio qualcosa in generale e non nulla. 2) Si può anche esplicitarr un oggetto, prima che questo si presenti in quanto tale, mediante un 'anticipazione sulla base di una raffigurazione intuitiva nella fantasia, in cui giocano sempre un ruolo ricordi di oggetti già dati dello stesso tipo o di un tipo affine. Questo caso è abbastanza frequente quando, da una mera spiegazione analitica di un giudizio predicativo si passa alla sua "chiarificazione" mediante una traduzione intui-

1

In merito a ciò, si veda anche FIL, § 16 a, pp. 49 e sgg.

1 13

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione

tiva. Possono avere funzione di chiarificazioni, che rendono qualcosa intuitivo, anche tutti gli altri modi di esplicitazioni qui elencati�. 3) Ancora un altro modo di compiere l'esplicitazione è quello di tornare su 1m oggelto già esplicitalo e poi, solo se ce n'è l'occasione, di analizzare l'oggetto che è già stato de­ terminato nelle sue determinazioni. Ciò che è noto in modo implicito viene di nuovo esplicitato e ne viene riattualizzata la conoscenza. Occorre distinguere molte possibili . modificazioni di questo tornare di nuovo [su un oggetto già esplicitato): [145] a. L'oggetto già esplicitato è esplicitalo di nuovo, così come esso ci si presenta nel ricordo e, al contempo, è di nuovo percepito, per quanto questo è possibile con ogget­ ti della percezione esterna. L'esplicitazione nel ricordo coincide sinteticamente con i passi successivi compiuti dalla nuova percezione e ne trova conferma. Ci convinciamo di nuovo di come l'oggetto è e del fatto che resta immutato, così da averne una nuova conoscenza originaria e, insieme, la rimemorazione di quella vecchia. b. Si può anche tornare sull'oggetto precedentemente esplicitato nel ricordo, ma senza dJe esso sia al contempo di nuovo dalo percellivamenle. E allora può accadere: - o che, nel ricordo, torniamo ad avere in pugno l'oggetto prima esplicitato, [ad averlo in pugno] in un ricordo relativamente oscuro, ma in cui comunque l'oggetto sussiste in maniera diversa da un oggetto ricordato che non era mai stato esplicitato prima; pertanto esso possiede, nel ricordo, già un orizzonte che consente un nuovo accesso a determinazioni già note; - oppure che i passi della precedente esplicitazione vengano di n11ovo compiuti nel ricordo secondo la loro arlicolazione e tutto ciò che prima era stato presente per­ cettivamente si presenti ora di nuovo in un ricordo o in un'immagine. Una tale esplicitazione nel ricordo ha ovviamente esattamente la stessa struttura - quanto al passaggio dal sostrato alle determinazioni o alla differenza tra i diversi modi di tenere in pugno, ecc. - che ha l'esplicitazione nella percezione; con l'unica ecce­ zione che si tratta, in questo caso, di un tenere in pugno che non è impressionale. 4) Quando si parla di esplicitazione nel [146] ricordo, si può però anche intendere una cosa ancora diversa. Possiamo avere avuto in pugno inizialmente un oggetto in una percezione e possiamo essere passati all'esplicitazione solo quando esso non era più presente in sé stesso. Per esempio, possiamo aver guardato di sfuggita, mentre cam­ minavamo, il cancello di un giardino e solo dopo, quando eravamo ormai passati ol­ tre, possiamo esserci chiariti "tutto quello che avevamo propriamente visto". Questa è un'esplicitazione nel ricordo, sulla base di ciò che prima era stato presente in originale in una semplice apprensione. Questo viene ora originariamente esplicitato, benché l'og­ getto non si presenti in quanto tale.

4

In merito, cfr.

FlL,

§ 16

c.

1 14

§ 28. l vari livelli dell'esplicitazione e la relat:ivizzazione della differenza tra sostrato e determinazione

Un'altra modificazione di questo caso è quella di quando, durante 1ma parte del processo di esplicitazione, l'oggetto, che continuava ad esser dato percettivamente in originale, smette di presentarsi percettivamente, ma nondimeno l'esplicitazione prosegue nel ricordo. Questa è una combinazione tra quest'ultimo caso e quello trattato sub l). In rutti questi casi, in cui si tratta di esplicitazione nel ricordo, occorre considerare anco ra che le intenzioni di orizzonte, che sono sempre suscitate in anticipo sulla base della notorietà del tipo di un qualsiasi oggetto, già anche quando si presenta la prima volta, e che appartengono all'essenza di ogni esplicitazione, danno qui occasione a particolari possibilità di illusione, qualora si prenda per ricordo di un oggetto che si è effettivamente presentato in originale ciò che in effetti è solo la raffigurazione anticipa­ ta sulla base di una familiarità del tipo.

[147] § 28. I van' /ivelli dell'esplùitazione e la relativizzazione della d{fferenza tra so­ strato e determinazione L'analisi precedente operava su una semplificazione schematica del processo di esplicitazione, giacché considerava solo esplicitazioni che procedevano su una linea, senza biforcazioni. Ora è il tempo di abbandonare questa semplificazione e di salire al livello di forme più complicate, a quello cioè delle esplitilazioni tbe si bifommo, in cui i concetti di sostrato e determinazione e il senso di questa differenza verranno ulterior­ mente chiariti. La biforcazione dell'esplicitazione sorge quando, uscendo dal sostrato, le determi­ nazioni non percorrono una strada dritta, ma queste stesse fungono a loro volta da sostrati per ulteriori esplicitazioni. Questo può accadere in due modi: l) L'io lasda andare il suo sostrato originario, invece di tenerlo ancora in pugno, mentre continua ad apprendere attivamente ciò che prima aveva caratterizzato come esplicato. Per esempio, se un'aiuola attrae la nostra attenzione e diventa oggetto di os­ servazione, può essere che uno dei fiori appresi nell'esplicitazione attragga così tanto l'interesse da diventare il nostro tema esclusivo, mentre perdiamo ogni interesse per l'aiuola. L'esplicato, in questo caso, il fiore, perde così il suo peculiare carattere di espli­ cato e si rende indipendente come un oggetto a sé, cioè diventa un vero e proprio sostrato per un atto di conoscenza che prosegue, esponendone le sue proprietà. Il primo S scade allora nello sfondo passivo, continuando ancora a colpirci fino a quando rimane in rilievo. Esso si comporta in maniera simile [148] a quanto accadeva prima nel caso che abbiamo messo a contrasto con l'esplicitazione, ovvero nel passare in rassegna una pluralità non tematica di oggetti, che in precedenza potevamo pensare di aver appreso oggettualmente. L'esplicato, che diventa un nuovo sostrato, coincide ancora con il so­ strato precedente, il quale però ha ora la forma passiva di un'apparenza di sfondo. La 115

Prima sezione - Capitolo secondo - .\pprcnsione semplice ed esplicitazione

precedente sintesi attiva per coincidenza si trasforma correlativamente e perde il suo carattere fondamentale di una sintesi che derivava dalle fonti dell'attività. 2) Il caso che è per noi essenzialmente più interessante è però quello in cui il sostrato originario resta ancora oggttlo tk/1/ntrnsst principalt, nonostante una sua determinazione si renda indipendente, e ogni esplicitazione singola, che accede sempre più alla determi­ nazione emergente, serve indirettamente solo all'arricchimento [del sostrato originario]: come qualora nel passaggio ai singoli fiori e alla loro esplicitazione, l'aiuola rimanesse costantemente nell'interesse principale. La biforcazione si può ripetere, quando emer­ gono particolari forme del calice, del pistillo, ecc. e vengono a loro volta esplicitate; e così per ogni nuova parte dell'aiuola. L'atti,rità di tematizzazione che, nelle tras formazioni prima descritte, proseguiva con continuità, oggettualizza S in un senso particolare, ne fa il tema di una conoscenza pro­ gressiva che si realizza nell'attività delle apprensioni singole. Queste sono coordinate e subordinate in virtù della loro coincidenza con quelle di S. L'apprensione di S, che è tematico in un senso specifico, ha come obbiettitJO il suo oggetto, questo è l'oggetto per eccellenza e vale "in sé c per sé". Non è lo stesso per gli esplicati. Essi non hanno una validità propria, ma solo relativa, come qualcosa in cui S si determina, o meglio: come qualcosa in cui S è nella sua particolarità e, in termini soggettiv� come qualcosa che si mostra in carne e ossa, come qualcosa nella cui percezione si esperisce S. Questa [149) mancanza di validità indipendente è propria essenzialmente degli esplicati. Se ora l'esplicato stesso viene di nuovo esplicitato, mentre S rimane il tema comune, esso stesso viene, sì, tematizzato e acquisisce la forma del sostrato rispetto ai suoi esplicati. Ma la sua validità propria, in quanto S', è relativa. Esso non perde la forma di esplica­ to di S, e i suoi propri esplicati hanno la forma di esplicati mediati di secondo livello. Questo è possibile solo perché, nel processo di esplicitazione, ciò che t tenuto in pugno si sovrappone. Nel passaggio a a, �. S, quando la sua esplicitazione ha un solo livello, resta costantemente in pugno, arricchendosi, mentre l'esplicato non è mantenuto in quanto tale, ma solo come arricchimento di S; pertanto, nel passaggio da a al suo esplicato 1t, non solo S è conservato con l'arricchimento di a, ma su di esso si sovrappone anche lo stesso a. Questo non viene conservato come un sostrato a sé, ma come un qualcosa di S, in coincidenza sintetica con S. Questo tenere in pungo si compie però adesso in altro modo rispetto a quando, nel processo dell'esplicitazione diretta di S, nel passaggio da a a �. non si conservava a in generale, ma solo S arricchito da a. Se si compie il primo passaggio di un'esplicitazione a due livelli e si costituisce Sa., allora l'esplicitazione può proseguire in diverse direzioni. a. Essa può passare a un altro esplicato diretto di S, ovvero a �- Allora è solo S che viene tenuto in pugno in quanto arricchito su due livelli da a. e, indirettamente da 1t. Ma a non è più conservato eli per sé. b. Essa però può anche condurre a un altro esplicato di a, che chiamiamo e- Allora l'apprensione eli e si svolgerà sulla base del fatto che teniamo in pugno, [150) da

116

§ 29. Sostrato assoluto e determinazione assoluta: il triplice significato di questa distinzione

un lato Scx" e, dall'altro, ex , (ovvero ex arricchito da 1t) , che coincide sinteticamente con Scx, , ma che viene conservato di per sé come sostrato di nuove esplicitazio­ ni che si aggiungono al sostrato principale Sa,. Tutti gli arricchimenti di ex non vengono naturalmente attribuiti in maniera diretta a S come se fossero suoi arricchimenti, ma vengono attribuiti a S solo perché ha in sé ex . Possiamo così continuare ad esplicitare S, in maniera mediata e su vari livelli, in un processo iterabile quanto vogliamo. Anche 1t può diventare a sua volta un sostrato e così via. Ad ogni livello corrisponde la.forma delsoslralo relativo e dell'esplit'ato comlativo. Ma nella serie dei livelli il sostralo dominante resta privilegiato; rispetto ad esso, tutti gli altri sono sostrati subordinati e ancillari. La sintesi attiva di identità continua su livelli che sono, per quante biforcazioni vi possano essere, tutti centrati sull'attività che si rivolge continuamente su S, e, procedendo, lo modificano nei modi corrispondenti. Abbiamo continuamente di mira S, il tema centrale, e la mira dominante si riempie nella conca­ tenazione e nella successione di piani degli esplicati, in cui, per coincidenza graduale, solo S "è" e si mostra sempre nelle sue peculiarità. Nelle occorrenze dell'esplicitazione possibile, è il sostralo prindpale ad essere oggettnale in senso prirJilegialo perché la validità propria e per eccellenza compete solo ad esso. Il resto che può essere tematico lo è solo in senso rclati,ro; non è tematico per eccellenza c può diventarlo solo se l'oggetto originario viene lasciato andare. Cna tale indipend.izzazione è naturalmente possibile in ogni livello dell'esplicitazione; ogni esplicato, non importa quanto sia alto il suo livello, può diventare tematicamente indipendente.

[151] § 29. So.rtrato assoluto e determinazione assoluta: il triplice signijù't1to di questa distinzione La distinzione tra sostrato e determinazione, perciò, si dimostra innanzitutto solo

relativa. Tutto ciò che ci colpisce e che è un oggetto, può avere tanto funzione di og­ getto-sostrato quanto di oggetto-determinazione, ovvero di esplicato. E così come noi continuiamo nell'esplicitazione e possiamo rendere, su livelli sempre più alti, indipen­ denti gli esplicati, facendone sostrati, possiamo cioè "sostratizzare", allo stesso modo possiamo anche collegare un qualsiasi oggetto, un qualsiasi sostrato indipendente con altri oggetti e mettere poi a tema la collezione come un intero, penetrando nei suoi elementi, per esplicitarli, fino ad analizzare l'intero mediante determinazioni, attribuen­ do in questo modo ad ogni oggetto-sostrato, che prima era indipendente, il carattere dell'esplicato. Ciò che però ci colpisce come un intero, e pertanto come un oggetto singolo, può anche essere sin dall'inizio una collezione, composta da elementi in sé stessi indipendenti. Il concetto di sostrato lascia in sospeso se si tratti o no di sostrati che derivano da un'operazione che ha reso tematicamente indipendente una determina­ zione, oppure se si tratti di oggetti originariamente unitari o plurali (di una pluralità di 117

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione oggetti indipendenti). In ogni caso, l'esplicitazione empirica porta con sé la differenza tra sostrato e determinazione; e questa [differenza] continua a sussistere in sempre nuove apprensioni di sostrati

c nel passaggio

all'esplicitazione di ciò che in esse è stato

appreso. Possiamo rendere sostrato, e in particolare sostrato principale tutto ciò che ricade nel nostro sguardo attento e, da questa cons tatazione, possiamo concepire l'idea di un sostrato in generale e la differenza tra sostrato e determinazione. Ma appena iniziamo a indagare

la genesi delle

operazioni dell'esperienza

[152],

da

cui la separazione tra sostrato e determinazione deriva la sua originaria e\ridenza, al­ lora questa arbitrarietà non vale più. La relativizzazione della differenza tra sostrato e determinazione - che può proseguire

in inftnilum nel corso dell'esperienza - ha però il soslrali t determinazioni in senso assol111o

suo limite e così siamo costretti a distinguere tra

t in senso relativo.

Certo, ciò che appare come determinazione in un'attività dell'espe­

rienza, può assumere sempre, in ogni nuova esperienza, la nuova forma e

sue proprietà.

di sostrato: e questo poi sarà esplicitato nelle

la

dignità

Nella tras formazione della

determinazione in sostrato per una nuova determinazione, che ora è la sua, Wogget­ to-determinazione] è per la coscienza sempre lo stesso e, invero, è presente in quanto tale, benché in una funzione diversa. Per quanto molto spesso un sostrato derivi, per così dire, dalla sostratizzazione di una determinazione, si capisce subito che non

ogni

sostrato può sorgere così. Ciò che è diventato sostrato ha conservato nel senso in cui è

[Seinsinn]

proprio questa origine e, se ora è

il

tema dell'esperienza, è però evidente che

esso in origine è potuto diventare sostrato solo perché prima è stato esplicitato un altro sostrato ed in questo esso è emerso come una sua determinazione. Arriviamo così in­ fine e necessariamente ai sostrati che non derivano da una sostratizzazione. Per questa ragione essi meritano

il nome di sostrati assoluti.

Non si vuoi dire così però che le loro

determinazioni debbano esser chiamate senz'altro determinazioni assolute (oggetti-de­ terminazione assoluti). Piuttosto occorre introdurre qui un'ulteriore relatività: Certo, è ai sostrati relativi della s fera dell'esperienza che ogni atto della relativa espe­ rienza corrispondente è diretto, ma questo suo esser diretto, ovvero l'inizio dell'attività dell'esperienza, è mediato da attività empiriche, in cui

il relativo sostrato assoluto [153]

è stato esplicitato e le determinazioni correlate (mediate

c

immediate) sono state poi

soslratizzalt. Un soslralo assoluto allora si disting11e pm:hi t esperibile in maniera semplice t diretta, ptrchi t immtdialamtnlt esperibile t ptrcbi la sua esplicitazione si avvia immtdialamenlt. Esperibili per eccellenza, e perciò sostrati in senso privilegiato, sono innanzitutto gli oggetti indi­ viduali della percezione esterna, cioè i corpi. In ciò si trova una delle decisive preroga­ tive dell'esperienza esterna, giacché essa presenta già i sostrati più originari alle attività dell'esperienza e dell'esplicitazione predicativas.

s

In merito, si veda l'Introduzione, § 14, [pp. 66

c

1 18

sgg.]

§ 29. Sostrato assoluto e determinazione assoluta: il triplice significato di questa distinzione Anche una pluralità di corpi si può esperire in maniera semplice: si pensi a una con­ figurazione spazio-temporale oppure a un intero causale di corpi, che sono esperibili in quanto unità, perché sono reciprocamente condizionati e sono connessi unitaria­ mente, come nel caso di una macchina. Nella realizzazione dell'intenzione dell'espe­ rienza, l'apprensione semplice e diretta, che qui è possibile, passa alle determinazioni della pluralità, alle sue caratteristiche (a ciò che è nella sua singolarità) . Sotto il titolo di determinazioni, noi arriviamo così alle parti, alla pluralità delle parti e infine, in ogni caso, a corpi singoli; e naturalmente non solo a ciò, ma anche, nel successivo svilup­ po, a determinazioni, che non sono esse stesse corpi. Ci imbattiamo così in un

ctJIIIbianunlo di.funzione;

11110110

sostrati assoluti, qui corpi, possono fungere da determinazioni,

possono svolgere la funzione di parti, di elementi in un intero, in un'unità di sostrati di livello più alto. Ma questo nulla cambia nel fatto che essi sono esperibili in maniera semplice e diretta, (154] e che sono esplicitabili. Giacché ora sostrato assoluto è un tale intero, composto da una pluralità di elementi, ne segue che non tutto ciò che appare in un sostrato assoluto come determinazione, debba perciò stesso già essere una determi­

I soslrali assoluti si dividono quindi tra quelli che sono "11nità " di e in pluralità e q11elli ,1Je sono essi stessi pluralità. Questa distinzione è anzitutto relativa. Essa però porta nazione assoluta.

- nell'esperienza - alle unità e alle pluralità assolute, di cui fanno parte anche pluralità che possono essere a loro volta pluralità di pluralità. In direzione contraria, invece, ogni pluralità riconduce a delle unità assolute, una pluralità corporea a corpi singoli, che non sono più delle configurazioni. Non si parla qui della possibilità causale di suddividere un corpo - nella quale i pezzi si possono ottenere solo per effetto di un'attività causale di divisione e che unicamente dopo sono ascrivibili all'intero come parti in esso potenzialmente contenute. Ed ancor meno si parla della possibilità ideale di una suddivisione all'infinito. Nell'esperienza effettiva non c'è alcuna divisione all'infinito e oltre tutto non c'è nessuna pluralità espe­ ribile che, nel corso dell'esperienza (per esempio, nell'avvicinamento), possa risolversi in pluralità sempre nuove all'infinito. Se consideriamo così le determinazioni dei sostrati assoluti, ci imbattiamo precisa­ mente in determinazioni che possono essere a loro volta sostrati assoluti, quindi in so­ strati composti da una molteplicità (in interi effettivamente esperibili che hanno parti,

in unità

di pluralità), ma è altresì chiaro che ogni sostrato assoluto ha determinazioni

che non sono sos trati assoluti. Le unità wrime, le ultime unità corporee nel mondo dei corpi hanno, di certo, determinazioni che sono esperibili originariamente determinazioni, che possono diventare

solo sostrati

solo

come

relativi. Così è (155], per esempio,

nel caso di una figura o di un colore. Essi possono apparire originariamente solo come determinazioni di corpi, di oggetti che hanno una figura, un colore, che sono cose spaziali e che fanno loro da sostrato. Occorre che questi [oggetti) vengano in rilievo affettivamente, per lo più sullo s fondo; l'io può anche non rivolgersi affatto ad essi, il suo interesse può anche subito passarci sopra e apprendere poi solo il loro colore, ecc.,

1 19

Prima sezione - Capirolo secondo - Apprenstone semplice ed esplicirazione

così che è il colore a monopolizzare l'interesse tematico principale. Ma anche i sostrati composti da molteplicità hanno determinazioni, che originariamente possono apparire solo come determinazioni, e quindi astraendo dalle determinazioni dei singoli corpi, che in maniera mediata sono anche determinazioni dei sostrati. Esse sono chiaramente determinazioni che danno unità alla pluralità come pluralità, sono determinazioni della conftguraifone o del compksso in senso molto ampio, e da esse derivano tutte le determina­ zioni relative, che, in una molteplicità esperibile in quanto unità, si attribuiscono ad ogni singolo elemento, come il suo essere in relazioné. Sussiste così nella sfera dell'esperienza, nel modo in cui gli enti si danno in quanto tali come oggetti di un'esperienza possibile, la d!_[forenza fondamentale Ira soslrali assoluti, ovvero tra oggetti, che si possono esperire in maniera semplice e che si possono deter­ minare individualmente, e determinazioni assolute, che si possono esperire in quanto sono e, quindi, in quanto sostrati, solo perché sono state sostratizzate. Tutto ciò che può essere esperito si caratterizza o come qualcosa che t in si e per si o come qualcosa che t solo in un altro, in un altro che è di per si. Detto altrimenti: i sostrati assoluti sono quelli il cui essere non è quello delle semplici determinazioni, quelli per cui la forma della determi­ nazione non è essenziale, quelli che quando diciamo che sono [Seinsinn] non vogliamo affatto dire [156) che il loro essere è l"'esser così" di un altro essere. Le determinazioni assolute invece sono quegli oggetti, per cui la forma della determinazione è essenziale, quelli il cui essere va caratterizzato originariamente e per principio solo come l'esser così di un altro essere. Esse possono presentarsi originariamente in quanto tali nella forma sostrato solo se esse erano apparse prima come determinazioni e se altri oggetti, di cui esse apparivano come determinazioni, si sono all'inizio presentati come sostrati. A priori, esse acquisiscono la forma sostrato solo perché un'attività specifica le ha rese indipendenti. In questo senso, i sostrati assoluti sono indipendenti e le determinazioni assolute non-indipendenti. I sostrati assoluti si distinguono poi in unità e pluralità; e se noi intendiamo un'unità in assoluto, otteniamo la distinzione tra sostrati assoluti che posso essere determinati "solo" da determinazioni assolute, e [sostrati assoluti] che possono essi stessi essere determinati da sostrati assoluti. Quando parliamo dell'indipendenza dei sostrati assoluti, dobbiamo senza dubbio restringere in un certo modo il significato [di indipendenza]. Nessun corpo singolo, che possa esser dato alla nostra esperienza, è mai di per sé isolato. Ogni corpo è un corpo in una connessione unitaria, che in termini ultimi e universali, è quella del mondo. Così l'universale esperienza sensibile, pensata nel suo procedere universalmente coerente, è un'unità d'essere, un'unità d'ordine superiore; l'ente di questa esperienza universale è la totalità della natura, l'universo di tutti i corpi. Possiamo anche rivolgerei al mondo

6

Più ampiamente su quesro cfr. § 32 b, [pp. 168 e sgg. J e § 43 b, [pp. 21 6 e sgg.) ,

1 20

§ 29. Sostrato assoluto e determinazione assoluta: il triplice significato di questa distinzione

come a un tema di esperienza. Alla finitezza tkll'esperieni!J tki singoli t"orpifa da con/rocanlo l'infinità dell'e.rplidtazione tkl mondo, in CIIi l'essere tkl mondo si e.rplidta nell'infinità di possibili percorsi dell'esperienza di sempre nuovi sostrati finiti [157] . Certo il mondo come tota­ lità della natura non è esperito come sostrato in una semplice esperienza, e quindi non è esplicitabile semplicemente in momenti sostrato, in "proprietà"; ma l'esperienza della totalità della natura è fondata sulle precedenti singole esperienze dei corpi. Cionono­ stante, anche il mondo è "esperito", anche ad esso possiamo - già quando esperiamo i singoli corpi - rivolgerei ed anch'esso possiamo esplicitarlo nelle sue particolarità, in cui il suo essere appare. Così lui/i i sos/rati sono legali; se ci muoviamo nel mondo come universo, non troviamo nessuna cosa che non abbia una relazione "reale" con le altre e con tutte le altre, in maniera mediata o immediata. Questo consente una nuova concezione tkl conce/lo di soslralo assoluto. Un sostrato "finito" può essere semplicemente esperito e così esso ha il suo essere per sé. Ma, al contempo, esso non può non essere anche una determinazione, non può cioè non essere esperito come determinazione, appena noi consideriamo un sostrato più comprensivo di cui faccia parte. Ogni sostrato finito può essere determinato come essere in qualcosa\ e questo vale anche per il qualcosa in cui si trova il sostrato finito e così via all'infinito. Il mondo invece, in questa prospettiva, è il sostrato assoluto, cioè in esso tutto si trova, mentre il mondo stesso non è in qualcos'altro, non è più un'unità relativa di una plura­ lità più ampia. Il mondo è la totalità di ciò che è, non "in qualcosa", ma la totalità dei qualcosa. In relazione a ciò, c'è anche un'altra assolutezza: un ente reale, una pluralità reale finita, una pluralità che sia unitaria in quanto realtà, è qualcosa che permane ed è soggetto alla causalità delle sue alterazioni; e tutto ciò che è causalmente connesso - e quindi anche le unità, composte da una pluralità, che hanno una permanenza relativa - è anch'esso connesso causalrnente. Da ciò deriva che: tutto ciò che è nel mondo, sia esso un'unità reale o una pluralità reale, è in ultima istanza non indipendente; il sostrato [158] assoluto e indipendente nel senso rigoroso dell'indipendenza assoluta è solo il mondo; esso non permane come fa qualcosa di finito in relazione alle circostanze esterne. Ma il mondo della nostra esperienza, concretamente preso, non è solo la totalità della natura, perché in esso ci sono anche gli altri, gli uomini che vivono con noi; e le cose non recano addosso solo semplici determinazioni naturali, ma sono determinate anche come oggetti culturali, come cose forgiate dagli uomini con i loro predicati di valore, predicati di utilità, ecc. Ciò che noi percepiamo semplicemente del mondo, è il nostro mondo esterno. Tutto ciò che esiste nel mondo esterno noi lo percepiamo come corporeo all'interno della natura spazio-temporale. Quando ci imbattiamo in uomini e io animali, o in oggetti culturali, non abbiamo solo natura, ma espressione di un senso d'essere [Seinsinn] spirituale, andiamo cioè al di là di ciò che possiamo esperire con i

7

Cfr. Introduzione [pp. 29 e sg.J.

121

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicitazione sensi". Ora, queste determinazioni, sulla cui base un ente non

è

ma

è solo un corpo naturale,

determinato e può essere esperito come uomo, animale, oggetto culturale, ecc.,

sono determinazioni di tutt'altro tipo rispetto a quelle del corpo in quanto corpo. Esse non compaiono nelle cose spazio-temporali, che stanno a loro fondamento, nello stes­

il loro colore, ecc. Piuttosto, un ente, che non è è esperito come uomo, animale, oggetto culturale, ha delle deter­ minazioni personali; esso è rispetto a queste un sostrato e un sostrato originario, nel senso che non è diventato sostrato solo perché sono state sostratizzate delle determinazioni,

so modo in cui compare, per esempio, solo naturale, ma che

che dovevano esser trovate prima come determinazioni nella cosa materiale fondante. Così otteniamo

tma diffirenza Ira [159] soslralo e determinazione in un senso più ampio.

Se

non consideriamo la fondazione di tali oggettualità nell'ente che si può percepire ed esperire in maniera semplice - cioè nell'essere corporeo -, essi sono sostrati originari, benché qui, in riferimento alla loro fondazione, non possiamo parlare di assolutezza o lo possiamo fare solo in un senso molto debole. In quanto sostrati, essi hanno

la

loro indipendenza, che non significa certo l'indipendenza dalle oggettualità fondanti ed

è

quindi

un'indipendenza relativa - ma

relativa in tutt'altra accezione rispetto a quella

delle determinazioni originarie che sono indipendenti solo perché le abbiamo poi rese indipendenti. Essi non compaiono mai originariamente nella forma dell"'in qualcosa", ma sempre come sostrati originari, che possono essere esplicitati nelle

loro,

personali,

determinazioni all'interno dell'esperienza. Possiamo dire, riassumendo, che la relatività in riferimento a sostrato e determina­

il suo limite in una di fferenza assoluta, e, più precisamente, in tre modi: Sostralo a.JJolulo in senso eminente è la lolalilà della natura, l'universo dei corpi, in cui

zione ha

1.

essa si esplicita e che perciò sono rispetto ad essa non indipendenti e possono essere visti come denza; non

è però

sue

La sua assolutezza sta nella sua indipen­ originario nel senso che può essere presa semplice­

determinazioni.

un sostrato

mente, come un tutto, quale tema di una semplice apprensione.

2.

Soslrali assol111i, nel senso di dò t"he può es.rere semplicemente esperito, sono gli oggetti indi­ viduali della percezione .rensibi/e esterna, dell'esperienza dei corpi. Essi sono indi­ pendenti nel senso che essi possono diventare direttamente e semplicemente temi dell'esperienza, siano essi delle unità o delle pluralità. Di contro, le loro determinazioni

[160]

sono determinazioni assolute, non indipendenti, talché

esse possono essere originariamente esperite solo

nei [sostratiJ

e nella forma di

determinazioni.

3.

In senso debole, possiamo designare come sostrati assoluti anche le oggellua/itàfon· dale su oggetti che possono presentarsi in maniera semplice, e sono assoluti nel senso che essi possono essere originariamente esperiti sono nella forma del

H

Cfr. Introduzione [pp. 55 e sg. ) .

1 22

§ 30. Determinazione indipendenti e non indipendenti. Il concetto di intero sostrato (anche se non possono essere esperiti in maniera semplice e diretta), diversamente dalle determinazioni

in cui si presentano.

Un ulteriore concetto di sostrato assoluto sarebbe quello del Q11akosa

indeterminato, dal p11nto di vista logico,

fompletamenle

del "questo qua" individuale, dell'ultimo sostrato

contenutistico di ogni attività logica - un concetto di sostrato, che qui possiamo solo accennare

c

la cui trattazione farà parte già della prossima sezione'}. Questo concet­

to di sostrato assoluto, nella sua generalità formale, lascia in sospeso quale sia

il

tipo

dell'esperienza di un oggetto, se semplice o fondata, e comprende solo la mancanza di qualsiasi formazione logica di tutto ciò che, nel sostrato, viene fatto emergere come determinazione, grazie a un'attività logica di livello più alto.

§ 30.

Delermina:;fone indipendenti e non indipendenti. Il con,"tllo di intero

Se è vero che ciò che riguarda gli oggetti sostrato semplicemente esperibili, e cioè le cose individuali corporee e spazio-temporali (i sostrati assoluti nel senso esposto sub 2) è, per sua natura, interessante più d'ogni altra cosa nel contesto di un'analisi della ricettività dell'esperienza esterna, allora

[161]

l'essenza delle loro determinazioni merita

ancora altri chiarimenti e differenziazioni.

È stato

mos trato già come i sostrati in quest'accezione possono essere sia oggetti

singoli che pluralità. Da ciò deriva che non tutto ciò che appare in essi come determi­ nazione, debba essere perciò stesso una determinazione assoluta. In verità, gli oggetti singoli di una configurazione, di una pluralità, compaiono nel corso della loro esplici­ tazione, come determinazioni: essi possono però apparire originariamente, a seconda del tipo e del modo di a ffezione o della direzione dell'interesse, anche come sostrati indipendenti (cfr.

s1tpra [pp. 153

e sgg.]); la pluralità o l'intero possono esser appresi sin

dall'inizio, divenendo sostrati, e questo è vero allo stesso modo anche per un qualunque oggetto individuale. Per gli elementi di una configurazione, di una pluralità,

la

forma

della determinazione non è essenziale. Pertanto, le determinazioni dei sostrati assoluti,

determinazioni indipendenti e dttmninazioni non ùuiipendenti, cioè originarie: indipendenti, come gli alberi in un viale, o non indipendenti, come il colore di un oggetto. Occorre anzitutto accennare a ciò che ne consegue quanto al t'once/lo di intero: che si possono esperire in maniera semplice, si dividono in

9 Su questo concetto di sostrato ultimo, si veda E. Husscrl, ltktll t!� ei11tr rri11e11 Phiilloflttlo l loie 1111d philtommolois(hell Philosophit, Hallc, 1 9 1 3, in part., p. 28; ora in Hua, 3 / 1 , pp. 33-34; tr. it. di \'. Costa, ldtt per 11110jtlloflttnolo!io p11ro t ptr 11110 jilosojìo jtiiOflltnolo!ir:a, Einaudi, Torino 2002, pp. 35-36; e FlL, pp. 1 81 sg.; ora in Hua 17, pp. 2 1 2 e sg.; tr. it., cit., pp. 21 3-214.

1 23

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed espi.Jcitazione

Per la possibile determinazione interna, ogni sostrato può essere visto come un i11/ero, che ha parli in cui può essere esplicitato. Tanto il concetto di ù1tero quanto quello di parte è quindi assunto nel smso più ampio1": per intero s'intende ogni oggetto tmilario, che ammella apprensioni parziali e quindi un'osservazione che penetri al suo interno e lo espliciti, e per parte, invece, ogni esplicato (162] che ne derivi. In questo senso, anche la relazione tra la carta e il colore della carta va intesa come una relazione parte-intero; se dal bianco, che mi colpisce e che io ho anzitutto preso come oggetto, passo alla carta, allora quest'ultima è !'"intero" rispetto al bianco. Così includo qualcosa in più nel mio sguardo, come quando dalla base del posacenere, in quanto sua parte, passo all'intero posacenere. In entrambi i casi si tratta di un passaggio dall'esplicato al sostrato. Questo ampissimo concetto di intero comprende sotto di sé ogni oggetto, che in generale possa essere in qualche modo oggetto sostrato per un'esplicitazione, e non importa se sia o no un oggetto sostrato originario, unitario o plurale. Ad esso si contrappone un concei/o più ristrello di intero, che comprende sotto di sé solo gli oggetti sostrato originari. Ogni intero in questo senso ha quindi determina­ zioni (''parti" nel senso più ampio) e precisamente ha [determinazioni] indipendenti o non indipendenti. Sotto un ancor più ristretto e autenticamente pregnante concei/o di in/ero sono compresi quegli oggetti che si compongono di parti indipendenti e in esse possono essere suddivisi. Possiamo designare le loro parti, in quanto parti indipen­ denti, come pezzi, e contrapporre loro le parti non indipendenti, in quanto momenti non indiptndenli (nella III Rùerca logic-a li chiamavo anche parti astratte). Al concetto di intero in questo senso pregnante appartiene che può essere suddiviso; cioè, il fatto che la sua esplicitazione porta a determinazioni indipendenti. Ma nondimeno, come vedremo, [un tale intero] non è 11na mero somma di pezzi, come un insieme, la cui espli­ citazione arrivi ancbe a determinazioni indipendenti. La forma della determinazione non è essenziale per pezzi ed elementi di un insieme, né la forma del sostrato lo è per i momenti. (163] Questi ultimi assumono la forma del sostrato solo perché sono resi indipendenti da un peculiare attività. § 3 1. L'apprensione deipe!:(!(.i e quella dei momenti non indipendenti Come si caratterizza l'indipendenza dei pezzi rispetto alla non indipendenza dei momenti? La domanda riguarda la loro origine costitutiva nelle operazioni dell'espli­ citazione. Un oggetto indipendente si presenta originariamente in maniera diversa da come lo fa un oggetto non indipendente, e all'interno di un intero in senso ampissimo, IO

Sul concetto più ampio di parte si veda anche la III ugischt Unlmllchllng {ZIIr uhn f/01 liti Gan::.!n llnd Ttiltn}, in ugischt UnltrSIICbllngtn, 2 vol., 19131, p. B 228 sgg.; ora in Hua 1 9/ 1 , P· 231 sg&; tr. it. cit., pp. 20 sgg.

1 24

§ 3 1 . L'apprensione dei pezzi e quella dei momenti non indipendenti durante l'esplicitazione, le parti indipendenti (i pezzi) emergono in altro modo rispetto alle parti non indipendenti di diverso livello. All'essenza di ogni intero siffatto appar­ tiene la possibilità di essere osservato ed esplicitato. Si presenta un oggetto unitario in cui altri oggetti, le sue parti, emergono come parti. Esso è un'unità dell'a ffezione che include altre affezioni particolari. Se si tratta ora di un intero composto di parti, abbiamo visto come

la sua

indipendenza è tale che ognuna di esse può essere appresa

e osservata di per sé, senza che sia appreso l'intero, come nel caso dell'osservazione di un albero in un viale. Diversamente, può anche essere appreso l'intero, senza che siano

apprese una delle parti o tutte le parti di per sé. Tuttavia, un intero è appreso e dato in quanto tale con piena distinzione solo se prima viene preso in pugno come un tema unitario e così osservato, e poi viene progressivamente appreso e osservato nelle sue parti, continuando, però, nel passaggio da una parte a un'altra parte, a tenerlo in pugno, nel modo noto, cioè come un intero, che si arricchisce costantemente e che coincide con sé stesso nelle sue parti. Come apprendiamo ora i suoi pezzi

in q11anto

tali, cioè (164) in quanto pezzi che

appartengono a un intero? Prendiamo per semplicità un intero che sia composto di soli due pezzi. Vale a dire un intero, nella misura in cui abbia solo queste due parti immediate e che solo in queste parti possa esser "risolto". Esso è accompagnato sin dall'inizio da queste affezioni particolari, che formano l'unità dell'affezione. Poniamo ora che l'esplicitazione si rivolga su

11na delle

due parti; l'essenza di quest'esplicitazione

implica che, in una tale separazione esplicativa di un pezzo nell'intero, emerga un

eccesso,

un sovrappiù, che ha di per sé forza a ffettiva e che viene appreso come un secondo pezzo

legato al primo. Lo

si p11ò apprendere: la sua rilevanza non significa che ciò che è

emerso sia già di per sé stato effettivamente appreso.

È innanzitutto

appreso solo un

pezzo sulla base dell'intero che è stato osservato. Esso coincide con l'intero, ma in un

il sostrato coincide con un momento e due i casi, dunque in ogni coincidenza esplicativa, ogniqual­

modo del tutto peculiare, che si distingue da come non indipendente. In tutti

volta si separa una parte sulla base di un intero (entrambi presi nel senso più ampio), qualcosa viene separato e qualcos'altro non viene separato. Ovvero: la congruenza è solo parziale. Ma

il

modo in cui siamo coscienti del "resto" non esplicitato è, quando

esplicitiamo dei pezzi, completamente diverso da quando esplicitiamo momenti non indipendenti. I n un caso, è appreso

il

colore di un oggetto, per esempio,

il

rosso del

posacenere di rame, in un altro, è appreso un suo pezzo, per esempio, la sua base. Se un pezzo viene messo in rilievo,

il

"resto" non esplicitato gli è "esteriore" ed emerge

rispetto a esso, benché gli sia legato; nei momenti non indipendenti, nel caso del colore rosso, che, per così dire, ricopre l'intero posacenere, non gli è "es teriore" niente che sia messo in rilievo. Gli altri suoi momenti non indipendenti ci colpiscono senza esser separati dal (165) colore e senza esser considerati come semplicemente connessi al colore; eppure, il sos trato, che è tenuto in pugno e che è stato esplicitato come rosso,

ci colpisce al contempo in quanto è ruvido o liscio, ecc, e può perciò ora essere appre-

1 25

Prima sezione - Capirolo secondo - Apprensione semplice ed esplicirazione una successiva esplicitazione. Mediante questa descrizione diventa intellegibile, dal versante soggettivo, ciò che già era stato stabilito, sul versante noematico, dalla 1/}

so

in

Riarca logiL"a (§

21, [p. 276]), ovvero che le parti non indipendenti "si compenetrano" a

differenza di quelle indipendenti, che invece sono "separate le une dalle altre". Il concetto di pezzo (della parte nel senso pregnante di parte indipendente) implica quindi che esso sia legato con le altre parti nell'intero (in conseguenza della sua indi­ pendenza); il concetto di momento non indipendente, e in particolare· di un momento immediato, di un momento che designa una proprietà, [implica invece) che esso non abbia momenti che lo completino, con cui sia legato. D'altro canto, è questo esser le­ gato che distingue i pezzi di un intero dagli elementi di un insieme, nonostante la loro indipendenza. Gli elementi di un insieme non sono legati reciprocamente. implica che

E

questo

l'intero t più della stmplitt somma del/t sut parti.

Da ciò derivano le seguenti importanti proposizioni:

L 'intero t suddiviso in pezzi in 1m tomplmo di parli ltgalt;

ogni elemento di tale collega­

mento che costituisce l'intero, sottoforma di collegamento, è un pezzo.

Quand'ancbe vtnga mmo in rilievo

UN s ow pezzo,

l'intero t già diviso, cioè

lo è almeno

in

relazione a questo pezzo in connessione con tutto ciò che gli è complementare, dotato anch'esso del carattere di pezzo. Vale a dire, se A è un pezzo, allora anche il collega­ mento tra A e B è un pezzo, e così via. Un intero non può dunque

mai avere un solo

pezzo, ma perlomeno due.

È

ovvio che ogni collegamento di oggetti indipendenti è a sua volta un oggetto

indipendente.

[166) Finora abbiamo sempre messo a contrasto pezzi e momenti non indipendenti, e abbiamo considerato questi ultimi come immediati. Occorre però aggiungere: imme­ diato è un momento non indipendente se è un momento di un oggetto e non se è un momento di un qualche pezzo o

(c

di questo parleremo nel prossimo paragrafo) se è

un momento di collegamento tra più pezzi. Da ciò deriva che all'essenza di un momento immediato appartiene come conse­ guenza che non possa essere "collegato"

in un intero con

altre parti dell'oggetto (parti

nel significato più ampio) . Perciò questo stesso si può dividere, può essere scomposto in momenti collegati. Quindi, in relazione a questi momenti, [il momento immediato] è visto come un soslrrJm

relativo, che è a sua volta divisibile in

oggetti relativamente indipendenti.

Le oggettualità relativamente indipendenti possono essere reciprocamente collega­ te, possono, per essenza, fondare un "momento di connessione". Il concetto pregnante di intero implica pertanto che questo rappresenti una

tonnmione Ira parti indiptndtnli.

Resta qui aperta la domanda se e in che modo oggetti indipendenti debbano fondare una connessione, se si possa dire di qualsiasi oggetto indipendente che, per il suo gene­ re, possa fondare una connessione, e che tra due oggetti di questo genere sia possibile una connessione. Allo stesso modo, [resta aperta la domanda] se ogni oggetto sostnto

1 26

§ 32. I momenti non indipendenti come connessioni e come proprietà

debba essere un intero in senso pregnante ossia un intero divisibile. Ma di sicuro ogni oggetto ha "proprietà" e di sicuro ogni oggetto ha "momenti non indipendenti". Ogni pezzo ha a sua volta momenti non indipendenti, cioè "parti", che non sono pezzi. Occorre di nuovo sottolineare che tutte queste distinzioni, come del resto quelle discusse nel prossimo paragrafo, [167] si riferiscono anzitutto alle semplici oggettua­ lità sostrato, agli oggetti cosali-spaziali della percezione esterna e non possono essere traslate, con una semplice formalizzazione, agli oggetti di ordine superiore su di essi fondati, per esempio, agli oggetti culturali. Ciononostante, anche per questi oggetti oc­ corre dimostrare la sussistenza di relazioni, come quella dell'intero con le parti, ma in un modo del tutto peculiare a questi oggetti.

§ 32. l momenti non indipendenti tome tonnessioni e tome proprietà a) Proprietà mediate e immediate Finora abbiamo sempre scelto come esempi di determinazione originariamente non indipendente, e quindi di determinazione attraverso momenti non indipendenti, deter­ minazioni che designano proprietà. Ma il concetto di proprietà risulta sufficientemente definito da questa non indipendenza originaria? Proprietà e momento originariamente non indipendente sono sinonimi? Oppure c'è ancora un altro tipo di momenti non indipendenti? Se pensiamo, per esempio, agli angoli di una cosa materiale o alla sua superficie com­ plessiva, da cui è delimitata in quanto figura spaziale, allora ci sono di sicuro momenti non indipendenti e nessun pezzo: non si può separare una cosa dalla sua superficie o dai suoi angoli, in modo da dividerla in due parti indipendenti. D'altro canto, la super­ ficie delimitata di sicuro non ha la proprietà d'essere una cosa. Da ciò deriva: non t11tti i momenti non indipendenti appartengono alla t-osa in q11anto proprietà. Proprietà della cosa sono i suoi colori, la sua ruvidità, la levigatezza, la forma com­ plessiva e simili. Se però spezzettiamo la cosa, allora il colore, ecc. del singolo pezzo è la s11a proprietà e solo in maniera mediata la proprietà [168] dell'intero. La cosa è rossa: in questo punto, in questo pezzo, e invece blu in quello, ecc. La cosa è lucida qui e opaca lì, in una parte è ruvida, ecc. Se diciamo solo "la cosa è ruvida", dobbiamo aggiungere: in questo o quel pezzo. Una cosa simile vale se diciamo: "la cosa è delimitata dalla sua superficie". Propriamente essa è anzitutto estesa (l'estensione è una proprietà imme­ diata); l'estensione (in quanto momento astratto) ha un limite (la superficie) di questa o quella forma, in quanto sua proprietà immediata, che poi è una proprietà della cosa in maniera solo mediata. Momenti casali non indipendenti, che non appartengano alla cosa in quanto proprietà immediate, sono dunque le proprietà mediate, cioè proprietà dei 1 27

Prima sezione - Capitolo secondo - Apprensione semplice ed esplicita?.ione

suoi pezzi indipendenti o dei suoi momenti non indipendenti. Quando parliamo di proprietà per eccellenza, intendiamo di regola le proprietà immediate. b) Il font-etto pregnante di proprietà e la sua differenza da quello di conneSJione Quindi, possiamo dire che tutti i momenti immedialammle non indipendenti di un oggetto (tutti quelli che gli appartengono in quanto intero) siano senz 'altro delle pro­ prietà? Quel che segue sostiene il contrario. Leforme di connessione di pezzi indipendenti, per esempio, la connessione tra un pezzo dell'intero che è stato messo in rilievo e tutto il "resto", l'insieme dei pezzi che lo complementano, sono sicuramente anche momenti non indipendenti dell'intero e non momenti non indipendenti dei suoi pezzi; e tuttavia difficilmente possiamo designarle come proprietà dell'intero. Dovremmo piuttosto dire: proprietà sono quei momenti non indipendenti di un oggetto, che non appartengono ai suoi pezzi come loro momenti oppure a un qualche [169) aggregato di pezzi come loro connessione. Dovremmo allora distinguere tre ti­ pologie tra le possibili determinazioni interne di un sostrato: pezzi, connessioni, proprietà. Possiamo anche riunire momenti e proprietà come parti non indipendenti e distin­ guere: l . Momenti non indipendenti di un aggregato, di un collettivo, che non sono mo­ menti non indipendenti dei suoi elementi (proprietà degli aggregati nel smso piÌI ampio: proprietà di connessione, proprietà di forma): e 2. Momenti non indipendenti di un sostrato non molteplice, di un oggetto singo­ lare, che appartengono all'intero e quindi non ai suoi pezzi o alla loro collezione (proprietà in senso più slrelto: proprietà immediate). 3. Occorre inoltre registrare qui ancora un altro concetto di proprietà, quello più ampio possibile, il quale comprende tutto ciò che è proprio di un oggetto: tutto ciò che può essere enunciato in generale, l'avere parti, proprietà di parti, pro­ prietà di aggregati di parti, ecc. D'altro canto, se consideriamo il modo in cui una proprietà si costituisce in senso più stretto e proprio e quello in cui si costituisce una connessione, otteniamo un'altra suddivisione e un'altra distinzione. C'è infatti una differenza essenziale nei modi in cui si presentano i momenti non indipendenti a seconda che essi siano proprietà imme­ diate dell'intero o momenti non indipendenti in altro modo, a seconda che siano pro­ prietà dei pezzi o forme di connessione. Una proprietà immediata dell'intero emerge già nell'esplicitazione semplice dell'intero. Un momento non indipendente che designa la proprietà di un pezzo può esser appreso solo se il pezzo è stato messo in rilievo ed è stato appreso di per sé, così che, anche per il modo in cui è costituito, (170] esso è un esplicato media/o dell'intero. Lo stesso vale naturalmente per i momenti non indipendenti di momenti essi stessi non indipendenti.

1 28

§ 32. I momenn non indipendenti come connessioni e come proprietà

Per quanto riguarda le forme di connessione esse possono essere apprese solo come momenti della connessione tra elementi collegati; cioè, questi elementi devono essere appresi e solo dopo può essere appresa la connessione. La connessiotJe è dunque nn momento non indipendente che può esserfatto presente sok1 dopo che l'intero sia stato esplidtato nelle sue parti e, quindi, in un intero già diviso. Questo accade nel modo seguente: sulla base dell'intero che è tenuto in pugno ogni pezzo può essere appreso di per sé e attribuito all'intero come arricchimento talché l'intero sia ora un intero diviso. Adesso, la connessione non appare come una terza parte, che l'intero avrebbe nello stesso senso in cui ha queste due parti, ma in quanto determina::;jone mediata dell'intero, o innanzitutto come un mo­ mento mediato, che non è un momento immediato dell'una o dell'altra parte, ma il loro stare insieme. [Una tale connessione] può emergere solo se lo stare insieme si presenta in quanto tale, cioè se l'intero è esplicitato nelle sue parti e così è suddiviso in esse. Pertanto, anche i momenti di connessione all'interno di un intero sono caratteristiche mediate e innanzitutto esplicati mediati. Se ci limitiamo agli esplicati immediati, allora ne restano solo d11e tipologie: o l'esplicitazione immediata arriva a un pezzo; oppure arriva a un momtnto immediato e non indipendente dell'explicandnm Un pezzo immediato dell'intero (ogni pezzo che si possa apprendere in maniera immediata, naturalmente se non è il pezzo di un momento) si distingue per il modo in cui è esplicitato dai momenti immediati e non indipendenti, [171) e questi ultimi sono sempre e necessariamente "proprietà". Possiamo anche definire la proprietà come un momento immediato e non indipendente di nn intero, o come una parte immediata di un intero che non ammette, accanto a sé, altre parti immediate nell'intero, a cui essa sia "legata". .

1 29

[171]

Capitolo terzo

L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

§ 33. CoJdenza d'orizzonte e ouervazione re/azionante Grazie alle operazioni dell'esplicitazione, l'oggetto dell'esperienza (nei limiti della di­ rezione della nostra indagine, si tratta solo degli oggetti dell'esperienza semplice, della percezione esterna) si rivela secondo un tipo delle sue determinazioni possibili. Ma in una

tale osservazione che penetra nell'oggetto, non ci si ferma quasi mai all'apprensione

dell'oggetto. Per lo più l'oggetto

è

messo sin dall'inizio in relazione ad altre oggettualità,

che si presentano con esso nel campo percettivo e che insieme a esso ci colpiscono. Ab­ biamo già contrapposto, in una prima visione d'insieme (§

22), l'osservazione che esplicita

ed entra nell'oggetto all'osservazione che invece va al di là dell'oggetto e lo mette in rela­ zione, osservazione, quest'ultima, alla cui analisi d'ora in poi ci dedicheremo. [Quest'os­ servazione]

è

stata innanzitutto anticipatamente caratterizzata come quella che guarda

all'orizzonte esterno dell'oggetto, talché abbiamo di mira in primo luogo

il

contesto di

oggetti che sono insieme a esso presenti, in un'intuitività tanto originaria quanto quella dell'oggetto, un contesto che si presenta sempre sullo s fondo insieme all'oggetto e come una pluralità di sosrrati che, nel medesimo tempo, ci colpiscono. Questa pluralità di ciò

che è già presente insieme all'oggetto in quanto suo contesto costituita secondo le leggi, che

[172]

dominano

il

è un'nnità plnrale dell'qff't!jont,

campo della passività. Ogni volta che

rivolgiamo lo sguardo dell'osservazione sull'oggetto, siamo coscienti al contempo, sullo sfondo, di un contesto di oggetti che ci colpiscono insieme all'oggetto, anche se con mi­ nor forza, senza pervadere l'io e senza costringerlo a rivolgersi ad esso - allo stesso modo dell'orizzonte interno, [quello es terno] spinge Wio] a un'apprensione attiva, a mettere in relazione l'oggetto tematico con il suo contesto e ad apprendere le caratteristiche e le proprietà che Woggetto tematico ha] in relazione al contesto. Ma, l'occasione per un'osservazione relazionante e per ottenere le determinazioni relative non

la o ffre solo ciò che si presenta

insieme all'oggetto, e che può essere perce­

pito in originale sullo s fondo oggettuale, ma anche l'orizzonte di ciò che

è già noto per

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

il

suo tipo, all'interno del quale tutti gli oggetti si presentano. Questa familiarità tipica

condetermina l'orizzonte esterno come ciò che concorre alla determinazione empirica dell'oggetto, anche se non è insieme ad esso presente. Essa ha la sua base nelle relazioni prodotte dalle associazioni passive di uguaglianza e somiglianza, nei ricordi "oscuri" del sinùle. Ora, però, invece di indagare l'oggetto di per sé, come accadeva nell'esplicitazio­ ne interna, sulla base di relazioni che restano nascoste, possiamo anche

relazioni s/essr; rendendo

ltmaliv;_art q11tslt

i ricordi distinti e intuitivi, l'oggetto, che è in sé stesso intuiti­

vamente presente, può esser messo in relazione attiva con quelli ricordati e può essere con essi unificato in maniera intuitiva . Lo sguardo osservativo può passare da ciò che si presenta in quanto tale a ciò che è presentificato, e viceversa, in modo da precostituire attivamente le relazioni di uguaglianza e somiglianza in senso proprio. Ciò che è per noi un oggetto, che si presenta in quanto tale in una semplice intu­ izione e che pertanto può essere appreso (173) nelle sue proprietà interne e relative, non dipende solo da ciò che è e che può intuitivamente essere presente in sé stesso in quanto inerente a quell'oggetto stesso o in quanto suo contesto intuitivo, ma anche da tutte le relazioni, per lo più nascoste, che esso ha con quanto è stato presente una volta e che possono eventualmente essere di nuovo presentificate, oppure con le oggettua­ lità della libera fantasia - nella misura in cui venga prodotta una qualche relazione di somiglianza. Per intendere, nella loro intera estensione, le operazioni dell'apprensione ante-predicativa che sono possibili sulla base della semplice esperienza originaria e poi quelle della determinazione predicativa, dobbiamo ora andare al di là del dominio di ciò che si presenta in sé stesso, e anche della coscienza posizionale, per arrivare al dominio delle presentificazioni e delle intuizioni di fantasia; solo così potremmo riuscire a vede­ re tutto ciò che contribuisce all'osservazione relazionante e alla determinazione relativa

di ciò che si presenta in sé stesso nell'intuizione.

Molli sono,

quindi, i

tipi di 11nità int11iliva,

sulla cui base l'osservazione relazionante

passa dall'oggetto sostrato all'oggetto determinazione, e viceversa: talvolta c'è un'unità del presentarsi in sé stesso nella percezione, talaltra c'è un'unità nella quale ciò che si presenta in sé stesso è unito con ciò che non si presenta in sé stesso. E anche questo può accadere in molti modi. Proprio dal tipo di questa unità dipenderà

dell'osservazione re/azionante.

lajof111a portico/art

Anche se riuscissimo così a ottenere una distinzione tra le

forme fondamentali degli atti che mettono in relazione - distinzione che preannuncia quella tra le relazioni e le forme di relazioni che si costituiscono su un livello più alto, in quanto oggettualità categoriali, e rappresenta una parte fondamentale della teoria delle relazioni - non avremmo ovviamente ancora raggiunto, nel corso di questa indagine, una visione d'insieme di /111/t le fondamentali forme di relazione, ma solo (174) di quelle :he si precostituiscono nella s fera della semplice esperienza ricettiva degli oggetti indi­ l'iduali della percezione esterna. Difatti, negli ambiti delle oggettualità fondate di livello più alto, così come ai livelli più alti della spontaneità produttiva, compaiono nuove forme di relazioni che hanno un carattere proprio.

132

§ 34. Caratteristica generale dell'osservazione relazionante

Tutto ciò che è stato dimostrato, nel capitolo precedente, riguardo a come le deter­ minazioni, una volta ammesse, si depositino in abitudini e a come queste concorrano con determinazioni rinnovate, o del tutto nuove di un oggetto, al fine di attenerne delle determinazioni interne, tutto questo vale anche per le determinazioni che si ascrivono all'oggetto sulla base dell'osservazione relazionante. Allo stesso modo che nell'esplici­ taZione, qui ci sono differenze tra l'interesse che è valso una sola volta, tra l'interesse ef­ fimero che ha guidato una sola volta un'osservazione fugace, e quello restare impresso, della tendenza, per esempio, a prender nota di un oggetto per la sua posizione o per la sua relazione di grandezza con altri oggetti compresenti - tutto questo prima che abbia luogo una qualche predicazione.

§ 34. Caratteristù-a generale dell'osservazione re/azionante Prima di guardare alle specifiche forme dell'osservazione relazionante, cerchiamo di attenerne una caratteristica generale e di delineare i tratti essenziali comuni a tutte le forme.

a) Collegamento t"ollettivo e osservazione re/azionante Si tratta sempre di una pluralità di oggetti che devono coesistere in una coscienza dalla quale essi sono già presentati. Non viene per ora indagato il modo in cui questa

pluralità si costituisca e si realizzi come un'unità affettiva. [175) Essa può essere inizial­ mente stabilita in maniera passiva, ma può anche essere costituita grazie a un'attività dell'io e poi ricadere nella passività, come quando gli oggetti reciprocamente connessi sono composti originariamente da un atto di collegamento. Da ciò deriva già che il sem­ plice atto di collegare oggetti, l'addizione cioè di altri oggetti a un oggetto iniziale, non è ancora un 'osservazione re/azionante e può al massimo produrne le precondizioni. Nell'apprensio­ ne semplice di una pluralità di oggetti che si succedono (§ 24 d, [pp. 1 34 e sgg.]) si tratta solo di prendere insieme sempre più oggetti, tendendo ancora in pugno gli oggetti che sono stati appresi precedentemente; come quando, per esempio, scorro in serie gli oggetti che sono sul tavolo: il calamaio, il libro, la pipa, il portapenne, facendogli "sci­ volare sopra" lo sguardo. Pur senza comporre un insieme di oggetti o determinarne il numero, con un vero e proprio atto, in ogni nuova apprensione, tengo ancora in pugno l'oggetto precedente; ne deriva la coscienza di una pluralità di oggetti successivi - ma non apprendo così affatto la relazione che l'uno intrattiene con l'altro. Perciò è necessario un interesse particolare - nel nostro senso più ampio un interes­ se ad osservare uno di questi oggetti che lo assuma come tema principale. Osserviamo, per esempio, con attenzione il portapenne. Il nostro sguardo vira dal portapenne, che resta in pugno come nostro tema, al piano della scrivania. Lo tiriamo dentro la sfera dell'osservazione, senza farne il tema principale, ma considerandolo solo come un tema in -

1 33

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione deUe relazioni e la sua fondazione neUa passi\'ità

rrla:jont al portapenne. Senza doverci rivolgere di nuovo a esso specificamente con una [176) apprensione originaria, il portapenne, che è ancora tenuto in pugno, di,•enta

nuova

per noi [il portapenne] che "si trova sulla scrivania". Lo stesso accade quando coinYol­ giamo nell'apprensione la marita, che sta vicino al portapenne, apprendendola come "ciò che gli sta vicino", ma senza nessuna messa in forma predicativa. Anche qui abbiamo una sovrapposizione sintetica dei due oggetti appresi, dd tema principale, tenuto in pugno (il portapenne), e dei temi relativi (scrivania o matita), così che non si verifica una semplice successione di due apprensioni e di due raggi attenziona.li, ma un raggio duplice (cfr.

supro §

24

b). (Come in particolare si costituiscano queste relazioni spaziali tra oggetti

è

un problema che ricade nell'ambito generale ddla costituzione spaziale e non può essere qui affrontato con maggiori dettagli, essendo utilizzato solo come un esempio delle strut­ ture generalissime dell'apprensione relazionale e dell'apprensione delle determinazioni relative) . Sulla base di questa coscienza

unitaria, in cui gli oggetti sono appresi in quanto

stanno l'uno vicino all'altro, si possono costituire, con un'intuitizione originaria, nuove determinazioni del portapenne: per esempio, che più largo della matita. Anche qui abbia­ mo la stessa struttura: il portapenne

è tenuto in pungo come

tema principale e, volgendo

gli occhi sulla marita, viene messo in rilievo un sovrappiù che riguarda la sua estensione e che radica nella coincidenza per sovrapposizione: quello che abbiamo ancora in pugno ottiene la determinazione di essere più la.rgo1 1•

E convmo, nello stesso modo la matita può

naturalmente essere appresa come più sottile, sempre che noi

la prendiamo sin dall'inizio

come tema della nostra osservazione - in entrambi i casi, ciò avviene sulla base dell'Hnità

dtll'mm insieme in 11na t'OSdtnza, e, sempre su questa base, prima abbiamo potuto apprende­ [177] lo "stare vicino" o lo "stare su".

re come determinazioni dd sostrato b) LJ

reversibilità de/l'osseroazione re/azionante e il jùndamentum relationis "

È qui importante anzitutto come, passando da un oggetto preso come

tema princi­

pale a un altro oggetto, si depositino nuove determinazioni sulla base di un'unità, co­ munque sia stabilita, dell'unità della coesistenza di più oggetti nella coscienza. Dipende dalla direzione che di volta in volta segue l'interesse, quale oggetto

di questa

moltepli­

cità venga appreso per primo. Sulla base d'una tale unità possono risultare determina­ zioni del tutto diverse, ora dell'uno ora dell'altro oggetto; una volta possiamo mettere in risalto l'uno in quanto più largo, un'altra volta l'altro in quanto più stretto, una volta, l'uno in quanto sta sopra l'altro, un'altra, l'altro in quanto sta sotto il primo. Non viene qui abbozzato un ordine fisso, come accadeva nell'esplicitazione interna, laddove per essenza alcuni oggetti, in quanto sostrati originari, avevano la precedenza su altri, che invece potevano comparire originariamente solo come determinazioni. Nell'osserva­ zione relazionante abbiamo a che fare sin dall'inizio con oggetti indipendenti e ognuno

11

I n merito, si vedano anche l e analisi più denagliate contenute nel § 42.

1 34

§ 34. Caratteristica generale dell'osservllZione relazionanre dei membri della relazione può allo stesso modo originariamente essere nario o

il

il

tema origi­

sostrato della relazione come tema relativo (ovvero come un tema che può

esser preso in considerazione solo in relazione a un altro) , a seconda di ciò che di volta in volta richiede l'interesse. Questa relazione è alla base di ciò che noi conosciamo, al livello più alto, cioè al livello predicativo, come la

rever.ribililà di ogni sia/o di cose rela:;_ionak.

A questo livello, non parliamo certo delle relazioni come un tipo di stati di cose, [178) ma solo come dei passaggi nell'atto dell'osservazione. Nondimeno, poiché questi passaggi rappresentano il presupposto per la costituzione delle relazioni, possiamo de­ signare l'unità che è alla base di questi atti di osservazione relazionante, comunque essa si realizzi, come

il.fimdamenlum relationis.

c) Mettere in relazione ed esplidtare

È

ovvio che non occorre tematizzare questa stessa unità, prima che s'istituisca un

atto d'osservazione relazionante. Piuttosto essa agisce in maniera puramente passiva, come quando ci colpiscono assieme gli oggetti già presenti in do così possibile

il

una coscienza,

renden­

passaggio sintetico dall'uno all'altro. Pertanto, l'atto d'osservazione

relazionante non va inteso come se lo sguardo dovesse imbattersi prima nell'unità, come se questa dovesse essere appresa attivamente come unità, e solo dopo, sulla sua base, potesse aver luogo l'atto di mettere in relazione come un tipo di esplicitazione di quest'unità precedentemente stabilita. Per principio, l'esplicitazione si distingue dall'at­ to di mettere in relazione perché in essa c'è sempre una coincidenza parziale, grazie alla quale l'esplicato viene appreso come qualcosa che riguarda

l'explicandum o vi appartiene,

come qualcosa che gli inerisce. Le determinazioni relazionali invece appaiono come de­ terminazioni dei sostrati:

il sostrato si presenta come più grande o più piccolo, ecc.; ma

queste determinazioni non appaiono come determinazioni che riguardano l'unità tra gli elementi della relazione o vi appartengono, come dovrebbe essere, se l'osservazione re­ lazionante fosse un atto che esplicita l'unità. Le determinazioni relazionali si presentano

al contrario sulla

base dell'unità già presente; questa stessa non è tematizzata, ma è solo

un oggetto considerato nel modo della relazione.

È riguardo all'oggetto, come dicevamo,

che noi apprendiamo le proprietà relative, nello stesso modo in cui apprendiamo gli esplicati interni in quanto riguardano l'oggetto.

[179)

Ma noi apprendiamo le deter­

minazioni interne come se fossero contenute ne//bggetto, come se fossero in parziale coincidenza con esso; le determinazioni relative invece non rientrano ne//bggetto, ma si attribuiscono all'oggetto solo quando passiamo all'oggetto relativo, estendendogli per così dire i suoi "tentacoli". Una sintesi per coincidenza ha certamente luogo anche nell'osservazione relazio­ nante: si tratta di quella [sintesi per coincidenza] ottenuta attraverso la coincidenza descritta in a), nella quale le determinazioni relative emergono e vengono apprese. Ma questa coscienza di coincidenza, in quanto è

dis,Y'I!Ia, deve esser nettamente distinta dalla

1 35

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

t"oscienza t'ontin11a di t'oincidenza, in cui siamo continuamente coscienti dell'unità di un og­ getto, o mediante un'apprensione semplice o mediante la sua esplicitazione.

§ 35. La questione dmJ l'essenza dell'unità t-he è afondamento della relazione Finora abbiamo parlato del tutto in generale dell'unità degli elementi di una relazio­ ne, la quale rappresenta il presupposto di qualsiasi osservazione relazionante. Abbiamo però già alluso al fatto che ci sono diversi tipi di unità intuitiva, sulla cui base, lo sguardo dell'osservazione relazionante può muoversi, in una direzione o nell'altra, tra l'oggetto sostrato (il tema principale) e l'oggetto determinazione (il tema in relazione a . . . ). L'uni­ tà può essere quella di ciò che si presenta irrunediatamente in sé stesso alla percezione, così come quella in cui si uniscono ciò che si presenta in sé stesso e ciò che non si pre­ senta in sé stesso (il presentificato, il fantasticato) . Occorre ora indagare su questi modi in cui si forma l'unità, al fine ottenere la comprensione evidente delle diverse forme possibili in cui si può mettere in relazione qualcosa, almeno nei loro tipi fondamentali. In coerenza con la nostra scelta di partire dagli oggetti individuali, ovvero dalle cose spaziali, che si presentano in sé stessi alla [179) percezione esterna, l'unità - negli esem­ pi di osservazione relazionante che abbiamo finora discussi - era pensata come unità di oggetti che erano allo stesso tempo già intuitivamente presenti nel campo percettivo e che, nello stesso tempo, ci colpivano, quindi come l'unità della simultaneità di ciò che ci colpisce; ciò che ricade in un campo percettivo, in quanto si presenta originariamente o è possibile che si presenti se noi gli rivolgiamo lo sguardo, ci colpisce in modo unitario; da tutto questo derivano degli stimoli sull'io. Finora abbiamo presupposto quest'unità del campo, sulla base della quale soltanto è possibile rivolgere lo sguardo ai singoli oggetti che in esso ci colpiscono, per apprenderli, così come è possibile esplicitarli e metterli in relazione gli uni con gli altri. Abbiamo solo accennato al fatto che sono le operazioni delle sintesi passive della coscienza del tempo a rendere in fondo possibile quest'unità (§ 16). Dovremo esaminare un po' più avanti queste operazioni, se voglia­ mo intendere la struttura dell'unità plurale dell'affezione. Anche gli atti dell'io che si compiono sulla base di questo campo, gli atti con cui l'io rivolge a qualcosa lo sguardo o apprende [qualcosa], hanno tutti, in quanto atti, una loro struttura temporale, di cui abbiamo già discusso (§ 23). Non sarà questo quel che indagheremo ora, ma la struttu­ ra temporale del medesimo campo passivo, che precede ogni atto e costituisce l'unità passiva dd modo in cui è già presente una pluralità di oggetti percettivi. Non possiamo non iniziare dall'unità che è a noi più prossima, cioè dall'unità di una pluralità di oggetti percettivi, uniti intuitivamente in una presenza. Solo allora potremmo esaminare q11ali sono gli altri modi, oltre all'11nità de/l'inlllizione originaria, in mi le 11nità posso11o formarsi in q11anlo relai}oni, e in particolare quali di queste contribuiscono alla determina­ zione relazionale di oggetti percettivi.

1 36

§ 36. L'unità passiva (temporale) della percezione

[181] § 36. L'unità passiva (temporale) della perfezione Perché sia possibile l'unità di una pluralità di elemmti ùuiividuali, occorre che questi si presentino contemporaneamente, e ci colpiscano, in un unico ora della coscienza. Vale a dire, l'unità di una percezione sensibile, l'unità di una coscienza inruitiva di oggetti, è l'unità di 11na t"Ostienza sensibile, in cui si presentano originariamente rutti gli oggetti, siano essi individui a sé stanti o una pluralità di individui siffatti, nella e con la forma di 11na durala temporale, che renda possibile l'unità comprensiva degli oggetti. Se consideriamo anzitutto solo un individuo, che cade nell'inruizione, ci accorgiamo che l'unità dell'inruizione dell'individuo si estende esattamente quanto l'unità della du­ rata originaria, cioè della durata individuale che si costiruisce nell'originaria coscienza del tempo. L'individuo emerge di nuovo dall'inruizione - sia che esso duri ancora in quanto tale, sia, invece, che esso sia inteso come qualcosa che ancora dura per la co­ scienza, ma non in maniera inruitiva - quando la continuazione dell'originaria costitu­ zione temporale non costiruisce più questa durata come durata dell'individuo e quindi come una durata riempita della pienezza individuale dei momenti contenutistici. Lo stesso vale per una pluralità di individui. Ma del loro insieme siamo coscienti nell'unità di un'inruizione solo quando la pluralità è unitariamente abbracciata dall'unità di una coscienza, che costiruisce la durata originaria e in generale la temporalità, nei modi della simultaneità e della successione. In questo caso, non solo ognuno di questi individui viene inruito e di ognuno siamo coscienti insieme a ciò che lo accompagna in una durata temporale, ma siamo coscienti di tutti insieme [182] in una sola durata; tut­ ti insieme essi formano un'unità sensibile, così che la durata che li lega si costiruisce intuitivamente nell'originaria forma sensibile. Tanto si estende il tempo costiruitosi in modo originario, quanto l'unità degli oggetti possibili, costiruitasi anch'essa in maniera originaria e sensibile (cioè passiva, prima di qualsiasi attività): [quest'unità] può essere quella di un singolo individuo oppure quella di una pluralità di individui indipendenti e coesistenti. Una pluralità che si presenti in un modo così originario non è una semplice collezione che giustappone insieme elementi, grazie all'atto del collegare, ma un'unità di oggetti, che, essendo un'unità stabilita solo temporalmente, non è un nuovo "indivi­ duo", per esempio un individuo fondato. Queste considerazioni mettono in evidenza che una pluralità, la semplice coesi­ stenza di oggetti individuali già presenti, è un 'rmilà di connessione: è un'unità che non è prodotta in maniera categoriale, da una spontaneità creativa, ma è un'unità dello stesso tipo del singolo indiVIduo. [Tale unità] certo non è essa stessa un individuo, ma ha la proprietà fenomenologica fondamentale condivisa da tutti gli oggetti che si presentano in maniera semplice: essa deve presentarsi originariamente, e come unità sensibile, e, perciò, ogni apprensione attiva richiede che la sensibilità si sia già data unitariamente. Senza dubbio, solo mediante l'apprensione attiva, viene tematizzato ciò che era già originariamente precostiruito in maniera passiva. La forma temporale non è quindi

1 37

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività solo una forma di individui, nella misura in cui questi individui durano, ma ha anche

L 'unità dtlla pen-ezio­ ne di nna pl��ralità di individni è pertanto nn �mità sn/la base dtlla jomta temporale di connessione. Essa è l'unità che sta alla base delle succitate relazioni dell'"essere uno vicino all'altro", e dunque generalmente delle [182) relazioni dJe ri..�11ardano le posizioni spazio/i. Gli oggetti un'altra funzione: unificare gli individui in un'unità di connessione.

individuali della percezione hanno la loro reciproca posizione spaziale, sulla base della loro coesistenza in un tempo. Più precisamente: il tempo, mediante cui !gli oggetti individuali] si unificano, non è il tempo soggettivo delle esperienze vissute della percezione, ma il

tempo O.!!.!t!. llivo che

appartiene al loro senso oggettuale. [E questo accade] non solo perché le esperienze vissute della percezione sono simwtanee in maniera immanente, ovvero perché sono comprese in una singola percezione della pluralità, ma, oltre a questo, anche perché le oggettualità, intese [nelle esperienze vissute] come realmente esistenti, sono apprese come qualcosa che dura allo stesso tempo in senso oggettivo. L'unità dell'intuizione, che qui sussiste, non

è

intuitivamente in un solo presente dell'esperienza vissuta, ma

za O.!!.!e!. tliva.

è intesa è l'11nità di nna coesisten­

dunque solo l'unità sulla base del fatto che la pluralità

Questo caso diventa più distinto se lo mettiamo a contrasto con quelli

cui, pur sussistendo un'unità intuitiva, ciò che

è unito

in

intuirivamente viene però inteso

come qualcosa che esiste oggettivamente in tempi di,·ersi oppure, nel caso di oggetti di fantasia, come qualcosa che in generale non esiste in nessun tempo oggettivo. Siamo perciò costretti ad andare per un tratto al di là del dominio di ciò che

è

proprio solo a ciascuno di noi, dominio a cui per altri versi la nostra ricerca resta limitata nel suo prosieguo (cfr. Introduzione, [pp.

56 e sgg.]) . Se finora abbiamo par­

lato di percezione, e quindi di coscienza posizionale, della coscienza che presume che gli oggetti siano

esistenti,

questi oggetti erano pensati come oggetti solo per me, come

oggetti di un mondo solo per me. Il riferimento al tempo oggettivo, però - che qui e nel seguito

è indispensabile per intendere in profondità le opposizioni

tra percezione

e ricordo, da un lato, e le esperienze vissute di fantasia, dall'altro, e le differenze che conseguono dall'unità a fondamento della relazione questo dominio di ciò che

è

le determinazioni di ciò che

[184]

ci conduce già al di là di

solo per me. Tempo oggettivo, essere oggettivo, e tutte

è in quanto

oggettivo, non designano un essere solo per

me, ma anche per gli altri.

§ 37. L'unità del rkordo e la J'Ua Jeparazione dalla perfezione Nell'indagine sugli altri tipi di unità intuitiva, che possono sussistere oltre all'unità immediata della percezione, restiamo per ora all'interno della coscienza posizionale. Quindi la domanda più immediata

è anzitutto quella sulla connessione della percezione

con il ricordo, inteso come presentificazione posizionale, e su quale sia il tipo della loro

1 38

§ 37. L'unità del ricordo e la sua separazione dalla percezione unità intuitiva, di un'unità dunque che può emergere anche quando gli oggetti unificati e in reciproca relazione non si presentano simultaneamente in una percezione, ma, in parte, in delle percezioni e, in parte, in delle presentificazioni. Quel che segue può servire come esempio: io vedo percettivamente una scrivania davanti a me e mi ricordo, simultaneamente, di un'altra scrivania, che prima era al suo posto. Anche se posso, per così dire, "spos tare" la scrivania ricordata accanto a quella percepita, l'una non sta però accanto all'altra nell'unità di una durata oggettiva; l'una è separata, in qualche modo, dall'altra. Il mondo della percezione e quello del ricordo sono mondi divisi. D'altro canto, sussiste tra di loro, però, come si vede in molti sensi, un'unità, nella misura

in cui ho entrambe le scrivanie

davanti agli occhi in una presenza

intuitiva. In che senso, allora, si può parlare qui di separazione e in che senso si può parlare di unità?

[185)

Ci sono certo delle buone ragioni per parlare della

separazione

tra ciò che

è percepito e ciò che è ricordato. Se vivo nel ricordo, ho un'unità dell'intuizione di ricordo; in essa il ricordato è, prima di ogni atto di comparazione, di distinzione, di correlazione, qualcosa di "sensibile", fatto di parti fluenti, è unitariamente "intuitivo" e in sé chiuso - finché almeno vivo in

11na sola

intuizione di ricordo che dura senza

interruzioni, finché almeno non "salto" da ricordo a ricordo in un confuso ricorrersi

di "lampi". Ogni ricordo unitario è in sé stesso unitariamente continuo e costituisce in sé stesso un'unità cosciente di oggetti, un'unità che è un'unità intuitiva: intuitiva e composta da parti fluenti, dicevamo. Cioè, un processo di durata sufficientemente lunga che attraversa la memoria ha esattamente la stessa struttura che aveva la sua ap­ prensione nella percezione iniziale. Come [nella percezione inizialeJ, è intuitivamente presente alla coscienza in originale sempre solo una fase che dà subito il cambio a quella successiva e che, una volta che sia tenuta in pugno, si unifica sinteticamente con quella successiva, così nel ricordo di un processo, l'in tero processo è intuitiva­ mente inteso nella sua unità, cioè in tutte le sue fasi, benché solo un suo singolo tratto fluente è "propriamente intuitivo". Naturalmente, il prindpio di chi11s11ra del ricordo è esattamente lo stesso che avevamo prima definito per la percezione, e cioè è basato sull'unità della durata temporale. Si tratta di un'unità non solo in riferimento agli atti della messa in rilievo e dell'osserva­

zione tematica di una singola cosa percepita o di un processo, ma già

in riferimento al in cui è già

fenomeno unitario dell"'impressione" che è alla base di queste "attività" e

per noi sensibilmente presente un'unità di oggetti (non importa di quanti elementi sia composta) : in altri termini, per noi [quell'unità di oggetti] c'è già in maniera passiva. [Quell'unità) è una formazione che è stata costituita originariamente e che continua a fluire.

[186)

Questa formazione, che sia quella della percezione (di ciò che è origina­

riamente presente

in

modo intuitivo) o del ricordo, è di per sé, e solo le intenzioni di

orizzonte la mettono in connessione con l'oggettività che la comprende, con il mondo oggettivo, di cui è parte costitutiva.

1 39

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relaziom e la sua fondazione nella passività Sulla base di queste intenzioni di orizzonte, in un tale ricordo può avvenire ciò che chiamiamo un percorso continuo che va, per esempio, da un passato recente e arriva fino al presente iniziale. Il ricordo che all'inizio sorge isolatamente può poi essere "liberamen­ te" esteso, possiamo spingerei nell'orizzonte del ricordo in direzione opposta al presen­ te, possiamo passare continuamente da ricordo a ricordo; tutti i ricordi che appaiono sono ora tratti fluenti, che sconfinano gli uni negli altri, di un ricordo unitariamente connesso. Così di regola il processo perde in dettagli e si accorcia (si contrae) perché tralascia parti inessenziali dd ricordo. Occorre pertanto distinguere:

1) L'unità dei diversi campi del ricordo (sempre fluenti) che è un'unità intnitiva in senso stretto: il decorre nel ricordo di un processo di lunga durata è nn ricordo, perché, in ogni fase dell'esperienza vissuta del ricordo, ciò che è stato intuito nella fase precedente , il precedente passato,

è "ancora" intuitivo, è

ancora tenuto in pugno, mentre ciò che ap­

pare in esso come nuovo accede giusto a un'intuitività "primaria";

2) L'intero campo del ricordo int11itivo in senso ampio.

A ciò appartiene anzitutto il con­

tinuo dei campi dd ricordo propriamente intuitivi, "che decorre" in un'unità di co­ scienza; (di questi campi] , quelli che non sono più propriamente intuitivi hanno una vivacità ritenzionale e non "sprofondano". Appartiene inoltre [all'intero campo del ricordo] tutto ciò che

è

vamente ricordati - e vi

incluso negli

[187) orizzonti del passato, che non sono nuo­ è incluso in quanto semplice potenzialità di riempire le inten­

zioni nella forma delle rimemorazioni, prima, nella forma di rimemorazioni intuitive, e poi, quando decadono nella ritenzione, [nella forma di rimemorazioni] non intuiti­ ve, le quali restano comunque ancora ritenzioni vivaci, che sono sì decadute, ma non sprofondate. Queste unità complessive del ricordo sono

distinte le 1me dalle altre (se esse non ricon­

ducono alla percezione originaria, in processi particolari e particolarmente s trutturati, o se non sono legate reciprocamente, in un collegamento continuo, formando così un'u­ nità connessa di rimemorazione). Le unità sensibili, gli oggetti, le connessioni, che in esse compaiono, sono reciprocamente separati e sono separati anche da ciò che appare nel rispettivo mondo della percezione. Dunque, non possiamo chiaramente dire che ciò che si presenta qui [nella percezione] e li [nel ricordo] rientri in un'unità autenticamente o inautenticamente "intuitiva", "sensibile". Un oggetto percettivo, per esempio, questa penna stilografica, che io ora percepisco qui sulla scrivania, non ha nessun legame in­ tuitivo con il libro che un anno fa stava nello stesso posto su questa scrivania e di cui ora mi ricordo. [Il libro] non sta "vicino" al portapenne, e non ha a ffatto una relazione di unità spaziale con esso, cosa che invece sarebbe richiesta se vi fosse l'unità di ciò che

è intuito in

una stessa durata

temporale. Tali relazioni, e l'osservazione che ad esse si

rivolge, ovvero le relazioni reciproche tra posizioni spaziali, non sono possibili quando vi sono oggetti di intuizioni separate in questo modo.

1 40

§ 38. La necessaria connessione che suss1ste tra gli oggetti

[188] § 38. La necessaria connessione che sussiste, sulla base del tempo comeforma della sensibilità, tra gli oggetti intenzionali di ogni percezione e quelli delk presentijìtCJzioni posiziona/i di un io e di una tomunità di io Nonostante tutte le separazioni, nondimeno qui vi è nn imità e, sulla sua base, delle rrlazioni di nnilà. Chiariremo di che tipo di unità si tratta, se ricordiamo le intmzioni d'oriz­ zonte, a cui prima abbiamo fatto cenno. Ogni percezione, in quanto coscienza che pre­

sume di intendere oggetti reali, ha un suo orizzonte del prima e del dopo. Essa rimanda indietro a ciò che è stato precedentemente percepito e che può esser presentificato

nel ricordo e lo fa anche laddove non sia immediatamente connessa con la rispettiva percezione, ma ne sia separata da tratti oscuri e non ricordati. :\ parte la correlazione, che considereremo

in seguito, in virtù della quale ogni percepito

"ricorda" un passato,

simile o uguale, anche se sono separati temporalmente - una relazione questa, quindi,

di uguaglianza e somiglianza - sussiste qui ancora un altro, e più

fondamentale, tipo di

unità: se mediante ricordi, che partono da una percezione, ritorno al mio proprio pas­ sato, questo passato è proprio mio, è e vivente. E

mondo,

il passato dello stesso soggetto che è ora presente il mondo passato che mi circondava e che ora ricordo appartiene allo stesso

a cui appartiene questo mondo in cui ora vivo, solo che è presentificato in un

tratto del suo passato. Lo stesso accade, se chiamiamo in causa l'intersoggettività, quando un altro mi rac­

conta delle sue esperienze vissute passate, quando questi condivide con me i suoi ricor­

di. Ciò che viene ricordato

in quei ricordi appartiene al medesimo mondo oggettivo a

cui appartiene ciò che è presente nel mio e nel nostro comune (189) presente vissuto. L'ambiente ricorda to dell'altro, di cui egli mi racconta, può essere diverso da quello in

cui ci troviamo ora, così come l'ambiente che io stesso ricordo può essere diverso [da quello che egli ricorda] ; posso aver cambiato

il

mio luogo di residenza, posso essermi

trasferito in un altro paese con altri uomini e con altri costumi, ecc., oppure mo ambiente

[ Umgeb11ng]

il

medesi­

spaziale, insieme a coloro che lo abitano, possono esser cam­

biati nel corso della vita di un uomo, così da esser diventato proprio un altro ambiente.

Ma, ciononostante, tutti questi diversi ambienti ricordati fanno parte di 11no stesso mondo

oggettivo. Questo mondo, inteso nel senso più ampio di mondo della vita

per una comu­

nità di uomini capaci di intendersi reciprocamente [come uomini] , è la nostra Terra, che include tutti questi diversi ambienti con le loro trasformazioni e i loro passati - poiché non abbiamo abbastanza conoscenze che ci autorizzino a considerare altre stelle come ambienti

in

cui un'altra umanità potrebbe vivere12• I n quest'unico mondo ha il suo

posto tutto ciò che ora percepisco sensibilmente

in

originale, tutto ciò che posso ora

12 Perciò qui identifichiamo, senza dubbio, il mondo oggettivo con il mondo della vita dell'wna­ nità, intesa come una comunità comprensiva in cui è possibile l'intendimento reciproco. Nel corso di quest'analisi, poss1amo lasciare da parre il problema di sapere come il mondo, concretamente preso

1 41

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività ricordare o di cui altri possono raccontarmi come ciò che hanno percepito o ricordato. Tutto ha la sua unità perché ha la sua fissa posizione temporale nel mondo oggettivo, la sua posizione nel tempo oggettivo. Questo vale per ogni oggetto della percezione in quanto tale, cioè in quanto oggetto inteso e in quanto presuntamente reale. Vale a dire: nella percezione

[190) ,

nella s fera

del presente vivente, c'è un contrasto, il cambiamento repentino di una percezione in un'altra che si compenetra con la prima determina un contrasto tra le due (cfr.

supra

§ 21) e questo si ripercuote su ogni percezione passata che sovviene. Nella medesima sensibilità (quindi prima di qualsiasi attività) ha luogo il contrasto. Bisogna però far at­ tenzione a che il tempo intenzionale, il tempo che appartiene agli oggetti intesi in quan­ to tali, non è loa-alo da un tale contrasto, perché gli oggetti intenzionali in reciproco contrasto, che in questo modo si compenetrano, non sono in contrasto per il momento temporale stesso� come se, per esempio, due posizioni temporali con lo stesso colore dovessero essere in contrasto nello stesso modo in cui possono esserlo i colori di un oggetto, quando, nella stessa posizione temporale, appaiono diversi e in reciproco con­ trasto. Il contrasto sensibile, che originariamente ha luogo in modo passivo, coinvolge necessariamente due oggetti che hanno la stessa determinazione temporale e ha, come presupposto, la medesirnezza di questa determinazione temporale. La serie temporale costituita sensibilmente è, per ogni verso, unica e in essa s'incar­ dina tutto ciò che è intenzionale in quanto tale e in quanto è costituito sensibilmente (in quanto appare originariamente), al di là degli altri caratteri di unità e indipendenza,

lui/o dò t-he appare originariamente, anche se appare nel ha la sua cklerminata posizione temporale; cioè non ha solo in sé stesso un tempo

costituiti o da costituire. Pertanto, contrasto,

fenomenico, cioè quello dato nell'oggettualità intenzionale in quanto tale, ma ha anche la

sua posizione fissa ne/ tempo oggellivo.

I n termini più precisi: anche se si cancellano reci­

procamente, gli oggetti possono apparire solo uno dopo l'altro, e quando appare l'uno, siamo coscienti dell'altro come ciò che è coperto dal primo: ogni oggetto siffatto,

[191)

che si presenti coperto o scoperto, deve avere la sua posizione nel tempo intenzionale e la sua posizione nell'unico tempo. Possiamo ora comprendere l'interna verità del principio kantiano: il tempo t laforma citi/a sensibilità e perciò essa è la forma di ogni mondo possibile dell'esperienza oggettiva. Prima di ogni domanda sulla realtà oggettiva - prima di poter chiedere che cosa dia a certe "apparenze", a certi oggetti intenzionali che si presentano nelle esperienze intuitive, il privilegio di vedersi attribuito il predicato di "reale" o di "oggetto reale" - c'è il fatto della peculiarità essenziale di ogni "apparenza", che si dimostri vera o non vera, ovvero che [tutte le "apparenze"] presentano tm tempo, e precisamente in modo tale che tutti i tempi che si presentano rientrano in

un uniro tempo.

Pertanto, tutti gli individui percepiti e anzi

come mondo della vita dell'umanità, si rapporti al mondo oggettivo in senso stretto, cioè al mondo nel senso della determinazione scientifica.

1 42

§ 38. La necessaria connessione che sussiste tra gli oggetti percepibili hanno la comune forma del tempo. Questa è la forma prima e fondamentale, è la forma di tutte le forme, è il presupposto di ogni altra connessione che instauri un'unità. Con "forma" qui s'intende però sin dall 'inizio il carattere necessariamente presupposto a tutti gli altri nella possibilità di un'unità intuitiva. La temporalità come durata, come coesistenza, come successione è la forma necessaria di tutti gli oggetti unitari e intuitivi e quindi della loro forma intuitiva ( forma di ciò che è intuito come individuo concreto) . Al contempo, però, l'espressione forma intuitiva ha anche un secondo signil1cato: ogni oggetto individuale, intuito nell'unità di un'intuizione, si presenta in un orienta­ mento temporale, che è la forma in cui si presenta tutto ciò che è presente in un pre­ sente.

È inoltre vero però che

tutti gli individui concreti (i momenti individuali as tratti

ne sono toccati per un'ovvia conseguenza) , di cui siamo coscienti in intuizioni, che all'i­ nizio sono disconnesse, appartengono all'unità di un tempo (che invero non è intuitivo, ma può

[192]

diventarlo, grazie a uno sviluppo libero, cioè al riempimento delle inten­

zioni che stanno nelle intuizioni e che devono esser portate a datità) . L'unico tempo è la forma, l'unica forma, di tutte le oggettualità intenzionali, che un io ha dato o può aver dato in intuizioni prima prive di connessione, per esempio, in percezioni e ricordi separati dalle prime. Ovvero: ogni intuizione ha il suo orizzonte, che si può esten­ dere in un'inl1nità di intuizioni, e [a queste intuizioni) corrispondono oggetti, di cui, in quest'estensione, possiamo essere coscienti come [oggetti che) si presentano in un unico tempo; esso è l'unico [tempo], che nella sua estensione e quindi nel modo in cui si presenta, si costituisce come lo stesso tempo, uno stesso tempo a cui appartengono anche le medesime esperienze vissute intuitive e le esperienze vissute dell'io in generale. Tutto questo continua poi nell'entropatia. In essa si costituisce un oggettivo tempo comune intersoggettivo, in cui devono poter essere incardinate tutte le individualità delle esperienze vissute e degli oggetti intenzionali. E ciò andrebbe ricondotto

al fatto che, per

ogni io, l'entropatia non è altro che un determinato gruppo di presentil1cazioni posizio­

nali, che si distinguono da ricordi e attese, e che, però, come tutte le intuizioni posizionali, sono intuizioni che possono essere unil1cate nel modo a cui abbiamo prima accennato. Quando abbiamo indagato su quale connessione rendesse possibile l'unità tra tutte le percezioni e le presentil1cazioni posizionati di un io, abbiamo trovato che questa era la

mnnes.rione temporale.

Essa viene instaurata nella s fera della passività ovvero nella sensibilità.

Qualsiasi percezione nella coscienza di un io ha necessariamente una correlazione, sia che l'io la colleghi attivamente, che la metta in relazione con un'altra, annodandola a questa, sia che non la viva affatto e sia affaccendato con altri oggetti

(193], non importa quali - [qual­

siasi percezione] ha comunque in sé una correlazione, esse costituiscono una correlazione che abbraccia tutti i loro oggetti intenzionali. Ciascuna ha il suo orizzonte ritenzionale e offre la possibilità di entrare in quest'orizzonte e di estenderlo mediante ricordi. Pertanto, tutte le correlazioni, che non sono date intuitivamente nell'unità di una percezione, riman­ dano alla concatenazione di correlazioni nell'unità di un'intuizione effettiva, e, dunque,

alla possibilità di rimemorazioni continue che ripresentano intuitivamente la concatena-

1 43

Prima sezione - Capitolo terzo . L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passtvità zione. D'altro canto, ciò che è effettivamente intuito accenna a nuove intuizioni effettive e questo accenno è un'attesa anticipatrice. All'essenza della percezione di un io appartiene che essa possa apparire solo in una concatenazione continua. L'unità di un io si estende e può estendersi solo tanto quanto si estende l'unità della nostra coscienza interna; e tutti gli oggetti intenzionali delle percezioni, che in essa appaiono, devono, nella stessa misura, costituire una correlazione temporale che coincide con il tempo inunanente degli atti. Ogni percezione e

ogni rimemorazione, in quanto

riproduzione di una percezione, deve

quindi esibire, per i suoi oggetti, una relazione temporale, che può per principio divenire intuitiva. In quanto legati a oggetti reali, o che si presume che siano reali all'interno di un mondo, esse si trovano in una correlazione. Questa correlazione serve da base a un certo tipo di relazioni, a quelle relazioni tra le posizioni temporali di tutti gli oggetti percepiti e intesi, nelle percezioni, come realmente esistenti. In generale, e in forma di legge, possiamo dire: tu/le le pm-ezio11i t le esperienze di un io sono correlate, quanto ai klro oggelli intenzionali, sono riferite (anche se sono in contrasto re­ ciproco) a un sokJ tempo. E allo stesso modo: tu/le k percezioni [194] t le esperienze di tuili i soggetti io, che s 'intendono nciprocamenle, sono com/ate, quanto ai loro oggetti intenzionali - esse si trovano cioè nella correlazione di un unico tempo oggettivo, che si costituisce in tutti i loro tempi soggettivi, e [nella correlazione] di un solo mondo oggettivo che si costitu­ isce nel tempo oggettivo.

È

certo uno dei problemi principali della fenomenologia quello di chiarire comple­

tamente come ogni esperienza (per esempio, ogni rimemorazione) arrivi ad avere una correlazione con ogni altra esperienza (per esempio, una rimemorazione con la rispet­ tiva percezione attuale) dello stesso io o nella stessa corrente di coscienza di un io, una correlazione che fa sì che tutto ciò che è esperito sia connesso in un unico tempo; ed è [uno dei principali problemi della fenomenologia] anche quello di intendere quale tipo di necessità pretenda d'avere quella [connessione] che vale per ogni io possibile e per le sue esperienze. Se si parla di corrente della coscienza, si presuppone in certo modo già il tempo infinito, con la cui guida, si va, per così dire, avanti e indietro da coscienza a coscienza. Se una coscienza si presenta attualmente (o se questa è rappresentata come presente in una possibilità) e questa continua a fluire, sussiste la possibilità che affiorino poi rime­ morazioni della coscienza che portano, nel ricordo, a un'unitaria corrente di coscienza. Questi difficili problemi e, in particolare, quello di come si arrivi ad apprendere le as­ solute determinazioni temporali degli oggetti, a costituire le loro posizioni nel tempo oggettivo e di come in generale questa correlazione del tempo oggettivo, assoluto si annunci nei tempi soggettivi dell'esperienza vissuta, costituiscono il grande tema di una più avanzata fenomenologia della coscienza interna0.

Il

Per alcune indicazioni più dettagliate si veda infra § 63 b.

1 44

§ 39. Passaggio alla quasi-posizionalìtà. La mancanza w connessione delle intuizioni di fantasia

§ 39. Passaggio alla quasi-posizionalità. fantasia

La

mant'Cinza di L"onnessione delle intuizioni di

Se finora abbiamo considerato solo le possibilità dell'unità intuitiva all'interno della costienzaposiziona/e, dell'unità delle percezioni, le une rispetto alle altre, e delle percezioni rispetto alle presentificazioni posizionati, ora passeremo alla qutJJi-posizionalilà, sia quella della fantasia percettiva che quella della fantasia riproduttiva; e ci chiederemo quali pos­ sibilità di unità intuitiva possano sussistere per loro (e per i loro oggetti intenzionali), così come tra i loro oggetti intenzionali e quelli delle esperienze vissute posizionali. Tra le esperienze vissute degli atti con cui si intendono percettivamente degli oggetti reali del mondo possono rientrare - senza correlazione con essi - anche le esperienze vissute di fantasia, che sono rivolte a ficta, ovvero a oggetti intesi come fie/a. Essi non hanno akuna correlazione t"on le pm-ezioni; vale a dire: mentre si compongono in un'unità tutte le percezioni che riguardano gli oggetti in esse intesi, tutte le percezioni, cioè, che riguardano l'unità di un mondo, gli oggetti di fantasia cadono fuori da questa unità e non si uniscono con gli oggetti della percezione in modo da formare con essi l'unità di un mondo come tale inteso. Certo, le fantasie di un io hanno correlazioni non solo reciproche, ma anche con le percezioni in quanto esperienze viss111e, come tutte le esperienze vissute della coscienza interna, che, rispetto ad esse, è percettiva. Esse, in quanto esperienze vissute e come tutti gli atti, rientrano nell'unità di un io - e questo significa che la coscienza interna co­ stituisce una correlazione intenzionale. Ma esse non hanno alcuna correlazione, quanto al loro [196] riferimento oggeltuale, né reciprocamente, né con le percezioni. Il centauro, che io ora fingo, e l'ippopotamo, che ho finto prima, e ancora la scrivania, che io ora percepisco direttamente, non hanno alcuna correlazione reciproca, cioè non hanno al­ nma posiziolle temporale l'uno rispetto all'altro. Tutte le esperienze, presenti e passate, sono unite nel contesto di una sola esperienza, e hanno, in essa, l'univoco ordine temporale del prima, del dopo e del simultaneo nel tempo assoluto: ma questo non \'"lÙe per gli oggetti di fantasia. Il centauro non è prima né dopo l'ippopotamo o la scrivania, che ora percepisco. In un certo senso, però ogni oggetto di fantasia ha il suo tempo; ne siamo coscienti come un'unità di durata temporale. Anche qui il tempo ha la funzione di formare unità, allo stesso modo in cui abbiamo dimostrato che l'avesse per la percezione e per il ricor­ do chiusi in sé stessi. LIja11/asia è pur sempre quakosa di temporale; per esempio, qualsiasi fantasia sensibile fantastica un oggetto sensibile e a questo, in quanto semplice oggetto intenzionale, appartiene la temporalità intenzionale. Dell'oggetto di fantasia siamo co­ scienti come [un oggetto) temporale, determinato temporalmente, che dura nel tempo, ma il suo tempo è un qutJJi-lempo. Poniamo che, per esempio, mi baleni davanti la fan­ tasia di un triangolo di colore rosso. Posso descriverlo e posso arrivare anche alla sua durata. È un oggetto temporale e ha un suo tempo. Ciononostante, però, non è a sua 1 45

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività volta nel tempo. Cioè, la durata temporale del triangolo è modificata, in tutti i suoi punti temporali, nello stesso senso in cui è

il

suo quasi-colore è la modificazione del colore

di un reale triangolo rosso. Ogni cosa ha un colore. Una cosa di fantasia fantasticata e lo è con questo colore, ecc. Il colore di fantasia della fantasia e, in quanto tale, ha

il [197]

è una cosa è il correlato intenzionale

modo del come se. Nondimeno, ci sono delle

buone ragioni per dire che ciò che è solo rappresentato (o in generale rappresentato, percepito, ricordato, fantasticato, ecc.) può essere reale o talvolta può· anche non es­ serlo: [vale a dire] cioè che qualcosa di irreale, che si presenta in una rappresentazione o che mi viene in mente, dimostrando però di seguire una regola, potrebbe essere conforme a qualcosa di reale, punto per punto, determinazione per determinazione. Allo stesso vale, in senso inverso, che su tutto quanto si presenta regolarmente in una normale percezione potremmo costruire una pura fantasia, che rappresenti esattamen­ te lo stesso oggetto esattamente nello stesso modo in cui si è presentato. l\la una cosa manca necessariamente a una semplice finzione, ovvero ciò che distingue propriamente gli oggetti realmente esistenti: l' a.rsol11ta posizione

temporale, il

tempo "reale", l'assoluta e

rigorosa irripetibilità del contenuto individuale che si presenta con una forma tempo­

il tempo è precisamente rappresentato, rappresentato perfino un tempo senza una reale e autentica localizzazione delle posizioni - quindi

rale. Più chiaramente: intuitivamente, ma è è un

q11a.ri-tempo.

Senza dubbio, anche nella fantasia, abbiamo intuitivamente dei luoghi fenomenici, rapporti relativi ai luoghi o alle posizioni, e delle distanze. Ma la fantasia non ci offre alcuna posizione che si possa identificare nel senso di un "in-sé" e che si possa pertan­ to distinguere. Possiamo immaginarci un triangolo rosso in quante fantasie vogliamo, senza alcuna correlazione tra loro, e possiamo farlo riuscendo a immaginarci sempre lo stesso triangolo rosso e sempre con la stessa durata: ognuno sarebbe distinto da tutti gli altri, in quanto contenuto di una diversa coscienza di fantasia, ma non lo sarebbe affatto in quanto

oggello individuale. Se le fantasie sono effettivamente senza correlazione,

non abbiamo alcuna possibilità di parlare di più oggetti o dello stesso oggetto, che sia rappresentato ripetutamente. Pertanto, per essere più esatti, decidiamo di

[198]

ammet­

tere delle fantasie che rappresentino i loro oggetti esattamente negli stessi "orizzonti" e quindi che, se l'una rappresenta l'oggetto

A

in una connessione temporale-oggettiva

determinata in questo modo o indeterminata, l'altra lo farà esattamente nella stessa connessione determinata in questo modo o indeterminata. Nella libertà della fantasia si dà

a priori la

possibilità di fantasie completamente uguali.

Dovrebbe essere così chiaro

intuizioni di fanla.ria.

il senso in cui si parla della mancanza di t"Orrelazione tra k

Gli oggetti di fantasia sono privi di assoluta posizione temporale

e quindi essi, diversamente dagli oggetti percettivi, non hanno un'unità temporale che li leghi, non hanno un unico ordine temporale - almeno finché parliamo, come abbia­ mo fatto finora, di fantasie che non formano una correlazione che le leghi insieme e che sia insieme ad esse co-intesa in una coscienza, ovvero un'unità della fantasia. u

1 46

§ 40. Vnità temporale e connessione istituita neUa fantasia

possibilità di.formare 11na tale 11nità non è tuttavia essenziale per le.fantasie. Non appartiene alla loro essenza il fatto che esse debbano rientrare in una concatenazione continua, che, in quanto unità, sarebbe la continuità della fantasia. Fantasie separate non hanno alcuna correlazione necessaria non solo a priori, ma anche, di regola, nella nostra esperienza di fatto. In questi casi, non ha alcun senso domandarsi se l'oggetto di una fantasia viene prima o dopo quello di un'altra fantasia. Ogni fantasia, priva di correlazione, ha il suo tempo immaginario, e ci sono tanti [tempi immaginari] che non possono compararsi gli uni con gli altri (al di là della forma generale, dell'essenza concreta in generale), quante sono o possono essere le fantasie e quindi infinitamente molte. Nessuna posizione assoluta dell'una può essere identica a quella dell'altra. Andrebbe ancora discusso quali altre relazioni sono tra loro possibili. [199) Annotazione. Se parliamo di più fantasie slegate di un oggetto del tutto uguale, riguardo al quale, nonostante questa uguaglianza, non si può parlare di identità indivi­ duale né di disidentità, occorre rimarcare che noi così non intendiamo una pluralità di fantasie di uno e dello stesso oggetto fantasticato, nel preciso senso che implica che queste fantasie non sono per la coscienza fantasie della medesima cosa. Cioè, se io fan­ tastico A, allora posso, formando una fantasia che ha esattamente lo stesso contenuto A, intendere questo A fantasticato una seconda volta come lo stesso che avevo fanta­ sticato prima. Questo accade in modo molto semplice in un atto che si riferisce alla prima fantasia, così come una rimemorazione si riferisce a una precedente percezione della stessa cosa. Ci comportiamo così "come se" ci ricordassimo di nuovo di un qua­ si-percepito e una tale quasi-rimemorazione (che reca in sé, cambiando atteggiamento, una rimemorazione effettiva del precedente atto di fantasia e di ciò che è fantasticato in quanto tale) può essere connessa, quante volte vogliamo, al primo atto di fantasia, avendo eventualmente al contempo il carattere di una rimemorazione di ciò che è stato prima rimemorato, ecc. Abbiamo allora una catena non di fantasie slegate, ma di fanta­ sie connesse intenzionalmente, le quali, a loro volta, possono trasformarsi in un'unità di rimemorazioni connesse, in cui ciò che è più volte intuito è presente alla coscienza in modo intuitivo come lo stesso. Tuttavia, questo è già un caso di quelle correlazioni tra fantasie, di cui bisognerà ora discutere con maggior dettaglio.

[200] § 40. Unità temporale e t'onnessione islit11ita nellafantasia, ,vmbinando insieme fantasie nell'11nità di 11n mondo difantasia. L'individllazione è possibile .rolo nel mondo dell'esperienza �ffettiva Benché tutte le intuizioni di fantasia siano essenzialmente slegate è però, in un certo modo, anche per loro possibile un'unità, nella misura in cui cioè in tutte le fantasie parlando in termini di modificazioni di neutralità - si costituisce un solo q11asi-mondo, ovvero un unico mondo, in parte intuito e in parte inteso in orizzonti vuoti. È certo 1 47

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività rimesso alla nostra libertà poter arbitrariamente quasi-riempire l'indeterminatezza di questo orizzonte mediante fantasie. Ma ciò non cambia nulla del fatto che, sempre che questo sia il caso, tutte queste fantasie sono correlate nell'unità di una complessiva coscienza di oggetti, [di una coscienza] effettiva e possibile. L'"unità di una fantasia"

l'unità di un 'esperienza possibile o la modificazione di tJeutra­ questa unità prepara anche il terreno per l'essenza: unità

non è chiaramente null'altro che

lità di un'unità di esperienza.

Ma

dell'esperienza. Tutte le libere fantasie che compongono una favola e che noi, per avere una fantasia pura, pensiamo libere da qualsiasi riferimento al mondo attuale, formano un'unità. Po­ niamo di seguire nella fantasia una favola per un tratto o in tratti separati: ogni nuovo tratto si lega, attraverso un orizzonte oscuro, ma che può essere sviluppato, a quello precedente, così che i ricordi oscuri sono per me, che continuo a leggere la favola, ri­ cordi effettivi di ciò che prima ho letto e che ho fantasticato, mentre nel corso del mio impegno con la favola, la connessione si compie in "ricordi nella fantasia", che sono essi stessi quasi-ricordi.

(201) U11a sola fantasia - che comprende dunque

un "complesso" qualsiasi di fanta­

sie che, mediante il loro proprio senso, si compongono in una fantasia intuitivamente possibile, unitaria, in cui coerentemente si costituisce un unitario mondo di fantasia come correlato. All'interno di un tale mondo di fantasia, per ogni oggetto individuale di fantasia (in quanto quasi-realtà) abbiamo una singolarizzazione "individuale" per ogni punto e durata temporali. Abbiamo innanzitutto una tale unità nel senso più ristretto dell'unità di una fantasia, cioè all'interno di una singola presenza: in essa, due cose uguali si distinguono per la loro individualità. C'è però anche una singolarizzazione "individuale" nella fantasia per quanto è in generale possibile (nell'unità di singole fanta­ sie connesse) convertirla in un'unità intuitiva, nell'unità di una presenza nel senso più ampio (di un

continuum di

presenze fluenti), senza integrarla con nuove fantasie che si

riferiscono a nuovi oggetti e che estendono il mondo della fantasia. Ma che cosa accade quando passiamo da un mondo di fantasia all'altro, senza che questi abbiano tra loro alcun legame? L'essenza di due fantasie qualsiasi non implica che esse

richiedano di unificarsi in una sola fantasia.

Finché ci muoviamo intenzionalmente in

una sola fantasia, e correlativamente in un solo mondo, c'è coerenza e contraddizione, incompatibilità, e sono possibili anche tutte le relazioni tra posizioni spaziali e tempo­ rali, che noi avevamo dimostrato valide per gli oggetti del mondo reale: tutto questo si trasla ora nel quasi. Tutto questo però non vale tra formazioni di fantasie slegate. In questo caso, le "cose", i processi, le "realtà" di un mondo non hanno "niente a che fare" con quelli dell'altro. O meglio: i riempimenti e le delusioni delle intenzioni, che sono costitutive per un mondo di fantasia, possono anche non estendersi mai a quelle

(202]

che sono costitutive per l'altro mondo di fantasia, per cui non importa affatto

che intratteniamo, in entrambi i casi, delle quasi-intenzioni. L'unità del tempo gioca qui il suo ruolo particolare come condizione di possibilità di un'unità del mondo, del

1 48

§ 40. lJnità temporale e connessione istituita nella fantasia

correlato dell'unità di "una" esperienza e, per così dire, del terreno su cui hanno luogo tutte le incompatibilità nella forma del "contrasto". In che rapporto stanno reciprocamente le singolarizzazioni del punto temporale, della durata temporale, ecc., all'interno di diversi mondi di fantasia? Possiamo parlare dell'uguaglianza e della somiglianza delle loro parti, ma non avrebbe senso parlare di identità; c così non possono esservi incompatibilità connesse, che presuppongano una tale identità. Non ha alcun senso, per esempio, domandarsi se la Gretel di una favola e quella di un'altra favola siano la stessa Gretel, se ciò che fantastichiamo ed enunciamo per l'una concordi o non concordi con ciò che abbiamo fantasticato per l'altra, e, allo stesso modo, non ha senso domandarsi se sono l'una affine all'altra, ecc. Posso stabilir­ lo - e se lo accetto, l'ho già stabilito -, ma allora le due favole si riferiscono allo stesso mondo. Posso così fare quelle domande all'interno di una stessa favola, perché abbiamo sin dall'inizio un solo mondo di fantasia; ma quelle domande non hanno più senso, quando finisce la fantasia e non può quindi essere determinata più precisamente; all'e­ laborazione della fantasia, intesa come prosecuzione dell'unità di una fantasia, è rimessa la facoltà di trovare arbitrariamente determinazioni (o, nel caso di una continuazione involontaria, di lasciare aperta la possibilità di queste determinazioni). Nel mondo reale niente viene lasciato in sospeso: esso è così com'è. Il mondo di fantasia "è" ed è così e così, in grazia della fantasia che lo ha fantasticato; nessuna fan­ tasia arriva fino alla fine, così da non lasciare spazio a una libera elaborazione nel senso di una nuova determinazione. [203] Ma, d'altro canto, nell'essenza della connessione, che costituisce l"'unità" della fantasia, ci sono così tante limitazioni essenziali, che non possono essere trascurate. Esse si esprimono nel fatto che nella prosecuzione dell'unità di una fantasia, benché questa sia libera e aperta, si costituisce un'unità di un "mondo possibile" che ha la forma comprensiva del relativo tempo di fantasia. Ciò che abbiamo detto implica che l'individuazione e l'identità dell'individuale, ma anche l'individuazione che si può compiere sul suo fondamento, sono possibili solo all'interno del mondo dell'esperienza eJfoltiva sulla ba.re dell'asso/ula posizione temporale. A ciò si può accennare solo brevemente, perché, per il momento, una completa teoria dell'individuazione non è ancora nelle nostre rnire1�. In generale, dunque, l'esperienza di fantasia non presenta alcun oggetto individuale in senso proprio, ma solo quasi-individualità e quasi-identità, cioè all'interno dell'unità stabilita del mondo fantastico. Con ciò si accerta il diritto della nostra iniziale esclusione della sfera della neutralità, con il proposito di fondare una teo­ ria del giudizio, proprio perché la teoria del giudizio inizia con l'esperienza dell'oggetto individuale, giacché è portatrice di evidenza ultima, e questa esperienza dell'oggetto individuale non ha luogo nella fantasia e in generale nella coscienza neutrale.

1'

Per alcune osservazioni supplementari, cfr. § 42 e, innanziruno, l'Appendice

1 49

l.

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

4 1. Ilproblema della possibilità di un 'unità intuitiva tragli oggettipen"ettivi efantasti,'i di un io

§

La ragione per cui, nonostante tutto, stiamo mettendo sotto esame anche l'espe­ rienza di fantasia, è che essa è

[204]

più di una semplice parallela indifferente rispetto

all'esperienza effettiva e alla determinazione che in essa si compie. N on basta infatti soltanto trasporre ora tutto ciò che è stato costituito nel dominio della posizionalità a quello della quasi-posizionalità. Piuttosto, anche se tra oggetti percettivi e oggetti fan­ tastici non c'è alcuna correlazione, è comunque ancora possibile un certo tipo di unità intuitiva che contribuisca alla determinazione (relativa) degli oggetti individuali che si presentano nell'esperienza. Proseguendo nell'indagine sulla possibilità che anche qui ci sia un'unità, arriviamo al più ampio foncetlo

di unità dell'intuizione

-

più ampio ancora di

quelli finora avanzati - e alla fattispecie più comprensiva di relazioni, cioè le relazioni di uguaglianza e somiglianza che sono possibili tra tutti gli oggetti, che possono essere unificati in una tale unità dell'intuizione, siano essi oggetti percettivi o fantastici. Accenniamo solo, come anticipazione, alla funzione fondamentale di queste rela­ zioni e quindi anche della libera fantasia nella dimensione più alta della coscienza di generalità e in particolare della visione d'essenza. Nella Terza Sezione se ne discuterà in maniera più approfondita. Qui restiamo invece nella sfera dell'esperienza degli oggetti individuali e ci domandiamo ora di che tipo sia l'unità dell'esperienza che rende possi­ bili queste relazioni e su che cosa si fondi.

42. L1 possibilità di stabilire una t'orrelazione intuitiva, mediante assodazione, tra tutti gli oggetti t'ostituiti nella t'orrente della tYJsdenza §

a) L'unità temporale di llltle le esperienze vissute di un io L'unità che qui indaghiamo non è l'unità degli oggetti nel tempo assoluto del mon­ do, in quanto unità della simultaneità

[205]

o della successione.

È stato infatti mo�trato

che gli oggetti della fantasia non hanno alcuna correlazione temporale né con gli og­ getti della percezione, né tra di loro, e che quindi non hanno neanche la possibilità [costituire] l'unità intuitiva che

su questa

si basa. Se l'unità non è dunque l'unità dtlk esperienze tlissute che costituiscono t.i

[correlazione]

quella degli oggetti, allora può solo essere

oggetti, ovvero delle esperienze vissute

di

della percezione, del ricordo e della fantasia.

Tutte le esperienze vissute di un io hanno una loro unità temporale; esse sono co­ stituite nel flusso assoluto di una coscienza interna del tempo e in esso hanno la loro posizione assoluta e la loro irripetibilità, il loro apparire una sola volta nell'ora assoluto, dopo il quale esse si spengono nella ritenzione e ricadono nel passato.

1 50

Naturalmtnlt,

§ 42. La possibilità di stabilire una correlazione intuitiva tra gli oggetti

questo tempo dell'tsperinJ:;_a /IÙS/1/a 11on i il tempo degli oggelli intenzionali nell'esperienza viss1/1 a. Se, per esempio, mentre percepisco ciò che mi sta attorno, mi viene un lampo di me­ moria, mi rivolgo ad esso, ma il mondo della percezione non scompare; non importa quanto a lungo ha perso la sua "attualità", quanto si possa "essere allontanato da me", quel mondo continua ad essere percettivamente qui e continua ad essere percepito nel senso più ampio. Il ricordo, in cui ora vivo, mi dà un tempo per ciò che ricordo, un tempo che è implicitamente orientato al presente percettivo. Ciò che ho ricordato invece è passato e, anzi, ''va molto indietro" rispetto al percepito (un carattere, che non è un carattere temporale immediatamente intuitivo, ma si riferisce all'estensione della catena di intuizioni), mentre il ricordo, in quanto esperienza vissuta, è simultaneo all'esperienza vissuta della percezione.

E

se prevediamo o ci aspettiamo qualcosa, ciò

che ci aspettiamo è caratterizzato come futuro, come ancora a venire (benché non sia affatto intuitivo), mentre

[206)

le esperienze vissute dell'attesa e della percezione sono

simultanee e in parte successive: la percezione per un tratto precede l'attesa e l'attesa segue. Poiché qui si tratta di esperienze vissute posizionati, tutte hanno i loro ogget­ ti intenzionali, e [questi oggetti], in virtù della loro presunta oggettualità individuale, hanno la loro posizione assoluta nel tempo oggettivo, nel tempo del mondo; [di questa posizione] si può avere per principio un'intuizione, se stabiliamo una correlazione tra i ricordi che vada all'indietro rispetto alla percezione presente. In termini più precisi: ciò appartiene al tempo oggettuale; [gli oggetti] sono intesi come determinati dalla loro posizione assoluta nel tempo oggettivo. Se prescindiamo da questo, abbiamo ancora le

esperienze viss11te nella cosdenza interna de/ tempo, e loro redproca positfone temporale asso/111a, hanno cioè il loro prima e il loro

esperienze vissute costituenti che sono queste hanno la

dopo. Lo stesso vale per le esperienze vissute di fantasia, che compaiono in questa cor­ rente, mentre gli oggetti, che esse intendono, non hanno alcuna posizione temporale assoluta che sia identificabile. Pertanto, tra tutte le esperienze vissute di un io sussiste un'unità temporale, che di certo non è un'unità dell'intuizione. Ciò che è inteso nelle esperienze vissute, quindi, ciò che è intuito, gli oggetti percepiti, ricordati, fantasticati sono invece separati gli uni dagli

altri. E anche se tra tutti gli oggetti individuali percepiti c ricordati delle esperienze vis­ sute posiziona/i sussiste un'unità, che può essere resa intuitivamente, e che queste espe­

rienze hanno sulla base della loro posizione temporale assoluta nel mondo oggettivo,

questa possibilità di correlazione non vale per gli oggetti di fantasia. Nondimeno, poiché una coscienza interna del tempo, resta lopossibilità di stabilire una rorrelozione inl11itiva [207) Ira 1111/i gli oggelli che in essa sono stati rosliluiti.

si sono costituiti insieme nel flusso di

b) La duplkefunzione dell'aJsoàazione per la fon-dazione della L"osdenza posiziona/e Affinché però di fatto venga stabilita una tale correlazione intuitiva, un'unità d'intui­ zione tra oggetti intenzionali di un io, che però siano tra di loro temporalmente separa-

1 51

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività ti, non basta il dato di fatto del loro essersi costituiti insieme nella coscienza di un io. La coscienza interna del tempo anzi è solo una forma generale della coscienza costirutiva (cfr.

§§ 16 e 38).

Il suscitarsi di fatto e quindi l'unificazione intuitiva di fatto di percezio­

ni e ricordi, e correlativamente degli oggetti intenzionali della percezione e del ricordo, è un'operazione che fa l'associazione, cioè questo modo della sintesi passiva fondata sulle sintesi inferiori della coscienza del tempo. Siamo già dovuti tornare alle regolarità dell'associazione e dell'affezione, per comprendere le strutrure di un campo sensibile, di un campo in cui sono già presenti oggetti che hanno potere affettivo e che si trovano insieme in una singola presenza. [Siamo già dovuti tornare alle regolarità dell'associa­ zione e dell'a ffezione) anche per comprendere la possibilità che da questo campo emer­ gessero delle singole datità e che l'io fosse indotto a rivolgersi ad esse e ad apprenderle come oggetti (associazione omogenea), così come la possibilità dell'unificazione di dati che, provenendo da diversi campi sensibili, giungevano a una sola presenza (associazio­ ne eterogenea) . Ma oltre a questa funzione di unificazione all'interno di una presenza, l'associazione ne ha un'altra più ampia: di unificare ciò che è separato, nella misura in cui sia stato solo in generale costituito in una corrente di coscienza, [di unificare) il pre­ sente con il non presente, ciò che è atrualmente percepito con ricordi remoti, separati da esso, e anche con oggetti di fantasia 15;

(208)

qualcosa di uguale qui ricorda qualcosa

di uguale lì, il simile ricorda il simile. Ha così luogo una peculiare relazione reciproca, certo nella s fera della passività e della ricettività, su di essa costruita, e non ancora una relazione in senso logico, nel senso di una coscienza spontanea, produttiva, in cui una relazione in quanto tale venga costituita. Se ci limitiamo, per adesso, alla coscienza posizionale, l'operazione dell'associazione è innanzirutto quella di vivacizzare la correlazione, che hanno rutte le percezioni di un io, quelle presenti e quelle passate, sulla base del loro essersi costituite in una coscienza del tempo, e di stabilire tra di loro un'effettiva unità di coscienza. Solo sulla base del risveglio associativo, ricordi separati possono essere legati l'uno all'altro e inseriti, trocedendo di elemento in elemento, in

un 'unù-a

re­

correlazione intuitiva dd ricordo. Se

cioè i ricordi sono suscitati associativamente una volta, essi possono poi incardinarsi in una correlazione temporale, e possono essere determinati il prima e il dopo, "come e ffettivamente erano", e la loro posizione temporale nel passato16• Così il risveglio asso­ ciativo rappresenta il presupposto per la costituzione delle relazioni temporali, del "prima" e del "dopo". Certo, nell'ambito della ricettività, a cui ci atteniamo ora, non accade se non che si stabilisca una correlazione unitaria del ricordo, non accade se non di ripercor­ rere, mediante presentificazioni, la correlazione tra ricordi suscitati associativameote. Su questa base, poi, a un livello più alto, le relazioni temporali possono essere apprese, trovando espressione nelle modalità temporali del giudizio predicativo.

1�

16

Cfr. supra [pp. 78 e sg.] In merito, cfr. le essenziali integrazioni dell'.\ppendice l.

1 52

§ 42. La possibilità di stabilire una correlazione inruitiva tra gli oggetti Grazie alla connessione associativa anche il mondo dei ricordi, che non è più vivo, riceve una sorta di essere, ancorché non sia più attuale; qualcosa di presente "suscita" qualcosa di passato, travalica in un'intuizione e in un mondo d'intuizione sommersi. Dall'uguale o dal simile la tendenza va verso una rimemorazione completa e, anche prima che qualcosa effettivamente emerga nel ricordo, "ciò che ci fa ricordare" ha la peculiare "intenzione di tornare al passato verso l'uguale o

il

simile"; ci si ricorda

dd simile, che non è un vuoto nulla, ma per la coscienza è analogo all'orizzonte che sprofonda di ciò che è stato appena intuito o (che è lo stesso) [è analogo] a ciò che è appena stato intuitivo, il quale persiste oscuramente nell'orizzonte di ciò che è ancora

effettivamente intuitivo. C'è dunque un processo inverso. Dal dato intuitivo (percezio­ ne o ricordo) si muove un'intenzione, una tendenza intenzionale, in cui, gradualmente e senza interruzioni, ciò che è sommerso, e non vive più, sembra diventare vivo e sempre più vivo finché, con un ritmo talora più lento, talora più veloce, ciò che era sommerso riappare di nuovo come intuizione. Quando il ritmo è molto rapido, parliamo di un ap­ parire "repentino", benché le differenze di fatto siano solo di grado.

sommerso è

solo un

limite dello sprofondamenlo,

L 'esser complttamenle

e, dall'altro lato, il limite opposto è la piena

intuitività; sicché l'intuitività non è davvero una rottura. Certo, a ciò si lega il processo della sovrapposizione e della compenetrazione, della fusione di ricordi appartenenti a differenti mondi di ricordi, che sono stati "suscitati".

La ragione per cui un tale "risveglio", derivante dal presente e rivolto alla vivificazio­

ne del passato, è possibile, va cercata nel fatto che tra l'uguale e il simile si è già prima [210) costituita in modo passivo un'unità "sensibile", un'unità nella "sottocoscienza", che unisce le diverse posizioni delle intuizioni effettive e di quelle sommerse. Così in tutte le posizioni, e in conformità di tutte le uguaglianze e le somiglianze, ci sono con­ nessioni costanti, e il "risveglio", il ricordo di ciò che è precedente, è solo la \·ivifica­ zione di qualcosa che già c'era prima. Certo, questa vivificazione introduce qualcosa di nuovo, una nuova intenzione parte da ciò che ha suscitato il risveglio a ciò che è stato risvegliato, un'intenzione che, dopo essersi irradiata, cambia stato e diviene una perma­ nenza fenomenica. Tutti questi processi di risveglio e di collegamento associativi si compiono nel domi­ nio della passività, senza nessun intervento da parte dell'io. Il risveglio viene suscitato

da ciò che è adesso percepito, i ricordi "affiorano", che si voglia o no. Ma l'io può anche avere il desiderio

di ricordarsi, di presentificare di nuovo un avvenimento passato nel suo

sviluppo. All'inizio si possono presentificare solo dei frammenti, ancora disordinati

rispetto al prima e al dopo. Può accadere che le parti intermedie manchino, che l'io, con delle presentificazioni di prova, cerchi di vivificare [quel che vuole ricordare], usando certi elementi come leva dell'evocazione, fino ad avere davanti a sé finalmente l'intero evento in una catena chiusa di ricordi, assegnando così a ciascun pezzo la sua posizione temporale. Ma anche questo

ricordarsi attivo è possibile solo sulla base di un risveglio già ollenuto associativamenle; il risveglio stesso è un risultato, che si consegue sempre passiva1 53

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle rc:lazioni e la sua fondazione nella passività mente. L'attività dell'io può fornire solo i presupposti per rutto ciò; essa può scoprire gli elementi intermedi appropriati, mediante attualizzazioni di prova di tratti del ricord o non dimenticati, e [dagli elementi intermedi) il raggio del risveglio associativo può arri­ vare

[211]

fino a ciò che è sprofondato e vivificare di nuovo anche ques to. Tutto questo

è il tema di una fenomenologia della coscienza presentificante, che qui non possiamo indagare oltre. L'associazione ha quindi una duplice funzione per la coscienza posizionale: essa, da un lato, stabilisce, sulla base della posizione assoluta nella corrente della coscienza del tempo, la correlazione di fatto tra tutte le percezioni di un io, tra quelle presenti e quelle passate, nell'unità di una memoria, dall'altro, stabilisce un'unità intuitiva del ricordato, legando ciò che è stato evocato nell'unità dell'intuizione con ciò che lo ha evocato,

in

un modo che dovrà essere ancora discusso. t) L 'unificazione

intuiliva di intuizioni pemttive e difantasia, sulla base del/'assodazione e il concetto più ampio di unità dell'intuizione Questo è di particolare importanza se consideriamo che questa correlazione asso­ ciativa tra

tutte le

esperienze vissute di un io sussiste nella misura in cui esse in generale

costituiscono in sé stesse qualcosa di oggettivamente simile o comparabile; che [questa correlazione] non comprende solo le intuizioni percettive, ma anche quelle di fantasia, che però sono in sé stesse slegate quanto alla loro temporalità. Nella corrente della coscienza quindi non solo si costituisce un'oggettualità unitariamente correlata all'interno dei tratti presenti, nel senso più ampio (presenti, cioè, sia in una percezione, sia in un ricordo o an­ che in un'intuizione di fantasia) e poi dopo, nel flusso di queste presenze, un'unità coesa; ma, su queste connessioni unitarie dei singoli tratti presenti, viene stabilita ancora una mll­ nessione traprrsenze, non importa q11anto diverse, di cui una è effettiva e l'altra è sprofondata. Ciò che è sprofondato viene [212] ridestato associativamente e presentificato intuitivamente c viene così unificato con ciò che lo ha suscitato in una nuova presenza. Da ciò dipende l'unità possibile tra ciò che è presente e ciò che è passato, tra per­ cezione e ricordo suscitato associativamente o intuizione di fantasia. Questa è un'unità intuitivo-sensibile, costituita in un campo intuitivo vero e proprio e, oltre a questo, io un campo temporale vivente; è cioè

11n '11nilà .fondata s11 singolarità int11itive.

Questa uniti

presuppone un'unità di coscienza, in cui un originario campo temporale si costituisce col suo contenuto, o in cui un campo modificato, quasi-intuitivo si costituisce nell'unità di un ricordo o di un ricordo che riconduce a una percezione. Qui non abbiamo mai solo un qualche connessione o successione di intuizioni, ma

11na sola intuizione

con

una correlativa unità oggettuale. Ad essa appartiene la forma temporale, in quanto forma che connette e rende possibile rutti gli altri collegamenti, e (nel caso degli ogget· ti trascendenti) la subordinata forma spaziale; naturalmente, quando c'è un'intuizione unitaria di oggetti che non sono effettivamente coesistenti, la forma spaziale non è la

1 54

§ 42.

La

possibilità di stabilire wta correlazione intuitiva tra gli oggetti

forma dello spazio oggettivo, ma di uno spazio fenomenico, in cui ciò che appare non si costituisce, in maniera connessa, nell'unità di una durata oggettiva, ma è collegato in base a un risveglio associativo. Se mettiamo la scrivania ricordata accanto a questa scrivania percepita, abbiamo uno spazio che ha una pienezza spaziale e in esso si presenta vivacemente una seconda scri­ vania, e un tempo in cui appare per un momento la giustapposizione delle due scri,·anie. Non importa affatto che la scrivania ricordata in sé stessa

(213]

"appartenga" a un altro

tempo oggettivo rispetto a quello della scrivania percepita. Abbiamo un'unità dell"'im­ magine" e cioè dell'immagine di un presente, di una durata con la sua coesistenza, a cui appartiene l'unità spaziale. Se si tratta di oggetti fisici, possiamo "mettere insieme" spazialrnente o "giustapporre", in uno spazio fenomenico, oggetti di campi di presenza diversi, possiamo giustapporli o avvicinarli anche temporalmente, e questo possiamo farlo sempre, anche con oggetti non spaziali o con oggetti che non possono coesistere. Possiamo quindi dire: avviciniamo oggetti, che appartengono a campi di presenza di­ versi, trasponendoli in

11no stesso

campo temporale; possiamo spostare un oggetto nel

campo temporale intuitivo dell'altro. Così li portiamo in una successione intuitiva o in una coesistenza intuitiva (cioè nell'unità di durate simultanee). Se sono oggetti spaziali, appaiono

eo ipso nell'unità

di uno spazio, e precisamente [nell'unità] delle parti di uno

spazio infinito, che comprende gli oggetti dell'intuizione privilegiata, ed essi appaiono qui, nel caso della simultaneità, come se durassero l'uno accanto all'altro o come se, es­ sendo apparsi l'uno dopo l'altro, fossero rimasti in questo spazio.

Un'unità dell'intuizione,

un insieme unitario di oggetti intuitivi (non conta se percepiti o presentificati) significa dunque (poiché qui stiamo nella sfera degli oggetti individuali o quasi-individuali) un'u

­

nità de/ tempo, in CIIi questi oggelli stanno insieme intuitit)(Jmente.

Certo, occorre qui distinguere

che cosa spetta alla passività, ovvero l'essere evocato, e che cosa, su questa base, spetta all'attività (ricettiva), ovvero l'apprensione di ciò che è stato evocato, il rivolgersi a ciò che era già presente in maniera unitaria e intuitiva. Questa unità dell'intuizione, originariamente stabilita dall'associazione,

(214]

non è

dunque possibile solo tra percezioni e ricordi di un io, ma anche tra intuizioni posizio­

nati e intuizioni di fantasia. Abbiamo perciò ottenuto un concetto ampissimo di unità dell'intuizione, che potremmo definire come segue:

l'unità dell'intuizione è l'unità di 11na coscienza intuitiva di oggelli e ha rome rorrtlato un imità i11t11itiva di oggelli. Diversi individ11i (o quasi-individui delle intuizioni di fantasia) possono ptrò giungm all'utlità di 11n Intuizione, vale a dire possono formare un'unitaria oggettua­ lità intuitiva solo se sono t"Ompresi nel/imità di un tempo t"Ostituito intuitivamenle e quindi se essi appaiono fenomenicamente simultanei o successivi (o temporalmente sovrapposti, parzialmente simultanei, parzialmente consecutivi) nell'unità di una presenza intuitiva. Da ciò deriva che l'unità dell'intuizione temporale è la rolldizione di possibilità di ogni 1111ità diU/ntuiifone per qualsiasipluralità t"Onnessa di oggetti, che sia11o tuili oggetti temporali; ogni altra connessione di tali oggetti presuppone pertanto l'unità temporale.

1 55

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passivuà

§ 4 3. Relazioni di tonnessione e di tomparazione a) Relazioni di tvmparazione tome pure relazioni d'essenza ("relazioni Ira idee '? Per un soggeno di coscienza (un io puro) più oggetti possono presentarsi in ge­ nerale nell'unità di una coscienza intuitivo-passiva solo in queste due forme: o siamo coscienti di più oggetti nell'unità di un'intuizione [215) , e questi sono intuiti in una pre­ senza che li comprende, oppure ne siamo coscienti in più intuizioni non correlate, cioè non connesse nell'unità di un'intuizione presentante: in intuizioni, che, invece di avere l'unità di 11n'intuizione, hanno solo /unità che connette

/11/tt le esperienze ,·issute di un

io nella coscienza interna e nel tempo dell'esperienza che è loro relativo - ,.i appartiene anche l'unità che comprende le esperienze vissute intenzionali, che non sono intuitive. Certo, tutte queste intuizioni, poiché sono cos tituite in una corrente di coscienza, e in base alla loro possibilità di essere evocate associativamente, possono essere collegate nell'unità di una presenza, in cui è unificato intuitivamente ciò che non è omogeneo per contenuto: la scrivania ricordata, che abbiamo "spostato" nello spazio percettivo accanto alla scrivania e ffettivamente percepita, è ora intuita dalla coscienza insieme a quest'ultima. Senza dubbio, la scrivania ricordata non ha un'effettiva posizione spaziale rispeno a quella percepita, è solo "quasi" accanto a essa, così come non ha un'assoluta posizione temporale rispetto a quella percepita. Possiamo però comparare le due scri­ vanie nell'unità di questa intuizione. Così quest'unità dell'intuizione nel senso più ampio rappresenta ilfondamento di IN/te k n/azioni di 11g11aglianza e somiglianza, relazioni queste che non sono nla�oni di realtà. Esse sono state tradizionalmente (H urne, ecc.) rubrica te tra le "nla�oni tra idee", perché sono fondate solo nei "contenuti" delle rappresentazioni. Cioè, la loro forma di unità è fon­ data esclusivamente sui contenuti d'essenza, ovvero su determinati momenti essenziali degli elementi combinati. Se gli oggetti in questione ci

sono,

allora c'è anche necessaria­

mente la loro unità. In termini fenomenologici: se gli oggetti connessi da una tale forma di unità sono dati "in una volta", sono dati alla coscienza in una sola presenza, se essi possono essere rappresentati in generale [216) in maniera intuitiva (almeno quanto ai momenti essenziali fondanti) all'interno dell'orizzonte di un presente intuitivo, allora anche la loro unità può essere intuita in questa forma (precostituita passivamente), al di là che essa sia appresa o no. Allo stesso modo non conta se gli oggetti siano percepiti, ricordati, attesi o se essi, o alcuni di essi, siano pure finzioni, oggetti di fantasia nei loro modi temporali funzionali. Queste unità che fondano le relazioni di comparazione non sono vincolate agli oggetti temporali, agli individui e hanno perciò un riferimento al tempo che è solo mediato dai loro elementi. Se è vincolata al tempo

a né

al tempo

a ',

a viene dopo a ', la loro uguaglianza non

né all'intervallo tra questi tempi, ma agli oggetti

temporali e, quindi, è legata all'intero tempo e ai particolari tratti temporali. Tali unici

1 56

§ 43. Relazioni di connessione e di comparazione

o relazioni si individuano sui loro latori individuali, o si particolarizzano nella partico­ larità del genere o della specie dei loro latori. Se un elemento è finzionale, la relazione non va perduta: l'elemento effettivo (mlleJ ha dawero il predicato relazionale, mentre il contro-elemento ha il modo dell'essere finzionale (del quasi-essere solo nella fantasia), così che la stessa relazione subisce una peculiare modalizzazione. b) !....a coslilllzione delle più importanti relazioni di connessione (le relazioni di rea/là} Alle relazioni di comparazione, che si fondano solo nel contenuto essenziale degli elementi comparati senza alcun riferimento al loro essere hic el mm'; si oppongono le relazioni di realtà, che riguardano la connessione tjfettiva Iragli elementi della relazione (le "rela­ zioni tra dati di fatto"). Si tratta di relazioni, che sono possibili solo tra oggetti indivi­ duali. La loro più bassa unità fondante è l'unità (217] della amnessione t}ftlliva in 11» tempo, in cui gli elementi connessi hanno la loro posizione temporale assoluta (cfr. § 40) . Tutti gli oggetti individuali hanno una durata temporale e una posizione temporale, sono estesi, con il loro contenuto essenziale, su un originario continuum temporale e hanno, nella loro essenza complessiva, in quanto essenza generale, un'estensione temporale di grandezza definita, che è la loro durata, e un contenuto temporale, che riempie questa durata. Le parti temporali di tali oggetti (c correlativamente le porzioni della durata) sono, per loro essenza generale, unite nell'essenza complessiva, che connette estensi­ vamente l'essenza delle parti. Preso nella sua individualità, l'oggetto intero è un intero temporale e quest'unità è un'unità della connessione temporale. L'intero qui è in dive­ nire, ed un intero è solo in quanto è ciò che è ora divenuto; l'insieme delle sue parti è il suo esser divenuto insieme e precisamente il suo esser divenuto poco a poco, che si estende a rutte le parti e a tutte le parti delle parti. Ogni oggetto temporale ha il suo contenuto temporale, un'essenza estesa, e questo intero può essere ora individuale, per­ ché si estende, perché è in divenire. Il divenire individualizzante ha quindi la sua forma essenziale con le sue particolarità formali, o meglio ha i diversi modi di divenire della durata, insieme a ciò che gli appartiene in altra maniera. Tutte le connessioni reali tra oggetti temporali sono dunque connessioni tra estensioni temporali all'interno della forma del tempo. Un qualsiasi insieme di rappresentazioni unite in un presente di co­ scienza non rende qui rappresentabile la connessione temporale: più precisamente, un oggetto temporale non è intuitivo nel senso più pieno, e invero come oggetto tempo­ rale nella sua determinata durata individuale (che individualizza essenzialmente anche l'oggetto), quando è rappresentato nella sua intera essenza (rispetto alla sua ripetibilità, comparabilità). Il collegamento non si fonda nella sua essenza ripetibile, nello stesso modo delle formazioni di unità che fondano ffimdierendm) la comparazione, ma, oltre a questa e in maniera necessaria, [si fonda) nella sua irripetibilità (218] temporale, nel suo divenire che ne individualizza il contenuto temporale. Solo nella riproduzione del divenire, o ;, un 'altra rappresentazione che presenti individualmente tm divenire, gli oggetti temporali (che sono 1 57

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

nel diwnire) possono essere rapprestnlali come unità del diwnire e come esser diven11/i.

Un oggetto

temporale uguale può (in quanto essenzialmente "lo stesso") apparire in diversi conte­ sti individuali di divenire, in cui restano indisrurbate le sue relazioni essenziali con altri oggetti siffatti (di uguale durata ovvero di uguale forma del divenire e di uguale materia del divenire) . La connessione temporale e l'ordine temporale sono quindi diversi. Tutti gli oggetti individuali sono temporalmente "connessi"; essi appartengono a un unico ordine del divenire e possono essere rappresentati solo nella riproduzione di quest'ordi­ ne [che vige] nella rappresentazione del divenire che costituisce il tempo. L'individualità del divenire fonda l'unità connettiva e l'ordine (relazione) . Similmente si comporta

l'ordine della po.rit,ione spat,iale,

fondato sull'ordine temporale

degli oggetti individuali. Lo spazio è l'ordine della simultaneità individuale di cose che si presentano sensibilmente (materialmente) .

I

momenti individualizzanti (e, nella forma

temporale di ciò che è allo stesso tempo, sono [il] qui e [il] là che individuano) possono fondare una correlazione, mentre la posizione spaziale e la diffusione spaziale fondano una correlazione spaziale. La diffusione è essa stessa una correlazione continua di con­ nessione. Come un tempo è ciò che è solo nella sua correlazione universale del dive nire, così uno spazio (una posizione temporale, una figura spazialmente determinata, un or­ dine spaziale, ecc, anche una distanza) è ciò che è solo nella correlazione universale, ma individuale, che è quindi unica. Nel contenuto proprio

[Wasgebal� della rappresentazio­

ne isolata di un oggetto temporale, e allo stesso modo eli quella eli una figura qualificata spazialmente, non v'è nulla che la

[219)

distingua intuitivamente da un qualsiasi altro

oggetto simile, rappresentato nello stesso modo; ma l'individualità della posizione non è ancora data in delle rappresentazioni semplicemente isolate. Solo quando rappresento intuitivamente una comprensiva correlazione temporale tra due oggetti, ho l'intuizione della distanza e del loro relativo ordine temporale, della posizione temporale; così solo quando, invece eli oggetti isolati,

rappresento inl11ilivamenll lo spat,io cbe li comprende comefor· ma d'ordine, allora bo rappresenta/o qualcosa in più, qualcosa che li distingue spazialmen/t. Certo, in maniera solo relativa; ho un'inclividuazione completa, solo se ritorno al mio bit ti

nunc. Diversamente ho una non intuitività, ovvero una rappresentazione intuitiva e però un'indeterminatezza riguardo a ciò che individua la posizione; ho un'inclividuazione relativa eli corpi rispetto a corpi nell'ordine spaziale relativo, ma questo stesso non è del

qui e ora, la dtterminat,ione richiesta

tutto determinato quanto alla sua posizione. Solo quando mi appello al mio ottengo (nonostante la mancanza di una determinazione logica)

per l'inluit,ione individuale in quanto tale. Due corpi dati intuitivamente non consentono quindi ancora la rappresentazione originaria della distanza che li separa, in quanto relazione spaziale, nello stesso modo in cui invece offrono una rappresentazione intuitiva, un'intuizione della loro somiglianza, qualora siano in generale rappresentati insieme. [Per ottenere una rappresentazione originaria della loro relazione spaziale] occorre che entrambi i loro dintorni spaziali intuitivi siano riuniti in

uno spazio, nel quale i due corpi si trovano, e perciò è necessario

1 58

§

43.

Relazioni di connessione e di comparazione

che entrambi siano prospettati [absdJa/ltn) in 11n campo visivo o tattile. Tuttavia, così non abbiamo ancora un'adeguata rappresentazione della distanza e quindi non sappiamo se la distanza tra questi due corpi è più grande o più piccola di quella tra altri due corpi. Non possiamo ancora [220) senz'altro comprendere se la loro distanza è relativamente più grande rispetto a un'altra distanza più piccola, giacché per comprenderlo dobbiamo percorrere, da una parte all'altra, le correlazioni che costituiscono quella distanza. Così, se vogliamo rappresentare l'uguaglianza tra le grandezze di due distanze, dobbiamo percorrere queste distanze e riferirle a orientamenti uguali. Delle relazioni, che riguardano la connessione reale (relazioni di connessione), ap­ partengono inoltre anche quella di causa ed effetto, di intero e parte, di parte e parte, per citare solo le più importanti. Nessuna relazione di realtà può sussistere tra una cosa reale e una quasi-reale, cioè [queste relazioni] non si possono costituire in ragione del loro presentarsi in sé stesse, quando di un elemento siamo coscienti come di [un elemento) reale e di un altro come di un ftctnm. Se un intero è reale, anche la parte lo è; e un ftctnm non può connettersi con qualcosa di reale per formare un intero. Lo stesso vale, per esempio, per le distanze spaziali. Due cose hanno una distanza; la distanza appartiene loro e, anche se non ha esistenza al pari di una cosa, ha un'esistenza fondata sull 'esistenza della cosa, che è l'unica vera e propria esistenza. La distanza spaziale e, in generale, la posizione spaziale, è una relazione che presuppone una connessione reale. Tutte queste relazioni di realtà possono ovviamente essere traslate al quasi e possono fare la loro comparsa nel quasi, per quanto si estende l'unità di un'intuizione di fantasia e di un mondo di fantasia.

c) Concetto nslrello e conce/lo ampio di unità dell'intuizione Le relazioni di uguaglianza e di somiglianza sono invece del tutto indifferenti a tale mancanza di correlazione di ciò che non è realmente connesso. Esse [221) sono in­ differenti a ciò perché hanno la loro origine solo nel collegamento che è precostituito mediante l'unità dell'associazione. Per quanto grande e costante possa essere l'efficacia dell'associazione sulla costituzione di oggetti composti unitariamente e dci mondi di oggetti, l'associazione è efficace anche laddovc gli oggetti piovono, per così dire, senza correlazione, sulla coscienza. Essa forma un legame, in particolare come associazione per somiglianza. Questo collegamento, entrando nello sguardo tematico, è il fonda­ mento per la costituzione attiva dei rapporti di somiglianza e di uguaglianza. Anche qui dobbiamo quindi distinguere l'unità istituita passivamente tra due oggetti c ciò che, nella ricettività su di essa fondata, viene appreso come uguaglianza e somiglianza e ancora, a un livello più alto, ciò che si costituisce come relazione di somiglianza nella produzione spontanea. Rispetto alle relazioni di uguaglianza e di somiglianza, le relazioni di realtà presup­ pongono dtlk intuizioni dJt rig11ardano lt connmio11i reali, le quali sono chiamate, in senso

1 59

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

ristretto eproprio, intuizioni correlative. Esse formano un'unità dell'intuizione non solo di ciò che è collegato insieme, ma di ciò che è omogeneo - un'omogeneità nel contesto di un mondo (o di un quasi-mondo) che può essere, per principio, intuito. In un senso ancora più ristretto, parliamo di unità dell'intuiifone, quando gli oggetti, uni­ ti intuitivamente in una presenza, si presentano effettivamente in sé stessi in quanto oggettivamente esistenti nello stesso tempo e solo perché sono dati in quanto sé stessi. Per esempio, se un viale si presenta nell'unità di un'intuizione, allora esso deve cadere nell'unità dell'intuizione con tutte le sue parti. Se una parte è coperta, noi abbiamo l'unità dell'intenzione, nel senso più ristretto, solo per la parte che si vede, [222] e non per l'intero viale. Questa unità è l'unità di una percezione propria; ciò che in una qualsiasi percezione rientra in quanto compresente in maniera impropria, non appartiene più all'unità dell'intuizione. Questa unità dell'intuizione ha naturalmente il suo analogo nel­ la presentifìcazione (cfr. §§ 37, 40). Questa distinzione tra connessioni di realtà e unità dell'intuizione di ciò che è col­ legato solo per comparazione prepara la contrapposizione, che sussiste sul livello più alto, cioè quello categoriale, tra relazioni di connessione e relazioni di mmparazione. Possiamo comparare tutto ciò che è costituito nelle esperienze vissute che occorrono nella co­ "s cienza interna, proprio perché questo viene collegato nell'unità intuitiva di una presen­ za; in altre parole, tutto ciò che può rientrare nell'unità di un'esperienza possibile e cioè, correlativamente, nell'unità di un mondo possibile. Ma solo ciò che è costituito come oggetto unitario, in maniera davvero originaria, ha l'unità connessa. Certo la connessione sussiste, in certo modo, anche tra ciò che non è connesso, tra ciò che non è effettivamente omogeneo, ma che è solo collegato nell'unità di un'intu­ izione; questa però non è una connessione reale tra oggetti, ma solo una connessione tra esperienze vissute costituenti, cioè la loro connessione nella corrente di coscienza. Le esperienze vissute hanno la loro reciproca posizione temporale assoluta, tanto quelle posizionati quanto quelle neutrali, le quali costituiscono oggetti di fantasia e non oggetti costituiti nelle esperienze vissute.

d) La costituzioneformale dell'unità qualefondamento delle relazioniformali È opportuno qui menzionare un altro modo in cui si può formare l'unità che fa da fondamento per alcune peculiari relazioni, [223] ovvero per le relazioniformali. Si tratta dell'unità-antologico-formale, che non riguarda la connessione reale degli oggetti uniti e non è fondata nei loro momenti essenziali né nella loro essenza complessiva. È questa un'unità che si estende a tutti gli oggetti possibili, individuali o non individuali; è, cioè, la forma collettiva di unità, cioè quella della composizione [Zusammen]. Essa si presenta origi­ nariamente ogni qual volta oggetti qualsiasi, che siano così uniti, si presentano intuitiva­ mente alla coscienza (a un presente della coscienza) . L'"intero" unitario della collezione diventa oggettivo in senso peculiare (tema), se hanno luogo singole apprensioni con-

1 60

§ 44. Analisi dell'osservazione comparativa. Uguaglianza

e somiglianza

tinue [di questi oggetti] e della loro totalità. Ne consegue la proposizione ogni e ciascuna cosa (ogni cosa possibile, incluso anche tutto ciò che è reale) può essere intuita in una coscien­ ifl (in un'intuizione originaria, che sia reale e possibile), e Ua proposizione] ogni e ciascuna cosapuò essereperprincipio collegata, sono equivalenti. L'unità collettiva non è essenzialmente fondata nei contenuti, giacché l'essenza non è affatto presa in considerazione, eccetto per le distinzioni che da essa dipendono. Fare dell'intero della collezione un oggetto, è certo già un'operazione di livello più alto, propria cioè non della ricettività, ma della spontaneità produttiva, e allo stesso modo in generale le relazioni formali compaiono solo su questo livello e presuppongono sempre le operazioni del pensiero predicativo. Dovrebbero qui bastare questi cenni, lasciando alle analisi che seguono una più ampia discussione di merito (cfr. §§ 59-62).

§ 44. Analisi dell'osservazione t'Omparativa. Uguaglianza e somiglianza Passiamo ora a quelle relazioni di uguaglianza e somiglianza, che sono particolar­ mente importanti, per la loro universalità. Pur restando ancora nella sfera della ricet­ tività, è però necessario indicare che queste relazioni sono di straordinario significato anche nelle più alte sfere dell'aggettivazione per la costituzione della coscienza di gene­ ralità e, al livello in assoluto più alto, per la coscienza dell'essenza, così che sarà neces­ sario tornare sull'argomento nella Terza Sezione. La comparazione come attività, come osservazione che mette attivamente in rela­ zione, come movimento attivo della mira apprensionale, che scorre da un lato all'al­ tro degli elementi messi in relazione, presuppone originariamente un'uguaglianza o somiglianza "sensibili", qualcosa che è efficace nella sensibilità prima che intervenga una qualsiasi apprensione singola o una qualche correlazione. Più oggetti, che hanno. rilevanza sensibile, fondano sensibilmente la forma di unità della somiglianza e dell'u­ guaglianza sensibili dei gruppi sensibili17. Il dato sensibile esercita uno stimolo; suscita l'interesse di livello inferiore a compiere apprensioni singole e una loro ricomposizione continua. Pensiamo qui sempre a un gruppo di oggetti simili, che, nell'unità di un'intu­ izione nel senso più ampio, sono confluiti in una quasi-coesistenza, [oggetti cioè che] si sono riuniti in un"'immagine". Il continuo decorso dell'osservazione si trasforma in una successione di apprensioni singole, e, nel passaggio da apprensione ad apprensione, emerge per l'osservazione, qui e lì, il fondamento della somiglianza e dell'uguaglianza, che abbiamo già notato in qualche modo nella passività, e così si profila anche ciò che è dissimile per contrasto. Ciò che è comune "coincide" e ciò che è differente si separa. Non c'è solo la sovrapposizione, che sussiste in ogni coscienza unitaria, quando questa passa da un oggetto all'altro, nella forma del tenere in pugno, ma anche una coincidenza

17 In merito, cfr.

§

16.

161

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

nel senso oggettuale. Laddove l'apprensione trascorre (225] da A a un B uguale o simile, nella coscienza, B coincide per sovrapposizione con A, che è stato ancora tenuto in pugno: ciò che è uguale in entrambi coincide, mentre ciò che non è uguale entra in contrasto. Occorre, tuttavia, ancora distinguere la t"oinàdenza per uguaglianza da quella per somi­ glianza. Soffermiamoci anzitutto sulla prima: se apprendo A e poi passo a B, ciò che in B è ritenuto uguale ad A si unifica [con A] in modo tale da sottolineare il momento relati­ vo di B, da metterlo in rilievo; ciò accade perché [il momento di B] coincide con quello relativo di A e vi coincide senza alcuno "scarto", vi si unisce completamente, talché ciò che è coperto si vede completamente attraverso ciò che lo copre. La distinta dualità di A e B, e anche ciò che hanno in comune, si trasformano in un'unità, che conserva nella coscienza una duplicità, ma, quanto al contenuto, non c'è alcuna distinzione o dualità di elementi che stiano "l'uno fuori dall'altro". L'uno è nell'altro e solo per questo essi sono due. Essi formano un solo insieme che è, per così dire, presente in due "edizioni". Anche se invece la relazione è quella della semplice somiglianza, c'è pur sempre una coincidenza, giacché il momento-B in questione, che è stato originariamente percepito, coincide con il relativo momento-A, che si presenta nella coscienza dell"'ancora". Ma ciò ·che è simile in A, e che viene visto attraverso ciò che è simile in B, coincidendo con esso, lascia uno "st'Cirto"; esso è "fuso" con l'altro in ciò che li accomuna, ma resta una dualità, che comporta anche una separazione materiale, così che sussiste separazione e coincidenza tra ciò che è "affine". Gli elementi così non arrivano a formare un uguale, ma una coppia, in cui l'uno è senza dubbio "uguale" all'altro, benché ne rimanga "stac­ cato". Questa dualità, in virtù dell'unità di ciò che [i due elementi] hanno in comune, può avvicinarsi sempre di più all'unità (226] di un'affinità completa, e quindi all'ugua­ glianza e alla coincidenza essenziale senza scarto; può anzi approssimarvicisi così tanto che possiamo parlare di un'uguaglianza approssimata, di una somiglianza, che è quasi un'uguaglianza completa, con solo poche deviazioni. Ma la differenza resta nonostante i passaggi continui. Naturalmente bisogna distinguere queste coincidenze per uguaglianza e per somi­ glianza dalla coincidenza esplicativa, in cui le parti dell'oggetto sono apprese come appartenenti all'oggetto. Non si tratta qui affatto dell'appartenenza oggettuale delle parti all'intero nel senso più ampio. Ma [queste coincidenze] , come è stato già notato, si distinguono anche dal carattere generale della sovrapposizione, che ha luogo in ogni çollegamento e nella semplice composizione di una pluralità di oggetti. La semplice composizione non perviene ancora a una coincidenza per uguaglianza, a una sovrap­ posizione attiva tra gli elementi composti, in riferimento alle loro uguaglianze o somi­ glianze - a un'operazione attiva che sia motivata dalle uguaglianze e dalle somiglianze sensibili. Certo, possiamo mettere insieme, possiamo comporre per congiunzione, ogni cosa, ma questo diventa una comparazione solo quando l'intenzione è rivolta al/'uguagli4tl­ ifl o alla .romiglianza, ovvero solo quando abbiamo l'intenzione di "cercare" quel che c'è 1 62

§ 45. Somiglianza totale e parziale (somiglianza in relazione a)

in comune. Vale a dire: anche se all'inizio solo un'uguaglianza sensibile, che ci ha già col­ pito, ci motiva, come un tipo di unificazione, a passare all'esplorazione comparativa dei particolari e alimenta la tendenza a mettere in rilievo ciò che vi è in comune, possiamo comunque fare un tentativo per trovare una somiglianza anche tra ciò che è eterogeneo e vedere se riusciamo a raggiungerla effettivamente. L'opposto della somiglianza sensibile, che può aver luogo in tali casi, è quello che noi designiamo con dirsomiglianza in un senso pregnante, [227] con cui non s'intende un grado minimo di somiglianza, una somiglianza molto limitata, ma la negazione com­ pleta della somiglianza che vogliamo designare come eterogeneità. Essa compare, quando l'intenzione, precedentemente rivolta all'omogeneità, è stata delusa, quando subentra un contrasto completo nel tentativo di trovare una coincidenza per sovrapposizione. Resta qui in sospeso se sia possibile una tale eterogeneità completa, se tutto ciò che si costituisce in una coscienza non abbia comunque qualcosa in comune, almeno una specie di uguaglianza.

§ 45. Somiglianza totale e parziale (J·omiglianza in relazione a) La somiglianza o l'uguaglianza, di cui abbiamo parlato finora, erano intese come somiglianza e uguaglianza complete, cioè somiglianza di oggetti concreti, come per esempio un tetto dal colore rosso chiaro è simile a un tetto dal colore rosso scuro. Da questa somiglianza concreta distinguiamo la somiglianza in senso traslato, la somiglianza in riferimento alle parti simili e non la somiglianza dell'intero oggetto, cioè non la somi­ glianza pura e semplice. Essa è una peculiare relazione in cui i concreti e gli interi par­ tecipano alla somiglianza dei momenti subordinati, ai quali appartiene la somiglianza. Se la somiglianza è concreta, se cioè è tale che i concreti sono simili per sé stessi e per il loro intero "che cosa" e "coincidono" in quanto concreti, allora la somiglianza appartiene anche a ciascun elemento che possiamo qui e li distinguere; in termini più precisi, possiamo distinguere i due concreti nei loro momenti "corrispondenti" e, se questi momenti sono messi in un una coordinazione univoca, a ogni coppia corri­ spondente [228] appartiene la somiglianza. La somiglianza concreta si risolve così in somiglianza parziale. Ma qui gli interi non sono simili "in conseguenza" di queste so­ miglianze delle loro parti. Ha invece luogo un tipo particolare di coincidenza. Gli interi entrano necessariamente in una vera e propria coordinazione reciproca, mediante la coincidenza delle parti; poiché le parti hanno l'unità s ensibile della coincidenza, anche gli interi ne ottengono un'unità sensibile. E così la somiglianza si traspone agli interi, in particolare se conseguenze simili si legano a questa "somiglianza" secondaria. Il simile ricorda il simile. Alla specie particolare della coincidenza corrisponde la specie parti­ colare dell'associazione per somiglianza, l'associazione per cui "l'uno ricorda l'altro". Nell'associazione della memoria evocata (B in quanto ricordato da A) è dato questo

1 63

Prima sezione - Capitolo terzo - L'apprensione delle relazioni e la sua fondazione nella passività

"da" e, al contempo, è dato che A ricorda B "in virtù di oc" . La tendenza del ricordo va da oc ad oc ' e questo è l'elemento fondante. Ma poiché oc è dato solo in A, che è il dato primario in quanto concreto, e oc ' è dato solo in B, che è anch'esso il dato primario, è per traslato che A acquisisce la relazione del ricordo con B. Questa è però un effettiva relazione di ricordo, benché sia fondata nella relazione fondante tra oc-oc ' . Non c'è dubbio che si possa cogliere questa relazione anche in modo tale da vedere la somiglianza dei concreti come una somiglianza effettiva, ma una somiglianza dal carattere modificato, una somiglianza che si "fonda" nella somiglianza di oc. Pertanto, somiglianza totale o concreta e somiglianza parziale sono modi diversi di somiglianza, e un modo rende possibile una coordinazione univoca di tutti i momenti in quanto so­ miglianze parziali, mentre l'altro fa emergere solo i singoli momenti come momenti di somiglianza. Occorre quindi distinguere: [229] 1) Somiglianza totale o somiglianzapura tra interi concreti; 2) Somiglianza parziale, che è la somiglianza pura tra le parti, ma non la somiglianza pura degli interi concreti. Due contenuti sono in relazione di somiglianza pura, se nessuna parte immediata dell'uno è dissimile da una dell'altro. La somiglianza impura è una somiglianza offusca­ ta, offuscata cioè da componenti di dissomiglianza. La somiglianza pura ha i suoi gradi. Ma questa gradualità è diversa dalla gradualità impropria e discontinua della somiglianza impura e parziale, che è tanto più completa, quante più parti si trovano in una somiglianza pura; ma nonostante questa somiglianza, le parti possono ancora differire in proporzione alla forza con cui esse determinano la "grandezza" della somiglianza degli interi. '

§ 46. Determinazioni di relazione e determinazioni di contrasto ('impressioni assolute '') Non sempre accade, come nei casi di determinazione comparativa di cui abbiamo parlato finora, che i due elementi della relazione siano effettivamente presenti nell'u­ nità di un'intuizione. Un sostrato della determinazione già dato può legarsi associati­ vamente con un altro simile, senza che questo debba essere effettivamente risvegliato o debba arrivare a un'intuitivizzazione conseguente. Essi possono restare sullo sfondo e cop.correr� comunque alla determinazione. Per esempio, un uomo alto si può pre­ sentare in quanto alto, senza che sia affatto necessario richiamare nel nostro campo persone piccole. Egli contrasta con gli uomini "normali", i cui esempi possono essere "evocati" in maniera oscura, senza giungere a una comparazione esplicita. Allo stesso modo accade, per esempio, con le determinazioni [230] "caldo" e " freddo", di "lun­ ga" o "breve" durata, "veloce" e "lento". Tutte queste determinazioni si riferiscono a una normalità dell'esperienza, che può cambiare da ambiente ad ambiente. Un clima

1 64

§ 46. Determinazioni di relazione e determinazioni di contrasto ("impressioni assolute") "freddo" significa

ai tropici qualcosa di

diverso che in una zona temperata; un veicolo

"veloce" all'epoca delle diligenze postali significa qualcosa di diverso che all'epoca delle auto da corsa, ecc. Dalla struttura dell'ambiente deriva senz'altro, e in maniera del tutto ovvia, la misura per tali determinazioni, senza che debbano essere esplicitamente evo­ cati gli elementi contrastanti della relazione. Nel punto focale dell'apprensione c'è solo un sostrato; manca pertanto quello che, nella nostra caratteristica generale, abbiamo indicato come l'elemento essenziale dell'osservazione relazionante: l'andare avanti e indietro della mira osservativa tra i due sostrati. Si tratta [in questi casi] di una correla­ zione costituita in maniera incompleta. Tali determinazioni, che si ottengono sulla base di elementi della relazione lasciati sullo sfondo, sono quelle che, in termini psicologici, vengono chiamate

"impressioni assolute". Abbiamo l'impressione

assoluta della grandez­

za, del peso, ecc. Dobbiamo quindi distinguere le determinazioni relative in senso pro­ prio dalle determinazioni di contrasto.

165

[231] Seconda sezione

Il pensiero predicativo e le oggettualità dell'intelletto

Capitolo primo

La struttura generale della predicazione e la genesi delle più importanti forme categoriali

§ 47. L'interesse ,·onosdtivo e la JUa realizzazione nelle operazionipredù'fJtive Il senso di ogni operazione conoscitiva è quello di constatare ciò che è, per come è e per ciò che esso è18• [La conoscenza] non raggiunge ancora il suo obiettivo nel domi­ nio della ricettività, di cui abbiamo esclusivamente parlato finora. Gli oggetti in quanto unità identiche sono già costituiti in questo dominio, in una varietà di passaggi che si riferiscono ad essi, li apprendono e li esplicitano. Ciò che ci colpisce è accettato, percor­ riamo il dato rivolgendo ad esso lo sguardo, con il ricordo torniamo su ciò che abbiamo già percorso, lo mettiamo in relazione con altro, ecc. Ma tutte queste operazioni sono legate all'intuizione dei sostrati, che è un'intuizione immediata, sia che presenti Wogget­ to] in sé stesso, sia che lo riproduca. Se è vero che nella coscienza non si perde nulla di ciò che era presente una volta nell'esperienza e, in particolare, nell'intuizione, se tutto continua ad agire, mentre si produce e si sviluppa un orizzonte di familiarità e di qua­ lità note, è però [232] altrettanto vero che ciò che è stato esperito non diventa così un nostro possesso, in modo da essere da un certo momento in poi a nostra disposizione, da poter essere sempre rievocato e da paterne dare notizia ad altri. L'interesse dellaperfezione, che guida l'esperienza ricettiva, è solo il livello preliminare del vero e proprio interesse wnostiti­ vo, è una spinta tendenziale a presentare da tutti i lati l'oggetto dato intuitivamente (cfr. § 19). Ma la volontà di conoscenza, che trovi in sé stessa il suo fine o sia al servizio di un obiettivo pratico, va molto oltre. Nella ricettività, l'io è invero attivamente rivolto a ciò che lo colpisce, ma non fa la sua conoscenza, e non trasforma i singoli passi della conoscenza, in quanto mezzi per il suo conseguimento, in oggetti della sua volontà. In­ vece, nell'interesse conoscitivo vero e proprio è in gioco una partecipazione volontaria dell'io, in un modo del tutto nuovo: l'io vuole conoscere l'oggetto, vuole fissare una volta per tutte ciò che ha conosciuto. Ogni passaggio della conoscenza è guidato da un 18

Riguardo a queste considerazioni, si veda anche l'Introduzione, § 13.

Seconda se;(ione - Capitolo primo - La struttura generale della prcdicazione

impulso attivo della volontà a conservare, nel futuro corso della vita, il conosciuto in b e b